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Ciriffo Calvaneo

Il documento descrive un libro digitalizzato da Google, ora di pubblico dominio, che rappresenta un patrimonio culturale e storico. Viene fornita una guida all'uso legale dei materiali di pubblico dominio, sottolineando l'importanza di non utilizzarli per fini commerciali e di rispettare le leggi sul copyright variabili da paese a paese. Inoltre, Google Ricerca Libri è presentato come uno strumento per scoprire e accedere a libri di tutto il mondo.

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PARNASO ‫د‬
‫د‬

Taliane
४४०

TERO
(Volume Sesto

MONAS
SUBLA

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Marc 6.Lali i .
oric inv.edi
h s.
Urania

VENEZIA 1841

CoTipidiGiuseppe Antonelli
Premiato di Medaglied'Oro
PARNASO ITALIANO

VI.
PARNASO

ITALIAN
VOLUME SESTO

PULCI, GIAMBULLARI, ALAMANNI


CORSINI, BOJARDO

VENEZIA
NEL PRIVILEGIATO STABILIMENTO NAZIONALE
DI G. ANTONELLI ED.
M.DCCC.LI
Non poría mai di tutti il nome dirti ;
Chè non uomini pur, ma Dei, gran parte
Empion del bosco degli ombrosi mirti,
Petr. Tr. d Amore, Cap. 1.


CIRIFFO

CALVANEO
DI

LUGA PULCI

CON L'AGGIUNTA

DI BERNARDO GIAMBULLARI

ei soli pred

peasti due vecanth


ti sitri poetic Insta

VENEZIA
GIUSEPPE ΑΝΤΟNELLI EDITORE
TIP. PREMIATO CON MEDAGLIE D'ORO

M.DCCC.XLI
B
I
B
10

SOOLAS
E

Το Φ0824641
Al Lettore

Il poema ch'io ti presento, o Lettore, fu grandemente desiderato in Italia,


dopo l'ultima edizione che fatta venne di esso nel 1618. E ben si vede che al
suo comparire fu accolto con applauso, se in brevi anni se ne fecero tredici
ristampe.
Che che ne dicano gli scrittori della Storia Letteraria d' Italia è però il
poema del Ciriffo commendevole, perchè è il maggior lavoro di Luca Pulci; per-
chè è il primo componimento di tal maniera, dopo il Buovo d'Antona e la regina
Ancroja, poemi lunghissimi e disadorni, scritti in versi scipiti ; e perchè, final-
mente, contiene quasi ad ogni ottava non solo un vocabolo od una nuova locu-
zione, ma ben anche una sentenza od un proverbio, di cui il Vocabolario della
Crusca è privo, o mancante d' esempi antichi.
Queste ragioni adunque mi mossero ad arricchire questo Parnaso del Ciriffo,
per pubblicare il quale consultai le migliori edizioni di esso, eprincipalmente quella
impressa nel 1834 in Firenze per cura del laborioso e dotto Audin, nella quale,
oltre il pregio della correzione, havvi la giunta di ventinove stanze con cui si
compì il poema dal Pulci ; certamente non conosciute dal Giambullari continua-
tor del poema.
Del qual Giambullari volli pur darti, o Lettore, la detta continuazione, ac-
ciocchè tu abbia se non il fine del romanzo come in prosa si trova, almeno quanto
fu tratto da quello da questi due verseggiatori.
E come praticai negli altri poemi in questo Parnaso compresi, volli compilare
un indice dei nomi e delle cose onde darti, o gentile che leggi, certo pegno
della premura mia nel giovarti, siccome comportano il mio qualunque ingegno e
le mie forze. Vivi felice.
FRANCESCO ZANOTTO

b
LUCA PULCI
VITA
DI

LUCAPULCI
Splendesti co' germani ai medicei
Di pura luce ; e fur soggetto ai carmi
Ciriffo, Lora, la pietà, i tornei.
F. Z
VITA
DI

LUCA PULCI

Tutti coloro che scrissero della vita e tere ed arti antiche, che ognun sa ; per la
delle opere dei tre nobilissimi fratelli fio- qual cosa, nulla avendo su questo proposito
rentini, Bernardo , Luca e Luigi Pulci, rispetto a Luca Pulci ad aggiungere, verremo
convengono in questa onorevole sentenza, ad alcuni particolari intorno agli scritti che
aver essi coll' ingegno e colle opere due di lui ci rimangono, e innanzi tratto del
grandi beneficii arrecato alle lettere italiane. suo poema il Ciriffo Calvaneo.
Il primo ed il massimo fu l' avere aiutato H Tiraboschi, il quale riputava poco at-
il magnifico Lorenzo de' Medici nella glo- to a farsi leggere il Morgante, non fa nes-
riosa impresa di ritornare la lingua italia- suna onorevole menzione del Ciriffo Calva-
na in quello onore cui sollevata l'avevano neo, e nemmeno tocca di un particolare, che
il divo Alighieri , il Petrarca ed il Boccac- qualche raggio di gloria avrebbe potuto
cío, e questo a tutti tre i fratelli Pulci è spargere sovra esso, e che fu avvertito
vanto comune; il secondo è quello di aver dal Ginguenè. Il primo è che il Ciriffo
dato all' Italia nel Morgante un genere di Galvaneo si è pure sicuramente il primo
poesia non conosciuta all'antichità, e tutta- romanzo epico apparso dopo il Buovo di
vía particolare all'Italia, e questa è gloria Antona e la regina Ancroia, i quali altro
cui solo ha diritto il minore de' tre fratel- non sono se non lunghe narrazioni di favole,
li, Luigi, checché ne abbiano taluni pen- seritte in versi cosi scipiti e pieni di tanta
sato e scritto. Dopo questo, non potrebbe stranezza che l'animo mal regge alla let-
fare se non grandissima maraviglia la scarsită tura; Ginguenè però tace come questo poe-
delle notizie che di questi, tre meritamente ma, secondo che scrissero il Quadrio e il
celebri poeti, ci rimangono, quando il Tira- Tiraboschi, od è veramente, o fu ereduto
boschi non ci avvertisse, parlando del can- in gran parte lavoro del fratello di Luca
tor di Morgante, che ciò fu perchè la con- più celebre, l'autor del Morgante. Si aggiun-
dotta loro fu privata, e solamente rivolta ge come l'autore avendo lasciato questo
agli studii. Quindi è che nessuno ci avviso Ciriffo imperfetto, Lorenzo de Medici com-
di quali genitori nati fossero, e solamente ci mise a Bernardo Giambullari di condurlo
è manifesto ch'essi appartennero ad una a termine, e questo vi aggiunse tre libri, e
delle principali famiglie di Firenze per no- così venne pubblicato da principio. Ciò mo-
biltà, perantichità e per la molta parte ch'ella stra che a quei di quel poema non era te-
ebbe nelle fiorentine vicende : solamente di
nuto in lieve riputazione quando si voglia
Luigi sappiamo perconghietture l'anno della recare ad onore di Luca Pulci la sorte co-
nascita e della morte, ma non di Bernardo mune a tutti i grandi epici di avere avuto
edi Luca; e finalmente sappiamo che tutti un continuatore , come furono Quinto Ca-
e tre vissero cari ed onorati a Lorenzo de labro ad Omero, Maffeo Veggio a Maro-
Medici, quel grande ristautatore delle let- ne, Camillo Camilli a Torquato. Aggiungi
XXV111
XXVII VITA DI LUCA PULCI

che nelle edizioni posteriori all'originale del figliuola, rimase sugli Appeunini, e fu l'origi-
Calvaneo fatta in Venezia l'anno 1535 in
ne di que' semidei che abitarono que' monti .
4.º e subitamente in quella de'Giuntidi Fi- Ivi la Driade Lora figliuola di Apollo è
renze del 1572 egualmente in 4.º si rigetta- amata dal Satiro Severeo figliuolo di Mer-
rono i tre canti del Giambullari; e furono solo curio, e corrisponde al suo amore. Diana a
ritenuti sempre i sette di Luca. Questa cir- punirnela trasfornia il Satiro in liocorno.
costanza aggiunta alle ripetute edizioni del Lora l'insegue alla caccia e lo trafigge di
poema è ad esso nuovo argomento di lode' sua mano, dopo di che è cangiato in fiume.
In ultimo non lascieremo di allegare Anton Lora la quale senza conoscerlo l'uccise lo
Francesco Grazzini detto il Lasca, il quale va chiamando per le foreste: unaninfa le fa
fa menzione del Ciriffo in una sua canzone, noto che credendo ferire un liocorno avea
dove rimprovera a Giovanni Fantini il non trafitto l'amante. Ella volge contro il pro-
aver salvato col pericolo della propria vita prio petto il dardo omicida, ed Apollo la
certo giovinetto che s'affogo in Arno, men- trasforma in rio, unendola per sempre al
tre passeggiava lungo il fiume in sua com- fiume Severeo. Ciò viene a significare che
pagnia. Con ció, egli dice, tu avresti ottenuta Lora si slancia in esso fiume, il quale scorre
la gloria di un semideo, e degli eroi più in una parte della Toscana. Ginguenė osserva
ſamosi per vicendevole amicizia. che siffatte trasformazioni erano allora assai in
O Ercole, o Tesco, voga, come lo furono anche appresso, che
Il Povero, e Ciriffo Calvanco, possono per verità aprire il campo a varie
Tito e Gisippo non pur vinto avreste, descrizioni e belle pitture, ma che il poema
Ma Pilade ed Oreste. di Luca è troppo ingombro di accessorii.
Senza negar questo difetto , osserveremo
Comunque si prendano questi versi atte-
stano pur sempre che questo poema a' suoi d'altro lato che l'argomento medesimo ac-
di godeva una fama popolare, e a' dotti non cenna nel poeta un animo inchinevole al
era ignoto. Resta a vedere quai pregi pos- patetico ed al delicato.
sa contar tuttavia perché non riesca inde- Luca Pulci è anche autore di egloghe starn-
gno della seconda parte di quella sua an- pate nel 1484, del primo volgarizzamento
tica condizione . delle Buccoliche di Virgilio, d' un altro poe-
Non fu questo però il solo poema com- ma sulla passione di Cristo, stampato in Fi-
posto da Luca Pulci : un altro ne pubblicò renze del 1490 in 4.º, nel quale pare non
abbia altro merito che di essere stato dei
col titolo Driadco d'Amore, la cui prima
edizione, dice Tiraboschi, essere quella del primi che trattarono quest' argomento, del-
1491. Questo poema dal Tiraboschi è det- le stanze per la giostra di Lorenzo de
to romanzesco al par del Calvaneo. Se per Medici, egualmente celebri per ciò solo che
genere romanzesco il Tiraboschi intendeva perdettero l'onor della vittoria al paragone
quello appunto del Furioso, lo storico nostro delle maravigliose di Agnolo Poliziano ;
finalmente di sedici Eroidi imitate da Ovi-
certo s'inganna, perchè il sommario di que-
sto poema lo mostra una cosa tutta pastora- dio, ma solo nel titolo e nell' intenzione,
le. Una Driade la quale avea tenuto dietro perchè prive di ogni colore poetico. E que-
a Cerere, mentre andava in cerca della sto è quanto ci venne fatto raccogliere di lui .

:
CIRIFTOO

DI

LUCA PULCI

CON L' AGGIUNTA

DI BERNARDO GIAMBULLARI
1

Io canterò Ciriffo Calvaneo,


Nuovi amor, nuovi casi, e nuovi versi.
C. 1, St. 1.
CIRIFFO CALVANEO

DI

LUCA PULCI

CANTO PRIMO

111

ARGOMΕΝΤΟ O sesso femminile, o sesso insano,


*** Mobile, e frale, più lieve che vento ;
Prima cagion del peccar nostro umano,
Onde supplicio ancor con gli altri sento!
Misera a me, con questa spada in mano,
Tormi la vita sventurata tento,
Nelbosco con laspada a lei lasciata Da poi che son condotta a si rea sorte,
Dal perfido Guidon, gia suo consorte, Che morir mi convien per fuggir morte.
Gravida Paliprenda e disperata IV
Lecore trova, che si vuol dar morte :
A Massima la mena sventurata, Lassa! ch'io penso, dolorosa, e miro
Ove si narran la lor dura sorte: Il grande stato, e il glorioso regno
Della mia patria, ov'io nacqui in Epiro ;
Sin che di Paliprenda il fin venuto, Pirro famoso, sopra ogni altro degno,
Di lei rimane il Pover Avveduto.
Esser di te discesa assai sospiro,
***
Che a tanta infamia e vilipendio vegno :
Deh, perché, Morte, non venivi mentre
Jo vissi casta, e non gravida il ventre.
1 V

Iocantero Ciriffo Calvaneo, Sarebbe in questa selva alcuna fera,


Ciriffo, il qual per paesi diversi Leone, o tigre, o qualche spietato orso,
Errando andó per farsi al mondo Iddeo ; Che con la bocca sua rigida e fera
Nuovi amor, nuovi casi e nuovi versi Qui m'inghiottissi, o velenoso morso ?
Porteran forse al gran Giove trofeo, O figliuol mio, non nato ancora, spera
Non pur gli Assirii , Egizii, Parti, o Persi: Aver del padre tuo qualche soccorso:
Eprestandomi il ciel qui del suo ajuto, La spada, che Guidone in man mi porse,
Comincieremo al Povero Avveduto. La via sarà, donde tu esca forse.
11 VI

E non invoco voi, sacre, che al monte Non sono a Mirra al suo dolore eguale
Scandete i versi, ove il caval Pegaso Ond' io m' avvolgo il laccio al collo, o Fille;
Fece nel sasso quel famoso fonte; Perche più arde il mio foco fatale,
Ma Vener, che d'amor colma ogni vaso, E son già presso a l'ultime faville.
Aspiri, e volga la benigna fronte, Non fa il colpo d'un arco, e d'uno strale?
Di Paliprenda al doloroso caso, Tu piangi, Deidamia, sol d' Achille :
Che sola in selva, misera e infelice, Io piango, e piangerò, e pianger deggio,
Sè stessa piange, e poi mormora, e dice : Ed ho paura ancor di pianger peggio.
3 CIRIFFO CALVANEO 4

VII XIV

O gloriosa stirpe di Nerbona, Anfilizia di Candia gloriosa


Onde é disceso il mio famoso amante, Forse è in braccio in Aringa or di colui
Di cui tanto nel mondo il grido suona, Che non t'inganna, e tien sua cara sposa.
Tosto di me sarai lieta che tante Ricordati di me, lassa, ch'io fui
Lacrime spargo in questa trista zona, Da te amata sopra ogni altra cosa :
Fuor della patria mia fuggita, errante Morte mi scaccia e spinge a' regni bui !
In una alpestre valle, e folti boschi, Or sienti esempio i miei ultimi danni ;
Dove Ecco par che sol mi riconoschi. Guarda che Folco non ti fari e inganni.
VIII XV

Guidon, se in Francia glorioso vivi, Rigida, cruda, e dolorosa spada,


O se t'è caro al mondo onore e fama, La qual Guidone in Aringa mi porse,
Se mai avvien che in questo luogo arrivi , Cagion che come Dido a morte vada ,
Di Paliprenda tua ti pasci e sfama; O di Canace prima, o Tisbe forse,
Questo fra le tue laude impressa, e scrivi : Pietosamente prego, che tu rada:
L'ossa mie non sepolte accogli, e chiama Cosi piangendo poi la mano scorse,
Le crudel fere, o fanne al manco polvere, Per darsi morte ; e, sendo ginocchione,
Indi per l'aire poi da venti volvere. To t'accomando a Dio, disse, Guidone.
IX XVI

O sventurato, o mal concetto, o reo Non era ancora il suo termine giunto,
O maledetto , o folle sponsalizio, Ch' ella dovesse il mondo abbandonare ;
O Giunon violata, o Imeneo, E come piacque a Dio , quasi in quel punto
Voi non foste presenti al vostro ufficio ! Quando volea la spada insanguinare ,
Cosife' Demofon, cosi Teseo, A caso ivi un pastore è sopraggiunto,
Così Giason, poi pianse altro supplizio ; E grido forte: Donna, che vuoi fare ?
Deli, sia di voi la maggior gloria quella Che cosa è questa, e che pazzia ti tocca ?
D'aver tradita una vil femminella : Non vo' per nulla che tu sia si sciocca.
x XVII

Or non crediate, donne, a tanti giuri, Lascia la spada, e dimmi qual follia
A tanti prieghi con lagrime sparte; T' induce a questo, o qual infernal furia:
Prima che il vostro onor si falsi, o furi, Questo non piaccia al ciel, nè vo che sia,
Fuggite i versi, e le vergate carte, Che tu faccia a te stessa, donna, ingiuria ;
Che non curan gli amanti gli spergiari. Forse che quel che non è pensi che fia
Misera, oimè, con quanta astuzia ed arte Cagion che la tua morte affretta e infuria.
Promettendo ogni Iddio, ver testimone, Cosi dicendo a lei la spada tolse,
Mi prese in Francia in Aringa Guidone ! Ond'ella irata a quel pastor si volse,
XI XVIII

Anello infisso in or, ricco topazio, E disse : O me, qual fato, o qual destino
Che mi donò per segno il mio amadore, Ti manda, o vecchio, a turbar la mia pace?
Testimon se' del non dovuto strazio, Lasciami andar al mio fatal cammino ;
Come tu fusti al nostro lieto amore : Dove son l'alme aflitte in contumace,
Se della morte mia non è quel sazio, Forse tu vien dall' infernal confino .
Volgasi al figlio lo efferato core, Il benigno pastor savio non tace:
Ch'i' voglio il corpo sparare ed aprire, Non temer, disse, io guardo qui le pecore
Onde quel possa nascere ed uscire. Palpami e tocca, i' son chiamato Lecore.
XII XIX

Io sento che nel corpo si dimena, Non so s' egli è mia grazia, o tua fortuna,
Chal nono mese son vicina e presso; Che tu sia qui cosi sola arrivata :
Forse del lamentar mio sente pena: Or nota, a questi giorni ne venne una
Parmi vederlo in terra genuflesso. Alla capanna mia si sconsolata,
Non sarò Progne cruda, o Filomena ; Che vita e morte ugual gli era importuna;
Non vo come Medea far tanto eccesso . Piangendo si dolea d'esser mai nata,
Figlio, io ti lascio solo in queste selve, Lattava il petto suo un picciol figlio,
Tu sarai cibo alle spietate belve. Ch' al faretrato Arcier to rassomiglio.
XII XX

Forse avverrà a te, come già avvenne Intesi la cagion poi del suo pianto,
A Ciro ancora, od al pastor Troiano, E porch'io l'ebbi per pietade inteso,
Che l'uno e l'altro poi famoso yenne; Io l'ho tenuta consolata tanto,
O a quel primo felice Romano. Che in parte s'è già alleggerito il peso.
Era pastor, poi il santo reguo tenne, Tutto'l di suono la zampogna, e canto,
Quel che uccise Golia non con sua mano. Il mele, e il latte liquido e rappreso
Jo son disposta una volta morire, Gli porgo spesso, e molte frutta e fiori,
Che più non posso vivere e languire . Grillande d' erbe di soavi odori .
5 6
CIRIFFO CALVANEO

XXI XXVIII

Lascia questo tuo pianto afflitto e rio, Il padre mio Alessandro di Piro,
Lascia i pensier di stati o di ricchezza ; Del sangue di quel Pirro de' Pırroti,
D'ogni cosa ringrazia e prega Iddio, Mi fece sposa del gran re di Tiro,
Che ti dia pazienzia con fortezza ; Fratel del re Tibaldo (or ſa che noti),
Forse che il ciel sarà benigno e pio, Ma nol potei veder, dond' io sospiro,
E leveratti dal core ogni asprezza : Che si mori : io feci essequie, e voti
Non manca a ognun la sua pietosa manna; Vedova sempre star, celibe, e casta,
Viene con meco ora alla mia capanna. Ma il voto senza l'opera non basta.
XXII XXIX

Pensi tu, nobil donna, per morire Io facea sacrifici alle sante are,
Acquistar grazia in cielo, o in terra fama, Io facea sempre prece, ed orazione
O qualche error commesso ricoprire, Che si dovesse a me manifestare,
Perch'io non so de' tuoi casi la trama ? Poi che in vita nol vidi, in visione ;
Perdona a me s'io erro nel mio dire, Tanto che in fine una notte m'appare,
Vieni a veder questa misera e grama, Ch' ebbe di me pietà forse Junone;
Che porta paziente ogni suo duolo, E di nuovo la fede detti a questo
Epensa or sol nutrire il suo figliuolo. Sempre in abito star vedovo onesto.
XXI XXX

Rispose al savio vecchio Paliprenda: Per questo più m'è contro il mio peccato,
Caro Pastore, io prego il Padre Eterno, Per questo mai più al mondo sarò allegra,
Che merito per me giusto ti renda; Per questo il voto è poi più violato,
Io era mossa andar giù nell' inferno, Per questo or sono a forza in vesta negra,
Or vo'venir con teco, acciò ch'io intenda Per questo ogni supplizio ho meritato,
Di quella donna i suoi casi, che ferno Per questo la mia istoria non è integra ;
Che la sia capitata ne' tuoi boschi Convien ch' io dica pur la mia tristizia:
Deh, fa, per Dio, che presto io la conoschi. Io n' andai in Candia alla bella Anfilizia .
ΧΧΙV XXXI

Disse il pastor benignamente: Aspetta, Soggiornando ivi con essa alcuno anno,
Epoi si volse e la zampogna prese, E'l re Tibaldo d' Arabia Petrea,
E suona, e tutte le pecore alletta, Da Guglielmo d' Oringa avuto danno,
Ch' eran pel bosco pascendo distese ; Che Tiborga sua sposa tolto avea,
Poi prese per la man la poveretta, Avea lasciato d'Egitto lo scanno
E in picciol tempo, destro pel paese, Con centomila armati alla mislea,
Alla sua capannetta meno quella, E posto intorno ad Oringa l'assedio
Dove si sta quell'altra meschinella. Istretto si che non v'era rimedio.
XXV XXXII

L'accoglienze che insieme si fer queste, Onde Luigi re di Francia, degno


Per discrezione i savi intenderanno, Figliuol di Carlo Magno imperadore,
E, come avvien tra le persone meste, Volse spiegar quel glorioso segno,
Mitigò l' una dell' altra l'affanno : Oro e fiamma, vessillo di splendore,
Lecore facea lor sue strane feste, Con tutte le potenze del suo regno:
E suona, e canta, come i pastor fanno, Qui mostrò la virtù, qui'l suo valore ;
Eporge del suo latte, e del suo mele E repugnando spesso tra le schiere
Conmolta carità, ch' era fedele. Tibaldo stretto andava alle bandiere ;
XXVI XXXII

Talvolta i tortolin del nido tratti E l'uno e l'altro alla battaglia ria
Portava a consolar l' afflitte e sole; In campo sempre insieme stette saldo:
Talvolta i paneruzzol, ch'egli ha fatti, Il re d' Esdram mandò di Barberia,
Che traboccan di rose e di viole ; Per aiutare il genero Tibaldo,
Talvolta portó lor bizzarri orsatti, Malducco re, con gran cavalleria,
E parmi già sentir queste parole, Famoso in arme, molto ardito e baldo:
Che l'una sventurata all' altra dica Questo al principio, nelle strelle risse,
De' casi avversi, e d'ogni sua fatica. Il re di Francia in gran paura misse.
XXVII XXXIV

E Paliprenda : O mia sorella cara, E fu costretto in Oringa serrarsi,


Tu mi costringi a rinnovare il duolo, E'l campo de' pagan si strinse intorno ;
D'addolcir forse ogni tua doglia amara, Quivi si vide uscir fuori e ritrarsi
Da far pietoso l'uno e l'altro polo. Guglielmo armato, eBeltramo ogni giorno.
Il cuor si spezza, il petto mi si spara, Pur al fine i rimedi erano scarsi,
Posa unpoco in sul fien qui il tuo figliuolo, Se non che e' venne un cavaliere adorno,
Che per pietà di me non ti cascassi, Folco, e d'Oringa entro dentro alle porte,
Che per pietà vedrai muovere i sassi. Di Fieravilla, valoroso e forte,
8
7 CIRIFFO CALVANEO

XXXV XLII

Questo giurò, dinanzi al re Luigi, Folco senti, che Anfilizia prefata


Di tor dal petto a Malducco lo scudo, Era venuta, e condotta gran gente,
Ed offerirlo in san Gianni in Parigi ; E nuovamente a Malducco sposata,
Eminacciava con animo crudo ; Candia per dote, onde e'ſu assai dolente;
E tanto, e tanto seguì i suoi vestigi, Eristrinse la gente insieme armata,
(Non so se breve o lungo io ti concludo) Emosso come folgore repente
E in qua e in là pel campo si rivolse, Ditermino passar subito il ponte,
Che quello scudo al re Malducco tolse. Ed assalire il re Tibaldo al monte.
XXXVI XLH

Onde per questo Malducco di Ramma Non meno più che cento de' suoi armati:
Si tenne tra' pagan' vituperato . Tra questi fu Guidone il mio marito,
Acceso d'ira ardeva come fiamma : Guiscardo Altimonier, e nelli aggnati
Folco ogni giorno fra le schiere armato, Passò per forza insino al nostro lito.
Come un leon per selva drietro a damma, In parte gli stendardi ebbe assaltati :
Tanto lo strinse e tanto l'ha infestato, E il re Maldueco già s'era fuggito.
Che e' fecion sopra del Rodano un ponte, Anfilizia sentendo il gran romore
E quel passaro e chiusonsi in un monte. Volle Folco veder, ch'ardea nel cuore.
XXXVII XLIV

Era già sparso in tutto l'universo Foleo, figliuol del valoroso Ughetto,
Del glorioso giovane la fama, Fe' riverenzia alla madonna nostra,
E vulgarmente si cantava in verso: E innanzi a lei si trasse un ricco elmetto,
Folcodi Fieravilla il ciel ti chiama. Onde la crespa chioma e bella mostra.
Questa novella venne a caso verso Or questo è quello stral, che passò il petto!
Candia, e la bella Anfilizia fe' brama Io m' accomando alla signoria vostra,
Intender le virtù di quel signore, Disse, madonna, e volse il suo destriere,
Ed accesa per ſama è del suo amore. E passa in mezzo di tutte le schiere.
XXXVIII XLV

E finse a me con simulate note : Amore il cor d' Anfilizia più infiamma,
O Paliprenda, mia diletta, io sento Come fiamma più il vento innalza sue :
Che il re Luigi Tibaldo percuote, Ella si strugge dentro a dramma a dramma ,
E stretto l'ha con sì grave tormento, Quasi di Meleagro il fuoco fue :
Che parria strano, essendo io sua nipote, Non sa chi sia più Malducco di Ramma,
Non metter presto le mie nave al vento, Pensa di Folco, e le prodezze sue,
E pe'liti cristian passare e scorrere E mandogli un messaggio, e cosi scrisse,
Con gente armate, e Tibaldo soccorrere. Che a lei segreto nel campo venisse .
XXXIX XLVI

Io n'acquisterò fama, onore, e loda Misera a me: la nostra astuzia è tale,


Per tutto il mondo: ond' io sarò più lieta . Che spesso inganna i più periti e saggi.
Chi sarà quello, adunque, che non oda Finse Anfilizia aver certo suo male,
La nostra gloria del regno di Greta? Che non potea del sol soffrire i raggi,
Non credi tu, che Tibaldo ne goda ? E in qualche selva andar voleva, in quale
O Paliprenda mia, come discreta, Fossino appresso fonte ed ombre, e faggi;
So che tu intendi, e'mi darà marito Quindi partissí, e non lontana molto
Com'io porrò nel marittimo lito. Sen gi soletta in un boschetto folto.
XL XLVII

I' son di tutta l'isola regina, Folco altresi, che all'opera era atteso ,
E'l padre mio senza figliuoli è morto, Come fu dato l'ordine fra loro,
Giovane, bella, onesta e peregrina; Venne non manco d' Anfilizia acceso,
Le navi in punto bo preparate al porto : Come fecion que' due già al gelso moro.
Di riverenza sai ch'ognun m' inchina. Guidon che gli avea seco, era sospeso,
Che debbo far ? deh, dimmi il vero seorto, Solo, e pensoso a piè d'un bello alloro ;
E rispondi benigna al mio sermone. E mi chiamo, e disse : Donna, vieni
Ond' io risposi al fine: Tu hai ragione. A star qui meco, e compagnia mi tieni .
XLI XLVIII

Ella ordino tremila cavalieri, Lassa! pel tanto suo dolce parlare,
Greci sperti nell'arme, e parte Italici, Io m'accostai , o sventurata, al loco:
E quattro mila valorosi arcieri, làn da tro E cominciò con meco a motteggiare,
Altri pedestri al modo de' Tessalici, zad Por d'amor sottraendo a poco a poco.
E trenta nave a' venti di leggieri , Vero è il proverbio, e non si può negare,
Per passar quindi poi ne' regni Galici Non metter l'esca troppo presso al foco;
Iventi, e'l mare, ogni cosa s'umilia: 4 E non tentar delle donne la fede,
Ponemmo in terra a' liti di Marsilia. Ch'ella è fallace e più che l'uom non crede.
9 CIRIFFO CALVANEO 10

XLIX LVI

Folco parti da Anfilizia, ed intesi Tibaldo in tanto a rafforzarsi attese


Come egli aveva a lei sagramentato E gatti, e grilli, e falcon facea fare.
D'abbandonar di Francia i suoi paesi : Un dì nel campo gran romor s'intese,
Amico, amante, e sposo s'era dato. E videsi in Oringa festeggiare ;
Ed io col mio Guidon partito presi La mala nuova presto fu palese,
Come e' fussi di Candia incoronato Si che per tutto s' ebbe a divulgare,
Folco, d' Epiro anch'io coronar quello, Come Guidone avea presa altra sposa:
E rinnegar Macon bugiardo e fello. Pensa s'io fui dolente ed angosciosa.
L LVII
Malducco a modo d'una cortesia Io mi volsi chiarir del vero, e come
Venne quel giorno Anfilizia a vedere, Intesi che di Folco era sorella,
(Che maladetto mille volte sia) Mi stracciai , lassa, le mie belle chiome,
Epensava la sposa possedere. E piansi un tempo di me meschinella,
Aveva seco gran cavalleria, D'aver dell'onestà mia perso il nome.
E dismontato in terra del destriere, Senza, far motto ad Anfilizia bella,
Venne a la donna, ov' era preparato Determinai pel mondo andare errando,
Un padiglione sopra gli altri ornato. E venir la mia vita consumando..
LI LVIIT

Volle toccare al principio la mano, Io ho perduto tre cose più care :


Come è usanza di marito a sposa ; La patria, dove io vivea con letizia,
Anfilizia gli fece uno atto strano, Nella qual mai più spero ritornare ;
E guardollo a traverso disdegnosa. Ma sopra tutto mi duol d'Anfilizia,
Malducco si ritrasse, a mano a mano; Che non sapea senz' essa un'ora stare;
Disse: Madonna, siate graziosa ; La terza quand'io penso alla malizia
E ben conobbe del fatto lo scorno, Di Guidon falso, e l'onestà corrotta,
E dipartissi mal contento il giorno. Per la qual son si misera or condotta.
LII LIX

Tibaldo, l'Alpatrice e l'Almansore Ora hai sentito brevemente i casi,


Quel di che giunse nel campo Amfilizia, Come donzella fui, poi venni sposa
Come color che portavan amore Del redi Tiro, e vedova rimasi,
Al re Malducco, con molta letizia, Ingannata d'amor sopra ogni cosa.
Promesso avevan di farlo il maggiore Massima allora a lei piangendo: Quasi
Di tutto il campo, e della lor milizia ; Ugualmente una croce dolorosa,
E poi che v'era Amfilizia arrivata Un peccato, una sorte ambo condanna
Gli avevan questa per donna impalmata. A condolerci in cosi vil capanna.
LIJE LX

Cosi passò alcun tempo; e intanto scrisse Io nacqui in Roma, e Massimo mio padre
Folco più volte ad Anfilizia, e messi Mi fece sposa di Lucio Fabrizio,
Mando, e sempre il suo amor gli promisse: Di cui l'opere assai furon leggiadre ;
Guidone a me, che ferma sposa stessi, Loco non ebbe il nostro sposalizio,
Ed io a lui, che di nuovo venisse, Perchè e' mori fra l'armigere squadre ;
Eche lettere più non mi scrivessi : Io feci esequie anch'io e sacrifizio,
Si che più volte poi quello a me venne, Ela sua morte piansi sopra lui ;
E le promesse sue ferme ancor tenne. Vedova, e sconsolata un tempo fui.
LIV LXI

Un di fra gli altri al campo ritornato Novecento anni poi che Gesù Cristo
Con Folco tanto furioso scorse Si fece umano, il Pontefice santo,
Che fu al padiglion nostro arrivato, Per mandar su nel ciel l' anime a Cristo,
Anfilizia a veder con meco corse; Del suo Cefas il glorioso ammanto
Etrasse fuor la spada ch'avea a lato Spiegò nel tempio, e dinunzió per Cristo
Rigida, e disse, poiché a me la porse, Solenne giubileo, devoto tanto,
Nessun mi vince, fuor che il tuo bel volto: Ch'a tutto l' universo, essendo noto,
Eperò solo a te mi dono sciolto. Gente assai venne a sotisfare al voto.
LV LXII

Cosa fu grande al pensar quel che 'l giorno Fra gli altri un degno e si gentil barone,
Fecion nell' arme i valorosi , e forti: Che fu principio a miei miseri affanni,
Egli avean sempre mille o più dintorno : Un altro Ganimede, un altro Adone,
In un momento eran feriti o morti ; Che non aveva ancor, credo, vent'anni,
Tanto che salvi al fin fecion ritorno Vi venne dalle parti d' Aquilone,
Dentro ad Oringa, e non chiuson le porti, Anzi per me dagl' infernali scanni,
Ne giorno o notte eran guardie alle mura, Ch'era figliuol del grande imperatore
Come color che non avean paura. Chedi Costantinopoli è signore.
12
11 CIRIFFO CALVANEO

LXIH LXX

Antandro il nome suo volgar si chiama: Fessi in Testaccio una caccia famosa,
E come a Roma quello fu arrivato, E in campo Mierlo a sua magnificenzia ;
Pensa, in un tratto si sparse la fama; Mostrossi ogni reliquia preziosa
E molto fu da' Romani onorato, E'l Volto santo con gran riverenzia .
Tanto che ognuno di vederlo brama : Andò per Roma veggendo ogni cosa,
E prima al Campidoglio fu menato Che ancor pur mostra della sua eccellenzia,
Con gran trionfo, ed ordinaro, intanto Contemplando i superbi alti edifizii
Ch' a visitare andasse il Padre santo. E in compagnia di lui tutti i Patrizii.
LXIV LXXI

Un giorno a san Giovanni Laterano, Fra gli altri Fabio, un mio fratel più caro,
Un nostro tempio venne a visitare Avea sempre con seco il primo a lato ;
Con gente assai, che pareva Africano, Né creder tu che mi fosse discaro,
Che il popol tutto il volse accompagnare ; Perchè chi ama è giusto che sia amato,
Io m'arrecai dalla sinistra mano E quel che piace al ciel non v'è riparo ;
Con altre donne il giovane ammirare, Quel falsoArcier, che 'l cuor m' avea furato ,
Mentre a certa basilica era intorno, Mi dette un dì sì temerario ardire,
Tanto che gli occhi un tratto si scontrorno. Ch'io cominciai cosi con Fabio a dire :
LXV LXXII

L'aspro bendato e faretrato Amore Fabio, io penso pur meco quanto onore
In mezzo a quei del giovanetto apparse, V'ha fatto, tante volte, e tanti doni
Che gittaron un lampo, uno splendore, Questo figliuol del magno imperadore :
Ch' ogni senso, ogni spirto incese ed arse, Voi non siete patrizii, degni o buoni,
E passaron per gli occhi i raggi al cuore : Non far qualche convito a quel signore:
Ogni altra cura, ogni pensiero sparse ; S'io dico troppo, io vo' che mi perdoni,
E guardando più volte il nobil viso, Che teco a sicurtà per tuo onor dico,
Giurato avrei, ch'io fussi in paradiso. Sendo costui del nostro sangue antico.
LXVI LXXIII

Io mi parti dond' io lasciai me stessa E' si parti, tu il sai pur, Costantino,


Del tempio fuor, poi con le mie compagne; Per abitar l'estremo d' Europia ,
Che la fiamma d'amor troppo ardea pressa, Dove e'fermo dello imperio il domino,
E già preso m' avea con le sue ragne; E meno de' Romani con seco copia ;
Sospesa tutta, e non parea più dessa Ora è venuto come peregrino
E sol pensava all'eccellenzie magne A riveder l'antica patria propia,
D'Antandro, come fa chi s'innamora, Questo garzon, che voi chiamate Antandro:
Che d'uno stral ferito era lui ancora. Voi mi parete Mida, e lui Alessandro.
LXVH LXXIV

Edicea: Questo è qualche spiritello, Fabio rispose: Massima io commendo


Che parla, e finge la nostra idioma, Il tuo consiglio, e parini abbi pensato
Forse Mercurio, o'l bel Pincerna è quello, Aquel ch'è il vero; e me stesso riprendo
Fuggito a Giove, e viene a veder Roma ; Che veramente ognuno é suto ingrato
E non fu Polidoro mai si bello, E, se ti par, di fuor di Roma intendo
E non ebbe Assalon si bella chioma; Averlo al nostro palazzo onorato,
Forse che 'l sole in terra è trasformato : E ordinare la casa, e le vivande,
Che mi parea quel dì nel ciel turbato. Perchè piu lieta fia la festa, e grande.
LXVIII LXXV

Ecosì Antandro passava ogni giorno, Io confirmai , e fu preso partito


Con molti seco per sollazzo e festa, Dovere Antandro in quel loco menare ;
Onestamente al mio palagio intorno; E poi ch'egli ebbe accettato l'invito,
E perch'io era con la bruna vesta, Che non si fece anche troppo pregare,
Di porpora non volle esser adorno, Fabio ordinò di subito il convito,
Ma negra apparve ogni sua sopravvesta; E molte nobil donne fe'invitare;
Teneva corte, e stato in Roma grande, E così ebbe il mal pensiero effetto
Sempre in conviti e splendide vivande. E riuscì di punto il mio concello.
LXIX LXXVI

Ferno i Romani a lui massimo onore, Io che fingevo star vedova, e trista,
Come conviensi a principi alti, illustri, Mi fu quasi per forza comandato
Sendo figliuol d'un tanto Imperadore ; Ch'io dovessi anch'io far di festa vista ;
Gli antichi giuochi Aliensi armilustri, El nero manto mi fu via levato,
Furon parati al teatro maggiore, E fatta guida a la leggiadra lista.
Come solevan ne' passati lustri ; Già era il loco, e'l tempo preparato,
In agon si faceva ogni di giostra, Dal balcon d' Oriente alzato il raggio,
Nè mai più lieta ſu la città nostra. Nella stagion del bel mese di maggio.
13 CIRIFFO CALVANEO 14

LXXVII LXXXIV

Come ordinato fu n'andammo prima Or piacessi a colui, che 'l può sol fare,
Le donne fuor delle romane mura ; Che voi volessi, donna peregrina,
Ed ordino, per far di quel più stima, Venire in Grecia con meco abitare,
Fabio, ch' a ogni cosa aveva cura, Ch'io vi farei d'ogni cosa regina!
Buffon, sollazzi , suon, cantori in rima , Ch'io veggio in voi più che in altra abbondare
Dove era un prato con fresca verdura ; Grazie, he a pochi il ciel largo destina :
E impose con le donne io quivi stessi, Cosi vi dò come sposo la fede,
E incontro al giovinetto mi facessi, E come prigionier chieggo mercede.
LXXVIII LXXXV

Giuuse il mio Antandro tanto desiato, Io mi turbai alquanto, come quella


E Fabio e molti con lui in compagnia; Che sente pur l'onor toccare in parte :
Ed io fe' quello che mi fu ordinato, Onde divenni a l'arrossir più bella,
E incontra andammo con gran leggiadria, Con certe lagrimette finte ad arte ;
E poi che fu da cavallo smontato E risposi : O me lassa, tapinella !
Molti giuochi piacevol si facia; Già son le membra del mio sposo sparte :
E tube, e sinfonie, altri stormenti, S'ei fosse vivo, Antandro, io non sarei
Facean l'aire tremar con varii accenti. Da te tentata, e in tanti oscuri omei.
LXXIX LXXXVI

Furon le mense preparate; e intanto, Dunque pensi, signor, di Roma tormi,


Con certe carolette accomodate, E nuovo sposo in Grecia, e regno darmi ?
In cerchio, un dolce, e vicendevol canto Delle donne civil vo'seguir l'ormi,
Fecion tutte le donne ammaestrate ; E in qualche parte monachetta farmi.
Antandro a ragionar meco da canto Le cose tue, sì come tu m'informi,
Si stette un poco, e con parole ornate, Credo che sieno assai maggior ; ma parmi
Voi non siete, disse, oggi in vesta negra ? Non si convenga una vil cittadina
Troppo mi piace qui vedervi allegra. Esser in Grecia si tosto regina.
LXXX LXXXVII
Forse voi avete accettato marito? Ma s'io dovessi abbandonar pur Roma,
Ed io, che intesi le parole bene, Per nuovo sposo, ne verrei ben teco
Risposi: Questo pensiero è fuggito, Acangiar vita, abito, e idioma :
Gener è fatto quel ch'era mia spene. Ma che dico io ? già nel paese greco
In questo tempo ordinossi il convito, Il degno aspetto, e la tua bella chioma
Eposti a mensa, come si conviene, Legato m'ha sì, ch'io non son più meco;
Fabio ordinò che tutte in bianche gonne E giuro per gl' Iddii di Campidoglio,
Quella mattina servissin le donne. Ch'altro marito mai che te non voglio.
LXXXI LXXXVIII

Fatto il convito, che fu in sè divino, Sorrise Antandro, e disse: Un'altra fiata


Come quel già delle nozze di Teti, Ne parleremo insieme con più agio,
Noi ce n'andammo in un fresco giardino, E festeggiato alquanto la brigata,
Per farpiù il giorno i nostri pensier lieti. Acciocchè quel non avissi disagio,
Chi si pose in su l'erba sotto un pino, Fabio ordinò la camera parata,
Chi sotto l'ombra d'allori, o d' abeti : Dove il signor si posi nel palagio,
Posossi Antandro ove correan certe acque, Come colui che il tempo ben dispensa;
Io m' accostai a lui come Amor a piacque. Poi nel giardin fece acconciar la mensa.
LXXXII LXXXIX

E cominciò di Roma a ragionare, Antandro, come giovin costumato


Di tempii, e d'edifizii e d' ogni cosa Disse la sera : Una grazia ti chieggio,
Ch' avea veduto, e quella a commendare. Fabio, se vuoi ch'io mi tenga onorato,
Benché la patria sua fosse famosa Che sien poste le donne nel lor seggio
Da potersi con Roma comparare, A seder alla mensa al luogo usato,
Pur questa parea più maravigliosa: Le qual si belle e graziose veggio ;
Laudava le reliquie, e 'l santo Volto, E perchè elle han servito cosi bene
Ma in questo parlar non stette molto. Questa mattina, or servir noi conviene.
LXXXIII XC

E seguito dopo queste parole: Fabio discreto consenti al signore,


Quel che più d' altro m' è paruto degno E si cavò la negra sopravvesta;
Il vostro volto è, madonna, che 'I sole Di porpora vestissi, anzi splendore,
Eccede in ciel nel più benigno segno ; Con gli altri giovenetti tutti in festa;
E veramente per voi non mi duole E serviron la mensa a nostro onore.
Lasciata aver la mia patria e il mio regno, Giunse la sera e parve cosa onesta
Epassato assai monti, e mari, e fiumi, Tornare in Roma: ond'io nel suo partire
Per veder de' vostri occhi i sacri lumi. Mi pensai per dolor certo morire.
15 CIRIFFO CALVANEO 16

XCI XCVIII
Esendo Antandro in Roma ritornato Tra santo Angelo, il Cavo, e Spartivento,
Con l'altre donne insieme mi rimasi : Passato il golfo, trovammo Modone,
E combattea con la ragione a lato E poi nell' Arcipelago là drento
Il senso in mezzo agli amorosi casi ; Sempre infino al calcese l'artimone,
E di seriver più volte ebbi tentato, Con fresco mare, e in fil di ruota il vento;
E cominciai, poi le lettere rasi Dipoi in un tratto si misse Aquilone,
Quando pensai di fidarmi d'un messo, E cominciò a soffiar, tal che fa forza
E così il mio pensier cangiava spesso. Col terzuolo alfine caricar l' orza.
XCIX

Ma loi, che non minore il duolo avea, Venne la notte oscura e tempestosa,
Ebbe alcun mezzo, ed un breve mi scrisse Il vecchio Egeo cominció a mugghiare,
Segretamente, e quel ch'e'contenea E minacciava la nave ogni cosa ;
Per discrezion m'intendi, o quel che disse; Era proprio a veder la notte il mare
Ed io risposi, perch'ei mi scrivea, Una valle d'inferno paurosa ;
Che destramente la notte venisse: Antandro pur mi volea confortare,
O lassa, sventurata me, ch'ei venne Ma io sentiva il cuor come il mar frangere,
E nelle braccia sue mi strinse e tenne ! E del peccato mio cominciai piangere.
XCI C

Prima sposommi, io non volli altrimenti, E dicea: Lassa, s'io fossi ora in Roma
Che pur l'anima mia dannar m'increbbe; Nella mia zambra, io viverei sicura:
E mi fe'mille, giuri e sagramenti, La giustizia del ciel mi segue e doma,
Ch'altra sposa di me mai non arebbe ; Ed ho del corpo e dell'alma paura.
Ma la fede d'amor ne porta i venti. La nave getta e la stoppa e groma,
Pianse alcun quel che volle poi che l'ebbe, Per le percosse con molta giattura :
(Proverbio accomodato a pensier folli) Antandro presso la morte vedeva ,
Vedi ch'io piango ancor quel ch'io pur volli. E le commesse colpe allor piangeva.
XCIV CI

Eper far breve il mio ragionamento, Noi trascoremmo per tutti que' mari ,
Noi ci accordammo di dover partire: Che'l vento l'un con l'altro combattea ;
Jo fe' mal tosto; ora ad agio mi pento, Ed or vedemmo Pari, ora Antipari ,
E cosi tosto il parlar vo' finire : Talvolta i Colchi ove mal fe' Medea,
Una notte le vele demmo al vento, Di Pafo, e Cipri, e i suoi luoghi più cari
Però che'l tempo ci volle servire, Dove fu adorata Citerea,
Giù pel fiume del Tevere alla china, Ed Andria, e dove Lesdille si chiama,
Fin che noi fummo a largo alla marina. Dove il tempio d' Apollo ebbe gia fama.
XCV Cl

Cosi lasciai la patria, e'l mio fratello, Noi vedemmo le Smirne antiche, e'l Nilo,
Ch'io non dovevo riveder giammai , E l'isola ove fu già il Laberinto ;
E pel cammin mi confortava quello : Talvolta un vento si metteva a filo ,
Il tal paese, o isola vedrai : Ed insino a Tenedo n'ebbe sospinto;
Tu vedrai Ilion, che fu si bello, Tal volta a Scio, Corfu, Corona, o Pilo,
Edove fu rapita intenderai Dulichia, e l'alta silvestra Giacinto,
Elena, che ha di bellezza la fama, Girando in qua e in là n'andava il legno:
E'l Citri ancor dal suo nome si chiama, Parea che il cielo e'l mar ci avessi a sdegno.
XCVI CHI

Gli antichi il monte disson Citereo, E cosi molto alla fine girando,
Dove Vener già al mondo andava a caccia; Poi che tutti gli Dii furno sfogati,
Tu vedrai il mar dove mori Egeo, Dalla man destra indietro ritornando,
Nè credo che ancor Delo ti dispiaccia, Egualmente col legno faticati,
Dove dava responso Apollo Iddeo; Venimmo in certa parte capitando,
E cosi mentre il mare ebbe bonaccia, Ove mal fummo a ridosso ormeggiati ;
Per veder Ilion, per veder Delo, Quivi il vento alle Strofade ci mise,
A me parea con man toccar già il cielo. Ove arrivò il Troian figliuol d' Anchise.
XCVII CIV

Cosi passammo la crudele Scilla, E perch' io ero molto attenuata,


Dove l'acqua ritrosa par che riddi, E cosi Antandro, in terra dismontammo,
Mentre che gli era la marea tranquilla; Che la tempesta non era quietata;
quietata
Poi venimmo alla furia di Cariddi, E sotto un alto rover ce n'andammo,
E dove il grande Encelado sfavilla, Con una trabacchetta apparecchiata ;
Dove è Tifeo in Arime ancor viddi : Quivi alcun giorno un poco ci posammo,
Poi lasciato Etna col suo ardente zolfo Ma il mio Antandro non parea contento,
Dalla man destra attraversammo un golfo. Ed aspettava il mar tranquillo, e il vento.
CIRIFFO CALVANEO 18
17

CV CXIT

Credo che s'era in augurio arrecato Cosi lasciata fu quella Arianna


Del mar, ch'ancor sempre tempesta mena, Ne l'isola, la qual tu mi mostravi
O che quest' era il luogo sventarato A questi di, ma ingannato è chi inganna,
Dove mal fu condotta Filomena: Proverbio antico de' famosi savi :
O così vólle il mio tristo peccato, Ognuno al fin pur sè stesse condanna.
Che come il vento mutar vide a pena, Tului parete con volti soavi,
Determinò dar loco a'pensier bieci, Come son queste fere strane e bratte;
E ritornarsi al gran regno de' Greci . Poi son ne' Greci le malizie tatte.
CVI

Un bel gioiello, un prezioso dono, Ma, se puromi dovevi abbandonare,


Che m'avea dato, una notte mi tolse ; Dove èdel tuo figliuol qui la pietade ?
L'ultima fu: e mai non gliel perdono : Non mi dovevi gravida lasciare,
Ecosi presto amor mi prese e sciolse, E tormi prima della mia cittade,
E lasciommi alle fiere in abbandono, Dov' io pensai sol doverti onorare:
E'l padiglione, ogni cosa raccolse; Or come tigre senza umanitade
Quivi rimasi presso a la marina Lasciata m'hai qui senza cosa alcuna:
Addormentata insino aila mattina. Cosi volle mia colpa, o mia fortuna.
CVII CXIV

Io mi destai, che avea prima sognato Cosi, alquanto isfogata me stessa,


Ch'io era in mezzo a molte damigelle, Chiamave Antandro inumano, e crudele ;
Che cantavan dinterno in un bel prato ; Ma come avvien ch'una cosa par dessa,
Apersi gli occhi, il ciel vidi e le stelle, E poi in un tratto si copra o si cele,
Che 'l padiglione era sopra levato, Poi si conosce quanto più s' appressa,
E già dintorno apparite eran quelle, Vidi apparir di lontan certe vele,
Ch' annunziar le cose aflitte e grande, E in dubbio stavo, come gli interviene,
E bruttaron d'Enea già le vivande. Che l'uom non creda un desiato bene.
CVIII CXV

Era il bosco d' Arpie già tutto pieno, Era una nave d'un certo pirate,
Galate in terra, e cerchio m'avean fatto , Che veniva da Tenedo a predare :
Con volto umano, e benigno, ed ameno, E poi che più mi si fu appressato
Ma il resto tutto parea contraffatto; Mi feci sopra uno scoglio a mirare,
E'l capitano era innanzi, Cileno, Se fusse Antandro per me ritornato,
Che m' avea con gli artigli più d' un tratte Ch' ancor volesse la fede osservare ,
Graffiati i panni, e credo che tu pensi, E perdonargli ogni fallo commesso,
Che mi dovea il cor tremare e i sensi. Fin ch'io conobbi poi l'error d' appresso.
CIX CXVI

O sogno, o male augurioso loco, E vidi ben come di male affare


Opatria, o Fabio, mio caro fratello, Era la nave, ch' andava rubando:
Dove io solea star sempre in canto eingioco, Ma io, con quelle Arpie, che dovea fare,
O Antandro crudel, malvagio e fello! Che mi venian già d' appresso tirando ?
Or conosco i miei danni a poco a poco : E quel Cileno ogni cosa fedare
O figliuol mio nel corpo meschinello, Facea col fiato d' intorno gridando :
Tosto preda sarai di questi mostri Volli piuttosto stare a discrezione
Noi finirem qui insieme i giorni nostri. Dell'uom, ch'è animal che ha in se ragione.
CX CXVII

Tosto duol sentirai delle mie colpe ; E non avevo in tre giorni mangiato,
Ecosì detto mi volsi alla riva, Se non certe erbe, e con fatica, e ingegno,
Benchè e' tremavan si l'ossa alle polpe, Ch'io avea sempre quelle fere a lato.
Ch'io era quasi come semiviva : Efinalmente alla nave fei segno,
Ecome fanno le gazze a le volpe, Che intese ben com' io ebbi amattato,
Quello stormo d'uccei drieto veniva E dirizzossi alla volta mia il legno ;
Con urla, strida e spaventevol voce, E poi che gli ebbe varato il battello,
Che parean tratte delle infernal foce. S' appresso tanto, ch'io sali in su quello.
CXI CXVIII

Poi ch'io ebbi scoperta la marina, Giunto il corsal, ch'era chiamato Arguto,
Altro non vidi, che isolette e scopoli, Mi prese per la man con discrezione,
Edissi : Or va, che la crudele Erina E disse: Donna, di voi m'è incresciuto,
Venga con teco al tuo Costantinopoli : Non vo' del caso cercar la cagione :
Or fatta m'hai , qual dicevi, regina : Lodate Iddio, ch'io mi son qui abbattuto,
Cosi scrisse il Troian ne gli alti popoli Ouer farovvi per compassione,
Nella scorza, ch' ancor n'è testimone, Ch'a ognuno avvenir questo potrebbe;
Non lasciar la sua bella e vaga Enone. D' Adam siam tutti, onde di voi m' increbbe.

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19 CIRIFFO CALVANEO

CXIX CXXVI

E non guardate che pirato sia , E cosi molti giorni navicando


Preghi ciascun che il ciel gli dia buon' arte: Rividi un' altra volta Mongibello,
Ben si può gentilezza e cortesia Scilla, e Cariddi, e poi oltre passando
Usare in ogni stato, e in ogni parte; I Stromboli e Vulcano e Vulcanello,
Ed io vi giuro per la testa mia, E pel mar di Leon poi volteggiando
Se non ch'io rompa la nave e le sarte, Ci bisogno tener l'occhio al pennello,
Come sorella sarete trattata, Però che il vento alfin fu di soperchio,
E con quanta onestà puossi onorata. Che ci sospinse alle foce del Serchio.
CXX CXXVII

Ma voi savate condotta, madama, Quivi stemmo una notte ingranperiglio,


In mala parte, e tra cattive mane : Onde il padron, uomo discreto e saggio,
Quella isola le Strofade si chiama, Rispetto avendo a me gravida e al figlio,
Dove abitar non posson genti umane ; Mi pose in terra e con lieto visaggio
Non so se inteso v'avete per fama Mi disse : O nobil donna, io vi consiglio
Che Enea v'ando con le nave Troiane? Che voi pensiate del vostro viaggio ,
Certe fere crudeli hanno que' boschi Però che il cielo il mar minaccia forte,
Che ciò che toccan par arrabbi e attoschi. Non voglio esser cagion di doppia morte.
CXXI CXXVHI

La cagion che voi siate così sola, Gravida siete, io ne ſo conscienzia ,


Dico, non so, ma dove pensate ire Che insieme il figlio con voi si morrebbe,
Vi guiderò con la nave che vola. E se ciò fussi per mia negligenzia,
Ond'io risposi : La mia istoria a dire Questo peccato mi perseguirebbe;
Lunga sarebbe, e basta una parola : S'io non ho fatto a vostra riverenzia,
Io vo' cercando ov'io possa morire, Madonna, quel che debito sarebbe,
E sarei fuor di questo affanno e duolo, L'animo mio Iddio solo ha veduto :
Se non ch'io porto in corpo un mio figliuolo. Allo impossibil nessun è tenuto.
CXXII CXXIX

Dove to andrai il mio paese fia: Non si può star, madonna, in nave in agio,
La patria mía è la faniosa Esperia, Questo è proverbio anticamente detto:
Ond'io parti' con la disgrazia mia ; Chi dice navigar, dice disagio.
E s'io ho tanto mai di spazio o feria Avrei voluto per vostro rispetto
Che il mio figliuol ch'io porto nato sia, Parato aver qualche ricco palagio.
lo farò poi come gia fece Egeria, lo v'accomando a Gesù benedetto,
Se a mia morte le man non saran ponte, Che vi dia Raffael per compagnia :
In qualche parte di lagrime un fonte. Andro cercando la ventura mia.
CXXHI CXXX

Eprego te che mi pari uom discreto, Voi siete omai in paese abitato,
Per quello Iddio che ha fatto Sole e Luna , E trovarete o parente, od amico,
Che ti può fare ancor felice e lieto, Ed anche Iddio non v'avrà abbandonato.
Che tu abbi pietà di mia fortuna : Or nota, Paliprenda, quel ch'io dico,
E tuttavolta al tuo cammin va drieto . Che sempre un uom da bene in ogni stato
Di molte grazie a me basta sol' una: Riserba e tien pur del costume antico.
Questa per prima e ultima dimando, Io volea ringraziarlo, ed offerere,
Civé, l'onestà mia ti raccomando. Ma non potea le lagrime tenere.
CXXIV CXXXI

Disse il padron: Pel gran santo di Bari Ma sempre l'arò fisso inmezzo ' l cuore,
Vigiuro, o donna degna, e per santo Ermo, E si parti: io me n'andai soletta,
Nostri avvocati a perigliosi mari Sempre per boschi, d'uno in altro errore,
Ch'alle nostre tempeste sono schermo, Quando trovavo qualche capanetta,
Che non vi parrà esser tra corsari, Dove del latte mi dava un pastore ;
E in porto alcun non istarò mai fermo, E perchè lunga questa istoria ho detta,
Se il cielo o'l vento l'arà consentito, Acciò ch'io ponga una volta silenzio,
Ch'io vi porrò in Italia in qualche lito. Arrivai al fiume ch'è detto Bisenzio.
CXXV CXXXIL

Io son Arguto d' Arcadia appellato, Di sopra il fiume è un monte elevato


Edbo fatto questa arte diciotto anni, In quel paese che dicon Toscana,
Che a torto fui dal mio regno scacciato, Che il monte Calvanco è appellato,
Come ayvien per la forza de' tiranni ; Sopra il qual surge una fresca fontana,
E son di sangue generoso nato. Tra certi coriletti in un bel prato,
Non crediate, madonna, ch' io v'inganni, Degnadi Palla, o più tosto Diana :
Che bench' unnom gentil venga in bassezza, L'acqua si pronto rende e chiaro il viso,
Riserba il colpo della gentilezza. Ch'io credo in questa guardassi Narciso.
21 22
CIRIFFO CALVANEO

CXXXIII

Quindi veder si può molte contrade, Ma Paliprenda come piacque a Dio,


Quindi si vede la bella marina, Ne'nove mesi partori il figliuolo,
Ecerta degna e famosa cittade, E perchè egli era povero venuto
Fiorenza detta, dell' altre regina : Gli pose nome il Povero Avveduto.
Qui son Satiri, Fauni e Driade, CXXXIX
Ed altra specie di Ninfe caprina,
Quivi lor vita solitaria e strana
Che tutto umano il lor corpo si vede
Salvo ch'ell'hanno di capera îl piede. Tennon più mesi queste meschinelle ;
Visitavan talvolta una fontana,
CXXXIV
Quando si stavan con le pecorelle,
Io mi posai in quel monte alcun giorno, E toglievan dal dosso lor la lana,
Ch'io non sapea dove io m'andassi ancora: Facendo spesso a Lecore gonnelle,
Queste con meco si stavan d'intorno Ch'era tanto contento, e lieto, e in festa
Lamie, che il nome mi torna a mente ora; Quanto la vita a quelle era molesta.
Elatte e mele ogni di m' arrecorno, CXL
Etanto feci in quel monte dimora,
Ch' io partorii costui, e perch' io l' amo, A Paliprenda al fin certo mal prese,
Pe' monti Calvanei, Calvaneo il chiamo... Tanto ch' ella la vita abbandonoe ;
E come savia, poi che il vero intese,
CXXXV
AMassima il figlinol raccomandoe,
E poi ch'io ebbi questo mio figlinolo Che col suo latte a nutricarlo attese,
Cresciuto alquanto, abbandonai que' monti E come proprio figliuol l'allevue:
Edho cereato mezzo il nostro polo, E come tortoletta ogni or si lagna ,
Come cervia arrabbiata fiomi, o fonti, Poi che perduta avea la sua compagna.
Per veder s'io trovassi al mondo un solo, CXLI
Il qual d' Antandro mio novelle conti;
Lecore fece una fossa sotterra ,
E investigando il ver da gente molta,
Intesi nuova sposa aveva tolta. E quivi Paliprenda ha seppellita,
E poi con gli steccon d'intorno serra.
CXXXVI Cosi fini la sua misera vita. T

Io fui tentata far come fe'Progne Ecosì sempre intervien, che chi erra,
Al suo marito, e poi pietà mi tenne: La penitenza a fin non ha fuggita,
Ora hai sentite tutte mie vergogne, O vita breve, o cieca umana gente,
E come Antandro a Roma prima venne, Vanitas vanitatum veramente !
E come disse già mille menzogne, CXLI
E infino a qui ciò che di me intervenne:
E so che il lungo dir fa sempre greve, Pigliate esempio a Paliprenda, quale
Miete del tristo seme amaro frutto:
Ma non si può dir molto in tempo breve.
Non può più indrieto ritornar lo strale
CXXXVII
Sospinto un tratto: il primo error val tutto.
Ed ho pensier, come il figliuol mio fia Colui che vi par cieco, e bel con l'ale,.
Foor della infanzia, di menarlo al tempio Cieco non è, ma scelerato e brutto.
Sacrato in nome di Santa Sofia,
Vuolsi ostare al principio, ognun m'intenda,
Acciò ch'a tutto il mondo sia in esempio; Che così far non seppe Paliprenda.
O dove Antandro in altra parte sia, CXLIII
E poi del corpo mio far crudo seempio.
Or non vo'tinnovar più il mio dolore, Piangerà l'altra sventurata ancora,
Che più savie di noi già inganno amore. Massima, benchè pianto ha già molti anni,
Che ora pe' boschi soletta dimora.
CXXXVIII Deh! non sia ignun che sè medesmo inganni.
El'una e l'altra il suo ramarichio Sempre il giusto giudicio viene a ora ;
Posto in silenzio, attese a viver sulo Ma il giusto non è ignun che mai condanni:
Qual si fussi in lor fato avverso e rio, Un attimo, un sol punto è nostra vita,
Per passar tempo e mitigare il duulo; Ma la colpa mortale è infinita.
23 CIRIFFO CALVANEO 24

CANTO II

ARGOMENTO lo ricevetti te, Galvaneo mio, :

Sendo tu in questo mondo sventurato,


** Senza speranza o ricchezze, perch' io
Ebbi pietà di te male arrivato:
L'amor ch'io t'ho portato lo sa Iddio:
Tu eri dal tuo padre abbandonato,
Morto Lecore il fido e buon pastore, E la tua madre in modo era condotta,
Rimaser mesti Ciriffo e la madre Che morir si poteva in ogni grotta.
Con l'Avveduto, ed ella con amore VI

Gliammaestra e a ciascuno scopre ilpadre. La madre tua, o Pover, disperata


I giovanetti riportan onore Tra queste selve un di trovai smarrita,
Digiuochi e caccie in tra le rozze squadre; E quella spada, ch' ella t'ha lasciata,
Ma il Povero seguendo alla marina Di man gli tolsi, e rendégli la vita:
La cerva, de i corsai divien rapina. Uecider si volea come arrabbiata ,
E per dolor parea del senno uscita,
E le fatiche sue ad una ad una
Mi disse: e piansi della sua fortuna.
VII

Poi che l'età del Povero Avveduto Ma non bisogna dir molte parole:
Venne di quindici anni, valoroso Massima qui sa ben con quanta fede
Quanto altro mai fussi al mondo veduto, (La qual d'abbandonar troppo mi duole)
V'ho nutricati della mia mercede
Si mostró bello, forte e grazioso;
E Calvaneo, che insieme era cresciuto Con quella carità, che il padre suole ;
Ne' boschi, ancor già nou tenea nascoso Ed or pensava d'ogni cosa erede
Quel che tornon si può quand'è pur nostro, Lasciarvi , e tante bestie e tanti armenti,
E il vero valor sempre è alfin mostro. Che tra pastor dovessi esser contenti.
11 VIRI

Eran l'opere lor dunque conforme Io non vi potea dar città, nè imperi,
Ne' gesti, ne' costumi, e ne' sembianti, Voi m'avete ogni cosa consumato,
Si che e' parean quasi gettati in forme : Troppo avuto al donar le man leggieri
Givano insieme per le selve erranti , Quel che col mio sudor m'avea acquistato;
Quando seguivan delle fere l'orme, Ed or siete cagion ch'io mi disperi,
Quando con altri pastor dolci canti : E son per questo dolore indozzato,
Ma in tutte le loro opre si vedia Veggendomi pur vecchio, e poco sano,
Onestate, eccellenzia, e leggiadria. E non aver un cacio a che por mano.
111 IX

Tutti ipastor, che appresso erano intorno Pur come padre con affezione,
S' avean fatti costor quasi soggetti ; Ch'altro padre, meschin , non conoscete,
Onde avvenia, ch'ad un suonar di corno Vi lascerò la mia benedizione,
Correvan tutti a questi giovanetti. La mia gonnella, il tabarro, e la rete,
Cosi la fama cresceva ogni giorno : La tasca, l'arco, il barlotto, e 'l bastone,
A lor compagni donavan cavretti, La ciota, il zufol, se apparar volete,
Le capre, il latte, gli agnelli, e le pecore, Che mai volesti (e quanto ve l'ho detto)
Che per dolor alfin ne mori Lecore. La bocca porvi, per più mio dispetto.
1V X

E nel morire a sè chiamava il Povero, La madre vostra qui vi raccomando


E Calvaneo, con gli occhi già gravati ; Che come Calvaneo t'ha nutricato,
E disse: O figliuol miei, non per rimprovero, Povero, intendi , col suo latte, quando
Vero dirò, ch'io v'ho pure allevati, Tu eri al tutto al mondo abbandonato:
Pensando esser dovessi il mio ricovero, Or per ultima grazia vi domando,
Sendo i sensi per gli anni affaticati ; Che'l mio Giordan che s'è quasi allevato,
Come gli è natural, ch'ognun pur prezza Come sapete, insiem con voi piccino,
Qualche conforto nella sua vecchiezza. Abbia del pan, così Serchio e Marino.
25 CIRIFFO CALVANEO 26

XI XVII

Al corpo mio darete sepoltura, Egli arebbon ben tolto, come Achille,
Com' io detti a tua madre già, Avveduto; ' Ulisse le spade,
Fra molte cose d
Acciò che morto io non abbi paura E fatto a queste gittar poi faville.
De' lupi più, siccome ho sempre avuto. Cosi si stanno per quelle contrade,
Jo veggio apparir già la morte oscura; Abitando in capanne, in boschi, e ville:
Pregate Iddio, che m'abbi ricevuto A luogo, e tempo ſien nelle cittade,
Nel paradiso in ciel per sempiterno, Non si può giudicar prima che ' l frutto
Che 'l fistol non mi porti nello inferno. Le cose a fior: conduce il tempo tutto.
XII XIX

Cosi mori, e parve rimanere Massima un dì, tornando da cacciare


Acostor tutti abbandonati, e soli ; I giovanetti, i quai tutti affannati
E seppellito fu, ch'era dovere, S'eran posti in su l'erba a riposare,
Ecolson rosolacci, e pancaciuoli, Ed avean certi cinghiali arrecati,
E gettaion quanti possono avere, Determinó dovergli ammaestrare
Ecome al padre i semplici figliuoli De' padri , e come gli avean generati ;
Gli feccion certa tantafera intorno, E chiama il figlio e'l Povero Avveduto,
E'l me' che seppon Lecore onororno. Perché gli parve il tempo a ciò venuto.
XIII XX

Massima, ch'era rimasa soletta, E cominciò : Voi non sapete ancora,


Non sa più di costor quel che si faccia; E non m'avete domandata mai,
Non caci più, non pecorini aspetta, Di vostra stirpe: il tempo è giunto e l'ora,
Non v'è che pane, non v'è che focaccia; Povero mio, che tu la intenderai
E stassi quivi in quella capannetta, Chi sia tuo padre, in qual parte dimora;
Econfortogli a dover ire a caccia; E bench'io so che ti perturberai,
Epiange or le delizie sue di Roma, Pur fia cosi: la tua bella persona
Cosi il peccato suo l'aveva doma. Discesa è della casa di Nerbona.
XIV XXIII

Or questo è quel che Ciriffo volea: Guidone, il padre tuo, famoso tanto,
E cominció col Povero Avveduto T' ingenerò d'una donna reale:
Afar certi archi che apparato avea Poi la lasciò soletta in doglia e in pianto
Da un pastor che gli aveva veduto; Presso a Oringa, o lassa, quanto male!
Ed un turcasso di pelle ſacea, Mori qui, poveretta, e so ben quanto
E qualche strale di ſaggio pennuto; La piansi più che sorella carnale.
E cominciorno a seguitar gli stuoli Questa spada lasciommi per memoria,
Di cervi, e danii e mufi, e cavriuoli. Ch'io t'ho serbata, e raccontò l' istoria.
XV XXII

Poi parvon lor troppo vili animali, Il Povero Avveduto quando intese,
Ecominciorno con lacci e con morsi, Della sua madre tante pene e doglie,
E con li spiedi assalire i cinghiali ; E come sposa già Guidon la prese,
Poi cominciorno appiccarla con gli orsi, E ruppe fede, e ritolse altra moglie,
E far con essi battaglie mortali , Si turbo tutto, e di furor s'accese,
Ed ogni di son pe' boschi trascorsi : Però che bene ogni cosa raccoglie;
Ecome Meleagro, a quella e questa E giurò sopra l'ossa della madre,
Donano spesso delcinghial la testa. Che ne farà vendetta contra 'I padre.
XVI XXI

E si dolean che non v'era leoni, A Calvaneo poi Massima si volse


Che gli arebbon trattati come i dani, Ogni cosa per ordine narrando,
Senza temer de' morsi o degli unghioni, E come Autandro lei di Roma tolse,
E sbarrato la bocca con le mani: E che per molti mar s'ando aggirando ;
Faceano insieme cozzare i montoni, E molto a Calvaneo di questo dolse,
Ogni di pensan nuovi giuochi e strani, La morte ancor del suo padre giurando;
E coronavan quel ch'aveva vinto E fece cento mila sacramenti,
Di fior di Clizia, o narciso, o iacinto.. Che il fatto non poteva ire altrimenti.
XVII ΧΧΙV

Quando facean palestre e quando pomi; Eda quel di mai poi si rallegrorno,
Enon corron piu destri i leopardi, E l'uno e l'altro tutto era pensoso:
Nė mai parevan faticati, o domi , Il Povero Avveduto essendo un giorno
Con atti fieri, e robusti, e gagliardi : Driete ad un cervio tutto furioso,
Quando con altri pastor salti, o tomi, Il qual trovò ch' avea gittato un corno,
Quando traevan pietre, e quando dardi, E poi sotterra l'aveva nascoso,
Quando saeltan, quando fanno corni, Correndo il bosco a traverso cammina,
Quando balestra di nassi, o d'avorni. E seguitollo insino alla marina.
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27 CIRIFFO CALVANEO

XXV XXXII

E giunto appresso alla riva del mare, Era quel sasso levato su in alto,
Sendo già il Pover faticato e lasso, Tagliato intorno come una rocchetta :
E' vide il cervio nell' onde notare : Ferno al principio un furioso assalto,
Però fermossi , e riteneva il passo, Ma tristo a quel che la sua spada aspetta !
E comincio questo agurio a gustare; A molti fece nel mar fare un salto,
E per vederlo sali sopra un sasso, E questo, e quello e quell'altro giù getta,
E guarda bene ogni suo effetto fiso, Si che la furia si leva da dosso,
Tauto che fu da lui lontan diviso. Etutto il sasso di sangue ſe' rosso,
XXVI XXXHI

Poi vide a terra uscir del mare un tonno, Enon parea con quella spada certo
Che ſuggiva dinanzi a due delfini; Un pastor rozzo, un montanaro alpestro,
Né stette guari che, vinto dal sonno, Ch' era quasi allevato nel deserto :
Sopra quel sasso par che gli occhi inchini: Natura d'ogni cosa è il ver maestro;
Le cose destinate non si ponno E non era Chiron che l'abbi sperto,
Torre a' mortali i fati e gl'indovini : E fatto al giuoco della scrima destro;
Quivi dormendo il Povero Avvedato, Ma la turba di mare era soperchio,
Fortuna a'casi suoi ha provveduto. Che gli avea fatto intorno al sasso cerchio .
XXVII XXXIV

Era in quel tempo a Marsilia un tiranno, Tra questi un cavalier di Negroponte,


Epidoniffo, un uom malvagio, e rio Il qual Falcon per mare era appellato,
Pirato, e in mar faceva spesso danno; Vecchio, e ſu già di quella isola conte,
E scorso aveva ogni lito, ogni rio, Non peccator, ma proprio era il peccato,
Come i corsari spesso a robar vanno : Si fece appresso: e poi che vide in fronte
Non riconosce in ciel più santi, o Dio Il giovane, altrimenti ebbe pensato,
Nè per molto mal fare era ancor domo, Come colui, ch'a ogni cosa è concio ;
Anzi andava alla roba di tutto uomo. Edisse : Questo sarà buon pel boncio.
XXVIH XXXV

Egli arebbe rubata quella nave E cominció a gridar di lungi, e forte:


Dove Cristo a san Pier venne in aiuto, Fatevi a dietro, vilacci ribaldi !
E se vi fussi stato su le chiave, Dunque voi siete cento a dar la morte
Tolte, e poi l'oro e l'argento fonduto; Ad un garzon soletto ? state saldi !
E preso in terra l' Angel, che disse Ave, Ed accostossi con parole accorte,
Menato a fusta, e ne' ferri tenuto, E disse: Tanto il furor ti riscaldi
E spogliato Gioseppe vecchierello, Non vo', pastore; ascolta, come saggio,
Ma col baston prima scosso il mantello. Non siam venuti qua per farti oltraggio.
XXIX XXXVI

Di navi quinqueremi aveva dieci Usanza sai, che è de' navigatori


Armate, e bene a ordine ciascuna, Di porre in terra, e far talvolta prede
Di gente tutte a fare opere bieci ; Di capre, o porci , o di bufali, o tori ,
E come volse a caso la fortuna, O tor dell'acqua ove fonte si vede ;
Avendo scorso l'isola de' Greci, Ma non di far dispiacere a pastori.
.Perché la ciurma nou fussi digiuna, Non dubitar, che sopra la mia fede
Dove dormiva il Povero selvaggio, Non ti fia fatto oltraggio, o villania :
Pose in terra de' suoi per far carnaggio. Facci, se puoi, o se vuoi cortesia.
XXX XXXVI

Cheti, e chinati vanno in terra scesi, Era tutto gentil di sua natura
E giunti ov' era il Povero Avveduto, Il Povero, e Falcon parea discreto,
Che si dormia con suoi pensier sospesi, E le parole a punto ben misura,
Lo sopraggiungon cosi sprovveduto; Si che in un tratto il suo furor ſa cheto;
Eparte scorson per altri paesi, E rimise la spada alla cintura,
Dove gli avevan bestiame veduto ; E rispose benigno e mansueto:
Epreson pecor, vacche, e donne, e schiavi, Io non son qui pastor, non guardo armento,
Eritornar colla preda alle navi . Ma non è uom di me peggio contento.
XXXI XXXVIII

In questo tempo il figliuol di Guidone Disse Falcon : Tu mi pari uom gentile,


Si desto, ch' avea visto strane cose L'aspetto il mostra benigno, e soave;
Dormendo in su quel masso in visione, Se non ti fussi il mio parlare a vile,
Afßitte, spaventevol, paurose; Dimmi perchè la tua vita è sì grave,
E veggendosi intorno uno squadrone, E perché un sasso è fatto il tuo covile.
Alla spada la man subito pose, E se tu vuoi venir meco alle nave,
E cominciò a difendersi da loro, Tu vedrai un molto degno signore,
E soffia, e sbuffa come un bravo toro. Ecerto son, che ti farà onore.
29 CIRIFFO CALVANEO 30

XXXIX XLVI

Cosi assicurato, a poco a poco, Io cognobbi Guidon, sendo io Cristiano,


Falcone a ragionar si fe' più presso; Con Tibaldo a Oringa spesso in campo,
E disse: Or vedi per mutar già loco In compagnia di Foleo Candiano
Si mato fato: cosi avviene spesso. Che l'uno, e l'altro un folgore era, un vampo;
IlPoverch'era in mezzo all'acqua e 'l fuoco, Cotesta spada sempre aveva in mano :
Enon sapea qual pigliarsi lui stesso, A' colpi sao mal si trovava scampo.
Sospeso stava alle parole attento, Ela tua madre ancor, vo' che tu intenda,
Che le speranze sue vedeva al vento. Conobbi allor chiamata Paliprenda.
XL XLVII

Falcon, che gli mancava sol l'anello, Non so se inteso hai già che il re Tibaldo
Però che sempre la gioia avea seco, A Guglielmo d' Oringa mosse guerra;
Perchè sapeva ogni malizia quello, E per molti anni in campo stette saldo,
Un vecchio astuto, scalterito Greco, Per acquistare e la moglie e la terra ;
Tanto seppe ciurmare e porre orpello, Il re di Francia, di potenzia caldo,
Che il Pover disse: Io ne verrò con teco. Venne in aiuto, e, se il mio dir non erra,
Cosi n'andò dov'era Epidoniffo, Tibaldofu alla fine isconfitto,
Elasciò nelle selve il suo Giriffo. E fuggissi per mar verso l'Egitto.
XLI XLVIII

Epidoniffo, benché sia pirato, Perchè Luigi, degno imperatore,


E facci larte come si conviene Lo seguito per tutte le salse acque,
A chi giuoca alfin pur del disperato, Contutte le sue insegne a gran furore,
Parvegli questo un giovane da bene ; Vennono in Candia ove Anfilizia piacque
E Falcon molto l' avea commendato Coronar Foleo di quella signore,
Di sua prodezza, e presso a sè lo tiene, E la cagion per onestà si tarque.
E domandollo molto del suo caso, lo mi parti in quel tempo di quel lito
Come egli era suletto il di rimaso. Dove e' rimase signore e marito.
XLAI XLIX

Il Pover, poi che in nave era rinchiuso, Vidi Guidone, il tuo famoso padre,
Rispose, come savio alle parole, La sorella di Folco per isposa
Edisse: Epidoniffo, io mi ti scuso Onesta torre, e far nozze leggiadre ;
La prima cosa, e dico ch'e' mi duole Ed altra volta, alla impresa famosa,
Avere alcun de tuoi rotto oggi il muso, Col re di Francia armato fra le squadre,
Come è usanza; or sia quel ch' esser vuole, Dove fu la battaglia sanguinosa,
Qui son condotto, e però dico innanzi, Col sanguedi Maganza e di Nerbona,
Chỉ sợ ch'al vostro suon couvien, ch'io danzi. Per assediar Tibaldo in Ascalona.
XLII L

Eperchè saper tutto ti contenti, E combattuto han circa sedici anni


Ementre che tu prieghi assai comandi, Tra Oringa, e già in Candia, e in altre parti;
Sappi ch'io non son nom che guardi armenti, E l'uno all
' altro ha dato molti affanni ;
Ma son di stirpe, di nobili e grandi, lo potrei mille cose raccontarti,
Quindici anni vivato in molti stenti ; E perchè tu non creda ch'io t'inganni,
E, perchè molte lagrime qui spandi, D'un tuo fratello io vo' notizia darti,
Non ti Ga maraviglia, o s'io sospiro : D'onestà nato ancor piecol garzone,
La madre mia del sangue ſu di Piro. Che molto rassomiglia anche Guidone.
XLIV LI

Il padre mio fu di Nerbona, intendo, Il nome suo è Lione Spinetto,


Di nobil sangue chiamato Guidone ; Nell'età tua già valoroso e forte,
E, per quel che da molti ne comprendo E non è molto tempo, e' mi fu detto,
Uno uom i pregio, e d' alta condizione; Che il re di Francia lo tien seco in corte,
Edi trovarlo giorno e notte attendo E'l suo mignone è quasi il giovinetto;
Per darli merto, e giusto guiderdone E d' Ascalona sono ora alle porte,
Della mia madre, e come a traditore Ed hallo fatto Ammiraglio del mare :
Questa spada cacciargli in mezzo il core. Questo ti so di lui certo contare.
XLV LII

