Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
225 visualizzazioni263 pagine

Distanze Nelle Costruzioni

Il documento fornisce un'analisi dettagliata delle norme riguardanti le distanze per costruzioni, alberi, luci e vedute secondo il Codice Civile italiano, con particolare attenzione alla giurisprudenza della Cassazione. Include un'esposizione degli articoli 873-909 e una rassegna della normativa vigente e delle evoluzioni normative dal 1967 al 2019, supportata da 190 disegni pratici. La trattazione evidenzia l'importanza di rispettare le distanze legali per garantire la qualità della vita e prevenire conflitti tra proprietari.

Caricato da

francescovoltini
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
225 visualizzazioni263 pagine

Distanze Nelle Costruzioni

Il documento fornisce un'analisi dettagliata delle norme riguardanti le distanze per costruzioni, alberi, luci e vedute secondo il Codice Civile italiano, con particolare attenzione alla giurisprudenza della Cassazione. Include un'esposizione degli articoli 873-909 e una rassegna della normativa vigente e delle evoluzioni normative dal 1967 al 2019, supportata da 190 disegni pratici. La trattazione evidenzia l'importanza di rispettare le distanze legali per garantire la qualità della vita e prevenire conflitti tra proprietari.

Caricato da

francescovoltini
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 263

Edoardo Mori

Magistrato

DISTANZE PER COSTRUZIONI,


ALBERI,
LUCI, VEDUTE

Esposizione aggiornata degli articoli


873 - 909 del Codice Civile
e leggi successive
con la giurisprudenza commentata.
190 disegni di casi pratici

II Edizione
Aggiornata al 1° giugno 2020

Bolzano 2020
Edoardo Mori
Magistrato

DISTANZE PER COSTRUZIONI,


ALBERI,
LUCI, VEDUTE

Esposizione aggiornata degli articoli


873 - 909 del Codice Civile
e leggi successive
con la giurisprudenza commentata.
190 disegni di casi pratici

II Edizione
Aggiornata al 1° giugno 2020

Bolzano 2020
Nota
Ho riportato solo la giurisprudenza della Cassazione.
Le massime sono ordinate per data,
in ordine discendente
(le più recenti sono all'inizio).
Il mio commento è in corsivo.
Indice generale

Pag.
I - Nozioni generali 7

II - L'evoluzione normativa dal 1967 al 2919 9


III - La normativa vigente 20
IV - L'intervento della Corte Costituzionale 23
V - Il problema del cappotto termico 27
VI - La misurazione delle distanze 31
VII - Norme speciali pubblicistiche 40

Gli articoli del Codice Civile e la giurisprudenza


Sezione VI
Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi e dei
muri, fossi e siepi interposti tra i fondi
Art.
873 Distanze nelle costruzioni 41
874 Comunione forzosa del muro sul confine 67
875 Comunione forzosa del muro che non è sul confine 74
876 Innesto nel muro sul confine 78
877 Costruzioni in aderenza 80
878 Muro di cinta 85
879 Edifici non soggetti all'obbligo delle distanze o a comu- 93
nione forzosa
880 Presunzione di comunione del muro divisorio 97
881 Presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio 102
882 Riparazioni del muro comune 107
883 Abbattimento di edificio appoggiato al muro comune 111
884 Appoggio e immissione di travi e catene nel muro comune 111
885 Innalzamento del muro comune 116
886 Costruzione del muro di cinta 121
887 Fondi a dislivello negli abitati 125
888 Esonero dal contributo nelle spese 127
889 Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi 129

3
890 Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi 140
891 Distanze per canali e fossi 144
892 Distanze per gli alberi 148
893 Alberi presso strade, canali e sul confine di boschi 158
894 Alberi a distanza non legale 160
895 Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale 160
896 Recisione di rami protesi e di radici 165
896b Distanze minime per gli apiari 169
897 Comunione di fossi 170
898 Comunione di siepi 175
899 Comunione di alberi 177
Sezione VII
Delle luci e delle vedute
900 Specie di finestre 180
901 Luci 190
902 Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci 197
903 Luci nel muro proprio o nel muro comune 201
904 Diritto di chiudere le luci 201
905 Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi 206
906 Distanza per l'apertura di vedute laterali od oblique 223
907 Distanza delle costruzioni dalle vedute 227
Sezione VIII
Dello stillicidio
908 Scarico delle acque piovane 238

Appendice normativa
I - L. 17 agosto 1942 n. 1150 - Legge urbanistica - Art. 45- 241
quinquies
II .- L. 6 agosto 1967, n. 765 - Modifiche ed integrazioni alla 241
legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, art. 17.
III - D. M. 2 aprile 1968, n. 1444. 243
IV - DPR 6 giugno 2001, n. 380 - Testo unico delle dispo- 249
sizioni legislative e regolamentari in materia edilizia-
Artt. 2-bis e 3.
V - Corte Costituzionale 10 maggio 2012, n. 114. 252
VI - Decreto Legislativo 4 luglio 2014, n. 102, con cui è 254
stata recepita la direttiva 2012/27/UE.

4
VII - D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (cosiddetta “Manovrina”). 255
VIII - D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (Sblocca-cantieri). 255

Indice analitico 257

5
6
DISTANZE PER COSTRUZIONI, ALBERI, VEDUTE

I - Presentazione

Le distanze fra le costruzioni sono regolate dalla legge per vari motivi:
perché ogni proprietario possa godere del suo immobile con il minor sa-
crificio per il vicino o, se necessario, con pari sacrificio, per evitare che si
creino situazioni insalubri o fonti di discordia, ecc.
La legge quindi prevede che chi edifica deve rispettare i piani regola-
tori e i regolamenti comunali (artt. 869-871 C.C.) e che non è consentito
violare le norme sulle distanze contenute negli artt. 873-899 C.C. e le
norme dei regolamenti che questi articoli richiamano. In caso di viola-
zione chi la ha subita può richiedere la rimessione in pristino (art. 872
C.C.), vale a dire che la costruzione che viola le distanze sia rimossa fino
alla distanza di legge.
Se sono violate norme amministrative diverse da quelle richiamate, chi
ha subito la violazione può chiedere solo il risarcimento del danno.
La giurisprudenza del passato, troppo vincolata a vecchi dogmatismi
ignoti alla lettera della legge, ha sovente affermato che le norme sulle di-
stanze nelle costruzioni hanno per scopo principale quello di evitare la
formazione di intercapedini antigieniche, così che non sarebbero norme
integrative del codice civile quelle norme di regolamenti comunali aventi
diversa funzione (estetica, urbanistica, ecc.). È giunta persino a sostenere,
di recente, che la distanza di 10 metri è rivolta ad evitare intercapedini!
Ora ci si è resi conto che la distanza fra gli edifici risponde ad esigenze
multiple, tutte di egual importanza anche sul piano costituzionale
(igiene, sicurezza da accessi, sicurezza da incendi, difesa della privacy; in
una parola difesa della qualità della vita) per cui non ha senso arrampi-
carsi sugli specchi per difendere chi edifica abusivamente. Si consideri,
tra l'altro che l'argomento dell'igiene e salubrità non è certamente invoca-
bile per le distanze degli alberi dal confine!
La regola ormai prevalentemente accettata è quindi che ogni norma
sulle distanze delle costruzioni, siano esse nel codice civile, o in regola-

7
menti comunali, o in leggi speciali (costruzioni sismiche) può essere in-
vocata per la rimessione in pristino.
Le norme stabilite dai regolamenti comunali e da altre leggi speciali
sono inderogabili (così Cass. 19449/2004, dopo assurde diverse afferma-
zioni del passato) e quindi non possono essere derogate per convenzione
fra le parti.
Anche le distanze fissate dagli artt. 873-899 sono inderogabili, ma è
possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la co-
struzione (o pozzo, o albero, ecc.) a distanza inferiore a quella legale. Dice
la S.C. "Anche se il potere di far valere le limitazioni della proprietà nei
rapporti di vicinato e imprescrittibile, nondimeno e ammissibile la costi-
tuzione per usucapione di una servitù il cui contenuto contrasti con una
delle dette limitazioni (nella specie e stata ritenuta ammissibile la costitu-
zione per usucapione del diritto di tenere una costruzione a distanza in-
feriore a quella dalla costruzione del vicino e dal confine prescritta dal
regolamento edilizio). (Cass. 1422/1970)
Si può quindi concludere che, chi vede violare una distanza legale in-
derogabile in suo danno, può sempre agire civilmente per la sua regola-
rizzazione purché non siano trascorsi vent'anni a partire dal momento in
cui la violazione è stata manifesta, e che, se sono state violate altre dispo-
sizioni amministrative, può agire in via amministrativa per l'annulla-
mento di concessioni o licenze e per il risarcimento del danno, fino a che
l'azione non si sia prescritta o vi siano stati una sanatoria o un condono
edilizi.
La giurisprudenza della Cassazione ha talvolta attenuato la normativa
sulle distanze per costruzioni e vedute in ambito condominiale. Si ha l'im-
pressione che spesso abbia ecceduto nel riconoscere il diritto del singolo
ad usare delle parti comuni senza tener conto del diritto prevalente del
singolo a non veder peggiorata la sua situazione. Era un orientamento
sbagliato e pare che la Cassazione stia tornando sui propri passi. In un
condominio la regola è che ciascuno è tenuto a subire quanto meno pos-
sibile limitazioni al proprio diritto di proprietà, limitazioni che derivano
dalla natura delle cose, oppure dalla rete di reciproche servitù create dal
costruttore "per destinazione del buon padre di famiglia". Ogni unità im-
mobiliare ha un valore determinato dal piano, dalla esposizione, dalla vi-
sta, dal fatto di essere o meno o soggetta ad immissioni dall'esterno, di

8
essere più o meno comodamente accessibile, e questo valore non può es-
sere limitato per il vantaggio di altre unità immobiliari.
Le norme del codice civile sulle distanze fra le costruzioni e le distanze
per luci, vedute, prospetti, le relative norme sulle servitù prediali, frutto
di una elaborazione millenaria, sono molto chiare, ma richiedono che l'in-
terprete possieda un po'di nozioni di edilizia e comprenda esattamente il
significato dei termini usati e che sappia applicare la norma alla situa-
zione concreta.
L'esposizione della materia deve essere perciò accompagnata da dise-
gni che rendano esplicita la situazione dei luoghi e ciò che il legislatore
ha inteso dire.
Già nell'Ottocento si rinvengono opere del genere come quella di Pic-
coli Luigi, Le servitù prediali ridotte in casi pratici incisi in rame e geometrica-
mente dimostrate. Milano, 1818, oppure quella di Castelli Giuseppe Anto-
nio, Questioni diverse sulle servitù prediali. Milano, Visaj, 1820.
Preziosa opera sull'argomento, più vicina ai nostri tempi, era il testo Le
Servitù Prediali dell'avv. Guido Labriola e dell'ing. Vincenzo Rizzi, pub-
blicato a Bari nel 1948, arrivato alla terza edizione nel 1951, a cui attin-
gerò, specialmente per le immagini, per questa mia esposizione molto
sintetica e pratica della materia. Il testo delle didascalie è stata variato per
sintesi e per adattarlo alla giurisprudenza posteriore. Avverto che la giu-
risprudenza è spesso confusa, forse proprio perché è spesso difficile co-
gliere con le parole (e ancor peggio con la sintesi di una massima) situa-
zioni di fatto non facilmente descrivibili.

9
II - L'evoluzione normativa dal 1967 al 2919

La distanza tra edifici è rappresentata sul piano, in proiezione verticale


(cioè non si tiene conto della pendenza del terreno), dal minimo distacco
delle fronti del fabbricato da quelle dei fabbricati che lo fronteggiano.
L'art. 9 del DM 1444/1968 prescrive una distanza minima assoluta di
10,00 m tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Si veda al par. VI
la trattazione ampia del problema.

L'evoluzione della normativa dopo il Codice Civile e fino al D. L. 18


aprile 2019, n. 32
Fonte primaria per la valutazione del problema in esame è l'art. 45-
quinquies della L. 17 agosto 1942 n. 1150 il cui comma 3 scrive:
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi
tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o
riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.

La L. 6 agosto 1967 nr. 765, art. 17, rimodulava di poco le prescrizioni


del 1942, stabilendo:
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41 è aggiunto il se-
guente articolo 41-quinquies:
"Nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fab-
bricazione la edificazione a scopo residenziale è soggetta alle seguenti limitazioni:
a) il volume complessivo costruito di ciascun fabbricato non può superare la
misura di un metro cubo e mezzo per ogni metro quadrato di area edificabile, se
trattasi di edifici ricadenti in centri abitati, i cui perimetri sono definiti entro 90
giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge con deliberazione del
Consiglio comunale sentiti il Provveditorato regionale alle opere pubbliche e la
Soprintendenza competente, e di un decimo di metro cubo per ogni metro qua-
drato di area edificabile, se la costruzione è ubicata nelle altre parti del territorio;
b) gli edifici non possono comprendere più di tre piani;
c) l'altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi
pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non può

10
essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire.
Per costruzioni di cui alla legge 30 dicembre 1960 n. 1676, il Ministro per i
lavori pubblici può disporre con proprio decreto, sentito il Comitato di attuazione
del piano di costruzione di abitazioni per i lavoratori agricoli dipendenti, limita-
zioni diverse da quelle previste dal precedente comma.
Le superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi non possono supe-
rare un terzo dell'area di proprietà.
Le limitazioni previste ai commi precedenti si applicano nei Comuni che
hanno adottato il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione fino
ad un anno dalla data di presentazione al Ministero dei lavori pubblici. Qualora
il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione sia restituito al Co-
mune, le limitazioni medesime si applicano fino ad un anno dalla data di nuova
trasmissione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora l'agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di partico-
lare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento o
restauro, senza alterazioni di volumi. Le aree libere sono inedificabili fino all'ap-
provazione del piano regolatore generale.
Nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbrica-
zione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre
metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze
superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze
superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particola-
reggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la di-
sposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
Le disposizioni di cui ai commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto hanno
applicazione dopo un anno dalla entrata in vigore della presente legge. Le licenze
edilizie rilasciate nel medesimo periodo non sono prorogabili e le costruzioni de-
vono essere ultimate entro due anni dalla data di inizio dei lavori.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi
tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o
riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.
I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone ter-
ritoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con
quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sede di
prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato entro sei mesi

11
dall'entrata in vigore della medesima" (cioè dal 1° settembre 1967).

Il previsto D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, ha poi fissato, come dice il suo
titolo, i Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbri-
cati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e pro-
duttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n.
765 (G.U. 16 aprile 1968, n. 97),
Le sue disposizioni si applicano ai nuovi piani regolatori generali e re-
lativi piani particolareggiati e lottizzazioni convenzionate; ai nuovi rego-
lamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottiz-
zazioni convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti.
Esso individua sei zone territoriali omogenee fra cui la zona A che rac-
chiude le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rive-
stano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale, e la
zona B che comprende le parti di territorio già edificate. La zona C ricom-
prende le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che
risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non rag-
giunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B).

L'art. 9 del decreto ha così fissato le distanze minime tra i fabbricati:


Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le even-
tuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere infe-
riori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati
senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di
valore storico, artistico o ambientale.
Per i nuovi edifici ricadenti in altre zone (B, C, D, E, F): È prescritta in
tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti
di edifici antistanti.
Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la
distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si ap-
plica anche quando una sola parete sia finestrata se gli edifici si fronteg-
gino per uno sviluppo superiore a 12 m.

Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade


destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco

12
al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere
alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7
– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
– ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino in-
feriori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggio-
rate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono
ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel
caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate con previsioni plano-volumetriche.

Si noti come per la zona B il D.M. regoli la distanza fra i fabbricati solo
per i nuovi edifici; è implicito che il D.M. non si applica alla ristruttura-
zione di fabbricati già esistenti.
Queste norme sono state spesso considerate uno dei principali pro-
blemi che si frappongono ad una realizzazione diffusa ed agevole degli
interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, mediante
demolizione e ricostruzione. Gli interventi di “sostituzione edilizia” si in-
seriscono generalmente in un contesto urbano consolidato che rende dif-
ficile il rispetto di limiti di distanza o di altezza, soprattutto in presenza
di aumenti di volumetria. Non sempre è accettabile architettonicamente
che per sopraelevare un edificio si debbano arretrare i volumi che supe-
rano la precedente altezza, creando così delle facciate "a scala".
Queste norme presentano anche criticità costituzionali. Il Codice Civile
regola le distanze delle costruzioni dai confini con i terreni altrui ed ha
stabilito che il primo proprietario che costruisce ha facoltà di scegliere se
mantenere la distanza oppure di costruire sul confine, in modo però che
il vicino possa a sua volta fare la stessa cosa, costruendo in aderenza. Il
D.M. del 1968 ha introdotto la regola che si deve anche osservare una
certa distanza tra i fabbricati, ma così ha statuito la regola ingiusta se-
condo cui "chi primo arriva, meglio alloggia"! Vale a dire che fra due con-
finanti quello che costruisce per primo costringe, il vicino ad arretrare la
propria costruzione e, talvolta, può persino creare una situazione di non
edificabilità. La superficie edificabile di un soggetto viene ridotta senza
che egli la possa impedire e senza che si riconosca un risarcimento del
danno.

13
Non è una regola accettabile ed essa viola vari principi costituzionali.
La conseguenza è che le norme vanno interpretate in modo da non le-
dere questi principi oltre il livello necessario.

In questo scenario si colloca l’articolo 2-bis del DPR 380/2001 (T.U. edi-
lizia), inserito dalla Legge 98/2013 di conversione del D.L. 69/2013, che
prevede la possibilità per le Regioni di introdurre deroghe agli standard
urbanistici ed edilizi del D.M. 1444/1968:
Art. 2-bis. (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati). 1. Ferma
restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento
al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni
integrative, le regioni possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, dispo-
sizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile
1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli inse-
diamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive,
al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti ur-
banistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche
aree territoriali.

Si trattava di una norma abbastanza chiara in quanto, in parole povere,


stabilisce che le regioni possono derogare a tutte le norme del D.M. del
1968 purché nell'ambito di provvedimenti globali (nell'ambito della defi-
nizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un
assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali).
In attuazione dell’art. 2-bis del DPR 380/2001, le Regioni hanno inizial-
mente emanato norme ampie che consentivano deroghe sia alle distanze,
sia agli altri standard edilizi e che potevano essere applicate sia ad inter-
venti ricompresi in piani attuativi, sia ad interventi puntuali, ossia in di-
retta esecuzione del piano urbanistico generale.
Molte disposizioni regionali sono state, però, censurate dalla Corte Co-
stituzionale che ha interpretato l’art. 2-bis in modo molto restrittivo, rite-
nendo le deroghe applicabili solo se giustificate dall’esigenza di soddi-
sfare interessi urbanistici che si concretizzino in “strumenti funzionali ad
un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”.
Decisioni poco comprensibili perché legate ad una condizione del tutto
fumosa e stiracchiabile a piacimento, perché basate sulla valutazione co-
stituzionale non di una legge, ma di un decreto amministrativo, perché

14
ispirate da una evidente diffidenza per le autonomie regionali, non pre-
sente della Costituzione (è un po'quello che è avvenuto per le leggi sulla
caccia in cui la C. Cost. ha stabilito che l'intera legge venatoria è legge
quadro inderogabile; anche quando stabilisce i giorni in cui si può cac-
ciare o il tipo di fucili usabili, cosi rendendo la vita dura a chi fa caccia di
selezione ed ha necessità, ad esempio, di usare mezzi di caccia proibiti in
Italia, solo perché in un certo momento hanno prevalso integralisti
verdi!).
La Corte Costituzionale, con sentenza 10 maggio 2012, n. 114, ha stabi-
lito che non sono ammissibili deroghe particolari che si discostino dalle distanze
di cui all'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso ai sensi dell'art. 41-
quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante «Legge urbanistica» (in-
trodotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), avente, per giurispru-
denza consolidata, un'efficacia precettiva e inderogabile.
La sentenza è stata emessa in relazione a normative locali con cui si
stabilivano deroghe particolari in caso di risanamento energetico (in par-
ticolare violazione delle distanze di legge per consentire l'applicazione di
un cappotto termico. Si noti la mancanza di motivazione convincente, là
dove si scrive che il D.M. ha efficacia precettiva (ovvio, altrimenti non sa-
rebbe un decreto!), anche in base giurisprudenza consolidata. Come se giu-
risprudenze consolidate non venissero travolte ogni giorno, quando si
scopre che erano solo il frutto di ideologie estemporanee, e come se non
fosse doveroso abbandonarle, se muta il quadro giuridico. Invece per la
Corte, pare che l'immutabilità del D. M.1444 (o della legge sulla caccia =
legge quadro), sembrano siano diventati dei dogmi.

L’articolo 65-bis del D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (cosiddetta “Mano-


vrina”) convertito dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, ha introdotto nel Testo
Unico Edilizia una modifica all’articolo 3, comma 1, lettera c) che ha det-
tato una nuova definizione di restauro e risanamento conservativo, al fine
di superare inadeguate interpretazioni della Cassazione.
È stata introdotta una nuova definizione di restauro e risanamento con-
servativo chiarendo che:
- i cambi di destinazione d’uso negli interventi di restauro e risana-
mento conservativo avvengano “compatibilmente” con gli elementi tipo-
logici, formali e strutturali dell’edificio (in linea con le finalità sottese a
tale categoria di intervento volta a conservare e a rendere più funzionale

15
l’organismo edilizio);
- i mutamenti di destinazione d’uso debbano essere “conformi a quelli
previsti dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attua-
tivi”.
Si noti che la modifica contiene nuove definizioni degli interventi edi-
lizi realizzabili, ma che le definizioni sono date prevalentemente per de-
finire il regime autorizzatorio (licenza, SCIA, ecc.) e non escludono l'ap-
plicazione delle disposizioni del D.M. 1444/1968.

Quindi, prima del D. L. 18 aprile 2019, n. 32, il DPR 380/2001, con le sue
successive modifiche, conteneva le seguenti disposizioni da prendere in
considerazione:
Art. 3 D.P.R. n. 380/2001 (Definizioni degli interventi edilizi)
1. Ai fini del presente testo unico si intendono per: a) "interventi di manu-
tenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione,
rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad in-
tegrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche neces-
sarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per
realizzare ed integrare i servizi igienicosanitari e tecnologici, sempre che non al-
terino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle
destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria
sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle
unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione
delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico pur-
ché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'o-
riginaria destinazione d'uso;
c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edi-
lizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità me-
diante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento
delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a
quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi.
Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli
elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli
impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei
all'organismo edilizio;

16
d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare
gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono por-
tare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali in-
terventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed im-
pianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria
di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento
alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di
essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferi-
mento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostru-
zione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono in-
terventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sa-
goma dell'edificio preesistente:
e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urba-
nistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti.
Sono comunque da considerarsi tali: (omissis).
2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli stru-
menti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.

Si noti come in queste prescrizioni si sia aggiornato il modello del D.M.


della suddivisione in zone A, B, C e di interventi ammessi, suddividendo
invece la materia in base alla tipologia di intervento. Perciò è venuta
meno la rigidità totale del D.M. e si deve tener conto di questo: gli inter-
venti di restauro e di risanamento conservativo non sono più limitati alla
zona A e gli interventi di ristrutturazione edilizia non sono più limitati
alla zona B: da regole formali si è passati a regole sostanziali, e sarebbe
stato necessario adeguare ad esse il D.M. del 1968 che è un provvedi-
mento amministrativo il quale non può stabilire cose difformi da
quanto voluto, espressamente o implicitamente, dalle leggi nazionali e
regionali.

Questo ampio excursus sulla evoluzione normativa è necessario per


comprendere che dal 1968 il legislatore ha dovuto intervenire più volte

17
per modificare una impostazione dirigistica del "ventennio" ormai inat-
tuale e che costituiva una palla al piede nel gestire una infinità di situa-
zioni storiche, ambientali, naturali, tutte con una loro grande specificità
da tutelare, non certo racchiudili in formulette matematiche studiate a ta-
volino da chi forse era più matematico che urbanista! In particolare ormai
è insostenibile, sic et simpliciter, che il D.M. nel 1968 è norma primaria
perché emanato su delega delle leggi L. 17 agosto 1942 n. 1150 e L. 6 ago-
sto 1867 nr.765: esso è una fonte secondaria che integra le norme del co-
dice civile, ma rimane pur sempre un atto amministrativo che deve essere
automaticamente adeguato a tutte le fonti normative di rango superiore,
statali e regionali, le quali mai possono essere subordinate ad una qual-
siasi fonte di rango inferiore. Esso dalla Cassazione, sebbene la legge non
abbia mai chiarito tale punto, è stato ritenuto norma che integra il Codice
Civile, ma ciò non muta la sua natura di norma secondaria. È la stessa
cosa che avviene in materia penale in cui vi sono norme in bianco in cui,
ad es. viene punito chi spaccia droga e poi si lascia al Ministero della Sa-
nità di fare l'elenco delle sostanze stupefacenti, Il cittadino non può dire
di ignorare che una sostanza compare nell'elenco poiché l'elenco integra
una norma penale e vige il principio che l'ignoranza della legge non
scusa; ma a nessuno è mai venuto in mente di sostenere che il D.M. è una
fonte primaria. Non si comprende perché Cassazione e Corte Costituzio-
nale abbiano seguito un diverso ragionamento per il D.M. sulle distanze.
Il D.M. integra le norme civilistiche sulle costruzioni, ma può essere mo-
dificato in ogni momento dal legislatore e che deve essere sempre inter-
pretato e applicato in modo che sia conforme alle leggi statali e regionali
(ivi compreso il Codice civile che è una legge come le altre).

Queste mie valutazioni hanno trovato conferma nelle ultime novità le-
gislative introdotte dal cosiddetto D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (Sblocca-can-
tieri) convertito con la L. 14 giugno 2019, n. 55, il quale scrive all'art. 5:
Art. 5 - Norme in materia di rigenerazione urbana
1. Al fine di concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suo-
lo e a favorire la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, a incentivare la
razionalizzazione di detto patrimonio edilizio, nonché a promuovere e agevolare
la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee
e tessuti edilizi disorganici o incompiuti, nonché di edifici a destinazione non
residenziale dismessi o in via di dismissione, ovvero da rilocalizzare, tenuto conto

18
anche della necessita di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti
rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l'adeguamento sismico del patri-
monio edilizio esistente, anche con interventi di demolizione e ricostruzione (si
stabilisce):
lett. a) (lettera vuota);
lett. b) all'articolo 2-bis del testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380,
dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti commi:
Comma 1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i co-
muni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbri-
cati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
Comma 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, que-
st'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente pree-
sistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del
volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza mas-
sima di quest'ultimo.»;
lett. b-bis) le disposizioni di cui all'articolo 9, commi secondo e terzo, del de-
creto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel
senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti
esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso artico-
lo 9.

19
III - La normativa vigente

Quindi possiamo limitarci a leggere solo il nuovo articolo del DPR


380/2001 il quale diventa: (in corsivo le novità)
Art. 2-bis. (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati).
Comma 1. 1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordi-
namento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse
norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le pro-
vince autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie
leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei
lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli
spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a
quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito
della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzio-
nali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.
Comma 1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i co-
muni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbri-
cati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
Comma 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, que-
st'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente pree-
sistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del
volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza mas-
sima di quest'ultimo.
Comma b-bis del D.L.) (se avessero fatto più attenzione allo stile sa-
rebbe il Comma 1-quater del DPR): Le disposizioni di cui all'articolo 9, commi
secondo e terzo, del DM dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano
nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti
esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo
9 (Cioè in linguaggio umano: Zone C le quali non sono definite nell'art. 9,
ma nell'art. 2 che riporto più sotto).

Vale a dire che il DPR (legge dello Stato) modifica il D.M. del 1968. È
una stramberia giuridica ed è la prima volta che vedo una legga fatta per
modificare un decreto ministeriale: dovevano solo dire quale era la loro
volontà e il D.M. era automaticamente superato senza problemi di inter-
pretazione. Deve essere quindi ben chiaro che la nuova interpretazione

20
è norma di legge prevalente, non norma amministrativa.

Il DM 1444/1968 art. 2, a norma L. 765/1967, distingue sette zone terri-


toriali omogenee per gli edifici civili:
A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carat-
tere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, com-
prese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali carat-
teristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone
A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli
edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria
della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino
inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di su-
perficie e densità di cui alla precedente lettera B);.

L'art. 9 del D.M. 1444/1968 dopo il D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (Sblocca


cantieri) diventa:
Art. 9. Limiti di distanza tra i fabbricati
Comma 1 - Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali
omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle
intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di
costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o am-
bientale;
2) nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza
minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la
distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche
quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno
sviluppo superiore a ml. 12.
Per le zone C), e solo per esse, valgono inoltre i seguenti limiti:
Comma 2 - Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte
strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco
al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla lar-
ghezza della sede stradale maggiorata di:

21
ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Comma 3 - Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risul-
tino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate
fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse di-
stanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edi-
fici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate
con previsioni plano-volumetriche.

La norma riguarda solo le distanze tra i fabbricati e non quelle dai con-
fini; si noti che la presenza di una strada in zona B non comporta aumento
delle distanze da osservare.
Quindi il decreto salva cantieri conferma l'interpretazione che avevo
dato in precedenza circa i casi in cui si può non rispettare la distanza di
dieci metri fra pareti finestrate.
In questo nuovo quadro diventa anche chiaro che ai fini dell'altezza del
fabbricato è cumulabile il bonus inserito nel D.L. e la deroga sulle di-
stanze consentita ai fini del miglioramento dell’efficienza energetica. Si
potrebbe dubitare della cumulabilità se i due benefici fossero dettati dalla
medesima ratio. Invece essi soddisfano a due esigenze diverse; la prima
è rivolta a consentire il miglioramento di spazi abitativi, come può essere
necessario, ad esempio nella ristrutturazione di sottotetti, la seconda è
quella di consentire la coibentazione senza alcuna diminuzione dei vo-
lumi a disposizione e, per le pareti verticali, per "neutralizzare" la coiben-
tazione nei casi, del tutto usuali in cui si vanno a modificare le distanze
rispetto agli edifici vicini con violazione di diritti privati. Sarebbe invero
cosa assurda se il legislatore con una mano concedesse una modesta so-
praelevazione e con l'altra mano la togliesse dicendo che il maggior spa-
zio concesso va utilizzato per la coibentazione.

22
IV - L'intervento della Corte Costituzionale

La normativa complessiva dopo gli aggiornamenti del 2019, è stata af-


frontata indirettamente, senza che le sue considerazioni portassero ad
una valutazione costituzionale di essa (il caso sottopostole concerne una
norma regionale sospettata di introdurre una forma indiretta di sanato-
ria), nella sentenza 24 aprile 2020, n. 70 di cui riporto l'opinione in materia
della Corte; considerazioni che probabilmente verranno seguite in caso di
altre questioni sollevate, ma ciò non esclude ritocchi e puntualizzazioni
più penetranti:
…….
.2.1.- A tale riguardo, deve essere ricordato come, in origine, l'art. 3, comma
1, lettera d), del t.u. edilizia disponesse che, in caso di demolizione, la ricostru-
zione per essere tale e non essere considerata una nuova "costruzione" - che
avrebbe in tal caso richiesto un apposito permesso di costruire, e non una mera
segnalazione certificata di inizio attività (artt. 10 e 22 del t.u. edilizia) - doveva
concludersi con la «fedele ricostruzione di un fabbricato identico», comportando
dunque identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali.
Il successivo decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 (Modifiche ed inte-
grazioni al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia) ha
modificato la definizione di "ricostruzione", eliminando sia lo specifico riferi-
mento alla identità dell'area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il
concetto di "fedele ricostruzione".
5.2.2.- In epoca successiva, nel 2011, con il comma 9 dell'art. 5 del d.l. n. 70
del 2011 (cosiddetto "decreto sviluppo"), il legislatore ha espressamente autoriz-
zato le Regioni a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrut-
turazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura pre-
miale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con
«delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse». In tal modo, il
legislatore nazionale ha ammesso deroghe all'identità di volumetria nell'ipotesi
di ristrutturazioni realizzate con finalità di riqualificazione edilizia.
Simile possibilità è stata però esclusa, dallo stesso legislatore, per una partico-
lare categoria di manufatti, e cioè per gli «edifici abusivi o siti nei centri storici o
in aree ad inedificabilità assoluta [.]» (art. 5, comma 10, del medesimo decreto).
5.2.3.- Nel 2013, il legislatore è nuovamente intervenuto sull'art. 3, comma

23
1, lettera d), del t.u. edilizia, con l'art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), cosid-
detto "decreto del fare", convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013,
n. 98, che ha qualificato come "interventi di ristrutturazione edilizia" quelli di
demolizione e ricostruzione «con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte
salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisi-
smica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sot-
toposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137] e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostru-
zione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono in-
terventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sa-
goma dell'edificio preesistente».
Il legislatore statale ha dunque progressivamente allargato l'ambito degli in-
terventi di ristrutturazione, consentendo di derogare all'identità di volumetria
in caso di ricostruzioni volte alla riqualificazione edilizia e imponendo il rispetto
della sagoma solo per immobili vincolati.
5.2.4.- Questa tendenza si è arrestata, nel 2019, con l'art. 5, comma 1, lettera
b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto "sblocca cantieri"), che ha inserito
il comma 1-ter all'art. 2-bis del t.u. edilizia, così imponendo, per la ristruttura-
zione ricostruttiva, il generalizzato limite volumetrico (a prescindere, dunque,
dalla finalità di riqualificazione edilizia) e il vincolo dell'area di sedime: «[i]n
ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque
consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effet-
tuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio
ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo».
Allo stato attuale, quindi, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile me-
diante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è ammissibile purché
siano rispettati i volumi, l'area di sedime del manufatto originario e, per gli im-
mobili vincolati, la sagoma. Al momento dell'adozione del "piano casa" da parte
delle Regioni, invece, la normativa statale richiedeva, per la ristrutturazione ri-
costruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma, non l'identità di se-
dime, limiti da rispettare affinché la ristrutturazione non si traducesse in una
nuova costruzione, diversamente regolata dalla legislazione nazionale di settore.
………

24
7. 3 È vero che, con l'art. 5, comma 9, del citato "decreto sviluppo", il legisla-
tore nazionale ha consentito interventi di demolizione e ricostruzione anche con
«delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse», ma tale fatti-
specie disciplina l'ipotesi affatto diversa del possibile trasferimento (cosiddetto
decollo), nell'ambito delle scelte di pianificazione dell'ente locale, dei volumi da
una determinata area del territorio ad altra zona che ammetta l'edificabilità. "De-
localizzazione", peraltro, che rimane preclusa agli «edifici abusivi o siti nei centri
storici o in aree ad inedificabilità assoluta» (art. 5, comma 10, del "decreto svi-
luppo").
………
9.1.- In primo luogo, deve sottolinearsi che la norma statale evocata come pa-
rametro interposto, entrata in vigore quattro giorni dopo la impugnata disposi-
zione regionale, assurge, come anticipato, al rango di principio fondamentale
della materia.
In tale direzione, un indice significativo è offerto, anzitutto, dalla particolare
sede normativa (il t.u. edilizia) prescelta dal legislatore per l'inserimento della
nuova norma (avvenuto, come già detto, per mezzo dell'art. 5, comma 1, lettera
b, del d.l. n. 32 del 2019).
Per costante giurisprudenza costituzionale, a prescindere dall'auto-qualifica-
zione, certamente non vincolante per l'interpretazione di questa Corte, contenuta
nell'art. 1, comma 1, del t.u. edilizia, in detto testo unico trova sede la legisla-
zione di cornice in materia di edilizia, a sua volta riconducibile al governo del
territorio.
Molteplici sono le disposizioni del citato testo unico che questa Corte ha an-
noverato tra i principi fondamentali della suddetta materia (ex plurimis, sentenze
n. 125 del 2017, n. 282 e n. 272 del 2016, e n. 259 del 2014).
Lo stesso art. 2-bis del t.u. edilizia, nel cui ambito si trova il menzionato
comma 1-ter, è stato considerato principio fondamentale per ciò che concerne la
vincolatività delle distanze legali stabilite dal D.M. n. 1444 del 1968, derogabili
solo a condizione che le eccezioni siano «inserite in strumenti urbanistici, fun-
zionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del
territorio» (sentenza n. 86 del 2019), salvo quanto previsto dall'art. 5, comma 1,
lettera b-bis), del d.l. n. 32 del 2019.
9.2.- Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, le disposizioni del
t.u. edilizia integrano «norme dalla diversa estensione, sorrette da rationes di-
stinte e infungibili, ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non
frazionabili una protezione unitaria sull'intero territorio nazionale» (sentenza

25
n. 125 del 2017).
Il comma 1-ter dell'art. 2-bis del t.u. edilizia, nel disporre che «[i]n ogni caso
di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima è comunque consentita
nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assi-
curando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito
con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo», detta evi-
dentemente una regola unitaria, valevole sull'intero territorio nazionale, diretta
da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall'altro, a rispettare l'assetto
urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo (come peraltro si trae dai la-
vori preparatori della legge di conversione dell'art. 5, comma 1, lettera b-bis, del
d.l. n. 32 del 2019).

È abbastanza chiaro che la Corte non ha visto bene l'intervento del le-
gislatore rivolto ad allargare le maglie che essa aveva stretto troppo, e che
cerca di conservare il sistema per cui un D. M. vecchio di cinquant'anni,
viene considerato più importante delle leggi. E, a dire il vero, è anche dif-
ficile comprendere che cosa ci sia di incostituzionale nel fatto che le Re-
gioni usino della loro autonomia per adeguare le norme alle proprie spe-
cifiche necessità. Pare chiaro che il D.M. non ha pensato a come regolare
le calli di Venezia o i carrugi di Genova! La Corte si è fatta suggestionare
dal problema dell'abusivismo edilizio in certe regioni, non compren-
dendo che esso è un fenomeno sociale, che scavalca decreti, leggi e costi-
tuzioni.

26
V - Il problema del cappotto termico

Abbiamo appena visto il valore del D.M. 14444/1968 e il problema, ap-


prodato persino alla Corte Costituzionale per normative locali con cui si
stabilivano deroghe particolari in caso di risanamento energetico (in par-
ticolare violazione delle distanze di legge per consentire l'applicazione di
un cappotto termico.
La situazione è nuovamente cambiata con il Decreto Legislativo 4 lu-
glio 2014, n. 102, con cui è stata recepita la direttiva 2012/27/UE. Si tratta
della conferma (con aggiunte più stringenti) di ciò che era contenuto nel
D. Lgs. 115/2008 in merito al tema delle deroghe sulle distanze minime
per coloro che realizzano edifici nuovi o intervengono su manufatti esi-
stenti.
L'art. 14 comma 6, per le nuove costruzioni, recita:
Nel rispetto dei predetti limiti è permesso derogare, nell'ambito delle perti-
nenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle nor-
mative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle di-
stanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà, alle di-
stanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonché alle altezze
massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze mi-
nime riportate nel codice civile.
Mentre al comma 7 per i risanamenti recita
È permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei ti-
toli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regola-
menti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze
minime dai confini di proprietà e alle distanze minime di protezione del nastro
stradale, nella misura massima di 25 centimetri per il maggiore spessore delle
pareti verticali esterne, nonché alle altezze massime degli edifici, nella misura
massima di 30 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La
deroga può essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confi-
nanti. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate
nel codice civile.

27
Quindi la misura massima della deroga sarà di 25 centimetri (5 in più
rispetto alla disciplina precedente) per quanto riguarda il maggiore spes-
sore delle pareti verticali esterne e di 30 centimetri per il maggiore spes-
sore degli elementi di copertura (con riferimento al regime delle altezze
degli immobili). Va sottolineato che tale deroga potrà essere esercitata
nella quota massima da ambedue gli edifici confinanti.

Sorge un problema giuridico molto complesso perché la Direttiva Eu-


ropea dà delle disposizioni generali sul come attuare una politica energe-
tica sugli edifici pubblici e privati, ma non dice nulla sulle volumetrie e
distanze fra edifici, indubbiamente problema non essenziale; perciò non
vi è nessuna norma europea da recepire sul punto.
Ed infatti la legge delega 6 agosto 2013, n. 96, art. 4 non attribuisce al-
cun potere al Governo di legiferare in materia di distanze; essa stabilisce
semplicemente:
1. Al fine di favorire l'efficienza energetica e ridurre l'inquinamento ambien-
tale e domestico mediante la diffusione delle tecnologie elettriche, nell'esercizio
della delega legislativa per l'attuazione della direttiva 2012/27/UE del Parla-
mento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, il Governo è tenuto a intro-
durre disposizioni che attribuiscano all'Autorità per l'energia elettrica e il gas il
compito di adottare uno o più provvedimenti volti ad eliminare l'attuale strut-
tura progressiva delle tariffe elettriche rispetto ai consumi e ad introdurre tariffe
aderenti al costo del servizio.

È quindi facile concludere che il Governo quando ha recepito la diret-


tiva, non poteva cambiare la normativa in materia di distanze, che ha le-
giferato eccedendo la delega, e che le nuove norme sono incostituzionali;
in pratica si dovrebbe tornare al principio che le norme del DM 1968/1444
sono inderogabili.
La dottrina ipotizza che le norme potrebbero essere salvate in base al
seguente ragionamento: le norme sulle distanze sono state introdotte con
un provvedimento amministrativo contenuto nel DM 2 aprile 1968, n.
1444 e ora il Governo ha semplicemente inserito norme che era legitti-
mato ad adottare con un atto amministrativo, all'interno del decreto legi-
slativo. Però è facile osservare che la legge del 1967 aveva dato delega per
l'emanazione di un solo decreto interministeriale, da farsi entro sei mesi,

28
come avvenuto, ragione per cui ora non è più possibile intervenire sulla
materia con provvedimenti amministrativi.
In effetti non si vede come una materia così delicata come quella del
Codice Civile, possa venire modificata senza, quantomeno, una legge de-
lega che indichi i criteri da seguire.
Ritengo perciò che attualmente (dicembre 2015), una parete non possa
essere rivestita con capotto termico se con ciò essa si viene a trovare oltre
la distanza minima consentita. Una normativa saggia dovrebbe preve-
dere di poter applicare un cappotto solo se la distanza fra edifici supera i
tre metri (una distanza così bassa non può essere ulteriormente ridotta) e
che la eventuale ristrutturazione o ricostruzione dell'edificio dovrà ri-
spettare le distanze originarie, senza il cappotto.
Quindi in pratica:
Nel caso di edifici di nuova costruzione, con una riduzione minima
del 20% dell’indice di prestazione energetica, limite previsto dalle norme
vigenti, l’art. 14 del D. L.vo 102/2014 prevede al comma 6 che non sono
considerati nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze,
delle superfici e nei rapporti di copertura, lo spessore delle murature
esterne, delle tamponature o dei muri portanti, dei solai intermedi e di
chiusura superiori ed inferiori, eccedente i 30 cm, fino ad un massimo di:
– ulteriori 30 cm per tutte le strutture che racchiudono il volume riscal-
dato;.
– ulteriori 15 cm per quelli orizzontali intermedi.
Nel rispetto dei predetti limiti è consentito, nell’ambito delle pertinenti
procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al Titolo II, artt. 6-23-ter del
D.P.R. 06/06/2001, n. 380 (Testo unico dell’edilizia), derogare a quanto
previsto dalle normative nazionali, dalle normative regionali o dai rego-
lamenti edilizi comunali, in merito a:
– distanze minime tra edifici;
– distanze minime dai confini di proprietà;
– distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario;
– altezze massime degli edifici.
Le deroghe vanno comunque esercitate nel rispetto delle distanze mi-
nime previste dal Codice civile (3 metri), che pertanto non possono essere
derogate.

29
La riduzione dell’indice di prestazione energetica da conseguire per
poter usufruire delle deroghe deve essere certificata tramite l’Attestato di
prestazione energetica.
Interventi di riqualificazione di edifici esistenti- Deroghe a distanze
minime tra edifici, fasce di rispetto stradali e altezze massime degli edifici
Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti
che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi
di chiusura superiori ed inferiori, necessari ad ottenere una riduzione mi-
nima del 10% dei limiti di trasmittanza previsti dalle norme vigenti (vedi
oltre), l’art. 14 del D.L.vo 102/2014 prevede al comma 7 che è consentito,
nell’ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui
al Titolo II, artt. 6-23-ter del D.P.R. 06/06/2001, n. 380 (Testo unico dell’edi-
lizia), derogare a quanto previsto dalle normative nazionali, dalle norma-
tive regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito a:.
– distanze minime tra edifici;
– distanze minime dai confini di proprietà;
– distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario;
– altezze massime degli edifici.
In particolare:
– le deroghe alle distanze – che possono essere esercitate nella misura
massima da entrambi gli edifici confinanti – operano nella misura mas-
sima di 25 cm per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, non-
ché alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno comunque eser-
citate nel rispetto delle distanze minime previste dal Codice civile, che
pertanto non possono essere derogate;
– le deroghe alle altezze operano nella misura massima di 30 cm, per il
maggior spessore degli elementi di copertura.
(NB: Sintesi estratta dal Sito della ANIT)

30
VI - La misurazione delle distanze

La Cassazione negli ultimi anni ha deciso che vi era da risolvere il pro-


blema di come si misurano le distanze fra edifici, previste dal D.M.
1444/1968. Peccato che non vi fosse il minimo problema da risolvere e che,
di conseguenza, abbia dato solo risposte sbagliate. Per avere la risposta
doveva aprire un libro di geometria per ginnasiali e non le Pandette!
Il Codice civile nulla dice, in quanto era cosa alla portata di qualunque
muratore, come misurare la distanza dal confine; solo all'art. 905, richia-
mato anche dall'art. 907, si scrive che la distanza per le vedute si misura
tra il fondo e la faccia anteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette, non
vi è la distanza di un metro e mezzo. Per i balconi se non vi è la distanza di un
metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
La precisazione era diretta semplicemente a stabilire che si dovesse mi-
surare dalla parete esterna, cosa del tutto ovvia, ma la Cassazione si è
inventata che il legislatore avesse creato due diversi sistemi di misura,
uno radiale e uno lineare, che dànno risultati diversi! Quando si gioca con
le parole e si ignorano i fatti, non vi sono problemi neppure ad accettare
che il tribunale, organo composto da tre giudici, come dice il suo nome,
può essere composto anche da un giudice solo, basta chiamarlo tribunale
monocratico! Il mistero della santissima trinità è entrato nella giustizia ita-
liana.
L'art. 9 del D.M. 1444/1968 scrive:
2) nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza
minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la
distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica
anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per
uno sviluppo superiore a ml. 12.
Quindi si hanno due casi:
- pareti finestrate in almeno uno di due edifici antistanti
- edificio finestrato che fronteggia per almeno 12 metri di lunghezza un
altro edificio con parete non finestrata.
NB: Il legislatore ha usato il termine parete perché temeva che con facciata si
intendesse solo la facciata principale. Avrebbe dovuto scrivere "parete esterna".

31
Nozione di finestrata:
Posto che nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato" l'obbligo di osser-
vare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle ve-
dute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta in un regola-
mento edilizio che si ispiri all'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 - il quale prescrive
nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e
pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti
munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle
quali si aprono finestre cosiddette "lucifere". Cass. n. 26383 del 20/12/2016.
La Cass. n. 19092/2012 ha anche scritto che per aversi la finestra, deve essere
consentito l'affaccio e che non basta una grande vetrata, ma è una scemenza! Si
vede che non hanno mai visto quei palazzoni tutti di vetro trasparente e senza
finestre e che per la Cassazione potrebbero stare ad una distanza tale da guar-
darsi la TV reciprocamente! Ciò che conta è l'aria e il sole e la luce, e una parete
esterna che non sia cieca ha diritto di avere avanti a sé uno spazio vitale libero
di dieci metri.
Nozione di antistante
La distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dall'art. 9 del
D.M. n. 1444 del 1968 deve osservarsi in modo assoluto, essendo ratio della
norma non la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza.
Detta norma va, pertanto, applicata indipendentemente dall'altezza degli edi-
fici antistanti e dall'andamento parallelo delle loro pareti, purché sussista al-
meno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le fac-
ciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Cass. Ord. n.
24076/2018.
In tema di rapporti di vicinato, per negare l'operatività della disciplina delle
distanze tra le pareti finestrate degli edifici, stabilita dallo strumento urbani-
stico, secondo il disposto dell'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, al fine di
assicurare aria e luce agli edifici stessi ed alle loro vedute, non è di per sé suffi-
ciente l'interposizione tra i fabbricati di un muro non di cinta, da considerare
perciò costruzione, occorrendo, per la disapplicazione della disciplina mede-
sima, che l'altezza e l'estensione del muro interposto escludano che gli edifici
risultino anche parzialmente antistanti. Cass. n 24128/2012.
La distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dall'articolo 9,
n. 2, del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, traente la sua efficacia precettiva inderoga-
bile dall'articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (come modifi-
cato dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967 n.765) - ratione temporis applicabile
-, deve osservarsi in modo assoluto, essendo ratio della norma non la tutela della
riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Tale norma va pertanto

32
applicata indipendentemente dall'altezza degli edifici antistanti e dall'anda-
mento parallelo delle pareti di questi, purché sussista almeno un segmento di
esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al
loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Cass. n. 5741/2008
Ai fini dell'osservanza delle distanze legali, ove sia applicabile il D.M. n.
1444/1968 in quanto recepito negli strumenti urbanistici, l'obbligo del rispetto
della distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate di edifici an-
tistanti, deve essere applicato anche nel caso in cui una sola delle pareti che si
fronteggiano sia finestrata, mentre l'altra risulti parzialmente composta da un
avancorpo cieco di altezza inferiore all'edificio finestrato, atteso che la norma
in esame è finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pubblico-sanitario a man-
tenere una determinata intercapedine tra gli edifici che si fronteggiano quando
uno dei due abbia una parete finestrata. (Nella fattispecie gli edifici antistanti
avevano entrambi pareti finestrate ma quello precedentemente costruito per
una parte fronteggiava con un avancorpo privo di apertura la parete finestrata
dell'edificio successivamente costruito). Cass. n. 20574/2007.

Analizziamo a fondo la questione.


