Distanze Nelle Costruzioni
Distanze Nelle Costruzioni
Magistrato
II Edizione
Aggiornata al 1° giugno 2020
Bolzano 2020
Edoardo Mori
Magistrato
II Edizione
Aggiornata al 1° giugno 2020
Bolzano 2020
Nota
Ho riportato solo la giurisprudenza della Cassazione.
Le massime sono ordinate per data,
in ordine discendente
(le più recenti sono all'inizio).
Il mio commento è in corsivo.
Indice generale
Pag.
I - Nozioni generali 7
3
890 Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi 140
891 Distanze per canali e fossi 144
892 Distanze per gli alberi 148
893 Alberi presso strade, canali e sul confine di boschi 158
894 Alberi a distanza non legale 160
895 Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale 160
896 Recisione di rami protesi e di radici 165
896b Distanze minime per gli apiari 169
897 Comunione di fossi 170
898 Comunione di siepi 175
899 Comunione di alberi 177
Sezione VII
Delle luci e delle vedute
900 Specie di finestre 180
901 Luci 190
902 Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci 197
903 Luci nel muro proprio o nel muro comune 201
904 Diritto di chiudere le luci 201
905 Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi 206
906 Distanza per l'apertura di vedute laterali od oblique 223
907 Distanza delle costruzioni dalle vedute 227
Sezione VIII
Dello stillicidio
908 Scarico delle acque piovane 238
Appendice normativa
I - L. 17 agosto 1942 n. 1150 - Legge urbanistica - Art. 45- 241
quinquies
II .- L. 6 agosto 1967, n. 765 - Modifiche ed integrazioni alla 241
legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, art. 17.
III - D. M. 2 aprile 1968, n. 1444. 243
IV - DPR 6 giugno 2001, n. 380 - Testo unico delle dispo- 249
sizioni legislative e regolamentari in materia edilizia-
Artt. 2-bis e 3.
V - Corte Costituzionale 10 maggio 2012, n. 114. 252
VI - Decreto Legislativo 4 luglio 2014, n. 102, con cui è 254
stata recepita la direttiva 2012/27/UE.
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VII - D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (cosiddetta “Manovrina”). 255
VIII - D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (Sblocca-cantieri). 255
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DISTANZE PER COSTRUZIONI, ALBERI, VEDUTE
I - Presentazione
Le distanze fra le costruzioni sono regolate dalla legge per vari motivi:
perché ogni proprietario possa godere del suo immobile con il minor sa-
crificio per il vicino o, se necessario, con pari sacrificio, per evitare che si
creino situazioni insalubri o fonti di discordia, ecc.
La legge quindi prevede che chi edifica deve rispettare i piani regola-
tori e i regolamenti comunali (artt. 869-871 C.C.) e che non è consentito
violare le norme sulle distanze contenute negli artt. 873-899 C.C. e le
norme dei regolamenti che questi articoli richiamano. In caso di viola-
zione chi la ha subita può richiedere la rimessione in pristino (art. 872
C.C.), vale a dire che la costruzione che viola le distanze sia rimossa fino
alla distanza di legge.
Se sono violate norme amministrative diverse da quelle richiamate, chi
ha subito la violazione può chiedere solo il risarcimento del danno.
La giurisprudenza del passato, troppo vincolata a vecchi dogmatismi
ignoti alla lettera della legge, ha sovente affermato che le norme sulle di-
stanze nelle costruzioni hanno per scopo principale quello di evitare la
formazione di intercapedini antigieniche, così che non sarebbero norme
integrative del codice civile quelle norme di regolamenti comunali aventi
diversa funzione (estetica, urbanistica, ecc.). È giunta persino a sostenere,
di recente, che la distanza di 10 metri è rivolta ad evitare intercapedini!
Ora ci si è resi conto che la distanza fra gli edifici risponde ad esigenze
multiple, tutte di egual importanza anche sul piano costituzionale
(igiene, sicurezza da accessi, sicurezza da incendi, difesa della privacy; in
una parola difesa della qualità della vita) per cui non ha senso arrampi-
carsi sugli specchi per difendere chi edifica abusivamente. Si consideri,
tra l'altro che l'argomento dell'igiene e salubrità non è certamente invoca-
bile per le distanze degli alberi dal confine!
La regola ormai prevalentemente accettata è quindi che ogni norma
sulle distanze delle costruzioni, siano esse nel codice civile, o in regola-
7
menti comunali, o in leggi speciali (costruzioni sismiche) può essere in-
vocata per la rimessione in pristino.
Le norme stabilite dai regolamenti comunali e da altre leggi speciali
sono inderogabili (così Cass. 19449/2004, dopo assurde diverse afferma-
zioni del passato) e quindi non possono essere derogate per convenzione
fra le parti.
Anche le distanze fissate dagli artt. 873-899 sono inderogabili, ma è
possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la co-
struzione (o pozzo, o albero, ecc.) a distanza inferiore a quella legale. Dice
la S.C. "Anche se il potere di far valere le limitazioni della proprietà nei
rapporti di vicinato e imprescrittibile, nondimeno e ammissibile la costi-
tuzione per usucapione di una servitù il cui contenuto contrasti con una
delle dette limitazioni (nella specie e stata ritenuta ammissibile la costitu-
zione per usucapione del diritto di tenere una costruzione a distanza in-
feriore a quella dalla costruzione del vicino e dal confine prescritta dal
regolamento edilizio). (Cass. 1422/1970)
Si può quindi concludere che, chi vede violare una distanza legale in-
derogabile in suo danno, può sempre agire civilmente per la sua regola-
rizzazione purché non siano trascorsi vent'anni a partire dal momento in
cui la violazione è stata manifesta, e che, se sono state violate altre dispo-
sizioni amministrative, può agire in via amministrativa per l'annulla-
mento di concessioni o licenze e per il risarcimento del danno, fino a che
l'azione non si sia prescritta o vi siano stati una sanatoria o un condono
edilizi.
La giurisprudenza della Cassazione ha talvolta attenuato la normativa
sulle distanze per costruzioni e vedute in ambito condominiale. Si ha l'im-
pressione che spesso abbia ecceduto nel riconoscere il diritto del singolo
ad usare delle parti comuni senza tener conto del diritto prevalente del
singolo a non veder peggiorata la sua situazione. Era un orientamento
sbagliato e pare che la Cassazione stia tornando sui propri passi. In un
condominio la regola è che ciascuno è tenuto a subire quanto meno pos-
sibile limitazioni al proprio diritto di proprietà, limitazioni che derivano
dalla natura delle cose, oppure dalla rete di reciproche servitù create dal
costruttore "per destinazione del buon padre di famiglia". Ogni unità im-
mobiliare ha un valore determinato dal piano, dalla esposizione, dalla vi-
sta, dal fatto di essere o meno o soggetta ad immissioni dall'esterno, di
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essere più o meno comodamente accessibile, e questo valore non può es-
sere limitato per il vantaggio di altre unità immobiliari.
Le norme del codice civile sulle distanze fra le costruzioni e le distanze
per luci, vedute, prospetti, le relative norme sulle servitù prediali, frutto
di una elaborazione millenaria, sono molto chiare, ma richiedono che l'in-
terprete possieda un po'di nozioni di edilizia e comprenda esattamente il
significato dei termini usati e che sappia applicare la norma alla situa-
zione concreta.
L'esposizione della materia deve essere perciò accompagnata da dise-
gni che rendano esplicita la situazione dei luoghi e ciò che il legislatore
ha inteso dire.
Già nell'Ottocento si rinvengono opere del genere come quella di Pic-
coli Luigi, Le servitù prediali ridotte in casi pratici incisi in rame e geometrica-
mente dimostrate. Milano, 1818, oppure quella di Castelli Giuseppe Anto-
nio, Questioni diverse sulle servitù prediali. Milano, Visaj, 1820.
Preziosa opera sull'argomento, più vicina ai nostri tempi, era il testo Le
Servitù Prediali dell'avv. Guido Labriola e dell'ing. Vincenzo Rizzi, pub-
blicato a Bari nel 1948, arrivato alla terza edizione nel 1951, a cui attin-
gerò, specialmente per le immagini, per questa mia esposizione molto
sintetica e pratica della materia. Il testo delle didascalie è stata variato per
sintesi e per adattarlo alla giurisprudenza posteriore. Avverto che la giu-
risprudenza è spesso confusa, forse proprio perché è spesso difficile co-
gliere con le parole (e ancor peggio con la sintesi di una massima) situa-
zioni di fatto non facilmente descrivibili.
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II - L'evoluzione normativa dal 1967 al 2919
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essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire.
Per costruzioni di cui alla legge 30 dicembre 1960 n. 1676, il Ministro per i
lavori pubblici può disporre con proprio decreto, sentito il Comitato di attuazione
del piano di costruzione di abitazioni per i lavoratori agricoli dipendenti, limita-
zioni diverse da quelle previste dal precedente comma.
Le superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi non possono supe-
rare un terzo dell'area di proprietà.
Le limitazioni previste ai commi precedenti si applicano nei Comuni che
hanno adottato il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione fino
ad un anno dalla data di presentazione al Ministero dei lavori pubblici. Qualora
il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione sia restituito al Co-
mune, le limitazioni medesime si applicano fino ad un anno dalla data di nuova
trasmissione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora l'agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di partico-
lare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento o
restauro, senza alterazioni di volumi. Le aree libere sono inedificabili fino all'ap-
provazione del piano regolatore generale.
Nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbrica-
zione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre
metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze
superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze
superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particola-
reggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la di-
sposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
Le disposizioni di cui ai commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto hanno
applicazione dopo un anno dalla entrata in vigore della presente legge. Le licenze
edilizie rilasciate nel medesimo periodo non sono prorogabili e le costruzioni de-
vono essere ultimate entro due anni dalla data di inizio dei lavori.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi
tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o
riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.
I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone ter-
ritoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con
quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di
prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi
11
dall'entrata in vigore della medesima" (cioè dal 1° settembre 1967).
Il previsto D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, ha poi fissato, come dice il suo
titolo, i Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbri-
cati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e pro-
duttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n.
765 (G.U. 16 aprile 1968, n. 97),
Le sue disposizioni si applicano ai nuovi piani regolatori generali e re-
lativi piani particolareggiati e lottizzazioni convenzionate; ai nuovi rego-
lamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottiz-
zazioni convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti.
Esso individua sei zone territoriali omogenee fra cui la zona A che rac-
chiude le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rive-
stano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale, e la
zona B che comprende le parti di territorio già edificate. La zona C ricom-
prende le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che
risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non rag-
giunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B).
12
al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere
alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7
– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
– ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino in-
feriori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggio-
rate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono
ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel
caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate con previsioni plano-volumetriche.
Si noti come per la zona B il D.M. regoli la distanza fra i fabbricati solo
per i nuovi edifici; è implicito che il D.M. non si applica alla ristruttura-
zione di fabbricati già esistenti.
Queste norme sono state spesso considerate uno dei principali pro-
blemi che si frappongono ad una realizzazione diffusa ed agevole degli
interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, mediante
demolizione e ricostruzione. Gli interventi di “sostituzione edilizia” si in-
seriscono generalmente in un contesto urbano consolidato che rende dif-
ficile il rispetto di limiti di distanza o di altezza, soprattutto in presenza
di aumenti di volumetria. Non sempre è accettabile architettonicamente
che per sopraelevare un edificio si debbano arretrare i volumi che supe-
rano la precedente altezza, creando così delle facciate "a scala".
Queste norme presentano anche criticità costituzionali. Il Codice Civile
regola le distanze delle costruzioni dai confini con i terreni altrui ed ha
stabilito che il primo proprietario che costruisce ha facoltà di scegliere se
mantenere la distanza oppure di costruire sul confine, in modo però che
il vicino possa a sua volta fare la stessa cosa, costruendo in aderenza. Il
D.M. del 1968 ha introdotto la regola che si deve anche osservare una
certa distanza tra i fabbricati, ma così ha statuito la regola ingiusta se-
condo cui "chi primo arriva, meglio alloggia"! Vale a dire che fra due con-
finanti quello che costruisce per primo costringe, il vicino ad arretrare la
propria costruzione e, talvolta, può persino creare una situazione di non
edificabilità. La superficie edificabile di un soggetto viene ridotta senza
che egli la possa impedire e senza che si riconosca un risarcimento del
danno.
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Non è una regola accettabile ed essa viola vari principi costituzionali.
La conseguenza è che le norme vanno interpretate in modo da non le-
dere questi principi oltre il livello necessario.
In questo scenario si colloca l’articolo 2-bis del DPR 380/2001 (T.U. edi-
lizia), inserito dalla Legge 98/2013 di conversione del D.L. 69/2013, che
prevede la possibilità per le Regioni di introdurre deroghe agli standard
urbanistici ed edilizi del D.M. 1444/1968:
Art. 2-bis. (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati). 1. Ferma
restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento
al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni
integrative, le regioni possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, dispo-
sizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile
1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli inse-
diamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive,
al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti ur-
banistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche
aree territoriali.
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ispirate da una evidente diffidenza per le autonomie regionali, non pre-
sente della Costituzione (è un po'quello che è avvenuto per le leggi sulla
caccia in cui la C. Cost. ha stabilito che l'intera legge venatoria è legge
quadro inderogabile; anche quando stabilisce i giorni in cui si può cac-
ciare o il tipo di fucili usabili, cosi rendendo la vita dura a chi fa caccia di
selezione ed ha necessità, ad esempio, di usare mezzi di caccia proibiti in
Italia, solo perché in un certo momento hanno prevalso integralisti
verdi!).
La Corte Costituzionale, con sentenza 10 maggio 2012, n. 114, ha stabi-
lito che non sono ammissibili deroghe particolari che si discostino dalle distanze
di cui all'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso ai sensi dell'art. 41-
quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante «Legge urbanistica» (in-
trodotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), avente, per giurispru-
denza consolidata, un'efficacia precettiva e inderogabile.
La sentenza è stata emessa in relazione a normative locali con cui si
stabilivano deroghe particolari in caso di risanamento energetico (in par-
ticolare violazione delle distanze di legge per consentire l'applicazione di
un cappotto termico. Si noti la mancanza di motivazione convincente, là
dove si scrive che il D.M. ha efficacia precettiva (ovvio, altrimenti non sa-
rebbe un decreto!), anche in base giurisprudenza consolidata. Come se giu-
risprudenze consolidate non venissero travolte ogni giorno, quando si
scopre che erano solo il frutto di ideologie estemporanee, e come se non
fosse doveroso abbandonarle, se muta il quadro giuridico. Invece per la
Corte, pare che l'immutabilità del D. M.1444 (o della legge sulla caccia =
legge quadro), sembrano siano diventati dei dogmi.
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l’organismo edilizio);
- i mutamenti di destinazione d’uso debbano essere “conformi a quelli
previsti dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attua-
tivi”.
Si noti che la modifica contiene nuove definizioni degli interventi edi-
lizi realizzabili, ma che le definizioni sono date prevalentemente per de-
finire il regime autorizzatorio (licenza, SCIA, ecc.) e non escludono l'ap-
plicazione delle disposizioni del D.M. 1444/1968.
Quindi, prima del D. L. 18 aprile 2019, n. 32, il DPR 380/2001, con le sue
successive modifiche, conteneva le seguenti disposizioni da prendere in
considerazione:
Art. 3 D.P.R. n. 380/2001 (Definizioni degli interventi edilizi)
1. Ai fini del presente testo unico si intendono per: a) "interventi di manu-
tenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione,
rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad in-
tegrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche neces-
sarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per
realizzare ed integrare i servizi igienicosanitari e tecnologici, sempre che non al-
terino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle
destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria
sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle
unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione
delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico pur-
ché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'o-
riginaria destinazione d'uso;
c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edi-
lizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità me-
diante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento
delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a
quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi.
Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli
elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli
impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei
all'organismo edilizio;
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d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare
gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono por-
tare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali in-
terventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed im-
pianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria
di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento
alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di
essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferi-
mento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostru-
zione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono in-
terventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sa-
goma dell'edificio preesistente:
e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urba-
nistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti.
Sono comunque da considerarsi tali: (omissis).
2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli stru-
menti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.
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per modificare una impostazione dirigistica del "ventennio" ormai inat-
tuale e che costituiva una palla al piede nel gestire una infinità di situa-
zioni storiche, ambientali, naturali, tutte con una loro grande specificità
da tutelare, non certo racchiudili in formulette matematiche studiate a ta-
volino da chi forse era più matematico che urbanista! In particolare ormai
è insostenibile, sic et simpliciter, che il D.M. nel 1968 è norma primaria
perché emanato su delega delle leggi L. 17 agosto 1942 n. 1150 e L. 6 ago-
sto 1867 nr.765: esso è una fonte secondaria che integra le norme del co-
dice civile, ma rimane pur sempre un atto amministrativo che deve essere
automaticamente adeguato a tutte le fonti normative di rango superiore,
statali e regionali, le quali mai possono essere subordinate ad una qual-
siasi fonte di rango inferiore. Esso dalla Cassazione, sebbene la legge non
abbia mai chiarito tale punto, è stato ritenuto norma che integra il Codice
Civile, ma ciò non muta la sua natura di norma secondaria. È la stessa
cosa che avviene in materia penale in cui vi sono norme in bianco in cui,
ad es. viene punito chi spaccia droga e poi si lascia al Ministero della Sa-
nità di fare l'elenco delle sostanze stupefacenti, Il cittadino non può dire
di ignorare che una sostanza compare nell'elenco poiché l'elenco integra
una norma penale e vige il principio che l'ignoranza della legge non
scusa; ma a nessuno è mai venuto in mente di sostenere che il D.M. è una
fonte primaria. Non si comprende perché Cassazione e Corte Costituzio-
nale abbiano seguito un diverso ragionamento per il D.M. sulle distanze.
Il D.M. integra le norme civilistiche sulle costruzioni, ma può essere mo-
dificato in ogni momento dal legislatore e che deve essere sempre inter-
pretato e applicato in modo che sia conforme alle leggi statali e regionali
(ivi compreso il Codice civile che è una legge come le altre).
Queste mie valutazioni hanno trovato conferma nelle ultime novità le-
gislative introdotte dal cosiddetto D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (Sblocca-can-
tieri) convertito con la L. 14 giugno 2019, n. 55, il quale scrive all'art. 5:
Art. 5 - Norme in materia di rigenerazione urbana
1. Al fine di concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suo-
lo e a favorire la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, a incentivare la
razionalizzazione di detto patrimonio edilizio, nonché a promuovere e agevolare
la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee
e tessuti edilizi disorganici o incompiuti, nonché di edifici a destinazione non
residenziale dismessi o in via di dismissione, ovvero da rilocalizzare, tenuto conto
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anche della necessita di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti
rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l'adeguamento sismico del patri-
monio edilizio esistente, anche con interventi di demolizione e ricostruzione (si
stabilisce):
lett. a) (lettera vuota);
lett. b) all'articolo 2-bis del testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380,
dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti commi:
Comma 1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i co-
muni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbri-
cati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
Comma 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, que-
st'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente pree-
sistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del
volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza mas-
sima di quest'ultimo.»;
lett. b-bis) le disposizioni di cui all'articolo 9, commi secondo e terzo, del de-
creto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel
senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti
esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso artico-
lo 9.
19
III - La normativa vigente
Vale a dire che il DPR (legge dello Stato) modifica il D.M. del 1968. È
una stramberia giuridica ed è la prima volta che vedo una legga fatta per
modificare un decreto ministeriale: dovevano solo dire quale era la loro
volontà e il D.M. era automaticamente superato senza problemi di inter-
pretazione. Deve essere quindi ben chiaro che la nuova interpretazione
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è norma di legge prevalente, non norma amministrativa.
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ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Comma 3 - Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risul-
tino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate
fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse di-
stanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edi-
fici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate
con previsioni plano-volumetriche.
La norma riguarda solo le distanze tra i fabbricati e non quelle dai con-
fini; si noti che la presenza di una strada in zona B non comporta aumento
delle distanze da osservare.
Quindi il decreto salva cantieri conferma l'interpretazione che avevo
dato in precedenza circa i casi in cui si può non rispettare la distanza di
dieci metri fra pareti finestrate.
In questo nuovo quadro diventa anche chiaro che ai fini dell'altezza del
fabbricato è cumulabile il bonus inserito nel D.L. e la deroga sulle di-
stanze consentita ai fini del miglioramento dell’efficienza energetica. Si
potrebbe dubitare della cumulabilità se i due benefici fossero dettati dalla
medesima ratio. Invece essi soddisfano a due esigenze diverse; la prima
è rivolta a consentire il miglioramento di spazi abitativi, come può essere
necessario, ad esempio nella ristrutturazione di sottotetti, la seconda è
quella di consentire la coibentazione senza alcuna diminuzione dei vo-
lumi a disposizione e, per le pareti verticali, per "neutralizzare" la coiben-
tazione nei casi, del tutto usuali in cui si vanno a modificare le distanze
rispetto agli edifici vicini con violazione di diritti privati. Sarebbe invero
cosa assurda se il legislatore con una mano concedesse una modesta so-
praelevazione e con l'altra mano la togliesse dicendo che il maggior spa-
zio concesso va utilizzato per la coibentazione.
22
IV - L'intervento della Corte Costituzionale
23
1, lettera d), del t.u. edilizia, con l'art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), cosid-
detto "decreto del fare", convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013,
n. 98, che ha qualificato come "interventi di ristrutturazione edilizia" quelli di
demolizione e ricostruzione «con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte
salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisi-
smica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sot-
toposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137] e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostru-
zione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono in-
terventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sa-
goma dell'edificio preesistente».
Il legislatore statale ha dunque progressivamente allargato l'ambito degli in-
terventi di ristrutturazione, consentendo di derogare all'identità di volumetria
in caso di ricostruzioni volte alla riqualificazione edilizia e imponendo il rispetto
della sagoma solo per immobili vincolati.
5.2.4.- Questa tendenza si è arrestata, nel 2019, con l'art. 5, comma 1, lettera
b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto "sblocca cantieri"), che ha inserito
il comma 1-ter all'art. 2-bis del t.u. edilizia, così imponendo, per la ristruttura-
zione ricostruttiva, il generalizzato limite volumetrico (a prescindere, dunque,
dalla finalità di riqualificazione edilizia) e il vincolo dell'area di sedime: «[i]n
ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque
consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effet-
tuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio
ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo».
Allo stato attuale, quindi, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile me-
diante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è ammissibile purché
siano rispettati i volumi, l'area di sedime del manufatto originario e, per gli im-
mobili vincolati, la sagoma. Al momento dell'adozione del "piano casa" da parte
delle Regioni, invece, la normativa statale richiedeva, per la ristrutturazione ri-
costruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma, non l'identità di se-
dime, limiti da rispettare affinché la ristrutturazione non si traducesse in una
nuova costruzione, diversamente regolata dalla legislazione nazionale di settore.
………
24
7. 3 È vero che, con l'art. 5, comma 9, del citato "decreto sviluppo", il legisla-
tore nazionale ha consentito interventi di demolizione e ricostruzione anche con
«delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse», ma tale fatti-
specie disciplina l'ipotesi affatto diversa del possibile trasferimento (cosiddetto
decollo), nell'ambito delle scelte di pianificazione dell'ente locale, dei volumi da
una determinata area del territorio ad altra zona che ammetta l'edificabilità. "De-
localizzazione", peraltro, che rimane preclusa agli «edifici abusivi o siti nei centri
storici o in aree ad inedificabilità assoluta» (art. 5, comma 10, del "decreto svi-
luppo").
………
9.1.- In primo luogo, deve sottolinearsi che la norma statale evocata come pa-
rametro interposto, entrata in vigore quattro giorni dopo la impugnata disposi-
zione regionale, assurge, come anticipato, al rango di principio fondamentale
della materia.
In tale direzione, un indice significativo è offerto, anzitutto, dalla particolare
sede normativa (il t.u. edilizia) prescelta dal legislatore per l'inserimento della
nuova norma (avvenuto, come già detto, per mezzo dell'art. 5, comma 1, lettera
b, del d.l. n. 32 del 2019).
Per costante giurisprudenza costituzionale, a prescindere dall'auto-qualifica-
zione, certamente non vincolante per l'interpretazione di questa Corte, contenuta
nell'art. 1, comma 1, del t.u. edilizia, in detto testo unico trova sede la legisla-
zione di cornice in materia di edilizia, a sua volta riconducibile al governo del
territorio.
Molteplici sono le disposizioni del citato testo unico che questa Corte ha an-
noverato tra i principi fondamentali della suddetta materia (ex plurimis, sentenze
n. 125 del 2017, n. 282 e n. 272 del 2016, e n. 259 del 2014).
Lo stesso art. 2-bis del t.u. edilizia, nel cui ambito si trova il menzionato
comma 1-ter, è stato considerato principio fondamentale per ciò che concerne la
vincolatività delle distanze legali stabilite dal D.M. n. 1444 del 1968, derogabili
solo a condizione che le eccezioni siano «inserite in strumenti urbanistici, fun-
zionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del
territorio» (sentenza n. 86 del 2019), salvo quanto previsto dall'art. 5, comma 1,
lettera b-bis), del d.l. n. 32 del 2019.
9.2.- Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, le disposizioni del
t.u. edilizia integrano «norme dalla diversa estensione, sorrette da rationes di-
stinte e infungibili, ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non
frazionabili una protezione unitaria sull'intero territorio nazionale» (sentenza
25
n. 125 del 2017).
Il comma 1-ter dell'art. 2-bis del t.u. edilizia, nel disporre che «[i]n ogni caso
di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita
nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assi-
curando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito
con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo», detta evi-
dentemente una regola unitaria, valevole sull'intero territorio nazionale, diretta
da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall'altro, a rispettare l'assetto
urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo (come peraltro si trae dai la-
vori preparatori della legge di conversione dell'art. 5, comma 1, lettera b-bis, del
d.l. n. 32 del 2019).