Falcon mentre che parla avea guardato Rispose a questo il Povero Avveduto :
La spada, e poi quel riveggendo in volto, Io ho ben caro il tuo ragionamento,
Al proprio padre l'ha raffigurato; Che mai più del fratel non ho saputo;
Onde e' divenne stupefatto molto, E si sta in festa, ed io, misero, stento :
E disse : Epidoniffo, quel c'ha dato Ma se mai il tempo l'arà conceduto,
La natura, a goun mai non sarà tolto: Che ci servissi o la fortuna o'l vento,
Costoi, nelle parole alte e leggiadre, Io priego te, signor, se t'è in piacere,
Non par degenerato dal suo padre. Che in qualche parte io lo possi vedere.
31 32
CIRIFFO CALVANEO

LIM LVAR

Epidoniffo disse : Io ti prometto, Enon contento alle predette cose,


Che, se ' l ciel ne darà tanto di spazio, Ma giungendo ancor sempre male a peggio,
Tu vedrai questo Lione Spinetto, Nel padiglione un tratto si nascose,.
Non dubitar, di ciò tu sarai sazio ; Dove Tibaldo avea posto il suo seggio:
E se 'l tuo padre hai pur tanto in dispetto, D'oro, e d'argento, e pietre preziose,
Aiuteremti di lui fare strazio; Fece alfin fascio, e disse : Io non ti veggio
E perché io t'ho già posto affezione, Mai più, Tibaldo, e chi non ha, non abbia;
Vo' che tu sia d'una nave padrone. Cosi fuggi de' Saracin la rabbia.
LIV LIX

Era Falcon de' fortunati amico ; Era in Marsilia il creder degli Iddei,
Cosi quando un vedea cadere in basso, Che non erano in Cristo battezzati,
Fatto l'arebbe ancor via più mendico, Ricetto a' tristi, scellerati, e rei.
E sopra il peso suo posto anche un sasso ; Quivi fuggian banditi e condannati,
E come io dissi, e' fa signore antico, E mori, e turchi, e marrani, e giudei ;
D'un regno, e poi per difalta fu casso, E se gli avean danar son ricettati,
Che l'isola tenea di Negroponte, Perchè il patacco sai ch'ognun umilia.
Dove e' fu natural signore e conte. Falcone adunque se n'andò a Marsilia.
LV LX

Uso si aspra e cruda signoria, Epidoniffo, in quel tempo signore,


Com'uom ribaldo, iniquo, e micidiale, Quasi il ben far negava per decreto;
Che non potè durar sua tirannia ; E però ſece a quel Falcone onore,
Tradi a morte un suo fratel carnale, E misel primo a ogni suo secreto:
E stupri , e sacrilegi, e simonia, Si che Falcon, per non pigliare errore,
Commisse un tempo, e fece molto male, Fece all'usato pur come discreto,
Che il popol si levò poi a romore, E ritrovò tutti i suoi vizii gravi.
E fuggi a forza al greco imperatore. Or com'è detto si truova alle navi .
LVI LXI

E sendo in Grecia da lui ricettato, E cominció col povero Avveduto


Ed onorato assai nella sua corte, Nella santa libidine a tentarlo;
Tento contro al signor certo trattato; E poi ch'a questo non gl' ebbe creduto,
Poi si fuggì, e fu sbandito a morte, E' si provò se voleva aiutarlo,
Divotamente Cristo rinnegato ; E mostrogli un disegno, come astuto,
Ed in Africa ando per le più corte; Che Epidoniffo si potea ingannarlo,
Fatto giudeo e poi moro divenne: Senza spade operar, ritti, o rovesci,
Quivi alcun tempo il re d' Esdram lo tenne. Levar le nave, e in mar gittarlo a' pesci.
LVII LXII

E poi gli dette de' suoi certi legni, Ecosi quando d'altra cosa ingiusta
Che potesse pigliar cristiani e schiavi ; Tentava alcuno, e che colui recusa,
E si faggi poi ne' Gallici regni, Sapea vela scambiar, l'orza e la fusta ;
Pentuto parve de' suoi eccessi gravi, Ed avea qualche malizietta o scusa,
E ritornò di Cristo a primi segni . Si che e' parea lui la persona giusta,
Il re di Francia gli dette le chiavi Quell'altro il tristo, come spesso s'usa :
D'una porta d'Oringa, ove il ribaldo Della vergogna io non dico e' l' asprezzi,
Volle darla una notte al re Tibaldo. Che come a madre egli faceva vezzi.
33
CIRIFFO CALVANEO 34

SE
MEN CANTO I

PR
OT
V
ARGOMENTO O
Aveva Antandro avuto un suo figliuolo
D'un' altra moglie, detto Costantino;
Ed ebbe un savio antico seco solo,
Che predetto gli avea, come indovino,
Benché e' non seppe annunziare il duolo ;
Massima cerca l'Avveduto, e'lduolo Madisse : O padre quanto se' meschino !
Al fin l
La morte tua col tuo figliuol t'è nata :
' ancide ; e Ciriffo trovato Cosi questa sentenza in ciel fu dala.
Ilpadre, imperador del greco stuolo,
L' ammazza; fugge a Roma, e battezzato VI

' suo falli pentito, tutto solo


De Credette Antandro al suo falso consiglio,
Vanne al sepolcro del Verbo Incarnato: E intese Costantin per la sua morte,
ElAvveduto, che pel mar travaglia, E fessi innanzi portar questo figlio,
L' armata del fratel rompe in battaglia. E disse: O fato, per te duro e forte!
Non piaccia al ciel ch'io viva in tal periglio:
なん Sopra te venga ogni malvagia sorte.
E tolse finalmente un suo coltello
E termino voler uccider quello.
VII
Or qui Falcone e'l Povero lasciamo, Era quel, che'l fanciullo avea recato,
Che vanno al modo usato corseggiando; Un fedel servo, e disse: O signor mio,
A Calvaneo dolente ritorniamo, Sarai tu mai si crudo, e scellerato ?
Il qual pe' boschi lagrimoso errando, Ch'ha fatto il figlio, o qual peccato rio
Come sovente uccel di ramo in ramo, Vuol che sia morto, e non è a pena nato?
Di monte in monte il Povero cercando, Guarda che questo non dispiaccia a Dio.
Di selva in selva, d'uno in altro loco, Non vo' con le tue man tu sia crudele :
Era di pianto e di dolor già fioco. lo parlo, signor mio, come fedele.
11
VIII

Massima la sua madre più angosciosa . Piùtosto, benchè il cor mi s'apre e'l petto,
Che di proprio figliuol, si duole e piagne, Perchè non è del proprio padre ufficio,
E come Ceres, trista e dolorosa In qualche parte me n'andrò soletto
Domandava per tutte le campagne, A far si brutto e crudo maleficio,
Senza spiar di lui mai niuna cosa : Acciò che mai non sia saputo o detto ;
E tanto andò per boschi e per montagne, Ma pensi e temi del cielo il giudicio.
Efa tanto'l dolor tenace e forte, Ond' e' rispose: Va con esso in pace,
Che in picciol tempo la condusse a morte. Uccidil pure, e in che modo ti piace.
111 IX
E Calvaneo non ha più lei, nè il Povero: Costui trovò una certa barchetta,
Fece il sepolcro alla misera madre, Ch'aveva un pover meschin marinaio;
Alato a Paliprenda sotto un rovero; E disse a quel : Tutti i tuoi remi assetta,
E termino di cerear del suo padre. Levami presto ch' io non sia il sezzaio ;
Di sedici anni è già, se ben annovero, Gente vien per pigliarmi molto in fretta.
Elascia de' pastor le rozze squadre ; E cominciò a suonar di Dio il danaio,
Eprese verso Grecia il suo cammino, Come fa il savio ne' suoi casi estremi:
Solo, e vestito come pellegrino. Si che presto a quel suon ballorno i remi.
IV X

E dopo lungo, e faticato errore, E se n'ando, e mai non ſu saputo


Dove è Costantinopoli arrivoe ; Dove il servo arrivassi o Costantino,
Vide la terra e'l grande imperatore, Dal padre; il qual, come questo ha veduto,
E stupefatto si maraviglioe ; Troppa fede prestando all'indovino,
Vide suo padre, e lo indurato core, Acciò che il caso non sia più venato
Sempre ostinato, non si rimuloe; D'altro figliuol, che'l facesse tapino,
Che stette nel proposito suo sodo Per ovviare a sue future doglie,
D'ucciderlo, o morire in ogni modo. Uccise a torto la misera moglie.
STATALS

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35 36
CIRIFFO CALVANEO

XI XVIII
Ciriffo aveva ogni cosa sentito, Ed è più tempo, ch' io n'ebbi paura.
Tanto seppe da molti investigare ; Nostro saper, sai, contra il ciel non vale;
E come il servo col figlio è fuggito, Cosi vuole il peccato o mia sciagura,
E come il savio uso pronosticare ; Forse questo sarà l'ultimo strale.
E dicea seco : E'ti verrà fallito, A mediei fu dato intanto cura,
Tu non hai ben saputo indovinare ; Che liberassin costui di quel male,
Ed or ti caccerò doppio coltello E credo adoperorno ogni loro arte,
Per vendicar mia madre, e'l mio fratello. Ma la storia noi chiama in altra parte.
XII XIX

Ora hai tu Antandro tutte le tue voglie Lasciamo Antandro a' medici in governo
Empiuto, e pensi di viver sicuro ; E Costantin, quando fia tempo a dire,
Tradita e morta l'una e l'altra moglie, Ritroveremo , e fia di fama eterno;
Occiso il figlio in quanto al tuo cor daro. Ed or di Calvaneo convien seguire,
Ma poco o nulla alla fine si toglie Che cavalcato avea la state e 'l verno,
Di quel che è dato nel tempo futuro : Tanto che s'ha in Italia a trasferire;
Tosto avverrà che piangerai te stesso, E rivide quel monte, ove già nacque,
Che la tua penitenzia è molto appresso. Ma poco dimorar quivi gli piacque.
XIII XX

Tu non pensi altro figliuolo ora avere, E scese giù dove l'acque di Severe
Ardito a venir già nella tua terra, Non trascorrendo per le fresche rive,
Per darti morte, e farti dispiacere, Con altri fiumi, che convien ricevere
E punir le tue colpe, e di poco erra. D'alpestri rivi, e di fontane vive,
Vuolsi Iddio, se non gl' uomini, temere, Per obbedire al fratel poi del Tevere :
Che sempre a tempo i suoi colpi disserra, Senti di Carlo Magno opere dive ;
Perchè giusto altrimente non sarebbe, E vide la città redificata ,
E'l ciel senza giustizia al fin cadrebbe. Fiorenza bella, da lui molto amata.
XIV XXI

Ciriffo è stato molti mesi e giorni ; Vide alfin Roma, e vide la rovina
E intese un di che Antandro andava a caccia:
De' gran palazzi e d'edifizii santi,
Vide rete, falcon, can, busne, e corni, Vide la corte e la curia divina,
E seguito del suo padre la traccia. E gran prelati sotto i ricchi ammanti,
Difficil fia, Antandro, che tu torni , Che mal seguon di Pietro la dottrina;
Che la giustizia, ch'io dissi, minaccia : Gl' Idoli antichi sparsi tutti quanti ;
Levossi un daino, e subito al romore Vide de' Fabii alcuna antica insegna ,
Antandro il seguito con gran furore. Onde discese la sua madre degna.
XY
XXII

Trascorse al fin per una selva molto, Andando al tempio un di poi di san Piero,
Tanto che fu da sua gente smarrito, Quivi senti di Cristo predicare,
E ritrovossi in luogo strano e folto; E credette, e conobbe, ch'era vero
Ma Calvaneo l'avea sempre seguito, Giò che la santa Chiesa usa cantare;
E grida: O padre, o padre, io t'ho pur colto, E inteso ben di Cristo ogni mistero
Traditor, vedi tu, non m'hai fuggito! Si volse alla sua fede battezzare
Dove è mia madre, e'l figlio poveretto ? Con l'acqua santa sopra le sue chiome ;
E lanciolli un suo dardo a mezzo il petto. Ma non muto di Calvaneo il nome.
XVI
XXIII
Turbossi Antandro, e veggendosi solo, E prima e poi dal santo Sacerdote,
Disse: Par giunto qui m'ha il mio peccato : Fe' de peccati suoi remissione,
E cadde in terra pel colpo e pel duolo; E poi che le sue colpe fece note
E Calvaneo di nuovo ebbe gridato : D'aver fatto nel padre offensione ;
Vedi, che t'ha pur morto un tuo figliuolo : Perchè il peccato è grave, quanto puole,
E poi pensando d'averlo ammazzato Costretto fu di far promissione
Piglio il cavallo, e strinse a gran furore, D'andar peregrinando umile e pio,
Tanto che gli esce della selva fuore. A visitare il sepolcro di Dio.
XVII XXIV
Fu ritrovato Antandro in su la sera, Cosi passo in Gerusalem e quiνί,
E portato al suo padre, come morto, Satisfe' al voto, e in sul monte Carmello
Che piange, e sopra di lui si dispera; Romito fessi: or qui, Calvaneo, vivi
Enon poteva ignun dargli conforto, Pentuto, umile, e mansueto agnello,
Che fra tante sue genti un sol non era, Finchè fortuna a te più lieta arrivi,
Che sappia nulla di quel caso scorto, E'l Pover trovi, e'l tuo caro fratello:
Se non che Antandro, poi passato il duolo, Noi troverem la gente di Nerbona
Gli disse : E' m'ha ferito un mio figliuolo. In tanto a campo intorno ad Ascalona.
37 CIRIFFO CALVANEO 38

XXV XXXII

Era già l'anno undecimo passato, Ed una torre in sul lito del mare,
Chel valoroso Tibaldo Arabesco Lontana dalla terra venti miglia,
Arditamente aveva repugnato Faceva il giorno e la notte guardare,
Contro a Cristian, ma il nostro re francesco Che non v'entrassi alcun della famiglia
Era d'intorno Ascalona accampato Di Duramen; e sapea tanto fare,
Con tanta gente, che gli stava fresco ! Come amor sempre la mente assottiglia,
Ed ogni di più stringeva la terra, Ch' ella faceva a questo padre credere
Come è usanza ne' casi di guerra. Giò che gli piace, e le sue voglie cedere.
XXVI XXXIII

Drento era l'Alpatrice, e l' Almansore Va largo e lungo Lionetto, e scorse


Conmolta gente del soldan d'Egitto : L'isola intorno, e giunto a quella torre,
Tibaldo avea mandato ambasciadore : Inverso mezzo giorno in modo torse,
Per ogni parte in Oriente e scritto. Ch'a suo piacer poteva in terra porre ;
Irlacon di Turchia degno signore, E passò destro, e intese il segno, e corse :
Sendo del caso di Tibaldo afflitto,. Euro soffia, e però con quel corre
Gente e danar mandava tuttavia ; Inverso Rodi, e vide che dell' orza
Cosi Desdram facea di Barberia. Epidoniffo in mar tener si sforza.
XXVII XXXIV
Malducco v'era e Cornesse da Lisse ; Falcon, che nella gabbia aveva in alto
Ed ogni giorno alla fiera battaglia Fatto salire a scoprire un nocchiere,
Ferno, o ver furno molte rosse risse. Arme, arme, grida, presto, assalto, assalto !
Folco di Candia molto si travaglia, L'armata de' Cristian si può vedere,
E infino in Candia ad Anfilizia scrisse Il Povero Avveduto prese un salto,
Che mandi spesso al campo vettovaglia ; E domandò di chi son le bandiere.
E, perchè egli era in mar certi corsari, Quel della gaggia grida ad alta voce:
Si terminò di far molti ripari. Nel campo bianco una vermiglia croce.
XXVIIJ XXXV

Al nostro franco Lione Spinetto Disse Falcone: Questo fia Lionetto,


Fu comandato che presto le navi E sotto vento siamo a mal partito ;
Del re di Francia mettesse in assetto, E, sare' buon cercar qualche ricetto,
E che scoprissi in que' mar tutti i cavi, O dare in terra dal sinistro lito,
E vadi insino a Tenedo allo stretto Che 'l vento il serve pel nostro dispetto,
E se pigliassi nessun di que' pravi , E non vorrei che gli avessi investito :
Non risparmiasse alcun, ma meni tondo, Si ch' io non so qual partito ancor piglio.
Impicchi, ed arda, e che gli metta in fondo. E così insieme fecion lor consiglio.
XXIX XXXVI

Era Cipri in quel tempo de' Pagani, Dall' altra parte Lionetto viene,
Però che 'l gran soldan di Babilonia, Vide ch'aveva Falcon sotto vento;
Tutti avea morti e cacciati i cristiani: Come colui, che l'arte intende bene,
Ed una sua nipote, Danidonia, Missesi in puuto per dar tosto drento,
ConLeone Spinetto era alle mani, E la volta diritta a costor tiene.
Di dargli regno in quella parte lonia; Or qui Falcon mostrò suo scaltrimento,
Emolte calde lettere gli serisse, E divise in due parti le sue navi,
Che con l'armata all' isola venisse. L'una alla terra, e l'altra a' venti gravi.
XXX XXXVII

Ella ardeva già tutta del suo amore, Fece un pensier quel malizioso Greco :
Che lungo tempo aveva desiato ; Quand' io sarò dal capitan diviso
E nota or qui ta ch'ascolti, lettore, Con queste navi, e da parte mi reco,
Che Lione Spinetto era chiamato Lionetto a investir farà suo avviso ;
Alcuna volta, qual fusse l'errore, S' a me quel viene accorderommi seco;
Lionetto, e cosi parea vulgato; Se verso Epidoniffo volge il viso,
E quando Lionetto noi diremo, Forse potrebbe al fin restarsi al rezzo,
Per Lione Spinetto intenderemo. Ch'io il metterò con l'altra volta in mezzo.
XXXI XXXVIII

E' s'era già d' Ascalona partito, Ebbe Lione Spinetto consiglio,
Acceso il cor di quella bella dama, Quale a investir dovea più tosto andare,
Della quale sperava esser marito ; Dove fusse più acquisto, e men periglio:
Aver di Cipri lo scettro e la fama: Alcun diceva : Investiam que'di mare,
Ma spesso avvien che 'l pensier è fallito, Sì che noi diamo a que' prima di piglio :
Credesi facil quel ch'assai si brama. Altri diceva: A me il contrario pare,
Danidonia ordinava tuttavia, Perchè e' fia con color che a terra vanno
La cosa alla città di Nicosia. Il capitano, e gli altri di più danno.
39 CIRIFFO CALVANEO 40

XXXIX XLVI

Ed hanno in mar lasciati i meschinelli, Questi serpenti presto attorcigliati


Sol per cagion che ci tengano a bada; S'erano a alcuni, onde e' gridavan forte,
Le robe e ricchi arnesi van con quelli E molti furno in modo spaventati,
Aporre in terra là 'n qualche contrada ; Che si gettorno in mar per miglior sorte.
A salvamento sarà buon di avelli; Poi fece gittar fuochi lavorati
Che'l capitan per nulla non ne vada. Ch'eran peggio aspettargli che la morte;
E così la più parte consigliorno, E Lione Spinetto già salia
E tutti a quella volta in fine andorno. Su l'altra nave in mezzo alla corsia.
XL XLVII

La prima nave Lione Spinetto, In questo tempo il Povero adirato,


Quanto più può verso i nemici sforza , Ch' ancor potuto non avea vedere
E come can maestro col cervietto, Il suo fratel, benchè avesse giurato
Si tien in su la destra un po' dell' orza ; Più volte già di fargli dispiacere,
Poi dirizzo come girfalco il petto, Poich'egli il vide si fu rimulato,
E'l becco, e l'ale, e investi con gran forza E non seppe le lagrime tenere ;
Epidoniffo, e fu si grave il pondo Vide cose mirabil fare a quello,
Dell'urto, che la nave mise in fondo. Edicea seco: Egli è pur mio fratello.
XLI XLVIII

Epidoniffo, il qual tutto era armato, Ma Lionetto ſu ſerito intanto


Non gli giovò perchè sappia notare, D'un dardo, tal che in pie si tenne a pena,
E da quel dì mai più non fu trovato: Che gli passò lo scudo tutto quanto,
Cosi fece la morte di corsare. Ch'era coperto d'osso di balena;
In tanto l'altro navil s'è affrontato, E fu portato abbasso con gran pianto,
E cominciasi i dardi adoperare, Della qual cosa il Povero ha gran pena,
E sparar prima spingarde e balestra : Che, del suo Lionetto pur gl' increbbe,
Poi con le lance, e poi arme più destra. E volentier vendicato l'arebbe .
XLII XLIX

Que'della gaggia gettan sassi e pali , Un nocchier vecchio, malizioso e saggio,


Quivi si sente d' ogni parte strida: Credendo Lionetto fusse morto,
Uno istrice par già l'arbor di strali ; E se vedendo a gran disavantaggio,
Efuoco, e morte, e carne vi si grida: Fece pensier di trovar qualche porto,
Allor Falcon, veggendo tanti mali, Perchè e' cognobbe sua morte e dannaggio;
Con seco aver la vittoria si fida; E cominciò allargarsi , come accorto ;
E come Lionetto ebbe investito Si che la nave prese alquanto foga,
Un'altra nave a quella volta è ito ; Poi scorse e sia, e l'altra banda voga.
XLIII L

Bdice: Pover mio, se tu se' franco, Come e' fu largo l'altra volta prese,
Venuto è il tempo d'acquistare onore; E per far forza a montar certo corno
Non ci può la vittoria venir manco, Aghinda in alto, e i gran remi distese,
Che'l tuo fratello ha fatto un grand' errore: Tanto che salvo si ritrasse il giorno :
Con forza strinse, ed investi nel fianco Ma Falcon quando sua malizia intese
La nave di Spinetto a gran furore ; All' altre navi si misse d'intorno:
E'l colpo fu si ponderoso e grave, E facea quel che non sare' creduto
Che mise in fondo la preſata nave. In compagnia del Povero Avveduto,
XLIV LI

Ma Lione Spinetto fu si destro , Che non trovava ove e' si posi loco :
Che all' altra nave s' appiceò al timone ; Era saltato dal furore acceso
Cosi scampò da quel caso sinestro. Su l'altre navi , e in parte acceso il foco;
Qui cominciò la nave di Falcone, E non è ignun che da lui sia difeso.
Come colui che in mar era maestro, Nave senza signor suol valer poco;
Far dalla gabbia grande offensione ; Lionello era per morto disteso,
E gettan pietre, e dardi in basso a rombo, E gente assai da basso era fuggita,
Calcina, ed olio, e acqua, e zolfi, e piombo. Cosi tutta l'armata è shigottita.
XLV LII

Già era da due parti combattuto L'ultimo fu, che i legni de' Cristiani
Si vigorosamente Lionetto, Non potendo più reggere al martoro,
Che gli avea già più che mezzo perduto Feriti e morti tutti i capitani ,
L'altro navil da lato del trinchetto : Ed arse già due navi per ristoro,
Falcone aveva seco, come astuto, Venneno in fine a Falcon nelle mani :
In certi vasi chiusi per rispetto, Si che di dieci, che n' avean costoro,
Serpenti venenosi, e quegli seaglia Una fuggi, come altra volta è detto,
Dove era più ristretta la battaglia. Inverso Cipri, e su v'è Lionetto.
41 CIRIFFO CALVANEO 42

LIII

E si perdè due navi di Falcone, Ed ordinò mille pedestri arcieri,


La prima ove fu morto il lor tiranno, Aduramen, con altra fanteria,
L'altra annego con tutte le persone : E molti armati de' suoi cavalieri,
Però non fa mai guerra senza danno. Pagani e Greci, e molta artiglieria.
Il Povero avea in se gran passione, Venne alla torre, e parvegli mestieri
Perchè di Lionetto il ver non sanno ; Di porre il campo alla sua figlia ria,
E, benché sia da lor fuggito quello, E mai di quindi non far dipartita,
Non sa se vivo o morto è il suo fratello. Che tolga a questa la torre e la vita.
LIV LXI

Fu divisa la preda finalmente ; E per ventura il Povero Avveduto,


E poi che Epidoniffo era annegato, Era in que' dì con l'armata trascorso
Falcon pur consiglio come prudente, Presso alla torre, e sendosi saputo,
Che 'l Pover capitan fusse chiamato : Perchè e'non dessi a que' drento soccorso,
E cosi s'accordò tutta la gente. Aduramen presto ebbe provveduto ;
Ognun di sua prodezza innamorato Inteso il caso, come savio, occorso,
Convien che l'ami, riverisca, e temi ; Epresentò con ricchi don l'armata,
E' cristian presi misson tutti a' remi . Si che da lui si partissi onorata.
LV LXII

Poi fece il Pover con Falcon disegno Falcon quando era tempo da tirare,
Di dover pure andare ad Ascalona, E che vedea che vi fusse guadagno,
Prima scorrer di Cipri tutto il regno, Più ch'altro destro sapeva ciuffare,
Perchè in que' mar non vi resta persona ; Si che dir si potea Falcon ciuffagno;
Avea pur fisso del padre lo sdegno, Accettò i doni , e poi fe' domandare
E piove al fin quando si spesso tuona. Aduramen, che gli par buon compagno,
Al Pover nella mente questo rugge, Cento cavalli, e cinquecento arcieri ,
ELionetto suo per mar si fugge. E fu fatto ogni cosa e volentieri.
LVI LXIII

Dopo alcun di Lionetto prefato, Dopo alcun di si parti con l'armata


Non potendo gli affanni sofferire, Com' e' promisse, e die' le vele a' venti ;
Sendo pur gravemente vulnerato, E così lascia la torre assediata,
Quasi allo estremo fu del suo morire; E dice al Pover: Or, che ti contenti,
E sendo in Cipri alla torre arrivato, Che farem noi ? dove fia nostra andata ?
Dove aspettato è con tanto desire, Solo una grazia vo' che mi consenti,
In porto surse, e come e'ſu saputo, Che non ritorni a purgar le mie colpe
Fu lietamente dentro ricevuto. Dentro Ascalona, ove abbaia la volpe.
LVII LXIV

Efugli dato a sua posta le chiavi; Io ho col re Tibaldo un odio antico:


Emise in terra parte di sua gente, Io mi diletto di veder le mura
E scritto a Danidonia i casi gravi: Sempre di fuor, tu intendi, come io dico,
Si ch'ella pianse molto amaramente, Si che l'andata non saria sicura.
E duolsi sol di lui, non delle navi: 11 re di Francia anche è poco mio amico:
Venne la notte poi celatamente, Fa che tu abbi a una cosa cura ;
Edi tempesta non ebbe paura, Per mio consiglio che non sia saputo,
Ch' Amor farebbe ogni cosa sicura. Che Guidon padre t'abbi conceputo.
LVIM LXV

Ella arebbe passato la marina, Vattene prima nel campo a Guidone,


Come fece quel semplice d' Abido : Guarda che non riconosca la spada,
Giunse alla torre presso alla mattina, Poi va a Tibaldo, e giuoca del fellone,
Dove era Lionetto, il suo cupido ; E tien con isperanza ognuno a bada,
Ed abbracciollo. O misera, e meschina, Enon creder più in Cristo che in Macone,
Tu hai già il fuoco ingrembo come Dido, Ma, come vedi me' la cosa vada,
Epensi or Lionetto sia marito, Tu gli addormenterai sotto quest' oppio:
Ed altro Adoramen, qual hai tradito. Di qua, di là, poi far si vuole a doppio.
LIX LXVI

Ma come avvien che sempre le gran cose Rispose il Pover: Caro Falcon mio
Convien che in piccol tempo sien palese, Io son disposto in Ascalona andare,
Cosi di Danidonia al fin nascose Per satisfare il voto e'l mio desio,
Nonfurle colpe; il padre tutto intese. Cioè Guidone il mio padre ammazzare :
E'l dito alla moresca al dente pose, Tu sarai sempre in questi mari, ed io
Aggiungendo parole d' ira accese; Signor ti lascio de legni e del mare ;
Egiuro con la bocca e con le mani, Ese farà bisogno, a certi segui
Di far la figlia sua mangiare a'cani. Aiuto mi darai con questi legni.
43 CIRIFFO CALVANEO 44

LXVII LXVIII

L'arme e i cavalli e qualche buon arciere Disse Falcone: Iddio ti dia ventura,
Verran con meco a provar s'io son forte ; Io sarò sempre co' legni parato ;
Io passerò per mezzo delle schiere, E infin che l'alma in questo corpo dura,
E so ch'io entrerò drento alle porte ; Non creder che mai t'abbi abbandonato:
Tu mi potrai di mar sempre vedere, Tu di' che vuoi entrar drento alle mura,
Aiutami , ti prego, insino a morte, Fa che tu abbi ben tutto pensato.
Che sempre ov'io sarò, tu sarai meco, E cosi navigando tuttavia
E ciò ch'io arò, comun sia sempre teco. Falcone inverso Ascalona ne gia .

CANTO IV

ARGOMΕΝΤΟ E come e'fusse sconfitta l'armata,


E come un certo Falcon maladetto
Gittati avea alle navi i serpenti,
E fuochi, e piombo, e mille scaltrimenti.
IV

Ad Ascalona il Pover mette in terra, EGuidon piange del suo figlio, e geme.
E il re Tibaldo soccorre assediato Il re di Francia a Guglielmo d'Oringa,
Dal re di Francia, e Folco il passo serra, Il capitano, in cui tutta sua speme
Era, ordino che la gente si stringa ;
Epiglia in mar Falcone scellerato : Che come savio d' ogni cosa teme,
Libera Lionetto d
' aspra guerra E parte in verso del mar se ne spinga,
In Cipri, da Guidone accompagnato :
Con nuova armata soccorre i Cristiani : E che si faccia un certo retroguardo
Sotto la cura del forte Guiscardo .
E'l campo forte ingrossa de' Pagani. V

幸かれ Era in quel campo Guiscardo orgoglioso ,


Fra tutti gli altri il più famoso e saggio,
Nimico di delizie o di riposo,
1
Fratel dell' onor già del suo lignaggio ;
Intanto
Intanto Aduramen aveva scritto Quel Vivian dell' argento glorioso,
Al re Tibaldo, e detto la vittoria Posesi a lito con ogni vantaggio,
Contro a' Cristiani , e il nemico sconfitto : Con arte, e disciplina, e gran ripari,
Melti Sabellion suonano a gloria : Che il porto non sia brutto di corsari.
Gran festa fece il Soldan dello Egitto , VI
E tutto l'Oriente era in baldoria;
Falcon, quale era più che scalterito,
E in ogni parte divulgato, e detto Un giorno molto furioso apparse,
Come assediato o morto è Lionetto.
E scorse destro l'uno e l'altro lito;
II
E fuste, e barche, e balenier quivi arse.
Tibaldo sempre da un' alta torre Guiscardo fu dalla furia smarrito,
Ogni giorno scoprir faceva il mare, Perchè Falcone in un tratto disparse,
E dicea pur: Or non potrei qui porre E riprese del mar la volta presto,
Questo pastor, che si fa nominare Sì che Guiscardo assicurò con questo.
Per tutto il mondo nell' arme un Ettorre ? VII

Ch'io lo farei nel mio campo onorare : Venne la notte onde di novo afferra
Io mi terrei contento alto e felice, Il porto, e' venti lo servon leggieri :
Poi che tante gran cose ognun ne dice. Varò le barche, e'l Pover mise in terra
Con que' cavalli, e con tutti gli Arcieri :
Era di poco la nave arrivata, Ed appiccossi con Guiscardo a guerra
La qual portò già Lione Spinetto ; E passò in mezzo de' suoi cavalieri ;
E la novella v'aveva arrecata, Si che in un tratto si levò il romore,
E molte cose del Povero detto; E giudicorno ben che sia il pastore.
45 CIRIFFO CALVANEO 46

VIII XIV

Armato s'era il possente Guiscardo : Il Povero la spada intanto prese,


Subito trasse alle maggiori strida , E fra nemici a gran furor si scaglia:
Con certo colonnel del suo stendardo, E in picciol tempo fe' largo il paese ;
E come il Pover veduto ebbe, grida: Gli arcieri intorno facean gran puntaglia ;
Obel pastor, se tu sarai gagliardo E tanto per lo campo si distese,
Tosto vedrassi, e di morte lo sfida: Di qua đi là come dà la battaglia,
Or sarà vendicato Lionetto, Andando sempre in verso lo stendardo,
Epoi caló la lancia in basso al petto. Che trovò in terra il misero Guiscardo.
IX XVI

Tibaldo aveva la notte saputo Era Guiscardo risentito a pena,


Di questo caso, e messo s'era in punto E'l suo caval non l'avea mai lasciato,
Per dar soccorso al Pover Avveduto, Che morde, e trae, e gran tempesta mena ;
Che non fu prima in terra quasi giunto, E se non fussi buon compagno stato,
Che fu da ogni parte conosciuto: Perchè la notte pur d'errore è piena,
Si che e' sapeva dalla torre a punto, Sare' più volte suto scalpitato
Come in porto era venuta l'armata, Da nemici e da suoi non conosciuto;
Epoi vedeva la zuffa appiccata. E in questo giunse il Povero Avveduto.
X XVIF

Or ritorniamo a Guiscardo, che sprona E gridò forte: Guiscardo orgoglioso,


Ecorrer non faceva , anzi volare , Vedi ch'io t'ho pur cavato l'orgoglio,
Un suo cavallo, e gridava : Nerbona ! Ucciderti potrei prosuntuoso,
Al Pover tempo non par da gridare, Ma non parrei gentil più com' io soglio,
Ma con gli sproni a martel forte suona, E non sarebbe anche atto glorioso,
Ecorre si che una folgore pare, Che più gloria è poter quand' io non voglio:
Tanto ch'ognun da parte sta a vedere Ma non si chiami savio, nè gentile,
Questo pastor, s'egli ha si gran potere. Chi più forte di se reputa vile.
XI XVIII

Guiscardo prima percosse allo scudo Rimonta, ch'io t'aiuto, in sul destriere;
Il Povero, e fu il colpo grave tanto, Lasciami dentro in Ascalona andare
Pel ferro acuto, temperato e crudo, Senza più repugnar, che gli è dovere,
Che lo passò, sì che il piastron gli ha infranto; E la ragion non voler ricercare:
Tento la lancia insino al petto ignudo, Che molte volte è senno di sapere
Tanto che il Pover si scontorse alquanto, Quel che vender non puossi alfin donare;
E forse accomandossi al suo Macone, Che in ogni modo son disposto ir drento.
Ma però non si spicca dell' arcione. Guiscardo volea dir ch'era contento,
XI XIX

Il Pover contra lui turbato molto, Ma in questo giunse Folco Candiano,


Con una lancia verde, e dura, e grossa, E veduto Guiscardo cosi in terra,
D'un cerro che gli avea di poco tolto, Gridò: Che vuoi tu far, pastor villano ?
Dette a Guiscardo al petto una percossa, È questa gentilezza usata in guerra ?
Che se l'avesse nella vista colto Ed abbassó la lancia, ch'avea in mano.
Non bisognava se non far la fossa; Il Pover la sua spada stringe e serra,
Gridó Guiscardo, e non s'intese scorto, Edisse: Gentilezza è la tua in Francia
Ecadde in terra a piombo come morto. Venir contra la spada con la lancia ?
XIII XX

Non era ancor trapassata la notte, Il valoroso Sir, figliuol d' Ughetto,
E però la battaglia era confusa ; A un di que' del Povero Avveduto
E molti eran caduti per le grotte, Rivoltò la sua lancia in verso il petto,
E molti avevan di fuggire scusa. E morto in terra pel colpo è caduto;
Eran meglio i ranocchi, che le botte, Edisse: Mai più ancor non mi fu detto-
Che van qui attorno come in guerra s'usa, Quel che tu di', che per vil m'hai tenuto;
Tanto che al buio il Povero Avveduto E proverotti or con la spada in mano,
Sarà come l'ortica conosciuto. Ch'io son gentile, e tu pastor villano.
XIV XXI

Eparea quando irato e furioso E in verso lui, come un leon si volse,


In qua e in là tra i can si scaglia l' orso, Alzó la spada, che è di sangue tinta,
Col brando in man già tutto sanguinoso; E sopra l'elmo del Povero colse
Folcodi Candia al romore era corso, Da tanta forza e tal furor sospinta,
E di Guiscardo il caso doloroso Che 'l Pover molto del colpo si dolse ;
Inteso, cerca di dargli soccorso; Ma la spada medesima è ripinta
Ma non sapea dove avesse a trovallo, Dalla virtù dell' elmo inverso il cielo,
Se non che riconobbe il suo cavallo.. Si che forza non ha segnarle un pelo.
47 CIRIFFO CALVANEO 48

XXII XXIX

Il Pover trasse un colpo d'ira acceso Chi è costui (il Povero dicia)
Pur sopra l'elmo al cristian Paladino: Sarebbe mai il mio padre Guidone ?
Parti il cimier, e fu di tanto peso, Un de' suoi cavalier gli rispondia ;
Che lofe risonar come un bacino; Egli è la gloria e la reputazione,
Ed a fatica si tenne sospeso, Beltram, che di Brabante ha signoria,
Che fu per traboccar giù a capo chino, E non è in Francia un si gentil barone.
E la staffa gli usci dal piè sinestro: Intanto Altimonier gli sopravvenne,
Non colpo di pastor, ma di maestro. Perchè il caval suo vola, ed ha le penne.
XXII XXX

Credo che Folco dicesse : Io mi pento Egli aveva le penne nel calcagno,
Di questa impresa, e non dicesse forte; Ma chiuso ne venia tanto veloce,
Ma dalla parte del mare spavento Che non si chiude si sparvier grifagno,
Venne, ch'uscito era fuor delle porte O falcon quando ne vien più feroce;
Tibaldo, e gia con grande assembramento, E'l suo signor, tanto famoso e magno,
E non s'udiva se non, morte, morte: Come e' fu presso grido con gran voce :
Ed era appunto l'aurora apparsa, Se' tu il pastor, ch'abbattesti Guiscardo
Quando e'si scuopre de' pagan la farsa. A tradimento come vil codardo ?
XXIV XXXI

Guglielmo con Beltramo Altimonieri Il Pover gli rispose molto ardito:


Vennono incontro al fiero re Tibaldo, Guiscardo non dirà quel che tu hai detto;
E parve in questo caso lor mestieri Intanto Altimonier l' ebbe ferito
Batter il ferro mentre ch' era caldo . Con la sua spada, e giunse in su l'elmetto,
Il re di Francia fu con gran pensieri, Onde il suo bel cimier per terra é ito,
E non istava in un concetto saldo, Ch'era con l'ale d'oro un Macometto ;
Perchè Falcone in porto è ritornato, Maravigliossi molto Altimonieri
E posto in terra al segno, ch'era dato. Ch'altro non cadde infine che 'I cimieri.
XXV XXXII

Ed assaltato aveva da una parte, Edisse: Onde ha costui tanta possanza ?


Onde a' cristian più la paura cresce, Questo pastore è per certo nom gagliardo;
Con mille astuzie, agguali, e con mille arte, lo mi credetti di fare all' usanza,
E come il lupo del bosco fuori esce: E così forse credette Guiscardo ;
Si che in un tratto le pecore ha sparte; Echieggo or dell'error mio perdonanza,
Poi fuggiva nell'acqua come il pesce, Che traditor non mi pare o codardo ;
E spesso vellovaglie avea condotte, Epreso non sare per vagabondo,
Poi le mettea nella terra la notte. Nè miglior cavalier credo abbi il mondo.
XXVI XXXIII

Il Povero era entrato nella pressa, Rizzossi in su le staffe il Pover tosto,


E con la spada sua menava a tendo. Come e' vide il cimier caduto in terra,
Tristo colui che molto se gli appressa ! Che far vendetta di questo ha disposto.
Abbatte il primo, il terzo e pria il secondo: Guarti, Beltram, che, se'l colpo non erra,
Aqual la testa insino al mento ha fessa, Sarebbe più sicuro esser discosto,
A quale aveva mezzo il capo mondo, Perchè con ambe man la spada serra,
Achi fatto l' avea balzare al rezzo, Enel calare in basso il colpo a piombo,
E chi diviso avea tutto pel mezzo. L'aria e la terra fa tremar pel rombo.
XXVII XXXIV

Era vermiglia l' onorata spada, Beltram conobbe il fero animo e crudo,
Ene venia ristretto fra gli arcieri, E terminó parar, come prudente,
Che si facean per tutto dar la strada, Il colpo, e verso il ciel volse lo scudo :
E traevano a gliocchi volentieri, Giunse la spada al capo del serpente,
Qui sopraggiunse con la sua masnada Ovver cavallo, e trovò quello igaudo,
Beltramo il valoroso Altimonieri, Si che due parte ne fe' finalmente,
E, come e' vide il Povero vicino, Che nel parar Beltram, come discreto,
Rivolse in quella parte Serpentino. Venne col petto a farsi alquanto a drieto,
XXVIII XXXV

Serpentino era un famoso corrente, Però la spada al capo die'al cavallo,


Che più veloce assai, ch'un danio corre, Il qual col suo signor cadde giu presto.
Il quale aveva capo di serpente : Disse Beltramo : Tu hai fatto fallo,
Beltramo irato con questo trascorre Uccider il caval non è onesto;
Oltrepassando via di gente in gente, E non potre' tutto il mondo pagallo,
E non vale a' suoi colpi impiastro porre ; Che mai fu corridor simile a questo :
Ma sempre si vedea dove e' cavalca Tra cavalier gentil questo non s'usa.
(Tanta era la sua furia) apric la calca. Ma il Pover fece una leggiadra scusa,
50
49 CIRIFFO CALVANEO

XXXVI XLIM

E disse: Tu facesti alla civetta, Così dicendo alla terra ha menato


E venisti assaltarmi co' serpenti ; Il Pover con onor molto solenne :
Non vo' che per caval questo si metta, Cornes Dalisse, e Malducco prefato
Io non la intendo, Beltramo, altrimenti; Con molta altra brigata incontro venne,
Ma insin ch'io smonti del destrier aspetta, E tutta la città l'ebbe onorato;
E vo' che questa scusa mi consenti, Tibaldo per la man sempre lo tenne,
Che Anibal cavalcava uno elefante, E dismontato al suo real palazzo,
Tu un serpente come te arrogante. Lo tenne in festa, in giuochi, ed in sollazzo.
XXXVII XLIV

Or come in terra Beltram fu caduto Fecionsi giostre, fecion torniamenti,


Cominciorno i Cristian tutti a fuggire: Fecion conviti , e balli alla moresca;
E intanto quivi Tibaldo è venuto, Suonavan giorno e notte gli stormenti :
Che di veder avea molto desire, Dall' altra parte la gente francesca,
Com'io già dissi, il Povero Avveduto, Guglielmo e Folco, poco eran contenti,
Innamorato del suo grande ardire, Sentendo de' Pagan la lieta tresca,
E in compagnia con seco ha l' Almansore, Ch'a totto il campo gli orecchi rintruona,
E tutti al giovinetto fanno onore. E sotto sopra par vadi Ascalona.
XXXVIII XLV

Sia benedetto, il re Tibaldo dice, Cosi passando d' uno in altro giorno,
Il di che tu arrivasti a nostri porti; Il re Luigi il consiglio ristrinse ;
Or sarà la città per te felice, E tutti i suo' baron furon d'intorno,
Or saran vendicati molti torti. Com' è usanza, e d'accordo si vinse
Quivi era già venuto l' Alpatrice, Che Folco in Candia facessi ritorno,
Etutto il campo par che si conforti. EGuidon anche alle navi gia pinse
E' cristian quasi già s'eran partiti Per nuova armata, e per ogni rispetto
Dalla battaglia, e gran parte fuggiti. In Cipri ponga, ov'era Lionetto.
XXXIX XLVI

Aveva il capitan molto riguardo Folco parti, ma con un piccol legno,


Avuto il di, come uom degno e famoso, E Guidon seco; e tanto navicava,
Che non fusse assaltato lo stendardo, Che giunse in Candia al glorioso regno,
E stelle sempre al monte pauroso ; E Anfilizia sua bella trovava ;
E poi che vide portarne Guiscardo, E in picciol tempo in mar si misse a segno,
Guiscardo umile, e non più orgoglioso, E venti navi di nuovo ordinava
E intese il caso ben d' Altimonieri, Armate, e ben corredata ciascuna,
Ispicco la battaglia volentieri. Poi die' le vele al vento o la fortuna .
XL XLVII

Ma volendo Tibaldo tornar drento, E inverso Cipri, soffiando Aquilone,


11 Pover disse: Una grazia ti chieggio: Non s'era cento miglia prolungato,
Sappi che mai non resterei contento, Che riscontro le nave di Falcone,
S'io non trascorro in sino all' altro seggio Il quale è sotto vento e male armato :
Del redi Francia, tanta voglia sento E' non veggendo a sua difensione
Di veder quel Guidone; e insin ch'il veggio Rimedio alcuno, alfine ebbe calato,
Non può nel petto il cuor quetarsi saldo : E ritrovò la beata Santina ,
Deb, sia contento a questo, o re Tibaldo. Dove il peccato arà sua disciplina.
XLI XLVIII

Tibaldo disse: O caro Pover mio, E così questo mal vissuto vecchio,
Guidon del figlio suo ha tanto affanno, Come gemma in caston, proprio qui garba.
Che me ne incresce per Macone Iddio, La bambola è commessa nel suo specchio:
Perchè di Lionetto è pur gran danno ; I marinai, chi gli pela la barba,
Ben sarà satisfatto al tuo desio, Chi fece come a Malco a l'uno orecchio,
Tu vedrai presto l'onorato scanno : Chi l'altro tira tanto che lo sharba :
Non è senno tentare oggi più guerra, Cosi schernito, e scosso ben la borra,
Ma tornar con onor drento alla terra. Fa messo in fine a basso per zavorra.
XLII XLIX

Dov'è Cornes, e di Ramma Malducco, E fece mille sacramenti Folco,


Or saren bene ogni giorno alle mani ; Come e'fia in terra ancor di farlo arare,
Non creder che di sangue io sia ristucco, E che lui stesso fia Giason a Colco,
Tu arai tempo assaltare i cristiani, S' altri non fossi che lo voglia fare ;
Che non sia teco solo un Mammalocco; Ma certo qui non manchera bifolco.
Io aspetto cavalli e capitani, E poi gli fece la vita ordinare,
Armata assai , e, non pur nello Egitto, Perchè gli sconti qualche buono scotto,
Ma in tutt' il mondo in ogni parte ho scritto. Mazzate a iosa, ed acqua, e del biscotto.

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52
51 CIRIFFO CALVANEO

L LVII

Alcun diceva metterlo in berlina , Aduramen gli parve il caso strano,


E tenerlo alle mosche ignudo al sole. Che sia cosi venuta questa armata ,
Folco tutta la ciurma più meschina E tolta gli abbi la preda di mano,
Messe ne' ferri, come far si suole ; E molto la sua gente ha biasimata,
Essendo i venti larghi alla marina Che così facil Folco Candiano
Arrivò alla torre dov'e' vuole, Entrato in una torre sia assediata;
Ed ha trovato Lione Spinetto E mal contento in fin l'impresa lascia,
Col campo intorno circondato e stretto. Chiamando la figliuola sua bagascia.
Γ.Ι LVIII

Vera cosa è che pure era guarito, Folco parti come e' vide buon vento,
E la sua Danidonia aveva appresso, E dirizzò la prua per Ascalona ;
E fatto s'era di questo marito ; E giunse in pochi giorni a salvamento,
Ma tanto Aduramen l'aveva oppresso, Dove aspetta di Francia la Corona :
Ch'egli avea preso già quasi partito E molto fu tutto il campo contento,
Di darsi a patti, o d'un coltel lui stesso, Si che per tutto per festa si suona ;
Che non potea mandar messi, nè scrivere, Ed ognon vuol veder la nuov'armata,
E non avevon più nulla da vivere. Che Folco avea di Gandia già menata.
LII LIX

Egli arebbon mangiato a gramolazzo Falcon ricognosciuto da' Gristiani,


Le chiappe che, si dice, eran di ferro; Tratto di nave, ognun gli corre addosso
Saria paruto un zucchero, un sollazzo, Come fanno alla lepre spesso i cani :
Aver talvolta ghiande pur di cerro ; E chi di qua, chi di là l'ha percosso,
E chi pareva diventato pazzo Si che condotto è tra cattive mani ;
Per fame, e furiava come un verro ; Avea, come Atteon, già tutto il dosso
E chi s'aveva mangiato le mane, Pelato, infranto, e lacerato, e morso,
E chi per rabbia abbaia come un cane. Melampo par quel che più presto è corso.
1111 LX

E Danidonia in modo era condotta, Mancava in fine alle ferite loco,


Che le sue membra, già tanto leggiadre, Perchè più spazio non v'era rimaso,
Eran più secche che impalata botta. Ch'ognun voleva straziarlo per gioco;
Or si conoscon l'opre inique e ladre, E chi volea strappare pure il naso,
D'avere l'onestà prima corrotta , Quantunque già ve ne restassi poco,
E tradito, e ingannato il caro padre; Che'l volto e'l capo era brucato e raso ;
E non aveva alla fine rimedio, E chi voleva il cuor cavare a quello :
Tanto stretto era alla torre l' assedio. Dunque la volpe è condotta al macello.
LIV LXI

Lionetto con gli altri feccion festa, Folco lo fece mettere in catena,
Che Folco era venuto ne' lor porti ; Legato al cal come un gatto mammone;
Benché pochi di lor vivi qui resta, Era d'alma dannata la sua pena,
Che quasi tutti per fame eran morti ; Che non valeva qui prego o orazione :
E Danidonia una leggiadra vesta Ognuno a torno pel campo lo mena,
Si misse pure, e par che si conforti ; E come scimia, per terra carpone,
E sforzar si volea di parer bella, Legato al collo strascinava un ruotolo,
Ed abbracció Guidon suocero a quella. E spesso è calpestato come un botolo.
LV LXH

Poi Guidone abbracciava il suo Spinetto Lasciam Falcone stare in questo modo,
E come padre più volte basciollo ; Che così piace alla somma Giustizia :
E Lione ancor lui teneva stretto, E' pagherà de' suoi peccati il frodo,
E non levava le braccia dal collo ; Che sempre non ha loco la malizia .
Le lagrime a ciascun rigano il petto, Tibaldo aveva intorno al cuore un nodo
E non pareva ingun di lor satollo Di pensier,di sospetto, e di tristizia,
Di tenerezza ; e non s'apre ancor bocca, E sapea come Folco in porto è giunto,
Tanto la giusta affezion trabocca. E dell' armata, e d'ogni cosa a punto ;
LVI 1.X11

Folco ordinò cavar fnor della torre, E di Falcon, come gli era menato
Quanto più presto poteva, costoro, Pel campo a strazio come una bertuccia,
E tutti in su le navi gli ſe porre, E come Lionetto era tornato :
E da mangiare e da ber trovò loro. Della qual cosa il Povero si cruccia ;
Oguuno all' esca come gazza corre E innanzi al re Tibaldo ebbe giurato,
Senz' aspettar che s'appicchi l'alloro; Che se la spada di man non gli smuccia,
Che non corse mai birro così in fretta Se Folco può trovar cagion di questo,
Tosto al palagio al suon della trombetta. Che ne fara vendetta grande, e presto.
53 CIRIFFO CALVANEO 54

LXIV

Tibaldo aveva scritto in molte parte Sospesi in alto, accio che a tempo scorchi
Per l'Oriente, ed or di nuovo scrisse, Per guastar delle mura i parieti :
Che già per tutto il mondo erano sparte E grilli, e bastion, falconi, e gatti,
Le gran battaglie, e bellicose risse. Con arte, ingegno, e disciplina fatti.
Gente è per terra, in mar son vele e sarte: LXX
Né creder tu che a Tibaldo venisse
Intanto è Irlacon, re di Turchia ,
Ognun, però che l'una parte viene Conmolta gente a Ascalona arrivato ;
Per dar soccorso, e l'altra a dargli pene. Ed in che modo drento entrato sia
LXV Non porta a dirlo, e basta che e' v'è entrato,
Que' della terra rafforzan le mura, E seco un re di molta signoria,
Perché e' rinforza la gente francesca : Che Sinettor per nome era chiamato,
Sempre chi è drento ha del campo paura, Ch' era disceso del sangue Troiano,
Se vuol che bene il suo conto riesca ; E fatto l'ha suo primo capitano.
Però Tibaldo a questo ben procura, LXXI

Ed or facea qualche nuova bertesca, E chiamavasi ancor re d'Ilionne,


Ed or facea qualche riparo drento, Ben che al tutto Ilion per terra fusse :
O d' acque o monizion provedimento. Ma l'alta fama Alcide, nè Giasone,
LXVI O'l gran figliuol di Teti non istrusse ;
E ciò che fa vuol con gli occhi vedere, Costui con seco meno molte donne,
Senza fidarsi di nulla a persona ; E tutte ad Ascalona le condusse,
E sopra tutto gli parea mestiere, Fra l'altre Aleandrina una sua figlia,
Che giorno e notte la guardia sia buona ; Che Aleandrina, e non altra simiglia.
E tutta volta ordinava le schiere, LXXII
Perchè e' pensava di fuor d' Ascalona Nè so qual metro, o fabulosi carmi
Esser spesso co' nemici a guerra , Possin le lande esprimer di costei,
E non istar come vil nella terra.
Le sue virtù, per quanto ho letto, parmi
LXVII Grazie sien gratis date dagli Iddei :
Tibaldo era uom grazioso e gentile, Ella fu bellicosa e forte in armi,
Quanto altro mai che portassi quel segno, E non corra anche Ipomene con lei,
D'animo grande, e d'ingegno sottile; Che non era Atalanta anche si destra,
Tenne gran monarchia sotto suo regno ; E d'ogni cosa al fine era maestra.
Nelle parole sue fu uom virile ; LXXII
E chi diceva un re famoso o degno, Ella sapea bene ir talvolta a caccia,
S'intenda questo in Affrica ed inAsia, Come Venere al monte Citereo ;
Per discrezione e per antonomasia. Eper le selve co' leon s'abbraccia,
LXVIII E stretto arebbe come Ercule Antéo;
Dall' altra parte il re Luigi ancora Con una cetra in man (non ti dispiaccia)
Di Francia avea tutte le gentilezze Forse a cantar con quel famoso Alceo,
Recato seco: e non posava un'ora, Che'l plettro d'oro sare' dato a quella,
E guardava le torri e le fortezze; Perch' ella è virtuosa e troppo bella.
Epensa pure, e notte e di lavora, LXXIV
Molte cose adattar, molte destrezze, Il padre suo aveva un corridore,
Com'e' si possa alle mura accostare, Che come lui si chiama Sinettorre,
E gli stromenti bellici operare. E di bianco ermelino era il colore,
LXIX E non vi si potea nessun su porre;
Evuol veder co' suoi, non con altri occhi, Ma sol d' Aleandrina avea tremore,
Ciò che si fa, come fanno i discreti; Ed a sua posta lo teneva, e corre.
Ed or facea far mangani, or trabocchi, Ch'era a cose famose e degue avvezza ,
Ebriccole, e mortai, quando arieti E così ciò che è vil disdegna e sprezza.
55 CIRIFFO CALVANEO 56

CANTO V

ARGOMENTO Portava il re Tibaldo tre leoni,


Ch' era rosso di fuoco il lor colore,
** Nel campo azzurro in tutti i gonfaloni:
Onde si legge più d'uno scrittore,
Che afferman come vere opinioni ,
Che gli furon trovati intorno al core ;
Escono i Saracin fuor delle mura : Si che l'animo suo fu molto invitto :
Le schiere fanno l'uno e l'altro campo; Cosi confessa ogni autore che ha scritto.
Fassi battaglia perigliosa e dura, VI

Mena Spinetto, e mena il Pover vampo : L'altra schiera guidò Cornes Dalisse ;
In tanto la Cittade mal sicura
La terza fu di Malducco di Ramma :
Assalta Folco, e per ultimo scampo E Anfilizia ne' suoi brevi scrisse,
Affrontano i Pagani'l Gonfalone, Che del suo amor ancor tutto rinfiamma,
Difeso da Guglielmo, e da Guidone. E per cimiere in su l'elmo si misse
***
Un cuor che si struggea sopra una famma;
E porta nello scudo, il suo amadore,
Folco dipinto come traditore.
VII

Or, sendo tutto il mondo in Ascalona, La quarta schiera Tibaldo ha voluto,


Tibaldo più non poteva star drento, In mezzo come il sol nel ciel si dice,
E tutta la città sempre risuona, Che sia concesso al Povero Avveduto,
Tanto che Giove n'aveva spavento; Che porta or per cimiere una fenice
E manda un messeggiero alla corona Dal dì che Macometto fu caduto;
Del re di Francia a dir che sia contento Poi nella quinta venne l' Alpatrice,
Di far con seco battaglia ordinata: Che porta ne' suoi segni un pappagalło,
E così fu, come e' disse , accettata. Con gente assai pedestre ed a cavallo.
11 VIII

Credo che in Cielo il rubicondo Marte, Tibaldo al Pover poi veniva dopo
Di sangue a questa volta fia ristucco, Con molta ornata e bella compagnia ;
Lo qual si dee versar da ogni parte, E nella destra spalla ha un piropo,
De'Cristiani e del popol mammalucco; Che mai si bel non fu visto in Soria,
E se son registrate tante carte Tal che la notte, se venisse a uopo,
Di Serse già, di Dario, e di Nabucco, Risplendea si, che mostrava la via;
Con altra penna ancor, con miglior verso, E in una ricca targa alla moresca
Materia è qui da tutto l'universo. Il sol che par dell' Ocean fuori esca.
111 IX

E se furon le guerre de' Troiani L'ultima schiera guida l'Almansore


Lungo tempo co' Greci alte e famose, Ed era un Macometto il suo cimiere ;
D'Alessandro, d' Annibal, de' Romani , Cavalcava un possente corridore :
Non fur tanto crudel nè sanguinose ; E ventimila avean tutte le schiere,
E si trarrà di dito, e delle mani Salvo che Sinettor, ch'era il maggiore,
Di molte gioie ancor qui preziose , Trentamila avea seco, e le bandiere ;
Come si dice già si fece a Canni, Perchè Tibaldo, che di lui fa stima,
E mancherà a Pluton giù luoghi e scanni. Volle molto onorar la schiera prima.
IV X

Il re Tibaldo fece sette schiere Ma nella schiera sesta di Tibaldo


Di tutto quanto il gran popol pagano : Eran tutti i famosi e principali ,
La prima a Sinettor, ch'era dovere, Venuti alquanti di paese caldo,
Fu data come a primo Capitano, E Satrapi, e signor meridionali
E consegnate a questo le bandiere Ed evvi un grande arcaito, o castaldo,
Con trenta mila del popol troiano, Che teneva gran regni Orientali,
E tutti bellicosi vo' che sappi, Del gran Desdram di Ramesse mandato,
E Bascia , Subaci, Giannizi, e Esappi. E da molti Ammiranti accompagnato.
57 CIRIFFO CALVANEO 58

XI XVIII

Fatto le schiere, il re Tibaldo viene La quinta fu di Lione Spinetto


Al tempo dato fuor della cittate, In compagnia del suo padre Guidone:
Ed ogni cosa è consigliato bene; Ma per dar fama a questo giovinetto
Dove sien le bandiere collocate, Il titolo ebbe e la reputazione :
Edove il Capitan fermo si tiene, La sesta fu del capitan perfetto,
Eran tutte le squadre ammaestrale; Dove era d'oro e fiamma il gonfalone;
E fatto esortazion molto solenne, Ventimila secento al suo comando
Il re Tibaldo, e poi di fuor ne venne. Forse ancor già per quel famoso Orlando.
X11 XIX

E nell' uscir costor fuor d' Ascalona, L'ultima schiera volle il re Luigi,
Parve che'l cielo e la terra tremasse, Che non fece all' usanza de' Pagani ;
Tanti stormenti e trombetti risuona : E schierate le genti di Parigi,
Credo lo spirto di Misen qui trasse; Che faron centomigliaia di Cristiani,
E credo ancor che la magna corona Gridavan: Viva Francia, e san Dionigi !
Del re di Francia sue gente ordinasse ; Ma Belfagor, ed altri nomi strani,
E commisse a Guglielmo che sia in punto, Gridava tutta la gente africante,
Perché il tempo era alla battaglia giunto. Appollin, Macometto, e Trivigante.
XII XX

Guglielmo, il quale al si non era ozioso, Or chi vedessi questi campi armati,
Sette altre schiere al rincontro ordinava ; E tanti strani e varii contrassegni,
Enella prima Guiscardo orgoglioso E cavalli in più modi corredati ,
Con ventimila innanzi cavalcava, E tanti re, signor famosi e degni ;
Ch'era di sangue il giorno desioso, Sarebbon tatti gli uomini ammirati :
E il Pover Avveduto minacciava : Sonavano istormenti di stran regni,
Non si ricorda più per far vendetta E corni, e tamburacci, e naccheroni,
Della fede tra lor data ed accetta. E pifferi , e sgraziati zufoloni.
XIV XXI

Perchè quel di (s' io non lo dissi in prima) Folco sapea di Malducco lo inganno,
Quando il Pover l'avea gittato in terra, Che dipinto l'avea come cattivo,
Egli promise, e poi non ne ſe' stima, E porta lui, come i soldati fanno,
Di lasciarlo andar libero alla terra; Cornuto a quattro, ch'è superlativo:
E, poi che caduto era dalla cima Ma che dico io ? tutti alla frasea vanno
Del suo onore, non gli faria più guerra : I becchi la domenica d' Ulivo ,
Ma Folco aveva le parole rotte, E tutto ad un proposito al fin torna,
Che non furon da sera, anzi da notte. Ch'ognuno ba il suo impiccato e le sue corna.
XV XXII

Nella seconda schiera a mano a mano Or come i campi a un miglio ristretti


Cavalcava Beltramo Altimonieri, Furono insieme, con molto romore
E diecimila avea quel capitano, D'ogni parte sonando assai trombetti,
Armati tutti, e coperti i destrieri ; Mosse Guiscardo il primo feritore ;
La terza fu di Folco Candiano, Nè creder già che Sinettorre aspetti,
Ed avea altrettanti cavalieri, Come colui che desiava onore ;
Ma molti arcieri, ch' avea menati seco, Acconci e ben guardati gli stendardi
Che combattean pure al costume Greco. Con gran presidio, e molti retroguardi.
XVI XXIV

La quarta schiera ſu d'uno Inghilese, E sopra il bel cavallo era salito


Sotto l'insegna de' be' leopardi, Che l'aveva condotto insin da Troia,
Chiamato Arnaldo, un possente marchese : E minacciava in Ciel Giove col dito,
Uomini seco avea, molti gagliardi, E gridan Macometto, e muoia, muoia !
E faceano all' usanza del paese, Dall' altra parte il cristian nostro ardito
Con archi duri, e saettavan dardi, Gridava san Dionigi, e sua mongioia.
Con giannetti leggier, che vanno a salti, Così le prime schiere mosse sono
Per dismontar poi in terra a' primi assalti. Con tal furor, che par fulgore e tuono.
XVII XXV

Costui mando del gran Brittaneo regno Abbassaron le lance i capitani


Adovardo il suo re, si come amico Da ogni parte con molta destrezza;
Del re Luigi, deposto lo sdegno Cosi in un tratto migliaia di pagani
Delle guerre tra lor già per antico; Cominciorno a mostrar la lor prodezza,
E diecimila avea sollo suo segno Nè certo i primi colpi furon vani :
In punto ben con gli archi, come io dico, Il buon Guiscardo la sua lancia spezza,
E molto fu a salute in questa guerra Che nello scudo del Troian percosse,
Al re di Francia il favor d' Inghilterra. Che si piegò come di marmo fosse.
CIRIFFO CALVANEO 60
59

XXV XXXI

Guiscardo arà di salvarsi fatica, Poi cominciò con gran furore e rabbia
Che'l valoroso e gran re Sinettorre A scagliarsi nel mezzo della pressa;
Si ricordo della eccellenzia antica, E chi vorrà de' suoi colpi se gli abbia :
Forse ancor già del suo famoso Ettorre : Ma più savio sarà chi non s'appressa;
E de' Troiani il ver convien che dica E fece rossa in un tratto la sabbia :
Chi scrive istoria, e non levare o porre ; A molti aveva la zucca già fessa ,
Si che Guiscardo rovinò al dassezzo , E braccia in terra, e moncherin giù manda,
Che troppo s'era a quel cadere avvezzo. E tutti al gran Diavol gli accomanda.
XXVI XXXIII

Or qui comincian le dolenti note : Sinettor tanto tra' Cristian si misse,


L'una schiera con l'altra si rabbuffa ; Che si potea con fatica ritrarre,
Chi qua, chỉ là con la spada percuote, Se non che giunse il buon Cornes Dalisse;
Tanto che all'arme cascherà la muſfa . E con le lance, e con le scimitarre
Furno in un tratto mille selle vote : La gente stretla convenne s'aprisse ;
E Sinettore in mezzo della zuffa E fece a forza allargar molte sbarre,
Conforta l'uno, e intanto all' altro garre, E rompe, e snoda, e urta, e spinge , e frappa,
Ch' ognun s'adopri con le scimitarre ; E tristo a quel che innanzi il di gl' incappa.
XXVII XXXIV

Chi con accette, chi con mazzafrusti, Guiscardo poi, che in sul caval rimonta,
Dicendo a tutti : Ov'è la virtù vostra ? Riscontro Sinettor in prima giunta ;
Se mai gagliardi, cavalier miei , fusti , Si che di nuovo con lui si raffronta,
Oggi è quel dì che la vittoria è nostra : E crivellogli nel petto una punta
Si che molto i Troian parvon robusti, Con tanta forza, e con tanta ira ed onta,
Tanta virtù nel capitan si mostra ; Che la sua spada a forarlo parve onta ;
E Sinettor, correndo il suo destriere, E fu tanto il dolor, che il cor gli afferra,
Molti con gli urti ne facea cadere. Che cade quasi come morto in terra.
XXVII XXXV

E così furiando per lo campo Or qui si fece un terribile assalto ;


S'era tanto appressato allo stendardo, Tutto il campo in un tratto si scompiglia,
Che forse al fin non vi sarebbe scampo , Ma il suo caval si levava su alto,
Se non ch' Altimonier nostro gagliardo E morde, e trae, e' scoteva la briglia,
Si mosse con sua schiera come un lampo, E difendeva il signore allo smalto;
Veduto ancor che in terra era Guiscardo; Edice alcun, benchè e' par meraviglia,
E come savio, a tempo appunto venne, Che quel caval fu inteso, e che parlassi,
E bisogno che battessi le penne. E che disse che ignun non si accostassi .
XXIX XXXVI

ComeBeltram diè con sua schiera drento , Forse questo caval ſu già di Reso,
Uccison con le lancie assai Pagani ; Forse lo spirto in corpo avea d'Ettorre,
E ripose a caval con grande stento Acciò che fosse aiutato e difeso,
Guiscardo, ch'era tra arrabbiati cani ; Sendo Troiano, il suo buon Sinettorre.
Allor Cornes Dalisse come un vento Beltram credette un tratto averlo preso,
Corse presto a soccorrere i Troiani, E voleva alla briglia la man porre:
Che non si calò mai si presto uccello, Il caval si rizzò con gran tempesta,
Avendo sempre bene occhio e cervello. E con la zampa gli diè in su la testa.
XXX XXXVII

La lancia abbassa, e 'l suo cavallo strinse, Vedestu mai villan che sotto frasca
Che corre come un danio non galoppa, Ha percosso in sul capo la ghiandaia
E'l primo, ch' egli scontra morto spinse, Con la ramata, e in un tratto gli casca,
Poi con la spada l' altro che rintoppa Ofrusone, impanniato all'uccellaia ?
Uccise, e presto di sangue la tinse, Così Beltramo e convien che rinasca,
E cadde arrovesciato in su la groppa : Che morto credo in sulla terra paia ;
Abbatteil terzo, e ' l quarto, e'l quinto, e'l sesto , E come quel caval lo vide in terra
Tanto che 'l campo sbaragliava presto. Come porco ferito a lui si serra.
XXXI XXXVIII

Un gran bascia chiamato Macometto, Ed anitri, ma parve un'altra voce,


Ch'era intorno a Guiscardo per pigliallo, E ciuffogli l'elmetto, come un torso,
Beltram gli trasse un colpo in su l'elmetto, E schiacciato l'arebbe più che noce,
Si che la noce divise col mallo ; Se non avessi avuto in bocca il morso;
Perché la spada andò per mezzo il petto, E lo scotea con un atto feroce,
Parti la sella e 'l teschio del cavallo, Che se non fosse in quel caso soccorso,
Che si trovò col suo signor giù morto; A voler che Beltram vivessi ancora,
Ma Beltramo ebbe del cavallo il torto . Bisognava dir: Lazar veni fora.
61 CIRIFFO CALVANEO 62

XXXIX XLVII
Avea Beltramo intorno alcun vassallo, E se gli avessi risonato a doppio
Fra gli altri uno staffier fedel, un ghezzo, D'un piccol colpo, pur che sia il secondo,
Che lo cavò di sotto a quel cavallo, Non bisognava per dormire altr'oppio,
E strascinollo per le gambe un pezzo; O'l toreimanno andar nell'altro mondo.
Ma non poteva di bocca cavallo. Lionetto ebbe di questo uno scoppio,
Non so se il suo signor l'aveva avvezzo ; Che gli meno con tanta furia un tondo,
O se s'avea in corpo Satanasso, Egiunse a punto alla cintura quello,
O se questo era pur Bucifalasso. Ch' arebbe, credo, diviso Babello.
XL XLVII

In questo tempo in buon Cornes Dalisse Maravigliafu grande, che la spada


Ripose sopra il caval Sinettlorre; Divise il busto tanto destramente,
Erisentito pel campo si misse, (0 ver che'l ciel volessi, o che la rada)
E in qua e in lå per le schiere trascorre , Che Sinettor non si mosse niente ;
Tanto che tutto quel campo sconfisse, Lionetto credea che in terra e' vada:
Che, come cosa infuriata corre : Il caval si fermò subitamente,
Non l'arebbon tenuto cento corde, Come del suo signor paressi accorto,
E sbuffa, e soffia, e urta, e trae, e morde. Che ben che vivo paia era pur morto.
XLI XLVIII

Parve a Luigi re che Folco andassi Sarebbe questo mai corpo fantastico,
Presto a soccorrer la gente francesca, O lo spirito in corpo ha di Lucifero ?
Il quale a lanci e salti innanzi fassi , Diceva Lionetto: Io penso, e mastico,
Ch'un Leopardo par di catena esca, Nè questo fatto ancor meco dicifero,
E gruppo o vento ch'un cannetto abbassi. E par che sia rappiccato con ' l mastico ,
Come e' fu presso alla pagana tresca, O con la pece questo can furcifero ;
Parvon le lance poste in su la resta O Belzebu v'è drento, o il suo bisavolo,
Quasi inun tratto: o Dio! che furia è questa? Equel cavallo è forse un altro diavolo.
XLII XLIX

Ma non pensar che Malducco di Ramma Ed appressossi, e faceva le stimite,


Non tenessi ancor lui l'occhio al pennello: Poi si discosta, e tutto seco ammirasi ,
Che non si scaglio mai verso unto fiamma Come chi il piè pon sopra il soglio, o limite,
Come addosso a'cristian si scaglia quello, Poi per paura presto a dietro tirasi :
O veltro in parco a pigliar lepre o damma, E che'l caval si fermo il signor imite
O falcon pellegrin qualche altro uccello. Maravigliossi , e per questo più adirasi ;
Non bisognò qui l'Agnol d'Abbacucco Edisse: I' credo or che color che incantano
Aportar presto nel campo Malducco; Dicon' il ver, e non più che si vantano,
XLIII L

Etanto più che Folco è il suo rivale, Ma poi che vide le braccia distese
E combatteva qui Venere e Marte, A Sinettor, che non dava più crollo,
Che fa che più veloce ognun metta ale; E d'ogni parte toccava l'arnese,
E le lance abbassate d'ogni parte, Rassicurossi , e col brando frugollo,
Ognun come a nemico micidiale Tanto che cadde, e se stesso riprese
Adoperava ogni sua forza ed arte. Dell' error, che l' avea tenuto in collo;
Malducco pose alla resta la lancia, E quel cavallo osservato ha la fede
Gridando : Muoia il traditor di Francia ! Al suo padrone insin che morto il vede.
XLIV 1.1

Folco feri nello scudo se stesso, Poi fece un atto, che fu maraviglia,
Perchè quivi era traditor dipinto ; Che se ne venne verso Lionetto,
La lancia parve un finocchio ben fesso, Quasi dicesse: A tuo modo mi piglia
Tanto che poco Malducco ha sospinto. Senza temer, che mio signor t'accetto ;
Malducco pose alla vista più presso E Lionetto pigliava la briglia,
AFolco, e il ferro di sangue fu tinto, E poi saltò del suo caval di netto,
Che gli entro tra il camaglio e il gorzaretto, E monto sul caval di Sinettorre ;
Econ fatica a caval si fu retto. E non avrebbe poi temuto Ettorre:
XLVI LII

Sinettor s'era pel campo scontrato E va pel campo tutto infuriato,


Col valoroso Lione Spinetto , Che pareva un leon per selva sciolto.
Ch' era già drento alla battaglia entrato, Intanto Folco Malducco ha trovato,
Elopercosse sopra il ricco elmetto E nuovamente lo scudo gli ha tolto,
D'un colpo tal, che sarebbe bastato, E poi in su l'elmo glie l' ha stritolato,
Ma più valse che l'elmo il bacinetto; Tanto che tutto percosso gli ha il volto ;
Einsino al collo del caval piegossi, Si che Malducco sotto se gli caccia,
Econ fatica alla fine rizzossi . E finalmente lo prese alle braccia.
63 CIRIFFO CALVANEO 64

LILI LX

Malducco era nom pur valoroso e forte, E Danidonia è sopra un bel poggetto,
E ricevuto da Folco avea scorno, Dov'era il capitan con lo stendardo ;
Tal che pin tosto vorrebbe la morte : E guarda quel che facea Lionetto,
E l'uno e l'altro insieme s' appiccorno, Che molto il giorno li parea gagliardo ;
Dandosi spesso di villane storte. E perchè amor non è senza sospetto,
La gente stava a vedergli d' intorno, Pregava il ciel, che gl' avessi riguardo,
Ma Folco un tratto il tempo, e'l modo scelse, Perché gli è giovinetto e molto adorno,
E finalmente dall' arcion lo svelse ; E che tornassi con vittoria il giorno.
LIV LXI

E voleva portarlo per tributo Or chi vedessi il terribil macello


Apresentar a Anfilizia la dama; Che de' cristian fa il Povero Avveduto,
Ma come questo Tibaldo ha veduto, Credo più tosto non vorre'vedello,
Il Pover presto a soccorrerlo chiama, Egli era in ogni parte cognosciuto,
Che si calò come sparvier pennuto Ognun dinanzi si fuggia da quello,
A pigliar merla, o dell'aria o di rama; L'un sopra l'altro per fretta è caduto,
E come giunse a Folco Candiano : E riscontro Guiscardo, e gridò forte :
Posa giù, disse, cavalier villano ! Tu se' venuto pur per la tua morte !
LV LXI
Come sentito il Povero ebbe Folco Èquesto quel che tu mi promettesti
Lasció la preda, e disse: Io ti conosco, Il primo di ch'io combatte' con teco ?
Come fa il lupo che sente il bifolco, Ov'è la fede tua, che tu mi desti,
E'l pastore, e'l mastin, poi fugge al bosco; Che mai più guerra non faresti meco ?
Il Pover drieto gli tenne pel solco, Non vo' che la vendetta a nessun resti :
Ma il campo più che la selva par fosco : Tu te n'andrai con gli altri al mondo ceco ;
Folco, dappoi che Malducco gli è tolto, Edettegli un fendente in su l'elmetto,
Per altra via come i Magi fu vôlto. Che non v'arebbe uno adamante retto;
LVI LXUI

Il Pover si drizzò per quella banda, E cosi morto è Guiscardo orgoglioso.


Onde va Folco pel campo a traverso, Poi riscontrò Beltramo Altimonieri ,
Ma veder lo potea più a randa, a randa, Ediegli un colpo tanto poderoso,
Che menava da ritto, e da riverso. Che cadde come morto del destrieri :
O quanti il giorno all' inferno ne manda! E tra' Cristiani si caccia furioso,
Non potre' tanto dir prosa ne verso: E l'occhio sempre aveva del cervieri ;
Arà che far Minos, e Radamanta, E va cercando fra tutte le squadre,
A giudicar quel di la turba tanta . Se potessi trovar Guidone il padre.
LVU LXIV

Sinettor pure in su la terra stassi, E mentre che così fulmina e tuona,


Epar che il campo quivi s'avviluppi : Guidon facea con la spada gran cose ;
Perocchè intorno a lui gran cerchio fassi Il Pover verso lui subito sprona,
Di giannizi , e d' esappi, o suoi galuppi, E domandò, chi è questo ? Un gli rispose,
luri , caurri, gridando ieremassi ! Com'egli è della casa di Nerbona,
Ed ognun par che nel sangue s'inzuppi, E dell'opere sue maravigliose,
Econvenia col capo qui si giuocoli, Guidon chiamato, e molto era gagliardo,
Che facevan con gli archi assai monocoli. Fratel cugin del possente Guiscardo.
LVILI LXV

Era venuto alla battaglia Arnaldo Disse fra sè il Povero: O fortuna ,


Con la sua schiera, e con gli archi Inghilesi, Ove mi guidi sì miseramente ?
Guglielmo stelle alle bandiere saldo, Oggi la fama mia fia oscura e bruna :
Ma l'Alpatrice e gli altri erano scesi ; Guiscardo ho morto, ch'era mio parente,
E presso a' suoi stendardi sta Tibaldo, O scellerato, e non è fiera alcuna
E l'Almansor; e stanno ancor sospesi; Che uccida il padre cosi crudelmente,
E tutta la città sopra le mura, Com' io ho mille volte già giurato ;
Era a veder questa battaglia oscura. Ma tor non puossi quel ch'è destinato.
LIX LXVI

E salita era sopra un'alta torre Ben vedo quel ch'io fo, ma il giusto sdegno
Conmolte damigelle, Aleandrina, Mi sforza, e può più che l'amor paterno ;
E non sapea che il padre Sinettorre E so ch'io son per tal peccato degno
Renduta aveva l'anima meschina ; Col corpo vivo andar giù nell' inferno :
Laudava il Pover, che pel campo corre, Ma s'io dovessi star nel basso regno
E guardava la gente saracina ; Con l'altre anime triste in sempiterno,
E tutta stupefatta sta a vedere Poi che dato così m'ha la mia sorte,
Se alcun de' suoi cognosce fra le schiere. Io ti darò, Guidon, per certo morte.
65 CIRIFFO CALVANEO 66

LXVII LXXIV

Guidon pose la lancia in su la resta, Come Tibaldo e il re Luigi sono


E rivoltossi con turbato ciglio; In campo, pensa la zuffa rinforza!
Manon sapea, come Longin, che questa Che rimbombava infin su a Giove il tuono;
Il giusto sangue spargerà del figlio: Ed or facea l'una parte più forza,
Giunse allo scudo, e ſesselo, e non resta Or fugge un'altra quasi in abbandono ;
Il ferro insin che si fece vermiglio. Qui raccende più foco, e qua s' ammorza.
Cosi Guidon ferito ha il suo figliuolo, Era venuto a rincontro a Tibaldo,
Epoco men che non casco pel duolo. Co' suoi Britanni, il valoroso Arnaldo.
LXVIII LXXV

E'l Pover feri fui più aspramente. E smontati, all' usanza d' Inghilterra,
Lo scudo come una teglia si fesse, Saettavan gran dardi e micidiali,
E la corazza fece similmente, E ferno al re Tibaldo il di gran guerra .
Si che nel petto la lancia gli messe; Intanto, rotto assai muro co' pali,
E se più drento gli entrava niente, Folco fu il primo a entrare nella terra,
Egl' arrebbe attenuto le promesse ; Epreson certi luoghi principali,
Poi con la spada in man si fu rivolto, E con le scale in sul muro saliti
Ma Guidon dal caval gli era già tolto. Erano assai prima che sian sentiti.
LXIX LXXVI

Intanto al capitano e la Corona Intanto il bastion frullava e 'I gatto ,


Parve, che e' fussi da fare un bel tratto, E sputa qualche pillola a bachicca;
Però che tutto il popol d' Ascalona Tante spingarde si spara a un tratto,
Aveder la battaglia era foor tratto, Che gli è sempre di palle in aria cricca ;
Tanto che drento non era persona ; Prima che in tatto sia scoperto il fatto,
E fu presto tra lor consiglio fatto, In molte parte Folco il fuoco appicca ;
Che si poteva Ascalona scalare E poi sali, con tutta l'armadura,
Da quella parte che non vede il mare ; Con una scala a difender le mura.
LXX LXXVH

Emandaron per Folco Candiano, Il popol era levato alle grida,


Etolson certi mantelletti adatti, E non sapeva niun dove s' andassi :
Da poter sotto star co' pali in mano Quivi le donne mettevano strida,
Aromper delle mura cosi piatti: Non vi rimase ignun, che non s'armassi;
E, come detto in altro luogo abbiano, Ma corron come pazzi senza guida .
Molti strumenti bellici eran fatti: Que'della torre gittavan giu sassi
Si che alle mura in un tratto accostarsi, Senza sapere a chi più fuor che drento,
E comincioron questi adoperarsi . E chi sparava le bombarde al vento.
LXXI LXXVII

Ed accostorno un certo bastione, Folco avea preso di quattro due porte


Che fece il giorno alla terra assai male; Dalla parte dov'era il muro rotto,
Epoi in un tratto alle mora si pone E combatteva con que'drento forte;
Appresso a una porta principale; Ed avea a l'una il bastion condotto,
Un gatto v'è, che non era mammone, All'altra il gatto, che a molti dié morte,
Esopra questo molta gente sale, E parte il muro rompevan di sotto:
Ch' era tanto più alto che le mura, Ed avea fatto al capitan gia segno,
Ch'a tutta la città facea paura. Che s'intendea, che riusci il disegno.
LXXII LXXIX

Ed avean dardi, e fuochi lavorati, Tibaldo udiva i suoi talacimanni,


Ebalestra, e spingardi, e molti sassi ; Che gridavan da certi torracchioni
Tra'l campo e la città fecion aguati, Come fanno gli allocchi, o barbagianni,
E chiuson con le sbarre certi passi, E tutta la città par che risuoni;
Che come e' fassin que'dentro assaltati, Ma non sapeva di Folco gl'inganni ;
Tibaldo addietro cosi non tornassi ; Sentianbombarde, che par che il ciel tuoni,
E intanto il re Luigi dette drento Vedeasi il fumo e 'l fuoco in aria acceso,
Nel campo, fatto ogni provvedimento. Epensa ben che il caso sia di peso;
LXXH LXXX

Guglielmo cominció a calare il monte, E chiamo tosto di Ramma Malducco,


E finse di venire alla battaglia, Che con uno squadron corressi presto,
Perchè Tibaldo si facessi a fronte ; Emandi indrieto qualche mammalucco,
Poi ordinò che la gente risaglia, Correndo a dirgli che caso sia questo ;
Come e' fussin più presso a certo ponte. E disse: 11 ciel ancor non è ristucco
Folco intanto alle mura si travaglia; Del sangue nostro, il veggio manifesto:
Tibaldo presto alla battaglia venne, Io veggo pure il capitano al monte,
Ed a fatica l'Almansor si tenne. E tutte l'altre genti son qui a fronte.
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5 CTI
C8
67 CIRIFFO CALVANEO

LXXXI LXXVII

Giunse Malducco dov'eran le sbarre, E cominciorno indietro a ritirarsi.


