Riassunto libro stalin e l'europa.
la
formazione dell'impero esterno
sovietico di fabio bettanin,carocci
editore, roma 2006
Storia dell'Europa Orientale
Pontificia Università della Santa Croce (PUSC)
13 pag.
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
Fabio Bettanin, Stalin e l’Europa. la formazione dell’Impero esterno Sovietico, Carocci Editore, Roma, 2006
LA VIA SOVIETICA ALL’IMPERO
L'URSS ha conosciuto un' evoluzione contraria agli altri imperi, in quanto si è andata formando nel
momento in cui questi scomparivano costituendo quindi un'anomalia storica. Ciò che distingue l'impero
americano e l'impero esterno sovietico risiede in tre fattori fondamentali:
1. nei livelli e caratteri dell'uso della forza. Mentre gli USA hanno esercitato sempre un forte appeal nei
confronti dei propri alleati, l'URSS ha invece sempre esercitato la propria violenza nei confronti dei
cittadini e degli alleati;
2. negli obiettivi politici della violenza. La strategia staliniana ha sempre intrecciato un imperialismo
espansionista con un forte proselitismo ideologico.
3. nella natura delle istituzioni e della società del centro.
1.2 CHE COSA NON FARE
Il processo di formazione dell'impero sovietico ha avuto inizio con l'assassinio di Alessandro I nel 1881, seguito
da una intensa politica di russificazione nel tentativo di creare un melting pot di popoli slavi che ha
avuto un incompleto insuccesso. Stalin ritenne che le questioni nazionali, le rivendicazioni nazionali fossero un
elemento non trascurabile. Il problema emerse con più forza con la rivoluzione bolscevica del 1917 quando i
problemi nazionali si saldarono con le rivendicazioni sociali rendendo incontenibile la spinta verso
l'indipendenza nazionale e ponendo problemi al governo provvisorio. L'idea di "Russia una e indivisibile"
avanzata dai Bianchi nella guerra civile era irrealizzabile, in quanto la Russia zarista si era espansa per secoli
premendo sull'elemento russo etnico per la loro unificazione. Proprio in questo tentativo risiede il
fallimento dell'impero zarista perchè si trovava privo degli strumenti materiali necessari e dell'ideologia guida per
giustificarne la missione civilizzatrice, che divenne parte dell'ideologia ufficiale relativamente tardi. Tale missione
lasciò però irrisolto un problema fondamentale e cioè il rapporto con paesi e popoli europei che aprì la strada per
il movimento dell'eurasismo, in cui si celebrava una forte distinzione della civiltà russa da quella europea come
effetto del senso di inferiorità nutrito in seguito alla sconfitta della Guerra di Crimea.
1.3 L’IMPERO INTERNO
La richiesta dell’autodeterminazione nazionale faceva parte del programma del movimento socialista. Dopo la
Rivoluzione di Febbraio, l’aumento delle richieste di autonomia creò dei problemi, ma consentì anche ai
bolscevichi l’opportunità di presentarsi in veste di mediatore tra le varie minoranze.
In un primo momento, la posizione di Stalin fu conforme a quella di Lenin: l’autodeterminazione era necessaria.
La disponibilità a riconoscere dei diritti collettivi piuttosto che individuali. All’autodeterminazione furono presto
poste delle condizioni: questa doveva essere subordinata ai principi del socialismo.
La sconfitta degli imperi centrali aprì la strada verso una riconquista dei territori perduti dopo l’Ottobre.
Nell’Ottobre del 1920 Stalin divenne più esplicito, riconoscendo che la Russia centrale e la “periferia” avevano un
necessario rapporto di interdipendenza
: la prima aveva bisogno delle materie prime e la seconda del sostegno politico ed amministrativo, senza il quale
sarebbe stata preda dell’imperialismo degli altri paesi europei.
Accanto alla forza, l’arma vincente del potere sovietico fu il federalismo, Stalin riconobbe che la federazione
avrebbe potuto fungere da forma di transizione verso una Repubblica centralizzata. Stalin diffidava delle nazioni
troppo piccole e fondate sulle affinità culturali, e la federazione fraterna e volontaria avrebbe significato solo una
fase di transizione verso il futuro unitarismo socialista. É centrale la divisione tra russi e non russi, la cui
caratteristica principale è quella dell’arretratezza politica ed economica, cosa che la Russia centrale aveva il
compito di eliminare. La predisposizione di Stalin di accettare solo legami di tipo gerarchico fu confermato da due
episodi che lo videro in aperta contrapposizione con Lenin.
Il primo fu la preparazione delle tesi per il II Congresso Internazionale Comunista nel 1920. Lenin aveva
abbozzato un progetto sul futuro assetto di una federazione di stati socialisti europei, verso il quale Stalin si era
mostrato scettico. Per Stalin, la federazione era possibile con gli Stati che han fatto parte della vecchia Russia, che
non avevano avuto uno Stato o comunque l’avevano perso tempo fa. Lo stesso non si poteva dire degli Stati che
erano stati indipendenti, che difficilmente accetterebbero un legame federativo con la Russia sovietica.
Lenin e Stalin sulla forma che avrebbe dovuto avere la federazione sovietica concordavano sui punti essenziali,
riguardanti il ruolo guida del partito e la forma pluralista della federazione, “pluralista nella forma e sovietica
nella sostanza”. Lenin tuttavia, era consapevole della debolezza del potere russo e non voleva sfidare il
nazionalismo georgiano. Dal canto suo, Stalin si batteva invece per una Repubblica federata che comprendesse
solo le zone che potevano essere rigidamente controllate dal centro.
L’avversione di Stalin per la Georgia: essa era stato un regime autonomo e la breve esperienza di indipendenza
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
aveva dato radici ancora più salde al nazionalismo. Egli dimostrava inoltre una forte avversione per politiche
troppo liberali che avrebbero incoraggiato le rivendicazioni delle repubbliche autonome che facevano parte della
federazione: Stalin era infatti convinto che il nazionalismo etnico russo fosse il nemico principale.
La scelta finale, su Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Le decisioni di alta politica erano lasciate al Partito, perciò l’iniziativa locale era fortemente limitata. L’azione di
Stalin fu decisiva nel concentrare tutti i poteri nei cinque ministeri centrali e negli altri cinque direttivi.
Nelle repubbliche e nelle regioni autonome, il processo verso l’industrializzazione fu più lento e quando
finalmente giunse, fu chiaro che non sarebbe sbocciato nel avvicinamento e fusione fra le regioni, ma che avrebbe
al contrario accentuato le differenze tra le varie nazionalità. Le Repubbliche federate di Bielorussia, Ucraina,
Azerbaigian e Tagikistan, avevano la funzione di attrarre i connazionali che vivevano fuori dei confini dell’URSS.
Allo stesso scopo vennero create le Repubbliche autonome della Moldavia e delle Carelia. Inoltre all’inizio degli
anni ’30 cominciò una sistematica e programmata pulizia etnica delle nazionalità della diaspora. Queste
epurazioni vennero giustificate con la formula “popoli nemici”, popoli che dovevano essere puniti per il solo fatto
di esistere.
Il passo successivo fu quello di un a rivalutazione del passato zarista, e la negazione dell’arretratezza economica e
politica della Russia. Questo processo però non poteva spingersi troppo in la, perché avrebbe potuto indurre molti
a chiedersi in nome di cosa era stata fatta la Rivoluzione.
Stalin voleva evitare un giudizio negativo sulla politica zarista, tuttavia, egli si riproponeva di evitare qualunque
filo di continuità tra queste due esperienze. Le ragioni della sua segreta ammirazione nei confronti del passato
zarista sono l’eredità di uno stato enorme, lasciato dagli Zar ai bolscevichi.
Alla formazione del modello sovietico, che assegnava alla politica estera un ruolo “ancillare” fece da contrasto il
Komintern: al tentativo fallito di sollevare i paesi dell’Europa occidentale, si sostituì la visione catastrofista. La
Rivoluzione sarebbe sorta dalle macerie del capitalismo, bisognava solo attendere.
Quando in Germania si consolidò il potere nazista, il catastrofismo si evolse in difensismo e il Komintern divenne
l’organo della politica estera sovietica. La prospettiva di una guerra europea rese più complicato il rapporto con il
passato russo, poiché l’esercito russo era entrato due volte nel cuore dell’Europa e la difesa e l’esaltazione di
questo elemento era sconsigliabile per due motivi: - avrebbe posto l’attenzione su un presente meno roseo;
-avrebbe indirettamente segnalato l’intenzione russa a non voler alterare gli equilibri europei.
Negli anni tra le due guerre, l’URSS era caduta in un isolamento.
LA STRADA PER BERLINO
2.1 UNA GUERRA DIVERSA
Anche dopo la firma del patto Ribbentrop-Molotov, Stalin continuava a confidare nel catastrofismo, che avrebbe
condotto le potenze europee verso una guerra suicida, alimentando le speranze di poter restare fuori dal conflitto
mondiale. Stalin comprendeva che Hitler stava scuotendo l’intero sistema capitalistico e sperava che la posizione
della Gran Bretagna ne uscisse indebolita. Tuttavia, la resistenza di quest’ultima nei confronti dei tedeschi
allontanava il pericolo di un eventuale attacco all’URSS, perciò Stalin rivalutò la sua posizione: grazie alla Gran
Bretagna l’URSS poteva ritenersi al sicuro da un attacco. Dopo la firma del patto Ribbentrop- Molotov i rapporti
tra URSS e Germania, non erano mai stati chiari e collaborativi, ed erano anzi peggiorati nel 1940,la presenza di
due potenze terrestri che avevano ambizioni simili sul continente era un motivo di continuo attrito, reso insanabile
dalla somiglianza dei due regimi , che avevano entrambi mire espansionistiche.