È abbastanza chiaro che la Corte non ha visto bene l'intervento del le-
gislatore rivolto ad allargare le maglie che essa aveva stretto troppo, e che
cerca di conservare il sistema per cui un D. M. vecchio di cinquant'anni,
viene considerato più importante delle leggi. E, a dire il vero, è anche dif-
ficile comprendere che cosa ci sia di incostituzionale nel fatto che le Re-
gioni usino della loro autonomia per adeguare le norme alle proprie spe-
cifiche necessità. Pare chiaro che il D.M. non ha pensato a come regolare
le calli di Venezia o i carrugi di Genova! La Corte si è fatta suggestionare
dal problema dell'abusivismo edilizio in certe regioni, non compren-
dendo che esso è un fenomeno sociale, che scavalca decreti, leggi e costi-
tuzioni.
26
V - Il problema del cappotto termico
27
Quindi la misura massima della deroga sarà di 25 centimetri (5 in più
rispetto alla disciplina precedente) per quanto riguarda il maggiore spes-
sore delle pareti verticali esterne e di 30 centimetri per il maggiore spes-
sore degli elementi di copertura (con riferimento al regime delle altezze
degli immobili). Va sottolineato che tale deroga potrà essere esercitata
nella quota massima da ambedue gli edifici confinanti.
28
come avvenuto, ragione per cui ora non è più possibile intervenire sulla
materia con provvedimenti amministrativi.
In effetti non si vede come una materia così delicata come quella del
Codice Civile, possa venire modificata senza, quantomeno, una legge de-
lega che indichi i criteri da seguire.
Ritengo perciò che attualmente (dicembre 2015), una parete non possa
essere rivestita con capotto termico se con ciò essa si viene a trovare oltre
la distanza minima consentita. Una normativa saggia dovrebbe preve-
dere di poter applicare un cappotto solo se la distanza fra edifici supera i
tre metri (una distanza così bassa non può essere ulteriormente ridotta) e
che la eventuale ristrutturazione o ricostruzione dell'edificio dovrà ri-
spettare le distanze originarie, senza il cappotto.
Quindi in pratica:
Nel caso di edifici di nuova costruzione, con una riduzione minima
del 20% dell’indice di prestazione energetica, limite previsto dalle norme
vigenti, l’art. 14 del D. L.vo 102/2014 prevede al comma 6 che non sono
considerati nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze,
delle superfici e nei rapporti di copertura, lo spessore delle murature
esterne, delle tamponature o dei muri portanti, dei solai intermedi e di
chiusura superiori ed inferiori, eccedente i 30 cm, fino ad un massimo di:
– ulteriori 30 cm per tutte le strutture che racchiudono il volume riscal-
dato;.
– ulteriori 15 cm per quelli orizzontali intermedi.
Nel rispetto dei predetti limiti è consentito, nell’ambito delle pertinenti
procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al Titolo II, artt. 6-23-ter del
D.P.R. 06/06/2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia), derogare a quanto
previsto dalle normative nazionali, dalle normative regionali o dai rego-
lamenti edilizi comunali, in merito a:
– distanze minime tra edifici;
– distanze minime dai confini di proprietà;
– distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario;
– altezze massime degli edifici.
Le deroghe vanno comunque esercitate nel rispetto delle distanze mi-
nime previste dal Codice civile (3 metri), che pertanto non possono essere
derogate.
29
La riduzione dell’indice di prestazione energetica da conseguire per
poter usufruire delle deroghe deve essere certificata tramite l’Attestato di
prestazione energetica.
Interventi di riqualificazione di edifici esistenti- Deroghe a distanze
minime tra edifici, fasce di rispetto stradali e altezze massime degli edifici
Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti
che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi
di chiusura superiori ed inferiori, necessari ad ottenere una riduzione mi-
nima del 10% dei limiti di trasmittanza previsti dalle norme vigenti (vedi
oltre), l’art. 14 del D.L.vo 102/2014 prevede al comma 7 che è consentito,
nell’ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui
al Titolo II, artt. 6-23-ter del D.P.R. 06/06/2001, n. 380 (Testo unico dell’edi-
lizia), derogare a quanto previsto dalle normative nazionali, dalle norma-
tive regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito a:.
– distanze minime tra edifici;
– distanze minime dai confini di proprietà;
– distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario;
– altezze massime degli edifici.
In particolare:
– le deroghe alle distanze – che possono essere esercitate nella misura
massima da entrambi gli edifici confinanti – operano nella misura mas-
sima di 25 cm per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, non-
ché alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno comunque eser-
citate nel rispetto delle distanze minime previste dal Codice civile, che
pertanto non possono essere derogate;
– le deroghe alle altezze operano nella misura massima di 30 cm, per il
maggior spessore degli elementi di copertura.
(NB: Sintesi estratta dal Sito della ANIT)
30
VI - La misurazione delle distanze
31
Nozione di finestrata:
Posto che nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osser-
vare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle ve-
dute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta in un regola-
mento edilizio che si ispiri all'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 - il quale prescrive
nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti
munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle
quali si aprono finestre cosiddette "lucifere". Cass. n. 26383 del 20/12/2016.
La Cass. n. 19092/2012 ha anche scritto che per aversi la finestra, deve essere
consentito l'affaccio e che non basta una grande vetrata, ma è una scemenza! Si
vede che non hanno mai visto quei palazzoni tutti di vetro trasparente e senza
finestre e che per la Cassazione potrebbero stare ad una distanza tale da guar-
darsi la TV reciprocamente! Ciò che conta è l'aria e il sole e la luce, e una parete
esterna che non sia cieca ha diritto di avere avanti a sé uno spazio vitale libero
di dieci metri.
Nozione di antistante
La distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dall'art. 9 del
D.M. n. 1444 del 1968 deve osservarsi in modo assoluto, essendo ratio della
norma non la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza.
Detta norma va, pertanto, applicata indipendentemente dall'altezza degli edi-
fici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista al-
meno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le fac-
ciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Cass. Ord. n.
24076/2018.
In tema di rapporti di vicinato, per negare l'operatività della disciplina delle
distanze tra le pareti finestrate degli edifici, stabilita dallo strumento urbani-
stico, secondo il disposto dell'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, al fine di
assicurare aria e luce agli edifici stessi ed alle loro vedute, non è di per sé suffi-
ciente l'interposizione tra i fabbricati di un muro non di cinta, da considerare
perciò costruzione, occorrendo, per la disapplicazione della disciplina mede-
sima, che l'altezza e l'estensione del muro interposto escludano che gli edifici
risultino anche parzialmente antistanti. Cass. n 24128/2012.
La distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dall'articolo 9,
n. 2, del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, traente la sua efficacia precettiva inderoga-
bile dall'articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (come modifi-
cato dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967 n.765) - ratione temporis applicabile
-, deve osservarsi in modo assoluto, essendo ratio della norma non la tutela della
riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Tale norma va pertanto
32
applicata indipendentemente dall'altezza degli edifici antistanti e dall'anda-
mento parallelo delle pareti di questi, purché sussista almeno un segmento di
esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al
loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Cass. n. 5741/2008
Ai fini dell'osservanza delle distanze legali, ove sia applicabile il D.M. n.
1444/1968 in quanto recepito negli strumenti urbanistici, l'obbligo del rispetto
della distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate di edifici an-
tistanti, deve essere applicato anche nel caso in cui una sola delle pareti che si
fronteggiano sia finestrata, mentre l'altra risulti parzialmente composta da un
avancorpo cieco di altezza inferiore all'edificio finestrato, atteso che la norma
in esame è finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pubblico-sanitario a man-
tenere una determinata intercapedine tra gli edifici che si fronteggiano quando
uno dei due abbia una parete finestrata. (Nella fattispecie gli edifici antistanti
avevano entrambi pareti finestrate ma quello precedentemente costruito per
una parte fronteggiava con un avancorpo privo di apertura la parete finestrata
dell'edificio successivamente costruito). Cass. n. 20574/2007.
33
disposizione tassativa ed inderogabile, dispone che negli edifici ricadenti in
zone territoriali diverse dalla zona A, è prescritta in tutti i casi la distanza mi-
nima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tale
prescrizione, stante la sua assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte nor-
mativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali, com-
porta che, nel caso di esistenza sul confine tra due fondi di un fabbricato avente
il muro perimetrale finestrato, il proprietario dell'area confinante che voglia, a
sua volta, realizzare una costruzione sul suo terreno deve mantenere il proprio
edificio ad almeno dieci metri dal muro altrui, con esclusione, nel caso conside-
rato, di possibilità di esercizio della facoltà di costruire in aderenza (esercitabile
soltanto nell'ipotesi di inesistenza sul confine di finestre altrui) e senza alcuna
deroga neppure per il caso in cui la nuova costruzione realizzata nel mancato
rispetto del menzionato D.M. sia destinata ad essere mantenuta ad una quota
inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste con-
forme alle previsioni dell'art. 907, comma terzo, cod. civ.. Cass. n. 23495/2006.
Il Consiglio di Stato (sent. n. 7731/2010) ha invece stabilito che la distanza di
10 m tra pareti finestrate di edifici antistanti va calcolata con riferimento ad ogni
punto dei fabbricati (e non alle sole parti che si fronteggiano) e a tutte le pareti
finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse
siano o meno in posizione parallela, ed ha scelto quindi la soluzione radiale.
La Cassazione non ha voluto lasciarsi togliere di bocca il ghiotto boccone ed
ha prontamente (secondo i tempi della nostra giustizia) ribadito che la misura
deve essere lineare. Ai fini dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, due fabbricati,
per essere anti-stanti, non devono necessariamente essere paralleli, ma possono
anche fronteggiarsi con andamento obliquo, purché tra le facciate dei due edi-
fici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di en-
trambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Ne
consegue che non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo
retto, né quelli in cui sono gli spigoli opposti a potersi toccare se prolungati
idealmente uno verso l'altro. … In materia di distanze tra fabbricati, l'art. 9 del
D. M n. 1444 del 1968, che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pa-
reti finestrate e pareti di edifici antistanti, è applicabile anche nel caso in cui una
sola delle due pare-ti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla
circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesi-
stente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all'altro.
Cass. 24471/2019.
34
ne abbiano davvero capito. A me rimane abbastanza misterioso il requi-
sito che tra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale
che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure
per quel limitato segmento.
35
Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade
destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco
al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere
alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
- 5,00 m per lato, per strade di larghezza inferiore a 7 m.
- 7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 m e 15 m;
- 10 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 m.
36
Come già indicato, la distanza, in questo caso, sia dal confine che fra
due edifici, viene misurata tracciando un arco di cerchio dal punto O
dell'edificio A e dal punto N dell'edificio B. I punti in cui esso è tangente
alla linea di confine (ciò lo tocca ad angolo retto) rappresentano i raggi
OC e ND. Il segmento QT rappresenta invece la distanza fra i due edifici,
data dal raggio QT. È evidente che non vi è altra metodo di misura che
quello usato e che i tratti NM e OP (per alcuni, misure lineari), sono privi
di significato.
Chi si è sforzato di dare un senso al pensiero della Cassazione, ha fatto
il seguente schema:
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Il problema si chiarisce del tutto se lo si affronta da un diverso punto
di vista.
In sostanza l'edificio esistente ha il diritto di avere avanti a sé uno spa-
zio libero lungo quanto la sua facciata e largo 10 metri. Chi costruisce il
nuovo edifico può fare tutto ciò che vuole, purché non lo invada minima-
mente. Ciò si ottiene se l'edificio nuovo ha ogni suo punto fuori della
"zona di rispetto", come necessariamente si verifica con FC >10 m
La "distanza lineare" CQ non ha alcun senso logico e pratico.
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Che fare nel caso di un edificio rientrante arcuato, ad anfiteatro? Sem-
bra logico ritenere che non si tenga conto della parte rientrante.
Radiale Lineare
39
VII - Norme speciali pubblicistiche
Vi sono delle norme sulle costruzioni che non sono dettate per rego-
lare i diritti dei proprietari, ma a fine di sicurezza pubblica. Fra le princi-
pali:
Norme antisismiche
Sono basate sulla L. 2 febbraio 1974, n. 64, recante Provvedimenti per le
costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche, che ha integral-
mente sostituito la legge 25 novembre 1962, n. 1684, nonché della L. 5 no-
vembre del 1971, n. 1086, recante Norme per la disciplina delle opere di conglo-
merato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica.
Alcune norme sono confluite nel DPR 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, il cui Capo IV
reca “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le
zone sismiche”, con disposizioni specifiche relative alle norme per le co-
struzioni in zone sismiche, alla relativa vigilanza, nonché alle modalità di
repressione delle violazioni. Vi sono poi numerose norme tecniche conte-
nute in DM o in provvedimenti della Protezione Civile.
Codice della Strada
Le distanze minime dalle strade variano a seconda del tipo di strada di
cui si tratta, secondo le definizioni di cui all’art. 2 del Codice della
Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) e a seconda che siano nell'abitato o
fuori dell'abitato.
Linee ferroviarie
Ai sensi del DPR 11 luglio 1980, n. 753, lungo i tracciati delle linee fer-
roviarie è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti ad
una distanza minore di trenta metri dal limite della zona di occupazione
della più vicina rotaia.
Linee elettriche
- DPCM 8 luglio 2003 - Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori
di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popola-
zione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete
(50 Hz) generati dagli elettrodotti (G.U. n. 200 del 29 agosto 2003.
- DM 29 maggio 2008 – Metodologia di calcolo delle fasce di rispetto
per gli elettrodotti.
40
Gli articoli del Codice Civile illustrati e commentati
con la giurisprudenza
Sezione VI
Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi e dei muri,
fossi e siepi interposti tra i fondi
41
fili metallici, destinata a sostenere una spalliera di erbe rampicanti).
(Cass. 173/1962).
La nozione di costruzione è più ampia in relazione alle vedute perché
esse possono essere anche costituite da manufatti non stabili (ad es. un
pergolato); ne riparleremo trattando delle vedute.
La norma sulle distanze ha lo scopo tradizionale, ma, come detto, or-
mai superato, di evitare la creazione di spazi angusti (intercapedini) mal-
sani e di lasciare ad ogni costruzione la giusta quantità di luce ed aria.
Perciò la norma non riguarda le costruzioni interrate.
Chi costruisce in prossimità del confine di un terreno su cui non vi sono
già costruzioni, deve costruire a m. 1,5 dal confine.
Se sull'altro terreno vi è già una costruzione a distanza minore di m.
1,5, chi costruisce deve farlo a tre metri dalla precedente costruzione, op-
pure deve costruire in aderenza ad essa, pagando il valore del terreno
occupato e, se utilizza il muro esistente, pagando metà del suo valore.
Però il proprietario della costruzione può scegliere di estenderla fino al
confine oppure di demolirla in modo da ripristinare la distanza di m. 1,5
(art. 875 C.C.)
Il principio della cosiddetta "prevenzione" per cui chi costruisce per
primo ha facoltà di costruire sul confine, invece di rispettare la distanza
di m. 1,5, viene meno in quei casi in cui i regolamenti comunali stabili-
scono che si devono osservare date distanze non fra gli edifici, ma rispetto
al confine fra le due proprietà edificabili.
La presenza di una luce non impedisce la costruzione in aderenza. Lo
impedisce invece una servitù di veduta.
Esiste un trucco per "fregare " il confinante ed è quello di vendere la
striscia di terreno fra costruzione e confine ad un terzo! La Cassazione ha
poi chiarito che il trucco funziona se si vuole impedire al vicino di co-
struire in aderenza, ma che, ai fini della distanza fra edifici, la striscia al-
trui viene "neutralizzata" (Cass. Sez. 2, n. 2492 del 21/06/1975 ed ora, am-
piamente Cass. n.3968 del 18/02/2013).
42
Se A ha costruito sul confine, B deve costruire a 3
m su cd oppure in aderenza al muro ab oppure, a sua
scelta, può rendere comune il muro ab.
43
Se A ha costruito a 3 m dal confine, B può co-
struire sul confine, ma senza aperture.
A conserva sempre il diritto di costruire contro il
muro cd.
Se B vuole aprire finestre deve stare a m. 1,5 dal
confine; ma A potrà allora sempre estendere il suo
fabbricato fino a m. 1,5 dal confine.
44
Ecco come deve essere misurata la distanza
delle costruzioni in caso di balconi o altri
sporti.
In tema di distanze legali fra edifici, mentre
non sono a tal fine computabili le sporgenze
estreme del fabbricato che abbiano funzione
meramente ornamentale, di rifinitura od ac-
cessoria di limitata entità, come la mensole, le
lesene, i cornicioni, le grondaie e simili; rien-
trano nel concetto civilistico di "costruzione"
le parti dell'edificio, quali scale, terrazze, bal-
latoi, bovindi e corpi avanzati (cosiddetti "ag-
gettanti") che, seppure non corrispondono
sempre a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed am-
pliare la consistenza del fabbricato.
I muri di cinta fino a m 3 di altezza non si considerano. Le distanze si
misurano sempre in orizzontale, senza tener conto della pendenza del
terreno.
Camini e abbaini sono costruzioni.
45
Le distanze non valgono per le fonda-
zioni, salvo che siano fuori terra. Non si con-
siderano cornicioni, falde del tetto, cariatidi,
ecc. La soluzione non è soddisfacente per le
falde del tetto; se entrambi facessero una
falda di un metro, ben poca luce penetre-
rebbe fra i due edifici.
46
Se i due muri sono a distanza inferiori a 3 m
e il muro di A crolla, egli può ricostruirlo, ma
con misure non superiori a quelle originaria
(art. 1074 C.C.). La stessa cosa per B.
Se voglio innalzare la costruzione devono ar-
retrare la nuova porzione.
Il diritto di ricostruire il muro si prescrive in
10 anni, dal momento in cui non esistono più i
ruderi del vecchio muro.
47
A ha costruito a meno di 3 m dal muro di
B. Deve abbattere la sua costruzione, ma può
anche rendere comune il muro di B e fabbri-
care su di esso riempiendo lo spazio. Se A ha
acquisito il diritto di conservare la sua costru-
zione, B non può sopraelevare il proprio
muro ab.
48
Se B costruisce per primo sul suo muro di soste-
gno ab, A può rendere comune il muro pagandone
la metà e pagando il terreno fino alla linea di con-
fine.
49
Se A ha costruito lasciando un cavedio o pozzo luce
abcd, chiuso alla base da un muro di cinta, B, se costrui-
sce, deve lasciare uno spazio libero abef in modo che il
fronte ef disti 3 m dal fronte ab.
50
Art. 873 - Giurisprudenza della Cassazione
Prevenzione - Il principio della prevenzione si applica anche nell'ipotesi in
cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore
di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle co-
struzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione rego-
lamentare si estende all'intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo
della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul con-
fine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costru-
zioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi
degli artt. 874, 875 e 877 c.c. Cass. Ord. n. 22447 del 09/09/2019 (Conformi S. U.
n. 10318 del 2016)
Prevenzione - L'art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968 non impone di rispettare
51
in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applica-
zione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l'e-
dificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto
di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se
il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato
una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia po-
sto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non
sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla
parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e co-
struire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal
confine, ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art. 875, comma 2,
c.c., qualora ne ricorrano i presupposti. Cass. Ord. n. 4848 del 19/02/2019 (Conf.
n. 3340 del 2002).
Prevenzione - Il criterio della prevenzione, previsto dagli artt. 873 e 875 c.c.,
è derogato dal regolamento comunale edilizio allorché questo fissi la distanza
non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse dal confine, salvo che lo stesso
consenta ugualmente le costruzioni in aderenza o in appoggio, nel qual caso il
primo costruttore ha la scelta tra l'edificare a distanza regolamentare e l'erigere
la propria fabbrica fino ad occupare l'estremo limite del confine medesimo, ma
non anche quella di costruire a distanza inferiore dal confine, poiché detta pre-
scrizione ha lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l'onere della crea-
zione della zona di distacco. Cass. Ord. n. 11664 del 14/05/2018 (Conf. n. 23693
del 2014).
Prevenzione e muro comune - L'art. 885 c.c., che riconosce ad ogni compro-
prietario la facoltà di alzare il muro comune, introduce una deroga sia al nor-
male regime della comunione che a quello dell'accessione, perché consente –
anche senza il consenso dell'altro comproprietario del muro – la formazione di
una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, appartenente al
comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune, il quale può
altresì giovarsi, nella prosecuzione in altezza, dello stesso principio di preven-
zione adottato sulla base della costruzione, fatta salva la possibilità per il vicino
52
comproprietario di chiedere la comunione del muro sopraelevato. Cass. Ord. n.
8000 del 30/03/2018.
53
Distanza pari ad edificio da edificare - In tema di distanze legali, la norma
contenuta nell'art. 41-quinquies, lett. c), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, in-
trodotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, secondo la quale, nelle
nuove edificazioni a scopo residenziale, "la distanza dagli edifici vicini non può
essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire", va osser-
vata non solo nei casi in cui i Comuni siano sprovvisti di strumento urbanistico,
ma anche quando negli stessi o nei regolamenti edilizi manchino norme speci-
fiche che provvedano direttamente in materia di distanze. Cass. n. 20713 del
10/09/2013.
Edifici a dislivello - In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 873 C.C. trova
applicazione anche quando, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edi-
ficata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quella superiore, in
quanto la necessità del rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza
del pericolo del formarsi d'intercapedini dannose. Cass. n. 20850 del 11/09/2013.
54
Usucapione. No se l’edificio è diverso - Non è configurabile l'acquisto per
usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costru-
zione a distanza inferiore a quella legale allorché risulti che, nel corso del tempo
necessario ai fini di tale acquisto, l'originario manufatto, consistente, nella spe-
cie, in un rudere fatiscente, sia stato demolito e sostituito con un immobile
avente una differente altezza ed una diversa localizzazione rispetto alle fonda-
menta ed all'area di sedime del preesistente, così integrando gli estremi di una
nuova costruzione e non di un intervento di ristrutturazione, con conseguente
venir meno dell'identità del bene occorrente per l'unitarietà del possesso ad usu-
capionem. Cass. n. 14902 del 13/06/2013.
55
dalla distanza legale o regolamentare viene sottratta la fascia interposta e si di-
vide il risultato per due, ottenendo così la misura del distacco che i proprietari,
pariteticamente, sono tenuti a osservare, ognuno rispetto al confine del suo
fondo. Cass.28 giugno 1993 n. 7129 e Cass. n. 3968 del 18/02/2013.
Nota: non capisco la logica seguita dalla Cassazione; supponiamo che vi siano due
terreno divisi da una fascia di un terzo proprietario larga 2 metri; se i proprietari laterale
rispettassero la distanza di 3 metri dal confine, i due edifici sorgerebbero a 8 metri l'uno
dall'altro; se rispettassero la distanza dalla linea mediana, come si fa quando vi è una
strada privata, gli edifici sorgerebbero a 6 m l'uno dall'altro; secondo il metodo stabilito
dalla SC si dovrebbe togliere 2 m dalla distanza legale e dividere a metà il risultato (3-
2=1; ½ = 0,5 m). Questo è il distacco che i proprietari devono rispettare dal confine e
quindi gli edifici sorgerebbero a 0,5+0,5+2 = 3 m, vale a dire la soluzione peggiore e che
ignora i diritti del proprietario della fascia.
Una rampa è costruzione - In tema di distanze legali tra fabbricati, l'art. 873
C.C., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre
metri dal confine o quella maggiore fissata dai regolamenti locali, va interpre-
tato, in relazione all'interesse tutelato dalla norma, nel senso che la nozione di
"costruzione" comprende qualsiasi manufatto avente caratteristiche di consistenza e
stabilità, o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, per la sua consistenza, abbia
l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del go-
dimento della proprietà. (Nella specie, è stata considerata "costruzione" una
rampa aerea, con uno scivolo carraio, pur fungendo gli stessi solo da copertura
a un edificio sottostante posto a quota inferiore rispetto all'altro fondo, in
quanto eccedenti la pura necessità di contenere il terreno più elevato, e perciò
espressione di un'opzione ulteriore di tipo architettonico). Cass. n. 23189 del
17/12/2012.
Parete finestrata, solo se con veduta - Posto che nella disciplina legale dei
"rapporti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate di-
stanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione
56
"pareti finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del
D.M. n. 1444 del 1968 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza mi-
nima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non po-
trebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili
come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosid-
dette "lucifere". Cass. n. 26383 del 20/12/2016.
Sporti - In tema di distanze legali fra edifici, rientrano nella categoria degli
sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con fun-
zione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole, le
lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), mentre costituiscono
corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi
particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza. Cass. n. 18282 del 19/09/2016.
57
La strada pubblica intermedia – Deve essere già realizzata - La mera previ-
sione, in un piano regolatore generale o in un programma di fabbricazione,
della destinazione di un terreno privato a strada pubblica, o anche la destina-
zione di fatto ad uso pubblico di tale terreno, senza la esecuzione di opere (pub-
bliche) di irreversibile trasformazione e la conseguente appropriazione cosid-
detta acquisitiva dell'immobile da parte della P.A., non producono, di per sè,
una modificazione immediata del regime dei diritti immobiliari privati e non
basta, pertanto, ad esimere il proprietario confinante dal rispetto delle distanze
legali, perché l'eccezionale deroga alla disciplina delle distanze nelle costru-
zioni di cui al comma secondo dell'art. 879 C.C. opera esclusivamente per quelle
che si fanno a confine di piazze o vie propriamente pubbliche, secondo lo stretto
significato che, nell'ordinamento, ha la nozione di questa categoria di beni,
esclusivamente riferibile alle vie o piazze appartenenti ad un ente territoriale
autarchico e, perciò, demaniali e soggette a regime demaniale, ovvero realizzate
su terreni gravati da diritto pubblico di godimento al fine della circolazione,
parimenti soggette al regime della demanialità. Cass. n. 28938 del 27/12/2011.
Prevale il rispetto della distanza fra fabbricati rispetto alla distanza dal
confine - In tema di distanze nelle costruzioni, il principio codicistico della pre-
venzione si applica anche alle situazioni nelle quali opera, in assenza di piano
regolatore, la disciplina dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, le cui pre-
scrizioni, regolando la distanza tra fabbricati, e non tra fabbricato e confine,
sono sostanzialmente integrative dell'art. 873 C.C., con la conseguenza che ad
essa devono applicarsi le regole ed i principi previsti dal codice civile per la
disciplina della distanza fra costruzioni su fondi finitimi, compreso quello della
prevenzione, non escluso dalla legge speciale. Cass. n. 27522 del 19/12/2011.