E vedendo che presi erano i passi, Il re Luigi a questa impresa caldo
Cominciorno a trar fuor le scimitarre; Venne, e con essi cominciò appiccarsi;
Ma bisogno che a drieto alſin tornassi, Penso che questo facessi Tibaldo,
E con fatica si poté ritrarre. Come colui ch' avea partiti scarsi,
Tibaldo, che lo vede, incontro fassi : E non potessi in campo star più saldo ;
Che vuol dir questo ? Malducco rispose : Edisse: E' darà tosto in altra rete,
Tibaldo, mal passeranno le cose. S'oggi, miei cavalier, valenti siete.
LXXXII LXXVIII

Sappi, tu sei de' tuoi inimici in mezzo ; Tibaldo s'accostò sempre ad un colle
Io ho trovata la strada qua rotta, Donde si va a Guglielmo per la piana;
Tanto ch'io ebbi paura e riprezzo ; E quando e'fu condotto dove e' volle,
Gente uscì fuori armata d'una grotta, Sali in un tratto la gente pagana :
Credo assai più ne restassino al rezzo. E trattava Luigi come folle,
Perchè Tibaldo, sopra di sè all'otta, Se non che a scardassar s'aveva lana,
Disse così, come uom ch'ha intendimento : Che gli parrà più dura che sardesca ,
Sarebbe mai qualche trattato drento ? E sarà nerbonese e non francesca :
LXXXIII LXXXVIII

E' v'è pur l'Arcaliffa di Baldacca, Che dirai tu ? che quel savio Guidone
E' v'è pur l'amostante Persiano Ch'avea pur bianca e canuta la barba
Da non pigliar così la terra amacca ! E veduto assai cose, il buon vecchione,
Or ritorniamo al nostro Candiano, Dicea con Lionetto: A me non garba,
Che la battaglia co' nemici attacca : Che si debba scostar dal gonfalone,
Sì che qui si combatte in poggio e in piano, E come savio da quel non si sbarba ;
E spesso insino in su la piazza venne, E come vide Tibaldo salito,
Ed a dispetto de' Pagan la tenne. Disse : Luigi sarà pur tradito.
LXXXIV LXXXIX

Ed a sua posta si ritrasse al muro, Ed avviossi col figliuolo al monte ;


Dove nessun lo poteva offendere ; E perchè Arnaldo a drieto era rimaso,
Però che il bastion lo tien sicuro, Lo conforto, ch'andassi presto a fronte,
E per le scale potea sempre scendere : Perchè molto era d'importanza il caso,
Due ore e più durò quel caso oscuro, E mostrògli ov'e' passi stretto un ponte;
Che ancor Tibaldo non poteva intendere ; Arnaldo, bene instrutto e persuaso,
Però ch'egli è nella battaglia stretto, Attraverso per boschi, e sassi, e tufi,
Ebisognava aver più d' un rispetto. Dove vanno le capre a pena, e' muſi .
LXXXV XC

Parve a Tibaldo per conclusione, Erano a piedi all'usanza Inghilese


Da poi che la città va a fuoco e fiamma, Costoro, e dire si potevan scalzi,
Che assaltar si dovesse il gonfalone, Iscalzi in quanto non hanno l'arnese
E così parve a Malducco di Ramma : Da poter travettar per bricche, e balzi,
El Alpatrice anche ebbe opinione, Guglielmo il caso di lontano intese ;
Se si potesse rapire Oro e fiamma Non aspetto che Tibaldo più innalzi,
Dappoi che son condotti in doppio assedio, E chiama il duca Aiolfo di Sansogna,
Che questo sia per ultimo rimedio. E mostrò presto quel che far bisogna;
LXXV XCI

Efecion tanto pel campo cercare, E che gli avessi cura allo stendardo,
Che ritrovorno fra le schiere il Povero, E se vedessi lui con gli altri morto,
Ch'avea fatto quel di san Pier sudare Che fussi solo a questo il suo riguardo ;
A metter drento gente senza annovero, E stessi come nave surta in porto :
Tibaldo disse quel ch'e' voleva fare, Poi şi fe' innanzi con un cor gagliardo,
E che questo era l'ultimo ricovero : A tutti i cavalier dando conforto;
Al Pover piacque quel che a gli altri piace, E già salito era sul monte, Arnaldo,
Perchè con la ragion gli fu capace. E la zuſfa appiccata con Tibaldo.
LXXVI XCH

Ed ordinar di simulare, e fingere Ia questo giunse Lione Spinetto


Di tornarsi alla volta d' Ascalona, Col becco all' erta, che pare un astore,
Benchè le sbarre gli possono stringere, E non poteva star drento all' elmetto,
Acciò che il re Luigi, e sua corona Trafelato e bagnato di sudore.
Si discostassi , per volergli spingere, Ecco Guidon che al Capitano ba detto,
Con la gente di Francia e di Nerbona; Che il re Luigi ha fatto questo errore:
E poi in un tratto lor pigliar i poggi, Ma che non era tempo a star qui a tedio,
Dove sapean che il Capitano alloggi ; Ma veder presto di trovar remedio.
6) CIRIFFO CALVANEO 70

XCII C

Il Povero Avveduto già si truova Tibaldo mio, perch'io ti porto amore,


Con la furia alle mani degl' Inglesi, Vero dirò, poi che per dir qui siamo;
E fe' con essi si mirahil prova, Sendo delle tue furie anch'io autore,
Che molti morti ne furono e presi : E perchè molto le virtù tue amo:
Ma e' facieno anco lor succiar dell' uova , Tu hai fatto oggi troppo grande errore
Quando traevan que' dardi distesi, E tosto piangerai, misero e gramo ;
E passan braccia, e mani, e cavano occhi, E si voleva andar verso la terra,
Infilzando i cavai come ranocchi. E forse terminata era la guerra ;
XCIV CI

Giunse Guglielmo, il Capitan pennuto, E se Malducco di Ramma le sbarre


Con uno impeto, strepito e furore, Trovate aveva, e impedita la strada,
Che lo dio Marte non l'are' tenuto ; Con teco avevi tante scimitarre,
La lancia abbassa, che dette tremore. Che la via faran sempre onde tu vada,
In primo aspetto il Povero Avveduto E da poterti a tua posta ritrarre,
Maravigliossi di questo signore, Quando il senno congiunto è con la spada:
Tanto gli par che tutti gli altri avanzi : Pensi ognun bene in su la prima mossa,
Pur con la lancia si faceva innanzi. Che l' Alpatrice tuo lascia qui l'ossa .
XCV C11

Ementre con la lancia oltre galoppa, Cosi fere Alessandro: ognun poi varca ;
Gli fa di drieto saettato un dardo, Veggo al fin pur della ragione il segno.
Eferigli il cavallo in su la groppa, Mentre ch'egli era già quasi monarca
Si che non par come prima gagliardo : Di tutto l'universo, e tanto degno,
Guglielmo in questo con lui si rintoppa, Cesare ancor di notte entrato è in barca
Edisse: Io t'ho serbato lo stendardo: E poi che vide il mar traverso al legno,
Ma questa è quella lancia che lo porta, E' fu costretto al suo nocchiere a dire :
Or noti ognuno un caso qui che importa. Cesare è teco, tu non puoi perire.
XCVI си

Le lance in su gli scudi s' appiccorno, E così fece già Regolo Attilio :
Erapponsi in più pezzi d'ogni parte; Prima nego , poi non trovò la pace,
Ma certi tronchi tanto in aria andorno, E ritornossi a morire in esilio,
Che crede alcun, che gli serbassi Marte, Per levar Roma sua da contumace :
Perchè più in basso poi non ritornorno ; Che se fortuna presta il suo ausilio
Ma questo non afferman le mie carte; (Come si crede) tal volta allo audace,
Più tosto il vento gli levassi a giuoco, Fra molti avventurato un sol si dice,
O ver nello elemento arson del fuoco. Se letto ho ben, Quinto Metel felice.
XCVII CIV

Trasse Guglielmo fuor la spada, e grida: Se la tua fantasia era discreta,


Volgiti a drieto, Pastor, tu se' morto. Tibaldo, a ritornarti in Ascalona,
Cosi intervien chi senza ale si fida Folco più, forse, non tornava in Creta,
Volar troppo alto, che il suo volo è corto: Dove aspetta Anfilizia sua persona,
Oggi convien di Tibaldo si rida, Che si farà de' tuoi danni più lieta;
Eper un re di Naibi sia scorto, Da questo prese esemplo la Corona
Che cosi presto n'è venuto al monte; Di Francia , e ſe' che il novissimo errore
Ma il duol sarà nel ripassare il ponte. Non sia peggio che 'l primo, ovver maggiore.
XCVIII CV

Tibaldo era già giunto nella zuſſa, E poi che vide l'astuzia arabesca
E'l Pover col cavallo era trascorso , E' s' accostò con la sua gente al fiume,
Ch'era ferito, e come un toro sbuffa, Quivi i cavalli in un tratto rinfresca;
Enon potea ritenerlo col morso. E perchè e' sa del suo campo il costume,
Or qui si fece una strana baruffa, Massimamente la gente francesca ,
Chi qua, chỉ là senza ragione è corso, Che per la sete non vedeva lume,
Perché a Tibaldo il disegno era rotto Accio che sien più fieri alla battaglia,
Epentesi si in alto esser condotto, Fece portar vin presto e vettovaglia.
XCIX CVI

Por la sua gente confortava, e dice: Or qui parranno le lepre gagliarde,


Fatevi innanzi, qui condotti semo; E tutte insieme ristrette te schiere ;
O io sarò questo giorno felice, Quivi eran genti francesche e piccarde,
Osta sera in inferno ceneremo; E Borgognoni, e di molte maniere,
O Cornes, o Malducco, o Alpatrice, Tatti buon bombardier senza bombarde,
Tanto e tanto le spade adopreremo Einterrogati se volevan here,
Prima ch'io scenda mai di questo monte, Risposen tutti presto al re Luigi :
Che il sangue correrà giù d' Acheronte. Oy, pour nostre-dame de Parigi .
71 CIRIFFO CALVANEO 72

CVH CXV

Buffardo v'era il conte d'Ormignacca, Il Pover, poi che il caval ebbe sotto,
Anzi più tosto d'Ormignatta al mosto : Pel campo va, che menava faville;
Beuto arè con una salimbacca, E minacciava, e giura a ogni botto
E non dicea se non: monsir tantoste: Che ne morrà per l' Alpatrice mille ;
Ognuno al vetro volentier s'attacca, Parea quel di che si crucciato e rotto
E pensa tu quel ch'avevan risposto Al campo venne per Patroclo, Achille:
Molti signori, che v'eran della Magna, E per ventura trovava Guglielmo,
Che ne volean tre otri per castagna ! E con la spada gli diè sopra l' elmo.
CVIII CXVI

Come e' fu rinfrescato il campo tutto, L'elmo sono, si che Guglielmo introna
E fatto insieme ciascun buona cera, E disse : O Dio è ruinato il mondo ?
Per gentilezza si trae qualehe rutto, O già l'ultimo di la tromba suona ?
E sfuma un poco il via per la visiera ; E poi menò con la spada d'un tondo,
E perché il becco non era più asciutto, Che bisogno che l'arme fussi buona,
Tamburi, e zufolin vanno a bandiera, E se Guglielmo appiccava il secondo,
E lanci, e salti, e giuochi, e balli, e scrima, Non sentia il Pover più caldo nè gelo;
Che parian cotti dalla nebbia prima. Ma e'rilevò la spada in verso il ciclo.
CX CAVIH

Aspettava Luigi quel che avvenne, In questo giunse Cornesso Dalisse :


Tanta virtù nel Capitan conosce, Mentre che in basso la spada calava ,
Che Tibaldo arà di Icaro le penne, Alzó lo scado, e in quel mezzo si misse,
E fiaccherassi al fio l'ossa e le cosce; E così questo colpo riparava,
E però il campo alla fiumana tenne, E d'una punta Guglielmo trafisse ;
Dove e' serba a' pagan le loro angosce. Si che di questo si dolse, e gridava :
Tibaldo confortava le sue schiere, Tu se' qui, traditor ribaldo ? aspetta,
Ma la battaglia oscura era a vedere. Cornes, Cornes ! io ne farò vendetta.
ext CXVIH

Tutti i cavalli eran fatti già rossi, Epoiché in gentil cuor può tanto sdegno
E correva di sangue ogni pendice; Quanto ognor si dimostra, e quanto è scritto,
E Lione Spinetto riscontrossi Poi che il nostro Cristian famoso e degno
Nella battaglia ov'era l' Alpatrice : A tradimento si senti trafitto,
E con le spade si furon percossi, Drizzò le forze sue tutte ad un segno;
Ch'era l'ultimo di per lui, infelice ! E però in su le staffe si fu ritto,
E cacciogli la spada in sin nel collo, E la spada levo di furor pieno
E cosi morto del caval gittollo. Con ambe mani , abbandonato il freno.
CXIF CXIX

Il Povero Avveduto quando vede E con quel taglio, che gli volea dare
L' Alpatrice caduto in terra morto: Minaceia prima il ciel, perchè in su il volse;
O Macon, disse, abbi di lui mercede, Poi lasciava la spada rovinare,
E se licito è dir, tu gli fai torto, Le braccia in tutto e la sua furia sciolse,
Che questo era il campion della tua fede; Che la folgor di Giove irato pare,
E poi di Lionetto si fu accorto ; Quando al superbo Capaneo già colse,
E termino vendetta far di quello, O il dì, ch'io credo più crueciato fosse,
Enon sapea che fussi il suo fratello; Quando Tiſeo e Efialte percosse.
CXIN CXX

E trasse un colpo all' elmo disperato : E se non che'l cimier trovato ha prima,
L'elmo gli uscì, d'onde la bella chioma Donde la spada poi giù seese a sghembo,
Si vide, essendo il capo disarmato, L'arebbe fesso tutto dalla cima
In su la groppa del caval suo tema ; Permezzo il petto in sin giù sotto al grembo;
E Sinettor, per questo spaventato, Si poco dell' elmetto ſece stima,
Parve dicessi: Io non so portar soma; Che ne portò quanto ne prese, un lembo;
Etrasse, e Lionetto è già caduto: Come se fossi stato o cera o ghiaccio,
Poi se n'ando dal Povero Avveduto. Emancò poco a spiccargli anche il braccio.
CXIV CXXI

Riconobbe il caval troiano, e, preso Non ebbe mai Cornes maggior paura ;
Il Fover vi saltò su molto destro, E'l viso con le man presto si forbe,
E lascia il suo ferito ond' egli è sceso; E poi, che'l sangue, e'l case ben procura,
E quest' altro caval non è più alpestro , Non volle aspettar più di queste sorbe,
Ma par per discrezion che gli abbi inteso, Che questa prima non fu ben matura,
Che questo era nell'arme lui il maestro ; E sa che piene veniran le corbe;
E Lionette benchè in terra vada, Evoltato il caval, tutto stordito,
Non si lascia far torto con la spada. Per arte di calcagna fu sparito.
73 CIRIFFO CALVANEO 74

CXXII CXXVN

Guglielmo seguito por la sua furia, Era del monte tagliata ogni ripa,
Eminacciava Cornes, il ribaldo, E stretto il colle, onde Tibaldo venne,
Ch'a tradimento gli avea fatto ingiuria, Si che la fretta e la calea gli seipa,
E ritrovò nella pressa Tibaldo, E bisognava volar senza penne:
E arrecossi per cattiva anguria, Chi s'appiccava a qualche bronco, o stipa,
Perchè ferito vede in terra Arnaldo; Chi qualche masso trovò, che lo tenne:
E tanto fe' che lo misse a cavallo, E cavai rovinavan per le grotte,
Ed al suo padiglion fece menallo. E tuttavia s'appressava la notte.
CXXIII CXXVIII

E poi trovava Lione Spinetto, Il Povero Avveduto in questo caso


Che con la spada a piè si difendea ; Non poteva altro far, che non intende
E Guidone il suo padre tanto stretto, L'arte ancor ben: ma indrieto era rimaso
Che vorrebbe aiutarlo e non potea ; Fuggendo, e parte Tibaldo difende.
E fecelo montar sopra un giannetto Intanto il sole è più là che l' Occaso,
D'un suo seudier, che sempre seco avea : E già ne l'altro emisperio giù scende,
E come Lionelto è rimontato, Sì che la notte, che era tenebrosa,
Il campo tutto par visuseitato. Facea più la battaglia paurosa.
CXXIV CXXIX

EGuidon s'accostava al capitano, E si sentia per le balze fracassi


Edisse, che ti par che sia da fare ? Pe'cavalli, e per l'arme, che rimbomba,
Disse Guglielmo : La vittoria è in mano, Che par che piova e rovini gia massi ;
Tibaldo in gran disordine mi pare; L'un sopra l'altro percoteva e piomba;
Per mio consiglio ricacciargli al piano : Chi lascia le cervelle sopra i sassí,
Fa pur presto la gente rassettare; Chi grida, e rovinato è in qualche tomba,
Rechianci uno squadrone insieme stretti ; E d'ogni parte molto sangue corre
Poi gli faren saltar come capretti. Pe' burron, pe' ſossati e per le forre.
CXXV CXXX

Era già il sol molto presso al Murrocco, Il re Luigi avea ristretti insieme,
Un'ora o manco avanzava del giorno; E tutti in punto in isquadra i Gristiani,
Guidon per tutto il campo ha dato il tocco, Perchè di qualche cosa anche pur teme,
Ed ognun presto a Guglielmo è d'intorno; Ben che l'urla cognosca de' pagani ;
Tibaldo ha fatto oggi on pensiero sciocco, E che Guglielmo di sopra gli oppreme,
Che tutti insieme i Gristian s' accozzorno, E che facea gin rotolargli a'piani :
E ferion tanta forza, e tanta punta, E sentito avea ben più d'una volta
Che 'l campo ruppon nella prima giunta; Tibaldo forte sonare a raccolta.
CXXVI CXXXI

Efu costretto Tibaldo partire, Ma mentre tante cose falte sono,


Che, come Cesar, voleva ammazzarsi Dove abbiam noi lasciato Folco nostro,
Pin tosto il dì, che doversi fuggire. Il qual della città sentia quel tuono ?
I pagan comincioron a gittarsi Aspetterem che'l sol si sia dimostro,
Per balze, e scogli, e più presto morire Che lasciar non lo intendo in abbandono:
Che volere a Cristian per prigion darsi : Non manca fantasia, piuttosto inchiostro ;
E come cervi spaventati a caccia, Etutta volta il ciel gran cose accenna
Chỉ qua, chi là, con le grida gli scaccia. Da dovere stancar più d'una penna.

:
FO ANEO
75 CIRIF CALV 76

CANTO VI

ARGOMENTO Folco potea d'una torre vedere


Il mare, e presto conobbe che i legni
Era armata di Mori, al suo parere,
Alle bandiere, e molti contrassegni ;
E non istelle aspettar messaggiere,
Che dal suo re per chiamarlo giù vegni ;
Sì che in un tratto delle mura scese,
Dellabattagliailpeggiohannoipagani, E fu da savio il partito che e' prese ;
Edura il giorno sino alla mattina:
Di gente varia con giganti strani VI
Dal Soldan viene armata Saracina
E ritornò con la sua gente al piano.
Che sturba tutto il campo de' Cristiani: Intanto il re Luigi inteso avea
Fassi nuova barruffa alla marina; Il nuovo caso, che gli pare strano,
Segue alfin tregua ; e 'l Povero villano Che il padron delle navi gli scrivea,
Efatto cavalier dal re Pagano. Come e' veniva gran popol pagano,
E che mandassi Folco gli parea,

E quanto più potea presto fia mosso,
Perchè l'armata si vedea già addosso.
VI

Teneva
eneva ancor pur Ascalona stretta Fece Luigi il campo presto armare,
Folco, e d'intorno quanto può la serra, Che n'avea a smaltir pur qualche cogno ;
E con trabocchi e con briccole getta , Perchè tempo non v'era a raccontare
Si che per tutto guastava la terra : Quel che veduto avea la notte in sogno,
Era la notte, e però il giorno aspetta Più tosto quel che si vedeva in mare,
Per veder quel che faceva la guerra; Ch'avea d'aiuto, e consiglio bisogno ;
E l'Arcaliffa in modo è sbigottito, E'l capitano avea tutto veduto,
Che non sapea pigliar qui alcun partito. Guglielmo, che sempre era proveduto.
VIII
11

Tibaldo la sua gente avea raccolta, Tibaldo scese intanto alla pianura,
Poi che vide che Folco dalla terra
Ed alloggiato quella notte al monte;
Benchè al contar ne mancherà poi molta, Partito s'era, e lasciate le mura,
Aspetta pur che da basso giù smonte: E i passi intorno ripigliava, e serra :
Il sole intanto avea data la volta, E come ardito cor, sanza paura ,
Per apparire all'usato Orizzonte; S' apparecchiava alla futura guerra.
ETitone avea alzato in sul piumaccio E lascia l'Alpatrice per le grotte,
Ilcapo, e la sua amica ancora ha in braccio. E più non pensa alla passata notte.
IX
111

Luigi ancor con le sue genti armate E manda all'Almansor che stessi inpunto,
Era stato la notte, e per l'affanno Però che gli era apparita gran gente;
Gran parte sono in terra addormentate, Che come e' tuona alle volte in un punto
E non sapea del suo futuro danno. In molte parti, così in mar si sente,
Vedea Tibaldo in gran calamitate; Perchè già presso il gran navilio è giunto;
Si che e' tuonava continovamente
Ma por le guardie e l'ascolte si fanno,
Emolte cose con seco disegna , E bombarde, e spingarde d' ogni parte,
Ed aspettava pur che il giorno vegna. Ch'intronava gli orecchi in celo a Marte.
IV X

E non sendo ancor chiara la mattina, Folco in un tratto si mise in assetto,


Fu sentito sparar bombarde al porto, E fe' di molta gente uno squadrone,
E gran romor di verso la marina ; E seco volle Lione Spinetto
E già Tibaldo per segui era accorto, In compagnia, e it suo padre Guidone :
Come questa era armata saracina : E perché egli era dal bisogno stretto,
Edisse : O Dio Macon, dacci conforto, Parvegli tempo a sguinzagliar Falcone,
Aiuta i giusti tuoi buon Musurmanni , Però ch'egli è malvagio, e pien di froda,
Non ci lasciare in tanti estremi affanni . E sa ben dove il diavol tien la coda.
77 CIRIFFO CALVANEO 78

ΧΙ XVIII

Questo Falcon fu di mala cucina ; Partissi innanzi a tutti uno Ammirante,


Temea la coscienzia, o la vergogna, Ed usci dell' armata fuor di schiera,
Come il sol la rugiada da mattina, E con un legno vien vogando avante ;
E non credea se non quel che bisogna. E poi che presso alle navi già era ,
Avea scopata forse una berlina : Fece seguo al suo modo di levante,
Un vezzo di diamanti era la gogna, Come levar di sicurta bandiera,
La mitera una gala, o scappucino Che s'intendea per discrezion, che e' vuole
Da dar sollazzo quale scuccobrino. Con le navi di Folco far parole.
XII XIX

Era stato corsar forse trent'anni, Era il suo legno quasi carovella,
Avea molto veduto, era pur vecchio, E come Anfilibena potea andare
Sapea tutti de gli uomini gl' inganni, Innanzi, e indietro, e d' ogni parte ha stella,
Buon giudicio, buon occhio, e buon orecchio, Si che quel pesce pastinaca pare ;
E così molte volte i tristi panni Ma Falcon quando appressar vide quella,
Si rovistano in sin sotto al capecchio, Cominciò come falso a sospettare,
Ecerte scarpettacce vecchie e rotte E consigliava che si salutassi
Parute sono un zuccher di sei colle. Con le bombarde, e che non s'accostassi.
XIII XX

Falcon fu adunque a consiglio chiamato, Folco non volle: onde costui s' accosta,
E menato dinanzi al re Luigi, E salutogli con tanti bugliuoli,
E finalmente con Folco avviato, Che e'fe'in un tratto in coverta una crosta
Che ne va con le genti di Parigi. Di grassi strutti, di pece, e certi oli ,
Or si vedrà se fia qui scozzonato, E partissi e ritrassesi a sua posta;
Come lesto farà tutti i servigi. Perchè co'remi pareva che voli.
Ecome e' son condotti in su le navi, Folco le man poi si morse lai stessi,
Tirar le barche, e levoron i cavi. Ch'era meglio a Falcon creduto avessi.
XIV XXI

Poi Falcon fece restringer co' tuoni Falcon fe' presto crivellar zavorra,
Le navi, e fece di tutte due bande, Ed ordinò che per tutto si metta;
Condotte sotto a certi torrioni, Che e' parevan gia al buio in una forra :
I quali aiuto daranno lor grande ; Perchè questa materia un fumo getta,
Ed a mezzo alber certi bastioni O nebbia, come il lago di Gomorra ;
Fe' con le barche, e intorno le grilande E perchè e' non ismucci la scarpetta,
Non di rose, o vinole rosse e gialle, Disteson chi gabbani, e chi schiavina,
Ma di palvesi, e d'arnesi, e di balle; E cosi tolson via questa cucina.
XV XXII

E castelli ordinati a poppa e a prua Intanto l'altra armata ne venia,


D'arme, e di ciò che faceva mestiero ; Che mandava a Tibaldo il gran Soldano,
Escorso tutto, ed una volta, e dua, Dugento vele, chi di Barberia
Di fornir ben le gaggie ſe' pensiero: Venuto, chi del Corno egiziano,
Perché, si come io dissi, l'arte è sua, Di molte parte d'India, e di Soria,
Edato ha il luogo a tutti, e 'l magistero; E molti di paese più lontano,
Fatti instrumenti infin de' paliscarmi, E Tartari, e Circassi, e di Cilicia,
Fece in un tratto in coverta dare armi. E di Media, e d' Arcadia, e di Fenicia.
XVI XXIII

Pui scorreva le bande, d' ogni parte Quivi era de' paesi d' Etiopia
Confortando: Ecco bella compagnia, Uomini neri, e i più stran farisei ,
Ognonmi par(quand'io vi guato) un Marte, Che non avevan forma umana propia,
Non dubitate, questi son genia, Tanto che i zingani erano i men rei.
Gente bestial, senza argumento o arte : Degli Arbi, pensa, che ve n'era copia,
lo caverò ben forse la pazzia Ed altri quasi specie di pimmei ;
Oggi dal capo a questa gente stolta, Uomini ch' banno un piè solo ed un occhio,
Com'ioho fatto in mar più d'una volta. E vanno a salti come fa il ranocchio.
XVII XXIV

Era presso l'armata de' Pagani Tanti Arcaliffe, Arcaiti, Ammiranti,


Alle nave di Folco a poche miglia ; Gente per tutto da combatter pratichi ;
Saettie, balenier, barcon, marrani, Ed avean seco sedici giganti,
E faste, e grippi, e legni di caviglia, Quasi razza di bestie, nomin salvatichi,
Uomini sopra ed animali strani : Che cavalcano alfane e leonfanti,
Si che a vederla arricciava le ciglia; E portan bastonacci assai rematichi,
Egrida, e urla, e più strani stormenti, E certi mazzafrusti , accette, e scure,
Da spaventar il ciel, non che le genti. Che non son le percosse lor sicure.
CIRIFFO CALVANEO 80
79

XXV XXXII

Avevan varie spezie di serpenti, Per questo Falcon molto s' avvantaggia,
E certi can, come mostri, menati, Però che i legni de' pagan son bassi
Che i cavalli ammazzavano, e le genti, La maggior parte, e non avevan gaggia,
Ed animali Ippotami chiamati, Si che Falcon gli forbotta co' sassi ;
Manticore con tre filar di denti, E triste a quel che sua vivanda assaggia !
Callirafi di lupo, e di can nati, Che la bocca quel giorno cocerassi,
E tigri, e cocodrilli, e strane bestie, E saprà dir come ella sta di sale:
Che daranno a Franciosi assai molestie. E cosi spesso un nom per mille vale.
XXVI XXXIII

E come e' furno accostati alla riva , Folceincui sempre ogni eccellenzia abbonda
Comincian con le navi a far battaglia, All' usanza facea de' paladini;
Che l'aria e 'I cielo e la terra stupiva; Ch'era un nom della tavola ritonda,
E intanto scende di questa canaglia E stava sempre a fronte a' saracini;
Aterra, e tutta la rena copriva : Un braccio il capo avea fuor della sponda,
Chi qua, chi là dalle navi si scaglia : Tanto che a molti pon le mani a' crini,
Erano in terra già tutti i giganti E questo, e quello in mar gittava, e scaglia,
Erimontavan sopra i leofanti. Sì che in gran parte tenea la battaglia.
XXVA XXXIV

Ed avviarsi questi torrioni Gran cose il di faceva Lionetto,


Inverso il campo, e la ciurmaglia drieto, E Guidone anche non pareva lasso :
Uomini, e bestie di molte regioni : Ma d'uno stral fa ferito nel petto,
Nè creder che gli andassin di secreto E bisogno che n'andassi da basso .
Che i capi uscivan fuor de' cerracchioni, Dall' altra parte i pagan, sendo a petto,
Come dicessi per bosco, o faggeto; Attendon tutti a votare il turcasso,
Furno in un tratto dal campo veduti, E facevan gran guerra agli occhi intorno,
Eper giganti al capo cognosciuti . Tante che al buio assai restano il giorno.
XXVIII XXXV

Ma le genti di mar gran cose fanno, E spesso come formiche s' appiccano,
Tal che l'aer parea per romor fioco : Senza temer che i cristian gli rabbuffino,
Mentre che questi inverso il campo vanno, Che a qualche cavo o catena s'abbriccano;
Edando a tutte le bombarde foco, Ma più convien pur co' pesci s' azzulfino,
A questo modo salutato s'hanno, Perché le spade, o l'accette gli spiccano:
E accostati cosi a poco a poco. Ma perchè molti nel mar ne rituffino,
Come furno i navil più insieme stretti, Ritornan come mosche a que' che scacciano,
Si sparan le balestra e gli scoppietti. Tanto che molto la battaglia impacciano.
XXXVI
XXIX

Poi converrà che si gettino i ganci, Il porto difendea le navi in modo,


Poi con le spade sai che non s'accenna, Che molti legni de' nemici guasta;
E dei pensar dalle gaggie ognuu lanci, Siche il grande Ammiraglio uom savio e sodo,
Che ve ne sia per l'arbor e l'antenua Cognobbe, che la forza sua non basta;
E tanti casi orribili saranci, E cerca se potea disciorre il nodo,
Ch' a scriver trema la mano e la penna. E le mani espedir da questa pasta:
Era a veder questo di la marina, Perchè e vedea già tanti de' suoi morti,
Per la battaglia, una inferual fucina. Che e' vorrebbe trovarsi in altri porti.
XXXVB
XXX

Falcone aveva alle gaggie ordinati Vedea fatto di sangue il mar vermiglio,
Più zolfi e piombi, che non ha l'archimia, E' pesci boccheggiar come in calcina ;
E sassi, e dardi e fuochi lavorati, Ecome savio presto ebbe consiglio
Ch'eran cose mortal più che epidimia ; Di doversi allargar nella marina,
Ed uomin di rispetto deputati, Perchè e' cognobbe ch'egli è in gran periglio,
Che montavan là su com'una scimia; Ch' avea dell'arte buona disciplina ;
Epiù che diecimille'il di ne cosse, E come e' faron d'accordo, levianci,
E sbrucava le carni insino all'osse. Subitamente fe' tagliare i ganci.
XXXVIII
XXXI
Erano i sassi un zucchero candito, Arebbe qui Falcon qualche riparo,
Ecannella confetta i dardi, e i pali, Che gli arebbe tenuto ancor il vischio ;
Si che chi era da questi ferito, Ma questo in altro modo gli fa caro,
Non bisognava alzar so gli orinali ; Che sapeva che il campo era in gran rischio,
Un balsamo parea l'olio bollito E di que' compagnon che in là n'andaro :
Che ne portava il moceol degli occhiali; Per la qual cosa posto a bocca il fischio,
E cener, e calcina di rispetto Silenzio fece, e consigliò poi Folco,
Era polver di duco, o violetto. Che lasciassi l'armata ir pel suo solco ;
81 82
CIRIFFO CALVANEO

XXXIX XLVI

E cosi la battaglia dipartissi, E se vi fussi congiunto lo ingegno ,


Fatto il di de' pagan crudel governo. Non vare' remediato la natura :
O quanti ne sono iti negli abissi! Ma tutti i loro stral non vanno al segno,
Ch'io credo, che la porta dello inferno Perchè e' non hanno diligenza e cura ;
Si spalancassi il giorno, non s'aprissi. E guasterà Guglielmo il lor disegno,
Cosi il Soldan, che far pensossi eterno, Perché questo savio è senza paura,
Presto novella arà, e non fia buona, E oltre a questo molto era gagliardo,
Che farà pianger tutta Bambillona. E salverà il suo campo e lo stendardo.
XL XLVII

Or lasciam le salse onde assai sanguigne Il re Luigi, come savio, il giorno


Del sangue in maggior parte de'Pagani, Ordino la sua gente; e fatto questo,
Perchè la nostra istoria mi dipigne A Folco manda che facci ritorno
Altro inferno più brutto pe' Cristiani: Con Lionetto e con Guidon suo presto ;
Perchè Tibaldo il mondo a dosso spigne E le navi a Falcon tutte lasciorno
Al re Luigi, e que' giganti strani, Che faccia, se a far nulla v'è di resto ;
Che faranno si spessi e gran macelli, E poi mandava a dire al Capitano,
Che i lupi saran giunti fra gli agnelli. Che s' accostassi con sue gente al piano.
XI.I XLVIII
E ci fia bastonate credo a macca ; E sapeva Luigi , come saggio,
E ci sarà diceva assai faccenda Che if mar del sangue è de' pagan satolo;
Un, che ſerrava l'oche in Ormignacca ; E come l'Ammiraglio a suo svantaggio
E credo avanzeranne anche a merenda, Si stå da largo con le vele a collo,
Come la zuffa nel campo s'attacca : E che si pente di questo viaggio;
Perché Tíbaldo or mi par che la intenda, Resta qui sol, ma per anco non sullo
Emanda alla città per veltovaglia, Se Falcon qualche inganno ancor pensassi,
Per rinfrescar la pagana canaglia. E di nuovo a Gesù la raccoccassi.
XLII XLIX

E pensa, que giganti smisurati , Or pur per ora lascianlo alle nave ,
Se faranno col fiasco, o col barile: E ritorniamo a Guglielmo, che avea
E quando e' sien dal mosto riscaldati, Veduto tutto, e il caso gli par grave,
(Tu sai che fa l'ingegno più sottile) E de' giganti più ch' altro temea ;
E' saranno più arditi: ricordati Ede'serpenti, e quelle fiere brave,
De' lor fratei, che 'l ciel tennono a vile; E di Tibaldo il grande ardir sapea ;
E come Giove fu quasi sconfitto, Venne a Luigi il Capitan gagliardo,
Eper paura si fuggi in Egitto . E lascia il duca Aiolfo allo stendardo .
XLIII L

Luigi non sarà loro una succiola : E fa quel di Guglielmo biasimato,


Non varrà qui Mongioia, nè san Gianni , Che lascio to stendardo con periglio;
Che se il baston di man lor non isdrucciola, Che se si fasse un gigante accostato,
Credo che in modo scoteranno i panni, Forse che dato gli arebbe di piglio.
Che n'andra la tignuola, e non la lucciola; Luigi con Guglielmo ebbe chiamato
E daranno a' cristian di molti affanni; Beltram, Guidon, Lionetto a consiglio,
Eche Guglielmo calerà dal monte, Folco di Candia, e lo Inghilese Arnaldo ;
Eforse assaggerà di queste cionte. Emolto disputar sopra Tibaldo.
XLIV LI

Gran festa fece Tibaldo a' Giganti, E dopo lunga e gran disputazione
E domando se v'era Scarambasso, Guglielmo disse la sua fantasia ,
Che cognosceva lui fra tutti quanti : Che combattuto avean con le persone :
Ein tanto vino si mettea da basso, Or combatton con bestie, e con ginia,
Eminacciano, e giuran per lor santi, Che non hanno misura nè ragione,
Che faran de Cristian si gran fracasso, E perché gli avea sempre qualche spia,
Che mai non tornerà più il re Luigi Come è ufficio d'ogni capitano,
In Francia bella a riveder Parigi ; Ogni cosa dicea di mano in mano.
XLV LIT

E che Tibaldo s'arrechi in luoghi alti, E sapea quel che dicono i giganti ,
Che faranno quel pian di sangue un guazzo Che avean molto Luigi minacciato;
Come e' sien cominciati e' primi assalti, E come gli han giurato tutti quanti,
E con un viso feroce Cagnazzo, Che in Francia mai non sarebbe tornato ;
Superbia mostra per cento Efialti, Eche il più vil di for par che si vanti,
Perché e' lavora del vin qualche sprazzo. Che presto il suo paese fia assaltato,
Par nondimeno saran da temere, Eche faranno un bordel di Parigi,
Giunto il vin con fa forza al mal volere. E i cavai mangeranno in san Dionigi;
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CIRIFFO CALVANEO 84

LIII LX

E che non han di sua gente paura, E non aranno tutti gli epitaffi ,
Che volean mazzicargli come cani, E molti sentiranno la rugiada,
E quando e fieno in Francia alle sue mura Che come zucche la notte gl' innaffi ;
E torre sveglieran con le lor mani ; Si che a Beltram commesso fu che vada
E minacciavan Giove, e la natura, Là dove era Tibaldo co' suoi zaffi,
Edicean cose, che non son di umani : Che n'avea questa volta una masnada ;
Ma mentre così tutti avevan detto, E parve al re Luigi, ed a Guglielmo,
Ognun sollecitava col barletto, Che non portassi sicurtà nè elmo.
LIV LXI

Però, disse Guglielmo, a me parrebbe Misesi solo una leggiadra vesta ,


Non s' affrontar con queste genti pazze ; Che parea tra brenutio, e caffettano .
Perchè col vino si combatterebbe Tibaldo fece a Beltram nostro festa,
Che son tutti in galloria come gazze ; E Beltram destro baciolli la mano :
E credo che ne gli otri si darebbe, Ma non si trasse il zuccotto di testa ,
Ed oltre a questo egli hanno di gran mazze, Ch'era stato già in corte del Soldano :
Che a lasciarle cader sol giù da alto Sapea a punto ogni lor riverenzia,
L'uom e 'l caval porranno in su lo smalto. E inginocchiossi per magnificenzia.
LV LXII

lo farei per or tregua con Tibaldo , Tibaldo, come ho detto, era nom discreto,
Se paressi a questi altri, per un mese, E conoscea tanta in costui virtute,
Tanto che sia sfumato questo caldo: Che con un volto grazioso e lieto
Però che e' son venuto di paese, La man gli prese dopo le salute;
Che questo lor furor fia presto saldo. E comando che ognuno stessi cheto,
Tibaldo so che farà buone spese ; Si che tutte le turbe furon mute:
E tutti balenar gli vedrai tosto, E disse sorridendo il primo motto ;
Che non son usi a zuffarsi col mosto. Ove è Beltram il tuo salvo condotto ?
LVI LXIM

Cosi presto vedrem questi animali, Rispose Altimonier : Magna Corona ,


Che purdi luoghi caldi hanno menati; Nel tuo cuor valoroso, e degno, e invitto ;
E sarebbon or fieri e micidiali, E sarei venuto anche in Ascalona,
Che a poco, a poco fien quasi spacciati: Poi che nel petto di Tibaldo è scritto ;
Noi potremmo ovviare a molti mali, Ma non andrei al Soldan di Babbillona,
Non esser cosi presto in ballo entrati, Che già la fede mi ruppe in Egitto :
Acciò che a dir non s'abbi: io me ne pento; Vengo a Tibaldo, come a vero amico
Aluogo e tempo poi darenvi drento. Della mia casa infin pel tempo antico.
LVII IXIV

La scusa è qui parata, al parer mio, E non abbiamo insieme odio nè guerra,
Che ci bisogna a' morti aver pur cura , Ma combatte qui fede contro fede,
Acciò che non si offenda in questo Iddio, E non so qual di noi, ma l'un pur erra,
Di lasciargli alle fiere alla ventura, Ma l'uno e l'altro d'errar non si crede.
E puossi in modo dir, come dico io, Tibaldo allor la man ristringe e serra,
Che non parrà tu il facci per paura : Tanta eccellenza nel parlar suo vede,
Però che i morti omai si sentiranno, Che molto posson le parole pronte;
E seppellir per forza si faranno. Poi l'abbracciava, e baciolli la fronte .
LVIII LXV

Tibaldo, vorrà pur, che l' Alpatrice Guardo Beltramo, e i giganti vedea,
Sia levato de' boschi, e seppellito ; Che alcuno insieme faceva alle braccia ;
E Sinettor, che alla città si dice, E parea quando l'un l'altro scotea,
Per le man di Spinetto morto è ito: Quando ancor Giove Briareo minaccia,
E sa che il poggio ha piena ogni cornice Che tremar sotto la terra facea:
Degli altri corpi, e piglierà partito, Chi qualche pin con un pugno giù caccia,
Che in ogni modo il tuo parer si segua, Poi lo lanciava come un dardo in alto,
E come savio accettarà la triegua. Chi co' baston faceva qualche assalto.
LIX LXVI

Piacque a Luigi, e gli altri che d' intorno Egli avean palle grosse da bombarda,
Eran, molto il parlar del savio duca, Ed un di lor facea la bagattella,
E tatti uniti a questi s'accordorno , Edice all' altro: Apri la bocca e guarda,
E che Beltram sia quel che la conduca, Isputa, e gli sputava una cammella :
Acció che a morti s'attendessi il giorno, Un altro v'era, che fece la giarda
Però che s' avea a far più d'una buca; Ad un buffon di Tibaldo più bella,
E converrà qui guastator pur molti, Chelo inghiotti visibilmente tutto,
Prima che sien tanti corpi sepolti . Poi lo gittò fuor vivo con un rutto.
85 CIRIFFO CALVANEO 86

LXVII LXXV

Perchè Beltramo assai maravigliossi Forse questo stendardo, se Iddio il diè,


Di lor natura e della lor fortezza, A Fiovo ( come io credo) ha grazia in cielo.
Che traean sassi per marelle grossi, O tristo colle, io maledico te,
Come macin da guado di grandezza ; Poi che in te perpetrato è tanto scelo;
Ma poi in un tratto a ira furon mossi, Come fu maladetto Gelboè,
Quando sentiron chel Soldan disprezza; Sopra te venga tanto caldo o gelo,
E come can, che in catena digrigna , O sì cruda stagion rigida acerba,
Gli fecion tatti viso di matrigna. Che non ci nasca su pianta nè erba !
LXVIII LXXVI

Tibaldo che conobbe la lor mente, Poi fe' portare il corpo alla città
Che si scostassin con la man fe'cenno ; Del suo fratello, e poi molti altri vide
Pure Ansidonio, un gigante possente, De' suoi pagani, e seppellir gli fa.
Che avea fra tutti in verità più senno, Quivi si senton dolorose stride ;
Disse: Il Soldan non ti fe' mai niente : Chi il padre, chi il figliuol ritrovato ha,
Mastu non voli, e intanto io non mi spenno, E per dolore il cor se gli conquide :
Un di ricordératti di Ansidonio: Chi il suo fratel, chi'l morto amico abbraccia,
Cosi Tibaldo ne sia testimonio. E'l petto, e 'l volto si percuote e straccia.
LXIX LXXVII

Beltram, che vide il gigante nel viso Gran lamento si fece tra pagani ,
Turbato e tinto, alquanto s' accapriccia: E seppelliron, come è lor costume,
Gli altri a traverso lo guardavan fiso, Ne' campi i morti in molti luoghi strani:
Che paion Farfarello e Barbariccia: E non aspettan qui campana o lume :
Ma poi con seco alla fine ebbe riso, Alla città mandorno i Capitani,
Che come gli occhi da' giganti spiccia, E cavai rotolorno tutti al fiume,
Si vide intorno si strani animali, E riserbar di molti il fornimento,
Che esser credette tra monstri infernali.
Ebriglie, e selle d'oro e d'ariento.
LXXI LXXVIII

Tibaldo taglio presto le parole, E tante ricche gioie fur trovate


Che dette avea il gigante superbo ; Dalla partedel campo saracino,
E disse: Ambasciador dica che vuole, E de' cristian, che fur poi misurate
Che lecito non è risponder verbo: Non molto men che quelle del Barcino.
Se del Soldano, il tuo signor, si duole, Cosi tutte le genti sotterrate,
Amaggior cose in su campi vi serbo; Quantunque il re nepote di Pipino
Epoi si volse a Altimonieri, e disse, Riportassi trionfo, e fama, e gloria,
Che arditamente il suo parlar seguisse. Fu molto sanguinosa la vittoria.
LXXII LXXIX

Il perché, Altimonier disse ogni cosa, Granpianto fu di Guiscardo orgoglioso,


Per quel che il re Luigi lo mandava ; E poi si fece il corpo conservare
E come la battaglia dolorosa Con certo unguento molto prezioso,
Di molti corpi pe' boschi lasciava, E riportollo in suo paese il mare,
Che si dovesse l'arme porre in posa, Dove fia tutto il popol doloroso:
E l' Alpatrice suo gli ricordava, Poi fece il re Luigi rassettare
Che gl'increscea di lui come fratello, Il campo tutto, e il resto di sue genti
Che molto amava le virtù di quello. Ne'luoghi usati a'loro alloggiamenti.
LXXIII LXXX

Tibaldo lagrimo dell' Alpatrice, Tibaldo in Ascalona ritornato,


E ricordossi ben di Sinettorre, Dell' Alpatrice, e del re Sinettorre
Ch'esser dovea suo Capitan felice Fece le esequie al modo loro usato.
E terminó la battaglia deporre : Or perchè spesso nel dir si trascorre,
Perché Beltramo saviamente dice, Direbbe alcun, dove abbiam noi lasciato
Tanto che nulla si poteva apporre; Irlacon di Turchia, che pur occorre ?
E consenti la tregua volentieri, Quantunque il tempo breve spesso caccia,
Eritornossi al campo Altimonieri . D'un tanto e gran signor menzion si faccia.
LXXIV LXXXI

Or qui comincia i dolorosi guai; Irlacon si tornò con le sue navi,


Tibaldo il suo fratel riveder volle, Poi che gli ebbe a Tibaldo porto aiuto,
Poi che più riveder nol dovea mai E basta in questo caso se fatto have
Dove fu la battaglia in su quel colle; Come amico e parente il suo dovuto.
Edice sospirando : To non pensai, Il pianto in Ascalona amaro e grave
Che cost fussi : o mal consiglio e folle, Era ancor tal, che non saria creduto;
Che mi die il primo Malducco di Ramma, E tutta la città fu in bruna vesta,
Che si togliessi a Guglielmo oro e fiamma. Poi convertissi in gran trionfo e festa.
88
87 CIRIFFO CALVANEO

LXXXII XC

Per onorar la gente del Soldano, È delle isole basse di Fortuna


Tibaldo co' giganti si ragiona, Un gigante che chiaman Fortunato,
Quel che si fa nel lito Egiziano Che non avea di bellezze soľ una ;
Quel che facci il signor di Babbillona: Un volto giallo, e tondo e scofacciato,
Ma non intende alcun linguaggio strano, Che pare in quintadecima la Luna,
Venuto insin dalla torrida zona, E ridea sempre, questo scimignato,
Ch' era chi d'un, chi d'un altro paese, Ch' avea forse bevuto a quella fonte,
E con fatica i nomi loro intese. Che fa le risa, a ehi vi bee, si pronte.
LXXXIII XCI

Ansidonio era di Fenicia nato, Di Libia v'era un certo badolone,


Tibaldo conoscea fra tutti questo : Ch' avea con seco menati i serpenti ;
Un altro Tarabusso era chiamato , E però si chiamava Serpentone,
Di Tartaria , che molto era rubesto ; Ch' avea come il cignal sannuti i denti ;
Il terzo Scarpiglion fratel binato Emangiava le bestie e le persone
Di Scanderbech, ambi tolti da un cesto : Crude, e la carne non vuole altrimenti :
Si che l'un l'altro somigliava molto, Edi Ghinea un altro manigoldo,
Che se l'uno era pazzo, l'altro è stolto, Odi Ginea, ch'era detto Amoroldo.
LXXXIV XCI

Hanno costor nel monte Carpenteo Era questo gigante tanto nero ,
Isbarrato la bocca già a mille orsi ; Che parevan di neve gli Etiopi ;
E se fussino stati con Tifeo, Un occhio aveva come forestiero,
Quando i giganti contro al ciel levorsi, Perch' egli è della schiatta de' Ciclopi :
Arebbon tanto prezzato ogni Deo, Un altro arroganton, superbo, altiero,
Quanto i leon delle pecore i morsi : Ch'era re delle gatte, o quel de topi,
Cavalcano elefanti, anch'e' frategli, In Africa appellato è Gattamummo,
Ma maggior bestie son di sopra quegli. Pien di fasto, bestiale e pien di fummo.
LXXXV XCIII

Rubicon venuto era di Rossia, Tibaldo fe' per onorar costoro


Un'altra bestia di due gambe pure, Ogni di giostre, balli, e giuochi, e feste.
Che serbava in conserva la pazzia, Passato alquanto le esequie, e 'l mortoro
E in su la spalla portava una scure, Deposte in tutto le funeree veste,
Che ancor si crede di buratto sia, Aleandrina avea molto martoro,
Ed avea fatto già mille paure E piange pur con le compagne meste;
Al gran Desdram con la sua furia pazza : E tutti que' sollazzi a lei son noia,
Sì che questa era in fin tutta una razza, Però che i suoi pensier son volti a Troia,
LXXXVI XCIV

Un altro v'è chiamato Trangugione, Ella arebbe voluto che il suo padre,.
Venuto di Hiperbora, che trangugia Tibaldo, cosi morto rimandassi,
Gli uomini interi vivi in un boccone, Dove aspetta dubbiosa la sua madre.
E cacciagli là giù tra la minugia ; Intanto un giorno un bel convito fassi
E l'altro ch'era tutto devozione, E tutte le più belle e più leggiadre
Come a dire, Scarinci o Gattarugia, Tibaldo comando che s'invitassi :
Che mangiava i fanciulli, anch'egli, il porco! Fra l'altre Aleandrina pregata era,
Suo fratello è chiamato Basalorco. Che si dovessi trar la vesta nera .
LXXXVII XCV

Eravene un che dicon Salamec, Essendo il di del convito venuto,


Che tutti gli altri di grandezza varca, Che ognuno in sala è con molta letizia,
Ch'un occhio s'avea tratto nella Mee Tibaldo chiama il Povero Avveduto,
Come di Macometto vide l'arca ; Ed onorollo della sua milizia ;
Un suo fratel chiamato Salisbrec Cinse la spada, perchè egli è dovuto
Avea con seco molta sconcia incarca, Difender cavalier sempre giustizia,
Ed eran d'un paese, che e'nol sanno, E fecelo suo primo capitano,
E non s'intendon lor, nè il turcimanno. E di sua man gli die' il bastone in mano.
LXXXVIII XCVI

Tre altri venuti eran di Numidia, E di sua man gli spron d'oro gli misse
Gattagancia chiamati, e Carbonchione, Per onorarlo questa volta a doppio :
O Carbonel, che paion pur l'Accidia, Della qual cosa ebbe Cornes Dalisse
Uomini strani senza proporzione, Tanto sdegno, dispetto e tanto scoppio,
Da non tirargli Prasitel o Fidia ; Che e'ne segui poi tante e tante risse,
Un altro Bricco, o più tosto Briccone, Che fu per molti al fin pestifero oppio,
Da declinarlo pure in ablativo, Un tristo seme di malvagio frutto,
Ed è, come si vuol, grande e cattivo. Tanto che il mondo andra sozzopra totto.
89 CIRIFFO CALVANEO 90

XCVII CIV

E piangeranne a luogo e tempo ancora E soggiunse : Discreta alta madama ,


Tibaldo, che nel petto sculto resta: Ciò che nasce convien al fin pur muoia;
Ma questo non è tempo a trattare ora, Ma vive e resta nel mondo la fama,
Ognun si sforza di far buona festa ; Cosi fia sempre del gran sir di Troia;
Esopra tutto i giganti s'onora : E m'incresce vedervi afflitta e grama
La bella Aleandrina è in negra vesta, Soletta, sconsolata in tanta noia,
Ementre che il convito era più in gala, E so quanto e' importa il caso strano
Con le sue damigelle venne in sala. D'aver perduto il nostro Capitano.
XCVIII CV

Eran tante moresche, e personaggi, Jo non vo' replicar l'antico amore


E tanti suoni intorno, che e' parea, Che ognun di noi portava a Sinettorre,
Che tutto il mondo rovinassi o caggi : Però che a tutti padre era, e maggiore,
Il Povero Avveduto la vedea, Potea del campo a suo modo disporre ;
Che come il sol lo saetta co' raggi, E rimandato fia con quanto onore
E Vulcan già drento al suo petto avea : Tornossi in Troia mai l'antico Ettorre :
Tibaldo a Sinettor pure allor pensa, E sempre piangerò, come fratello,
Come e' la vide accostare alla mensa. E vendicatofia, per Macon, quello.
XCIX CVI

Fu presto un ricco scanno preparato, Ma che farete voi, gentil madonna ,


Ela festa real tutta confusa : Poi che sarete in Troia ritornata ?
Tibaldo, in volto già tutto cambiato, Non v'è più il vostro padre, e la colonna
Volea di Sinettorre pur far scusa , Per la qual credo eravate onorata :
(Il Povero Avveduto è trasformato E star qui in pianto con la trista gonna
In sasso, come al capo di Medusa) Non sarete del danno ristorata :
Egli occhi in tutto alla donzella fisse, Io ho per voi pensato altro partito,
Che's' accorse di lui, poi così disse : Di darvi un bello e leggiadro marito.
C CVII

Saildan, begi Tibal, salamalec, E non crediate che Sinettor nostro


Coscemisen memben chiscardasci, Vi conducessi qui senza cagione,
Baba doste Troia ben macherec Che tutto il suo disegno m' avea mostro,
Bilursen ievedam cardascio isci Ch'arà, se voi volete, esecuzione :
Guigel bunda tursum maconlamec E so che è già qui partigiano vostro,
Tanuc. Alla, bisse bicias, aggi Gagliardo, savio e più bel che Assalone
Meben guges alton comis ioctur Colui che allato a me più siede appresso,
Saithan iuri franco ieremas caur. Il Pover, se vi piace, fia quel d' esso.
CI CVIII

Tibaldo sapea ben la lingua Turca, Aleandrina diventò nel volto


Ma questa volta rispose Arabesco: Subito come una vermiglia rosa,
Nanfris lanfres malfus mansor chiurca Epartissi col laccio al collo avvolto,
lanson sardam nansil carban carbesco Che la bella Afroditi era nascosa :
Fagor Delfin delis burlar biurca E già Cupido lo strale avea tolto,
Lamec alla Soldan giordan iarbesco E toccò i panni la fiamma amorosa,
Alfaca, e sarafin Sarbinga e sprocca. Che a poco a poco nel cuor gli riesce,
Guarda parole che gli uscir di bocca ! E come fuoco artificioso cresce.
CII CIX

Intese Aleandrina le parole, Or che farai tu, Povero Avveduto?


Che detto aveva Tibaldo pur degne : Sarebbe mai che tu t'innamorassi?
Come di Sinettor troppo gli duole, Credo che ancor tu non abbi veduto
Perché dato gli avea tutte sue insegne, It nodo, che d'amor già per te fassi;
Egiurava per Delfi e pel gran Sole, Meglio era il di tu avessi tenuto
Che se quel prima nel ciel non si spegne Gli occhi più gravi, vergognosi e bassi !
Per Belfagor, e gli altri Iddii pagani, Il detto del poeta ti sia specchio:
E' ne fara vendetta con sue mani . Giovincel mansueto, e fiero vecchio.
CLII CX

Eperchè ella avea detto in suo liguaggio, Tu hai già quello stral fisso nel cuore
Che volea ritornar nel suo paese, Di Febo per la figlia di Peneo,
Il disse con la lingua, e col visaggio E dirai come semplice amadore :
Un altro effetto assai mostró palese : Non son pastor più in selva, io son Iddeo,
L'Almansor, ch' era un uom discreto e saggio, Dove è la fede tua , dove l'amore ?
E le parole, e gli occhi bene intese ; Non ti ricordi tu di Calvaneo ?
Avendo a lato il Povero Avveduto Che lo solevi amar come fratello,
Fece un altro pensier si come astulo, Ed or si sta soletto al suo Carmello?
91 CIRIFFO CALVANEO 92

CXI

E Falcon tuo, che ti guido per mare, Noi lo faremo in Arabia signore ,
Eposeti nel porto d' Ascalona, Ch'i'non vidi mai giovin tanto ardito;
Lasciato hai per lo campo strascinare, Nè mai più partirà da nostre squadre,
E straziar come un can la sua persona : Perch'io conosco in lui cose leggiadre.
Se ingrato Amor ti farà diventare , CXIII
Questo peccato poi chi lo perdona ?
Amore è ben gentil, ma il suo ciel regge In tanto il gran convito è sparecchiato,
E posto fine al sollazzo e diletto,
Ingiusto, ingrato e senza fede o legge.
Il Pover si parti tutto turbato ,
CXM Ed andossene in camera soletto ;
Tibaldo disse poi con l' Alınansore : Soletto no, che sarà accompagnato
A me piace, Almansor, questo partito, Di pensier, di speranze e di sospetto :
Perch'io portavo a Sinettorr' amore, Quivi sol seco combattea sè stesso :
Che il Pover di sua figlia sia marito: Non si ricorda d'altre guerre adesso.

CANTO VII

Iit

ARGOMΕΝΤΟ O Calvanco, dove t'ho io lasciato?


Senza qual viver non credetti un'ora ?
Già son tre mesi: or non son io ingrato
A non cercar di ritrovarti ancora ?
Poi dicea : Quando io t'avessi trovato,
Quel bel viso, che in ciel Giove innamora,
11fier Pastor per Leandrina bella Se fussi altrove, anch'io sarei altrove;
Arde già tutto d'amoroso caldo : Si ch'io non so come ti cerchi, o dove.
Contro alfratello armato monta in sella, IV
Sol per piacer al suo rege Tibaldo : Io son al mondo por però felice,
Dividon la battaglia iniqua e fella Dappoi che son amato, e amo, e spero,
Ifier giganti: e Falcone, il ribaldo, E'l re Tibaldo, e l'Almansor mi dice,
Ch' aveva ordito doppio tradimento Che mi darà gran regno, e quasi impero .
Paga sue colpe, e da de' calci al vento. Io ero al tutto misero e infelice,
Quando qui venni come forestiero,
Senza certezza di speranza alcuna,
Nė mi posso doler della fortuna.
I V

I.
lo non so, lasso, più quel ch'io mi voglio, Io debbo solo odiar Guidon, mio padre,
Oquel ch'io speri in questo mondo, o brami: Che m'ha scacciato fuor del cristianesimo,
O Falcon mio, di te quanto mi doglio, E ingannata per altra la mia madre.
Ch'io sare' all'ombra ancor di verdi rami; Adunque mai non piglierò battesimo ?
Umil pastor ne' boschi, come io soglio, Io mi starò fra le pagane squadre,
Adoprerei l'astuzie, e l'esca, e gli ami , La fede osserverò del paganesimo ?
Dove preso son io da gli altrui lacci, E licito ogni cosa è per costei,
E non è chi per me difesa facci . Che venuta è del regno degli Iddei ?
11 VI

Forse che ora in campo con Guidone E se io ti truovo, Lione Spinetto,


Di me ti daoli, e il tuo rammarichio Alla battaglia per la tua sciagura ,
Parmi comprender già per discrezione, Che uccidesti il suo padre, poveretto,
Giò è, ch' io non ho fatto il dover mio; Io giuro a quello Iddio che fe' natura,
Ch'io t'ho lassato star preso in pregione, Gon la mia lancia trapassarti il petto,
E incatenato, oimė lasso ! son io Se fusse ben diaspro l'armadura,
Dalle catene stretto già d'amore, E lo scudo di porfido o diamante :
E rinchiuso in un carcer pien d' errore. Poi ch'io son fatto suo per sempre amante.
93 CIRIFFO CALVANEO 94

VII XIV

Io farò a Tibaldo riavere Egli arebbon mangiato a Faraone


Tiborga bella ancora , e la sua terra. Quanto gran per le fosse e per le celle
Sia chi si vuole, armato a suo piacere, Tenne alcun tempo per sua munizione ;
Se fussi Marte, io il gitterò per terra: Non son costor da pascer di frittelle ;
Aleandrina potrà ben vedere, Un bufol con le corna era un boccone,
Come io mi porterò, s'io sarò in guerra. Bisognava far pan come rotelle,
E cosi presto il suo voler remenso, O come un fondo di botte o di tino,
La ragion preponea di nuovo al senso. E che corressi il Danubio qua vino.
VIIL XV

Sono io si tosto di me stesso uscito ? Avea Tibaldo ancor mille capricci,


Sono io si stolto, e si grosso, o materno? Che spesso, quando e' son avvinazzati,
Ch'io voglio di costei esser marito, Si bastonano insieme come micci ;
Per mandar poi giù l'anima all' inferno ? E palchi tutti avevon fracassati,
E cambiare il finito a lo infinito, E certi ragazzin biondi co' ricci,
Breve piacer per un supplicio eterno ? A poco a poco non si son trovati :
Undolce misto per un puro fele ? Che gli avean trangugiati senza sale,
Questo peccato è in se pazzo, e crudele. Ch' era stato un peccato a far lor male.
IX XVI

Ecco costei, poi che mia sposa fia, E traevon coreggie i ribaldoni
Dove andrò io con essa, od in qual parte ? Alcuna volta per ischerzo, o gola,
Tibaldo ha fatto forse fantasia, Che cavavon la polver tra mattoni,
Come Luigi e sua gente si parte, E spazzavan le tre ogni gran sala:
In qualche modo poi cacciarmi via, Non bisogna pel fuoco altri soffioni ;
E ordinò con astuzia e con arte Non si conosce pidocchio o cicala:
Le parole, che disse l'Almansore, Eran proprio la schiuma de' gaglioffi,
Perchè l' nom nasce ingrato e traditore. Porci, birri, ghiotton, rubaldi e goffi.
X XVII
Tutta la notte in sino alla mattina E cantavan talvolta tutti in tresca,
Varie cose gli apparvon nella mente; E facean la più strana gargaliata,
Pur riveder di nuovo Aleandrina Che non era nè d'Ungher, nè Tedesca :
Propose a se medesimo, e consente; Più tosto o filastrocca, o intemerata;
E in tanto Amor il suo dardo raffina E pensi ognun come questa rincresca,
Che più che prima sarà poi fervente; Perché la solfa non è qui segnata,
Chein un segno e in un loco undoppio strale O per bi-molle, o per natura grave:
Sempre al colpo secondo è più mortale; Ma lo intronare era sempre la chiave,
XI XVIII

E termino di presentare a questa E Serpenton co' serpenti anche scherza,


Sinettor, il caval ch' era venuto Ch' avevon molte angeliche lor voce
Da Troia . Aleandrina con gran festa Alcuna volta, che gli batte, e sferza,
Il cavallo e chi il manda ha ricevuto ; E metton urla si strane e feroce,
E mandò in scambio una leggiadra vesta, Che non reggevon gli orecchi alla terza,
Che non dispiacque al Povero Avveduto ; E chi gli tocca, alle volte, si cuoce :
Ecosì cominciossi a scambiar dardi , Vollono alcuni po' savi accostarsi,
Quando condon, quando amorosi sguardi. E come stoppa in un tratto sono arsi.
XII XIX

Ma poi si scambierà qui gioia a gioia, Però fece Tibaldo un suo pensiero,
Enon ce ne sarà sola una buona ; Come e' potessi costor rimandare ;
Non ci bisogna Aleandrina a Troia E manda al re Luigi un messaggiero
Ritorni, che la Troia è qui in persona : A dir, che gli volea significare,
La cosa se n' andrà di soia in soia, Come i giganti hanno il cervel leggiero,
E'l fante spacceren per Barzalona ; E non volevan la tregua aspettare ;
E cosi fanno poi tutte le donne E insino a qui gli avea tenuti a pena,
Un gioco, che è più bel ch'alle minonne. E che son can da romper la catena ;
XII XX

Or ci bisogna qui fermare un poco Che gli parea, se a lui paressi questo,
Quel che fanno i giganti con Tibaldo, Che si dovessi terminar la guerra
Perchè e' comincia a rincrescerli il gioco. A corpo a corpo : e se non fussi onesto,
Come il nostro voler non sta mai saldo, Che gli perdoni se nel dir pur erra :
Era già freddo, anzi giacchiato il fuoco E se'l suo cavalier vincea, che presto
D'un desio, che al principio fu si caldo; Liberamente gli darà la terra :
Che spesso tardi a suo danno si pente Ma se e' perdessi con ispada, o lancia,
Chi troppo a se medesimo consente. Che si dovessi ritornare in Francia ;
95 CIRIFFO CALVANEO 96

XXI XXVIII

E se voleva fermar questo patto, E datogli la sua benedizione,


Che manderebbe il Povero Avveduto . E così fatto aveva Aleandrina ;
Per che Luigi a consiglio di fatto E stavan l'una e l'altra in orazione,
Chiamo Guglielmo, e chi gli par dovuto; Dalla parte cristiana e saracina,
Ma Lione Spinetto al primo tratto E'nsino allo steccato ando Guidone ,
Prego che'l campo gli sia conceduto, Poi disse: Or oltre al tuo fato cammina .
Come e' senti, che veniva il Pastore, Tibaldo , e l' Almansore era venuto
Ch' avea speranza riportare onore. In compagnia del Povero Avveduto.
XXII XXIX

Guglielmo consiglio discretamente, Il Pover poi che drento fu rinchiuso,


Che questo più sicuro gli parea, Gli sopravvenon molti pensier gravi ;
Che combatter con bestie e strane genti, E nel suo cuor dicea tutto confuso :
Però che de' giganti assai temea, Chi sarà quel ch'un tal peccato lavi,
Che sa come e' combatton pazzamente : Se il giusto sangue per me sia diffuso ?
Il perchè il re Luigi rispondea Poi dette a Lionetto in man le chiavi,
Al messaggier, che ritornassi drento E Lionetto le gitto nel fiume,
Al suo signore a dir ch'egli è contento. Come de' Paladini era costume.
XXIII XXX

Guidone acconsenti pur con paura, E ricordossi dell'antico Orlando,


Ed ordinato fu che Lionetto Di cui tanto cantato ha il mondo e scritto :
Avessi buon caval , buona armadura, Il Pover fra sè disse sospirando :
E prestogli Luigi un ricco elmetto, O Dio, che pe' Cristian fusti confitto,
Ch'avea provato a ogni spada dura, Il mio fratello e me ti raccomando,
Alla lancia, al balestro, allo scoppietto, E se licito è il prego a te diritto,
Tanto che trovò scritto in alcun testo, Adopra in modo tua bontà infinita,
Che fu d'Almonte, e poi d' Orlando questo . Che ciascun salvi e l'onore e la vita.
XXIV XXXI

Intanto il re Tibaldo al Pover disse Poi disse a Lionetto : A tuo piacere


Il pensier, ch' avea fatto de' giganti; Piglia del campo, io ti disfido a morte;
Che si pentia, che l'armata venisse, I patti so che tu debbi sapere,
E non volea più in casa que' briganti ; Che aperte sieno a Luigi le porte,
E come al te Luigi in campo scrisse, Se tu m'abbatti a terra del destriere ;
Che eletto aveva lui fra tutti quanti E s'io vincessi te per caso, o sorte,
A corpo, a corpo con la sua persona, Il campo leverà da nostra terra,
A liberar l'assedio d' Ascalona. E cosi terminata fia la guerra.
XXV XXXII

Il Pover, quando udi queste parole, Rispose Lionetto : lo son venuto


Senti nel petto il cor tutto infiammarsi; Alla battaglia a far come tu hai detto;
Dappoi che Lionetto è quel che vuole E stu m'abbatti , Povero Avveduto ,
Venir con esso sul campo a provarsi ; Afe' da cavalier giuro e prometto,
E disse : Tu m'hai tocco, ove mi duole, Che ciò che fu promesso fia attenuto ;
Tibaldo; e'l primo di doveva farsi : La lancia giudicar suol sempre retto :
Ma solo a Aleandrina ciò non piacque, Cosi Tibaldo so che fia discreto;
Pur come savia per vergogna lacque. Poi si rivolse col cavallo a drieto .
XXVI XXXIII

Fu dato il di, secondo il lor costume, E l'uno e l'altro assai del campo tolse,
E il luogo alla battaglia deputato E poi in un tratto con molta destrezza
Tra il campo e la città, presso ad un fiume, La lancia abbassa, e'l suo caval rivolse,
E fatto intorno a questo uno steccato : Ch'una rondine va con men prestezza ;
E perchè ognun la vittoria presume, E quasi a mezzo lo scudo ognun colse,
Acciò che scandol non fussi qui nato, Si che la lancia parimente spezza,
O dato in qualche modo impedimento, E' destrier come folgor via passorno,
S' accordaron lor due serrarsi drento ; Tal che i giganti si maravigliorno.
XXVII XXXIV

E che potessi, chi voleva, il giorno Rivolse presto il cavallo Spinetto,


Istar senza arme di fuori a vedere; Per ritornare alle man col fratello,
E che i giganti stessin ben d'intorno , E pensa pur d' ammazzarlo in effetto,
Ma che non possin nulla in mano avere Ocome il giusto sangue sparga quello :
E cosi drento finalmente entrorno Il Pover più che pover poveretto,
Armato l'uno e l'altro cavaliere ; Avea nel cor pien di tosco un coltello,
E Danidonia avea pur Lionetto E dicea fra se stesso: Che far deggio ?
Baciato un tratto, e messo poi l'elmetto. I
' son condotto pur tra ilmale e'l peggio.
97 CIRIFFO CALVANEO 98

XXXV XLII

Comincian con le spade il fiero assalto, O Guidon fortunato, o degno padre,


Ma Lionetto trasse un colpo prima, Questo tuo Lionetto hai tu veduto ?
Si che la spada tirata giù d' alto Egli è certo l'onor delle mie squadre,
Dabuon braccio , buon occhio, e buona serima , Tibaldo Ga della impresa pentuto
Al primo colpo fe' rosso lo smalto; Queste genti bestial, ribalde e ladre
L'elmo trovò, ma non s'appicca in cima : Gridavan tutti il Povero Avveduto,
Trovè la spalla, e taglio lo spallaccio, A me pare Lionetto abbi vantaggio,
Che fu di cera, e ferillo nel braccio. E misuri i suoi colpi come saggio.
XXXVI XLHI

Il Povero Avveduto sbigottito Il Povero Avveduto avea nel cuore


Non fu mai tanto, quanto a questo tralto, Uno stral con due punte, che l'afferra,
Che cosi tosto il fratel l'ha ferito; Che da l'un lato desiava onore,
Edisse fra suo cuore : Io ho mal fatto; Da l'altra parte altro pensier lo serca
Costui mi par con la spada si ardito, Se Lionello mio fratel pur muore,
Che nonè tempo a menargli di piatto ; Tibaldo è quel che arå vinta la guerra ;
E s'io l'uccido, io uccido me stesso, Un altro arà perduto, io sarò quello :
Sì ch'io non so qui consigliare adesso. Cosi pungeva il cor questo quadrello.
XXXVII XLIV

Or oltre adoperar pur mi bisogna E così varie cose ripensando


Aquesta volta tutto il mio potere ; Combattea col fratello e con se stesso,
Se non che ci fia altro che vergogna ; E bisognava a doppio oprare il brando
E poi lasciava la spada cadere E sempre Lionetto gli era appresso ;
Sopra l'elmetto, ma il pensier suo sogna, E venia le sue forze riscaldando,
Ch'altro non taglia se non il cimiere, E menava i suoi colpi tanto spesso,
E ritornossi in alto ond' ella venne, Che il Pover molte volte si discosta,
Ma Lionetto a fatica si tenne, Enon poteva alla furia far sosta .
XXXVIII XLV

E disse: Questo Pastor non cincischia, E'non si vide mai serpenti in caldo
Questo non è di montanaro scherzo : Combattere, o leon gelosi in cruccio,
Perché la mano e la spada qui fischia, Che non paressi ognun pigro, anzi saldo,
E non saria d'aspettar forse il terzo ; Rispetto a questi, e il loro ardire un succio,
Edetto questo rappicca la mischia, Ed or temea del suo guerrier Tibaldo,
E terminò di menar pur al bierzo Che pareva rimesso come un cuccio,
D'una percossa, che l'elmo non suona, Ed or temeva Luigi e Guglielmo ,
Più tosto crocchia e la zucca gl'intruona. Pur tutta volta si fidava all' elmo.
XXXIX XLVI

El Povero a Gesu raccomandossi, Il Povero Avveduto nello scudo


Non si sfido questo tratto in Macone; A Lionetto una punta crivella:
Edi nuovo ancor più maravigliossi, Non so se il colpo si fu cotto, o crudo,
Che e' percosse del petto in su l'arcione, Ma poco men, che non cadde di sella ;
Ed a fatica alla fine rizzossi : Ed ogni cosa del suo vago, o drudo,
El campo tutto n'ebbe ammirazione, Veder poteva Aleandrina bella :
Tanto ch' ognun ne dubitava forte, Ma Danidonia se ne duole a morte
Che un tristo annunzio è di futura morte. Del colpo che gli par dubbioso e forte.
XL XLVII

Erano appresso a vedere i giganti Rizzossi in su le staffe Lionetto,


Con le man rovesciate alla cintura, E trasse con tanta ira al suo fratello,
Intorno allo steccato tutti quanti, Che l'elmo poco valse, o il bacinetto,
Che parevon le torri a quelle mura ; O il teschio infino al panno del cervello :
E facevon co'gesti, e co' sembianti Il capo del caval tocco l'elmetto;
Segni, che e' par più la battaglia oscura ; Poi si riebbe, e rivoltato a quello,
Seguitavan con gli atti il proprio affetto, Gli dette unman rovescio, e poi d'un tondo,
Emolto comendayan Lionetto. Che non gli piacque il primo, nè il secondo.
XLI XLVIII

Tibaldo par che a suo modo la intenda; Or qui la furia per modo raddoppia
Dicea con l'Almansor, e con Malducco : Che il tempo in mezzo non par che ci cappia;
Per Dio che ci farà molta faccenda ! I colpi sempre si sentono a coppia,
Questo cristian fatato è nel baucco : Né par dell'un più che l'altro si sappia;
Cosi dall'altra parte par che attenda Come il tuon e'l balen di pari scoppia,
Il re Luigi al suo mignone, o cucco; Tal qui forza e valor si scioglie e scappia,
Edisse : Lionetto è pur gagliardo, E' destrieri anche si torrien la greppia
Edal ciel venne come lo stendardo. Sudati no, ma da gittare in seppia.