All’inizio della guerra Stalin si aspettava il crollo del vecchio ordine e la caduta del nazismo, dovuta alla
costruzione frettolosa della sua struttura. Il regime sovietico aveva avuto modeste conquiste territoriali, ma
scarsissima solidità interna. I dirigenti sovietici si trovarono a combattere contro il sostegno popolare ai partigiani
che combattevano contro l’Armata Rossa.
Stalin impartì una serie di direttive che fissavano gli obiettivi della politica sovietica ne Baltico: rispettare i regimi
e la loro autonomia, non costringerli alla sovietizzazione ma aspettare che questi la attuino spontaneamente. Nel
1940 questi propositi furono apertamente violati, con l’opposizione di governi popolari che aprirono le porte alla
successiva fase dell’annessione e poi a quella della massiccia sovietizzazione. Se queste azioni avevano l’obiettivo
di migliorare la sicurezza dello stato sovietico, esse sortirono l’effetto opposto, scatenando una massiccia
guerriglia e rafforzando le posizioni antisovietiche dell’opinione pubblica internazionale. Gli stessi effetti ebbe la
“guerra d’Inverno” tra URSS e Finlandia del 39-40 : il cattivo andamento delle azioni militari, spinse l’URSS
all’abbandono e l’avvio di trattative che assegnarono all’URSS territori più estesi di quelli richiesti all’inizio della
guerra ma ad un prezzo politico molto più alto.
Il quadro era inoltre aggravato dal generale disordine che aveva colpito l’internazionale comunista dopo l’inizio
delle guerra: la frenetica attività degli organi centrali del Komintern nei confronti delle sezioni nazionali aveva
confuso e disorientato i comunisti europei. In questo clima sorse la proposta staliniana di sciogliere
l’Internazionale comunista, consentendo ai partiti comunisti di diventare completamente autonomi, trasformandosi
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
in partiti nazionali.
Nel 1941 migliorarono i rapporti tra USA e URSS, e ad agosto Churchill e Roosvelt si impegnarono a fornire a
Stalin del materiale bellico. Ciononostante, la consegna solo parziale del materiale bellico e la mancata
definizione degli obiettivi militari della guerra suscitarono la diffidenza sovietica. L’incontro successivo tra Stalin
ed il ministro inglese Eden ebbe dei risultati limitati. Stalin propose ad Eden la firma di un protocollo segreto che
conteneva uno “schema generale di riorganizzazione delle frontiere europee dopo la guerra”. I tentativi di Eden di
sottrarsi alle richieste di Stalin non fecero altro che aumentare la diffidenza di quest’ultimo e sottolineare la
dipendenza della politica britannica da quella statunitense. Alla base delle offerte di Stalin vi era uno schema di
delimitazione delle rispettive sfere di influenza, la richiesta di uno status paritario presentato dai sovietici ad Eden.
In tutto ciò, la sorte della Germania fu messa in secondo piano. I colloqui fanno emergere la visione dell’URSS
che per la prima volta non si rispecchia nell’equazione “più territori uguale maggiore sicurezza”.
Per di vedere soddisfatte le proprie richieste Stalin decise di aspettare fin dopo la fine della guerra per la firma dei
patti di mutua assistenza.
La rigidità della posizione di Stalin è da rintracciarsi nella mutata valutazione delle prospettive di guerra: all’inizio
di novembre l’esercito sovietico era stato sull’orlo del tracollo ma a partire dalla metà di novembre la spinta delle
truppe tedesche avevano perso slancio. Le prime sconfitte inflitte ai tedeschi e la prospettiva di combattere su un
solo fronte avevano alimentato le speranze di una rapida risoluzione della guerra, consentendo all’URSS di
avanzare pretese che solo lo status di vincitore avrebbe potuto giustificare. Ma sia Churchill che Roosvelt si
opposero al riconoscimento delle frontiere sovietiche del 1941, perciò Stalin fu costretto ad allontanarsi dalla
prospettiva di poter trattare con gli alleati da posizioni di forza.
Stalin era convinto che il governo statunitense fosse meno disponibile di quello britannico. Il tema della
contraddizione dei paesi capitalistici tornava ad essere presente nella politica estera sovietica, anche se meno
centrale e in forma più concreta rispetto agli anni ’30.
Per l’esercito e la popolazione sovietica il 1942 era stato un anno di terribili perdite e distruzioni, l’anno
successivo invertì questa tendenza, ma i dirigenti sovietici evitarono ugualmente l’intraprendere relazioni
diplomatiche che non avessero la priorità di sconfiggere la Germania. La Gran Bretagna divenne l’interlocutore
privilegiato per gli affari europei, e l’accordo raggiunto di non firmare paci separate con i piccoli stati aveva per
l’URSS più valore delle offerte di associazione ad un direttorio offerte dagli USA. Le informazioni sulla volontà
statunitense di mantenere orientamenti favorevoli alla divisione della Germania rincuorò l’URSS, insieme alle
informazioni che gli USA non erano interessati alla difesa degli Stati del Baltico.
L’apertura del secondo fronte era stata ancora rinviata. L’aggressione nazista all’URSS aveva fatto
dell’antifascismo la parola d’ordine unificante di un vasto spettro di forze sociali e politiche in tuta Europa,
ridando al Komintern quel ruolo di componente della politica estera sovietica, pur se secondario.
Venne bloccata qualunque iniziativa che potesse attenuare l’identità dei partiti comunisti, sconsigliando l’adesione
a coalizioni di partiti nelle quali ad essi fosse stato riservato un ruolo minoritario.
L’otto maggio 1943 venne presa la decisone di sciogliere il Komintern, e fu l'intenzione di alleggerire i problemi
creatisi con gli alleati in un momento decisivo della guerra, che ispirò la decisione di sciogliere in Komintern. Un
altro motivo del provvedimento è dato dal fatto che i partiti comunisti erano da tempo molto diversi tra loro e la
guerra aveva accentuato questa divergenza. Vi erano partiti comunisti europei, il partito comunista cinese e i
partiti comunisti di zone periferiche rispetto allo svolgimento della seconda guerra mondiale e si era arrivati ad un
punto che trovare una parola d’ordine per tutte queste diverse situazioni era ormai diventato impossibile, perciò lo
scioglimento del Komintern era l’unica soluzione possibile.
Il 14 Roosvelt e Churchill si erano incontrati per decidere i modi e i tempi della creazione di un secondo fronte.
2.2 LE ZONE D’INFLUENZA: I PROGETTI
Dopo la grande vittoria nella battaglia di Stalingrado, l’avanzata dell’Armata Rossa verso Berlino.
La vittoria aveva restituito all’esercito il ruolo di simbolo dell’unità nazionale e Stalin si affrettò a incoronarsi, il 6
marzo 1943, Maresciallo dell’Unione Sovietica. Le rivelazioni sull’eccidio di ufficiali polacchi, caduti prigionieri
dei sovietici, e da questi uccisi e sotterrati a Katyn’, provocò la prima seria crisi all’interno del campo alleato.
Alla Conferenza di Washington del maggio 1943, Roosevelt e Churchill decisero di rinviare l’apertura del secondo
fronte allo stesso mese dell’anno successivo, comunicandola in termini vaghi a Stalin.
Nel luglio, la grande vittoria dei sovietici nella battaglia di Kursk, e la pressoché contemporanea conquista della
Sicilia da parte delle truppe angloamericane, alla quale seguì la destituzione di
Mussolini, ridimensionarono i motivi d’attrito. Da quel momento il problema principale dei rapporti fra gli alleati
della coalizione antihitleriana fu di stabilire quando e come la Germania sarebbe stata sconfitta, chi avrebbe
occupato e amministrato i paesi satelliti dell’Asse, quale sarebbe stata la sorte dei governi in esilio dei paesi della
coalizione antihitleriana.
L’allargamento delle zone del mondo interessate da attività militari aveva aperto la strada ai primi e decisivi
incontri dei “tra grandi”: la Conferenza dei ministri degli Esteri dell’ottobre 1943 e la Conferenza di Teheran del
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
novembre-dicembre 1943.
La volontà di Stalin di estendere il controllo sull’Europa orientale emerge con chiarezza nel momento in cui
respinge la proposta inglese di un impegno pubblico delle grandi potenze a non formare sfere di influenza. Su
questa strada si ponevano ostacoli. Il principale era la Germania. Secondo Litvinov era necessario evitare la
deindustrializzazione della Germania perché avrebbe impedito il pagamento delle riparazioni.
L’altro ostacolo: Litvinov considerava scontata la formazione nel dopoguerra di una nuova organizzazione
internazionale dotata del potere di disporre l’uso della forza contro i membri che non rispettavano i principi
fondanti. La parità formale fra piccoli e grandi Stati non comportava ruoli simili: ai “quattro grandi” sarebbe
toccata la responsabilità di definire il nuovo quadro delle relazioni internazionali. Il punto era di stabilire quali
dovessero essere i rapporti tra i “quattro”: essi avrebbero risposto collettivamente per la sicurezza in tutto il
mondo o ognuno di essi avrebbe controllato una zona delimitata. Si propose la divisione dell’Europa in due zone
d’influenza, una inglese e una sovietica. La conferenza si svolse secondo i canoni di un incontro diplomatico
tradizionale che sancì decisioni già prese in precedenza e rimandò quelle controverse. Fu stabilito di restituire
l’indipendenza all’Austria e di formare un consiglio consultivo in Italia.