Ristrutturazione e ricostruzione
- Nell'ambito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31,
primo comma lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457 - la semplice "ristrut-
turazione" si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusiva-
mente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano
inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture oriz-
zontali, la copertura, mentre è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edifi-
cio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demo-
lizione, dette componenti, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle
stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'e-
dificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali au-
menti, si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", come tale sottoposta
alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima. Sez. U,
Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011.
58
Decisione un po' semplicistica e che ignora del tutto la definizione fornita dal T. U.
Edilizia, DPR 6 giugno 2001, n. 380 il quale all'art. 3 lett. d) stabilisce che sono "in-
terventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripri-
stino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la mo-
difica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ri-
strutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ri-
costruzione con la stessa volumetria di quello preesistente.
59
dell'edificio, va computato il torrino della cassa scale, la cui prosecuzione al di
sopra della linea di gronda del fabbricato integra una sopraelevazione utile per
la definizione concreta delle distanze legali tra gli edifici come stabilite dalla
normativa vigente al momento della realizzazione dell'immobile, senza che as-
sumano rilievo eventuali disposizioni contenute in circolari amministrative,
che costituiscono espressione della potestà di indirizzo e di disciplina dell'atti-
vità dell'amministrazione ma non sono fonte di diritto, né di interpretazione
della legge. Cass. n. 2566 del 03/02/2011.
Nota: decisione poco chiara; è possibile che un volume tecnico non venga preso in
considerazione ai fini della volumetria edificabile, ma sicuramente se ne deve tener conto
ai fini delle altezze e delle distanze. Che senso ha distinguere il torrino delle scale (vo-
lume tecnico) dal torrino vano motori dell'ascensore? È una pura sciocchezza. Secondo
la circolare 2474/1973 dei Lavori Pubblici si tratta di volumi “strettamente necessari a
contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico,
elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono per esigenze
tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”. La nozione “può trovare ap-
plicazione soltanto nei casi in cui i volumi tecnici non siano diversamente definiti o
disciplinati dalle norme urbanistico-edilizie vigenti nel Comune” e, in ogni caso, la loro
sistemazione “non deve costituire pregiudizio per la validità estetica dell’insieme archi-
tettonico”. Sono stati esclusi dal novero dei volumi tecnici anche i vani scala, le verande,
se di dimensioni superiori ad ospitare un impianto tecnologico come una caldaia, ed i
piani interrati, se utilizzati come locali complementari all’abitazione.
NB: Il termine torrino è usato anche per indicare le torrette di aspirazione con co-
pertura a campana o a tettuccio:
60
dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Ne consegue che
gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabil-
mente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la
funzionalità economica, costituiscono con l'immobile una costruzione unitaria,
sicché le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell'edificio mag-
giore, ma da quella più prossima alla proprietà antagonista. (Nella specie, la
S.C. ha cassato la sentenza che aveva omesso di considerare, ai fini delle di-
stanze, un corpo accessorio costituito dai servizi igienici). Cass. n. 4277 del
22/02/2011.
Sporti - In tema di distanze legali fra edifici, mentre rientrano nella categoria
degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con
funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole,
le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), costituiscono, invece,
corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi
particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza. (Nella specie, la S.C. ha con-
fermato la sentenza di merito che aveva ritenuto violata la distanza legale tra
edifici prescritta in cinque metri dal confine, dal regolamento edilizio applica-
bile in giudizio, per la presenza di balconi aggettanti sovrastati da archi murari
solidali con il fabbricato che per la loro profondità ed ampiezza determinavano
un ampliamento della superficie e del volume). Cass. n. 17242 del 22/07/2010.
61
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comu-
nione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni
previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, C.C.), ovvero di arretrare la sua
costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo stru-
mento urbanistico. Cass. n. 8465 del 09/04/2010.
Parete finestrata - Ai fini dell'osservanza delle distanze legali, ove sia appli-
cabile il D.M. n. 1444/1968 in quanto recepito negli strumenti urbanistici, l'ob-
bligo del rispetto della distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti fine-
strate di edifici antistanti, deve essere applicato anche nel caso in cui una sola
delle pareti che si fronteggiano sia finestrata, mentre l'altra risulti parzialmente
composta da un avancorpo cieco di altezza inferiore all'edificio finestrato, at-
teso che la norma in esame è finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pub-
blico-sanitario a mantenere una determinata intercapedine tra gli edifici che si
fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata. (Nella fattispecie
gli edifici antistanti avevano entrambi pareti finestrate ma quello precedente-
mente costruito per una parte fronteggiava con un avancorpo privo di apertura
la parete finestrata dell'edificio successivamente costruito). Cass. n. 20574 del
28/09/2007.
62
chiederne la comunione forzosa, di innestarvi il proprio muro, di costruirvi il
proprio edificio in appoggio, perché è invece necessario che ogni costruzione
costituisca un organismo a sé stante, mediante l'adozione di giunti o altri op-
portuni accorgimenti idonei a consentire la libera ed indipendente oscillazione
degli edifici. Cass. n. 3425 del 16/02/2006.
63
mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha ri-
spettato una distanza di almeno m. 5 dal confine. Ove il preveniente abbia rea-
lizzato una parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a mt. 5, il vi-
cino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino a rispettare la di-
stanza di mt. 10 da tale parete, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le
aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della di-
stanza legale dal confine ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art.
875, secondo comma cod. civ, ove ne ricorrano le condizioni. Cass. n. 3340 del
07/03/2002.
64
elevazione e gli altri per la loro struttura e consistenza non erano idonei ad in-
tercettare aria e luce ed a formare quindi intercapedini vietate dal menzionato
art. 873 C.C.). Cass. n. 5956 del 01/07/1996.
Pali e Palizzata
- Per costruzione soggetta ai limiti di distanza non deve necessariamente
intendersi un'opera edilizia o in muratura, potendo essa consistere in qualun-
que manufatto che abbia carattere di stabilita e che, per la sua consistenza, possa
dar luogo alla formazione di interstizi dannosi o pericolosi per la sicurezza e
l'igiene, a cui tutela deve ritenersi sancito il divieto contenuto nell'art 873 C.C.,
espressamente ribadito per le sopraelevazioni dei muri di cinta dall'art 878
stesso codice e riecheggiato dalle norme sulle distanze delle piantagioni dal
confine (artt. 892, 894 C.C.). (nella specie l'opera posta in essere in violazione
dei limiti di distanza era costituita da una palizzata, con i singoli pali infissi
stabilmente al suolo, intersecata da fili metallici, destinata a sostenere una spal-
liera di erbe rampicanti). Cass. n. 173 del 30/01/1962.
65
edificio stante che la ratio della normativa sulle distanze si incentra sull'esi-
genza di realizzare spazi sufficienti a consentire l'areazione e l'insolazione degli
edifici, al momento della loro costruzione. Cass. n. 7323 del 10/12/1986.
Piano di campagna - Il termine 'suolo', che l'art 3 delle norme generali e pre-
scrizioni tecniche per l'attuazione del piano regolatore di Roma (approvato con
legge n 355 del 1932) indica come livello di base per la Determinazione dell'al-
tezza dei villini, va inteso nel senso di 'piano di campagna', ossia come piano
naturale di posa dell'edificio, non come il piano ideale corrente al livello della
strada pubblica. Ove tale piano presenti, nel fondo in cui si deve costruire il
villino, una superficie non pianeggiante, il piano di campagna e rappresentato,
in senso tecnico e giuridico, dalla media delle varie quote del fondo stesso, il
che si realizza abbassando, proporzionalmente alle superfici interessate, le
quote più alte in modo da innalzare, sempre in proporzione, le più basse, e ciò
mediante la distribuzione di tutto il terreno tolto dalle quote più alte sulle più
basse, con esatto compenso di scavo e riporti, sino a ottenere l'anzidetta media.
Cass. n. 316 del 25/01/1978.
66
Art. 874 C.C. - Comunione forzosa del muro sul confine
Questa norma riguarda solo i muri sul confine, sia di fabbrica che di
cinta; se il muro è a cavallo del confine ognuno dei due proprietari è già
proprietario della sua metà e può chiedere la medianza dell'altra metà
pagando la metà del suo valore (cioè un quarto del valore dell'intero
muro e terreno su cui poggia).
Il confinante, se non è tenuto a rispettare determinate distanze dalla
costruzione sul fondo vicino posta sul confine, ha diritto di costruire in
aderenza al muro del vicino oppure persino di rendere comune il muro
del vicino utilizzandolo per appoggiavi la propria costruzione, oppure di
appoggiarvi un terrapieno, ma alle condizioni indicate nell'articolo. Se il
muro è comune, vuol dire che è di entrambi i proprietari, non che cia-
scuno è proprietario della metà verticale di esso; perciò nessuno dei due
può usare la metà di muro, come se fosse sua esclusiva.
Questa facoltà è imprescrittibile ma non irrinunciabile e quindi la ma-
teria può essere oggetto di convenzioni fra le parti. Non è richiesto che
chi richiede la comunanza debba anche effettivamente costruire contro il
muro.
La comunione forzosa non è possibile se fra i due fondi vi è un fosso
comune o una striscia di terreno di terzi.
Se i due fondi sono a dislivello, il proprietario del fondo più in alto
deve rendere comuni anche le fondamenta e non solo la parte di muro al
suo livello (Cass. confusa; a me pare si debba applicare l'art. 887 C.C.).
La comunione forzosa (medianza) deve interessare l'intera lunghezza
del muro, ma non necessariamente l'intera altezza. Se il muro forma una
linea spezzata, ogni tratto si considera a sé. Nulla vieta che le parti si ac-
cordino per rendere comune solo una porzione del tratto di muro.
67
Se il diritto di comunanza viene acquisito per usucapione, esso è limi-
tato alla porzione di muro concretamente utilizzata.
Attenzione: il diritto alla medianza spetta solo al proprietario del fondo
vicino; il proprietario del muro ha solo il diritto a che il vicino non si ap-
poggi al muro senza pagargli il dovuto compenso e che non faccia depo-
siti nocivi contro il muro (vedi art. 880 C.C.).
68
Se E vuol costruire appoggiandosi ai
muri delle proprietà di A, B, C, D, deve
acquistare la comunione dei tratti bd, df,
gi, im.
69
L'esistenza sul confine di un muro di
cinta o di una cancellata o rete non attribui-
sce alcun diritto di servitù e non impedisce
a B di chiedere la comunione con il muro di
A.
70
Se B vuole recintare il suo terreno
abcd, può appoggiare le testate del
suo muro su A senza acquistare la
comunione del muro.
71
A non può prendere a pretesto l'esistenza di un
muro a secco privo di fondamenta per occupare parte
del terreno di B; la comunione si giustifica solo in pre-
senza di un muro idoneo all'appoggio di una costru-
zione.
72
B ha costruito per primo il suo edi-
ficio e poi A vi ha addossato in comu-
nione forzata il suo edificio ben più
grande. Se ora B vuole sopraelevare il
proprio edificio deve pagare anche
per le superfici di muro laterali (abcd,
cdef, ecc.).
Il diritto di medianza può essere
usucapito in 20 anni . Il diritto al
prezzo del muro si prescrive però in
soli 10 anni.
73
Art. 875 - Comunione forzosa del muro che non è sul confine.
74
La comunione può essere richiesta solo per costruire un fabbricato, non
per altri scopi. La costruzione deve essere possibile e lecita.
75
Prevenzione, sì per distanza da fabbricato a fabbricato - In tema di distanze
nelle costruzioni, il principio codicistico della prevenzione si applica anche alle
situazioni nelle quali opera, in assenza di piano regolatore, la disciplina dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, le cui prescrizioni, regolando la distanza tra
fabbricati, e non tra fabbricato e confine, sono sostanzialmente integrative
dell'art. 873 C.C., con la conseguenza che ad essa devono applicarsi le regole ed
i principi previsti dal codice civile per la disciplina della distanza fra costruzioni
su fondi finitimi, compreso quello della prevenzione, non escluso dalla legge
speciale. Cass. n. 27522 del 19/12/2011.
76
sto 1942, n. 1150 (aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765); ne de-
riva, pertanto, che, quando il fabbricato del preveniente si trovi a una distanza
dal confine inferiore alla metà del distacco tra fabbricati prescritto dalla citata
norma speciale, il prevenuto ha, ai sensi dell'art. 875 C.C., la facoltà di chiedere
la comunione forzosa del muro allo scopo di costruirvi contro. In tema di di-
stanze legali, perché possa escludersi l'applicabilità della disciplina dettata in
tema di distanze tra edifici dall'art. 41-quinquies, primo comma, lettera c), della
legge 17 agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.
765, è necessario che lo strumento edilizio locale provveda direttamente sulle
distanze. Cass. Sez. U n. 11489 del /08/2002.
Nota: Sentenza di dubbia correttezza. La distanza tra i fabbricati è stabilita per esi-
genze urbanistiche, non nell'interesse del privato.
77
Art. 876 - Innesto nel muro sul confine
Se il vicino vuole servirsi del muro esistente sul confine solo per in-
nestarvi un capo del proprio muro, non ha l’obbligo di renderlo co-
mune a norma dell’art. 874, ma deve pagare un’indennità per l’innesto.
78
B non deve pagare alcuna indennità per-
ché costruisce in aderenza.
Innesto immissione travi - L'art 876 C.C., il quale consente al vicino di ser-
virsi del muro esistente sul confine per innestarvi un capo del proprio muro,
verso il solo pagamento di un'indennità per l'innesto e senza obbligo di rendere
il muro comune a norma dell'art 874 C.C., si presenta come norma eccezionale
rispetto alla disciplina generale contenuta nella norma innanzi citata e non am-
mette applicazione analogica: ne consegue che tale disciplina non e invocabile
nel caso in cui non si tratti di innesto di un capo di muro, bensì di immissioni
di travi, le quali sono consentite, a norma dell'art 884 C.C., soltanto nel muro
comune, previo acquisto, quindi, della sua comproprietà. Cass. n. 5778 del
06/12/1978.
79
Art. 877 - Costruzioni in aderenza
80
Se non vi è comunione ogni muro rimane di pro-
prietà di chi lo ha costruito; non sono ammessi di-
stacchi neanche minimi e, se vi sono, devono essere
chiusi con materiale analogo alla muratura.
B non deve pagare alcunché ad A.
81
Il diritto di medianza è limitato al tratto cd. Se B
vuole costruire un edificio più lungo, deve costruire
secondo l'andamento indicato.
B può costruire il suo muro come meglio crede, anche parte in cemento
armato e parte in muratura.
Unica cosa che deve osser-
vare è di non lasciare interca-
pedini aperte; ma si può la-
sciare un lieve distacco
chiuso ai bordi e non è neces-
sario seguire le irregolarità
del muro Cass. n. 3601 del 7/03/2012.
82
Se il muro di A è rastremato, o scalettato con rise-
ghe, B può costruire in aderenza solo per il tratto aa',
ma non può sopraelevare perché la costruzione neces-
saria per chiudere l'intercapedine verrebbe ad insistere
sullo spazio di A. Il tratto a'd dovrà essere arretrato a
m 3 di distanza. Però vedi ora Cass. n. 15632 del
18/09/2012.
Muro scalettato - In tema di distanze legali, gli artt. 873, 875, 877 C.C. non
vietano di costruire con sporgenze e rientranze rispetto alla linea di confine,
potendo, in tal caso, il proprietario del fondo finitimo costruire in aderenza alla
fabbrica preesistente sia per la parte posta sul confine, sia per quella corrispon-
dente alle rientranze, pagando in quest'ultimo caso la metà del valore del muro
del vicino, che diventa comune, nonché il valore del suolo occupato per effetto
dell'avanzamento della costruzione. Cass. n. 15632 del 18/09/2012.
83
confine, al di sopra del fabbricato, tenuto conto che l'art. 873 C.C. trova appli-
cazione soltanto con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, es-
sendo, pertanto, in tali casi legittima la sopraelevazione effettuata in aderenza
sopra la verticale della costruzione preesistente. Cass. n. 7183 del 10/05/2012.
84
Art. 878 - Muro di cinta
Il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza
superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza
indicata dall’art. 873.
Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune (874) anche
a scopo d’appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza
inferiore ai tre metri.
I muri di cinta possono essere più alti o meno alti di 3 metri. Quelli più
alti di tre metri sono equiparati in tutto e per tutto a muri di fabbrica, ad
una costruzione, e quindi ricadono sotto il regime degli articoli prece-
denti: devono rispettare le distanze legali per le costruzioni e il vicino
deve rispettarle rispetto ad essi.
I muri di altezza inferiore a m 3, se destinati a recingere, non si consi-
derano ai fini delle distanze e non creano prevenzione. Ad essi sono equi-
parati i muri isolati di altezza inferiore a m 3, salvo che siano muri di
fabbrica o muri divisori.
Il muro di cinta può essere collegato ad un edificio oppure essere iso-
lato. Il muro di sostegno di solito è un muro di fabbrica.
Muro di cinta è quello che ha la funzione di delimitare parzialmente o
totalmente una proprietà per impedire l'ingresso di cose o persone, per
impedire immissioni, per servire di riparo dal vento, per impedire che il
vicino guardi nel terreno, ecc. ed ha entrambe le facce libere; se vi è ad-
dossato un fabbricato diventa anch'esso muro di fabbrica. Così pure un
muro che sostiene un terrapieno. Però la Cass.:" Nel caso, peraltro, di
fondi a dislivello, nei quali adempiendo il muro anche ad una funzione
di sostegno e contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non
si presenta di norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre me-
tri, se tale è l'altezza del terrapieno o della scarpata; pertanto, non può
essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze
legali il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il
fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del decli-
vio naturale, mentre nel caso di dislivello di origine artificiale deve essere
considerato costruzione in senso tecnico - giuridico il muro che assolve in
modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo" (Cass. 8144/2001). Un muro che
85
non ha il requisito di recingere un fondo, ma solo di proteggere un suo
lato è un muro divisorio.
Il muro realizzato a confine per la recinzione della proprietà, qualora
sia unito - con una platea in cemento realizzata sotto il piano di campagna
- ad altro muro edificato a ridosso ed in corrispondenza di esso, perde la
natura di muro di cinta per acquistare quella di vera e propria costruzione
da edificarsi nel rispetto delle distanze legali (Cass. 12459/2004).
Un muro può essere qualificato come muro di cinta quando ha deter-
minate caratteristiche: destinazione a recingere una determinata pro-
prietà, altezza non superiore a tre metri, emergere dal suolo ed avere en-
trambe le facce isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali caratteri-
stiche è applicabile la disciplina prevista dall'art. 878 C.C. e dalle norme
di esso integrative, in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra
costruzioni; tuttavia tale normativa si applica anche nel caso in cui si ab-
bia un manufatto in tutto o in parte carente di alcune di esse, purché sia
idoneo a delimitare un fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta
la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il
fondo (Cass. 8671/2001).
La nozione di muro isolato è poco chiara e mai chiarita! In sostanza è
un muro con facce libere e inferiore a tre metri di altezza, che non ha fun-
zione di recinzione o di delimitare il confine, ad es. un paravento, una
barriera antirumore. Questi muri vanno distinti dai muri di fabbrica che
svolgono diversa funzione o che sono costruiti in previsione di far parte
di un edificio.
I muri di cinta e quelli isolati possono essere costruiti sul confine o ar-
retrati.
Il muro di cinta deve rispettare le distanze poste a tutela di vedute
(Cass. 699/1983).
Il secondo comma è anch'esso poco chiaro: quando il muro di cinta o
isolato è posto a meno di m 1,5 dal confine il vicino può costruirvi in co-
munione o in aderenza purché oltre il muro non vi sia già un edificio a
distanza inferiore di tre metri dal confine. Si presuppone quindi che il
muro non sia sul confine e che non vi sia già un edificio posto a meno di
tre metri (dal confine o dal muro o dall'edificio??). Dice la Cass. " Tenuto
conto che ai sensi dell'art. 878 secondo comma C.C. il vicino può costruire
in appoggio al muro di cinta rendendolo comune, purché non sia violata
86
la distanza di tre metri dalla costruzione esistente al di là del muro, co-
stituisce, in tale ipotesi, esercizio legittimo dei poteri inerenti al diritto di
proprietà, che altrimenti verrebbe limitato dall'opera del vicino, costruire
in aderenza al muro di cinta senza l'obbligo di renderlo comune, obbligo
che non è previsto dalla citata norma. Nella specie la Corte, nel formulare
il principio sopra richiamato, ha ritenuto legittima l'installazione di una
parete in ondolux realizzata in aderenza al muro di recinzione della con-
finante proprietà edificato dal vicino" (Cass. 8807/2003). La regola non si
applica se contro il muro di cinta vi è già una costruzione in aderenza.
I e II) Il muro di cinta ab può essere reso comune da B; egli però non
può incorporarlo in una sua fabbrica né costruirvi in aderenza perché vi
è la precedente costruzione A a meno di m 3 dal confine.
III) Il muro di cinta ab non incide sulle distanze e B deve rispettare la
87
distanza di m 3 dal balcone di A.
88
Nella situazione raffigurata A e B
possono costruire a m 1,5 dal con-
fine con sopra il muro di cinta.
Sia ora il caso che solo A abbia co-
struito a m. 1,5 e abbia aperto una
finestra, cosa lecita. Se A alza il
muro oltre m 3 esso non è più muro
di cinta, ma un muro di fabbrica da
cui si devono osservare le distanze
di cui all'art. 873.
Se B non si oppone alla sopraele-
vazione (atto emulativo?) non può appoggiarsi al muro, ma deve stare a
m. 3 da esso.
Se gli edifici A e B fossero stati costruiti a distanza di m 1,5 dal muro,
esso non si potrebbe sopraelevare perché si verrebbero a creare due in-
tercapedini larghe solo m 1,5.
89
II) Oppure rinunzia al locale N e
costruisce il suo edificio tutto a 3 m
dal confine e dalla faccia ab muro di
cinta.
Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 C.C., ai fini
dell'esenzione dal rispetto delle distanze legali imposte dall'art.873 C.C., deve
90
essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde se-
pararla dalle altre, non superare un'altezza di tre metri ed avere entrambe le
facce isolate da altre costruzioni. (Nella specie la S.C., in base all'enunciato prin-
cipio, ha confermato la decisione di merito che aveva considerato costruzione
il muro di confine sovrastante il livello di campagna, delimitante il fondo su
due lati e realizzato per un tratto in aderenza ad un muro sul confine). Cass. n.
20351 del 20/11/2012
Muro di cinta e vedute - L'obbligo di costruire a non meno di tre metri dalle
vedute dirette aperte nella costruzione esistente sul fondo vicino, di cui all'art.
907 C.C., ha natura assoluta e va osservato anche quando l'erigenda costruzione
91
non sia tale da impedire di fatto l'esercizio della veduta, mentre una valutazione
circa l'idoneità dell'opera ad ostacolare il diritto di veduta può venire in rilievo
soltanto quando si intenda erigere un manufatto diverso da una costruzione in
senso tecnico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sen-
tenza di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell'esonero dal rispetto
della distanza minima prescritta dall'art. 907 C.C., la circostanza che l'erezione
di un muro di cinta, da intendersi quale costruzione in senso proprio, non
avesse impedito l'esercizio del diritto di veduta al proprietario del fondo vi-
cino). Cass. n. 12033 del 31/05/2011.
Altezza del muro - Un muro che separa fondi finitimi non può esser qualifi-
cato muro di cinta - la cui funzione è di non essere facilmente scavalcabile - se
è di altezza inferiore a tre metri perché viene meno la funzione di non facile
scavalcabilità, ovvero se tale altezza è raggiunta con una rete metallica sullo
stesso installata perché, secondo l'espressione letterale della norma, di natura
eccezionale, fino a tale altezza deve esser costruito in muratura. Pertanto il vi-
cino non è obbligato al pagamento della metà delle spese di un muro di altezza
inferiore a detto limite o raggiunta con una rete metallica sullo stesso installata.
Cass. n. 12819 del 12/07/2004
Nota: Massima formulata male; un muro di cinta può essere di qualsiasi altezza pur-
ché non superi i tre metri; deve essere di tre metri nel caso di costruzione forzosa ex art.
886 C.C.
92
Art. 879 - Edifici non soggetti all'obbligo delle distanze o
a comunione forzosa
Strada pubblica - Distanza tra fabbricati -Il rinvio, contenuto nell'art. 879,
comma 2, c.c., alle leggi e ai regolamenti che riguardano le costruzioni "che si
fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche" non va interpretato come de-
roga all'inapplicabilità, prevista dal medesimo art. 879, comma 2, c.c., delle
93
norme sulle distanze alle pubbliche strade e piazze, concernendo, invece, la di-
sciplina in tema non già di "distanze", bensì di "fabbricati". Cass. Ord. n. 27364
del 29/10/2018.
Strada pubblica, nozione - L'esonero dal rispetto delle distanze legali, pre-
visto dall'art. 879, comma 2, c.c., per le costruzioni a confine con piazze e vie
pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà
privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico
della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, attiene, più
che alla proprietà del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettività.
Cass. Ord. n. 27364 del 29/10/2018.
94
derogatorio deve essere applicato non solo sulla base del principio della non
necessaria preesistenza della strada rispetto alla costruzione, ma nel senso che
la legittimità dell'edificazione, con riferimento all'altezza ed al rispetto delle di-
stanze stabilite dal piano di attuazione, è condizionata all'accertamento che la
strada pubblica sia già stata realizzata o sia in corso di realizzazione al mo-
mento in cui il fabbricato è ultimato nelle sue componenti strutturali essenziali.
Cass. n. 741 del 19/01/2012.
Vedute - Il regime legale delle distanze delle costruzioni dalle vedute, pre-
scritto dall'art. 907 C.C., non è applicabile, stante il disposto dell'art. 879, se-
condo comma, C.C. - per il quale "alle costruzioni che si fanno in confine con le
piazze o le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze" - non
solo quando la strada o la piazza pubblica si frappongano tra gli edifici interes-
sati, ma anche nel caso in cui le stesse delimitino ad angolo retto, da un lato, il
fondo dal quale si gode la veduta, e, dall'altro, il fondo sul quale si esegue la
costruzione. Cass. n. 14784 del 24/06/2009.
Strada di uso pubblico - L'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto
dall'articolo 879, comma secondo, C.C. per le costruzioni a confine con piazze e
vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di pro-
prietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere
pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, at-
tiene più che alla proprietà del bene, piuttosto all'uso concreto di esso da parte
della collettività. Cass. n. 6006 del 05/03/2008
95
Nota: poco convincente; è questione molto controversa: comunque occorre un atto
formale il quale consenta di escludere che si tratti di uso abusivo o tollerato.