In geometria la distanza fra una retta ed un punto è data dal segmento
che congiunge perpendicolarmente la retta al punto. La distanza più
breve può essere solo quella perpendicolare perché ogni altro segmento
sarebbe laterale sarebbe l'ipotenusa di un triangolo rettangolo, maggiore
dei due cateti. La distanza fra due rette parallele è data anch'essa da un
segmento perpendicolare ad esse. Se si misura questo segmento con un
compasso, bastano pochi neuroni per capire che la distanza è data dal
raggio del cerchio che ha il centro sul punto ed è tangente alla retta op-
posta ad esso. Se proprio si vuole, si può chiamare distanza radiale, ma è
nozione inutile che si trova solo nelle sentenze e in rami speciali della
fisica in quanto, sul piano, la distanza è ovviamente radiale e solo radiale.
La Cassazione, a partire dal 1972 ha scritto:
Le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale, come avviene per le
distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Infatti lo scopo del limite im-
posto dall'art. 873 codice civile è quello di impedire la formazione di intercape-
dini nocive, per cui la norma non trova applicazione se non nel caso in cui i due
fabbricati, sorgenti da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteg-
giano, anche in minima parte, nel senso che, supponendo di farli avanzare verso
il confine in linea retta, si incontrino almeno in un punto. (Cass. n. 2548/1972).
Il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che, in applicazione dell'art. 41-quinquies legge
urbanistica (come modificato dall'art. 17 della legge 765 del 1967), detta i limiti
di densità, altezza, distanza tra i fabbricati, all'art. 9, primo comma, n. 2, con

33
disposizione tassativa ed inderogabile, dispone che negli edifici ricadenti in
zone territoriali diverse dalla zona A, è prescritta in tutti i casi la distanza mi-
nima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tale
prescrizione, stante la sua assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte nor-
mativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali, com-
porta che, nel caso di esistenza sul confine tra due fondi di un fabbricato avente
il muro perimetrale finestrato, il proprietario dell'area confinante che voglia, a
sua volta, realizzare una costruzione sul suo terreno deve mantenere il proprio
edificio ad almeno dieci metri dal muro altrui, con esclusione, nel caso conside-
rato, di possibilità di esercizio della facoltà di costruire in aderenza (esercitabile
soltanto nell'ipotesi di inesistenza sul confine di finestre altrui) e senza alcuna
deroga neppure per il caso in cui la nuova costruzione realizzata nel mancato
rispetto del menzionato D.M. sia destinata ad essere mantenuta ad una quota
inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste con-
forme alle previsioni dell'art. 907, comma terzo, cod. civ.. Cass. n. 23495/2006.
Il Consiglio di Stato (sent. n. 7731/2010) ha invece stabilito che la distanza di
10 m tra pareti finestrate di edifici antistanti va calcolata con riferimento ad ogni
punto dei fabbricati (e non alle sole parti che si fronteggiano) e a tutte le pareti
finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse
siano o meno in posizione parallela, ed ha scelto quindi la soluzione radiale.
La Cassazione non ha voluto lasciarsi togliere di bocca il ghiotto boccone ed
ha prontamente (secondo i tempi della nostra giustizia) ribadito che la misura
deve essere lineare. Ai fini dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, due fabbricati,
per essere anti-stanti, non devono necessariamente essere paralleli, ma possono
anche fronteggiarsi con andamento obliquo, purché tra le facciate dei due edi-
fici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di en-
trambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento. Ne
consegue che non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo
retto, né quelli in cui sono gli spigoli opposti a potersi toccare se prolungati
idealmente uno verso l'altro. … In materia di distanze tra fabbricati, l'art. 9 del
D. M n. 1444 del 1968, che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pa-
reti finestrate e pareti di edifici antistanti, è applicabile anche nel caso in cui una
sola delle due pare-ti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla
circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesi-
stente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all'altro.
Cass. 24471/2019.

Va detto che il caso, come i giudici cercano di descrivere a parole, senza


disegno, è spesso del tutto incomprensibile e che non si sa che cosa essi

34
ne abbiano davvero capito. A me rimane abbastanza misterioso il requi-
sito che tra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale
che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure
per quel limitato segmento.

Quindi, ricostruendo il linguaggio contorto del DM, si ha che:


a- In certi casi (Zone B e C) fra gli edifici nuovi vi deve essere una di-
stanza di 10 metri, se una o entrambe le pareti sono finestrate, termine
che sta ad indicare il contrario di "parete cieca". Il fatto che devono essere
antistanti vuol solo dire che la regola si applica a pareti che si fronteg-
giano, altrimenti, se sono sfalsate, non vi è problema di distanza fra pareti
(facciate), ma solo quello generale di distanze di edifici, soggette alla re-
gola generale dei 3-5 metri.
b- Per la zona C si aggiunge, fermo quanto detto al punto a:
b1- se entrambe le pareti sono finestrate, la distanza deve essere
pari all'altezza dell'edificio più alto;
b2- se una sola parete è finestrata, si deve applicare la regola della
distanza=altezza, solo se la parte che fronteggia la parete non finestrata
supera i 12 metri.
Dal complesso delle norme si ricava quindi che basta una sola apertura
o vetrata o finestra o veduta, su di una grande facciata, per farla diventare
"finestrata", ferma restando l'eccezione per la zona C.
Ai fini della altezza la situazione è questa:

Il fabbricato B deve sorgere alla distanza d = h dal fabbricato A; la co-


struzione C, arretrata sopra B, deve restare al di sotto della linea che
forma un angolo di 45° con la base della facciata di A.

35
Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade
destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco
al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere
alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
- 5,00 m per lato, per strade di larghezza inferiore a 7 m.
- 7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 m e 15 m;
- 10 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 m.

Vediamo ora concretamente come si misura una distanza usando la


geometria euclidea. È appena il caso di ricordare, a chi si spaventa di
fronte alle planimetrie, che le distanze in topografia si misurano sempre
sulla proiezione verticale del terreno, come se esso fosse in piano e senza
considerare la sua pendenza.

36
Come già indicato, la distanza, in questo caso, sia dal confine che fra
due edifici, viene misurata tracciando un arco di cerchio dal punto O
dell'edificio A e dal punto N dell'edificio B. I punti in cui esso è tangente
alla linea di confine (ciò lo tocca ad angolo retto) rappresentano i raggi
OC e ND. Il segmento QT rappresenta invece la distanza fra i due edifici,
data dal raggio QT. È evidente che non vi è altra metodo di misura che
quello usato e che i tratti NM e OP (per alcuni, misure lineari), sono privi
di significato.
Chi si è sforzato di dare un senso al pensiero della Cassazione, ha fatto
il seguente schema:

Il tratto BC è la misura radiale ed è il tratto il breve più breve fra i due


spigoli antistanti.
Con la misura lineare si traccia invece la perpendicolare dal punto C
fino ad incontrare il punto Q e poi si traccia la perpendicolare dal punto
B fino al punto P. La distanza è data dal più breve dei due segmenti (sopra
CQ). È evidente che se B e Q coincidono, i due metodi di misura dànno
lo stesso risultato.
Se però spostiamo il nuovo edificio più in basso, si vede chiaramente
l'errore di adottare un metodo variabile invece che fisso. Per quale motivo
A dovrebbe edificare alla distanza lineare CQ (o, peggio, BP), invece che
alla distanza radiale CO che, in figura, è del 20% inferiore? Perché non
adottare la distanza misurata su CO, che è quella che meno limita i diritti
di A, nel pieno rispetto della legge? Solo perché i giudici non conoscono
la geometria? I dieci metri massimi di rispetto sono quelli che garanti-
scono i diritti di entrambi gli interessati in egual modo.

37
Il problema si chiarisce del tutto se lo si affronta da un diverso punto
di vista.
In sostanza l'edificio esistente ha il diritto di avere avanti a sé uno spa-
zio libero lungo quanto la sua facciata e largo 10 metri. Chi costruisce il
nuovo edifico può fare tutto ciò che vuole, purché non lo invada minima-
mente. Ciò si ottiene se l'edificio nuovo ha ogni suo punto fuori della
"zona di rispetto", come necessariamente si verifica con FC >10 m
La "distanza lineare" CQ non ha alcun senso logico e pratico.

38
Che fare nel caso di un edificio rientrante arcuato, ad anfiteatro? Sem-
bra logico ritenere che non si tenga conto della parte rientrante.

I limiti di una soluzione ad un problema emergono applicandola ai casi


estremi. Vediamo che cosa avviene applicando il sistema radiale e quello
lineare ad un edificio di struttura complessa ed anomala:

Radiale Lineare

Risulta chiaro che la soluzione radiale è l'unica ad assicurare una zona


di rispetto uniforme attorno a tutto l'edificio finestrato, mentre la solu-
zione lineare arriva a raddoppiarla insensatamente sulle ali laterali.

39
VII - Norme speciali pubblicistiche

Vi sono delle norme sulle costruzioni che non sono dettate per rego-
lare i diritti dei proprietari, ma a fine di sicurezza pubblica. Fra le princi-
pali:
Norme antisismiche
Sono basate sulla L. 2 febbraio 1974, n. 64, recante Provvedimenti per le
costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche, che ha integral-
mente sostituito la legge 25 novembre 1962, n. 1684, nonché della L. 5 no-
vembre del 1971, n. 1086, recante Norme per la disciplina delle opere di conglo-
merato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica.
Alcune norme sono confluite nel DPR 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, il cui Capo IV
reca “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le
zone sismiche”, con disposizioni specifiche relative alle norme per le co-
struzioni in zone sismiche, alla relativa vigilanza, nonché alle modalità di
repressione delle violazioni. Vi sono poi numerose norme tecniche conte-
nute in DM o in provvedimenti della Protezione Civile.
Codice della Strada
Le distanze minime dalle strade variano a seconda del tipo di strada di
cui si tratta, secondo le definizioni di cui all’art. 2 del Codice della
Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) e a seconda che siano nell'abitato o
fuori dell'abitato.
Linee ferroviarie
Ai sensi del DPR 11 luglio 1980, n. 753, lungo i tracciati delle linee fer-
roviarie è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti ad
una distanza minore di trenta metri dal limite della zona di occupazione
della più vicina rotaia.
Linee elettriche
- DPCM 8 luglio 2003 - Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori
di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popola-
zione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete
(50 Hz) generati dagli elettrodotti (G.U. n. 200 del 29 agosto 2003.
- DM 29 maggio 2008 – Metodologia di calcolo delle fasce di rispetto
per gli elettrodotti.

40
Gli articoli del Codice Civile illustrati e commentati
con la giurisprudenza

Sezione VI
Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi e dei muri,
fossi e siepi interposti tra i fondi

Art. 873 C.C. - Distanze nelle costruzioni

Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono


essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali
può essere stabilita una maggiore distanza.

La distanza minima fra le costruzioni è di tre metri. I regolamenti co-


munali possono stabilire distanze maggiori.
La nozione di costruzione comprende qualunque opera non completa-
mente interrata avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione
rispetto al suolo. Non si considerano costruzioni una baracca, un chiosco,
un box che non siano fissati al suolo, ma vi poggino senza fondamenta.
Non si considerano costruzioni, ai fini delle distanze, i muri di cinta e i
muri isolati di altezza inferiore a tre metri (art. 878).
Per costruzione soggetta ai limiti di distanza non deve necessariamente
intendersi un'opera edilizia o in muratura, potendo essa consistere in
qualunque manufatto che abbia carattere di stabilita e che, per la sua con-
sistenza, possa dar luogo alla formazione di interstizi dannosi o pericolosi
per la sicurezza e l'igiene, a cui tutela deve ritenersi sancito il divieto con-
tenuto nell'art 873 C.C., espressamente ribadito per le sopraelevazioni dei
muri di cinta dall'art 878 stesso codice e riecheggiato dalle norme sulle
distanze delle piantagioni dal confine (artt. 892, 894 C.C.). (nella specie
l'opera posta in essere in violazione dei limiti di distanza era costituita da
una palizzata, con i singoli pali infissi stabilmente al suolo, intersecata da

41
fili metallici, destinata a sostenere una spalliera di erbe rampicanti).
(Cass. 173/1962).
La nozione di costruzione è più ampia in relazione alle vedute perché
esse possono essere anche costituite da manufatti non stabili (ad es. un
pergolato); ne riparleremo trattando delle vedute.
La norma sulle distanze ha lo scopo tradizionale, ma, come detto, or-
mai superato, di evitare la creazione di spazi angusti (intercapedini) mal-
sani e di lasciare ad ogni costruzione la giusta quantità di luce ed aria.
Perciò la norma non riguarda le costruzioni interrate.
Chi costruisce in prossimità del confine di un terreno su cui non vi sono
già costruzioni, deve costruire a m. 1,5 dal confine.
Se sull'altro terreno vi è già una costruzione a distanza minore di m.
1,5, chi costruisce deve farlo a tre metri dalla precedente costruzione, op-
pure deve costruire in aderenza ad essa, pagando il valore del terreno
occupato e, se utilizza il muro esistente, pagando metà del suo valore.
Però il proprietario della costruzione può scegliere di estenderla fino al
confine oppure di demolirla in modo da ripristinare la distanza di m. 1,5
(art. 875 C.C.)
Il principio della cosiddetta "prevenzione" per cui chi costruisce per
primo ha facoltà di costruire sul confine, invece di rispettare la distanza
di m. 1,5, viene meno in quei casi in cui i regolamenti comunali stabili-
scono che si devono osservare date distanze non fra gli edifici, ma rispetto
al confine fra le due proprietà edificabili.
La presenza di una luce non impedisce la costruzione in aderenza. Lo
impedisce invece una servitù di veduta.
Esiste un trucco per "fregare " il confinante ed è quello di vendere la
striscia di terreno fra costruzione e confine ad un terzo! La Cassazione ha
poi chiarito che il trucco funziona se si vuole impedire al vicino di co-
struire in aderenza, ma che, ai fini della distanza fra edifici, la striscia al-
trui viene "neutralizzata" (Cass. Sez. 2, n. 2492 del 21/06/1975 ed ora, am-
piamente Cass. n.3968 del 18/02/2013).

42
Se A ha costruito sul confine, B deve costruire a 3
m su cd oppure in aderenza al muro ab oppure, a sua
scelta, può rendere comune il muro ab.

Se A ha costruito a meno di m 1,5 dal con-


fine, B deve costruire comunque alla distanza
di tre metri dal muro ab. B può aprire vedute
verso A ma A non può aprire vedute verso B
(art. 905).
Però B può anche scegliere di costruire con-
tro il muro ab, ma deve pagare la striscia di ter-
reno che occupa.
Di fronte alla richiesta di B di occupare il ter-
reno, A può decidere di estendere la sua co-
struzione fino al confine.
B può decidere di estendere la sua costruzione fino al muro ab senza
limiti di tempo.

Se A ha costruito a più di m 1,8, B può co-


struire a m 1,2 dal confine.
Però in tal caso non può aprire vedute nel
suo muro dc (art. 905 C.C.).

43
Se A ha costruito a 3 m dal confine, B può co-
struire sul confine, ma senza aperture.
A conserva sempre il diritto di costruire contro il
muro cd.
Se B vuole aprire finestre deve stare a m. 1,5 dal
confine; ma A potrà allora sempre estendere il suo
fabbricato fino a m. 1,5 dal confine.

Se ha A costruito correttamente a m 1,5 dal con-


fine, B deve necessariamente costruire anch'egli a
m 1,5.
A e B possono aprire finestre, ma non balconi o
sporti che superino le facciate.

Se fra i fondi A e B vi è una strada comune o di


un terzo, non gravata da servitù pubblica di passag-
gio A e B possono costruire a m 1,5 dal confine (asse
della strada) come se la strada non vi fosse. Possono
aprire finestre ma non balconi o sporti (art. 905
C.C.) perché la distanza si misura non dalla facciata,
ma dal bordo esterno del balcone o sporto.

Se A ha costruito sul confine della strada co-


mune larga 2 metri, B può costruire sulla linea cd.
Le norme sulle distanze non si applicano se la
strada è gravata di servitù di passaggio per uso
pubblico oppure se fra A e B vi è una striscia di
terreno di un terzo (salvo ovviamente diverse di-
sposizioni dei regolamenti locali; si veda anche
Cass. 3698/2013).

44
Ecco come deve essere misurata la distanza
delle costruzioni in caso di balconi o altri
sporti.
In tema di distanze legali fra edifici, mentre
non sono a tal fine computabili le sporgenze
estreme del fabbricato che abbiano funzione
meramente ornamentale, di rifinitura od ac-
cessoria di limitata entità, come la mensole, le
lesene, i cornicioni, le grondaie e simili; rien-
trano nel concetto civilistico di "costruzione"
le parti dell'edificio, quali scale, terrazze, bal-
latoi, bovindi e corpi avanzati (cosiddetti "ag-
gettanti") che, seppure non corrispondono
sempre a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed am-
pliare la consistenza del fabbricato.
I muri di cinta fino a m 3 di altezza non si considerano. Le distanze si
misurano sempre in orizzontale, senza tener conto della pendenza del
terreno.
Camini e abbaini sono costruzioni.

Se il muro di cinta è alto più di tre metri


o ha struttura diversa da quella di muro di
cinta (ad es. ci si può costruire sopra, cosid-
detto muro di edificio), gli sporti devono
trovarsi a 3 metri dalle sue due pareti (e
non dal confine ideale). Art. 907 C.C.

45
Le distanze non valgono per le fonda-
zioni, salvo che siano fuori terra. Non si con-
siderano cornicioni, falde del tetto, cariatidi,
ecc. La soluzione non è soddisfacente per le
falde del tetto; se entrambi facessero una
falda di un metro, ben poca luce penetre-
rebbe fra i due edifici.

Si deve invece computare nella distanza


una tettoia o pensilina (il muro ab non è di
cinta).

Se A ha costruito la sua porzione pensile a di-


stanza non regolare, B può chiederne la demoli-
zione e costruire a m 1,5 dal confine (salvo usu-
capione di A).

46
Se i due muri sono a distanza inferiori a 3 m
e il muro di A crolla, egli può ricostruirlo, ma
con misure non superiori a quelle originaria
(art. 1074 C.C.). La stessa cosa per B.
Se voglio innalzare la costruzione devono ar-
retrare la nuova porzione.
Il diritto di ricostruire il muro si prescrive in
10 anni, dal momento in cui non esistono più i
ruderi del vecchio muro.

Se B si è appoggiato al muro sul confine renden-


dolo comune, non può sopraelevare lungo il con-
fine, ma deve arretrare la sua costruzione di 3 m.

Se A ha costruito a meno di m 3 dal confine ove


ha costruito un muro edificale o più alto di tre metri,
B può chiedere la comunione del muro, ma non può
sopraelevarlo (art. 878 C. C) e non può far arretrare
A a tre metri. È B che deve stare a 3 m dalla parete
ab.

47
A ha costruito a meno di 3 m dal muro di
B. Deve abbattere la sua costruzione, ma può
anche rendere comune il muro di B e fabbri-
care su di esso riempiendo lo spazio. Se A ha
acquisito il diritto di conservare la sua costru-
zione, B non può sopraelevare il proprio
muro ab.

Una costruzione si intende iniziata con una


qualsiasi muratura di fondazione. Se A ha fatto
un semplice scavo, B può ancora costruire
sulla linea di confine e obbligare A ad arretrare
o ad addossarsi. Se A ha già iniziato a murare
le fondamenta, B deve arretrare anch'egli di m.
1,5.

Il muro ab di sostegno del terrapieno di B è


equiparato ad un muro di cinta e quindi A può
costruire anche a meno di 3 m. da esso. Nulla
cambia ovviamente se il muro di cinta prosegue
oltre il piano di campagna.
Pare che l'altezza del muro, ove tale dato ab-
bia un significato, si misuri dal piano di campa-
gna superiore.

48
Se B costruisce per primo sul suo muro di soste-
gno ab, A può rendere comune il muro pagandone
la metà e pagando il terreno fino alla linea di con-
fine.

A può costruire sul confine RS; B deve appog-


giarsi al muro di A o distaccarsi di 3 m.

Se esiste il fabbricato di A e B vuole co-


struire un balcone, deve rispettare la di-
stanza di 3 m sia da A che dalla costru-
zione di C, se esiste. E C dovrà osservare
i 3 m. dallo sporto massimo del balcone
ab.

49
Se A ha costruito lasciando un cavedio o pozzo luce
abcd, chiuso alla base da un muro di cinta, B, se costrui-
sce, deve lasciare uno spazio libero abef in modo che il
fronte ef disti 3 m dal fronte ab.

Anche una tettoia con antenne o pilastri


infissi al suolo è una costruzione; A deve
quindi costruirla a 3 m dal muro di B misu-
rando la distanza dalla faccia esterna delle
antenne.

Un palo che regge fili elettrici o telefonici può es-


sere piantato a distanza inferiore a 3 metri dal muro
di A.
Non esiste una distanza minima per pali, salvo
che essi assumano le caratteristiche di una costru-
zione (traliccio). Vedi però Cass. n. 173 del
30/01/1962
Un camino o fumaiolo o una ciminiera sono co-
struzioni.

50
Art. 873 - Giurisprudenza della Cassazione
Prevenzione - Il principio della prevenzione si applica anche nell'ipotesi in
cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore
di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle co-
struzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione rego-
lamentare si estende all'intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo
della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul con-
fine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costru-
zioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi
degli artt. 874, 875 e 877 c.c. Cass. Ord. n. 22447 del 09/09/2019 (Conformi S. U.
n. 10318 del 2016)

Prevenzione - In tema di distanze legali, con riferimento alla sopraeleva-


zione di un edificio preesistente, il criterio della prevenzione va applicato
avendo riguardo all'epoca della sopraelevazione e non a quella della realizza-
zione della costruzione originaria. Cass. n. 14705 del 29/05/2019

Prevenzione - In tema di distanze legali, il criterio della prevenzione opera


anche quando il regolamento locale preveda una distanza minima delle costru-
zioni dai confini, purché tale regolamento consenta di costruire in aderenza o
in appoggio. Cass. Ord. n. 14705 del 29/05/2019.

Prevenzione - In tema di distanze tra edifici, il principio della prevenzione è


escluso solo in presenza di una norma del regolamento edilizio comunale che
prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine, con lo scopo di
ripartire equamente tra i proprietari confinanti l'obbligo di salvaguardare una
zona di distacco tra le costruzioni. Ne consegue che, in assenza di una siffatta
previsione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione, potendo il
prevenuto costruire in aderenza alla fabbrica realizzata per prima, se questa sia
stata posta sul confine o a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra
fabbricati. (Nella specie, in applicazione del richiamato principio, la S.C. ha cas-
sato con rinvio la sentenza della corte di appello che aveva ritenuto che l'indi-
cazione di un distacco minimo tra fabbricati da parte di un regolamento edilizio
comunale escludesse la facoltà, in capo ai proprietari dei fondi confinanti, di
costruire in prevenzione, essendo implicito in quella disciplina il richiamo alla
distanza da mantenere rispetto ai confini). Cass. Ord. n. 5146 del 21/02/2019.

Prevenzione - L'art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968 non impone di rispettare

51
in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applica-
zione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l'e-
dificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto
di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se
il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato
una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia po-
sto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non
sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla
parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e co-
struire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal
confine, ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art. 875, comma 2,
c.c., qualora ne ricorrano i presupposti. Cass. Ord. n. 4848 del 19/02/2019 (Conf.
n. 3340 del 2002).

Prevenzione - In materia di distanze tra costruzioni, la pur consentita deroga


convenzionale al diritto di prevenzione non può validamente attuarsi mediante
espressa o implicita disapplicazione delle distanze prescritte dai regolamenti
locali, al riguardo imprescindibilmente vincolanti, onde colui che rinuncia alla
facoltà di fabbricare in appoggio o in aderenza ad una preesistente costruzione
resta per ciò stesso obbligato ad arretrare il proprio fabbricato sino alle anzi-
dette distanze. Cass. Ord. n. 12134 del 17/05/2018.

Prevenzione - Il criterio della prevenzione, previsto dagli artt. 873 e 875 c.c.,
è derogato dal regolamento comunale edilizio allorché questo fissi la distanza
non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse dal confine, salvo che lo stesso
consenta ugualmente le costruzioni in aderenza o in appoggio, nel qual caso il
primo costruttore ha la scelta tra l'edificare a distanza regolamentare e l'erigere
la propria fabbrica fino ad occupare l'estremo limite del confine medesimo, ma
non anche quella di costruire a distanza inferiore dal confine, poiché detta pre-
scrizione ha lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l'onere della crea-
zione della zona di distacco. Cass. Ord. n. 11664 del 14/05/2018 (Conf. n. 23693
del 2014).

Prevenzione e muro comune - L'art. 885 c.c., che riconosce ad ogni compro-
prietario la facoltà di alzare il muro comune, introduce una deroga sia al nor-
male regime della comunione che a quello dell'accessione, perché consente –
anche senza il consenso dell'altro comproprietario del muro – la formazione di
una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, appartenente al
comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune, il quale può
altresì giovarsi, nella prosecuzione in altezza, dello stesso principio di preven-
zione adottato sulla base della costruzione, fatta salva la possibilità per il vicino

52
comproprietario di chiedere la comunione del muro sopraelevato. Cass. Ord. n.
8000 del 30/03/2018.

Apertura porta finestra - La ristrutturazione edilizia, consistente nella tra-


sformazione di una finestra in porta finestra per l'accesso ad un preesistente
lastrico solare, non comporta aumenti di superficie o di volume e, dunque, non
configura una nuova costruzione, sicché è inapplicabile la disciplina in tema di
distanze ex art. 873 c.c. Cass. n. 10873 del 25/05/2016.

Prevenzione - Il principio della prevenzione si applica anche nell'ipotesi in


cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore
di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle co-
struzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione rego-
lamentare si estende all'intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo
della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul con-
fine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costru-
zioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi
degli artt. 874, 875 e 877 c.c. Cass. Sez. U, n. 10318 del 19/05/2016.

Prevenzione e sopraelevazione - In tema di rispetto delle distanze legali tra


costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un in-
cremento della volumetria del fabbricato, va qualificata come nuova costru-
zione, sicché deve rispettare la normativa sulle distanze vigente al momento
della sua realizzazione, non potendosi automaticamente giovare del diritto di
prevenzione caratterizzante la costruzione originaria, che si esaurisce con il
completamento, strutturale e funzionale, di quest'ultima. Cass. n. 9646 del
11/05/2016.

Costruzioni su suolo pubblico - In tema di distanze legali, è legittimo un


piano comunale di localizzazione che, relativamente alle rivendite di giornali
poste sulla via pubblica, deroghi, in riduzione, alle prescrizioni dell'art. 9, del
D.M. n. 1444 del 1968, giacché le costruzioni erette su suolo pubblico (nella spe-
cie, edicola realizzata su di un marciapiede), in confine con i fondi dei proprie-
tari frontisti, sono soggette solo alle disposizioni delle leggi e dei regolamenti
che specificamente le riguardano, ex art. 879, comma 2, c.c., non trovando ap-
plicazione la disciplina di cui all'art 873 c.c. Cass. n. 2863 del 12/02/2016. (S.U.
n. 1638 del 1964).

Edifici a dislivello - Rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le


costruzioni si fronteggino e dall'esistenza di un dislivello tra i fondi su cui esse
insistono. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 3854 del 18/02/2014.

53
Distanza pari ad edificio da edificare - In tema di distanze legali, la norma
contenuta nell'art. 41-quinquies, lett. c), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, in-
trodotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, secondo la quale, nelle
nuove edificazioni a scopo residenziale, "la distanza dagli edifici vicini non può
essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire", va osser-
vata non solo nei casi in cui i Comuni siano sprovvisti di strumento urbanistico,
ma anche quando negli stessi o nei regolamenti edilizi manchino norme speci-
fiche che provvedano direttamente in materia di distanze. Cass. n. 20713 del
10/09/2013.

Sopraelevazioni - In tema di distanze nelle costruzioni, l'art. 17, comma


primo, lett. c), della legge 6 agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte), preve-
dendo che la distanza tra edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di
ciascun fronte dell'edificio da costruire, si riferisce, per la determinazione
dell'altezza, alla parte dell'edificio da realizzare e non anche all'intero corpo di
fabbrica sopraelevato. Cass. n. 23016 del 14/12/2012.

Autorimesse in deroga - La deroga alla disciplina delle distanze, consentita


dall'art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, vale per le autorimesse di nuova
costruzione (e non per la sopraelevazione di autorimesse già esistenti), anche
se realizzate, anziché nel sottosuolo dell'edificio o nei locali a piano terreno, in
un'area pertinenziale dell'immobile, purché esse siano, in tal ultimo caso, in-
teramente sotterranee, essendo la norma diretta a contemperare il favore per la
realizzazione di nuovi parcheggi con la necessità di salvaguardare l'aspetto
esteriore e visibile del territorio. Cass. n. 20850 del 11/09/2013.

Edifici a dislivello - In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 873 C.C. trova
applicazione anche quando, a causa del dislivello tra i fondi, la costruzione edi-
ficata nell'area meno elevata non raggiunga il livello di quella superiore, in
quanto la necessità del rispetto delle distanze legali non viene meno in assenza
del pericolo del formarsi d'intercapedini dannose. Cass. n. 20850 del 11/09/2013.

Porticati - Al fine di verificare il rispetto della distanza legale nelle costru-


zioni, qualora una di esse sia provvista di porticato aperto, con pilastri allineati
al muro di facciata, deve tenersi conto anche del porticato, secondo la regola del
"vuoto per pieno", in quanto, anche nel caso in cui tra i pilastri del porticato non
siano realizzate pareti esterne di collegamento, la fabbrica possiede i requisiti
di consistenza, solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo che ne fanno una
costruzione, soggetta alla disciplina sulle distanze. Cass. n. 18119 del 2 luglio
2013.

54
Usucapione. No se l’edificio è diverso - Non è configurabile l'acquisto per
usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costru-
zione a distanza inferiore a quella legale allorché risulti che, nel corso del tempo
necessario ai fini di tale acquisto, l'originario manufatto, consistente, nella spe-
cie, in un rudere fatiscente, sia stato demolito e sostituito con un immobile
avente una differente altezza ed una diversa localizzazione rispetto alle fonda-
menta ed all'area di sedime del preesistente, così integrando gli estremi di una
nuova costruzione e non di un intervento di ristrutturazione, con conseguente
venir meno dell'identità del bene occorrente per l'unitarietà del possesso ad usu-
capionem. Cass. n. 14902 del 13/06/2013.

Terrapieno - In tema di distanze legali, rientrano nel concetto di "costru-


zione", agli effetti dell'art. 873 C.C., il terrapieno ed i locali in esso ricompresi,
avendo il medesimo terrapieno la funzione essenziale di stabilizzare il piano di
campagna posto a quote differenti dal fondo confinante, mediante un manu-
fatto eretto a chiusura statica del terreno, e potendo, tuttavia, egualmente qua-
lificarsi il riporto di terra volto a sopraelevare il piano di campagna allo scopo
di coprire degli insediamenti edilizi, senza che risulti di impedimento alla rav-
visata equiparazione del terrapieno alla "costruzione" la sopravvenuta separa-
zione del muro di contenimento dal retrostante accumulo di terreno, in quanto
tale muro è soltanto diretto ad eliminare la pericolosità del riporto, allorché non
sia stata rispettata la distanza solonica di cui all'art. 891 C.C. Cass. n. 11388 del
13/05/2013.

Usucapione da parte di costruzione abusiva - È ammissibile l'acquisto per


usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costru-
zione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e
dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, at-
teso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'am-
bito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del ad usucapionem.
Cass. n. 3979 del 18/02/2013.

Neutralizzazione di striscia intermedia - Quando due fondi siano separati


da una striscia di terreno intermedia, inedificata o inedificabile, che abbia una
larghezza inferiore al distacco dal confine prescritto per le costruzioni, ciascuno
dei proprietari deve costruire sul proprio fondo ad una distanza, rispetto al
confine con il terreno di proprietà aliena, che non sia inferiore alla metà della
differenza che residua sottraendo dal distacco imposto dalla normativa edilizia
la misura dello spazio occupato dalla striscia di terreno interposta, quest'ultima
risultando così "neutralizzata" nel computo della distanza minima. Quindi

55
dalla distanza legale o regolamentare viene sottratta la fascia interposta e si di-
vide il risultato per due, ottenendo così la misura del distacco che i proprietari,
pariteticamente, sono tenuti a osservare, ognuno rispetto al confine del suo
fondo. Cass.28 giugno 1993 n. 7129 e Cass. n. 3968 del 18/02/2013.
Nota: non capisco la logica seguita dalla Cassazione; supponiamo che vi siano due
terreno divisi da una fascia di un terzo proprietario larga 2 metri; se i proprietari laterale
rispettassero la distanza di 3 metri dal confine, i due edifici sorgerebbero a 8 metri l'uno
dall'altro; se rispettassero la distanza dalla linea mediana, come si fa quando vi è una
strada privata, gli edifici sorgerebbero a 6 m l'uno dall'altro; secondo il metodo stabilito
dalla SC si dovrebbe togliere 2 m dalla distanza legale e dividere a metà il risultato (3-
2=1; ½ = 0,5 m). Questo è il distacco che i proprietari devono rispettare dal confine e
quindi gli edifici sorgerebbero a 0,5+0,5+2 = 3 m, vale a dire la soluzione peggiore e che
ignora i diritti del proprietario della fascia.

Una rampa è costruzione - In tema di distanze legali tra fabbricati, l'art. 873
C.C., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre
metri dal confine o quella maggiore fissata dai regolamenti locali, va interpre-
tato, in relazione all'interesse tutelato dalla norma, nel senso che la nozione di
"costruzione" comprende qualsiasi manufatto avente caratteristiche di consistenza e
stabilità, o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, per la sua consistenza, abbia
l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del go-
dimento della proprietà. (Nella specie, è stata considerata "costruzione" una
rampa aerea, con uno scivolo carraio, pur fungendo gli stessi solo da copertura
a un edificio sottostante posto a quota inferiore rispetto all'altro fondo, in
quanto eccedenti la pura necessità di contenere il terreno più elevato, e perciò
espressione di un'opzione ulteriore di tipo architettonico). Cass. n. 23189 del
17/12/2012.

Il muro di cinta non incide sulle distanze- In tema di rapporti di vicinato,


per negare l'operatività della disciplina delle distanze tra le pareti finestrate de-
gli edifici, stabilita dallo strumento urbanistico, secondo il disposto dell'art. 9
del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, al fine di assicurare aria e luce agli edifici stessi
ed alle loro vedute, non è di per sé sufficiente l'interposizione tra i fabbricati di
un muro non di cinta, da considerare perciò costruzione, occorrendo, per la di-
sapplicazione della disciplina medesima, che l'altezza e l'estensione del muro
interposto escludano che gli edifici risultino anche parzialmente antistanti.
Cass. n. 24128 del 28/12/2012.

Parete finestrata, solo se con veduta - Posto che nella disciplina legale dei
"rapporti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate di-
stanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione

56
"pareti finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del
D.M. n. 1444 del 1968 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza mi-
nima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non po-
trebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili
come "vedute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosid-
dette "lucifere". Cass. n. 26383 del 20/12/2016.

Sporti - In tema di distanze legali fra edifici, rientrano nella categoria degli
sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con fun-
zione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole, le
lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), mentre costituiscono
corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi
particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza. Cass. n. 18282 del 19/09/2016.

Parete finestrata – Veduta - In tema di rapporti di vicinato, ai fini dell'appli-


cabilità della distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti,
di cui all'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (norma eccezionale, e perciò insu-
scettibile di interpretazione analogica), non può considerarsi "parete finestrata"
né una vetrata fissa e priva di aperture, la quale, non consentendo l'affaccio,
non è configurabile come veduta, ma come semplice luce, né un terrazzo di co-
pertura, il quale non costituisce elemento integrante della parete sottostante,
bensì parte distinta e sovrapposta dell'edificio. Cass. n.10992 del 06/11/2012.
Nota: decisione discutibile e basata sulla nozione errata secondo cui per aversi veduta
occorra l'affaccio; ma uno che si siede in poltrona dietro ad una parete vetrata traspa-
rente, non ha la stessa esatta veduta di chi siede su di un balcone?

Parete finestrata – Distanze - La norma dell'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n.


1444, in materia di distanze fra fabbricati - che, siccome emanata in attuazione
dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, non può essere derogata dalle di-
sposizioni regolamentari locali - va interpretata nel senso che la distanza mi-
nima di dieci metri è richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteg-
giantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edi-
ficio o quella dell'edificio preesistente, essendo sufficiente, per l'applicazione di
tale distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta
ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da
quella prescritta; ne consegue, pertanto, che il rispetto della distanza minima è
dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre. Cass. n.
13547 del 20/06/2011.

57
La strada pubblica intermedia – Deve essere già realizzata - La mera previ-
sione, in un piano regolatore generale o in un programma di fabbricazione,
della destinazione di un terreno privato a strada pubblica, o anche la destina-
zione di fatto ad uso pubblico di tale terreno, senza la esecuzione di opere (pub-
bliche) di irreversibile trasformazione e la conseguente appropriazione cosid-
detta acquisitiva dell'immobile da parte della P.A., non producono, di per sè,
una modificazione immediata del regime dei diritti immobiliari privati e non
basta, pertanto, ad esimere il proprietario confinante dal rispetto delle distanze
legali, perché l'eccezionale deroga alla disciplina delle distanze nelle costru-
zioni di cui al comma secondo dell'art. 879 C.C. opera esclusivamente per quelle
che si fanno a confine di piazze o vie propriamente pubbliche, secondo lo stretto
significato che, nell'ordinamento, ha la nozione di questa categoria di beni,
esclusivamente riferibile alle vie o piazze appartenenti ad un ente territoriale
autarchico e, perciò, demaniali e soggette a regime demaniale, ovvero realizzate
su terreni gravati da diritto pubblico di godimento al fine della circolazione,
parimenti soggette al regime della demanialità. Cass. n. 28938 del 27/12/2011.

Prevale il rispetto della distanza fra fabbricati rispetto alla distanza dal
confine - In tema di distanze nelle costruzioni, il principio codicistico della pre-
venzione si applica anche alle situazioni nelle quali opera, in assenza di piano
regolatore, la disciplina dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, le cui pre-
scrizioni, regolando la distanza tra fabbricati, e non tra fabbricato e confine,
sono sostanzialmente integrative dell'art. 873 C.C., con la conseguenza che ad
essa devono applicarsi le regole ed i principi previsti dal codice civile per la
disciplina della distanza fra costruzioni su fondi finitimi, compreso quello della
prevenzione, non escluso dalla legge speciale. Cass. n. 27522 del 19/12/2011.

Ristrutturazione e ricostruzione
- Nell'ambito delle opere edilizie - anche alla luce dei criteri di cui all'art. 31,
primo comma lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 457 - la semplice "ristrut-
turazione" si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusiva-
mente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano
inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture oriz-
zontali, la copertura, mentre è ravvisabile la "ricostruzione" allorché dell'edifi-
cio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demo-
lizione, dette componenti, e l'intervento si traduca nell'esatto ripristino delle
stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell'e-
dificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria. In presenza di tali au-
menti, si verte, invece, in ipotesi di "nuova costruzione", come tale sottoposta
alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima. Sez. U,
Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011.

58
Decisione un po' semplicistica e che ignora del tutto la definizione fornita dal T. U.
Edilizia, DPR 6 giugno 2001, n. 380 il quale all'art. 3 lett. d) stabilisce che sono "in-
terventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripri-
stino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la mo-
difica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ri-
strutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ri-
costruzione con la stessa volumetria di quello preesistente.

Rialzamento del terreno – è costruzione? - Ai fini dell'osservanza delle


norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti C.C. e delle
norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione
di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi
manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabi-
lità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione
o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o pree-
sistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera
stessa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in forza di
motivazione inadeguata, aveva escluso di poter ravvisare gli estremi della co-
struzione nell'opera di rialzamento del terreno, pur riferendo della realizza-
zione, su tale rialzamento, di un lastricato e di un muro di contenimento). Cass.
n. 15972 del 20/07/2011. Anche il muro di sostegno è costruzione; si veda art. 887
C.C.

Costruzione, Tettoia - In relazione alle prescrizioni di cui all'art. 873 C.C.


costituisce "costruzione" anche un manufatto che, seppure privo di pareti, rea-
lizzi una determinata volumetria, sicché - al fine di verificare l'osservanza o
meno delle distanze legali - la misura deve esser effettuata assumendo come
punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello
spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (nella
specie, tettoia). Cass. n. 5934 del 14/03/2011.

Costruzione – Volume tecnico - In tema di distanze legali tra fabbricati, in-


tegra la nozione di "volume tecnico", non computabile nella volumetria della
costruzione, solo l'opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi - quali quelli con-
nessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore - di una costruzione principale
per esigenze tecnico funzionali dell'abitazione e che non possono essere ubicati
nella stessa, e non anche quella che costituisce - come il vano scale - parte inte-
grante del fabbricato. Ne consegue che, ai fini della determinazione dell'altezza

59
dell'edificio, va computato il torrino della cassa scale, la cui prosecuzione al di
sopra della linea di gronda del fabbricato integra una sopraelevazione utile per
la definizione concreta delle distanze legali tra gli edifici come stabilite dalla
normativa vigente al momento della realizzazione dell'immobile, senza che as-
sumano rilievo eventuali disposizioni contenute in circolari amministrative,
che costituiscono espressione della potestà di indirizzo e di disciplina dell'atti-
vità dell'amministrazione ma non sono fonte di diritto, né di interpretazione
della legge. Cass. n. 2566 del 03/02/2011.
Nota: decisione poco chiara; è possibile che un volume tecnico non venga preso in
considerazione ai fini della volumetria edificabile, ma sicuramente se ne deve tener conto
ai fini delle altezze e delle distanze. Che senso ha distinguere il torrino delle scale (vo-
lume tecnico) dal torrino vano motori dell'ascensore? È una pura sciocchezza. Secondo
la circolare 2474/1973 dei Lavori Pubblici si tratta di volumi “strettamente necessari a
contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico,
elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono per esigenze
tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche”. La nozione “può trovare ap-
plicazione soltanto nei casi in cui i volumi tecnici non siano diversamente definiti o
disciplinati dalle norme urbanistico-edilizie vigenti nel Comune” e, in ogni caso, la loro
sistemazione “non deve costituire pregiudizio per la validità estetica dell’insieme archi-
tettonico”. Sono stati esclusi dal novero dei volumi tecnici anche i vani scala, le verande,
se di dimensioni superiori ad ospitare un impianto tecnologico come una caldaia, ed i
piani interrati, se utilizzati come locali complementari all’abitazione.
NB: Il termine torrino è usato anche per indicare le torrette di aspirazione con co-
pertura a campana o a tettuccio:

Costruzione, nozione - Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di di-


stanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti C.C. e delle norme dei regola-
menti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi "costruzione"
qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità,
stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o in-
corporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente rea-
lizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione

60
dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Ne consegue che
gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabil-
mente incorporati al resto dell'immobile, così da ampliarne la superficie o la
funzionalità economica, costituiscono con l'immobile una costruzione unitaria,
sicché le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell'edificio mag-
giore, ma da quella più prossima alla proprietà antagonista. (Nella specie, la
S.C. ha cassato la sentenza che aveva omesso di considerare, ai fini delle di-
stanze, un corpo accessorio costituito dai servizi igienici). Cass. n. 4277 del
22/02/2011.

Sporti - In tema di distanze legali fra edifici, mentre rientrano nella categoria
degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con
funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole,
le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), costituiscono, invece,
corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi
particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se
scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza. (Nella specie, la S.C. ha con-
fermato la sentenza di merito che aveva ritenuto violata la distanza legale tra
edifici prescritta in cinque metri dal confine, dal regolamento edilizio applica-
bile in giudizio, per la presenza di balconi aggettanti sovrastati da archi murari
solidali con il fabbricato che per la loro profondità ed ampiezza determinavano
un ampliamento della superficie e del volume). Cass. n. 17242 del 22/07/2010.

Distanze legali, muro comune. Si misura dalla facciata - In tema di limita-


zioni legali della proprietà, ove due fondi siano delimitati da un muro comune,
la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo,
giacché su di esso, e sull'area di relativa incidenza, i proprietari confinanti eser-
citano la contitolarità del rispettivo diritto per l'intera estensione ed ampiezza.
Ne consegue che, ai fini della misurazione della distanza legale di una siepe dal
muro comune, si deve avere riguardo alla facciata del muro stesso prospiciente
alla siepe, e non calcolarsi detta distanza rispetto alla linea mediana del muro
comune. Cass. n. 10041 del 27/04/2010.

Prevenzione - Costruzione sul confine - In tema di distanze nelle costru-


zioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal
confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza" od "in
appoggio", la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del princi-
pio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si versa
in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss. C.C., con la
conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il

61
vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comu-
nione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni
previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, C.C.), ovvero di arretrare la sua
costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo stru-
mento urbanistico. Cass. n. 8465 del 09/04/2010.

Fondi finitimi, nozione - La nozione di fondi finitimi è diversa da quella di


fondi meramente "vicini", dovendo per fondi finitimi intendersi quelli che
hanno in comune, in tutto o in parte, la linea di confine, ossia quelli le cui linee
di confine, a prescindere dall'essere o meno parallele, se fatte avanzare ideal-
mente l'una verso l'altra, vengono ad incontrarsi almeno per un segmento; ne
consegue che non possono essere invocate le norme sul rispetto delle distanze
ove i fondi abbiano in comune soltanto uno spigolo o i cui spigoli si fronteggino
pur rimanendo distanti. Cass. n. 3036 del 06/02/2009.

Traliccio - Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali


stabilite dall'art. 873 C.C. o da norme regolamentari integrative, la nozione di
"costruzione" comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i
caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo. (Nella fattispecie
si è ritenuto che integrasse la nozione di "costruzione", ai predetti fini, un tra-
liccio metallico alto oltre trenta metri con annessa cabina, destinata alla diffu-
sione radiomobile). Cass. 25837 del 27/12/2008.

Parete finestrata - Ai fini dell'osservanza delle distanze legali, ove sia appli-
cabile il D.M. n. 1444/1968 in quanto recepito negli strumenti urbanistici, l'ob-
bligo del rispetto della distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti fine-
strate di edifici antistanti, deve essere applicato anche nel caso in cui una sola
delle pareti che si fronteggiano sia finestrata, mentre l'altra risulti parzialmente
composta da un avancorpo cieco di altezza inferiore all'edificio finestrato, at-
teso che la norma in esame è finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pub-
blico-sanitario a mantenere una determinata intercapedine tra gli edifici che si
fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata. (Nella fattispecie
gli edifici antistanti avevano entrambi pareti finestrate ma quello precedente-
mente costruito per una parte fronteggiava con un avancorpo privo di apertura
la parete finestrata dell'edificio successivamente costruito). Cass. n. 20574 del
28/09/2007.

Zona sismica, no costruzioni in aderenza - Nelle zone in cui vige la norma-


tiva antisismica - contenuta nella legge 25 novembre 1962, n.1684 - non sono
applicabili le disposizioni di cui agli artt.874, 876, 884 C.C., secondo le quali il
proprietario del fondo contiguo al muro altrui ha la facoltà, rispettivamente, di

62
chiederne la comunione forzosa, di innestarvi il proprio muro, di costruirvi il
proprio edificio in appoggio, perché è invece necessario che ogni costruzione
costituisca un organismo a sé stante, mediante l'adozione di giunti o altri op-
portuni accorgimenti idonei a consentire la libera ed indipendente oscillazione
degli edifici. Cass. n. 3425 del 16/02/2006.

Finestrati a dislivello - Il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che, in applicazione


dell'art. 41-quinquies legge urbanistica (come modificato dall'art. 17 della legge
765 del 1967), detta i limiti di densità, altezza, distanza tra i fabbricati, all'art. 9,
primo comma, n. 2, con disposizione tassativa ed inderogabile, dispone che ne-
gli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, è prescritta in tutti
i casi la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti. Tale prescrizione, stante la sua assolutezza ed inderogabilità,
risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti ur-
banistici locali, comporta che, nel caso di esistenza sul confine tra due fondi di
un fabbricato avente il muro perimetrale finestrato, il proprietario dell'area con-
finante che voglia, a sua volta, realizzare una costruzione sul suo terreno deve
mantenere il proprio edificio ad almeno dieci metri dal muro altrui, con esclu-
sione, nel caso considerato, di possibilità di esercizio della facoltà di costruire
in aderenza (esercitabile soltanto nell'ipotesi di inesistenza sul confine di fine-
stre altrui) e senza alcuna deroga neppure per il caso in cui la nuova costruzione
realizzata nel mancato rispetto del menzionato D.M. sia destinata ad essere
mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza
dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell'art. 907, comma terzo, C.C.
Cass. n. 23495 del 31/10/2006.

Distanza obbligatoria dal confine, no prevenzione - In tema di distanze le-


gali, il principio della prevenzione ex art. 875 C.C. non è derogato nel caso in
cui il regolamento edilizio si limiti a fissare la distanza minima tra le costru-
zioni, mentre lo è qualora la norma regolamentare stabilisca anche (o soltanto)
la distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che in quest'ultimo caso
l'obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come il corrispondente divieto
di costruire sul confine, a meno che una specifica disposizione del regolamento
edilizio non consenta espressamente di costruire in aderenza. Cass. n. 8283 del
20/04/2005.

Prevenzione - parete finestrata - L'art. 9 n. 2 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 non


impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine e, in appli-
cazione del principio di prevenzione, va interpretato nel senso che tra una pa-
rete finestrata e l'edificio antistante va rispettata la distanza di mt. 10, con ob-
bligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di

63
mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, ha ri-
spettato una distanza di almeno m. 5 dal confine. Ove il preveniente abbia rea-
lizzato una parete finestrata ad una distanza dal confine inferiore a mt. 5, il vi-
cino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino a rispettare la di-
stanza di mt. 10 da tale parete, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le
aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della di-
stanza legale dal confine ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art.
875, secondo comma cod. civ, ove ne ricorrano le condizioni. Cass. n. 3340 del
07/03/2002.

Condutture elettriche e pali - Le condutture elettriche ed i pali che le sosten-


gono non possono essere ricomprese nel concetto di costruzioni, cui fa riferi-
mento l'art 873 C.C., perché, ai sensi di questa norma solo manufatti, che pos-
sano dar luogo alle strette intercapedini dalla norma stessa vietate, possono es-
sere considerati costruzioni. Sez. U, Sent. n. 1647 del 21/09/1970
Nota: sentenza errata, anche se presa dalle sezioni unite, ancorate al criterio medie-
vale delle intercapedini, La decisone è stata infatti abbandonata, come emerge dalla de-
cisione che segue:
L'art. 873 C.C. nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi, la distanza
minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata nei regolamenti locali,
si riferisce, in relazione all'interesse tutelato dalla norma, ad opere che, oltre a
possedere caratteri di immobilità e di stabile collegamento con il suolo, siano
erette sopra il medesimo sporgendone stabilmente, e che, inoltre, per la loro
consistenza, abbiano l'idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicu-
rezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria, idoneità il cui
accertamento (rimesso al giudice di merito ed insindacabile se adeguatamente
motivato) è indispensabile per qualificare l'opera quale costruzione ai fini
dell'applicazione della norma menzionata, senza che ciò comporti deroga alla
presunzione di pericolosità collegata dalla legge al mancato rispetto delle di-
stanze legali, presupponendo tale presunzione il preventivo accertamento che
il manufatto eretto a distanza inferiore a quella legale abbia i caratteri della co-
struzione. L'art. 873 C.C. non comprende invece né le opere completamente rea-
lizzate nel sottosuolo né i manufatti che non si elevino oltre il livello del suolo,
non ricorrendo per le une o per gli altri la ragione giustificatrice della norma
stessa (Nella specie la sentenza di merito - confermata dalla S.C.- non aveva
ritenuto che non fossero costruzioni, ai fini di cui all'art. 873 C.C., una superficie
al livello del cosiddetto piano di campagna, perfettamente spianata, attrezzata
quale campo da tennis, ed i plinti, interrati nel sottosuolo, di sostegno dei pali
di illuminazione del campo stesso, nonché il "cordolo" di recinzione del campo,
alto 20 centimetri, la rete metallica intorno al campo ed i pali di illuminazione
del terreno di gioco, considerando in particolare che il primo per la sua modesta

64
elevazione e gli altri per la loro struttura e consistenza non erano idonei ad in-
tercettare aria e luce ed a formare quindi intercapedini vietate dal menzionato
art. 873 C.C.). Cass. n. 5956 del 01/07/1996.

Pali e Palizzata
- Per costruzione soggetta ai limiti di distanza non deve necessariamente
intendersi un'opera edilizia o in muratura, potendo essa consistere in qualun-
que manufatto che abbia carattere di stabilita e che, per la sua consistenza, possa
dar luogo alla formazione di interstizi dannosi o pericolosi per la sicurezza e
l'igiene, a cui tutela deve ritenersi sancito il divieto contenuto nell'art 873 C.C.,
espressamente ribadito per le sopraelevazioni dei muri di cinta dall'art 878
stesso codice e riecheggiato dalle norme sulle distanze delle piantagioni dal
confine (artt. 892, 894 C.C.). (nella specie l'opera posta in essere in violazione
dei limiti di distanza era costituita da una palizzata, con i singoli pali infissi
stabilmente al suolo, intersecata da fili metallici, destinata a sostenere una spal-
liera di erbe rampicanti). Cass. n. 173 del 30/01/1962.