Due grandi problemi dominavano sugli altri: il futuro della Germania e il destino della Polonia. Il Foreign Office
sottopose agli alleati un progetto secondo cui i “tre grandi” si sarebbero dovuti impegnare a rispettare le libertà di
ogni popolo, quindi i “tre grandi” avrebbero dovuto rinunciare a formare sfere di influenza. L’Unione Sovietica
ritenne che i piccoli stati avrebbero avuto bisogno di un certo periodo di tempo per trovare un’organizzazione
adeguata e per evitare di generare infiniti problemi inserendo questi stati in artificiose federazioni.
Successivamente l’incauta mossa inglese fu di constatare che i “piccoli stati” dell’Europa orientale non sarebbero
immediatamente stati nelle condizioni di decidere del proprio destino. Quindi possiamo dire che la “divisione del
mondo” iniziò proprio con la Conferenza di Mosca, dalla quale si generò il cosiddetto “cordone sanitario” attorno
all’URSS.
La Conferenza di Teheran vide i capi di Stato della coalizione vincitrice della guerra riunirsi per decidere quale
sarebbe stato l’ordine postbellico. I tre capi di Stato riuniti a Teheran erano convinti che fosse loro compito
seppellire il sistema di Versailles, e con esso l’isolazionismo di USA e URSS. La rinnovata attenzione accordata
all’apertura del secondo fronte ribadì la preminenza del teatro di guerra europeo rispetto a quello asiatico, dove
Stalin non aveva intenzione di impegnarsi. Roosevelt iniziò il lavoro diplomatico per coinvolgere Stalin nel
progetto: la formazione di un’Organizzazione delle nazioni unite che , oltre a garantire la sicurezza collettiva, si
sarebbe dovuta occupare di problemi economici e sociali su scala planetaria. Stalin, a sua volta, avanzò la
proposta di formare un’organizzazione su scala europea, guidata da USA, URSS e GB al fine di tenere a bada i
“piccoli stati”. Tuttavia Roosevelt escluse la possibilità che gli USA si sarebbero impegnati in un’organizzazione
su scala europea e queste dichiarazioni aprirono a Stalin la prospettiva di un vuoto di potere in Europa che poteva
essere considerato allo stesso tempo minaccioso ma allettante. Stalin credendo nel disinteresse americano per
l'Europa cedette alle concessioni richieste da Roosevelt e dette il via libera alla formazione di un’organizzazione
internazionale e al piano di divisione della Germania in cinque stati.
La politica estera sovietica guardava ormai oltre questo orizzonte e la conferma giunse dalla visita a Mosca del
presidente del governo cecoslovacco in esilio, Eduard Beneš, il quale firmò un patto di amicizia, mutua assistenza
e collaborazione postbellica con l’Unione Sovietica, Il presidente del governo cecoslovacco in esilio si dichiarò a
favore degli Stati confinanti. Stalin sottolineò con la matita rossa su una mappa la nuova frontiera.
L’incontro pose il suggello alla strategia sovietica di formazione di un’area d’influenza nell’Europa centro-
orientale, introducendovi due elementi costitutivi. Il primo riguardava l’importanza dell’alleanza e della
collaborazione con i piccoli Stati di un’area che non poteva essere controllata,
come era emerso chiaramente da Teheran, facendo ricorso solo all’azione dei “quattro poliziotti”. Il secondo
veniva di conseguenza: le élite politiche ed economiche di questi paesi sarebbero emerse profondamente
trasformate dalla guerra, in alcuni casi sarebbero state spazzate via.
La sintesi della nuova politica estera sovietica: elemento centrale era la continuazione della collaborazione con gli
USA e la GB nei campi già definiti alle conferenze degli anni precedenti: formazione di un’organizzazione
internazionale, formazione di regimi democratici, l’aiuto degli alleati alla ricostruzione economica dell’URSS e la
nascita di un’Europa dominata solo da due potenze, URSS e GB.
LE ZONE D’INFLUENZA: LA PRATICA
Nel corso della 2^GM l’URSS non lanciò una politica radicale di sovietizzazione dell’Europa centro-orientale ma
tentò di raggiungere il più modesto obiettivo di formazione dei “fronti nazionali” nei paesi conquistati. La scelta
era obbligata perché la collaborazione con gli alleati offriva una garanzia più efficace contro una potenziale futura
aggressione di Germania e Giappone, l’entità delle riparazioni dei paesi sconfitti sarebbe dipesa dalla buona
disposizione degli alleati e perché in molti paesi occupati dall’Armata Rossa vi erano forti sentimenti antirussi e
antisovietici che avrebbero potuto creare difficoltà all’URSS.
La politica estera sovietica dell’ultimo periodo di guerra fu dominata dalla figura di Stalin.
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
A riguardo dell’espansione dell’Armata Rossa da Mosca al cuore dell’Europa ci sono analisi che partono
dall’esistenza di chiari programmi di espansione sovietici, paesi da “controllare direttamente (Polonia, Romania e
Bulgaria) o indirettamente (Ungheria e Cecoslovacchia)”. Si può osservare in merito che l’agenda politica
sovietica continuò a essere dominata, da un’attenta considerazione delle condizioni interne dei paesi dell'Europa
centro-orientale, dai problemi di sicurezza in particolare nei confronti di Germania, Polonia e Cecoslovacchia.
Nel dicembre 1943 Stalin era alla ricerca di uomini politici non comunisti, ma rappresentativi e ben disposti verso
l’URSS, per creare un’alternativa al governo polacco di Londra. Stalin non si arrese sostenendo che unico fine
della politica sovietica era l’insediamento di un governo polacco desideroso di mantenere buoni rapporti con il suo
“vicino orientale”, in nome della lotta contro il “comune nemico: la Germania”. L’ostacolo principale era trovare
una valida alternativa politica al governo polacco di Londra. Il 22 gennaio 1944, giunse dalla Polonia un rapporto
sulla situazione politica interna, esso enunciava che le forze politiche polacche si sarebbero preparate a contrastare
l’ingresso delle truppe sovietiche e che il PPR avrebbe formato in risposta un Consiglio nazionale polacco (KNR)
del quale facevano parte rappresentati dei partiti comunista e socialista e movimenti sindacali e contadini. A capo
di tutto questo vi era Gomułka. I dirigenti sovietici avevano altri piani, che si concretizzarono quando le truppe
sovietiche entrarono in Polonia. Il 22 liglio si insediò a Lublino il Comitato polacco di liberazione nazionale,
composto dai fedeli “moscoviti”, che lanciò il cosiddetto “manifesto di luglio”. I meccanismi della forza dispiegati
seguirono i modelli collaudati in URSS, il controllo e l’emarginazione delle forze politiche nazionali non avevano
come obiettivo immediato la sovietizzazione. Non dare l’impressione di voler introdurre istituzioni di tipo
sovietico fu la tattica utilizzata dalle truppe sovietiche nei paesi dell’Europa orientale. Alla fine di giugno,
l’Armata Rossa iniziò la travolgente offensiva che avrebbe portato alla rapida conquista di Minsk e si sarebbe
arrestata, dopo aver distrutto varie armate tedesche, solo il 25 luglio, alle porte di Varsavia.
Durante un colloquio tra USA, GB e URSS il commissario degli Esteri sovietico si dichiarò favorevole a includere
nel governo polacco esponenti provenienti dai paesi alleati, il cui compito avrebbe dovuto essere la formazione di
uno Stato democratico, “impresa nella quale sino ad allora i polacchi avevano fallito”. Inoltre gli USA ritenevano
“inevitabile il rafforzamento dell’influenza sovietica in Polonia, Finlandia, nei Balcani, e anche nel resto
d’Europa”. Per il futuro v’era dunque da attendersi la continuazione della lotta contro la Germania, e poi un
impegno per la conservazione della pace, che avrebbe consentito lo sviluppo dei rapporti economici fra URSS e
USA. La diplomazia sovietica aveva lavorato all’elaborazione di documenti sul futuro della Germania, preparando
sin dai primi mesi dell’anno piani dettagliati sulle condizioni della pace, sui meccanismi di controllo alleati, sulle
riparazioni e sulla divisione della Germania. Tuttavia il pericolo di indurre i tedeschi a resistere con ancor
maggiore accanimento era un buon incentivo a mantenere segreto l’intenso lavoro della diplomazia sovietica su
questi temi.
Si evidenziò che con l’acquisizione della Prussia orientale e della Slesia, la Polonia si sarebbe trasformata in un
paese potente, più forte della Prussia, e questo era pericoloso date le sue tradizioni antirusse, un eccessivo
rafforzamento della Polonia era indesiderabile. Il governo polacco di Londra guidato da Mikołajczyk deluse le
aspettative dei dirigenti sovietici. Egli proclamò anche la sua intenzione di recarsi al più presto a Varsavia per
formare un governo, non era questo il punto di vista di Stalin che più volte sottolineò che la Polonia sarebbe stata
liberata solo grazie all’intervento dell’Armata Rossa a Stalin era chiaro che Mikołajczyk non sarebbe mai
divenuto un alleato affidabile. A suo modo Stalin era sincero quando affermava di volere una Polonia forte,
indipendente, democratica e non socialista ma allo stesso tempo non era disposto a tollerare manifestazioni di
antisovietismo che era, nel breve periodo, la migliore garanzia per la sicurezza dell’URSS.