96
Art. 880 - Presunzione di comunione del muro comune
Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla
sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli
edifici comincia ad essere più alto.
Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cor-
tili, giardini e orti o tra recinti nei campi.
Abbiamo visto che il muro costruito contro quello del vicino può essere
in semplice aderenza oppure essere incorporato ad esso in modo da for-
mare un unico muro sotto l'aspetto statico.
In questo caso la legge presume, fino a prova contraria, che il muro,
avente le caratteristiche di un muro di fabbrica, sia in comunione per tutta
l'altezza dell'edificio più basso e per tutta la sua lunghezza del muro più
lungo. Si badi bene, non si presume che il muro sia di metà ciascuno per
metà verticale, ma bensì pro quota ideale.
Se il muro forma una linea spezzata si avranno tanti muri quanti sono
i segmenti della linea.
Se il vicino si è appoggiato contro il muro che sorgeva non a cavallo
del confine, ma al di là di esso, entro il terreno confinante, la presunzione
sorge solo dopo che si è verificata l'usucapione ventennale del diritto di
tenere il proprio edifico in tale posizione illegittima.
Il secondo comma estende la presunzione di comunione anche ai muri
di cinta.
Si ritiene che la presunzione non trovi applicazione quando la utilità
del muro non è reciproca in quanto le proprietà non sono omogenee. In
altre parole non si presume comune il muro di cinta di una villa che la
separa dalla campagna. Lo è quello che la divide da un'altra villa.
Si ritiene egualmente che non si presuma comune il muro con volte e
spezzate che recinge una intera proprietà.
La presunzione viene meno quando risulta che il muro non è a cavallo
del confine, ma entro il confine del terreno cintato e quando vi sono segni
materiali che dimostrano l'esclusiva proprietà del muro (pioventi, plu-
viali, incavi, ecc.).
97
Per il condominio valgono regole particolari; la Cassazione ha deciso,
ad esempio, che il proprietario di una cantina può abbattere il muro non
portante che la divide dall'androne dei garage, per usare la cantina come
garage (903/1975 e successive).
98
Il muro abc si presume comune per tutta la
lunghezza ac.
Muro divisorio - Servitù di veduta - Il muro divisorio non può dar luogo
all'esercizio di una servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demar-
cazione del confine e tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di
inspicere e prospicere sul fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'al-
tro, a causa della reciproca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti.
Cass. n. 6927 del 07/04/2015.
99
Costruzione sul terreno di un singolo - La presunzione relativa di comu-
nione del muro, stabilita dall'art. 880 C.C., postulando la funzione divisoria di
fondi omogenei, alla quale si ricollega l'utilità comune, è vinta dall'accerta-
mento che il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree
confinanti, con conseguente acquisto per accessione, ai sensi dell'art. 934 C.C.
Cass. n. 50 del 03/01/2014.
Apertura di luci -In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà
confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 C.C., deve appli-
carsi il disposto dell'articolo 903 C.C., il quale, oltre a consentire, al primo
comma, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al
fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che
"se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso
dell'altro". Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipo-
tesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Cass. n. 13649 del 11/06/2007
100
Vedute - L'obbligo di rispettare le distanze per l'apertura di vedute sul fondo
vicino non viene meno se la presenza di muri divisori o altre barriere impedi-
scono in concreto l'affaccio sul medesimo. Cass. n. 4712 del 30/03/2001
101
881 - Presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio
102
proprio una opinione erronea; il contrafforte uno lo costruisce per soste-
nere il proprio muro, non il muro di un terzo che può tranquillamente
lasciar crollare.
103
Sia invece il muro bc in asse con il muro ab, si pos-
sono fare due ipotesi.
a) che A abbia costruito in tal modo, ad esempio au-
torizzato da B o dal suo dante causa, ed allora si pre-
sume che tutto il muro abc è di A.
b) se il tratto bc ha doppio piovente, si presume co-
mune; se poi esso è dello stesso materiale e struttura
di ae e cd si presume che A abbia reso comune tutto il
preesistente muro di cinta ac, lasciando solo il vecchio
tratto bc.
Il vano nel muro oltre la sua metà, lascia presumere che A sia il pro-
prietario del muro.
104
Gli addentellati, ammorsature, tagli di presa la-
sciati da A per consentire un futuro innesto del muro
di B, non sorreggono alcuna presunzione.
105
Art. 881 - Giurisprudenza della Cassazione
Piovente - Per determinare la proprietà del muro divisorio, ai sensi dell'art.
881 C.C., su tutti gli altri indizi prevale la positura del piovente, anche nel caso
di doppio piovente, sicché il confinante che realizzi un piovente sul muro divi-
sorio comune deve spezzare l'ultima fila di tegole, rivolgendone metà verso il
fondo altrui, in modo da non alterare la presunzione. Cass. n. 23282 del
31/10/2014
Nota: la massima concerne una confusa vicenda, non chiarita in tre gradi di giudizio,
e quindi non ho capito di che cosa si stava parlando! Meglio ignorarla.
106
882 - Riparazioni del muro comune
107
Se più sono i proprietari, cia-
scuno concorrerà alla spesa in pro-
porzione alla lunghezza del muro
di sua pertinenza (1/2 a A, bc a C, a
a B, nulla a D).
108
Se nel muro comune vi è un camino e da
esso derivano danni al muro, il padrone del
camino dovrà sostenere tutte le spese di ri-
parazione.
109
godimento in favore di tutti coloro i quali, nell'edificio, sono titolari della pro-
prietà solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti
i condomini - i quali ricavano una utilità dalla cosa, necessaria per l'esistenza e
per la protezione dei loro immobili - sono tenuti a contribuire alle spese per la
conservazione del muro in questione in proporzione alle rispettive quote, se-
condo il principio generale enunciato dall'art. 1123 primo comma C.C. Cass. n.
1154 del 15/02/1996.
Lavori prescritti dall'Autorità - Al fine di applicare l'art. 882 C.C. per il quale
le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di
tutti coloro che vi hanno diritto, è sufficiente accertare il carattere necessario
delle riparazioni eseguite, mentre è irrilevante ai predetti fini che le stesse siano
anche conformi alle prescrizioni contenute in un'ordinanza del sindaco che le
ha imposte a salvaguardia della pubblica incolumità. Cass. n. 4944 del
20/08/1981.
110
883 - Abbattimento di un edificio appoggiato al muro comune
111
alla consistenza e durata del muro.
Possono usucapirsi servitù di appoggio od immissione, se sono appa-
renti.
112
Se ha A costruito per primo ed ha fatto la nicchia del muro,
e successivamente B acquista la comunione del muro, non
può pretendere l'eliminazione della nicchia.
113
Art. 883-884 -Giurisprudenza della Cassazione
Demolizione e danni - Il proprietario che demolisce il muro comune è ob-
bligato ad eseguire le riparazioni necessarie ad evitare danni ai vicini. Tuttavia
tale obbligo - il quale costituisce oggetto di un'obbligazione propter rem - non si
estende, per difetto del nesso causale, ai danni ascrivibili casualmente alla con-
dotta di altri soggetti (terzi esecutori di altre opere di demolizione) od alle ca-
renze strutturali del fabbricato. Cass. n. 10325 del 19/10/1998.
114
di servitù e fuori della comunione del muro, l'obbligo di eliminare questa inva-
sione dell'altrui sfera giuridica, eseguendo a sue spese e sul proprio suolo, le
opere necessarie a garantire all'altro proprietario il diritto di demolire e rico-
struire il proprio stabile senza pericoli di sorta. Cass. n. 2983 del 21/10/1974
Muro canaletta - Premesso che un fondo e tenuto a ricevere solo le acque che
defluiscono normalmente dal fondo vicino, senza che il proprietario di questo
possa rendere più gravoso lo scolo medesimo, qualora il proprietario demolisca
un edificio sostenuto da un muro comune sul confine, sulla cui sommità pree-
sisteva una canaletta comune di raccolta e scolo delle acque piovane, sorge l'ob-
bligo di ripristinare la situazione dello stato dei luoghi, non essendo consentita
l'abolizione della canaletta preesistente e la sua sostituzione con altra di minore
portata e del tutto insufficiente. Cass. n. 2900 del 17/10/1974
115
Art. 885 - Innalzamento del muro comune
116
La sopraedificazione su una costruzione non in appoggio al muro co-
mune sul confine, pure in caso di proiezione con aggetti nell'area del
muro, non ne costituisce innalzamento, sicché al riguardo non può tro-
vare applicazione la disciplina dell'art. 885 C.C. (Cass. 4724/1981). Si veda
l'art. 874 per i muri di cinta.
117
Se A ha costruito il muro sulla sua
metà, B potrà costruire a sua volta senza
nulla pagargli e tutto il muro diventerà
comune.
118
B ha il diritto di innalzare il muro, ma anche
quello di approfondirlo, ad esempio per costruire
ambienti sotterranei o per migliorare le fondamenta
della casa.
119
unita ad un'altra, pur avendo in comune il muro divisorio, non è disciplinata
dall'art. 885 C.C., ma soggiace ai limiti del regolamento locale, anche se, nel caso
di distanza inderogabile dal confine, ne deriva una costruzione secondo una
linea spezzata, non consentita dalle norme sulle distanze stabilite dal C.C. che
impongono di allineare la costruzione al piano sottostante; né può invocarsi il
principio della prevenzione, anche a volerlo ritenere applicabile su terreno già
edificato. Cass. n. 10482 del 22/10/1998.
Muro con rete metallica - Il muro comune divisorio può essere sopraelevato
- anche abbattendo una preesistente rete metallica - senza necessità di consenso
dell'altro comproprietario perché la relativa facoltà, ai sensi dell'art. 885 C.C., è
svincolata dal regime normale della comunione e non trova alcuna restrizione
negli artt. 1102 e 1108 C.C. Cass. n. 237 del 11/01/1997.
120
Art. 886 - Costruzione del muro di cinta
121
Se non ricorrono le condizioni per la costruzione di un muro
in comune, chi vuole recintare il proprio fondo dovrà farlo a
sue spese e non sulla linea di confina, ma interamente sul
proprio fondo.
122
Art. 886 - Giurisprudenza della Cassazione
Muro di cinta - Il proprietario di un fondo, che eriga un muro sul confine, ha
diritto ad ottenere, dal proprietario del fondo contiguo, un contributo per metà
nella spesa di costruzione solo se il manufatto integri i requisiti del muro di
cinta ex art. 886 C.C., raggiungendo un'altezza non inferiore a tre metri e sem-
preché lo stesso, fino a tale livello, sia integralmente in muratura. Cass. n. 6174
del 26/03/2015.
Muro di cinta - Un muro che separa fondi finitimi non può esser qualificato
muro di cinta - la cui funzione è di non essere facilmente scavalcabile - se è di
altezza inferiore a tre metri perché viene meno la funzione di non facile scaval-
cabilità, ovvero se tale altezza è raggiunta con una rete metallica sullo stesso
installata perché, secondo l'espressione letterale della norma, di natura eccezio-
nale, fino a tale altezza deve esser costruito in muratura. Pertanto il vicino non
è obbligato al pagamento della metà delle spese di un muro di altezza inferiore
a detto limite o raggiunta con una rete metallica sullo stesso installata. Cass. n.
12819 del 12/07/2004
Nota: Massima sbagliata; un muro di cinta può essere inferiore a tre metri e la sca-
valcabilità non c'entra nulla; solo ai fini dell'art. 886 il muro deve essere di tre metri.
Muro di cinta - L'altezza di tre metri per qualificare un muro come muro di
cinta non è richiesta in modo rigoroso ai fini del rispetto delle distanze legali in
quanto per il combinato disposto dagli artt. 878 e 886 C.C. al muro di cinta è
equiparabile ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore a tre
metri, mentre per quanto attiene alla contribuzione per metà nella spesa di co-
struzione del muro prevista dall'art. 886 C.C., l'altezza del muro di cinta è fis-
sata ed imposta inderogabilmente dalla legge in tre metri salvo che sia disposto
diversamente dai regolamenti locali o dalla convenzione privata delle parti.
Cass. n. 9375 del 07/08/1992.
Muro di cinta - Il muro di cinta, che, a norma dell'art. 878 cod. civ., non va
considerato ai fini del computo delle distanze legali, è solo quello, isolato (con
le facce, cioè, emergenti dal suolo separate da ogni altra costruzione) e destinato
123
alla demarcazione della linea di confine ed alla separazione e chiusura della
proprietà, che presenti un'altezza non superiore ai tre metri, dovendosi negare
l'applicabilità della citata norma ai muri di cinta con altezza maggiore, conside-
rati dall'art. 886 C.C. solo per regolare e delimitare l'obbligo di contribuzione
del vicino alla costruzione del muro medesimo. Cass. n. 2376 del 26/02/1992.
124
Art. 887 - Fondi a dislivello negli abitati
Se di due fondi posti negli abitati uno è superiore e l’altro inferiore,
il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese
di costruzione e conservazione del muro dalle fondamenta all’altezza
del proprio suolo, ed entrambi i proprietari devono contribuire per
tutta la restante altezza.
Il muro deve essere costruito per metà sul terreno del fondo inferiore
e per metà sul terreno del fondo superiore.
La norma si applica solo negli abitati. Il dislivello fra i due fondi deve
avere origine naturale. Chi crea un dislivello artificiale è tenuto anche a
sostenerlo.
Chi ha costruito sul confine il muro inclinato secondo l'andamento
della scarpata, ha diritto di raddrizzarlo in aderenza alla costruzione fatta
dal vicino sul confine.
(nessuna immagine).
Muro di sostegno - La fattispecie prevista dall'art. 887 c.c. (a norma del quale
nei fondi a dislivello il proprietario del fondo superiore deve sopportare le
spese di costruzione e manutenzione del muro di sostegno dalle fondamenta
125
sino all'altezza del proprio suolo) presuppone che il dislivello tra i due fondi
sia di origine naturale, mentre, se lo stesso è stato causato dal proprietario del
fondo inferiore, rendendo indispensabile la costruzione di un muro di sostegno,
l'obbligo della relativa conservazione incombe su quest'ultimo. Cass. Ord. n.
8522 del 29/04/2016.
126
Art. 888 - Esonero dal contributo nelle spese
127
La parte ab (figura a sinistra) deve essere pagata tutta da B, ma A deve
dargli gratuitamente la metà del suolo occorrente. Il tratto bc deve essere
costruito a spese comuni.
Se il dislivello è artificiale (figura a destra) per esigenze di comodità o
tecniche, A deve partecipare alla spesa in parti eguali con B e l'altezza di
tre metri va misurata dal piano di campagna originario al livello b.
128
Art. 889 - Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi
Chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso
il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare
la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del
perimetro interno delle opere predette.
Per i tubi d'acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro dira-
mazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.
Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali.
129
"Tubi" sono i manufatti destinati a trasportare un flusso costante di li-
quidi o gas. Il termine non ricomprende quindi le canne fumarie e i comi-
gnoli, regolati dall'art. 890 C.C.; ricomprende i tubi del riscaldamento. In-
vece serbatoi di combustibile, bombole di gas, caldaie, sono regolati
dall'art. 890 C.C. (il legislatore aveva ancora esperienze di riscaldamento
ottocentesche!)
Rientrano fra i "tubi per acque" i tubi pluviali; la Cassazione (vedi le
massine) ha poi scritto in una occasione che i canali di gronda sono assi-
milati ai pluviali (perché mai? se il legislatore non li ha citati, sapeva be-
nissimo ciò che faceva!) e in altra occasione che anche la grondaia è ri-
compresa fra i tubi! Credo proprio che i giudici abbiano confuso la gron-
daia con il canale di gronda e che non avessero mai visto un tetto! Se la
grondaia non viene considerata si fini delle distanze, come può poi essere
arretrata rispetto a quel muro che invece può essere costruito? Lo stesso
ragionamento vale per il canale di gronda che rifinisce la grondaia. Come
è possibile che sia lecito far piovere liberamente le acque dalla falda del
tetto e non sia lecito raccoglierle in un canale che riduca i danni? Quando
il testo è chiaro, interpretazioni di questo genere sono solo fantasie ma-
late.
Per lo stillicidio si veda l'art. 905 C.C.
Le norme dell'art. 889 trovano limitata applicazione in caso di uso di
cose comuni e nel condominio in cui si deve tenere conto di particolari
esigenze e situazioni; vanno però osservate, salvo esigenze particolari
collettive, le distanze di tubi ed altro dalle singole unità individuali.
130
Se B ha costruito a sue spese un muro di cinta sul
confine verso A, non deve osservare distanze per il
pozzo ab; se A acquista la comunione del muro non
può pretendere lo spostamento del pozzo, ma solo
l'eliminazione di infiltrazioni o immissioni.
131
Il locale M è destinato a latrina, ma è re-
golarmente allacciata ad una fognatura.
Essa non rientra tra le opere indicate
nell'art. 889 e, a seconda della sua strut-
tura, dovrà rispettare l'art. 873 C.C.
132
Art. 889 - Giurisprudenza della Cassazione
Nota: Si vedano anche le massime riportate all'art. 890 CC.
Serbatoi di gasolio - Gli impianti di riscaldamento per uso domestico, ali-
mentati a nafta, non sono assoggettabili alla disciplina posta dall'art. 889 c.c. in
tema di distanze delle cisterne, ma a quella di cui all'art. 890 c.c., il quale stabi-
lisce il regime delle distanze per le fabbriche e i depositi nocivi o pericolosi in
base ad una presunzione di nocività e pericolosità, che è assoluta ove prevista
da una norma del regolamento edilizio comunale, ed è invece relativa - e, come
tale, superabile con la dimostrazione che, in relazione alla peculiarità della fat-
tispecie ed agli accorgimenti usati, non esiste danno o pericolo per il fondo vi-
cino - ove manchi una simile norma regolamentare. Cass, n. 10607 del 23/05/20.
Giurisprudenza consolidata, ma non molto chiara, per la difficoltà di capire che cosa
in concreto si intende per serbatoio, cisterna, deposito. E che dire di un serbatoio di ferro
contenuto in una vasca di cemento, per ovviare a spandimenti dal serbatoio? A ma pare
chiaro che l'art. 889 ha voluto regolare ogni vano sotterraneo da possono aversi infil-
trazione; poco importa la sostanza, visto che pozzi e cisterne di solito contegno acqua. E
il divieto è assoluto esattamente come quello di cui all'art. 890. Invece questo regola i
depositi diversi da pozzi, cisterne, fosse biologiche e quindi fosse aperte, accumuli in
superficie o in locali. Due situazioni chiaramente elencate e descritte e davvero non si
capisce il perché di una indegna confusione!
Tubi acqua e gas - La distanza di almeno un metro dal confine che l'art. 889,
comma 2, c.c. prescrive per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, si
riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o
gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo
vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni e
non è pertanto applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione
dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a quella del ca-
mino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'art. 890 c.c. e, quindi, po-
ste alla distanza fissata dai regolamenti locali. Cass. n. 23973 del 12/10/2017.
I requisiti che il flusso sia "continuo" e il pericolo permanente, se li è inventati, nel
suo piccolo, la Cassazione. Il pericolo basta che sia potenziale. Se carico il gasolio una
volta all'anno e il tubo lo spande nel terreno il danno è fatto; non è necessario che lo
spanda tutti i giorni. E quale sarebbe un pericolo permanente? Il danneggiamento è
permanente, il pericolo è, per definizione, solo potenziale. Se fa danno è una certezza,
non un pericolo!
Tubi e condominio - In tema di condominio, le norme che regolano i rap-
porti di vicinato trovano applicazione, rispetto alle singole unità immobiliari,
solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la natura
dei diritti e delle facoltà dei condomini, sicché il giudice deve accertare se la
133
rigorosa osservanza di dette disposizioni non sia irragionevole, considerando
che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il
contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi della convi-
venza tra i condomini. Ne deriva che, anche con riferimento ai tubi idrici
dell'impianto di riscaldamento, l'art. 889 c.c. è derogabile solo ove la distanza
prevista sia incompatibile con la struttura degli edifici condominiali. Cass. n.
1989 del 02/02/2016.
134
Nota: sono pure sciocchezze; la Cassazione non ha distinto fra bombole portatili da
10-15 kg e i piccoli serbatoi fino a 5000 kg, ignora che la pericolosità è dimostrata dalle
norme antincendio che le riguardano e regolano, e che prescrivono rigide misure di si-
curezza, ignora che vi sono le norme UNI da rispettare!
Cisterna gasolio - In tema di distanze legali per pozzi e cisterne, l'art. 889
C.C. è norma di carattere generale, mentre il successivo art. 890 C.C. è norma di
carattere specifico, che riguarda i depositi nocivi o pericolosi per i quali sussiste
una presunzione assoluta di nocività e pericolosità; tuttavia, in assenza di una
specifica regolamentazione, il limite di due metri fissato dall'art. 889 C.C. per i
depositi "innocui" vale anche per i depositi nocivi o pericolosi (nella specie, ci-
sterna di gasolio) in ossequio al principio di ragionevolezza e coerenza del si-
stema. Cass. n. 351 del 10/01/2011
Nota: è difficile ammettere che la Cassazione ignora che vi sono norme antincendio
da osservare e che dimostrano da sole la pericolosità del deposito, con proprie regole.
Tubi per cavi elettrici - La distanza di almeno un metro dal confine è pre-
scritta dall'art. 889, secondo comma, C.C., per l'installazione dei tubi dell'acqua,
del gas e simili, giacché per tali condutture, aventi un flusso costante di sostanze
liquide o gassose, il legislatore ha tenuto conto della loro potenziale attitudine
ad arrecare danno alla proprietà contigua, stabilendo, con valutazione "ex ante",
una presunzione iuris et de iure di pericolosità. Tra dette opere non rientrano i
tubi destinati all'illuminazione e i loro arredi per i quali, non espressamente
contemplati nella menzionata disposizione, non soccorre la presunzione asso-
luta di pericolosità ed è, pertanto, necessario - affinché in via di interpretazione
estensiva possa ritenersi ugualmente sussistente l'obbligo di rispettare le di-
stanze ivi previste - accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche carat-
teristiche e con onere della prova a carico della parte istante, se abbiano o meno
attitudine a cagionare danno. Cass. n. 25475 del 16/12/2010
Nota: che per i tubi di liquidi o gas sia richiesto il requisito del "flusso costante" è
una sciocchezza della Cassazione che non si sa da dove sia uscita.
135
Tubi nel condominio - In materia condominiale, le norme relative ai rap-
porti di vicinato, tra cui quella dell'art.889 C.C., trovano applicazione rispetto
alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta
struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei
singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra con-
domini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza
non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più apparta-
menti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari inte-
ressi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rap-
porti condominiali. (Nella specie, taluni condomini avevano collocato, senza ri-
spettare le distanze legali, una tubazione per il passaggio del gas metano lungo
il muro che divideva la propria unità immobiliare da quella di altro condomino,
il quale aveva così proposto, nei loro confronti, domanda di risarcimento danni
e ripristinatoria; la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva accolto
le pretese attoree, dando rilievo alla circostanza che i convenuti non avevano
fornito alcuna prova circa l'impossibilità di posizionare altrove la tubazione).
Cass. n. 12520 del 21/05/2010.
Distanza insuperabile - L'art. 889, secondo comma, C.C., nel prevedere per
i tubi di acqua pura o lurida la distanza di almeno un metro dal confine, si fonda
su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che
non ammette la prova contraria; ne consegue che la norma del terzo comma del
medesimo art. 889, per la quale "sono salve in ogni caso le disposizioni dei re-
golamenti locali", deve essere intesa nel senso che questi possono stabilire una
distanza maggiore rispetto a quella minima fissata dal codice, ma non una mi-
nore. Cass. n. 6235 del 15/03/2010.
136
Come minimo si può pretendere che chi crea una fonte di rumore, adotti le necessarie
misure di isolamento e non aggravi il livello delle immissioni.
137
Canali di gronda - I canali di gronda ed i loro sostegni rientrano nella cate-
goria tecnico - giuridica degli sporti, per cui, ai sensi dell'art. 873 C.C., non si
tiene conto di essi nella misurazione della distanza tra fabbricati. Qualora in-
vece si controverta della violazione della distanza tra un canale di gronda e a
linea di confine (e non di distanza tra costruzioni) trova applicazione l'art. 889
comma secondo C.C. secondo il quale per i tubi di acqua pura o lurida (cui
vanno assimilati i canali di gronda) e loro diramazioni, deve osservarsi la di-
stanza di almeno un metro dal confine, sulla base di una presunzione assoluta
di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contra-
ria ed è irrilevante la posizione parallela, perpendicolare, convergente ecc.
che il tubo possa assumere rispetto alla linea di confine con il fondo vicino,
ovvero che il confine si trovi al di sotto del tubo del canale di gronda, anziché
lateralmente. Cass. n. 2964 del 05/04/1997.
Nota: Che il canale di gronda sia equiparabile ad un tubo è una affermazione molto
discutibile della Cassazione non basata su argomenti solidi; prima di tutto si dovrebbe
dimostrare che un canale di gronda fa più danni di una di una falda senza canale di
gronda!
Pluviale e sporti - A norma del secondo comma dell'art. 840 cod. civ., l'im-
missione degli sporti
nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino è consentita quando costui
non abbia interesse ad escludere l'immissione stessa, ossia quando questa inter-
venga ad un'altezza dal suolo tale da non pregiudicare un qualche concreto,
legittimo interesse del proprietario del fondo, in relazione alle concrete possi-
bilità di utilizzazione dello spazio (nella specie, era stato collocato un condotto
pluviale all'altezza di mt. 3,60 da un'area destinata a "posto-macchina". La S.C.,
in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la decisione del giudice
di merito, il quale aveva escluso la lesione di dominio lamentata dal proprieta-
rio della menzionata area, in considerazione del fatto che ogni sfruttamento a
scopo edificatorio del suolo non era ipotizzabile riguardo al contesto edilizio in
cui esso era inserito). Cass. 1484 del 26/02/1996
Tubi - In generale - L'art. 889 C.C. (il quale prescrive la distanza legale mi-
nima di un metro tra il confine ed i tubi d'acqua pura o lurida, e loro dirama-
zioni, pone una presunzione assoluta di dannosità della condotta in caso di di-
stanza inferiore ad un metro. Ne consegue che l'applicabilità di detta norma
prescinde da ogni indagine circa la assenza, in concreto, di una potenzialità
dannosa della condotta posta a distanza inferiore a quella legale (nella specie, è
stata confermata la sentenza del giudice di merito il quale aveva ritenuto irrile-
vante la circostanza che la tubazione fosse dotata di dispositivi idonei ad impe-
dire infiltrazioni). Cass. n. 12491 del 04/12/1995
138
Nota: la Cass. ha detto in altra occasione che non si deve rispettar la distanza per un
serbatoio di gasolio se esso è contenuto entro una vasca di contenimento; ma la vasca di
contenimento è una cisterna e si può riempire di liquidi! Forse voleva dire che non si
applica l'art. 890 C.C. Meno male che vi sono le norme antincendio!