Piano di campagna - Quando, al fine di stabilire le distanze legali tra costru-


zioni sporgenti dal suolo, i regolamenti edilizi dettano i criteri per la misura-
zione delle altezze dei fabbricati frontistanti, queste devono essere determinate
con riferimento al piano di posa, che è quello dell'originario piano di campagna
e non la quota di terreno sistemato. Cass. n. 6058 del 17/03/2006.

Piano di campagna - La sporgenza del manufatto dal suolo, quale requisito


necessario perché lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali nei
rapporti di vicinato, va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioè
al livello naturale del terreno, non quindi al livello eventualmente inferiore cui
si trovi un finitimo edificio realizzato con abbassamento di quel piano. Cass. n.
5450 del 03/06/1998.

Piano di campagna - In materia di distanze nelle costruzioni nel caso di ab-


bassamento del piano di campagna, con conseguente elevazione dell'altezza
dell'avancorpo dell'edificio preesistente, in epoca antecedente alla costruzione
del fabbricato confinante, le distanze da parte di quest'ultimo immobile - anche
alla stregua dell'art. 2 del piano regolatore della città di Roma (approvato con
R.D.L. 6 luglio 1931 n. 981) che, in materia, fa riferimento non al piano di cam-
pagna ma a quello stradale, e cioè ad un dato caratterizzato dall'opera
dell'uomo nei suoi avvicendamenti, prima della costruzione dello edificio del
vicino - vanno calcolate in correlazione all'attuale (e maggiore) altezza del detto
avancorpo e non alla minore distanza in base alla originaria altezza del primo

65
edificio stante che la ratio della normativa sulle distanze si incentra sull'esi-
genza di realizzare spazi sufficienti a consentire l'areazione e l'insolazione degli
edifici, al momento della loro costruzione. Cass. n. 7323 del 10/12/1986.

Piano di campagna - Il termine 'suolo', che l'art 3 delle norme generali e pre-
scrizioni tecniche per l'attuazione del piano regolatore di Roma (approvato con
legge n 355 del 1932) indica come livello di base per la Determinazione dell'al-
tezza dei villini, va inteso nel senso di 'piano di campagna', ossia come piano
naturale di posa dell'edificio, non come il piano ideale corrente al livello della
strada pubblica. Ove tale piano presenti, nel fondo in cui si deve costruire il
villino, una superficie non pianeggiante, il piano di campagna e rappresentato,
in senso tecnico e giuridico, dalla media delle varie quote del fondo stesso, il
che si realizza abbassando, proporzionalmente alle superfici interessate, le
quote più alte in modo da innalzare, sempre in proporzione, le più basse, e ciò
mediante la distribuzione di tutto il terreno tolto dalle quote più alte sulle più
basse, con esatto compenso di scavo e riporti, sino a ottenere l'anzidetta media.
Cass. n. 316 del 25/01/1978.

Briciole di nomenclatura -Il tetto

66
Art. 874 C.C. - Comunione forzosa del muro sul confine

Il proprietario di un fondo contiguo al muro altrui può chiederne la


comunione per tutta l’altezza o per parte di essa, purché lo faccia per
tutta l’estensione della sua proprietà. Per ottenere la comunione (888)
deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di muro resa co-
mune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito. Deve
inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino.

Questa norma riguarda solo i muri sul confine, sia di fabbrica che di
cinta; se il muro è a cavallo del confine ognuno dei due proprietari è già
proprietario della sua metà e può chiedere la medianza dell'altra metà
pagando la metà del suo valore (cioè un quarto del valore dell'intero
muro e terreno su cui poggia).
Il confinante, se non è tenuto a rispettare determinate distanze dalla
costruzione sul fondo vicino posta sul confine, ha diritto di costruire in
aderenza al muro del vicino oppure persino di rendere comune il muro
del vicino utilizzandolo per appoggiavi la propria costruzione, oppure di
appoggiarvi un terrapieno, ma alle condizioni indicate nell'articolo. Se il
muro è comune, vuol dire che è di entrambi i proprietari, non che cia-
scuno è proprietario della metà verticale di esso; perciò nessuno dei due
può usare la metà di muro, come se fosse sua esclusiva.
Questa facoltà è imprescrittibile ma non irrinunciabile e quindi la ma-
teria può essere oggetto di convenzioni fra le parti. Non è richiesto che
chi richiede la comunanza debba anche effettivamente costruire contro il
muro.
La comunione forzosa non è possibile se fra i due fondi vi è un fosso
comune o una striscia di terreno di terzi.
Se i due fondi sono a dislivello, il proprietario del fondo più in alto
deve rendere comuni anche le fondamenta e non solo la parte di muro al
suo livello (Cass. confusa; a me pare si debba applicare l'art. 887 C.C.).
La comunione forzosa (medianza) deve interessare l'intera lunghezza
del muro, ma non necessariamente l'intera altezza. Se il muro forma una
linea spezzata, ogni tratto si considera a sé. Nulla vieta che le parti si ac-
cordino per rendere comune solo una porzione del tratto di muro.

67
Se il diritto di comunanza viene acquisito per usucapione, esso è limi-
tato alla porzione di muro concretamente utilizzata.
Attenzione: il diritto alla medianza spetta solo al proprietario del fondo
vicino; il proprietario del muro ha solo il diritto a che il vicino non si ap-
poggi al muro senza pagargli il dovuto compenso e che non faccia depo-
siti nocivi contro il muro (vedi art. 880 C.C.).

Se B vuole costruire sulla superficie


adef deve acquistare la comunione di
tutto il muro abc, ma solo per l'altezza
ef. Del muro di cinta pagherà ovvia-
mente solo l'altezza bh. Se vi sono ser-
vitù che gravano sul fondo B, esse
vanno rispettate.

Se il muro è spezzato B può ac-


quistare la comunione solo dei
tratti rettilinei che gli servono, ad
es. ab e bC. L'esistenza di una luce
in vetrocemento sulla parte bc
non impedisce la medianza.

68
Se E vuol costruire appoggiandosi ai
muri delle proprietà di A, B, C, D, deve
acquistare la comunione dei tratti bd, df,
gi, im.

Se il muro di A è interrotto, B può


limitarsi ad acquistare solo la comu-
nione del tratto ab o del tratto cd.

Se il muro di A è curvilineo, B si arrangia e


deve acquistare comunque la comunione di
tutto il muro!

69
L'esistenza sul confine di un muro di
cinta o di una cancellata o rete non attribui-
sce alcun diritto di servitù e non impedisce
a B di chiedere la comunione con il muro di
A.

Se B ha costruito lungo un confine


spezzato, A può chiedere la comu-
nione anche limitatamente al tratto
ab o bC.

Se invece B ha costruito sul con-


fine rettilineo, A deve acquistare la
comunione di tutto il muro.

Se ab è la testata del muro di A, B non può renderla co-


mune ma deve limitarsi a costruire in aderenza; ha il di-
ritto di appoggiarsi al muro, pagando una indennità.

70
Se B vuole recintare il suo terreno
abcd, può appoggiare le testate del
suo muro su A senza acquistare la
comunione del muro.

L'esistenza di una striscia di terreno o fosso larghi meno


di m 1,5 fra A e B e appartenente ad un terzo C, impedisce
a B di costruire in aderenza ad A.

A può richiedere la comunione anche se il muro di


B è appoggiato su di una roccia. Ovviamente A co-
struirà il primo tratto sul proprio terreno per poi rac-
cordarsi al muro superiore.

71
A non può prendere a pretesto l'esistenza di un
muro a secco privo di fondamenta per occupare parte
del terreno di B; la comunione si giustifica solo in pre-
senza di un muro idoneo all'appoggio di una costru-
zione.

Se sotto al muro di A vi sono


scantinati, B non deve pagare
tutto il muro dal piano ac, ma
solo quello al di sopra del livello
da cui farà partire le sue fonda-
menta; nell'esempio dal piano ab.

Se sul muro di A vi è una finestra, B può


chiedere la comunione del muro, ma deve
rispettare la distanza di tre metri sotto la fi-
nestra e al suo fianco.
Pare comunque che debba pagare la
metà dell'intero muro.

72
B ha costruito per primo il suo edi-
ficio e poi A vi ha addossato in comu-
nione forzata il suo edificio ben più
grande. Se ora B vuole sopraelevare il
proprio edificio deve pagare anche
per le superfici di muro laterali (abcd,
cdef, ecc.).
Il diritto di medianza può essere
usucapito in 20 anni . Il diritto al
prezzo del muro si prescrive però in
soli 10 anni.

Se i due edifici A e B sono crollati e A


ricostruisce il muro ab con suoi materiali
e spese, non si ripristina la comunione e
il muro appartiene solo ad A. Se B vuole
appoggiarsi deve pagare la comunione
del muro ab.

Art. 874 - Giurisprudenza della Cassazione


Sopraelevazione del muro di confine - Il proprietario di un fondo, che in-
nalzi il muro di confine sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 C.C.,
sopporta per intero le spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi
concorra il proprietario del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi de-
gli artt. 874 e 885 C.C., ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comu-
nione della parte sopraedificata. Cass. n. 2485 del 21/02/2012.

73
Art. 875 - Comunione forzosa del muro che non è sul confine.

Quando il muro si trova a una distanza dal confine minore di un me-


tro e mezzo ovvero a distanza minore della metà di quella stabilita dai
regolamenti locali, il vicino può chiedere la comunione del muro sol-
tanto allo scopo di fabbricare contro il muro stesso, pagando, oltre il
valore della metà del muro, il valore del suolo da occupare con la nuova
fabbrica, salvo che il proprietario preferisca estendere il suo muro sino
al confine.
Il vicino che intende domandare la comunione deve interpellare pre-
ventivamente il proprietario se preferisca di estendere il muro al con-
fine o di procedere alla sua demolizione. Questi deve manifestare la
propria volontà entro il termine di giorni quindici e deve procedere alla
costruzione o alla demolizione entro sei mesi dal giorno in cui ha co-
municato la risposta.

A differenza del precedente articolo 874 C.C., questo articolo regola le


situazioni che si creano quando sul fondo confinante si trova un muro
che non è sul confine, ma è a distanza inferiore alla metà di quella pre-
scritta (di regola a meno di m 1,5). L'altro confinante ha il diritto (impre-
scrittibile) di far venir meno la violazione costruendo in comunione e pa-
gando la striscia di terreno occupata (zona vacua) e la metà del muro. Se
sceglie di costruire solo in aderenza, pagherà il terreno ma non il muro
(art. 877 C.C.).
Il proprietario della prima costruzione può evitare ciò o arretrando il
suo muro oppure spostandolo sul confine. A tal fine deve essere interpel-
lato.
Se il proprietario della prima costruzione ha usucapito o acquistato ser-
vitù di sporto o di veduta, non può trovare applicazione il presente arti-
colo e il nuovo edificio dovrà essere eretto a distanza legale dal prece-
dente.
L'art. 875 trova applicazione in quanto il muro sia un muro di fabbrica.
Se è un muro di cinta, esso può essere reso comune anche senza subire
l'appoggio di nuove fabbriche.

74
La comunione può essere richiesta solo per costruire un fabbricato, non
per altri scopi. La costruzione deve essere possibile e lecita.

B deve acquistare la striscia di terreno di


larghezza ad e per la lunghezza che occu-
perà con il suo fabbricato. Può, ma non
deve, sfruttare il muro ab per la propria co-
struzione, rendendo comune, e in tal caso
ne pagherà la metà del valore.
A può allargare la costruzione fino al
confine RS ma può anche costruire un
muro di cinta su di esso. In tal caso trova
applicazione l'art. 878 C.C. che impedisce
di appoggiarsi al muro di cinta se oltre esso
vi è una costruzione a meno di 3 metri. B
dovrà quindi costruire a m 3 dalla facciata
ab.

Art.875 - Giurisprudenza della Cassazione


Rientranze, costruzione in aderenza - In tema di distanze legali, gli artt. 873,
875, 877 C.C. non vietano di costruire con sporgenze e rientranze rispetto alla
linea di confine, potendo, in tal caso, il proprietario del fondo finitimo costruire
in aderenza alla fabbrica preesistente sia per la parte posta sul confine, sia per
quella corrispondente alle rientranze, pagando in quest'ultimo caso la metà del
valore del muro del vicino, che diventa comune, nonché il valore del suolo oc-
cupato per effetto dell'avanzamento della costruzione. Cass. n. 15632 del
18/09/2012.

Prevenzione, no se vi è terreno intermedio altrui- In tema di distanza nelle


costruzioni, quando due fondi siano separati da un terreno intermedio di pro-
prietà aliena, non può operare il principio della prevenzione, in quanto trattasi
di principio applicabile per le costruzioni sul confine, ma non per quelle arre-
trate rispetto alla stessa linea di confine di meno di un metro e mezzo, non po-
tendo essere imposto al secondo costruttore l'obbligo di un distacco dal confine
superiore a quello pari alla metà della distanza minima di tre metri di cui all'art.
873 C.C., siccome allo stesso è preclusa la possibilità di edificare in appoggio o
in aderenza, o di avanzare sul fondo altrui, e, quindi, di esercitare i diritti di cui
all'art. 875 C.C. Cass. n. 5153 del 30/03/2012.

75
Prevenzione, sì per distanza da fabbricato a fabbricato - In tema di distanze
nelle costruzioni, il principio codicistico della prevenzione si applica anche alle
situazioni nelle quali opera, in assenza di piano regolatore, la disciplina dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, le cui prescrizioni, regolando la distanza tra
fabbricati, e non tra fabbricato e confine, sono sostanzialmente integrative
dell'art. 873 C.C., con la conseguenza che ad essa devono applicarsi le regole ed
i principi previsti dal codice civile per la disciplina della distanza fra costruzioni
su fondi finitimi, compreso quello della prevenzione, non escluso dalla legge
speciale. Cass. n. 27522 del 19/12/2011.

Prevenzione- Aderenza prevista dal piano regolatore - In tema di distanze


nelle costruzioni, qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate di-
stanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza"
od "in appoggio", la preclusione di dette facoltà non consente l'operatività del
principio della prevenzione; nel caso in cui, invece, tali facoltà siano previste, si
versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli artt. 873 e ss. C.C.,
con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, po-
nendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la
comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le
opzioni previste dagli artt. 875 e 877, secondo comma, C.C.), ovvero di arretrare
la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo
strumento urbanistico. Cass. n. 8465 del 09/04/2010.

Piano regolatore non pubblicato – Non ha valore- In materia urbanistica -


poiché il piano regolatore generale edilizio si perfeziona, in quanto atto ammi-
nistrativo complesso, solo dopo la sua approvazione da parte dei competenti
organi di controllo e la relativa pubblicazione, non essendo sufficiente la mera
adozione dello stesso - prima del perfezionamento di questo "iter" tale stru-
mento urbanistico non può spiegare effetti integrativi del codice civile; ne con-
segue, in tal caso, che la disciplina delle distanze legali può essere regolata
dall'art. 41-quinquies, primo comma, lettera c), della legge 17 agosto 1942, n.
1150 - che impone un distacco non inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'e-
dificio da costruire - soltanto se la nuova costruzione venga a fronteggiarne al-
tra preesistente, nel quale caso è applicabile anche il principio civilistico della
prevenzione dettato dall'art. 875 C.C. Cass. n. 11431 del 18/05/2009.

Prevenzione - In tema di distanze tra edifici, il principio codicistico della


prevenzione non è incompatibile con la disciplina sulle distanze tra fabbricati
vicini dettata dall'art. 41-quinquies, primo comma, lettera c), della legge 17 ago-

76
sto 1942, n. 1150 (aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765); ne de-
riva, pertanto, che, quando il fabbricato del preveniente si trovi a una distanza
dal confine inferiore alla metà del distacco tra fabbricati prescritto dalla citata
norma speciale, il prevenuto ha, ai sensi dell'art. 875 C.C., la facoltà di chiedere
la comunione forzosa del muro allo scopo di costruirvi contro. In tema di di-
stanze legali, perché possa escludersi l'applicabilità della disciplina dettata in
tema di distanze tra edifici dall'art. 41-quinquies, primo comma, lettera c), della
legge 17 agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.
765, è necessario che lo strumento edilizio locale provveda direttamente sulle
distanze. Cass. Sez. U n. 11489 del /08/2002.
Nota: Sentenza di dubbia correttezza. La distanza tra i fabbricati è stabilita per esi-
genze urbanistiche, non nell'interesse del privato.

Briciole di nomenclatura -Il tetto

77
Art. 876 - Innesto nel muro sul confine

Se il vicino vuole servirsi del muro esistente sul confine solo per in-
nestarvi un capo del proprio muro, non ha l’obbligo di renderlo co-
mune a norma dell’art. 874, ma deve pagare un’indennità per l’innesto.

L'articolo si riferisce solo all'ipotesi in cui il nuovo muro si inserisce, si


innesta, al precedente in modo da divenire un'unica struttura portante
con esso. Se la testa del muro viene semplicemente appoggiata al muro
preesistente, senza un collegamento strutturale, non è dovuta alcuna in-
dennità.
La norma è eccezionale e non può essere invocata per l'innesto di travi,
consentito solo sul muro comune (art. 884 C.C.).

B deve solo pagare una indennità ad A per


potersi innestare al suo muro.

78
B non deve pagare alcuna indennità per-
ché costruisce in aderenza.

Art. 876 - Giurisprudenza della Cassazione


Zona sismica. No aderenza - Nelle zone nelle quali deve essere applicata la
legge 25 novembre 1962, n 1684 (C d legge sismica) non possono trovare appli-
cazione le Disposizioni di carattere generale contenute negli artt. 884, 874 e 876
C.C., che attribuiscono al proprietario del fondo finitimo il diritto, rispettiva-
mente, di costruire in appoggio o con innesto nel muro comune anche quando
il vicino si sia già avvalso di analoga facoltà, di costruire in appoggio al muro
del vicino ottenendo la comunione forzosa del muro, di innestare il proprio
muro in quello del vicino - ogni convenzione contraria e nulla. Cass. n. 1197 del
07/05/1973.

Aderenza, nozione - Non può essere ravvisata una costruzione in appoggio,


qualora tra i due muri vicini esista un'intercapedine di cinque centimetri, rico-
perta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia ac-
certata l'interdipendenza delle due strutture murarie per l'eventuale "ammor-
satura" dei solai di copertura ed il ridotto spessore del nuovo muro in corri-
spondenza della più consistente struttura preesistente. Cass. n. 5152 del
25/11/1977.

Innesto immissione travi - L'art 876 C.C., il quale consente al vicino di ser-
virsi del muro esistente sul confine per innestarvi un capo del proprio muro,
verso il solo pagamento di un'indennità per l'innesto e senza obbligo di rendere
il muro comune a norma dell'art 874 C.C., si presenta come norma eccezionale
rispetto alla disciplina generale contenuta nella norma innanzi citata e non am-
mette applicazione analogica: ne consegue che tale disciplina non e invocabile
nel caso in cui non si tratti di innesto di un capo di muro, bensì di immissioni
di travi, le quali sono consentite, a norma dell'art 884 C.C., soltanto nel muro
comune, previo acquisto, quindi, della sua comproprietà. Cass. n. 5778 del
06/12/1978.

79
Art. 877 - Costruzioni in aderenza

Il vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine,


può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza appoggiare la
sua fabbrica a quella preesistente.
Questa norma si applica anche nel caso previsto dall’art. 875; il vi-
cino in tal caso deve pagare soltanto il valore del suolo.

Il vicino non è mai costretto a costruire rendendo comune il muro, ma


può sempre limitarsi a costruire in aderenza, cioè a contatto del muro al-
trui senza in alcun modo appoggiarsi ad esso od incastrarsi in esso.
Però non deve restare alcuno spazio fra i due muri e quindi, se il muro
del vicino è inclinato (barbacane) o rastremato, o a scalini, il vicino non
può costruire in aderenza (vedi però sotto).
Se il vicino costruisce in questo modo a distanza inferiore a quella pre-
scritta, bisogna fare attenzione e ricordarsi che in venti anni egli acquisi-
sce il diritto a tenere la sua costruzione a distanza inferiore a quella legale.
Già abbiamo visto (art. 875 C.C.) che cosa accade se il muro del vicino
non è sul confine, ma a distanza inferiore di m 1,5. Il diritto di occupare
la zona vacua è però limitato alla lunghezza dell'edificio esistente.
Non impedisce l'occupazione della zona vacua il fatto che sul confine
vi siano reti, palizzate, fili spinati, ecc. Se vi è un muro di cinta si veda
l'art. 878 C.C.

80
Se non vi è comunione ogni muro rimane di pro-
prietà di chi lo ha costruito; non sono ammessi di-
stacchi neanche minimi e, se vi sono, devono essere
chiusi con materiale analogo alla muratura.
B non deve pagare alcunché ad A.

B può costruire in aderenza ad A salvo che A


scelga di arretrare la sua costruzione a m 1,5 op-
pure di allungarla fino al confine.
Non si tiene conto di reti, fili spinati, palizzata
morta (cioè di legno senza radici; si contrappone alla
palizzata viva).

81
Il diritto di medianza è limitato al tratto cd. Se B
vuole costruire un edificio più lungo, deve costruire
secondo l'andamento indicato.

B può costruire il suo muro come meglio crede, anche parte in cemento
armato e parte in muratura.
Unica cosa che deve osser-
vare è di non lasciare interca-
pedini aperte; ma si può la-
sciare un lieve distacco
chiuso ai bordi e non è neces-
sario seguire le irregolarità
del muro Cass. n. 3601 del 7/03/2012.

82
Se il muro di A è rastremato, o scalettato con rise-
ghe, B può costruire in aderenza solo per il tratto aa',
ma non può sopraelevare perché la costruzione neces-
saria per chiudere l'intercapedine verrebbe ad insistere
sullo spazio di A. Il tratto a'd dovrà essere arretrato a
m 3 di distanza. Però vedi ora Cass. n. 15632 del
18/09/2012.

Art. 877 - Giurisprudenza della Cassazione


Presenza di un fosso - In tema di distanze nelle costruzioni, qualora sul con-
fine vi sia un fosso di rete fognante ostativo alla costruzione in aderenza, non
opera il criterio della prevenzione, non potendo il prevenuto spingere il suo
fabbricato fino a quello del preveniente, sicché è quest'ultimo a dover osservare
il distacco legale dal confine, altrimenti esponendosi al rischio di dover arre-
trare la propria costruzione. Cass. n. 9222 del 23/04/2014.

Muro scalettato - In tema di distanze legali, gli artt. 873, 875, 877 C.C. non
vietano di costruire con sporgenze e rientranze rispetto alla linea di confine,
potendo, in tal caso, il proprietario del fondo finitimo costruire in aderenza alla
fabbrica preesistente sia per la parte posta sul confine, sia per quella corrispon-
dente alle rientranze, pagando in quest'ultimo caso la metà del valore del muro
del vicino, che diventa comune, nonché il valore del suolo occupato per effetto
dell'avanzamento della costruzione. Cass. n. 15632 del 18/09/2012.

Costruzione in aderenza sopra la verticale - In tema di distanze nelle costru-


zioni, quando due fabbricati sono in aderenza, il proprietario di uno di essi non
può dolersi della costruzione da parte del proprietario dell'altro di un muro sul

83
confine, al di sopra del fabbricato, tenuto conto che l'art. 873 C.C. trova appli-
cazione soltanto con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, es-
sendo, pertanto, in tali casi legittima la sopraelevazione effettuata in aderenza
sopra la verticale della costruzione preesistente. Cass. n. 7183 del 10/05/2012.

Aderenza imperfetta - La costruzione in aderenza al muro posto sul confine,


ai sensi dell'art. 877 C.C., deve essere ravvisata anche in presenza di modeste
intercapedini, ove queste derivino da mere anomalie edificatorie e siano, altresì,
agevolmente colmabili senza appoggi o spinte sul manufatto preesistente (nella
specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ravvisato
l'aderenza tra i due fabbricati, sigillati sul fronte e distaccati da tre a dodici cen-
timetri su altri lati). Cass. n. 3601 del 07/03/2012.

Briciole di nomenclatura - Sul tetto

84
Art. 878 - Muro di cinta

Il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza
superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza
indicata dall’art. 873.
Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune (874) anche
a scopo d’appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza
inferiore ai tre metri.

I muri di cinta possono essere più alti o meno alti di 3 metri. Quelli più
alti di tre metri sono equiparati in tutto e per tutto a muri di fabbrica, ad
una costruzione, e quindi ricadono sotto il regime degli articoli prece-
denti: devono rispettare le distanze legali per le costruzioni e il vicino
deve rispettarle rispetto ad essi.
I muri di altezza inferiore a m 3, se destinati a recingere, non si consi-
derano ai fini delle distanze e non creano prevenzione. Ad essi sono equi-
parati i muri isolati di altezza inferiore a m 3, salvo che siano muri di
fabbrica o muri divisori.
Il muro di cinta può essere collegato ad un edificio oppure essere iso-
lato. Il muro di sostegno di solito è un muro di fabbrica.
Muro di cinta è quello che ha la funzione di delimitare parzialmente o
totalmente una proprietà per impedire l'ingresso di cose o persone, per
impedire immissioni, per servire di riparo dal vento, per impedire che il
vicino guardi nel terreno, ecc. ed ha entrambe le facce libere; se vi è ad-
dossato un fabbricato diventa anch'esso muro di fabbrica. Così pure un
muro che sostiene un terrapieno. Però la Cass.:" Nel caso, peraltro, di
fondi a dislivello, nei quali adempiendo il muro anche ad una funzione
di sostegno e contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non
si presenta di norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre me-
tri, se tale è l'altezza del terrapieno o della scarpata; pertanto, non può
essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze
legali il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il
fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del decli-
vio naturale, mentre nel caso di dislivello di origine artificiale deve essere
considerato costruzione in senso tecnico - giuridico il muro che assolve in
modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo" (Cass. 8144/2001). Un muro che

85
non ha il requisito di recingere un fondo, ma solo di proteggere un suo
lato è un muro divisorio.
Il muro realizzato a confine per la recinzione della proprietà, qualora
sia unito - con una platea in cemento realizzata sotto il piano di campagna
- ad altro muro edificato a ridosso ed in corrispondenza di esso, perde la
natura di muro di cinta per acquistare quella di vera e propria costruzione
da edificarsi nel rispetto delle distanze legali (Cass. 12459/2004).
Un muro può essere qualificato come muro di cinta quando ha deter-
minate caratteristiche: destinazione a recingere una determinata pro-
prietà, altezza non superiore a tre metri, emergere dal suolo ed avere en-
trambe le facce isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali caratteri-
stiche è applicabile la disciplina prevista dall'art. 878 C.C. e dalle norme
di esso integrative, in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra
costruzioni; tuttavia tale normativa si applica anche nel caso in cui si ab-
bia un manufatto in tutto o in parte carente di alcune di esse, purché sia
idoneo a delimitare un fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta
la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il
fondo (Cass. 8671/2001).
La nozione di muro isolato è poco chiara e mai chiarita! In sostanza è
un muro con facce libere e inferiore a tre metri di altezza, che non ha fun-
zione di recinzione o di delimitare il confine, ad es. un paravento, una
barriera antirumore. Questi muri vanno distinti dai muri di fabbrica che
svolgono diversa funzione o che sono costruiti in previsione di far parte
di un edificio.
I muri di cinta e quelli isolati possono essere costruiti sul confine o ar-
retrati.
Il muro di cinta deve rispettare le distanze poste a tutela di vedute
(Cass. 699/1983).
Il secondo comma è anch'esso poco chiaro: quando il muro di cinta o
isolato è posto a meno di m 1,5 dal confine il vicino può costruirvi in co-
munione o in aderenza purché oltre il muro non vi sia già un edificio a
distanza inferiore di tre metri dal confine. Si presuppone quindi che il
muro non sia sul confine e che non vi sia già un edificio posto a meno di
tre metri (dal confine o dal muro o dall'edificio??). Dice la Cass. " Tenuto
conto che ai sensi dell'art. 878 secondo comma C.C. il vicino può costruire
in appoggio al muro di cinta rendendolo comune, purché non sia violata

86
la distanza di tre metri dalla costruzione esistente al di là del muro, co-
stituisce, in tale ipotesi, esercizio legittimo dei poteri inerenti al diritto di
proprietà, che altrimenti verrebbe limitato dall'opera del vicino, costruire
in aderenza al muro di cinta senza l'obbligo di renderlo comune, obbligo
che non è previsto dalla citata norma. Nella specie la Corte, nel formulare
il principio sopra richiamato, ha ritenuto legittima l'installazione di una
parete in ondolux realizzata in aderenza al muro di recinzione della con-
finante proprietà edificato dal vicino" (Cass. 8807/2003). La regola non si
applica se contro il muro di cinta vi è già una costruzione in aderenza.

B può costruire sul confine RS purché su A non


vi sia un edificio a distanza inferiore a m 3.

I e II) Il muro di cinta ab può essere reso comune da B; egli però non
può incorporarlo in una sua fabbrica né costruirvi in aderenza perché vi
è la precedente costruzione A a meno di m 3 dal confine.
III) Il muro di cinta ab non incide sulle distanze e B deve rispettare la

87
distanza di m 3 dal balcone di A.

Anche il muro di sostegno ab, di proprietà di


B, b viene considerato muro di cinta.

Anche la cancellata è un muro di cinta e


quindi se esso è di A, come in figura, B può
acquistarne la comunione e sostituirlo con
un muro pieno.

Si considera muro di cinta anche quello che è infisso


o appoggiato con le sue teste nel muro perimetrale di
un edificio al fine di chiudere o proteggere una chio-
strina o pozzo di luce. B può costruire a m 3 di distanza.

88
Nella situazione raffigurata A e B
possono costruire a m 1,5 dal con-
fine con sopra il muro di cinta.
Sia ora il caso che solo A abbia co-
struito a m. 1,5 e abbia aperto una
finestra, cosa lecita. Se A alza il
muro oltre m 3 esso non è più muro
di cinta, ma un muro di fabbrica da
cui si devono osservare le distanze
di cui all'art. 873.
Se B non si oppone alla sopraele-
vazione (atto emulativo?) non può appoggiarsi al muro, ma deve stare a
m. 3 da esso.
Se gli edifici A e B fossero stati costruiti a distanza di m 1,5 dal muro,
esso non si potrebbe sopraelevare perché si verrebbero a creare due in-
tercapedini larghe solo m 1,5.

A possiede l'edificio M a m 1,5 dal confine su cui vi è il muro di cinta


ab. Egli costruisce il locale L coprendolo con il solaio bc e appoggiandosi
al muro di cinta.
Il muro non è più di cinta ma diventa muro di fabbrica.
B, se vuole costruire a sua volta, si trova di fronte a due alternative:

I) B può coprire anch'egli lo spazio libero N


e poi può anche soprelevare purché a 3 m
dalla parete di M.

89
II) Oppure rinunzia al locale N e
costruisce il suo edificio tutto a 3 m
dal confine e dalla faccia ab muro di
cinta.

Se A ha alzato il muro di cinta oltre


m 3 e ha creato il locale L, anche B può
costruire per l'altezza ac poiché il muro
non è più di cinta.
Però se supera tale altezza, deve stare
a 3 m dalla faccia ab del muro.

Art. 878 - Giurisprudenza della Cassazione


Partecipazione alla spesa - Il proprietario di un fondo, che eriga un muro sul
confine, ha diritto ad ottenere, dal proprietario del fondo contiguo, un contri-
buto per metà nella spesa di costruzione solo se il manufatto integri i requisiti
del muro di cinta ex art. 886 C.C., raggiungendo un'altezza non inferiore a tre
metri e sempreché lo stesso, fino a tale livello, sia integralmente in muratura.
Cass. n. 6174 del 26/03/2015
Nota: il confinante può esimersi dalla spesa se rinunzia alla striscia di terreno su cui
dovrebbe insistere il muro, che quindi non sarà più comune.

Il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 C.C., ai fini
dell'esenzione dal rispetto delle distanze legali imposte dall'art.873 C.C., deve

90
essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde se-
pararla dalle altre, non superare un'altezza di tre metri ed avere entrambe le
facce isolate da altre costruzioni. (Nella specie la S.C., in base all'enunciato prin-
cipio, ha confermato la decisione di merito che aveva considerato costruzione
il muro di confine sovrastante il livello di campagna, delimitante il fondo su
due lati e realizzato per un tratto in aderenza ad un muro sul confine). Cass. n.
20351 del 20/11/2012

Muro di cinta a dislivello e vedute - In tema di distanze per l'apertura di


vedute e balconi, la semplice esistenza di un terreno sopraelevato, senza che vi
sia un parapetto che consenta l'affaccio sul fondo del vicino, esclude l'obbligo
di distanziarsi dal fondo predetto ai sensi dell'art. 905 C.C. Tuttavia, deve rite-
nersi rilevante al fine di favorire la possibilità di affaccio l'attività di innova-
zione della preesistente situazione tra i fondi, che consista nell'innalzamento
del piano di campagna, tale da determinare un diverso rapporto con il muro
confinario. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha
cassato la sentenza di merito, la quale aveva escluso che il proprietario del
fondo posto a quota inferiore fosse portatore di un interesse tutelabile all'elimi-
nazione di un inspicere già in precedenza possibile, rilevando come lo spiana-
mento e l'elevazione del dislivello avessero, piuttosto, consentito al vicino l'av-
vicinamento al muro di cinta, dapprima impedito, così dando luogo ad una si-
tuazione compatibile in astratto con l'esercizio di una servitù di veduta per
opera dell'uomo). Cass. n. 12497 del 19/07/2012.

Muro di cinta a dislivello - In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello,


qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna - originariamente livel-
lato sul confine tra due fondi - sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi
che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato "ex
novo" dall'opera dell'uomo, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fab-
brica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni.
Cass. n. 13628 del 04/06/2010.

Edificio a meno di tre metri - In tema di distanze legali, la costruzione in


aderenza a un muro di confine, ai sensi dell'art. 878, secondo comma, C.C., è
consentita soltanto ove non preesista all'interno del fondo limitrofo un edificio
posto a distanza inferiore a quella che deve per legge intercorrere tra i fabbri-
cati. Cass. n. 10575 del 25/06/2012.

Muro di cinta e vedute - L'obbligo di costruire a non meno di tre metri dalle
vedute dirette aperte nella costruzione esistente sul fondo vicino, di cui all'art.
907 C.C., ha natura assoluta e va osservato anche quando l'erigenda costruzione

91
non sia tale da impedire di fatto l'esercizio della veduta, mentre una valutazione
circa l'idoneità dell'opera ad ostacolare il diritto di veduta può venire in rilievo
soltanto quando si intenda erigere un manufatto diverso da una costruzione in
senso tecnico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sen-
tenza di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell'esonero dal rispetto
della distanza minima prescritta dall'art. 907 C.C., la circostanza che l'erezione
di un muro di cinta, da intendersi quale costruzione in senso proprio, non
avesse impedito l'esercizio del diritto di veduta al proprietario del fondo vi-
cino). Cass. n. 12033 del 31/05/2011.

Altezza del muro - Un muro che separa fondi finitimi non può esser qualifi-
cato muro di cinta - la cui funzione è di non essere facilmente scavalcabile - se
è di altezza inferiore a tre metri perché viene meno la funzione di non facile
scavalcabilità, ovvero se tale altezza è raggiunta con una rete metallica sullo
stesso installata perché, secondo l'espressione letterale della norma, di natura
eccezionale, fino a tale altezza deve esser costruito in muratura. Pertanto il vi-
cino non è obbligato al pagamento della metà delle spese di un muro di altezza
inferiore a detto limite o raggiunta con una rete metallica sullo stesso installata.
Cass. n. 12819 del 12/07/2004
Nota: Massima formulata male; un muro di cinta può essere di qualsiasi altezza pur-
ché non superi i tre metri; deve essere di tre metri nel caso di costruzione forzosa ex art.
886 C.C.

Briciole di nomenclatura - L'abbaino

92
Art. 879 - Edifici non soggetti all'obbligo delle distanze o
a comunione forzosa

Alla comunione forzosa non sono soggetti gli edifici appartenenti al


demanio pubblico e quelli soggetti allo stesso regime, né gli edifici che
sono riconosciuti di interesse storico, archeologico o artistico, a norma
delle leggi in materia. Il vicino non può neppure usare della facoltà
concessa dall'art. 877.
Alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbli-
che non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osser-
varsi le leggi e i regolamenti che le riguardano.

Solo il secondo comma ha sollevato qualche problema interpretativo.


La giurisprudenza ha precisato che la norma si applica anche in pre-
senza di strade private di uso pubblico (cioè gravate da servitù pubblica
di passaggio) e a strade vicinali di pubblico transito). È tale anche una
strada realizzata in esecuzione di un piano regolatore, anche se non uffi-
cialmente divenuta di proprietà del Comune.
Le Chiese non sono escluse dall'obbligo della comunione del muro.

Art. 879 - Giurisprudenza della Cassazione

Strada pubblica e vedute - Il regime legale delle distanze delle costruzioni


dalle vedute, prescritto dall'art. 907 c.c., non è applicabile, stante il disposto
dell'art. 879, comma 2, c.c. - per il quale "alle costruzioni che si fanno in confine
con le piazze o le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze"
- non solo quando la strada o la piazza pubblica si frappongano tra gli edifici
interessati, ma anche nel caso in cui le stesse delimitino ad angolo retto, da un
lato, il fondo dal quale si gode la veduta, e, dall'altro, il fondo sul quale si esegue
la costruzione. Cass. Ord. n. 24759 del 03/10/2019.

Strada pubblica - Distanza tra fabbricati -Il rinvio, contenuto nell'art. 879,
comma 2, c.c., alle leggi e ai regolamenti che riguardano le costruzioni "che si
fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche" non va interpretato come de-
roga all'inapplicabilità, prevista dal medesimo art. 879, comma 2, c.c., delle

93
norme sulle distanze alle pubbliche strade e piazze, concernendo, invece, la di-
sciplina in tema non già di "distanze", bensì di "fabbricati". Cass. Ord. n. 27364
del 29/10/2018.

Strada pubblica - Riduzione in pristino - Per l'accoglimento della domanda


di riduzione in pristino proposta dal proprietario danneggiato dalla violazione
delle norme sulle distanze fra costruzioni contenute in leggi speciali e regola-
menti edilizi locali è necessario che le norme violate abbiano carattere integra-
tivo delle disposizioni del codice civile sui rapporti di vicinato, siccome disci-
plinanti la stessa materia e da esse (artt. 872 e 873 c.c.) richiamate, e che si tratti
di costruzioni soggette all'obbligo delle distanze e, quindi, non confinanti con
vie o piazze pubbliche (art. 879, comma 2, c.c.); resta esclusa, pertanto, la ridu-
zione in pristino se tra i fabbricati siano interposte strade pubbliche, benché la
norma edilizia locale applicabile (integrativa di quelle del codice civile) pre-
scriva che la distanza minima prevista debba essere osservata pure qualora tra
i fabbricati siano interposte aree pubbliche. Cass. Ord. n. 27364 del 29/10/2018.
Massima non molto chiara.

Strada pubblica, nozione - L'esonero dal rispetto delle distanze legali, pre-
visto dall'art. 879, comma 2, c.c., per le costruzioni a confine con piazze e vie
pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà
privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico
della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, attiene, più
che alla proprietà del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettività.
Cass. Ord. n. 27364 del 29/10/2018.

Bene demaniale - Le norme sulle distanze legali disciplinano i rapporti tra


fondi privati contigui e non trovano applicazione quando si tratti di opera co-
struita su area di proprietà demaniale, atteso che, in tal caso, l'eventuale pre-
giudizio dei diritti dei proprietari dei fondi contigui deve essere valutato in re-
lazione all'uso normale spettante ai medesimi sul bene pubblico. Cass. n. 9913
del 19/04/2017 (Conf. 1558 del 1974).

Strada pubblica - In tema di distanze nelle costruzioni, l'art. 38 della legge


della Provincia autonoma di Bolzano 11 agosto 1997, n. 13, nel testo (nella spe-
cie, applicabile ratione temporis) antecedente alle modifiche apportate dall'art.
10 della legge provinciale 2 luglio 2007, n. 3, delegando al piano di attuazione
la disciplina delle distanze solo per il caso di costruzioni in fregio a strada o
piazze pubbliche, legittimamente deroga in riduzione alle prescrizioni generali
contenute nell'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che impongono il rispetto
di una distanza non inferiore all'altezza dell'edificio prospiciente. Tale regime

94
derogatorio deve essere applicato non solo sulla base del principio della non
necessaria preesistenza della strada rispetto alla costruzione, ma nel senso che
la legittimità dell'edificazione, con riferimento all'altezza ed al rispetto delle di-
stanze stabilite dal piano di attuazione, è condizionata all'accertamento che la
strada pubblica sia già stata realizzata o sia in corso di realizzazione al mo-
mento in cui il fabbricato è ultimato nelle sue componenti strutturali essenziali.
Cass. n. 741 del 19/01/2012.

Piano regolatore non pubblicato - La mera previsione, in un piano regola-


tore generale o in un programma di fabbricazione, della destinazione di un ter-
reno privato a strada pubblica, o anche la destinazione di fatto ad uso pubblico
di tale terreno, senza la esecuzione di opere (pubbliche) di irreversibile trasfor-
mazione e la conseguente appropriazione cosiddetta acquisitiva dell'immobile
da parte della P.A., non producono, di per sé, una modificazione immediata del
regime dei diritti immobiliari privati e non basta, pertanto, ad esimere il pro-
prietario confinante dal rispetto delle distanze legali, perché l'eccezionale de-
roga alla disciplina delle distanze nelle costruzioni di cui al comma secondo
dell'art. 879 C.C. opera esclusivamente per quelle che si fanno a confine di
piazze o vie propriamente pubbliche, secondo lo stretto significato che, nell'or-
dinamento, ha la nozione di questa categoria di beni, esclusivamente riferibile
alle vie o piazze appartenenti ad un ente territoriale autarchico e, perciò, dema-
niali e soggette a regime demaniale, ovvero realizzate su terreni gravati da di-
ritto pubblico di godimento al fine della circolazione, parimenti soggette al re-
gime della demanialità. Cass. n. 28938 del 27/12/2011.

Vedute - Il regime legale delle distanze delle costruzioni dalle vedute, pre-
scritto dall'art. 907 C.C., non è applicabile, stante il disposto dell'art. 879, se-
condo comma, C.C. - per il quale "alle costruzioni che si fanno in confine con le
piazze o le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze" - non
solo quando la strada o la piazza pubblica si frappongano tra gli edifici interes-
sati, ma anche nel caso in cui le stesse delimitino ad angolo retto, da un lato, il
fondo dal quale si gode la veduta, e, dall'altro, il fondo sul quale si esegue la
costruzione. Cass. n. 14784 del 24/06/2009.

Strada di uso pubblico - L'esonero dal rispetto delle distanze legali previsto
dall'articolo 879, comma secondo, C.C. per le costruzioni a confine con piazze e
vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di pro-
prietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere
pubblico della strada, rilevante ai fini dell'applicazione della norma citata, at-
tiene più che alla proprietà del bene, piuttosto all'uso concreto di esso da parte
della collettività. Cass. n. 6006 del 05/03/2008

95
Nota: poco convincente; è questione molto controversa: comunque occorre un atto
formale il quale consenta di escludere che si tratti di uso abusivo o tollerato.

Distanze e codice della strada - Le disposizioni di legge e regolamentari tra


le quali, fra l'altro, il codice della strada ed il relativo regolamento di esecuzione,
cui rinvia l'art. 879, comma secondo, C.C. per il caso delle costruzioni "in con-
fine con le piazze e le vie pubbliche ", non sono dirette alla regolamentazione
dei rapporti di vicinato ed alla tutela della proprietà, ma alla protezione di in-
teressi pubblici, con particolare riferimento alla sicurezza della circolazione
stradale; pertanto, ove l'Amministrazione pubblica a tutela del bene demaniale
abbia esperito i rimedi ordinari a tutela della proprietà, è da ritenersi insussi-
stente un diritto soggettivo suscettibile di dar luogo a tutela ripristinatoria.
Cass. n. 5204 del 27/02/2008.

Risarcimento danno - Il proprietario di un edificio che ne fronteggi un altro


al lato opposto di una pubblica via, oltre ad avvalersi della tutela giurisdizio-
nale amministrativa, sulla base della convergenza del proprio interesse partico-
lare con quello generale tutelato dalle norme di edilizia e di ornato pubblico
richiamate dall'art. 871 C.C., può anche chiedere al giudice ordinario, in caso di
non conformità a tali norme dell'edificio frontistante, il risarcimento dei danni
eventualmente cagionatigli dalla violazione delle stesse. Cass. n. 2948 del
11/03/1993

Briciole di nomenclatura - I cornicioni

96
Art. 880 - Presunzione di comunione del muro comune

Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla
sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli
edifici comincia ad essere più alto.
Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cor-
tili, giardini e orti o tra recinti nei campi.

Abbiamo visto che il muro costruito contro quello del vicino può essere
in semplice aderenza oppure essere incorporato ad esso in modo da for-
mare un unico muro sotto l'aspetto statico.
In questo caso la legge presume, fino a prova contraria, che il muro,
avente le caratteristiche di un muro di fabbrica, sia in comunione per tutta
l'altezza dell'edificio più basso e per tutta la sua lunghezza del muro più
lungo. Si badi bene, non si presume che il muro sia di metà ciascuno per
metà verticale, ma bensì pro quota ideale.
Se il muro forma una linea spezzata si avranno tanti muri quanti sono
i segmenti della linea.
Se il vicino si è appoggiato contro il muro che sorgeva non a cavallo
del confine, ma al di là di esso, entro il terreno confinante, la presunzione
sorge solo dopo che si è verificata l'usucapione ventennale del diritto di
tenere il proprio edifico in tale posizione illegittima.
Il secondo comma estende la presunzione di comunione anche ai muri
di cinta.
Si ritiene che la presunzione non trovi applicazione quando la utilità
del muro non è reciproca in quanto le proprietà non sono omogenee. In
altre parole non si presume comune il muro di cinta di una villa che la
separa dalla campagna. Lo è quello che la divide da un'altra villa.
Si ritiene egualmente che non si presuma comune il muro con volte e
spezzate che recinge una intera proprietà.
La presunzione viene meno quando risulta che il muro non è a cavallo
del confine, ma entro il confine del terreno cintato e quando vi sono segni
materiali che dimostrano l'esclusiva proprietà del muro (pioventi, plu-
viali, incavi, ecc.).

97
Per il condominio valgono regole particolari; la Cassazione ha deciso,
ad esempio, che il proprietario di una cantina può abbattere il muro non
portante che la divide dall'androne dei garage, per usare la cantina come
garage (903/1975 e successive).

Tra i fabbricati A e B il muro si


presume comune per l'altezza ab.
Il muro fra B e C si presume co-
mune per l'altezza cd e per tutta
la sua lunghezza.

Il fabbricato B ha un terrazzo con pa-


rapetto ed un abbaino che ricopre la
scala di accesso al terrazzo. Il muro di-
visorio si presume comune per l'al-
tezza ab. Se non vi fosse l'abbaino, si ri-
terrebbe comune per l'altezza ac.

Contro A sono appoggiati i fabbricati B e


C.
La zona abde è comune fra A e B.
La zona bcfg è comune fra A e C.
Il muro fra B e C è comune fino
all'altezza h.

98
Il muro abc si presume comune per tutta la
lunghezza ac.

Quando sul prospetto esterno di una facciata i


rispettivi cornicioni si estendono fino alla linea
centrale del muro, si presume che il muro sia co-
mune. E quindi la linea RS indica il confine inva-
licabile per sporti, cornicioni, tende.

Art. 880 - Giurisprudenza della Cassazione


Muro comune - misurazione - In caso di proprietà delimitate da un muro
comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro me-
desimo, poiché su di esso, nonché sull’area di relativa incidenza, i proprietari
confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione
ed ampiezza, sicché le distanze si misurano rispetto alla facciata del muro pro-
spiciente la cosa da tenere a distanza. Cass. n. 26941 del 23/12/2016.

Muro divisorio - Servitù di veduta - Il muro divisorio non può dar luogo
all'esercizio di una servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demar-
cazione del confine e tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di
inspicere e prospicere sul fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'al-
tro, a causa della reciproca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti.
Cass. n. 6927 del 07/04/2015.

99
Costruzione sul terreno di un singolo - La presunzione relativa di comu-
nione del muro, stabilita dall'art. 880 C.C., postulando la funzione divisoria di
fondi omogenei, alla quale si ricollega l'utilità comune, è vinta dall'accerta-
mento che il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree
confinanti, con conseguente acquisto per accessione, ai sensi dell'art. 934 C.C.
Cass. n. 50 del 03/01/2014.

Compossesso - L'accertata funzione divisoria di un muro di recinzione esi-


stente tra le confinanti proprietà costituisce, ai fini della tutela possessoria dello
stesso, prova presuntiva del suo compossesso. Cass. n. 22275 del 27/09/2013.

Entità prediali omogenee - Ai sensi dell'art.880 C.C., la presunzione di co-


munione riguarda soltanto il muro che divide entità prediali omogenee (edifi-
cio da edificio, cortile da cortile, orto da orto, ecc.), non trovando applicazione
nel caso di entità prediali diverse. (Nella specie, è stata esclusa la presunzione
di comunione del muro che divideva un fondo agricolo da un cortile). Cass. n.
14609 del 22/06/2007.

Apertura di luci -In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà
confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 C.C., deve appli-
carsi il disposto dell'articolo 903 C.C., il quale, oltre a consentire, al primo
comma, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al
fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che
"se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso
dell'altro". Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipo-
tesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Cass. n. 13649 del 11/06/2007

Presunzione - In tema di presunzione di comunione del muro divisorio tra


edifici prevista dall'art.880 C.C., i limiti di operatività di detta presunzione sono
determinati dallo stesso articolo (secondo periodo del primo comma) facendo
espresso riferimento "al punto i cui uno degli edifici comincia ad essere più
alto", nel senso che, in ipotesi che uno dei due edifici sia più alto rispetto all'al-
tro, la presunzione suddetta opera sino al punto in cui le altezze dei due edifici
combaciano. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di me-
rito per difetto di motivazione, per non avere la stessa considerato che il resi-
stente aveva inserito le travi di sostegno di una sua tettoia nella parte più alta
del muro divisorio, dove questo proseguiva per cingere soltanto la fabbrica
dell'edificio dei ricorrenti). Cass. n. 5261 del 10/03/2006.

100
Vedute - L'obbligo di rispettare le distanze per l'apertura di vedute sul fondo
vicino non viene meno se la presenza di muri divisori o altre barriere impedi-
scono in concreto l'affaccio sul medesimo. Cass. n. 4712 del 30/03/2001

Briciole di nomenclatura - Bovindi ed Erker

Bow window Bay window (ted. Erker)


(La distinzione fra i vari tipi è alquanto incerta; in genere in italiano si chia-
mano tutti bovindi).

101
881 - Presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio

Si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini od orti


appartenga al proprietario del fondo verso il quale esiste il piovente e
in ragione del piovente medesimo.
Se esistono sporti, come cornicioni, mensole e simili, o vani che si
addentrano oltre la metà della grossezza del muro, e gli uni e gli altri
risultano costruiti col muro stesso, si presume che questo spetti al pro-
prietario dalla cui parte gli sporti o i vani si presentano, anche se vi sia
soltanto qualcuno di tali segni.
Se uno o più di essi sono da una parte, e uno o più dalla parte oppo-
sta, il muro è reputato comune: in ogni caso la positura del piovente
prevale su tutti gli altri indizi.