La forza del nazionalismo era una minaccia poiché poteva originare situazioni di guerra civile ma era anche una
risorsa da utilizzare per dare una base di consenso ai nuovi governi. L’avvicinarsi della liberazione della
Cecoslovacchia accrebbe le apprensioni del governo Beneš sulla volontà degli alleati di risolvere il problema delle
minoranze nazionali consentendo la loro espulsione. Stalin pose il governo cecoslovacco di fronte a un ricatto: se
avessero riconosciuto il governo di Lublino e avviato colloqui sulle questioni territoriali, l’URSS avrebbe
garantito il sostegno per la restituzione alla Cecoslovacchia del distretto di Teschen, conteso con la Polonia. Una
politica con obiettivi analoghi fu seguita dai sovietici nelle zone di frontiera, a composizione etnica mista, fra
Polonia e Ucraina. Per Stalin il nazionalismo poteva facilitare il dominio sovietico, allontanando il pericolo di
formazione di federazioni e alleanze antisovietiche in Europa orientale.
Già nel maggio del 1944 la GB e l’Unione Sovietica avevano effettuato una divisione delle sfere di influenza nei
Balcani, stabilendo che l’URSS avrebbe avuto piena libertà per le operazioni militari contro la Romania in cambio
del riconoscimento di un ruolo analogo della GB in Grecia. Stalin incoraggiava la GB a seguire un corso politico
indipendente da quello degli USA in modo da acuire le contraddizioni tra i due paesi capitalistici. Non era facile
formare una zona di influenza quando lo strumento principale a disposizione erano partiti comunisti con scarso
seguito, e spesso discreditati agli occhi degli stessi sovietici, come in Ungheria. Tuttavia il compito non era
semplice nemmeno dove i partiti comunisti erano forti, come in Jugoslavia. Quest’ultima presentò delle richieste
impressionanti a Stalin, essa aveva mire territoriali com’era evidente per Stalin non esistevano le condizioni
oggettive per un radicale mutamento della situazione nei Balcani.
A guerra ancora in corso, mentre le truppe sovietiche avanzavano verso Berlino, il quadro complessivo in Europa
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
orientale era, dal punto di vista di Mosca, sotto controllo.
Gli USA non erano particolarmente interessati alle sorti dell’Europa centro-orientale. Il loro ruolo sarebbe stato
invece decisivo nella soluzione delle grandi questioni del dopoguerra: la formazione di un sistema di sicurezza
collettiva, l’organizzazione delle relazioni economiche internazionali e il futuro della Germania. L’obiettivo
centrale assegnato alla diplomazia sovietica era di ostacolare la formazione di organizzazioni di sicurezza
regionali, che avrebbero minacciato la posizione di prevalenza strategica raggiunta dall’URSS in Europa. L’URSS
continuò a prediligere rapporti bilaterali a riguardo delle relazioni internazionali piuttosto che rapporti
internazionali. La zona di influenza sovietica avrebbe dovuto includere, oltre ai paesi già occupati dall’Armata
Rossa, Finlandia, Svezia, Norvegia e Turchia. Al centro dell’Europa si sarebbe dovuta formare una zona neutrale
comprendente Germania, Svizzera, Austria, Danimarca e Italia, sui quali anche si sarebbe potuto negoziare, il
resto dell’Europa avrebbe dovuto entrare nell’area d’influenza inglese.
La certezza che gli Stati Uniti a guerra finita sarebbero tornati a chiudersi nelle loro tradizionali zone d’influenza è
l’elemento essenziale di comprensione della reazione sovietica alle decisioni adottate alla Conferenza di Jalta.
Roosevelt pose il problema della formazione di una “nuova Polonia libera e democratica”.Il Maresciallo Stalin fu
costretto ad accettare il principio della riorganizzazione del governo provvisorio polacco, “su base più
democratica, con l’inclusione di esponenti democratici provenienti dalla Polonia e dall’estero”. I mesi successivi,
sino alla fine della guerra, videro una frenetica attività sovietica nell’Europa centro-orientale. L’URSS strinse
trattati di amicizia e mutua assistenza. Allacciò relazioni diplomatiche con i nuovi governi di Romania, Bulgaria,
Finlandia e Ungheria. La formazione di una zona d’influenza era un obiettivo ancora lontano da raggiungere. Il
principale ostacolo in questa direzione era rappresentato dalla situazione in Polonia.
L’irrigidimento delle posizioni degli angloamericani sulla composizione del nuovo governo polacco sorprese i
sovietici, tuttavia a Jalta era stato deciso che l’allargamento sarebbe avvenuto “sulla base dell’esistente governo
provvisorio”, e non avrebbe riguardato personalità politiche che l’Unione Sovietica considerava ostili.
Altrove il comportamento sovietico fu più moderato e opportunistico. Obiettivo di Stalin era ottenere ciò che, dal
suo punto di vista, gli era stato promesso da Churchill e non negato a Jalta: il controllo dei nuovi governi
dell’Europa centro-oriantale, dai quali dovevano essere banditi uomini politici antisovietici o filo-occidentali.
3. SONO ESISTITE LE DEMOCRAZIE POPOLARI?
3.1 LE VIE NAZIONALI:LA TEORIA
La radicalizzazione del sistema staliniano all’interno, obbligava ad una politica estera moderata, inoltre nell’idea
di Stalin non si potevano eliminare le caratteristiche intrinseche dei popoli, bensì dovevano essere controllate. Nel
’45 iniziò una serie di relazioni bilaterali con i paesi circostanti: Bulgaria e Jugoslavia e con la Polonia, con cui
fece un trattato di amicizia che mise fine a secoli di ostilità. Il processo di graduale omogeneizzazione doveva
iniziare dalla periferia. Il concetto di democrazia popolare comprendeva il carattere progressivo in cui la
transizione verso il socialismo doveva avvenire. Il modo doveva essere pacifico nel rispetto delle procedure
democratiche; quindi senza la dittatura del proletariato presente nella teoria marxista-leninista. Stalin reputava la
transizione possibile, infatti, qualora venivano conquistate le leve del potere, non si doveva aver timore del
pluralismo politico e sociale perché sarebbero diventato sempre più passivo. La capacità di controllare le mosse
dei vari partiti e movimenti era l’architrave della strategia stalinista.
Riguardo la Germania reputava che la costruzione della democrazia popolare fosse ancora prematura.
3.2 LE VIE NAZIONALI: LA PRATICA
Nella concezione strategica dell’unione sovietica vi era il principio che possedendo il monopolio degli apparati
della forza poi si poteva risolvere qualsiasi altro problema.
Gli obbiettivi erano:
-controllo degli apparati governativi della forza.
-depotenziare le maggiori forze d’opposizione presenti discreditandole o se non bastava attraverso la falsificazione
delle elezioni.
Il referendum in Polonia del ’46 in cui molti comitati vennero chiusi, molti esponenti politici arrestati e molti
cittadini vennero eliminati dalle liste elettorali. Stalin credeva che la Polonia fosse ormai conquistata e che potesse
trainare gli altri paesi dell’Europa dell’est nell’orbita sovietica. In Polonia si operò attraverso la destituzione di
Gomulka e la riorganizzazione dell’esercito secondo il modello sovietico e l’epurazione di coloro che venivano
ritenuti inaffidabili. Successivamente i sovietici presero anche cariche importanti.
Stalin riguardo all’economia premette per l’adozione di una riforma agraria di carattere egualitario, ma ovunque si
ebbe una rapida ed estesa nazionalizzazione, tuttavia ai governi e ai comunisti si chiedeva di adottare piani a breve
termine di programmazione economica. Obiettivo comune era la ridistribuzione delle terre oltre che una forte
rivincita nei confronti dei tedeschi attuando decreti d’espulsione e di confisca delle proprietà. Nel giugno del ’45 i
sovietici avevano chiara la strategia da adottare: non toccare le frontiere, trasferire le popolazioni e fare in modo
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
che nessuno stato si potenziasse troppo. Un problema ulteriore che si manifestò tra i paesi, era lo scontro tra i vari
nazionalismi interni a cui Stalin tentò di trovar rimedio attraverso accordi di mutuo assistenza.
Le difficoltà iniziarono con Potsdam, quando gli alleati si rifiutarono di riconoscere le elezioni in Bulgaria e
ritenevano che il governo romeno di Groza non rispettava i criteri rappresentativi di Jalta. Nel discorso di
Cherchill a Fulton si denuncia la comunistizzazione di Stalin nei confronti dell’Europa Orientale ma nonostante
questo principio di ostilità occidentale i dirigenti comunisti dell’unione sovietica escludono la possibilità di una
guerra. Da parte dei sovietici c’è poca fiducia nei partiti comunisti dei paesi satelliti infatti si operò una forte
epurazione e in molti casi si portò anche all’unione tra socialisti e comunisti perché secondo la loro strategia
questo avrebbe facilitato la transizione democratica verso il socialismo senza dover passare per la dittatura del
proletariato. L’uso della forza divenne sempre più circoscritto per raggiungere l’obbiettivo di consolidare il ruolo
del partito comunista all’interno della coalizione di governo. Infatti, venne effettuato un forte attacco ai partiti
d’opposizione durante la campagna elettorale del ’46. La repressione crescente trasformò la sovietizzazione da
prolungata a forzata, inoltre ogni pretesa di seguire una via pacifica e parlamentare verso il socialismo veniva
vista come una deviazione nazionalistica.