7
99 CIRIFFO CALVANEO 100

XLIX LVI

E' traevon da ritto, e da traverso, Tibaldo ritornò nella città,


E' menavano al braccio, ora alla testa, E così il re Luigi al padiglione :
E' facevan pel fummo l'aire perso, E l'uno , e l'altro medicar si fa.
E' parean proprio folgor con tempesta, Or ritorniam dov' io lasciai Falcone ,
E' dicean miserere spesso il verso, Che in porto sopra le navi si sta,
E's'avean tutta spiccata la cresta, E non era guarito del fellone ;
E' potean quasi alla morte dir vienne, E sempre a tradimenti pon l'orecchio,
Che la falce il di in pugno sempre tenne. Che non muta andatura il caval vecchio.
L LVII

E tanto, e tanto la battaglia dura, Era Falcon traditor molto antico,


Che chi stava a veder parea già stanco; Si che il grande ammiraglio dell' armata ,
Era tutta stampata l'armadura, Con mille ingegni avea fallo suo amico,
E'l petto, e'l corpo, e non v'è più del bianco. E certa trappoletta hanno ordinata
Il sangue uscia per più d'una puntura, Da pigliar due rigogoli a un fico;
La carne è inferma, e l' animo ancor franco, Emanda al re Luigi una imbasciata,
Materia da' coturni, e non da socchi ; Che venissi a mangiare una mattina
Credo che Marte in ciel si chiuse gli occhi. Con Folco insieme a spasso alla marina.
LI LVILI

Il sole avea quasi tratto la briglia Luigi al sno messaggio rispondia,


Presso al monte d'Esperia a' suoi cavagli, Ghe il tempo non 'l concede, che è purgrave:
E l'acqua salsa faceva vermiglia, Si che il disegno non gli riuscia,
E'l popol tutto è intorno a riguardagli, Come e' credette, di tor su le nave,
E molto d' ogni parte si bisbiglia, E di menargli al Soldano in Soria,
E certo ognun ben potea commendagli ; E vendergli poi insieme, come schiave,
Rispetto avendo alla battaglia dura, E mazzicargli per tutto il viaggio,
Chè faceau quel che non può far natura. Per vendicarsi del passato oltraggio.
LI LIX

E chi arebbe creduto, che i giganti Però mutò come savio pensiero,
Avessin tanta gentilezza in loro, E venne al re Luigi di secreto ,
Che cominciorno a gridar tutti quanti : E disse : A rivelarti vengo un vero,
Ponete in posa un si crudo martoro ! Ch'io so; tu ne sarai per certo lieto :
E poi, che intesi non erano, avanti Ma serbal nel tuo petto tutto intero,
Si fecion mossi a pietà di costoro, E nota, e gusta ben, com'uom discreto :
E ruppon lo steccato, e dentro entrorno, Guidon non sa quel che tu arai saputo,
E finalmente la zuffa spiccorno. Che suo figlinol è il Pover Avveduto.
LIHI LX

Il Povero Avveduto a Lionetto E s'io avessi alle navi sentito,


Disse: Tu se' pur figliuol di Guidone; Che questi insieme dovessin combattere,
lo non vidi ancor mai , per Macometto, E' si potea con un altro partito
Si gentil cavalier sopra l'arcione ; A un caldo due chiodi insieme battere ;
E ritornare al campo ti prometto, Or l'uno, e l'altro, comprendo, è ferito .
Ed ho nel cuor tanta compassione, Io non mi posso alla ventura abbattere:
Che vincer vorrei te senza tua morte, Pur ti darò e consiglio ed aiuto,
E non so quel che di me dato è in sorte. Ben ch'io sia tardi alla cura venuto.
LIV LXI

Lionetto rispose alle parole : Lasciami andar nella terra a Tibaldo,


Ed io ti giuro, se'l mio Iddio mi vaglia, E mostrerogli la luna nel pozzo :
Di tornare a tua posta, e come vuole Ch'io so ch'egli è de' giganti si caldo,
Tibaldo, a terminar questa battaglia, Che crederebbe nel ciel dar di cozzo.
Che forse non aria partita il sole: Tu sarai il tristo e'l traditor ribaldo,
Ma basta, che l'onor qui si ragguaglia ; E così Folco, e vo' che mi sia mozzo
Non istar più, tu se' ferito, ed io, Il capo, s'io nol conduco ad un salto,
Poi rivolse il cavallo, e disse addio. Che e' darà delle rene in su lo smalto.
LV LXII

Tibaldo e il re Luigi eran già tratti, Jo mostreró di condurti alle navi,


E cristiani, e pagan, tutti a vedere E che con teco verrà certo Folco;
I colpi smisurali, ch'eran fatti, Epoi in un tratto disciogliere i cavi,
Che l'arme quasi in terra era a giacere.. Edirti: Questo è buon vento per Colco,
Quivi di nuovo si fermorno i patti, Che dato m' hai dell' armata le chiavi,
Che dovessin tornar sopra il destriere Parrà ch'io vadi diritto pel solco:
Alla battaglia, come sien guariti : E come io l'arò qui ben fermo e sodo,
Però che a morte eran quasi feriti. Al Pover parlerò per altro modo.
101 102
CIRIFFO CALVANEO

LXHI LXX

A lui dirò: La giustizia divina Ma questo corbacchion di campanile


Gli dà de' suoi peccati penitenzia, Sarà pur poi venuto da Lucifero.
Ferito il corpo, e l'anima meschina Dunque Tibaldo qui non fu sottile,
Che dannata all' inferno è per sentenzia: E non cognobbe il traditor farcifero,
Non insegni alla volpe la gallina Che comincio: O Pover mio gentile,
Pigliar, chi n'ha veduta esperienzia ; Il mio venir quanto fia salutifero:
Dirò che e' c'è d'un Calyaneo novelle, Or non sai to come e' c'è buona nuova,
Che so che molto al cor gli saran quelle. E come in Candia Calvaneo si truova ?
LXIV LXXI

E perché questa istoria meglio intenda, Ciriffo è or con la bella Anfilizia ,


Guidon conoscerà ben quella spada, Non so se forse il padre avessi morto :
Che e' dette alla sua madre Paliprenda; Ma perchè io so che tu n'arai letizia ,
Emenerollo a non tenerti a bada . Queste novelle in persona ti porto;
Luigi al fin questo parer commenda, Che sai quanto dolor, quanta tristizia
Ed accordossi che Falcon vi vada ; N'avesti in mare, e sarà qua di corto,
E Falcon se n'ando secretamente Ch'io ho raccolto ben certe parole,
Al re Tibaldo, come frodolente. Che il re Luigi con seco lo vuole,
LXV LXXII

Tibaldo ricognobbe Falcon presto, Perchè Anfilizia, volendo onorallo,


Epensa nel suo cuor si come astuto: Ha fatto fare ogni di giostra e festa,
Non è senza cagion per certo questo. E di sua man un giorno volle armallo,
O Falcon, disse, tu sia il ben venuto, E misegli una bella sopravvesta,
E' m' increbbe del caso tuo molesto, E par ch'ognun gittassi da cavallo,
Forse più assai, che tu non hai creduto: E che tenga si ben la lancia in resta,
E perch' io t'amo molto per antico, Che Anfilizia se n'è innamorata,
Volentier ti riveggio, come amico. E credo ancor ch'ella l'abbi provata,
LXVI LXXIII

Or qui Falcone si doleva e miagola , Io vo' che noi l'andiamo a ritrovare,


Emostra per lanterna men che lucciola ; Poi che tante gran cose ognun ne dice:
E scuopre i bossoletti e la mandragola; Ma il tuo Guidon tu lo fai disperare,
E spaccia per un dattero una succiola, E mille volte il di ti maladice;
Pensa tu la corbezzola per fragola; E'l tuo fratello hai voluto ammazzare,
Camuffa 'l barbio, e non ſa neve o sdrucciola, Per far Tibaldo e l'Almansor felice :
Ementre or drento, or fuor la filistroccola Dunque tu vuoi con le tue proprie mani
O vermenella, o bagattella, o coccola. Ingrassar del tuo sangue questi cani ?
LXVII LXXIV

E tanto, finalmente, e tanto frappa, Io ho provato per disgrazia mia,


Che Tibaldo il disegno suo gli piace. Come tu sai, ogni legge, ogni fede,
Guarda che volpe a questa rete incappa, E conosciuto infin quel che il ver sia:
O se Falcone è ben fine e verace ; Macone è falso, e cieco è chi gli crede;
E se la lingua in bocca se gli attrappa ! E la fede giudaica è meno ria,
Perché gli fece alla fine capace Che qualche fondamento vi si vede :
Di levar col disegno ch'egli ha fatto, Io vo che tu ti volga al cristianesimo,
Luigi e Folco, e le navi in un tratto. E che tu prenda, o Pover mio, battesimo,
LXVIII LXXV

Finse Falcone ancor d'aver disio Ed ho promesso al nostro re Luigi


D'abbracciar il suo Povero Avveduto, Di doverti menare a lui in persona,
Dicendo: Tu sai ben ch'io il condussi, io, E giurato m'ha quel per san Dionigi,
La prima volta qua per darti aiuto: Pel suo Gesù, sopra la sua corona,
Ma ben ti prego, il tuo secreto, e mio, Che come e' fia ritornato a Parigi,
Altro che tu mai non abbi saputo ; E lasciato l'assedio d' Ascalona,
Eche nel petto tuo lo tenga drento: E' ti fará signor di qualche regno :
Perchè chi il dice a un, lo dice a cento, E questa è la cagion perchè a te vegno.
LXIX LXXVI
Tibaldo fece il Povero chiamare E seppe con costui ciurmare in modo,
Subitamente, dove era Falcone, Che il Povero Avveduto gli consente;
Che, come il vide, lo corse abbracciare, Ed ordinò quel vecchio pien di frodo,
E lagrimava per affezione: Come e' debba partir segretamente;
Nonsi potean l'un dell' altro saziare. Ma sol d' Aleandrina tiene il nodo:
Tibaldo si parti per discrezione, Questo più ch' altro rugge nella mente.
Che Falcon giudicava un santo uccello Pur fece alfin come Falcon gli disse,
Dal ciel yenuto, come Gabriello. E di sua mano al re Luigi scrisse.
103 CIRIFFO CALVANEO 104

LXXVII LXXXIV 3.
La lettera Falcon dieea, che vuole, Così, chi vive male, guai a lui ! guai !
Acció che il re Luigi chiaro intenda, Alfine un punto sol giudica tutto.
E prestassi più fede alle parole, E'l boia dice: Spacciati ! Ormai
E'l Pover semplicetto lo commenda ; Nel perder tempo non è buon costrutto.
E dettegli uno anel, che tener suole Levati su, ch'alla barba l'arai :
In dito, che fu già di Paliprenda, Quest'è di tua ragione il resto tutto;
Che lo portassi per segno al suo padre, E legogli le mani, e menol via,
Ch' aveva già donato alla sua madre. Perchè Tibaldo vuol che così sia.
LXXVIII LXXXV 4.
Come Falcon la lettera ebbe in mano In questo mezzo il Povero Avveduto,
E l'anello, a pensar cominciò seco, Ch'ha inteso le novelle di Falcone,
Quel traditor di Folco Candiano ; Subitamente a Tibaldo è venuto,
Quando io ripenso a tante ingiurie meco , Porgendo per Falcon dolce sermone.
Non mi rimorde, s'io son Giuda o Gano , Tibaldo a lui, come prudente e astuto,
Menar la mazza tonda come cieco, Riconta e'l caso e la conclusione
E pensar come e' riesca il disegno, Del tradimento, ed ogni suo disegno,
Che licito è tradir per giusto sdegno. E lettera ed anel mostra per segno.
LXXIX LXXXVI - 5.
E finalmente se n'ando a Tibaldo, E'l Povero riman tutto smarrito
E mostrogli la lettera e l'anello ; Vedendosi tradito e discoperto.
E disse come il Povero, il ribaldo, O Falcon mio, tu sei troppo ardito,
Di Lione Spinetto era fratello; Et'è tal penitenza un giusto merto :
E mostrogli più serpe ch'an ceraldo : Tu meriti, per certo, esser punito :
Tutto facea quel traditor e fello, Per te non resta ch'io non sia diserto ;
Perchè la guerra andassi tanto avanti , E, perchè è da punire ogni trist' opra,
Che alle man si venissi co' giganti. Va pur con Dio : la giustizia t'è sopra.
LXXX LXXXVI - 6 .
Perchè e' dicea: Se il Povero, Spinetto Falcon, legato, fu a mano a mano
Vincessi alla battaglia per ventura , Menato in piazza con gran grido e tuono,
Luigi osserverà quel che gli ha detto : Incatenato come un can alano;
Ma se i giganti per la sua sciagura E tutti i Farisei dintorno sono,
Si conducono in campo a petto, a petto, E pensan solo ognun averne un brano,
So che più il danno fia che la paura, E mentre vuole pur chieder perdono,
E che sarà condotto a qualche stretta, E crede ancora Tibaldo gli creda :
E, sedendo io, vedrò la mia vendetta. Ma e' lo dette a quella turba in preda.
LXXXI LXXXVIII 7.
Tibaldo conoscea Falcone a punto, Tibaldo istette a veder questa caccia;
Edisse : O Falcon mio, benchè tu finga, E, come in mezzo la volpe è de'cani,
Tu sai, ch'io so che il capestro d' oro unto Ognun fa la sua presa, ognuno straccia;
Meritasti insin già sendo ad Oringa : Chilo morde, chi gli storce le mani,
Or se il peccato a Ascalona t'ha giunto, Chi per deligion gli sputa in faccia,
Non vo' che più le maschere dipinga : Chi gli da certi sorgozzoni strani,
Pertanto son disposto che tu muoia, Chi per la gola talvolta lo ciuffa
E così detto fe' chiamare il boia. Tanto che'l cacio li saprà di muffa .
LXXXII 1. LXXXIX 8.
E voltossegli allor Tibaldo, e poi : Poi gli misse il capestro d'oro al collo,
Se desideri l'anima salvare, E la corona de' ribaldi in testa.
Chiamati in colpa, ch'esser certo puoi Ancor non era quel popol satollo,
Che 'l tempo è ora, e non potrà passare Anzi rugghiava con molta tempesta ;
Ch'io non dia fine a'tradimenti tuoi . Alcuna volta e' torceva el collo,
Intanto fa le forche apparecchiare ; E'nverso il Pover voltava la testa,
E gia si vede il boia comparito, Dicendo : I'mi t'accomando, figliuolo,
E Falcon di paura è sbigottito. Non mi lassar morire in tanto duolo !
LXXXIII 2. XC 9.
Ma, come audace, a suoi pie ginocchioni Il Pover, pur, quando l'udi parlare,
Supplica, piange e non gli par già giuoco, Quasi che venne di poi lacrimando ;
E, con molti argomenti, e sue ragioni Epensa ancor di volerlo campare,
Si raccomanda : ma gli varrà poco, E venirlo a Tibaldo domandando ;
Che'l fingere, e 't ciurmare, e l'orazioni E fra sé stesso non sa che si fare,
A questa volta non avranno loco ; Epensa pur che gli è fino ribaldo ;
Perché gli è stabilito, e posto in sodo, Poi si dispose che fussi impiccato :
Che Falcon sia impiccato in ogni modo. Il Povero a Ascalona s'è tornato.
105 106
CIRIFFO CALVANEO

XCI 10.
XCVIII - 17 .
Tibaldo vuole alla fine che muoia : E con questo pensiero e' se n'andava,
Presso a Ascalona e' fe' le forche fare, Come che gli era usato, a riposarsi ;
E poi 'n un tratto e'fe' chiamare il boia; E tutta quella notte imaginava
E tecelo dinanzi a se tornare, E'l come e'l quando e' debba ritrovarsi
E disse : I son disposto che tu muoia, Con Lionetto. Alfin s' addormentava :
Traditor falso, pien di male affare. E non potè però molto posarsi,
11 manigoldo lo legava presto, Che, come piacque a Dio, e'fu isvegliato,
Ed attaccollo ad un santo capresto. E con dolcezza per nome chiamato.
xen 11. XCIX 18.
Per non esser prolisso, i suo' trist' anni E senti una voce, el cavalieri,
Fini Falcon con danno e pregiudizio : Che disse : Ascolta, e'ntendi il mio precetto.
Tre legni furon fin de' suoi inganni, E' piace a Dio che tu pigli il sentieri
Ua laccio fa sostegno del suo vizio. Verso il monte Carmel: questo è l'effetto;
O, misero meschin con quanti affanni Si che fermerai qui i tuoi pensieri,
Ha 'l tempo speso e con tristo giudizio ! Ch'ancor ne sentirai gaudio e diletto:
Vedi ciascun che traditor ti chiama, Leva su, presto ! e prenderai il cammino:
Ed immortal sarà tua trista fama. Che cosi piace a Dio, rege divino.
XCII 12
.
C- 19.
Or punit'è Falcon, e le sue norme, E quando al monte detto giungerai ,
Però nessun con la coda le cuopra : Cerca dal lato destro appresso al colle:
Che la divina giustizia non dorme, Una spelonca tu vi vederai,
E pure al fine è testimon dell' opra . Dove che Calvaneo elegger volle 1

Pensi ciasenn, quando fa cose inorme, La vita sua; e li lo troverai.


Che la spada del ciel sia sempre sopra; Or lassa questa iniqua gente e folle;
Se alcun tempo una cosa si cela, E quel che de' seguire intenderai,
Nihil occullum, tutto si rivela. E da lui proprio ti battezzerai.
χειν - 13
. Cl20.

Lasciam Falcone istar cosi impiccato, Già'l Povero Avveduto genuflesso


E ritorniamo a Luigi, ch' avea Volle gittarsi; ma vide sparito
Inteso il caso, e s'è maravigliato : La voce e lo splendore, e crede espresso
Ma quando il caso inteso bene avea, Proceder questo da bene infinito ;
Ben aggia tu, Tibaldo, ebbe parlato; Ed imagina, e pensa pur con esso.
Perché i ribaldi assai gli dispiacea . Finaliter, egli è preso el partito ;
Lionetto non sa più che si fare, E come servidor perito e saggio,
Enon vorre' col fratel guerreggiare. Monta a cavallo, e mettesi in viaggio.
XCV 14. CJ1- 21.

Prese licenzia il Pover Avveduto, Lasciamlo andar, raccomandiamlo a Dio.


Dopo le falte cose, da Tibaldo, Veggiogli gran cammino apparecchiare ;
E ritornossi donde era venuto, Ma egli è pien d'amore e di desio:
Solo, pensoso, e d'un certo amor caldo : Pargli mill'anni Calvaneo trovare ;
E pargli il vero aver già conosciuto, E la sua madre, che è posta in oblio,
E star non può con fermo pensier saldo : In breve tempo fa mestier cercare.
Pensa a Tibaldo, e pensa alla sua madre ; Y Or ritorniam, che Tibaldo non truova
Pensa al fratello, alcuna volta al padre. Il Povero, la qual he trista nuova.
XCVI 15. C111 22
.

Ediceva fra se, il poveretto : Cerca per tutto il campo in ogni lato,
Voglio io l'amor paterno abbandonare. E pensa pur dove poss' esser ito :
Qual ragione, o qual forza m'ha costretto Sa che dal re Luigi non è andato;
Dover del sangue mio costor saziare ? Non lo ritrova, e ne resta smarrito;
Oh ! lasso a me, s' io vinco Lionetto, Ed è in modo e forma isconsolato,
Come potrò da mio padre tornare ? Che e'non sa che farsi, o che partito
E se Tibaldo lascio così subito, Prender si debba i partiti son vani
Che traditor mi chiami sempre dubito. A repugnar ormai contra a' Cristiani,
XCVII 16. CIV - 23.
Forzato sono adunque di tornare E bestemmia Macone ed Apollino,
Alla battaglia, po' ch'io l'ho promesso : Belfagor, Balaino e Trevigante ;
La fede voglio a Tibaldo servare, E maladice suo fato e destino,
Che onorato foi sempre da esso; E bestemmiava e'l suo regno e Levante:
E farò forse a Spinetto costare Luigi, Carlo, e bestemmia , e Pipino ;
Del mio e del suo padre el grande eccesso. Maladice ogni cosa in uno stante,
lo giuro a Dio, se con meco s'affronta, Trovasi pien di gran fastidia e tedio :
Di dargli morte a suo dispetto ed onta. La medicina alfin pensa e'l rimedio.
108
107 CIRIFFO CALVANEO

cv - 24. CVIII 27 .
Ma come uomo d'ingegno, e di valore, E'l qual con molta gloria è ritornato
Chiama a consiglio i primi capitani, Dal suo signor, che fu molto contento :
Tutti signori di gran pregio e onore; Di poi in breve tempo ebbe ordinato
Ed alla fine e signori e Pagani Lasciare di sua gente a compimento;
Conchiudon che si mandi ambasciadore, E poi, che ogni cosa accomodato
Che pratichi una triegua co' Cristiani, Gli parve avere, e' dié le vele al vento:
Almanco pur dieci anni ; ch' oramai Non vincitor e' se n'ando, nè vitto,
La guerra è stata lunga tempo assai. A riposarsi alquanto nello Egitto.
CVI - 25. CIX 28.
Cosi ferno, e mandorno un oratore Un tempo de' venir, lassolo andare,
Alla corona del gran re Luigi, Dove gli è più tormenti riservato :
Il qual lo riceve con grande amore ; Noi vedrem tante spade insanguinare,
Ed egli a lui: O signor di Parigi, Che sare' me' per lui non esser nato.
Mandato sono a te dal mio signore E'l re Luigi anche lui vuol tornare
Per dar riposo a' nostri gran litigi ; Al suo Parigi, dove egli ha lassato
E, per posare alquanto i nostri affanni, Ogni sua gloria, che lo 'nvita e chiama,
Domandoti una tregua per dieci anni. Come ancor sentirai, a maggior fama.
CVII 26. CX 29.
E'l re Cristiano, che era affaticato La brieve vita del tempo non dice
Per la gran guerra lungo tempo auta, Dover trovar la fine di costoro.
Provvidamente si fu consigliato : Ancor resurgerà una fenice,
Di poi la tregua ferma, e conceduta Che già s'incoronò di verde alloro ;
Conpatti, il privilegio è suggellato. E forse ha ritrovato ogni pendice
Ma prima fu la cosa antiveduta ; Di questo fatto nobile e decoro :
L' quando fu a pien tutto ordinato, E che ciò sia, se alcuno mai lo 'mpetra,
E' imbasciador con don fu licenziato ; Quel che segui ci dirà la sua cetra.

FINE DEL CIRIFFO CALVANEO DI LUCA PULCI


OIRIFFO 1 HEO

CONTINUAZIONE

DI BERNARDO GIAMBULLARI
AL POEMA

DI LUCA PULCI
CIRIFFO CALVANEO
CONTINUAZIONE

DI BERNARDO GIAMBULLARI
AL POEMA

DI LUCA PULCI
来的 肉

PARTE PRIMA

I
IV

Io mi maravigliavo ben che tu Considerando a l'opere sue degne


Con tanta carità fussi venuto, Quale eran sute, e in quanti modi , e quante
Ma io non credo, in verità che più N'avea già fatte, che mertan le legne,
Nessun ti vegga in tale error caduto; Io dico, accese in ponente e in levante.
Tu l'accoccasti a Macone e Gesù, Dove era suto sotto quante insegne,
Or l'hai calata al Povero Avveduto, Dovunque aveva posate le piante,
Ma questo tradimento sarà il sezzo, Dico per tutto l'universo mondo,
E pagherà di tutti gli altri il prezzo. Sempre aveva menato il baston tondo.
11
V

Guarda però che diavol di natura Com'è già detto, egli era un uomo astuto,
Ha il traditor, ch'a ogni ora va a rischio E recandosi qui la mente al petto,
D'aver la morte, se per sua sciagura Conosce che il suo termine è venuto,
Non risponde il zimbel secondo al fischio; E reputa morire in degno letto;
Ma questa sarà l'ultima paura, E però tace, che pareva muto,
Malvagio seme d'idra o bavalischio; Come quel ch'ha d'altra morte sospetto,
Meglio era che venuto qui non fussi, O d'esser da' cavalli strascinato
Che tu hai scontro i tuo' ventuno influssi. In quattro parti, o d' essere impalato.
111 VI

E vanne de l'avanzo del tuo resto ; Etaceva per dubbio che Tibaldo
Tu sarai pure a' traditori specchio. Non si rimuti e facciagli altro gioco,
Cosi dicendo il boia giunse in questo Che e'non facessi morillo di caldo,
Emise il vezzo al collo al tristo vecchio
Che a quel che e'meritava questo è poco.
Col cappio acconcio, e per fornirlo presto Cosi tacendo mansueto e saldo,
L'anse e fermollo sotto al destro orecchio. Il boia a la giustizia vuol dar loco:
Falcon che vede ordinar questa festa, Falcon, tu volerai senza sonagli.
Tace, perchè gli par tal morte onesta, Così dicendo par che fuor lo scagli.

8
115 CIRIFFO CALVANEO 116

VII XIV

Falcon fe' il volo come il passerino : E s'io t'ho fatto questo tradimento,
Cosi rimase a trar de' calci al vento, Egli è ben ver ch'io nol dovevo fare,
E cosi vuole il giudizio divino Ma chi pecca una volta pecca cento :
Che chi mal vive, muoia mal contentos Io mi volea con Folco vendicare
Prima che l' alma prendesse il cammino Del grave strazio, e del crudel tormento,
Per andar giù nello eterno tormento, Quando e' mi fe' per tutto il campo andare
Volse tornar dal Povero Avvedato Legato come simmia, o ver bertuccia,
Per fargli noto ciò ch'era avvenuto. Che addosso non avevo pel, nè buccia,
VIII XV

5ero ditendo: Se per tempo, o spazio Or mi pareva tempo di tirare


Venisse mai il Povero a l'inferno , Vedendo tanti uccelli intorno a l'esca ;
•Quale Ercole, o Tesco, maggiore strazio Credendo io tutti insieme inviluppare,
Farà di me, che chi m'avrà in governo : Però misi le mani in questa trescas
Non si vedrebbe mai vendico o sazio; Io Pavevo ordinata in terra e in marë,
Io non aspetto più niun ben superno, Or dubito che il fatto non riesca,
Eper non aspettar più mal ch'io m'abbia, Ma s'io non davo qui de' calci a' venti,
Vo'gir a far lo incanto a questa rabbia. Questo era il fior di tutti i tradimenti.
IX XVI

Immediate al Povero ne fu ito, Io son, come tu sai, pur d' anni vecchio
Che sospirando si stava in sul letto, Con poca fede e manco conscienzia ;
Perchè (come è già detto) era ferito Facciamo a dir il ver, pon qui l'orecchio:
Si da Cupido e sì da Lionetto ; Le colpe mie non mertan penitenzia.
E d'un pensiero e d'un altro assalito, Ho de la mente mia fatto uno specchio
Dal sonno fu occupato e costretto, E da me stesso mi do la sentenzia .
Edormendo gli apparse in visione Or circa al fatto tuo non prender agio
Lo spirito parlando di Falcone. Ch'io tengo più d'un diavolo a disagio.
X XVII

Senza proemio fare o dar saluto Enonsonquattro o sei quei chem'aspettano,


E senza replicar loro amicizia, Ed anco non son otto o dieci paia,
Giungendo disse al Povero Avveduto : Ma que' che mi lusingano ed allettano
Io vengo a pronunziar la mia tristizia. Son forse più di quindici migliaia,
S'io feci quel che non era dovuto E tutti quanti in mezzo a lor mi mettano;
Contro di te, la divina giustizia Or oltre io voglio uscir di questa baia,
M'ha bene giunto di tal fallo presto, E m' incresce di te, pur egli è fatto.
Ch'io ho lasciato il cuoio nel capresto. Nè più che detto spari via 'n un tratto.
XI
XVIII

Sappi ch'io son quel traditor ribaldo, E dipartito, il Pover si risente


Falcon, che mi partii da te adesso : Ispaventato pur per la visione,
Non paventar di me, statti pur saldo E di fatto chiamo un suo sergente :.
E nota appunto quel ch'io ti confesso. Va corri presto un po' dietro a Falcone.
lo detti la tua lettera a Tibaldo A cui il servo timorosamente
Con quello anello: e per questo processo Rispose : Egli è impiccato ad un balcone.
Mife' impiccar senza misericordia, E perchè ? disse il Povero Avveduto,
Che fare non potei alcuna esordia. Messer non so: ma io l'ho ben veduto,
XI XIX

Non già ch'io creda che per tuo amore Al Pover parve una strana novella:
Tibaldo mi facesse far la festa, Che vuol dir questo ? pur seco dicea.
Perch'io so ben ch'egli ha disposto il cuore Sentissi andar il cuor tra le budella
A farti fare altra morte che questa, E nessun verisimil ci vedea ;
E come a me li sarà traditore Pure de la vision seco ſavella,
Sapendo chi tu sei, e di qual gesta ; Va intendi, disse al servo e quel correa,
Come tu sei fratello di Lionetto E giunto in sala vedeva Tibaldo
E figlio di Guidon, che gli hai dispetto. Nel viso tinto, infuriato e caldo .
XIM XX

E dubita che tu ne sia d' accordo Che in giù e in su per la gran sala andava
Col re Luigi e Guglielmo e Guidone, Soffiando, che pareva un bravo toro,
E ch'io sia la civetta, e lui il tordo, Con la lettera in mano, e lagrimava,
E che tu sia per pigliarlo al panione; Perché nel cuor sentiva gran martoro ;
Si che, Povero mio, non esser sordo, E come savio dentro esaminava
Ma pensa e cerca la tua salvazione, Di dare perfezion al suo lavoro,
E non istar col re Tibaldo in pratica, E non si vuole al Povero scoprire,
Che ti farebbe una festa salvatica. Né tal secreto in altri trasferire.
CIRIFFO CALVANEO 118
117

XXI XXVI

Efe' precisamente suoproposito Ecosi detto un gran barone appella


Per non entrare in maggiore scompiglia, Che quivi n'eran molti a visitallo,
Di dimostrare al Povero lo opposito E sorridendo con dolce favella,
Di quel ch'ha dentro, perchè de l'artiglio Quasi d'un modo di voler pregalla
E' non gli sappi, e vuol dargli in deposita Che gli vestissi l' armadura bella
Aleandrina, quel candido giglio, E facessi guernire il suo cavalło:
Seco dicendo: Se costui si lega Venute l'arme, li calzon, gli sproní,
E' non si partirà poi da bottega. Poi fu armato da quattro gran baroni,
XXII XXIX

S'io il facessi morire, ch'are' io fatto? H Povera avea fatto il suo disegna
Egli è la mia colonna, il mio sostegno. Apunto, e vede il suo partito vinto,
Altro partito sarebbe di matto, E come savio operando lo 'ngegno,
Anche la mia ruina e del mio regno; Volse aspettar che l'aire fussi tinto;
E s'io l'ho meco, ancor qualche buon patto E per dimostrar lor quanto egli è degno
Potrei aver col re Luigi degno; Nell' arte militar, quando ebbe cinto
Questo partito mi par più sicuro, Il degno brando al sinistro gallone,
E non si può giudicar del futuro. Apiù signori il suo voler prapone.
XXIII XXX

Finalmente Tibaldo si dispone Impose a tutti lor qualche esercizio,


D'antiveder ch' al Povero non sia E dove e come vuol ch' ognuno stia
Dato nessun indizio di Falcone, La notte in guardia, e che dal suo ufizio,
Che non facessi a' cani, e gisse via; Nessun si parta per cosa che sia;
Ma e'non segui la sua intenzione, E solo il fe' perchè nessuno indizio
Come egli aguzza già la fantasia Abbin di lui, e si gli mandó via.
Di corre il tempo, e dire addio bell' oste : E'nou gli duole abbandonar Tibaldo:
Tibaldo s' tu mi vuoi, io son nell'oste. L'amore di Aleandrina il tien più saldo.
XXIV XXXI

Cosi ciascun la sua mente rovistola Sentesi il cuor legato in due catene
Assottigliando i ferri senza ancudine, Che ognuna il tira, e pur l'amor paterno
Tibaldo per sanar nel cuore la fistola Ripugna più, perchè il natural bene
Che lo teneva in grande ansietudine, E più potente, se il vero discerno;
N'andò al Povero senza breve o pistola, Edice seco: Se costei mi tiene,
Pregandolo con gran mansuetudine Io perdo il corpo, e l'alma va a l'inferno,
Ch'a la sua volontà fusse arrendevole, Pur di partirsi avea disposto il cuore,
Facendo con effetto il convenevole: E in parte vuole soddisfar l' amore.
XXV XXXII

Povero, per l'amor che tu mi porti Era già spento del hel sole il raggio,
Eper quanto tu brami mia salute, E l'aire parea d'oltra marino.
Rispetto avendo a tanti uomini morti, Il Povero Avveduto, come saggio,
Massime il Capitan pien di virtute, Occultamente prese il suo cammino,
Sinettor nostro, e gli altri guerrier forti Perchè era molto breve tal viaggio
Che son defunti ne le risse sute: A la zambra del viso pellegrino
Si che per tanto, Povero mio bello, Di Aleandrina bella e graziosa,
E' ci bisogna aver gli occhi al pennello. Ch'era soletta, mesta, e lagrimosa ,
XXVI XXXII

Eperò ſa che stasera tu sia Nè si poteva ancor dal cuor deporre


Inpunto a far la guardia delle mura Da Aleandrina il pungente coltello
Con la nostra florita compagnia, De la morte del Padre Sinettorre,
E insino a mezza notte abbi hen cura, E sospirando ognor piangeva quello,
lo verrò poi a far la guardia mia, E d'un pensiero in un altro trascorre
Finché spirata sia la notte oscura; Così la sopraggiunse il Poverella,
E son dispasto poi, che domattina Armato tutto che nulla gli resta,
Tu sposi la tua bella Aleandrina. Salvo che l'elmo non aveva in testa,
XXVH XXXIV

Inteso ch' ebbe il Pover la proposta, E giunto in zambra con grato saluto,
Disse infra sé: Questa è la mia ventura ; In pie si levo presto Aleandrina,
Efece indrieto una dolce risposta : Dicendogli : Voi siate il ben venuto,
Tibaldo non è uom d'aver paura, E riverente al Povero s'inchina.
Massime avendone sempre a tua posta Il Pover ch' era molto antiveduto,
Con teco insieme sotto l'armadura: Per confortar quella donna meschina,
Se tutto il mondo assediassi Ascalona, Le disse: Donna, e' non si puote opporre
Va, non temer, Tibaldo, di persona. Aquel ch'ha fatto Dio di Sinettorre,
119 CIRIFFO CALVANEO 120

XXXV XLII

Imperocchè noi siam tutti mortali : E tal gita non è senza cagione:
Solamente non muor quel che non nasce : Mentre la triegua è sicura tra noi,
Questo volubil mondo, pien di mali, Si può andar senza dubitazione;
Di falsa speme ci notrica e pasce. Qual sia l'effetto intenderetel poi.
Tal si crede volare al ciel senza ali, S' io non fussi tornato a lo squillone
Chemeglio era per lui morire in fasce, Quando Tibaldo andrà con gli uomin suoi
E tutti siam soggetti a tal sentenza, Ağfar la guardia, come è deputato,
Però si vuole ch'abbiate pazienza. Io sarò bene al bisogno tornato.
XXXVI XLIII

Ponete un po' da parte tal molesta, E cosi detto volse far partita,
Prendete per mio amor qualche conforto ; Aleandrina per la man pigliando :
Pensate un po' che il pianto torni in festa, Ella divenne ismorta e impallidita ,
Prender si vuol partito, egli è pur morto; Le sue parole ben considerando ,
Pensate di por giu la negra vesta, E disse : Ohimė lassa, questa gita
Di qui a domane il termine c'è corto ; Io non la so venire interpretando,
Più lieto son che mai ancor sia suto, Così di notte e così sol di subito,
E per far lieta voi son qui venuto. Se non che del mio mal mormoro e dubito .
XXXVII XLIV

Conciosia cosa che Tibaldo ha detto Misera me, ch'una nuova Medea
Che domattina vi debbo sposare, Mi vedo abbandonata da Giasonne,
Però avendo al bisogno rispetto O nuova Dido dal Troiano Enea,
Altro esercizio vi convien pigliare, Io sarò pur tra le misere donne !
E cangiar vestimenta, e ne lo obbietto Ah, disse il Pover, la mia voglia rea
Graziosa età e contenta mostrare Punto non è: ma spero acquisteronne
In quanto piaccia a voi d'esser mia sposa. Onore e gloria, come il mio cuor crede :
E lei rispose tutta vergognosa: Cosi vi giuro, e lascio la mia fede.
XXXVIII XLV

Oïmė, signor mio, famoso e degno, Aleandrina non prezza, né cura


Io non ho più nel mondo altra speranza, Nè lusinghe nè preghi, e fa gran pieta.
Se non che voi la colonna e il sostegno Il Povero per tutti gli Iddii giura
Siate di me con la vostra possanza, Perch'ella si raccheti e torni lieta ;
E della patria mia e del mio regno, Ed ella al pianto è ostinata e dura
E finalmente d'ogni mia sostanza ; E l'andata dell' oste pur gli vieta,
E così v'ho nel mio cuore scolpito E prega il Pover, che di lei gl' incresca,
Per mio vero signore, e mio marito. E, se'l suo prego val, di fuor non esca.
XXXIX XLVI

Il Pover quando Aleandrina intese, Così dicendo al Povero s'appressa,


Mentre sta risguardando il suo bel viso, Pur con timore, e preselo su l'armi,
La pestifera fiamma al cuor l'offese, E con gran pianto gli si genuflessa ,
E quasi fu dal suo voler diviso ; Dicendo: Signor mio tu vuoi lasciarmi :
Pur come savio buon partito prese, Questa gita conosco chiara espressa
E dielle presto di sua voglia avviso, Che tu non se' disposto di sposarmi
Parlando tuttavia velato e doppio Come ha detto Tibaldo, domattina ;
Per far 'n un tratto il baleno e lo scoppio. Anco voi sbandonate me meschina.
XL XLVII
E disse: Perchè l'ora non consente Deh increscati di me, che in tanta noia
Ch'io possa prender qui con voi più spazio, Rimasta son, pupilla abbandonata,
Del parlar vostro si savio e prudente Ed ho perduta ogni speranza e gioia,
Molto vi lodo, e commendo, e ringrazio. Misera me ! che mai non fussi nata !
Del bramoso disio ch'ho ne la mente O veramente mi trovassi in Troia
In breve spero fia mio almo sazio, Ora al presente e non in questa armata ,
E in pochi giorni poi la crudel guerra Dove io mi trovo a cattivo partito
Terminerassi, e fia livra la terra. Col padre morto, ed or perdo il marito.
XLI XLVIII

Io son venuto per più d'un rispetto, Io aveva fatti già mille disegni
Ma sopra tutto de lo isposalizio In te, e riputava esser felice,
Cauta farvi , se di tal concetto E regina e madonna di più regni,
Avuto non avessi alcuno indizio ; Come disse Tibaldo e l'Alpatrice:
E si per ovviar da voi sospetto Or veggo ben che tu mi sprezzi e sdegni ;
Di me, passando fuori del mio uffizio : Cosi l'animo mio mormora, e dice :
Quando mia gente arò ferma a le poste Se tu mi amassi non ti partiresti
In guardia, ed io andrò di fuor ne l'oste. Cosi in sul fatto, anzi mi sposeresti.
121 122
CIRIFFO CALVANEO

XLIX LVI

Che posso io creder qual sia la cagione E disse : Signor mio, non vo' che vada
Che a questa andata si ti debba stringere, Solo e di notte fra cotante squadre.
Se non che con tua falsa intenzione Il Pover si discinse allora la spada,
Venuto sia a simulare e fingere ? E gliela die' dicendo : La mia madre
Deh prendati di me compassione Già mi die' questa , che molto m'aggrada,
E tante maraviglie non dipingere: E disse ch' ella fu già di mio padre,
E' ci è di tregua Janti giorni ancora La quale io prezzo sopra ogni altra cosa,
Che tu mi puoi sposare, e poi gir fuora. Seconda ate, o donna valorosa.
L LVII

Il Povero gli dette in su la voce Tu doveresti pure a questa credere,


Avendo il fatto sno esaminato, Ch'io non andrei senz'essa a la mislea,
E vede aver la corda in su la noce, E perchè altri non abbi a possedere,
Avendo il suo partir deliberato Io non sarò nè Giasone né Enea :
Per tornare a colui che mori in croce, Deh sia contenta a la mia voglia cedere.
Edisse : Perch' io son necessitato, E lagrimando la donna dicea :
D'andare a far la guardia de le mura Se tu sarai Enea, io sarò Dido
Vo' di tal dubbio lasciarvi sicura. Con questa spada, e in su questa mi ſido.
LI LVI

Eprese per la mano Aleandrina, E così prese il Povero commiato


Ed un leggiadro anello ch' avea in dito Da Aleandrina , e lasciolle la spada ,
Si trasse, ch'era una vaga turchina, Benchè li dolga quel brando pregiato.
E questo prese per miglior partito, Gli par mill anni di trovar la strada:
E giurò per Macon, che la mattina Con l'elmo in testa a caval fo montato,
Di nuovo si farebbe suo marito : Con un brando che par che il taglio rada,
E finalmente gli dette l'anello Che fu quel che portava Sinettorre,
Con intenzion d'aver perduto quello. E il destrier punse, ed alla guardia corre.
LII LIX

E poi le disse : Se' tu or sicura ? E giunto al muro con molto furore,


Or sono io tuo marito, e tu mia sposa, Avendo più baroni in compagnia,
Orpuo' tu rimaner senza paura ; Fa reverito si come signore
Ma prima intendo di corre una rosa Da i caporali , e da la fanteria :
Del tuo giardin, così con l'armatura , Si come uom degno di laude e d'onore,
E l'andrà pure al pallio in ogni cosa Per la virtù , e la gran vigoria,
Acquistando figliuol fare credibile La qual regna nel Povero Avveduto,
Che fussi in fatti d'arme un uom terribile. Era da tutti onorato, e temuto.
LIII LX

Or per venire alla conclusione, Vista che fu la sua persona degna,


Ultimamente e' fecciono un bel gioco E sentendo che gli era giunto il Povero,
Che si detton la pace di Marcone, Ciascun a la sua stanza si rassegna,
Che tanto è dilettosa per un poco, Perchè eran suti consegnati a novero:
la modo che la nuora di Guidone Di rassegnarli per tutto s'ingegna ,
Gravida fu al presente in questo luoco Mostrando d' esser di tutto ricovero,
Di due nobili figli a quella volta: E così circondo tutte le mura
Si bene suono l'un l'altro a raccolta. Perchè la gente dentro sia sicura.
LIV LXI

E così la quaresima ebbon rotta, Sendo passato di notte tre ore,


E il Povero ebbe quella spillatura ; Avendo fatto per tutto la scorta,
E vedendo per lui passare l'otta, Lo stimolo il pungeva dentro al cuore
Avea del fatto suo dubbio e paura ; Che prendessi il cammin per la più corta ;
E disse : Donna, tuo almo non dotta Onde e' chiamò il siniscalco maggiore,
Or di niente: i' vo'gire a le mura E comando che gli aprisse la porta.
Per la nostra salute, senza inciampo, Cosi fu fatto senza far dimora ,
E forse (come dissi) poi nel campo. E il Povero con lui uscir di fuora.
LV LXII

Attendi al fatto tuo, si che domani Era quel siniscalco un cavalieri


Ti mostri quale un sole fra le stelle, Che fu figliuol d'un fratel di Tibaldo,
Perché al convito molti sir pagani Quale appellato fu re Oldolieri ;
So che saranno, con molte donzelle Questo per nome era detto Rampaldo.
Di più paesi vicini e lontani : Sendo di fuor ciascun sopra al destrieri,
Fa che lo specchio sia di tutte quelle. Il Poverdisse: Non istar qui saldo :
Aleandrina avea gustato l'esca Va verso il campo col destrier gagliardo
Enon intende che di ciambra egli esca,. E chiama il Capitan de l'antiguardo.
123 CIRIFFO CALVANEO 124

LXIII LXX

Digli che venga insino a mezza strada: E va dicendo pur da lui a lui :
Va francamente, non aver sospetto, Che vuol dir questo ? io nol posso comprendere !
E breve, senza stare niente a bada, Che può volere il Pover da costui ?
Di' ch'io li vo' parlar per buon rispetto : Vorrebbesi Tibaldo mai arrendere?
Che ti risponda, se lui vuol ch' io vada ; Ma e'non si può saper il cuor d'altrui :
Sopra de la sua ſe v'andrò soletto, lo vo ' ngegnarmi se lo posso intendere.
Ecosi venga lui solo come me Cosi dicendo, iscontro per la via
Sicuramente, sopra a la mia fe. Il Povero, che incontro li venia.
LXIV LXXI

E'ntendi il nome suo quale egli sia, Finalmente Rampaldo ragguagliollo


E 'nteso il nome, da presto la volta, De la risposta, e chi è'l capitano,
E cosi detto Rampaldo andò via , E come quasi Guglielmo pregollo
E giunto appresso, chiamo una scolta, Che gli andassi con lui sicuro al piano;
Dicendo : Cavalier, per cortesia , E così il Pover con seco menollo.
Se Dio ti guardi da fortuna molta, Giunto a Guglielmo, lo prese per mano,
Deh då sentore al vostro capitano, Ed alzó su la visiera dell' elmo,
Di' che parlar gli vorrebbe un pagano. E con gran festa abbracciava Guglielmo.
LXV LXXII
Immediate il cavalier fu ito Dicendogli : Parente, onore e fama
Ne l'antiguardo, e il capitan trovava , Di tutta nostra stirpe di Nerbona !
E col debito onor l'ha riverito, E finalmente gli disse che brama
E di ciò ch'è seguito l'avvisava ; D'esser servo fedel della corona
Era quel capitan un uom gradito, Del re Luigi , e totalmente l'ama ,
Che il mondo, non che il campo ne tremava, E non vol più tornare in Ascalona,
E venne, presto come gli fu detto, E ch'ha diposto l'odio contra il padre
Dove Rampaldo l'aspetta soletto. Portato per amor de la sua madre.
LXVI LXXHI

Il Pover ch'aspettava la risposta Da poi soggiunse con dolci parole :


A poco a poco si faceva innanzi, Guglielmo, i prego voi per quello Dio,
E mentre dalla terra si discosta Qual cred cielo, terra, luna e sole,
Perchè men di cammino a far gli avanzi, Che vi piaccia pregare il padre mio
E ripetendo seco la gran sosta Che mi perdoni, e che ginocchion vole
Che con Aleandrina fece di anzi, Chieder mercede a lui con buon disio ;
Seco ridendo dice : lo son par quie E cosi prieghi Lionetto, ch'ello
Con mille giuri, e 'mpromesse, e bugie. Voglia accettar si come buon fratello.
LXVII LXXIV

Non mi rimorde i giuri ch' io gli ho fatti, Poi gli disse del fatto di Falcone
Che lafèdi Macon posta è da lato : Come l'avea tradito ed ingannato ;
A femmina o fanciul promesse, o patti , E de l'anel che mandava a Guidone
O romper fede, già non è peccato. Come Falcone a Tibaldo l'ha dato ;
Quei che credon a donne son ben matti ; E si come Tibaldo ad un balcone
Tibaldo pensa d'avermi legato Avea Falcon per la gola impiccato :
E alloppiato con si dolce manna ; E lo spirito proprio nel partire
Ma molte volte ingannato è chi inganna. Mi venue al letto la sua morte a dire.
LXVIII LXXV

In questo tempo il capitan giungeva Emolto mi pregò ch'io spulezzassi,


Dove è Rampaldo, e si lo salutava : Perchè Tibaldo me la calerebbe.
Rampaldo l'ambasciata proponeva, Poi se n'ando con tanti satanassi
E poi del nome suo lo domandava. Ch'io credo che l'inferno più non ebbe:
Benignamente lui gli rispondeva E questo è il fondamento de 'sti passi,
Che Guglielmo d' Oringa s'appellava. Si che, Guglielmo mio, che vi parrebbe ?
Poi disse : Di' al Pover ch'io l'aspetto A me par aver tratto diciannove ;
A punto dove, e come tu m'hai detto, Ma vo' ben che Tibaldo sappia dove
LXIX LXXVI

Se tu volessi farli compagnia Io sono, e la cagion del mio partire,


Contesto son, perché mi par dovuto E perchè non mi chiami traditore ;
Che si fatto nomo accompagnato sia, E tu, Rampaldo, si gli andrai a dire
E l'uno e l'altro sarà il ben venuto, Com' io son qui, e di tutto il tenore:
Perchè altro che onore e cortesia Di' che mandi a la guardia un altro sire,
Non si farebbe al Povero Avveduto, Che non ne partorisse qualche errore,
E per suo amore a chi con lui venissi. Ch'io l'ho servuto pel tempo preterito
Così dicendo, e Rampaldo partissi. Con fedeltà, e senza nessun merito.
125 CIRIFFO CALVANEO 126

LXXVII LXXXIV

Rampaldo tutto pien d'ammirazione O sacra maestà, colonna e perno


Gustando ciò che 'l Povero avea detto, De la legge del vero creatore,
E per grande ira e per gran passione E di tutti i cristian padre e governo,
Bestemmio Trivigante e Macometto, Di Carlo Magno vero successore,
E senza altre parole diè di sprone Per bocca di Gesù, se il ver discerno,
Al suo leggiadro e possente giannetto, Fud to a Pietro, ch'ogni peccatore
E fe'da lor la partenza de' cani, Che torna a anenda d'ogni gran processo,
E ritorno ne la terra i pagani. Sia assoluto, e sia'l fatto dimesso.
LXXVIH LXXXV

Guglielmo avea nel cuor tanta allegrezza Io sono il peccatore, e tu se' Pietro,
Che non poteva star sopra al corrente, E a te vengo per misericordia,
Repetendo del Pover la prodezza, E d'ogni mio fallir pel tempo a dietro
E si d'aver un si fatto parente; Dico, mia colpa, e vo' teco concordia ;
E non potea parlar per tenerezza ; E qui Guglielmo con si degno metro
Pur cominciò cosi teneramente : Ha soddisfatto con sua dolce esordia :
O Povero, diletto figliuol mio, Jo mi conosco tanto peccatore
Che bella grazia t'ha concessa Iddio! Che nonposso esplicar quel ch'ho nel cuore,
LXXIX LXXXVI

Tu hai fuggito in più modi furore, E lagrimando poi si volse al padre


Essendo fuor de le man di Tibaldo, Quale era quivi non molto in disparte,
Avendo salvo la vita e l'onore E con parole tenere e leggiadre
E lasciato Macon falso e ribaldo. Piene di umanità, di senno ed arte,
lo mi maravigliavo de lo errore Disse: Guidon per amor di mia madre
Nel qual tu eri si feroce e caldo, Ho fatto quel ch'io non dovevo farte,
Essendo tu di tal progenia nato, Ma so ben che tu sei padre mio degno,
La qual tu se', e sendone si ingrato Che in ogni cuor gentil può molto sdegno.
LXXX LXXXVII
Oltre al peccato della ingratitudine, Voler che quel che seguito, non sia,
Tu ti privavi de la tua salute ; Non potrebbesser per modo nessuno :
Potendo aver da Dio beatitudine Padre, perdona a l'ignoranza mia,
Mandavi l'alma tua tra le perdute. Ch'io vorrei del mio fatto esser digiuno.
Cosi passando fra la moltitudine E mentre lagrimava tuttavia
De' franchi cavalier di gran virtute, Per tenerezza , e lagrimava ognuno,
Fur dismontati al real padiglione, Guidon vedendo in lui tanto fervore,
Del re Luigi, che v'era Guidone. Per tenerezza se gli apriva il cuore.
LXXXI LXXXVIII

Dismontati che furon de' destrieri, Levossi in piè Guidone, e su rizzollo


Guglielmo prese il Povero per mano. Lagrimando, e dicendo: Figliuol mio,
Vedendo ognun Guglielmo Lancioneri Dio ti perdoni : e subito abbracciollo
Rizzarsi in piede, al magno capitano. Con allegrezza e con sommo desio;
Disse Luigi : Chi è'l cavalieri E il re Luigi con un braccio al collo
Che ne la vista m'assembra pagano, Lo prese, sì come uom grazioso e pio,
S'io ben discerno ne la sopravvesta Ed a l'uso di Francia, ne la fronte
E nel cimier de l'elmo che gli ha in testa? Baciollo, con parole ornate e pronte.
LXXXII LXXXIX

Guglielmo inginocchion con riverenza Non vi fu duca, signor, ne barone,


Disse: Maestà sacra, un ſedel servo Che non avesse del Pover letizia:
Di tua corona e tua magna eccellenza, Non solamente quei del padiglione,
Finchè di lui si tien nervo con nervo ; Ma tutto il campo n'ebbe gran letizia :
E prega tua ineffabile clemenza, Ognun prendeva per la man Guidone
Benche e' sia suto rogante e protervo, Con molto gaudio e con molta letizia,
Ta gli perdoni con affezione, Etutto il campo ne furon gaudenti,
Ecosi prieghi il suo padre Guidone. Facendo fuoco, e sonando stormenti.
LXXXIII XC

Questo si chiama il Povero Avveduto, Rampaldo in Ascalona era tornato


Che si diceva quel franco pastore Fuggendo come accanito cinghiale,
Quando venne a Tibaldo in suo aiuto ; Ed al real palagio dismontato,
Questo è di nostra linea il proprio onore. Subito e presto saliva le scale ;
Cosi dicendo, il Pover fu venuto Eper grande ira era tutto affannato
Inginocchione, l'elmo tratto fore E giunto fu ne la sala reale :
Di testa, e a Luigi a piè s'accosta, Vide Tibaldo che appunto s'armava,
Eriverente ſece tal proposta : Che l'ora de la guardia s' appressava.
CIRIFFO CALVANEO 128
127

XCI XCVIII

Giunto Rampaldo, metteva uno strido, Che si grande il dolor le strinse il cuore,
Che mise a tutti con quel gran terrore, Ch' ella divenne in sè tutta smarrita,
E tutti ispaventati volti al grido, E come morta senza alcun vigore
Disse Tibaldo: Nevo, che romore? Rimase sopra al letto tramortita,
Oimè, disse Rampaldo, io mi conquido, E così stette circa di due ore ;
Che il Povero Avveduto è traditore : Poi con un gran sospir fu risentita
Fuor de la terra con seco menommi, Piangendo forte, e si sciolse la trezza ,
Ed esso è ito e solo qui lasciommi. E quella si diveglie, e straccia, e spezza.
XCH XCIX

E sotto brevità, quel ch'è seguito Chiamando il suo marito traditore:


Riferi a Tibaldo a punto, a punto, O Povero crudel , malvagio, e rio,
Ciò che egli aveva dal Povero udito Dove è la fede tua, dove il tuo amore,
Quando si fu con Guglielmo congiunto, E tanti giuri fatti al nostro Dio ?
E la propria cagion che e' se ne è ito, Io mi credevo averti per signore ,
Perchè Tibaldo avea Falcon defunto, Cosi t'amavo con sommo desio ;
Del quale aveva lo spirto detto Ma non sapevo quello ch'ora ho inteso,
Al Pover, che facesse lo scambietto. Come tu se' di traditor disceso .
XC111 C

Tibaldo udendo si fatta novella Io non sapevo che Guidon tuo padre
Bestemmiò Trivigante ed Apollino, Fusse si, come pare ch'ora intenda,
E da lato si trasse la coltella, E come lui ingannasse tua madre,
Dicendo : Macometto Paterino, Come ora intendo dir di Paliprenda
Ah! s'io potessi trarti la budella Quando ebbe sazie le sue voglie ladre;
I' le dare' mangiare ad un mastino Ma prima la sposo che lui offenda
O can malfasso, beccaccio scornato, Il suo onore, e la sua pudicizia
Tu se' cagion che'l Pover m'ha lasciato. Con falsi giuri , e il cuor pien di malizia.
XCIV CI

Vedi che pur m'è fuggito di gabbia O traditor, tu mi desti la spada


L'uccel , credendo che fusse impaniato, Come fece tuo padre a Paliprenda:
E mi sta molto ben, ed io me n'abbia Con quella propria mi lasciasti a bada,
Il danno s'io non l'ho morto o impiccato, Perchè con essa a me stessa il cuor fenda;
E per gran passion che'l par ch' egli abbia Ma per tua onta il morir non m'aggrada,
Si morse il pugno, quale un arrabbiato, Nè spero che nessun quella ti renda,
Dicendo : Io volea far doman le nozze, Perché altra donna più con quella inganni,
Ma e' si vorrebbe avermi le man mozze.
Ed io con essa piangerò i miei danni.
XCV CII

Perchè io non feci quel che far dovevo? Che farò io, misera, dolorosa ?
Uom morto non fe' mai a nessun guerra. Io cercherò di qualche alpestre regno,
S'il facevo morir quando potevo, E qualche valle rigida ed ombrosa
Arei men quel nemico a la mia terra, Sarà il teatro mio famoso e degno.
Ma un proprio figliuol aver credevo, Egli è ben ver quel che dice la chiosa,
E chi troppo si fida a le volte erra ; Chedoveè il grande amor,ivi è il gran sdegno.
Vedi se a tempo la guardia gli detti, I' son tanto sdegnata per costui,
Che i suoi disegni riuscirno netti ! Che io non sarò mai più donna d'altrui.
XCVI CIII

Oimė, pur ch'io non sia quel villanello Ein questo pianto, e gran rammarichío
Che fu tanto pietoso nel suo cuore, Ritorna pure al Povero Avveduto,
Trovando ne la via quel serpentello Dicendo : O traditor marito mio,
Quasi morto da freddo e con amore Almanco non t'avessi io mai veduto,
Se'l mise in seno e portossel con ello O io avrei per te lasciato Dio
Per riscaldarlo e rendergli il vigore, Macone, al quale io ho sempre creduto,
E poi fu morso dal serpente ingrato: Ed or da te mi veggio abbandonata
Pur ch'io non sia dal Povero impiccato. Senza cagione, e son vituperata.
XCVII CIV

Mugghiando che parea proprio un leone, Ma s'io voglio alienare da me un poco


E' con gran furia a le mora cammina , L'affanno intollerabil che mi scoppia,
Perchè il Pover non giuochi del fellone, Convien che cangi vestimenta e loco,
E non gli metta la terra in ruina . E gir con questa spada errando in coppia.
In Ascalona tutte le persone Cosi amorzerassi il crudel fuoco
Seppon tal cosa, e quando Aleandrina Che m'arde,e che mi strugge, anzi m'alloppia.
Del Pover sente la strana novella, E sconosciuta de la terra uscissi
Mise uno strido, e poi più non ſavella. Anzi che l'aer punto si chiarissi.
129 CIRIFFO CALVANEO 130

CV ext

Lasciamo Aleandrina sconosciuta Da mia parte gli fa questa imbasciata


La notte e il giorno per le selve errando, Che traditor non voglio esser tenuto:
Ed'erbe, e d'acqua, e radici pasciuta, La tregua in sino a qui s'è osservata
Iscalza e scapigliata lagrimando ; Or per cagion del Povero Avveduto
Ein breve tempo in modo è divenuta Facci pensiero che sia terminata,
Qual una fera proprio risguardando, E d'esser meco sul campo venuto,
Anco pareva qualche orrendo mostro; Che non mi fuggirò come codardo,
Or ritorniam un poco al Pover nostro. Come fuggi quel Povero bastardo.
CVI схли

Che in campo si facea di lui gran festa, Di ch'io gli dò del combatter le prese
Emolto da ciascuno è reverito ; O vuole a corpo, o a battaglia campale,
E Lionetto ancor nel letto resta Ch'io son disposto nettare il paese,
Perchè non era molto ben guarito E vada come vuole o bene, o male,
D'una ferita, ch'aveva a la testa, Ch'io non istimo tutto il suo arnese
Ma come egli ebbe del Pover udito, Un vil mangur, che sa ben quanto vale,
Si come egli era suo fratel carnale Che il minimo che sia de' miei giganti
Non parve a Lionetto aver più male. Repugnerà con lor sendo duo tanti.
CVII CXIV

Anco del letto subito si scaglia, Ma per non metter tanta carne al fuoco,
Eride e piange per grande allegrezza, Per la salute di ciascuna parte
Esenza usbergo di piastra o di maglia Che e'farà ben levarsi dal giuoco,
Dal Povero n'ando con gran prestezza, Senza voler veder più membra sparte,
Nè più che visto di lagrime abbaglia, Ch'insino ad or lui ci ha acquistato poco,
Ed abbracciollo con gran tenerezza, El'un e l'altro si reputa un Marte,
E tanla affezione a quel mostrava, Benchè la guerra sempre sia dubbiosa
Che il volto suo di lagrime bagnava. E che tribola altrui se non riposa.
CVILI CXV
Il Pover similmente Lionetto Ma per cagion che da me s'è fuggito
Abbraccia e bacia con molta baldanza, Cosi vilmente il Povero Avveduto
Elagrimando tien l'uno l'altro stretto, Vo' dimostrar ch'io non son avvilito,
Chiedendo mille volte perdonanza: Anzi son più feroce divenuto,
Baciati in bocca poi con molto affetto Però dimando che pigli partito
Ritorno Lionetto a la sua stanza, Di levar campo, o d'aver combattuto,
Eil re Luigi al Povero ha donato E se a pigliar partito e' non fia mosso
Unricco padiglion, molto pregiato. Io gli sguinzaglierò i giganti addosso.
CIX CXVI

Essendo il campo in bonaccia tranquilla Si che per tanto digli che si spacci,
E il Pover battezzato con gran gloria, E non aspetti quelle tentennate
Il re Tibaldo di rabbia sfavilla, Di mazza-frusti, e scure, e bastonacci,
Tal che pareva uscito di memoria; Che portanquelle bestie dispietate,
E vuol la triegua mandare a desdilla Che gli parra che'l mondo si disfacci
Al re Luigi e la rotta, o vittoria, Se costoro entran nelle sue brigate:
Quel che debb'esser, vol venir al termine, Or va a Luigi, e di che a tal proposta
Per levargli dal cuor l'antico vermine. Pigli partito, e mandi la risposta.
Cx CXVII

Ripetendo le guerre tutte quante Parti il trombetto, e giunto al padiglione


Occorse per la stirpe di Nerbona, Del prefato Luigi re di Francia,
Di Chormanzis, e Pirunda, e Busbante, Quale era in sedia, e Guglielmo, e Guidone,
Di Anfidonia, di Spagna , e di Ragona. E Beltramo, e più parti di Maganza,
D' Anfernace, d'Oringa, e d' Aliscante, Senza saluto, o porsi ginocchione,
Di Nemitii, di Gandia, e d' Ascalona, Parlo superbo con molta arroganza,
E tutte queste son sute a suoi danni E di Tibaldo la proposta istese,
O vivo o morto intende uscir d'affanni. Efinalmente la risposta chiese.
CXI CXVHI
Non fu si tosto Febo dimostrato E essendo quivi la gran baronia
Alluminando l'orientale zona, Quando il trombetto le parole assunse,
Che Tibaldo com' nom deliberato Mentre che l'ambasciata proponia,
Senza voler consiglio di persona Il Povero Avveduto sopraggiunse,
Un suo trombetto a sè ebbe chiamato E sentendosi dir la villania
Con turbo volto, e in tal forma ragiona: Del re Tibaldo, grande ira lo punse :
Va fuor nel campo al re Luigi e digli Per fare a quel trombetto la risposta,
Che uno de due partiti presto pigli; Col brando a dietro per dargli si scosta.

9
132
131 CIRIFFO CALVANEO

CXXIX CXXVI

Beltramo Altimonier con gran destrezza Ma primamente ti ringrazio assai


Piacevolmente addosso si gli scaglia, Dell'esser si magnanimo e cortese,
E disse : O fratel mio, cotal mattezza Come pel tuo messaggio mostro m'hai,
Non far, deh! per mio amor non te ne caglia, Dandomi tu del combatter le prese,
Che a loco e a tempo con la tua prodezza Quale io accetto, e credo, s' tu vorrai,
Ti potrai vendicar nella battaglia, Che brevissime fian nostre contese,
E così mitigoe Beltram la furia E s'io comprendo bene tua intenzione,
Del Pover, ch' al trombetto non fe' ingiuria. Tu non brami la morte di persone.
CXX CXXVII

Epresi a braccio con altri baroni Ma come uom generoso chiar si vede
Andorno alquanto a diporto pel campo. Che sol d'onor desideri milizia ;
Il Povero dicea con suoi sermoni, E combattendo qui fede per fede,
E pareva un dragon che sbuffi vampo : Non già per odio o mortal nimizia,
S'io pongo addosso a Tibaldo gli unghioni, Debbesi aver degli uomini mercede,
Se il brando non mi smuccia o non inciampo, E non fare un macel con ingiustizia,
Io li dimostrerò s'io son codardo, E parmi a questo un buon provvedimento
O s'io sarò legittimo o bastardo. La mia dimanda, se tu se' contento.
CXXI CXXVIII

Luigi avendo l'ambasciata intesa Dico, Tibaldo, e parrebbemi onesto


Come Tibaldo intende di far patti, Per la salute pur di tutti quanti,
Considerando il caso quanto pesa (Deh non ti fia il mio parlar molesto)
Non volse far Luigi come i matti; Che mandi a la battaglia sei giganti,
Ma per aver vittoria de l'impresa, E in una nave in mar si metta il resto,
Avendo in man le prese lui de' patti, E sei de' miei cristian verranno avanti
Si consiglio, come persona pratica, Sul campo contro a quei soletti, dove
Perchè l'impresa gli parea tematica. Faranno insieme le mirabil prove.
CXXII CXXIX

Rispetto avendo solo a quei giganti , Io dico che tu metta quegli in nave
E' non vede dal suo tanti campioni Perché non ci facessin villania,
Che a corpo a corpo fussin lor bastanti, Ch'in ver son genti pur bestiali e prave,
E in battaglia campal que'bacchilloni Senza intelletto, tutti una genia,
Non gli vorrebbe, che sono si tanti, E sai quanto al mal far ciascuno è grave;
E si feroci con que' gran bastoni, Non san che cosa fedeltà si sia:
Che quando alcun di lor menasse un tondo Onore e gentilezza han tanto a sdegno,
Mill' uomin caccerebbe a l'altro mondo. Gente da non fidarsene col pegno.
CXXIII CXXX

E cosi varie opinion vi faro : Tu sai appunto la lor condizione ;


Ultimamente Guglielmo d' Oringa Tol quel tu vuoli o Bricco, o Scandarbecche,
Pose la chiosa, perchè più sicuro Ο Tarabusso, o vuoi Iscarpiglione,
Fu il suo parer, che la terra si stringa Trasgugon, Basalorco, o Salamecche,
Quanto si può, acciò che nel futuro Rabicone di Rossia, o Carbonchione,
Tibaldo qualche trappola non finga, Gattagancia, Ansidonio, o Salimbrecche,
Che co' giganti ci mettessi in mezzo: Serpentone, Amoroldo, o Fortunato,
Facciamo pur ch' egli stia dentro al rezzo. OGattamummo, o quale è più pregiato,
CXXIV CXXXI
E cosi fu terminato in effetto Di sedici che son, tranne un fioretto
Della battaglia, e dove, e come, e quando Di sei, in chi tu stimi più potenzia,
Esser doveva, e risposto al trombetto. E metti gli altri in mar, com' io t'ho detto,
E quello in Ascalona ritornando Si che di lor non s'abbi aver temenzia;
Col breve di Luigi sopraddetto, E sei dei miei baron verranno a petto
Ed a Tibaldo quello appresentando A tuoi giganti e quivi alla presenzia
Con riverenza diceva: Signore, Ognun s' affronterà, testa per testa,
In questo si contien tutto il tenore. Co'brandi e co' baston, con gran tempesta.
CXXV CXXXII
Tibaldo il breve del buon re francese E che tu stia con la tua gente drento,
Dissuggellato, il suo parlar gratissimo E se tu vuoi veder, fatti a le mura,
In arabesco tutto ben comprese, Ed io starò col mio assembramento
Il qual diceva: Magno re invittissimo, Di qua da' fossi a segno ed a misura,
Se le parole tue fur bene intese Si che nessun non abbi impedimento
Nel mio collegio tanto preclarissimo, De' combattenti sopra la pianura,
Nessuna ne ricuso, o mi nascondo E nessun dia a la sua parte aiuto,
Per soddisfarti e cosi ti rispondo. Osservando la fe', come è dovuto.
133 CIRIFFO CALVANEO 134

CXXXIII CXL

E se la parte tua vince la mia, E cosi detto, foron licenziati


Leverò campo e tornerommi in Franza, Pel terzo giorno a mettersi in assetto,
Nė mai più passerò in Pagania , E così furno a' padiglion tornati
Cosi ti giuro per la mia leanza. Beltram, Guglielmo, Guidone e Spinetto,
Se la tua parte superata fia E Folco, e il Pover cavalier pregiati,
Non vo' tua terra, te, né tua sostanza, Che parea loro andare ad un balletto,
Ma un picciolo tributo ogni anno dia, Avendosi a rinchiuder nel serraglio
Ed una eterna pace intra noi sia. Per far con quei bacchilloni a sonaglio.
CXXXIV CXLI

Ecosi tu non debba passar mai Lasciam un po' costor metter in ponto,
A la tua vita, sopra de' cristiani, E torniamo a Tibaldo che fassetta
E, come è detto, dentro ti starai Per quando l'ora e il termine fia giunto
Con tuoi gran mammalucchi, e tuoi Pagani, Che ognun sia mosso al suon de la trombetta;
E se a questo voler consentirai E non può creder che ne sia defunto
Dà la risposta, e vengasi a le mani, Da alcun de nostri ignun de la sua setta;
E che la fe' di ciascun sia reale, Ma sempre al fior non si discerne il frutto,
Come di re virile e naturale. E rettamente il fin giudica il tutto.
CXXXV CXLII

Tibaldo intese la risposta degna Tibaldo fe' de' suoi giganti un tondo
Del re Luigi con chiara ragione ; Per far guernirgli de le lor vestigie,
Conobbe quanta in lui prudenzia regna, E Salamech il primo, e poi il secondo
E quanto e' parla con discrezione, Ne trasse senza far troppo litigie,
Che con salute al termine si vegna Fortunato chiamato era pel mondo
De l'una e l'altra parte, o regione, Giallaccio e brutto, di fattezze bigie;
E letto il breve, e inteso il fondamento, Il terzo Tarabusso Tarteraccio
Rispose al re Luigi, che è contento. Ch' aveva il naso largo più d' un braccio,
CXXXVI CXLIN

Luigi prima aveva esaminato Il quarto che ne trasse, Iscarpiglione


Chi dovesse ir co' giganti a battaglia. Chiamatofu, più che bestia bestiale;
Avuta la risposta fu chiamato Il quinto fo di Libia Serpentone,
Guglielmo franco, campion di gran vaglia, Zannuto più che mai verro, o cinghiale;
E poi Beltramo suo, non men pregiato, Il sesto fu un certo Lumacone,
E Guidon valoroso a tal puntaglia, Che non si allegra mai se non del male,
Folco figliuol del valoroso Ughetto, Amoroldo chiamato e quel capocchio
E il Povero Avveduto e Lionetto. Che non può acciecar se non d'un occhio.
CXXXVII CXLIV

E tutti innanzi a la sacra corona Poi fece questi sei metter da parte
Del re Luigi stando inginocchione Ch' eran maggiori, e più feroci, e strani,
Disse Luigi: Casa di Nerbona E più disciplinati eran ne l'arte,
Degna di laude e di reputazione, E per fidi nimici de' cristiani:
Di cui per l'universo il grido sona, E fe' quegli altri menar in disparte
E perchè io v' amo con affezione, A la marina da' suoi capitani,
Ne le vostre virtù confido e mette Per guardia de l'armata dato a intendere
L'onor, la gloria e il mio stato in effetto. Fu loro, e fatti sopra un grippo ascendere,
CXXXVIII CXLV
Ricordivi de' nostri antecessori Lasciam questi giganti sopra mare,
Da Costantino al mio famoso padre, E ritorniamo al campo ed a la terra
Che uomin sono stati, e quanti onori Che ognuno attende ben a preparare
Avuti han già nell' armigere squadre : La parte sua per la marziale guerra;
Fate uno specchio in lor de' vostri cuori, E come al terzo giorno l'alba appare,
E seguite loro opere leggiadre, Nostri campion, se'l mio parlar non erra,
E cosi otterrete la vittoria Guarniti furno, e con gran devozione
Quale vi fora perpetua memoria. Udirno messa al real padiglione.
CXXXIX CXLVI

Si che per tanto poi per più potenti Udita messa fursi inginocchiati,
Eletti siete per nostri campioni, Chiedendo l'uno a l'altro perdonanza;
Epregovi dell'esser pazienti Poi tutti in bocca si furon baciati
Asopportar per Dio tal passioni, Con un perfetto amor pien di leanza,
Or preparate vostri guarnimenti E prima tutti s'eran confessati;
Efate vostri cuor qual di leoni, Renduti in colpa d'ogni lor fallanza,
Ed abbiate in Gesu ferma credenza, Econ gran riverenza e divozione
Che vi darà gran vigore e potenza. Piangendo preson la comunione.
BLIO

CA STATAL YOLLSYIDOS'S
135 136
CIRIFFO CALVANEO

CXLVII CLIV

Dappoi alquanto un po' di colezione Sendo nostri campioni entrati in campo


Fu ordinato per que' cavalieri, Desiderosi di menar le mani ,
Andando in qua e in là pel padiglione Giascun pareva un leone, od un vampo,
Del re Luigi, ch' era in gran pensieri, Guardando pure se vengon i Pagani .
E preso il cibo per ricreazione, Tibaldo presto senza alcuno inciampo
In prima che montassino a destrieri, Mando di fuora i giganti in su' piani,
S'inginocchiaron tutti a la presenzia Che parve quando vennon fuori a guerra
Del re Luigi, e chiesongli licenzia. Che v' uscissin le torri de la terra.
CXLVIII CLV

Onde Luigi con un bel sermone E gli eran tanto mostruosi in vista,
Gli benedisse tutti lagrimando, E in dosso e in mano avean tale armadure,
Ed abbracciarsi con affezione Che il re Luigi e il campo se n'attrista
Tutti con lui e senza più parlando, Per que' gran bastonacci, accette e scure ;
Usciti fuor con la benedizione Ma quando insiem tal gente sarà mista
Sopra i destrier, si vennon assettando. E ci saran de le vecchie paure,
Or lasciam qui costoro e più avanti E' non sarà la vittoria sì netta,
Andiamo a ritrovar que' sei giganti. Che il re Luigi del suo non ci metta.
CXLIX CLVI

E' parean proprio diavoli infernali Tibaldo venne con più barbassori
Tanto eran di fattezze mostruosi Con que' giganti sin fuor de la porta
E cavalcavan variati animali In su le sbarre, e lasciogli di fuori,
Non punto manco che lor paurosi, Ma prima molto gli prega e conforta
Chi elefanti , e folandre con ali; Che faccin si che riportino onori
Ma non son punto al correr poderosi, A chi gli manda, e poi senz' altra scorta
Son bestie agiate di lor condizione Lasciogli andare inverso lo steccato,
Da cavalcare con la processione. Edrento ad Ascalona fu tornato .
CL CLVII
Tibaldo cominciò la sera innanzi Nostri campion vedendo comparire
A far armar quegli uomini feroci, Questa brigata, come veltri a caccia,
Perchè teme che'l tempo non gli avanzi, Quando si debbe le lepre scoprire,
Tanto son importuni e tanto atroci , Ciascun s'assetta per seguir la traccia,
Chi vuole, e chi non vuol, chi par che danzi Così ciascun pel nemico assalire
Saltando con lo strepito di boci, Si gli fe'incontro con feroce faccia,
E se l'un si raccheta, e l'altro istride, E come que' giganti in campo entrorno
Se l'un si cruccia, e l'altro se ne ride. Chi qua, chỉ là pel prato s'allargorno.
CLI CLVIII

Bisognava a Tibaldo con dolcezza S'io volessi contar l'arme diverse


E paziente rider d'ogni cosa Auom per uom di questi sei giganti
Che costor fanno, perchè lor fierezza Avrei troppe parole indarno sperse,
E troppo fuor di modo furiosa, Ma basta solo a dir di tutti quanti,
Si che Tibaldo con piacevolezza Che mai non ebbe in capo Dario o Serse
Fu lor d'intorno fin ch'ognun si posa, Tal armadure, e uomini si aitanti:
E finalmente furon preparati Lasciam de l'arme loro proporzione,
Come udirete, a tempo e ben armati. Per dare effetto a la mia intenzione .
CLII CLIX

Torniamo un poco a la brigata nostra Il valoroso Guglielmo d' Oringa,


Che de l'alma, e del corpo eran guarniti, Grido in un tratto: A la morte, a la morte,
E per venir co'giganti a la giostra Perchè nessun degli altri non si infinga ,
Sopra a forti destrieri eran saliti . E dirizzossi, come die' la sorte,
Tanta virtù la lor presenza mostra A Fortunato, e par con lui si stringa;
Che i più vili del campo fanno arditi, Cosi Beltram con sue prodezze accorte
Gridando tutti vittoria e mongiogia, Con l'asta bassa a Tarabusso corre ,
Viva Gesù e Macometto muoia. Che fu come colpir in una torre.
CLAHI CLX

E così tutti e sei in compagnia Il Povero Avveduto a Salamecche


Del re Luigi al luogo preparato In su la giunta pose l'occhio addosso
Presso a la terra in una prateria Senza parlar, o dir Salamalecehe,
Dove era fatto in tondo un steccato, Con l'asta bassa contro a quel fa mosso
E quivi giunti ognun si dipartia: Per assaggiar de le sue sorbe secche,
Il re Luigi al campo fu tornato; Ch'era de gli altri maggior e più grosso ;
Ma prima che da lor si dipartisse, Folco di Candia contro a Serpentone,
Forte piangendo, ancor gli benedisse. E Lionetto contro Scarpiglione.
CIRIFFO 138
137 CALVANEO

CLXI CLXVIM

Guidon con Amoroldo s'affrontava, E quella instritolò come d'aceto,


Che parve proprio che 'l ciel rovinassi E così son del pari ambedue in terra ;
Quando ciascun il nimico scontrava 11 Povero dolente e in parte lieto,
Pei colpi grandi, e le grida, e fracassi Prosumendo vittoria, a lui si serra,
De l'aste che ciascuna si fiaccava, E Salamecche non si facea indrieto,
E credo insino a Giove in ciel volassi Ma l'un a l'altro rinforza la guerra
Alcun tronco per gli scoppi che ferno Menandosi furgon, tondi e rovesci ,
L' aste quando ciascun i colpi derno. Che fatto arien saltar ne l'aria i pesci .
CLXIL CLXIX

Guglielmo quando vide l'asta rotta, Guglielmo quando vide questa coppia
Enon aver il suo nemico offeso, Combatter amendue cosi pedestri
Guidone, e Folco e il Povero ad un'otta, L'ira, la forza , il furor gli raddoppia
E cosi gli altri ciascun d'ira acceso, Contro a questi giganti tanto alpestri,
Considerando ognun a la gran botta, E sente or qua, or là, che il colpo scoppia,
E non veder l'avversario disteso, Tondi, ſendenti, mandritti e sinistri,
Ciascun si maraviglia che con quello E per salvar il suo destrier gagliardo
Are' creduto mandar giu Babello. Saltò d'arcion, che parve un leopardo.
CLXIII CLXX

E cosi tutti sfoderorno i brandi , Ediegli de la mano in su la groppa,


E chi mena di punta e chi di taglio, E mandollo di fuor de lo steccato,
E que' giganti smisurati e grandi E poi col brando in man a piè galoppa
Mugghiando coi baston fanno a sonaglio. Con l'occhio fisso contro a Fortunato,
Or per cagion, ch' altrui non mi dimandi, E d'una punta quel gigante intoppa
Bisogna di ciascun dar il raguaglio; Ed ebbelo nel fianco inaverato;
Ma tutti i colpi non scrivo od annovero ; Ma se'l gigante non era alto tanto,
Pure convien che dica un po' del Povero. E' lo passava insin da l'altro canto.
CLXIV CLXXI
Che intorno a Salamecche col destrieri Fu proprio come trarre il zaffo al tino
Si scaglia, che pareva un leopardo Quando Guglielmo ritirò la spada ,
Con l'alma franca e l'occhio del cervieri, E per la doglia il gigante meschino
Avendo sempre al gran baston riguardo. Come balordo aggirandosi bada,
Aveva Salamecche per corsieri E prima che cadessi in sul cammino
Un elefante rigido e gagliardo, Si grande il colpo col baston digrada
Che spesso gira la testa d'intorno, Come cieco menando il baston tondo,
E vuol succiarsi il Povero col corno. E fu di tanta forza e di tal pondo,
CLXV CLXXII

Epareva un castel sopra d'un monte, Che nel girar si ruppe una catena
Quel Salamecche in su quello elefante, Con una palla, che ve n'era cricca.
Ed il Pover col brando a fronte, a fronte Guglielmo vede come il colpo mena
Percuote spesso il feroce gigante; E non temendo sotto si gli ficca,
Ma l'armadure sue, ch'io non v' ho conte, E mentre che il gigante in giù balena
Eran più dure assai ch'un adamante, Un man riverscio Guglielmo rappicca.
E col suo mazzafrusto ei non è lento, Perchè il gigante avea le braccia istese
Ma quando il mena par un tuon, o'l vento. Guglielmo in piena con la spada il prese,
CLXVI GLXXII

Il Pover nol poteva punto offendere E giunselo tra'l guanto e il braccialetto,


Ed a l'altezza sua non puote aggiungere : E in un tratto gli fe' due moncherini,
Per farlo in terra cadere o discendere Chè l'una e l'altra man taglio di netto,
Comincio forte l'elefante a pungere. E così par che il gigante rovini ;
Cosi gli parve il bisogno comprendere E la man col baston tenendo stretto
Ne bisognava il brando, a forare, ungere, Per la gran foga convien che cammini
Esotto mano una punta crivella La palla sciolta colse Lionetto
Che l'elefante in un tratto sbudella. E il baston a Guidon colse nel petto.
CLXVII CLXXIV

Ecosì in terra il gigante rovina Non isparò giammai passavolante


Con l'elefante, perché cadde morto Tanto veloce una palla di piombo,
Lui nel cadere un gran colpo scortina, Come parti del baston del gigante
Per vendicar del suo destrier il torto, Quella che drieto si faceva un rombo,
Con tanta forza e con tanta rapina, E non fu Lionetto si aitante,
Che se non fusse il Pover suto accorto, Che pel gran colpo e la doglia e'l ribombo,
Salamecche gli are' fatto la festa, Che ne l'elmo senti cadde balordo,
Ma pure e' giunse il cavallo a la testa. Come per la rarmata cade il tordo.
139 CIRIFFO CALVANEO 140

CLXXV CLXXXII

Ma rimase sul collo del cavallo, In questo Salamecche il mazzafrusto


E nel cader con le braccia trovollo, Iscaricava, se il parlar non erra,
E quel baston che non percosse in fallo E perchè gli era grave, grosso e giusto
Guidon nel petto de l'arcion cavollo. Pel colpo indarno si ficcava in terra,
Guglielmo corre per volere aitallo Si che il gigante piegossi nel busto,
Vedendo a Fortunato dar il crollo, E il Povero un fendente gli disserra
E nel cader il gigante di sella In su la destra spalla, e il brando iscende
S'attaccava a l'arcion con le budella. Giù per traverso, e 'nsino a' fianchi il fende.
CEXXVI CLXXXHI

Edel corpo gli usciron le frastaglie E così rovinò quel badalone


Bestemmiando Apollino e Macometto. In due parti diviso mezzo il torso.
E for per lui finite le battaglie: Or ritorniam dov'io lasciai Guidone
Cosi rimase morto al suo dispetto; Caduto, e da Guglielmo era soccorso ;
E Amoroldo e Scarpiglione assaglie Ma prima il sopraggiunse Scarpiglione,
Amendue insieme il pover Lionetto, Ch'era accanito più ch'un ferito orso,
Che ancor del colpo non è rivenuto, E con la scure sopra lui s'affolta,
E non v'era nessun per darli aiuto. Ma non lo colse ben la prima volta.
CLXXVII CLXXXIV

Però ch' ognun degli altri avea faccenda: E cosi Amoroldo di Chinea
Guglielmo era ito a soccorrer Guidone. Fu ritornato sopra al suo nemico
O Lionetto, Gesù ti difenda Col gran bastone, e con la mente rea,
Ch'io veggo in aria la scure e 'l bastone, Ciascun per farlo di vita mendico:
Che par sopra di te ciascun discenda, Il Povero in quel mezzo si mettea,
Ed Amoroldo su l'elmo gli pone Cosi Guglielmo, quel campione antico,
Col mazzafrusto così acerba pesca Ma Scarpiglion con la scure rapicca
Cheprovienche' l cervel per gli occhi gli esca. Sopra Guidone, e la testa gli spicca.
CLXXVIII CLXXXV