Questo articolo contiene le regole per stabilire chi sia il proprietario di


un muro non di fabbrica, con superfici libere, che separa campi, cortili,
giardini, orti.
Si presume, salvo prova contraria, che il muro appartenga al proprie-
tario del fondo (elencazione tassativa):
- verso cui è inclinata la superficie superiore del muro (piovente). È il
criterio prevalente. Se il piovente è doppio si deve presumere la comu-
nione del muro (Cass. 1784/1966);
- verso cui vi sono uno o più sporti come cornicioni o mensole.
- verso cui siano stati ricavati nel muro uno o più vani che occupano
più di metà del suo spessore. Non sono tali i buchi creati per infiggervi i
pali dei ponteggi (covili) al momento della costruzione.
La presunzione viene meno di fronte a titoli che dimostrano l'esclusiva
proprietà del muro, salva però l'usucapione di servitù di sporto o di stil-
licidio.
La presunzione, si ripete, non opera per muri di divisione fra edifici.
Una gronda o un piovente che sporge da un muro qualsiasi non fa pre-
sumere che il terreno sottostante sia di proprietà del padrone del muro.
La Cassazione, 1018/1986, ha detto che non fa sorgere presunzione al-
cuna la presenza di un contrafforte di sostegno del muro; ma mi pare

102
proprio una opinione erronea; il contrafforte uno lo costruisce per soste-
nere il proprio muro, non il muro di un terzo che può tranquillamente
lasciar crollare.

I - Il muro si presume comune in mancanza di ogni segno a cui ricolle-


gare una presunzione. Il fatto che B abbia costruito il muro a proprie
spese non dimostra nulla perché se lo avesse costruito sul terreno di A, il
muro sarebbe acceduto al fondo A !
II - Il muro si ritiene comune per il doppio piovente.
III e IV - Il muro si presume di A perché vi è il piovente dal suo lato e
per il vano ricavato nello spessore del muro per oltre la sua metà;
V - Il muro si presume di B per la presenza delle lesene di rinforzo.

Se il tratto del muro di cinta bc non è in


asse per grossezza con il muro ab ed è co-
struito con materiali eguali a quelli del tratto
cd e commesso ad esso, si presume che tutto
il muro abc appartenga ad A e che B si sia so-
lamente attestato nel punto a e c.

103
Sia invece il muro bc in asse con il muro ab, si pos-
sono fare due ipotesi.
a) che A abbia costruito in tal modo, ad esempio au-
torizzato da B o dal suo dante causa, ed allora si pre-
sume che tutto il muro abc è di A.
b) se il tratto bc ha doppio piovente, si presume co-
mune; se poi esso è dello stesso materiale e struttura
di ae e cd si presume che A abbia reso comune tutto il
preesistente muro di cinta ac, lasciando solo il vecchio
tratto bc.

Se il fondo A è recintato con muro a malta


e il fondo B è recintato con muri a secco o
siepi, si ritiene che il muro ab sia tutto di A.

Il vano nel muro oltre la sua metà, lascia presumere che A sia il pro-
prietario del muro.

La presenza di vani oltre la metà dello spessore, da entrambi i lati, fa


presumere la comunione del muro.

104
Gli addentellati, ammorsature, tagli di presa la-
sciati da A per consentire un futuro innesto del muro
di B, non sorreggono alcuna presunzione.

Il fatto che il muro di cinta abcd


di B si appoggi od innesti nel
muro di A non fa sorgere alcuna
presunzione di comunione del
muro ad.

Se risulta che le due fabbri-


che di B sono state appoggiate
al muro di A per contratto o per
usucapione, la zona bcfg non si
presume comune fra A e B e
quindi A può aprirvi luci legali.

105
Art. 881 - Giurisprudenza della Cassazione
Piovente - Per determinare la proprietà del muro divisorio, ai sensi dell'art.
881 C.C., su tutti gli altri indizi prevale la positura del piovente, anche nel caso
di doppio piovente, sicché il confinante che realizzi un piovente sul muro divi-
sorio comune deve spezzare l'ultima fila di tegole, rivolgendone metà verso il
fondo altrui, in modo da non alterare la presunzione. Cass. n. 23282 del
31/10/2014
Nota: la massima concerne una confusa vicenda, non chiarita in tre gradi di giudizio,
e quindi non ho capito di che cosa si stava parlando! Meglio ignorarla.

Entità prediali omogenee - La presunzione derivante dall'art.881, primo e


secondo comma, C.C., per la quale il muro divisorio tra campi, cortili, giardini
ed orti si presume che appartenga esclusivamente al proprietario del fondo
verso il quale insistono i segni sul muro che sono dalle medesime norme consi-
derati, si applica solo alle entità prediali omogenee. (Nella specie la S.C. ha con-
fermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inoperante la suddetta presun-
zione perché dall'istruttoria svolta in primo grado era risultato che le proprietà
confinanti sul muro erano costituite, l'una, da una "cascina", e l'altra, invece, da
"un'ampia area cortilizia"). Cass. n. 5258 del 10/03/2006

106
882 - Riparazioni del muro comune

Le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a


carico di tutti quelli che vi hanno diritto e in proporzione del diritto di
ciascuno, salvo che la spesa sia stata cagionata dal fatto di uno dei par-
tecipanti.
Il comproprietario di un muro comune può esimersi dall’obbligo di
contribuire nelle spese di riparazione e ricostruzione, rinunziando al
diritto di comunione, purché il muro comune non sostenga un edificio
di sua spettanza.

Se deve essere riparato solo il


tratto bc, e B non vuole parteci-
pare alla spesa, deve rinunziare
alla comunione sul muro bc per
tutta la sua altezza.
Se deve essere fatta la ripara-
zione S sul muro defg, che è co-
mune, B può non pagare se rinun-
zia alla comunione al tratto defg in
cui la linea de rappresenta il limite
inferiore mimino al di sotto della
zona da riparare.

Se nel muro comune si deve ese-


guire la riparazione ab, sia A che B con-
corrono egualmente alla spesa.

107
Se più sono i proprietari, cia-
scuno concorrerà alla spesa in pro-
porzione alla lunghezza del muro
di sua pertinenza (1/2 a A, bc a C, a
a B, nulla a D).

La spesa per riparare il tratto ab è sostenuta per


intero da B; la parte superiore verrà costruita o
riparata a spese comuni.

Nel caso di edificio con scantinati, B deve pa-


gare le riparazioni del muro nella cantina fino al
livello MN, a cui giungerebbero le normali fon-
dazioni della parte superiore se non vi fosse lo
scantinato. La parte sopra la linea MN verrà ripa-
rata con spesa ripartita in parti eguali nella parte
in cui riguarda i muri portanti o resistenti.
Naturalmente se la riparazione si rende neces-
saria per responsabilità di uno dei proprietari,
egli dovrà sostenere l'intera spesa.

108
Se nel muro comune vi è un camino e da
esso derivano danni al muro, il padrone del
camino dovrà sostenere tutte le spese di ri-
parazione.

Art. 882 - Giurisprudenza della Cassazione


Danno cagionato dal comunista - Ai sensi dell'art. 882, primo comma, C.C.,
le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di
tutti i comproprietari in proporzione alle rispettive quote, salvo che la spesa sia
stata cagionata dal fatto di uno dei partecipanti, nel qual caso l'obbligo di ripa-
rare il muro comune è posto per l'intero a chi abbia cagionato il fatto che ha
dato origine alla spesa. Ne consegue che, qualora il danno subito dalla cosa co-
mune sia imputabile ad uno dei due comproprietari, l'altro può agire nei con-
fronti del danneggiante per il risarcimento dei danni per equivalente solo nei
limiti dell'importo corrispondente alla spesa necessaria per la riparazione su lui
gravante in proporzione al suo diritto di comproprietà, e non anche per la parte
di esborso dovuta dal comproprietario danneggiante. Cass. n. 20733 del
23/11/2012.

Riparazione eseguita da un condomino - La ricostruzione del muro co-


mune, ove comunque necessaria, deve essere eseguita previo consenso di tutti
i comproprietari, salvo che non ricorrano ragioni di urgenza, la cui insussi-
stenza, in mancanza del consenso di tutti i comproprietari, rileva esclusiva-
mente al fine della ripartizione delle spese, restando escluso che, in detta ipo-
tesi, il giudice possa ordinare la demolizione ed il ripristino dell'opera, qualora
ne sia stata accertata la necessità. Cass. n. 17899 del 25/11/2003.

Muro di comune utilità - In tema di condominio di edificio, nel caso in cui


un muro portante appartenga in proprietà esclusiva ad uno solo dei parteci-
panti al condominio, essendo esso comunque indispensabile per l'esistenza
dell'edificio, con la proprietà esclusiva del singolo concorre una comunione di

109
godimento in favore di tutti coloro i quali, nell'edificio, sono titolari della pro-
prietà solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti
i condomini - i quali ricavano una utilità dalla cosa, necessaria per l'esistenza e
per la protezione dei loro immobili - sono tenuti a contribuire alle spese per la
conservazione del muro in questione in proporzione alle rispettive quote, se-
condo il principio generale enunciato dall'art. 1123 primo comma C.C. Cass. n.
1154 del 15/02/1996.

Danno cagionato dal comunista - Mentre l'onere delle spese di riparazione


e ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento dipen-
denti dal suo uso normale è, ai sensi dell'art. 882 C.C., a carico di tutti i compro-
prietari, in proporzione del diritto di ciascuno, e si trasferisce, perciò, in capo a
chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si presenta la necessità
della riparazione o della ricostruzione, l'onere delle spese provocate dal fatto di
uno dei partecipanti, essendo connesso alla responsabilità personale di questo,
grava esclusivamente sul soggetto che vi ha dato causa e non si trasferisce,
quindi, solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che gli è
succeduto. Cass. n. 3089 del 30/03/1994.

Lavori prescritti dall'Autorità - Al fine di applicare l'art. 882 C.C. per il quale
le riparazioni e le ricostruzioni necessarie del muro comune sono a carico di
tutti coloro che vi hanno diritto, è sufficiente accertare il carattere necessario
delle riparazioni eseguite, mentre è irrilevante ai predetti fini che le stesse siano
anche conformi alle prescrizioni contenute in un'ordinanza del sindaco che le
ha imposte a salvaguardia della pubblica incolumità. Cass. n. 4944 del
20/08/1981.

110
883 - Abbattimento di un edificio appoggiato al muro comune

Il proprietario che vuole atterrare un edificio sostenuto da un muro


comune può rinunziare alla comunione di questo, ma deve farvi le ri-
parazioni e le opere che la demolizione rende necessarie per evitare
ogni danno al vicino.

884 - Appoggio e immissione di travi e catene nel muro comune


Il comproprietario di un muro comune può fabbricare appoggian-
dovi le sue costruzioni e può immettervi travi, purché le mantenga a
distanza di cinque centimetri dalla superficie opposta, salvo il diritto
dell'altro comproprietario di fare accorciare la trave fino alla metà del
muro, nel caso in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo,
aprirvi un incavo o appoggiarvi un camino. Il comproprietario può an-
che attraversare il muro comune con chiavi e catene di rinforzo, mante-
nendo la stessa distanza. Egli è tenuto in ogni caso a riparare i danni
causati dalle opere compiute.
Non può fare incavi nel muro comune, né eseguirvi altra opera che
ne comprometta la stabilità o che in altro modo lo danneggi.

Il diritto di immettere, cioè di costruire utilizzando il muro comune e


di immettere travi nel muro comune è imprescrittibile e non occorre
preavviso al confinante né il suo consenso. Se, come di regola, per ese-
guire il lavoro si deve bucare tutto il muro, occorrerà il previo consenso
del vicino; se non acconsente si deve ricorrere al giudice.
Il vicino può reagire solo se teme per la stabilità o integrità del muro o
altri danni e solo in tal caso può pretendere di essere rassicurato (garanzia
per danni, consulenza tecnica, ecc.).
È norma speciale e tassativa che non ammette interpretazione analo-
gica (ad es. allo inserimento di tubi)
La trave può essere accorciata dal vicino se egli ha eguale bisogno di
appoggiare una sua trave. Egual diritto non sussiste per tiranti e catene.
Nello spessore del muro si computa anche l'intonaco.
In genere sono consentite tutte le opere che non precludono al vicino il
diritto di utilizzare allo stesso modo il muro e che non creino pregiudizio

111
alla consistenza e durata del muro.
Possono usucapirsi servitù di appoggio od immissione, se sono appa-
renti.

B può incastrare una trave o


un tirante o una catena fino a 5
cm dalla superficie verso A.
Se A vuole incastrare una
trave a sua volta, può accor-
ciare il precedente fino a metà
del muro, a sue spese.

Non sempre è necessario accorciare la trave;


la nuova trave può essere affiancata o sovrap-
posta alla precedente.

Se la statica lo consente, B può appoggiare una


volta anche oltre la metà del muro. Se A dovesse
aver concreto bisogno di utilizzare tutta la sua metà
di muro, potrebbe chiedere a B di tagliare la parte di
volta eccedente, con spesa a carico di B.

112
Se ha A costruito per primo ed ha fatto la nicchia del muro,
e successivamente B acquista la comunione del muro, non
può pretendere l'eliminazione della nicchia.

L'art. 884 C.C. re-


gola la immissione
di elementi struttu-
rali come travi e ti-
ranti che incidono
sulla statica del
muro. È sempre
consentita l'immis-
sione nel muro co-
mune, fino alla metà
di esso, di altri elementi costruttivi come mensole, scalini, solette.

113
Art. 883-884 -Giurisprudenza della Cassazione
Demolizione e danni - Il proprietario che demolisce il muro comune è ob-
bligato ad eseguire le riparazioni necessarie ad evitare danni ai vicini. Tuttavia
tale obbligo - il quale costituisce oggetto di un'obbligazione propter rem - non si
estende, per difetto del nesso causale, ai danni ascrivibili casualmente alla con-
dotta di altri soggetti (terzi esecutori di altre opere di demolizione) od alle ca-
renze strutturali del fabbricato. Cass. n. 10325 del 19/10/1998.

Demolizione muro comune - A norma dell'art 883 C.C., il proprietario, che


demolisca un edificio sostenuto da muro comune, può rinunciare alla comu-
nione di questo, ove non intenda più utilizzarlo, ma e obbligato alle riparazioni
ed alle opere di ripristino del muro medesimo, che si rendano necessarie in con-
seguenza della demolizione. Al comproprietario del muro, pertanto, va ricono-
sciuto il diritto di agire per ottenere la condanna dell'autore della demolizione
all'adempimento di detto obbligo, in relazione al suo interesse di poter eserci-
tare, come e quando vorrà, tutte le facoltà inerenti al suo diritto sulla cosa, ed a
prescindere, quindi, dalla dimostrazione di un'attuale necessita di utilizzare il
muro stesso (ad esempio, per l'appoggio di una nuova costruzione). Tale
azione, peraltro, non presuppone il conseguimento, da parte dell'obbligato, di
licenza amministrativa per le opere di ripristino del muro, in quanto l'eventuale
diniego della licenza medesima non vale ad elidere il diritto del comproprieta-
rio, ma, se del caso, potrà far sorgere questioni solo in Sede di esecuzione della
pronuncia di accoglimento della domanda. Cass. n. 129 del 15/01/1976.

Demolizione e servitù- Il diritto del proprietario di demolire e ricostruire il


proprio edificio non incontra altri limiti che l'eventuale esistenza di una servitù
prediale, che vieti tale demolizione a vantaggio di altro edificio contiguo, e l'os-
servanza della norma di cui all'art 883 C.C. che, nell'ipotesi di sussistenza fra i
due fabbricati di un muro comune, obbliga il proprietario che intenda demolire
a farvi le riparazioni necessarie per evitare danni al vicino. All'infuori di tali
ipotesi, il proprietario - salva l'adozione delle opportune misure cautelari, atti-
nenti alle modalità dei lavori di abbattimento - può demolire liberamente il pro-
prio stabile anche se quest'ultimo serva da appoggio ad altro edificio privo di
stabilita e senza essere tenuto, in tal caso, ad eseguire adeguate e tempestive
opere di sostegno. Del pari, lo stesso proprietario non e obbligato, nel rico-
struire, a fornire nuovamente al vicino l'appoggio di cui questi aveva, fino ad
allora, fruito, senza avervi diritto. Al contrario, incombe al proprietario del fab-
bricato instabile, che versa in illecito, per aver goduto dell'appoggio senza titolo

114
di servitù e fuori della comunione del muro, l'obbligo di eliminare questa inva-
sione dell'altrui sfera giuridica, eseguendo a sue spese e sul proprio suolo, le
opere necessarie a garantire all'altro proprietario il diritto di demolire e rico-
struire il proprio stabile senza pericoli di sorta. Cass. n. 2983 del 21/10/1974

Muro canaletta - Premesso che un fondo e tenuto a ricevere solo le acque che
defluiscono normalmente dal fondo vicino, senza che il proprietario di questo
possa rendere più gravoso lo scolo medesimo, qualora il proprietario demolisca
un edificio sostenuto da un muro comune sul confine, sulla cui sommità pree-
sisteva una canaletta comune di raccolta e scolo delle acque piovane, sorge l'ob-
bligo di ripristinare la situazione dello stato dei luoghi, non essendo consentita
l'abolizione della canaletta preesistente e la sua sostituzione con altra di minore
portata e del tutto insufficiente. Cass. n. 2900 del 17/10/1974

Muro condominiale - Il muro perimetrale di un edificio condominiale può


essere utilizzato dal singolo condominio per il migliore godimento della parte
di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non può essere invece utilizzato, senza
il consenso di tutti i condomini, per l'utilità di un altro immobile di sua esclu-
siva proprietà, in quanto ciò implica la costituzione di una servitù in favore di
un bene estraneo al condominio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito che aveva escluso la necessità del consenso di tutti i condomini per la
edificazione da parte di uno di essi di una tettoia di copertura di un'area di
esclusiva proprietà di quest'ultimo, realizzata mediante il suo inserimento nel
muro perimetrale comune, che aveva assunto la funzione di quarta parete del
nuovo vano). Cass. n. 17868 del 24/11/2003.

115
Art. 885 - Innalzamento del muro comune

Ogni comproprietario può alzare il muro comune, ma sono a suo ca-


rico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedi-
ficata. Anche questa può dal vicino essere resa comune a norma dell’art.
874.
Se il muro non è atto a sostenere la sopraedificazione, colui che l’ese-
gue è tenuto a ricostruirlo o a rinforzarlo a sue spese. Per il maggiore
spessore che sia necessario, il muro deve essere costruito sul suolo pro-
prio, salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo su quello del
vicino. In entrambi i casi il muro ricostruito o ingrossato resta di pro-
prietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno pro-
dotto dall’esecuzione delle opere. Nel secondo caso il vicino ha diritto
di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il mag-
giore spessore.
Qualora il vicino voglia acquistare la comunione della parte soprae-
levata del muro, si tiene conto, nel calcolare il valore di questa, anche
delle spese occorse per la ricostruzione o per il rafforzamento.

La norma deroga alla normativa generale sulla comunione e quindi è


norma eccezionale non applicabile per analogia. Quindi, ad es., lo spazio
sovrastante del muro può essere usato esclusivamente per la sopraeleva-
zione e non è consentito ogni uso che impedisca all'altro comproprietario
di farne pari uso (art. 1102 C.C.) o che violi diritti acquisiti nella parte
preesistente o che impedisca di utilizzare il muro per la sua funzione.
Ognuno dei comproprietari non può avere, in forza di questo articolo,
più diritti e facoltà di quelle che spetterebbero al proprietario esclusivo e
devono sempre essere rispettate le norme su distanze e vedute.
Se gli altri condomini intendono anch'essi concorrere alla sopraeleva-
zione del muro comune, viene meno la ragion d'essere della norma. La
loro intenzione può essere desunta da un comportamento tacito, senza
bisogno di un interpello.

116
La sopraedificazione su una costruzione non in appoggio al muro co-
mune sul confine, pure in caso di proiezione con aggetti nell'area del
muro, non ne costituisce innalzamento, sicché al riguardo non può tro-
vare applicazione la disciplina dell'art. 885 C.C. (Cass. 4724/1981). Si veda
l'art. 874 per i muri di cinta.

L'innalzamento del muro può essere par-


ziale sia per quanto concerne la lunghezza
del muro che per il suo spessore. Anche il
materiale e la tecnica costruttiva possono es-
sere scelti liberamente.
Il codice non dice come posizionare il
nuovo muro di minor spessore (al centro,
tutto vero A, tutto verso B). Se nel muro vi
sono tubi o canne fumarie, chi costruisce
deve curare a sue spese il loro prolunga-
mento.

B può costruire il suo muro nelle due po-


sizioni indicate.

Se però il muro costruito non è idoneo a


consentire ad A di utilizzarlo per costruirvi
in appoggio, A avrà il diritto di ingrossarlo
occupando gli spazi s o c (muro di ingrossa-
mento).

117
Se A ha costruito il muro sulla sua
metà, B potrà costruire a sua volta senza
nulla pagargli e tutto il muro diventerà
comune.

A sopraeleva il vecchio muro abcd; se lo spessore è insufficiente può


demolire il vecchio muro o ingrossarlo dal suo lato e quindi sopraele-
varlo.
Se esigenze tecniche richiedono di ingrossare il muro dalla parte di B,
A lo può fare ma deve indennizzare B per eventuali danni e pagargli la
metà del valore del suolo occupato.

B, se necessario, può anche costruire il suo muro di in-


grossamento nel modo raffigurato; si badi che non è una
costruzione in aderenza perché essa posa sulla risega delle
fondamenta, che sono comuni.
Però la parte hg può essere eretta solo se non si devono
rispettare distanza da edifici sul fondo A.

118
B ha il diritto di innalzare il muro, ma anche
quello di approfondirlo, ad esempio per costruire
ambienti sotterranei o per migliorare le fondamenta
della casa.

Art. 885 - Giurisprudenza della Cassazione


Muro comune - Rialzo - L'art. 885 c.c., che riconosce ad ogni comproprietario
la facoltà di alzare il muro comune, introduce una deroga sia al normale regime
della comunione che a quello dell'accessione, perché consente – anche senza il
consenso dell'altro comproprietario del muro – la formazione di una proprietà
separata ed esclusiva della sopraelevazione, appartenente al comproprietario
che per primo abbia innalzato il muro comune, il quale può altresì giovarsi,
nella prosecuzione in altezza, dello stesso principio di prevenzione adottato
sulla base della costruzione, fatta salva la possibilità per il vicino comproprie-
tario di chiedere la comunione del muro sopraelevato. Cass. Ord. n. 8000 del
30/03/2018.

Distanze legali - La disposizione dell'art. 885 C.C., che consente al compro-


prietario di alzare il muro comune, non interferisce con la disciplina in materia
di distanze legali, né deroga alla stessa, questa perseguendo la funzione di evi-
tare intercapedini dannose tra fabbricati (normativa codicistica) e anche di tu-
telare l'assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione
all'ambiente (disciplina regolamentare, richiamata dall'art. 873 C.C.). Cass. n.
19142 del 09/08/2013.

Innalzamento muro comune - Il proprietario di un fondo, che innalzi il muro


di confine sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 C.C., sopporta per
intero le spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi concorra il pro-
prietario del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi degli artt. 874 e
885 C.C., ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comunione della
parte sopraedificata. Cass. n. 2485 del 21/02/2012.

Sopraelevazione e regolamenti - La sopraelevazione di una costruzione

119
unita ad un'altra, pur avendo in comune il muro divisorio, non è disciplinata
dall'art. 885 C.C., ma soggiace ai limiti del regolamento locale, anche se, nel caso
di distanza inderogabile dal confine, ne deriva una costruzione secondo una
linea spezzata, non consentita dalle norme sulle distanze stabilite dal C.C. che
impongono di allineare la costruzione al piano sottostante; né può invocarsi il
principio della prevenzione, anche a volerlo ritenere applicabile su terreno già
edificato. Cass. n. 10482 del 22/10/1998.

Muro con rete metallica - Il muro comune divisorio può essere sopraelevato
- anche abbattendo una preesistente rete metallica - senza necessità di consenso
dell'altro comproprietario perché la relativa facoltà, ai sensi dell'art. 885 C.C., è
svincolata dal regime normale della comunione e non trova alcuna restrizione
negli artt. 1102 e 1108 C.C. Cass. n. 237 del 11/01/1997.

Consenso del comproprietario - Il comproprietario può innalzare il muro


comune senza il consenso del condomino e senza alcun vincolo di destinazione,
salvo i limiti costituiti dal divieto di atti emulativi e dalle esigenze di contem-
peramento dei reciproci interessi e di rispetto dei diritti altrui, quali quello di
veduta che non può essere impedito dall'innalzamento del muro. Cass. n. 6407
del 07/07/1994.

Muro a dislivello - In ipotesi di fondi a dislivello in abitato, il proprietario


del fondo sovrastante, che eserciti la facoltà di abbassarne il livello con opere di
sbancamento (nella specie, per ricavare un'autorimessa), deve, se possibile, la-
sciare integro il muro comune posto a cavallo del confine, mentre, ove ne sia
necessario l'abbattimento, deve ricostruirlo, a proprie spese, nella stessa posi-
zione. Cass. n. 8992 del 25/07/1992.

Zone sismiche - La sopraelevazione del muro comune deve essere eseguita,


a norma dell'art. 885 comma secondo C.C., con le modalità e gli accorgimenti
necessari per evitare il pregiudizio della stabilità e solidità del muro sottostante
e, quindi, nelle zone sismiche, con la adozione di sistemi costruttivi idonei a
garantire, in conformità alle disposizioni della legislazione antisismica (legge
25 novembre 1962 n. 1684 e legge 2 febbraio 1974 n. 64), l'autonomia di ciascun
edificio contiguo così da consentirne la libera ed indipendente oscillazione in
caso di terremoto. Cass. n. 1076 del 01/02/1992.

120
Art. 886 - Costruzione del muro di cinta

Ciascuno può costringere il vicino a contribuire per metà nella spesa di


costruzione dei muri di cinta che separano le rispettive case, i cortili e i
giardini posti negli abitati. L’altezza di essi, se non è diversamente de-
terminata dai regolamenti locali o dalla convenzione, deve essere di tre
metri.

Questo articolo tratta il caso molto particolare (è norma eccezionale non


estendibile per analogia) del muro di cinta che separa due proprietà omo-
genee (due case, due giardini, due cortili, due aree edificabili, così che vi
sia eguaglianza di interessi e di utilità) e che ognuno dei due confinati
può pretendere che venga costruito a spese comuni e con l'altezza di tre
metri. La norma non esclude che si costruiscano altri muri di cinta di di-
stanza di altezza superiore o inferiore, o che separino fondo non omoge-
nei, ma per essi non si può costringere il vicino a partecipare alla spesa.
Il muro deve essere in muratura e non si computano nell'altezza reti me-
talliche poste sopra di esso (Cass. n. 12819 del 12/07/2004). In caso di fondi
a dislivello non si computa nell'altezza la parte di muro che serve a reg-
gere la scarpata (Cass. n. 1058 del 26/04/1966).
Il muro deve essere costruito a cavallo del confine. Non è stabilito il tipo
di muratura e quale robustezza il muro deve avere (basta che adempia
allo scopo di rendere difficili scavalcamenti), ma restano fermi i principi
posti dall'art. 885 C. C.
L'altezza di tre metri trova applicazione solo in caso di fondi allo stesso
livello. La parte di muro che sorregge una scarpata o terrapieno non si
considera costruzione al fine delle distanze, dalla base fino al piano di
campagna superiore (Cass. 6060/1983).
Se il proprietario di uno dei due fondi, lo sbanca e ne abbassa il livello,
non può pretendere che venga abbassata anche l'altezza del muro esi-
stente (Cass. 1058/1966).
La norma non si applica nel caso di sopraelevazione di muro già esistente.
Il confinante che non intende partecipare alla spesa deve abbandonare la
striscia di sua proprietà su cui sorgerà il muro e rinunziare alla comu-
nione sul muro (art. 888 C. C. ). Vedi anche art.878 C. C.

121
Se non ricorrono le condizioni per la costruzione di un muro
in comune, chi vuole recintare il proprio fondo dovrà farlo a
sue spese e non sulla linea di confina, ma interamente sul
proprio fondo.

Il muro a secco, privo di consistenza statica e


quindi non sopraelevabile e non utilizzabile per
costruirvi in appoggio od aderenza, non si consi-
dera muro di cinta e deve essere costruito tutto
sul terreno di chi vi ha interesse.

Se fra le due proprietà vi è un fosso o altra entità


analoga, B non ha obbligo di contribuire alla costru-
zione del muro.

122
Art. 886 - Giurisprudenza della Cassazione
Muro di cinta - Il proprietario di un fondo, che eriga un muro sul confine, ha
diritto ad ottenere, dal proprietario del fondo contiguo, un contributo per metà
nella spesa di costruzione solo se il manufatto integri i requisiti del muro di
cinta ex art. 886 C.C., raggiungendo un'altezza non inferiore a tre metri e sem-
preché lo stesso, fino a tale livello, sia integralmente in muratura. Cass. n. 6174
del 26/03/2015.

Sopraelevazione Il proprietario di un fondo, che innalzi il muro di confine


sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 C.C., sopporta per intero le
spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi concorra il proprietario
del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi degli artt. 874 e 885 C.C.,
ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comunione della parte so-
praedificata. Cass. n. 2485 del 21/02/2012.

Muro di cinta - Un muro che separa fondi finitimi non può esser qualificato
muro di cinta - la cui funzione è di non essere facilmente scavalcabile - se è di
altezza inferiore a tre metri perché viene meno la funzione di non facile scaval-
cabilità, ovvero se tale altezza è raggiunta con una rete metallica sullo stesso
installata perché, secondo l'espressione letterale della norma, di natura eccezio-
nale, fino a tale altezza deve esser costruito in muratura. Pertanto il vicino non
è obbligato al pagamento della metà delle spese di un muro di altezza inferiore
a detto limite o raggiunta con una rete metallica sullo stesso installata. Cass. n.
12819 del 12/07/2004
Nota: Massima sbagliata; un muro di cinta può essere inferiore a tre metri e la sca-
valcabilità non c'entra nulla; solo ai fini dell'art. 886 il muro deve essere di tre metri.

Muro di cinta - L'altezza di tre metri per qualificare un muro come muro di
cinta non è richiesta in modo rigoroso ai fini del rispetto delle distanze legali in
quanto per il combinato disposto dagli artt. 878 e 886 C.C. al muro di cinta è
equiparabile ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore a tre
metri, mentre per quanto attiene alla contribuzione per metà nella spesa di co-
struzione del muro prevista dall'art. 886 C.C., l'altezza del muro di cinta è fis-
sata ed imposta inderogabilmente dalla legge in tre metri salvo che sia disposto
diversamente dai regolamenti locali o dalla convenzione privata delle parti.
Cass. n. 9375 del 07/08/1992.

Muro di cinta - Il muro di cinta, che, a norma dell'art. 878 cod. civ., non va
considerato ai fini del computo delle distanze legali, è solo quello, isolato (con
le facce, cioè, emergenti dal suolo separate da ogni altra costruzione) e destinato

123
alla demarcazione della linea di confine ed alla separazione e chiusura della
proprietà, che presenti un'altezza non superiore ai tre metri, dovendosi negare
l'applicabilità della citata norma ai muri di cinta con altezza maggiore, conside-
rati dall'art. 886 C.C. solo per regolare e delimitare l'obbligo di contribuzione
del vicino alla costruzione del muro medesimo. Cass. n. 2376 del 26/02/1992.

124
Art. 887 - Fondi a dislivello negli abitati
Se di due fondi posti negli abitati uno è superiore e l’altro inferiore,
il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese
di costruzione e conservazione del muro dalle fondamenta all’altezza
del proprio suolo, ed entrambi i proprietari devono contribuire per
tutta la restante altezza.
Il muro deve essere costruito per metà sul terreno del fondo inferiore
e per metà sul terreno del fondo superiore.

La norma si applica solo negli abitati. Il dislivello fra i due fondi deve
avere origine naturale. Chi crea un dislivello artificiale è tenuto anche a
sostenerlo.
Chi ha costruito sul confine il muro inclinato secondo l'andamento
della scarpata, ha diritto di raddrizzarlo in aderenza alla costruzione fatta
dal vicino sul confine.
(nessuna immagine).

Art. 887 - Giurisprudenza della Cassazione


Muro di sostegno - In tema di fondi posti a dislivello naturale, il muro che
assolve alla duplice funzione di sostegno del terreno superiore con la parte
bassa e di divisione tra i due immobili con la parte alta si presume di proprietà
esclusiva del titolare del fondo superiore, dalle fondamenta sino al livello del
piano di campagna di tale fondo, e di proprietà comune tra i titolari dei terreni
finitimi, nella parte sovrastante il detto livello. Cass. Ord. n. 29108 del
11/11/2019.

Muro di confine a dislivello - In tema di limitazioni legali della proprietà di


terreni cosiddetti "a dislivello", la disciplina prevista dall'art. 887 c.c., con ri-
guardo al regime delle spese relative al muro di confine, non trova applicazione
qualora tale muro sia stato costruito esclusivamente sul suolo di uno dei due
fondi, superiore od inferiore. Cass. Ord. n. 10606 del 16/04/2019.

Muro di sostegno - La fattispecie prevista dall'art. 887 c.c. (a norma del quale
nei fondi a dislivello il proprietario del fondo superiore deve sopportare le
spese di costruzione e manutenzione del muro di sostegno dalle fondamenta

125
sino all'altezza del proprio suolo) presuppone che il dislivello tra i due fondi
sia di origine naturale, mentre, se lo stesso è stato causato dal proprietario del
fondo inferiore, rendendo indispensabile la costruzione di un muro di sostegno,
l'obbligo della relativa conservazione incombe su quest'ultimo. Cass. Ord. n.
8522 del 29/04/2016.

Muro di proprietà esclusiva - In tema di limitazioni legali della proprietà di


fondi cosiddetti "a dislivello", la disciplina prevista dall'art. 887 C.C., con ri-
guardo al regime delle spese relative al muro di confine, non trova applicazione
qualora il muro sia stato costruito esclusivamente sul suolo di uno dei due
fondi, superiore od inferiore, nel qual caso sussiste la proprietà esclusiva del
muro in capo al proprietario del fondo. Cass. n. 9368 del 08/06/2012

Dislivello artificiale - La fattispecie prevista dall'art. 887 C.C. (a norma del


quale nei fondi a dislivello negli abitati il proprietario del fondo superiore deve
sopportare per intero le spese di costruzione e di manutenzione del muro di
sostegno dalle fondamenta fino all'altezza del proprio suolo) presuppone che il
dislivello tra i due fondi sia di origine naturale. Se il dislivello, invece, è stato
causato dal proprietario del fondo inferiore, rendendo indispensabile la costru-
zione di un muro di sostegno, l'obbligo della relativa conservazione incombe
su quest'ultimo. Cass. n. 4031 del 21/02/2007

Dislivello artificiale - La fattispecie prevista dall'art. 887 C.C. (a norma del


quale nei fondi a dislivello negli abitati il proprietario del fondo superiore deve
sopportare per intero le spese di costruzione e di manutenzione del muro di
sostegno dalle fondamenta fino all'altezza del proprio suolo) presuppone che il
dislivello tra i due fondi sia d'origine naturale. Se il dislivello, invece, è stato
causato dal proprietario del fondo inferiore, l'obbligo della costruzione e della
manutenzione del muro di sostegno incombe su quest'ultimo, che risponde ex
art. 2053 C.C. dei danni cagionati dalla sua rovina. Cass. n. 8496 del 22/04/2005
e Cass. n. 7131 del 25/05/2001.

126
Art. 888 - Esonero dal contributo nelle spese

Il vicino si può esimere dal contribuire nelle spese di costruzione del


muro di cinta o divisorio, cedendo, senza diritto a compenso, la metà
del terreno su cui il muro di separazione deve essere costruito. In tal
caso il muro è di proprietà di colui che l’ha costruito, salva la facoltà del
vicino di renderlo comune ai sensi dell’art. 874, senza l’obbligo però di
pagare la metà del valore del suolo su cui il muro è stato costruito.

Le norme integrano quelle precedenti per il caso che i fondi siano a


dislivello o che il vicino non intenda partecipare. Anche nel caso di fondi
a dislivello il proprietario del fondo inferiore può richiedere la costru-
zione del muro di cinta in comune e il proprietario del fondo superiore
dovrà sostenere per intero la spesa per la costruzione del muro di soste-
gno fino al livello del proprio terreno. Può optare però per creare una
scarpata autosostentantesi e quindi costruire il muro alla base della scar-
pata, sul confine. Oppure può consentire al vicino di costruire a cavallo
del confine facendolo divenire proprietario della striscia di terreno occu-
pata e dell'intero muro. Le spese notarili di costituzione del diritto di co-
struire sono a carico di chi riceve la striscia di terreno.

127
La parte ab (figura a sinistra) deve essere pagata tutta da B, ma A deve
dargli gratuitamente la metà del suolo occorrente. Il tratto bc deve essere
costruito a spese comuni.
Se il dislivello è artificiale (figura a destra) per esigenze di comodità o
tecniche, A deve partecipare alla spesa in parti eguali con B e l'altezza di
tre metri va misurata dal piano di campagna originario al livello b.

Art. 888 - Giurisprudenza della Cassazione


Facoltà di scelta - Qualora il proprietario di uno di due fondi a dislivello
nell'abitato agisca contro il proprietario del fondo vicino chiedendo eseguirsi la
costruzione del muro di sostegno e divisorio ai sensi dell'art. 887 C.C., la con-
danna del convenuto non può pronunziarsi senza che gli sia stata data la pos-
sibilità di esercitare la facoltà prevista dall'art. 888 C.C. Cass. n. 52 del
10/01/1968.

128
Art. 889 - Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi
Chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso
il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare
la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del
perimetro interno delle opere predette.
Per i tubi d'acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro dira-
mazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.
Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali.

La norma regola la distanza dal confine di fosse e condutture da cui


può sorgere il pericolo, presunto de jure, di danno od immissioni rispetto
al fondo vicino. È norma generale e la distanza indicata è quella minima
che va sempre osservata. L'elencazione dell'articolo non è quindi tassa-
tiva e trova applicazione analogica ad altre situazioni di cui si dovrà pro-
vare la dannosità. Se in concreto l'opera provoca comunque immissioni
dannose, dovrà ovviamente osservarsi la maggior distanza necessaria ad
eliminare il danno.
Non viene meno l'obbligo di osservare le distanze neppure se sulla li-
nea di confine vi è un muro divisorio. Non ha importanza la direzione
del manufatto rispetto al confine; anche il punto di partenza o arrivo per-
pendicolare ad esso deve essere a due metri.
Trattasi di diritti usucapibili o creabili mediante servitù convenzionale
o per destinazione del padre di famiglia (deve restare identica l'utilitas
della servitù).
La distanza dal confine si misura rispetto al piano verticale ideale che
passa per la linea di confine e quindi va rispettata anche nel sottosuolo,
salvo che la profondità sia tale da escludere interesse contrario del pro-
prietario sovrastante.
La presenza di muri sul confine, siano essi o meno a cavallo dello
stesso, individuali o comuni, non fa venir meno il fatto che la distanza di
due metri si misura dal confine.
Con il termine "cisterna" si intendono i manufatti destinati a racco-
gliere acqua piovana o di altra provenienza.

129
"Tubi" sono i manufatti destinati a trasportare un flusso costante di li-
quidi o gas. Il termine non ricomprende quindi le canne fumarie e i comi-
gnoli, regolati dall'art. 890 C.C.; ricomprende i tubi del riscaldamento. In-
vece serbatoi di combustibile, bombole di gas, caldaie, sono regolati
dall'art. 890 C.C. (il legislatore aveva ancora esperienze di riscaldamento
ottocentesche!)
Rientrano fra i "tubi per acque" i tubi pluviali; la Cassazione (vedi le
massine) ha poi scritto in una occasione che i canali di gronda sono assi-
milati ai pluviali (perché mai? se il legislatore non li ha citati, sapeva be-
nissimo ciò che faceva!) e in altra occasione che anche la grondaia è ri-
compresa fra i tubi! Credo proprio che i giudici abbiano confuso la gron-
daia con il canale di gronda e che non avessero mai visto un tetto! Se la
grondaia non viene considerata si fini delle distanze, come può poi essere
arretrata rispetto a quel muro che invece può essere costruito? Lo stesso
ragionamento vale per il canale di gronda che rifinisce la grondaia. Come
è possibile che sia lecito far piovere liberamente le acque dalla falda del
tetto e non sia lecito raccoglierle in un canale che riduca i danni? Quando
il testo è chiaro, interpretazioni di questo genere sono solo fantasie ma-
late.
Per lo stillicidio si veda l'art. 905 C.C.
Le norme dell'art. 889 trovano limitata applicazione in caso di uso di
cose comuni e nel condominio in cui si deve tenere conto di particolari
esigenze e situazioni; vanno però osservate, salvo esigenze particolari
collettive, le distanze di tubi ed altro dalle singole unità individuali.

Queste sono le distanze che B


deve rispettare sia verso A che
verso B; ciò vale anche se il
muro ab sia tutto di B.
Se A e B decidono di co-
struire un muro sul confine, B
non deve arretrare la parete del
pozzo.

130
Se B ha costruito a sue spese un muro di cinta sul
confine verso A, non deve osservare distanze per il
pozzo ab; se A acquista la comunione del muro non
può pretendere lo spostamento del pozzo, ma solo
l'eliminazione di infiltrazioni o immissioni.

Le distanze dalla parte interna del pozzo


devono essere rispettate verso ogni proprietà
confinante.

La fossa F appartiene ad A e non rispetta


la distanza da B, ma è su di una strada pub-
blica. B non può farla rimuovere, ma può
solo richiedere che vengano eliminati
danni o immissioni provenienti da essa.

131
Il locale M è destinato a latrina, ma è re-
golarmente allacciata ad una fognatura.
Essa non rientra tra le opere indicate
nell'art. 889 e, a seconda della sua strut-
tura, dovrà rispettare l'art. 873 C.C.

I tubi di gronda, di scarico di fo-


gnatura e acque, di alimentazione
di acqua e gas, devono essere collo-
cati a m. 1 dal confine, sia che essi
corrano orizzontali o in verticale,
sia all'estero o all'interno dell'edifi-
cio.
La distanza si misura dal perime-
tro esterno del tubo. La distanza si
osserva anche se la tubazione è prospiciente la pubblica via.

Il canale di gronda c può essere costruito sul muro


che B ha sopraelevato a sue spese. Pare razionale rite-
nere che anche in questo caso vada rispettata la di-
stanza di un metro dal confine (Cass. 2964/1997. non
molto chiara).
La Cass. ha detto che il canale di gronda è assimila-
bile ad un tubo, ma è affermazione illogica (si veda qui
sotto il commento alle massime).

132
Art. 889 - Giurisprudenza della Cassazione
Nota: Si vedano anche le massime riportate all'art. 890 CC.
Serbatoi di gasolio - Gli impianti di riscaldamento per uso domestico, ali-
mentati a nafta, non sono assoggettabili alla disciplina posta dall'art. 889 c.c. in
tema di distanze delle cisterne, ma a quella di cui all'art. 890 c.c., il quale stabi-
lisce il regime delle distanze per le fabbriche e i depositi nocivi o pericolosi in
base ad una presunzione di nocività e pericolosità, che è assoluta ove prevista
da una norma del regolamento edilizio comunale, ed è invece relativa - e, come
tale, superabile con la dimostrazione che, in relazione alla peculiarità della fat-
tispecie ed agli accorgimenti usati, non esiste danno o pericolo per il fondo vi-
cino - ove manchi una simile norma regolamentare. Cass, n. 10607 del 23/05/20.
Giurisprudenza consolidata, ma non molto chiara, per la difficoltà di capire che cosa
in concreto si intende per serbatoio, cisterna, deposito. E che dire di un serbatoio di ferro
contenuto in una vasca di cemento, per ovviare a spandimenti dal serbatoio? A ma pare
chiaro che l'art. 889 ha voluto regolare ogni vano sotterraneo da possono aversi infil-
trazione; poco importa la sostanza, visto che pozzi e cisterne di solito contegno acqua. E
il divieto è assoluto esattamente come quello di cui all'art. 890. Invece questo regola i
depositi diversi da pozzi, cisterne, fosse biologiche e quindi fosse aperte, accumuli in
superficie o in locali. Due situazioni chiaramente elencate e descritte e davvero non si
capisce il perché di una indegna confusione!

Tubi acqua e gas - La distanza di almeno un metro dal confine che l'art. 889,
comma 2, c.c. prescrive per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, si
riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o
gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo
vicino, in relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni e
non è pertanto applicabile con riguardo alle canne fumarie per la dispersione
dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a quella del ca-
mino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'art. 890 c.c. e, quindi, po-
ste alla distanza fissata dai regolamenti locali. Cass. n. 23973 del 12/10/2017.
I requisiti che il flusso sia "continuo" e il pericolo permanente, se li è inventati, nel
suo piccolo, la Cassazione. Il pericolo basta che sia potenziale. Se carico il gasolio una
volta all'anno e il tubo lo spande nel terreno il danno è fatto; non è necessario che lo
spanda tutti i giorni. E quale sarebbe un pericolo permanente? Il danneggiamento è
permanente, il pericolo è, per definizione, solo potenziale. Se fa danno è una certezza,
non un pericolo!
Tubi e condominio - In tema di condominio, le norme che regolano i rap-
porti di vicinato trovano applicazione, rispetto alle singole unità immobiliari,
solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la natura
dei diritti e delle facoltà dei condomini, sicché il giudice deve accertare se la

133
rigorosa osservanza di dette disposizioni non sia irragionevole, considerando
che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il
contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi della convi-
venza tra i condomini. Ne deriva che, anche con riferimento ai tubi idrici
dell'impianto di riscaldamento, l'art. 889 c.c. è derogabile solo ove la distanza
prevista sia incompatibile con la struttura degli edifici condominiali. Cass. n.
1989 del 02/02/2016.

Nel condominio - In tema di condominio degli edifici, la disciplina sulle di-


stanze di cui all'art. 889 C.C., non si applica in caso di opere eseguite in epoca
anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l'intero edifi-
cio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto
liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle fu-
ture vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano,
da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 C.C.) e
l'insorgere del condominio, e, dall'altro lato, la costituzione, in deroga (od in
contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio
e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti,
in base a uno schema assimilabile a quello dell'acquisto della servitù per desti-
nazione del padre di famiglia. (Principio enunciato con riferimento all'apertura
di vedute - relative ad un edificio originariamente oggetto di proprietà esclu-
siva di una cooperativa - compiuta prima dell'alienazione delle singole unità
immobiliari, evenienza ritenuta idonea ad integrare la condizione, rilevante ai
sensi dell'art. 1062 C.C., della sussistenza di un'opera di asservimento, visibile
e permanente, al momento dell'alienazione dei fondi da parte dell'unico origi-
nario proprietario). Cass. n. 6923 del 07/04/2015.

Impianti di riscaldamento - In tema di rapporti di vicinato, negli impianti


di riscaldamento, la caldaia, il bruciatore e il deposito di carburante non sono
soggetti al disposto dell'art. 889 C.C., relativo alla distanza dei tubi di addu-
zione di gas alla caldaia, essendo il bruciatore, in particolare, esente dalla pre-
sunzione assoluta di pericolosità che riguarda le tubazioni a flusso costante di
sostanze liquide o gassose. Cass. n. 22888 del 08/10/2013.

Bombole del gas - In tema di distanze, l'alloggiamento di bombole di gas per


uso domestico non è soggetto al disposto dell'art. 889, secondo comma, C.C. .,
riguardante la diversa ipotesi di tubazioni destinate al flusso costante di so-
stanze liquide o gassose, per le quali soltanto è configurabile la presunzione
assoluta di pericolosità per il fondo del vicino, essendo esso viceversa soggetto
all'art. 890 C.C., sicché la pericolosità delle bombole deve essere accertata in
concreto. Cass. n. 22635 del 03/10/2013.

134
Nota: sono pure sciocchezze; la Cassazione non ha distinto fra bombole portatili da
10-15 kg e i piccoli serbatoi fino a 5000 kg, ignora che la pericolosità è dimostrata dalle
norme antincendio che le riguardano e regolano, e che prescrivono rigide misure di si-
curezza, ignora che vi sono le norme UNI da rispettare!

Cisterna gasolio - In tema di distanze legali per pozzi e cisterne, l'art. 889
C.C. è norma di carattere generale, mentre il successivo art. 890 C.C. è norma di
carattere specifico, che riguarda i depositi nocivi o pericolosi per i quali sussiste
una presunzione assoluta di nocività e pericolosità; tuttavia, in assenza di una
specifica regolamentazione, il limite di due metri fissato dall'art. 889 C.C. per i
depositi "innocui" vale anche per i depositi nocivi o pericolosi (nella specie, ci-
sterna di gasolio) in ossequio al principio di ragionevolezza e coerenza del si-
stema. Cass. n. 351 del 10/01/2011
Nota: è difficile ammettere che la Cassazione ignora che vi sono norme antincendio
da osservare e che dimostrano da sole la pericolosità del deposito, con proprie regole.

Concimaia - In tema di distanze nelle costruzioni, la previsione, contenuta


nelle norme tecniche e di attuazione di un piano regolatore, di una distanza
minima tra una concimaia e i fabbricati a destinazione residenziale deve inten-
dersi riferita ad ogni manufatto che, pur non rispondendo ad una presupposta
nozione tecnica di concimaia, sia comunque destinato alla trasformazione delle
deiezioni animali - a seguito di stoccaggio e decantazione - in concime. Cass. n.
25869 del 21/12/2010.

Tubi per cavi elettrici - La distanza di almeno un metro dal confine è pre-
scritta dall'art. 889, secondo comma, C.C., per l'installazione dei tubi dell'acqua,
del gas e simili, giacché per tali condutture, aventi un flusso costante di sostanze
liquide o gassose, il legislatore ha tenuto conto della loro potenziale attitudine
ad arrecare danno alla proprietà contigua, stabilendo, con valutazione "ex ante",
una presunzione iuris et de iure di pericolosità. Tra dette opere non rientrano i
tubi destinati all'illuminazione e i loro arredi per i quali, non espressamente
contemplati nella menzionata disposizione, non soccorre la presunzione asso-
luta di pericolosità ed è, pertanto, necessario - affinché in via di interpretazione
estensiva possa ritenersi ugualmente sussistente l'obbligo di rispettare le di-
stanze ivi previste - accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche carat-
teristiche e con onere della prova a carico della parte istante, se abbiano o meno
attitudine a cagionare danno. Cass. n. 25475 del 16/12/2010
Nota: che per i tubi di liquidi o gas sia richiesto il requisito del "flusso costante" è
una sciocchezza della Cassazione che non si sa da dove sia uscita.

135
Tubi nel condominio - In materia condominiale, le norme relative ai rap-
porti di vicinato, tra cui quella dell'art.889 C.C., trovano applicazione rispetto
alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta
struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei
singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra con-
domini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza
non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più apparta-
menti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari inte-
ressi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rap-
porti condominiali. (Nella specie, taluni condomini avevano collocato, senza ri-
spettare le distanze legali, una tubazione per il passaggio del gas metano lungo
il muro che divideva la propria unità immobiliare da quella di altro condomino,
il quale aveva così proposto, nei loro confronti, domanda di risarcimento danni
e ripristinatoria; la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva accolto
le pretese attoree, dando rilievo alla circostanza che i convenuti non avevano
fornito alcuna prova circa l'impossibilità di posizionare altrove la tubazione).
Cass. n. 12520 del 21/05/2010.

Distanza insuperabile - L'art. 889, secondo comma, C.C., nel prevedere per
i tubi di acqua pura o lurida la distanza di almeno un metro dal confine, si fonda
su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che
non ammette la prova contraria; ne consegue che la norma del terzo comma del
medesimo art. 889, per la quale "sono salve in ogni caso le disposizioni dei re-
golamenti locali", deve essere intesa nel senso che questi possono stabilire una
distanza maggiore rispetto a quella minima fissata dal codice, ma non una mi-
nore. Cass. n. 6235 del 15/03/2010.