Grondaie - Nella dizione "tubi d'acqua pura o lurida" adoperata dal secondo
comma dell'art 889 C.C. per stabilire la distanza minima dal confine, deve rite-
nersi compresa ogni specie di conduttura che serva al passaggio e, comunque,
allo scolo di acque, e quindi anche le grondaie, la cui funzione non differisce da
quella dei tubi, costituendo anche esse mezzi per smaltire le acque. Cass. n. 3013
del 08/05/1981
Nota: Decisione molto discutibile; ho il sospetto che i giudici abbiano confuso la gron-
daia con il canale di gronda! Se la grondaia non viene considerata si fini delle distanze,
come può poi essere arretrata rispetto al muro che invece può essere costruito? Lo stesso
ragionamento vale per il canale di gronda che rifinisce la grondaia. Come è possibile che
sia lecito far piovere liberamente le acque dalla falda del tetto e non sia lecito raccoglierle
in un canale che riduca i danni?
139
Art. 890 - Distanze per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi
140
Secondo la Cassazione, per cisterna si intende
solo il deposito di acqua e quindi la cisterna per il
gasolio o per altri liquidi (vini, mosti) è regolata
dall'art. 890 e non dall'art. 889 (Cass, 6217/1992). È
però decisione troppo formale visto che è senza
dubbio più pericolosa una infiltrazione di gasolio
che una di acqua!
È stato scritto che l'art, 890 è norma speciale ri-
spetto all'art. 889 CC; è cosa molto discutibile.
141
Nota: Meno male che ci sono le norme regolamentari perché altrimenti per la Cassa-
zione non si farebbe differenza fra un bombolone di gas e un serbatoio di acqua!
Fumo- Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pe-
ricolosi dall'art. 890 C.C. è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e
pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia
un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre,
in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione
di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata
al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti
può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino. (Nella specie la S.C. ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto presunta la nocività di un
impianto a fronte della fuoriuscita di esalazioni di fumo da un tubo poso sul
confine con la proprietà limitrofa, in violazione di una norma regolamentare
che imponeva la distanza di tre metri). Cass. n. 22389 del 22/10/2009.
Canna fumaria - Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi
nocivi e pericolosi dall'art. 890 C.C., nella cui regolamentazione rientrano anche
i comignoli con canna fumaria, è collegato ad una presunzione assoluta di no-
cività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui
vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima;
mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una pre-
sunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte
interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni
accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino. Cass. n.
142
3199 del 06/03/2002.
Nota: Il danno maggiore prodotto da una canna fumaria è l'immissione di fumo e di
odori; gli "appositi accorgimenti" dovranno escludere un danno in ogni possibile con-
dizioni d'uso. Ma perché mai la Cassazione deve arrampicarsi sugli specchi per modifi-
care una legge chiara? Da una canna fumaria si rispettano le distanze senza se e ma!
143
Art. 891 - Distanze per canali e fossi
144
Se B vuole costruire un fosso o canale, a
qualunque scopo esso sia destinato, deve os-
servare la distanza d pari o maggiore alla al-
tezza hg.
Altri esempi di canali coperti in cui deve sempre essere d=h, come mi-
nimo. Però la Cassazione si è orientata nel ritenere che se non vi è pericolo
di smottamento e il canale è chiuso, si ricade nell'art. 889 C.C.
145
.
Scavo estrattivo - L'art. 891 C.C., attinente alle distanze dal confine di canali
e fossi, si applica anche alle escavazioni non provvisorie eseguite per l'estra-
zione di materiale di qualunque specie, con la conseguenza che, nell'esercizio
delle cave, debbono osservarsi, in materia di distanze, non solo le disposizioni
delle leggi speciali dettate per ragioni tecniche, di polizia e di sicurezza sociale,
ma anche le norme del codice civile, atteso che la normativa e gli adempimenti
predisposti a garanzia di interessi generali non degradano né interferiscono
sulla posizione di terzi, come i proprietari di fondi confinanti, che, nel rapporto
privatistico di vicinato, mantengono, pertanto, il diritto, tutelabile davanti al
giudice ordinario, di pretendere che gli scavi siano effettuati nel rispetto delle
distanze legali. Cass. n. 10061 del 12/10/1993.
146
Nozione di canale - L'art. 891 C.C. il quale prescrive una distanza minima
dal confine per canali e fossi postula la realizzazione di uno scavo, non mera-
mente temporaneo, che presenti un fondo più basso per ambedue i fianchi ri-
spetto al piano di campagna, come tale suscettibile, anche se a ciò non destinato,
di raccogliere e convogliare le acque, di per sé, dotate di capacità erosiva ed
infiltratrice e perciò fonte di pericolo per le proprietà vicine. Pertanto non sono
soggette alla prescrizione delle distanze di cui all'art. 891 cit., quelle modifica-
zioni dello stato dei luoghi, anche se comportanti l'abbassamento del livello del
terreno, in cui non siano ravvisabili le connotazioni indicate, come nell'ipotesi
di una escavazione effettuata dal vicino per sistemare una rampa di accesso al
fabbricato, che abbia creato un dislivello rispetto al piano di campagna soltanto
da un lato del manufatto. Cass. n. 5687 del 19/05/1993.
147
Art. 892 - Distanze per gli alberi
148
La distanza si misura a partire dal punto della semina o dalla base
esterna dell'albero piantato, a livello del terreno. Per un albero adulto,
rispetto a cui non è possibile stabilire se è nato o se è stato piantato oppure
di quanto è cresciuto nel tempo, si dovrà necessariamente misurare la di-
stanza dal centro del tronco. È una distinzione un po' surreale che il legi-
slatore poteva evitarsi! Nulla vieta quindi di piantare un albero a tre metri
di distanza e poi di forzarlo a crescere in direzione del terreno del vicino!
Premetto che le espressioni usate dal legislatore sono alquanto infelici
dal punto di vista botanico perché egli ha preteso di distinguere le piante
a seconda che esse siano di alto fusto, di medio fusto o arbusti, senza ren-
dersi conto che lo sviluppo di una pianta non può essere determinato in
astratto, ma solo in relazione alle concrete condizioni climatiche ed alle
modalità di coltivazione. La stessa pianta, ad es. un Ficus elastica, può
essere una pianta d'appartamento a Bolzano e una pianta d'alto fusto in
Sicilia (o un bonsai a Roma!). Anche la nozione di arbusto è, spesso, solo
orientativa perché molti di quelli che noi consideriamo arbusti possono,
col tempo, diventare alberelli e alberi (bosso, fino a 16 metri; corniolo, 8
m; ginepro, 15 m; salicone, 8 m; alloro, 12 m; carpino, 25 m; nocciolo, 10
m, sorbo degli uccellatori, 15 m. ecc.).
La conseguenza di questo fatto è però grave sul piano giuridico: signi-
fica che l'obbligo di rispettare le distanze (o il diritto di chiederne il ri-
spetto) non sempre scatta nel momento in cui la pianta viene piazzata nel
terreno, ma solo nel momento in cui è chiaro che essa si avvia ad essere
un albero piuttosto che un arbusto. È ovvio però che se una persona
pianta un noce o un castagno a giusta distanza da altri alberi, con il suo
spazio vitale, si deve presumere che intenda farlo sviluppare regolar-
mente.
Alberi da piantare
La prima situazione è regolata dall'art. 892 il quale ci dice che chi vuol
piantare o seminare alberi in vicinanza del confine deve osservare la di-
stanza stabiliti da regolamenti od usi locali oppure, se questi mancano, le
seguenti distanze:
- Le piante di alto fusto (quali noci, castagni, querce, pini, cipressi, olmi,
pioppi, platani, ecc.) a tre metri dal confine. Diciamo quindi, a lume di
naso, e tenuto conto degli esempi proposti dal legislatore, che sono di alto
fusto (e nella nozione di fusto vanno comprese le ramificazioni principali)
149
le piante che, nella zona climatica in cui vengono piantate, supereranno
agevolmente i sei-sette metri di altezza complessiva o che hanno un
tronco, prima delle biforcazioni, di più di tre metri di altezza. Non sono
di alto fusto, di conseguenza, meli, peri, susini, peschi, sambuchi, evo-
nimi, ecc. La distinzione comunque va fatta in concreto, rispetto allo spe-
cifico albero piantato: una betulla può arrivare all'altezza di venticinque
metri, ma se è stata capitozzata per formare una chioma a due metri da
terra, non diventerà mai di alto fusto. La Cassazione ha sostenuto il con-
trario affermando che comunque la pianta potrebbe poi diventare di alto
fusto, ma è decisione irrazionale ed in contrasto con l'art. 892 CC che pre-
vede espressamente che castagni e robinie vengano potati a ceppaia.
- Le piante non di alto fusto, ad un metro e mezzo dal confine. La
norma stabilisce che si considerano tali gli alberi il cui fusto si ramifica ad
un'altezza non superiore a tre metri.
- Gli arbusti (anche più alti di tre metri), le viti, le piante rampicanti, le
siepi vive, le piante da frutto di altezza, in concreto, non superiore a due
metri e mezzo (pare che il legislatore si riferisca all'altezza del tronco
prima delle biforcazioni), possono essere piantati a mezzo metro dal con-
fine. A questa regola generale fanno eccezione:
- le siepi di piante che vengono ottenute recidendole in modo da sfrut-
tare i polloni del ceppo (castagno, ontano, ecc.), da piantare ad un metro
di distanza;
- le siepi di robinie, da piantare ad un metro e mezzo (hanno ampio
apparato radicale).
Siepe non è solamente la siepe di recinzione, ma anche quella che serve
ad altri scopi, quale tenere lontano animali, proteggere dal vento o dal
rumore, ecc. Il legislatore contempla quindi tre tipi di siepi:
- quella di canne, cespugli, arbusti, anche se più alti di tre metri; in que-
sto tipo dovrebbero rientrare i bambù (distanza mezzo metro);
- quella di ceppaie, cioè di piante di alto fusto tagliate periodicamente
vicino al ceppo (distanza un metro); la Cassazione ha affermato che la
regola vale per ogni tipo di pianta di alto fusto usata per siepi e che il
taglio a ceppaia è solo un esempio; anche altri tipi di taglio o potatura
possono portare allo stesso risultato;
- quella di robinie (distanza due metri).
Le distanze ora viste non devono essere osservate quando sul confine
vi è un muro (ovviamente senza aperture), poco importa se comune o di
150
proprietà esclusiva di uno dei due confinanti, a condizione che le piante
siano potate in modo da non superare l'altezza del muro. Il termine "pro-
prio" va inteso nel senso che si può piantare un albero a ridosso del muro
solo se questo è di proprietà esclusiva di chi pianta l'albero oppure co-
mune. Ricordo che il muro sul confine può essere alto fino a tre metri (art.
878 CC); se però si ha il diritto di tenere sul confine un muro di maggior
altezza, anche le piante possono essere fatte crescere vicino ad esso fino
alla sua altezza. Ciò vale anche per il caso in cui sul confine vi sia il muro
di una costruzione qualsiasi, privo di aperture, ma le piante devono ri-
spettare la distanza dagli spigoli iniziali e finali del muro (non si può
piantare l'albero sullo spigolo della casa altrui). La presenza di altro tipo
di recinzione (rete, filo spinato, staccionata) non incide sulle distanze in
esame. Le distanze dal muro comune si misurano dalla sua faccia esterna.
Ciò significa che il confinante in questo caso non può protestare ed
agire prima che le piante abbiano superato l'altezza del muro. E che il
proprietario delle piante, se è un tipo rognoso, può scegliere fra accorciare
le piante o alzare il muro fino alla massima altezza consentitagli!
In tutti gli altri casi ora visti il confinante può esigere che si estirpino le
piante cresciute o piantate a distanza non legale; per quanto detto sopra,
in alcuni casi invece di estirpare la pianta, potrà essere sufficiente potarla
in modo da darle una struttura definitiva che le consente di rientrare in
una categoria inferiore.
151
che diverrà una pianta superiore e tre metri; però la Cassazione ha deciso
che il termine iniziale inizia dal piantamento; quindi il confinante deve
stare attento a non lasciar trascorrere il termine se si accorge che la pianta
cresce oltre al dovuto). Si tenga inoltre presente che per le piante anteriori
al 1942 valgono le diverse distanze legali indicate dal precedente codice
civile del 1865, comunque pressoché identiche (in esso, più chiaramente
di oggi, ad es. in relazione a robinie, gelsi, si distingueva a seconda della
conformazione data alla pianta).
Se il diritto non è ancora stato acquisito, il confinante può richiedere in
qualunque momento che l'albero venga reciso o ridotto nel senso già
detto sopra.
Nel caso in cui si è acquisito il diritto, si può conservare l'albero, ma se
questo muore o viene abbattuto non può essere sostituito. In altre parole
il diritto sussiste "vita natural durante" dell'albero. La Cassazione ha
detto che per quelle piante di cui si sfruttano i polloni (castagno per pali
o travi), il taglio dell'albero non obbliga all'eliminazione della ceppaia.
Unica eccezione: la legge consente di sostituire l'albero o gli alberi che
facciano parte di un filare lungo il confine
. Non quindi se l'albero è il primo di un filare perpendicolare al confine.
Non è chiaro che cosa succeda se viene tagliato l'intero filare; è probabile
che si perda il diritto di ripiantarlo. (Cass. 15199/2008).
152
posto, la distanza si misura dal centro del tronco; altrimenti, se l'albero è
stato piantato, dal bordo esterno (vedere più avanti).
Canneti - Ai fini della distanza dal confine, l'art. 892 c.c. distingue le siepi
153
formate da arbusti, piante basse e canneti, con esclusione degli alberi di alto e
medio fusto, dalle siepi costituite da alberi di alto e medio fusto - purché og-
getto di periodica recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in altezza
e la favorisce in larghezza, rendendo, così possibile l'avvicinamento dei rami e
dei vari alberi e la formazione della protezione o barriera contro gli agenti
esterni - le quali devono osservare la distanza di un metro dal confine. Cass. n.
6765 del 19/03/2018.
L'art, 892 non parla di canneti. Se lo sono inventato, mentre il legislatore le canne
se le è proprio dimenticate. E non sempre le canne (Arundo Dorax) sono basse, visto
che possono arrivare a 10 metri di altezza. Si può decidere in via di analogia, ma non si
può fare a meno di stabilire caso per caso come sono tenute. Secondo la botanica sono
piante perenni di alte dimensioni e perciò assimilabili ad un albero. Quando capiranno
i giudici che le nozioni scientifiche non si ricavano dalle massime, ma dai libri scienti-
fici?
154
un arbusto o un albero, lo stabilisce la botanica, non la legge o il giudice!
Fico - Gli alberi di fico non possono considerarsi di alto fusto e rientrano, agli
effetti delle distanze da osservarsi dal confine, nella categoria di cui all'art. 892,
primo comma, n. 2, C.C., la quale comprende gli alberi il cui fusto, sorto ad
altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami e che vanno piantati alla
distanza di un metro e mezzo dal confine stesso. Cass. n. 12949 del 23/06/2015.
Alto fusto secondo la botanica - Gli alberi di alto fusto che, ai sensi dell'art.
892, primo comma, n. 1, C.C., devono essere piantati a non meno di tre metri
dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata
in botanica come "di alto fusto", ovvero con riguardo allo sviluppo comunque
da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza supe-
riore a tre metri. Cass. n. 3232 del 18/02/2015.
Siepi di alberi - Gli alberi di alto o medio fusto possono costituire siepe, ai
sensi dell'art. 892 secondo comma, C.C., anche se non appartengano - come i
cipressi - a specie contemplate espressamente dalla norma purché siano tagliati
periodicamente vicino al ceppo così da impedirne la crescita in altezza e favo-
rirne quella in larghezza; in tal caso sussiste l'obbligo di rispettare la distanza
di un metro dal confine. Cass. n. 1682 del 29/01/2015
155
Usucapione - Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal
confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del pianta-
mento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a
determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto
per decorso del tempo, come è desumibile dall'art. 892, terzo comma, C.C., che
fa riferimento, ai fini della misurazione della distanza di un albero dal confine,
alla base esterna del tronco "nel tempo della piantagione". Cass. n. 26418 del
16/12/2014.
Siepi e vedute - In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, agli effetti
dell'art. 907 C.C., il divieto di fabbricare opere in pregiudizio dell'esercizio di
una servitù di veduta, supponendo una modifica dell'assetto dei luoghi richie-
dente un'attività costruttiva, non può estendersi alla creazione di barriere natu-
rali, quali le siepi vive, cui è applicabile la diversa disciplina prevista dall'art.
892, primo comma, n. 3, C.C. Cass. n. 12051 del 17/05/2013.
Usucapione e rami - Il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio
fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione, ricono-
scendo espressamente l'art. 896 C.C. al proprietario del fondo, sul quale, essi
protendono, il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo. Ne
consegue che non rileva la sussistenza di un muro divisorio, proprio o comune,
sul confine, in quanto, ai sensi dell'art. 892 C.C., le piante devono essere tenute,
in ogni caso, ad un'altezza che non ecceda la sommità del muro stesso. Cass. n.
14632 del 24/08/2012.
156
Distanza da muro comune - In tema di limitazioni legali della proprietà, ove
due fondi siano delimitati da un muro comune, la linea di confine non si iden-
tifica con la linea mediana del muro medesimo, giacché su di esso, e sull'area di
relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispet-
tivo diritto per l'intera estensione ed ampiezza. Ne consegue che, ai fini della
misurazione della distanza legale di una siepe dal muro comune, si deve avere
riguardo alla facciata del muro stesso prospiciente alla siepe, e non calcolarsi
detta distanza rispetto alla linea mediana del muro comune. Cass. n. 10041 del
27/04/2010.
157
Art. 893 - Alberi presso strade, canali e sul confine di boschi
Per gli alberi che nascono o si piantano nei boschi, sul confine con
terreni non boschivi, o lungo le strade o le sponde dei canali, si osser-
vano, trattandosi di boschi, canali e strade di proprietà privata, i rego-
lamenti e, in mancanza, gli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispon-
gono, si osservano le distanze prescritte dall'articolo precedente.
158
Se però vi sono argini con scarpata interna ed esterna, la distanza si mi-
sura dal ciglio e . (antica giurisprudenza).
Alberi e regolamenti - In tema di distanze per gli alberi piantati in boschi sul
confine con terreni non boschivi, lungo le strade o le sponde dei canali - che
siano di proprietà privata - il rinvio all'art.892 C.C. formulato dall'ultimo
comma dell'art. 893 C.C., con riferimento alla maggiore distanza prevista dai
regolamenti comunali, deve intendersi esteso alle disposizioni regolamentari di
carattere generale in materia di distanze richiamate dal primo comma dell'art.
892 C.C. Cass. n. 17400 del 30/08/2004.
159
Art. 894 – Alberi a distanza non legale
Il vicino può esigere che si estirpino gli alberi e le siepi che sono
piantati o nascono a distanza minore di quelle indicate dagli articoli
precedenti.
160
suddetto titolare non e, inoltre, esentato da tale obbligo e, in caso di inos-
servanza, dalla relativa responsabilità per il solo fatto che il vicino non sia
avvalso della facoltà riconosciuta dall'art 896 C.C., di tagliare le radici che
si inoltrano nel suo fondo. Si vedano anche gli artt. 822 e 879 CC. Cass.
1703/1976.
Il diritto di tenere alberi o siepi a distanza non legale si acquista o per
convenzione o per destinazione del padre di famiglia o per usucapione
ventennale. L'albero che viene meno per qualsiasi motivo (frana, incen-
dio, fulmine, taglio, morte) non può essere ripiantato. Però non considera
"venuto meno" l'albero che rigermoglia e quindi è lecito conservare alla
precedente distanza i suoi polloni. Ovviamente non deve essere stato "uc-
ciso" dal vicino!
Se l'albero venuto meno fa parte di un filare è sempre consentito sosti-
tuirlo perché il filare ha una funzione autonoma, diversa da quella del
singolo albero che lo compone.
161
Art. 894 - Giurisprudenza della Cassazione
Usucapione - Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal
confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del pianta-
mento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a
determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto
per decorso del tempo, come è desumibile dall'art. 892, terzo comma, C.C., che
fa riferimento, ai fini della misurazione della distanza di un albero dal confine,
alla base esterna del tronco "nel tempo della piantagione". Cass. n. 26418 del
16/12/2014.
Recisione - In tema di distanze degli alberi dal confine, ai sensi dell'art. 892
C.C., è legittima e non affetta da ultra petizione la sentenza del giudice di merito
che, nel giudizio instaurato con domanda di sradicamento degli alberi posti a
dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale, ordini al
convenuto medesimo di mantenere le piante ad altezza non eccedente la som-
mità del muro di cinta, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 892 C.C. . Cass. n.
9280 del 09/04/2008.
162
Art. 895 - Giurisprudenza della Cassazione
Ceppaie - Il diritto di tenere alberi a distanza minore di quella legale si man-
tiene, ai sensi dell'art. 895, secondo comma, C.C., anche in base all'esistenza
delle ceppaie e dei polloni, atteso che le piante di nuova germogliazione sono
la continuazione vegetativa delle precedenti, sia come singoli individui, sia
nella universitas rerum in cui si concretizza il filare. Cass. n. 10192 del 30/04/2013.
Abbattimento - Ai sensi dell'art. 895, comma primo C.C., nella ipotesi in cui,
per morte recisione o abbattimento, un albero non facente parte di un filare sia
stato eliminato, si estingue, in deroga ai principi in tema di estinzione delle ser-
vitù, anche la servitù che consentiva il mantenimento dell'albero a distanza in-
feriore a quella legale, non avendo il titolare del fondo dominante alcun diritto
di sostituire l'albero eliminato se non osservando le distanze legali. Cass. n. 5928
del 15/06/1999.
163
essere sostituito se non con l'osservanza della distanza legale- importando de-
roga ai principi sul modo di Estinzione della servitù, non e suscettiva di esten-
sione oltre lo schema della particolare ipotesi da essa espressamente prevista.
Pertanto, agli effetti previsti dal citato art.895 C.C. il concetto di recisione non
può valere per quegli alberi il cui uso consiste nel taglio periodico, senza svel-
lere le ceppaie da cui sorgono i nuovi germogli. Cass. n. 1035 del 22/04/1966.
164
Art. 896 - Recisione di rami protesi e di radici
Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può
in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le
radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i
regolamenti e gli usi locali.
Se gli usi locali non dispongono diversamente, i frutti naturalmente
caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprieta-
rio del fondo su cui sono caduti.
Se a norma degli usi locali i frutti appartengono al proprietario
dell'albero, per la raccolta di essi si applica il disposto dell'art. 843.
L'art. 896 C.C. regola i rapporti del confinante con l'albero che lo "in-
vade". Scrive il legislatore che il proprietario di un terreno può, in qua-
lunque tempo, costringere il vicino a recidere i rami di un albero (poco
importa se a distanza legale o meno) che si protendono sul suo fondo. Il
legislatore ha regolato il caso più comune in cui per recidere i rami oc-
corre salire sull'albero e quindi entrare sul fondo altrui; ha quindi stabilito
che è il proprietario dell'albero a dover provvedere e che avrà la scelta tra
tagliare l'intero ramo oppure accorciare il ramo in modo che non oltre-
passi il confine. Si deve ritenere però che anche il proprietario invaso, se
vi riesce, possa tagliare, stando sul proprio terreno, quella parte di ramo
che oltrepassa la linea ideale del confine. Ed infatti per le radici il legisla-
tore stabilisce che sempre possono essere tagliate lungo il confine le radici
entrate nel fondo proprio.
Riguardo ai frutti, quelli portati da rami protesi sul fondo altrui e ca-
dutivi naturalmente, appartengono al proprietario del fondo su cui sono
caduti. Ciò significa che questi non ha diritto di raccogliere i frutti portati
dai rami protesi sul suo fondo (e che spettano al proprietario dell'albero
il quale può cercare di staccarli egli stesso), ma che deve attendere che i
frutti cadano per cause naturali; ad es. non può abbacchiare le noci!) In
certe zone gli usi locali consentono al proprietario dell'albero di entrare
nel fondo altrui per raccogliere i frutti caduti o per effettuare la raccolta.
Il diritto di recidere rami o radici di un albero può trovare limitazioni in
165
particolari norme locali che sottopongano a tutela alberi di certe specie o
dimensioni, in quanto la recisione comporti un danno per l'albero.
A proposto del diritto di protendere rami sul fondo altrui, la Cassa-
zione è più oscillante dei rami al vento. In una sua sentenza del 1980 e poi
in una del 1999, ha affermato che sarebbe possibile acquisire non solo il
diritto di servitù di tenere l'albero a distanza inferiore del consentito, ma
anche quello di protendere i rami sul fondo del vicino. Se così fosse ver-
rebbe meno il diritto di far recidere i rami. Nel 1978 e poi nel 1993 ha
affermato il principio contrario negando l'esistenza di una simile servitù.
La prima giurisprudenza è, a mio avviso, errata per vari motivi:
L'art. 896 è chiaro nel dire che i rami possono essere recisi in qualunque
tempo; non è possibile calcolare un momento iniziale da cui far decorrere
l'usucapione perché il ramo cresce continuamente e ogni giorno si con-
cretizza una situazione nuova a cui il proprietario del fondo servente ha
diritto di reagire (può tollerare e gradire un metro di ramo e può reagire
quando il ramo gli entra in casa! E se così è, i vent'anni decorrono dal
momento della semina, oppure dal momento in cui il ramo ha superato
il confine oppure dal momento in cui ha assunto dimensioni intollerabili?