E come dopo il balen vien lo scoppio, Quando il Povero vide in tal maniera
Cosi dopo Amoroldo, Scarpiglione Finito il padre ed il fratel Lionetto,
Con la sua scure risonava a doppio, Non fu mai drago si feroce o fera,
Edivisel per mezzo in su l'arcione. E trasse ad Amoroldo ne l'elmetto
Se questi due giganti insieme accoppio Uua punta, che entrò per la visiera,
Non ne prenda nessuno ammirazione, E quell' occhio gli trasse a suo dispetto;
Che lor bestialità tal uso reca, Ed Amoroldo gira il suo bastone
Ma poi saranno tutti a mosca cieca. Cosi al buio, e colse a Scarpiglione
CLXXIX CLXXXVI

O poveretto Pover Avveduto, In una tempia, e fu per modo acerba


Questa battaglia già troppo ti costa, La sorba, che non volse la seconda,
Avendo un tal fratel cosi perduto E rovinò come morto su l'erha ;
Tor non riscoterai mai si gran posta, Pel naso e per gli orecchi il sangue gronda
Ed a tempo non verrà il tuo aiuto E per la bocca, e non potè dir verba,
Che a si gran colpi non fu spazio o sosta; Che il Pover sopra lui col brando abbonda
Maquel che a te di tal caso s'aspetta, Con un fendente con tanta tempesta,
Che tu ne facci al presente vendetta. Che gli divise in due parte la testa.
CLXXX CLXXXVII

O Dio, che cosa fu quando s'avvide Amoroldo pur gira il suo bastone
Il Pover come Lionetto è morto, Cosi al buio e dà di gran mazzate;
E con quanto furor si scaglia e stride Cosi girando dette a Serpentone,
Contro il Pagan per vendicare il torto! Onde gli venne tanta niquitate,
E Salamecche a suoi colpi non ride, Che si gli volse senza discrezione
Che il suo futuro mal conosce scorto, Col baston con tre pale incatenate,
Perchè il Pover gli avea si punto il dosso, E l'un baston con l'altro insieme colse,
Che gli era tutto già di sangue rossa. E l'un con l'altro le catene avvolse .
CLXXXI CLXXXVIII

E risguardando il Pover, Lionetto Cosi furno impaniati due frusoni


Col capo stritolato e il corpo in pezzi, Insieme ad un fuscello, e tenne il vischio,
Pien d'ira, di dolore e di dispetto Mugghiando come crucciati leoni,
Determino di fare al Pagan vezzi. E Tarabusso si rivolse al fischio,
Con ambo mani il brando ebbe ristretto, E corse là per loro difensioni,
E intende che quel colpo sia de'sezzi Vedendo come e' son tutti in gran rischio,
Per Salamecche, e verso di lui corre, Sgridando l'uno e l'altro, e vuol partigli,
E poi fermossi in piè come una torre. EAmoroldo il prese con suo' artigli.
141 CIRIFFO CALVANEO 142

CLXXXIX CXCVI
Tarabusso del fatto non si avvede E così detto il Povero si scaglia
Che Amoroldo al bujo sia rimasto, Per vendicare Lionetto e Guidone,
E così Serpentone, e ciascun crede E terminar l'orribile battaglia,
Che e'facci pe' cristian con lor contrasto, E trasse un man diritto a Serpentone
E che sia accordato a la lor fede; Che 'l destro braccio al gomito gli taglia
Onde e'pensan di far macello e guasto Ricisamente, e poi giunse al gallone,
Di lui, e poi de gli altri in su quel prato E la coscia taglio di netto a sesta,
Prima che gli esehin fuor de lo steccato. E cosi fece a Serpenton la festa.
CXC CXCVII
Cosi di tutti tre n'è fatto un mazzo, Tarabusso veduto il colpo detto
Eciascun grida e niuno si può intendere Con Amoroldo pur si scuote e tira,
L'un dice traditore, e l'altro pazzo, Cosi tirando gli trasse l'elmetto,
Ecosi insieme attendono a contendere. E visto il suo difetto, quando il mira
Nostri campion vedendo tal solazzo Bestemmio Jupiter, e Macometto,
Missonsi inmezzo e ingegnansi d' offendere, E per compassion di lui sospira,
Colga a chi vuole ognun picchia e martella, E si come un cinghial contro lo spiede
Ri.ti, e roversci, e chi puote crivella. A Folco s'addirizza che lo fiede.
CXCI CXCVIII

Che fiera cosa pareva a vedere Folco gli dette in su l'elmo talpicchio,
Que' tre giganti insieme accapigliati! Che parve proprio che fusse di ghiaccio,
Amoroldo temea di non cadere, Che il brando ne levo netto lo spicchio,
E teneva quegli altri si serrati, Mandò giù la visiera e quel nasaccio;
Che nessun può dimostrar suo potere, E Tarabusso si fe' come un nicchio,
Se non che traggon calci ismisurati Poi prese con due mani il bastonaccio
Quando co'brandi si sentivan pugnere, Per dare a Folco una nespola secca,
E l'un dall'altro non si può disgiugnere. Ma egli fe' col bastone la cilecca.
CXCIX
Mentre che i valorosi Narbonesi Perchè Beltramo come maestro vecchio
Combatton que' giganti in inviluppo, Con una punta sotto il braccio il prese,
Guglielmo sè, e gli altri ebbe ripresi, Che a traverso la gola e per l'orecchio
Che si debba lasciar disciorre il gruppo, Da l'altra parte il brando uscio palese.
Epoi a uom per uom si sian contesi Non bisognò né stoppa nè capecchio
Che si vilmente il lor sangue m'inzuppo, A questo colpo che netto il paese,
E cosi voi e non è cortesia, E caddegli il bastone, e lui su quello
Nè anco onor de la cavalleria. Cadde, e fiacollo, che parve un fuscello.
CXCHI CC

Il Povero gustando il dir di quello Or si comincia com' io dissi dianzi,


Con tai parole suo parlar disprezza : A mosca cieca far con Amoroldo,
Mangiamo a mensa in punta di coltello : Che non può ir come van questi lanzi
Secondo dove par sia gentilezza, Con la balestra, o lo scoppietto a soldo.
Aquesta mensa sta bene il rastello Costor son quattro, ed a pena dinanzi
E senza discrezion, con ogni asprezza, Si potranno levar quel manigoldo;
Che usar si può, senza alcuna leanza, Ma tristo a quel che'l suo baston aspetta,
Che in tal paese sta ben tale usanza. E fannogli d'intorno a la civetta.
CXCIV CCI

Noi siamo untratto entrati in questo cerchio Egli stava in orecchi come il veltro
Per trarre a fine l'una o l'altra parte: Quando sente pel bosco frascheggiare,
Costoro han più di noi tanto soperchio Ebisognava i calcetti di feltro
Di forza e di grandezza, che con arte A chi fussi voluto irlo a trovare,
Anoi bisogna mettere il coperchio, E non avere armadure di peltro
Sopra di loro e lasciar qui disparte Dove ' l poteva col baston toccare:
Lor membra senza alcuna gentilezza, In mezzo di costor pareva un orso
Equella riserbar dove s' apprezza. Or dinanzi, or diretro col suo morso.
CXCV CCI

Che gentilezza, Guglielmo, fu quella Bisognava tener l'occhio al pennello


Di loro quando egli neciser Lionetto, Perchè e' menava certi colpi a sgembo,
Che furon due, e sai che in su la sella Che s'egli avessi percosso un con quello
Pendeva tramortito il poverello ; Bisognava al cervel tener il grembo,
Cosi sopra Guidon, la gente fella: O si levar a volo come uccello,
Or su, Guglielmo, basti quel ch'è detto, Che n'arebbe mandato a terra un lembo ;
In paese che vai usa che truovi, Egli era cieco e parea che fussi Argo,
Efrancamente con ognun ti pruovi. In modo col baston si fa far largo.
CIRIFFO CALVANEO 144
143

CCX
CCHI
Lasciam Tibaldo che accende torcietti
Sendo tal giuoco pur durato un pezzo,
Il valoroso Folco Candiano A Macone e Apollino, e a Trivigante;
D'affanno e d'ira era, di sudor mezzo, Cosi tutti gli Dei ha maladetti,
E fe' pensier d'atterrare il Pagano , Quanti ne son dal ponente al levante,
E corse sotto al fier gigante ghezzo E ritorniamo a' cavalier predetti
Ed al ginocchio gli pose la mano, Ch' eran d' intorno Amoroldo gigante,
Edestramente quello abbraccia e serra, Si come è detto, con grida e con festa,
E sollevollo, e fel cadere in terra. Ecosi Folco gli taglio la testa.
CCIV cext

Nostri campioni vedendol cascare, Dipoi usciti fuor de lo steccato


Forte gridando facevan gran festa: I lor franchi destrieri ebbon ripresi,
Folco col brando senza dimorare Che si stavan pascendo su pel prato,
Corse a ferir la disarmata testa. E's'io nol dissi, e' n'eran prima scesi
Gli altri giganti ch'eran sopra mare Veduto quel del Povero spacciato,
A quella grida volti con tempesta E perché gli altri non fussino offesi,
Furno in un tratto, e veduto la guerra, Quando vidon Guglielmo dismontare,
Gridavan tutti quanti : a terra, a terra. E questi il simigliante usorno fare.
CCV CCXI

E tutti per quel grippo fariando E rimontati i guerrier poderosi


Comandano al nocchiere ed al patrone Tornando con vittoria al padiglione
Che alla riva gli vengano appressando Del re Luigi, e in parte dolorosi
E chi piglia l'accetta e chi il bastone, Per Lionetto morto e per Guidone;
E viensi ognuno a la banda accostando E dismontati tutti lagrimosi,
Diverso il porto senza discrezione . Il re Luigi con affezione
Il grippo pel superchio del gran pondo Tutti gli abbraccia, Gesu ringraziando
Caló la banda, e ritrovossi in fondo. De la vittoria, e forte lagrimando.
CCVI CCXIII

Non credo che nel basso regno e Stigie, Dolendosi col Povero Avveduto
In que' bollenti e fetidi pantani, De la morte del padre, e del fratello,
Dove son tormentate l'alme bigie, Dicendo : Pover mio, tu hai perduto
Fussi tali urla o strepiti si strani, Il padre, ma presumi ch'io sia quello;
Nè s'è gran guazzabuglio, o tal litigie, E cosi un fratel che arei creduto
Come nel mare insiem fanno quei cani : Il mondo soggiogar teco e con ello;
L'un s'appicava all' altro, un altro isbuffa Ma resta paziente a la lor morte,
Col muso faori, un altro lo rituffa. Poi che così dal ciel dato è per sorte.
CCVII CCXIV

Per più di diece miglia di marina E perché egli è impossibil per tesoro,
Quivi d'intorno non rimase pesce, Per gemme orientali, o signoria,
Che non fuggisse per la gran rovina Remunerarti de la vita loro,
Che costor fanno, e il mar bolle e ricresce; Attribuisco a te la vita mia
Vedevasi saltar tonni e lombrina Con la propria fidanza che con loro
E balene e delfini ognun se n'esce, Avessi fatto, e così vo' che sia
E salton nelle navi, e quali in terra, Tra te e me, con tutte le mie squadre,
Perfuggirde' giganti in mar la guerra. Come tra buon fratelli, o figlio e padre.
ccvnt CCXV

Le navi de l'armata per paura E così detto, tutti ringraziati


Si vennono allargando in alto mare, Fur da Luigi, e da gli altri baroni,
Avendo de' giganti dubbio e cura, E cosi presto furon disarmati
Che ognun si possa alle navi accostare, Con diligenza ne' lor padiglioni ,
Che qual vi s'attaccasse per ventura E fur de la battaglia commendati
L'arebbe fatta sozzopra voltare; Per valorosi e nobili campioni ;
Cosi in un tratto si purgo lor colpe, Ma sopra tutto il Povero Avveduto
E rimase in un sacco dieci golpe. Era, perchè ne' fatti s'è paruto.
CCIX CCXVI

Ora lasciam questi giganti in fresco Luigi ch'era molto sapiente,


Che per un tratto egli han tutti bevuto, Pien di letizia mista con dolore,
E ritorniamo a Tibaldo Arabesco, Per fare quel ch'era suo conveniente
Che quando intese ciò ch'era avvenuto, Di render a tutti i due corpi onore,
Diceva : Ah Macon birro tedesco, Fe' congregar di sua famosa gente
Maladetto sia io che t'ho creduto : Gran quantità, tutti uomin di valore,
Tu m'hai pur tolto ogni rigoglio e caldo Con molti sacerdoti, ed in effetto
Interra e in mare, o malfusso ribaldo. Mandogli per Guidone e Lionetto.
145 CIRIFFO CALVANEO 146

CCXVII CCXXIV

Econ solennità furon recati, Ecosì fu pel terzo di disposto


Onorati da tutti i Narbonesi, Che in Ascalona Luigi fusse ito
Efuron que' due corpi imbalsamati Con degna compagnia con seco accosto
Mandati a seppellir ne' lor paesi Qual si richiede a un uomo si gradito.
Onorevolemente accompagnati. Tibaldo la venuta intese, e losto
Lasciamgli andare, e torniamo a' Francesi, Fe' preparare un singular convito
Che in tutto il campo sonavano a gloria, Ornato e magno e con vivande tante,
Perchè hanno ottenuto la vittoria. Che simile non fu mai nel levante.
CCXVIII CCXXV

ELuigi mandò in Ascalona Venuto il giorno, ch'era deputato,


Al re Tibaldo a dir come la guerra Tanti instormenti dentro e fuor si suona,
E diffinita, e che Francia e Narbona CheGiove non fe' mai, sendo egli irato,
Leveranno l'assedio da la terra, Simil romor quando fulmina e tuona.
Seil patto fatto per la sua corona Tibaldo incontro a Luigi prefato
Vuole osservare, e cosi gli disserra; Venne di fuori con intenzion buona,
E che Tibaldo dica ove gli piace E levate le sbarre da la porta, !
D'esser con lui a confirmar la pace. Tibaldo quivi fermò la sua scorta.
CCXIX CCXXVI

Ando il mandato di Luigi drento, Nè più che giunto, e fermo, il re di Franza


E l'ambasciata a Tibaldo propose Fu comparito con sua compagnia,
Con riverenzia, e lui di buon talento Quale era il fior di tutta sua possanza
Con gran prudenza al messo sì rispose: (Eccetto il Pover) d'alta baronia,
Di'a Luigi mio ch'io son contento Senza corazza, o sbergo, o spada, o lanza.
Testificare a tutte quelle cose Re Luigi e Tibaldo in nella via
Che saran di piacere a sua elemenzia, Con lieto volto ognun la man si tocca
Ch'io son parato a la sua obbedienzia. Con riverenzia, e poi basciarsi in bocca.
Ccxx CCXXVH

Ech'iol'aspetto in quanto che li piaccia Tibaldo, benché sia d' anni più vecchio,
Ad ogni suo volere in Ascalona, Al re Luigidette la man destra, !
Enel palagio mio se vuol si faccia Come colui ch'era di senno specchio
Quanto conviensi per la mia corona, Ed anco la ragion qui l'ammaestra
Si che di buono amor con gran bonaccia E lo 'ntelletto , al parlare l'orecchio
Si disparta da me la sua persona, Teneva, e poi che fortuna il balestra
Edi' che venga dentro il re Luigi Che debba dare a Luigi tributo,
Fidatamente come in suo Parigi, Questo gli par suo debito dovuto.
CCXXI CCXXVII

Con quella compagnia, ed in quel modo Tante trombette, e svegli e cembanelle,


Ch'è di piacere a sua magnificenzia, E tamburacci, e naccheroni, e corni
Ch'ionon sospetto di inganno o di frodo, Si sonavan, che mai simile a quelle
D'un re sì magno e di tanta eccellenzia; Non credo si sentissi in molti giorni;
Ma de la fama sua mi esalto e godo, Vedeansi per la terra le donzelle
E bramo di veder la sua presenzia, Ornate tutte di vestiti adorni
Ecosi riferisci al signor mio : Per festa ed allegrezza de la pace,
Senza più dir se non, addio, addio. Ch'erano uscite fuor di contumace.
CCXXN CCXXIX

Ecosi parti il messo, e giunto in campo E così dismontati al bel palazzo,


Fu dismontato al real padiglione, Su per le scale salivan costoro,
1
Che d'allegrezza par che meni vampo, Con istormenti e giuochi di solazzo,
Edavanti a Luigi in ginocchione Quale è parato d'altro che d' alloro
Sendo, gli disse senza alcun inciampo O fiori, o fronde, o di panni d' arazzo,
Distintamente la vera intenzione Ma di drappi d'argento, gemme ed oro,
Del re Tibaldo, appunto come imposta Con tante pietre preziose e perle,
Gli fu da lui, con sì grata risposta. Che l'occhio non resiste di vederle.
CCXXIII CCXXX

Il re Luigi inteso che Tibaldo Dove era preparato il degno scanno:


Com' uom virile è fermo nel proposito, Più elevate eran due sedie d'oro,
Egli, per martellare il ferro caldo Ne le quali i due re a seder vanno
Volse gir dentro a pigliare il deposito Edipoi tutto il magno concistoro,
Ovver tributo, e compilar di saldo Ne' luoghi preparati si staranno,
La pace, e i patti, che di poi l'opposito, E cosi posti fur senza dimoro.
In ispazio di tempo non ne segua; Tibaldo per la man Luigi prese
Ma in eterno pace, lega, e triegua. Con un parlare sommesso e cortese.

10
CIRIFFO CALVANEO 148
147

CCXXXI CCXXXVII

Ultimamente con parlar gratissimo Ricordivi ch'io dissi coine iscalza


E breve insieme, rimason d' accordo. E scapigliata va pe' boschi errando,
Luigi volse, per farlo certissimo, Edorme spesse volte in qualche balza
Che sen facesse solenne ricordo, Pur sempre i suo' begli occhi lagrimando;
E rogato per man d'un uom dignissimo E quando Febo s'abbassa od innalza
Di fede, (ma del suo nome mi scordo) Non fa divario, nè dove, nè quando
Efatto il giuramento chiaro, e netto, Ella si sia, e come fera pasce,
In su la legge del lor Macometto. E duolsi di non esser morta in fasce.
CCXXXII CCXXXIX

Luigi volle che il tributo fusse Si pe' disagi, e per l' aspre vivande
Una leggiadra e candida chinea, Qual si cibava ne le selve oscure,
Perchè a tal bestia non bisognan busse, Che l'infinite lagrime che spande,
E per la donna sua questa volea . Pel duol de' graffi, e de l' aspre punture
Cosi Tibaldo ogni anno la condusse Che riceveva ognor da tutte bande,
Per grande spazio, e poi sua mente rea Da varie fere mostruose : oppure
Si rimuto, sendo fatto soldano, Col saper bene adoperar la spada,
E ripasso nel paese cristiano. In ogni loco si facea la strada.
CCXXXII CCXL

Or quivi fatto ciò che s'appartiene, O quante volte ſu presso la morte


Preparate le mense e le vivande, D'aspre punture, o velenosi morsi
L'acqua a le man con gl'instromenti vienet D'orribil fiere, e di variate sorte
L'ordine non poteva esser più grande. Di leon. di serpenti, e draghi, ed orsi;
Cosi furon le mense intorno piene Pur l'alma franca la faceva forte,
Ne la sala real da tutte bande, Si ch'ogni fera ricideva in torsi ;
Et ad ogni vivanda vari suoni Dappoi con erbe stagnava il suo sangue
Con vin solenni, preziosi e buoni. De' graffi e morsi, e del suo mal si langue..
CCXXXIV CCXLI

L'odorifere cose di levante Egiorno e notte a tutte quante l'ore


Non dubbiti nessun che qui ne manchi, Si posa a lamentar con quella spada,
Parean quelle vivande cose sante, Dicendo : Oimè lassa, o traditore
Una manna celeste que' vin bianchi. Brando che se' cagion che così vada,
S'io le contassi le sarebbon tante E gravida per mio maggior dolore,
Che forse gli auditor sarieno stanchi; Come le fere al sole, e a la rugiada,
Ma basti sol che Tibaldo Arabesco E'l mio morbido letto son gli sterpi,
Ha fatto un grande onore al re Francesco. E bene spesso tra scorzoni e serpi !
CCXXXV CCXLH

Febo calando in giuso a sciolta briglia Cosi diselva in selva in piaggia, in monte
Tibaldo l'ore con piacer dispensa, Errando va con infinito duolo,
E da Luigi seco si consiglia E non di rado a qualche rivo o fonte
D'esser la sera in altro loco a mensa ; Si posa per l'affanno del figliuolo,
E da Tibaldo con la sua famiglia Dove tutte le sue delizie ha conte
Accommiatarsi finalmente pensa , Che usar soleva sendo nel suo stuolo,
E come ebbe pensato, accomiatossi E questo è quel dolor che la rinnova
Quando fa l'ora, e nel campo tornossi. Nel pianto grande dovunque si truova.
CCXXXVI CCXLIIL

Poi l'altro giorno senza far dimoro O quante volte per disperazione,
Cominciorno a disfar loggie e frascati, Per darsi morte isfoderò quel brando
E tutto loro arnese e lor tesoro Si come pel Troian già fe' Didone ;
E ricchi padiglion fur caricati, Ma poi al figlio suo considerando
E così disgombrorno il tenitoro, Por la vinceva la compassione
E verso Francia si furno inviati, De la innocenza sua, e lagrimando
Eper mare, e per terra, e notte, e giorno Si ritenea de l'esser tanto acerba,
Tanto che in Francia a Parigi arrivorno. E per l'affanno poi cadea sull' erba.
COXLIV
CCXXXVII
Lasciam costoro in Parigi tornati, Così di giorno in giorno in questo,e in quello
E la gran festa che fe'la reina, Bosco passava con lagrime tante,
E mentre che saranno riposati E tanto afflitto è il corpo meschinello,
Si vuol tornare un poco ad Aleandrina, Ch'a fatica potea levar le piante :
Ch'erra per boschi come i desperati. E così giunse sul monte Carmello
Egli ha d'increscer pur de la meschina, Qual è nelle montagne d' Atalante,
Ch'era in tante delizie prima avvezza, Con quella spada appoggiandosi, mentre
Or gravida si trova in tanta asprezza. Tutta è affannata pel peso del ventre.
149 CIRIFFO CALVANEO 150

CCXLV COLII

Era Febo nel segno del Lione Dicesi che le donne sempre al peggio
Di mezzo giorno quando più riscalda Pensando vanno : o me lassa meschina
L'aria, e la terra, acque e le persone S'io mormorai del male or chiaro il veggio
Chepar che la sua spera tenga salda; Sopra di me, e foi più che indovina;
Quando la meschinella in cima pone Nè so in qual parte, o come sola deggio
I piedi al monte, e tutta si difalda Partorir mai quest' anima tapina :
Per debolezza, trafelata e smorta, L'aiuto de le donne a tal mestiere,
Epiange il figlio che stentando porta. Dubito che saran diverse fiere.
CCXLVI CCLII

Eper faggire i vampeggianti raggi O meschinella, o sventurata madre,


Sen giva fra le fronde su per l'erta Con che letizia aspetti il tuo figliuolo,
De'folti abeti, e de' lauri, e de' faggi, O in qual delizie sua membra leggiadre
Con lento passo, da l'ombre coperta. Riposerai, o in qual piuma o lenzuolo ?
Cosi le par sentir un soon che caggi O ingrato, crudo e scellerato padre,
D'un' acqua, ed ella per esserne certa Perchè non senti tu uguale il duolo,
Sollecitava drieto al suono il passo, Poi con un gran sospir richiama il Povero?
Per dar recreazione al corpo lasso. E Calvaneo giungeva appresso al rovero,
CCXI.VII CCLIV

Cosi dietro a quel suon in un pratello Che veniva per l'acqua a la fontana.
Ebbe veduta una chiara fontana, Ricordavi che detto è come quello
Che uscia d'un verde masso un bel ruscello Sendo venuto a la fede cristiana
D'un' acqua fresca, nitida e sovrana, Resto romito sul monte Carmello.
E'n un grembo del masso cadea quello, Sentendo lamentar questa Pagana
Poi giù di quel pe' boschi s'allontana, E menzionare il nome del fratello,
E bramosa di bere Aleandrina, Tutto ammirato al suon di quella voce
Col volto basso, a la fonte si china. S' armò col santo segno de la Croce.
CCXLVIII CCLV

Quale assetata cervia a la campagna Concordando col segno alcuna verba,


Con furia il volto tuffava ne l'onde; O Gesù Nazaren Cristo in tuo nome
Cosi bevendo le sue chiome bagna, Salvum me fac: e veduta su l'erba
Perchè ne l'acqua il volto quasi asconde. Aleandrina con le sparse chiome
Di poi bevato si ricorda e lagna In vista paventosa, aspra ed acerba,
Di sua fortuna e non sa veder donde Che per disagi avea le beltà dome,
Ella pigli il cammino, e sotto un rovero A Calvaneo ogni pelo s'arriccia
All'ombra iscesapiange e chiama il Povero. Per gran paura, e lei si raccapriccia.
CCXLIX CCLVI

OPovero, per qual colpa commessa Econ fatica alquanto sollevossi


Ho jo da te sì fatto guiderdone ? Pure a seder, che in piè non si sostiene,
Ementre piange seco si confessa E su la spada col capo appoggiossi,
Enon trovando alcuna offensione, E Calvaneo apressandosi viene
Diceva : Almanco m' avessi defessa Con un broncon d'un' ischia di que' grossi
Con questa spada a tua contemplazione, In su la spalla, ch'è quel che il mantiene
Anzi che tolto, o misera, il mio onore, In quelle selve vivo da le fiere
Epoi fuggirti come traditore. Rigide, ed aspre, e di varie maniere.
CCL CCLVII

S' io consentii al tuo falso appetito, Veduta Calvaneo costei da presso,


lonon vi consentii già con malizia, Considerando l'orrenda figura
Ma come donna a suo caro marito Che lei mostrava, e segnandosi spesso,
Per contentarlo, non già per tristizia, Diceva: Redentor de la natura,
Ricevuto da te l'anello in dito Questo nimico per non parer desso
Semplicemente con gran puerizia, In quanti modi a la tua creatura
Sperando coronarti re di Troia, Si va mostrando, e con quante moine,
Ed io ti venni cosi presto a noia. Gira dintorno con pungenti spine!
CCLI CCLVIII

O Povero Avveduto traditore, Aleandrina al suon de le parole


Quanto se' tu de beneficii ingrato, Di Calvaneo, e al segno de la croce
Sendo venuto d'un rozzo pastore Comprese il dubbio, e sicurar lo vole
In breve tempo in si felice stato, E cominciò con lagrimosa voce :
Che Tibaldo t' avea fatto il maggiore Non temere di me, che sotto al sole
Edi più regni t'are' coronato; Non è più creatura in si atroce
Ma tu non eri già rustico degno Pena quanto son io: però dimostro
Di mia persona, o di seettro, o di regno. Si iscura vista nel cospetto vostro.
151 CIRIFFO CALVANEO 152

CCLIX CCLXVI

Io non sono ombra nè spirto infernale Io ti senti' ben dianzi in su la giunta


Venuto qui da la città di Dite Il Povero chiamar nel tuo lamento :
Del basso regno, dove tanto male Parlami chiaro, se non che defunta
Si dice è fatto a l'anime sbandite, Sarai qui per mie mani in un momento;
Anzi son corpo misero e mortale, La donna del parlar tutta compunta,
La più meschina che mai più sentite A Calvaneo con buon intendimento
O vista al mondo ne fusse nessuna, Dal principio a la fine d'ogni cosa
Dappoi che cosi volle mia fortuna. Gli disse il vero, e come era sua sposa.
CCLX CCLXVII

A Calvaneo grande compassione Tenendo Calvaneo in mano il brando,


Di questa giovinetta il enor gli prese, Non si poteva in piè ritto tenere
E stupefatto, pien d'ammirazione, Per tenerezza, e forte lagrimando
Con l'occhio e con la mente a lei attese ; Alquanto presso a lei posto a sedere
Poi disse: Donna, qual sia la cagione In terra fussi, e vien considerando
Dimmi, t'indusse errando in tal paese, La sua viltà e non vuol rimanere
Che la mia mente ancor non m'assicura Per nulla cosa in sul monte Carmello;
Che tu possa esser mortale creatura . Anco vuol ire a trovare il fratello.
CCLXI CCLXVHI

Obimé dolente ! cosi non fuss'io, Edisse : Donna, quel che il ciel destina
E fussin l'ossa mie redutte in cenere : Tor non si può, e per nostra salute
Arei fatto omicidio al corpo mio; Talvolta viene un' aspra disciplina;
Ma per dar lume a queste membra tenere Ma non son queste grazie conosciute.
Ch'io ho nel ventre, e sacrificio pio Se tu se' tanto misera e tapina
Arei di me col fuoco fatto a Venere, La potenza di Dio, e sua virtute
Dacch'io mi veggo in odio a Macometto, Ancor ti esalterà più che non eri,
Ma solo ho avuto al mio figliuol rispetto. Pur che tu voglia, e che non ti disperi.
CCLXII CCLXIX

Deh, dimmi , disse Calvanen, allotta, Vedi di tanto mal quanto profitto
Il primo moto, e poi l'origin tutto Nė seguirà, se tu mi crederai.
Di tanta angoscia, e in che modo prodotta Ferma la mente e tieni il cuor diritto
Ti se' in loco si sterile e si brutto. A le parole; e se li disporrai
Aleandrina pore alquanto dolla Di credere in Golui che fa confitto
Di Calvaneo, piagnendo e con gran lutto, Per noi in croce, libera sarai
E come è de le donne usanza antica, Di tanti affanni, e sarai consolata,
Qualche bugia convien ch'ella gli dica. E l'alma salverai, quale è dannata.
CCLXHI CCLXX

E inse che dal Cairo ella venisse Misera a te! in che tenebre oscuro
Col suo marito a soccorrer Tibaldo Venuta se', e in quanta amaritudine !
Ad Ascalona, e in campo lui morisse Ma se al presente speri pel futuro
Contro a Luigi a fronte stando saldo, D'esser felice con beatitudine,
E che Luigi Tibaldo sconfisse Si lasci il van sentiero, e pel sicuro
Perché era molto di potenza caldo : Camminerai : o quanta dolcitudine
Io per campar del mio sposo la reda Ne sentirai ! abbi di te mercede,
Sola fuggimmi per non ire in preda. Poi nota bene, e intendi questa fede.
CCLXIV CCLXXI

E son oggi nel fin del mese sesto, Comincio Calvaneo a dire in prima
Che gravida partii con questo brando, La creazion de la terra, e del cielo,
Ch'è quanto al mondo per me c'è di resto, E de la luce di cotanta stima
E Calvaneo il pome risguardando, Levando de le tenebre il gran velo;
Lo riconobbe e diceva: Cotesto E l'angelica gregge tanto esima,
Donde l'avesti ? e preso a suo comando, Gli animali, e le piante, e'l caldo, e 'l gielo,
Il breve lesse intagliato nel pome, Ogni cosa con ordine e misura
Scolpito in oro, di Guidone il nome. Di grado in grado, secondo natura.
CCLXV CCLXXI

Aleandrina mentre che leggea : E come Dio del ciel eacció Lucifero
Fu del mio sposo, sospirando dice, Con la sua setta nel profondo abisso
E Calvaneo allora : Ah donna rea, Per quel peccato, ch'è tanto pestifero
Tu parli come falsa mentitrice: De la superbia, ne la quale e'fisso ;
Non mi celare il ver chi già solea E come padre giusto e salutifero
Tenere appresso tal brando felice; Creassi l'uomo, e poi gli ebbe promesso
Dimmi la verità donde l'hai avuto, L'eterna gloria del superno regno,
E dove resta il Povero Avveduto. Ma con l'operazion sen faccia degno.
153 CIRIFFO CALVANEO 154

CCLXXII CCLXXX

Creato l' nomo a sua similitudine, O misera dolente, quanto ingrata


Come ladonna trasse poi de l'uomo Saresti contro al tuo buon Creatore,
Razionale, ma pien di ingratitudine, Sendo nel falso vivere ostinata ;
E come tolse del vietato pomo, Ma sempre non si vive, ognun si more.
Onde per quello in tanta amaritudine Deh, non voler che l'alma sia dannata,
Con la sua compagnia ebbe giù il tomo, O meschinella, guarda in che errore
Ecome a Moise dette la Legge Tu se', vo' tu che 'l corpo in vita stenti,
Sul monte Sinai come si legge. Per mandar l'alma agli eterni tormenti ?.
CCLXXIV CCLXXXI

Ecome Moisè n'aperse il mare Almanco se tu fussi battezzata ,


Per campar de le man di Faraone Sopportando per Dio con pazienza,
Il popol suo, e si come annegare Saresti poi in ciel rimunerata ;
Vide tante migliaia di persone Dunque che vo' tu fare ? abbi avvertenza
Di Faraon, che il vuol perseguitare A la tua vita tanto tribolata,
Come la santa Bibbia iscrive e pone; Ch'io non ti darei altra penitenza :
Come Noè pel diluvio ſe l' Area , Piglia partito, e vienci ben dispusta,
Edove, e come, e di ciò ch' ella è carca. Che. il battesimo vale, e non ti costa..
CCLXXV CCLXXXH

E per la afflizione che esso conobbe, Ogni altra fede fuor che la cristiana,
Per dare a la meschina un po' di pace, O Turchi, o Mori, o Pagani, od Ebrei ,
Le disse tutta la vita di Giobbe, Ciascheduna di questa è falsa e vana
E quanto e' visse al mondo incontumace; E tutti andranno a gli eterni oimei.
Edisse di Esau e di Giacobbe: Cosi dicendo, inverso la fontana
Ed ella attenta nulla le dispiace : Si veniva appressando lui e lei ;
Edisse come Lotte, e le figliuole E finalmente inginocchiata ſue,
Foggir l'ira di Dio, come Dio vuole. Ebattezzata a la fè di Giesue,
CCLXXVI CCLXXXII

Per non far troppo prolisso il sermone Sendo da Calvaneo ammaestrata


E si per riscaldar col fuoco l'esca, In quanto s'appartiene a nostra fede;
Abbreviando a la Nunziazione Ed ella di fervor tutta infiammata
Venne, col dire, e poi par che riesca Chiedeva d' ogni sua colpa mercede.
Al santo parto, e da la passione, Cosi rimase alquanto consolata,
Perchè del buon Gesù un po' gl'incresca; E ciò che Calvaneo le dice, crede;
Ben che prima le disse ne la vita E confortolla molto a pazienza:
Dei miracoli suoi cosa infinita. Poi con dolce parlar chiedea licenza.
CCLXXVII CCLXXXIV

Ementre Calvaneo per gran fervore Dicendole, ch' al tutto era disposto
Dicendo lagrimava tutta via Di voler ire il Povero a trovare.
La Passion del nostro Salvatore Benchè e'sia molto lontano, e discosto
Eil gran dolore, e'l pianto di Maria, Sapea bene il paese attraversare;
Edisse come in croce il Creatore E come egli ha nella mente proposto
Sitio diceva, e quella gente ria Con lui insieme indrieto ritornare
L'ebbon d'aceto e fele abbeverato, In que' paesi, e tanto cercheranno,
Ede la piaga ch'ebbe nel costato. Che viva o morta la ritroveranno.
CCLXXVHI CCLXXXV

Ecome in croce prego per coloro Ultimamente le chiedeva il brando


Che l'avean tanto percosso e schernito, Quando volse da lei far dipartita.
Dicendo: Padre, perdona a costoro; La donna gli rispose lagrimando;
Ecome morto poi fa seppellito; Oimè no! per Dio, tommi la vita
E il terzo giorno senza far dimoro Anzi che questo; io vo'gire stentando
Resuscito, ed al Limbo fu ito, Con esso, poiché io foi per lui tradita:
E trassene que' Padri che aspettavano To' pur il tuo broncon ch'in terra hai posto
La sua venuta, e in gran tenebre stavano. Che farà star le fere più discosto.
CCLXXIX CCLXXXVI

Come egli stette poi quaranta giorni, Cosi dicendo si trasse di dito
Glorificato il corpo, qua giù in terra Quella turchina con che fu sponsata,
Prima che in cielo al suo Padre ritorni, Dicendo: Se tu trovi il mio marito
E ciò che sotto a sopra s'apre e serra, Donagli questo, e fagli l'ambasciata
Governa e regge con suo'raggi adorni, De l'esser mio, e digli a che partito
E chi spera in sua grazia mai non era; E dove, e come, e quando m' hai lasciata!
Benché di lai non t'ho conto il millesimo; E se non ha compassione, o duolo
Ma sua grazia non fa senza battesimo. Di me, gl'incresca almanco del figliuolo.
155 CIRIFFO CALVANEO 156

CCLXXXVII CCXCIV

E cosi Calvaneo e Aleandrina E giunto (come è detto) in su la piazza,


Con tenerezza per la man si piglia, Dimandava del Povero Avveduto
Il qual mentre dicevale : Cammina Appoggiato col petto in su la mazza,
Per questa banda e circa cento miglia E d'intorno gran popol gli è venuto,
C'è una terra detta Costantina ; E nessun sa di che paese o razza
Ed accenna con mano, e con le ciglia: Costui si sia, e senza esser tenuto
Va nel nome di Dio che in compagnia A bada punto, ognun per veder buchera,
Teco sia Raffael, quale a Tobia. E per menarlo avanti si solluchera.
CCLXXXVHI CCXCV

Cosi partissi da quella fontana Beato quel che può correre innanzi
Lui a la china, ed ella piaggia piaggia A dire al Pover come costui viene,
Sen giva per la selva ombrosa e strana, Ch' era in palagio, e par che vi si danzi,
E spesse volte qualche pome assaggia E una dama gentil per mano tiene.
Per volontà e per la gran caldana ; Mentre che e' danza inginocchiossi innanzi
Tal volta par per debolezza ch'aggia Dicendogli : Monsire e le tantiene,
Contro a sua voglia qualche gran cimbottolo; Tanto che disse come viene al Povero
Poi riposava il capo in sur un ciottolo. Un uom selvaggio per aver ricovero.
CCLXXXIX eCXCVI

Tanto di giorno in giorno a poco a poco Cosi le danze, e'l ballo fa finito,
Fu camminata su per la montagna, E'l Povero si fe' in capo di seala ;
Che quando l'orizzonte par di fuoco E mentre Calvaneo fu comparito
Una mattina, una bella campagna Con molta gente, e gionto in su la sala,
Ebbe trovata, e posata in quel luoco, E' par d'ammirazion tutto stupito
Vide quella città famosa e magna ; Di tanta baronia, e si gran gala :
Qual Costantina pel volgo s'appella, Vedendo tante dame, e suoni, e canti
E tanto camminoe, che giunse a quella. Gli par vedere il ciel con tutti i santi.
ccxc Cexevn

Lasciam costei che cerca sua ventura, Visto ch' ebbe la maestà del re,
E ritorniamo un poco a Galvaneo, Davanti a lui si mise genuflesso,
Ch' are' con quel broncon fatto paura E reverirlo poi levossi in piè,
In su la spalla, forse a Capaneo. E volto al Pover ch'era li da presso :
Egli era grosso, e di grande statura, Istette alquanto un po' sopra di sè
Incolto e nero qual fusse un gineo : In dubbio o si o no s'egli era desso;
La barba ha longa, e que'velli che nascono E così mentre le lagrime abbondano
Su per la testa e d'intorno gli cascono. Per tenerezza e giù pel volto grondano,
Cexcl СеХСУН

E perchè gli era ne le selve avvezzo E per la tenerezza non può digli
Camminava qual proprio an leopardo, Parola alcuna, e, dettegli l'anello
E non ti dico se fa bene il ghezzo, D' Aleandrina, ed innanzi che il pigli,
Però che gli era giovine e gagliadro, Il Povero ebbe conosciuto quello.
E non si gli accoston mai a un pezzo Tenendo fissi a Calvaneo i cigli,
Alcuna fera: anco facean riguardo; Gli parve al cuor sentir proprio un coltello,
E poi faggendo facean mille romboli, Perchè l'ardente fiamma e il vero amore
Perchè con quel brancon lui non le zomboli. D'un presto lampo gli raccese il cuore.
CCXCH CCXCIX

A lui non dava noia la grossezza Deh dimmi, disse il Povero Avveduto,
Nè rugiada, nè sole, o erta, o china, Qual tu ti sia, che questo ben conosco,
Ed ogni pome gli piace ed apprezza ; E dove, e quando in che l' hai avuto
Non è svogliato come Aleandrina, Che tu m'hai tutto il cuor ripien di tosco.
E notte e giorno con molta prestezza E Calvaneo più presto ch'ha potuto
Poco si posa e con furor cammina , Piangendo disse : L'aspre selve, e 'l bosco
E guarda sempre diritto a ricidere M'han trasformato, che pur già soleo
Ogni paese, ch'è cosa da ridere. Essere uguale a te: son Galvaneo.
ecxem ccc

Ultimamente ad Ascalona arriva, Cosi dicendo in un tratto amendue


E visto come il campo era partito, Le braccia aperte e le parole pronte
Immediate il suo cammin seguiva, O Calvaneo, Povero ; e non piue,
E brevemente in Francia ne fu ito. Che l'un l'altro si baciava in fronte.
Giunto in Parigi in piazza compariva Cosi l'un l'altro abbracciato si fue
Com' uom selvaggio, feroce ed ardito, E gli occhi di ciascun avean due fonte;
E dal caldo e dal freddo incolto e sucido E molte volte con sommo disio
Pel camminare in furia al secco e al mucido. Diceano : O Calvaneo, o Povero mio !
157 CIRIFFO CALVANEO 158

ecer CCCVI

La tenerezza che vi ſu visibile" E non ha più dal suo chi per lei sia,
Mai non si dimostró fra due che nascono Benchè ella aveva buona possessione,
D'un seme ad un portato, nè credibile E vista Aleandrina ne la via
Sarebbe mai le lagrime che cascono Ismunta, e smorta con quel gran corpone,
Da gli occhi loro, che parea impossibile, Parve che tutta in se compunta, e pia
E di basciar l'un l'altro sol si pascono. Ella venesse per compassione
Cosi d'intorno a lor s'è fatto un gruzzolo , Di questa poveretta, e in casa sua
Mirando fisso qual nell' uovo istruzzolo.. Seco menolla, piangendo amendua.
CCCIX

Luigi da seder per maraviglia E l'una e l'altra sendo a seder posta,


S'era levato, e in man tenea lo scetro, L'una piangeva il vivo, e l'altra i morti.
E fatto avanti, tutta la famiglia Drusilla disse con dolce proposta:
E la gran baronia tirarsi indetro; Deh perchè piangi ? su, che ti conforti,
E Calvaneo il Pover per man piglia E non temer, ch'io son tutta disposta
E così tr' amendue s'è messo in metro, A tuo bisogni, e potrei forse torti
Dicendo al Pover: Dimmi chi è quello? Ogni dolor; ma dimmi una parola ;
ECalvaneo, il mio caro fratello. In che modo se' tu qui così sola ?
ceem cccx

Ricordavi che già Falcon vi disse, Aleandrina sospirando allotta


Quando ero in Ascalona con Tibaldo, Dal principio a la fin de la ballata
D'un certo Galvaneo, e vi promisse Gli disse il tutto, e in che modo prodotta,
Di conducermi a voi sotto suo caldo. Ma non le disse d'esser battezzata,
Questo è quel desso, ben che Falcon misse Perch' ella arebbe ogni cosa corrotta
lo tal gita la pelle il fin ribaldo. Nè anco disse di chi fusse nata;
Luigi, Calvaneo accetta ed offera E per tanti sospiri, e i gran singhiozzi
Graziosamente, e ciò che può gli profera. Convien per forza che'l parlar gli mozzi.
CCCIV CCCXI

La festa e l'allegrezza di costoro Considerando Drusilla agli affanni,


Per discrezione i savi la comprendino. Ed a la vita tanto acerba e dura
Il Pover senza intervallo, o dimoro, D' Aleandrina, ch' ancor quindici anni
Volse che molti a Galvaneo attendino Non ha finiti, ed era tanto oscura,
Con gran larghezza, e spendin di tesoro, E scalza, e quasi che nuda di panni,
Eda' rozzi costumi lo difendino, Epresso al tempo che la creatura
Ein ogni gentilezza lo ammaestrino, Dee partorire, fe'sua fantasia
Esopra a tutto a la scrimia l'addestrino.. Di ritenerla per sua compagnia.
cecv ceexit

Lasciam Parigi, e chi dentro vi resta, Poi che di far così la donna aggrada,
Chev'è per Galvaneo più d'una scola, Le disse : Figlia a questo tuo lamento
Eginochi e balli e canti e suoni e festa Pon fine, ch'io non vo' più che tu vada
D'organetti, liuti, arpe e viola ; Tapinando pel mondo in tanto stento.
Eritorniamo a quella afflitta e mesta Cosi dicendo prendea quella spada
Aleandrina, misera figliuola, Piangendo con parlar soave e lento:
Com'io vi dissi fuor di Costantina, Restati qui , e qui partorirai,
Cercando sua ventura, la meschina. E in vita e morte meco ti starai.
CCCVI ceexu

Dice il proverbio, che chi cerca truova, Nè altrimenti che da madre figlia
Echi è paziente e spera in Dio, Sarai trattata; e d'ogni mia sostanza
Mai non perisce, e vedesene prova Pari di me a tuo piacer ne piglia,
Ognor, perché il Signore è tanto pio, Che c'è pur d'ogni bene in abbondanza;
Che a pietà d'ognun pare che si muova, Nè più saremo noi che due in famiglia;
Edi nostra salute ha gran disio, Or ti conforta con buona speranza.
Esa fard'un gran mal nascer gran bene, Aleandrina come savia intese
Come si vede che spesso interviene. Il suo bisogno, e la ventura prese.
ceevil CCCIV

Sendo arrivata questa meschinella E conoscente del gran beneficio,


Apresso a Costantina in una villa, Dimostra col parlar quanto la prezza,
E mendicando, come poverella, E con l'operazione a l'esercizio
Sempre piangendo sua vita tranquilla, De'lor mestieri, e con quella prestezza
Ungiorno a casa d'una vedovella Che usar poteva benchè assai propizio
Fu arrivata, ch'è detta Drusilla ; Il fine fusse della sua grossezza ;
La qual soletta piange con gran duolo, E così sendo fuor de' gran perigli ,
Ch' era rimasa priva d'un figliuolo. Venuto il tempo, partori due figli.
CIRIFFO CALVANEO 160
150

CCCXV сесххи

Volse Drusilla a sua contemplazione Furno un giorno, quando s'allontana


L'un Siliametto, e l'altro Sidillaggi Febo, ch' all'altro emisperio discende,
Fusse chiamato, e con gran passione, Afflitti e lassi alla propria fontana
Fu'l parto del secondo, e con disaggi Dove il battesmo già la donna prende ;
Per Sidillaggi pieno d'ambizione , E quivi dismontati in su la piana,
Chiamato poi il crudel da quei malvaggi, Ciascuno all'acqua volentieri attende;
Qual cominciò in sua nativitade Poi sotto l'ombre d'uno ombroso frascino
A dimostrar la sua diversitade, Per quella notte par che si posassino.
CCCXVI CCCXXIM

In modo tal, che quasi all'ultim' ora E Calvaneo : O Pover, qui giacea
La si condusse per quel partorire ; Aleandrina, quando la trovai,
Pur come piacque a Dio la ne fu fuora; E quello è il rover che l'ombra facea
Dipoi attese sua figlia nutrire. Per sua difesa da' cocenti rai;
Di giorno in giorno con essi dimora E replicando ciò ch'ella dicea,
Li con Drusilla e non si vuol partire. Come piangendo lo chiamava assai,
Lasciam crescer costor com'è dovuto E come fera scalza, e poco indosso,
E ritorniamo al Povero Avveduto, Pallida, e secca la buccia su l'osso.
CCCXVI CCCXXIV

Ch'era in Parigi già più e più mesi Col corpo a gola, non che di sei mesi,
Con Calvaneo stato in giuochi ed in festa, Ella pareva gravida d'un anno.
Tanto che Calvaneo avea compresi S'ella binassi, per quel ch'io compresi,
Tutti i costumi d'uom di franca gesta ; Non fare maraviglia, e per l'affanno
Ed armigero si , ch'arebbe offesi Forse perita per questi paesi :
Mill' uomin solo con la lancia in resta : Ohime che ne sare' pur un gran danno !
Anco pedestre non are' perduto Ma se le fere non l'aran defunta,
Con qual si fusse a combatter venuto. La fia pur forse a Costantina giunta.
CCCXVIN ccexxv

E già più volte avea fatto ricordo Eprima disse in che modo conducere
Al Pover la promessa ch'avea fatto Lui l'ave' fatta a prendere il battesimo,
Ad Aleandrina, e detto: lo mi ricordo E che tante ragion le seppe adducere,
De la promessa e vo'servare il patto. Ch'or non saprebbe narrare il centesimo ;
Ultimamente rimasi d'accordo E come tante lagrime producere
Quando al Povero parve, e preso il tratto, Vuole dagli occhi suoi, che mai il millesimo
Di Parigi partirno isconosciati Are' creduto, e come batteggiolla
Pe'lor bisogni, bene antiveduti. E nel sno proprio nome confirmolla.
CCCXIX CCCXXVI

Via cavalcando di notte e di giorno E cosi replicando a verba a verba,


Usciti fuor de la cristianitade, Passò la notte, che poco dormirono.
In sterili paesi e scuri entrorno, Piangeva il Pover con gran pena acerba,
Dove sostenner molte avversitade E l'uno e l'altro per costei sospirono.
Con aspre fere, e più luochi trovorno, Apparse l'aurora, e sopra all' erba
Le quai non conto per più brevitade, Levati in piè, da la foute partirono,
Nè dove, o come, ma con grande affanno E sempre il Pover gira innanzi un pezzo
Han cavalcato già circa ad un anno. Per ritrovarla, e non essere il sezzo.
eeexx CCCXXVH

Passando gran paduli, e selve, e boschi, Gosi calando giù per un burrone
Al caldo, al freddo, al nugolo, al sereno, Ombroso e folto, ed al passar romatico,
E pel disagio in vista oscuri , e foschi, Ebbe vedato un gigante vecchione,
Dormendo a la campagna sul terreno, Nero, peloso, quale un nom salvatico,
Tal che non fora nom che gli conoschi, Che si sedeva, ed aveva un bastone
E cosi fa chi tien d'amore il freno : Che chi non fusse ne la scrima pratico
Ogni peccato vuol sua penitenza , Arebbe detto: Costui qua che entrespola?
Benchè costoro il fan per coscienza, Tu troverai chi non vo' quella nespola.
CCCXXI CCCXXVI

Avendo Calvaneo dato la fede Il Pover che giammai ricusa posta


Ad Aleandrina di dover tornare, Si pensa d'esser condotto a la mazza
E il Pover per pietade, e per mercede Da Calvaneo, e pure oltre s' accosta
De la sua donna, e spera di trovare E vede che non ha scudo, o corazza,
La madre, e'l figlio così chiar si crede : Edice: Calvaneo, ha fatto sosta
Cosi ferventi ne vanno a cercare, Di non seguirmi: guarda con che razza
Ciascun di buono amor come fratello . Io son condotto, e dice lui , non sazzica
E così giunti sul monte Carmello Perchè esca a punto dove costui bazzica.
162
161 CIRIFFO CALVANEO

CCCXXIX
CCCXXXVI

Ma se la spada di man non mi smuccia, Deh,dimmi unpoco,in qual parte, o in qual regno,
O s'io non casco, e giù pel balzo tombolo Qual rege, o imperio a sua contemplazione
Intacchero ad amendua la buccia, Ha un teatro si spazioso e degno,
I'so pur quando voglio come isnombolo, Ripien di tante varie condizione,
Quando io mel caccio ne la capperuccia D'animali, e d'uccelli, che a sdegno
E come a' colpi miei crivello e frombolo. Quei non avessin sua abitazione ?
E pur calando in giù con questa stizza Io son con loro famigliar ne' boschi,
Che non c'è fera che non mi conoschi.
Il fier gigante da seder si rizza.
CCCXXXVII
cccxxx

Senza bastone, e con ambo le mane Se tu vedessi qualche volta, ridere


Dinanzi aperse la capillatura, Ti converrebbe, a qualche rivo o fonte,
Erisguardando, con parole umane, Che mi bisogna le fere dividere
Dimanda il Pover de la sua natura, L'una da l'altra, e do di male conte.
E che lo 'ndace in quelle parte strane. Cosi scherzando ne vengo ad uccidere,
Il Pover disse: Sono uom di ventura E senza rete, o lacci in piano, e in monte
Che vo' qual nave in mar senza timone; Carpisco cervi, caprioli , e lepri ,
Ma tu chi sei ? dimmi tua condizione. Poi,gli arrostisco con questi ginepri.
CCCXXXVIII
CCCXXXI

Nè più che detto, quel gigante in basso Eleggi qual tu voi d'uccellagione
Chino la testa, e il Pover prima piglia Che grasso al mio piacer non abbi il nidio
Con lieto volto, e con un lento passo, Senza lor cura, o far lite, o questione,
E sorridendo il Povero consiglia E per tutto il paese e lor residio ;
Che sia contento sedere in sul masso Emolte volte per compassione
Pari di lui, e lasciassi la briglia Né lascio andar, per non far quel micidio,
Del suo destrieri che qui l'erbe nascono, Eper diletto a le volte ne imbecco,
D'un tal sapor, che volentier si pascono. O levo lor dal nidio qualche stecco.
CCCXXXIX
ecexxxH

Il Pover che non ha la mente certa, Dal canto lor la melodia de' versi,
Pur come savio tien l'occhio al pennello, Non ha comparazione, arte, o misura,
La mano al brando, in cagnesco, ed all'erta Nè si potrebbe a paragon tenersi
Se bisognassi ischerzar pur con quello; Maestro alcun di canto di figura .
Che chi col lupo va insieme a l'aperta, Conobbi già, quando la mente apersi,
Debbe tenere il can sotto il mantello: Che 'l ver maestro del tutto è natura ;
La troppa libertà talvolta costa : Cosi natura mi notrisce e pasce,
Chi non si fida, mai nė perde posta. E finalmente muore ognun che nasce.
cecxl
ceexxx

E cosi posti sul masso amendua, Io non t'ho detto de le piante i pomi:
In primamente diceva il gigante : Dove fu mai si bella agricoltura
Per soddisfare a l'intenzione tua Senza il villan con suoi giovenchi domi,
Reciterotti qual fia a bastante, O coltivar per man di creatura ?
Con questo che ciascun dica la sua Che s' io volessi replicarti i nomi
Vita qual sia, e quale è più errante, Sarei tedioso, tanto il tempo dura ;
Per che tu cerchi guerra, ed io in pace Di tempo in tempo ogni pome si serba:
Libero vivo d'ogni contumace. Per me son pomi a maturar sull' erba.
CCCXLI
CCCXXXIV

E vivo lieto sopra a gli alti spirti, Che più bella città, che più bel sito,
Secondo la stagion, secondo il loco, Che più felicità, che più ricchezza,
Ale fresche ombre de' lauri e de' mirti , Che più degno signor fu mai sentito,
E pini, e faggi, e sempre a poco, a poco Che più trionfo, o che maggior altezza,
Mi vo' innalzando in cima de' monti irti Che più manto real, che più vestito,
La state, e nulla il verno prezzo il fuoco, Che più che natural cosa s'apprezza,
Perchè ne le caverne io mi raggruzzolo Che più si dee voler che libertate,
Enon istimo vento, o neve, o spruzzolo. Che più val che tesoro, o le cittate ?
CCCXXXV CCCXLH

Quanto ch'a me questa vita più garba E sendo certi che ogni cosa in polvere
Di selva in selva fuor di gran pericoli, Ultimamente al fin si dee riducere,
Che son ne la città e dove Jarba Dunque che ti bisogna tanto avvolvere
Solcando il mar si va con tanti articoli! Per farti vetro per fama rilucere ?
Vestito di mia lana e di mia barba Che quella non ti può però assolvere
Ch' un tratto a morte non ti dei conducere;
D'ogni stagion, ed in vari cubicoli,
Edove il sonno, o il gasto fammi offensa , Dunque perché in tanta ansietade
Quivi è il mio letto, quivi è la mia mensa. Consumi tu questa tua breve etade ?

11
163 CIRIFFO CALVANEO 164

CCCXLIII CCCL

Or dimmi tu, e dammi un poco a ' ntendere Eper ritrarti da tanta tristizia
De la tua vita, e tuoi modi, e costumi, Disposto sono, e vo' provar s'io posso,
Che forse ti potrei al fin riprendere Darti di molti uomini notizia
Gustando tu e gli aspri , e tanti agrumi, Che forsi l'almo tuo sarà remosso,
De' quai ti pasci nel salire e scendere E verrai sitibondo d' amicizia,
Passando poggi e piaggie, e laghi, e fiumi, Ma dimmi il nome tuo, ed egli : Chaosso,
E in ogni parte dove tu từ truovi Disse, mi chiamo ; sorridendo alquanto;
Sei con suspetto d' inimici nuovi . E'l Pover la risposta ordinò intanto.
CCCXLIV CCCLI

Il Pover preparato a la risposta E disse istando : Qui virtù, nè fama


Al Veglio disse: Il tuo parlare è degno, Tu non acquisti, nè pure il cognome
E tutto al natural viver s'accosta Dire non è dove le virtù s'ama:
La vita tua, ma non avere a sdegno Tu sol conosci uccelli e fere e pome.
Quel ch'io dirò, perch' ella si discosta Or nota alcun di quei che'l vulgo ama ,
Dall'uomo razionale, e dal suo sdegno, Ch'han per l'universo isparto il nome
E non è la tua vita a punto affabile Mediante loro opere virtuose,
A creatura umana, nė laudabile. In tante varietà tutte famose.
CCCXLV CCCLII

Quale è più degno, o l'uomo, o l'animale E per darti più breve questa listra,
Incognito senza ordine, o misura ? Come a la mente mi verrà il nome
Dunque ti farestu con lui eguale Te lo darò : e così lo registra
Affirmando tua vita più sicura ? Senza altro replicar quando, nè come,
L'imagine d'un nom molto più vale Alcuno si fusse, e così men sinistra
Che quante fere creò mai natura, Sarà la nota di loro idiome ;
E certamente che' boschi e le selve
Ma considera ben quanto divario
Producono animali e strane belve .
E infra, loro e te, che se'il contrario.
CCCXLVI
.CCCLI
O quanto è degna cosa la cittade, Adunque resta con l'orecchio attento
Le varie industrie, e gl'ingegni sottili, Le mie parole ben considerando .
Tanti mestieri, e d'ogni facultade, In prima fu nel vecchio testamento
Dove gl'indotti son negletti e vili ; Il patriarca Abram, qual militando
E d'un loco in un altro come accade Potente fu e di gran valimento,
Si va per terra, e per mar co' navili, La sua prudenza in più cose mostrando ;
E per industria si fa l'oro nascere : Ed ebbe già gran popoli isconfitti ;
E tu stai qui come le fere a pascere? Cosi fu Giosuè, cosi Danitti,
CCCXLVII CCCLIV
Nè puoi di gentilezza aver notizia ; Così Saul, cosi Turno, e Teseo,
Tu se' quale una pianta senza frutto, Così Giason, Ettorre, e il forte Achille,
Nè puoi saper qual sia duolo o letizia, E Diomede, e Giuda Maccabeo,
Ma proprio un animal selvaggio e brutto, Che for ne l'arme folgor di faville,
Nutrito d'ozio e d'una gran pigrizia, Ed i due Scipioni , e il gran Pompeo
Nè puoi di te lasciare alcun costrutto, Magno, descritto già in tante postille,
Ed spirato il tuo tempo preterito Cesar, Camillo, Romulo , e Troiano,
Senza alcun frutto o di fama, o di merito . Enea, e Lancillotto, e il buon Tristano .
CCCXLVI CCCLV
Mai non doveva natura crearti
E sette re ch'andorno a campo a Tebe
Una figura si formosa e degna ; Adrasto, Polinice, e il buon Tideo,
Ben si doveva qualche animal farti, Ed Anfiarao, il qual con tanta plebe
Poichè in te tanta ignoranza regna, Vi si condusse, e il quinto Capaneo ;
Senza virtù o di scienza, o d'arti Ipomedonte, che non guardo zebe,
Le quai ne la città s'impara e insegna, Ed il settimo il bel Partenopeo,
Ed anco ne le selve e ne' deserti Quale tu in gioventù molto famoso,
Son suti già de gl'uomin dotti e sperti : Di corpo bello e di virtù copioso.
CCCXLIX
CCCLVI
Ch'han fatto di lor vita notomia Il primo trionfante Tito Tazio
Per lasciar fama di loro scienzia :
In Roma fu, e Giulio il vecchio Augusto,
Quai si son dati ne la astrologia Che fu il primo de lo imperio sazio,
Senza pigrizia , e senza negligenzia : E fa Neron tanto crudo e robusto,
Alcun s'è dato a la filosofia , E Ciro re di Persia, che a Trazio
Ed altri con fervore a penitenzia ; Mandato fu da l'avo suo ingiusto,
Ma ne le gran cittate, e ne'gran popoli Lucio Fabricio, e l'uno e l'altro Cato,
Fioriscon le virtù fra molti iscropoli. E Silla, e Mario, e Quinto Cincinnato.
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CIRIFFO CALVANEO

CCCLVII CCELXIV

Fu Anniballe possente di Cartagine, Varron si dette ne la agricoltura


Publio Metello, e fu Paolo Emilio, E Columella, e furono maestri ;
E Papinio, che fu tanto randagine, Apelle, e Zeusi ne la pittura,
Bruto, Tarquinio e fu Numa Pompilio, E furon sopra ogni altro dotti, e destri :
Furio Camillo, la famosa imagine, Lisippo, e Pollicleto in iscultura,
Lucullo, e Marcantonio, e Julio Ostilio, Vitruvio architettor senza sinestri,
E Mecenate, e Fabrizio e Tiberio, E Zoroastro fu primo inventore
E Marco Curio, e Torquato e Valerio. Di magica arte, e che n'ebbe valore.
CCCVLIN CCCLXV

EMarco Bruto e il Claudio, e 'l Marcello, Menandro, Omero, e Pindaro poeti


Druso di Livia, e fu Lucio Cicilio, Che dierno a la scrittura tanto spazio,
E Lucio Mallio, e'l Valunnio, e'l Metello, Con lor dottrina non istiero quieti,
E Lucio Marzio, Asiatico Emilio, Terenzio, Silio, e Lucano ed Orazio,
E Marco Furio, e Marco Fulvio bello, Marziale, Ausonio, uomini discreti
EMarco Crasso col buon Marco Attilio, Con quel famoso e sapiente Stazio ;
E Valerio Corvino, e Cocle Orazio, Questi sempre fuggir pigrizia ed ozio,
Che fe' sul ponte de'nemici strazio.. E tu ti pasci sol d'accidia e d'ozio.
CECLIX CCCLXVI

E fu Tito benigno imperatore, Leggesi del famoso Costantino,


Gallo Fabrizio, tanto singulare, Di Fiovo, e di Fiorello e Fioravante,
Che tenne si tranquillo e lieto il cuore, Di Buovo, e di Gisberto il paladino,
Contento sol per non desiderare, Del re Almonte, e del padre Agolante,
E il forte Muzio che con tal fervore E d' Alessandro magno, e di Pipino,
La sua man destra volse divampare, E di Filippo , e del re Durastante,
E fu Rutilio con Volunnio Gracco, Di Carlo Magno, e de suo' paladini,
Che fer de' lor nimici si gran fiaçco. D' Orlando, e di Rinaldo, guerrier fini.
CCCLX CCCLXVII

Fu Quinto Fabio, il buon Rutiliano, O quanti regi, e quanti imperatori,


Regulo Attilio, e fu Flamminio Quinto, E senatori, e degni capitani
E quinto Fulvio, Flacco, ed Adriano, Son suti e sono ancor, quanti signori,
E Pubblio Decio, che di sangue tinto E Turchi, e Saracin, Mori e Cristiani
Fece de' suoi nemici il monte e 'l piano, In varie leggi, ed in variati errori,
Ma il tempo non concede il dir distinto; Degni di loda, perchè fur sovrani,
Fu Fabio, e Appio, e Emilio, e Cornelio, Facendo l'un con l'altro esperimento
E quel buono Anton Pio, e Caro Lelio. Qual de la forza, e qual del sentimento.
CCCLXI CCCLXVIII

Fo Ottaviano imperator dignissimo , Se tu avessi vera cognizione


Che in pace ritornò già tutto il mondo, Di te al mondo, saresti uno Deo
Ed al suo tempo il Creatore altissimo Più men trovato che non è Sansone
Volse incarnar per trarci del profondo; Od Ercole che in braccio uccise Anteo,
E fu Quinto Metel, quel felicissimo, E più potente che non fu Milone,
Ed il buon Vespasian tanto giocondo, Ch' are' sospeso il gran monte Rifeo :
E Scipione Nasica, il giovinetto, Tu doveresti far maggior fracasso
Che per ottimo fu fra tutti eletto. Col tuo baston, che non fe' mai Galasso.
.
CCCLXII CCCLXIX

Ma dove ho io lasciato la eccellenzia, Non fece mai Burato con la scura


L'onor, la gloria di filosofia, Qual farestu col tuo baston pesante;
Di quei ch'al mondo diero tanta scienzia Avendo pur la scrima e l'armadura
In iscrittura , e mostraron la via? Eccederesti a Mambrin d'Olivante,
Platon, fontana della sapienzia, A Morgalesse ed anco per ventura
Salamone, Aristotil, Chilo, e Bia, A tutti i lor frategli, ed a Morgante,
Pittaco, Periandro, Tales, e Socrate, Al veglio Briareo, e a quanti furno,
Demostene, Tullio, Eschine e Democrate. AGiove, a Marte, Mercurio e Saturno.
CCCLXIII CCCLXX

Teofrasto, Pitagora, e Solone, Così dicendo Calvaneo arriva


Empedocle, Apollonio ed Antistene, Appresso al loco, e veduto il destrieri
Plutarco, Favorino e il fier Timone Del Pover che pasceva ed annitriva
E Tolomeo, che in man le stelle tiene, Col freno in bocca pel verde sentieri,
E Gorgia grande ostacol di Platone, D'ammirazione Calvaneo stupiva
Ippocrate, Avicenna ed Ermogène, Veduto cosi solo il buon corsieri,
E in fra poeti Vrigilio nuo specchio E di Chaosso ricordossi , e dubita
Tienpure ancora un po' saldo l'orecchio. Che al Povero non dessi morte subita.
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167 CIRIFFO CALVANEO

CCCLXXI CCCLXXVIII
Però che Calvaneo lo conosceva Che fai tu qui ? tu se' suto ignorante
Quando stette in quel monte in penitenzia , Insino ad ora, non arai più scusa ;
E le qualità sua chiaro sapeva, La terra, gli animali, uccelli e piante
E come egli era un uom di gran potenzia, Hanno tanta virtute in loro infusa,
Che già più volte veduto l'aveva Che ognun fa qualche frutto, e l' emicante
Con draghi e con leoni a la presenzia, Sole non posa mai, nè tien rinchiusa
E combatter con lor per uno scherzo, La sua virtu; cosi l'acque e le stelle
E non aver temenza già d'un terzo. Van discorrendo, e mai si posan quelle.
CCCLXXII CCCLXXIX

E quasi che piangendo, un grande strido E l'un per l'altro germina a producere;
Mosse, chiamando il Povero pel nome Adunque fanno ogni cosa terrena,
Di nuovo posto, detto Sinefido, E l'aier nubilosa fa conducere
E lui Ciriffo s' avea posto nome. L'acque per tutto in ogni occulta vena;
Quando partir di Parigi , il bel nido, Febo riscalda, e fa il mondo rilucere,
Cosi proposon chiamarsi per nome: La luna tempra il gran calor che mena;
E mentre chiama, l'occhio a girar mosso, Ogni cosa creata si travaglia
Vedeva Sinefido con Chaosso. E scema, e cresce, e tutto si ragguaglia.
CCCLXXII CCCLXXX

Non si allegrò giammai fantino in fascia E tu che fai, che stai, che aspetti, o pensi?
Quando vide la zinna uscir del seno, Tu se' pur troppo ingrato, ed ignorante:
Qual fe' Ciriffo e di subito lascia Considera la forma de' tuo' sensi
Il suo destrier, che lo tenea pel freno, Quanto natura la creò aitante,
E già nel petto avea si grande ambascia E torna amenda, e fa che tu dispensi
Pel duol, che quasi si veniva meno, L'ore future in opere prestante :
Non per temenza, ma l'amor perfetto Or nota, e questa sia la chiusa al testo:
Di Sinefido il cuor si strugge in petto. A chi è più dato, più sarà richiesto.
CCCLXXIV CCCLXXXI

Egiunto a l'ombra, ove costor si posano, Un tratto saren tutti al paragone


Ciriffo vuol Chaosso per man prendere A render conto del nostro esercizio :
Dopo il saluto, e lor che si riposano Secondo l'opra fia il guiderdone,
Levati in piede, il saluto hanno a rendere, Qual fia beato, e quale in precipizio.
E Ciriffo e Chaosso al fin proposano Qual merto fia la tua defensione ?
Parole alquante, e sì gli dette a 'ntendere In te non si può dire altro che vizio;
Di sua vita, Ciriffo, come è stato Ma chi pecca, ed ammenda, salvus este :
In quelle selve, e poi dov'era andato. Ancora è tempo a lasciar le foreste.
CCCLXXV CCCLXXXII

Chaosso si facea gran maraviglia Ciriffo, e Sinelido ognun ripicchia


Risguardando i destrieri, e l'armadura; Chaosso con bellissime ragione,
E Sinefido il suo parlar ripiglia, E luj tacendo, a le volte rannicchia
Dicendo: Tu fai torto a la natura ; Le spalle insieme per la passione,
Deh come savio buon partito piglia, E quando si scontorce, o si raggricchia
Non aspettar che passi la ventura, Sentendo il cuore in grande confusione,
Prendila pel ciuffetto, perchè retro E duogli la sua selva, e suo' covaccioli,
E calva e monda, quale specchio, o vetro. Dove ricoverava a tempi i daccioli ,
CCCLXXVI CCCLXXXHI

Deh, vogli fare il proverbio bugiardo, Pur l'uno e l'altro tanto e tanto disse,
Il qual si dice per ciascuna calle: Che il trasson de la sua opinione,
Chi sempre a sua salute è pigro e tardo, E ciascun gli giaroe, e gli promisse
E quello uccel che nasce in trista valle. Farla venire in gran reputazione ;
Deh, gusta le parole, abbi riguardo Stimando questi certo che e' venisse
A tua salute, e'l baston su le spalle Uno Ercole novel con quel bastone;
Ti poni, e lascia fere, uccelli e pomi, E ciascun si giuro per suo fratello,
E segui l'orme de' predetti nomi. E poi disceson del monte Carmello .
CCCLXXVII CCCLXXXIV

Ciriffo che comprese le parole Drieto a Caosso, ch'era loro iscorta,


Aveva, con parole rifiorisce, E col baston quella selva rimonda
Dicendo: Quel che più mi pesa e dole Sempre al diritto per farla più corta,
È il tempo perso qui tra fronde e bisce. Ciriffo e Sinefido a la seconda
Vorrei poter quantunque gira il sole Col destrier vanno, e ciascun lo conforta
L'universo cercare a strisce, a strisce, Ad esaltar nostra fede gioconda:
Che quanto più si cerca, più si trova E scesi fra due monti in un fossato
Vari paesi, e belli e gente nuova. Lo battegiorno, e fu Sanson chiamato ;
169 CIRIFFO CALVANEO 170

CCCLXXXV ceexci

Pur con sua volontà, perché gli piacque Questi son cinquecento cavalieri
Molto quel nome, e con assai letizia Che conducono al campo vittuaglia
Tre giorni si pascer di pome e d'acque, Di pane e vino, e ciò che fa mestieri,
Che in quelle selve n'era gran dovizia; E d'armadure di piastra e di maglia,
Ela notte ciascun a l'ombre giacque, Per compagnia di trecento somieri
E il giorno vanno via senza prigrizia (Come vedete), e di tutto ragguaglia,
Per uscir de le selve orrende e brutte, E come egli eran presso a poche miglia
Epotersi cibar d'altro che frutte. A Samastia, e dipoi il cammin piglia.
CCCLXXXVI cccxem

Il terzo giorno in cima d'un poggetto Ciriffo e Sinefido con Sansone


Usciti de la selva ombrosa e oscura , Fanno pensier che si meni le mani,
Quivi posati alquanto a lor diletto, Edi far la credenza ad Irlacone
Girando gli occhi per la gran pianura, Di quella roba, ed uccider que' cani.
Iscorsono da man destra al rimpetto Sanson s'assetta col suo gran bastone
Una bella città con alte mura, E serra i denti, e verso que' Pagani
Con altissime rocche e torrioni, Un lancio prese, e poi va di galoppo,
Circondata da molti padiglioni. Che già non par nė gottoso, né zoppo.
CCCLXXXVII CCCXCIV

Etrabacche, e bandiere,arme, e stendardi, Avea Sansone un cuoio di serpente


Ch' eran d' intorno a la terra accampati. Al capo cinto, e la coda e la testa
Con gaudio e festa quai campion gagliardi Giù per le spalle restavan pendente,
Faron del poggio subito calati, Ed una pelle d'orso avea per vesta,
Sol per non esser a la mischia tardi, Legata per le zampe strettamente
E seesi il poggio, foron in su prati, D'intorno al collo: e poi a' fianchi resta
E in su' destrier ne l'arme si rassettono Il suo baston, ch'era un gambo di sorbo
Congli elmi intesta, epelcammin simettono. Giusto nocchiuto, e nero quale il corbo.
CCCLXXXVIII CCCXCV

Nè quasi dilungati mezza arcata E cosi galoppando su pel prato


Foron dal poggio, che Sanson vedea Riscontro quella gente saracina :
Da man sinistra molta gente armala L'altro gigante, qual cane arrabbiato,
Con un gigante, che il diavol parea. Contro a Sanson venia con gran rovina,
Ciriffo e Sinefido e Sanson guata, E l'un con l'altro si fu raffrontato :
E l'un con l'altro ridendo dicea : Ciriffo e Sinefido oltre cammina ,
Ecco costor che ci recan merenda: Econ quegli altri appiccorno la zuffa,
Noi aren forse pur qualche faccenda. Che fu in un tratto una rossa baruffa.
CCCLXXXIX CCCXCVI
E fermi in un crocicchio de la via Quel gigante Pagan detto Arfasarre
Aspettancon pensier di far battaglia, Aveva un bastonaccio con tre palle,
Se d'accordo non han quel che desia E intorno a fianchi avea due scimitarre,
Lamente lor di qualche vittovaglia ; Ed un cappel di bronzo, che le spalle
Ed aspettando li giunse una spia Tutte gli copre, e le ciglie bizzarre
Mandato innanzi da quella canaglia, Di pel mischiate rosse, nere, e gialle,
Qual salutò Sinefido e Sansone Con una sopravvesta di cuoio cotto
ECiriffo per parte di Macone. D'una pelle di drago, e l'arme sotto.
ccexc cccxevi

Sinefido dicea: Che gente è questa Giunto a Sansone, il bastone sciorina


Edove vanno con cotante some ? Con le catene e le palle di piombo.
Quello spion parlando alquanto resta Sanson veduto il baston con rovina,
Edisse appunto, e dove, e che, e come, Le palle e le catene, ſa gran rombo
Sono del re Irlacon gli manifesta, Per ischifare, e si scontorce, e china,
Ede lo assedio, e de la terra il nome, E'l colpo in terra fece tal rimbombo,
Dove il re Irlacone era accampato, Che rinsonoe per tutte quelle valle,
Perch' era d'una dama innamorato. E'n terra un braccio si ficcor le palle.
ccexci eeexevi

Eperché lei nol vuole, egli a suo' danni Parve quel colpo a Sanson tanto strano,
Venuto è qua con molta gente in sella: Che disse: Certo costui non ischerza :
Vera cosa è ch'egli ha più d'ottanta anni, A me bisogna volendo star sano
Equattordici , o manco ha la pulzella. Guardar che non mi dia con quella sferza,
La madre veste i vedovili panni, Che non mi giovere' porvi la mano :
Ela figlia riluce più che stella, S'io n'avessi una, io non vorrei la terza.
Nècredo interra a lei sia paragone, E vi prese a duo man l'arsiccio sorbo,
Ed è disposto d' averla Irlacone. Perché Arfasarre non muoia di morbo.
171 CIRIFFO CALVANEO 172

CCCXCIX CDVI

Anco quello era pieno di bemocchi, Quivi non posson nè salir, nè scendere,
Il quale alzato un gran colpo in giù scarica E son rinchiusi, e convien che rimanghino,
Per fargli de la testa schizzar gli occhi : E volentieri si vorrebbon rendere:
Arfasarre lo schifa, e il colpo varica, Non giova dir mercè, nè perchè pianghino,
Sicche 'l baston non par che punto il tocchi, Nè dunque due si poteron difendere,
De la qual cosa Sanson si rammarica, Che convien che costor tutti gli franchino:
Che se'l colpiva sul cappel di bronzo Ciriffo, e Sinefido si raccozzano,
Il cervel su pel prato andava a conzo . E tutti gli sforacchiono, o gli mozzano.
CD CDVIL

Ed Arfasarre un colpo aspro e diverso Torniamo un poco ov'io lasciai Sansone


Meno per dare a Sansone ischiancio, Ch' avea rotta a Arfasarre la mascella,
E Sanson mena il gran sorbo attraverso, Le catene, e le palle dal bastone
E ruppe quel del fier gigante rio, Gli avea levate, e col sorbo crivella
Si che le palle e le catene ha perso, Ispesso al ceffo qualche sergozzone,
Qual su pel prato fer gran polverio Ed Arfasarre muggia, e non favella :
Rotolando, e fra molti s'inviluppano Ma con la scimitarra Sanson frugola ,
E ferno un monte, e nel sangue s' inzuppano. Che quando il pugne come un orso mugola ,
CDI CDVILD

Visto così Sanson la forza rotta, Ultimamente di male derrate


Trasse col sorbo di punta un frucone Ognun n'aveva la sua parte avonte:
Nel mento ad Arfasarre, e die tal botta, Arfasarre in più parte avea intac cate
Che tutta la mascella fracassone , A Sanson la sua carne , e ricevute
Ed Arfasarre per gran pena allotta Avea da lui di sudice mazzate
Metteva un muggio, e trasse quel troncone Si che l'arme sue forte eran valute ;
Con tanta forza, che se quel giugneva Sanson percuote in sul cappel si spesso,
Sanson nel capo, mai più gli doleva. Che gli è tutto intronato e in parte fesso.
CDIL CDIX

Poi mise mano ad una scimitarra, Egli erano amendue tanto accaniti
E vien con quella Sanson ritrovando, Che volentieri arebbon fatto a morsi ;
E quanto può ne le braccia si sbarra : Ma ad Arfasarre i denti erano usciti ,
Sansone ischifa col sorbo parando. E di sangue ingozzati avea più sorsi.
Cirifſo gli è d' intorno, e par che garra, Menando colpi si aspri ed arditi
Dicendo: Non temer, vallo frugando Che d'una torre arebbe fatto torsi,
Al teston par, si che non possa asciolvere, La scimitarra ad un colpo s'attacca
E qualche volta iscuotigli la polvere. Su'l duro sorbo e 'n due pezzi si fiacca.
CDIN CDX

Parea Ciriffo veramente un drago Come Arfasarre s'avvide di questa,


Col brando fra la gente saracina , Chinossi in terra per la gran rapina,
Tanto del ben ferir si mostra vago, E Sanson con furor sopra la testa
E tanto spessi i suoi colpi iscotina, Con ambe mani il finocchio isciorina
Che d'intorno a Sansone ha fatto un lago In modo, che'l cappel saldo non resta,
Di sangue sua persona pellegrina, Ma come vetro in pezzi giù rovina :
Per non lasciar Sanson da gli altri offendere Con tanta forza quel colpo menollo
Si che potesse al suo nemico attendere. Che in seno gli ficco la testa, e'l collo.
CDIV COXI

E Sinefido or qua, or là si scaglia E mentre che Arfasarre rovinava,


Col brando, e tutta la schiera scompiglia : Quello spion ch' era passato dianzi
Non vale a' colpi suoi piastra, nè maglia ; Il gran romore, indrieto ritornava,
Ma buon per quel che da lui campo piglia, Nè vede vivo ignun de suo' avanzi,
E lascian per fuggir la vittovaglia. E con un dardo in man si difilava
Allor Giriffo rivolse la briglia, Verso Sansone, e sendogli dinanzi
E lasciò que' giganti a la contese, Trasse quel dardo, e investil ne la gola,
Edietro a la canaglia si distese. Che cadde morto senza dir parola.
CDV CDXII

Sinefido dinanzi era passato Ma bene è ver che'l suo baston gittollo
A tutti per la forza del destrieri, Quando sentissi da quel dardo pugnere,
Quando vide Ciriffo su pel prato E si piacevolmente arrandellollo
Che gli seguiva sonando il quaglieri ; Drieto a colui, che lo dovette giugnere,
Efermossi a la bocca d'un fossato, Però che gli spicco il capo dal collo,
Al passo dove questi cavalieri E non vi bisognoe impiastro, nè ugnere,
Conveniva per forza capitassino, Che la gotta non fe' livida o rossa
E guai a quei che indietro si voltassino. Perché n'ando col baston la percossa.
173 CIRIFFO CALVANEO 124