Nel condominio - La disposizione dell'art. 889 C.C. relativa alle distanze da


rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi è applicabile anche con riguardo agli
edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi indispensa-
bili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere
adeguata all'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo
e alle moderne concezioni in tema di igiene; ne consegue che la creazione o la
modifica di un secondo bagno nelle moderne abitazioni di taglio medio - trat-
tandosi di un'esigenza tanto diffusa da rivestire il carattere dell'essenzialità -
giustifica la mancata applicazione dell'art. 889 C.C. negli edifici in condominio.
Cass. n. 13313 del 09/06/2009
Nota: Personalmente penso che un nuovo bagno comporta un notevole aumento di
rumori; poco importa che sia utile a chi lo fa, ma il vicino ha il diritto di non sentire il
rumore di un nuovo scarico che passa dietro la testiera del suo letto! In sede di progetto
gli scarichi vengono sistemati con un certo criterio per garantire il rispetto comune.

136
Come minimo si può pretendere che chi crea una fonte di rumore, adotti le necessarie
misure di isolamento e non aggravi il livello delle immissioni.

Pluviale - In tema di distanze per impianti dal fondo contiguo, la disposi-


zione dell'art. 889, secondo comma, C.C., secondo cui per i tubi d'acqua pura o
lurida (cui vanno assimilati i canali di gronda e i pluviali) e loro diramazioni
deve osservarsi la distanza dal confine di almeno un metro, si fonda su una
presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non am-
mette la prova contraria.. Cass. n. 2558 del 02/02/2009.

Nel condominio - Rispetto a singole unità immobiliari di proprietà indivi-


duale nell'ambito di un unico edificio condominiale, le norme che regolano i
rapporti di vicinato, tra le quali quella dell'art. 889 C.C., trovano applicazione
solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la parti-
colare natura dei diritti e delle facoltà dei condomini; pertanto, qualora esse
vengano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad
accertare se la rigorosa osservanza di dette norme non sia nel singolo caso irra-
gionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edi-
ficio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato
svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali. A tale
stregua, anche con riferimento ai tubi dell'impianto di riscaldamento di edifici
condominiali l'applicabilità dell'art. 889 C.C. è derogabile solo per incompatibi-
lità dell'osservanza della distanza ivi indicata con la struttura stessa di tali edi-
fici. Cass. n. 13852 del 09/11/2001.

Pluviale - L'obbligo di rispettare la distanza di un metro dalla proprietà al-


trui per colui che vuole mantenere un tubo, in cui corre una sostanza liquida o
gassosa, installato sia in terra, sia sottoterra, sia su una parete perimetrale di un
edificio, sussiste anche se il confine non è con un altro fondo privato, ma con
una pubblica via. Cass. n. 12738 del 26/09/2000
Nota: Massima errata e fuorviante: la sentenza dice che un tubo pluviale deve rispet-
tare la distanza dal vicino anche se i due edifici sono affiancati lungo la pubblica via.

Condominio - La disposizione dell'art. 889 C.C. relativa alle distanze da ri-


spettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi è applicabile anche con riguardo agli
edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi indispen-
sabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere
adeguata all'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo
e alle moderne concezioni in tema di igiene. Cass. n. 8801 del 20/08/1999.

137
Canali di gronda - I canali di gronda ed i loro sostegni rientrano nella cate-
goria tecnico - giuridica degli sporti, per cui, ai sensi dell'art. 873 C.C., non si
tiene conto di essi nella misurazione della distanza tra fabbricati. Qualora in-
vece si controverta della violazione della distanza tra un canale di gronda e a
linea di confine (e non di distanza tra costruzioni) trova applicazione l'art. 889
comma secondo C.C. secondo il quale per i tubi di acqua pura o lurida (cui
vanno assimilati i canali di gronda) e loro diramazioni, deve osservarsi la di-
stanza di almeno un metro dal confine, sulla base di una presunzione assoluta
di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contra-
ria ed è irrilevante la posizione parallela, perpendicolare, convergente ecc.
che il tubo possa assumere rispetto alla linea di confine con il fondo vicino,
ovvero che il confine si trovi al di sotto del tubo del canale di gronda, anziché
lateralmente. Cass. n. 2964 del 05/04/1997.
Nota: Che il canale di gronda sia equiparabile ad un tubo è una affermazione molto
discutibile della Cassazione non basata su argomenti solidi; prima di tutto si dovrebbe
dimostrare che un canale di gronda fa più danni di una di una falda senza canale di
gronda!

Pluviale e sporti - A norma del secondo comma dell'art. 840 cod. civ., l'im-
missione degli sporti
nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino è consentita quando costui
non abbia interesse ad escludere l'immissione stessa, ossia quando questa inter-
venga ad un'altezza dal suolo tale da non pregiudicare un qualche concreto,
legittimo interesse del proprietario del fondo, in relazione alle concrete possi-
bilità di utilizzazione dello spazio (nella specie, era stato collocato un condotto
pluviale all'altezza di mt. 3,60 da un'area destinata a "posto-macchina". La S.C.,
in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la decisione del giudice
di merito, il quale aveva escluso la lesione di dominio lamentata dal proprieta-
rio della menzionata area, in considerazione del fatto che ogni sfruttamento a
scopo edificatorio del suolo non era ipotizzabile riguardo al contesto edilizio in
cui esso era inserito). Cass. 1484 del 26/02/1996

Tubi - In generale - L'art. 889 C.C. (il quale prescrive la distanza legale mi-
nima di un metro tra il confine ed i tubi d'acqua pura o lurida, e loro dirama-
zioni, pone una presunzione assoluta di dannosità della condotta in caso di di-
stanza inferiore ad un metro. Ne consegue che l'applicabilità di detta norma
prescinde da ogni indagine circa la assenza, in concreto, di una potenzialità
dannosa della condotta posta a distanza inferiore a quella legale (nella specie, è
stata confermata la sentenza del giudice di merito il quale aveva ritenuto irrile-
vante la circostanza che la tubazione fosse dotata di dispositivi idonei ad impe-
dire infiltrazioni). Cass. n. 12491 del 04/12/1995

138
Nota: la Cass. ha detto in altra occasione che non si deve rispettar la distanza per un
serbatoio di gasolio se esso è contenuto entro una vasca di contenimento; ma la vasca di
contenimento è una cisterna e si può riempire di liquidi! Forse voleva dire che non si
applica l'art. 890 C.C. Meno male che vi sono le norme antincendio!

Grondaie - Nella dizione "tubi d'acqua pura o lurida" adoperata dal secondo
comma dell'art 889 C.C. per stabilire la distanza minima dal confine, deve rite-
nersi compresa ogni specie di conduttura che serva al passaggio e, comunque,
allo scolo di acque, e quindi anche le grondaie, la cui funzione non differisce da
quella dei tubi, costituendo anche esse mezzi per smaltire le acque. Cass. n. 3013
del 08/05/1981
Nota: Decisione molto discutibile; ho il sospetto che i giudici abbiano confuso la gron-
daia con il canale di gronda! Se la grondaia non viene considerata si fini delle distanze,
come può poi essere arretrata rispetto al muro che invece può essere costruito? Lo stesso
ragionamento vale per il canale di gronda che rifinisce la grondaia. Come è possibile che
sia lecito far piovere liberamente le acque dalla falda del tetto e non sia lecito raccoglierle
in un canale che riduca i danni?

Briciole di nomenclature - Gronda e pluviale

139
Art. 890 - Distanze per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi

Chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio,


vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol
collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero
impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve
osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle
necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salu-
brità e sicurezza.

Per costruire locali o strutture in cui si svolgono attività che possono


provocare danni al vicino, per depositare materiali nocivi o pericolosi,
esplodenti o infiammabili, per impiantare macchinari, occorre rispettare
dal fondo del vicino la distanza stabilita da leggi o regolamenti o, in man-
canza, una distanza che eviti danni. Ciò anche se sul confine vi è un muro
divisorio, poco importa se comune o meno.
Poiché la norma non stabilisce precisi parametri e l'elencazione di ipo-
tesi è puramente indicativa, si dovrà valutare la situazione caso per caso.
Però la distanza minima indicata da regolamenti è inderogabile e non è
necessario valutarle la pericolosità del deposito (ad es. per un deposito di
esplosivi, di gas liquido).
La distanza da osservare può essere anche superiore a tre metri
Un pollaio rientra nella nozione di stalla; non possono essere fatte rien-
trare nella norma le arnie di api (la Cass. 10912/1991 dice molto amena-
mente che comunque l'apicoltore deve sistemarle in modo da evitare che
lo sciame invada i terreni altrui, come se le api si allontanassero solo di
pochi metri; ignora che le api sciamano una o due volte all'anno e volano
singolarmente alla ricerca del nettare. Si veda ora l'art. 896-bis C-C.
Per gli allevamenti all'aperto di animali la Cass. 14354/2000ha detto che
l'art. 890 si applica ad un allevamento industriale di polli; però per un
allevamento all'aperto si dovranno semmai applicare le norme sulle im-
missioni.
Per le canne fumarie e comignoli, in mancanza di norme regolamen-
tari, si applica l'art. 890 (Cass. 3199/2002).

140
Secondo la Cassazione, per cisterna si intende
solo il deposito di acqua e quindi la cisterna per il
gasolio o per altri liquidi (vini, mosti) è regolata
dall'art. 890 e non dall'art. 889 (Cass, 6217/1992). È
però decisione troppo formale visto che è senza
dubbio più pericolosa una infiltrazione di gasolio
che una di acqua!
È stato scritto che l'art, 890 è norma speciale ri-
spetto all'art. 889 CC; è cosa molto discutibile.

Se B ha costruito una stalla contro il muro comune senza adottare cau-


tele per evitare danni al muro, non deve abbattere la stalla, ma solo fare i
lavori necessari per evitare i danni.

L'ammasso di materiali contro il muro del vi-


cino può essere fatto, ma non deve cagionare
danno al muro o produrre esalazioni nocive.

Art. 890 - Giurisprudenza della Cassazione


Nota: Si vedano anche le massime riportate all'art. 889 CC.
Bombole del gas - In tema di distanze, l'alloggiamento di bombole di gas per
uso domestico non è soggetto al disposto dell'art. 889, secondo comma, C.C.,
riguardante la diversa ipotesi di tubazioni destinate al flusso costante di so-
stanze liquide o gassose, per le quali soltanto è configurabile la presunzione
assoluta di pericolosità per il fondo del vicino, essendo esso viceversa soggetto
all'art. 890 C.C., sicché la pericolosità delle bombole deve essere accertata in
concreto. Cass. n. 22635 del 03/10/2013

141
Nota: Meno male che ci sono le norme regolamentari perché altrimenti per la Cassa-
zione non si farebbe differenza fra un bombolone di gas e un serbatoio di acqua!

Canne fumarie - In tema di rapporti di vicinato, l'art. 890 C.C., applicabile


anche alle condotte fumarie, attribuisce una tutela immediata e diretta per il
rispetto delle distanze prescritte dalle norme regolamentari e, quindi, consente
di chiedere, ai sensi dell'art. 872, secondo comma, C.C., la riduzione in pristino,
senza che occorra stabilire se tali norme siano integrative delle disposizioni del
codice civile. Cass. n. 21744 del 23/09/2013.

Gasolio - Gli impianti di riscaldamento per uso domestico, alimentati a


nafta, non sono assoggettabili alla disciplina prevista dall'art. 889 C.C. in tema
di distanze delle cisterne, ma a quella prevista dall'art. 890 C.C., il quale stabi-
lisce il regime delle distanze per le fabbriche e i depositi nocivi o pericolosi in
base ad una presunzione di nocività e pericolosità, che è assoluta ove prevista
da una norma del regolamento edilizio comunale, ed è invece relativa - e, come
tale, superabile con la dimostrazione che, in relazione alla peculiarità della fat-
tispecie ed agli accorgimenti usati, non esiste danno o pericolo per il fondo vi-
cino - ove manchi una simile norma regolamentare. Cass. n. 4286 del 22/02/2011.

Fumo- Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pe-
ricolosi dall'art. 890 C.C. è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e
pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia
un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre,
in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione
di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata
al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti
può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino. (Nella specie la S.C. ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto presunta la nocività di un
impianto a fronte della fuoriuscita di esalazioni di fumo da un tubo poso sul
confine con la proprietà limitrofa, in violazione di una norma regolamentare
che imponeva la distanza di tre metri). Cass. n. 22389 del 22/10/2009.
Canna fumaria - Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi
nocivi e pericolosi dall'art. 890 C.C., nella cui regolamentazione rientrano anche
i comignoli con canna fumaria, è collegato ad una presunzione assoluta di no-
cività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui
vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima;
mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una pre-
sunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte
interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni
accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino. Cass. n.

142
3199 del 06/03/2002.
Nota: Il danno maggiore prodotto da una canna fumaria è l'immissione di fumo e di
odori; gli "appositi accorgimenti" dovranno escludere un danno in ogni possibile con-
dizioni d'uso. Ma perché mai la Cassazione deve arrampicarsi sugli specchi per modifi-
care una legge chiara? Da una canna fumaria si rispettano le distanze senza se e ma!

Briciole di nomenclature - Altana

143
Art. 891 - Distanze per canali e fossi

Chi vuole scavare fossi o canali presso il confine, se non dispongono


in modo diverso i regolamenti locali, deve osservare una distanza
eguale alla profondità del fosso o canale. La distanza si misura dal con-
fine al ciglio della sponda più vicina, la quale deve essere a scarpa na-
turale ovvero munita di opere di sostegno. Se il confine si trova in fosso
comune o in una via privata, la distanza si misura da ciglio a ciglio o
dal ciglio al lembo esteriore della via.

La norma tratta ovviamente di scavi e fossi permanenti e non di scavi


temporanei destinati ad essere rapidamente richiusi. Infatti la ragione
principale delle disposizioni in esame è di evitare che il canale provochi
infiltrazioni o smottamenti sul confine.
Il canale può essere coperto o scoperto; se però le acque vengono con-
vogliate in tubi si ricade nell'art. 889 C.C. È uno scavo anche quello fatto
per estrarre materiali. L'articolo regola ogni scavo non provvisorio con
due fianchi (altrimenti si crea una scarpata e non un fosso).

Secondo la Cass. n.4488 10/04/2000 si possono adottare misure alterna-


tive al rispetto della distanza, quali una grata di chiusura. Ma è massima
anomala in contrasto con tutte le altre secondo cui vi è una presunzione
assoluta di pericolo di smottamento.
Non sono soggette alla prescrizione delle distanze di cui all'art. 891 cit.,
quelle modificazioni dello stato dei luoghi, anche se comportanti l'abbas-
samento del livello del terreno, in cui non siano ravvisabili le connota-
zioni indicate, come nell'ipotesi di una escavazione effettuata dal vicino
per sistemare una rampa di accesso al fabbricato, che abbia creato un di-
slivello rispetto al piano di campagna soltanto da un lato del manufatto.

144
Se B vuole costruire un fosso o canale, a
qualunque scopo esso sia destinato, deve os-
servare la distanza d pari o maggiore alla al-
tezza hg.

Anche se il canale ha la configura-


zione indicata, con muro di sostegno
verticale, la distanza deve essere d=h

Se il confine fra A e B è costituito


da una strada o da un canale, le di-
stanze vanno osservate dal ciglio
del canale o della strada.

Altri esempi di canali coperti in cui deve sempre essere d=h, come mi-
nimo. Però la Cassazione si è orientata nel ritenere che se non vi è pericolo
di smottamento e il canale è chiuso, si ricade nell'art. 889 C.C.

145
.

Art. 891 - Giurisprudenza della Cassazione


Scavo estrattivo - In tema di distanze di fosse e canali dal confine, la regola
stabilita dall'art. 891 C.C. è applicabile a qualsiasi escavazione effettuata in un
fondo, a nulla rilevando che essa sia destinata o meno a ricevere acqua, purché
provvista delle caratteristiche del fosso o del canale e non meramente provvi-
soria; tale disciplina è perciò applicabile anche alle escavazioni fatte a scopo
estrattivo, senza che eventuali normative speciali predisposte a tutela di inte-
ressi generali possano interferire sulla posizione dei proprietari dei fondi con-
finanti che, nel rapporto privatistico di vicinato, mantengono il diritto all'osser-
vanza delle distanze legali negli scavi effettuati sul fondo vicino. Cass. n. 11387
del 16/05/2006.
Nota: La massima può trarre in errore: l'art. 891 può applicarsi solo a canali e fossi;
è ben difficile che si faccia un fosso estrattivo a canale o fosso; e se non ha due fianchi,
tali da incanalare l'acqua, si ha solo un normale scavo che altera il piano di campagna.
Vedi esattamente la massima successiva.

Scavo estrattivo - L'art. 891 C.C., attinente alle distanze dal confine di canali
e fossi, si applica anche alle escavazioni non provvisorie eseguite per l'estra-
zione di materiale di qualunque specie, con la conseguenza che, nell'esercizio
delle cave, debbono osservarsi, in materia di distanze, non solo le disposizioni
delle leggi speciali dettate per ragioni tecniche, di polizia e di sicurezza sociale,
ma anche le norme del codice civile, atteso che la normativa e gli adempimenti
predisposti a garanzia di interessi generali non degradano né interferiscono
sulla posizione di terzi, come i proprietari di fondi confinanti, che, nel rapporto
privatistico di vicinato, mantengono, pertanto, il diritto, tutelabile davanti al
giudice ordinario, di pretendere che gli scavi siano effettuati nel rispetto delle
distanze legali. Cass. n. 10061 del 12/10/1993.

146
Nozione di canale - L'art. 891 C.C. il quale prescrive una distanza minima
dal confine per canali e fossi postula la realizzazione di uno scavo, non mera-
mente temporaneo, che presenti un fondo più basso per ambedue i fianchi ri-
spetto al piano di campagna, come tale suscettibile, anche se a ciò non destinato,
di raccogliere e convogliare le acque, di per sé, dotate di capacità erosiva ed
infiltratrice e perciò fonte di pericolo per le proprietà vicine. Pertanto non sono
soggette alla prescrizione delle distanze di cui all'art. 891 cit., quelle modifica-
zioni dello stato dei luoghi, anche se comportanti l'abbassamento del livello del
terreno, in cui non siano ravvisabili le connotazioni indicate, come nell'ipotesi
di una escavazione effettuata dal vicino per sistemare una rampa di accesso al
fabbricato, che abbia creato un dislivello rispetto al piano di campagna soltanto
da un lato del manufatto. Cass. n. 5687 del 19/05/1993.

Smottamenti - L'osservanza delle distanze dal confine prescritte dall'art. 891


C.C. per chi scavi nel proprio fondo fossi o canali non esclude l'obbligo di pre-
venire smottamenti e frane dannosi per l'altrui proprietà quando questi siano
resi possibili nonostante il rispetto delle distanze. Cass. n. 4531 del 14/04/1992.

147
Art. 892 - Distanze per gli alberi

Chi vuole piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze


stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali. Se gli uni e gli
altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze dal
confine:
1) tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si con-
siderano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in
rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce,
i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili;
2) un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali
quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde
in rami;
3) mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto
di altezza non maggiore di due metri e mezzo.
La distanza deve essere però di un metro, qualora le siepi siano di
ontano, di castagno, o di altre piante simili che si recidono periodica-
mente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie.
La distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del
tronco dell'albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al
luogo dove fu fatta la semina.
Le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste
un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad
altezza che non ecceda la sommità del muro. Per canale si intende sia
quello naturale che quello artificiale.

Vediamo di chiarire la portata della norma distinguendo due situa-


zioni: a) quella in cui gli alberi devono essere piantati e b) quella in cui gli
alberi già insistono sul terreno.
L'obbligo di rispettare determinate distanze è rivolto sia ad evitare l'in-
vasione del fondo altrui con radici, sia che gli alberi tolgano luce e vista.
Quindi sussiste anche se l'albero è piantato in una vasca ricavata nel ter-
reno. Non vale per piante in vaso mobile.

148
La distanza si misura a partire dal punto della semina o dalla base
esterna dell'albero piantato, a livello del terreno. Per un albero adulto,
rispetto a cui non è possibile stabilire se è nato o se è stato piantato oppure
di quanto è cresciuto nel tempo, si dovrà necessariamente misurare la di-
stanza dal centro del tronco. È una distinzione un po' surreale che il legi-
slatore poteva evitarsi! Nulla vieta quindi di piantare un albero a tre metri
di distanza e poi di forzarlo a crescere in direzione del terreno del vicino!
Premetto che le espressioni usate dal legislatore sono alquanto infelici
dal punto di vista botanico perché egli ha preteso di distinguere le piante
a seconda che esse siano di alto fusto, di medio fusto o arbusti, senza ren-
dersi conto che lo sviluppo di una pianta non può essere determinato in
astratto, ma solo in relazione alle concrete condizioni climatiche ed alle
modalità di coltivazione. La stessa pianta, ad es. un Ficus elastica, può
essere una pianta d'appartamento a Bolzano e una pianta d'alto fusto in
Sicilia (o un bonsai a Roma!). Anche la nozione di arbusto è, spesso, solo
orientativa perché molti di quelli che noi consideriamo arbusti possono,
col tempo, diventare alberelli e alberi (bosso, fino a 16 metri; corniolo, 8
m; ginepro, 15 m; salicone, 8 m; alloro, 12 m; carpino, 25 m; nocciolo, 10
m, sorbo degli uccellatori, 15 m. ecc.).
La conseguenza di questo fatto è però grave sul piano giuridico: signi-
fica che l'obbligo di rispettare le distanze (o il diritto di chiederne il ri-
spetto) non sempre scatta nel momento in cui la pianta viene piazzata nel
terreno, ma solo nel momento in cui è chiaro che essa si avvia ad essere
un albero piuttosto che un arbusto. È ovvio però che se una persona
pianta un noce o un castagno a giusta distanza da altri alberi, con il suo
spazio vitale, si deve presumere che intenda farlo sviluppare regolar-
mente.

Alberi da piantare
La prima situazione è regolata dall'art. 892 il quale ci dice che chi vuol
piantare o seminare alberi in vicinanza del confine deve osservare la di-
stanza stabiliti da regolamenti od usi locali oppure, se questi mancano, le
seguenti distanze:
- Le piante di alto fusto (quali noci, castagni, querce, pini, cipressi, olmi,
pioppi, platani, ecc.) a tre metri dal confine. Diciamo quindi, a lume di
naso, e tenuto conto degli esempi proposti dal legislatore, che sono di alto
fusto (e nella nozione di fusto vanno comprese le ramificazioni principali)

149
le piante che, nella zona climatica in cui vengono piantate, supereranno
agevolmente i sei-sette metri di altezza complessiva o che hanno un
tronco, prima delle biforcazioni, di più di tre metri di altezza. Non sono
di alto fusto, di conseguenza, meli, peri, susini, peschi, sambuchi, evo-
nimi, ecc. La distinzione comunque va fatta in concreto, rispetto allo spe-
cifico albero piantato: una betulla può arrivare all'altezza di venticinque
metri, ma se è stata capitozzata per formare una chioma a due metri da
terra, non diventerà mai di alto fusto. La Cassazione ha sostenuto il con-
trario affermando che comunque la pianta potrebbe poi diventare di alto
fusto, ma è decisione irrazionale ed in contrasto con l'art. 892 CC che pre-
vede espressamente che castagni e robinie vengano potati a ceppaia.
- Le piante non di alto fusto, ad un metro e mezzo dal confine. La
norma stabilisce che si considerano tali gli alberi il cui fusto si ramifica ad
un'altezza non superiore a tre metri.
- Gli arbusti (anche più alti di tre metri), le viti, le piante rampicanti, le
siepi vive, le piante da frutto di altezza, in concreto, non superiore a due
metri e mezzo (pare che il legislatore si riferisca all'altezza del tronco
prima delle biforcazioni), possono essere piantati a mezzo metro dal con-
fine. A questa regola generale fanno eccezione:
- le siepi di piante che vengono ottenute recidendole in modo da sfrut-
tare i polloni del ceppo (castagno, ontano, ecc.), da piantare ad un metro
di distanza;
- le siepi di robinie, da piantare ad un metro e mezzo (hanno ampio
apparato radicale).
Siepe non è solamente la siepe di recinzione, ma anche quella che serve
ad altri scopi, quale tenere lontano animali, proteggere dal vento o dal
rumore, ecc. Il legislatore contempla quindi tre tipi di siepi:
- quella di canne, cespugli, arbusti, anche se più alti di tre metri; in que-
sto tipo dovrebbero rientrare i bambù (distanza mezzo metro);
- quella di ceppaie, cioè di piante di alto fusto tagliate periodicamente
vicino al ceppo (distanza un metro); la Cassazione ha affermato che la
regola vale per ogni tipo di pianta di alto fusto usata per siepi e che il
taglio a ceppaia è solo un esempio; anche altri tipi di taglio o potatura
possono portare allo stesso risultato;
- quella di robinie (distanza due metri).
Le distanze ora viste non devono essere osservate quando sul confine
vi è un muro (ovviamente senza aperture), poco importa se comune o di

150
proprietà esclusiva di uno dei due confinanti, a condizione che le piante
siano potate in modo da non superare l'altezza del muro. Il termine "pro-
prio" va inteso nel senso che si può piantare un albero a ridosso del muro
solo se questo è di proprietà esclusiva di chi pianta l'albero oppure co-
mune. Ricordo che il muro sul confine può essere alto fino a tre metri (art.
878 CC); se però si ha il diritto di tenere sul confine un muro di maggior
altezza, anche le piante possono essere fatte crescere vicino ad esso fino
alla sua altezza. Ciò vale anche per il caso in cui sul confine vi sia il muro
di una costruzione qualsiasi, privo di aperture, ma le piante devono ri-
spettare la distanza dagli spigoli iniziali e finali del muro (non si può
piantare l'albero sullo spigolo della casa altrui). La presenza di altro tipo
di recinzione (rete, filo spinato, staccionata) non incide sulle distanze in
esame. Le distanze dal muro comune si misurano dalla sua faccia esterna.
Ciò significa che il confinante in questo caso non può protestare ed
agire prima che le piante abbiano superato l'altezza del muro. E che il
proprietario delle piante, se è un tipo rognoso, può scegliere fra accorciare
le piante o alzare il muro fino alla massima altezza consentitagli!
In tutti gli altri casi ora visti il confinante può esigere che si estirpino le
piante cresciute o piantate a distanza non legale; per quanto detto sopra,
in alcuni casi invece di estirpare la pianta, potrà essere sufficiente potarla
in modo da darle una struttura definitiva che le consente di rientrare in
una categoria inferiore.

Piante già esistenti


La seconda situazione dà origine a situazioni più complesse in quanto
occorre distinguere i casi in cui si è acquisito il diritto di tenere la pianta
a distanza minore di quella legale, da quelle in cui il diritto non è ancora
stato acquisito.
Il diritto in questione (in termini tecnici è una servitù) può essere ac-
quisito o per contratto, o per "destinazione del padre di famiglia" (ad
esempio a seguito di divisione del terreno il confine è venuto a trovarsi
presso l'albero oppure il proprietario dell'albero ha venduto il terreno
stesso confinante) oppure per usucapione ventennale; questa situazione
è la più frequente e si realizza quando il confinante per almeno vent'anni
non reagisce al fatto che una pianta sul fondo vicino cresca a distanza non
legale (i venti anni non decorrono, secondo logica, dal momento in cui
l'albero germoglia dal seme, ma dal momento in cui è chiaro, in concreto,

151
che diverrà una pianta superiore e tre metri; però la Cassazione ha deciso
che il termine iniziale inizia dal piantamento; quindi il confinante deve
stare attento a non lasciar trascorrere il termine se si accorge che la pianta
cresce oltre al dovuto). Si tenga inoltre presente che per le piante anteriori
al 1942 valgono le diverse distanze legali indicate dal precedente codice
civile del 1865, comunque pressoché identiche (in esso, più chiaramente
di oggi, ad es. in relazione a robinie, gelsi, si distingueva a seconda della
conformazione data alla pianta).
Se il diritto non è ancora stato acquisito, il confinante può richiedere in
qualunque momento che l'albero venga reciso o ridotto nel senso già
detto sopra.
Nel caso in cui si è acquisito il diritto, si può conservare l'albero, ma se
questo muore o viene abbattuto non può essere sostituito. In altre parole
il diritto sussiste "vita natural durante" dell'albero. La Cassazione ha
detto che per quelle piante di cui si sfruttano i polloni (castagno per pali
o travi), il taglio dell'albero non obbliga all'eliminazione della ceppaia.
Unica eccezione: la legge consente di sostituire l'albero o gli alberi che
facciano parte di un filare lungo il confine
. Non quindi se l'albero è il primo di un filare perpendicolare al confine.
Non è chiaro che cosa succeda se viene tagliato l'intero filare; è probabile
che si perda il diritto di ripiantarlo. (Cass. 15199/2008).

Come si misurano le distanze.


Si misura in proiezione verticale, senza tener conto della pendenza. Se
il terreno è molto scosceso, l'albero può essere molto vicino al fondo di B,
ma si consideri che le radici sono a distanza legale. Se l'albero è nato sul

152
posto, la distanza si misura dal centro del tronco; altrimenti, se l'albero è
stato piantato, dal bordo esterno (vedere più avanti).

Se vi è un muro divisorio, non si osservano le


distanze per piantare alberi se gli stessi vengono
contenuti in modo da non superare l'altezza del
muro.
La norma non si applica se nel muro vi sono
finestre o vani luciferi che si vedono diminuire la
luce.
La Cass. ha detto nel 2010 che se il muro è co-
mune, le distanze si misurano dalla superficie esterna (e non come nel
disegno)

Le distanze non si osservano per le piante


rampicanti e B non è obbligato ad acquistare
la comunione del muro di A.
Quindi l'esistenza di piante rampicanti sul
muro non lo fa presumere comune. Ma se il
muro è del vicino si deve evitare di danneg-
giarlo; quindi niente piante che si aggrap-
pano all'intonaco o che si infilano negli inter-
stizi. (edera, vite americana, ecc.).

Art. 892 - Giurisprudenza della Cassazione


Alberi e muro divisorio a dislivello - La nozione di muro divisorio rilevante,
ai sensi dell'art. 892, comma 4, c.c., al fine dell'esenzione dalle prescrizioni rela-
tive alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, coincide con
quella di cui all'art. 881 c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto
che impedisca al vicino di vedere le piante altrui. Ne consegue che, in caso di
fondi a dislivello, il muro di contenimento che emerga dal piano di campagna
del fondo superiore e nasconda le piante alla vista del vicino può svolgere pure
la funzione di muro divisorio ex art. 892, comma 4, c.c. Cass. Ord. n. 18439 del
12/07/2018.

Canneti - Ai fini della distanza dal confine, l'art. 892 c.c. distingue le siepi

153
formate da arbusti, piante basse e canneti, con esclusione degli alberi di alto e
medio fusto, dalle siepi costituite da alberi di alto e medio fusto - purché og-
getto di periodica recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in altezza
e la favorisce in larghezza, rendendo, così possibile l'avvicinamento dei rami e
dei vari alberi e la formazione della protezione o barriera contro gli agenti
esterni - le quali devono osservare la distanza di un metro dal confine. Cass. n.
6765 del 19/03/2018.
L'art, 892 non parla di canneti. Se lo sono inventato, mentre il legislatore le canne
se le è proprio dimenticate. E non sempre le canne (Arundo Dorax) sono basse, visto
che possono arrivare a 10 metri di altezza. Si può decidere in via di analogia, ma non si
può fare a meno di stabilire caso per caso come sono tenute. Secondo la botanica sono
piante perenni di alte dimensioni e perciò assimilabili ad un albero. Quando capiranno
i giudici che le nozioni scientifiche non si ricavano dalle massime, ma dai libri scienti-
fici?

Mais - Il mais va assimilato ad un arbusto in base all'art. 892 che distingue


gli alberi e le piantagioni in cinque categorie fra cui le viti, gli arbusti, le siepi
vive, le piante da frutto di altezza non maggiore ai due metri e mezzo, che pos-
sono essere piantati a non meno di mezzo metro dal confine; è corretta la deci-
sione del giudice di merito secondo cui la piantagione di granoturco va qualifi-
cata sostanzialmente come arbusto e non come albero ad alto o medio fusto
anche per la stagionalità della stessa, per cui presenta differenti momenti di
crescita, con l'effetto che la sua altezza costituisce un dato indifferente rispetto
alla distanza dal confine. Cass. Ord. n. 13640 del 30/05/2017.
Decisione allucinata che calpesta botanica e diritto. Il codice non ha regolato espres-
samente le colture erbacee e il giudice non può farvele rientrare con il gioco delle tre
carte! La cassazione avrebbe potuto risparmiarsi ogni motivazione rilevando che il mais
è una pianta annuale e quindi non è soggetta alla regolamentazione del codice civile.
Ma purtroppo ha voluto discettare di botanica, cosa facile se si fa meno di aprire un
qualsiasi libro di botanica o un qualsiasi dizionario della lingua italiana, ed ha stabilito
ufficialmente che il mais è un arbusto; cioè, udite udite, ha ufficialmente stabilito che il
mais non è una pianta erbacea, come scritto anche nel manuale delle giovani marmotte,
ma un arbusto pluriennale, ragione per cui nel seminarlo si deve rispettare una certa
distanza dal confine. Affermazione sconvolgente perché non ci si può certo fermare al
mais. Ovvio che non si possono piantare le piante rampicanti, perché esse hanno il di-
fetto di strisciare sul terreno e possono invadere il terreno confinante; ovvio che non si
possono seminare i fagioli, i piselli e i pomodori perché essi richiedono un sostegno di
legno e quindi, in sostanza diventano degli arbusti più che idonei a turbare la quiete del
confinante. E se il mais è un arbusto perché arriva essere alto anche 2 m, vuol dire che
anche un girasole è un arbusto da coltivare a debita distanza dal confine; dio non volesse
che un colpo di vento facesse piegare il suo stelo oltre confine. Ripeto: se un vegetale è

154
un arbusto o un albero, lo stabilisce la botanica, non la legge o il giudice!

Alberi - usucapione - Il diritto di mantenere una siepe a distanza dal confine


inferiore rispetto a quella legale può essere usucapito nel termine previsto per
i beni immobili. Cass. Ord. n. 13640 del 30/05/2017. (S. U. n. 2006 del 1966).

Fusto dell'albero - In tema di distanze per gli alberi, il concetto di "fusto"


richiamato dal n. 1 dell'art. 892 c.c. comprende il tronco vero e proprio (da terra
alla prima imbracatura) e le branche principali che se ne diramano, fin dove
esse si diffondono in rami, dando chioma alla pianta; viceversa, per fusto che
"si diffonde in rami", ai sensi del n. 2, s'intende l'intenso propagarsi degli ele-
menti secondari dell'albero, cioè dei rami in senso stretto, i quali non fanno
parte integrante del fusto. (Principio affermato in fattispecie relativa a piante di
olivo dotate di branche primarie). Cass. n. 26130 del 30/12/2015.
Puri esercizi verbali della Cassazione che ignora le nozioni botaniche. Vi sono degli
alberi che si ramificano oltre i tre metri (quercia), altri che normalmente si ramificano
verso i tre metri (alberi da frutto), altri che hanno solo un fusto dritto non suddiviso
(abeti, cipressi). Pensare che il legislatore volesse usare la stessa parola in due significati
diversi è una sciocchezza.

Fico - Gli alberi di fico non possono considerarsi di alto fusto e rientrano, agli
effetti delle distanze da osservarsi dal confine, nella categoria di cui all'art. 892,
primo comma, n. 2, C.C., la quale comprende gli alberi il cui fusto, sorto ad
altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami e che vanno piantati alla
distanza di un metro e mezzo dal confine stesso. Cass. n. 12949 del 23/06/2015.

Alto fusto secondo la botanica - Gli alberi di alto fusto che, ai sensi dell'art.
892, primo comma, n. 1, C.C., devono essere piantati a non meno di tre metri
dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata
in botanica come "di alto fusto", ovvero con riguardo allo sviluppo comunque
da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza supe-
riore a tre metri. Cass. n. 3232 del 18/02/2015.

Siepi di alberi - Gli alberi di alto o medio fusto possono costituire siepe, ai
sensi dell'art. 892 secondo comma, C.C., anche se non appartengano - come i
cipressi - a specie contemplate espressamente dalla norma purché siano tagliati
periodicamente vicino al ceppo così da impedirne la crescita in altezza e favo-
rirne quella in larghezza; in tal caso sussiste l'obbligo di rispettare la distanza
di un metro dal confine. Cass. n. 1682 del 29/01/2015

155
Usucapione - Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal
confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del pianta-
mento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a
determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto
per decorso del tempo, come è desumibile dall'art. 892, terzo comma, C.C., che
fa riferimento, ai fini della misurazione della distanza di un albero dal confine,
alla base esterna del tronco "nel tempo della piantagione". Cass. n. 26418 del
16/12/2014.

Siepi e vedute - In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, agli effetti
dell'art. 907 C.C., il divieto di fabbricare opere in pregiudizio dell'esercizio di
una servitù di veduta, supponendo una modifica dell'assetto dei luoghi richie-
dente un'attività costruttiva, non può estendersi alla creazione di barriere natu-
rali, quali le siepi vive, cui è applicabile la diversa disciplina prevista dall'art.
892, primo comma, n. 3, C.C. Cass. n. 12051 del 17/05/2013.

Usucapione e rami - Il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio
fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione, ricono-
scendo espressamente l'art. 896 C.C. al proprietario del fondo, sul quale, essi
protendono, il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo. Ne
consegue che non rileva la sussistenza di un muro divisorio, proprio o comune,
sul confine, in quanto, ai sensi dell'art. 892 C.C., le piante devono essere tenute,
in ogni caso, ad un'altezza che non ecceda la sommità del muro stesso. Cass. n.
14632 del 24/08/2012.

Usucapione e veduta - Il diritto di veduta, consistente nella fruizione di un


piacevole panorama, che si pretende leso dalla chioma di un albero piantato a
distanza legale, integra una servitus altius non tollendi, la quale può essere acqui-
stata, oltre che negozialmente, anche per destinazione del padre di famiglia o
per usucapione, necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a se-
conda dei casi, della destinazione conferita dall'originario unico proprietario o
dell'esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche
di operi visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la ve-
duta. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito, la quale aveva riconosciuto il diritto di veduta indicandone la fonte
nella mera preesistenza della visuale all'acquisito dell'immobile, così violando
il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali). Cass. n. 2973 del
27/02/2012.

156
Distanza da muro comune - In tema di limitazioni legali della proprietà, ove
due fondi siano delimitati da un muro comune, la linea di confine non si iden-
tifica con la linea mediana del muro medesimo, giacché su di esso, e sull'area di
relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispet-
tivo diritto per l'intera estensione ed ampiezza. Ne consegue che, ai fini della
misurazione della distanza legale di una siepe dal muro comune, si deve avere
riguardo alla facciata del muro stesso prospiciente alla siepe, e non calcolarsi
detta distanza rispetto alla linea mediana del muro comune. Cass. n. 10041 del
27/04/2010.

Muro divisorio - Le prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e


delle piante dal confine, stabilite nei primi tre commi dell'art. 892 C.C., non de-
vono essere osservate quando sul confine esista un muro divisorio e le piante
non lo superino in altezza, in quanto in questo caso il vicino non subisce dimi-
nuzione di aria, luce e veduta. Cass. n. 21010 del 01/08/2008
Nota: La norma non è molto saggia: certe piante possono invadere con le loro radici
e getti il terreno confinante, passando sotto il muro e lo stesso muro può essere danneg-
giato. Comunque rimane ferma la responsabilità del proprietario dell'albero.

Filare - Il diritto di tenere a distanza minore di quella legale un filare di alberi


situato lungo il confine ha per oggetto non le piante singolarmente, bensì l'in-
tero filare inteso come universitas rerum. Pertanto, finché questo conserva uni-
tariamente la sua vitalità, esso può essere integrato mediante la sostituzione di
piante nuove a quelle che via via muoiono o vengono abbattute; quando, in-
vece, il filare venga distrutto nella sua interezza, per opera dell'uomo o per
evento naturale, la sostituzione può avere luogo soltanto nel rispetto della di-
stanza prevista dalla legge. Cass. n. 15199 del 09/06/2008.

157
Art. 893 - Alberi presso strade, canali e sul confine di boschi

Per gli alberi che nascono o si piantano nei boschi, sul confine con
terreni non boschivi, o lungo le strade o le sponde dei canali, si osser-
vano, trattandosi di boschi, canali e strade di proprietà privata, i rego-
lamenti e, in mancanza, gli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispon-
gono, si osservano le distanze prescritte dall'articolo precedente.

Per canalesi intende sia quello naturale che quello artificiale.


Chi è proprietario di un bosco di alberi di alto fusto non è tenuto ad
arretrarlo se il confinante proprietario di un bosco lo elimina per creare
un terreno seminativo.

Se sul confine vi è un fosso o una strada comune, la distanza d per pian-


tare alberi va misurata dal ciglio del fosso.

158
Se però vi sono argini con scarpata interna ed esterna, la distanza si mi-
sura dal ciglio e . (antica giurisprudenza).

Art. 893 - Giurisprudenza della Cassazione


Estirpazione anche senza danno concreto - In base all'interpretazione costi-
tuzionalmente orientata degli artt. 892, 893 e 894 C.C., il proprietario del fondo
può chiedere l'estirpazione degli alberi posti nel fondo del vicino a distanza
minore di quella di legge, a prescindere dalla valutazione dell'esistenza di
un'effettiva turbativa; la finalità delle citate norme, infatti, è quella di salvaguar-
dare il fondo in sé, indipendentemente dalle sue particolari caratteristiche o esi-
genze, sicché il compito del giudice di merito è limitato alla verifica del rispetto
della distanza prescritta, senza doversi estendere a indagare la concreta esi-
stenza del danno. Cass. n. 15236 del 09/06/2008.

Alberi e regolamenti - In tema di distanze per gli alberi piantati in boschi sul
confine con terreni non boschivi, lungo le strade o le sponde dei canali - che
siano di proprietà privata - il rinvio all'art.892 C.C. formulato dall'ultimo
comma dell'art. 893 C.C., con riferimento alla maggiore distanza prevista dai
regolamenti comunali, deve intendersi esteso alle disposizioni regolamentari di
carattere generale in materia di distanze richiamate dal primo comma dell'art.
892 C.C. Cass. n. 17400 del 30/08/2004.

Alberi e regolamenti - La maggiore distanza che, in base ai regolamenti co-


munali richiamati dall'art 892 C.C., deve osservarsi dal confine per ogni nuova
piantagione di alberi, va altresì applicata alle ipotesi particolari previste dall'art
893 C.C., ove per esse manchi una specifica disciplina regolamentare, sicché il
rinvio contenuto in quest'ultima norma alle distanze di cui all'art 892 C.C., deve
intendersi riferito anche alle distanze stabilite in via generale dai detti regola-
menti. Cass. n. 5233 del 09/10/1979

159
Art. 894 – Alberi a distanza non legale

Il vicino può esigere che si estirpino gli alberi e le siepi che sono
piantati o nascono a distanza minore di quelle indicate dagli articoli
precedenti.

Art. 895 - Divieto di ripiantare alberi a distanza non legale

Se si è acquistato il diritto di tenere alberi a distanza minore di quelle


sopra indicate, e l'albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non
può sostituirlo, se non osservando la distanza legale (892).
La disposizione non si applica quando gli alberi fanno parte di un
filare situato lungo il confine.

La norma dell'art. 894 non impedisce ovviamente al vicino di tagliare


direttamente le radici che oltrepassano il confine, come si ricava anche
dall'art. 896 C.C.
In caso di divisione di un fondo in più unità, non occorre estirpare le
piante troppo vicine ai nuovi confini, salvo patto diverso, perché si viene
a costituire una servitù del padre di famiglia.
Il diritto di tenere alberi a distanza inferiore a quella legale costituisce
una vera e propria servitù affermativa e permette una più ampia utiliz-
zazione del fondo limitrofo dove l'albero è mantenuto a distanza non le-
gale dal confine: ne consegue che, in mancanza di un titolo di acquisto
della servitù (contratto, destinazione del padre di famiglia, usucapione),
può sempre esigersi l'estirpazione degli alberi piantati a distanza non le-
gale dal confine, trattandosi di una facoltà inerente al diritto di proprietà,
come tale imprescrittibile. Cass. 2555/1980
L'esenzione dei beni demaniali dall'obbligo delle distanze stabilite
dall'art 882 C.C. in tema di piantagioni, se preclude al proprietario del
fondo contiguo di chiedere il taglio degli alberi, non esonera il titolare del
diritto di uso sul suolo demaniale dall'obbligo, impostogli dall'art 2051
C.C., di evitare che la proprietà confinante possa subire danno a seguito
dell'espansione delle radici degli alberi piantati sul bene demaniale. il

160
suddetto titolare non e, inoltre, esentato da tale obbligo e, in caso di inos-
servanza, dalla relativa responsabilità per il solo fatto che il vicino non sia
avvalso della facoltà riconosciuta dall'art 896 C.C., di tagliare le radici che
si inoltrano nel suo fondo. Si vedano anche gli artt. 822 e 879 CC. Cass.
1703/1976.
Il diritto di tenere alberi o siepi a distanza non legale si acquista o per
convenzione o per destinazione del padre di famiglia o per usucapione
ventennale. L'albero che viene meno per qualsiasi motivo (frana, incen-
dio, fulmine, taglio, morte) non può essere ripiantato. Però non considera
"venuto meno" l'albero che rigermoglia e quindi è lecito conservare alla
precedente distanza i suoi polloni. Ovviamente non deve essere stato "uc-
ciso" dal vicino!
Se l'albero venuto meno fa parte di un filare è sempre consentito sosti-
tuirlo perché il filare ha una funzione autonoma, diversa da quella del
singolo albero che lo compone.

Se B ha acquisito il diritto di tenere la


pianta a distanza inferiore da quella pre-
scritta, non perde tale diritto se capitozza
la pianta.
Se invece la taglia tutta, non può sosti-
tuirla ma può conservare i polloni che
nasceranno.

A può tagliare le radici che si proten-


dono oltre il confine e può chiedere al vi-
cino di tagliare i rami sporgenti oltre di
esso.
Se originariamente il fondo con l'albero
era di un unico proprietario, possono es-
sere conservati rami e radici.

161
Art. 894 - Giurisprudenza della Cassazione
Usucapione - Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal
confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del pianta-
mento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a
determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto
per decorso del tempo, come è desumibile dall'art. 892, terzo comma, C.C., che
fa riferimento, ai fini della misurazione della distanza di un albero dal confine,
alla base esterna del tronco "nel tempo della piantagione". Cass. n. 26418 del
16/12/2014.

Recisione - In tema di distanze degli alberi dal confine, ai sensi dell'art. 892
C.C., è legittima e non affetta da ultra petizione la sentenza del giudice di merito
che, nel giudizio instaurato con domanda di sradicamento degli alberi posti a
dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale, ordini al
convenuto medesimo di mantenere le piante ad altezza non eccedente la som-
mità del muro di cinta, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 892 C.C. . Cass. n.
9280 del 09/04/2008.

Usucapione - Ai fini dell'usucapione del diritto a tenere alberi a distanza dal


confine inferiore a quella di legge, il termine decorre dalla data del pianta-
mento, perché è da tale momento che ha inizio la situazione di fatto idonea a
determinare, nel concorso delle altre circostanze richieste, l'acquisto del diritto
per decorso del tempo. Cass. n. 21855 del 18/10/2007.

Distanze, legittimazione - In tema di azioni a carattere reale quale quella per


il rispetto delle distanze legali, si ha successione a titolo particolare del diritto
controverso ex art. 111 C.P.C. tutte le volte che a seguito del trasferimento in
corso di causa per atto inter vivos delle res litigiose rappresentate dagli immobili
interessati alla vicenda, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che defi-
nisce la lite incidano in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti
diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.
Ne consegue, in base all'art. 111 C.P.C., che il processo deve proseguire fra le
parti originarie con facoltà dell'attore di impugnare la sentenza a lui sfavore-
vole e che legittimamente l'acquirente a titolo particolare, ai sensi del terzo
comma del citato art. 111, può spiegare intervento in appello. Cass. n. 10563 del
02/08/.

162
Art. 895 - Giurisprudenza della Cassazione
Ceppaie - Il diritto di tenere alberi a distanza minore di quella legale si man-
tiene, ai sensi dell'art. 895, secondo comma, C.C., anche in base all'esistenza
delle ceppaie e dei polloni, atteso che le piante di nuova germogliazione sono
la continuazione vegetativa delle precedenti, sia come singoli individui, sia
nella universitas rerum in cui si concretizza il filare. Cass. n. 10192 del 30/04/2013.

Filare - Il diritto di tenere a distanza minore di quella legale un filare di alberi


situato lungo il confine ha per oggetto non le piante singolarmente, bensì l'in-
tero filare inteso come universitas rerum. Pertanto, finché questo conserva uni-
tariamente la sua vitalità, esso può essere integrato mediante la sostituzione di
piante nuove a quelle che via via muoiono o vengono abbattute; quando, in-
vece, il filare venga distrutto nella sua interezza, per opera dell'uomo o per
evento naturale, la sostituzione può avere luogo soltanto nel rispetto della di-
stanza prevista dalla legge. Cass. n. 15199 del 09/06/2008.

Abbattimento - Ai sensi dell'art. 895, comma primo C.C., nella ipotesi in cui,
per morte recisione o abbattimento, un albero non facente parte di un filare sia
stato eliminato, si estingue, in deroga ai principi in tema di estinzione delle ser-
vitù, anche la servitù che consentiva il mantenimento dell'albero a distanza in-
feriore a quella legale, non avendo il titolare del fondo dominante alcun diritto
di sostituire l'albero eliminato se non osservando le distanze legali. Cass. n. 5928
del 15/06/1999.

Ripiantamento - La deroga al divieto di ripiantare alberi a distanza non le-


gale presuppone l'esistenza di un filare, cioè di una serie unitaria di alberi, -
piantati o seminati dalla mano dell'uomo, ovvero germinati spontaneamente -,
che si incorporino nel suolo in allineamento, secondo una linea ideale, retta od
anche non rigorosamente tale. Rappresenta un apprezzamento di fatto del giu-
dice del merito, insindacabile nel giudizio di Cassazione, ove adeguatamente
motivato, lo stabilire se, in concreto, secondo la loro disposizione sul suolo, gli
alberi costituiscano un filare. (nella specie, la Corte suprema ha ritenuto che il
giudice del merito abbia adeguatamente motivato rilevando che gli alberi non
seguivano una linea ideale rettilinea ma, invece, erano posti alle distanze più
disparate dal rettilineo confine). Cass. n. 1898 del 16/05/1975.

Ceppaie e recisione - Il diritto di tenere alberi a distanza minore di quella


legale comprende, per il suo oggetto e per le sue finalità economico-giuridiche,
anche il diritto di recidere l'albero, conservandone la ceppaia, e di mantenere e
allevare i polloni che ne germogliano. La disposizione dell'art.895 C.C. - se-
condo cui, quando l'albero muore o viene abbattuto o reciso, questo non può

163
essere sostituito se non con l'osservanza della distanza legale- importando de-
roga ai principi sul modo di Estinzione della servitù, non e suscettiva di esten-
sione oltre lo schema della particolare ipotesi da essa espressamente prevista.
Pertanto, agli effetti previsti dal citato art.895 C.C. il concetto di recisione non
può valere per quegli alberi il cui uso consiste nel taglio periodico, senza svel-
lere le ceppaie da cui sorgono i nuovi germogli. Cass. n. 1035 del 22/04/1966.

164
Art. 896 - Recisione di rami protesi e di radici

Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può
in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le
radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i
regolamenti e gli usi locali.
Se gli usi locali non dispongono diversamente, i frutti naturalmente
caduti dai rami protesi sul fondo del vicino appartengono al proprieta-
rio del fondo su cui sono caduti.
Se a norma degli usi locali i frutti appartengono al proprietario
dell'albero, per la raccolta di essi si applica il disposto dell'art. 843.