Se fosse valida la tesi della Cassazione, il proprietario del fondo ser-
vente non potrebbe togliere i rami per costruire nella zona su cui si pro-
tendono, con assurda limitazione del suo diritto di proprietà. Ad ogni
modo con sentenza n. 4361/2002 la Cassazione mi ha dato ragione affer-
mando che: "Il diritto di fare protendere i rami degli alberi del proprio
fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione per-
ché l'art. 896 C.C. implicitamente lo esclude, riconoscendo espressamente
al proprietario del fondo sul quale i rami si protendono il potere di co-
stringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo".
Un problema mai esaminato è quello che concerne la sorte non dei rami
che invadano il fondo del vicino, ma quello del tronco stesso che, cre-
scendo invade il terreno del vicino (ricordo il castagno dell'Etna, detto dei
Cento Cavalli, che aveva 18 metri di diametro!).
166
egualmente comuni. Se un albero serve da limite di confine può essere
tagliato solo con il consenso del confinante.
167
del 1999 (abrogato nel 2004) in quanto tra i due ordini di norme non sussiste un
nesso di specialità, essendo la disciplina codicistica rivolta alla tutela delle pro-
prietà privata e quella pubblicistica alla protezione del patrimonio paesaggi-
stico nel suo complesso. Cass. n. 19035 del 10/07/2008
Nota: Decisione valida forse per il caso concreto; in via generale se norme paesaggi-
stiche vietano di tagliare alberi di una data dimensione, vi è ricompreso anche il divieto
di danneggiarli con potature incongrue; e sono nome che prevalgono sul diritto civile
(factum principis).
Accesso al fondo - La facoltà di accedere nel fondo del vicino, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 843 e 896, ultimo comma, C.C., per raccogliere i
frutti caduti dagli alberi piantati sul proprio fondo non corrisponde ad un di-
ritto di servitù, bensì al contenuto di una obbligazione propter rem, insuscettibile
di possesso e, quindi, di tutela possessoria. Cass. n. 16482 del 22/11/2002.
168
.
Gli apiari devono essere collocati a non meno di dieci metri da strade
di pubblico transito e a non meno di cinque metri dai confini di pro-
prietà pubbliche o private.
Il rispetto delle distanze di cui al primo comma non è obbligatorio
se tra l'apiario e i luoghi ivi indicati esistono dislivelli di almeno due
metri o se sono interposti, senza soluzioni di continuità, muri, siepi o
altri ripari idonei a non consentire il passaggio delle api. Tali ripari de-
vono avere una altezza di almeno due metri. Sono comunque fatti salvi
gli accordi tra le parti interessate.
Nel caso di accertata presenza di impianti industriali saccariferi, gli
apiari devono rispettare una distanza minima di un chilometro dai sud-
detti luoghi di produzione.
Articolo aggiunto dalla L. 24 dicembre 2003 n. 313. Disciplina dell'apicul-
tura; in vigore dal 1°gennaio 2005. Per apiario si intende "un insieme unitario
di alveari", cioè di arnie contenente una società di api.
169
Art. 897 - Comunione dei fossi
Ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune.
Si presume che il fosso appartenga al proprietario che se ne serve per
gli scoli delle sue terre, o al proprietario del fondo dalla cui parte è il
getto della terra o lo spurgo ammucchiatovi da almeno tre anni.
Se uno o più di tali segni sono da una parte e uno o più dalla parte
opposta, il fosso si presume comune.
Il fosso può essere naturale (alveo creato dalla stessa erosione dell'ac-
qua, anche se aiutato in tempi passati da interventi dell'uomo) oppure
artificiale (alveo e sponde determinate e mantenute dall'uomo).
Il fosso, se comune, può costituire una entità immobiliare a sé stante,
come una strada e quindi i fondi che confinano con essi non sono contigui
(ad esempio ai fini della distanza delle costruzioni o del riscatto agrario
Contra Cass. 13558 /1991).
Il condomino che non vuole partecipare alle spese di manutenzione,
può rinunziare alla comunione del fosso, in analogia a quanto disposto
per il muro (art. 882 C.C.)
La presunzione di comunione di cui all'art. 897 C.C., del fosso interpo-
sto fra i fondi di rispettiva proprietà dei confinanti ed utilizzato per lo
scolo delle acque, è operante anche quando il confine catastale corre
lungo la mezzeria del fosso, mentre tale presunzione è esclusa quando il
fosso, corra per tutta la sua lunghezza nella parte interna di uno dei due
fondi confinanti. (Cass. 1201/1996).
Però la presunzione è semplice, sia per i fondi rustici che urbani, e
quindi è sempre consentito provare il diverso andamento del confine
(Cass. 1406/1979). Non bastano però le semplici risultanze catastali (Cass.
635/1964).
170
.
171
che l'arginello sia formato da almeno tre anni con la terra di spurgo. In tal
caso si presume di B o comune.
Fosso fra fondi - Qualora due fondi siano separati da un fosso, non è possi-
bile parlare di fondi tra loro confinanti, dal che deriva l'inapplicabilità dell'art.
892 C.C. in riferimento agli alberi che uno dei due proprietari abbia piantato,
all'interno del proprio fondo, in relazione al confine con il fosso. Inoltre, poiché
il fosso si presume, fino a prova contraria, di proprietà comune (art. 897 C.C.),
il diritto di ciascuno dei comproprietari si estende - sia pure nei limiti della re-
lativa quota - fino all'una e all'altra riva, con la conseguenza che il rispetto delle
distanze legali, in riferimento alle piantagioni esistenti nel fosso, va valutato
172
partendo dall'argine di proprietà del vicino. Tale disciplina non consente, co-
munque, l'impianto indiscriminato di alberi nel fosso, trattandosi di attività sot-
toposta al regime dell'art. 1102 C.C. in materia di uso della cosa comune. Cass.
n. 19936 del 25/09/2007.
Fosso fra fondi - La presunzione di comunione di cui all'art. 897 C.C., del
fosso interposto fra i fondi di rispettiva proprietà dei confinanti ed utilizzato
per lo scolo delle acque, è operante anche quando il confine catastale corre
lungo la mezzeria del fosso, mentre tale presunzione è esclusa quando il fosso,
corra per tutta la sua lunghezza nella parte interna di uno dei due fondi confi-
nanti. Cass. n. 1201 del 16/02/1996.
Fosso fra fondi - Il primo comma dell'art 897 C.C., secondo cui ogni fosso
interposto tra due fondi si presume comune, si riferisce cosi ai fondi rustici
come ai fondi urbani. Cass. n. 1017 del 20/03/1976.
Fosso fra fondi - La prima parte del capoverso dell'art 897 C.C., secondo cui
il fosso interposto tra due fondi si presume appartenente al proprietario che se
ne serve per gli scoli delle sue terre, si riferisce non solo alle acque scolaticce
normalmente defluenti dai terreni a monte, ma anche agli scoli di acque pio-
vane, di acque di irrigazione, e di acque bianche eventualmente provenienti da
edifici. Cass. n. 1017 del 20/03/1976.
173
Fosso comune - Allorché risulta che tra un fondo, da un lato, e un altro fondo
dall'altro, e interposto un fosso, tale fosse deve presumersi comune tra i pro-
prietari dei due fondi, a norma dell'art.897, primo comma, C.C., senza che la
presunzione di comproprietà cosi stabilita dalla legge (e che ammette la prova
del contrario) possa considerarsi vinta soltanto in base alle eventuali contrarie
risultanze catastali. Cass. n. 635 del 20/03/1964.
174
Art. 898 - Comunione di siepi
175
Se la siepe è sopra ad una scarpata che sostiene il terreno B, si presume
che sia di B.
176
Art. 899 - Comunione di alberi
Gli alberi sorgenti nella siepe comune sono comuni.
Gli alberi sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo
titolo o prova in contrario.
Gli alberi che servono di limite o che si trovano nella siepe comune
non possono essere tagliati, se non di comune consenso o dopo che l'au-
torità giudiziaria abbia riconosciuto la necessità o la convenienza del
taglio.
177
Se l'albero cresce proprio sul confine, si pre-
sume comune e se non vi è accordo A o B lo pos-
sono tagliare solo su autorizzazione del giudice
(in altre parole: occorre prendere un legale e pro-
cedere con un'a azione giudiziaria). A e B non
possono tagliare le radici e le fronde dal proprio
lato, salvo le normali potature.
178
Art. 899 - Giurisprudenza della Cassazione
Comunione di alberi e siepi, Presunzioni - L'art.899, 1 e 2 comma, C.C. -
secondo cui gli alberi sorgenti nella siepe comune sono comuni, mentre quelli
sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo titolo o prova con-
traria - sancisce nel primo caso, una presunzione assoluta di comunione, che
non ammette prova contraria, quale effetto della comunione di siepe, e nel se-
condo caso, una presunzione juris tantum pro indiviso e in parti eguali, in deroga
al principio generale stabilito in materia di accessione dall'art.934 C.C., in base
a cui la proprietà dell'albero dovrebbe considerarsi materialmente divisa in
parti, secondo la concreta posizione dell'albero al di qua e al di la della linea di
confine. Tale ultima presunzione trova il suo fondamento sia nella verosimi-
glianza che l'albero sia stato piantato a spese comuni, sia nel fatto che, salvo la
prova di una servitù contraria, non sarebbe altrimenti spiegabile l'esistenza di
un albero a distanza minore da quella legale - art.892 C.C. - e, trattandosi di
presunzione semplice può essere vinta dalla prova contraria che potrà essere
fornita mediante il titolo ovvero con tutti gli altri mezzi diretti a dimostrare che
l'albero non e comune e, in particolare, che esso fu piantato da uno solo dei
vicini. Cass. n. 1064 del 27/04/1966.
Comunione di alberi e siepi - Presunzioni - L'art 899 C.C. nei primi due
commi prevede due distinte ipotesi di presunzione di comunione degli alberi.
La prima concerne il caso in cui l'albero sorge nella siepe comune e qui la pre-
sunzione trova la sua giustificazione nel fatto stesso della comunione della
siepe e perciò e presunzione assoluta che non ammette prova contraria. La se-
conda concerne il caso che l'albero sorga sulla linea di confine e qui la presun-
zione trova la sua giustificazione nel fatto che, sorgendo l'albero nella linea di
confine, e verosimile che esso sia stato piantato in comune dai proprietari dei
due fondi confinanti o con il loro consenso e perciò trattasi di presunzione sem-
plice, potendosi sempre dimostrare che, pur sorgendo sulla linea di confine,
l'albero sia stato piantato da uno solo dei predetti proprietari. Il caso particolare
che l'albero sorge nel mezzo di un muro divisorio comune parzialmente diroc-
cato si inquadra nella seconda ipotesi e cioè nel secondo comma dell'art 899, in
quanto, rappresentando il muro divisorio comune la linea di confine, l'albero
in definitiva sorge su questa. Cass. n. 279 del 13/02/1963.
179
Sez. VII
Delle luci e delle vedute
180
serve) che potrebbe anche dover essere chiusa o regolarizzata. Ma che
dire se l'inferriata è applicata con un distacco di qualche centimetro sulla
facciata e magari "inginocchiata? È chiaro che in tal a caso si può guardare
a 90°. Però la distinzione diviene un assurdo bizantinismo
Se ci si attiene ad una nozione letterale di "affacciarsi", non si saprebbe
come qualificare una porta finestra che dà su di un balconcino privo di
ringhiera, una porta a piano terra, un terrazzino tanto vicino al terreno
da non aver bisogno di un parapetto (ed in effetti la Cassazione ha tal-
volta concluso che sono vedute a tutte gli effetti).
Si aggiunga poi che l'art. 905 C.C. prevede che da balconi, terrazzi e
lastrici solari si ha una veduta solo se vi è un parapetto che consenta di
affacciarsi. Come dire che una terrazza a due metri dal suolo, con un fer-
mapiede ed una catenella che impedisce di cadere, in cui si può soggior-
nare tranquillamente guardano in casa del vicino potrebbe essere co-
struita a meno di un metro e mezzo dal fondo vicino.
Allo stato delle cose, ed in particolare dell'uso di pareti vetrate traspa-
renti (anche solo dall'interno verso l'esterno) sarebbe molto più logica una
norma che considerasse veduta ogni situazione che consente di guardare
verso fondi vicini, salvo che abbia le caratteristiche di una luce regolare.
Attualmente la Cassazione pare orientarsi in questo senso e considera
veduta sia la possibilità di guardare che la possibilità di affacciarsi:
L'elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità
di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l'utilizzo di
mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è
prevista dall'art. 900 C.C. in aggiunta a quella di guardare, sicché, in date
condizioni, la mancanza di quest'ultimo requisito non esclude la configu-
rabilità della veduta, quando attraverso l'apertura sia comunque possi-
bile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspec-
tio. Cass. n. 22887 del 08/10/2013.
Ma ritorniamo all'esposizione dell'articolo 900 C.C.
Questo articolo definisce solamente le aperture o finestre aperte in una
parete e le distingue in finestre lucifere o luci che hanno solo la funzione
di dare luce ed aria ad un locale e in vedute o prospetti se hanno anche
la funzione di consentire di affacciarsi e di guardar fuori in una qualsiasi
direzione. Non rientrano quindi nella nozione di finestra le pareti di vetro
o di vetrocemento che non sono aperture.
181
Il legislatore non ha preso in considerazione l'ipotesi di una parete tutta
in vetro trasparente, come si usa nelle costruzioni moderne. Essa mio av-
viso vanno assimilate alle finestre perché non consentono la comunione
del muro (fortunatamente ora il problema è risolto dalla moderna urba-
nistica!)
Le luci possono infatti avere le più svariate dimensioni, da semplici fori
o feritoie a grandi aperture. La luce non presenta all'esterno alcun aggetto
o sporgenza, ma deve essere a filo della parete; quindi è irregolare se vi è
una inferriata inginocchiata (o ricurva).
Le vedute o prospetti hanno invece la caratteristica di consentire di
guardare fuori (finestre vere e proprie, dette finestre prospettiche, log-
giati) oppure di sporgersi oltre la parete su cui insistono (balconi).
Sono vedute dirette quelle che consentono di guardare verso il fondo
del vicino in linea perpendicolare rispetto alla parete su cui insiste l'aper-
tura; sono vedute oblique quelle che consentono di vedere, senza spor-
gersi dall'apertura, un fondo che si trova alla sinistra o alla destra rispetto
al fondo visibile con veduta diretta (ovviamente se su un fondo si ha ve-
duta diretta e obliqua perché è molto ampio, la veduta si considera tutta
diretta); la veduta è laterale se per vedere l'altro fondo occorre sporgersi
dall'apertura e guardare lateralmente; la veduta obliqua assorbe quella
laterale. La veduta laterale copre un angolo fino a 180°; la legge non tutela
un angolo di veduta maggiore (veduta retroversa); ma è opinione della
Cassazione che non trova appigli nella norma.
182
Le aperture a e b sono luci regolamentari; quella a pianterreno ha il suo
lato inferiore (soglia) ad almeno m 2,50 e quella al piano superiore ad
almeno m 2 dal pavimento.
La luce si trasforma in veduta se A crea entro il suo locale uno stabile
rialzo (soppalco, ad es.) che riduce la prescritta altezza della soglia.
Le altre aperture sono qualificabili come vedute; il terrazzo e forma una
veduta perché il parapetto è alto meno di due metri.
Vedute dirette
183
In questi casi invece si hanno solo vedute laterali od oblique verso B
perché il fondo di B si può vedere solo sporgendosi dalla finestra. Nel
caso del balcone, la veduta è obliqua solo se la parete abc è formata da un
muro alto almeno 2 m.; se è più basso si ha una veduta diretta.
184
Luce, rete metallica - Ai sensi dell'art. 900 c.c., non costituisce luce la rete
metallica apposta all'aperto sul confine col fondo del vicino, la quale non svolga
la funzione di dare luce e aria a una fabbrica, ma serva a proteggere la proprietà
o - in caso di fondi a dislivello - a tutelare l'incolumità delle persone. Cass. n.
15458 del 26/07/2016.
Muro divisorio - Il muro divisorio non può dar luogo all'esercizio di una
servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demarcazione del confine e
tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di inspicere e prospicere sul
fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'altro, a causa della reci-
proca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti. Cass. n. 6927 del
07/04/2015
185
aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li
abita. Cass. n. 955 del 16/01/2013 (Problema controverso, ma soluzione corretta).
Parapetto - Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900
C.C. conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 C.C. in
tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a
dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateral-
mente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza.
(Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la
sentenza di merito, che aveva respinto la richiesta di arretramento del parapetto
di un terrazzo risultato essere alto soltanto novanta centimetri, altezza corri-
spondente a quella non del "petto" ma del "basso ventre" di una persona di or-
dinaria statura e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro). Cass. n.
18910 del 05/11/2012
Nota: come già detto, nel 2012 vi è stata una intera serie di sentenze cervellotiche;
questa è una di quelle! Un tempo un parapetto di 90 cm era del tutto normale e la norma
deve valere per i nani e per i giganti. Inoltre un muretto, come già detto nel 2004, è
basso, ma consente di sedersi su di esso per guardare meglio!
Finestra alta - Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 C.C., è ne-
cessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo
del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare
frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte,
ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad
una visione mobile e globale. Ne consegue che non può attribuirsi natura di
veduta a finestre, poste all'altezza di un metro e cinquantacinque centimetri dal
pavimento ed aperte in un muro dello spessore di trenta centimetri, non con-
sentendo esse a persona di media statura una comoda prospectio, ovvero di
guardare e sporgere comodamente il capo verso il fondo limitrofo, senza che
abbia rilievo la possibilità di affacciarsi stando in punta di piedi, in quanto una
simile posizione comporta uno sforzo naturale sostenibile solo per un periodo
186
di tempo minimo e determina una situazione di instabile equilibrio. Cass. n.
8009 del 21/05/2012
Nota: ma si deve prevedere che il proprietario possa creare un soppalco! Non si può
valutare solo la situazione immediata.
187
da servitù di veduta a servitù di passaggio, posto che la funzione precipua della
porta è, appunto, il transito da un luogo all'altro. (Fattispecie relativa alla tra-
sformazione di una finestra prospiciente un lastrico solare in porta-finestra).
Cass. n. 10746 del 04/05/2010.
Lucernario - In tema di aperture sul fondo del vicino deve escludersi l'esi-
stenza di un tertium genus diverso dalle luci e delle vedute; ne consegue che
l'apertura priva delle caratteristiche della veduta (o del prospetto) può essere
qualificata giuridicamente solo come luce. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che
l'apertura-lucernario con portello apribile verso l'alto, realizzata sul tetto di un
immobile a pochi centimetri di distanza dalla terrazza del vicino, fosse qualifi-
cabile come luce e non come veduta). Cass. n. 20577 del 28/09/2007.
Veduta - Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 C.C., è necessa-
rio, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del
vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare fron-
talmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma
anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto
ad una visione mobile e globale. (Sulla base di tale principio la S.C. ha escluso
che avesse carattere di veduta un'apertura munita di una struttura metallica,
incorporata nel muro di confine). Cass. n. 22844 del 25/10/2006.
188
Panorama - La panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto de-
rivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto
che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi, non anche nella servitù di
veduta, che garantisce il diritto affatto diverso di guardare e di affacciarsi sul
fondo vicino. Cass. n. 8572 del 12/04/2006.
189
Art. 901 - Luci
Dopo aver definito all'art. 900 le luci, questo articolo stabilisce come
esse devono essere conformate; al successivo art. 902 si stabilisce che l'a-
pertura la quale non osserva le prescrizioni dell'art. 901 si considera co-
munque una luce (luce irregolare), ma che il vicino ha il diritto impre-
scrittibile di richiederne la regolarizzazione.
La prescrizione del primo comma è rivolta a garantire il vicino da in-
gressi abusivi e quindi l'inferriata deve essere di sufficiente robustezza;
non è consentito sostituire l'inferriata con un vetro non apribile, se esso
non è a prova di effrazione.
190
L'inferriata, prevista per tutelare la
sicurezza del fondo vicino, deve es-
sere tale da non consentire il passag-
gio neppure di un bambino. Non
deve consentire il passaggio di una
testa perché ciò consentirebbe di
esercitare una veduta diretta od obli-
qua.
La grata, prevista per impedire
l'immissione di oggetti all'esterno,
non deve avere una superficie libera
di ogni maglia superiore a 3 cm quadrati (per maglie quadrate significa
un lato interno di cm. 1,73).
Sia inferriata che grata non devono sporgere oltre la superficie della
parete.
Ecco come si misura l'altezza della soglia della luce se il piano al di
sotto di essa è inclinato, oppure se è inclinata la soglia:
191
.
Nel caso III la soglia a scivolo va misurata nella sua parte più alta.
192
Quando il fondo di B è costituito da un la-
strico solare, la soglia della luce deve essere
a m 2,5 perché la riduzione a m 2 si ha solo
quando la luce è in un locale posto al se-
condo piano rispetto ai piani calpestabili
esterni.
193
Art. 901 - Giurisprudenza della Cassazione
Luce irregolare - L'apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri
di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è
considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell'art. 901
C.C., sicché, nell'ipotesi di irregolarità, ai sensi dell'art. 902, secondo comma,
C.C. il vicino ha diritto di esigere che l'apertura sia resa conforme a tali prescri-
zioni, anche mediante la sopraelevazione all'altezza minima interna, finalizzata
ad impedire l'esercizio della veduta. Cass. n. 512 del 10/01/2013.
Parete finestrata - Posto che nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato"
l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in re-
lazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta
in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 -
il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra
pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusi-
vamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricom-
prendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere". Cass. n. 6604
del 30/04/2012.
194
Luce irregolare - In tema di aperture sul fondo del vicino, la natura di veduta
o luce (regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla
stregua delle caratteristiche oggettive dell'apertura stessa, rimanendo a tal fine
irrilevante l'intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita; tut-
tavia, un'apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel
fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare
con una manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conforma-
zione; rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la
chiusura, bensì solo la regolarizzazione. Cass. n. 233 del 05/01/2011.
Luci - L'art. 901 C.C. prevede che le luci devono avere, quanto all'altezza, un
doppio requisito: a) un'altezza minima interna (con riferimento al posiziona-
mento del lato inferiore della luce) non minore di due metri e mezzo dal pavi-
mento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare aria e luce, se esse sono al
piano terra, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; b) un'altezza
esterna non minore di due metri e mezzo dal suolo del vicino, a meno che si
tratti di un locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino
e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa. Pertanto,
in base alla lettera e alla "ratio" della norma, la riduzione a due metri è limitata
195
all'ipotesi di luce aperta in un locale situato a un livello di altezza superiore, che
sia pari ad un intero piano abitativo (altezza che ha comunque un ristretto mar-
gine di variabilità e non è solitamente inferiore a tre metri), e non può essere
estesa a qualunque altra ipotesi di dislivello, anche minimo (nella specie, quat-
tordici centimetri), naturale o artificiale. Cass. n. 15292 del 21/07/2005.
196
Art. 902 - Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci
197
si deve ritenere che si tratta di una semplice luce; così pure se l'apertura
è ad altezza inferiore, ma munita di inferriata e grata e non sporge oltre
la parete esterna.
Il vicino ha il diritto imprescrittibile di far regolarizzare la luce irrego-
lare.
La Cassazione ha dettato regole particolari per le luci in ambito condo-
miniale: "Le luci che si aprono tra un vano e l'altro dello stesso edificio
condominiale, quando insistono su muro comune, sono subordinate al
consenso del vicino e, pertanto, a differenza di quelle che si aprono sul
fondo aperto altrui, sono prive di quella connotazione di precarietà e di
mera tolleranza che caratterizza queste ultime, con la conseguenza che
sono sottratte alla disciplina di cui agli art. 901 e segg. C.C., e che, in par-
ticolare, essendo condizionata al consenso del vicino, la loro permanenza
nonostante il mancato consenso integra l'ipotesi tipica dell'usucapione,
consistente nell'aver subito un peso sulla proprietà per il tempo occor-
rente alla costituzione della servitù." (Cass. 7490/2001).
Ha anche affermato che il diritto di chiudere le luci del vicino co-
struendo in aderenza, previsto dalla norma dell'art. 904 C.C., se da un
lato limita il diritto di conservare la luce, stabilendo dall'altro anche le
condizioni perché possa procedersi alla chiusura della luce, non può tut-
tavia impedire che il vicino, qualora si tratti di luce irregolare non suscet-
tibile di essere resa conforme alle prescrizioni indicate nell'art. 901, possa
pretenderne la chiusura ancorché egli, alla stregua degli strumenti urba-
nistici, non possa costruire in aderenza (Cass. 4084/1982).
198
Art. 902 - Giurisprudenza della Cassazione
Luce - L'apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri di veduta
o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è considerata
come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell'art. 901 C.C., sicché,
nell'ipotesi di irregolarità, ai sensi dell'art. 902, secondo comma, C.C. il vicino
ha diritto di esigere che l'apertura sia resa conforme a tali prescrizioni, anche
mediante la sopraelevazione all'altezza. Cass. n. 512 del 10/01/2013.
Luce - In tema di aperture sul fondo del vicino, la natura di veduta o luce
(regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla stregua
delle caratteristiche oggettive dell'apertura stessa, rimanendo a tal fine irrile-
vante l'intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita; tuttavia,
un'apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel fondo
vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare con una
manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conformazione;
rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la chiusura,
bensì solo la regolarizzazione. Cass. n. 233 del 05/01/2011.
Lucernario - In tema di aperture sul fondo del vicino deve escludersi l'esi-
stenza di un tertium genus diverso dalle luci e delle vedute; ne consegue che
l'apertura priva delle caratteristiche della (o del prospetto) non può che essere
qualificata giuridicamente come luce. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'a-
pertura-lucernario con portello apribile verso l'alto, realizzata sul tetto di un
immobile a pochi centimetri di distanza dalla terrazza del vicino, fosse qualifi-
cabile come luce e non come veduta). Cass. n. 20577 del 28/09/2007.
Muro divisorio - In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà
confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 C.C., deve appli-
carsi il disposto dell'articolo 903 C.C., il quale, oltre a consentire, al primo
comma, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al
fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che
"se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso
dell'altro". Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipo-
tesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Cass. n. 13649 del 11/06/2007.