3.3 MOSCA:
L’area di influenza creò dei vincoli alla politica estera sovietica che rimasero fino alla dissoluzione della stessa. Il
primo segnale di una contrapposizione del presidente statunitense Truman,vi fu con la fine dei prestiti e l'aumento
delle intromissioni nelle vicende interne all’Europa orientale. Si riuscì a negoziare il disarmo della Germania
anche se Stalin premeva per un trattamento analogo nei confronti del Giappone, per la revisione della convenzione
sugli stretti, l’assegnazione di alcune colonie italiane e il prolungamento dell’occupazione dell’Iran. Da qui iniziò
l’isolazionismo visto soprattutto come punto di forza della politica estera sovietica. Nella visione di Stalin,
potevano convivere pacificamene quei diversi sistemi sociali e politici che contrapponevano l’URSS dagli USA.
Adottava una tattica “attendista”. Contro questa tattica si operò Novikov, l’ambasciatore sovietico a Washington,
che scrisse un rapporto in cui segnalava l’obiettivo della politica estera statunitense, ossia il predominio mondiale
attuato attraverso il capitalismo monopolistico. Il piano Marshall inizialmente venne presentato come un aiuto per
impedire il collasso economico europeo. Molotov disse che la creazione di istituzioni multinazionali erano un
pretesto per ingerirsi negli affari interni e impartì ai governi dei paesi dell’Europa orientale di impedire
un’adozione unanime e abbandonare la conferenza. Questo episodio sancì la nascita del blocco sovietico a cui si
rispose con la formazione del Cominform.
4.LA STRADA PER MOSCA
4.1 PRAGA
L’intesa politica tra Cecoslovacchia e la Russia avvenne nel ’43 attraverso un accordo di non ingerenza negli affari
interni. Durante la guerra aveva mantenuto come la Polonia un governo in esilio a Londra diretto dal presidente
della repubblica Benes che ritornò in patria in seguito alla liberazione. Si creò un governo di unità nazionale e il
primo passo compiuto da nuovo governo fu una forte epurazione nei confronti dei collaborazionisti e dei traditori.
Il partito comunista divenne la prima forza politica del paese. La strategia seguita dal Cremino garantì il pieno
controllo del proprio paese, ma il sistema socio-economico e la cultura politica limitarono gli strumenti culturali
ed economici per intervenire sui paesi satelliti. La Cecoslovacchia divenne l’epicentro della crisi la sua politica
estera era orientata verso l’URSS senza per questo essere antioccidentale. I comunisti avevano un ampio consenso
popolare ma elementi reazionari stavano penetrando dalle campagne, nel partito socialista-nazionale che in quello
popolare. La paralisi del parlamento aveva aperto la strada al tentativo dei reazionari(sostenuti da rappresentanti
occidentali) di conquistare la maggioranza alle elezioni del ’48. Vennero inviati dalla Russia 400 uomini, i
sovietici stabilirono che: la letteratura sovietica doveva essere tradotta e doveva essere fondato un istituto di
cultura sovietica, doveva esser fatta una riforma agraria, si doveva fare la purga degli apparati e il controllo delle
associazioni sociali, infine, doveva essere rafforzato il lavoro ideologico. La Cecoslovacchia divenne una
provincia dell’impero e il colpo di stato dal basso del ’48 segnò sia l’inizio del dramma del popolo che l’emergere
dell’insicurezza sovietica sulla tenuta e la fedeltà di quelle “democrazie”.
4.2 BERLINO
La questione tedesca era ancora aperta e il Cremlino non aveva una chiara strategia per la sua soluzione. Stalin si
era più volte dichiarato a favore di una Germania unita e antifascista. La questione tedesca e della Ruhr era stata
definita la questione fondamentale della politica internazionale. Le dichiarazioni di Stalin a favore di una
Germania unita erano frutto della logica politica che imponevano la formazione di una Germania pacifica e
neutrale. L’alternativa di una Germania unita e socialista era una possibilità remota. Una Germania socialista
sarebbe stato l’unico paese europeo in grado di contendere all’URSS il ruolo di guida del movimento comunista
internazionale. Nel corso della guerra Stalin aveva evitato di prendere posizioni sui numerosi progetti di divisione
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
della Germania, e la fine delle ostilità non modificò la sua linea di condotta. La doppiezza di Stalin è attribuita alla
volontà di confondere le idee agli alleati. Una futura Germania unita si sarebbe potuta formare solo mediante la
fusione delle zone di occupazione. Ciò rendeva impossibile l’immediata formazione di una Germania unita e
neutrale. Il nuovo Stato si sarebbe dovuto appoggiare a uno degli schieramenti usciti dalla guerra. Stalin puntava a
inserire la nuova Germania nell’area d’influenza sovietica, ma era un’ipotesi che presentava i suoi lati negativi:
avrebbe compromesso i rapporti con gli alleati e alterato i rapporti di forza fra URSS e democrazie popolari.
Stalin finì con il conseguire la peggiore delle soluzioni pensabili per la politica sovietica. Tre furono gli errori: si
illuse di poter usare in Germania tattiche che avevano dati buoni risultati negli altri paesi occupati; non definì un
chiaro ordine di priorità degli obiettivi della politica estera sovietica; sottovalutò le capacità d’iniziativa politica
degli USA.
Ai comunisti tedeschi vennero imputati difetti simili a quelli dei loro compagni dell’Europa orientale: settarismo,
burocratismo, eccessiva concentrazione del potere ai vertici. La presenza delle autorità d’occupazione sovietiche
rendeva più marginale il loro ruolo. Stalin concesse ai comunisti tedeschi solo due brevi incontri. Il primo servì
per ammonirli a seguire un corso moderato; il secondo per comunicare le procedure di fusione con i
socialdemocratici nella SED (partito socialista unificato di Germania). Il parere di Stalin non poteva essere
contestato. La svolta giunse quando le autorità d’occupazione americane annunciarono che nella loro zona si
sarebbero tenute elezioni locali. Le autorità di occupazione sovietiche cominciarono a prendere in considerazione
la prospettiva dell’unificazione. L’unificazione/nascita della SED procedeva bene solo nella zona sovietica.
Tornare indietro non si poteva, anche perché Stalin aveva dato il suo consenso all’operazione, cosi si tenne a
Berlino il congresso di unificazione la formazione della SED si era risolta nel primo decisivo atto di divisione
della Germania. Il futuro sarebbe stato deciso dalla disponibilità di Mosca ad attenuare le clausole di una pace
cartaginese. Al momento della resa tedesca, si trovavano nelle mani dei sovietici 3.121.000 prigionieri di guerra.
Inoltre erano state smontate e inviate nell’URSS 741 grandi fabbriche tedesche, ed era iniziata l’esazione delle
riparazioni dalla produzione corrente. L’occupazione aveva portato con sé un’enorme scia di violenze, furti e
vessazioni ai danni della popolazione. Era stato conferito ai plenipotenziari sovietici al fronte il diritto di arrestare
gli individui sospetti e di trasferire in URSS gli uomini abili al lavoro. Queste misure incisero negativamente sulla
popolarità dell’URSS e della coalizione di partiti antifascisti della zona sovietica. Le informazioni provenienti
dalla Germania segnalarono a Mosca l’esistenza di questo pericolo, ma in modo vago e sporadico. Anche il
maresciallo Zukov si rivolse a Molotov per confermare che episodi di violenza ai danni della popolazione si erano
verificati. La minimizzazione di Zukov incoraggiò il proseguimento delle violenze e dei furti. La difesa delle
nuove frontiere introdusse nella politica di occupazione sovietica in Germania un elemento di rigidità che impose
un pesante prezzo in termini di consenso. L’unica novità riguardò la sfera politica. Nei primi mesi del dopoguerra,
uno dei motivi di polemica era stato la distinzione fra nazisti attivi e passivi, giudicata come un tentativo di non
riconoscere le colpe del popolo tedesco. Quella stessa distinzione entrò nel lessico politico dei leader dei
comunisti tedeschi e delle autorità di occupazione. Sino al 1946 il motivo di maggiore preoccupazione per la
diplomazia sovietica erano state le pressioni americane per giungere a un accordo di smilitarizzazione della
Germania. Rifiutare l’accordo era pericoloso perché l’URSS rischiava di legittimare i piani di riarmo della
Germania. Accettare di aprire le trattative comportava dei rischi. Il reale obiettivo degli USA era di porre fine
all’occupazione sovietica della Germania. Il resto sarebbe venuto di conseguenza: le decisioni delle conferenze di
Jalta e Potsdam sarebbero state annullate; le riparazioni sarebbero cessate; sarebbero stati eliminati gli strumenti
del controllo sovietico e si sarebbe materializzato lo spettro di una rinascita del militarismo tedesco. La firma del
trattato di pace era subordinata alla formazione di uno stato tedesco unificato, e il prolungamento
dell’occupazione giustificato con la necessità di terminare il disarmo economico e militare della Germania, di
formare un regime democratico, di assicurare le riparazioni. La rinascita dell’economia e la riammissione della
Germania al commercio internazionale dovevano avvenire in questo contesto di tutela esterna. Il trattato di pace:
l’URSS lo avrebbe firmato solo dopo la formazione di un governo tedesco sufficientemente democratico per
sradicare il fascismo dalla Germania, e sufficientemente responsabile da assicurare il rispetto degli obblighi nei
confronti degli alleati.
In Germania furono gli americani a tenere le prime elezioni locali nella loro zona di occupazione. L’insuccesso dei
comunisti fu imputato al loro settarismo, che li aveva indotti a concentrarsi sull’attività interna e a disinteressarsi
della campagna elettorale. Emerge un altro motivo di malcontento dell’opinione pubblica tedesca, determinato
dalla rigidità della posizione sovietica sulle frontiere dell’oltre Oder.