CDXIII CDXX

Andò il baston più di dugento braccia, E mangiato e bevuto a lor diletto


Parte di colta, e parte balzellando. E ritornato in lor la vigoria,
Quel capo par che tutto si disfaccia, Avendo molto ben pieno il sacchetto,
Tanto corse pel colpo rotolando. Rimontati a' destrier preson la via,
Ciriffo e Sinefido con bonaccia Avendo fatto in lor fermo concetto
Tornavano a Sansone, e vidon quando Di volere arrivare a Samastia,
Quel dardo fu lanciato da colui , E squadrar bene il campo d' Irlacone,
Ecome egli scaglio il bastone a lui. Ed anco visitarlo al padiglione.
CDXIV
CDXXI
Ben si pensorno quel che n'intervenne, Ma son disposti d'andar nella terra
Eperchè fusson del ferire stanchi, E mettersi in difesa de la dama,
Parve ch' allor mettessino ale e penne E se pure Irlacon la vuol per guerra,
Pergiugnere a Sanson, prima che manchi, Che l'opposito sia di quel che brana ;
Epiangendo amendue quel nom solenne, E dandogli a veder quanto in ciò erra,
Ciritfo si doleva che da' fianchi
Sperano d'acquistarne gloria e fama;
Di Sanson non doveva mai partirsi, E chiederan nel campo soldo ingordo
Eil lamento che fa non pote dirsi. Per non aver con Irlacone accordo.
CDXV
CDXXII
O quanta pena n' ebbe Sinefido, E cavalcando, giunti al grande oste,
Econ quanto dolor quel dardo isferra, A l'antiguardo furon dimandati:
Elagrimando misse un grande strido, Che gente siete ? e con dolce risposte
Dicendo: O fratel mio, la prima guerra Dicevan come egli eran due soldati,
Cara ti costa, e duolmi del tuo nido : Che volentier sarebbono a le coste
Io ti trassi per condurti in terra D' Irlacone, e di sua baron pregiati.
Dove emendassi il tuo tempo preterito, Quella canaglia gli manda a solazzo
Oime! che questo non è il degno merito, Pel campo, a strazio d'ogni vil ragazzo.
CDXVI
CDXXII
Quale speravo io, farti un uomo eterno. E facevano il semplice, e lo sciocco
O speranza del mondo falsa e vana ! Per non volere appicar la questione,
Questo pareva un uom che in sempiterno E fatto un pezzo al giuoco del balocco
Aver dovesse sua vita lontana.
S' addirizzorno al reale padiglione,
O Redentordel mondo, o Re superno, Sendo ciascun alquanto d'ira tocco,
Sendo venuto a la tua fe' cristiana, Che in parte dava loro alterazione,
Abbi de l' alma sua vera mercede,
E non poteano più far del nuo' pesce,
Che questo era il campion de la tua fede. Ch' ogni bel giuoco pel troppo rincresce.
CDXVII CDXXIV
Or si può dir che d'un calco di grillo Sinefido passo nel padiglione
Sia suto qui in tanta furia morto; E lascio fuor Giriffo co' destrieri
Mase si fosse potato guernillo E genuflesso innanzi ad Irlacone
D'arme, non era il suo viver si corto. Lo saluto come buon cavalieri
O viver sno solitario e tranquillo Per parte d' Apollino e di Macone,
Quanto era meglio e più sicuro porto ! Poi disse come gli facea mestieri
Mase por fussi almanco suto vinto Di prender soldo, se in piacer gli fussi,
Daun suo par, non mi dorrebbe il quinto. Che son due cavalier d'argento scussi.
CDXVIII CDXXV

E così l'ano e l'altro con gran pianto Irlacon per dispregio dimandollo:
Lasciorno quivi Arfasarre e Sansone, Che soldo vorestu' col tuo compagno,
Avendo l' altro popol tutto affranto Che mi par come te sì mal satollo,
Ultimamente, insino a lo spione Che con voi si po' far poco guadagno.
Che torno indietro, come dice il canto, Sinefido giuroe per l'alto Apollo:
Ecome il capo n'ando col bastone: Per men di diecimila, signor magno,
Sendo costor di mangiare affamati In nessun loco soldo piglierei,
Aquelle some si furno inviati. E s'io trovassi più, più ne torrei.
CDXIX CDXXVI

Per non badare a discioglier i cappi, Quando Irlacone intese la sua chiesta
Iscaricavan la soma col brando, Turbossi, Sinefido besteromiando ;
Enon creda nessun ch'io gabbi o frappi, Che diavol chiedi tu, che gente è questa?
Cosi venivon le cose trovando, Sarestu mai il senatore Orlando ?
Edebbesi pensar ch' ognun ne pappi Sinefido rispose: La mia gesta
Senza venir la mensa apparecchiando, Del sanguedi Macon venne calando,
E senza melaranze, o solcio, o sale, E son venuto del monte Carnazio
Feron scotto da buono vetturale.
Per darti , signor mio, vittoria e spazio.
175 CIRIFFO CALVANEO 176

CDXXVII CDXXXIV

Irlacon disse: Va ne la malora Avendo inteso il tenor di lor grida


Se non che ti farò presto impiccare, E visto il grande ardir e la possanza,
E senza alcun intervallo o dimora, D'entrare in lor difesa ognun si fida
Brunadoro suo nievo fe' chiamare, Ponendo in essi una certa speranza,
Dicendo: Manda questi a Carsidora, Che se in Samastia ciascuno s'annida,
Ed insino a le sbarre accompagnare Del campo avranno una poca dottanza,
Gli fa, che dentro saranno accettati, E mostrando ciascun suo valimento
Perchè son cavalier molto pregiati. Parevan proprio lupi in uno armento.
CDXXVII CDXXXV

Mandagli pure a quelle porche drento, Fu tutto il campo a favor sollevato


Che in pochi giorni gli farò impiccare, Gridando: A l'arme: e tamburi, e trombetti
E Frola e Carsidora con tormento Si sentivan sonar da ciascun lato
Farò per tutto il campo istrascinare, E de la terra molti uomini eletti
E la terra spianare in un momento ; Furon corsi a la porta, e qual montato
Ma prima tanto li faro stracciare, Sul muro è per veder cotali effetti ;
Che se ne sazieranno e cani e porci, E finalmente i due franchi cristiani
E sol per questo venni il campo a porci. A la porta si trasson salvi e sani.
CDXXIX EDXXXVI

Era quel Brunadoro il capitano E cosi ricevuti, dentro entrorno,


Di tutto il campo, e vogli mandar via. Da alquanti cavalieri accompagnati,
Ciriffo e Sinefido un volto strano E ne l'entrare i Francesi parlorno
Fanno mostrando aver malinconia, E' ci saranno ben de gli arrecati ;
E non di manco s'avviano pel piano E sorridendo al palagio n' andorno
Accompagnati da quella genia, De la regina, e quivi dismontati
Nè prima fur passati l'antiguardo Carsidora venuta in lor presenza
Che ciascun parve proprio un leopardo. Come savia fe'lor buona accoglienza .
CDXXX CDXXXVII

Si fieramente i Pagani assaltorno. Dicendo : Cavalier, quali voi sete


Gridando: O poltronier vostra nequizia E di vostra venuta la cagione
Punita sia: nessun farà ritorno Fatemi noto, e quel che voi volete
A quel cane Irlacone, che a giustizia Per soddisfare a vostra intenzione .
Ci crede mandar qua con tale scorno; E Sinefido a lei : Perchè avete
Ma per sua onta, e non arà letizia L'assedio intorno del re Irlacone,
Di posseder la dama, nè la terra E l'origine appunto abbiamo intesa,
E sia questa per lui l'ultima guerra. E siam venuti qui in vostra difesa.
CDXXXI CXXXVHI

Veduto, e inteso Brunadoro il suono, Senza voler da voi premio, nè prezzo,


Maravigliossi di tanta fierezza : Anco vogliam difender la ragione,
In extempore fu'l baleno, e 'l tuono E siam pel campo baloccati un pezzo
Del gridare, e ferir con gran prodezza. Sol per venire a tal conclusione.
Chi era lor d'intorno, quel fa buono Or per venir con effetto al dassezzo,
Che potette dar lor campo e larghezza, Fatto ch'aremo un po' di colazione
Perchè a lor colpi non vale schermaglia Comincieremo a dar fuoco a coloro
Sì che chi può fuggire si travaglia. Ch' hanno assediato il vostro tenitoro.
CDXXXH CDXXXIX

Ciriffo e Sinefido ognun si scaglia Carsidora graziosa, lieta , e presta


Verso di Brunador per fargli vezzi, Su per le scale innanzi a costor vola,
E dimostrar ciascun lì quanto e' vaglia, E lasciò loro la compagnia onesta,
Perché Irlacone a schernirgli s'avvezzi . Qual si richiede ed a la madre Frola
Cosi fu appiccata la battaglia N'ando con tanto gaudio e tanta festa
Ricidendo i Pagani e l'arme in pezzi, Che per letizia non può dir parola :
E mentre combattea ciascun allora Pur brevemente di costor le disse,
Gridavan : Viva, viva Carsidora. Pregandola che incontro a lor venisse.
CDXXXIII CDXL

Brunadoro il sentier presto ebbe netto Frola non manco lieta che la figlia
Per fare un colonel contro a costoro. Desiderosa di sua libertà,
Le guardie de la porta ebbon sospetto, Ciriffo e Sinefido per man piglia,
E ben provvisti vennon contro a loro, Ringraziando di loro umanità.
E notando lor grida con effetto, Ciriffo non potea torcer le ciglia
E stimando ciascun un uom decoro, Da Carsidora per la sua beltà,
Insin fuor de le sbarre furno usciti E fe' pensier ch'a niun modo quel vecchio
Perdar soccorso a'cavalier graditi. Dominio avesse a cosi vago specchio.
177 CIRIFFO CALVANEO 178

CDXLI CDXLVII

Sendo con quelle donne sormontati Qui bisogna pensare altro che a dame,
Su nel palagio ne la mastra sala, E il primo colpo intendo che sia il mio,
E i lor destrier provvisti e dissellati Se di combatter fian tue voglie brame,
Fur prima che nessun monti la scala, E il modo c'è a adempir tuo disio.
Per onorar que' due campion pregiati Attendi prima a cavarti la fame
Carsidora parea ch'avesse l'ala : Che di queste vivande, so ben io,
Frola con lor si duol del grande assedio E qualche giorno che non assaggiasti,
Quafe ha d'intorno, e non vede rimedio. Ora hai per mal, ch'a ordin vanno i pasti..
CDXLII CDXLIX

Econ aspri sospir piange il marito Ciriffo sorridendo vergognossi


Che fu morto a la guerra di Ragona, Dicendo: Noi saremmo troppo ingrati
E non ha chi per lei difenda il sito, Non sendo a lor difesa presto mossi.
E teme di sua vita e sua corona. Epoco stante da mensa levati
Ciriffo inanimato e molto ardito Sinefido ne l'arme rassettossi,
Per la forza d'amor che'l punge e sprona E l'ano e l'altro in sui destrier montati
Di Carsidora, disse: Alta regina, Con parlar grato e con gran riverenza,
Non temer punto de la tua ruina. Da la regina prendevan licenza.
CDXLIII CL

Che se il re Irlacone avesse seco Dicendo insieme a lei, e a Carsidora,


Più gente che non ha per ognun mille, Che non abbin temenza, nè paura,
Il valor dei Troiani, e il regno greco Che voglion lor soletti uscir di fuora
Col valoroso Ettorre, e 'l forte Achille, Per gentilezza a provar l'armadura,
E tutti a fronte ne venissin meco, E ciascuna di lor senza dimora
Io gli rincaccerei per quante ville Montasse per veder sopra le mura.
O valle sono per tutto l' Oriente : E così detto, de la terra uscirono
Or non temere d' Irlacone niente. E quelle donne sul muro salirono.
CDXLIV EDLI

Ecosi ragionando a mensa posto La gente della terra tutta armossi


Si fu ciascun con l'elmo fuor di testa, Si per difesa, ed anco per vedere
Epernici, e fagiani, e quaglie, e arrosto Su per le mura, e qual di fuor su fossi
Furporte lor da quella dama onesta, 1
Fino a le sbarre come è lor piacere,
E vin solenni, non crediate mosto, Dove Ciriffo in sul destrier fermossi,
Servendo di sua man, graziosa e presta, Comedi Sinefido fa il volere,
Condolci parolette e certi sguardi, E Sinefido più oltre si scaglia
Ch'a Ciriffo eran proprio ardenti dardi. Col buondestrieri, e chiamava battaglia.
CDXLV CDLIE
Per modo tal, che dal bendato arciere E sonava una chioccola per corno
Non può resister l'acute saette, Di madre perla con molta adornezza
Edicea seco : O miser cavaliere, Che gliel donoe Carsidora quel giorno
Non ti meravigliar se Irlacon mette Perchè mostrasse per lei sua prodezza.
Tutte sue forze in si fatto mestiere, Irlacon sente, e pargli grande scorno,
O se il giovin Tebano Arcita stette Perché quelli di dentro nulla apprezza ;
In carcer per Emelia, ch' io starei Efe chiamar suo nievo Brunadoro,
Lieto nel fuoco per veder costei. E tutto il campo armar senza dimoro.
CDXLVI CDLUT

Ma chi è quel, che quando il vuol offendere ESinefido di sonar non resta,
Cupido, con Cupido abbi valore ? Chiamando Brunadoro ed Irlacone :
Nessuna cosa si può bene attendere Venga sul campo chi la dama onesta
Senza qualche scintilla, o zel d'amore; Brama d'avere a sua contemplazione.
Adunque io spero la dama difendere Irlacon con furore e gran tempesta
Perchè a la forza s' aggiunge il fervore, Comanda al nievo che monti in arcione,
Qual mi costringe di volergli bene; E vadi al campo a'ntender chi è quello,
Ma Irlacon ne porterà le pene. Ese vuol giostra, che giostri con ello.
CDXLVII CDLIV

Enon gusta vivanda ch'egli assaggi, Abbattuto che l'hai, fallo menare .
Nè può avere a mensa pazienza Senza dimoro nella mia presenza,
Per vendicar de la dama gli oltraggi : Che lo farò di subito impiccare:
A Sinefido chiedeva licenza, Di poi a gran furor senza avvertenza
Il quale accorto come fanno i saggi, Farò le mura e la terra spianare,
Rispose pianamente: Abbi avvertenza, Ch'io non ci posso aver più pazienza,
Non correre a furor come gli sciocchi, Credendo che costei si debba arrendere,
Ecombatti col brando, e non con gli occhi. E lei di nuovo si crede difendere.

12
180
179 CIRIFFO CALVANEO

CDLXII
CDLV

Io mi credevo aver il terzo giorno Si che convien che'l padiglion rovini,


Senza altra lite la donna e la terra ; E Sinefido indietro die' la volta,
Va, Brunadoro, via senza soggiorno. E manço poco, che da' Saracini
E così detto a' fianchi il caval serra , Non gli fu da tornar la strada tolta.
E Sinefido, il cavaliere adorno, Ciriffo il vede, e par da lui cammini ;
Senza parlar gli fa cenno di guerra . E cosi l'uno e l'altro a briglia sciolta
Brunadoro il dimanda del suo nome Verso la terra i lor destrier dirizzano,
E'n un balen dentro a le sbarre ischizzano.
Per saper chi e' fusse, e donde, e come.
CDLVI CDLXII

Non lo conosce perché egli ha mutato Il campo tutto è levato a romore ,


La sopravvesta, quale aveva prima , Gridando: Dagli, dagli, piglia, piglia ;
E cosi il corridore è covertato, Ed Irlacon montato a corridore,
Si che'l Pagan non ne può fare stima ; Armato fu con lagrimose ciglia :
Ma da la longa pur l'ha dimandato E gionto dove è il nievo di valore
Squadrandol tutto dal piede a la cima. Col destrier morto, e tiene ancor la briglia,
Credendo pure aver qualche risposta, Vedutolo Irlacone a tal partito,
Più oltre alquanto col destrier s'accosta. Pel gran duol ch' ebbe cadde tramortito.
CDL VII CDLXIV

Sinefido crollando un po' la testa Cosi ne fu al padiglion portato


Nulla risponde, e col destrier galoppa, E Brunadoro tolto dal destrieri,
E in un tratto caló la lancia in resta : E fu pel campo a raccolta sonato,
Or non ti dico se Ciriffo poppa. E i corpi morti ch'eran pel sentieri
Sinefido spregiando con tempesta Furno raccolti, e sepoltura dato,
Riscontro Brunador, e in su la groppa Come è usanza a si fatto mestieri ;
Del suo destrier con l'asta conficollo, E il campo a buona guardia si procura
Che più che mezza l'asta trappassollo. Per quella notte, e tremon di paura.
CDLVIIL CDLXV

Cosi lasciollo col destrier confitto, Ciriffo e Sineſido eran tornati


E l'uno e l'altro fe' di vita scempio. Dentro a la terra. Iscese de la torre
Poi il brando sfodroe, e corse al gitto Eran le donne, e lor già dismontati
Ne l'antiguardo niquitoso ed empio. Sendo al palagio, tutto il popol corre
Allor Ciriffo senza alcun respitto, Per veder i campion tanto pregiati ,
Per dar di sua prodezza al mondo esempio, Che non si puote a lor virtute apporre ;
Con l'asta bassa dopo a Sinefido E Carsidora più lieta che lunga,
Forte spronando, mise un grande strido. Le par mill' anni che al palagio giunga.
CDLIX CDLXVI

Ahi canaglia ! questa è Carsidora, E quivi giunta e vista la presenza


Che luce in su la punta de lancia: De' valorosi due franchi baroni,
Primo e secondo e terzo e quarto fora, Gli salutó con tanta reverenza
Ed anco al quinto diè di morte mancia, Ch'è poco men che posta ginocchioni,
E rotta l'asta, trasse il brando fuora, Con tanta umanità e contenenza,
E diede un man rovescio ne la guancia Con si soave sguardo, e con sermoni,
Ad un gran turco che montava in sella, Che al dolce sguardo, e'l modo, e le parole,
Che gli parti la zucca e la mascella . Si sare' per dolcezza fermo il Sole.
CDLX CDLXVII
Non fu nessun d'intorno a quel Pagano Non ti dico di Frola l' allegrezza
Che visto il colpo non alzasse i mazzi, Ch'ella ha nel cuore, e con che lieta faccia
E inteso ch' era morto il capitano, Gli saluto e con tal gentilezza
Fuggivano qua e là che paion pazzi, Che quasi, niente, gli bascia ed abbraccia,
E Ciriffo scagliandosi pel piano Lodando e commendando lor prodezza,
Non la rispiarma a'sargenti, o ragazzi ; Ed ogni dubbio, e pavento discaccia
Ma sopra a tutti col brando martella, Da sẻ; cosi conforta i terrazzani;
E fa balzar per l'aria occhi e cervella. Poi montò sul palagio co'cristiani.
CDLXI CDLXVHI

Sinefido parea proprio un leone E come donna discreta e prudente,


Quando egli entra affamato in uno armento: Perché non abbin disagio, o difetto,
Muggiando or qua, or là la bocca pone Ha preparato molto riccamente
Enon si vede mai sazio o contento, Una signoril zambra con un letto
E scorrendo pel campo al padiglione Si degno, che sare' recipiente
D' Irlacon giunse, e quivi non fu lento: Ad ogni rege; e senza alcun sospetto
Per dare ad Irlacon col brando acenna, In quella a lor domino posson starsi
E trasse il colpo, e ricise l'antenna. La notte e il giorno a lor voglia a posarsi.
181 CIRIFFO CALVANEO 182

CDLXIX CDLXXVI

Similemente Carsidora pensa, Era a la mensa alcun de' principali


Che di cibarsi sian desiderosi , Venuti a cena, per lor compagnia,
E preparata fu la ricca mensa De' cittadini, e certi caporali.
Di fornimenti assai maravigliosi Uomini franchi e di gran vigoria ;
D'argento e d'oro, e di cristallo e rensa, Ma non crediate a Sinefido eguali
E molti vin solenni e preziosi. Nè a Ciriffo, che sarebbe bugia,
Frola voleva che si disarmassino E inteso de le some, e dove ell' erano
Prima ch'a mensa a seder si posassino. Fur molto lieti, e d'aver quelle sperano.
CDLXX CDLXXVII

Non volsono i baron per buon rispetto Or per condurre l'opera ad effetto,
Che a lor da dosso si levasse maglia, Si che il disegno non riesca in fallo,
Non per temenza alcuna, né sospetto, Senefido fe' mettere in assetto
Ma per saper come w' è vettovaglia; Da quattrocento arcier bene a cavallo,
E se nella città ne fia difetto, Ed altrettanti a piè con lo scoppietto
Volean dipoi passar quella canaglia Per guidare i somier senza intervallo,
Che son di fuora, e disson dove, e come Ebene a corridor dugento elmetti
Di vettovaglia v'è trecento some, Con lancia e brando, cavalier perfetti.
CDLXXI CDLXXVIII

Le quali al campo d'Irlacon venivano Ultimamente da mensa levati


Accompagnate con sì bella scorta; Ciriffo, e Sinefido per gir fuora,
Edisson come lor quegli assalivano Sendo que' mille tutti preparati
E brevemente come tutta morta Che di tal gita ciascun si divora,
La gente fu, e si come egli aprivano Prima che questi a caval sien montati,
Aleuna soma, e ciascun si conforta; Da la regina Frola e Carsidora
Dipoi essendo a lor modo cibati Preson commiato, e quelle lagrimando
Lasciorno quei somier pascer pe' prati. Ciascuna disse: A voi mi raccomando.
CDLXXII CDLXXIX

Si che per tal rispetto paziente Frola piangendo per la man gli piglia
Rimase Frola, che con l'arme indosso Per grande affezion che a lor dimostra,
A mensa si ponessimo al presente, Dicendo: Cavalier, questa mia figlia,
E per la vettovaglia disse: Io posso La mia corona, e la faculta nostra,
Poco tenermi, di che son dolente, Questa città con tutta la famiglia
Avendo ne la terra un popol grosso Si raccomanda a voi, sì come vostra,
Di terrazzani, e sì di forestieri, E di tal gita siam tutti dolenti,
Come richiede si fatto mestieri. Ma per necessità siamo pazienti.
CDLXXIII CDLXXX

Avendo Sinefido ben compreso Reputando che certo da Macone


La risposta, e il bisogno de la terra, Mandata sia a noi tal provvidenza
Diceva: Quelle alleveranno il peso Di vittuaglia, e sì de le persone,
Per qualche giorno a sostener la guerra, Quai son le vostre, di somma potenza;
E cenato di poi, il cammin preso, E se v'è a cuor difender la ragione,
Andrem per esse, se il pensier non erra ; Come dicesti, alcuna violenza
Ma per esser più salvi ritornati, Ormai da Irlacon aver non dubito ;
Vo' mille cavalier tutti pregiati, Ma sol vi prego del tornar qui subito.
CDLXXIV CDLXXXI

Perchè non ci sia rotto l'uovo in bocca, Ciriffo, che in deposito il suo cuore
Che quel sarebbe lo scorno del doppio. A Carsidora lascia, a tal proposta
Iso che se Irlacon tal nuova tocca Parlando come lo ammaestra amore,
Di questa gita n'ara grande scoppio, A la regina fece tal risposta :
Epotrebbe aspettarsi in su la scocca ; Non bisogna pregar quel servidore
Però tanta brigata insieme accoppio, A cui il signor comandar può a sua posta :
Perché quando vorrem tornar nel guscio, Noi siam per soddisfar ciò che domandi,
Non ci cadesse il presente su l'uscio. Che con tuoi dolci prieghi a noi comandi.
CDLXXV CDLXXXII

Ciriffo, come fa chi si innamora, E come leal servi fedelissimi,


Sare' volonteroso mosso a volo : Di tua corona siamo a la difesa;
Per entrar bene in grazia a Carsidora E benchè Irlacon abbia moltissimi
Per quelle some sarebbe ito solo ; Uomini seco, non temer d' offesa :
Ma quel che lo ritiene e lo martora Anco sperare che in giorni brevissimi
E il dubbio del guidar cotanto stuolo, A mal suo grado lascerà l'impresa :
E tanto si confida in sua potenza Tenete il popol drento antiveduto
Che di nulla altra cosa avea temenza . Se bisognassi nel tornare aiuto.
183 CIRIFFO CALVANEO 184

CDLXXXIT CDXC

E cosi detto montorno a destrieri, Da ogni banda avea dugento arcieri


E dipartirsi con la bella scorta, Con la saetta in su l'arco, e il turcasso
Che mai non fu per mille battaglieri Avevan pieno, e poi gli scoppiettieri
La più franca brigata; e de la porta Parati , da dar fuoco ad ogni passo,
Usciti furno, e presono un sentieri Riscaldati dal vino arditi e fieri ,
Per un certo traghetto de la torta, Ciascun che parea proprio un Satanasso ;
La qual girava dietro ad un poggietto, E cosi ordinati ne venivano ;
Che non era dal campo chiuso, o stretto. E quando a mezzo il cammin comparivano,
CDLXXXIV CDXCI

Senza romor camminan cheti e stretti, Nel primo agguato ebbono a dar di cozzo,
A piede, ed a caval con gran furore, Quai fur tremila, come prima dissi.
Attraversando sempre per traghetti Credendo avere a questi il cammin mozzo,
Perchè nel campo non ne sia sentore ; Il capitan su la strada, scoprissi,
Ma il lume de la luna negli elmetti Gredendo pur la luna aver nel pozzo
Lustrava tanto, che per lo splendore Rinchiusa, ma non par che riuscissi
Che refulgeva spessissime volte, Il suo disegno, e contro a quei si scaglia:
Furno scoperti al campo da le scolte. Or qui s' appicca la crudel battaglia.
CDLXXXV CDXCII

Non che fussin però chiari scolpiti Tutto l'agguato a furor si scoperse,
Appunto quanti, o che gente si fussono; Avendo preso d'intorno ogni passo.
Ma furno da le spie tanto seguiti, Ciriffo vede quelle gente avverse,
Che vidon dove, e perchè si condussono ; E scontrò al capitan, detto Marmasso,
E sendo gionti in que' prati fioriti Con l'asta bassa, e tal colpo gli offerse,
Dove i somieri tutti insiem ridussono, Che, non lo scudo, arė riciso un masso;
E de le some sciolte anco assagiorno, E scudo, piastra, maglia, giubba e pancia
Poi dier la volta indietro al far del giorno. Passò più di due braccia con la lancia.
CDLXXXVI CDCXIII

Alcune de le spie che gli seguirno E non potendo l'asta riavere,


Cautamente intesa la cagione, Sendo in tal modo nel saracin fitta,
E viste quelle some, e dire udirno Il brando sfoderò senza temere,
Come era vettovaglia d' Irlacone ; E col destrier fra nemici si gitta;
Immediate in campo riferirno E i suo' seguaci fan tutti il dovere
De la gran preda, e di tante persone Con l'asta bassa, e chi l'avea su ritta
Quale eran sute morte da coloro, Immediate la calava in resta,
I quai in campo uccison Brunadoro. Spronando con furor, grida e tempesta.
CDLXXXVII CDCXIV

Come Irlacone intese questa nuova, Nonſe' Ettorre, o il valoroso Achille,


Cominciò a bestemmiar tatti gli Dei, Qual par Ciriffo, che tutti vitupera,
Dicendo : Traditor, vo' fare a pruova E fa col brando vampi di faville,
Chi peggio può in piacere di colei; E quasi solo tutti i suoi recupera.
Ma prima che di qui mio campo muoya Gredi che 'l dì n'uccise più di mille,
Adispetto di tutti e di costei, E quale abbatte, e qual cacciando supera,
E' ci morrà più gente qui in battaglia, Eper tal modo col brando martella,
Che nou mori a Troja od in Tessaglia. Che par che piova sangue, occhi e cervella,
CDLXXXVIII CDCXV

Poi chiamò tre de suo' più nominati Sinefido sentendo il gran rumore,
E in tal tenor sue parole compila : Gridava : Saldi, saldi , stretti, stretti,
Mettete prestamente tre agguati Non sia nessun di voi ch' abbia timore,
Innanzi a quegli, e nel primo tremila, Parate tutti gli archi , e gli scoppietti ;
Ne l'altro quattromila bene armati, E serrava ne' fianchi il corridore
Cinquemila nel terzo, ed alla fila Per riparare a tutti i lor difetti;
L'un dopo l'altro, ed a'passi gli aspettino, E perchè gli era quasi nel dassezzo
Che riabbin la preda, e loro affettino. Drieto a le some, ebbe a spronar un pezzo.
CDLXXXIX CDXCVI

Lasciam costor che li agguati ordinavano Gionto dove era la spietata mischia
In un momento, come Irlacon disse, Sentendo l'arme che pei colpi squillano,
E torniamo a color, che s' avviavano Con l'asta bassa fra tutti s' arrischia,
Con la gran preda; e Sinefido misse Ed a' suoi colpi lor vene zampillano.
Le some inmezzo, e innanzi a quelle andavano Poi col suo brando squarta, non cincischia,
I cavalier da far rosse le risse, Tal ch' i nimici per paura oscillano,
E innanzi a tutti Ciriffo cavalca E per esser più destri al fuggir via,
Per far, se bisognassi, aprir la calca. Chi il brando, e chi la lancia scaglia pria.
185 CIRIFFO CALVANEO 186

CDXCVII DIV

I' ti so dir, che ognun non vi par zoppo, Ritrasse l'asta il cavalier giocondo,
Ma par ne le calcagna abbia il parletico: Ed il terzo, e ' l quarto, e 'l quinto ed anco il sesto
Non v'è nessun che vadi di galoppo, Privóe di vita, finito il secondo,
Ma fuggon come pazzi pel fernetico. E rotta l'asta trasse il brando presto.
Qualunque dava in questi due d'intoppo E sciorinoe in fra i nimici un tondo
Non si poteva poi chiamar eretico, Che mai si vide un colpo pari a questo,
Perché credeva per isperienza Perchè due teste mandò giu con quello,
S' egli scampava da tale influenza. Un'altra ne parti insino al cervello.
CDXCVIII DV

E brevemente tutti a volta rotta Visto quel colpo, chi gli era dintorno
Inverso il campo spronando fuggivano : Senza aspettar che più presso gli sia,
De'corpi morti n'è piena ogni grotta, Come diavoli tutti ispulezzorno,
E più d'un miglio di sentier coprivano,. Senza cercare o di sentiero, o via.
E di tremila ch' eran suti in frotta La gente di Ciriffo gli affrontorno:
Men di trecento al campo comparivano, Sinefido con l'asta comparia
Di sangue, e di sudor fragidi, e mezzi : Bassa, e col ferro le budella iscelse
Il resto tutti fur tagliati a pezzi. A un, che de l'arcion netto lo svelse.
CDXIX DVI

Cosi finita la prima battaglia, Non potendo ritrar la lancia allotta,


Si venne rassettando la brigata, Cosi infilzato un pezzo trasportollo,
Tirando avante con la vettovaglia, E per istizza poi in una grotla
Credendo certo d'averla scampata. Correndo con la lancia conficcollo
Ciriffo sempre, come nom di gran vaglia, Si che pareva una impalata botta,
Davanti a tutti veniva un' arcata, E spesse volte dava qualche crollo
E in nell'entrata d'un certo boschetto Per isferrarsi, e grida tuttavia ;
Vide in sul passo l'esercito stretto. Ma gli è confitto, e convien ch'egli stia.
D DVII

Oimė, disse Ciriffo, che costoro Egli eran que'dugento saracini


Pensan di torci queste some in sogno, Che Sinefido e Ciriffo menorno
Perchè non sanno bene chi è con loro, Con l'aste, che parevan paladini
Nè come Carsidora n'ha bisogno. A le gran prove che ferono il giorno.
Se pur l'aranno fia con tal martoro Bench' a le volte qualcun ne rovini
Che il baril costerà lor più d'un cogno. Morto pe' colpi che vi fanno a torno
Cosi dicendo rivolse il corrente Non è gran fatto, e par che sia dovuto,
Per dar di questi avviso a la sua gente. Che ognun non è Ciriffo, o l'Avveduto.
DI DVIII

A Sinefido mando presto un messo, E nel combatter si sa che non crescono


Adir ch'un altro agguato hanno scoperto, Da niuna parte gli uomin che vi vengono ;
E come e' sono a fronte a fronte presso, Quai vi son morti, e quai feriti n'escono
Si ch' al bisogno sia pratico esperto, Chi per paura, e quai non si sostengono.
Che ristringa la preda insieme adesso Or qui costor combattendo si intrescono
Con buona guardia, che bisogna certo ; Fra lance e spade, e sol que' due ritengono
Che e' vide tanti cani a bocca aperta, La pugna, che le some non si tocchino,
Che se la scampan qui, la fia lor certa. Perchè convien ch'a lor colpi balocchino.
DIL DIX

Mentre Ciriffo la brigata asselta Ciriffo, e Sinefido tanto altostano


Efrancamente tutti gli rincuora, I brandi lor, che convien che gli scaccino,
La gente de l'agguato fuor si gella. Si che da loro a la fine si seostano
Allor Ciriffo senza far dimora Que' che non voglion che costor gli spaccino;
Una grossa asta par che in resta metta : E mentre quei della preda non sostano
Da l'altra parte il capitan vien fuora Ma prestamente pel cammin si caccino,
Sa un destrier che par Bucifalasso, Gli altri fuggendo da lor si dileguano,
Che sbuffa e trae; anco par Satanasso. Perchè Ciriffo e il Povero gli seguano.
DILL DX

Ciriffo con gli sproni il suo martella, Tanto che ben dua miglia, o più lontani
Benchè per se medesmo quello vola, Donde fu la battaglia eran fuggiti.
Con l'asta bassa e l'occhio sopra a quella, Ritornaronsi indietro i due cristiani
E il ferro adamantin pose a la gola, A la lor compagnia tanto graditi.
Che passò il gorzerino, e la cannella, Di quattromila che furon que' cani,
Epel nodo del collo il sangue cola, Circa secento tra sani e feriti
Che la passo, e fu il colpo sì scuro, Al campo d' Irlacon se ne condusse,
Che non l'arebbe campato il Tanfuro. E gli altri si rimason per le busse.
CIRIFFO CALVANEO 188
187

DXI DXVIII

Or ritorniamo a la gran Salmeria E come quel ch'è pratico al mestieri,


Ch'era tre miglia già presso a le mura Veduto che non val quivi le lance,
De la magna città di Samastia, Cominció a gridare a quegli arcieri
Dov'è il gran dubbio, e d'avervi paura, Iscaricate a l'erta nelle pance ;
Che v'è un passo di cattiva via E similmente a quegli scoppietteri :
Per una valle tenebrosa e oscura, Sparate in su le vostre melarance,
Che lancia o brando non vi fa mestieri ; Che se qualcuna de le vostre sentono,
Ma gli scoppietti fian buoni, e gli arcieri . Lasceranoo forse i sassi che avventono.
DXII DXIX

Bisogna andarvi per certi viottoli, Già era tutta la valle coperta
Ed aver l'occhio che'l piè non isdruccioli, Da ogni banda sopra al fiumicello,
Che si cadrebbe si aspri cimbottoli, Credendo aver la brigata deserta
Che di gennaio farien veder le luccioli Nel fiume, e farne co'sassi macello;
Non v'è altro che spine, sterpi e ciottoli E que' di sotto traevono a l'erta,
Che a fatica v' andren le zebe, e i seucioli, E la valle pareva Mongibello:
Benché questa non è la via legittima, Pel gran romor degli scoppietti e sassi,
Ma credon per la preda sia la pitima. E pel gran fumo, non si vede i passi.
DXIII DXX

Vera cosa è, che si può ir pel fiume, I' dico per la gente d' Irlacone
Ma perché gli è la via troppo tediosa Ch'eran di sopra, perché il fumo innalza,
Per le tante traverse ed un vilame Rimasi al boio, e tal ch'e' van carpone
De l'acqua, ma non corre rovinosa ; Per non rotolar già per quella balza ,
Però per que' viottoli è il costume E gli scoppietti senza discrezione
D'andar, benchè la sia pur faticosa : Traggono in modo che spesso rimbalza
Ma il doloroso passo, e il gran periglio, Di que' di sopra rotolando in basso,
E manco spazio d'un terzo di miglio. Tirandosi dirieto qualehe masso.
DIV DXXI

E sendo gionti a l'entrar de la valle, Potevasi chiamar valle d'inferno,


Non v'è nessun che non si raccapricci Chè veramente l'inferno parea ;
Per lor destrieri, e i somier con le balle E gli scoppietti , e le saette ferno
Si van di sopra, che'l piè non ispicci. Si grande uccision, che vi correa
Finalmente disposer di guidalle Il sangue come a la gran pioggia il verno,
Tutte pel fiume, e non fa per gli orlicci. E tanti morti pel balzo cadea
Disse Ciriffo : 'I vo' che le s'immollino Da ogni banda, ed addosso rovinano
Più tosto che per balzi si tracollino. A quei del fiume, mentre che camminano.
DXV DXXU
Cosi deliberato furon mossi ; Pareva proprio che dal ciel piovessino
Ciriffo inuanzi per iscorta e guida, I morti che pel balzo in giù traboceano,
Non estimando che quivi esser possi E nel fiume convien che percotessino
Nessuno che gli oppressi o gli conquida. I vivi, e de'destrier giù gli rimboccano.
Le ripe sono come argin di fossi, Ciriffo, ed i suoi par che tanto oppressino
Ricise ed alte : e par la selva d'Ida ; I lor nimici , che per forza isboccano
Nė prima entrati furno in quello stretto, Fuor de la valle, e senza far dimora
Che dietro a lor fu sonato un cornetto. Mandorno per soccorso a Garsidora .
DXVI DXXIII

Ch'era su alto al poggio relevato, La qual inteso a ponto dove e come


Stato aspettar costor a la vedetta ; Eran rinchiusi, e sono a gran periglio
E dato il cenno, come era ordinato De le persone, ed anco de le some,
Dinanzi rispondeva una trombetta. Immediate, senza altro consiglio,
Quei cinquemila ch'erano in agguato Appella il capitano, il qual per nome
Avean presa l'uscita a la valletta; Brunoro è detto, suo cugino, e figlio
E di qua e di là pare che rinalzino D'una sorella de la madre Frola,
Sopra costoro, e in giù sassi rimbalzino. Ed a quel disse : In un momento vola
DXVII DXXIV

Gridando: Garne, carne, traditori , Con diecimila franchi cavalieri


Voi siete pur ne la trappola entrati ; A dar soccorso a la brigata nostra,
Ma prima che nessun esca di fuori Che son rinchiusi con tutti i somieri
Punito sia di tutti i suoi peccati . In Buiavalle, e non posson far giostra.
Ciriffo vede, e sente que'romori, Or va, Brunoro, via, piglia il sentieri,
E tutti i suoi guerrieri ha confortati, In questo giorno il tuo valor dimostra.
E Sinelido ch'è nel retroguardo Cosi partissi , e gionti a la costione,
Conforta i suoi ch' ognun sia il di' gagliardo. Circondaron la gente d'Irlacone.
189 CIRIFFO CALVANEO 190

DXXV DXXXII

I quai sendo cosi messi nel mezzo Or questo fu ben lo scorno del doppio:
Edrieto e innanzi, par che 'l ciel rovinis Quei che credevan quelle some torre
Veduto il gran soccorso ebbon ribrezzo Ferno il baleno, e quegli altri lo scoppio
Di morte, e par ch' ognun se la indovini. E rosso di lor sangue il fiume corre;
Allor si trasse la preda dal rezzo E'l vin che v'era fu pestifero oppio
Adispetto di tutti i Saracini Ch' addormentati gli ha per quelle forre :
Fuor della valle, e verso Samastia Credendo avere il lion pel ciuffetto,
Con furia, e in caccia fu messa per via. Ebbono il diavol per la coda stretto.
DXXVI DXXXIII

Or si comincia la spietata zuffa, Ultimamente, ed in conclusione


Or si comincia ben di sangue a tignere. De' cinquemila non ne campo testa.
La terra e ilfiome: tanti ve ne tuffa Cosi riebbe le some Irlacone,
I fieri colpi, e 'l furor, e'l sospignere! E fu vigilia di cattiva festa.
E l'un con l'altro per fuggir s' azzuffa Ciriffo lieto, a sua contemplazione,
Que' d' Irlacon, vedendosi restrignere, Con quella compagnia che seco resta,
Eda tanti scoppietti forbottarsi , Inverso Samastia si fur distesi,
Che per fuggir non san dove aggirarsi. Vittoriosi e carichi d'arnesi.
DXXVII DXXXIV

Eper paura chinavan la testa Avendo messo a bottino ed a sacco


Per ischifar e l'arco e lo scoppietto. De gli avversari il lor miglioramento,
Ciriffo martellando con tempesta, Nessun pareva nè lasso, nè stracco
Amolti manda giù il capo di netto, Con la seconda preda al tornar drento.
E Sinefido con la lancia in resta Sentendo ne la terra il crudel fiacco
Orquesto, or quel, or ne'fianchi, or nel petto De loro nimici, e del gran valimento
Fracassa, e fora, e traboccagli giue: Di Ciriffo e del Povero Avveduto ,
Chi n'avea una, non ne volea piue. Che con le some innanzi era venuto,
DXXVIII DXXXV

E quei che per la valle eran saliti, Non si poté con parole disporre
Alquanti pur che vivi eran rimasti, Il gaudio, l'allegrezza e la bonaccia
Ala china pel fumo eran fuggiti Del popol, ch'a la piazza tutto corre,
Come topi balordi, arsicci e guasti ; E ciascun porge a le some le braccia
Egiunti al pian, di vita eran finiti, Per aiutarle da' somier deporre.
Senza troppa difesa, o far contrasti, Ecco Ciriffo seguendo la traccia
Perché giugnevan tra cattive mani, Dopo le some, e come in piazza gionse,
Ed ogni volpe ha al cul parecchi cani. Un tratto degli sproni il destrier ponse.
DXXIX DXXXVI

Ciriffo quando vide aver la preda Gridando : Viva, viva Carsidora,


Tratta del fiume, non gli parve puoco, Muoia quel traditor cane Irlacone.
E vuol che Sinefido gli conceda E cosi tutto quel popol rincuora,
Di lasciar lui combattere in quel luoco: E prima che smontasse de l'arcione,
Perchè altri che lor non ne sia reda Tutte le porte, senza far dimora ,
Più non dimori, e levisi dal giuoco, Fe disserrarle per dimostrazione,
Eseguiti le some tuttavia Che in Samastia non è nulla temenza
Finchè riposte siano in Samastia. Del campo d' Irlacone, e sua potenza.
DXXX DXXXVII

Non prese Sinefido più intervallo, Egià nel campo la trista novella
Epargli che Ciriffo l'abbia intesa, Ha Irlacon sentita, e non gli garba,
Econ domila tra a pie, e a cavallo Ecol pugno si batte la mascella,
Ebbe drieto a le some la via presa. E tira e straccia la canuta barba,
Or ritorniamo al marziale ballo E di testa la sua corona bella
Dove si fa la micidial contesa: Si trasse, e i bianchi crin divelle, e sbarba:
La gente d'Irlacon non può fuggire, Maladicendo a uno, a un gli Dei,
E convien lor combattere, o morire. Diceva: Or manda i campioni a colei.
DXXXI DXXXVIII

E' son rinchiusi come fiere in parco, Io mi credeva aver l'anguilla in mano
Tutti accaniti qual cinghiali ed orsi, Pel capo, ed io non l'ho par per la coda,
Foggendo or qua, or là, cercando il varco, E ſemmi la speranza esser villano
E finalmente sendo assai discorsi, Con que' due cavalier di tanta loda.
Di lancia, o spada, o di scoppietto, o d'arco Se ciascun m'è inimico crudo, e strano,
Eran feriti, e per tal modo morsi, Mi sta pur ben, e credo ognun ne goda,
Che tutti morti a la fine rimangono, E certamente e'vennon per dispregio
O feriti per morti, e in terra piangono. Al padiglione a chiedermi tal pregio.
191 CIRIFFO CALVANEO 192

DXXXIX DXLVI

Ahi Macon maladetto sia tu, Con allegrezza, e con gaudio, e con festa
Che in te non regna se non tradimenti ! Su nel real palagio fur montati,
S'io t'ho credato, non ti credo più, E ne la zambra, ch' era in lor podesta
E mentirei, se dicessi altrimenti, Con diligenza furon disarmati ;
Perchè colui che ier qui a me fu Ciascun provvisto di onorevol vesta
7
Disse esser nato de' tuo'descendenti, Conveniente a baron si pregiati,
E veniva per darmi presto ispaccio : E prima che di zambra uscissin fuora ,
Or questo è il modo, traditor beccaccio ? A visitar gli venne Carsidora,
DXL DXLVII

Non fu nessuno in tutta sua famiglia Che parve che s'aprisse il Paradiso,
Ardito di parlargli in quella furia. E dimostrasse in quel punto ogni trono,
Di poi alcun de' suoi savi 'l consiglia E gli Angioli d'intorno al suo bel viso
Per ovviar maggior periglio, e ingiuria, Parean le damigelle che vi sono.
Discosti il campo per parecchi miglia Non si sare' per sè morto Narciso,
Chè forse il ciel, o i fati l'han aguria Nè si sare' per Atalanta il pomo
Nel luoco dove e' sono ora al presente, Gittato, avendo visto Carsidora ,
E faccia ogni suo sforzo di più gente. Che cielo, e terra, e l'abisso innamora.
DYLI DXLVIII

Piacque il consiglio ad Irlacone, e tosto L'avea in testa una ghirlanda d'oro


Fe'levar campo la presente sera, Con gemme assai, in modo lavorata,
E dieci miglia di lontan fu posto. Che valea certo un regno di tesoro,
Dipoi iscrisse per ogni rivera, E ne sarebbe Giunon suta ornata
Ne'paesi lontani, e quivi accosto, Infra gli Dei nello celeste coro,
Agli amici, a' parenti, e dove egli era, Ela candida trezza in modo ornata,
E come egli è da due vituperato Ritessuta con giogie e perle assai,
Che vuol morire, od esser vendicato. Che simil certo non si vide mai ,
DALI DXLIX

Lasciam re Irlacone, e il campo stare, La refulgente e spaziosa fronte


Come è detto, lontan da Samastia, Proporzionata ben sua parte piglia,
Che spera grande essercito raunare E tanto ben risiede in su le pronte
Avendo scritto in tutta pagania. Arcate, nere, vaghe e sottil ciglia;
Al mio Ciriffo mi convien tornare E par di sotto a quelle l'orizzonte
Che sendo gionti con la salmaria , Quando Febo sormonta a tutta briglia ;
A' terrazzan pareva esser felici Nè altrimenti lei rende splendore
Per quella, e per la morte de' nemici. Da suoi begli occhi, e nonhan men calore.
DXLHI DE

Con istormenti, e fuochi, e balli in tresea, Perocchè questo passa drento al petto,
Per tutta la città sono in galloria, E incende insieme col corpo anco l'alma,
Cantando in su le torre a la moresca E di mirarla Cupido ha diletto,
Molti talacimanni per vittoria, Tanto che dona a lei di sè la palma,
Che cosi s' usa a la saracinesca, E col suo proprio stral senza rispetto
Ned altrimenti vi si suona a gloria , Ferito s'è per lei, che fare' calma
Perchè non v'è campane, e non vi s' usano, D'ogni tempesta, e vuol servir costei,
E co talacimanni il suono iscusano.
E geloso ne par de gli altri Iddei.
DXLIV DLI

Or ritorniamo a' due franchi campioni E teme poter guarir, in assenza


Ch' al palagio real son dismontati, Da lei istare, e seco in paradiso
E la regina Flora, e più baroni D'essere reputa a la obidienza
Con molti cittadin de' più nomati Disposto, e mai da lei esser diviso.
Eran discesi prima gli scaglioni Or figurando sua bella presenza,
Einsin fuor del palagio incontro andati In mezzo in fra le luce del bel viso
Per onorargli, e con dolce accoglienza Risiede molto ben proporzionato
Fu ricevuta lor magnificenza. Il vago, onesto e bel naso affilato.
DXLY DLAI

Frola è si lieta de la vettovaglia, Qual signoreggia due incarnate rose,


E tanto prezza di costor l'aiuto, Che paion latte e sangue, nette e pure
Avendo inteso la fiera battaglia Le sue pulite guancie ed amorose,
Di Ciriffo, e del Povero Avveduto, Senza alcuno ornamento di misture ;
Che d'allegrezza per lagrime abbaglia, Ele vermiglie labbra, e sottil cose
Ed avendo per man ciascun tenuto, Non paion già di mortal creature,
Gli prese abbraccio poi, e intramendua Ma d'un corpo celeste, ed a vederle
Si misse in mezzo la presona sua . Aperte, dentro paion pien di perle.
193 CIRIFFO CALVANEO 194

DLIN DLX

Io dico perle, e perle perle i denti OTebe degna, laqual tanti guai
Si ben composti d'una egual misura, Avesti, non l'avevi già tu ancora;
Fissi, minuti, chiari e rilucenti, O Semele le pene, che tu hai
Senza macula alcuna di bruttura; Tu non l'aresti, sendo Carsidora,
E de la bocca sua dolci concenti Che Giunon contro a te non era mai:
Ne porge col parlar graziosa e pura, La donna d'Attamante ancor ne plora,
Edi sotto a le labbra il gentil mento, Nè i tuo' progenitor visti serpenti
Ritondo, onesto e con un foro drento. Se al mondo stati suoi occhi lucenti
DLIV DLXI

Equando ride che prende diletto, Fussin, che Marte quando è più irato
Ne le angeliche guancie l'apparisce Farien pietoso, benigno ed umile,
In ciascheduna un leggiadro foretto EMeleagro il porco seguitato
Che tutta sua beltà le rifiorisce ; D'Arcadia arebbe per questa gentile,
E in fra le spalle sopra il bianco petto E il tizzo suo non sare' consumato,
La sua candida gola comparisce, Ch' ogni altra a petto a lei parrebbe vile,
Isvelta, e schietta, e tanto ben risiede, E non arebbe Ippolita menata
Ch' ella fa innamorar chiunque la vede. Teseo, anco per questa abbandonata,
DLV DLXII

Enel candido petto le mammelle Come fe'd' Adriana poveretta;


Qual due picciole pome son formate : E Nesso non moria per Dianira ;
Di latte e sangue paiono a vedelle Nè Oloferne morto per Giudetta;
D'un bel color de le rose incarnate. Nė veniva Sanson per altra in ira;
Le vestimenta sua sottile, e belle E non sarebbe Isifil giovenella
Alquanto le dimostran figurate, Col laccio, morta: nè colui che mira
Ma per quel che disopra se ne scorge Andromada, e combatte con Fineo
Perl'occhio, gran dolcezza al cuorne porge. Col capo del Gorgon, dico Perseo.
DLVI DLXIII

E ragguagliando tutta sua figura Giuseppo, tu non aresti negato


In essa non si può dir mancamenti, Come a la sposa già del re in Egitto;
E credo quando la creò natura Ippolito, nè tu suto ostinato
E i cieli, e'l sol, e tutti gli elementi, Saresti a Carsidora, ma al gitto
Fussin conforme di volontà pura Senza respetto, e tenuto beato
Ciascun di loro al dotar lei attenti Saresti, ed Ercol non sarebbe afflitto
Di virtù, di beltà e di prudenzia Per Dianira, o Jole; e per costei
Con si leggiadra e signoril presenzia. Sì, che fa inamorar di se gli Dei.
DLVII DLXIV

Vestite d'un tabi a la moresca, E' non sare' stato rinchiuso Achille
Ches sottil non tesse mai Aragne, Per Deidamia, ne riposate l'armi
O Palla quando par che Aragne esca Per Polissena a Troia, nè ancor Fille
De l'esser primo, e ragnol fassi e piagne, Per Demofonte isparsi tanti carmi ,
La bella vesta a la saracinesca Nè Troiolo per Briseida, e più di mille
Contesta è tutta d'opre ricche, e magne, Altri contar potrei, ma vo' chetarmi,
D'argento e d'oro pur tirato fino, E basti questo, che nessuna fue
Ela tela d' azzurro oltramarino. Pari a costei di bellezza o virtae.
DLVIII DLXV

O quanto ben campeggia quel colore Penso Ciriffo, e Sinefido allora


Sotto al bel viso, e intorno al casto petto ! In su la giunta nel veder costei,
Se fusse suto di adamante un cuore Che fussin giù dal ciel venuti fuora
Non are' contro Amor per questa retto; Tutta la monarchia, tutti gli Dei ;
Ene spirava un lampo, un isplendore, Qual semivivi inverso Carsidora
Una fragranza d'uno odor perfetto, Con dolce ammirazion rivolti a lei,
Ne l'andatura sua, grave modesta, Contemplando quel corpo pellegrino,
Che Giove saria isceso a veder questa. E lei ridendo con un vago inchino
DLIX DLXVI

Calisto bella, o Europa, o Alcmena, Gli salutava con gran reverenzia,


Se fusse stata al mondo Carsidora, Con parole benigne, e graziose,
Lo Dio che tona non sentiva pena Ringraziando la lor magnificenzia
Per voi, nè giù del ciel non venia fuora, Si de la preda, e de l'opre famose
Né tanta gente moria per Elèna; Quali avean fatte con la lor potenzia
Apollo Dafne non seguiva ancora, Ne le risse mortali: al fin propose
Ne Pluto non rapia già Proserpina, Che lei e la città con le sue squadre
Se avesse vista questa saracina. A lei si dona, come figlia a padre.

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195 CIRIFFO CALVANEO 196

DLXVII DLXXIV

E certamente si rendè sicura, Vennevi de la Valle Perigliosa


Che d'Irlacon può star senza sospetto, Il gran gigante chiamato Furgatto,
E da se ha levato ogni paura Che non si vide mai sì fiera cosa,
Mediante il valor del loro aspetto ; Alta sedici braccia, e ben ritratto,
E così detto la donzella pura Che la persona avea tutta pelosa
Semplicemente, con un dolce oggetto, In modo che arme non vuole a ognun patto,
Per man gli prese, e fussi licenziata Che i peli son si folti e inviluppati,
Da loro, e ad amendue raccomandata. Che nessun ferro non gli are' tagliati.
DLXVIII DLXXY

Sendo di zambra uscita Garsidora E seco aveva, tutti del suo regno,
Con le donzelle sue, nostri baroni, Cinquantamila franchi cavalieri,
Di sua beltà parlando molto allora Da far istare i lor nemici a segno,
Ferventi e fieri a sue defensioni, E schifare i lor colpi volentieri ;
Senza intervallo, o riposo, o dimora E portava costui per contrassegno
Deano opera a le lor preparazioni, In campo azzurro due lupi cervieri
Raddoppiando le sbarre, e fossi e mura, Ritti l'uno inver l'altro, e con gli artigli
Che il popol dentro stia senza paura. Par che ciascuno e co'denti si pigli.
DLXIX DLXXVI

E ricercando tutti quei paesi, Bisantona la bella Gigantessa


Conducono a la terra vettovaglia Vi giunse poi, e seco tre fratelli,
Di strame, biade, legname ed arnesi, Giganti fieri, e il suo balio con essa
Che fan mestieri a tener la puntaglia; Anco gigante, e fiero più che quelli,
E così fatto già più e più mesi, E con quarantamila ella s'appressa
E qualche volte avean fatto schermaglia Al campo d'Irlacon, e sua drappelli;
Col campo d'Irlacon, e in più d' un lato, E il balio suo ch'è detto Spinadosso
E sempre qualche cosa han guadagnato. Portava lo stendardo tutto rosso.
DLXX DLXXVII

In modo tal che Irlacon non poteva Nel quale era Diana, che Cupido
Più ripararsi e per disperazione, Tenea legato, e quel tutto tremante
Un giorno al tutto uccider si voleva Sembiante fa con lagrimoso strido
Adispetto del cielo e di Macone, Chieder merce; e quella minacciante
Se non che in suo soccorso vi giugneva Negletta lui, e come, io non mi fido,
Di Costantina il famoso Andreone, Dicessi, perché tu non se constante,
Di corpo bello e giovenetto d'anni, Anco se micidiale, e traditore,
Armiger qual Annibal fusse a Canni, E matto, e quel che fa scudo del cuore.
DLXXI DLXXVII
Di brun vestito, e portava corona, Lasciam de lo stendardo di costei,
E del suo regno, e del suo tenitoro, Che simile in quel campo non avea ;
Mende cinquantamila sua persona, A loco e a tempo conterem di lei,
Ed anco un Pulicane avean con loro. Che in arme non fu mai Pantasilea,
Quasi in fra trentamila si ragiona, Nè di Semiramis dire potrei,
Tutti guerniti, e de argento, e d'oro, Nè di Bradiamonte, né d' Antea,
E per insegna porta, il re felice, Ne di Formosa sora d'Aquilante :
Quando s'arde, e rinasce la fenice. Nessuna fu si bella, o sì aitante.
DEXXII DIXXIX

Poi giunse d'Aspalena il re Brocante Cosi di giorno in giorno nuova gente


Con trentamila, e con molto tesauro, In campo giugne, varíata e strana,
E presentossi ad Irlacon davante De tutta la Turchia, e d'Oriente
E seco aveva un fiero Minotauro, De India, e de la Persia, e de la Tana;
Quale era un mostro feroce ed aitante, Ed Irlacon ch' al fatto ponea mente
Che non ha simil dal mar Indo al Mauro, Per far che la città restassi piana.
E porta in campo giallo un drago nero Come era al tutto sua intenzione,
Ne lo stendardo, pauroso e fiero. Ragunar fe' il consiglio al padiglione
DEXXIII
DLXXX
Vennevi poi de la Valle Ricisa Un giorno (tatti i principi nomati)
Un fier gigante chiamato Carbone Per dar del campo ad un solo il bastone.
Con trentamila, tutti ad una guisa Irlacon disse, sendo congregati,
Guerniti d'arme, di strane regione, Che ognun dicessi sua opinione;
Senza bandiera , o stendardo, o divisa, E fatto il capitan, ch'e'sien levati
Enon credon costor troppo in Macone, Di li, e posto il campo al bastione,
E tutti son come animai salvatichi, Dove eron prima, vicini a la terra,
Viziati, e sozzi, e i più pazzi, o lunatichi. Equella circundare, e dar la guerra.
197 CIRIFFO CALVANEO 198

DLXXXI DLXXXVIN

Cosi parlando in un tratto fermossi Etutta impallidita lagrimando,


Col capo chin, pur in sedia a sedere, A la zambra n'andoe de' sua campioni,
E così in uno stante addormentossi, E non potea parlare: anco tremando
O che fingessi, per farlo parere, E piangendo si pose inginocchioni,
E brevemente, qual fusse, svegliossi, E ne' sembianti, io mi vi raccomando,
Ed inferi a tutti il suo volere, Parve dicessi, e poi ch'ella abbandoni
Dicendo : Macometto ora m'ha mostro La vita; e cadde senza dir parola :
In vision qual sia il capitan nostro. In questo gionse la regina Frola
DLXXXII DLXXXIX

Ond' io vi priego, che nessun si scordi Quivi tremando, e non sapea che dirsi,
Del suo voler, che sarebbe ignorante: Se non che piange e Macometto invoca;
Anco chi vuol che Macon si ricordi E Carsidora venne a risentirsi,
Di lui, il suo comando segua avante, E per l'affanno avea la voce roca,
Si che per tanto a questo ognun s'accordi. E i sua campion conforta del partirsi
Ecosì detto, chiamava Brocante, Anzi che il campo gli molesti, o noca,
Dicendogli per parte di Macone : Dicendo : Iscampo non c'è più per noi,
Se' capitano ; e dettegli il bastone. E contenta morrei salvando voi .
DLXXXIII DXC

Cosi fu fatto il capitano allora Ciriffo mio, o Sinefido nostro,


Senza consiglio, o rendervi civaia, E' c'è d'intorno tutto l'universo
Gridando a Samastia, a Carsidora : Per piano, emonte, e valle: il valor vostro
Viela vieloro, e tutto il campo abbaia. Qui non ha luoco : i' veggo ito attraverso
Così del padiglione usciron fuora Il mio navilio, e da Borea e da Ostro
E crediate che v'è qualche gozzaia Sommerso al tutto, e la speranza ho perso.
Per aver dato il bastone a costui, E l'una e l'altra gli ringrazia e priega
Che v'è chi il meritava più di lui. Di loro scampo, e ciascheduno il niega.
DLXXXIV DXCI

Ma il savio mai non corre troppo a faria: Dicendo : Quando e' fussin sei cotanti
Avendicarsi tempo e luoco aspetta, Non ariamo temenza, nė paura,
E finge non curarsi de l'ingiuria, Ed' anco fussin la mità giganti,
E con utile suo fa la vendetta. Sendo noi a destrier con l'armadura.
Fu questo ad Irlacon cattiva aguria, Diponete da voisla tema eipianti,
Benchè lo sdegno l'amico difetta, E ben provviste tenete le mura,
E molte volte fa partir l'amore, Che se e'non volan come pipistrelli,
E fa il servo nimico del signore. Non verrà nella terra niun di quelli.
DLXXXV DXCII
Or oltre fu a la terra a le mani Lasciate pure a noi menar le mani,
In un momento tutta la canaglia, Che ci sarà faccenda per ognuno :
Apiede ed a caval, grandi e mezzani, Le volpe aranno mosso guerra a' cani,
Forte gridando: Battaglia, battaglia. Ma elle aranno tra le chiappe un pruno
Cosi fur mossi, e per monti, e per piani, Che farà lor parere i monti piani
Circondando la terra, ognun si scaglia Per ritornare al covo suo ciascuno;
Chi qua chi là, a lor contemplazioni, E quanto è più la gente in campo stretta,
Dirizzando trabacche e padiglioni. Tanti più ad un colpo se n' affetta.
DLXXXVI DXCHI

Sonando tanti e si vari stormenti Cosi ridendo le rassicurorno.


Che a Giove arebbon messo in ciel paura : Poi disse Sinifido a Carsidora :
L'aria, e la terra par triemi e spaventi Manda Bronoro via senza soggiorno
Pel gran tumulto che fa l'armadura, A rassegnar le guardie ciascuna ora :
El urla, e l'annitrir d' assai correnti: Nè più che detto si sentiva un corno
Il popol dentro correva a le mura, Terribilmente sonando di fora,
E Carsidora inteso il fatto, corre Ch' era venuto a onta d'Irlacone
Immediate in cima de la torre. Per far battaglia il gigante Carbone.
DLXXXVII DXCIV

Usciva appunto Febo de la soglia E sonando diceva : O cavalieri


Tenendo a sua destrier alto la briglia, Qual tu ti sia, o quanti esser volete,
ECarsidora ancor la prima spoglia, Uscite fuori che vi fa or mestieri,
Non s'avea strinta, e con man se la piglia; O con la terra presto v'arrendete.
Evista tanta turba, o quanta doglia Sinefido montò sopra il destrieri ,
Nel cuor le venne, e con turbate ciglia Dicendo : Tosto darà ne la rete
Girò un tratto d'intorno la fronte, Questo uccellaccio, che tanto schiamazza,
E vedeva coperto il piano e 'l monte. E spronando il destrieri, usci di piazza
199 CIRIFFO CALVANEO 200

DXCY DCII

Con una lancia, che parea una antenna , Lasciamo un po' Sinefido venire
Verso la porta, e dove è Carbon vola. Cosi a piede, e torniamo a Carbone.
Ciriffo presto pel destrieri accenna, Non sendo detto, è dovuto di dire
Mentre conforta Carsidora e Frola ; Come è guernito questo compagnone.
E di terra più lieve ch'una penna Prima l'altezza sua voglio inferire :
Saltò in arcione, e senza altra parola Quindici braccia è sua proporzione,
Una grossa asta prese, e il destrier pouse, Tutte le membra rispondenti al busto,
E Sinefido a la porta raggionse. Nel volto fiero, e ne l'arme robusto .
DXCVI DCIII

Fuor de la porta Sinefido avante Principalmente a cominciar disotto,


Passato fu, e Ciriffo lasciava Un paio di calze avea di fina maglia
In su le sbarre sopra l' afferrante, Sotto uno scoglio di serpente cotto,
E ch'egli stessi attento lo avvisava ;. Quale era tutto pien de la sua scaglia,
Poi galoppando gì verso il gigante E' non vi dico se sapea d'arlotto,
Col buon destrier ; d' appresso il salutava. Come è usanza di quella canaglia;
Carbon da lui non può torcer le ciglia, Ed una strana giubba aveva indosso,
Senza render saluto, e maraviglia Ch' v'era un palmo o più il catarzo grosso.
DXCVII DCIV

Si fa, che tanta forza, e tanto ardire Coperta tutta d'ossi di testuggine
Abbi, che solo al campo sia venuto; Chiovati qual di piastri e una corazza :
E sorridendo cominciò a dire : Questa armadura non temeva ruggine
Tu non meni nessuno in tuo aiuto ? Né scoppietto, o balestra, o spada, o mazza,
Va, chiama il tuo fratel, fallo venire, S'una punta non trova la capruggine,
Forse che tu non m'avevi veduto: Non puossi offender questa bestia pazza,
I' ti voglio atterrar col dito mignolo, E per iscudo un teschio ha di balena,
E torcerti di poi come un lucignolo. Convertato di scaglie di serena.
DXCVIII DCV

Corri, va presto, chiama que' di drento, Intesta aveva un certo cappellaccio


Di', che vengano a far meco a sonaglio; Di brongio che pareva una campana,
Menane almen che sia nonanta o cento, Ritondo, e non aveva nessun laccio
Che tutti non vi prezzo un guscio d'aglio. Che lo tenessi : or vedi bestia strana;
Sinefido a risponder non fu lento: E da le ciglia in giù tutto il mostaccio
E'ti parrà forse esser nel travaglio Era scoperto, coperto di lana,
De' buoi entrato, o in pastoie condotto, Cioè de la sua barba setoluta,
Che ti converrà ir d'ambio, e di trotto. Di variati color, crespa, e canuta.
DXCIX DCVI

E così detto, girava la briglia Sendo tanto disforme a la ragione,


Del suo destrier, ed a Ciriffo torna. Nè truova bestia di niuna natura
Gionto a le sbarre un lancio destro piglia, Che'l potessi portare in su l'arcione,
E in piè rimase la persona adorna ; Sì ch'egli è ritto in piè su la verzura ;
E nel tornar che fece, ognun bisbiglia, E in su la spalla teneva un bastone
La gente de la terra se ne scorna, Che arebbe messo ad Ercole paura,
Che per vedere stavano a le mura, Si smisurato, ch'era un pedal d'acero,
E temon che ritorni per paura. Nocchiuto, e grave, con masso a relacero.
DC DEVH

Ecosi tutto il campo mormorava, E stava pure a veder che venissino


E pareva già loro aver la terra, Con Sinefido, a drieto a lui alquanti
E tal che quasi niente s'assellava De la città, e con lui lo assalissino,
Per affrontarsi, ed appiccar la guerra. E Sinefido, sendogli davanti,
Visto dipoi com' egli dismontava, Carbone aspetta, perché comparissino,
Ciascun tacendo s'avvede ch'egli erra : Nè di combatter faceva sembianti,
Bisantona, la bella, visto l'atto, E dice a Sinefido : Che vol dire
Comprese ch'egli aveva inteso il fatto. Che tu se' sceso ? e' si vol risalire.
DCI DCVIII

Seco dicendo: I'veggo che costui E Sinefido a lui si come saggio


Debbe esser certo qual vola la fama, Rispose: Intendi ben l'animo mio :
E in quel punto s'innamorò di lui Da te non voglio aver nessun vantaggio,
Per modo tal che sua salute brama. E se tanto maggior che non son io;
Diciamdi Sinefido, e non d'altrui, E spero di lasciarti in su il rivaggio
A luoco e tempo direm de la dama : Ad onta di Irlacon, malvagio e rio,
Dismontato che fu dette la volta, E non che teco, io la farei con sette
E sopra mano avea la lancia tolta. Tua par bestiaccie, vil, brutte, e scorrelle.
202
201 CIRIFFO CALVANEO

DCIX DCXVI
Allor Carbon cominció a bestemmiare Era Carbon per tal modo accanito,
Apollino, Macone e gli altri Iddei, Che mettea muggi, che pareva un toro:
Dicendo: Guarda chi vol contrastare Se e' mena il colpo a diritto, isfuggito
Meco, che con un pugno disfarei L'ha Sinefido senza far dimoro:
La torre d' Ero fondata inframare, Se mena un tondo, e Sinefido è ito
E con questo bastone ispianerei Sottogli presto, ed hagli fatto un foro,
E' monti d' Apennino, e d' Atalante: E tanto isforacchiate gli ha le chiappe,
E credi meco, e solo, esser bastante? Che il sangue intorno gli ſacea le nappe.
DCX Dexvn
A Sinefido venne tanta muffa Irlacon vede, e chiamava : Brocante
Al naso, perchè lui lo sprezza e biasima, Soccorri, presto, qua bisogna aiuto :
Che si tinse nel viso, e soffia e sbuffa, Non vedi come è ferito il gigante ?
Che per affanno par ch'egli abbi l'asima ; Disse Brocante: E' fia ben provveduto !
E l'asta sopraman lancia : la zuffa Se il Minotauro mio gli mando avante,
Fu appiccata, ed il fier gigante spasima Vendicherallo, e non ſia conosciuto
Per l'ira che gli venne, ch' egli avessi Il tratto che per voi sia suto colto;
Auto tanto ardir, che lui gli dessi. Diroe che il Minotauro si sia sciolto.
DCXI DCXVIII

La lancia lo investi su lo spallaccio, E cosi detto al Minotauro corse,


Elui per ischifarlo alquanto mosso E diegli avviso che offenda il campione
Si fu volgendo: nel mento uno straccio Avverso, ma di questo se n'accorse
Gli fece il ferro, e fegli il petto rosso. Di Costantina il gentile Andreone,
Carbon di su la spalla il bastonaccio Il quale senza punto istare in forse
Levossi a furia, vedendo percosso Per non lasciare impedir la ragione
Esserdaquel, che non prezzava un picciolo, Disciolse il Palicane, e quello informa,
Perocchè a lato gli par uno scricciolo. Dicendo: Fa ch'al bisogno non dorma.
DCX11 DCXIX

Carbon moggiando il bastonaccio strinse, Non va per l'aere folgore sì in fretta


E quello alzando, il Povero crivella Qual fu veloce il Pulicane allotta
Una punta nel fianco, e il brando tinse Con l' arco in mano , e in cocca ha la saetta;
Di sangue, e lui con l'acero martella, E mentre corre il Minotauro, trotta
E con molta rapina in giu lo pinse Il Pulicane avante, e quello aspetta
Per fardi Sinefido una frittella, Al passo occulto dopo ad una grotta;
Credendol giugner: ma il colpo fu vano E la barbetta sua co' denti afferra
Per la destrezza del guerrier soprano. Conl'occhio fisso a l'arco, e queldisserra.
DCXIII DCXX

Per la forza del colpo, e del granpondo, Non trasse Filottete mai con l'arco
Fe' col bastone in terra sì gran buca, Istrale a segno si velocemente,
Che il Pover teme di cader nel fondo, Nè mai Alcon quando levo lo carco
E l'acqua presto par vi si riduca. Da dosso al figlio del fero serpente,
Pur Sinefido, il cavalier giocondo, Qual fece il Pulican, sendo sul varco,
Altento sta, che Carbon non conduca Veduto il Minotauro li presente :
Un tratto un colpo d'acero a schiancio, Lo strale intra le corna fisse a quello,
E l'occhio tiene a quello, il cuor a Dio, Che passo il teschio, la spugna, e'l cervello.
DCXIV DCXXI

Pregandol sempre che gli sia in aiuto, E morto il Minotauro die' la volta
E salvi chi difende la sua fede. Il Pulicane, e tornò al padiglione.
Mentre combatte quel gigante astuto Brocante vistol con furia s'affolta,
Maladisce Macone, e chi gli crede, E minacciava lui ed Andreone.
Perchè non può si destro ed avveduto Disse Andreon: Se la bestia s'è sciolta
Trar che investisca, e il Povero lo fiede Che vuoi ch'io faccia? Io non ne son cagione:
Di punta spesso, or drieto, o dinanzi, Tra bestia e bestia venga pur la rabbia,
Emolto par che in verità l'avanzi. E' fe'il dovere: ora chi ha mal se l'abbia,
DCXV DCXXI

Pareva Sinefido un leopardo, Bench'io credo che l' uno e l'altro andassi
Saltando destro più ch'una bertuccia, Per dare aiuto e soccorso al gigante,
Ediceva a Carbone: Ahi codardo, E per invidia l'un l'altro assaltassi
lo ti sforacebiero tanto la buccia, Gome vedesti, e qual fu più aitante
Che brevemente ti farò bugiardo. All' altro prese pel cammino i passi :
Carbon superbo del parlar si cruccia, Va, riparavi tu, se puoi, Brocante;
Emena colpi da volerne pochi, E se tu vuoi, il Pulican gastiga,
Chenonvarrebbe a uu chieder buon ginocchi. Ch'io non ne piglierò per lui la briga.
203 CIRIFFO CALVANEO 204

DCXXIII DCXXX

Non seppe qui Brocante che rispondere, O con quanta letizia, e quanta festa
Sapendo ch'era lui suto il difetto, Entrava Sinefido in Samastia ;
E per volere il fallo suo nascondere, E per veder quella si orribil testa
Patisce, nè più altro gli ebbe detto. Ognuno corre innanzi per la via.
Torniamo a Sinefido or che confondere Gionto al palagio presentava questa
Spera col brando il gigante predetto, AFrola e Carsidora, e si dicia :
Con l'aiuto di Dio, che'l tutto puote: Questa e la testa de l'uccel ch' io dissi,
Con tal disio il gigante percuole. Che schiamazzava prima ch'io partissi.
DCXXIV DCXXXI

Un tratto Sineſido in un ginocchio Voi avevi di lui tanta paura :


Crivelloe una punta a quel pagano, Vedete quanto presto io l'ho raccheto.
Che per la doglia Carbon chiuse un occhio, Non dubitate, ognuna stia sicura,
E manco poco a cader in sul piano; Voi non sapete bene ogni secreto,
Pur si sostenne appoggiando al finocchio, Nè chi son costor dua nell' armadura,
E lo scudo ch' avea trasse al cristiano : (E toccava Ciriffo, che gli è dreto)
Per ischivarlo il Povero si volse, E fussi detto pur di poco avanti,
E quel drïeto ne l'elmo lo colse. Che noi non temeremo di sei tanti.
DCXXV DCXXXII

In modo che pel colpo isbalordito E disarmossi : poi fe' por la testa
Andò parecchi passi balenando : Sopra la porta del real palazzo :
Ultimamente cadde tramortito, Per la città se ne ſe' fuochi e festa.
Ciriffo il vede, e veniva sprouando Lasciam costoro in piacere e 'n solazzo.
Per aiutarlo, e se fosse finito, La morte di Carbone assai molesta
Pensa di far la vendetta col brando ; Irlacone, e nel campo è gran rombazzo:
E 'l capitan del campo d' Irlacone Brocante per la notte il campo assetta
Veniva per difesa di Carbone. A buona guardia, che di lor sospetta.
DCXXVI DCXXXIII

Le genti de la terra paurose Appena la mattina fussi giorno,


Credetton certo che fusse spacciato : Che Sinefido e Ciriffo a destrieri
Le donne impallidite e lagrimose ; Usciron de la terra ed assaltorno
Macon per Sinefido hanno pregato. Il campo con alquanti cavalieri ;
Or di Ciriffo son più dolorose Ed in su l'antiguardo elli affrontorno
Vedendol fuor de le sbarre passato. Con l'aste basse due giganti fieri,
Bisantona d'affanno e duol si rode L'on Barzabu, e l'altro Cornabue ,
Per Sinefido, e tutto il campo gode. Di Bisantona fratelli amendue.
DCXXVII DCXXXIV

Carbon credendo pur che gli abbi tratto, Avevon fatto insieme l'antiguardo
Lasciò il bastone, e chinossi per quello La notte con la bella Bisantona,
Per portarlo nel campo; presto e ratlo E l'uno e l'altro pel colpo gagliardo
In su la spalla si pose il fastello. In uno istante la vita abbandona ;
Sinefido rivenne, e, visto l'atto, E Spinadosso, ch'avea lo stendardo,
Con la man destra traeva il coltello, Ciriffo contro a lui volando sprona,
Con la sinestra a la chioma s' appicca, E l'asta saguinosa al pettiggione
E sotto al destro orecchio il coltel ficca, Gli pose, e conficcollo in nell' arcione.
DCXXVIII DCXXXV

In modo che v' entrò più di dua spanne, Bisantona s'era ita a riposare,
Carbon si scuote, e il Povero s' attiene; E non s'era a fatica disarmata,
Ma perchè nol pigliassi con le zanne, Ch'ella si sente a gran voce chiamare,
Si gli scaglio dirieto in su le rene E la trista novella le fu data;
Diguazzando il coltello infra le canne, E Spinadosso ne vede menare,
Tanto che in terra il gigante ne viene. Che ancor non era la lancia sferrata,
Poi gli spiccò la testa col coltello, E lo stendardo non aver potuto
Ecosi spense il fiero Carboncello. Più sostenere, ed eragli caduto.
DCXXIX DCXXXVI

E quella pe' capelli se ne porta Che vuol dir questo ? Bisantona disse,
Con ambo mani, il franco cavalieri. O Macometto, tu debbi dormire,
Ciriffo è ritornato, e senza scorta E con gran furia l'arme si rimisse.
Gli viene incontro, e menagli il destrieri. Ecco Ciriffo , e'l Pover comparire
La gente della terra sendo accorta Con la sua gente, tulle insieme fisse,
Del fatto, non sergenti, ne scudieri, Che fan le squadre serrare ed aprire,
Ma tutti i principali, ognun fu mosso, E l'uno pareva Ettor, l'altro Achille,
Incontro, e vennon fin di fuor sul fosso. E già n'avevon morti più di mille.
205 CIRIFFO CALVANEO 206

DCXXXVII DCXLIV

Cosi fu 'l campo levato a romore, Ne la seconda schiera fu Brunoro


Ecredono a costor pigliare i passi; Nievo di Frola, che tiene il bastone
Ma era tanta la forza, e il furore De la città, e del suo tenitoro
Di lor, che parean proprio Satanassi, Con quindici migliaia in su l'arcione.
Or qua, or là volgendo il corridore, La terza schiera seguendo costoro
Edove e' vanno par che'l ciel fraccassi, Guidava Sinefido, il pro' campione,
Si che non piace a nessun la lor merca : Con vintimila per riscossa e scorta
Poi dier la volta, fatto una ricerca. Di quelle avante, e in guardia de la porta.
DCXXXVIII DCXLV
E ritornati ne la terra adesso Queste tre schiere furono un fioretto
Non vol Ciriffo che nessun dismonti. Di tutti quei che portono armadura
Per soddisfare il giorno al suo interesso Ne la città, e gli altri ebbon respetto
Fece ischierare assai cavalier pronti, Di lasciar dentro a guardia de le mura
Ecosì sendo il campo in arme messo, Con Carsidora, ch' avea gran sospetto
Irlacon vol che la terra s' affronti; Del suo Ciriffo, e triema di paura ;
Ecomandò al capitan Brocante Anco di Sinefido e di Brunoro,
Che facesse le schiere, e gisse avante. E di sè stessa, e del suo tenitoro.
DCXXXIX DCXLVI
Cosi fu fatto il suo comandamento. E innanzi a tutti questi cavalieri
La prima schiera a Furgatto si dette Un numer grande vi fu di pedoni,
Con la sua gente di gran valimento, Tutti in corazza e d'altre arme leggieri,
E lo stendardo suo avanti mette, Che in vista tutti parevon leoni.
Che fur quarantamila cinquecento: Similemente v' eran molti arcieri
Il resto in guardia a' padiglion ristette. Appiede, e molti pure in su i roncioni,
Ne la seconda schiera dopo questa D'una certa provincia d' Arabeschi,
Fu Andreon con la sua franca gesta, Chenon eran nė Turchi, nè Tedeschi.
DCXL DCXLVII

Con altre tanti, come si ragiona, E prima che uscissin de la terra,


Quarantamila, con la bella insegna. Furno avvisati dove, e come, e quando
La terza schiera fu di Bisantona; Debban ferir, mandando sempre a terra
Trentamila con sua persona degna Le bandiere del campo e fracassando ;
Di fama, benchè amor la punge e sprona E dentro, e ſuor si grida : Guerra , guerra,
Per Sinefidu: e quanto s'ingegna E molti vari stormenti sonando,
D'esser avanti per poter vedello! Cosi 'n un tratto usciron de le porte,
Nè pensa a morte di nessun fratello. Gridando: Carne carne, morte morte.
DCXLI DCXLVIII

La quarta schiera fu d'un Basca ghezzo Sentivasi in un tratto tante strida,


Che venne insin dal fin de l'oriente, E squilli di trombetti e pifferoni,
Ne l'arme molto pratico ed avvezzo, Chepar che l'aria, e'l ciel s' apra e divida,
Con trentamila, e portava un serpente E la terra, e l'abisso de' demoni.
Ne lo stendardo, ch'avea manco un pezzo Non v'è da niuna parte alcun che rida,
Di coda, e quella si rodea col dente : Ma bisognava far cuor di leoni,
La quinta schiera fu del capitano, E far pensier di dar, non di promettere,
Con trentamila del suo regno strano. Perchè questi non son cambi da lettere.
DCXLII DCXLIX

Ene la sesta dopo queste schiere Era Furgatto innanzi per iscorta
Con centomila fu re Irlacone. A tutti gli altri, e credeva il gigante
Dato ciascun al vento sue bandiere, Gionto a la terra mandar giù la porta,
In questa era di tutte il confalone. Si come a Babillona fe' Morgante.
De l'altre gente di varie maniere Ciriffo il vede, e tutto si conforta ,
Si fece, per riscossa, uno squadrone E con tutta la mente a Dio costante
Insieme tutti, sotto un capitano Si raccomanda, e sprona con tempesta
Detto Achaille, ch'era Soriano. Verso Furgatto con la lancia in resta.
DCXLIII DCL

Cosi nel campo son tutti ischierati Furgatto il vede, e come quel ch'è mastro
Per venire a la volta de le mura. Ne le battaglie, in un tratto fermossi,
Torniamo a' nostri cavalier pregiati Aspettandolo in piè, come un pilastro,
Che avevon poca gente, e men paura, E il bastone a dua mani in man recossi,
E, come è detto, s' eran preparati Non temendo d'aver da lui disastro;
Afar le schiere, e la prima procura Ma quel che volsi, sempre mai non puossi,
Ciriffo nostro, pien di vigoria, E più ne seppe il tavernier che il giotto,
Con quindici migliaia in compagnia. Perchè Ciriffo gli venne si sotto,
208
207 CIRIFFO CALVANEO

DCLI DELVILL

Che e' non potè operare il bastone, Che lo passo come fusse di ghiaccio ;
E la grossa asta col buon ferro aguzzo. Cosi l'arme ch' avea si sgretolorno
Ciriffo a punto al bellico gli pone, Da l'altra banda, e nel sinistro braccio
E fora, e straccia ogni velo e peluzzo, Rimase il ferro, e i troncon via volorno.
E fracassogli la milza e l'amione ; De lo stendardo levoe uno straccio
Si che gli venne a questa volta puzzo Brunoro, e indrieto faceva ritorno;
Di fidarsi ne' duelli, o peli, o setole, Ma il gran Basca gli attraverso la via
E de la lancia si fe' mille gretole. Con l'asta bassa, e fe' gran villania.
DCLII DCLIX

E nel passar Ciriffo col cavallo Perché gli dette pure a tradimento;
Gli dette d' urto, e quanto può di spalla, Non che ferissi lui ma il suo cavallo
Con intenzion di dovere atterrallo: Nel fianco, e misse l'asta un braccio drento,
Pel colpo e l'urto, il gigante traballa, Si che rimase morto, e fu gran fallo.
E poco stante, cadde in tale stallo, Brunoro a piè col brando non è lento,
Perchè la piaga in un tratto divalla Ma vole al tutto quivi vendicallo;
Budella, e ventre, e 'l ſegato, e 'l polmone, E mentre si difende, chiama aiuto
E morto in terra rovince carpone. Da Ciriffo, e dal Povero Avveduto.
DCLIII DCLX

Ciriffo una grossa asta a uno vassallo Già son tutte le schiere avviluppate,
Ebbe rapita, e quella in resta messa, E sentesi per tutto un taffe, taffe
Forte spronando il possente cavallo, De' fieri colpi , ch'avean fracassate
Tutta la schiera di Furgatto ha fessa, Le'nsegne, e molti avien vote le staffe;
E quella d'Andreon senza intervallo; Le scimitarre e le mazze ferrate
Simile quella de la gigantessa, Forbottan, si che non vi son le paffe
E quella pur del Basca, e ne la sesta Grasse, come Irlacone are' creduto,
Ad Irlacon la ruppe ne la testa. E Sinefido ancor non c'è venuto.
DCLIV DCLXI

Ma l'elmo ch'egli avea di tutta botta Aspetta purche egli esca un po' da bomba
A questo tratto gli salvó la vita : Sinefido, ch'è detto uom senza fede,
Pur per quel colpo e'rovino allotta, E ne manderà tanti ne la tomba
Credendo ognun che l'alma sia partita. Di Satanas, che forse altri nol crede.
Ciriffo quando vide l'asta rotta, Mentre ch'aspetta, una voce rimbomba
Sfoderò il brando con possa infinita, Ne l'elmo, e sente a lui chiamar mercede,
E fra le schiere taglia, e fruga, e pigne, E vede uno scudier volar pel piano,
E'l brando in un balen di sangue tigne. Gridando: Soccorrete il capitano.
DCLY DCLXII
E con la lancia avea fatto un fracasso, Che gli è condotto tra cattive mani
Che a dirlo quasi sarebbe incredibile, Coldestriermorto, ed intorno ha un gran cerchio
Che più di trenta ne mandó al basso, Che per pigliarlo paion lupi e cani,
E dico morti, che pare impossibile : E non può più durare al gran soperchio :
Non trova ignun che gli contrasti passo, Tanti n'ha morti con suo' colpi strani
Tanto dimostra il suo furor terribile, Che pare il sangue la foce del Serchio.
Nè ritto lascia stendardo , o bandiera,. Inteso Sinefido il suo tenore
E fulminando torna a la sua schiera. In un tratto serrava il corridore.
DCLVI DCLXIN

I quai veduto rovinar Furgalto, Con l'asta bassa il buon destrier dirizza
E Ciriffo di vista aver perduto, In quella parte dove era Brunoro
La schiera allotta fu mossa in un tratto Con tanta furia e cabbia, e onta, e stizza,
Per dar soccorso, e fare il lor dovuto. Che a più di trentasei dette martoro :
Brunoro accorto fu mosso difatto Una folgore par, si fora, e schizza
Con licenza del Povero Avveduto Tra l'un e l'altro, e giunse infra coloro,
Per soccorrer Ciriffo , che non sia Che per pigliare il capitan combattono,
Cosi soletto fra tanta genia. E in un momento tutti si sbarattono.
DCLVII DCLXIV

E come è detto, il franco capitano Perchè giungnendo Sineſido quivi,


Coll'asta bassa il destrier ferra e pugne : Un colpo fece di mirabil possa,
Primo e secondo e terzo manda al piano, Tal ch'egli spaventó que ch'eran vivi,
E il quarto e l quinto, e ne la schiera giugne Perché con l'asta passòe Testa rossa
Del Basca ghezzo, e d'un colpo villano Da l'una a l'altra banda : or questo scrivi,
Il banderaio con l'asta trapugne Perch'egli era gigante, e grande, e grossa
Cosi per costa sotto il braccio destro, E ben guarnita è d'arme sua persona,
Che fu un colpo di quelli del maestro, E fu il terzo fratel di Bisantona .
209 CIRIFFO CALVANEO 210

DCLXV DCLXVI
Rade volte balena che non tuoni Pensi ciascun se Brunoro fu lieto,
Quando confuria vien pioggia o tempesta: Vistosi per costor da morte assolvere,
Il colpo fatto si può dir de' buoni : Ch'era l'ultimo punto del divieto
Ecco Ciriffo che giugneva in questa, Che bisognava che n' andassi assolvere.
Enon ti dico se par ch'egli suoni Ciriffo il gran Basca rispinse a drieto,
Col brando; e trasse un fendente alla testa E si il mandò nella sanguigna polvere:
Al Basca, che gridava : Piglia, piglia : Il buon destrier, ch'avea, dette a Brunoro,
E partillo per mezzo infra le ciglia. Il qual vi saltò su senza dimoro.