L'art. 896 C.C. regola i rapporti del confinante con l'albero che lo "in-
vade". Scrive il legislatore che il proprietario di un terreno può, in qua-
lunque tempo, costringere il vicino a recidere i rami di un albero (poco
importa se a distanza legale o meno) che si protendono sul suo fondo. Il
legislatore ha regolato il caso più comune in cui per recidere i rami oc-
corre salire sull'albero e quindi entrare sul fondo altrui; ha quindi stabilito
che è il proprietario dell'albero a dover provvedere e che avrà la scelta tra
tagliare l'intero ramo oppure accorciare il ramo in modo che non oltre-
passi il confine. Si deve ritenere però che anche il proprietario invaso, se
vi riesce, possa tagliare, stando sul proprio terreno, quella parte di ramo
che oltrepassa la linea ideale del confine. Ed infatti per le radici il legisla-
tore stabilisce che sempre possono essere tagliate lungo il confine le radici
entrate nel fondo proprio.
Riguardo ai frutti, quelli portati da rami protesi sul fondo altrui e ca-
dutivi naturalmente, appartengono al proprietario del fondo su cui sono
caduti. Ciò significa che questi non ha diritto di raccogliere i frutti portati
dai rami protesi sul suo fondo (e che spettano al proprietario dell'albero
il quale può cercare di staccarli egli stesso), ma che deve attendere che i
frutti cadano per cause naturali; ad es. non può abbacchiare le noci!) In
certe zone gli usi locali consentono al proprietario dell'albero di entrare
nel fondo altrui per raccogliere i frutti caduti o per effettuare la raccolta.
Il diritto di recidere rami o radici di un albero può trovare limitazioni in

165
particolari norme locali che sottopongano a tutela alberi di certe specie o
dimensioni, in quanto la recisione comporti un danno per l'albero.
A proposto del diritto di protendere rami sul fondo altrui, la Cassa-
zione è più oscillante dei rami al vento. In una sua sentenza del 1980 e poi
in una del 1999, ha affermato che sarebbe possibile acquisire non solo il
diritto di servitù di tenere l'albero a distanza inferiore del consentito, ma
anche quello di protendere i rami sul fondo del vicino. Se così fosse ver-
rebbe meno il diritto di far recidere i rami. Nel 1978 e poi nel 1993 ha
affermato il principio contrario negando l'esistenza di una simile servitù.
La prima giurisprudenza è, a mio avviso, errata per vari motivi:
L'art. 896 è chiaro nel dire che i rami possono essere recisi in qualunque
tempo; non è possibile calcolare un momento iniziale da cui far decorrere
l'usucapione perché il ramo cresce continuamente e ogni giorno si con-
cretizza una situazione nuova a cui il proprietario del fondo servente ha
diritto di reagire (può tollerare e gradire un metro di ramo e può reagire
quando il ramo gli entra in casa! E se così è, i vent'anni decorrono dal
momento della semina, oppure dal momento in cui il ramo ha superato
il confine oppure dal momento in cui ha assunto dimensioni intollerabili?
Se fosse valida la tesi della Cassazione, il proprietario del fondo ser-
vente non potrebbe togliere i rami per costruire nella zona su cui si pro-
tendono, con assurda limitazione del suo diritto di proprietà. Ad ogni
modo con sentenza n. 4361/2002 la Cassazione mi ha dato ragione affer-
mando che: "Il diritto di fare protendere i rami degli alberi del proprio
fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione per-
ché l'art. 896 C.C. implicitamente lo esclude, riconoscendo espressamente
al proprietario del fondo sul quale i rami si protendono il potere di co-
stringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo".
Un problema mai esaminato è quello che concerne la sorte non dei rami
che invadano il fondo del vicino, ma quello del tronco stesso che, cre-
scendo invade il terreno del vicino (ricordo il castagno dell'Etna, detto dei
Cento Cavalli, che aveva 18 metri di diametro!).

Comunione di siepe e alberi - Le siepi tra due fondi si presumono co-


muni, salvo prova contraria; se la siepe recinge tutti i lati di un fondo si
presume però che essa appartenga tutta al proprietario del fondo recin-
tato. Gli alberi entro la siepe e quelli sulla linea di confine si presumono

166
egualmente comuni. Se un albero serve da limite di confine può essere
tagliato solo con il consenso del confinante.

Usi locali - La legge fa specifico richiamo ai regolamenti locali ed agli


usi locali che, se esistenti, prevalgono in tal caso sulle norme del codice.
Le norme regolamentari sono contenute, di solito, in regolamenti di poli-
zia urbana o rurale reperibili presso i Comuni. Gli usi sono contenuti in
raccolte curate dalle locali Camere di Commercio. È possibile invocare
usi non contenuti in queste raccolte, ma la prova è oltremodo difficile.

Azioni giudiziarie - Per ottenere il rispetto delle distanze legali o la


recisione di rami occorre svolgere azione giudiziaria di negazione di ser-
vitù, rivolgendosi ad un legale; naturalmente solo quando il vicino non
abbia dato seguito alle intimazioni di rito con lettera raccomandata. In
genere è cosa prudente evitare che si consolidino delle servitù e perciò,
anche quando l'albero non dà noia è consigliabile pretendere dal vicino,
prima che siano trascorsi i fatidici vent'anni, una dichiarazione in cui ri-
conosce di non avere alcun diritto a tenere l'albero a distanza non legale.

Art. 896 - Giurisprudenza della Cassazione


Servitù e recisione - La servitù consistente nel diritto di mantenere i rami di
un albero protesi per un metro all'interno del fondo del vicino non osta all'eser-
cizio da parte del proprietario confinante del suo diritto, a norma dell'art. 896
C.C., di costringere il proprietario degli alberi a tagliare i rami che si proten-
dono sul suo fondo per la parte eccedente. Cass. n. 28348 del 18/12/2013.

Usucapione, no - Il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio


fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione, ricono-
scendo espressamente l'art. 896 C.C. al proprietario del fondo, sul quale, essi
protendono, il potere di costringere il vicino a tagliarli in qualunque tempo. Ne
consegue che non rileva la sussistenza di un muro divisorio, proprio o comune,
sul confine, in quanto, ai sensi dell'art. 892 C.C., le piante devono essere tenute,
in ogni caso, ad un'altezza che non ecceda la sommità del muro stesso. Cass. n.
14632 del 24/08/2012.

Recisione e norme pubblicistiche - Il diritto di pretendere la potatura dei


rami degli alberi del vicino che si protendono sulla proprietà altrui, così come
disciplinata dall'art. 896 C.C., non è limitato dalle norme pubblicistiche a tutela
del paesaggio ed, in particolare, dal vincolo posto dall'art. 146 del d.lgs. n. 490

167
del 1999 (abrogato nel 2004) in quanto tra i due ordini di norme non sussiste un
nesso di specialità, essendo la disciplina codicistica rivolta alla tutela delle pro-
prietà privata e quella pubblicistica alla protezione del patrimonio paesaggi-
stico nel suo complesso. Cass. n. 19035 del 10/07/2008
Nota: Decisione valida forse per il caso concreto; in via generale se norme paesaggi-
stiche vietano di tagliare alberi di una data dimensione, vi è ricompreso anche il divieto
di danneggiarli con potature incongrue; e sono nome che prevalgono sul diritto civile
(factum principis).

Competenza - Appartiene alla competenza del giudice di pace la domanda


volta ad ottenere la recisione di una siepe di alloro esistente nella proprietà del
vicino a ridosso del muro di confine per la parte in cui essa superi, in verticale,
l'altezza del muro, trattandosi di domanda riconducibile alla previsione dell'art.
892, ultimo comma, C.C., diversamente dalla domanda volta alla recisione dei
rami protesi in orizzontale, invadenti l'altrui proprietà (regolata dall'art. 896
C.C.), rientrante nella competenza del giudice unico di tribunale. Cass. n. 32 del
04/01/2006
Nota: IL CPC recita: Il Giudice di Pace è competente qualunque ne sia il valore: 1)
per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite
dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle
siepi. È massima affetta da bizantinismo perché proprio non si comprende perché il le-
gislatore avrebbe dovuto attribuire la competenza del GdP solo per l'ultimo comma
dell'art 892. Probabilmente la norma voleva riferirsi a tutti i casi in cui si controverte
su alberi o siepi piantate.

Accesso al fondo - La facoltà di accedere nel fondo del vicino, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 843 e 896, ultimo comma, C.C., per raccogliere i
frutti caduti dagli alberi piantati sul proprio fondo non corrisponde ad un di-
ritto di servitù, bensì al contenuto di una obbligazione propter rem, insuscettibile
di possesso e, quindi, di tutela possessoria. Cass. n. 16482 del 22/11/2002.

168
.

Art. 896-bis. - Distanze minime per gli apiari.

Gli apiari devono essere collocati a non meno di dieci metri da strade
di pubblico transito e a non meno di cinque metri dai confini di pro-
prietà pubbliche o private.
Il rispetto delle distanze di cui al primo comma non è obbligatorio
se tra l'apiario e i luoghi ivi indicati esistono dislivelli di almeno due
metri o se sono interposti, senza soluzioni di continuità, muri, siepi o
altri ripari idonei a non consentire il passaggio delle api. Tali ripari de-
vono avere una altezza di almeno due metri. Sono comunque fatti salvi
gli accordi tra le parti interessate.
Nel caso di accertata presenza di impianti industriali saccariferi, gli
apiari devono rispettare una distanza minima di un chilometro dai sud-
detti luoghi di produzione.
Articolo aggiunto dalla L. 24 dicembre 2003 n. 313. Disciplina dell'apicul-
tura; in vigore dal 1°gennaio 2005. Per apiario si intende "un insieme unitario
di alveari", cioè di arnie contenente una società di api.

Art. 896-bis - Giurisprudenza della Cassazione


Api - Non rientrano nel novero degli animali selvatici - sottratti all'applica-
zione dell'art. 2052 cod. civ. - le api utilizzate da un apicoltore, il quale pertanto
risponde ai sensi di tale disposizione e non dell'art. 2043 cod. civ. dei danni dalle
stesse cagionati. Cass. n. 7260 del 22/03/2013.

L'apicoltura, sebbene attività connessa con l'impresa agricola e consentita


senza alcuna espressa limitazione, non esime l'allevatore dall'Obbligo della di-
ligenza nella collocazione delle arnie a distanza tale dal confine da impedire
agli sciami di api l'invasione del fondo contiguo, poiché l'esercizio di un diritto
deve essere necessariamente contemperato con le esigenze della solidarietà so-
ciale e svolto in armonia con il precetto fondamentale dell'alterum non laedere.
Cass. n. 837 del 26/03/1974.

169
Art. 897 - Comunione dei fossi
Ogni fosso interposto tra due fondi si presume comune.
Si presume che il fosso appartenga al proprietario che se ne serve per
gli scoli delle sue terre, o al proprietario del fondo dalla cui parte è il
getto della terra o lo spurgo ammucchiatovi da almeno tre anni.
Se uno o più di tali segni sono da una parte e uno o più dalla parte
opposta, il fosso si presume comune.

Il fosso può essere naturale (alveo creato dalla stessa erosione dell'ac-
qua, anche se aiutato in tempi passati da interventi dell'uomo) oppure
artificiale (alveo e sponde determinate e mantenute dall'uomo).
Il fosso, se comune, può costituire una entità immobiliare a sé stante,
come una strada e quindi i fondi che confinano con essi non sono contigui
(ad esempio ai fini della distanza delle costruzioni o del riscatto agrario
Contra Cass. 13558 /1991).
Il condomino che non vuole partecipare alle spese di manutenzione,
può rinunziare alla comunione del fosso, in analogia a quanto disposto
per il muro (art. 882 C.C.)
La presunzione di comunione di cui all'art. 897 C.C., del fosso interpo-
sto fra i fondi di rispettiva proprietà dei confinanti ed utilizzato per lo
scolo delle acque, è operante anche quando il confine catastale corre
lungo la mezzeria del fosso, mentre tale presunzione è esclusa quando il
fosso, corra per tutta la sua lunghezza nella parte interna di uno dei due
fondi confinanti. (Cass. 1201/1996).
Però la presunzione è semplice, sia per i fondi rustici che urbani, e
quindi è sempre consentito provare il diverso andamento del confine
(Cass. 1406/1979). Non bastano però le semplici risultanze catastali (Cass.
635/1964).

170
.

Salvo diverso titolo il fosso lungo il confine si presume comune per


tutta la sua larghezza e profondità. Le spese di riparazione, in qualunque
punto effettuate, vanno divise a metà.

Se il fosso ha due arginelli for-


mati con la terra di spurgo, si pre-
sume comune. Se A non ha interesse
allo scolo di acque nel fosso, può ri-
nunziare alla comunione.

Se l'arginello si trova sul terreno di A


da almeno tre anni si presume che il
fosso sia tutto suo e si presume che il
fondo di B termini sul ciglio c . Non è am-
messa la comunione coattiva del fosso.

Anche se l'arginello è su B, è evi-


dente che il fosso raccoglie le ac-
que di A e che l'arginello serve ad
evitare il tracimamento verso B. Il
fosso si presume quindi di A salvo

171
che l'arginello sia formato da almeno tre anni con la terra di spurgo. In tal
caso si presume di B o comune.

La presenza della siepe ab, o di altra re-


cinzione, fa presumere che il fosso sia di
esclusiva proprietà di B e che il confine
corra lungo la siepe.

Se A dispone di un titolo che


dimostra la sua esclusiva pro-
prietà del fosso, il tratto di ter-
reno ab si deve ritenere anch'esso
di sua proprietà a norma art. 891
C.C.

Art. 897 - Giurisprudenza della Cassazione


Fosso e linea di confine - La presunzione di comunione del fosso ex art. 897
c.c. non può applicarsi ove il confine sia controverso, sicché essa non può essere
invocata per regolare il confine secondo l'andamento del fosso in difformità da
quanto risultante nelle mappe catastali. Cass. n. 22909 del 10/11/2015.

Fosso fra fondi - Qualora due fondi siano separati da un fosso, non è possi-
bile parlare di fondi tra loro confinanti, dal che deriva l'inapplicabilità dell'art.
892 C.C. in riferimento agli alberi che uno dei due proprietari abbia piantato,
all'interno del proprio fondo, in relazione al confine con il fosso. Inoltre, poiché
il fosso si presume, fino a prova contraria, di proprietà comune (art. 897 C.C.),
il diritto di ciascuno dei comproprietari si estende - sia pure nei limiti della re-
lativa quota - fino all'una e all'altra riva, con la conseguenza che il rispetto delle
distanze legali, in riferimento alle piantagioni esistenti nel fosso, va valutato

172
partendo dall'argine di proprietà del vicino. Tale disciplina non consente, co-
munque, l'impianto indiscriminato di alberi nel fosso, trattandosi di attività sot-
toposta al regime dell'art. 1102 C.C. in materia di uso della cosa comune. Cass.
n. 19936 del 25/09/2007.

Fosso fra fondi - La presunzione di comunione di cui all'art. 897 C.C., del
fosso interposto fra i fondi di rispettiva proprietà dei confinanti ed utilizzato
per lo scolo delle acque, è operante anche quando il confine catastale corre
lungo la mezzeria del fosso, mentre tale presunzione è esclusa quando il fosso,
corra per tutta la sua lunghezza nella parte interna di uno dei due fondi confi-
nanti. Cass. n. 1201 del 16/02/1996.

Fosso fra fondi - Debbono considerarsi confinanti, agli effetti dell'art. 7


comma secondo n. 2 della legge 14 agosto 1971 n. 817, due fondi anche se sepa-
rati da un canale di scolo delle loro acque, ove, mancando una contraria prova,
questo canale debba presumersi comune, ai sensi dell'art. 897 C.C., con la con-
seguente contiguità materiale dei fondi, che si estendono fino alla metà del ca-
nale fra essi interposto. Cass. n. 13558 del 17/12/1991.

Fosso e confine - La presunzione di comunione di un fosso fra fondi limi-


trofi, fissata dall'art 897 C.C., postula che il fosso medesimo risulti interposto,
estendendosi i confini di detti immobili, rispettivamente, sino all'una ed all'altra
riva. Pertanto, ove tale presupposto sia contestato, controvertendo i proprietari
proprio sulla regolamentazione del confine, la mera presenza di un fosso, nella
zona contesa, non può essere invocata per ottenere, tramite l'applicazione della
citata norma, la individuazione del confine secondo l'andamento del fosso
stesso. Cass. n. 1406 del 06/03/1979.

Fosso fra fondi - Il primo comma dell'art 897 C.C., secondo cui ogni fosso
interposto tra due fondi si presume comune, si riferisce cosi ai fondi rustici
come ai fondi urbani. Cass. n. 1017 del 20/03/1976.

Fosso fra fondi - La prima parte del capoverso dell'art 897 C.C., secondo cui
il fosso interposto tra due fondi si presume appartenente al proprietario che se
ne serve per gli scoli delle sue terre, si riferisce non solo alle acque scolaticce
normalmente defluenti dai terreni a monte, ma anche agli scoli di acque pio-
vane, di acque di irrigazione, e di acque bianche eventualmente provenienti da
edifici. Cass. n. 1017 del 20/03/1976.

173
Fosso comune - Allorché risulta che tra un fondo, da un lato, e un altro fondo
dall'altro, e interposto un fosso, tale fosse deve presumersi comune tra i pro-
prietari dei due fondi, a norma dell'art.897, primo comma, C.C., senza che la
presunzione di comproprietà cosi stabilita dalla legge (e che ammette la prova
del contrario) possa considerarsi vinta soltanto in base alle eventuali contrarie
risultanze catastali. Cass. n. 635 del 20/03/1964.

Fosso comune - Perché sorga a favore di coloro che si servono di un fosso


per lo scolo di acque la presunzione di proprietà comune di cui all'art. 897 C.C.,
non basta il solo fatto dello scolo, ma occorre che si tratti di un fosso interposto
tra i fondi di rispettiva proprietà dei confinanti, e cioè di un fosso giacente lungo
il confine tra i due fondi. Pertanto, tale presunzione non è operante quando il
fosso corra per tutta la sua lunghezza nella parte interna di uno dei fondi con-
finanti, dovendosi in tal caso ritenere che il fosso sia di dominio esclusivo del
proprietario nel cui fondo esso si trova. Il diritto di alluvione può sorgere in
favore dei fondi posti lungo le rive dei fiumi o di torrenti, che fanno parte del
Demanio pubblico, non anche di quelli separati da fossi, che appartengono in
privata proprietà ai frontisti. Ai fini dell'imposizione della cauzione per le
spese, prevista dall'art. 98 C.P.C., la valutazione della sussistenza del fondato
timore della ineseguibilità di una condanna alle spese rientra nell'incensurabile
potere discrezionale del giudice di merito. Cass. n. 3 del 07/01/1959.

174
Art. 898 - Comunione di siepi

Ogni siepe tra due fondi si presume comune ed è mantenuta a spese


comuni, salvo che vi sia termine di confine o altra prova in contrario
(880, 897).
Se uno solo dei fondi è recinto, si presume che la siepe appartenga al
proprietario del fondo recinto, ovvero di quello dalla cui parte si trova
la siepe stessa in relazione ai termini di confine esistenti.

La presunzione di comunione della siepe o della staccionata o paliz-


zata, viva o morta che sia, è semplice e quindi viene meno di fronte ad
ogni circostanza che ne dimostra la proprietà esclusiva. Ad esempio
quando una siepe recinta un fondo da ogni lato, quando vi siano ceppi di
confine oltre la siepe o risulta comunque che insiste tutta sul terreno del
proprietario. Si può sempre rinunziare al diritto di comunione sulla siepe.
La staccionata o palizzata, formata da strisce lineari contigue di legno,
costituisce pur sempre una siepe artificiale o morta, e, pertanto, ricade
sotto la previsione normativa dell'art 898 C.C. Cass. n. 650 del 13/03/1970.

Siccome il fondo di B è interamente


recintato con muro (cd), filo spinato
(bc) e fosso (ad), si presume che la
siepe ab sia sua.
Se anche A fosse tutto recintato, si
tornerebbe alla presunzione generale
di comunione.

175
Se la siepe è sopra ad una scarpata che sostiene il terreno B, si presume
che sia di B.

La siepe sul ciglio A di un fosso, sia


esso comune o di B, si presume essere
di proprietà di A.

176
Art. 899 - Comunione di alberi
Gli alberi sorgenti nella siepe comune sono comuni.
Gli alberi sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo
titolo o prova in contrario.
Gli alberi che servono di limite o che si trovano nella siepe comune
non possono essere tagliati, se non di comune consenso o dopo che l'au-
torità giudiziaria abbia riconosciuto la necessità o la convenienza del
taglio.

Il primo comma rappresenta normale applicazione del principio


dell'art. 898 C.C.
L'articolo regola una situazione alquanto al limite e che nella realtà si
verifica raramente per cui le ipotesi prospettabili sono alquanto capziose.
In genere, in caso di discordia, l'albero comune fa rapidamente una brutta
fine!
L'art 899 C.C. nei primi due commi prevede due distinte ipotesi di pre-
sunzione di comunione degli alberi. la prima concerne il caso in cui l'al-
bero sorge nella siepe comune e qui la presunzione trova la sua giustifi-
cazione nel fatto stesso della comunione della siepe e perciò è presun-
zione assoluta che non ammette prova contraria (salvo provare che la
siepe non è comune!). La seconda concerne il caso che l'albero sorga sulla
linea di confine e qui la presunzione trova la sua giustificazione nel fatto
che, sorgendo l'albero nella linea di confine, è verosimile che esso sia stato
piantato in comune dai proprietari dei due fondi confinanti o con il loro
consenso e perciò trattasi di presunzione semplice, potendosi sempre di-
mostrare che, pur sorgendo sulla linea di confine, l'albero sia stato pian-
tato da uno solo dei predetti proprietari. Il caso particolare che l'albero
sorga nel mezzo di un muro divisorio comune parzialmente diroccato si
inquadra nella seconda ipotesi e cioè nel secondo comma dell'art 899, in
quanto, rappresentando il muro divisorio comune la linea di confine, l'al-
bero in definitiva sorge su questa.

177
Se l'albero cresce proprio sul confine, si pre-
sume comune e se non vi è accordo A o B lo pos-
sono tagliare solo su autorizzazione del giudice
(in altre parole: occorre prendere un legale e pro-
cedere con un'a azione giudiziaria). A e B non
possono tagliare le radici e le fronde dal proprio
lato, salvo le normali potature.

In questo caso invece A può tagliare le radici (art.


896 C.C.). Ovviamente, se B non ha usucapito il diritto
di tenere l'albero a distanza non legale, ne può chie-
dere l'abbattimento.

Gli alberi a, b, c, d, si considerano comuni anche se non perfettamente


allineati sulla linea di confine; l'albero e si presume di A. Se la linea di
confine non passa per il centro dell'albero, esso verrà diviso proporzio-
nalmente fra A e B.

178
Art. 899 - Giurisprudenza della Cassazione
Comunione di alberi e siepi, Presunzioni - L'art.899, 1 e 2 comma, C.C. -
secondo cui gli alberi sorgenti nella siepe comune sono comuni, mentre quelli
sorgenti sulla linea di confine si presumono comuni, salvo titolo o prova con-
traria - sancisce nel primo caso, una presunzione assoluta di comunione, che
non ammette prova contraria, quale effetto della comunione di siepe, e nel se-
condo caso, una presunzione juris tantum pro indiviso e in parti eguali, in deroga
al principio generale stabilito in materia di accessione dall'art.934 C.C., in base
a cui la proprietà dell'albero dovrebbe considerarsi materialmente divisa in
parti, secondo la concreta posizione dell'albero al di qua e al di la della linea di
confine. Tale ultima presunzione trova il suo fondamento sia nella verosimi-
glianza che l'albero sia stato piantato a spese comuni, sia nel fatto che, salvo la
prova di una servitù contraria, non sarebbe altrimenti spiegabile l'esistenza di
un albero a distanza minore da quella legale - art.892 C.C. - e, trattandosi di
presunzione semplice può essere vinta dalla prova contraria che potrà essere
fornita mediante il titolo ovvero con tutti gli altri mezzi diretti a dimostrare che
l'albero non e comune e, in particolare, che esso fu piantato da uno solo dei
vicini. Cass. n. 1064 del 27/04/1966.

Comunione di alberi e siepi - Presunzioni - L'art 899 C.C. nei primi due
commi prevede due distinte ipotesi di presunzione di comunione degli alberi.
La prima concerne il caso in cui l'albero sorge nella siepe comune e qui la pre-
sunzione trova la sua giustificazione nel fatto stesso della comunione della
siepe e perciò e presunzione assoluta che non ammette prova contraria. La se-
conda concerne il caso che l'albero sorga sulla linea di confine e qui la presun-
zione trova la sua giustificazione nel fatto che, sorgendo l'albero nella linea di
confine, e verosimile che esso sia stato piantato in comune dai proprietari dei
due fondi confinanti o con il loro consenso e perciò trattasi di presunzione sem-
plice, potendosi sempre dimostrare che, pur sorgendo sulla linea di confine,
l'albero sia stato piantato da uno solo dei predetti proprietari. Il caso particolare
che l'albero sorge nel mezzo di un muro divisorio comune parzialmente diroc-
cato si inquadra nella seconda ipotesi e cioè nel secondo comma dell'art 899, in
quanto, rappresentando il muro divisorio comune la linea di confine, l'albero
in definitiva sorge su questa. Cass. n. 279 del 13/02/1963.

179
Sez. VII
Delle luci e delle vedute

Art. 900 - Specie di finestre


Le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie:
luci (901 ss.), quando danno passaggio alla luce e all'aria, ma non per-
mettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti (905 ss.),
quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente
o lateralmente.

Il codice ha regolato, a parole, tutte le aperture di un muro verso il


fondo confinante, che chiama "finestre" e che distingue in finestre-luci o
finestre-vedute. Le vedute possono consistere in finestre vere e proprie,
in pareti di vetro trasparente, in balconi, e da esse si possono godere ve-
dute dirette, vedute laterali (di lato a 90°), vedute oblique (di lato con an-
golo >90°).
Se si rispettano o superano le distanze di legge per le costruzioni, la
distanza fra edifici assorbe le minori distanze previste dal C.C. per le ve-
dute dirette e viene meno la necessità della distinzione fra luci e vedute.
Se così non è, sorgono dei problemi interpretativi perché il legislatore si
è dimenticato, o non poteva prevedere, certe tipologie di costruzioni.
Prima fra tutte la parete interamente vetrata e trasparente, ma non fine-
strata, che, secondo la definizione data sarebbe una luce anche se non ha
solo la funzione di dare luce, ma anche quella di consentire di vedere
bene all'esterno; ed altrettanto ovviamente esse non può davvero essere
chiusa dal vicino.
Quindi essa, per necessità di cose va considerata una veduta. Però si
incontra un ostacolo nella definizione che per la finestra richiede che essa
permetta di affacciarsi. In lingua italiana il termine indica l'azione non
solo di guardare in avanti attraverso una apertura nella parete, ma anche
l'azione di sporgere la testa per guardare a 90° in alto ed in basso, a destra
e sinistra. Ma in tal caso è come dire che se una finestra è munita di una
robusta inferriata per fermare i ladri, non è più una finestra ma solo una
luce irregolare (vedremo poi ciò che significa il termine, ma per ora non

180
serve) che potrebbe anche dover essere chiusa o regolarizzata. Ma che
dire se l'inferriata è applicata con un distacco di qualche centimetro sulla
facciata e magari "inginocchiata? È chiaro che in tal a caso si può guardare
a 90°. Però la distinzione diviene un assurdo bizantinismo
Se ci si attiene ad una nozione letterale di "affacciarsi", non si saprebbe
come qualificare una porta finestra che dà su di un balconcino privo di
ringhiera, una porta a piano terra, un terrazzino tanto vicino al terreno
da non aver bisogno di un parapetto (ed in effetti la Cassazione ha tal-
volta concluso che sono vedute a tutte gli effetti).
Si aggiunga poi che l'art. 905 C.C. prevede che da balconi, terrazzi e
lastrici solari si ha una veduta solo se vi è un parapetto che consenta di
affacciarsi. Come dire che una terrazza a due metri dal suolo, con un fer-
mapiede ed una catenella che impedisce di cadere, in cui si può soggior-
nare tranquillamente guardano in casa del vicino potrebbe essere co-
struita a meno di un metro e mezzo dal fondo vicino.
Allo stato delle cose, ed in particolare dell'uso di pareti vetrate traspa-
renti (anche solo dall'interno verso l'esterno) sarebbe molto più logica una
norma che considerasse veduta ogni situazione che consente di guardare
verso fondi vicini, salvo che abbia le caratteristiche di una luce regolare.
Attualmente la Cassazione pare orientarsi in questo senso e considera
veduta sia la possibilità di guardare che la possibilità di affacciarsi:
L'elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità
di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l'utilizzo di
mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è
prevista dall'art. 900 C.C. in aggiunta a quella di guardare, sicché, in date
condizioni, la mancanza di quest'ultimo requisito non esclude la configu-
rabilità della veduta, quando attraverso l'apertura sia comunque possi-
bile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspec-
tio. Cass. n. 22887 del 08/10/2013.
Ma ritorniamo all'esposizione dell'articolo 900 C.C.
Questo articolo definisce solamente le aperture o finestre aperte in una
parete e le distingue in finestre lucifere o luci che hanno solo la funzione
di dare luce ed aria ad un locale e in vedute o prospetti se hanno anche
la funzione di consentire di affacciarsi e di guardar fuori in una qualsiasi
direzione. Non rientrano quindi nella nozione di finestra le pareti di vetro
o di vetrocemento che non sono aperture.

181
Il legislatore non ha preso in considerazione l'ipotesi di una parete tutta
in vetro trasparente, come si usa nelle costruzioni moderne. Essa mio av-
viso vanno assimilate alle finestre perché non consentono la comunione
del muro (fortunatamente ora il problema è risolto dalla moderna urba-
nistica!)
Le luci possono infatti avere le più svariate dimensioni, da semplici fori
o feritoie a grandi aperture. La luce non presenta all'esterno alcun aggetto
o sporgenza, ma deve essere a filo della parete; quindi è irregolare se vi è
una inferriata inginocchiata (o ricurva).
Le vedute o prospetti hanno invece la caratteristica di consentire di
guardare fuori (finestre vere e proprie, dette finestre prospettiche, log-
giati) oppure di sporgersi oltre la parete su cui insistono (balconi).
Sono vedute dirette quelle che consentono di guardare verso il fondo
del vicino in linea perpendicolare rispetto alla parete su cui insiste l'aper-
tura; sono vedute oblique quelle che consentono di vedere, senza spor-
gersi dall'apertura, un fondo che si trova alla sinistra o alla destra rispetto
al fondo visibile con veduta diretta (ovviamente se su un fondo si ha ve-
duta diretta e obliqua perché è molto ampio, la veduta si considera tutta
diretta); la veduta è laterale se per vedere l'altro fondo occorre sporgersi
dall'apertura e guardare lateralmente; la veduta obliqua assorbe quella
laterale. La veduta laterale copre un angolo fino a 180°; la legge non tutela
un angolo di veduta maggiore (veduta retroversa); ma è opinione della
Cassazione che non trova appigli nella norma.

182
Le aperture a e b sono luci regolamentari; quella a pianterreno ha il suo
lato inferiore (soglia) ad almeno m 2,50 e quella al piano superiore ad
almeno m 2 dal pavimento.
La luce si trasforma in veduta se A crea entro il suo locale uno stabile
rialzo (soppalco, ad es.) che riduce la prescritta altezza della soglia.
Le altre aperture sono qualificabili come vedute; il terrazzo e forma una
veduta perché il parapetto è alto meno di due metri.

Vedute dirette

In tutti i casi sopra illustrati si è di fronte ad una veduta diretta di A


verso B perché da ogni apertura si può guardare verso il fondo di B senza
necessità di sporgersi. Il fondo B si vede anche con veduta obliqua, ma
questa è assorbita da quella diretta.

Vedute oblique o laterali

183
In questi casi invece si hanno solo vedute laterali od oblique verso B
perché il fondo di B si può vedere solo sporgendosi dalla finestra. Nel
caso del balcone, la veduta è obliqua solo se la parete abc è formata da un
muro alto almeno 2 m.; se è più basso si ha una veduta diretta.

In teoria si può affermare che la veduta dal lato cb è obliqua; in pratica


ai fini delle distanze prevale la veduta da ab che è diretta.

Art. 900 - Giurisprudenza della Cassazione


Veduta, requisiti - Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art.
900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in
tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a
dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateral-
mente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Ne
consegue che l'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio
costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della
veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità
da parte del proprietario, laddove la praticabilità può valere invece ai fini della
qualificazione della situazione come luce irregolare. Per escludere anche questa
seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'at-
tuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle
sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali li-
mitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente
i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della li-
bertà del fondo vicino altrui. Cass. Ord. n. 3043 del 10/02/2020.

184
Luce, rete metallica - Ai sensi dell'art. 900 c.c., non costituisce luce la rete
metallica apposta all'aperto sul confine col fondo del vicino, la quale non svolga
la funzione di dare luce e aria a una fabbrica, ma serva a proteggere la proprietà
o - in caso di fondi a dislivello - a tutelare l'incolumità delle persone. Cass. n.
15458 del 26/07/2016.

Muro divisorio - Il muro divisorio non può dar luogo all'esercizio di una
servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demarcazione del confine e
tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di inspicere e prospicere sul
fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'altro, a causa della reci-
proca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti. Cass. n. 6927 del
07/04/2015

Usucapione - In tema di acquisto per usucapione della servitù (nella specie,


servitù di veduta), la visibilità delle opere, ai sensi dell'art. 1061 C.C., deve es-
sere tale da escludere la clandestinità del possesso e da far presumere che il
proprietario del fondo servente abbia contezza dell'obiettivo asservimento
della proprietà a vantaggio del fondo dominante. Ne consegue che la visibilità
può riferirsi ad un punto di osservazione non coincidente col fondo servente,
purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in
cui le opere siano visibili dalla vicina strada pubblica. Cass. n. 24401 del
17/11/2014

Veduta, nozione - L'elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è


la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l'uti-
lizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi
è prevista dall'art. 900 C.C. in aggiunta a quella di guardare, sicché, in date con-
dizioni, la mancanza di quest'ultimo requisito non esclude la configurabilità
della veduta, quando attraverso l'apertura sia comunque possibile la completa
visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspectio. Cass. n. 22887 del
08/10/2013.

Veduta verso il basso, pergolato - Il proprietario del singolo piano di un


edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in
appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costru-
zione di altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del
terrazzo del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pre-
giudichi l'esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di
contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino,
avendo operato già l'art. 907 C.C. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima
riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed

185
aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li
abita. Cass. n. 955 del 16/01/2013 (Problema controverso, ma soluzione corretta).

Parapetto - Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900
C.C. conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 C.C. in
tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a
dire le possibilità di "affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateral-
mente", siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza.
(Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la
sentenza di merito, che aveva respinto la richiesta di arretramento del parapetto
di un terrazzo risultato essere alto soltanto novanta centimetri, altezza corri-
spondente a quella non del "petto" ma del "basso ventre" di una persona di or-
dinaria statura e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro). Cass. n.
18910 del 05/11/2012
Nota: come già detto, nel 2012 vi è stata una intera serie di sentenze cervellotiche;
questa è una di quelle! Un tempo un parapetto di 90 cm era del tutto normale e la norma
deve valere per i nani e per i giganti. Inoltre un muretto, come già detto nel 2004, è
basso, ma consente di sedersi su di esso per guardare meglio!

Botola - A norma dell'art. 900 C.C., perché un'"apertura" possa qualificarsi


come "veduta" occorre che essa sia destinata, per sua normale e prevalente fun-
zione, a guardare e ad affacciarsi verso il fondo del vicino, come accade per le
finestre, i balconi, le terrazze e simili. Ne consegue che tale qualifica non spetta
ad una botola, la quale non sia stabilmente collegata, mediante una scala o altro
manufatto, con il sottostante terrazzo, e la cui destinazione naturale risulti, dun-
que, non quella di inspicere, quanto quella di consentire l'accesso, occasional-
mente e quando necessario, alla copertura del medesimo terrazzo. Cass. n. 9047
del 05/06/2012.

Finestra alta - Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 C.C., è ne-
cessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo
del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare
frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte,
ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad
una visione mobile e globale. Ne consegue che non può attribuirsi natura di
veduta a finestre, poste all'altezza di un metro e cinquantacinque centimetri dal
pavimento ed aperte in un muro dello spessore di trenta centimetri, non con-
sentendo esse a persona di media statura una comoda prospectio, ovvero di
guardare e sporgere comodamente il capo verso il fondo limitrofo, senza che
abbia rilievo la possibilità di affacciarsi stando in punta di piedi, in quanto una
simile posizione comporta uno sforzo naturale sostenibile solo per un periodo

186
di tempo minimo e determina una situazione di instabile equilibrio. Cass. n.
8009 del 21/05/2012
Nota: ma si deve prevedere che il proprietario possa creare un soppalco! Non si può
valutare solo la situazione immediata.

Requisiti generali - Poiché requisiti necessari per l'esistenza di una veduta


sono non soltanto la inspectio ma anche la prospectio, la quale - ai sensi dell'art.
900 C.C., che non determina un comportamento tipico per l'atto di affacciarsi -
consiste nella possibilità di vedere e guardare non solo di fronte, ma obliqua-
mente e lateralmente sul fondo del vicino, in modo da consentirne una visione
mobile e globale, è rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice di me-
rito, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, verifi-
care in concreto se l'opera - in considerazione delle caratteristiche strutturali e
della posizione degli immobili rispettivamente interessati - permetta a una per-
sona di media altezza l'affaccio sul fondo del vicino o il semplice prospetto.
Cass. n. 5421 del 08/03/2011
(Decisione errata; che c'entra la media altezza?).

Condominio - In tema di condominio, l'apertura di finestre ovvero la trasfor-


mazione di luci in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai
singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 C.C., considerato che i cortili comuni,
assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti,
sono utilmente fruibili a tale scopo dai condomini stessi, cui spetta la facoltà di
praticare aperture che consentano di ricevere, appunto, aria e luce dal cortile
comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in
materia di luci e vedute, a tutela dei proprietari degli immobili di proprietà
esclusiva. In proposito, l'indagine del giudice di merito deve essere indirizzata
a verificare esclusivamente se l'uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto
dei limiti stabiliti dal citato art. 1102, e, quindi, se non ne sia stata alterata la
destinazione e sia stato consentito agli altri condomini di farne parimenti uso
secondo i loro diritti: una volta accertato che l'uso del bene comune sia risultato
conforme a tali parametri deve, perciò, escludersi che si sia potuta configurare
un'innovazione vietata. Cass. n. 13874 del 09/06/2010
Nota: decisione assurda, poi corretta. In un condominio vi è una rete di servitù reci-
proche per destinazione del costruttore che non può essere alterata in quanto il vantag-
gio di uno non può non comportare una limitazione per altri. Ci mancherebbe altro che
un condomino, per aver più luce, diminuisse il diritto del vicino a non farsi guardare in
casa.

Porta finestra - In tema di servitù, la trasformazione in porta di una finestra,


la quale è destinata alla veduta verso l'immobile altrui, dà luogo al mutamento

187
da servitù di veduta a servitù di passaggio, posto che la funzione precipua della
porta è, appunto, il transito da un luogo all'altro. (Fattispecie relativa alla tra-
sformazione di una finestra prospiciente un lastrico solare in porta-finestra).
Cass. n. 10746 del 04/05/2010.

Lucernario - In tema di aperture sul fondo del vicino deve escludersi l'esi-
stenza di un tertium genus diverso dalle luci e delle vedute; ne consegue che
l'apertura priva delle caratteristiche della veduta (o del prospetto) può essere
qualificata giuridicamente solo come luce. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che
l'apertura-lucernario con portello apribile verso l'alto, realizzata sul tetto di un
immobile a pochi centimetri di distanza dalla terrazza del vicino, fosse qualifi-
cabile come luce e non come veduta). Cass. n. 20577 del 28/09/2007.

Comunione - Quando un cortile è comune a due corpi di fabbrica e manca


una disciplina contrattuale vincolante per i comproprietari al riguardo, il rela-
tivo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare
alla disciplina di cui all'art. 1102, primo comma, C.C., in base al quale ciascun
partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non
ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti. L'a-
pertura di finestre su area di proprietà comune ed indivisa tra le parti costitui-
sce, pertanto, opera inidonea all'esercizio di un diritto di servitù di veduta, sia
per il principio nemini res sua servit, sia per la considerazione che i cortili co-
muni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circo-
stanti, ben sono fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta anche la facoltà
di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune
o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in tema di
luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di proprietà esclusiva.
Cass. n. 4386 del 26/02/2007
Nota: Decisione molto discutibile; anche in una comunione vi sono servitù da rispet-
tare.

Veduta - Affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 C.C., è necessa-
rio, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del
vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare fron-
talmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma
anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto
ad una visione mobile e globale. (Sulla base di tale principio la S.C. ha escluso
che avesse carattere di veduta un'apertura munita di una struttura metallica,
incorporata nel muro di confine). Cass. n. 22844 del 25/10/2006.

188
Panorama - La panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto de-
rivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto
che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi, non anche nella servitù di
veduta, che garantisce il diritto affatto diverso di guardare e di affacciarsi sul
fondo vicino. Cass. n. 8572 del 12/04/2006.

Ballatoi e scale - In tema di limitazioni legali della proprietà, le scale, i balla-


toi e le porte, pur essendo fondamentalmente destinati all'accesso dell'edificio,
e soltanto occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l'affaccio, pos-
sono configurare vedute quando - indipendentemente dalla funzione primaria
del manufatto - risulti obiettivamente possibile, in via normale, per le partico-
lari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l'esercizio della prospectio ed in-
spectio su o verso il fondo del vicino. Cass. n. 499 del 13/01/2006.

Muretto di parapetto - L'esistenza di un'opera muraria munita di parapetti


e di muretti, dai quali sia obiettivamente possibile guardare e affacciarsi como-
damente verso il fondo del vicino, è sufficiente a integrare una veduta e il pos-
sesso della relativa servitù, senza che occorra anche l'esercizio effettivo dell'af-
faccio (essendo la continuità dell'esercizio della veduta normalmente assorbito
nella situazione oggettiva dei luoghi), né che tali opere siano sorte per l'eserci-
zio esclusivo della veduta, essendo sufficiente che le stesse rendano possibile
tale esercizio. Cass. n. 20205 del 13/10/2004.

189
Art. 901 - Luci

Le luci che si aprono sul fondo del vicino devono:


1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del
vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori
di tre centimetri quadrati;
2) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo
dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria,
se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai
piani superiori;
3) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo
dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto
o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luo-
ghi non consenta di osservare l'altezza stessa.

Dopo aver definito all'art. 900 le luci, questo articolo stabilisce come
esse devono essere conformate; al successivo art. 902 si stabilisce che l'a-
pertura la quale non osserva le prescrizioni dell'art. 901 si considera co-
munque una luce (luce irregolare), ma che il vicino ha il diritto impre-
scrittibile di richiederne la regolarizzazione.
La prescrizione del primo comma è rivolta a garantire il vicino da in-
gressi abusivi e quindi l'inferriata deve essere di sufficiente robustezza;
non è consentito sostituire l'inferriata con un vetro non apribile, se esso
non è a prova di effrazione.

190
L'inferriata, prevista per tutelare la
sicurezza del fondo vicino, deve es-
sere tale da non consentire il passag-
gio neppure di un bambino. Non
deve consentire il passaggio di una
testa perché ciò consentirebbe di
esercitare una veduta diretta od obli-
qua.
La grata, prevista per impedire
l'immissione di oggetti all'esterno,
non deve avere una superficie libera
di ogni maglia superiore a 3 cm quadrati (per maglie quadrate significa
un lato interno di cm. 1,73).
Sia inferriata che grata non devono sporgere oltre la superficie della
parete.
Ecco come si misura l'altezza della soglia della luce se il piano al di
sotto di essa è inclinato, oppure se è inclinata la soglia:

La luce deve anche rispettare l'altezza minima di m 2,5 rispetto al


fondo del vicino, salvo il caso illustrato sotto.

191
.

Nel caso III la soglia a scivolo va misurata nella sua parte più alta.

Il terzo comma prevede une deroga per gli


scantinati quando non è possibile rispettare la
distanza minima dal suolo del vicino B, Fermo
restando che all'interno la soglia deve essere a
m. 2,5 dal pavimento, all'esterno può essere
anche a filo del suolo; però deve essere anche
a filo del proprio soffitto.

Nel caso ora visto l'altezza minima della so-


glia è posta solo nell'interesse di B il quale può
liberamente alzare il livello del proprio fondo
fino a filo della soglia.

192
Quando il fondo di B è costituito da un la-
strico solare, la soglia della luce deve essere
a m 2,5 perché la riduzione a m 2 si ha solo
quando la luce è in un locale posto al se-
condo piano rispetto ai piani calpestabili
esterni.

Nel caso in cui invece di un lastrico solare vi


sia un tetto di B, il problema si complica! A po-
trebbe avere la soglia della luce solo a m 2 dal
proprio pavimento; ma però all'estero deve co-
munque osservare m 2.5 dalla proprietà di B.
Attenzione: se r fosse una veduta, la distanza
da B dovrà essere di m 3 (art. 907).

Nulla impedisce ad A di procurarsi più luce trasfor-


mando il tratto di parete ab in una parete di vetro o
opaco o di vetrocemento o di mattonelle di vetro opaco.
Ciò non impedirà infatti a B di costruire in aderenza o
di sostituire la parete con una di mattoni se vuol co-
struirvi contro.

193
Art. 901 - Giurisprudenza della Cassazione
Luce irregolare - L'apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri
di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è
considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell'art. 901
C.C., sicché, nell'ipotesi di irregolarità, ai sensi dell'art. 902, secondo comma,
C.C. il vicino ha diritto di esigere che l'apertura sia resa conforme a tali prescri-
zioni, anche mediante la sopraelevazione all'altezza minima interna, finalizzata
ad impedire l'esercizio della veduta. Cass. n. 512 del 10/01/2013.

Vetrata - In tema di rapporti di vicinato, ai fini dell'applicabilità della di-


stanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, di cui all'art. 9
del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (norma eccezionale, e perciò insuscettibile di in-
terpretazione analogica), non può considerarsi "parete finestrata" né una ve-
trata fissa e priva di aperture, la quale, non consentendo l'affaccio, non è confi-
gurabile come veduta, ma come semplice luce, né un terrazzo di copertura, il
quale non costituisce elemento integrante della parete sottostante, bensì parte
distinta e sovrapposta dell'edificio. Cass. n. 19092 del 06/11/2012
Nota: Decisione sbagliata; non hanno capito nulla di ciò che ha voluto il legislatore!
Si vede che non hanno mai visto quei palazzoni tutti di vetro trasparente e senza finestre
e che per la Cassazione potrebbero stare ad una distanza tale da guardarsi la TV reci-
procamente! Ciò che conta è l'aria e il sole e la luce; una parete esterna che non sia cieca,
ha diritto di avere avanti a sé uno spazio vitale libero di dieci metri. La nozione ottocen-
tesca di veduta è stata superata, così come quella di intercapedine. Essa ha un senso se
il limite è di tre metri, ma quando è di cinque o dieci è del tutto ridicolo considerare tali
spazi come indici di valutazione di intercapedini. Come scrive il dizionario Treccani, è
lo spazio che separa due pareti o due superfici parallele o quasi; in particolare, in edilizia,
il cunicolo che isola i muri degli scantinati dal terreno circostante per impedire infiltra-
zioni d’acqua, o anche lo spazio d’aria tra due pareti di mattoni o due vetri di un infisso,
che assicura l’isolamento termico o acustico. Vale a dire uno spazio sensibilmente ri-
stretto, non cero quello ove ci può passare una strada statale!

Parete finestrata - Posto che nella disciplina legale dei "rapporti di vicinato"
l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in re-
lazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti finestrate" contenuta
in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 -
il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra
pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che riferirsi esclusi-
vamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "vedute", senza ricom-
prendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lucifere". Cass. n. 6604
del 30/04/2012.

194
Luce irregolare - In tema di aperture sul fondo del vicino, la natura di veduta
o luce (regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla
stregua delle caratteristiche oggettive dell'apertura stessa, rimanendo a tal fine
irrilevante l'intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita; tut-
tavia, un'apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel
fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare
con una manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conforma-
zione; rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la
chiusura, bensì solo la regolarizzazione. Cass. n. 233 del 05/01/2011.

Abbaini - Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune,


può aprire su esso abbaini (nella specie dotati di balconi) e finestre - non incom-
patibili con la sua destinazione naturale - per dare aria e luce alla sua proprietà,
purché le opere siano a regola d'arte e non pregiudichino la funzione di coper-
tura propria del tetto, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo.
(Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la
legittimità delle opere, rilevando che non era stata fornita alcuna prova di un
impedimento a un diverso utilizzo del tetto da parte dei condomini, né di un
particolare preesistente uso del tetto stesso incompatibile con le opere eseguite,
le quali mantenevano protette le parti sottostanti e non arrecavano pregiudizio
al deflusso delle acque meteoriche). Cass. n. 17099 del 27/07/2006.

Inferriata - Un'apertura munita di inferriata, che consenta di guardare sul


fondo sottostante mediante una manovra di per sé eccezionale e poco agevole
per una persona di normale conformazione fisica, costituisce una luce e non una
veduta, con la conseguenza che, nel caso in cui essa non sia conforme alle pre-
scrizioni indicate nell'art.901 C.C., il proprietario del fondo vicino può sempre
esigerne la regolarizzazione, non potendo la mera tolleranza della sua diffor-
mità dalle prescrizioni di legge, ancorché protratta nel tempo, far sorgere, per
usucapione, un diritto a mantenerla nello stato in cui si trova. Cass. n. 20200 del
19/10/2005.

Luci - L'art. 901 C.C. prevede che le luci devono avere, quanto all'altezza, un
doppio requisito: a) un'altezza minima interna (con riferimento al posiziona-
mento del lato inferiore della luce) non minore di due metri e mezzo dal pavi-
mento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare aria e luce, se esse sono al
piano terra, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori; b) un'altezza
esterna non minore di due metri e mezzo dal suolo del vicino, a meno che si
tratti di un locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino
e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa. Pertanto,
in base alla lettera e alla "ratio" della norma, la riduzione a due metri è limitata

195
all'ipotesi di luce aperta in un locale situato a un livello di altezza superiore, che
sia pari ad un intero piano abitativo (altezza che ha comunque un ristretto mar-
gine di variabilità e non è solitamente inferiore a tre metri), e non può essere
estesa a qualunque altra ipotesi di dislivello, anche minimo (nella specie, quat-
tordici centimetri), naturale o artificiale. Cass. n. 15292 del 21/07/2005.

Servitù di luce irregolare - Il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo


e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto per
usucapione o per destinazione del padre di famiglia della relativa servitù, in
quanto la servitù di aria e luce - che è negativa, risolvendosi nell'obbligo del
proprietario del fondo vicino di non operarne la soppressione - non è una ser-
vitù apparente, atteso che l'apparenza non consiste soltanto nell'esistenza di se-
gni visibili ed opere permanenti, ma esige che queste ultime, come mezzo ne-
cessario all'acquisto della servitù, siano indice non equivoco del peso imposto
al fondo vicino in modo da fare presumere che il proprietario di questo ne sia a
conoscenza. Né la circostanza che la luce sia irregolare è idonea a conferire alla
indicata servitù il carattere di apparenza, non essendo possibile stabilire dalla
irregolarità se il vicino la tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di chiuderla nel
modo stabilito, ovvero la subisca come peso del fondo, quale attuazione del
corrispondente diritto di servitù o manifestazione del possesso della medesima.
Cass. n. 11343 del 17/06/2004.

196
Art. 902 - Apertura priva dei requisiti prescritti per le luci

L'apertura che non ha caratteri di veduta o di prospetto è considerata


come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate
dall'art. 901.
Il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle
prescrizioni dell'articolo predetto.