Furono gli alleati a formulare con il Piano Bevin il primo progetto di riforma istituzionale della Germania
postbellica, che prevedeva la formazione di una struttura federale. Fu il comandante della zona d’occupazione
americana a proclamare la fine dello smantellamento delle fabbriche tedesche e delle riparazioni, e a lanciare una
campagna per la riunificazione economica del paese. Furono gli americani a formulare il primo piano finanziario
per l’eliminazione del marco d’occupazione, e ad avviare il processo di unificazione economica delle tre zone
d’occupazione occidentali. Semenov interpretò queste mosse come il segnale dell’esistenza di un piano americano
di fusione delle zone politico ed economico. In risposta la politica di occupazione sovietica restò inalterata. Le
riparazioni continuarono a essere un pesante fardello al livello di vita tedesco. Altri motivi di malcontento erano
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
originati dall’inefficienza delle società miste sovietico-tedesche, dal trasferimento forzato di alcune migliaia di
scienziati e specialisti tedeschi a Mosca, dal mancato rientro dei prigionieri.
Scelta di continuare una politica attendista. Motivi: limitata fiducia dei sovietici nei confronti dei dirigenti della
SED; sottovalutazione delle posizioni di forza raggiunte dagli angloamericani. I sovietici nutrivano limitate
speranze sulla possibilità che essi potessero divenire i protagonisti della formazione di una Germania unita e
democratica. I sovietici avevano dato il via alla pubblicazione del progetto di Costituzione tedesca preparato dalla
SED. Stalin aveva avviato nel 1946 una politica di compromesso, al fine di scambiare concessioni sulle
riparazioni con maggiore libertà nella SZO. Stalin durante l’incontro con la SED comunicò loro una visione
rassicurante nel lungo periodo: “gli alleati vogliono una Germania debole non vogliono concorrenti nel mercato
mondiale”. Per convincere Ulbricht Stalin aggiunse di essere giunto all’opinione che UK e USA temono lo
sviluppo della Germania perché ritengono che sarebbe un pericoloso concorrente. Per questo, invece di una
Germania unita, volevano il federalismo che significava debolezza. Le sue affermazioni non tenevano conto delle
novità emerse nell’economia internazionale dopo la guerra, né dell’emergere di un forte antisovietismo
nell’opinione pubblica europea. Stalin non riconobbe mai che i suoi progetti erano irrealizzabili. Non era disposto
a riconoscere una sconfitta. La sua ostinazione aveva anche motivazioni geopolitiche: gli USA detenevano ancora
il monopolio atomico e la rinuncia al controllo di una Germania unita avrebbe accentuato la vulnerabilità
dell’Europa orientale e dell’URSS. I risultati delle iniziative per creare istituzioni unitarie sotto l’egida dell’URSS
continuarono a essere deludenti. Il tentativo di formare in tutta fretta un organo rappresentativo finì in un
insuccesso. Per contro, l’invito rivolto dal primo ministro bavarese ai suoi omologhi della zona sovietica, perché
partecipassero a una conferenza dove si sarebbe dovuto discutere dei problemi economici e politici di una futura
Germania unita, suscitò una tempesta politica. Molotov pose il veto. La vicenda rivela la convinzione che
l’iniziativa per l’unificazione potesse giungere solo da Occidente. La zona sovietica d’occupazione attraversava
un difficile momento economico e la SVAG comunicò a Mosca che speculando sulle difficoltà economiche, gli
angloamericani avevano lanciato una grande campagna per presentare l’URSS come una potenza pronta a dividere
la Germania, e poco interessata alla ripresa dell’economia. La campagna ebbe successo in quanto fra i membri
della SED era diffusa la speranza di un prestito americano per rimettere in sesto l’economia. Prevalse anche la
convinzione che la divisione della Germania fosse cosa fatta. La Germania occidentale era stata inclusa nel Piano
Marshall; con la firma del patto di Bruxelles fra Francia, UK, e Benelux era nata la prima organizzazione europea
di difesa. Stalin rilanciò la sua idea: una discussione generale della nuova Costituzione avrebbe creato la base
psicologica per realizzare l’unificazione della Germania. I sovietici avevano guardato da sempre alla presenza
degli alleati nella capitale tedesca con insofferenza. Se le richieste sovietiche sul controllo della Ruhr e sulle
riparazioni non fossero state accettate, allora sarebbe stato necessario porre il problema della soppressione delle
zone della Grande Berlino. Furono gli americani a prendere le iniziative decisive. L’annuncio della fine
dell’esazione delle riparazioni dalla Germania creò ai sovietici difficoltà anche tecniche: il nuovo marco della
zona sovietica non avrebbe avuto circolazione nelle zone occidentali di Berlino, e questo avrebbe accentuato la
divisione della città. La situazione precipitò quando alla Conferenza di Londra i rappresentanti di USA, UK,
Francia e Benelux decisero l’inclusione nel Piano Marshall delle tre zone occidentali della Germania, la
formazione di un organo di controllo della Ruhr, dal quale l’URSS sarebbe stata esclusa, il consolidamento delle
strutture federali. La Germania era ormai divisa in due. La reazione sovietica fu immediata. I rapporti
mescolarono ottimismo a più allarmate notizie sui preparativi degli angloamericani per un confronto armato. La
Germania occidentale cominciò a essere definita “stato militarista reazionario”. L’annuncio della riforma
monetaria nella trizona fu la goccia che fece traboccare il vaso, si annunciò una simile riforma anche nella zona
sovietica. Il blocco delle comunicazioni terrestri da e per Berlino Ovest divenne totale, Stalin non era disposto a
giungere a un confronto armato, né riteneva che lo fossero gli angloamericani, sottovalutò però la fermezza e le
potenzialità tecnologiche dei suoi avversari, La condizione per la fine del blocco era l’impegno degli alleati a non
mettere in circolazione il “marco B” a Berlino Ovest, e la sospensione delle decisioni della Conferenza di Londra.
Il ponte aereo americano verso Berlino funzionò, e il blocco fu tolto nel 1949 in cambio di un generico impegno a
convocare una nuova sessione della CME.
4.3 BELGRADO
La smobilitazione dell’Armata Rossa privò la politica sovietica di un altro strumento d’intervento. Gli insuccessi
della propaganda sovietica avevano fatto squillare un campanello di allarme: in un mondo in rapido mutamento,
un’ideologia statica rischiava di approfondire nell’Europa orientale la frattura fra i vertici istituzionali e il resto
della popolazione. Vi è una tendenza della burocrazia sovietica a cercare lo scontro al sorgere delle prime
difficoltà che ha avuto la meglio sulla prudenza diplomatica. I successivi trattati conclusi fra i “ piccoli paesi” e
l’URSS l’aiuto reciproco era previsto in caso di “aggressione”, anche in assenza di guerra dichiarata, da parte
della Germania e di paesi ad essa unitisi. C’è anche una clausola sull’obbligo di consultazione su tutte le questioni
internazionali riguardanti gli Stati firmatari che sanciva di fatto l’illimitato diritto di ingerenza sovietico. Sino al
conflitto del 1948 le relazioni fra il Cremlino e i comunisti jugoslavi furono improntate alla stretta collaborazione
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
e cooperazione. Per i sovietici gli jugoslavi erano un alleato prezioso nei Balcani, area per la quale Stalin non
aveva pronto alcun grande disegno. Per i comunisti jugoslavi l’URSS era un protettore senza il quale sarebbe stato
impensabile realizzare le ambizioni di egemonia sulla regione. I dirigenti sovietici seguirono le trattative avviate
dai comunisti bulgari e jugoslavi per la formazione di una federazione fra i due paesi, intravedendo uno strumento
per affermare la propria egemonia, in forma indiretta, sui Balcani. Ma l’obiettivo della federazione nella regione
non era prioritario per Stalin. Stalin consigliò a Hebrang, capo della delegazione jugoslava giunta a Mosca, di
ripiegare su un trattato di amicizia e cooperazione con la Bulgaria. Nel 1946 Stalin, allarmato dalle notizie
ricevute sul trattato di amicizia jugoslavo-albanese, inviò a Tito due segnali indiretti ma chiari della sua volontà di
rimandare qualsiasi piano di federazione. L'errato comportamento di Stalin trova una spiegazione nella sua
volontà di concedersi una pausa di riflessione prima di prendere una decisione sui due problemi principali posti
dalla visita di Tito a Mosca: la formazione di società miste sovietico-jugoslave nel settore dell’industria militare, e
la federazione fra Jugoslavia e Bulgaria. I rapporti provenienti dall’Albania segnalarono la volontà dei comunisti
albanesi di stabilire più stretti legami con l’URSS e la loro crescente insofferenza per gli jugoslavi. Il timore delle
possibili conseguenze internazionali di un intervento diretto in Albania indusse i dirigenti sovietici a seguire con
distacco i crescenti contrasti fra comunisti jugoslavi e albanesi. I sovietici esitavano a impegnarsi nell’area, ma
non volevano nemmeno che altri paesi colmassero questo vuoto d’iniziativa. Ciò spiega la loro reazione
all’annuncio dato dai governi di Jugoslavia e Bulgaria della loro intenzione di stipulare un trattato di amicizia e
cooperazione economica. Obiettivo del trattato era rispondere al Piano Marshall. Stalin, colto di sorpresa, reagì
con un telegramma di condanna di un atto a suo giudizio prematuro perché ciò avrebbe indotto gli occidentali a
rafforzare la loro presenza in Grecia e Turchia. Stalin non aveva digerito le dichiarazioni di Tito e Dimitrov