PARTE II

Ora
ra a vedere insieme questi tre Ecosì fu con la mente ricorso
A brandi infra le schiere d' Irlacone, Di darne avviso a'campion de la terra,
Co' le gran prove che ciaschedun fe', Nè del mortale stormo si travaglia.
Ne arebbe preso ognuno ammirazione. Or ritorniamo alla fiera battaglia ;
Bisantona era mezza fuor di se VI

Per Testa rossa, e pur col suo bastone Chè non si vede mai si crudel cosa
Forbotta orquestoorquello, enonponmente, Nè tanti morti forse in tale spazio
Sia quel si vole, e d'esservi si pente. Quali eran suti quivi, e non si posa
I Ancor nessun, che sia del ferir sazio :
Or per cagion ch' altrui non mi rimordi, Di qua, di là, di giù, di su furiosa
Non sendo fatto ancor nulla menzione, Va Bisantona, e fa macello e strazio
Non resta perchè io non mi ricordi E d'arme, e di cavagli, e di persone
Del valoroso e nobil Andreone; Col suo pesante e sanguigno bastone.
Ma chi è savio, spero che s' accordi VII

Con esso meco a punto di ragione; Eran le schiere tutte avviluppate


S'io non ho detto, non è accaduto, Fra lance e spade, ed uomini e cavagli,
Perchè non è a combattere venuto.
E sopravveste sparte e insanguinate,
111 E tanti morti che facean serragli ,
Io dissi già di non so che gozzaia, Ispesse volte quando le brigate
Che s'era presa contro ad Irlacone. S' affrontavano insieme, e tocca, e dagli,
Or qui convien che lo sdegno si paia Come è usanza al diffinir tal briga,
De l'aver dato aBrocante il bastone. Chi ha più forza l'un l'altro gastiga.
Andreon visto appiccata la baia, VHF

Tornò con la sua gente al padiglione, Ciriffo, un tratto veduto Brocante


E spera vendicarsi meglio ancora Ne la sua schiera, che pareva un drago,
Se mai potrà, e difender Carsidora, Tanto si scaglia col fiero afferrante
IV Di sangue intriso, qual porco nel brago,
Dicendo: Questo vecchio rimbambito, Nè più che visto, e passatogli avante
Libidinoso padre di lussuria, Gli ha preso il passo, e per rendergli pago,
Non sarà mai per mia cagion marito Su l'elmo si gran colpo gli scudiscia,
Che il brando ne levoe netta una striscia
Di Carsidora, e per cattiva auguria
Reputerei istando in questo sito IX

Per farle violenza, o danno, o ingiuria; De l'elmo con un pezzo de la gota,


E il torto che da lui ho ricevuto, E in su la destra spalla il colpo iseende,
Forse che fu dal cielo antiveduto, E qui fece maggior macchia : ora nota,
V Che più che mezza la spalla gli fende.
A cautela ch'io dessi soccorso Brocante per la doglia l'arcion vota
E come morto in terra si distende ;
A chi era venuto per far guerra,
Acció che questo can non dia di morso E tutto il campo fussi isbigottito,
A la meschina, che cotanto serra. Credendo il capitano esser finito.

14
211 212
CIRIFFO CALVANEO

X XVII

Brocante fu da sua gente riccolto, Una sera fra l' altre Sinefido
E per morto portato al padiglione; Avendo scorso il campo d' Irlacone,
E Sinefido a Bisantona volto E volto per tornar dentro al suo nido,
Si fu per darle col brando un frugone; Fu assaltato dal buono Andreone
Ed ella aveva a punto a se raccolto Con molti cavalieri , e misse un grido,
Il braccio per levare alto il bastone ; Dicendogli : Tu se' qui mio prigione;
E visto trarre il colpo a Sinefido Renditi a me, se vuoi salvar la vita ;
Col baston para, come vol Cupido, E poi dappresso ridendo lo 'nvita.
XI XVIII

E de la sua destrezza è tanto vaga , Che sia contento di volerlo udire


Che col baston cominciava a schermire, Qualche parola e Sinefido è attento ;
E come volle Amor quivi si paga E brevemente lui ebbe a inferire,
Di quel che può, né vorrebbe morire Che tutto il suo disio è d'esser drento
Però del brando ; ma più dolce piaga Con lui insieme, e faravvi venire
D'altra armadura vorrebbe sentire ; Il Pulican col suo assembramento,
Ma poco stante per salvar l'onore Con quanta vettovaglia in campo sia,
In altra parte võlse il suo furore. La prima sera che la guardia è mia.
xn XIX

E tristo è quel che gli arriva dinanzi E per cagion che questo non si scopra
Si che pel campo gli è dato la via , Si vuol che insieme facciamo uno assalto,
Come sapete, ch'io vi dissi dianzi , E mostrando che io resti al disopra,
Colga chi vuole, e sia quale esser sia. Torn' a la terra, e fingi di far alto,
Irlacon vede, e vol pur che gli avanzi Ed io cautamente a la mia opra
Qualcun de vivi per sua compagnia, Daro effetto : e così detto, un salto
E pensa ch'ella sia per doglia istolta, Col destrier prese, e parve che dovessi
E fe' pel campo sonare a raccolta Aver lui, e 'l caval col brando fessi.
XUI XX

Benché per sè medesima la guerra Il colpo grande che di date accenna


Sarebbe terminata, perchè il giorno E sopra a l'elmo a Sinefido, il pigne
Era all'estremo, e di notte pur serra, Si lievemente qual fusse una penna.
Ed in iscambio si dà del contorno . Sinefido la testa china e figne
Ciriffo e Sinefido inver la terra , Pel colpo alto, e col brando tentenna
E Brunoro con quei che vi restorno Come balordo, e poi in man lo strigne,
Si ritrassono assai lieti e contenti, E trasse un man roverso ad Andreone,
Avendo il fior de' lor nimici spenti; Il qual fingendo piegossi in arcione.
XIV XXI

Non senza danno, perchè di lor gente Cosi scherzando fanno a la civetta,
Al far de la rassegna ve ne manca E la gente del campo e de la terra
Dodicimila, e gran parte dolente Per veder tutti stanno a la veletta,
Ve n'è ferita, lacerata e stanca. Non si accorgendo de la finta guerra :
Del campo d' Irlacon furono spente E fatti molti colpi si rassetta
Trentamila persone, la più franca Sinefido in un tratto, e il destrier ferra,
Gente che avesse, che n'avea cotanti, Come per tema d' Andreon fuggissi,
Ma non v'è più di quei fieri giganti ; E così l'un da l'altro dipartissi.
XV XXI

Salvo che Bisantona e Spinadosso, Al padiglion Andreon fu tornato


Benchè quel fusse in mal modo ferito , Enon ti dico se frappando uccide;
Ma con lo 'ncanto fu presto riscosso E Sinefido è nella terra entrato
Da morte, e in pochi giorni fu guarito. Col suo Ciriffo, e lo ragguaglia, e ride.
Simil Brocante; non che porti indosso Poi con Brunoro, il capitan pregiato,
Corazza, o sbergo, che resta impedito Il qual per allegrezza si conquide,
Di quella spalla, e diventò serignuto, E Frola, e Carsidora udendo questo,
Che il diavol non l'are' riconosciuto. Fur molti lieti, e dicevan pur presto.
XVI ххи

Così per qualche giorno ognun si stette Ma ripensando pur chi ama teme,
Abuona guardia, e mentre furon sani Frola ne volse parere e consiglio,
Molti feriti di brandi, e saette. E tutti i principal congregó insieme,
Or ritorniamo un poco a due cristiani E sopra a questo si fe' gran bisbiglio.
Che l'un e l'altro, e quando un sol simette, Sinefido cotal parole ispreme :
A saltar fuor il campo di que' cani, Non bisogna temer d'alcun periglio,
Facendo ad Irlacon danno ed oltraggio, Che certo lui parlee si virilmente
Tornando sempre dentro con vantaggio. Ch'io credo al sacramento suo del dente.
213 CIRIFFO CALVANEO 214

XXIV XXXI

Con tutto questo assai credo che vaglia Per istar qui a dir l'ando, la stette,
La buona guardia, e con ognuno a l'erta Sarebbe come pascersi di vento ;
Star sempre; pigliam pur la vettovaglia Se vettovaglia in campo non si mette,
In prima, e quando quella ci fia certa, Irlacon mio, noi ci morrem di stento;
Venga chi vuole a far dentro schermaglia, Fa provvedere a questo, ed a le strette
Che per tutti starà la porta aperta, Doman voglio esser io con que' di drento
Ch'io non li stimerei tutti una chiappola, A corpo a corpo, e con questo bastone
Che verrebbono a morder ne la trappola. Ciascun di loro arai morto o prigione,
XXV XXXII

Ultimamente fur tutti d'accordo, E così fa molti disegni in aria


Di stare a buona guardia, e lui venissi La sera Spinadosso, e poi il giorno
Si come è detto : or aspettano il tordo, Forse gli fia la fortuna contraria,
Che quella vettovaglia comparissi. Il campo è tutto in arme intorno, intorno;
AdAndreon non bisognò ricordo, E come in oriente chiari l'aria
Ma perché il fatto non si discoprissi, I campion de la terra si levorno,
Quando fu'l tempo de la guardia appresso, E preson per partito d'assaltare
Mandava drento un suo fidato messo, Il campo senza doversi ischierare.
XXVI XXXHI

A dire a Sinefido, ch' era tempo, Or sendo il campo (come è detto) armato,
Nè più altra parola non gli offerse, Cominciorno a le mura a dar battaglia.
E lui intese, e per essere a tempo Ciriffo ch' era sul destrier montato,
Innanzi sera a la porta s' offerse Come un leon da la porta si scaglia,
Andreon con la sua gente per tempo E fu da ventimila seguitato
A far la guardia in campo si scoperse, De la sua gente, tutti uomin di vaglia,
E prima avea la vettovaglia accolta Tutti gridando: Viva Carsidora ;
Per dar con essa in un tratto la volta, E tra nimici ognun fracassa e fora,
XXVII XXXIV

Quando gli parve l'ora di nettare, Di poi quindicimila con Brunoro


E cor l'agresto de la salmeria, Uscirnode la terra in un baleno
Fece in un tratto le some levare Per soccorrer Ciriffo, ch'è il tesoro
Quai furno in un baleno in Samastia. De la città, quel cavalier sereno ;
Ciriffo, e Sinefido in su l'entrare E dipoi Andreon dopo costoro
Son de la porta, con gran compagnia, Con ventimila o pochi più, o meno,
Gionte le some drento, ando con loro Con lance e brandi, e con archi perfetti,
A rassettarle il capitan Brunoro. E mazze che forbotano gli elmetti.
XXVIII XXXV
Cosi dimano in man giungon le squadre Torniamo unpoco al primo, ch' uscì fuori
D' Andreon, che parevan paladini, Come Ciriffo, che trascorso un pezzo,
Tanto Son fieri, e loro arme leggiadre, Ed ha feriti e morti più signori,
Che per letizia tutti i cittadini Ed è di sangue, e di sudor giá mezzo :
Chi dice Carsidora, e chi la madre In mezzo sendo a' padiglion maggiori,
Viva, gridando grandi e piccolini, Si come quel che s'era mal avezzo ,
Facendo fuochi per tutta la terra, Sol per fidarsi troppo di sè stesso
Non avendo più dubbio de la guerra. S'è qui rinchiuso, nè soccorso ha presso,
XXIX XXXVI
Cosi entroe ne la terra Andreone Pur nondimanco egli ha sotto un cavallo
Con Pulicane, e con tutta sua gente, Qual si può dir che sia nuovo Baiardo,
E lasció netto il campo d' Ielacone Che molti avea d'intorno per pigliallo,
Di vettovaglia, che poca o niente Ma quel non è di bocca o piè infingardo;
Ve ne rimase, e son tante persone, E Ciriffo non dava colpo in fallo:
Per la qual cosa v'era ognun dolente ; Lasciamo or qui il cavalier gagliardo
E tutto il campo si levue a romore, Combatter sol, benché sia molto stretto,
Forte chiamando Andreon traditore. E in gran periglio, sendo si soletto.
XXX XXXVII

E tatti i principali ognun fu corso Dove abbiam noi lasciato Spinadosso


Al padiglion d' Irlacone a dolersi, Che voleva di tutti far minuzzoli ?
Il quale era accanito più ch'un orso, Qual va pel campo con quel baston grosso,
E non sapeva che modo tenersi . E par che l'aria si tinga, e rabbruzzoli
Spinadosso gigante die' di morso Pe' colpi che sfracellan l'arme e l'osso,
Ale parole, e disse: A casi avversi E le cervella par neve che spruzzoli,
Si conosce l'uom savio nel sapere Equalche volta ispiccava una testa,
Pigliar partito a tutto suo potere. Che ne sfracela poi quattro con questa,
215 CIRIFFO CALVANEO 216

XXXVIII XLV

Brunoro, valoroso capitano, Aveva Spinadosso sostenuto


N'aveva morti il giorno più di mille : La pugna un pezzo sopra un ponticello,
Prima con Pasta , ed or col brando in mano Che passarlo nessuno avea potuto,
Fa prove, che giammai non fece Achille, Se giu volato non v'è qualche uccello,
E scontrossi nel fiero Soriano, Il Pulicano malizioso e astuto
Il qual per nome era detto Achaille, Ando pel fosco e gionto presso a quello
Che venne contro a lui, e l'asta bassa Un lancio prese, e ne la strada salta
Gli pose al fianco, e l'arme gli fracassa, Con l'arco teso, e Spinadosso assalta.
XXXIX XLVI

E d'una crudel piaga inaverollo Giunse in un tratto lo scoppio e 'l baleno:


Per modo che Brunoro ebbe paura Ne l'occhio destro quello stral afferra,
Di morte, e fu per dare a terra il crollo, Tal che per doglia il gigante vien meno,
E rivolse il destrier verso le mura; E fu del ponte rovinato a terra
Non che paressi del ferir satollo Ne l'acqua e risentito, con veleno,
Col brando, ma pareano cosa oscura Con furia, e rabbia quello strale isſerra,
I fieri colpi : e mentre ch' egli isprona E pur di risalir sul ponte tenta
Scontrossi ne la fiera Bisantona. Bench'egli avesse una lucerna spenta.
XL XLVII

La qual pareva una furia infernale, In questo mezzo il popol comparisce


In modo col baston percnote e schiaccia Al ponte e Sinefido era passato,
Le persone e'cavagli, e nulla vale E Spinadosso latrando accanisce
A colpi ch' escon de le fiere braccia. Qual fusse proprio un mastin arrabbiato
Gionto Brunoro, gliene dette un tale Non trovando il baston, e pure ardisce
Tra'l capo e'l collo, e l'elmo si dilaccia; Salir sul ponte, e ſuvvi rimontato ,
Di drieto il capo gli spicco di netto, Ma tanto popol si gli spinse addosso
E ne l'elmo gli dondola in sul petto. Ch'a suo dispetto ricadde nel fosso.
XLI XLVIII

Ed Andreon pel campo con la spada Levossi nel cader tanto le grida
Pareva un nuovo Orlando paladino, Nel campo e in su le mura per costui,
In modo tal che gli è dato la strada E lui perira misse tale istrida
Dovunque e' volge il destrier pellegrino; Ch'io credo andorno insino a regui bui.
EAchaille ancorch' ai suo' colpi bada Andreon sente e di tornar si fida
Avendo l'asta il fiero saracino, Sino sul ponte, e veduto colui
Non estimando onor, nè gentilezza, Di sangue intriso, molle, e imbrodolato,
Sprona vêr lui, e sol sua morte prezza. Benignamente l'ebbe assai pregato,
XLII XLIX

E posegli la lancia in su lo scudo, Che s'arrendesse e salverà la vita,


E quel divise, e passò la corazza, E Spinadosso si volea rizzare,
E lo sbergo di maglia, e il ferro erudo Ma la persona sua era impedita .

Nel costato lo punse, e quello impazza Di più ferite e non potea campare ;
Quasi per doglia; e col suo brando nudo Pur nondimeno a suo poter s' aita
S'arrosta si che dinanzi si spazza E crede ancora Andreon superare,
I suo' nimici , e fassi dar la via Dicendo : Traditor, col mio bastone
Per tutto il campo, e fugge in Samastia. Farò qui le vendette d' Irlacone.
XLII L

E truova Spinadosso in su la porta Cosi dicendo è mezzo sollevato


Ch'avea già rotte, e passate le sbarre Col suo baston, che prima avea smarrito.
Con molta gente, e molta ve n'è morla Sinefido a le grida era tornato
Pel suo bastone, e per le scimitarre. E visto, e avendo le parole udito,
Andreon dentro, e il Povero conforta Si fu addosso al gigante scagliato,
Ch'egli esca fuori, ed a sua gente garre, E per la chioma sua l'ebbe gremito,
Che e'dian soccorso, e dice il caso strano, E giù nel fosso lo rituffa e ficca,
Come era suto morto il capitano. E poi col brando la testa gli spicca.
XLIV LI

Sinefido, com' ebbe inteso questo E morto Spinadosso, ognuno sprona


Tutto si tinse , e la visiera abbassa ; Per dar soccorso a gli uomin de la terra
E comando che fuor venisse il resto, Che son nel campo, e ſuggon Bisantona :
E così detto la porta trapassa. Ora in un tratto rinfresca la guerra.
Andreon fussi medicato, e presto Sinefido le redini abbandona,
Disciolse il Pulicane, e poi lo lassa E come un nichio sul destrier si serra
In su la porta, e'l gigante gli ha mostro, Con l'asta bassa contro ad Irlacone,
Dicendo : Or fa che salvi l'onor nostro . Per vendicar Brunoro ed Andreone.
317 CIRIFFO CALVANEO 218

LII LIX

Irlacone era appunto allor salito Ma se non fusse il gran cerchio ch'ha intorno
Su un destrier, che pareva una montagna, De' corpi morti e di lance, e di sassi
Ne prima fu dal padiglion partito Non sarebbe campato tanto il giorno
Che'l tordodette a tempo ne la ragna. O pur piangendo maraviglia fassi
Eccoti Sinefido comparito, Di Sinefido, e di Brunoro adorno,
Che lo mandò sossopra a la campagna E d'Andreon che gnun vi capitassi,
Lui col cavallo, e rotta l'asta, piglia, E pur chiamava Sinefido spesso
Il brando, e poi le redinde la briglia. Chiamando un tratto, e Bisantona è presso.
しい LX

O Irlacone, tu dovresti pure E sente quella voce, e maraviglia


Conoscer quanto vaglion questi dua, Si fece e per amor del suo amante
Che t'han già fatto due vecchie paure, Menò un tondo, e poi un lancio piglia,
Ciascun con l'asta t'ha fatta la sua . Che spulezzar si fece ognun davante;
La terza troveratti le costure, Ed a Ciriffo fermava le ciglia,
Ela morte sarà la dama tua; E quello ha figurato in uno stante.
Quella sara Carsidora che vuoi. Dopo le spalle gittossi la targa,
Torniamo a Sinefido e a' colpi suoi ; E menando il baston la turba allarga,
LIV LXI

Che come biscia pel colpo si sente Gridando: Via canaglia a la malora,
Fischiar, così la spada a' colpi fischia Se potessi col brando aggiugner voi,
Di Sinefido, che pare un serpente Nessun farebbe tanto qui dimora,
El'arme, e l'uom isquarta, non cincischia. Ma tristo a quel che più l'offenda o noi.
Bisantona, ch'è grande, ponea mente Ciriffo sente, e molto si rincuora
Pel campo spesso, e vede una gran mischia Con tutto che morir pensi pur poi;
In mezzo a' padiglioni, e volge il passo Ma per campar la vita il più che può,
Per gir dove ella sente il gran fracasso. S'ella il chiedea prigion, non vuol dir no.
LV LXIL

Quale era per Ciriffo, ch'io lasciai Qui combatte l'onor con la vergogna,
Combatter solo fra colante schiere, La vergogna è morir, chi vuol dir dica;
Non istimando però questo mai L'onore fia a uscir di questa gogna ;
Per troppo assicurarsi del destriere. Non posso più, e a questa nimica
Ohime, Ciriffo mio, tu imparerai S' io non m'arrendo, morir mi bisogna ;
Ale tue spese a far questo mestiere; Ecco ch'io ho perduto ogni fatica:
Pur nondimeno e'mi duol si il tuo danno, Per ischifar questa ultima percossa ,
Che pensando ne scoppio per affanno. E licito a ciascun far ciò che possa,
LVI LXHI

Era Ciriffo in tal modo condotto Così dicendo Bisantona è giunta


Che tener si poteva molto poco, Dappresso, e dice : Se ti voi arrendere
Rimaso senza scudo, e l'elmo rotto, Non dubitar, che s'io non son defunta,
Eferito, mi parve, in più d'un loco. Nesssun ti debba in alcun modo offendere.
Il buon destrier qui gli fu morto sotto Ciriffo afflitto e stanco per la punta
Avanti, nel principio di quel giuoco, Il brando prese, senza più contendere,
Cagion di quel delfin, gobbo, zembuto Dicendo, mentre il porge a Bisantona :
Brocante, ch'era a la costion venuto; I'm' arendo prigion di tua persona.
LVII LXIV

Il qual faceva come il tristo baro, Ricevuto ella il brando, il suo prigione
Non potendo giuocar, che mette altrui. Prende per mano, e fuor del cerchio il tira.
Brocante non avendo altro riparo Ciriffo lasso e per gran passione
A vendicarsi sopra di costui Di sè e del destrier molto sospira.
Non può di fatti, e di parole avaro Bisantona menollo al padiglione
Non era auco : gridava, a lui a lui, E fattol disarmar, per tutto il mira
Vile canaglia, porci, manigoldi, Con diligenza, e con massimo onore
Voi non valete tutti cinque soldi. L'ha provveduto, con sincero amore.
LVIII LXV

Il povero Ciriffo si difende Or lasciam qui Ciriffo riposare;


Col brando quanto può dal popol reo; Con tatto che gli sia renduto onore
Ma tanta era la turba che l' offende Non resta sospirando di chiamare
Che lo fanno girar quale il paleo, Sinefido con bocca, e dentro al cuore
Etante pietre, e dardi, e lance iscende A Carsidora, che 'l fa consumare;
Sopra di lui, che par nuovo Fineo Questo gli duol sopra ogni altro malore,
Nel monte Pellion, quando di selve E teme di mai più riveder quella,
Fu ricoperto da le fere belve. Come gli avvenne, e lui non vide anch'ella.
219 CIRIFFO CALVANEO 220

LXVI LXXIII

E Bisantona avendo provveduto Lasciamo un po' costor a riposare


Aquanto fu mestier, ne la battaglia Insino che l'aurora in oriente
Fu ritornata, perchè il suo aiuto Si vegga con suoi raggi lampeggiare,
V'è di bisogno, e pel campo si scaglia E Sinefido monti in su il corrente.
Gol suo bastone, e il Povero Avveduto Or mi bisogna in campo ritornare
Gol brando non ti dico quanto e' vaglia: Per dir, come Irlacone il fatto sente
Andreon ritornato era, e con ello Di Ciriffo , mandoe per Bisantona ,
V'è il Pulican, e fan d'uomin macello. Ch' ella venisse a lui, ella in persona.
LXVII LXXIV

Chi qua, chi là pel campo si divide; Con quel prigion, che lo vole impiccare
Di tutti quanti n'è fatto un mescuglio, Davante al suo padiglion per la gola.
Eper non esser morto, ognuno uccide Bisantona nol vol con sè menare,
A suo poter per uscir di garbuglio . Ma tinta d'ira come un diaulo vola,
Bisantona col suo baston ricide Nè più che gionta, senza salutare,
Il campo e fa di tutti un guazzabuglio, Ad Irlacon dicea tale parola :
E maladice Irlacone e la guerra, Ch'a tu a far del prigion che tu chiedi ?
E'l di che venne a por campo a la terra. E' mi vien voglia di pormiti a piedi.
LXVIH LXXV

Il Pulican furïoso e gagliardo Come Irlacon la vide cosi tinta,


Or qua, or là, or di retro, or davante Cominciò a darle del buon per la pace ;
Cercando va Ciriffo e in uno sguardo E disse alcuna paroletta finta :
Ebbe veduto quel delfin Brocante Io non vo'se non quel che ti piace.
Davanti al padiglione, e tiene un dardo Ed ella umiliata resto vinta
Sgridando le sue genti tutte quante: Perché gli fece ogni cosa capace,
11 Pulican diferrò l'arco arcigno, Ch'ella diceva volerlo tenere;
Econficcogli il capo nello scrigno. Egli è contento, ma il vol pur vedere.
LXIX LXXVI

Già era Febo col carro disceso, E seppe si ciurmare, e porre orpello,
E ritratti da noi sua raggi d'oro, E giurando più volte ha tocco il dente
Quando Brocante ſu da morte offeso Di non fare violenza alcuna a quello,
Immediate de lo strale al fuoro ; E servaragli la vita certamente,
E lo stormo mortal restoe sospeso, Ch'ella gli crede e torna al meschinello,
Perchè la luce fu tolta a coloro, E se gliel manda senza esser presente ;
E d'ogni parte il ferir fu deposto, Ma sendo donna non è maraviglia,
Per dare a tutti refrigerio e tosto. E pur così de le volpe se piglia.
LXX LXXVII
Tornossi Sinefido ed Andreone Intanto che Ciriffo fu venuto
Col Pulicane, e gli altri in Samastia, Al padiglione, e questo traditore
E nel campo ciascun al padiglione Ebbe pensato, e cosi provveduto
Facendo la rassegna tullavia. Di trasfugarlo via a gran furore,
Trovossi della gente d'Irlacone Perché di Bisantona arè temuto
Esserne morta più che 'I di pria, Di farne qui quel ch'aveva nel cuore,
E morto Spinadosso, il fier gigante, E scrisse in Troncavalle, a Carpisante,
E il capitan ch' era detto Brocante. Ed al fratel che detto è Grifonante,
LXXI LXXVII
Ne la città il capitan Brunoro Come manda lor preso un di que' due
Si trova morto, e ferito Andreone, Ch'hanno del popol suo tanto distrutto,
E manco diecimila, e per ristoro E come e'giugne non lo tenghin pine,
Non si trova Giriffo, ch'è prigione. Che vol che 'n croce posto sia al tutto.
Sinefido n'avea tanto martoro, Questo l'effetto de lo scriver fue,
Che mette mugghi, che par un leone, E molto suo tesoro ebbe ridutto
Chiamando pur Ciriffo suo fratello, Insieme in some, per mandarlo via
E piange, e vol di fuor tornar per quello. ARocca franca, ch'era a mezza via.
LXXII LXXIX

Piangeva la regina, e Carsidora Con quattrocento buon provigionati


La morte di Brunoro, e la sciagura Per guardia, per iscorta, e compagnia
Di Ciriffo, ch'è quel che più martora Del prigion, del tesor, ed ordinati
Quella dama gentile, onesta e pura. Sendo, Ciriffo al padiglion giungia
Sinefido non crede veder l'ora D'Irlacone, ed appena ch'egli il guati
Che torni il giorno per passar le mura ; Che ' l fece imbavagliar a mandar via,
E pur cosi di notte avea voluto Perchè non faeci pel campo romore,
Che Bisantona n' avessi sentore.
Più volte andarvi, e sempre fu tenuto.
221
CIRIFFO CALVANEO 222

LXXX
LXXXVII
Or pensi qui chi ha l'animo discreto . Per Bisantona, ch'era al padiglione,
Al cuor di questo povero meschino, Ch'a vederla pareva mostruosa;
Che potendo sapere il suo secreto Tanto turbata è per alterazione
Non are' dato del mondo un quattrino; Ch'ella non può trovar luoco, nè posa.
Gli era legato e dinanzi e di dreto, Però che rivolendo il suo prigione
Turato stretto sopra un bon ronzino, Non lo può riavere, ne spiar cosa
Nè può veder, nè sa che via si faccia, Alcuna dove quel fusse arrivato,
Esente dir di che morte si spaccia.. E crede che Irlacon l'abbi spacciato.
LXXXI
LXXXVIII
Onde piangendo seco si rammarica, E tanto è superata da lo sdegno
Raccomandando l'alma e'l corpo a Dio, Ch'ella è disposta al tutto a la vendetta,
E cosi d'un paese in altro varica,
Dicendo spesso : O Sinefido mio : E sol facea ne la mente disegno
Del modo breve, e poterla far netta;
Ohime, che questa m'è si aspra incarica, Eccoti in questa gionto Achail degno
Che rivederti più non spero io; Ch'era venuto quale una saetta,
Ma s'io morissi pur col brando in mano, E l'ambasciata brevemente espose
Non mi parrebbe il morir punto strano. Di Sineſido, e quella non rispose.
LX3XII
LXXXIX
Or lasciam qui Ciriffo che cammina, Anzi si mosse qual proprio un baleno
E come bestia è menato al macello .
Con Achaille, e duolsi per la via
Non fu a pena l'alba la mattina
Che Sinefido per riavere quello, Di quel can traditor, pien di veleno,
Irlacone, e dicea la villania.
Faor de la terra usei con gran rovina Achaille ritrasse un poco il freno
Per ispiar che fusse del fratello; A sè, e disse : E' l'ha mandato via
E s'egli è morto, vendicar sua morte Inquesta notte con di molte some,
Vuol prima che tornar dentro a le porte. Altro non ti so dir dove, nè come.
LXXXDI
XC
E come disperato a l'antiguardo Cosi dicendo , a Sinefido arriva
Ne va col brando per voler ferire, Bisantona con volto assai turbato .
Ma Achaille il Soriano gagliardo, In brevità l'effetto gli chiariva
Come lo vide di fuori apparire, Come ella aveva Ciriffo fidato,
Se gli fe' incontro non come codardo, E in che modo Irlacone la tradiva,
Ma con grato parlar comincia a dire Come la notte l'aveva trasfugato:
Quel che e' volessi: e Sinefido ad ello: Ma se di questo io non ne fo vendetta
Vo 'ntender, disse, dove è'l mio fratello. In cener mi riduca una saetta.
LXXXIV
XCI
Achaille rispose : A dirti il vero In modo la farò che fia memoria
Il tuo fratel è vivo, ed è prigione Mentre che durerà il secolo umano,
Di Bisantona, il franco cavaliero, E se tu voi, darotti la vittoria
Cosi dicendo veniva Andreone
Contro a quel traditor sicura in mano;
Con tutto il popol fuori ardito e fiero Attendi bene, abbreviando la istoria,
Col Polican, che pareva un leone, Vedrai l'effetto, ch'io non parlo in vano;
Per dare a Sinefido buon soccorso, Ame tocca sta notte l'antiguardo:
Stimando e' fussi pel campo trascorso. Or nota ed abbi al mio parlar riguardo.
LXXXV
XCU
Inteso Sinefido che prigione Come fia notte uscirete di fore,
Era Ciriffo, e come non è morto, Provvisti in punto da menar le mani;
Alquanto alienoe la passione ; Accozzeremci insieme in un furore,
Che di salvarlo si dava conforto.
Vedrai bello spulezzo in questi piani,
E Achaille priega ch'al padiglione Mettendo a sacco, e fuoco, ed a romore
A Bisantona vada, e dica iscorto, I padiglioni e tutti questi cani
Che Sinefido le volea parlare, A fil di spada, e taglieremgli a pezzi,
Ch' ella venisse senza dimorare. A ciò ch'un altro a tradir non s' avvezzi .
LXXXVI
xcm
Achaille rispose a Sinefido Restiamo in questo, ed anco abbi rispetto
Fa che la gente tua s'arretri e fermi, Avendo la tua gente qui manesca,
Se vuoi ch'io vada, e sol di te mi fido, Acciò che 'l campo non pigli sospetto
Se mi prometti che stieno a lor termi. Dal parlar nostro, fa che non ti incresca,
Il Pover disse : Va, ch'io te ne fido Partita ch'io sarò, fingi dispetto
Etristo a quel si potessi avvedermi Riceuto da me, e corri in tresca
Che per offesa alcuna alzassi il dito; Con la tua gente, ed una iscorribanda
E cosi detto Achaille fa ito
Pel campo da, da l'una a l'altra banda.
223 CIRIFFO CALVANEO 224

XCIV CI

A Sinefido pateva mille anni, Rimase il campo tutto sollevato,


Pur nondimeno avea dubitazione, Chi con la lancia e chi col brando in mano,
Che Bisantona nol tradisca, e inganni, E molti già l'aveano insanguinato:
E come rana to pigli al boccone, Anco de'morti, v'era assai pel piano.
Pure fidar non vuolsi di que' panni, A poco a poco ognun vi ſa posato,
E specchiasi in Vergilio, e in Salomone: E il corpo d'Achaille Soriano
Pur disse a Bisantona che le piaccia Trovato fu portato al padiglione,
Dargli la fede, e quel ch'ha detto faccia . De la cui morte si dolse Irlacone.
XCV CIL

Bisantona di fatto il dito a bocca Or ritorniamo un poco a seguir l'orme


Si pose, e fece real sacramento Di Bisantona, ch' avea provveduto,
D'osservar la promessa, e il dente tocca, Come si dice chi ha a far non dorme,
E così fu Sinefido contento, Volendo al suo disegno esser venuto.
Ed in un tratto poi il destrier brocca. Quando le parve l'ora assai conforme,
Partita Bisantona non fa lento Mando un suo fedel servo saputo
Verso la terra, ed Andreon ragguaglia Sino a le sbarre , a chiamar Sinefido,
Di tutto il fatto, e mosse la battaglia. Il quale immediate venne al grido.
XCVI CHI

In un balen si vider mille lance Il servo disse, come Bisantona


Calar in resta, e l'uno a l'altro porre, Gli manda avviso che gli vuol parlare,
Fracassando gli scudi, e petti, e pance, Ma vuole esser con lui sola in persona,
Edi sangue in un tratto il campo corre, Né d'altro messo si volea fidare.
Sinefido non da colpi da ciance, Sinefido vien fuora, e lei ragiona
Anzi par Marte, ed Andreone Ettorre, Giunta al presente, che volea mandare
E il Polican parea proprio Vulcano : Dentro più some di miglioramento ,
Tanti strai getta, e mai nessuno in vano. Prima, per aver quelle a salvamento.
ХСУН CIV

Sendone morti più di mille e mille, Nè più che detto, ritornossi in drieto,
E tutto il campo montati in arcione, E Sinefido dove era Andreone
Sinefido scontrossi in Achaille, Che de le some giunte è molto lieto,
E fece la vendetta d' Andreone : Pur ne la mente avea sospezione,
Col brando le mascella sue partille, Nė dar voleva a l'impresa divieto,
E morto lo trabocca sul sabbione : Ma ben guardata la terra compone,
Ed Irlacon è montato a destrieri E Bisantona aveva congregati
Pur con paura di que' colpi fieri. Alquanti de' suoi principi nomati.
XCVIII CV

E Bisantona aveva comandato In nel suo padiglion senza romore,


A la sua gente che stesse a vedere E brevemente conchiuse l'effetto:
Insieme stretti, e nessun dal suo lato Sendo venuti qui per mio amore
Si parta e lascin fare a l'altre schiere ; Dovete conseguire al mio concetto.
E così fu suo comando osservato : Io non vo'più servir quel traditore
Irlacon va pel campo a suo potere, Cane Irlacon, e la cagione ha detto :
Sgridando tutti, e mentre gli conforta, E chi non seguirà la voglia mia,
E Sinefido torna inver la porta. Proverà se'l baston gonfiato fia.
XCIX CVI

E cosi Andreon dette la volta Con Sinefido ho fermo il modo, e 'l patto,
Col Pulicane, e fermarsi a rastrello, Che ora immediate fuora egli esca
E fer di tratto sonare a raccolta, Con l'esercito suo, ed in un tratto
Avendo dato pel campo un drappello. Congionti insieme arà il nocciol la pesca:
La gente lor per ritornar s' affolta Date di ciuffo a padiglion di fatto,
Velocemente, qual volante uccello; E il menar de le man non vi rincresca,
Perchè oguun fugge volentier la morte, Mettete pure a sacco, e fiamma, e fuoco
A gara ispronan via verso le porte. Tutti gli alloggiamenti in ogni luoco.
C CVI

Eritornato ognun dentro a le mura E seguite poi drieto a mia persona,


E dato avviso del nuovo trattato O dove andar vedrete la mia insegna.
A Frola e a Carsidora, si procura Uno spion che intese Bisantona,
Di buona guardia in ciascheduno lato, Ad Irlacon di fatto si rassegna,
Dicendo: Serenissima corona
Si che la terra star possa sicura
Mentre che 'l campo sarà saccheggiato; Così ho inteso; e disse la convegna
Che se pur tradimento si facessi Di Bisantona, e che s'avessi cura,
Il certo per lo'ncerto non perdessi. In questo il popol vien fuor de le mura.
225 226
CIRIFFO CALVANEO

CVIDI CXV

Non dette lo spion si presto indizio Tutti sbuccavan fuor de' padiglioni
Ad Irlacon che possa provvedere, Sentendo gridar fuoco, e sangue, e carne:
Ma visto chiaro il futuro supplizio Eravi tal che le sue guernigioni
Che vien sopra di lui, nè il può tenere, Aveva in braccio, e non sapea che farne;
Or questa volpe, chè piena di vizio, A chi manca il cavallo, a chi gli sproni,
Parve ch'avesse l'occhio del cerviere. E non ha tempo da poter cercarne,
Inteso il caso, e sentito il romore, Nè sa chi dimandar di quel che manca,
Cangiava sopravvesta e corridore. Ma ognun quello che può pigliaed arranca.
CIX CXVI
Armato non di meno di tutte armi Ben si potevan chiamar genti rotte,
Da regger, come già dissi, a le botti, Vedendo isviluppar quella canaglia
Edice al cancelliere : I' vo' avviarmi, Per boschi e balzi, e per fossati e grotte :
ARocca franca, e quivi aspetterotti. Chi sdrucciola, o percuote e chi si scaglia
Con Sinefido non voglio abboccarmi, Giù d' una ripa, e dà poi si gran botte
Edipartissi senza far più motti. Che'l sangue e le cervella ivi sparpaglia,
Ned alcuna notizia ad altri dienne, E tutti nel fuggir comunemente
E sotti dir, che non disse a alcun vienne. Maledicon Maçon divotamente,
cx CXVII
Già era Bisantona, e Sinefido Ed Irlacone, e chiunque serve a vecchi,
Ed Andreon con tutte lor masnade Perchè non hanno discrezion nel cuore :
Passati l'antiguardo, e messo a grido Così fuggendo via fra sterpi e stecchi,
Il campo tutto, a fuoco, ed alle spade, Il campo si sgombrava in un furore;
E gionti a' padiglion, con grande strido, EBisantona par che gli punzecchi,
Chi si difende, e chi fugge, e chi cade, E quei ragghiando quai micci in amore
Chi di rubare, e chi far fuoco traccia, Fuggon dinanzi a lei, perch'ella macera
Chi ragliuppa, e chi taglia e chi straccia. La carne e l'ossa, e l'arme trita e lacera,
CXI CXVIII
Sinefido di tratto ne fu ito Non si fe' tal macel d'uomini a Canni,
Al padiglion del re, e crede avere A Troia, o a Tebe, a Sacra, ne in Tessaglia,
Quivi a man salva il vecchio, chè fuggito, Qual si fe' qui, e tale aveva a panni
Trovovvi Sinefido il cancelliere; Il fuoco appreso, e nel fiume si scaglia
Che rassettava per pigliar partito, Per riparare a' suoi ultimi danni,
Qual per temenza gli disse : Messere Che contro al fuoco non vale schermaglia.
Se mi prometti salvar la persona, Anco facendo più quando si frugola,
Insegnarotti dove è la corona; Ed evvi alcun che bocheggiando mugola.
CXII CXIX

Ed anco il suo tesor, ch'egli ha mandato Chi qua, chỉ là, chỉ giù, chỉ su si fuggono
Sta notte quando mando via il prigione. Facendo il fuoco, e l'arme operazione,
Mentre diceva fussi inginocchiato, E guai a quei che in campo si rinchiuggono
E Sinefido che l'orecchio pone Dove sia Bisantona ed Andreone ;
Ale parole sue, l' ebbe fidato E finalmente gli autor conchinggono,
E la risposta in tal modo propone, Che settecento migliaja di persone
I
' non cerco ricchezza, i' bramo onore, Fur morti in più battaglie a questa guerra
Sia tuo il tesoro, e'nsegnami il signore. Di quei del campo, e di quei de la terra.
CXHI CXX

Immediate it cancellier levossi Fuggita quella ciurma e'l fuoco spento,


In piede, e destro montava in arcione, Si ritornava ognuno in Samastia
E lui e Sinefido furon mossi Con la vittoria, e di preda contento,
Seguitando la traccia d' Irlacone. Di tesor, di cavagli e salmeria ;
Vedi uom fedel, che cancellier dir puossi, E Sinefido nostro non fu lento
Credi che la farebbe anco a Macone : A cavalcar, nė si posò per via
O Sinefido, questo traditore In tutta notte, e si veloce andorno
Nonfarà meglio a te, ch'al suo signore, Che raggiunse Irlacone al far del giorno.
CXIV CXXI

Lasciamo andar costoro a lor viaggio, Quale era appunto fermo per discendere
E ritorniamo a Bisantona in campo, Giù del destrieri ad una fontanella,
EdAndreon col Pulican selvaggio, Volendo alquanto refrigerio prendere
Che ciascun par una folgore, un lampo, A l'acqua fresca, ch'è nitida e bella,
E fuoco e sangue è per tutto il rivaggio, Ne teme più de' nimici l'offendere :
Sicché chi può si sfugge per iscampo E Sinefido a lui: Restati in sella ,
Apiede, ed a cavallo, e disarmati, Malvagio traditor, o tu t'arrendi
E di quei v'è che son mezzi abbruciati. Prigione, o col tuo brando ti difendi.

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227 CIRIFFO CALVANEO 228

CXXII CXXIX

Irlacon, sente, e volto, e visto, e inteso Dicendo: O Dio, può esser che costui
Le sue parole, e di fatto il conosce, Abbi lo spirto mai di Satanasso,
E' tutto impallidissi il volto acceso, Alzando il brando per ferire; e lui
E ne l'arcion gli tremano le cosce ; Con una punta lo percuote basso
Pur forza fu d'aver partito preso Sotto lo scudo, e tutte l'arme sui
Stimando quivi insieme di sue angosce ; Passolle, e credo che di vita casso
Ma non vuol far però del giuoco tavola, L'avrebbe, se non fosse tanto avaccio
Per non esser vivendo morto in favola. Venuto il colpo, che gli die' sul braccio.
CXXIII CXXX

Dicesi la paura esser divisa, Aveva Sinefido come è detto


:
Ma forse che la fu senza misura, Alzato il brando, e sentendosi pugnere,
E Irlacone che sel crede, s'avvisa Si per la doglia, e la rabbia, e'l dispetto,
Di fare a lui con le grida paura, Ch'allotta insieme si venne a congiugnere,
E la sua sopravvesta ebbe ricisa Che lo adamante non arebbe retto
In pezzi e discoperta l'armadura; Al colpo, e venne appunto a sopraggiugnere
Ma nondimanco la paura è sua Il brando a mezzo il braccio d' Irlacone ,
Perchè gli avea la parte d'amendua. Che di netto il taglioe, quale un melone.
CXXIV CXXXI

Eperché vede che ne' va il suo resto, Irlacon per la doglia sbigottito,
Aver buon mostra per cacciar costui Visto cader in terra il braccio, e il brando,
Se lo cogliessi ; ma non è già questo Non vede altro riparo, ed è fuggito
Uom che fuggissi mai pel dir d' altrui ; A tutta briglia, il destrier speronando ;
E trasse il brando furioso e presto E Sinefido, ch' era invelenito
Irlacone, e faceasi contro a lui, Per la ferita, lo segue gridando:
Gridando : Traditor, tu se' condotto Ahi cane, se da can foggir tu sai,
A tal ostier, che pagherai lo scotto. Se tu non metti l'ale, ci starai.
CXXV CXXXII

Era di campanil questa cornacchia, E spronando il seguia per la foresta


Oformica di sorbo, che non esce. E brevemente gli passava innanzi,
Irlacon frappa pure e grida e gracchia, Enel passar traeva inver la testa
Ma a Sinefido il troppo dir rincresce, Un man rovescio, come i' dissi dianzi
E col destriere ha saltato la macchia Conmolta rabbia, e giunse il brando asesta
Per essere in sul prato, e del bosco esce, Tra capo e collo, e par che questo avanzi
E mill anni gli pare a le man fussino, Ognialtro colpo, e'n tal modo lo zombola,
E che co'brandi l'un l' altro si bussino. Che la testa di netto in terra tombola.
CXXVI CXXXII

Conosce Sinefido che bisogna In quel che Sineſido si rivoglie,


Co' fatti por da canto le parole : E l'ha veduta rotolar per terra,
Per dar principio a grattargli la rogna E l'alma giả n'è ita a Male-boglie,
Isciorinava il brando come e'suole; E'l corpo rovinava appunto in terra,
Ed Irlacone anco non dorme, o sogna, E'l destrier voto pel prato s'avvoglie,
Ma se riceve un colpo, dar ne vuole Sinefido dal suo si scaglia a terra,
Un altro, come par che sia dovuto , Epe capegli il capo d' Irlacone
E per temenza gagliardo è venuto, Prendeva, e rimontava in su l'arcione.
CXXVII CXXXIV

Inmodo tal che non pareva veglio Ringraziando Gesù, e la Madre, e i Santi
A' fieri colpi con la gran destrezza, De la vittoria col divino aiuto,
I quai traeva, tanto ch'io mi sveglio Benchè'l suo cuor e gliocchi hapiendipianti,
Qui con la mente che colpi accapezza, Credendo aver Ciriffo suo perduto;
Simili, si ch'io non so dare il meglio E ritornando, si vedeva avanti
A qualunque di lor : tanta fierezza Il cancellier ch'era seco venuto,
E ne l'uno e nell' altro si discerne, El'un e l'altro il destrier mette a correre
Ch'io non ci so vantaggio ancor vederne. Per dare aiuto, e la terra soccorrere.
CXXVII CXXXV
Sentivansi lor brandi zufolare, Or lasciam qui costor cavalcar forte
Che pareau proprio fischi di serpente: A tutta briglia verso Samastia,
Vediensi punte, e rovesci menare Dove è tornato ognun dentro a le porte
Tondi, mandritti, e spesso alcun fendente, Con la vittoria, come dissi pria,
E qualche volta la testa chinare Dove poi sendo le persone accorte
Pel colpo insino al collo del corrente, Di Sinefido, gran malinconia
E Sinefido pien di duolo e slizza Vi fu, non si trovando in nessun lato,
In su le staffe in un tratto si rizza; O vivo, o morto sendone cercato.
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CIRIFFO / CALVANEO

CXXXVI CXLIII

Per la qual cosa con afflizione Usciti fuor col Pulicane appresso,
Addolorati stanno, e meschinelli; Sinefido lo vol sempre a le spalle:
Poi visto giunto il nobile campione, Similemente il cancellier con esso
Ch' avea l'orribil testa pe' capelli , Passando selve, boschi, piani e valle.
Ciascun gridando : Vittoria, Macone, Lasciamo andar costor; torniamo addesso
Correva, anzi volavan come uccelli A que' provvigionati con le balle
Per veder Sinefido e quel teschione Dov'era d'Irlacone il gran tesoro,
Del lor nimico barbuto vecchione. E'l povero Ciriffo era con loro.
CXXXVII CXLIV

Gran festa ne faceva Bisantona, A Rocca franca le some lasciorno,


E del suo Sinefido infiamma e gode E con Ciriffo passarono avante,
Quanto più il vede, e quanto ne ragiona ; E finalmente in Troncavalle entrorno
In assenzia di lui da molte lode ; Edettono il prigione a Carpisante.
Ma Sinefido, ch'altro amor lo sprona, Letta la lettera, aspettava il giorno
Pel suo Giriffo si consuma e rode, Perchè già era ascoso l'emicante
E brama solo a quel salvar la vita, Sole, e l'aere tutto pien di stelle,
E vuole immediate far partita. Nè la luna dal monte anco si svelle.
CXXXVIII CXLV

Ma prima vuole consiglio e parere Ciriffo messo in fondo d'una torre


Di Bisantona, e simil d' Andreone, Fu per la notte, con oltraggio, e scherno,
Avendo avuto quel dal cancelliere, E piangendo col cuor, ivi ricorre
Che fu, come li disse, d' Irlacone, A l'aiuto di Dio, signor superno.
Pel cui consiglio mandossi un corriere, E Carpisante non si volle opporre
Come vedrete appresso la cagione, Ad Irlacone, ed ordino il governo
In Troncavalle, prima che finita A Grifonante suo fratello, e disse,
Sia di Ciriffo la dolente vita. Che la mattina il bisogno fornisse.
CXXXIX CXLVI

EGnalmente il consiglio che delle A Grifonante mille anni gli pare


11 cancelliere a seguizion si misse, Che il giorno sia, e fa mettere in punto
E diecimila cavalier si melte Quel che bisogna. Or mi convien tornare
In punto, e par ch'ogoun di fuori uscisse Al fante, che con la lettera giunto
Con sopravveste, e bandiere, e trombette Tutto affannato, ed è pel camminare
Di Irlacone, e'n tal modo prima scrisse Sudato, stanco, impallidito e spunto,
A Carpisante, e dice, che sostegna E giunse a punto a la sgocciolatura
Tanto vivo il prigion, che lui ne vegna. , Di Ciriffo, che trema di paura.
CXL CXLVII

Edice avere avuto la vittoria, Già era l'Aurora a l'Orizzonte,


E preso del prigione il suo fratello, E cominciava la merla a squittire,
E con esso ne vien con festa e gloria E Grifonaute con le voglie pronte
Per veder crocifigger questo e quello; Si cominciava giá l'arme a vestire
E scrisse il cancellier con gran memoria Per andar fuor con la giustizia al monte,
In nome d' Irlacone e col suo anello Ove doveva Ciriffo morire :
La lettera suggella, e manda un ſante E giunto il fante, e intesa la proposta,
Fidato che la porta a Carpisante. Fu la giustizia per allor deposta.
CXLI CXLVIII
Partito il messo, i diecemila fuora E in tutte le città, ville e castella
Usciron tutti armati in su l'arcione, Si fece fuochi con bonaccia e festa,
E Sinefido vol che Carsidora Avendo inteso si fatta novella
Sposata sia, e ſu da Andreone De la vittoria, ch'è lor manifesta ;
E Samastia, e ciò che tiene allora Ma poi non parra lor già buona o bella
Perdote le consegna ogni ragione Quando vedranno celebrar la festa,
Consenziente il popolo, e la madre, Di Ciriffo e del Povero Avveduto,
Ordinandodi far nozze leggiadre. E fia pure Irlacon che arà perduto.
CXLII CXLIX

E Bisantona quivi si rimane Lasciam costor con le buone novelle,


Per compagnia de la regina Frola, Che di tosco per manna ora si pascono;
Ed Andreon dono il suo Pulicane Ma e' si pasceran sopra a la pelle
A Sinefido, e disse tal parola Perchè non sanno ben dove le nascono,
Aquel : Fa che tue forze non sien vane, Queste non saran pere carovelle
Egiorno, e notte al suo comando vola. Che rare volte omai pel porco cascono,
Ecosi detto prendevan licenza Anzi fian sorbe rigide, ed arcigne ;
Piangendo tutti in quella dipartenza. Aspetta pure, e vedrai se la cigne.
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CIRIFFO CALVANEO

CL CLVII

Or mi bisogna indrieto ritornare Ed anco tu guadagnerai lo scotto,


A Sinefido ch'era a quattro miglia Non dubitar: tu arai bene la tua:
Appresso a Rocca franca, e ne l'andare Io te ne lascierò un pizzicotto
Col cancellier parlando si consiglia, Di questi forzeretti, almanco dua.
E dicea sempre volergli servare Aspetta pur che'l signor sia condotto,
La sua promessa, e lui a quel s'appiglia, E fatto de' prigion la voglia sua,
E per aver quel tesor d'Irlacone, Raspante mio, i' ti farò concedere
Arė passato Gan, Giuda e Falcone. Cosa che forsi non tel dai a credere.
CLI CLVILI
Aveva detto il traditor sovrano Così dicendo pel procinto vanno;
A Sinefido che vol ire avante E fermi de la rocca in su l'entrata,
Per tor la Rocca a quel ch'è castellano, Il cancelliere astuto, e pien d'inganno
Ch'era per nome chiamato Raspante, Si voglie indrieto, e studia la brigata :
La quale era la chiave al monte, e al piano Iscaricate presto, col malanno,
D'ogni paese a quella circostante, Recate dentro quella che posata,
Nè mai si vide Rocca si mirabile, E quegli ammaestrati, a ogni balla
E certamente l'era inespugnabile ; Ne entra sotto quattro con la spalla.
CLII CLIX

E dice: Se la Rocca non s'avessi, E pareva a veder che vi crepassino


Saresti entrato qua nel laberinto ; Ed eron piene, si può dir, di vento,
E se quel castellan se n'accorgessi E cosi par che ne la rocca passino,
Voi non aresti mai pure il procinto Ed a fatica n'è dodici drento,
E mio amico: io anderò là istessi Che que' di sotto par che cominciassino
Con qualche soma, e parlerogli finto Inel procinto a dare impedimento
Con otto, o dieci per voler riporre Aquelli del castel, ch'eran li fuori
Le some drento, e piglierem la torre. I quai gridavan forte a traditori.
CLIII CLX

E presa, farò fumo in su la cima : Raspante ch'ode, e prese gran sospetto,


Veduto il cenno cavalcate via, E destramente il coltel trasse fuore,
Nè d'altro vi bisogna fare stima, E prese un di que' fanti pel zuffetto
La Rocca, e Troncavalle vostra sia. Etrasse un colpo, che gli passò il cuore.
E così detto, per esservi in prima E'l cancellier prese un fatto di netto
Partissi con trecento in compagnia, In su la scala, e in su corse a furore ;
E dette avviso lor di quel che e' faccino Raspante grida. ed un altro n' afferra,
Ne l'entrar dentro, e quei di dentro spaccino. Un altro mando a lui la testa in terra,
CLIV CI.XI

Giugnendo il traditor presso a la Rocca Ein un balen di lui fer mille pezzi :
Con que' trecento, e con più some avante, Queste furon le some del tesoro
Con più trombetti, con le trombe a bocca, Che gli ha risposte , questi sono e'vezzi,
E' sonavon per dar segno a Raspante Che i traditor fanno agli amici loro.
Che la vittoria ad Irlacon sia tocca, Il castellan che savio sempre prezzi
E che tornasse quale uomo trionfante : L'onor più che l'amico, e più che l'oro,
Il cancellier come persona astuta E' pigli esemplo, e specchisi in costui,
Vede Raspante, e ridendo it saluta. Che il simigliante non avvenga a lui.
CLV CLXII

Dicendo: O castellan, ecco Irlacone Torniamo al cancellier ch'era su alto


Con la vittoria, e gran tesor con ello, In cima già de la rocca salito,
Con Carsidora bella, e del prigione Nè più che gionto su, ſe' fare il salto
Che ci passoe, ne mena anco il fratello. Ad una guardia che gli ebbe ferito.
Cosi dicendo l'abbracciava, e pone Caduto isfracellossi in sullo smalto,
In mano al castellan un bel gioiello, Ch' oguun che'l vide ne fu sbigottito,
Dicendo questo ti dono per segno E dentro, e nel procinto fur tagliati
De l'amor ch'io ti porto, amico degno. Del castellan tutti i provigionati.
CLVI CLXIII

Noi abbiam tanto tesor guadagnato Presa la rocca, il cancellier faceva


Che ti so dir che ce n'è per ognuno Il cenno, e Sinefido sendo accorto,
Argento, ed oro massiccio, e coniato : Veduto il fumo, quanto più poteva
Vedi pur quante some qui aduno. Cavalca, benchè fusse il cammin corto ;
Dove son l'altre mostrami in che lato E gionto, quivi restar non voleva
Chè metta insieme queste, e che nessuno, Per non trovare il suo Ciriffo morto,
Guarda, non ne facessi truffa, o natta Non avendo di lui sentore, o indizio,
Ne senza te, che v'entrassi una galla. E molte volte indugio piglia vizio.
233 CIRIFFO CALVANEO 234

CLXIV CLXXI

O pur per discrezion de la sua gente Io vo'menare almanco per iscorta


Ch'avea bisogno di rinfrescamento, Appresso mille buon combattitori,
Fe'come debbe far l'uomo sapiente Che piglieranno il palagio e la porta,
Sendo a cammin, pigliare alloggiamento Come vedranno la zuffa di fuori;
Ispesse volte, e riposa il corrente, E voi terrete un' altra parte accorta,
E riposato ognun resta contento: Che come e' sentiran fare i romori
Dipoi al camminar la gente è fresca, Ne vengan dentro senza stare a bada,
E così par che la via non rincresca. Emettan tutta gente a fil di spada.
CLXV CLXXII
Ultimamente tutti a Rocca franca Cosi fia la giustizia in mezzo messa,
Per quella sera furono alloggiati; E non potranno dentro rifuggire,
Di vittovaglia niente vi manca E voi di qua v'affrontate con essa
Ned a migliore ostier sarieno stati Si che non possin sul monte salire.
Amensa, e poi a l'arbuccia s'impanca Così dicendo a la terra s'appressa
Chi qua chỉ là, in capanne e'n frascati ; Il cancelliere, e volsi dipartire :
E Sinefido il cancelliere informa Con quella compagnia, ch'io dissi dianzi,
Di ciò ch'avesse a far prima che dorma. Partissi, e presto cavalcava inuanzi.
CLXVI CLXXIII

Dicendo che fra tutti quegli elegga Egiunse a Carpisante con furore
Con la debita e breve reverenza, !
Un castellan per la Rocca a suo modo,
E di tal compagnia quivi il provvegga Dicendo come presse era il signore.
Che de la Rocca non sia fatto frodo, Carpisante gli ſe' grande accoglienza,
La qual per me si guardi, e si possegga; E Grifonante suo fratel minore
Che'l tesoro sia tuo confermo, e lodo; Che lo bascioe per più magnificenza;
Ma prima in Troncavalle verrai meco, E si perchè l'amava di buon cuore,
Che nulla vi varrei non sendo teco. Ne sa che bascia Giuda traditore.
CLXVIE CLXXIV

Tu sai il paese, e conosci la gente, Il cancelliere a Carpisante dice


Eda tutti i maggior se' conosciuto: Che melta presto la giustizia in ponto,
Non sarà da nessuno a te presente Che 'l re al sole vol veder le radice
Che quel che tu vorrai non sia voluto: Di que' dua cavalier, come egli è gionto,
Di qui bisogna partir prestamente Benchè e' debb' esser crede a la pendice
Prima che in Troncavalle sia saputo Omai appresso a la terra congiunto,
Il fatto nostro, che se si scoprissi E in sul monte Soſfica vol sia posto
Saremo tutti quanti crocefissi. In croce l'uno, e l'altro insieme a costo.
CLXVIII CLXXV
E cos detto Sinefido andava E cosi detto, Grifonante il mena
A riposarsi pur con l'arme indosso: E mostrogli per croce un gran brocone,
Il cancelliere il bisogno ordinava; Ch'egli aveva provvisto ove con pena
Come prudente non n'è ignoto, o grosso, Dovea morire il povero prigione.
E come l'oriente biancheggiava Di poi per trar Ciriffo di catena
Sinefido a cavallo, ed ognun mosso Disseroe Grifonante il torrione,
Fu in un tratto, e il cancellier d'appresso, Dov'era quel meschin peggio ch' un cane,
E nella Rocca il castellano ha messo, Legato in terra con catene strane.
CLXIX CLXXVI
E molto Sinefido lo commenda Il qual come sentie ruggiar la chiave,
Dell' aver fatto buona operazione : Sendo in quel punto un'ora disusata ,
Che al seguir cautamente attenda Immediate piangendo disse: Ave,
Di riducer Ciriffo a salvazione. Madredi Cristo, Vergine beata !
Diceva il cancellier : Meglio è ch' io prenda Non risguardare a mie opere prave,
Vantaggio, e vadi innanzi per cagione L'anima mia ti sia raccomandata;
Di far mettere in punto la giustizia Ma prima ch'io morissi arei avuto
Prima che giunga tutta la milizia. Car di vedere il Povero Avveduto.
CLXX CLXXVII

Diró a Carpisante che fuor mandi O madre pia, i' te lo raccomando


Di subito il prigion col giustiziere, Per amor di Gesù : difendi quello,
E che 'l re Irlacon cosi comandi, Si che non cada in contumace, e in bando
Il qual di fuori aspetta per vedere De la sua vita, quale io meschinello.
Col suo fratello, e vol che se ne mandi E triema, e suda, e dicia lagrimando
Insieme l'uno e l'altro a suo piacere; Chiamando Sinefido suo fratello.
E voi vi fermerete appresso al ponte, Grifonante, ch' ha aperto, dice ad esso:
ALE

Quale è in mezzo la terra ed il monte . Si, chiamal, che ne viene; egli è qui presso.
TAT

VOLLSV
BL

IDOS'S

S
235 CIRIFFO CALVANEO 236

CLXXVIII CLXXXV

Ch'è venuto per farti compagnia Giunto a la porta, e visto tanta gente,
El'un per l'altro morrà più contento. Tante bandiere, e l'arme del nemico,
Quando Ciriffo tal cosa sentia, Dicea Ciriffo : Ohimè, lasso dolente,
Gli crebbe il duolo, ed ebbe più tormento. Per me non c'è parente, nè amico.
Diceva il cancellier : Su mandal via, 1
O Dio ! si fussi sopra il mio corrente :

Ch'i' voglio ardergli in croce e dare al vento Che aver solevo e col mio brando antico,
Per sepoltura d'amendua la polvere ; O Sinefido mio, tu 'l camperesti,
Cosi vo fare, e lor membra dissolvere. E il tuo Ciriffo morir non vedresti.
CLXXIX CLXXXVI
Disciolti Grifonante i nodi strani Cosi piangendo gli occhi intorno gira
Di più catene, de' piè lo disferra, Quel po' del tempo breve che gli avanza,
Dicendogli: Sta su, sì come a' cani Nè vede alcun soccorso, e pur sospira
Si dice, e strascinavalo per terra, Nè spera, nè può, perder la speranza ;
Sendo legato drieto per le mani, E pur di Sinefido suo rimira
E su le braccia una catena il serra ; Nė vedere il vorrebbe in quella stanza ;
Il corpo è tanto fievole ed afflitto E giunto al ponte levossi il rumore
Ch'a nessun modo e'non potea star ritto. Drento a le mura, e quivi in un furore.
CLXXX CLXXXVII

Chi'l tira, chi'l puncecchia, chi il minaccia, Ciriffo si può dir qual semivivo
E strascinando fu di prigion tratto; Temendo, e raccomanda l'alma a Dio,
Il cancellier con più rigida faccia E dice: O Sinefido, jo pure arrivo
Che nessun si gli mostra, è pronto al fatto, A morte che veduto non t'ho io.
Epure occultamente un fante spaccia E Sinefido non di valor privo
A Sinefido a dir che venga ratto Il brando trasse, e disse : O fratel mio
Che l'andrà bene, ed è inpunto ogni cosa, Eccomi qui : e nel mezzo si scaglia
Ed a suo modo fiorirà la rosa. Col buon destrier e tutti gli sbarraglia.
CLXXXI CLXXXVIII
Inteso Sinefido l'ambasciata, Parve in un tratto la folgore e'l tuono:
Parye che'l cuor un braccio gli crescesse, Veduto Sinefido ognun fu mosso.
Efe' sollecitar la cavalcata, Come Ciriffo vide e 'ntese il suono,
Nè crede veder l'ora che vedesse Si gli destaron tutti i sensi addosso,
Il suo Ciriffo; e gionta la brigata E ride e piange, e dice: O fratel buono,
Tra 'l poggio e'l ponte, vuole che ne stesse Disciolta che tu m'abbi, io son riscosso
Più là tremila tra'l ponte e la porta, E cosi detto e disciolto in un tratto,
Ch'a l'entrar dentro fusse più accorta. Saltava in piede, e più destro ch' un gatto,
CLXXXII CLXXXIX

Conpiùbandiere, e sopravveste, e trombe, E Grifonante rivoglie il destriere :


Con l'arme d'Irlacon, come già dissi, Per torre a dir che se ne maraviglia
Souando siche 'n ville, e 'n valle, e 'ntombe Di questo caso, ma il cancelliere,
Ben deci miglia risonare udissi, Che gli era a lato, gli prese la briglia,
Ene la terra ogni cosa rimbombe, Dicendo : Adagio, fa motto a messere,
Che ha mandato dentro a dir ch'uscissi E quel si voglie con turbate ciglia
Fuor la, giustizia, che la vol vedere, Traendo il brando, e dice : Ah traditore,
Prima che dismontar, del suo destriere. Merita questo il mio sincero amore,
CLXXXII CXC

Era ogni cosa in ordine di drento E Sinefido : E' nol fece a malizia,
E gionto il messo, la giustizia è mossa : Sicchè non ti doler del cancelliere,
Non era Grifonante suto lento, Ma perchè il mio fratello are' letizia
E il cancelliere avea fatto sua possa; Di cavalcare alquanto il tuo destriere,
Ecosi dati gli stendardi al vento, Eper non impedire io la giustizia,
Ciriffo che non vede aver riscossa , In iscambio di lui ti vo' vedere
Piange la morte sua, e del fratello, In croce, come tu il volevi porre,
Sentendo che morir dovea con ello. E non potrassi a la sentenzia apporre.
CLXXXIV CXCI

Avevanlo legato que' ribaldi Il qual disse: Ohime Dio te gli mandi
In su un certo cavallaccio secco, Disse Ciriffo, e la visiera afferra
Che come e' non teneva e suo' piè saldi Tirandol si, che convien che lo spandi
Sentivansi far l'ossa come ecco . Fuor de l'arcione a capo chino in terra.
Un manigoldo ch'era pien di gualdi Que' tremila più là con lance e brandi
Gli punzecchiava il cul con uno stecco, Son corsi dentro, e fanno mortal guerra:
Ed a piè di Ciriffo avean legato Gli altri seimila, ch'eran quivi intorno,
A ciascheduno un sasso ismisurato. Parevan lupi fra gli agnelli il giorno.
238
237 CIRIFFOLACALVANEO

CXCII exeix

Egli avean presi d'ogni banda e passa, Si come Sinefido il fatto intende.I
Si come gente pratica ed accorta. Nel volto tutto 'n un punto cambiossi, 1

Se alcun tornava indietro dardi e sassi Di pallido color poi si raccende,


Piovevan da la torre de la porta. E comando che tutti fusson mossi
Ciriffo in un balen parve s'armassi Aprender l'arme, ed ordina, ed attende
De l'armadura che gli fu apporta In che modo la rocca offender possi,
Di Grifonante, e in sul destrier si scaglia Efinalmente la circonda e serra
i
Col brando suo, e prova come e' taglia. Intorno intorno con diversa guerra,
CXCHI cc

Sinefido per dare al fatto ispaccio Con fumo, e fuochi, e cornacchi perfetti
Fe' Grifonante a suo dispetto e onte, E con passavolante, e spingardelle,
Nudo legare in su quel cavallaccio Edappie sotto certi mantelletti
Ch'era Ciriffo, e saliti sul monte :
Con iscarpeglive pali, e manovelle : 1
Lo fece por sopra quel bronconaccio, Ma su da piombatoi par che si getti
Confitto in ver la terra con la fronte, Tante le pietre, che a veder cadelle
Dice Ciriffo: Or chiama Carpisante, Pareva proprio grandine, che piova,
Che venga a te, e fia qui in uno stante. E sotto i mantelletti ischiaccion l' uova,
εχειν CCI

Aspetta pur che s'il posso carpire, E ne venivan giu si gran cantoni
E'ti sarà attenuta la promessa: Ch'arebbono una cupola sfondata
Poi rivolse il destrier senza piùdire. Di bronzo, non che un tetto di panconi,
Disceso il monte, a la città s'appressa Sicché la gente si fue allargata
Con Sinefido, il valoroso sire, Per non aver di quegli iscapezzoni,
Avendo tutta tagliata e defessa Che non son da fidarsi a la celata,
La gente, ch'era fuor con la giustizia ; E non che i mantelletti, e cappettoni
Cosi punita fu la lor nequizia. Doppi, non aren retto a que' petroni.
CXCV CCII

Già era tutta la terra sottosopra Sì che fu forza di lasciar l'offendere, 1

Eprese assai fortezze le più forte. Però ch'egli offendeva se medesimo


Carpisante che sente e vede l'opra Sinefido, nè può la rocca prendere,
De' suo' nimici, sendo a cotal sorte, Ch' era per rinegar quasi il battesimo;
Con quanta brevità e può s'adopra E pure ispesso la volea contendere,
Per iscappar in quel furor la morte : Ma le più volte aggiugneva al millesimo
Con vittovaglia, e tesoro, e famiglia, De la sua gente che restava morta, H
Ne la rocca fuggi con la sua figlia. De la qual cosa molto e' si sconforta.
CXCVI cent
Ciriffo e Sineſido per la terra Vedendo pur che la Rocca si tiene
Con la lor gente iscorrevan le strade, E la sua gente a poco a poco manca 1
Echi facea resistenza a la guerra, Se non la piglia, lasciar gli conviene
Tutti eran messi al taglio de le spade. La terra, che la torre era si franca,
Se l'autor, che dice, in ciò non erra, Che per battaglia mai l'arebbe, e tienei
In breve for signor de la cittade Che non vi appiccherebbe su la branca:
Col Pulican, facendo festa e gloria, Giammai senza trattato, o fame, o patti
Si per Ciriffo e si per la vittoria. S'arebbe, e puossi dir castiga matti.
CXCVIL CCIV

E riposati con molto solazzo Ultimamente fece suo proposito


Si fur la sera, e non vi fu aranda Di mandar per soccorso a Samastia
In nessun luoco, e massime in palazzo, Emandò il cancellier che fe' l'opposito
Anco copiosamente di vivanda ; Che gl' interruppe il passo a mezza via ;
E la mattina tutto il popolazzo E volle il gran tesor ch' era in deposito,
Andonne in piazza, e ciaschedun dimanda Ede la rocca anco la signoria
Fidata pace, e leal servidore Per se si tolse, e non l'ebbe a combattere
Ciascun si giura d'essere al signore. :
Pensando di mai più potersi abbattere,
CXCVIII cev

Sinefido che tiene il seggio, e il titolo, D'avere cosi l'opra mezza e monda,
Benché Ciriffo è eguale tuttavia, Ne vol che su le mosche vi si posiao,
Fe' congregare i maggiori a capitolo, Pensando di menar lieta e gioconda
Per saper del signor quel che ne sia; Quivi sua vita e con lui si riposino,
Della qual cosa presto ebbon chiaritolo Quantunque e' sono allor dentro a la sponda
Come egli avea la rocca in sua balía Del circuito e perchè non ritrosino
Provvista bene, e seco una fantina Punto con lui, ma stiano in pace, e segua
Sua figlia bella, detta Brunaspina. Poi ciò che vole, e fe' lor buona triegua.
239 CIRIFFO CALVANEO 240

CCVI Cext

Ed ordinò ch' ogni strada si guardi Si ch'ogni giorno il vecchio malandrino


La notte e'l giorno, che nessun vi passi Correva come il granchio per la buca,
Apiede, od a caval, vili o gagliardi ,. I'dico a piede, non su l'asinino
Ch'ognun sia morto, ed anco si rubassi, Ch'a la Rocca la roba gli conduca;
Perché novella alcuna avaccio o tardi Ma teneva un fattor detto Achaino
Di Sinefido Andreon non spiassi, Perchè l'aiuti, e dentro gli riduca
Nè l'un de l'altro, e fece tale eccesso Ognor la roba, o le lettre che truova ;
Per non tenere il suo più in compromesso. Cosi dà a Carpisante ogni di nuova.
CCVIL CCXIY

Cosi fu del paese il cammin rotto Or ritorniamo a Sinefido um poco,


Che passar non poteva uno uccellino, Che Ciriffo piangendo ne mandava,
Ch'egli era in un balen pelato e cotto, Dicendo: Fratel mio, pensa in che loco
E chi pigliava s'era suo il bottino, Tu lasci me, e se di me ti grava,
Si che e fanti parean di Gualterotto Ricordati , e ritorna a trar del fuoco
Come per tutto sona tal latino, Il Pover: poi l'abbraccia e sospirava ;
Che andando per far mal facevan peggio, E cosi Andreone e Bisantona
Ecostor non facevan da motteggio, Saluta, e raccomanda mia persona .
CCVIII Ccxv

Avendo avuto non che la licenza Ciriffo non potea per tenerezza
Ma dal signor comandamento espresso, Parlar, tanto gli duol quella partita ;
Che senza alcon riguardo, o reverenza Ma come savio che l'onor pur prezza,
Sia chi si vole, o da longe, o da presso. Va per salvare e l'onore, e la vita
Sicché per non uscir d' ubbidienza E de l'uno e de l'altro con prestezza !
Ciascun soddisfaceva al suo interesso, Gionto a la fonte quel vecchio lo invita
Si che religioso o secolare A colezione, e dice quel ribaldo:
Giugnendo quivi , è gionto o vogli andare. Egli è buon rinfrescarsi ispesso al caldo.
CCIX CCXVI

Cosi fa Sinefido meritato Ciriffo sendo venuto di trotto,


De l'aver salva la vita a costui. Pel caldo, e pel cammino era affannato,
Dicesi che chi spicca lo impiccato Tal che tenuto l'are' del diciotto
Le più volte impiccato è poi da lui, Lo 'nvito, e fu di subito smontato.
Edel gran beneficio l'uomo ingrato Diceva il vecchio: Vo'tu fare iscotto,
Di grande ingratitudin paga altrui , O ber senza chi t'abbi apparecchiato
Nè il traditor del tradir si divezza, Due bicchier meco in su questo lastrone,
Se non si squarta, o incanna a la cavezza. D'un vin ch'io credo il pigliassi Macone !
ccx COXVIL

Torniamo a Sinefido ch'aspettava Disse Ciriffo : E' basta ber due tratti
Soccorso, ma sarà quel di Messina , E l'elmo presto si traea di testa,
Epur la rocca spesso molestava Dicendo: I' non son uso bere a patti
Si come ta faresti ora in foresta.
E la sua gente misera meschina
Di giorno in giorno tuttavia mancava, Il vecchio ride, e del barletto ha tratti
Onde per disperato una mattina Duo' bicchier di cervogia, e dice : Questa
Delibero mandar segretamente Vi caverà per un pezzo la sele,
Ciriffo a Samastia per aver gente, E senza patti in cortesia l'arete.
CCXI
CCXVIII

Avendo molti messaggi mandati, Cosi dicendo faceva un visino,


Nè mai ha auto soccorso , o resposta E Giriffo un bicchier n'avea riposto,
Non ha, perocchè que' non son passati E quel ribaldo chiude un occhiolino,
La Rocca, perchè in più luoghi a la posta Ediceva: Messer piacevi il mosto ?
Son pel cammino inframessi gli agguati Più non ci passerete, io mi 'ndovino,
In piano, in piaggia, in valle, in monte, e in costa, Di giugno, nè di luglio, nè d'agosto,
E Carpisante per una caverna Che meco non facciate collezione :
Teneva fuori un vecchio a far taverna, E'l secondo bicchiere in man gli pone .
CCXIX
CCXII
Ad una fonte in un certo boschetto AGiriffo gli piace e il vetro succia
Senza lasciar nel fondo il centellino,
Ch'era lontan da la terra tre miglia,
Il qual teneva doppio un barletto Ed è già cotto, e presa a la bertuccia,
Edice che vol fare un sonnellino.
Che guai a quet che con bocca ne piglia, Quel traditor ch'avea grinza la buccia,
Perchè s'addormentava a suo dispetto
Immediate, nè reggea le ciglia : Rispose: Dormi, io guarderò il ronzino,
Il vecchio a tradimento gli ammazzava E chiamerotti dopo una mezz'ora.
E ne la rocca la roba mandava. Cosi dicendo il buon loppio lavora.
241 CIRIFFO CALVANEO 242

CCXX CCXXVII
Inmodo tal che si può dir che dorma, D'oggi in domani, e nessuno v'arriva
Che le bombarde non l'arebbon destro; Per risposta, nè gente in suo aiuto,
Edil vecchio assassin, persona inorma , E ne la terra poca n'era viva
L'ha disarmato, e l'ha ligato presto : Per l'aver ogni giorno combattuto;
Pur non segui de gli altri affatto l'orma E col suo Pulican si conferiva
D'uccider, ma tirollo dopo un cesto Del dubbio, e del danno ricevuto:
Di frasche al fresco inverso la marina ; Equel pregato assai piangendo abbraccia,
Poi con quell' arme a la tomba cammina. E'l Pulican fedel per via si caccia.
COXXI cexxvm
Ultimamente il buon destrier e l'armi Ultimamente a Rocca franca giunto,
DaCarpisante furon ricevute Il cancellier gli fe' buona accoglienza ,
Con grandolore e pianto, e ragion parmi E'nteso come il fatto istava a punto
Perché del suo fratel quelle eran sute. Di Sinefido non ha più temenza,
Ora a Ciriffo mio convien tornarmi E fe' pensier, che la notte defunto
Che dorme, ned in se ha più virtute. Sia il Pulicane, e non facci partenza,
•Partito il vecchio donde lui dormiva Perché da Samastia non venga aiuto
Un legno di corsari è suto a riva, A dargli il giuoco, ch'è vinto e perduto.
CCXXII CCXXIX

Per prendere acqua dolce da la fonte, E con parole simulate e finte


Sendo di nave l'auzzino isceso Dimostra il cancelliere al Pulicane,
Con certi schiavi, e salendo sul monte Avendo quasi le lagrime spinte,
E veduto Ciriffo in terra steso Che le novelle gli paiono strane:
Che di sudore ha bagnato la fronte, E disse, quando l'ebbe bene attinte,
Con furia l'ebbon portato di peso Il perchè ne la Rocca si rimane,
In nave: or vedi in un punto si stremo Che l'aveva trovata in gran periglio,
Come Giriffo si trovava al remo. E di trattato dentro era bisbiglio.
CCXXIII ccxxx

Costor non san che dorma per l' oppio E ch'aspettava grande assembramento
Eper destarlo il chiaman col bastone, Da Samastia che vien con Bisantona,
Enon bastino: cominciano a doppio E perchè non avesse impedimento
A sonarlo, dicendo: Su poltrone. Del passo, era restata sua persona.
Pure e' si desta, e viengli grande scoppio 1

11 Pulicane a le parole attento


Stimando fusse quel oste ladrone, Non gli è capace quel che lui ragiona,
Ecerca con la man per trarre il brando, E disse al cancellier voler dormire
Etrova il remo, e tace sospirando. Un breve sonno, poi il cammin seguire.
CCXXIV CCXXXI

E quella ciurma rigida e salvatica Quel traditore in una zambra il misse


Vede che gli pareano nomin di bronzo, Fuor de la Rocca per giocar più netto;
Qual si grattava il capo, e qual la natica Di poi quando credette che dormisse
E le mazzate vi facevan ronzo. Andava per ucciderlo nel letto,
Ciriffo non intende questa pratica, Sicchè più oltre il cammin non seguisse :
E quasi che'l cervel gli andava a zonzo, Ma il Pulicane stava con sospetto
E stava in dubbio se gli è desto o sogna; Con gli occhi d'Argo, e l'orecchie diMida:
Pur come gli altri vogar gli bisogna. Dormiva come quel che non si fida.
CCXXV CCXXXII

Cosi pensoso se ne va per mare : Nè prima il traditor l'uscio disserra


Mazzate a josa e de l'acqua e biscotto, Pur lievemente con molta destrezza,
Avendo sempre a cena ed a disnare, Che il Pulican del letto salto in terra
E lai qual muto tace, e non fa motto E corse in vêr di lui con gran fierezza,
Ognor pensando, e non po' interpretare Con uno strido, e il suo coltello afferra,
In che modo si sia quivi condotto: E quel temendo con molta prestezza
Pur così prese il sale a poco a poco. Un lancio prese, e saltoe nel procinto,
Or ritorniamo a Sinefido un poco, Poi ne la rocca, e l'uscio ebbe sospinto,
CCXXVI CCXXXHI

In Troncavalle, che si maraviglia Indietro si, che 'n un tratto serrossi,


Di non avere indizio, o alcun sentore E'l cancellier su per le scale corre
Da Samastia. e pensando bisbiglia Forte gridando: al grido risvegliassi
Del suo Ciriffo, ed hanne gran dolore. Tutta la guardia, e presto ognun soccorre.
Ultimamente per partito piglia Il Pulican più volte riprovossi
Mandarvi il Pulican pel suo migliore, Di romper l'uscio, è non può de la torre,
Pensando quel tornarsi in un baleno, Nè del recinto uscire, ond'egli adirasi,
Ch' era già stato un anno, o poco meno Equal proprio un leon mugghiando aggirasi.