Questo articolo stabilisce il principio generale secondo cui una aper-


tura con funzione di luce non diventa una veduta solo perché non osserva
tutte le prescrizioni relative a altezze o a inferriate e grate. La luce irrego-
lare può sempre essere fatta regolarizzare e le luci si consentono fino a
che non vi sia un interesse contrario del vicino, che può chiuderle.
Mentre il diritto di veduta è usucapibile, il possesso di luci irregolari,
sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può
condurre all'acquisto per usucapione o per destinazione del padre di fa-
miglia della relativa servitù, in quanto la servitù di aria e luce - che è ne-
gativa, risolvendosi nell'obbligo del proprietario del fondo vicino di non
operarne la soppressione - non è una servitù apparente, atteso che l'ap-
parenza non consiste soltanto nell'esistenza di segni visibili ed opere per-
manenti, ma esige che queste ultime, come mezzo necessario all'acquisto
della servitù, siano indice non equivoco del peso imposto al fondo vicino
in modo da fare presumere che il proprietario di questo ne sia a cono-
scenza. Né la circostanza che la luce sia irregolare è idonea a conferire alla
indicata servitù il carattere di apparenza, non essendo possibile stabilire
dalla irregolarità se il vicino la tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di
chiuderla nel modo stabilito, ovvero la subisca come peso del fondo,
quale attuazione del corrispondente diritto di servitù o manifestazione
del possesso della medesima (Cass. 11343/2004).
Si dovrà quindi, in caso di dubbio, accertare se l'apertura presenta spe-
cifiche caratteristiche tali da rivelare la normale e permanente destina-
zione alla vista ed all'affaccio su fondo altrui e che questo possa esercitarsi
senza usare particolari accorgimenti e mettere a repentaglio l'incolumità
di chi si affaccia. Quindi se è stata rispettata l'altezza minima della soglia,

197
si deve ritenere che si tratta di una semplice luce; così pure se l'apertura
è ad altezza inferiore, ma munita di inferriata e grata e non sporge oltre
la parete esterna.
Il vicino ha il diritto imprescrittibile di far regolarizzare la luce irrego-
lare.
La Cassazione ha dettato regole particolari per le luci in ambito condo-
miniale: "Le luci che si aprono tra un vano e l'altro dello stesso edificio
condominiale, quando insistono su muro comune, sono subordinate al
consenso del vicino e, pertanto, a differenza di quelle che si aprono sul
fondo aperto altrui, sono prive di quella connotazione di precarietà e di
mera tolleranza che caratterizza queste ultime, con la conseguenza che
sono sottratte alla disciplina di cui agli art. 901 e segg. C.C., e che, in par-
ticolare, essendo condizionata al consenso del vicino, la loro permanenza
nonostante il mancato consenso integra l'ipotesi tipica dell'usucapione,
consistente nell'aver subito un peso sulla proprietà per il tempo occor-
rente alla costituzione della servitù." (Cass. 7490/2001).
Ha anche affermato che il diritto di chiudere le luci del vicino co-
struendo in aderenza, previsto dalla norma dell'art. 904 C.C., se da un
lato limita il diritto di conservare la luce, stabilendo dall'altro anche le
condizioni perché possa procedersi alla chiusura della luce, non può tut-
tavia impedire che il vicino, qualora si tratti di luce irregolare non suscet-
tibile di essere resa conforme alle prescrizioni indicate nell'art. 901, possa
pretenderne la chiusura ancorché egli, alla stregua degli strumenti urba-
nistici, non possa costruire in aderenza (Cass. 4084/1982).

In questo caso l'apertura di A è una feritoia


con lato di 15 cm che per sua natura non con-
sente un comodo affaccio verso B. Quindi, pur
non avendo grate e pur essendo a solo due metri
dal pavimento, si deve considerare una luce irre-
golare. B può sempre chiederne la regolarizza-
zione o chiuderla costruendovi contro.
Una fila di tegole sopra la feritoia, per evitare
che vi entri pioggia, non cambia la situazione.

198
Art. 902 - Giurisprudenza della Cassazione
Luce - L'apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri di veduta
o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è considerata
come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell'art. 901 C.C., sicché,
nell'ipotesi di irregolarità, ai sensi dell'art. 902, secondo comma, C.C. il vicino
ha diritto di esigere che l'apertura sia resa conforme a tali prescrizioni, anche
mediante la sopraelevazione all'altezza. Cass. n. 512 del 10/01/2013.

Luce - In tema di aperture sul fondo del vicino, la natura di veduta o luce
(regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla stregua
delle caratteristiche oggettive dell'apertura stessa, rimanendo a tal fine irrile-
vante l'intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita; tuttavia,
un'apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel fondo
vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare con una
manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conformazione;
rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la chiusura,
bensì solo la regolarizzazione. Cass. n. 233 del 05/01/2011.

Lucernario - In tema di aperture sul fondo del vicino deve escludersi l'esi-
stenza di un tertium genus diverso dalle luci e delle vedute; ne consegue che
l'apertura priva delle caratteristiche della (o del prospetto) non può che essere
qualificata giuridicamente come luce. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'a-
pertura-lucernario con portello apribile verso l'alto, realizzata sul tetto di un
immobile a pochi centimetri di distanza dalla terrazza del vicino, fosse qualifi-
cabile come luce e non come veduta). Cass. n. 20577 del 28/09/2007.

Muro divisorio - In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà
confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 C.C., deve appli-
carsi il disposto dell'articolo 903 C.C., il quale, oltre a consentire, al primo
comma, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al
fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che
"se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso
dell'altro". Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipo-
tesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Cass. n. 13649 del 11/06/2007.

Condominio - Le luci che si aprono tra un vano e l'altro dello stesso edificio
condominiale, quando insistono su muro comune, sono subordinate al con-
senso del vicino e, pertanto, a differenza di quelle che si aprono sul fondo aperto
altrui, sono prive di quella connotazione di precarietà e di mera tolleranza che
caratterizza queste ultime, con la conseguenza che sono sottratte alla disciplina
di cui agli art. 901 e segg. C.C., e che, in particolare, essendo condizionata al

199
consenso del vicino, la loro permanenza nonostante il mancato consenso inte-
gra l'ipotesi tipica dell'usucapione, consistente nell'aver subito un peso sulla
proprietà per il tempo occorrente alla costituzione della servitù. Cass. n. 7490
del 04/06/2001.

200
Art. 903 - Luci nel muro proprio o nel muro comune

Le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al


fondo altrui.
Se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il
consenso dell'altro; ma chi ha sopraelevato il muro comune può aprirle
nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire.

In caso di sopraelevazione del muro comune il vicino non può chiu-


dere la luce pretendendo di acquisire la comunione della parte di muro
sopraelevato, ma può chiuderla se costruisce in aderenza ex art. 904
(Cass. 2737/1958).

Se il muro divisorio fra A e B è comune nel tratto


ab, nessuno dei due può aprire una luce senza il con-
senso dell'altro.
Se A sopraeleva il muro a sue spese per il tratto bc,
può aprire luci anche senza il consenso di B. Ciò an-
che se il muro è a meno di m 1,50 dal confine.
Anche se B acconsente all'apertura di una luce nel
tratto ab, conserva il diritto di chiuderla costruen-
dovi contro.
Se A costruisce senza il consenso di B questi, oltre
a poter chiudere la luce costruendovi contro, può
agire per ottenere dal giudice la chiusura della luce.

201
Nel caso in cui B abbia costruito
in appoggio rendendo comune il
muro bcde al fine di una nuova
luce di A si dovrà indagare come
si sia realizzata la comunione e se
essa abbia fatto diventare o meno
comune tutto il muro afcd . Si ap-
plica poi l'art. 904 per cui la luce
già esistente non può essere fatta chiudere se il vicino non vi costruisce
contro.

202
Art. 904 - Diritto di chiudere le luci

La presenza di luci in un muro non impedisce al vicino di acquistare


la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza.
Chi acquista la comunione del muro non può chiudere le luci se ad
esso non appoggia il suo edificio.

La norma si riferisce alla luce di tolleranza e non alle luci derivanti da


una servitù convenzionale.
Le luci di tolleranza vengono meno solo se il vicino effettivamente vi
costruisce contro in appoggio o in aderenza. È idoneo a ciò ogni tipo di
costruzione.
L'art. 904 C.C. prevede due distinte ipotesi diversamente regolate, nelle
quali la facoltà del proprietario del muro al mantenimento delle luci
aperte su di esso è considerata recessiva rispetto al diritto potestativo del
vicino di chiuderle: la prima, che ha come presupposto l'esercizio da
parte del vicino del diritto di acquistare la comunione del muro altrui,
nella quale la chiusura delle luci su tale muro esistenti è subordinata alla
condizione che questi, acquistata la comunione, realizzi in appoggio al
muro stesso un'opera qualificabile come "edificio"; la seconda, che attiene
alla realizzazione da parte del vicino di un manufatto posto solo in ade-
renza al muro altrui dotato di luci, senza l'acquisto della comunione di
esso, né di appoggio ad esso, nella quale, riconoscendo il diritto potesta-
tivo di chiudere dette luci, nessuna specifica caratteristica o modalità di
realizzazione del manufatto è prevista, salvo che integri i requisiti di una
"costruzione" stabile e permanente tale da recare da sola un'utilità al pro-
prietario o a chi ne usi (Nella specie, la S.C., sulla base di detto principio,
ha confermato la decisione della Corte di merito che aveva statuito la le-
gittimità della costruzione di una recinzione che occludeva una luce
aperta sul muro del vicino). Cass. 8671/2001).
Però "Il diritto del proprietario di un fondo di chiudere le luci presenti
nel muro del vicino, costruendo in aderenza a questo, ai sensi dell'art. 904
C.C., non può esercitarsi, per il principio generale del divieto degli atti

203
emulativi di cui all'art. 833 stesso codice, al solo scopo di arrecare nocu-
mento e molestia al vicino, senza alcun vantaggio proprio".
(Cass.12759/92).
E vietata ogni diversa opera che riduca la luce: ad esempio piantarvi a
ridosso siepi o alberi.

B può acquistare la comunione del muro


fino al livello bb costruendo in aderenza e chiu-
dendo così la luce r.
La luce s si troverà ad essere a meno di m 2,5
dal livello bb, ma ciò non fa venir meno il di-
ritto di A di mantenere la luce s. Unico modo
per chiuderla è che B costruisca fino all'altezza
c.
A non può pretendere che B costruisca a m
2,5 sotto la soglia di s, perché la sua è solo una
luce di tolleranza.

Artt. 903-904 - Giurisprudenza della Cassazione


Trasformazione veduta in luce - In tema di distanze tra costruzioni, la fa-
coltà, evincibile dall'art. 903 c.c., di trasformare una veduta illegittima in luce è
esercitabile a condizione che anche quest'ultima sia aperta lungo il medesimo
muro preesistente, non essendo altrimenti consentita la trasformazione dell'una
apertura nell'altra. (Nella specie, la S.C. ha escluso che una veduta esercitata
attraverso un balcone posto a distanza inferiore a quella ex art. 905, comma 2,
c.c. potesse essere eliminata e trasformata in luce, mediante la creazione "ex
novo" di muri di tamponamento sui tre lati del balcone medesimo). Cass. n.
5594 del 22/03/2016.

Muro divisorio - Il muro divisorio non può dar luogo all'esercizio di una
servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demarcazione del confine e
tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di inspicere e prospicere sul

204
fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'altro, a causa della reci-
proca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti. Cass. n. 6927 del
07/04/2015

Muro divisorio - In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà
confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 C.C., deve appli-
carsi il disposto dell'articolo 903 C.C., il quale, oltre a consentire, al primo
comma, al proprietario l'apertura di luci nel muro proprio che sia contiguo al
fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che
"se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso
dell'altro". Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipo-
tesi diversamente acquisito solo iure servitutis. Cass. n. 13649 del 11/06/2007.

Veduta trasformata in luce - Nel caso di apertura di veduta abusiva, l'offerta,


purché seria, di sanare la violazione mediante la trasformazione della mede-
sima in luce non può essere disattesa dal giudice, in quanto tale trasformazione,
comunque sempre praticabile ai sensi dell'art. 903 C.C. e con le caratteristiche
di cui al precedente art. 901 cod. cit., si risolve nell'eliminazione della veduta
abusiva, con conseguente restaurazione del diritto del vicino da essa Cass. n.
2159 del 14/02/2002.

Servitù - In tema di limitazioni legali della proprietà, all'apertura tra due


vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce ad uno di
essi attraverso l'altro, non è applicabile la disciplina dettata dagli artt. 901 - 904
C.C., giacché tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di pro-
prietà, ossia manifestazione di una facultas del diritto di dominio, ma, ponendo
in essere una vera e propria incursione sulla sfera di godimento della proprietà
altrui, ha sostanza, struttura e funzioni di uno jus in re aliena, acquisibile perciò
mediante usucapione o destinazione del padre di famiglia, sempre che l'aper-
tura si concreti in opere visibili e permanenti, strutturalmente destinate ad un
inequivoco e stabile assoggettamento del vano, sì da rivelare all'esterno l'impo-
sizione di un peso a suo carico per l'utilità dell'altro. Cass. n. 15248 del
20/07/2005.

205
Art. 905 - Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi

Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non


chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la
faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la
distanza di un metro e mezzo.
Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze,
lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi
sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra
questo fondo e la linea esteriore di dette opere.
Il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pub-
blica.

Il problema delle vedute oblique viene trattato nell'art. 906 C.C. Qui si
tratta invece delle sole vedute dirette e dei balconi i quali, come già detto
parlando delle luci e vedute in genere (vedi sub art. 900), sono quelle che
permettono di guardare direttamente e perpendicolarmente verso il
fondo del vicino senza doversi sporgere. Ciò che poi in concreto importa
non è la modalità di veduta, ma il concreto orientamento della parete re-
cante la veduta rispetto al fondo confinante, tenuto conto dell'andamento
del confine, non sempre rettilineo.
La veduta può essere costituita da finestra, porta finestra, balcone, log-
giato, vano aperto, lastrico solare con parapetto, sporti, ecc.
La linea più esterna della veduta deve trovarsi ad almeno m 1,5 dal
confine.
La disposizione contenuta nell'art. 905 C.C., secondo la quale per l'a-
pertura di vedute dirette verso il fondo del vicino occorre osservare la
distanza di un metro e mezzo, va messa in relazione con la norma di cui
all'art. 873 stesso cod., che prescrive una distanza non minore di tre metri
(o quella maggiore stabilita dai regolamenti locali) per le costruzioni sui
fondi finitimi; non può di conseguenza aprirsi una veduta iure proprietatis
se non sia stata rispettata nel compiere la costruzione, la distanza del
fondo vicino stabilita dal codice e dai regolamenti edilizi; in tal caso, la
veduta non può essere di ostacolo alla comunione coattiva di un muro ex

206
art. 875 cod. civile. nei casi in cui i regolamenti comunali impongano un
distacco tra gli edifici maggiori di quello fissato dal codice, analogo au-
mento deve ritenersi prescritto per la legittimità della apertura delle fine-
stre, in quanto nel caso contrario verrebbe turbata la parità dei diritti con
ingiustificato favore di chi effettua per primo la costruzione che potrebbe
aprire le proprie vedute a distanza di m 1,50 dal confine, in base all'art.
905 C.C. e pretendere che il vicino si arretri dal confine stesso alla di-
stanza prevista dal regolamento comunale togliendogli la facoltà di ren-
dere comune il muro costruito a distanza inferiore a quella prevista dal
regolamento. (Cass. 1357/1959)
L'art 905 C.C. usa l'espressione "fondo" in senso generico, compren-
dente ogni immobile, scoperto o coperto, ai fini del rispetto delle distanze
nelle costruzioni. In particolare esso deve essere osservato anche quando
la veduta cade su di un muro cieco senza copertura oppure in presenza
di un solo muro di recinzione, ed anche con riferimento all'apertura di
vedute laterali ed oblique a sensi dell'art 906. (Cass. 2427/1973)
Quando due muri formano un angolo, le finestre aperte su di essi con-
sento una vista diretta verso l'altro muro; se però l'angolo è superiore a
90° il muro non può essere visto se non sporgendosi dalla finestra e
quindi la veduta è obliqua.
Se sui muri vi sono balconi senza muri di riparo, la veduta diventa di-
retta in ogni caso.
L'obbligo di rispettare le distanze viene meno se fra i due fondi vicini
vi è una strada pubblica o un pubblico spiazzo. La Cassazione ha stra-
volto questa chiara disposizione affermando che non è necessario che la
strada sia FRA i fondi, ma basta che sia di fronte ad essi, con ciò igno-
rando la ratio e la lettera della norma: che non si poteva vietare a chi ha
un fronte sulla strada di aprirvi finestre. Ma per quale motivo gli si deve
consentire di aprirla a pochi centimetri dalla finestra del vicino, magari
con il pericolo di sbattergli la persiana sulla faccia o di passare dalla fine-
stra per concupirne la moglie? Ecco la massima: "Con riferimento esclu-
sivo alle vedute dirette, la norma dell'ultimo comma dell'art. 905 del co-
dice civile dispone che il divieto di aprire vedute verso il fondo del vicino,
a distanza minore di un metro e mezzo, "cessa allorquando tra i due fondi
vi è una via pubblica". Per l'operatività di questa disposizione entrambi i
fondi devono confinare con la strada pubblica, ma è irrilevante la collo-
cazione di essi, non richiedendosi che si fronteggino e che da tale via

207
siano separati, in quanto l'esonero dal divieto è giustificato dall'identifi-
cazione della strada pubblica con uno spazio dal quale chiunque, e,
quindi, non soltanto chi si affacci dalla veduta posta a distanza illegale,
può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti. La Cassazione
si è successivamente corretta (vedi sotto Cass. 13000/2013).
È vietato trasformare una finestra in un balcone perché ciò facendo si
aggrava la servitù di veduta. Se si innalza un edificio di un piano, non si
possono creare nuove servitù di veduta.

La distanza di m 1,5 per le vedute dirette va misurata come indicato in


figura.
Il termine "fondo" da cui osservare la distanza, è generico e comprende
ogni genere di immobile (casa, terreno, coperto, scoperto, ecc.); non im-
portano i dati catastali.

208
.

Nel primo caso (figura sopra) viene indicato come misurare la distanza
da una finestra.
Nel secondo caso la misura da un balcone (dal lato esterno del para-
petto, ma senza computare cornici e gocciolatoi che non "aiutano a ve-
dere").

Se la finestra (figura sopra) è in muro inclinato a scarpata, la distanza si


misura dal punto b .
Se la finestra ha un davanzale sporgente che "aiuta a vedere", la di-
stanza si misura dal davanzale.

209
Se il terreno di B è sostenuto da un muro,
la distanza della finestra si misura dal piede
del muro. Se B costruisse un parapetto nel
punto d, creerebbe a sua volta una veduta
verso A.

Se A ha acquistato il diritto di tenere


una finestra a distanza inferiore a quella
prescritta, non può trasformarla in una
porta finestra e aggravare la servitù di ve-
duta.

Se il muro ab di A è a distanza infe-


riore a m 1,5 dal confine, A non può
aprirvi finestre; può però aprire un ab-
baino su tetto purché a giusta distanza.

210
Un terrapieno naturale recintato da una rete
metallica o da alta cancellata, non ha le caratteri-
stiche di una veduta verso B.

Se vi è su A un terrazzo o un lastrico solare con


accesso normale, il muro verso B deve essere alto al-
meno 2 m e non presentare fori, interstizi, feritoie at-
traverso cui si possa guardare in B.
Altrimenti si è di fronte ad una veduta. Se il ter-
razzo non ha accesso normale per cui non può essere
usualmente adibito a stenditoio, osservatorio, sola-
rium, aia, ecc. oppure è un terrazzo privo di para-
petto, non si considera una veduta diretta verso B.
Vedi anche sub art. 901 C.C. Decisione molto dubbia;
un uso abituale può cambiare; non è un criterio og-
gettivo.

A ha costruito un muro di sostegno


in una ripida scarpata per ricavarvi un
terreno coltivabile o una strada. Il
muro bc non viene a costituire una ser-
vitù di veduta anche se è di altezza in-
feriore a m 2,5 perché il suo scopo è di
dar sicurezza e non di consentire un
comodo affaccio verso B. È però valu-
tazione da fare caso per caso.
B potrà quindi costruire in aderenza.

211
Se A ha costruito la sua terrazza con parapetto
a meno di m. 150 da B, e B protesta, A ha due modi
per risolvere il problema: o demolisce il muretto e
lo ricostruisce a giusta distanza oppure può la-
sciare il parapetto, ma deve costruire un secondo
parapetto (muro, ringhiera) sul terrazzo, a di-
stanza di m 1,5 dal confine, creando così una stri-
scia di terrazzo non accessibile.

Se fra i due terrazzi vi è un parapetto che


consente la veduta reciproca, ciascuno dei pro-
prietari può chiedere che venga elevato il muro
comune fino all'altezza di m 2,5 dal piano del
terrazzo più alto, in applicazione analogica
dell'art. 901 C.C. Il proprietario che non vuole
partecipare alla spesa può esimersi a norma
art. 888 C.C.

Secondo una sentenza della Cass. 38/1946, l'apertura di una porta crea
o meno una veduta a seconda della
destinazione permanente della
porta. Quindi la porta di un'abita-
zione che dà in un vano abitato crea
una veduta; una porta che dà in un
ripostiglio o magazzino non crea
una veduta. Quindi non crea un pos-
sesso di veduta utilizzabile per l'u-
sucapione di essa.
Decisione sciocca. perché il crite-
rio deve essere oggettivo, come con-
fermato da Cass. 499/2006.

212
La porta B non costituisce una veduta se
è destinata solo ad accedere al fondo B ed è
cieca; se fosse una porta a vetri, sarebbe una
veduta. Decisione sciocca perché manca il
criterio oggettivo; chi può prevedere se la
porta verrà sempre chiusa e l'uso che verrà
fatto del locale?

La finestra F, aperta a meno di m 1,50 sul


confine secondo alcuni non si considera una
veduta perché non consente di vedere altro
che il muro di B.
Pare tesi errata perché B ha il diritto di uti-
lizzare lo spazio oltre il confine come meglio
crede, costruendo ove è il muro o costruendo
verso l'alto; e indubbiamente dalla finestra si
ha una veduta verso l'alto.

Anche se vi è un muro sul confine a distanza inferiore a m 1,5, non può


essere aperta la veduta diretta dalla finestra r perché ciò consentirebbe
l'usucapione del diritto di mantenere la veduta, con danno del proprieta-
rio B che non potrebbe costruire in aderenza al muro su cui è aperta la
finestra.

213
Art. 905 - Giurisprudenza della Cassazione
Copertura di una terrazza - La copertura della terrazza da cui si esercita la
servitù di veduta non costituisce aggravamento della servitù medesima ai sensi
dell'art. 1067 c.c., giacché la copertura, pur potendo consentire un uso più in-
tenso ed assiduo del diritto, non ne amplia il contenuto essenziale, lasciando
inalterati i limiti della inspectio e della prospectio sul fondo vicino. Cass. n. 13444
del 30/06/2016.

Luci e vedute - Non c'entrano con le distanze fra le costruzioni - L'art. 905
c.c., che salvaguarda il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l'a-
pertura di vedute negli edifici vicini al fine di proteggere interessi esclusiva-
mente privati, non ha correlazione alcuna con l'art. 873 c.c. che, diretto a tute-
lare, evitando la formazione di intercapedini dannose, interessi generali di
igiene, decoro e sicurezza negli abitati, consente agli enti locali di stabilire di-
stanze maggiori secondo una valutazione particolare dei detti interessi collet-
tivi. Ne consegue che non vi è spazio per una integrazione della previsione
dell'art. 905 c.c. con quelle eventuali più restrittive in tema di distanze tra co-
struzioni contenute nei regolamenti locali, deponendo in tal senso anche l'as-
senza nel testo della norma di un rinvio – che è, invece, contemplato nell'art.
873 c.c. – ai regolamenti in questione. Cass. n. 15070 del 11/06/20.

Servitù su cosa comune - Nel caso di comunione di un cortile sito fra edifici
appartenenti a proprietari diversi, l'apertura di una veduta da una parete di
proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni
contenute nell'art. 905 c.c., finendo altrimenti per imporre di fatto una servitù a
carico della cosa comune, senza che operi, al riguardo, il principio di cui all'art.
1102 c.c., in quanto i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi
sono disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o
asservite; né può invocarsi, al fine di escludere la configurabilità di una servitù
di veduta sul cortile di proprietà comune, il principio nemini res sua servit, il
quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto è titolare del fondo
servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di
essi sia anche comproprietario dell'altro. Cass. n. 26807 del 21/10/2019 (Dif-
forme: N. 4386 del 2007).

Veduta sanabile - Il principio per cui l'eliminazione delle vedute abusive


può essere realizzata non solo con la demolizione delle porzioni immobiliari
con le quali si verifica la violazione di legge lamentata, ma anche attraverso
idonei accorgimenti che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui,

214
come l'arretramento del parapetto o l'apposizione di idonei pannelli che ren-
dano impossibili il prospicere e lo inspicere in alienum, opera esclusivamente nei
casi di violazione delle distanze delle vedute e non pure di quelle tra costru-
zioni, per le quali la presenza delle vedute è mero presupposto fattuale per l'ap-
plicazione della disciplina più restrittiva prevista dall'art. 9 del D.M. n. 1444 del
1968. Cass. Ord. n. 4834 del 19/02/2019.

Vedute e DM 1444/1968 - L'art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968 non impone
di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato,
in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete fine-
strata e l'edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del
prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal
confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta
osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente
abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vi-
cino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt.
10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture
e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale
dal confine, ed eventualmente procedere all'interpello di cui all'art. 875, comma
2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti. Cass. Ord. n. 4848 del 19/02/2019.

Luci irregolari su muro divisorio - In tema di apertura di luci irregolari nel


muro divisorio tra proprietà confinanti, bisogna distinguere se esse siano state
realizzate sul manufatto di proprietà esclusiva di colui che compie tale attività
e, quindi, iure proprietatis, ovvero sul muro comune o di proprietà esclusiva del
confinante e, pertanto, iure servitutis, poiché solo in quest'ultima ipotesi il diritto
a mantenere la relativa servitù può essere acquisito per usucapione. (In appli-
cazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di appello che aveva affer-
mato la non usucapibilità di una servitù di luce, prescindendo dalla concreta
individuazione del regime dominicale del muro sul quale detta luce era stata
aperta). Cass. Ord. n. 28804 del 09/11/2018.

Servitù concessa verbalmente - Il consenso espresso verbalmente dal pro-


prietario di un fondo alla costruzione da parte del vicino di una terrazza a di-
stanza illegale è inidoneo alla costituzione di un vincolo di natura reale, essendo
prescritta per la costituzione delle servitù la forma scritta ad substantiam (art.
1350, n. 4, c.c.), con la conseguenza che è inammissibile la prova testimoniale
articolata sul punto. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha escluso
che i convenuti avrebbero potuto provare con testimoni l'esistenza di un ac-
cordo volto a consentire il posizionamento di un muro invadendo per mt. 0,75
il fondo confinante). Cass. Ord. n. 20958 del 22/08/2018.

215
Luci e vedute - Anche su parti comuni - tema di rispetto delle distanze legali
per l'apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 c.c. si ap-
plicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto
in comproprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui
ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette. Cass. n. 17480
del 04/07/2018.

Luci e destinazione del padre di famiglia - In tema di condominio degli edi-


fici, la disciplina sulle distanze legali delle vedute non si applica alle opere ese-
guite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso,
l'intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere
nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in
vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che
determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art.
1117 c.c.) e l'insorgere del condominio, e, dall'altro lato, la costituzione, in de-
roga (od in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù
a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli
acquirenti, secondo lo schema della servitù per destinazione del padre di fami-
glia. Cass. n. 11287 del 10/05/2018.

Trasformazione finestra in porta finestra - In tema di servitù prediali, costi-


tuiscono innovazioni vietate ai sensi dell'art. 1067 c.c. quelle che rendono più
gravosa la condizione del fondo servente, ivi compresa la soprastante colonna
d'aria, tali essendo l'ampliamento di finestre o la loro sostituzione con balconi
in aggetto o altri analoghi manufatti. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sussi-
stente l'aggravamento di una servitù di veduta consistita nella trasformazione
di due finestre in porte e nella realizzazione di un balcone in quanto invasive
della proiezione verso l'alto del sottostante capannone del proprietario del
fondo servente). Cass. n. 9877 del 20/04/2018.

Veduta retroversa - Ai fini della distinzione tra vedute dirette, laterali ed


oblique, assume rilievo decisivo la posizione di chi guarda, in particolare
quando siano possibili più posizioni di affaccio. Con riferimento ai balconi, per-
tanto, rispetto ad ogni lato di questo si avranno una veduta diretta, ovvero fron-
tale, e due laterali o oblique, a seconda dell'ampiezza dell'angolo; ne consegue
che, pur essendo la tutela delle vedute limitata all'arco massimo di centottanta
gradi, con conseguente esclusione di quelle c.d. retroverse, può verificarsi che
una delle vedute oblique esercitabili da un balcone sia retroversa rispetto alla
parete in cui il medesimo è collocato, ma non per questo sia illegittima. Cass.
Ord. n. 8010 del 30/03/2018. (Non si comprende da dove la Cassazione ricavi che la

216
veduta retroversa non sia tutelata)

Veduta e dislivelli - Nell'ipotesi in cui il fondo su cui insiste il fabbricato sul


quale si vuole aprire una veduta e quello confinante, edificato o non, sul quale
la stessa è destinata ad essere esercitata, siano siti a livelli o a piani diversi, la
distanza minima di m. 1,50 che la veduta deve rispettare dal confine del fondo
finitimo, ai sensi dell'art. 905, comma 1, c.c., deve essere misurata tra la soglia
della veduta, o faccia esteriore del muro in cui la stessa si apre, ed il piano ideale
elevato perpendicolarmente sulla linea di confine tra i due fondi. Cass. n. 2533
del 31/01/2017.

Veduta con sbarre - Affinché sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario,
oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vi-
cino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontal-
mente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e late-
rale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo
un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di moti-
vazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto congruamente motivata la sentenza
di merito, che aveva escluso la natura di veduta relativamente ad una finestra
posta a mt. 1,56 dal piano di calpestio e munita di sbarre orizzontali infisse in
un muro alto mt. 1,80 e spesso cm. 30, non potendo la stessa costituire un co-
modo affaccio). Cass. Ord. n. 346 del 10/01/2017 (Diff. n. 22887 del 2013).

Veduta e lastrico solare - Il lastrico solare agevolmente accessibile non


svolge soltanto una funzione di copertura del fabbricato e pertanto, se posto
allo stesso livello e destinato al servizio della porzione immobiliare sita all'ul-
timo piano dell'edificio, può comportare l'obbligo del proprietario di quest'ul-
timo di costruzione di un muretto recinto da rete metallica, onde rendere la luce
irregolare conforme alle prescrizioni stabilite dall'art. 901 c.c. Cass. n. 113 del
04/01/2017.

Pareti finestrate, solo se vedute - Posto che nella disciplina legale dei "rap-
porti di vicinato" l'obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze
sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione "pareti
finestrate" contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all'art. 9 del D.M.
n. 1444 del 1968 - il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di
dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - non potrebbe che
riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come "ve-
dute", senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette "lu-
cifere". Cass. n. 26383 del 20/12/2016.

217
Norme regolamentari - La disciplina delle distanze tra fabbricati, in quanto
diretta a tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza degli abitati,
pur dettata in via generale dall'art. 873 C.C. (che richiede una distanza non mi-
nore di tre metri), può essere resa più rigorosa dalle disposizioni dei regola-
menti locali, mentre la disciplina della distanza delle vedute dal confine, in
quanto finalizzata alla tutela del mero interesse privato alla salvaguardia del
fondo vicino dalle indiscrezioni dipendenti dalla loro apertura, trova la sua
fonte esclusivamente nell'art. 905 C.C. (che richiede una distanza di un metro e
mezzo), salvo che la maggior distanza delle costruzioni, prevista dai regola-
menti locali, sia riferita specificamente al confine, nel qual caso le norme rego-
lamentari regolano anche la distanza delle vedute dal confine. Cass. n. 4967 del
12/03/2015
Nota: È chiaro che in tutti i casi in cui norme regolamentari stabiliscono distanze
maggiori di quelle previste dal C.C. per vedute e luci, diventano superate le distanze
previste dal codice.

Strada pubblica - La qualificazione di una strada come pubblica, ai fini


dell'esonero dal rispetto delle distanze nell'apertura di vedute dirette e balconi,
ex art. 905, terzo comma, C.C., esige che la sua destinazione all'uso pubblico
risulti da un titolo legale, che può essere costituito non solo da un provvedi-
mento dell'autorità o da una convenzione con il privato, ma anche dall'usuca-
pione, ove risulti dimostrato l'uso protratto del bene privato da parte della col-
lettività per il tempo necessario all'acquisto del relativo diritto, restando peral-
tro escluso che, a tal fine, rilevi un uso limitato ad un gruppo ristretto di persone
che utilizzino il bene uti singuli, essendo necessario un uso riferibile agli appar-
tenenti alla comunità in modo da potersi configurare un diritto collettivo all'uso
della strada e non un diritto meramente privatistico a favore solo di alcuni de-
terminati soggetti. Cass. Ordinanza n. 16200 del 26/06/2013.

Strada pubblica - Tale norma ha avuto due diverse interpretazioni nella giu-
risprudenza di questa Corte. Alcune pronunce sono nel senso che la cessazione
del divieto opera sia quando la via pubblica separi i due fondi rendendoli fron-
teggianti, sia nel caso in cui essa si ponga, rispetto alle vedute, ad angolo retto
(Cass. S.U. n. 3460/77; conforme sulla premessa generale, ma con riferimento
all'applicazione dell'art. 907 C.C., Cass. n. 14784/09). Altre hanno ritenuto che
la cessazione del divieto valga a prescindere dalla reciproca collocazione dei
fondi rispetto alla strada, e dunque, oltre che nei casi anzi detti, anche nell'ipo-
tesi in cui i fondi siano contigui, in quanto l'esonero dal divieto è giustificato
dall'identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque
può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti (Cass. nn. 4222/09 e

218
2159/02). Ritiene questo Collegio di prestare adesione al primo dei due indi-
rizzi, sia in ragione del disposto dell'art. 374 C.P.C., comma 2, sia perché la ratio
della cessazione del divieto in oggetto va ravvisata in ciò, che la tutela della
riservatezza presuppone la contiguità dei fondi, interrotta la quale, per effetto
della presenza di una via pubblica, non vi è ragione di mantenere il divieto di
apertura di vedute dirette a distanza inferiore da quella prescritta dall'art. 905
C.C. . Quando, invece, come nel caso di specie (secondo l'accertamento com-
piuto in punto di fatto dalla Corte territoriale e non oggetto di censura nell'iter
motivazionale che lo sostiene i due fondi siano allineati lungo la medesima via
pubblica, la contiguità non viene meno e con essa permane l'esigenza di riser-
vatezza tutelata dalla norma.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel caso di edifici co-
struiti in adesione sullo stesso lato di una via pubblica non trova applicazione
l'esonero dall'obbligo delle distanze, di cui all'art. 905 C.C., u. c. , per l'apertura
in una di esse di vedute laterali od oblique sulla costruzione vicina, restando
questa soggetta al rispetto delle distanze stabilite dall'art. 906 C.C. ancorché la
veduta formi nello stesso tempo una veduta diretta sulla via pubblica (Cass. n.
5439/92; in senso conforme, Cass. n. 2665/78). L'art. 906 C.C. costituisce, infatti,
un'innovazione rispetto all'art. 588 cpv. C.C. del 1865, contenente la previsione
opposta, innovazione dettata non solo e non tanto dal fatto che è ben difficile
che una strada pubblica possa avere una larghezza inferiore a 75 cm., ma anche
e soprattutto dall'oggettiva inopportunità che l'eventuale persiana di cui sia
munita la finestra da cui si esercita la veduta si apra troppo a ridosso del fondo
vicino. Cass. n. 13000 del 24/05/2013 (importante e chiara sentenza).

Norme regolamentari - La disposizione di cui all'art. 905 C.C., volta a salva-


guardare il fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l'apertura di
vedute, non ha correlazione alcuna con quella di cui all'art. 873 C.C., diretta a
tutelare interessi generali di igiene, decoro e sicurezza negli abitati, non po-
tendo, pertanto, la prima norma ritenersi integrata da eventuali regolamenti lo-
cali in tema di distanze tra fabbricati o dal confine. Cass. 18595 del 29/10/2012.
Vedi però la più recente Cass. 4967/2015

Balcone - La servitù di veduta e quella esercitata mediante un balcone "ag-


gettante" sul fondo gravato, soddisfano interessi e determinano pesi differenti,
di guisa che la prima non include totalmente la seconda, esaurendo la veduta
la propria utilitas nella maggiore amenità arrecata al fondo dominante. Ne con-
segue che il titolo negoziale costitutivo di una servitù di "veduta ed affaccio"
non implica di per sé - in assenza di specifiche indicazioni di segno diverso e
tenuto conto che la nozione di affaccio è comune tanto alle vedute dirette,
quanto ai balconi - la facoltà del proprietario del fondo dominante di esercitare

219
la veduta tramite un balcone aggettante, la cui realizzazione viola, pertanto,
l'art. 840 cod.civ. Cass. 14620 del 24/08/2012.

Terreno sopraelevato - In tema di distanze per l'apertura di vedute e balconi,


la semplice esistenza di un terreno sopraelevato, senza che vi sia un parapetto
che consenta l'affaccio sul fondo del vicino, esclude l'obbligo di distanziarsi dal
fondo predetto ai sensi dell'art. 905 C.C. Tuttavia, deve ritenersi rilevante al fine
di favorire la possibilità di affaccio l'attività di innovazione della preesistente
situazione tra i fondi, che consista nell'innalzamento del piano di campagna,
tale da determinare un diverso rapporto con il muro confinario. (Nella specie,
la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza di me-
rito, la quale aveva escluso che il proprietario del fondo posto a quota inferiore
fosse portatore di un interesse tutelabile all'eliminazione di un inspicere già in
precedenza possibile, rilevando come lo spianamento e l'elevazione del disli-
vello avessero, piuttosto, consentito al vicino l'avvicinamento al muro di cinta,
dapprima impedito, così dando luogo ad una situazione compatibile in astratto
con l'esercizio di una servitù di veduta per opera dell'uomo). Cass. 12497 del
19/07/2012

Vedute oblique - Ai fini della distinzione tra vedute dirette, laterali ed obli-
que, assume rilievo decisivo la posizione di chi guarda, in particolare quando
siano possibili più posizioni di affaccio. Con riferimento ai balconi, pertanto,
rispetto ad ogni lato di questo si avranno una veduta diretta, ovvero frontale, e
due laterali o oblique, a seconda dell'ampiezza dell'angolo; ne consegue che,
pur essendo la tutela delle vedute limitata all'arco massimo di centottanta gradi,
con conseguente esclusione di quelle C. d. retroverse, può verificarsi che una
delle vedute oblique esercitabili da un balcone sia retroversa rispetto alla parete
in cui il medesimo è collocato, ma non per questo sia illegittima. Cass. 220 del
05/01/2011.

Strada pubblica - L'ultimo comma dell'art 905 C.C., il quale esclude l'obbligo
di osservare una distanza minima per l'apertura di vedute dirette verso il fondo
del vicino quando tra i due fondi contigui vi sia una via pubblica, non presup-
pone necessariamente che questa separi i fondi medesimi e che questi si fron-
teggino, ma richiede soltanto che essi siano confinanti con la strada pubblica,
indipendentemente dalla loro reciproca collocazione, sicché i fondi possono an-
che essere contigui o trovarsi ad angolo retto; ciò in quanto l'esonero dal divieto
è giustificato dall'identificazione della strada pubblica come uno spazio dal
quale chiunque può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti. Cass.
4222 del 20/02/2009.

220
Ballatoio - In tema di limitazioni legali alla proprietà, l'apertura di un balla-
toio di collegamento tra la pubblica via e l'ingresso delle abitazioni situate al
primo e al secondo piano può essere qualificata veduta ed assoggettata al re-
gime giuridico del rispetto delle distanze fissato nell'art. 905 C.C., quando sia
idonea, per ubicazione, consistenza e struttura, a consentire l'affaccio sul fondo
vicino. Cass. 25188 del 15/10/2008.

Veduta su spazi comuni - In tema di rispetto delle distanze legali per l'aper-
tura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 C.C. si applicano
anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in com-
proprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui ricade
la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette. Cass. 12989 del
21/05/2008.

Sopraelevazione - Il titolare del diritto di sopraelevazione di una terrazza


posta a confine con la porzione immobiliare sottostante e di proprietà altrui può
esercitare il suo diritto, senza dover arretrare rispetto alla linea di confine, se la
nuova costruzione prosegua in altezza, allineata, in verticale, a quella preesi-
stente. Cass. 18272 del 30/08/2007.

Porticato - In materia di diritti reali, l'obbligo del rispetto delle distanze legali
trova applicazione anche quando la veduta viene esercitata dal piano terreno
di una costruzione (nella fattispecie, dal portico inserito nel fabbricato), non oc-
correndo che l'apertura sia in tal caso munita di parapetto, come richiesto
dall'art. 905 C.C. soltanto con riferimento a "balconi o altri sporti, terrazze, la-
strici solari e simili", essendo disagevole e pericoloso, avvenendo dall'alto, l'af-
faccio dai medesimi in assenza di protezione. Cass. 6576 del 29/03/2005.

Condominio - In tema di condominio le norme sulle distanze, rivolte fonda-


mentalmente a regolare con carattere di reciprocità i rapporti fra proprietà in-
dividuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edi-
ficio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare rela-
tiva alle cose comuni, cioè quando l'applicazione di quest'ultime non sia in con-
trasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale
in materia di condominio determina l'inapplicabilità della disciplina generale
sulla proprietà, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o
limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo
i parametri previsti dall'art. 1102 C.C. (applicabile al condominio per il richiamo
di cui all'art. 1139 C.C.), atteso che, in considerazione del rapporto strumentale
fra l'uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non sembra ragionevole in-
dividuare, nell'utilizzazione delle parti comuni, limiti o condizioni estranei alla

221
regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione.
(La sentenza impugnata aveva annullato la delibera condominiale con cui al-
cuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in balcone le finestre dei
rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti
balconi delle proprietà sottostanti. La Corte, nel cassare la decisione di appello,
ha ritenuto legittima l'esecuzione delle opere, avvenuta nell'ambito delle facoltà
consentite dall'art. 1102 C.C. nell'uso dei beni comuni (la facciata dell'edificio),
atteso che la realizzazione del balcone non aveva provocato alcuna diminu-
zione di aria e di luce alla veduta esercitata dal condomino sottostante). Cass.
7044 del 14/04/2004.
Nota: Giurisprudenza sbagliata, poi corretta.

222
Art. 906 - Distanze per l'apertura di vedute laterali od oblique

Non si possono aprire vedute laterali od oblique sul fondo del vicino
se non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale deve
misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto.

Ai fini dell'osservanza delle distanze legali dal fondo vicino la qualifi-


cazione della veduta (diretta, obliqua o laterale) va fatta con riguardo alla
possibilità che la conformazione obbiettiva dell'opera offre di guardare
frontalmente o meno sul fondo del vicino, non già in base alla posizione
della persona che esercita la veduta rispetto alla parete in cui si apre la
finestra o il balcone. Ne deriva che le vedute che si esercitano dal balcone
sono diverse secondo le varie posizioni in cui è possibile guardare sul
fondo del vicino, nel senso che è sufficiente per aversi veduta diretta che
da uno dei lati del balcone sia possibile affacciarsi e guardare sul fondo
altrui, onde la distanza da osservarsi dal confine da tale lato non può es-
sere inferiore a m. 1,50 a norma dell'art. 905 C.C. (Cass. 4523/1993).
Invero, la ratio posta a base delle disposizioni limitative dell'apertura
di vedute sul fondo vicino si identifica nell'esigenza di tutelare il proprie-
tario di quest'ultimo contro le molestie derivanti dall'altrui esercizio di
vedute a troppo breve distanza, così da violare l'intimità della sua vita
privata, di talché la ratio stessa viene meno allorquando, sebbene la di-
stanza dell'opera, misurata con i criteri dettati dagli artt. 905 e 906 C.C.,
sia inferiore a quella minima prescritta, la possibilità della inspectio e della
prospectio è esclusa in radice dall'esistenza di schermi o altri accorgimenti
idonei ad impedire stabilmente e permanentemente l'una e l'altra. Questa
Corte regolatrice, del resto, ha già più volte avuto occasione di insegnare
che l'eliminazione di vedute abusive, le quali consentono di prospicere et
inspicere in alienum, non deve necessariamente essere disposta dal giudice
mediante la demolizione di quelle porzioni immobiliari costituenti il cor-
pus della violazione denunciata, ben potendo, invece, la violazione me-
desima essere eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i
quali, pur contemperando, giustapponendoli, i contrastanti interessi

223
delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al
caso concreto (Cass. 1450/96).

La distanza di cm 75 per le vedute laterali va misurata come sopra il-


lustrato.

Caso I: i balconi devono essere chiusi come in figura con un muro alto
almeno m 2 e fino a cm. 75 dal confine.

Caso II: La veduta è diretta e quindi la distanza da osservare è di m 1,5.

224
Dalla finestra s di A vi è una veduta laterale verso la parete di B (pos-
sibile sporgendo il capo dalla fi-
nestra) e una veduta obliqua
verso il terreno di B e, a seconda
dei casi concreti, anche verso il
balcone. La distanza dal confine
dovrà essere di cm 75. Il balcone
di B ha una veduta diretta verso
il fondo di C e dovrà rispettare
la distanza di m 1,5.

L'obbligo di rispettare le distanze per le vedute cessa quando fra i due


fondi vicini vi è una via pubblica (figura sopra) (art. 905 C.C.) e quindi nel
caso I, A e B possono aprire finestre, anche se la strada è un vicolo stretto.
Soluzione comprensibile per risolvere situazioni createsi in passato
quando non si osservavano le distanze attuali.
Poi la Cassazione ha deciso che la regola si applica anche quando i
fondi non si fronteggiano, ma quando comunque essi danno su un pub-
blico spiazzo o via (Caso II) in base al ragionamento che intanto dal luogo
pubblico vi è comunque una veduta di chiunque verso i fondi prospi-
cienti. Ma a me pare affermazione stravagante e non legittimata dalla let-
tera della legge, perché un conto è che un passante possa guardare verso
il mio balcone, cosa ben diversa è se il vicino può aprire una finestra da
cui può saltare in casa mia o gettare cose sul mio balcone! Si veda la giu-
risprudenza riportata all'art, 905 C.C.

225
Art. 907 - Distanza delle costruzioni dalle vedute

Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo


vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore
di tre metri, misurata a norma dell'art. 905.
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre
metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obli-
qua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le
dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri
sotto la loro soglia.

La nozione di fondo non è quella catastale ma va riferita alla concreta


unità immobiliare (prato, bosco, ecc.)
L'acquisto per convenzione o per usucapione del diritto di tenere la
propria costruzione a distanza inferiore a quella legale rispetto all'edificio
esistente nel fondo del vicino, non fa sorgere di per sè il diritto di aprire
una veduta nel muro di detta costruzione prospiciente il fondo del vicino
a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 905, considerata la diver-
sità degli interessi tutelati e del meccanismo di attuazione di tale norma
rispetto a quella dell'art. 873 C.C. (Cass. 5177/1982).
A i fini della disposizione anzidetta il termine "costruzione" non va in-
teso in senso restrittivo di manufatto in calce o in mattoni o in conglome-
rato cementizio, ma in quello di qualsiasi opera che, qualunque ne sia la
forma e destinazione, ostacoli, secondo l'apprezzamento insindacabile
del giudice di merito, l'esercizio di una veduta. Il problema si pone di
solito in relazione a tende, tollerabili se di norma vengono richiuse, ma
intollerabili se rimangono sempre aperte; ma la valutazione discrezionale
lascia un troppo ampio margine di errore al giudice.
Non è solo vietato costruire con limitazione di una veduta; è vietato
creare ogni ostacolo fisso che impedisca di guardare fino a tre metri. Si fa
eccezione per siepi e alberi.
L'obbligo di osservare la distanza dalle vedute riguarda anche i muri
di cinta.

226
La veduta si esercita non solo verso il basso ma anche verso l'alto; cosa
da ricordare in relazione alla costruzione di balconi ai piani superiori.
Una massima afferma che la veduta verso il basso dal balcone si esercita
perpendicolarmente dal parapetto e quindi non attribuisce il diritto di
guardare obliquamente entro il balcone sottostante, che può essere
quindi trasformato in veranda.
Si ricorda che la norma sulle distanze non si applica se i fondi sono
separati da una strada pubblica (art. 905 C.C.).

A e B devono rispettare la di-


stanza di m 3 complessivi misu-
rati dalla faccia esterna della rin-
ghiera o balaustrata.
Va rispettata però anche la di-
stanza di m 1,5 dal confine e
quindi, se A avesse costruito a
m.2, B è tenuto a costruire il suo
balcone a m. 3,5 da quello di A.

227
Caso I: Ecco come si misura la di-
stanza fra balconi non allineati.

Caso II: Ecco la distanza da osser-


vare per due balconi posti ad angolo
retto.

A ha acquistato il diritto di tenere


la finestra prospettica r sulla sua pa-
rete; se B proprio volesse costruire in
aderenza, dovrebbe osservare la di-
stanza di m 3 in ogni direzione. Non
potrebbe comunque costruire sopra
la finestra e chiuderla entro un vano
perché verrebbe meno la funzione
stessa della finestra.
Chi ha una finestra ha diritto di
vedere (veduta diretta) solo per una
distanza di tre metri in ogni direzione; oltre i 3 metri chiunque può co-
struire e chiudere la vista.

228
Se invece di una finestra, A godesse di
un balcone, le distanze da osservare sareb-
bero quelle illustrate.

A ha acquisito il diritto di avere la luce r. Se


B vuole costruire deve rispettare la distanza di
m 3 come se r fosse una finestra perché altri-
menti verrebbe a diminuire la quantità di luce
a cui A ha diritto (così la Cassazione). Ritengo
però che potrebbe costruire al di sotto della so-
glia della finestra r.

Caso analogo al precedente in cui B


vuole costruire il muro abcd. Esso dovrà
essere costruito a m 3 dalla finestra o
dalla luce r che A ha acquisto il diritto
di tenere.

229
Se A ha il diritto di tenere la finestra r, B che
intende costruire in aderenza dovrà stare a 3
metri al di sotto della sua soglia.
Se A ha il diritto di tenere la luce r, B può co-
struire fino alla soglia della stessa perché le di-
stanze per le luci sono poste solo a favore di B.

Anche nel caso in cui A eserciti il suo diritto


di veduta da un terrazzo con parapetto, B non
potrà costruire in aderenza oltre i 3 metri dalla
sommità del parapetto. Se vi fosse una rin-
ghiera, i 3 m si misurerebbero dal piano di cal-
pestio del terrazzo.

Se fra A e B vi è una strada pub-


blica o una strada privata con servitù
di passaggio ad uso pubblico, non si
devono rispettare le distanze per le
vedute, salvo diverse disposizioni
del regolamento comunale.
Non si possono però costruire bal-
coni.

230
Se A ha acquistato il diritto di veduta r,
B non può innalzare il muretto cd, ma
deve costruire a 3 m . Quindi la veduta
impedisce la costruzione di un muro di
cinta, che sono esentati dal rispetto delle
distanze solo se non vi ostano diritti ac-
quisiti.

L'apertura r, munita di grata, ma ad


altezza tale da consentire di guardare
verso B si presume essere una veduta
e quindi deve essere rispettata la di-
stanza di m 3. L'apertura - s - è invece
una luce e quindi può essere chiusa co-
struendovi contro.

Art. 907 - Giurisprudenza della Cassazione


Veranda in condominio - Il proprietario del piano di un edificio condomi-
niale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture (nella specie, finestra e non
balcone aggettante) la veduta appiombo, sicché può imporre al vicino di non
costruire una veranda, seppur nei limiti del perimetro del sottostante balcone,
a meno di tre metri. Cass., Ordinanza n. 7269 del 27/03/2014.
Nota: Se la veranda è costruzione, come stabilito, la distanza va osservata indipen-
dentemente dal diritto di veduta, pure sussistente.