sull’inizio di una nuova era dei rapporti fra i due paesi. Richiamati all’ordine, i due si allinearono prontamente. Il
contrasto segnò l’inizio di una fase nuova nei rapporti fra l’URSS e la Jugoslavia. Sino ad allora, i momenti di
tensione erano stati causati dalle ambizioni territoriali degli jugoslavi, ritenute da Mosca eccessive. Il malcontento
fu manifestato da Tito: la Jugoslavia non voleva essere pedina di scambio nel gioco delle grandi potenze e non
voleva essere coinvolta nella politica delle sfere di interesse. I sovietici interpretarono la dichiarazione come un
addebito nei loro confronti; chiesero e ottennero un’immediata autocritica. Gli jugoslavi invece si rassegnarono a
far cadere le loro pretese territoriali, cercarono di esercitare pressioni sui sovietici, ma solo per canali interni:
politici e diplomatici. Tito non pose il problema dell’invadenza e della scarsa efficienza dei consiglieri sovietici
che operavano in Jugoslavia. Le difficoltà incontrate dall’alleanza fra URSS e Jugoslavia derivavano dall’assenza
di una chiara divisione del lavoro, oltre che dalla scelta dei sovietici di non assumere gli oneri economici che il
ruolo guida del campo socialista comportava. I rifiuto che gli jugoslavi opposero al Piano Marshall giunse
benvenuto a Mosca. La Conferenza del Cominform rafforzò ulteriormente lo status di alleato numero uno goduto
dagli jugoslavi. I dirigenti jugoslavi avevano manifestato una tendenza a sopravvalutare i propri successi e a porre
il partito comunista jugoslavo nella condizione di partito “dirigente” nei Balcani. Dopo la fondazione del
Cominform, una volta che la politica sovietica si orientò verso la formazione del blocco, a essere posta in
discussione fu non la pretesa di seguire una via nazionale al socialismo ma la loro ambizione a conservare un
margine d’iniziativa autonoma nei Balcani, anche se esercitato in nome degli interessi del campo socialista. Nel
1947 Rakosi affermò che la Jugoslavia era in Ungheria più popolare dell’URSS. Grandi folle accolsero Tito e le
delegazioni jugoslave nel corso dei viaggi in Romania, Bulgaria e Ungheria. Le visite di Tito avevano fatto della
Jugoslavia la valvola di sfogo della protesta dei paesi dell’Europa orientale contro l’egemonismo di Mosca. Non è
possibile un'unica spiegazione della successiva rottura. Non ebbero un ruolo decisivo l’invio di una divisione
jugoslava in Albania e le dichiarazioni rilasciate da Dimitrov sulla possibile formazione di una federazione dei
paesi dell’Europa orientale. Le due iniziative, intraprese senza il consenso del Cremlino, con l’intento di colmare
un vuoto d’iniziativa della politica estera sovietica nell’area, furono seguite dalla convocazione di bulgari e
jugoslavi a Mosca. La riunione segna il momento di svolta nei rapporti fra Mosca e Belgrado. Molotov contestò
gli errori commessi da jugoslavi e bulgari e quest’ultimi accettarono le critiche limitandosi a obiezioni secondarie.
La critica riguardava il metodo più che i contenuti delle iniziative. Secondo i sovietici jugoslavi e bulgari
continuavano ad agire senza consultare Mosca, ristabilite le gerarchie, Stalin evocò scenari catastrofici per
giustificare la dura repressione. Riguardo la rottura: il tenore dei colloqui con la delegazione jugoslava era stato
tale da alimentare nei sovietici l’illusione che anche la Jugoslavia potesse essere ridotta allo stato di satellite
limitandosi a esercitare pressioni personali. Quando era divenuto chiaro che così non era, all’URSS non era
rimasta che la strada dell’innalzamento del livello di scontro. Era la stessa logica imperiale a spingere l’URSS a
tentare di soffocare ogni accenno di resistenza opposta dalle colonie. I capi di accusa erano molti, punto
principale: gli jugoslavi ignoravano il ruolo dell’URSS come forza decisiva del campo della democrazia e del
socialismo e sopravvalutavano i propri successi, mostrando una chiusura e una ottusità nazionalistica. L’atto di
accusa principale era rivolto a Tito che dirigeva il paese in pratica da solo e contro l’esistenza semilegale del
partito comunista, che non aveva un programma e un’organizzazione distinti da quella del fronte popolare. Stalin
inviò il testo della lettera d’accusa agli altri partiti del Cominform fu un atto inutile. L’intento di Mosca era quello
di creare un caso spettacolo che consentisse la condanna di una presunta eresia e servisse da monito per gli altri
paesi dell’Europa orientale. Ci furono altri dossier sui partiti comunisti, Mosca doveva essere considerata il centro
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
del mondo. Nel dossier al fine di dimostrare che chi non condivideva le scelte politiche del Cremlino era un
nemico. L’obiettivo politico del dossier era di mettere a disposizione del gruppo dirigente staliniano il kompromat,
materiale compromissorio da utilizzare nei confronti dei partiti comunisti nazionali nel caso non si fossero
accodati all’attacco contro gli jugoslavi. Non vi fu bisogno perché gli ungheresi e gli altri partiti comunisti
condannarono gli jugoslavi. La campagna scatenata contro Tito elevò la statura politica del leader jugoslavo sino a
farlo diventare un antagonista di Stalin. La rivolta della Jugoslavia costrinse Stalin a ristabilire l’autorità del loro
paese attraverso l’introduzione del modello sovietico anche nelle economie e nelle società dei paesi dell’Europa
orientale.
EPILOGO – LA STRADA PER BERLINO (1989)
Al pari del suo predecessore zarista, per sopravvivere il regime sovietico aveva imboccato il cammino che
l’avrebbe portato a reprimere le rivolte all’interno dell’impero.
1. PROVE DIMODELLO: I NUOVI GRUPPI DIRIGENTI
La rottura con la Jugoslavia di Tito aveva accresciuto la diffidenza nei confronti dei dirigenti comunisti non
“moscoviti”. Fu scelta la strada dell’emarginazione attraverso purghe degli dirigenti e degli membri dei partiti
socialisti, e fu evitato di organizzare processi spettacolo nei loro confronti. Solo nei confronti delle élite militari fu
usato il pugno di ferro. Il tipo di dirigente creato dal Komintern era abituato a un lavoro non sistematico,
concentrato sulla propaganda più che sui problemi istituzionali ed economici, abituato ad agire all’interno di un
quadro di rigida subordinazione gerarchica che lo esentava dal prendere decisioni importanti. Vi era inoltre la
tendenza a risolvere i problemi complessi ricorrendo a misure repressive. Il giudizio negativo espresso dal
Cremlino sull’espansione dei partiti comunisti dell’Europa orientale, che li aveva trasformati in organizzazioni di
massa. In questo periodo la politica poneva dei filtri fra il partito comunista e la società circostante. Il risultato fu
l’imposizione di purghe dei partiti comunisti che impedirono l’emergere di nuovi quadri in grado di assumere
funzioni dirigenti al momento della morte di Stalin e dell’inaugurazione del “nuovo corso” economico di Europa
orientale. Le modalità seguite furono quelle di attacchi a centri di potere e personalità che si opponevano alla
volontà di Mosca, e di processi spettacolo al nemico.
Stalin stava applicando una tattica per tenere sotto controllo il gruppo dirigente sovietico: la disgrazia di un
membro del suo entourage doveva essere seguita da un attacco commisurato ai suoi avversari, perché non
consolidassero in modo eccessivo il loro potere.
I sovietici di tracciarono una nuova immagine del nemico: non più dirigenti comunisti isolati e poco conosciuti,
ma una rete spionistica ramificata, dalle dimensioni estendibili a piacere, manovrata dai paesi occidentali. Nuovo
bersaglio divenne il tipo di dirigente cosmopolita. Purghe e processi avevano accresciuto il potere degli apparati
della sicurezza, che l’avevano usato per colpire i presunti nemici e per proteggere i propri uomini e le istituzioni
che guidavano in modo che queste potessero continuare a funzionare. La procedura adottata nel corso del “grande
terrore” con i dirigenti di un certo rilievo: destituzione, trasferimento a incarico secondario, campagna di
denigrazione, infine arresto. In Polonia. Dopo la caduta di Gomulka, l’attacco verso i nemici interni si spostò dai
nazionalisti ai cosmopoliti. Berman, membro della segreteria del PZPR, ne divenne uno dei principali bersagli.
Stalin non aveva le energie sufficienti per condurre in porto un’operazione complessa come il ricambio di buona
parte gruppo dirigente polacco. Dopo la destituzione ed esecuzione di Berija, emersero antiche diffidenze nei
confronti della Polonia. Nei rapporti inviati a Mosca Berman era descritto come il numero due del partito,
responsabile di enormi errori e insuccessi; Minc era giudicato responsabile degli insuccessi economici. In Polonia
c’erano vari problemi: la caduta del livello di vita della popolazione, il mancato conseguimento
dell’autosufficienza alimentare, il basso livello di collettivizzazione, gli scarsi investimenti. Giunsero da Mosca
consigli politici, il dopo-Stalin iniziava nel segno di continuità.
La Germania Est giunta a Mosca nel ’53 e quella ungherese. Ai dirigenti dei due paesi era stato ingiunto di
orientare la politica economica verso una maggiore attenzione al benessere della popolazione, di frenare le
repressioni, di dividere le cariche. I dirigenti del Cremlino volevano ai vertici dei paesi socialisti leader ligi alle
loro direttive e allo stesso tempo popolari, rispettosi dei canoni del modello sovietico, ma non capaci di
trasformarsi in “piccoli Stalin”, dotati di un potere e di una legittimità autonomi rispetto a Mosca. Quando questo
non accadeva, scattavano gli attacchi personali.