Condominio - Le luci che si aprono tra un vano e l'altro dello stesso edificio
condominiale, quando insistono su muro comune, sono subordinate al con-
senso del vicino e, pertanto, a differenza di quelle che si aprono sul fondo aperto
altrui, sono prive di quella connotazione di precarietà e di mera tolleranza che
caratterizza queste ultime, con la conseguenza che sono sottratte alla disciplina
di cui agli art. 901 e segg. C.C., e che, in particolare, essendo condizionata al
199
consenso del vicino, la loro permanenza nonostante il mancato consenso inte-
gra l'ipotesi tipica dell'usucapione, consistente nell'aver subito un peso sulla
proprietà per il tempo occorrente alla costituzione della servitù. Cass. n. 7490
del 04/06/2001.
200
Art. 903 - Luci nel muro proprio o nel muro comune
201
Nel caso in cui B abbia costruito
in appoggio rendendo comune il
muro bcde al fine di una nuova
luce di A si dovrà indagare come
si sia realizzata la comunione e se
essa abbia fatto diventare o meno
comune tutto il muro afcd . Si ap-
plica poi l'art. 904 per cui la luce
già esistente non può essere fatta chiudere se il vicino non vi costruisce
contro.
202
Art. 904 - Diritto di chiudere le luci
203
emulativi di cui all'art. 833 stesso codice, al solo scopo di arrecare nocu-
mento e molestia al vicino, senza alcun vantaggio proprio".
(Cass.12759/92).
E vietata ogni diversa opera che riduca la luce: ad esempio piantarvi a
ridosso siepi o alberi.
Muro divisorio - Il muro divisorio non può dar luogo all'esercizio di una
servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demarcazione del confine e
tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di inspicere e prospicere sul
204
fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'altro, a causa della reci-
proca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti. Cass. n. 6927 del
07/04/2015
Muro divisorio - In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà
confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 C.C., deve appli-
carsi il disposto dell'articolo 903 C.C., il quale, oltre a consentire, al primo
comma, al proprietario l'apertura di luci nel muro proprio che sia contiguo al
fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che
"se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso
dell'altro". Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipo-
tesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Cass. n. 13649 del 11/06/2007.
205
Art. 905 - Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi
Il problema delle vedute oblique viene trattato nell'art. 906 C.C. Qui si
tratta invece delle sole vedute dirette e dei balconi i quali, come già detto
parlando delle luci e vedute in genere (vedi sub art. 900), sono quelle che
permettono di guardare direttamente e perpendicolarmente verso il
fondo del vicino senza doversi sporgere. Ciò che poi in concreto importa
non è la modalità di veduta, ma il concreto orientamento della parete re-
cante la veduta rispetto al fondo confinante, tenuto conto dell'andamento
del confine, non sempre rettilineo.
La veduta può essere costituita da finestra, porta finestra, balcone, log-
giato, vano aperto, lastrico solare con parapetto, sporti, ecc.
La linea più esterna della veduta deve trovarsi ad almeno m 1,5 dal
confine.
La disposizione contenuta nell'art. 905 C.C., secondo la quale per l'a-
pertura di vedute dirette verso il fondo del vicino occorre osservare la
distanza di un metro e mezzo, va messa in relazione con la norma di cui
all'art. 873 stesso cod., che prescrive una distanza non minore di tre metri
(o quella maggiore stabilita dai regolamenti locali) per le costruzioni sui
fondi finitimi; non può di conseguenza aprirsi una veduta iure proprietatis
se non sia stata rispettata nel compiere la costruzione, la distanza del
fondo vicino stabilita dal codice e dai regolamenti edilizi; in tal caso, la
veduta non può essere di ostacolo alla comunione coattiva di un muro ex
206
art. 875 cod. civile. nei casi in cui i regolamenti comunali impongano un
distacco tra gli edifici maggiori di quello fissato dal codice, analogo au-
mento deve ritenersi prescritto per la legittimità della apertura delle fine-
stre, in quanto nel caso contrario verrebbe turbata la parità dei diritti con
ingiustificato favore di chi effettua per primo la costruzione che potrebbe
aprire le proprie vedute a distanza di m 1,50 dal confine, in base all'art.
905 C.C. e pretendere che il vicino si arretri dal confine stesso alla di-
stanza prevista dal regolamento comunale togliendogli la facoltà di ren-
dere comune il muro costruito a distanza inferiore a quella prevista dal
regolamento. (Cass. 1357/1959)
L'art 905 C.C. usa l'espressione "fondo" in senso generico, compren-
dente ogni immobile, scoperto o coperto, ai fini del rispetto delle distanze
nelle costruzioni. In particolare esso deve essere osservato anche quando
la veduta cade su di un muro cieco senza copertura oppure in presenza
di un solo muro di recinzione, ed anche con riferimento all'apertura di
vedute laterali ed oblique a sensi dell'art 906. (Cass. 2427/1973)
Quando due muri formano un angolo, le finestre aperte su di essi con-
sento una vista diretta verso l'altro muro; se però l'angolo è superiore a
90° il muro non può essere visto se non sporgendosi dalla finestra e
quindi la veduta è obliqua.
Se sui muri vi sono balconi senza muri di riparo, la veduta diventa di-
retta in ogni caso.
L'obbligo di rispettare le distanze viene meno se fra i due fondi vicini
vi è una strada pubblica o un pubblico spiazzo. La Cassazione ha stra-
volto questa chiara disposizione affermando che non è necessario che la
strada sia FRA i fondi, ma basta che sia di fronte ad essi, con ciò igno-
rando la ratio e la lettera della norma: che non si poteva vietare a chi ha
un fronte sulla strada di aprirvi finestre. Ma per quale motivo gli si deve
consentire di aprirla a pochi centimetri dalla finestra del vicino, magari
con il pericolo di sbattergli la persiana sulla faccia o di passare dalla fine-
stra per concupirne la moglie? Ecco la massima: "Con riferimento esclu-
sivo alle vedute dirette, la norma dell'ultimo comma dell'art. 905 del co-
dice civile dispone che il divieto di aprire vedute verso il fondo del vicino,
a distanza minore di un metro e mezzo, "cessa allorquando tra i due fondi
vi è una via pubblica". Per l'operatività di questa disposizione entrambi i
fondi devono confinare con la strada pubblica, ma è irrilevante la collo-
cazione di essi, non richiedendosi che si fronteggino e che da tale via
207
siano separati, in quanto l'esonero dal divieto è giustificato dall'identifi-
cazione della strada pubblica con uno spazio dal quale chiunque, e,
quindi, non soltanto chi si affacci dalla veduta posta a distanza illegale,
può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti. La Cassazione
si è successivamente corretta (vedi sotto Cass. 13000/2013).
È vietato trasformare una finestra in un balcone perché ciò facendo si
aggrava la servitù di veduta. Se si innalza un edificio di un piano, non si
possono creare nuove servitù di veduta.
208
.
Nel primo caso (figura sopra) viene indicato come misurare la distanza
da una finestra.
Nel secondo caso la misura da un balcone (dal lato esterno del para-
petto, ma senza computare cornici e gocciolatoi che non "aiutano a ve-
dere").
209
Se il terreno di B è sostenuto da un muro,
la distanza della finestra si misura dal piede
del muro. Se B costruisse un parapetto nel
punto d, creerebbe a sua volta una veduta
verso A.
210
Un terrapieno naturale recintato da una rete
metallica o da alta cancellata, non ha le caratteri-
stiche di una veduta verso B.
211
Se A ha costruito la sua terrazza con parapetto
a meno di m. 150 da B, e B protesta, A ha due modi
per risolvere il problema: o demolisce il muretto e
lo ricostruisce a giusta distanza oppure può la-
sciare il parapetto, ma deve costruire un secondo
parapetto (muro, ringhiera) sul terrazzo, a di-
stanza di m 1,5 dal confine, creando così una stri-
scia di terrazzo non accessibile.
Secondo una sentenza della Cass. 38/1946, l'apertura di una porta crea
o meno una veduta a seconda della
destinazione permanente della
porta. Quindi la porta di un'abita-
zione che dà in un vano abitato crea
una veduta; una porta che dà in un
ripostiglio o magazzino non crea
una veduta. Quindi non crea un pos-
sesso di veduta utilizzabile per l'u-
sucapione di essa.
Decisione sciocca. perché il crite-
rio deve essere oggettivo, come con-
fermato da Cass. 499/2006.
212
La porta B non costituisce una veduta se
è destinata solo ad accedere al fondo B ed è
cieca; se fosse una porta a vetri, sarebbe una
veduta. Decisione sciocca perché manca il
criterio oggettivo; chi può prevedere se la
porta verrà sempre chiusa e l'uso che verrà
fatto del locale?
213
Art. 905 - Giurisprudenza della Cassazione
Copertura di una terrazza - La copertura della terrazza da cui si esercita la
servitù di veduta non costituisce aggravamento della servitù medesima ai sensi
dell'art. 1067 c.c., giacché la copertura, pur potendo consentire un uso più in-
tenso ed assiduo del diritto, non ne amplia il contenuto essenziale, lasciando
inalterati i limiti della inspectio e della prospectio sul fondo vicino. Cass. n. 13444
del 30/06/2016.
Luci e vedute - Non c'entrano con le distanze fra le costruzioni - L'art. 905
c.c., che salvaguarda il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l'a-
pertura di vedute negli edifici vicini al fine di proteggere interessi esclusiva-
mente privati, non ha correlazione alcuna con l'art. 873 c.c. che, diretto a tute-
lare, evitando la formazione di intercapedini dannose, interessi generali di
igiene, decoro e sicurezza negli abitati, consente agli enti locali di stabilire di-
stanze maggiori secondo una valutazione particolare dei detti interessi collet-
tivi. Ne consegue che non vi è spazio per una integrazione della previsione
dell'art. 905 c.c. con quelle eventuali più restrittive in tema di distanze tra co-
struzioni contenute nei regolamenti locali, deponendo in tal senso anche l'as-
senza nel testo della norma di un rinvio – che è, invece, contemplato nell'art.
873 c.c. – ai regolamenti in questione. Cass. n. 15070 del 11/06/20.
Servitù su cosa comune - Nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici
appartenenti a proprietari diversi, l'apertura di una veduta da una parete di
proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni
contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a
carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art.
1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi
sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o
asservite; né può invocarsi, al fine di escludere la configurabilità di una servitù
di veduta sul cortile di proprietà comune, il principio nemini res sua servit, il
quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo
servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di
essi sia anche comproprietario dell'altro. Cass. n. 26807 del 21/10/2019 (Dif-
forme: N. 4386 del 2007).
214
come l'arretramento del parapetto o l'apposizione di idonei pannelli che ren-
dano impossibili il prospicere e lo inspicere in alienum, opera esclusivamente nei
casi di violazione delle distanze delle vedute e non pure di quelle tra costru-
zioni, per le quali la presenza delle vedute è mero presupposto fattuale per l'ap-
plicazione della disciplina più restrittiva prevista dall'art. 9 del D.M. n. 1444 del
1968. Cass. Ord. n. 4834 del 19/02/2019.
Vedute e DM 1444/1968 - L'art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968 non impone
di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato,
in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete fine-
strata e l'edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del
prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal
confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta
osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente
abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vi-
cino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt.
10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture
e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale
dal confine, ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art. 875, comma
2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti. Cass. Ord. n. 4848 del 19/02/2019.
215
Luci e vedute - Anche su parti comuni - tema di rispetto delle distanze legali
per l'apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. si ap-
plicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto
in comproprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui
ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette. Cass. n. 17480
del 04/07/2018.
216
veduta retroversa non sia tutelata)
Veduta con sbarre - Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario,
oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vi-
cino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontal-
mente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e late-
rale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo
un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di moti-
vazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto congruamente motivata la sentenza
di merito, che aveva escluso la natura di veduta relativamente ad una finestra
posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e munita di sbarre orizzontali infisse in
un muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non potendo la stessa costituire un co-
modo affaccio). Cass. Ord. n. 346 del 10/01/2017 (Diff. n. 22887 del 2013).
Pareti finestrate, solo se vedute - Posto che nella disciplina legale dei "rap-
porti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze
sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti
finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del D.M.
n. 1444 del 1968 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di
dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che
riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "ve-
dute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lu-
cifere". Cass. n. 26383 del 20/12/2016.
217
Norme regolamentari - La disciplina delle distanze tra fabbricati, in quanto
diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitati,
pur dettata in via generale dall'art. 873 C.C. (che richiede una distanza non mi-
nore di tre metri), può essere resa più rigorosa dalle disposizioni dei regola-
menti locali, mentre la disciplina della distanza delle vedute dal confine, in
quanto finalizzata alla tutela del mero interesse privato alla salvaguardia del
fondo vicino dalle indiscrezioni dipendenti dalla loro apertura, trova la sua
fonte esclusivamente nell'art. 905 C.C. (che richiede una distanza di un metro e
mezzo), salvo che la maggior distanza delle costruzioni, prevista dai regola-
menti locali, sia riferita specificamente al confine, nel qual caso le norme rego-
lamentari regolano anche la distanza delle vedute dal confine. Cass. n. 4967 del
12/03/2015
Nota: È chiaro che in tutti i casi in cui norme regolamentari stabiliscono distanze
maggiori di quelle previste dal C.C. per vedute e luci, diventano superate le distanze
previste dal codice.
Strada pubblica - Tale norma ha avuto due diverse interpretazioni nella giu-
risprudenza di questa Corte. Alcune pronunce sono nel senso che la cessazione
del divieto opera sia quando la via pubblica separi i due fondi rendendoli fron-
teggianti, sia nel caso in cui essa si ponga, rispetto alle vedute, ad angolo retto
(Cass. S.U. n. 3460/77; conforme sulla premessa generale, ma con riferimento
all'applicazione dell'art. 907 C.C., Cass. n. 14784/09). Altre hanno ritenuto che
la cessazione del divieto valga a prescindere dalla reciproca collocazione dei
fondi rispetto alla strada, e dunque, oltre che nei casi anzi detti, anche nell'ipo-
tesi in cui i fondi siano contigui, in quanto l'esonero dal divieto è giustificato
dall'identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque
può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti (Cass. nn. 4222/09 e
218
2159/02). Ritiene questo Collegio di prestare adesione al primo dei due indi-
rizzi, sia in ragione del disposto dell'art. 374 C.P.C., comma 2, sia perché la ratio
della cessazione del divieto in oggetto va ravvisata in ciò, che la tutela della
riservatezza presuppone la contiguità dei fondi, interrotta la quale, per effetto
della presenza di una via pubblica, non vi è ragione di mantenere il divieto di
apertura di vedute dirette a distanza inferiore da quella prescritta dall'art. 905
C.C. . Quando, invece, come nel caso di specie (secondo l'accertamento com-
piuto in punto di fatto dalla Corte territoriale e non oggetto di censura nell'iter
motivazionale che lo sostiene i due fondi siano allineati lungo la medesima via
pubblica, la contiguità non viene meno e con essa permane l'esigenza di riser-
vatezza tutelata dalla norma.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel caso di edifici co-
struiti in adesione sullo stesso lato di una via pubblica non trova applicazione
l'esonero dall'obbligo delle distanze, di cui all'art. 905 C.C., u. c. , per l'apertura
in una di esse di vedute laterali od oblique sulla costruzione vicina, restando
questa soggetta al rispetto delle distanze stabilite dall'art. 906 C.C. ancorché la
veduta formi nello stesso tempo una veduta diretta sulla via pubblica (Cass. n.
5439/92; in senso conforme, Cass. n. 2665/78). L'art. 906 C.C. costituisce, infatti,
un'innovazione rispetto all'art. 588 cpv. C.C. del 1865, contenente la previsione
opposta, innovazione dettata non solo e non tanto dal fatto che è ben difficile
che una strada pubblica possa avere una larghezza inferiore a 75 cm., ma anche
e soprattutto dall'oggettiva inopportunità che l'eventuale persiana di cui sia
munita la finestra da cui si esercita la veduta si apra troppo a ridosso del fondo
vicino. Cass. n. 13000 del 24/05/2013 (importante e chiara sentenza).
219
la veduta tramite un balcone aggettante, la cui realizzazione viola, pertanto,
l'art. 840 cod.civ. Cass. 14620 del 24/08/2012.
Vedute oblique - Ai fini della distinzione tra vedute dirette, laterali ed obli-
que, assume rilievo decisivo la posizione di chi guarda, in particolare quando
siano possibili più posizioni di affaccio. Con riferimento ai balconi, pertanto,
rispetto ad ogni lato di questo si avranno una veduta diretta, ovvero frontale, e
due laterali o oblique, a seconda dell'ampiezza dell'angolo; ne consegue che,
pur essendo la tutela delle vedute limitata all'arco massimo di centottanta gradi,
con conseguente esclusione di quelle C. d. retroverse, può verificarsi che una
delle vedute oblique esercitabili da un balcone sia retroversa rispetto alla parete
in cui il medesimo è collocato, ma non per questo sia illegittima. Cass. 220 del
05/01/2011.
Strada pubblica - L'ultimo comma dell'art 905 C.C., il quale esclude l'obbligo
di osservare una distanza minima per l'apertura di vedute dirette verso il fondo
del vicino quando tra i due fondi contigui vi sia una via pubblica, non presup-
pone necessariamente che questa separi i fondi medesimi e che questi si fron-
teggino, ma richiede soltanto che essi siano confinanti con la strada pubblica,
indipendentemente dalla loro reciproca collocazione, sicché i fondi possono an-
che essere contigui o trovarsi ad angolo retto; ciò in quanto l'esonero dal divieto
è giustificato dall'identificazione della strada pubblica come uno spazio dal
quale chiunque può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti. Cass.
4222 del 20/02/2009.
220
Ballatoio - In tema di limitazioni legali alla proprietà, l'apertura di un balla-
toio di collegamento tra la pubblica via e l'ingresso delle abitazioni situate al
primo e al secondo piano può essere qualificata veduta ed assoggettata al re-
gime giuridico del rispetto delle distanze fissato nell'art. 905 C.C., quando sia
idonea, per ubicazione, consistenza e struttura, a consentire l'affaccio sul fondo
vicino. Cass. 25188 del 15/10/2008.
Veduta su spazi comuni - In tema di rispetto delle distanze legali per l'aper-
tura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 C.C. si applicano
anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in com-
proprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui ricade
la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette. Cass. 12989 del
21/05/2008.
Porticato - In materia di diritti reali, l'obbligo del rispetto delle distanze legali
trova applicazione anche quando la veduta viene esercitata dal piano terreno
di una costruzione (nella fattispecie, dal portico inserito nel fabbricato), non oc-
correndo che l'apertura sia in tal caso munita di parapetto, come richiesto
dall'art. 905 C.C. soltanto con riferimento a "balconi o altri sporti, terrazze, la-
strici solari e simili", essendo disagevole e pericoloso, avvenendo dall'alto, l'af-
faccio dai medesimi in assenza di protezione. Cass. 6576 del 29/03/2005.
221
regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione.
(La sentenza impugnata aveva annullato la delibera condominiale con cui al-
cuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in balcone le finestre dei
rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti
balconi delle proprietà sottostanti. La Corte, nel cassare la decisione di appello,
ha ritenuto legittima l'esecuzione delle opere, avvenuta nell'ambito delle facoltà
consentite dall'art. 1102 C.C. nell'uso dei beni comuni (la facciata dell'edificio),
atteso che la realizzazione del balcone non aveva provocato alcuna diminu-
zione di aria e di luce alla veduta esercitata dal condomino sottostante). Cass.
7044 del 14/04/2004.
Nota: Giurisprudenza sbagliata, poi corretta.
222
Art. 906 - Distanze per l'apertura di vedute laterali od oblique
Non si possono aprire vedute laterali od oblique sul fondo del vicino
se non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale deve
misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto.
223
delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al
caso concreto (Cass. 1450/96).
Caso I: i balconi devono essere chiusi come in figura con un muro alto
almeno m 2 e fino a cm. 75 dal confine.
224
Dalla finestra s di A vi è una veduta laterale verso la parete di B (pos-
sibile sporgendo il capo dalla fi-
nestra) e una veduta obliqua
verso il terreno di B e, a seconda
dei casi concreti, anche verso il
balcone. La distanza dal confine
dovrà essere di cm 75. Il balcone
di B ha una veduta diretta verso
il fondo di C e dovrà rispettare
la distanza di m 1,5.
225
Art. 907 - Distanza delle costruzioni dalle vedute
226
La veduta si esercita non solo verso il basso ma anche verso l'alto; cosa
da ricordare in relazione alla costruzione di balconi ai piani superiori.
Una massima afferma che la veduta verso il basso dal balcone si esercita
perpendicolarmente dal parapetto e quindi non attribuisce il diritto di
guardare obliquamente entro il balcone sottostante, che può essere
quindi trasformato in veranda.
Si ricorda che la norma sulle distanze non si applica se i fondi sono
separati da una strada pubblica (art. 905 C.C.).
227
Caso I: Ecco come si misura la di-
stanza fra balconi non allineati.
228
Se invece di una finestra, A godesse di
un balcone, le distanze da osservare sareb-
bero quelle illustrate.
229
Se A ha il diritto di tenere la finestra r, B che
intende costruire in aderenza dovrà stare a 3
metri al di sotto della sua soglia.
Se A ha il diritto di tenere la luce r, B può co-
struire fino alla soglia della stessa perché le di-
stanze per le luci sono poste solo a favore di B.
230
Se A ha acquistato il diritto di veduta r,
B non può innalzare il muretto cd, ma
deve costruire a 3 m . Quindi la veduta
impedisce la costruzione di un muro di
cinta, che sono esentati dal rispetto delle
distanze solo se non vi ostano diritti ac-
quisiti.
Siepi e vedute - In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, agli effetti
dell'art. 907 C.C., il divieto di fabbricare opere in pregiudizio dell'esercizio di
una servitù di veduta, supponendo una modifica dell'assetto dei luoghi richie-
dente un'attività costruttiva, non può estendersi alla creazione di barriere natu-
rali, quali le siepi vive, cui è applicabile la diversa disciplina prevista dall'art.
892, primo comma, n. 3, C.C. Cass. Ordinanza n. 12051 del 17/05/2013.
231
fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di
altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo
del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi
l'esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contem-
peramento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo ope-
rato già l'art. 907 C.C. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza
ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicu-
rano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita. Cass. n.
955 del 16/01/2013
Nota: Questione controversa. Il caso riguarda la creazione di un pergolato a cui non
si applicano le norme sulle costruzioni; se chi sta sotto ha diritto di costruire, deve ri-
spettare solo i tre metri di distanza e non una veduta a piombo fino al suolo. Ma si può
anche sostenere che si è acquisito il diritto di veduta fino al suolo. Si veda Cass.
11729/2012.
Veduta obliqua - Per effetto delle limitazioni previste dall'art. 907 C.C. a ca-
rico del fondo su cui si esercita una veduta (sia che questa sia stata aperta jure
servitutis, sia che venga esercitata jure proprietatis), deve osservarsi un distacco
di tre metri in linea orizzontale dalla veduta diretta, da rispettare eventual-
mente anche dai lati della finestra da cui si esercita la veduta obliqua, doven-
dosi osservare analogo distacco anche in senso verticale per una profondità di
tre metri al di sotto della soglia della veduta. Nel caso di veduta diretta e obli-
qua, la distanza minima di tre metri "sotto soglia", prescritta dal terzo comma
dell'art. 907 cit., non va, peraltro, considerata solo in linea perpendicolare ri-
spetto al davanzale della finestra, ma si estende in basso anche obliquamente
rispetto ai punti estremi di tale davanzale. Cass. n. 20699 del 22/11/2012
232
operato nell'art. 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non tro-
vando detta disposizione applicazione in ambito condominiale. Cass. n. 14096
del 03/08/2012 (Sentenza molto discutibile e successivamente superata: se uno ha com-
perato un appartamento a basso prezzo perché privo di ascensore, perché mai deve mi-
gliorarlo con danno di altri?).
Veduta verso il basso - La distanza minima di tre metri che, ai sensi dell'art.
907 C.C., deve separare il fondo del titolare d'una servitù di veduta dalla co-
struzione realizzata dal proprietario del fondo servente, deve sussistere non
solo tra la veduta e la parte di costruzione che le sta di fronte, ma anche tra la
prima e la parte di costruzione che si trova lateralmente o al di sotto di essa
(nella specie, il proprietario di un terrazzo a livello, posto al di sotto di un bal-
latoio il cui proprietario era titolare del diritto di veduta, aveva realizzato una
tettoia sporgente rispetto alla proiezione verticale del ballatoio. Il proprietario
di quest'ultimo aveva perciò chiesto la demolizione della tettoia, ma il giudice
di merito l'aveva accordata solo "fino alla distanza di metri tre dal margine
esterno" del ballatoio. La S.C., applicando il principio di cui alla massima, ha
cassato tale decisione). Cass. n. 4608 del 22/03/2012.
233
Veduta obliqua - In tema di distanze legali, l'obbligo di tenere la nuova co-
struzione a distanza di tre metri dalla soglia della veduta obliqua esistente nel
fabbricato del vicino trova applicazione, a norma dell'art. 907, terzo comma,
C.C., non solo in caso di costruzione in appoggio, ma anche nell'ipotesi (di spe-
cie) di costruzione in aderenza al muro sul quale si apre detta veduta. Cass. n.
22954 del 04/11/2011.
Veduta diretta - L'obbligo di costruire a non meno di tre metri dalle vedute
dirette aperte nella costruzione esistente sul fondo vicino, di cui all'art. 907 C.C.,
ha natura assoluta e va osservato anche quando l'erigenda costruzione non sia
tale da impedire di fatto l'esercizio della veduta, mentre una valutazione circa
l'idoneità dell'opera ad ostacolare il diritto di veduta può venire in rilievo sol-
tanto quando si intenda erigere un manufatto diverso da una costruzione in
senso tecnico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sen-
tenza di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell'esonero dal rispetto
della distanza minima prescritta dall'art. 907 C.C., la circostanza che l'erezione
di un muro di cinta, da intendersi quale costruzione in senso proprio, non
avesse impedito l'esercizio del diritto di veduta al proprietario del fondo vi-
cino). Cass. n. 12033 del 31/05/2011.