Siepi e vedute - In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, agli effetti
dell'art. 907 C.C., il divieto di fabbricare opere in pregiudizio dell'esercizio di
una servitù di veduta, supponendo una modifica dell'assetto dei luoghi richie-
dente un'attività costruttiva, non può estendersi alla creazione di barriere natu-
rali, quali le siepi vive, cui è applicabile la diversa disciplina prevista dall'art.
892, primo comma, n. 3, C.C. Cass. Ordinanza n. 12051 del 17/05/2013.

Veduta verso il basso - Il proprietario del singolo piano di un edificio con-


dominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo

231
fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di
altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo
del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi
l'esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contem-
peramento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo ope-
rato già l'art. 907 C.C. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza
ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicu-
rano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita. Cass. n.
955 del 16/01/2013
Nota: Questione controversa. Il caso riguarda la creazione di un pergolato a cui non
si applicano le norme sulle costruzioni; se chi sta sotto ha diritto di costruire, deve ri-
spettare solo i tre metri di distanza e non una veduta a piombo fino al suolo. Ma si può
anche sostenere che si è acquisito il diritto di veduta fino al suolo. Si veda Cass.
11729/2012.

Veduta obliqua - In tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, l'obbligo


del proprietario di non fabbricare a distanza minore di tre metri dai lati della
finestra da cui si esercita sia la veduta diretta che la veduta obliqua, ai sensi
dell'art. 907, secondo comma, C.C., sussiste solo nel caso in cui la duplice ve-
duta sia aperta verso lo stesso fondo. Cass. n. 79 del 03/01/2013.

Veduta obliqua - Per effetto delle limitazioni previste dall'art. 907 C.C. a ca-
rico del fondo su cui si esercita una veduta (sia che questa sia stata aperta jure
servitutis, sia che venga esercitata jure proprietatis), deve osservarsi un distacco
di tre metri in linea orizzontale dalla veduta diretta, da rispettare eventual-
mente anche dai lati della finestra da cui si esercita la veduta obliqua, doven-
dosi osservare analogo distacco anche in senso verticale per una profondità di
tre metri al di sotto della soglia della veduta. Nel caso di veduta diretta e obli-
qua, la distanza minima di tre metri "sotto soglia", prescritta dal terzo comma
dell'art. 907 cit., non va, peraltro, considerata solo in linea perpendicolare ri-
spetto al davanzale della finestra, ma si estende in basso anche obliquamente
rispetto ai punti estremi di tale davanzale. Cass. n. 20699 del 22/11/2012

Ascensore esterno - In tema di condominio, l'installazione di un ascensore,


al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condo-
mino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensa-
bile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'apparta-
mento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi
dell'art. 1102 C.C., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose co-
muni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 C.C. sulla
distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa

232
operato nell'art. 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, non tro-
vando detta disposizione applicazione in ambito condominiale. Cass. n. 14096
del 03/08/2012 (Sentenza molto discutibile e successivamente superata: se uno ha com-
perato un appartamento a basso prezzo perché privo di ascensore, perché mai deve mi-
gliorarlo con danno di altri?).

Veduta verso il basso - Al proprietario del fondo gravato da una servitù di


veduta è vietato costruire a meno di tre metri dal lato inferiore dell'apertura
dalla quale si esercita la veduta, distanza che va rispettata sia nella sua proie-
zione orizzontale, sia in quella verticale. La violazione di tale distanza minima
di rispetto, tuttavia, comporterà per il proprietario del fondo servente non già
l'obbligo di demolire la nuova costruzione, ma solo di arretrarla sino a quando
sia ripristinata la suddetta distanza minima. Cass. n. 11729 del 11/07/2012.

Veduta verso il basso - La distanza minima di tre metri che, ai sensi dell'art.
907 C.C., deve separare il fondo del titolare d'una servitù di veduta dalla co-
struzione realizzata dal proprietario del fondo servente, deve sussistere non
solo tra la veduta e la parte di costruzione che le sta di fronte, ma anche tra la
prima e la parte di costruzione che si trova lateralmente o al di sotto di essa
(nella specie, il proprietario di un terrazzo a livello, posto al di sotto di un bal-
latoio il cui proprietario era titolare del diritto di veduta, aveva realizzato una
tettoia sporgente rispetto alla proiezione verticale del ballatoio. Il proprietario
di quest'ultimo aveva perciò chiesto la demolizione della tettoia, ma il giudice
di merito l'aveva accordata solo "fino alla distanza di metri tre dal margine
esterno" del ballatoio. La S.C., applicando il principio di cui alla massima, ha
cassato tale decisione). Cass. n. 4608 del 22/03/2012.

Canna fumaria - In tema di condominio negli edifici, qualora il proprietario


di un'unità immobiliare del piano attico agisca in giudizio per ottenere l'ordine
di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro condominiale e a
ridosso del suo terrazzo, la liceità dell'opera, realizzata da altro condomino,
deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l'art. 1102 C.C.,
secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa co-
mune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri parteci-
panti di farne parimenti uso, non rilevando, viceversa, la disciplina dettata
dall'art. 907 C.C. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la
canna fumaria (nella specie, un tubo in metallo) non è una costruzione, ma un
semplice accessorio di un impianto (nella specie, forno di pizzeria). Cass. n.
2741 del 23/02/2012
Nota: Sentenza del tutto anomala nata nell'anno buio (2012 in cui imperversò un
Collegio che voleva cambiare il diritto civile!)

233
Veduta obliqua - In tema di distanze legali, l'obbligo di tenere la nuova co-
struzione a distanza di tre metri dalla soglia della veduta obliqua esistente nel
fabbricato del vicino trova applicazione, a norma dell'art. 907, terzo comma,
C.C., non solo in caso di costruzione in appoggio, ma anche nell'ipotesi (di spe-
cie) di costruzione in aderenza al muro sul quale si apre detta veduta. Cass. n.
22954 del 04/11/2011.

Veduta diretta - L'obbligo di costruire a non meno di tre metri dalle vedute
dirette aperte nella costruzione esistente sul fondo vicino, di cui all'art. 907 C.C.,
ha natura assoluta e va osservato anche quando l'erigenda costruzione non sia
tale da impedire di fatto l'esercizio della veduta, mentre una valutazione circa
l'idoneità dell'opera ad ostacolare il diritto di veduta può venire in rilievo sol-
tanto quando si intenda erigere un manufatto diverso da una costruzione in
senso tecnico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sen-
tenza di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell'esonero dal rispetto
della distanza minima prescritta dall'art. 907 C.C., la circostanza che l'erezione
di un muro di cinta, da intendersi quale costruzione in senso proprio, non
avesse impedito l'esercizio del diritto di veduta al proprietario del fondo vi-
cino). Cass. n. 12033 del 31/05/2011.

Tetto - La servitù di veduta o prospetto, goduta dal proprietario di un edifi-


cio sul sottostante tetto a piano inclinato dell'edificio contiguo, impedisce qual-
siasi innalzamento del tetto, che incida negativamente sull'esercizio del diritto
di veduta nella sua naturale espansione, anche se la distanza tra il fondo domi-
nante e quello servente, per una situazione di fatto consolidata, risulti già infe-
riore ai limiti stabiliti dalla legge. Cass. n. 7772 del 05/04/2011.

Sopraelevazione - In tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, il pre-


veniente deve attenersi, nella prosecuzione in altezza del proprio fabbricato,
alla scelta operata originariamente, di modo che ogni parte dell'immobile risulti
conforme al criterio di prevenzione adottato alla base di esso, ma poiché tale
obbligo è in funzione dell'interesse del proprietario dell'edificio frontistante - il
quale non può essere obbligato a costruire a distanze variabili, che tengano
conto della linea spezzata del fronte dell'edificio preveniente-, nell'eseguire la
sopraelevazione il preveniente è tenuto a rispettare il diritto di veduta che even-
tualmente il prevenuto abbia frattanto acquisito, e quindi la distanza legale
della parte dell'edificio eseguita in sopraelevazione dalla veduta. Cass. n. 21059
del 01/10/2009.

234
Sopraelevazione - Poiché le vedute, ai sensi dell'art.907 C.C., implicano il
diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri in direzione orizzon-
tale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al
piano corrispondente alla soglia della medesima, ogni costruzione che venga a
ricadere in questa zona, ivi compresa una sopraelevazione del tetto, è illegale e
va rimossa. Cass. n. 4389 del 23/02/2009.

Ballatoio - In tema di limitazioni legali alla proprietà, l'apertura di un balla-


toio di collegamento tra la pubblica via e l'ingresso delle abitazioni situate al
primo e al secondo piano può essere qualificata veduta ed assoggettata al re-
gime giuridico del rispetto delle distanze fissato nell'art. 905 C.C., quando sia
idonea, per ubicazione, consistenza e struttura, a consentire l'affaccio sul fondo
vicino. Cass. n. 25188 del 15/10/2008.

Costruzione precaria e vedute - In tema di violazione delle norme sulla di-


stanza delle costruzioni dalle vedute, ai sensi dell'articolo 907 C.C., per costru-
zione deve intendersi l'opera destinata per la sua funzione a permanere nel
tempo, e, tuttavia, il carattere di precarietà della medesima non esclude la sua
idoneità a costituire turbativa del possesso della veduta come in precedenza
esercitata dal titolare del diritto. Cass. n. 21501 del 12/10/2007.

Sopraelevazione - Il titolare del diritto di sopraelevazione di una terrazza


posta a confine con la porzione immobiliare sottostante e di proprietà altrui può
esercitare il suo diritto, senza dover arretrare rispetto alla linea di confine, se la
nuova costruzione prosegua in altezza, allineata, in verticale, a quella preesi-
stente. Cass. n. 18272 del 30/08/2007.

Veranda - Il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda,


elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, è soggetto alla normativa
sulle distanze di cui all'art. 907 C.C. quando la costruzione insista su altra area
del terrazzo non ricadente in quella del sovrastante balcone, mentre non è te-
nuto ad analogo rispetto qualora la veranda insista esattamente nell'area del
balcone senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta
in avanti e a piombo del proprietario sovrastante (nella specie la s., pur cas-
sando la sentenza di appello in accoglimento del ricorso incidentale, ha respinto
il ricorso principale contro il capo della medesima pronuncia che aveva con-
dannato il condomino alla demolizione del fabbricato realizzato in violazione
dell'art. 907 C.C. nella parte relativa al superamento dei tre metri calcolati non
dal parapetto, ma dal piano di calpestio del terrazzo sovrastante). Cass. n. 17317
del 07/08/2007.

235
Ballatoi, scale porte - In tema di limitazioni legali della proprietà, le scale, i
ballatoi e le porte, pur essendo fondamentalmente destinati all'accesso dell'edi-
ficio, e soltanto occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l'affaccio,
possono configurare vedute quando - indipendentemente dalla funzione pri-
maria del manufatto - risulti obiettivamente possibile, in via normale, per le
particolari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l'esercizio della prospectio
ed inspectio su o verso il fondo del vicino. Cass. n. 499 del 13/01/2006.

Condominio - Il principio secondo cui in materia di condominio trovano ap-


plicazione le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto
di veduta) non ha carattere assoluto, non derogando l'art.1102 C.C. al disposto
dell'art. 907 C.C., giacché, dovendosi tenere conto in concreto della struttura
dell'edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare conte-
nuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, il giudice di merito
deve verificare, nel singolo caso, se esse siano o meno compatibili con i diritti
dei condomini. (Nella specie, gli attori avevano chiesto la rimozione di una
tenda installata dalla convenuta nel balcone di sua proprietà, lamentando la
lesione del diritto di veduta laterale dai medesimi esercitato dal balcone di loro
proprietà ubicato a fianco di quello della convenuta; la S.C. ha confermato la
sentenza impugnata che, nel rigettare la domanda, aveva ritenuto l'inapplica-
bilità delle norme sulle distanze in materia di vedute sul rilievo che i due bal-
coni si trovavano a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 907 C.C.) Cass.
n. 22838 del 11/11/2005.

Scala esterna - Ai fini del rispetto della distanza delle costruzioni dalle ve-
dute, costituisce costruzione qualsiasi opera, di qualsiasi natura, che si elevi sta-
bilmente dal suolo e che ostacoli l'esercizio della veduta, intesa come possibilità
sia di inspectio che di prospectio (nella specie, è stato ritenuto conforme ai sud-
detti principi l'accertamento del giudice di merito che aveva qualificato costru-
zione una scala metallica ancorata al suolo da una piattaforma di cemento ed
alta circa quindici metri). Cass. n. 17802 del 06/09/2005.

236
Sez. VII
Dello stillicidio

Art. 908 - Scarico delle acque piovane

Art. 908 - Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque


piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del
vicino.
Se esistono pubblici colatoi, deve provvedere affinché le acque pio-
vane vi siano immesse con gronde o canali. Si osservano in ogni caso i
regolamenti locali e le leggi sulla polizia idraulica.

La regola per lo stillicidio di acque piovane dal tetto è alquanto sem-


plice: il proprietario può costruire il tetto come vuole, anche con le falde
spioventi verso il fondo confinante, ma non può far cadere le acque su di
esso. Le acque devono essere convogliate sul proprio fondo o, se esistenti,
nei pubblici canali di raccolta.
La falda del tetto non può essere fatta sporgere oltre il confine perché
verrebbe ad invadere il suo spazio aereo e la presenza dello spiovente sul
confine, non impedisce la costruzione in aderenza. Il proprietario del
tetto dovrà provvedere a raccogliere adeguatamente le acque.
Non si deve confondere lo stillicidio dal tetto con il diritto di far de-
fluire le acque sul fondo del vicino a norma dell'art. 913 C.C. Le acque
che cadono da un tetto privo di canale di gronda si disperdono natural-
mente sul terreno e defluiscono secondo le naturali pendenze e il vicino
deve tollerare tale deflusso. Se però vi è un tubo di gronda che raccoglie
le acque in un unico punto, così che da esso si forma una specie di torren-
tello, il vicino non è tenuto a subire questo aggravamento della situazione
naturale idonea a creargli un danno.
Inoltre la servitù di stillicidio concerne esclusivamente la caduta natu-
rale delle acque da un tetto e va tenuta ben distinta dalla servitù che ha
come contenuto il diritto di far scorrere acque in modo non naturale sul
fondo altrui.
A può far pendere il tetto verso il fondo B, ma deve raccogliere le ac-
que in un canale di gronda che non sporga oltre il confine.

237
A può acquisire una servitù di stillicidio verso B
e allora non occorre il canale di gronda. Attenzione
a quelle decisioni della Cassazione in cui si dice che
il canale di gronda è un tubo e deve rispettare l'art
889 C.C. ! Sono sciocchezze.

La falda del tetto di A, sia essa o meno munita di


canale di gronda, non deve sporgere oltre il confine
se non ha acquisito una servitù di sporto (servitus
protegendi); siccome la distanza è inferiore a m 1,5,
B può acquistare la comunione del muro di A.
La comunione non è impedita dal fatto che le ac-
que vengano convogliate nella intercapedine cd se
B trova il modo di convogliarle altrimenti. La ser-
vitù di stillicidio riguarda la caduta delle acque e
non il loro deflusso, eventualmente oggetto di di-
versa servitù.

Se il tetto ab è comune ad A e B, si presume comune


anche lo spazio cd.
Se il tetto è solo di A e lo spazio cd è comune, A non
può farvi cadere le acque del suo tetto, salvo acquisi-
zione di servitù.

238
B, soggetto a servitù di stillicidio da A, può
compiere ogni opera che non impedisca lo stil-
licidio, ad es. alzando il piano di campagna; se
crea un canale di scolo lo dovrà però costruire a
m 1 dal confine.

Art. 908. - Giurisprudenza della Cassazione


Panni stesi - Poiché, ai sensi degli artt. 908 e 913 C.C., salvo diverse ed
espresse previsioni convenzionali, il fondo inferiore non può essere assogget-
tato allo scolo delle acque di qualsiasi genere, diverse da quelle che defluiscono
dal fondo superiore secondo l'assetto naturale dei luoghi, lo stillicidio sia delle
acque piovane sia, a maggior ragione, di quelle provenienti dall'esercizio di at-
tività umane (come, ad es., dallo sciorinìo di panni stesi mediante sporti sul
fondo alieno) può essere legittimamente esercitato soltanto se trovi rispon-
denza specifica in un titolo costitutivo di servitù ad hoc o comunque - ove con-
nesso alla realizzazione di un balcone aggettante sull'area di proprietà del vi-
cino - sia stato esplicitamente previsto tra le facoltà del costituito diritto reale.
Infatti, l'apertura di un balcone non può che integrare una servitù avente un
duplice oggetto (la parziale occupazione dello spazio aereo sovrastante il fondo
del vicino, in deroga alle facoltà dominicali di cui all'art. 840 comma secondo
C.C., e il diritto di veduta e di affaccio in deroga alle distanze prescritte dall'art.
905 C.C.), ma non anche le diverse facoltà esercitate in deroga a uno dei principi
informatori della proprietà fondiaria dei quali gli artt. 908 e 913 C.C. sono
espressione. Cass. n. 7576 del 28/03/2007.
Decisione non condivisibile che "spara con un cannone contro un uccellino". La fi-
nestra o il balcone serve anche per far prender aria ad abiti e lenzuola, a seccare i pomo-
dori, a vasi fidi fiori da innaffiare, a stendere panni. Se sono asciutti non vi è perciò
alcun problema. Se da essi scende acqua che non danneggia, nulla di diverso avviene
rispetto a quando piove. Perciò è una legittima immissione, se entro i limiti normali, e
la servitù non c'entra nulla. Lo stillicidio deve provenire, come risultato finale, dall'im-
mobile, non da cose o persone su di esso; se una persona si mette al balcone e fa la pipì
di sotto, non è che sta creando una servitù!

239
Danni - Il proprietario della cosa (nel caso, cortile e pozzetti di raccolta delle
acque piovane) gravata da servitù (nel caso, di stillicidio), rimasta nella sua di-
sponibilità e custodia, risponde, ai sensi dell'art. 2051 C.C., dei danni arrecati a
terzi, in quanto egli è tenuto ad eseguire le opere di manutenzione necessarie
per evitare danni ai soggetti estranei (nel caso, infiltrazioni d'acqua in un box
adiacente al cortile). Cass. n. 6222 del 23/03/2005.

Tetto - L'art 908 C.C., imponendo ai proprietari degli edifici l'obbligo di co-
struire i tetti in maniera tale che le acque pluviali scolino nei loro terreni e non
nei fondi finitimi, esclude la configurabilità di un limite legale della proprietà
analogo a quello previsto dal successivo art 913, che disciplina il deflusso delle
acque che scolano naturalmente. Pertanto la deroga alla disciplina contenuta
nell'art 908 C.C., realizzata a mezzo dello scolo di acqua piovana nel fondo del
vicino conseguente alla costruzione di un tetto, non può trovare il suo fonda-
mento nell'art 913 C.C., bensì nella costituzione di una servitù di stillicidio, la
quale, facendo venire meno il limite legale della proprietà imposto dall'art 908
C.C., consenta tale scolo. Cass. n. 5298 del 07/12/1977.

Deflusso naturale
- A norma dell'art 913 C.C. il vicino non può impedire che le acque piovane
cadute e raccolte nel fondo altrui si spandano naturalmente entro il suo fondo.
Siffatta soggezione, pero, rientra nei limiti normali di tolleranza imposti dalla
legge a presidio dei rapporti di vicinato e presuppone che l'immissione delle
acque venga dal terreno nel fondo vicino e non direttamente, per saltum, dalle
opere in esso eseguite, le quali alterino il decorso naturale delle acque meteori-
che convogliandole nella proprietà limitrofa. In questo senso la disposizione
citata non interferisce minimamente con l'altra sullo scarico delle acque piovane
di cui all'art 908 C.C., la quale dispone che il proprietario deve costruire i tetti
in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere
nel fondo del vicino Cass. n. 3982 del 29/10/1976.

Deflusso naturale - Fermo l'obbligo legale del proprietario di astenersi


dall'immettere lo stillicidio nel fondo altrui, cioè costruendo i tetti in maniera
che le acque piovane scolino nel suo terreno e non nel fondo del vicino, non può
tuttavia il vicino, il cui fondo si trovi al livello inferiore, impedire che le acque
medesime, cadute e raccolte sul fondo superiore, si spandano poi per naturale
pendenza verso il suo fondo sottostante. In tal caso, la soggezione imposta al
vicino e conseguenza del decorso naturale dell'acqua e non dell'opera
dell'uomo e come tale rientra nei limiti normali di tolleranza stabiliti dai rap-
porti di vicinato. Cass. n. 2069 del 27/07/1964.

240
TESTI NORMATIVI

I - L. 17 agosto 1942 n. 1150 - Legge urbanistica


Art. 45-quinquies, comma 3.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili
di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti mas-
simi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub-
blici o riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.

II - L. 6 agosto 1967, n. 765 - Modifiche ed integrazioni alla legge ur-


banistica 17 agosto 1942, n. 1150.
Art. 17.
Alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo l'articolo 41 è aggiunto il seguente
articolo 41-quinquies:
Nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fab-
bricazione la edificazione a scopo residenziale è soggetta alle seguenti limita-
zioni:
a) il volume complessivo costruito di ciascun fabbricato non può superare
la misura di un metro cubo e mezzo per ogni metro quadrato di area edificabile,
se trattasi di edifici ricadenti in centri abitati, i cui perimetri sono definiti entro
90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge con deliberazione
del Consiglio comunale sentiti il Provveditorato regionale alle opere pubbliche
e la Soprintendenza competente, e di un decimo di metro cubo per ogni metro
quadrato di area edificabile, se la costruzione è ubicata nelle altre parti del ter-
ritorio;
b) gli edifici non possono comprendere più di tre piani;
c) l'altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli
spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini
non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da co-
struire.
Per costruzioni di cui alla legge 30 dicembre 1960 n. 1676, il Ministro per i
lavori pubblici può disporre con proprio decreto, sentito il Comitato di attua-
zione del piano di costruzione di abitazioni per i lavoratori agricoli dipendenti,
limitazioni diverse da quelle previste dal precedente comma.
Le superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi non possono su-
perare un terzo dell'area di proprietà.

241
Le limitazioni previste ai commi precedenti si applicano nei Comuni che
hanno adottato il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione
fino ad un anno dalla data di presentazione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione sia resti-
tuito al Comune, le limitazioni medesime si applicano fino ad un anno dalla
data di nuova trasmissione al Ministero dei lavori pubblici.
Qualora l'agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di partico-
lare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento
o restauro, senza alterazioni di volumi. Le aree libere sono inedificabili fino
all'approvazione del piano regolatore generale.
Nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbri-
cazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre
metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite al-
tezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed
altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano
particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e conte-
nenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
Le disposizioni di cui ai commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto hanno
applicazione dopo un anno dalla entrata in vigore della presente legge. Le li-
cenze edilizie rilasciate nel medesimo periodo non sono prorogabili e le costru-
zioni devono essere ultimate entro due anni dalla data di inizio dei lavori.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili
di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti mas-
simi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub-
blici o riservati alle attività collettive, a verde, pubblico o a parcheggi.
I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone
territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto
con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. In
sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto viene emanato en-
tro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima (cioè dal 1° settembre 1967).

242
III - DECRETO MINISTERIALE 2 aprile 1968, n. 1444 (pubblicato nella g.
u. 16 aprile 1968, n. 97).
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbri-
cati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico
o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urba-
nistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6
agosto 1967, n. 765.
(entrato in vigore il 17 aprile 1968) (Omissis)
Art. 1.
(Campo di applicazione).
Le disposizioni che seguono si applicano ai nuovi piani regolatori generali e
relativi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate; ai nuovi regola-
menti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni
convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti.
Art. 2.
(Zone territoriali omogenee).
Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell'art.
17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:
A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono ca-
rattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi,
comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi;
B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle
zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie co-
perta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie
fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5
mc/mq;
C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino
inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di su-
perficie e densità di cui alla precedente lettera B);
D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti indu-
striali o ad essi assimilati;
E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui -fermo
restando il carattere agricolo delle stesse- il frazionamento delle proprietà ri-
chieda insediamenti da considerare come zone C);
F)le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse ge-
nerale.
Art. 3.
(Rapporti massimi, tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi
pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi).

243
Per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 17 -penul-
timo comma- della legge n. 765 sono fissati in misura tale da assicurare per ogni
abitante -insediato o da insediare- la dotazione minima, inderogabile, di mq. 18
per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a par-
cheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.
Tale quantità complessiva va ripartita, di norma, nel modo appresso indi-
cato:
a) mq. 4,50 di aree per l'istruzione: asili nido, scuole materne e scuole dell'ob-
bligo;
b) mq. 2,00 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali,
sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi (uffici P.T.,
protezione civile, ecc.) ed altre;
c) mq. 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo
sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi
lungo le strade;
d) mq. 2,50 di aree per parcheggi (in aggiunta alle superfici a parcheggio pre-
viste dall'art. 18 della legge n. 765): tali aree -in casi speciali- potranno essere
distribuite su diversi livelli.
Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli stru-
menti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante
insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda
abitabile (pari a circa 80 mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una
quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le desti-
nazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le resi-
denze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi pro-
fessionali, ecc.).
Art. 4.
(Quantità minima di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico
o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone
territoriali omogenee).
La quantità minima di spazi -definita al precedente articolo in via generale-
è soggetta, per le diverse zone territoriali omogenee, alle articolazioni e varia-
zioni come appresso stabilite in rapporto alla diversità di situazioni obiettive.
Zone A): L'Amministrazione comunale, qualora dimostri l'impossibilità -per
mancata disponibilità di aree idonee, ovvero per ragioni di rispetto ambientale
e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni
della zona stessa- di raggiungere le quantità minime di cui al precedente art. 3,
deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi
ed attrezzature.
Zone B): quando sia dimostrata l'impossibilità-detratti i fabbisogni comun-
que già soddisfatti- di raggiungere la predetta quantità minima di spazi su aree

244
idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti
nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi
di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pub-
blici.
Le aree che verranno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell'am-
bito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini della determinazione delle
quantità minime prescritte dallo stesso articolo, in misura doppia di quella ef-
fettiva.
Zone C): deve essere assicurata integralmente la quantità minima di spazi di
cui all'art. 3.
Nei comuni per i quali la popolazione prevista dagli strumenti urbanistici
non superi i 10 mila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in
mq. 12 dei quali mq. 4 riservati alle attrezzature scolastiche di cui alla lett. a)
dell'art. 3. La stessa disposizione si applica agli insediamenti residenziali in co-
muni con popolazione prevista superiore a 10 mila abitanti, quando trattasi di
nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi 1 mc/mq.
Quando le zone C) siano contigue o in diretto rapporto visuale con partico-
lari connotati naturali del territorio (quali coste marine, laghi, lagune, corsi d'ac-
qua importanti, nonché singolarità orografiche di rilievo) ovvero con preesi-
stenze storico - artistiche ed archeologiche, la quantità minima di spazio di cui
al punto c) del precedente art. 3 resta fissata in mq. 15: tale disposizione non si
applica quando le zone siano contigue ad attrezzature portuali di interesse na-
zionale.
Zone E): la quantità minima è stabilita in mq. 6, da riservare complessiva-
mente per le attrezzature ed i servizi di cui alle lettere a) e b) del precedente art.
3.
Zone F): gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale -quando
risulti l'esigenza di prevedere le attrezzature stesse- debbono essere previsti in
misura non inferiore a quella appresso indicata in rapporto alla popolazione
del territorio servito:
1,5 mq/abitante per le attrezzature per l'istruzione superiore all'obbligo (isti-
tuti universitari esclusi);
1 mq/abitante per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere;
15 mq/abitante per i parchi pubblici urbani e territoriali.
Art. 5.
(Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pub-
blici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi).
I rapporti massimi di cui all'art. 17 della legge n. 765, per gli insediamenti
produttivi, sono definiti come appresso:
1)nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili com-
presi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad

245
attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può
essere inferiore al 10% dell’intera superficie destinata a tali insediamenti;
2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq.
di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quan-
tità minima di 80 mq. di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà
destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765);
tale quantità per le zone A) e B) è ridotta alla metà purché siano previste ade-
guate attrezzature integrative.
Art. 6.
(Mancanza di aree disponibili).
I comuni che si trovano nell'impossibilità per mancanza di aree disponibili,
di rispettare integralmente le norme stabilite per le varie zone territoriali omo-
genee dai precedenti artt. 3, 4 e 5 debbono dimostrare tale indisponibilità anche
agli effetti dell' art. 3 lett. d) e dell'art. 5, n. 2) della legge n. 765.
Art. 7.
(Limiti di densità edilizia).
I limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omoge-
nee sono stabiliti come segue:
Zone A):
per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni con-
servative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle
preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente
prive di valore storico-artistico; per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la
densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della
zona e, in nessun caso, 5 mc/mq;
Zone B): le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione
degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di deconge-
stionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli articoli 3, 4
e 5. Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici
mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie su-
periori ai seguenti limiti:
mc/mq per comuni superiori ai 200mila abitanti;
mc/mq per comuni tra 200mila e 50mila abitanti;
mc/mq per comuni al di sotto dei 50mila abitanti.
Gli abitanti sono riferiti alla situazione del comune alla data di adozione del
piano.
Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano
il 70% delle densità preesistenti.
Zone C): i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla
combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 e di quelle di cui
agli articoli 8 e 9, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere

246
stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono
posti specifici limiti.
Zone E): è prescritta per le abitazioni la massima densità fondiaria di me 0,03
per mq.
Art. 8.
(Limiti di altezza degli edifici).
Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee
sono stabilite come segue:
Zone A):
- per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le
altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture
o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture;
- per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissi-
bili, l'altezza massima di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici
circostanti di carattere storico-artistico.
Zone B):
L'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici
preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni piano-volumetri-
che, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7.
Zone C): contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A): le altezze
massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle
degli edifici delle zone A) predette.
Edifici ricadenti in altre zone: le altezze massime sono stabilite dagli stru-
menti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati di cui al
successivo art. 9.
Art. 9.
(Limiti di distanza tra i fabbricati).
Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee
sono stabilite come segue:
Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle
intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di
costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o am-
bientale;
Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza mi-
nima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la di-
stanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto: la norma si applica anche
quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno
sviluppo superiore a mi 12.

247
Le distanze minime tra fabbricati -tra i quali siano interposte strade destinate
al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di
singoli edifici o di insediamenti, debbono corrispondere alla larghezza della
sede stradale maggiorata di:
- m 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a mi 7;
- m 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra mi 7 e mi 15;
- m 10,00 per lato, per strade di larghezza superiore a mi 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori
all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a rag-
giungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con
previsioni piano-volumetriche.
(Omissis).

248
IV - DPR 6 giugno 2001, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legi-
slative e regolamentari in materia edilizia-
Art. 2-bis.
(Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati).
1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile
con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e
alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni de-
rogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e pos-
sono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residen-
ziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai
parcheggi, nell'ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici co-
munque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree ter-
ritoriali.
((1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni
nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati
negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima
è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti
purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del vo-
lume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza mas-
sima di quest'ultimo.))
Modifica introdotta da D.L 21 giugno 2013, n. 69

Art. 3 - Definizioni degli interventi edilizi


1. Ai fini del presente testo unico si intendono per:
a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguar-
dano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli
edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti
tecnologici esistenti;
b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche neces-
sarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per
realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non
alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche
delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straor-
dinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpa-
mento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la

249
variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico ur-
banistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si
mantenga l'originaria destinazione d' uso;
c) "interventi di restauro e di risanamento conservativo", gli interventi edilizi
rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità me-
diante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipolo-
gici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ((ne consentano anche il muta-
mento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché
conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi
piani attuativi)). Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e
il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi
accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli
elementi estranei all'organismo edilizio;
d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare
gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono por-
tare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costi-
tutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricom-
presi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa vo-
lumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'a-
deguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edi-
fici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostru-
zione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo
che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legi-
slativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demo-
lizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti
costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente:
e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urba-
nistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere prece-
denti. Sono comunque da considerarsi tali:
e. 1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'am-
pliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando,
per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
e. 2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da sog-
getti diversi dal comune;
e. 3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici ser-
vizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
e. 4) l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di
ripetitori per i servizi di telecomunicazione;

250
e.5 ) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini
e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il
soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edili-
zio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di set-
tore;
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbani-
stici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle
aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino
la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio princi-
pale;
e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di
impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori
cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'e-
sistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme si-
stematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti,
degli isolati e della rete stradale.

2. Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli stru-


menti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Resta ferma la definizione
di restauro prevista dall'articolo 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.
490.

251
V - Corte Costituzionale 10 maggio 2012, n. 114
8.- Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 9,
commi 6 e 7 (recte: art. 9, comma 4, alinea 6 e 7, trattandosi dei commi 6 e 7
dell'articolo 127 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, modificato dalla
legge impugnata), nella parte in cui prevedono, ai fini dell'isolamento termico
degli edifici e dell'utilizzo dell'energia solare, la possibilità di derogare alle di-
stanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previsti
nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle di-
stanze prescritte dal codice civile.
A suo avviso, dette disposizioni, non prevedendo il rispetto delle altezze e
delle distanze di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inde-
rogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti mas-
simi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pub-
blici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osser-
vare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), contrasterebbe
con l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
8.1.- La questione è fondata.
8.2.- In linea preliminare, va osservato che i commi 6 e 7 dell'articolo 127 della
legge provinciale n. 13 del 1997, nel testo modificato dalle disposizioni impu-
gnate, così dispongono: «6. Ai fini dell'isolamento termico degli edifici già le-
galmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale
data, è possibile derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli edifici e alle
distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di at-
tuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile. 7. La Giunta
provinciale definisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione
vale come misura per l'utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tale
fine si può derogare alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché
all'indice di area coperta previsti nel piano urbanistico o nel piano di attua-
zione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile e purché la distanza
verso il confine di proprietà non sia inferiore alla metà dell'altezza della facciata
della veranda».
Successivamente alla proposizione del ricorso, l'art. 26, comma 3, della legge
provinciale n. 15 del 2011, ha nuovamente modificato tali disposizioni, così so-
stituendole: «6. Ai fini dell'isolamento termico per garantire le prestazioni ener-
getiche, definite ai sensi del comma 2, degli edifici già legalmente esistenti alla
data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data, è permesso dero-
gare nella misura massima di 20 centimetri alle distanze tra edifici, alle altezze
degli edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale
o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile,

252
salvo quanto disposto dalla normativa di attuazione della direttiva 2006/32/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa all'efficienza
degli usi finali dell'energia e i servizi. La deroga può essere esercitata nella mi-
sura massima da entrambi gli edifici confinanti. 7. La Giunta provinciale defi-
nisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione vale come mi-
sura per l'utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tal fine si può dero-
gare alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché all'indice di area
coperta previsti nel piano urbanistico, nel rispetto delle distanze prescritte dal
codice civile e purché la distanza dal confine di proprietà non sia inferiore alla
metà dell'altezza della facciata della veranda».
Dal raffronto fra le disposizioni risulta evidente che l'ultima modifica, dato
il suo carattere sostanzialmente marginale, non incide in modo significativo sul
contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, e certamente non ha conte-
nuto satisfattivo, per cui la questione va trasferita sulla nuova norma, in appli-
cazione del succitato principio di effettività della tutela costituzionale.
8.3.- La censura verte sul mancato richiamo al rispetto delle norme sulle di-
stanze fra edifici, integrative del codice civile e, in particolare, dell'art. 9 del ci-
tato D.M. n. 1444 del 1968.
In tale ambito, questa Corte ha in più occasioni precisato che le norme in
materia di distanze fra edifici costituiscono principio inderogabile che integra
la disciplina privatistica delle distanze.
In particolare, data la connessione e le interferenze tra interessi privati e in-
teressi pubblici in tema di distanze tra costruzioni, l'assetto costituzionale delle
competenze in materia di governo del territorio interferisce con la competenza
esclusiva dello Stato a fissare le distanze minime, sicché le Regioni devono eser-
citare le loro funzioni nel rispetto dei principi della legislazione statale, po-
tendo, nei limiti della ragionevolezza, fissare limiti maggiori. Le deroghe alle
distanze minime, poi, devono essere inserite in strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, poiché
la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e
quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti
isolatamente considerati (sentenza n. 232 del 2005).
Nel caso di specie, la norma in questione, attraverso il mero richiamo delle
norme del codice civile, è suscettibile di consentire l'introduzione di deroghe
particolari in grado di discostarsi dalle distanze di cui all'art. 9 del D.M. 2 aprile
1968, n. 1444, emesso ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942,
n. 1150, recante «Legge urbanistica» (introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto
1967, n. 765), avente, per giurisprudenza consolidata, un'efficacia precettiva e
inderogabile.
In quanto tali deroghe non attengono all'assetto urbanistico complessivo
delle zone di cui si verte, il mancato richiamo alle norme statali vincolanti per

253
la Provincia, determina l'illegittimità costituzionale delle relative norme per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., avendo invaso la com-
petenza statale in materia di ordinamento civile.

VI - Decreto Legislativo 4 luglio 2014, n. 102, con cui è stata recepita


la direttiva 2012/27/UE.

L'art. 14 comma 6, per le nuove costruzioni, recita:


Nel rispetto dei predetti limiti è permesso derogare, nell'ambito delle perti-
nenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle nor-
mative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle
distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprietà, alle
distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonché alle al-
tezze massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle di-
stanze minime riportate nel codice civile.
Mentre al comma 7 per i risanamenti recita
È permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei
titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai
regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle di-
stanze minime dai confini di proprietà e alle distanze minime di protezione del
nastro stradale, nella misura massima di 25 centimetri per il maggiore spessore
delle pareti verticali esterne, nonché alle altezze massime degli edifici, nella mi-
sura massima di 30 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di coper-
tura. La deroga può essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edi-
fici confinanti. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime
riportate nel codice civile.

Quindi la misura massima della deroga sarà di 25 centimetri (5 in più rispetto alla
disciplina precedente) per quanto riguarda il maggiore spessore delle pareti verticali
esterne e di 30 centimetri per il maggiore spessore degli elementi di copertura (con rife-
rimento al regime delle altezze degli immobili). Va sottolineato che tale deroga potrà
essere esercitata nella quota massima da ambedue gli edifici confinanti.

254
VII - D.L. 24 aprile 2017, n. 50 (cosiddetta “Manovrina”)
Art. 65-bis. (Modifica all'articolo 3 del testo unico di cui al decreto del Presi-
dente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)
1. All'articolo 3, comma 1, lettera c), del testo unico delle disposizioni legisla-
tive e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le parole: "ne consentano destinazioni d'uso
con essi compatibili" sono sostituite dalle seguenti: "ne consentano anche il mu-
tamento delle destinazioni d'uso purché' con tali elementi compatibili, nonché'
conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi
piani attuativi".)

VIII - D.L. 18 aprile 2019 n. 32 (Sblocca-cantieri)


Art. 5 - Norme in materia di rigenerazione urbana
1. Al fine di concorrere a indurre una drastica riduzione del consumo di suo-
lo e a favorire la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, a incentivare
la razionalizzazione di detto patrimonio edilizio, nonché a promuovere e age-
volare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni
eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti, nonché di edifici a desti-
nazione non residenziale dismessi o in via di dismissione, ovvero da rilocaliz-
zare, tenuto conto anche della necessita di favorire lo sviluppo dell'efficienza
energetica e delle fonti rinnovabili e di assicurare il miglioramento e l'adegua-
mento sismico del patrimonio edilizio esistente, anche con interventi di demo-
lizione e ricostruzione (si stabilisce):
lett. a) (lettera vuota);
lett. b) all'articolo 2-bis del testo unico di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380,
dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti commi:
Comma 1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i co-
muni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbri-
cati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio.
Comma 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, que-
st'ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente
preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime
e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza
massima di quest'ultimo.»;
lett. b-bis) le disposizioni di cui all'articolo 9, commi secondo e terzo, del
decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel
senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti
esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo
9.

255
256
INDICE ANALITICO

Abbaini; 45, 195 Api; 169


Abbattimento di un edificio Apiari; 169
appoggiato al muro comune; 111 Apicoltura; 169
Aberi - Muro divisorio; 157 Appoggio e immissione di travi e
Acqua - Deflusso naturale; 241 catene nel muro comune; 111
Aderenza imperfetta; 84 Arbusti; 148
Aderenza, nozione; 79 Ascensore esterno; 233
Aggettanti; 45 Autorimesse in deroga; 54
Alberi - Abbattimento; 163 Balcone; 49
Alberi - Azioni giudiziarie; 167 Balcone - Veduta; 219
Alberi - Distanza da muro comune; Ballatoi; 45
157 Ballatoi e scale; 189
Alberi - Estirpazione; 159 Ballatoi, scale porte - Veduta; 237
Alberi - usucapione; 155 Ballatoio; 221
Alberi - Usucapione; 156; 162 Ballatoio - Veduta; 236
Alberi - Usucapione, no; 167 Baracca; 41
Alberi a distanza non legale; 160 Bene demaniale; 94
Alberi da piantare; 149 Bombole del gas; 134; 141
Alberi di alto fusto; 148 Bovindi; 45
Alberi di non alto fusto; 148 Box; 41
Alberi e beni demaniali; 160 Camini; 45, 50, 140
Alberi e muro divisorio a dislivello; Canale artificiale; 158
153 Canale di gronda; 138 , 239
Alberi e regolamenti; 159 Canale, nozione; 147
Alberi e veduta; 156 Canalizzazioni di gronda; 61
Alberi presso strade, canali e sul Canna fumaria; 142
confine di boschi; 158 Canna fumaria - Veduta; 234
Altezza del muro; 48 Canneti; 153
Altezza del muro; 92 Capitozzare; 161
Alto fusto secondo la botanica; 155 Cappotto termico; 27
Ammasso di materiali; 141 Cariatidi; 46
Antistante; 32 Castagno; 148
Apertura di luci; 100 Cavedio; 50
Apertura di luci, muro comune; 100 Ceppaie; 163
Apertura porta finestra; 53 Ceppaie e recisione; 163
Apertura priva dei requisiti prescritti Chiosco; 41
per le luci; 197 Ciminiera; 50
Cisterna; 129, 141 Distanze per canali e fossi; 144
Cisterna gasolio; 135 Distanze per fabbriche e depositi
Codice della Strada; 40 nocivi e pericolosi; 140
Comunione dei fossi; 170 Distanze per gli alberi; 148
Comunione di alberi; 177 Distanze per l'apertura di vedute
Comunione di alberi e siepi, laterali od oblique; 223
presunzioni; 179 Distanze per pozzi, cisterne, fosse e
Comunione di siepe e alberi; 166 tubi; 129
Comunione di siepi; 175 Divieto di ripiantare alberi a distanza
Comunione e vedute; 188 non legale; 160
Comunione forzosa; 93 Edifici a dislivello; 53; 54
Comunione forzosa del muro sul Edifici non soggetti all'obbligo delle
confine; 67 distanze; 93
Concimaia; 135 Entità prediali omogenee; 106
Condominio - Veduta; 221; 237 Estirpazione; 160
Condutture elettriche e pali; 64 Falda del tetto; 239
Contrafforte di sostegno; 102 Falde del tetto; 46
Copertura di una terrazza - Veduta; Fico; 155
214 Filare; 157; 163
Cornicioni; 45, 46, 61 filare lungo il confine; 152
Costruzione del muro di cinta; 121 Finestrata; 32
Costruzione in aderenza sopra la Finestrati a dislivello; 63
verticale; 83 Fondazioni; 46
Costruzione precaria e vedute; 236 Fondi a dislivello negli abitati; 125
Costruzione iniziata; 48 Fondi finitimi, nozione; 62
Costruzione, nozione; 60 Fondo; 207
Costruzioni in aderenza; 80 Forni; 140
Costruzioni interrate; 42 Fosse di latrina o di concime; 129
Costruzioni su suolo pubblico; 53 Fosso; 170
Danno al muro cagionato dal Fosso comune; 174
comunista; 109 Fosso e confine; 173
Diritto di chiudere le luci; 203 Fosso e linea di confine; 172
Distanza delle costruzioni dalle Fosso fra fondi; 172; 173
vedute; 227 Fosso, aderenza; 83
Distanza fra fabbricati; 58 Frutti - Accesso al fondo; 168
Distanza pari ad edificio da edificare; Frutti, raccolta; 165
54 Fumaiolo; 50
Distanza per l'apertura di vedute Fumo; 142
dirette e balconi; 206 Fusto dell'albero; 155
Distanze e codice della strada; 96 Gasolio; 142
Distanze legali, muro comune; 61 grondaie; 45, 139

258
Impianti di riscaldamento; 134 Muri comune - Sopraelevazione e
Inferriata -Luci; 195 regolamenti; 119
Innalzamento del muro comune; 116 Muri di cinta; 41
Innalzamento muro comune; 119 Muri isolati; 41
Innesto immissione travi; 79 Muro a dislivello; 120
Innesto nel muro sul confine; 78 Muro canaletta; 115
Inspectio et prospectio in alienum; Muro comune - Consenso del
184 comproprietario; 120
Iesene; 45; 61 Muro comune - Demolizione e danni;
Linee elettriche; 40 114
Linee ferroviarie; 40 Muro comune - Distanze legali; 119
Lucde - Condominio; 199 Muro comune - misurazione; 99
Luce; 190, 199 Muro comune - Rialzo; 119
Luce - Muro divisorio; 199 Muro comune, demolizione; 114
Luce irregolare; 194; 195 Muro con rete metallica; 120
Luce, rete metallica; 184 Muro condominiale; 115
Lucernario; 188; 199 Muro di cinta; 85; 123
Luci e destinazione del padre di Muro di cinta - Dislivello artificiale;
famiglia; 216 126
Luci e vedute; 180 Muro di cinta - Esonero dal
Luci e vedute - Anche su parti contributo nelle spese; 127
comuni; 216 Muro di cinta a dislivello; 91
Luci e vedute - Condominio; 187 Muro di cinta a dislivello e vedute; 91
Luci e vedute - Non c'entrano con le Muro di cinta e vedute; 91
distanze fra le costruzioni; 214 muro di cinta non incide sulle
Luci irregolari su muro divisorio; 215 distanze; 56
Luci nel muro proprio o nel muro Muro di cinta -Sopraelevazione; 123
comune; 201 Muro di comune utilità; 109
Macchinari; 140 Muro di confine a dislivello; 125
Magazzini di sale; 140 Muro di edificio; 45
Mais; 154 Muro di proprietà esclusiva; 126
Materie esplodenti; 140 Muro di sostegno; 125
Materie nocive; 140 Muro di xinraDislivello artificiale; 126
Materie umide; 140 Muro divisorio - Servitù di veduta; 99
Medianza; 67 Muro divisorio - Veduta; 185, 204
Mensole; 45; 61 Muro scalettato; 83
Misura lineare; 37 Neutralizzazione di striscia
Misura radiale; 37 intermedia; 55
Misurazione delle distanze; 31 Norme antisismiche; 40
Muoro comune, demolizione e Ontano; 148
servitù; 114 Pali e Palizzata; 41, 50, 65

259
Panni stesi - stillicidio; 240 Prospetti; 180
Panorama; 188 Protendere rami sul fondo altrui; 166
Parapetto; 186 Rami e usucapione; 156
Parete finestrata; 56; 62; 194 Rampa è costruzione; 56
Parete finestrata – Distanze; 57 Rampicanti; 42
Parete finestrata – Veduta; 57 Recisione; 162
Pensilina; 46 Recisione di rami protesi e di radici;
Pergolato; 42 165
Piano di campagna; 65 Recisione e norme pubblicistiche; 167
Piano regolatore non pubblicato; 95 Rialzamento del terreno; 59
Piano regolatore non pubblicato – Rientranze, costruzione in aderenza;
Non ha valore; 76 75
Piante da frutto; 148 Riparazioni del muro comune; 107
Piante già esistenti; 151 Ripiantamento; 163
Piante rampicanti; 153 Ristrutturazione e ricostruzione; 58
Piovente muro divisorio; 106 Robinie; 148
Pluviale; 137 Scala; 45
Pluviale e sporti; 138 Scala esterna - Veduta; 237
Polloni; 161 Scarico delle acque piovane; 238
Porta finestra - Veduta; 187 Scavi temporanei; 144
Porticati; 54 Scavo estrattivo; 146
Porticato; 221 Serbatoi di gasolio; 133
Porticato - Veduta; 221 Servitù di luce irregolare; 196
Pozzi; 129 Servitù e recisione; 167
Pozzo luce; 50 Siepe artificiale o morta; 175
Presunzione di comunione del muro Siepi di alberi; 155
comune; 97 Siepi e vedute; 156; 232
Presunzione di proprietà esclusiva Siepi vive; 148
del muro divisorio; 102 Smottamenti; 147
Prevenzione; 42; 51; 63; 76 Sopraelevazione; 236
Prevenzione - Costruzione sul Sopraelevazione - Veduta; 221; 235
confine; 61 Sopraelevazione del muro di confine;
Prevenzione - parete finestrata; 63 73
Prevenzione - Aderenza prevista dal Sopraelevazioni; 54
piano regolatore; 76 Specie di finestre; 180
Prevenzione e muro comune; 52 Sporti; 57; 61; 138
Prevenzione e sopraelevazione; 53 Stalle; 140
Prevenzione, no se vi è terreno Stillicidio; 238
intermedio altrui; 75 Stillicidio - Danni; 241
Prevenzione, sì per distanza da Stillicidio - Tetto; 241
fabbricato a fabbricato; 75 Strada pubblica; 94

260
Strada pubblica - Distanza tra diverso; 55
fabbricati; 93 Veduta, nozione; 95; 185
Strada pubblica - Riduzione in Veduta, requisiti; 184
pristino; 94 Veduta - Finestra alta; 186
Strada pubblica - Vedute; 218; 220 Veduta - Muretto di parapetto; 189
Strada pubblica e vedute; 93 Veduta - Requisiti generali; 187
Strada pubblica intermedia; 58 Veduta - Servitù concessa
Strada pubblica, nozione; 94 verbalmente; 215
Terrapieno; 55 Veduta - Servitù su cosa comune; 214
Terrazze; 45 Veduta - Usucapione; 185
Terreno sopraelevato; 220 Veduta diretta; 182; 235
Tetto - Veduta; 235 Veduta e dislivelli; 217
Tettoia; 46; 50; 59 Veduta e lastrico solare; 217
Torrino; 60 Veduta laterale; 182
Traliccio; 50 Veduta obliqua; 182; 220; 233; 235
Trasformazione finestra in porta Veduta retroversa; 182; 216
finestra; 216 Veduta sanabile; 214
Trasformazione veduta in luce; 204 Veduta su spazi comuni; 221
Tubi - In generale; 138 Veduta trasformata in luce; 205
Tubi - Nel condominio; 136 Veduta verso il basso, pergolato; 185
Tubi acqua e gas; 133 Veduta verso il basso; 232; 234
Tubi d'acqua pura; 129 Vedute e DM 1444/1968; 215
Tubi di acqua lurida; 129 Vedute e norme regolamentari; 218
Tubi e condominio; 133 Vedute o prospetti; 180
Tubi in condominio; 137 Veranda - Veduta; 236
Tubi nel condominio; 136 Veranda in condominio; 232
Tubi per cavi elettrici; 135 Vetrata; 194
Tubi pluviali; 130 Volume tecnico; 59
Usucapione da parte di costruzione Zona sismica, no costruzioni in
abusiva; 55 aderenza; 62
Usucapione e rami; 156 Zona sismica - No aderenza; 79
Usucapione. No se l’edificio è Zone sismiche; 120

FINE

261

Potrebbero piacerti anche