Il timore che i leader dell’Europa orientale potessero sfruttare il potere che era stato consegnato nelle loro mani
per rendersi indipendenti da Mosca era più forte del senso di affinità ideologica e dalla comune biografia politica.
La crisi del ’53 aveva mostrato che la strada della repressione non era praticabile senza rischi. Solo una rapida
espansione economica avrebbe consentito di uscire da questo labirinto.
2. PROVE DI MODELLO: LE NUOVE SOCIETA’
Dopo il ’48 i paesi dell’Europa orientale compirono il cammino inverso della Jugoslavia e furono mobilitati
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
per introdurre il modello sovietico di organizzazione economica e sociale. Furono approvate nuove Costituzioni
ispirate da quella staliniana. Limitazioni furono imposte all’attività di stampa e d’informazione. Gli organi
esecutivi cominciarono a governare per decreti, gli apparati della sicurezza si espansero e rafforzarono divenendo
uno stato nello stato, e vi fu la crescita esponenziale delle attività repressive contro vari settori della società. Una
valvola di sfogo all’opposizione fu offerta nella Germania Est dalla possibilità di fuga in Occidente. Fra il ’51 e il
’53 circa 500.000 persone. La repressione colpì settori della società che nel gergo marxista-leninista erano definiti
come estranei da un punto di vista di classe. Fu imboccata la strada della nazionalizzazione dell’industria, della
pianificazione economica e della collettivizzazione dell’agricoltura. Sino alla morte di Stalin le economie
dell’Europa orientale furono subordinate alle esigenze della militarizzazione. Allo sviluppo dell’industria pesante
furono sacrificati l’industria dei beni di consumo, i servizi, l’agricoltura, la cui produzione rimase stagnante. La
riproduzione del proprio inefficiente modello di sviluppo in ogni singolo paese era una scelta, che può trovare
spiegazione nella convinzione di Stalin di poter applicare a ogni situazione tecnologie del potere e politiche
economiche che avevano avuto successo in Unione Sovietica.
3.PROVE DI MODELLO: L’IMPERO ISOLAZIONISTA
Le vicende internazionali del ’49, dal punto di vista sovietico i risultati complessivi di questi processi furono
confortanti. In pochi anni l’URSS era riuscita a recuperare il divario con gli USA in campo militare ed espandere
il campo socialista grazie alla vittoria dei comunisti cinesi. In Europa orientale, l’azione di imposizione del
modello sovietico continuò senza incontrare interferenze da parte dei paesi occidentali. Sul piano interno vennero
destituiti Molotov, ministro degli esteri, e Mikojan, ministro del commercio estero. Stalin aveva bisogno di capri
espiatori per il fiasco del blocco di Berlino e per le mancate aspettative sull’afflusso di crediti internazionali.
Inoltre Stalin destituì altri personaggi per allontanare dalle posizioni di potere suoi potenziali successori. Sul piano
internazionale il ’49 si concluse con la concessione di un sostegno ai comunisti cinesi da parte di Stalin, preludio
alla successiva decisione di dare il via libera ai piani di invasione della Corea del Sud. Gli americani erano restii a
ulteriori impegni militari. Era razionale quindi attaccare subito, prima che l’esercito della Corea del Sud si
riorganizzasse e i giapponesi subentrassero agli statunitensi. Il mondo bipolare che si andava delineando era
contraddistinto in Europa da una impermeabilità dei due sistemi: una condizione che si adattava ai dirigenti
sovietici che non si mostrarono capaci di espandere il blocco socialista al di là della cortina di ferro.
Riunione a Mosca del ’51: partecipazione del Politurbo e dei rappresentanti dei paesi dell’Europa orientale. Qui
c’è l'atto di fondazione di quello che nel ’55 sarebbe divenuto il Patto di Varsavia, un piano che prevedeva un
drastico incremento degli eserciti e delle spese militari, l’obiettivo dichiarato del piano era di natura difensiva
raggiungere la parità militare con la NATO in Europa entro il ’53.
La capacità di lavoro di Stalin in questi anni si era notevolmente ridotta. In Germania e poi in Corea aveva
commesso errori sottovalutando la determinazione degli USA e la loro capacità di reagire. Stalin aveva bisogno di
iniziative clamorose che rilanciassero il suo carisma. La riconversione delle economie dei paesi socialisti ai
bisogni dell’industria militare rispondeva a questa esigenza. I costi economici del confronto con gli USA e della
difesa dei confini occidentali dell’impero non potevano continuare a gravare sulla sola Unione Sovietica. I gruppi
dirigenti dell’area non potevano continuare a occuparsi di sole questioni interne; dovevano cercare tenesse conto
anche dei grandi problemi di politica internazionale. Stalin non era capace di cogliere la complessa realtà dell’era
atomica. Nota del 10 maggio ’51: Stalin non pensava di riaprire le trattative sulla Germania con una semplice
revisione dei testi, Stalin aveva piani più ambiziosi per la Germania. Quello che si fece subordinava la
riunificazione al mantenimento delle conquiste democratiche della Germania Est, considerava ancora aperte le
questioni delle riparazioni e della restituzione dei profughi antisovietici e non definiva un calendario del ritiro
delle truppe di occupazione.
Nell’ultimo periodo di vita di Stalin era sempre più alieno dall’introdurre nuove idee nella sua visione del
mondo. Nell’interpretazione di Stalin un ruolo centrale nell’evoluzione del quadro delle relazioni internazionali
avrebbero continuato a svolgere le contraddizioni fra paesi capitalistici restringendo i mercati in conseguenza
dell’avanzata del socialismo. Fra le due guerre, USA e UK avevano aiutato la Germania a risorgere, con il fine di
usarla contro l’URSS, e invece il conflitto era scoppiato fra paesi capitalistici. La Germania Est era per l’URSS un
alleato scomodo, in cui dirigenti avevano creato un impopolare regime di polizia e non frenavano le fughe dei
cittadini nell’altra Germania. Riportare sotto controllo la Germania Est era possibile solo omologandola agli altri
paesi dell’area. Alla fine Stalin si era dovuto rassegnare: i nazionalisti tedeschi non potevano essere usati contro
gli USA. Al II congresso della SED del ’52 fu approvato un programma di rapida costruzione del socialismo. La
formazione di uno stato socialista in Germania si rivelò l’ennesima vittoria di Pirro della politica estera sovietica.
I tanti nodi irrisolti della politica interna ed estera sovietica vennero al pettine dopo la morte di Stalin. Fu
Berija a dare l’impronta al nuovo corso. Il nuovo corso della politica sovietica sollecitò descrizioni più realistiche
sulla situazione dell’impero esterno. Berija le utilizzò per imporre, in modo brutale, un cambio di linea politica ai
dirigenti della Germania Est e dell’Ungheria. La scelta di imporre il mutamento dall’alto si rivelò perdente.
L’errore fu di presupporre che le misure che avevano consentito di intervenire in URSS avrebbero potuto essere
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])
applicate con altrettanto successo in Europa orientale. La reazione all’allentamento della repressione, fu una
protesta violenta ed estesa. La velocità con la quale fu ristabilito l’ordine, mostrò che l’azione repressiva contro i
responsabili della rivolta poteva essere condotta senza timori di intervento da parte dell’Occidente. La caduta del
livello di vita della popolazione era reale. Crusciov accusò Berija di aver voluto rinunciare alla costruzione del
socialismo nella RDT e di aver inaugurato una politica di concessioni all’occidente. Il problema di conferire un
minimo di legittimità ed efficienza ai regimi dell’Europa orientale era invece reale e lo stesso Crusciov fu
costretto ad affrontare, dopo la repressione della rivoluzione ungherese, delle stesse accuse delle quali era stato
fatto segno il suo predecessore. Berija fu un grande organizzatore, ma i grandi problemi politici non lo
interessavano, e questo condannò all’insuccesso i suoi tentativi di riforma, i tentativi di cambiare i rapporti fra
Mosca e i paesi satelliti. Vi provò Crusciov, che seguì una strategia, consolidò il proprio potere, assunse il
controllo degli apparati della forza, rafforzò la presenza sovietica in Europa orientale, e iniziò la fase riformatrice,
con la denuncia dei crimini di Stalin. Cadde in molti degli errori che tre anni prima aveva imputato a Berija.
Ignorò gli effetti che la destalinizzazione avrebbe avuto sul resto dei paesi socialisti. Una volta che questi si
manifestarono, si illuse di poterli contenere promuovendo ai vertici dirigenti stalinisti meno compromessi.
Passarono 30 anni prima che Gorbaciov imboccasse la strada presto abbandonata nel secondo dopoguerra,
esortando i dirigenti dell’Europa orientale a seguire “la loro via”. La decisione di Gorbaciov, riformista, fu ispirata
dalle lezioni negative del passato: dai limiti del riformismo improvvisato, non sorretto da principi, di Crusciov e
dell’inutilità dell’invasione sovietica in Cecoslovacchia del 1968. Gorbaciov si preoccupò di superare le possibili
resistenze al cambiamento e non si chiese che cosa sarebbe accaduto se l’Europa orientale avesse attuato le
riforme economiche e istituzionali con maggiore velocità e profondità dell’URSS. I risultati: l’effetto si estese a
tutta l’URSS, portando alla dissoluzione dell’impero interno.
Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunto-libro-stalin-e-l-europa-la-formazione-dell-impero-esterno-sovietico-di-fabio-bettanin-carocci-editore-roma-2006/603083/
Downloaded by: nicole-manca-2 (
[email protected])