234
Sopraelevazione - Poiché le vedute, ai sensi dell'art.907 C.C., implicano il
diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri in direzione orizzon-
tale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al
piano corrispondente alla soglia della medesima, ogni costruzione che venga a
ricadere in questa zona, ivi compresa una sopraelevazione del tetto, è illegale e
va rimossa. Cass. n. 4389 del 23/02/2009.
235
Ballatoi, scale porte - In tema di limitazioni legali della proprietà, le scale, i
ballatoi e le porte, pur essendo fondamentalmente destinati all'accesso dell'edi-
ficio, e soltanto occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l'affaccio,
possono configurare vedute quando - indipendentemente dalla funzione pri-
maria del manufatto - risulti obiettivamente possibile, in via normale, per le
particolari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l'esercizio della prospectio
ed inspectio su o verso il fondo del vicino. Cass. n. 499 del 13/01/2006.
Scala esterna - Ai fini del rispetto della distanza delle costruzioni dalle ve-
dute, costituisce costruzione qualsiasi opera, di qualsiasi natura, che si elevi sta-
bilmente dal suolo e che ostacoli l'esercizio della veduta, intesa come possibilità
sia di inspectio che di prospectio (nella specie, è stato ritenuto conforme ai sud-
detti principi l'accertamento del giudice di merito che aveva qualificato costru-
zione una scala metallica ancorata al suolo da una piattaforma di cemento ed
alta circa quindici metri). Cass. n. 17802 del 06/09/2005.
236
Sez. VII
Dello stillicidio
237
A può acquisire una servitù di stillicidio verso B
e allora non occorre il canale di gronda. Attenzione
a quelle decisioni della Cassazione in cui si dice che
il canale di gronda è un tubo e deve rispettare l'art
889 C.C. ! Sono sciocchezze.
238
B, soggetto a servitù di stillicidio da A, può
compiere ogni opera che non impedisca lo stil-
licidio, ad es. alzando il piano di campagna; se
crea un canale di scolo lo dovrà però costruire a
m 1 dal confine.
239
Danni - Il proprietario della cosa (nel caso, cortile e pozzetti di raccolta delle
acque piovane) gravata da servitù (nel caso, di stillicidio), rimasta nella sua di-
sponibilità e custodia, risponde, ai sensi dell'art. 2051 C.C., dei danni arrecati a
terzi, in quanto egli è tenuto ad eseguire le opere di manutenzione necessarie
per evitare danni ai soggetti estranei (nel caso, infiltrazioni d'acqua in un box
adiacente al cortile). Cass. n. 6222 del 23/03/2005.
Tetto - L'art 908 C.C., imponendo ai proprietari degli edifici l'obbligo di co-
struire i tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nei loro terreni e non
nei fondi finitimi, esclude la configurabilità di un limite legale della proprietà
analogo a quello previsto dal successivo art 913, che disciplina il deflusso delle
acque che scolano naturalmente. Pertanto la deroga alla disciplina contenuta
nell'art 908 C.C., realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo del
vicino conseguente alla costruzione di un tetto, non può trovare il suo fonda-
mento nell'art 913 C.C., bensì nella costituzione di una servitù di stillicidio, la
quale, facendo venire meno il limite legale della proprietà imposto dall'art 908
C.C., consenta tale scolo. Cass. n. 5298 del 07/12/1977.
Deflusso naturale
- A norma dell'art 913 C.C. il vicino non può impedire che le acque piovane
cadute e raccolte nel fondo altrui si spandano naturalmente entro il suo fondo.
Siffatta soggezione, pero, rientra nei limiti normali di tolleranza imposti dalla
legge a presidio dei rapporti di vicinato e presuppone che l'immissione delle
acque venga dal terreno nel fondo vicino e non direttamente, per saltum, dalle
opere in esso eseguite, le quali alterino il decorso naturale delle acque meteori-
che convogliandole nella proprietà limitrofa. In questo senso la disposizione
citata non interferisce minimamente con l'altra sullo scarico delle acque piovane
di cui all'art 908 C.C., la quale dispone che il proprietario deve costruire i tetti
in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere
nel fondo del vicino Cass. n. 3982 del 29/10/1976.
240
TESTI NORMATIVI
241
Le limitazioni previste ai commi precedenti si applicano nei Comuni che
hanno adottato il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione
fino ad un anno dalla data di presentazione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione sia resti-
tuito al Comune, le limitazioni medesime si applicano fino ad un anno dalla
data di nuova trasmissione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora l'agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di partico-
lare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento
o restauro, senza alterazioni di volumi. Le aree libere sono inedificabili fino
all'approvazione del piano regolatore generale.
Nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbri-
cazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre
metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite al-
tezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed
altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano
particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e conte-
nenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
Le disposizioni di cui ai commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto hanno
applicazione dopo un anno dalla entrata in vigore della presente legge. Le li-
cenze edilizie rilasciate nel medesimo periodo non sono prorogabili e le costru-
zioni devono essere ultimate entro due anni dalla data di inizio dei lavori.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili
di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti mas-
simi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub-
blici o riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.
I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone
territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto
con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In
sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato en-
tro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima (cioè dal 1° settembre 1967).
242
III - DECRETO MINISTERIALE 2 aprile 1968, n. 1444 (pubblicato nella g.
u. 16 aprile 1968, n. 97).
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbri-
cati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico
o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urba-
nistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6
agosto 1967, n. 765.
(entrato in vigore il 17 aprile 1968) (Omissis)
Art. 1.
(Campo di applicazione).
Le disposizioni che seguono si applicano ai nuovi piani regolatori generali e
relativi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate; ai nuovi regola-
menti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni
convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti.
Art. 2.
(Zone territoriali omogenee).
Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:
A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono ca-
rattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi,
comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle
zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie co-
perta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie
fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5
mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino
inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di su-
perficie e densità di cui alla precedente lettera B);
D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti indu-
striali o ad essi assimilati;
E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui -fermo
restando il carattere agricolo delle stesse- il frazionamento delle proprietà ri-
chieda insediamenti da considerare come zone C);
F)le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse ge-
nerale.
Art. 3.
(Rapporti massimi, tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi
pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi).
243
Per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 17 -penul-
timo comma- della legge n. 765 sono fissati in misura tale da assicurare per ogni
abitante -insediato o da insediare- la dotazione minima, inderogabile, di mq. 18
per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a par-
cheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.
Tale quantità complessiva va ripartita, di norma, nel modo appresso indi-
cato:
a) mq. 4,50 di aree per l'istruzione: asili nido, scuole materne e scuole dell'ob-
bligo;
b) mq. 2,00 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali,
sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi (uffici P.T.,
protezione civile, ecc.) ed altre;
c) mq. 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo
sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi
lungo le strade;
d) mq. 2,50 di aree per parcheggi (in aggiunta alle superfici a parcheggio pre-
viste dall'art. 18 della legge n. 765): tali aree -in casi speciali- potranno essere
distribuite su diversi livelli.
Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli stru-
menti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante
insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda
abitabile (pari a circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una
quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le desti-
nazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le resi-
denze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi pro-
fessionali, ecc.).
Art. 4.
(Quantità minima di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico
o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone
territoriali omogenee).
La quantità minima di spazi -definita al precedente articolo in via generale-
è soggetta, per le diverse zone territoriali omogenee, alle articolazioni e varia-
zioni come appresso stabilite in rapporto alla diversità di situazioni obiettive.
Zone A): L'Amministrazione comunale, qualora dimostri l'impossibilità -per
mancata disponibilità di aree idonee, ovvero per ragioni di rispetto ambientale
e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni
della zona stessa- di raggiungere le quantità minime di cui al precedente art. 3,
deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi
ed attrezzature.
Zone B): quando sia dimostrata l'impossibilità-detratti i fabbisogni comun-
que già soddisfatti- di raggiungere la predetta quantità minima di spazi su aree
244
idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti
nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi
di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pub-
blici.
Le aree che verranno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell'am-
bito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini della determinazione delle
quantità minime prescritte dallo stesso articolo, in misura doppia di quella ef-
fettiva.
Zone C): deve essere assicurata integralmente la quantità minima di spazi di
cui all'art. 3.
Nei comuni per i quali la popolazione prevista dagli strumenti urbanistici
non superi i 10 mila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in
mq. 12 dei quali mq. 4 riservati alle attrezzature scolastiche di cui alla lett. a)
dell'art. 3. La stessa disposizione si applica agli insediamenti residenziali in co-
muni con popolazione prevista superiore a 10 mila abitanti, quando trattasi di
nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi 1 mc/mq.
Quando le zone C) siano contigue o in diretto rapporto visuale con partico-
lari connotati naturali del territorio (quali coste marine, laghi, lagune, corsi d'ac-
qua importanti, nonché singolarità orografiche di rilievo) ovvero con preesi-
stenze storico - artistiche ed archeologiche, la quantità minima di spazio di cui
al punto c) del precedente art. 3 resta fissata in mq. 15: tale disposizione non si
applica quando le zone siano contigue ad attrezzature portuali di interesse na-
zionale.
Zone E): la quantità minima è stabilita in mq. 6, da riservare complessiva-
mente per le attrezzature ed i servizi di cui alle lettere a) e b) del precedente art.
3.
Zone F): gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale -quando
risulti l'esigenza di prevedere le attrezzature stesse- debbono essere previsti in
misura non inferiore a quella appresso indicata in rapporto alla popolazione
del territorio servito:
1,5 mq/abitante per le attrezzature per l'istruzione superiore all'obbligo (isti-
tuti universitari esclusi);
1 mq/abitante per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere;
15 mq/abitante per i parchi pubblici urbani e territoriali.
Art. 5.
(Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pub-
blici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi).
I rapporti massimi di cui all'art. 17 della legge n. 765, per gli insediamenti
produttivi, sono definiti come appresso:
1)nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili com-
presi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad
245
attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può
essere inferiore al 10% dell’intera superficie destinata a tali insediamenti;
2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq.
di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quan-
tità minima di 80 mq. di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà
destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765);
tale quantità per le zone A) e B) è ridotta alla metà purché siano previste ade-
guate attrezzature integrative.
Art. 6.
(Mancanza di aree disponibili).
I comuni che si trovano nell'impossibilità per mancanza di aree disponibili,
di rispettare integralmente le norme stabilite per le varie zone territoriali omo-
genee dai precedenti artt. 3, 4 e 5 debbono dimostrare tale indisponibilità anche
agli effetti dell' art. 3 lett. d) e dell'art. 5, n. 2) della legge n. 765.
Art. 7.
(Limiti di densità edilizia).
I limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omoge-
nee sono stabiliti come segue:
Zone A):
per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni con-
servative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle
preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente
prive di valore storico-artistico; per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la
densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della
zona e, in nessun caso, 5 mc/mq;
Zone B): le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione
degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di deconge-
stionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli articoli 3, 4
e 5. Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici
mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie su-
periori ai seguenti limiti:
mc/mq per comuni superiori ai 200mila abitanti;
mc/mq per comuni tra 200mila e 50mila abitanti;
mc/mq per comuni al di sotto dei 50mila abitanti.
Gli abitanti sono riferiti alla situazione del comune alla data di adozione del
piano.
Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano
il 70% delle densità preesistenti.
Zone C): i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla
combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui
agli articoli 8 e 9, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere
246
stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono
posti specifici limiti.
Zone E): è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di me 0,03
per mq.
Art. 8.
(Limiti di altezza degli edifici).
Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee
sono stabilite come segue:
Zone A):
- per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le
altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture
o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture;
- per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissi-
bili, l'altezza massima di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici
circostanti di carattere storico-artistico.
Zone B):
L'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici
preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni piano-volumetri-
che, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7.
Zone C): contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze
massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle
degli edifici delle zone A) predette.
Edifici ricadenti in altre zone: le altezze massime sono stabilite dagli stru-
menti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati di cui al
successivo art. 9.
Art. 9.
(Limiti di distanza tra i fabbricati).
Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee
sono stabilite come segue:
Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle
intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di
costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o am-
bientale;
Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza mi-
nima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la di-
stanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto: la norma si applica anche
quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno
sviluppo superiore a mi 12.
247
Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate
al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di
singoli edifici o di insediamenti, debbono corrispondere alla larghezza della
sede stradale maggiorata di:
- m 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a mi 7;
- m 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra mi 7 e mi 15;
- m 10,00 per lato, per strade di larghezza superiore a mi 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori
all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a rag-
giungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni piano-volumetriche.
(Omissis).
248
IV - DPR 6 giugno 2001, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legi-
slative e regolamentari in materia edilizia-
Art. 2-bis.
(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati).
1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile
con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e
alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni de-
rogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e pos-
sono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residen-
ziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai
parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici co-
munque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree ter-
ritoriali.
((1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni
nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati
negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima
è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti
purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del vo-
lume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza mas-
sima di quest'ultimo.))
Modifica introdotta da D.L 21 giugno 2013, n. 69
249
variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico ur-
banistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si
mantenga l'originaria destinazione d' uso;
c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi
rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità me-
diante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipolo-
gici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ((ne consentano anche il muta-
mento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché
conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi
piani attuativi)). Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e
il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi
accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli
elementi estranei all'organismo edilizio;
d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare
gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono por-
tare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costi-
tutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricom-
presi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa vo-
lumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'a-
deguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edi-
fici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostru-
zione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo
che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legi-
slativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demo-
lizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti
costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente:
e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urba-
nistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere prece-
denti. Sono comunque da considerarsi tali:
e. 1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'am-
pliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando,
per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
e. 2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da sog-
getti diversi dal comune;
e. 3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici ser-
vizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
e. 4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di
ripetitori per i servizi di telecomunicazione;
250
e.5 ) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini
e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il
soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edili-
zio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di set-
tore;
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbani-
stici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle
aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino
la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio princi-
pale;
e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di
impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori
cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'e-
sistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme si-
stematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti,
degli isolati e della rete stradale.
251
V - Corte Costituzionale 10 maggio 2012, n. 114
8.- Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 9,
commi 6 e 7 (recte: art. 9, comma 4, alinea 6 e 7, trattandosi dei commi 6 e 7
dell'articolo 127 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, modificato dalla
legge impugnata), nella parte in cui prevedono, ai fini dell'isolamento termico
degli edifici e dell'utilizzo dell'energia solare, la possibilità di derogare alle di-
stanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previsti
nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle di-
stanze prescritte dal codice civile.
A suo avviso, dette disposizioni, non prevedendo il rispetto delle altezze e
delle distanze di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inde-
rogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti mas-
simi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub-
blici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osser-
vare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), contrasterebbe
con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
8.1.- La questione è fondata.
8.2.- In linea preliminare, va osservato che i commi 6 e 7 dell'articolo 127 della
legge provinciale n. 13 del 1997, nel testo modificato dalle disposizioni impu-
gnate, così dispongono: «6. Ai fini dell'isolamento termico degli edifici già le-
galmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale
data, è possibile derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici e alle
distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di at-
tuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile. 7. La Giunta
provinciale definisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione
vale come misura per l'utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tale
fine si può derogare alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché
all'indice di area coperta previsti nel piano urbanistico o nel piano di attua-
zione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile e purché la distanza
verso il confine di proprietà non sia inferiore alla metà dell'altezza della facciata
della veranda».
Successivamente alla proposizione del ricorso, l'art. 26, comma 3, della legge
provinciale n. 15 del 2011, ha nuovamente modificato tali disposizioni, così so-
stituendole: «6. Ai fini dell'isolamento termico per garantire le prestazioni ener-
getiche, definite ai sensi del comma 2, degli edifici già legalmente esistenti alla
data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data, è permesso dero-
gare nella misura massima di 20 centimetri alle distanze tra edifici, alle altezze
degli edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale
o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile,
252
salvo quanto disposto dalla normativa di attuazione della direttiva 2006/32/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa all'efficienza
degli usi finali dell'energia e i servizi. La deroga può essere esercitata nella mi-
sura massima da entrambi gli edifici confinanti. 7. La Giunta provinciale defi-
nisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione vale come mi-
sura per l'utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tal fine si può dero-
gare alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché all'indice di area
coperta previsti nel piano urbanistico, nel rispetto delle distanze prescritte dal
codice civile e purché la distanza dal confine di proprietà non sia inferiore alla
metà dell'altezza della facciata della veranda».
Dal raffronto fra le disposizioni risulta evidente che l'ultima modifica, dato
il suo carattere sostanzialmente marginale, non incide in modo significativo sul
contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, e certamente non ha conte-
nuto satisfattivo, per cui la questione va trasferita sulla nuova norma, in appli-
cazione del succitato principio di effettività della tutela costituzionale.
8.3.- La censura verte sul mancato richiamo al rispetto delle norme sulle di-
stanze fra edifici, integrative del codice civile e, in particolare, dell'art. 9 del ci-
tato D.M. n. 1444 del 1968.
In tale ambito, questa Corte ha in più occasioni precisato che le norme in
materia di distanze fra edifici costituiscono principio inderogabile che integra
la disciplina privatistica delle distanze.
In particolare, data la connessione e le interferenze tra interessi privati e in-
teressi pubblici in tema di distanze tra costruzioni, l'assetto costituzionale delle
competenze in materia di governo del territorio interferisce con la competenza
esclusiva dello Stato a fissare le distanze minime, sicché le Regioni devono eser-
citare le loro funzioni nel rispetto dei principi della legislazione statale, po-
tendo, nei limiti della ragionevolezza, fissare limiti maggiori. Le deroghe alle
distanze minime, poi, devono essere inserite in strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, poiché
la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e
quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti
isolatamente considerati (sentenza n. 232 del 2005).
Nel caso di specie, la norma in questione, attraverso il mero richiamo delle
norme del codice civile, è suscettibile di consentire l'introduzione di deroghe
particolari in grado di discostarsi dalle distanze di cui all'art. 9 del D.M. 2 aprile
1968, n. 1444, emesso ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942,
n. 1150, recante «Legge urbanistica» (introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto
1967, n. 765), avente, per giurisprudenza consolidata, un'efficacia precettiva e
inderogabile.
In quanto tali deroghe non attengono all'assetto urbanistico complessivo
delle zone di cui si verte, il mancato richiamo alle norme statali vincolanti per
253
la Provincia, determina l'illegittimità costituzionale delle relative norme per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., avendo invaso la com-
petenza statale in materia di ordinamento civile.
Quindi la misura massima della deroga sarà di 25 centimetri (5 in più rispetto alla
disciplina precedente) per quanto riguarda il maggiore spessore delle pareti verticali
esterne e di 30 centimetri per il maggiore spessore degli elementi di copertura (con rife-
rimento al regime delle altezze degli immobili). Va sottolineato che tale deroga potrà
essere esercitata nella quota massima da ambedue gli edifici confinanti.
254
VII - D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (cosiddetta “Manovrina”)
Art. 65-bis. (Modifica all'articolo 3 del testo unico di cui al decreto del Presi-
dente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)
1. All'articolo 3, comma 1, lettera c), del testo unico delle disposizioni legisla-
tive e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le parole: "ne consentano destinazioni d'uso
con essi compatibili" sono sostituite dalle seguenti: "ne consentano anche il mu-
tamento delle destinazioni d'uso purché' con tali elementi compatibili, nonché'
conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi
piani attuativi".)
255
256
INDICE ANALITICO
258
Impianti di riscaldamento; 134 Muri comune - Sopraelevazione e
Inferriata -Luci; 195 regolamenti; 119
Innalzamento del muro comune; 116 Muri di cinta; 41
Innalzamento muro comune; 119 Muri isolati; 41
Innesto immissione travi; 79 Muro a dislivello; 120
Innesto nel muro sul confine; 78 Muro canaletta; 115
Inspectio et prospectio in alienum; Muro comune - Consenso del
184 comproprietario; 120
Iesene; 45; 61 Muro comune - Demolizione e danni;
Linee elettriche; 40 114
Linee ferroviarie; 40 Muro comune - Distanze legali; 119
Lucde - Condominio; 199 Muro comune - misurazione; 99
Luce; 190, 199 Muro comune - Rialzo; 119
Luce - Muro divisorio; 199 Muro comune, demolizione; 114
Luce irregolare; 194; 195 Muro con rete metallica; 120
Luce, rete metallica; 184 Muro condominiale; 115
Lucernario; 188; 199 Muro di cinta; 85; 123
Luci e destinazione del padre di Muro di cinta - Dislivello artificiale;
famiglia; 216 126
Luci e vedute; 180 Muro di cinta - Esonero dal
Luci e vedute - Anche su parti contributo nelle spese; 127
comuni; 216 Muro di cinta a dislivello; 91
Luci e vedute - Condominio; 187 Muro di cinta a dislivello e vedute; 91
Luci e vedute - Non c'entrano con le Muro di cinta e vedute; 91
distanze fra le costruzioni; 214 muro di cinta non incide sulle
Luci irregolari su muro divisorio; 215 distanze; 56
Luci nel muro proprio o nel muro Muro di cinta -Sopraelevazione; 123
comune; 201 Muro di comune utilità; 109
Macchinari; 140 Muro di confine a dislivello; 125
Magazzini di sale; 140 Muro di edificio; 45
Mais; 154 Muro di proprietà esclusiva; 126
Materie esplodenti; 140 Muro di sostegno; 125
Materie nocive; 140 Muro di xinraDislivello artificiale; 126
Materie umide; 140 Muro divisorio - Servitù di veduta; 99
Medianza; 67 Muro divisorio - Veduta; 185, 204
Mensole; 45; 61 Muro scalettato; 83
Misura lineare; 37 Neutralizzazione di striscia
Misura radiale; 37 intermedia; 55
Misurazione delle distanze; 31 Norme antisismiche; 40
Muoro comune, demolizione e Ontano; 148
servitù; 114 Pali e Palizzata; 41, 50, 65
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Panni stesi - stillicidio; 240 Prospetti; 180
Panorama; 188 Protendere rami sul fondo altrui; 166
Parapetto; 186 Rami e usucapione; 156
Parete finestrata; 56; 62; 194 Rampa è costruzione; 56
Parete finestrata – Distanze; 57 Rampicanti; 42
Parete finestrata – Veduta; 57 Recisione; 162
Pensilina; 46 Recisione di rami protesi e di radici;
Pergolato; 42 165
Piano di campagna; 65 Recisione e norme pubblicistiche; 167
Piano regolatore non pubblicato; 95 Rialzamento del terreno; 59
Piano regolatore non pubblicato – Rientranze, costruzione in aderenza;
Non ha valore; 76 75
Piante da frutto; 148 Riparazioni del muro comune; 107
Piante già esistenti; 151 Ripiantamento; 163
Piante rampicanti; 153 Ristrutturazione e ricostruzione; 58
Piovente muro divisorio; 106 Robinie; 148
Pluviale; 137 Scala; 45
Pluviale e sporti; 138 Scala esterna - Veduta; 237
Polloni; 161 Scarico delle acque piovane; 238
Porta finestra - Veduta; 187 Scavi temporanei; 144
Porticati; 54 Scavo estrattivo; 146
Porticato; 221 Serbatoi di gasolio; 133
Porticato - Veduta; 221 Servitù di luce irregolare; 196
Pozzi; 129 Servitù e recisione; 167
Pozzo luce; 50 Siepe artificiale o morta; 175
Presunzione di comunione del muro Siepi di alberi; 155
comune; 97 Siepi e vedute; 156; 232
Presunzione di proprietà esclusiva Siepi vive; 148
del muro divisorio; 102 Smottamenti; 147
Prevenzione; 42; 51; 63; 76 Sopraelevazione; 236
Prevenzione - Costruzione sul Sopraelevazione - Veduta; 221; 235
confine; 61 Sopraelevazione del muro di confine;
Prevenzione - parete finestrata; 63 73
Prevenzione - Aderenza prevista dal Sopraelevazioni; 54
piano regolatore; 76 Specie di finestre; 180
Prevenzione e muro comune; 52 Sporti; 57; 61; 138
Prevenzione e sopraelevazione; 53 Stalle; 140
Prevenzione, no se vi è terreno Stillicidio; 238
intermedio altrui; 75 Stillicidio - Danni; 241
Prevenzione, sì per distanza da Stillicidio - Tetto; 241
fabbricato a fabbricato; 75 Strada pubblica; 94
260
Strada pubblica - Distanza tra diverso; 55
fabbricati; 93 Veduta, nozione; 95; 185
Strada pubblica - Riduzione in Veduta, requisiti; 184
pristino; 94 Veduta - Finestra alta; 186
Strada pubblica - Vedute; 218; 220 Veduta - Muretto di parapetto; 189
Strada pubblica e vedute; 93 Veduta - Requisiti generali; 187
Strada pubblica intermedia; 58 Veduta - Servitù concessa
Strada pubblica, nozione; 94 verbalmente; 215
Terrapieno; 55 Veduta - Servitù su cosa comune; 214
Terrazze; 45 Veduta - Usucapione; 185
Terreno sopraelevato; 220 Veduta diretta; 182; 235
Tetto - Veduta; 235 Veduta e dislivelli; 217
Tettoia; 46; 50; 59 Veduta e lastrico solare; 217
Torrino; 60 Veduta laterale; 182
Traliccio; 50 Veduta obliqua; 182; 220; 233; 235
Trasformazione finestra in porta Veduta retroversa; 182; 216
finestra; 216 Veduta sanabile; 214
Trasformazione veduta in luce; 204 Veduta su spazi comuni; 221
Tubi - In generale; 138 Veduta trasformata in luce; 205
Tubi - Nel condominio; 136 Veduta verso il basso, pergolato; 185
Tubi acqua e gas; 133 Veduta verso il basso; 232; 234
Tubi d'acqua pura; 129 Vedute e DM 1444/1968; 215
Tubi di acqua lurida; 129 Vedute e norme regolamentari; 218
Tubi e condominio; 133 Vedute o prospetti; 180
Tubi in condominio; 137 Veranda - Veduta; 236
Tubi nel condominio; 136 Veranda in condominio; 232
Tubi per cavi elettrici; 135 Vetrata; 194
Tubi pluviali; 130 Volume tecnico; 59
Usucapione da parte di costruzione Zona sismica, no costruzioni in
abusiva; 55 aderenza; 62
Usucapione e rami; 156 Zona sismica - No aderenza; 79
Usucapione. No se l’edificio è Zone sismiche; 120
FINE
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