16
CIRIFFO CALVANEO 244
243

CCXLI
CCXXXIV

Molti provvigionati che di sotto Carpisante gridava : Dagli, dagli ,


Sono a la guardia si come è usanza, Sentendo che rompeva 'l piastron duro:
Al gran romor ciascun trasse di botto Tante le pietre par ch'a lui si scagli
Con l'arme in mano e fuor de la sua stanza; Che tra le gambe gli pareano un muro.
Ma tristo è quel che fuor quivi è condotto Sinefido facea tutti tremagli,
Col Pulicane a la marzial danza, Perchè ciascun temeva del futuro,
Perchè a suo' colpi l'arme non reggevano E già pareva lor vederlo drento,
E di sopra le pietre vi piovevano. Tanta era la sua forza, e'l suo ardimento,
CCXXXV
CCXLII

In modo tal che molti se ne ſugge E cominciava a sgretolare il legno,


Chi qua chỉ là per certe buccherattole, Sendo levato un pezzo del piastrone,
Perchè la Rocca molti ne distrugge, Adoperando la forza e lo 'ngegno
Ne l'aver giù le pietre a giusta trattole. Con la superbia, e la disperazione,
Il Pulican gli taglia, e fora, e rugge; In modo che non v'era alcun ritegno ;
Que' si van sofficcando come piattole Ma la fortuna a tempo vi si oppone
Al buio, perchè lui non gli uccidessi, Che fu in su l' elmo d'un canton percosso
E da due in se si ne ficco pe'cessi . Che tramortito lo mandoe nel fosso.
CCXXXVI CCXLALL

Il Pulican n'aveva morti tanti Immediate de la torre iscende


Che nel procinto sol si truova quello, Carpisante vedutolo cadere;
Benchè nascosi (come è detto) alquanti Con lance, e fune, e raffi presto attende
Se n'eran per paura del flagello: A poterlo del fosso a sè avere
Evisto il cancellier su alto avanti, Benché d'intorno v'è chi lo difende
Trassegli il Pulicane il suo coltello De la sua gente, facendo il dovere;
Stimando pur di dargli ne la testa, Ma da la Rocca venian tanti sassi,
E diè nel merlo, e fisso vi si resta. Che forza fu ch'ognun si discostassi.
CCXXXVII CCXLIV

Avendo visto che'l colpo non colse Aperto uno sportel del rivellino,
Nè vede che il coltello riaver possa, Tirato fa che parve avesse l'ala
Quale un orso ferito si rivolse E messo dentro il Povero Meschino,
Di nuovo a l'uscio, e diegli tale scossa Qual fusse morto il portan per la scala;
Che lo rompeva : se non che gli tolse E Carpisante, il fiero saracino,
Morte in un punto il valore e la possa, Il fe' posare in mezzo de la sala
Che in su la testa gli dette un tal sasso Edisarmarlo a furia e con asprezza,
Che cadde morto e non si mosse un passo. Per mettergli a la gola una cavezza.
CCXXXVIII CCXLV
Cosi finie la sua misera vita Trattogli l' elmo, e la forte corazza,
Il Pulican per questo traditore, Cominciorono i sensi a rinvenire
E la mattina come fu chiarita E risentirsi, mentre e' si diguazza,
L'alba, fu seppellito li di fuore. Qual uom che si svegliasse da dormire,
Adunque non puotė finir la gita E gli occhi aperse, e videsi a la mazza
E l'ambasciata far del suo signore, Condotto e tace con un gran sospire,
Che in Troncavalle aspettando si strugge, E ritto da la turba saracina :
E la sua gente manca, e 'l disio fugge. In questo giunse quivi Brunaspina.
CCXXXIX CCXLVI

Sendo passato già d'oggi in domani, La quale innamorata di sua fama


Partito il Pulican, più di sei mesi Veniva per vederlo così morto
Nè Ciriffo, nè altri amici o strani Credendo e' fusse, ed era molto grama
Nessun sendo tornato in que' paesi, Dentro al suo cuor, ma poi prese conforto
Delibero di cavarne le mani Quando lo vide vivo, e vie più l'ama,
Per disperato, e con tutti gli arnesi E fe' pensier che non riceva torto ;
Guernito una mattina ando a la Rocca Ma perchè le riesca il suo disegno
Ed un gran pal di ferro a l'uscio accocca, Piena si mostra in vêr di lai di sdegno .
CCXL CCXLVII

Dagli e percoti, e ripicchia, e martella E genuflessa innanzi a Carpisante


Di qua di là vogliendo il pal sossopra Posta, piangendo disse : O padre mio
E spiccata n' avea la campanella Per quello amore che porti a Trivigante
Scotendo l'uscio, e le sue forze adopra, Ti priego sodisfacci al mio desio,
E in so le spalle una grossa rotella Ed io vendicherò le ingiurie tante,
Aveva perdifendersi disopra, Sopra a questo ribaldo del mio zio,
E già de l'uscio avea rotta la piastra Che fa pel suo fratel confitto in croce:
D'acciaio grossa qual fusse una lastra. O padre mio, la fu pur cosa atroce.
215 CIRIFFO CALVANEO 246

CCXLVIII CCLV

Non vo' per nulla cosa che s'impicchi, Pur ne la mente alquanto s'assicura
Che farebbe un morir troppo contento, Veduta Brunaspina cosi sola
Anzi che la persona sua si ficchi Ne la prigione tenebrosa le scura,
In fondo de la torre, e quivi a stento La qual da presso la prima parola
Tenerlo un pezzo, e poi che si gli spicchi Ridendo disse : Non aver paura,
Amembro a membro per maggior tormento Ben sia trovato chi il mio cuor invola.
Da la persona sua le carne e l'ossa, J'ringrazio Macon di tua disgrazia,
O con più strazio, ancor pur che si possa. Quale io reputo a me singular grazia.
CCXLIX CCLVI

Opadre mio quand' io penso a l'inganno Avendo te, o famoso mio signore,
Di questo traditore iniquo, e fello, Ne la mia libertà preso e legato,
I
' sudo, e ghiaccio tutta per l'affanno, A cui l'anima mia, e'l corpo, e'l cuore
De la morte crudel del tuo fratello, Liberamente in eterno ho donato,
Edel nostro periglio, e del gran danno ; Se già tu non sarai a tanto amore,
Si che voglia mi vien torre un coltello, Quale io non stimo che tu sia ingrato,
E trargli di mia mano il cuor del petto, Non dubitare; e non aver temenza
Ma nol vo' far per suo maggior dispetto. Che ti sia fatto alcuna violenza .
cer CCLVII
E se tu mi vuo' ben non lo fidare Ma non voler che a Biblis eguale
A guardia di nessun di tua famiglia: I'sia : nè tu qual Cauno crudele
Lascialo pure a me incarcerare, Essere a me, e se il vivere ti cale,
E le chiavi tenère a la tua figlia, Puoi salvar te e me con tue medele.
Ed a mio piacimento sentenziare, Non fia di Mirra il peccato carnale,
Che so che tu ti farai maraviglia Anzi salute d'uno amor fedele:
Com' io lo puniró del suo errore, Io ardo più che Vener per Adone
E vedrassi dipoi quel ch' ho nel cuore. Per te, e in te sta tua salvazione.
CCLI CCLVIHI

Veduta Carpisante Brunaspina Cosi dicendo, gittossigli al collo


Feroce e tanto pronta a la giustizia, E le lagrime fuor de gli occhi spinse,
Gliel consente dicendo: Oltre cammina Einbocca, e'n fronte, e negli occhi basciollo,
Con esso, e punirai la sua nequizia ; Ed anco Sinefido non si finse.
Non conoscendo quella volpicina, Di poi la bella dama disferrollo
Che nel cuor ride, e piange per letizia, Di piedi e de le mani, anco il discinse
Sperando nel tenerlo a suo governo D'altri legami che il tenieno stretto
Fargli mettere il diavol ne lo 'nferno. Legato in su le braccia e intorno al petto.
CCH CCLIX

Ecosi son menate l' ocche a bere, E mentre che la dama lo díscioglie
Qualche volta da papari in su monti: Combatteva col senso la ragione,
L'orso è qui posto a guardia de le pere, E l'on vol soddisfare a le sue voglie
Pensa tu che credi che questa s'affronti. Di quella dama, e l'altro vi si oppone ;
Cosi fu încarcerato a suo piacere Pure in sostanza l'effetto raccoglie
Con rigide parole ed atti pronti, Di consentir per sua redenzione,
Che par bench' ella facci da dovvero Con intenzion di far questa pagana,
Ma il diavol non fia poi quel pinto nero. Giusta sua possa, diventar cristiana.
CCL111 CCLX

Rimansi Sinefido con gran doglia Sendo disciolto, disse: Anima mia,
Incarcerato, e non ha più speranza Se amor tanto per me ti punge e sprona,
D'alcuno aiuto, e triema come foglia Jo mi ti dono, per ben che tuo sia
Ne sa che Brunaspina sia sua manza, Di volontà, e l'alma e la persona.
La qual di sua salute avea tal voglia, Compreso ciò che la dama disia,
Ch'ella non ebbe in se tanta costanza, Per ispacciar il fante a Barzalona
Ch'ella aspettasse che fasse ben sera, La bestia è in punto, e caricò la soma
Ma soletta n' andoe dove lui era.
A stento, perché la non era doma.
CDLIV CCLXI

Come e' senti disserrar la prigione Pur con lusinghe tanto ognun sospinse
Piangendo disse: O Vergine Maria Che in su gli arcioni si poser le balle,
Per tua pietà, e per la passione Ed anco le ' nvolture vi si tinse
Del tuo figliuolo, in aiuto mi sia. D'altro colore che le viole gialle.
E dicendo col cuor sua orazione La soma col randel tanto si strinse
Vide soletta la dama giulia Che e's' accordorno insieme a scaricalle:
Con picciol lume, e vien tacitamente, Sendo il cammin pur faticoso e stretto,
Nè altro mormorio d' intorno sente. Vi fu chi pianse presto tal difetto.
247 CIRIFFO CALVANEO 248

CCLXII CCLXIX

Ma molte volte par che'l pianger giovi, Opadre mio, i' tel chiego di grazia,
Massime il pianto che vien da natura, O padre mio, consenti che si squarti ,
Se non avvien per caso ch'altri truovi O padre mio, io non sarò mai sazia,
Qualche persona dispietata e dura, O padre mio, se non lo veggo a quarti;
Lei poco stante vol che si ripruovi, Imperocchè costui il cuor mi strazia
E più volonterosa, e più sicura E son disposta prima ch'io mi parti,
Si gli dimostra, che prima non era, Che tu consenta a la tua Brunaspina..
Nè ebbe mai ancor la miglior sera . Che con mie man lo squarti domattina.
CCLXIII CCLXX

Cosi in benedett'ora fussi avezza, Così dicendo gli occhi di costei


Che poi tornava volentieri a l'esca. Parevan ciascheduno una fontana,
La prima sera non fu già la sezza Tante lagrime spande : o sermon rei,
Nè creda alcun che'l giuoco le rincresca. O arte, o industria di femmina vana !
Ell'era cotta, fracida, non mezza ; O sempliciotti ispecchiatevi inglei,
Non è da dir com'ella stava fresca , Ch'are' fatto di lagrime una chiana,
Benchè in carcer Sinefido istia Che uscivan de la fonte di malizia
V'era tenuto a nozze tuttavia. E tutte n' hanno a lor posta dovizia.
CCLXIV CCLXXI

E cosi otto notte tutte quante Carpisante veduta la sua figlia 1

Sendo passate al medesimo modo, Tanto infiammata al suo voler disposta,


Di poi lo nono giorno Carpisante Per tenerezza abbassava le ciglia ; 1

Si fu deliberato, e posto in sodo Non potè quasi fare a lei risposta,


Farsi menar Sinefido davante Nė discerner parola, anzi bisbiglia
Con la cavezza al collo, e 'l capio, e 'l nodo Né altro disse : Uccidilo a tua posta,
Acconcio, e dargli in guardia la terina : 1 O padre isciocco, o sciocco chiunque crede
Così disposto il disse a Brunaspina. A lagrime di donna, o presta ſede !
CCLXV ССЬХХІІ

La quale inteso l'animo del padre,. Avuta Brunaspina la licenza


Ebbe di fatto pensato il rimedio In piè levossi ch'era ginocchione, प
Per Sinefido, e disse : O caro padre E fatto ch' ebbe al padre riverenza 1

Se tu non voi tenerlo più a tedio Rimandoe Sinefido a la prigione,


Fal venir su, ch'i' te ne priego, padre, Qual semivivo per la gran temenza
Ma per mettergli al cuor mortale assedio, Era facendo in se disputazione
Quando sarà in tua e mia presenza Donde proceda di costei tal furia,
Lascia a mio modo dargli la sentenza. Che l'abbi mossa a si crudele ingiuria.
CCLXV1 CCLXXII

l'gli protesterò per domattina Nè può per nessun modo investigare


La morte, e di mia mano il vo' squartare. Per qual colpa costei l'ha sentenziato
Questo gli fia al cuor gran disciplina Cosi a furia a volerlo squartare,
Che tulla notte il farò consumare. Essendo suto al suo voler parato;
Carpisante rispose a Brunaspina : Se non che sente dentro repugnare
I
' son contento, va, fallo menare, La coscienza , e incolpane il peccato,
Lei con alquanti a la prigion fu ita E dice : Dio ch'è giusto ha stabilito
E quella aperse, rigida, e gradita . Il ben remunerato, e 'l mal punito.
CCLXVII CCLXXIV

E per non dare indizio del suo fallo O intelletto cieco, o mente insana,
Ne la prigion con gli altri non entrava, O fragil senso, o carne corrottibile,
Ma comando che dovessin menallo O volubile vita , o speme vana,
Presto di fuori e quivi l'aspettava ; Fuggi l'iradi Dio se gli è possibile :
E sol de' piedi fece disferrallo, Or ti conosci, or prezza una Pagana
Edal suo padre lo rappresentava, Più che'l poter del signor invisibile ;
Dicendo a Carpisante : O padre mio Meritamente tal supplizio è dato,
Ecco quel traditor ; malvagio e rio. Chè si purghi la colpa col peccato,
CCLXVIII CCLXXV

Ecco colui ch' ha guasto ogni disegno, Costei èquella che mi fece offendere
Ecco colui ch'ha diserto il levante, Il mio Signor, costei mi vol punire,
Ecco colui ch'uccise Irlacon degno, Costei è quella che mi dette a'ntendere 1

Ecco colui che ſe' morir Raspante, Di farmi salvo, e or mi fa perire :


Ecco colai ch'ha destrutto il tuo regno, Costei è quella che mi fe' conscendere
Ecco colui che spense Griffonante, A quel ch'i' non dovevo consentire :
Ecco colui che a guardia to mi desti, Costei è quella che mi fa ribello
Ecco colui che squartare dovresti. Esser da Dio, che mi manda il flagello.
CIRIFFO CALVANEO 250
249

CCLXXVI CCLXXXII

Or questo esempio sia a l'uman secolo E sì come Moisè da Faraone


Quando esser dee una ſemina stabile; Libera me da tanta contumace,
Or questo ripensando io mi trassecolo E Daniel del lago del leone,
Ch' ella sia tanto rigida e voltabile : E' tre fanciui de l' ardente fornace,
Or questo sol dal mio peccato artecolo. E Susanna dal falso testimone,
O benigno Gesù, deh, sia placabile : Cosi libera me, Signor verace,
Peccavi, Domine de' commessi errori E come liberasti già Davitte,
Tu perdonasti a tuo' crucifissori. Signore, il servo tuo nunc dimitte.
CCLXXVII CCLXXXIV

Perchè tu se' di misericordia empio, Ovirgo mater Dei umile e pia


E chi pecca e s'ammenda, fai felice : Del peccatore refugio e speranza,
Tu perdonasti a l'adultera nel tempio, Se mai fosti benigna a prece, or sia
Ed a la Maddalena peccatrice, A me indegno, e mostra tua possanza,
Dov' io mi specchio, e piglio per esempio Non risguardando a la mia vita ria,
Queste, e de l'altre assai, come si dice, Prodigo nel peccar, pien d'arroganza :
La Cananea, e la Samaritana, Or con la mente ho letto il mio processo
Lor fede, e la speranza non fu vana. De la mia vita, e conosco me stesso.
CCLXXVHI CCLXXXV

Signor tu perdonasti ciascun fallo E chiaro veggo avere offeso tanto


A Matteo pubblican ch'era perduto, Il tuo dolce figliuol : ch'i' non son degno
E perdonasti a Pietro poi il gran fallo Di grazia alcuna; o per quel sangue santo
Che ti negoe: i' t'ho sempre creduto. Ed innocente che sparse sul legno,
Non dico,questo per improverallo, Col cuor ti priego, e con sospiri e pianto,
Anzi mi doglio, e pento, e chieggo aiuto: Che tu non abbi la mia prece a sdegno,
Peccavi, Domne, tu sai ben ch'io fe' Ma per la tua pietà, ch' ogn' altra eccede,
Tal fallo per salvar costei, e me, Perdoni. a me, e mostri tua mercede.
CCLXXIX CCLXXXVI

Sperando ne la tua misericordia, Deh, volgi al tuo figliuol pietosi gli occhi
Ma non si de' peccar con tal fidanza : E priegalo per too, non per mio amore,
Signore, io pur vorrei teco concordia: Che mi perdoni, e priego t'inginocchi
Perdona al peccator, pien d' ignoranza, Davanti a lui per questo peccatore,
E non guardare a la semplice esordia, : Se voi che la sua grazia in me trabocchi,
Risguarda al cuore, e piglia la sostanza, E trarmi d' esto labirinto fore:
Benchè grazia non merti il fatto atroce: Io te ne priego; i'mi ti raccomando :
Tu perdonasti al ladron pure in croce, Tu mi puoi trar di contumace e bando...
CCLXXX CCLXXXVУП

Ed a Saul la gran persecuzione; Per tutte l'allegrezze, e pe' dolori,


Cosi perdona a me per tua pietà Maria, che ricevesti in questa vita,
E per la santa tua incarnazione, Ti priego, e sì per tutti i novi cori
E per la santa tua natività, Del ciel, dove tu se' tanto gradita,
Eper la santa tua circoncisione Che al tuo figliol, ch'è signor de' signori,
Pel tuo santo battesmo che si da, Per me supplichi, e spero che esaudita,
Per la tua passione, e santa morte, Sarai: io non so più che mi ti dire,
La qual ci aperse le celesti porte. In manus tuas non mi lasciar perire.
CCLXXXI CCLXXXVIII

Per la tua santa resurrezione Febo già s'era ascoso di tre ore,
Perdona il fallo mio, o Gesu santo, E l'aere serena fatta bruna
Per la ammirabil tua ascensione Era, e le stelle con loro splendore
Ten prego; e come lo Spirito Santo Si vedean lampeggiante andare alcuna:
Mandasti, manda me defensione Fior, fronde, erbe, ombre da l'umido umore
Per quanto ami Maria, o santa, o santo, Eran bagnate, nè lucea la luna
Ed etiam tutto il glorioso regno: Alo emisperio nostro, ma vicina
Signor perdona al peccator indegno. Era, quando giugneva Brunaspina
CCLXXXII CCLXXXIX

Ecome liberasti Enoch, eElía A la prigione, e quella disserrava


Da la morte, ed Abram già da' Galdei, Per trar l'amante suo di labirinto,
E Noè dal diluvio qual fu pria, E come a Sinefido s'appressäva
E Giobbe poi da tanti affanni rei, Con lume, il vide impallidito e vinto
E come Isacco par libero sia Da tanta doglia, che più non parlava,
Dal sacrificio, e Lotte da gli omei . E poco men che fuor lo spirto ha spinto,
Di Soddoma sommersa già per fuoco: Şi pel fervor di sua lunga olocasta,
Signor, libera me di questo luoco. E del morir l'affanno che 'l contrasta .
251 252
CIRIFFO CALVANEO

CCXC CCXCVII

Giugneva Brunaspina a lui ridendo, Tunon sa' bene ancor questa fortezza
Ma vedutoldi poi in tanta angoscia Come e'l'è fatta, e quanto e' l'è copiosa
Cangiossi tutta, e diceva piangendo: D'uomini dentro : ella sare' mattezza
O signor mio, e con le man si croscia A voler camminar per la sassosa,
Nel volto, e sè medesma riprendendo Potendo ir per la piana con dolcezza,
Faceva giù pel suo petto una stroscia E gir per la montata scropolosa;
Di lagrime, e 'n un punto suda e ghiaccia: Anco vorrei per esser più sicura
Cosi piangendo Sinefido abbraccia. Che tu guernisti me d'un' armadura ;
CCXCI CCXCVIL

Oimė, signor mio, ta non rispondi La qual fu del mio zio, che'l tuo fratello
Ala tua fedel serva Brunaspina ? L'aveva indosso poi, quando fu morto
Deh non temere, oime tu mi confondi, A una fonte qua fuor del castello,
Ma spera avanti che sia domattina A tradimento, e fugli fatto torto,
Che noi siamo a cammin lieti e giocondi, Edisse quando e come il vecchio fello
Con l'armadura, e daremla a la china ; L'arme e'l cavallo a Carpisante ha pôrto.
Revoca e sveglia i tuo'smarriti spirti Sinefido per doglia un mugghio getta
E'ntendi e gusta ciò ch'i' vengo a dirti. Giurando a suo poter farne vendetta.
CCXCH CCXCIX

Veduto Sinefido il tener pianto, E così detto Brunaspina corse


E inteso dir dell' arme e del cammino, Per l'armadura, ed un doppiero accende,
Riprese cuore, e riebbesi alquanto, E Sinefido senza stare in forse
E' sensi ritornorno in lor dimino; Armolla presto e poi la spada prende,
E Brunaspina lo disciolse intanto E quella sfoderoe, e lei gli scors-e
E diegli un bacio, e faceva un risino, La via innanzi e ne la tomba iscende,
Dicendo: Dimmi che ti par'da fare, Ed era appunto quando in quella entrorno
Vo'tu ch'io t'armi, o facciti isquartare ? Du'ore o poco manco avanti il giorno.
eexc ccc

Ah sempliciotto, credevi tu ch'io Tremava Brunaspina di paura


Fussi tanto crudele o tanto istolta ? Per la caverna, ed arrilento andava
Isquarterei in prima il padre mio Avante, non pareva esser sicura
E la mia madre, ancor che sia sepolta E 'ndrieto del suo padre dubitava,
Con le mie proprie mani, e del mio Dio E anco l'impediva l'armadura :
Per tuo amore sare'de la ſe volta Pur Sinefido la sollecitava,
Prima che sofferir che tu morissi; E fin che non si vede a la campagna
Ma feci perchè il tratto riuscissi. Gli pare essere un tordo ne la ragna.
cexelv CCCI

Veduto il padre mio disposto al tutto Aveva Febo già distesi i raggi
Oggi di farti ad un balcone appendere, Per tutto l'universo in ogni calle,
Io per salvarti ed averti redutto Ne' dimestici luochi, e ne selvaggi
In libertà, non per volerti offendere , E piani pieni, e l'alte ville, e valle,
Simulando, facendo si gran lutto, Quando finiron gli occulti viaggi
Nè altro modo a volerti difendere Che de la tomba traevan le spalle,
Possibile era, e qui ogni arte e ingegno Che ne fu Sinefido lieto tanto,
Adoperai, e mi riusci il disegno. Che dir non si potrebbe in nessun canto.
CCXCV cccu

Or son venuta con la ragion fatta Pur Sinefido con parole pronte
Per trarti, e per uscir teco d'affanni ; La confortava a buona pazienza ;
I'voglio armarti, e per una via piatta Cosi pedestri discendendo il monte
D'una caverna uscirem senza dauni. Gli disse Brunaspina: Abbi avvertenza,
Dica chi vuol che traditrice o matta Ch'io ho veduto il vecchio a quella fonte,
I'sia, che'l padre mio tradisca e inganni : Guarda che non ti facci violenza
Non che ingannarlo, io gli darei la morte, Con l'oppio, l'assassin traditor fello,
Ma cusi ce n'andrem per le più corte. Come fe'a Ciriffo tuo fratello.
CCXCVI cccm

Pareva a Sinefido un'ora mille, Rispose Sinefido : Se m'aspetta,


E rispose a la dama : Che aspetti ? Com'io vi giungo, gli darò la manza
Deh non mi far al testo altre postille: Tal che faro di Ciriffo vendetta ,
Finchè l'arme non ho par ch'io sospetti. Vedrai senza operar qui brando, o lanza.
Ella recolle, e lui armato, Achille Il vecchio gli ha veduti, e la civetta
Esser gli par, nè sente più difetti. Faceva, e mentre fiutava una aranza
Anco diceva di pigliar la Rocca : Andando in qua e in là sotto il frascato,
E lei rispose nou me n'aprir bocca. Credendo aver pur costor impaniato,
253 CIRIFFO CALVANEO 254

CCCIV ceexi

Eccoti intanto costoro accostare E dato fine Sinefido all'opra


Presso a la fonte, che non v' era il ſante. A uno prezzo a dormir si fu posto,
Il vecchio salit'era a salutare E Brunaspina a la fonte di sopra
Questi, de' passi più di venti avante, Alquanto salse per veder più scosto,
Dicendo a la fraschera da 'nfrescare Che qualche fusta, o legno non si scopra
La bocca, el becco, ed evvi attinti intante, O se'ntorno ne fosse alcon riposto,
Guastarde vin de tanto non attinto, Come è usanza spesso del corsale,
Che'lmastronon ne mostra quanto el quinto. Ma lei n' indovino il futuro male.
cccv cccxl

Giunti costoro a la fonte, s'accosta Or lasciam Brunaspina a rasciugarsi


Brunaspina, ch'è stanca, e quivi siede. La chioma che bagnossi poco avante,
Il vecchio che vuol dire a quella posta E Sinefido al fresco riposarsi,
Col vino in man, Sinefido richiede, E ritorniamo un poco a Carpisante,
E lui col quanto una sorba gli apposta, Che molto cominciò maravigliarsi
In su l'orecchio e lassal posto al piede Sendo già terza, e non veder sembiante
Morto, che non battè senso nė polso, Nessun che s'ordinasse la giustizia :
E fu guarito e del tristo e del bolso. Di fatto immaginossi la tristizia.
CCCVI сеехи

Poi le vasella de l'oppio fracassa, Ed a la zambra subito fu ito


Che pareno trebbian da san Giovanni, Di Brunaspina, e non ve la trovando
Ed anco del vermiglio per chi passa, D'ammirazion rimaneva stupito
E tondo, e brusco, perchè meglio appanni. Eper la Rocca ne mandò cercando,
Serbossi un pan, che trovò in una cassa; E lui a la prigione sbigottito
Ogni altra cosa par che assaccomanni, Andonne a furia : e l'uscio rimirando,
Perch' altri non rimanga preso all'esca ; Videlo aperto, e dentro a quello e' panni
Poi feron colezion con l'acqua fresca. De la figliuola, e conobbe suo' inganni.
CCCVI eeexiv
E ridendo diceva a la fanciulla : Econ le man si percosse la faccia
Guarda se l'oste ha spacciato ogni cosa, Chiamando la figliuola sua puttana,
Non gli è rimasto in bottega più nulla, E poi co' denti quella gonna straccia
E lai ch'è stanco vedi or si riposa; Contesta d'oro e seta soriana,
E cosi motteggiando si trastulla Colbrando inman : poi mugghiando si caccia
Con Brunaspina che pare una rosa, Correndo per la tomba oscura e strana ,
E perchè l'armadura la molesta Per ammazzar la figlia sua solenne,
S'aveva tratto il suo elmo di testa. E corse un pezzo, e pur poi si ritenne,
CCCVIN cccxv
Non avendo d' altrui dubitazione, Dicendo : E si vorre' torre una sferza
Sinefido si volle disarmare, E la mia figlia mi dessi un cavallo
Perché la notte armandosi in prigione, Perch' io imparassi meglio, e gli è già terza
Non gli seppe ella bene l'arme assellare, E debbo pur pensar ch'io corro in fallo,
Edisarmato il possente barone, E Sinefido col suo brando ischerza
Anch'ella volle il simigliante fare, S'egli è tra mille che voglin pigliallo,
Ecosì riposandosi a la fonte Si che a seguirlo la mia mente è sciocca,
Del preterito assai cose ebbon conte. E ritornossi in dietro ne la Rocca.
CCCIX CCCXVI

In fra le quali lui gli dette a 'ntendere Su a la parte esima a furor salse,
Da l'origine sua infino allora, Dolendosi del fallo suo commesso,
Edonde, e come, e si li fe' comprendere, A petizion de le lagrime false
11 proprio nome, e come Cristo adora, De la sua figlia, ch'era ancor li presso,
E la fede si gli ebbe a distendere, Non lo stimando, che ſu quel che valse,
Tanto che lei se ne 'nfiamma e innamora, Per lei, che si sarebbe punto messo
E co' santi dottor si scandalezza, A seguitarla con armata scorta,
Tanto che finalmente e' la battezza. E forse che sarebbe o presa o morta.
cccx cccxvii

Dappoi essendo batteggiata questa, Guardando pel paese a villa a villa


Sinefido ridendo usoe di dire Non vi scorge nessun con armadura,
Che la cresima ancora a far vi resta E stolto al tutto di dover seguilla
Che vuol compire il giuoco, e poi dormire Diceva vada a la mala ventura,
Un sonnellino, e lei si resti desta E cominciò piangendo a maladilla
Per guardia ch' altri ne gli abbia assallire Che pareva una cosa atroce e scura,
Ed acconciolla, e lei fe'l suo dovuto, Ma prima maladisse l'ora e'l punto
Tanto che fu il battesimo compiuto. Che con la madre sua si fa congiunto.
255 CIRIFFO CALVANEO 256

cccxwl CCCXXV

Sia maladetto quando i l'acquistai , Lasciam costui colassú, che gambetta


Sia maladetto l'ora che nascesti, A più potere, e da de' calci al vento,
Sia maladetto chi ti attese mai, E ritorniamo a la fontana detta
Sia maladetto il latte che avesti, Dov'io lasciai Sinefido contento,
Sia maladetto i giorni che tu hai, E Brunaspina posta a la veletta ; 1
Sia maladetto il di che ritta istesti, Ma presto le diè il sonno impedimento
Sia maladetto il primo di ch' andasti, Pel sol che risplendea de la marina
Sia maladetto il dì che tu parlasti. Ne gli occhi, adormentossi Brunaspina.
CCCXIX CCCXXVI
Maladetto sia il ben ch' io t'ho voluto, Ed anco pel disagio de la notte,
Maladetto sia 'l tempo de tuo' anni, Si del cammino, e'l non aver dormito.
Maladetto sia il ben che t'ho auto, In questo giunse un corsaro a le grotte
Maladetto sia il corpo, e l' alma , i panni , Con una nave, e sorse e scese al lito
Maladetto sia il tuo parlare astuto, Per empir d'acqua dolce qualche botte
Maladetto sia il tuo pianto e gl'inganni, De la fontana, e sendo alcun salito
Maladetto sia il tuo sfrenato ardire, Appresso a quella, vedevano scorto
Maladetto sia il vivere e 'l morire. Quelle armadure, e 'l vecchio in terra morto
cccxx CCCXXVU

Venga sopra di te l'ira di Giove, De la qual cosa n'ebbon maraviglia,


Vengan sopra di te l'infernal furie, Ma non però si fur ispaventati :
Venga sopra di te folgore e piove, Chi spogliail vecchio, e chi quell' arme piglia
1
Venga sopra di te le triste augurie, Si come per costume hanno i pirati;
Venga sopra di te lenti, che prove, Mentre girando d'intorno le ciglia
Degli Dei , sì che spengan tae lussarie, Se vedessin nessuno, un pare che guati
E trasformin le tue fattezze pronte, Là dove dorme Sinefido al rezzo
Quale Io in vacca, o qual Biblide infonte. E visto, l'ebbon tutti messo in mezzo.
ceexxi CCCXXVIII

O quale fu Mirra che in alber restoe, Ch'era supin su d'un pancon posato,
O qual fu Dafne in lauro discorsa , E gli gittorno addosso una schiavina,
O qual fu Aciroe che si mutoe, Ein quella in alto l'ebbono e legato;
O qual fu Ciane in acqua, e tanto è corsa, Pensava lui che fusse Brunaspina,
O qualfu Atamante che 'npazzoe : E tace, nè dal sonno s'è svegliato,
Cosi postu impazzare pria che iscorsa Cosi ne fu portato a la marina
Più giorni sia, e tu, e lui diventi Di peso come un cerro, e messo in nave ,
Come giá Cadmo e la moglie serpenti. E serrato de piedi in dire un'Ave.
ccexxu CCCXXIX

Oqual le donne di Sidonia in sassi, Cosi in un balen colta la rosa,


O qual feron le figlie di Pireo, E l'arme, e l'acqua a la nave condotta,
O qual la ninfa di Gerere fassi ; E tolto a dir, che non era marosa .
Quercia, che Erisitton poi la rompeo, Sinefido destandosi borbotta
O qual Giason Medea lui ti lasciassi, Vedendo dove e come si riposa :
O qual lascice Arianna Teseo ; Ringraziava Gesù pur per allotta
E la tua lingua di menzogne piena Seco dicendo ancora : E meglio questo
Ti tagli qual Tereo già a Filomena. Che il carcere, o sospeso ad un capresto.
CCCXXHI ccexxx

O sia la fine tua qual di Semele, Pur nondimanco non gli parea giuoco
Odi Medusa, sendomi si cruda, E seco si dolea de la fortuna
O scellerata, a me tanto crudele, Che lo balestra d'uno in altro luoco
O falsa, o traditrice più che Giuda Più rigida di lui che d'alma alcuna ;
E avevi il tosco in mano, e in bocca ilmele ; Così di giorno in giorno a poco a poco
Aprisi il centro, e dentro a se ti chiuda, A l'acqua, al vento, al sole, ed a la luna
O sia la fine tua per mio ristoro Dimesticossi sopra a la marina
Qual fu di Tisbe a la fonte del moro. Lasciamlo andar; torniamo a Brunaspina.
COCXXIV CCCXXXI

Emaladetto sia per te Macone, Qual si destoe mettendo un grande strido


Apollino, Trivigante, e Belzebu, Ispaventata, e ripiena d'orrore
Per te rimaladetto sia Plutone, Bagnata di sudore, e come un sido
Anco Minosso, e quanti n'è la giù, Ghiacciata, e in volto non avea colore,
E venga or qui d' Acheronte Chirone E piangendo chiamava Sinefido
Per l' alma mia che viver non vo' più, Che del petto parea l'uscisse il cuore,
E così detto impicossi ad un merlo Perchè sognando de parea vedere
Di fuor, si che ciascun potea vederlo. Venir del mare un coccodrillo a bere
257 258
CIRIFFO CALVANEO

CCCXXXII CCCXXXIX

Aquella fonte con certi serpenti Se pur tu mi volevi abbandonare,


Ed in un tratto a Sinefido addosso Almanco mi dovevi tor la vita
Che dorme, gli parea ciascun s' avventi Ricevuto il battesimo, e salvare
E in un istante averlo indi remosso, Facevi l'alma, quale ora sbandita
Con esso in ver la riva discendenti Del regno fia, ove sperava andare
Correndo, e per averlo ella riscosso E nel fetido centro seppellita
Fra sonno s'era ritta, e mossa a correre, Sarà perte, ingrato, e crudo amante,
Parendo a lei Sinefido soccorrere. Colpa d'Amor che ve ne induce tante.
cccxxx CCCXL

Giunta a la fonte tutta ispaventata Odisleale Amore, anco omicida,


Non vede Sineſido, e non v'è l'armi, Quanti son suti già che t'han creduto
E visto intorno la fonte bagnata Come per l'universo il volgo grida :
Allor si fe' più gelida che i marmi Quante alme son per te discese a Pluto,
Pel gran dolore, e cadde istramazzata, Tu pur tradisci chi di te si fida.
Qual proprio morts, come ragion parmi; È questo il premio, o il guiderdon dovuto
Poi si riebbe, e va pel bosco errando Ch'io merito da te, o traditore,
Piangendo, Sinefido suo chiamando. Del mio servirti, e con tanto fervore?
CCCXXXIV CCCXLI

Quando scendeva inverso la marina, Non vedi tu, o cieco Amore ingrato,
Quando saliva in su verso la tomba, Che per non ribellarmi da tua gregge,
Poi per lemenza la dava a la china ; La fede, e'l padre, e 'l mio regnoho lasciato
Or qua, or là, e talvolta rimbomba El'alma soggiogata a nuova legge,
Eco, ed ignorando la meschina Nè spero più del mio pristino stato ;
Va drieto a quello, e poi ritorna a bomba, Or conosch'io in me quel che si legge
E ricercando ogni cespuglio intorno Che tu se'un dolore intollerabile,
Ando piangendo insino a mezzo il giorno. Nè mai in tua promesse suto stabile.
CCCXXLV CCCXLIH

Nè manco asisa si sarebbe ancora, O faretrato arcier, quanto divare,


Ma per l'affanno in tanta debolezza Èdal principio tuo, al mezzo, al fine!
Era vennta, che più in piede allora Quanto ritorna il tuo dolce in amaro!
Non si reggeva, e la candida trezza Quanto sono empie di tesco tua spine !
Si straccia e morde, e di duol si divora O misera che tardi imprendo, e imparo
Nė pin vita desia, e morte apprezza : A le mie spese con l'altre meschine
Al tatto disperata d'ogni fede, Che son descritte, e se ne legge e canta
Vol come Dido aver di sè mercede. Ch'hanno riso il principio, e la fin pianta!
CCCXXXVI CCCXLIN

Ma prima recitava in suo lamento Non fue gia a te soggetta Venere,


L'amor, la fede, i modi. e le parole Ch'ardeva tanto de l'amor d' Adone?
Ch' avea per Sinefido isparsi al vento Non fu per tua cagion redutta in cenere
E tradito il suo padre e la sua prole, Semele, e si gelosa fu Giunone ?
Né le valeva er dire: lo me me pento, Non si buttaron giù le membra tenere
Nè anco è certa se a ragion si duole D'Ero da l'alta torre in sul sabbione ?
S'ella è tradita, o no dal suo amadore, Non fusti tu cagion con tua faville
Ose tradito è lui, e lei da Amore. Col laccio al collo s'uccidesse Fille ?
CCCXXXVII CCCXLIV

Ecosi in forse alquanto soprastette Non s'uccise Cornelia per Pompeo


Forte piangendo, e pur l'amante chiama: Perché l'amava di soperchio amore ?
Con la voce tremante il grido mette, Or non discese al regno Stigio Orfeo
Dicendo: O'ngrato contro di chi t'ama, Credendo trarne Euridice fuore ?
Quanto era per me meglio a le giubbette Non vi discese anco Ercole e Teseo ?
Lasciarti andare, e non sarei si grama ; Chi v'indusse costoro ? il tuo ardore !
Ma quel bendato arcier mi strinse il cuore, Chi fa cagion Laodamia perisse
Che non istrinse te pel mio dolore. Acció Protesilao cosi seguisse ?
ceexxxVILI CCCXLV

Può egli esser che tu non ti ricordi Chi fu cagion che la regina Dido
Del beneficio, e che tu m'abbandoni ? Cosi miseramente a morte vada ?
Può egli esser che'l cuor non ti rimordi, Chi fu cagion del doloroso strido
E che tal fallo mai ti si perdoni ? Di Tisbe quando fu sopra a la spada ?
Pad egli esser, però che tu t'accordi Chi fu cagion ch' Oloferne nel nido
Atanta offesa, e qual fanno i ladroni Da Giuditta fu morto stando a bada?
Mi lasci e te ne porti le mie spoglie ? Chi è suta cagion di tanti e lante
Cosi chi serve a l' ingrato gl' incoglie. Se non tu ch'a l'inferno sono istante ?

17
CIRIFFO CALVANEO 260
259

CCCXLVI CCCLHI

Non è da farsi maraviglia ponto Nè altro disse, e quel coltello istrinse


Che tu tradisca una vil feminella, E la punta fermava in su la canna
Perchè altri con l'arco al varco hai gionto, Sopra del fronte, e con tal furia il pinse,
O maggior fatto di me meschinella. Che pel traverso vel misse una spanna
Io ho letto di Giove, e'nteso a ponto E tutta l'acqua del suo sangue linse,
Come pel vampo de la tua fiamella Cosi ancide il corpo, e l'alma danna :
Discese in terra, e giarque con Alcmena, E mentre ancor che l'era semiviva
E innanzi al carro è cinto in tua catena. Un de la terra a caso compariva.
CCCXLVII CCCLIV

Se Giove, Marte, Mercurio ed Apollo Sentendo ne la fonte il mormorio


Aristotil, Virgilio e Salomone Immediate correva a la sponda,
Ti fur soggetti e sommisero il collo E visto il caso tanto atroce e rio,
A l'aspro giogo, e quel crudo Nerone, Macon chiamava, e di lagrime abbonda,
Deh perché par di lagrime mi immollo, La man porgendo al corpo che morio
E Cesare, e Lisandro, anche Sansone. Nel trarlo fuori, e acque e sangue gronda
Ed Ercole, e Giason, e'l forte Achille, Nė può tal morte in se capace ammettere,
E Pluto: ... a che fo io tante postille .. ? Se non che vide e lesse quelle lettere.
CCCXLVIII CCCLV
E così detto richiama l'amante Cosi fu noto la grande isciagura
Forte, e piangendo diceva parole Di questa miserabile meschina,
Ch'arien fatto scoppiare uno adamante, E sotto la epigramma sepoltura
E per pietà fermar la luna e ' l sole. Dato le fu, e la fonte di Spina
Poi si ravvede, e chiamasi ignorante, Dipoi si disse, ed anco il nome dura
Nè più d'amante, nè d' Amor si dole, Per memoria di detta Brunaspina,
Ma di sè stessa, e il bel volto si graffia, E molti naviganti ancor che arrivono
E di lagrime e sangue il petto anaffia. Per l'acqua al fonte la epigramma iscrivono.
CCCXLIX CCCLVI
Dicendo: O Brunaspina isventurata Ora mi par dovuto di lasciare
Odisleale al tuo caro amadore, Costei sepolta, finiti i suoi giorni,
O pigra! non mi sendo addormentata Perchè a Ciriffo mio vo' ritornare
Non sare' conceputo tale errore . Ch'ha ricevuti tanti ischerni, e scorni
O traditrice, quanto sono ingrata Da la fortuna, e per ultimo è in mare
Dolendomi di lui , e si d'Amore: Per forza si che gli è dover ch'io torni
Amor mi dette favore ed aiuto A lui con l'opra per trarlo di nave,
Giusta sua possa, ed io me l'ho perduto. E Sinefido fia proprio la chiave.
CCCL CCCLVII
O signor mio, che sotto la mia fede Però non si può dar retto giudizio
Sicuro ti credevi riposarti, Di cosa alcuna ch'esser dee futura,
E per mia negligenza chiar si vede Perché non è nessun che n'abbi indizio
Che rapito mi se', nè so in qual parti: Salvo che il Creator de la natura ;
Danque io non debbo aver di me mercede, Ma noi ignoti reputiam supplizio
Nessuna, e voglio al tutto vendicarti, Quel ch'è nostra salute per ventura,
Benchè la vita mia sia picciol prezzo E questo avvien per aver poca fede
A rincontro d'un uom di tanto prezzo. In Dio che ab eterno il tutto vede.
ceeLI CCCLVIII

Eper non far cotal vendetta occulta Nė senza il suo voler una sol fronde
Iscrisse col coltello sua epigramma Si voglie, nè da l'albero non cade:
A lato al fonte in una pietra isculta Or se Ciriffo è stato sopra a l'onde
Ingreco, e come Amor la'ncende e infiamma, Più tempo in fra cottanta ansietade,
Perché, e quello che 'nfin ne resulta E Sinefido altresi si confonde
Al miser corpo, e l'alma in maggior fiamma Di dolor sendo, in tal calamitade,
Errando se ne fugge in Malebolge E qualunque molestia egli hanno avuto,
Come dal corpo suo indi si svolge. E stato sue dal cielo antiveduto
CELIL CCOLIX

El'anno, e il mese,e il giorno e l'ora appunto Per trasferirgli a maggior pregio e fama,
Distingue, quando di vita si priva E per salvar la fede e il proprio regno,
E fatto ch'ebbe ne la pietra il sunto E combatter per altro che per dama,
Si rivolse piangendo inver la riva, Che'l cielo ha mostro lor d'averlo a sdegno;
Dicendo : Sinefido ecco egli è gianto E a Parigi la istoria gli chiama,
Il punto che Amor vol ch'io più non viva; Perché s'è fatto in Tunisi disegno
Lieta e contenta sarei morta teco, Di torre al re Luigi la corona.
E senza te a disperar m' arreco. E sommerger la stirpe di Narbona.
261 CIRIFFO 262
CALVANEO

CCCLX CCCLXVII
Perché di lor ne la cristianitade Ma non potette, benchè ognun s' aina
Non era indizio più, nè alcun sentore Parea la nave di Biscia un falcone
Di vita o morte, nè in quali contrade Quando si cala giù d'una collina
Nessun si fusse, previde il Signore Drieto a la starna, o altra uccellagione.
Di separargli con avversitade, Cosi adunque volando cammina
Ed in parte punire il loro errore E tra prova, e mezz'albero gli pone,
Del tempo perso, si come si vede, E con gli spron fin dentro al corpo passa
Senza alcun frutto per la santa fede. E tutta la posticcia gli fraccassa.
CCCLXI CCCLXVIII

Nè altro modo facil quanto questo Come ha investito sopra, i ganci getta
Era per trargli di que' regni strani, Sparando molte bocche di bombarde,
Per riducergli insieme salvi e presto E cosi l'una a l'altra con gran fretta
Sendo in paesi pur molto lontani ; Chi scarica balestre, e chi spingarde,
Ed anco par che'l tempo sia onesto E dardi che ciascun parea saella
Che Sinefido i suoi figli sovrani Con fuoco lavorato, che sempre arde,
Ritruovi, e la sua sposa Aleandrina, Con la balestra traean passatoi
Che rimase con essi a Costantina. Con zolfi lavorati ch'ardean poi.
CCCLXII CCCLXIX

Adunque può ciascun chiaro conprendere E l'una e l'altra nave da la gaggia


Che il signor fa ogni cosa a buon fine : Pareva proprio che sassi piovessino,
La rota gira, e fa salire, e scendere Con pal di fer, che qualunque assaggia
Come di sopra e' dato per destine. Un di que' colpi, par che poi si stessino.
Or qui più oltre non mi voglio stendere Biscia disciolse la ciurma selvaggia
Per ritornare in fra l' onde marine Dicendo : Or se quella nave avessino
A l'una e l'altra nave de' corsari, Tutti gl'infrancherebbe, e del guadagno
Che tengon presi i canıpion singolari. Sarebbe loro un ottimo compagno.
CCCLXIII CCCLXX

La nave ove è Ciriffo a cinque remi Anco Caviglia non pareva muto
Era, da far per tutto a calci e a morsi, Ma per la nave va quale un serpente
D'uomin copiosa, che ne'casi estremi Soffiando, e dando ove bisogna aiuto,
Parean proprio leoni, draghi ed orsi. Orqua or là confortando sua gente,
Dove era Sinefido, ignun che temi E combattendo il Povero Avveduto
Non v'era, e per fortuna son trascorsi In sul castel di poppa destramente
In alto mare, ed eran sotto vento Monto, e dardi, pali, foochi, e sassi
Che ritrar non si ponno a salvamento. Traeva agli adversarii suo' più bassi.
CCCLXIV CCCLXXI

E di tre remi questa nave è detta, Per modo tal che mezza, o più la banda
E'l padron d'essa si dice Caviglia, Da quella parte abbandonata fue.
Che fu signor di certe castelletta Ciriffo perché il suo valor si spanda
Tra i confin di Granata e di Castiglia. Sendo le navi intrigate amendue
Il padron di Ciriffo, e di sua setta Un lacio prese, e quasi aranda aranda
Era uom bestiale, e crudo a maraviglia Saltoe che presso che non andò giue;
Per soprannome chiamato la Biscia, Pur destramente ad un cavo s' attenne
Che col suo legno tutti i mari istriscia. E così ne la nave avversa venne.
CCCLXV CCCLXXII

Or per ventura avea dato la caccia E in quella sendo, e fermo albattiporto,


Ad una certa nave di Provenza, Una rotella prese, e una alicetta
E quivi abbandonato avea la traccia Aveva in mano il cavalier accorto,
Che pure avea di fortuna temenza, E non ti dico se taglia ed affetta,
Erivolgendo in un tratto la faccia Ch'ad ogni colpo ne poneva un morto,
La nave di Caviglia a la presenza Così di man in man te gli rassetta;
Ebbe veduta, e come essa volteggia Ma sopra a lui piovevan sassi e fuochi,
Parve il terzuol che vedessi la cieggia, Calcina, ed oglio, perché lui si cuochi.
CCCLXVI CCCLXXIH

Eda presumer è che sia accanito Biscia gridava : Ahi brutta canaglia,
Per quella nave che innanzi gli fogge, Date soccorso al franco marinaio .
Si che in un tratto ebbe preso partito Cosi dicendo, un altro se ne scaglia
Di dare addosso a quella, e se ne stugge, Dricto a Ciriffo, e dopo a quello un paio.
Ed a la volta sua presto fu ito Così l'un dopo l'altro si travaglia,
Col vento in poppa, e come va ne rugge; E'l decimo non fu anco il sezzaio,
La nave di Caviglia pur de l'orza E mentre che ne saltan tuttavia,
Per rimontare a vento facea forza. Cariffo combatteva la corsia.
263 CIRIFFO CALVANEO 264

CCCLXXIV CCCLXXXI

Parte de' suo' combattevan la prua, Chi scaglia riondelle, e chi barili,
Parte facevan la banda sgombrare, Chi banchi, o balestriere, o remi, o scarmi
Perchè possa montar la gente sua Per non parer nè codardi , nè vili,
De l'altra nave, e quella superare. Non avendo difesa con altr'armi,
La crudel guerra che fanno amendua Biscia ch'era uso a scaligiar navili ,
Le nave insieme, non si può narrare: Era disceso in questa nave, e parmi
Giriffo era tutto unto, arsiccio e tinto, Che sia ito con più sotto coperta
Che si brutto non è il diavol dipinto. Per mandarne il bottino intanto a l'erta.
CCCLXXV CCCLXXXII

E s'avea messa una rubalda in testa Sinefido ch' avea l'occhio al pennello,
E'ndosso una panziera rugginosa, Veduto che 'l padron de l'altra nave
Che se non fusse suta quella e questa, N'era disceso, saltoe del castello
Mancava il giorno sua virtù famosa; Sopra di quella, come uccel soave :
E pure ancor la battaglia non resta, Seco dicendo : O Biscia meschinello
Benchè da prua è perduto ogni cosa: ' credo che'l tornar ti sarà grave
I
Caviglia per corsia più coffanetti Se tu non voli; ed anco tu volassi
Di triboli di ferro par che getti. Non credo il legno più padroneggiassi.
CCCLXXVI CCCLXXXΗΙ

Per impedir qualunque corre o salti Nè prima fu Sinefido saltato,


Con quelle punte rigide e crudele; Che Caviglia il castello ebbe perduto,
Ma presto la corsia par che si smalti Ch'era con lui al combattere stato .
Pel gran gittar de la gente infedele, Ciriffo ch'era presso a lui venuto
De'sassi, e dardi, che veniano d'alti, Tal colpo con l'accetta gli ebbe dato
E cavi, e taglie, e pezzi de le vele, Ch'e' balzò in mare, e più non fu veduto,
Che ne venivan a brandegli e strufoli, E gli altri si voleano a punto arrendere
Ardendo giù, e par che'l fuoco zufoli. Per iscampare, nè più ardian contendere.
CCCLXXVII CCCLXXXIV

Ciriffo che volea vincer la ponga E la misera nave, che diserta


Avendo insino a mezzo albero presa Fu quando l'altra con essa si intoppa,
La nave,'e per veder quanto era longa Nel corpo, s'era fessa tutta e aperta
Verso la poppa rivolse ogni offesa ; Si che n'uscia e la pece, e la stoppa ;
Ma prima soderà che lui vi gionga Non sendo in questo la brigata sperta,
Tanto faceva quel castel difesa, Il legno a suo voler de l'acqua poppa,
E in coverta la ciurma, e i compagnoni E quando n'ebbe pieno il corpo e 'l seno
Con remi, accette, e mannaie, e bastoni. Tuffossi sotto in manco d'un baleno.
CCCLXXVHI CCCLXXXV

Or chi vedesse in cosi breve spazio Ciriffo appunto per la sua ventura
Tra morti e vivi tanta moltitud ne, In cima del castello era salito
Si farà maraviglia, e che a lo strazio Sopra la poppa, e visto la sciagura
Fussin come eran con improntitudine. Chiamo Gesù, e prese per partito
Ciriffo innanzi a tutti, Cocle Orazio Saltar dove la stanza è più sicura,
Parea sul ponte per similitudine ; E ritornò nel legno onde era uscito.
Con quella accetta in man ch'io dissi dianzi Adunque Biscia mi par che li lasei
A poco a poco si faceva innanzi. E rimansi sott'acqua a fare i fasci .
GCCLXXIX CCCLXXXVI

Quella ciurma parea propri demoni, Que'ch'eran vivi rimasi disopra


Ela nave pareva Vulganello; Notando s' appicavan come pecchie
Per disperati, e per difensioni A' remi e casse, pur che se ne scopra
Avevan tratti i remi di frenello, O ad altre masserie nuove o vecchie:
E quegli attraversati per cagioni Ciascun per non morir lo 'ngegno adopra
Di non perder la poppa col castello, E vanno in giù e in su come le secchie :
Sperando, mentre che v'era del verde, Pur tutti alfin si rimanevan sotto,
E'l legno ardendo si fraccassa e perde. Così si paga de' corsar lo scotto.
CCCLXXX CCCLXXXVII

Era in sull'ora quasi del mangiare. Lasciam costor a' pesci in la marina,
Quando si furno a la zuffa ridotti, E nel legno torniam che fu di Biscia
E combattendo appresso al focolare A Sinefido, che un remo sciorina
Quivi eran varnicati, e calderotti, Tra quella ciurma, e in modo gli scudiscia,
E padellin come s'usano in mare, Ch'è baon per chi può trovar la sentina,
Dove si bolle e cuocono i lor cotti : E per paura v'è chi si scompiscia,
Cosi bollendo la ciurma gli scagliano E combattendo Sinefido intese
Contra a nimici, e tutti gli sbaragliano. Ciriffo, e vide il gran salto che prese,
266
265 CIRIFFO CALVANEO

CCCLXXXVIII CCCXCV

E maraviglia fessi avendo inteso Inteso il patto parve che impazziassino


Speditamente il suon de la sua voce, Per allegrezza, e chi salta e chi tombola.
Epresto ha inver di lui il cammin preso Griffo perchè que' si rassettassino
Per ispiar chi è quel si feroce, A' luoghi lor con un remo gli tombola,
Non già con volontà d'averlo offeso Perché col legno a terra s'avviassino,
Se lui foss'uom ch'adorasse la croce. Sicchè la nave, qual per l'aere frombola
Sendo da presso ciascuno s' affronta Volando, si vedeva l'onde fendere,
Perdare, e l'un con l'altro gli occhi isconta. Nel porto di Cartagin per iscendere
CCCLXXXIX CCCXCVI

E cosi l'uno e l'altro in uno stante In terra, perchè il porto era più presso
Rattiene il colpo suo ch'era tra via, Là dove avean le navi combattuto,
Ciriffo disse: Buscaino aitante Che nessun altro , e dirizzati ad esso
E Sinefido marinaio dicia, Ciriffo mentre e'l Povero Avveduto,
Deh, dimmi, se t'aiuti Trevigante, Ciascun per dismontare in punto è messo
Di che provincia, o qual genalogia In modo che nessun riconosciuto
Ta se', e nel parlar riconosciuto Esser non crede, e come galeotti
Ebbe Ciriffo il Povero Avveduto. Iscalzi, e pochi panni tristi e rotti.
cccxc cccxcvII

Edisse di Romana stirpe, e Greco, Una grossa catena ad armacollo,


Ma nacqui come il lupo giù nel bosco, La barba longa, e la chioma arruffata,
Dove la madre mia mi portò seco Ciascuno avendo un bastonaccio in collo,
A partorir nel bel paese Tosco. La nave al porto si fu raccostata.
E Sinefido allor: S'io non son ceco, Quivi Ciriffo il legno che recollo
Ta mi par pur, tu se', s'io non son fosco. A tutti lo donava per sua rata,
Cosi dicendo, mentre affigurollo Nè più a l'un ch'a l'altro fe' vantaggio ;
Ciriffo ride, e scagliasigli al collo. Poi dismontorno, e presono il rivaggio.
cecxel cccxevill

Eper la tenerezza lagrimando Disposti al tutto dove la ventura


Nessun poteva parola spedire, O la fortuna vol di quindi andare,
E'nbocca, e'n fronte l'on l'altro basciando, Senza saper d' alcun sentier misura,
Ché d'allegrezza si credean morire; Pur che la via gli discosti dal mare
Cosi ridendo e mentre sospirando, Per selve, e boschi montagne, e pianura ;
Ciriffo prima cosi cominciò a dire: Ma solo hanno temenza del mangiare
O Sinefido mio, come se' tue Perchè non truovan se non pome arcigne,
Condotto qui ? de la Rocca che fue! Ene le selve non vi son le vigne.
сескен CeexeIX

Mal, disse Sinefido, ed anco peggio Par nondimen ciascun volea più tosto
Per esser fu, che presso io non rimasi Andar per boschi de l'erbe pascendo,
In quella morto, ma poi ch' io ti veggio Ch'essere a la fortuna sottoposto
Qui salvo, non mi duol gli avversi casi Del mare, ed ogni imbandigione avendo,
Occorsi; e lu come per tal pileggio Lasciamgli un poco andar, ch'io son disposto
Se' arrivato : dimmelo che quasi Tornare ad Aleandrina, che sentendo
La mente mía come d'un sogno dubita Che in Tunisi gran gente s' assembrava
Incerta de la cosa cosi subita. A' figli suo'in tal forma parlava,
CCCXCIN CD

Disse Ciriffo : I'mi trovai dormendo Un giorno sendo dopo pranzo a mensa
In mare, e so ch'i' m'ero addormentato E ragionando d'una magna giostra
A la fonte del bosco: io non intendo Che in Tunisi bandita è per l'offensa,
Questo fatto in che modo e'si sia andato. La quale Esdran di fare in Francia mostra,
La cosa è qui, a Dio grazie ne rendo, Aleandrina i figli guarda, e pensa ;
Poiché son franco e te ho ritrovato, Poi con un gran sospir disse: La vostra
Che sua benignità ogn' or ci mostra ; Età mi pare omai nel fior del verde,
Or procacciam che la nave sia nostra. Ed ignorando il suo valor, si perde.
CCCXCIV CDI

E cosi detto a la ciurma voltati Per non torre a nessun la sua ventura,
Per dare a tutti l'ultima vivanda, Qual credo fia ne l'armigere squadre,
E quegli in uno stante inginocchiati Vo' palesar la vostra e mia sciagura,
Si forno, e ciaschedun si raccomanda, E come qui condotta è vostra madre
E tutti per ischiavi si son dati. Di strana parte, in vila atroce e oscura,
Ciriffo e Sinefido allor comanda Come volse fortuna e il vostro padre.
Che al più prossiman porto gli ponessino, Che mi lascine e come, e in qual contrada
Epoi il legno libero s'avessino. Recitò tutto, e palesoe la spada.
268
267 CIRIFFO CALVANEO

CDIE CDIX

Dipoi soggiunse alfin de la novella E visto pur che non la può colpire,
Tenendo ancor la bella spada in mano, Lasció la spada, e ritto in piè l'aspetta ;
Che non montava il più franco uom in sella Guarda uom feroce se dimostra ardire
Del padre loro, e come era cristiano. O se degenerato è da sua selta.
Sidilagi crudel, veduta quella Ecco la leonessa a lui venire
Gliela rapiva con un volto strano : Sidilagi l'abbraccia e tienla strella
Inteso dir che di cristiana gesta Sul petto, ed ella lui simile afferra,
Era disceso, le vol far la festa. E così cadon abbracciati in terra.
CDITI CDX

Drusilla ch'era presente, si mette Ma Sidilagi si trovoe disotto


In mezzo e grida, perché non le desse ; Con quella leonessa sopra al petto
Ma Sidilagi però non ristette Aleandrina che'l vide condotto.
Etrasse il colpo, e colga a chi volesse, In modo tal da non aver sospetto,
E in su la testa a la meschina dette De l'albero discese, e non ſe' motto
Ch'a mezzo il petto la ricise e fesse. Tutta tremante, e tolse su il sacchetto,
Aleandrina di quel colpo accorta E ritornossi a la stanza di prima,
Si fugge, e per paura è fatta ismorta. Che più non fa di Sidilagi stima.
CDIV CDXI

E Sidilagi per seguirla isferra Credendo certo che 'l fiero animale
Il brando: ma si presto Siliametto Facessedi Drusilla la vendetta,
Fu a pigliarlo, ed in tal modo l' afferra Ed ella non l'avea pianto per male,
In su le braccia, che a suo dispetto Veduta la sua mente si scorretta.
Lo tenne un pezzo, e poi caddero in terra; Or ritorniamo a Sidilagi, il quale
Ma tanto iscosse quel can maladetto Ebbe la leonessa in modo stretta
Che de le man de Siliametto isguizza Che ella scoppiò, qual per Ercole Anteo,
Col brando in mano, e subito si rizza, Ed era morta, e non se n'accorgeo.
CDV CDX'1

Correndo, e seguitava Aleandrina Se non che si senti tanto aggravare


Che parea proprio un mastino arrabbiato, Che non poteva sostenere il peso:
E lei fuggendo verso la marina Ultimamente si volse provare
Uno altissimo leccio ebbe trovato, D'uscir disotto a lei, che'l tenea preso:
E di salirvi quanto può s'aina ; Dette una scossa, e veduto cascare
Ma quel fero demonio scatenato In terra l'animal tutto disteso,
La vide, e gionto a l'albero col brando Levossi in piè e ripigliava il brando,
Feriva in quel per venirlo atterrando. E ritornava al leccio minacciando,
CDVI CDXIII

E grida : Meretrice rinnegata, Per atterrarlo, e per voler uccidere


I' ti darò ben giusto guidardone. Aleandrina con molto forore;
Mentre che taglia, una cervia è cacciata Ma più non la vedendo per uccidere
Per la foresta da un fiero leone : Se stesso fo, tant' ira ebbe nel cuore;
Come ella fu Sidilagi passata, Poi si ravidde, e duolsi de l'uccidere
E lui col brando per difensione Drusilla per l' infamia del suo onore,
Si volse infuriato, e trasse a quello E pentesi che in cosa si vilissima
Col brando, e'l teschio ricise e'l cervello. Abbia bruttata la spada dignissima.
CDVH CDXIV

Si che il leon rimase in terra morto E ripensando a le fere ch'ha morte,


Pel colpo che gli aveva la testa fessa. Tanto feroce gli cresceva l'animo,
Dunque la cervia arrivata è in buon porto, Reputandosi aitante destro e forte
Ma presto compariva la leonessa : Di sua potenza, e volse esser magnanimo;
Per vendicar del suo compagno il torto, Dove fortuna gli dava per sorte
A Sidilagi mugghiando s'appressa ; Non vol star più qual pigro o pusillanimo,
La coda arrosta, e raspa con gli artigli, E disposesi al tutto ire a la strada
E poi un destro lancio par che pigli, Assassinar chi passa con la spada.
CDVIII CDXV

Per iscagliarsi a Sidilagi addosso, Così disposto, il suo viaggio piglia


Il qual col brando a suo poter s'arrosta, Cercandodi pigliar qualche buon passo,
Ch'era per ira come fuoco rosso, Sendo lontan da casa poche miglia
Par che non può pigliar tempo ne posta 'N un crocicchio, di vie, in su n'un masso
Da trarre un colpo che la pelle e l'osso S' assise intorno girando le ciglia,
Le tagli, tanto è destra, e senza sosła Non però sendo faticato o lasso,
Saltando e pur d'intorno si gli aggira Ma per veder se la posta gli garba,
Tal che e' crepava per affanno ed ira. Per far di stoppa a chi passa la barba.
269 CIRIFFO CALVANEO 270

CDXVI CDXXIII

Lasciamo or qui Sidilagi sedere Rise Ciriffo, e disse: Del servire


Sul masso, esaminando lo stazzone, Rare volte si perde il seme e'l frutto,
E ritorniam, per che mi fa mestiere, E già degli animali inteso ho dire
ACiriffo col suo buon compagnone, Ch'hanno remunerati alcuni in tutto
Iquali sendo in oscuro sentiere In certi estremi come può avvenire
A caso giunti a gran contenzione Pel futuro chi sa; sol Dio sa'l tutto;
D'un drago, e d'un leone orrendi mostri, Per certo voglio usar tal cortesia,
Tal che e'dieron capriccio ai campion nostri. E Sinefido : Poi che tu vuo' , sia.
CDXVII CDXXIV

E si per la stagione, e si pel laoco E l'uno e l'altro col baston s'assella


Il leon mugghia e'l fiero drago fischia, Per dare al drago agli animai s'accostano ;
Evomitava gran lampi di foco Cosi vanno cercando fischi in vetta
Che davan più orrore a la lor mischia. Sgridando quegli, e col baston s' arrostano
Ciriffo e Sinefido attenti un poco Missogli in mezzo e ciascheduno aspetta
Né l'un, né l'altro di parlar s' arrischia ; Di trare il colpo quando e' si discostano
Ma pur temendo che perda il leone, Tal volta l'un da l'altro con la testa,
Ciascun eguale n'avea compassione. Ma poco spazio tra morsi vi resta.
CDXVIII CDXXV

Veduto come il drago aveva cinto Venne per caso apponto ch' ad un'otta
Con la coda avvinchiate ambo le coscie, Meno ciascuno al drago col bastone,
Ed'una branca il petto gli ave' strinto, Ma si presto rimorsi fussi allotta
E con bocca gli dava grande angoscie Ch' ognuno ebbe la sua, perchè il leone
In modo tal, che quasi appresso vinto Rimorse il drago mentre che la botta
Era il leon, per questo ognun conosce ; Cadeva per offendere il dragone
Par nondimen co'denti, e co'li artigli Si che il leon sul capo una di quelle
Par che lo sbrani dovunque lo pigli. Ebbe, che un palmo gli stracció la pelle.
CDXIX CDXXVI

Era il leone in due piedi elevato Ciriffo il drago in su la branca colse


E'l drago in uno, e l'altro, come i' dissi, Si che di netto quella mando in terra,
Aveva al petto il nimico afferrato, E quel per doglia la coda disciolse
E in quello i duri artigli tutti missi: Dal gran leone, il qual presto si serra
Le mugghia, e fischi avevano intronati A Sinefido, e il drago si rivolse
Le selve, che parea che 'l ciel s'aprissi ; Contro Ciriffo, e fagli crudel guerra;
E Febo con suo' raggi s'era ascoso, Con bocca e con la coda lo scudiscia,
Si che il fuoco parea più tenebroso. Che'l fa divincolar qual proprio biscia.
CDXX CDXXVIL
Ciriffo che volea menar le mani Però che non poteva esser si destro
A Sinefido sorridendo disse ; Che qualche volta la coda nol picchi
Non siamo noi più crudeli e strani Per ripararsi, da quel morso alpestro
A sofferir che quel leon morisse ? Si che la bocca addosso non gli appicchi,
Proviam se questi baston fusson vani Pur trasse un colpo di que' del maestro
Sovra del drago, e terminiam lor risse. Asghembo, e par la gamba netto spicchi
Rispose Sinefido : A che proposito Con quello, ed anco si ruppe il bastone
Vo' tu mettere il certo qui in deposito ? E ne la coda ficcossi il troncone.
CDXXI CDXXVIII

Deh non voler fortuna esprimentare Tra scaglia e scaglia quella verga aguzza
Senza necessità, ch'io non conosco Che quale strale, o folgore percosse,
Qui da potere alcun premio acquistare : E'l drago per la doglia si rinerozza
Lascia le fere iscarmire nel bosco, Il collo in seno, ed a volo si mosse,
E'ti debbon le carni pizzicare E si gran vampo per la bocca spuzza
E vol che con gli artigli, e poi col tosco Che fe' conlo splendor le piante rosse
Il leon te le grati, e il drago l'ugna; E parve che piovesse in quella forra
Stiamo a veder chi vincerà la pugna, Il fuoco, quale a Sodoma e Gomorra.
CDXXII CDXXIX
Non sa' tu che si dice, le due parte Visto Ciriffo come il drago in aria
Del ginoco a chi d'intorno sta vedere, Levato fu, impallidi la guancia
E le più volte chi la zuffa parte Temendo la vittoria esser contraria,
Resta percosso, e par che sia dovere: E trassegli il baston sotto la pancia
Se fussen pure in pubblicana parte Dove la scaglia è manco avversaria,
Sarei consenziente al tuo volere E quel ne si ficcoe quale una lancia,
Per acquistare onor, ma qui da Ecco E sopra l'omer destro passa e fora,
Acquisteremo nel calcagno un stecco. Si che fu forza caddessi pur allora.
271 CIRIFFO CALVANEO 272

CDXXX CDXXXVII

E sparse tanto fetido il suo tosco La testa, el collo, e 'l busto con la coda,
Che l'erbe, e piante, e pome dure e tenere Sedici passi il misurorno lungo,
Arsicce, e nere si feron nel bosco, Nel petto di largezza par ch'io oda
E fiori , e fronde si converte in cenere, Trebraccia e mezzo: i' non levo od aggiungo;
El'aere tinto, nebuloso e fosco E del suo sangue si fe' tanta broda
Divenne insino a la stella di Venere, Che vi dovette naseer più d'un fungo,
E per la selva cadon molti uccegli E quelle branche sanguinose e sotze
Morti pel tosco di su gli arbuscegli. Se ne portaron che parevan mozze.
CDXXXI CDXXXVH1

Giriffo ch'era sotto in mezzo al nugolo E non avendo Ciriffo bastone


Non si potette dab fetor difendere, Sendosi quel ch' avea in prima rotto,
Benchè corresse che pareva un frugolo, Discoscesse d'un sorbo un gran broncone,
Or qua or là, nè può salir nė scendere, E diramando quello ebbe ridotto
Senza parlare, e messo un certo mugolo, Al proposito suo; che qual poltrone,
Qual morto in terra si vide distendere, Non se ne vole andar con la man sotto :
E Sinefido a punto si gran coccola Cosi di luoco in luoco via passando
Dava al leon col baston ch'è di pocola ; Di varie cose givan ragionando.
CDXXXII CDXXXIX

Però che lo investi ne la collottola, Fra gli altri vari lor ragionamenti
In modo tal che'l baston non isdrucciola, Il Povero diceva a Galvaneo:
Anzi 'n un tratto morto ivi cimbottola, Vedi quanto mancoe d'essere spenti
Tanto fu soda ed aspra quella succiola; Di vita per quel caso tanto reo,
Ma Sinefido già come una trottola Per tua cagion, ma simili accidenti
S'aggira pel fetore, o qual fa cucciola, Son da faggir, se bene un semideo
Nel sito, ove la lepre è suta a pascere, Fusse qualunque, acció s'avessi abbattere,
E credo che e' credesse ire a rinascere. E non si por con le bestie a combattere.
CDXXXIII CDXL

Conciosiacosa perchè tramortito Perché come sappiamo, razionali


Cadde pel tosco, e per l'affanno spasima Non sono, adunque non v'è discrezione,
Del combatter con quel leon Gnito, Anzi son per natura omicidiali,
Che pareva che al cuore avesse l'asima, Universal d'ogni generazione,
E cosi tutta notte isbalordito Massimamente simili animali,
Come se addosso avesse la fantasima E fu la nostra gran presunzione
Stette, che mai non si potelte muovere; Anzi ignoranza, od espressa pazzia,
Poi cominciò sul far del giorno a piovere. E giusto il guiderdon par suto sia.
CDXXSIV CDXLI

Perché naturalmente l'acqua fresca Che chi cerca le brighe del compagno,
Fa risentire i sensi in un baleno, Ebene inerto se per se ne truova :
Cosi in un punto par ch'a ambo due esca Dove perder si può senza guadagno,
Del capo il sonno, il fetido veneno ; Matto è colui ch'a l'impresa si muova:
Benchè ogni nocome par che se n'esca Esser bisogna idonio, anzi mascagno,
Onde si fia per l'aere sereno ; E tutto il giorno se ne vede pruova;
Ed è il sole, e'l seren quel che purifica In quel che non ti attiene e non ti tocca
Più ch'altra cosa, ed il tosco mortifica. Non ne mover mai passo, nè aprir bocca,
CDXXXV CDXLII

Dunque per l'acqua Calvaneo e 'l Povero Eccol to n'hai veduto esperienza
Si furono in un tratto risentiti, Quel che s'acquista de le liti altrui,
L' un sotto un ſaggio, l'altro a piè d'un rovero E certamente l'è poca prudenza
Dove la sera rimason sbasiti, Usar senza cagion dar noia altrui,
Non avendo altro refugio o ricovero, Or questa sia la chiosa e la sentenza,
E sani e lieti , gagliardi ed arditi Chi piglia parte, toe la briga altrui ,
In piè levarsi, ringraziando Iddio E nimicizia acquista, ed è incontrato
Del caso occorso, lui chiamando pio. A noi, come a chi spicca lo 'mpiccato.
CDXXXVI CDXLIII

E poi de la preterita battaglia, O pur del male una buona detrata


Tutti ammirati, come ripensando Per la grazia di Dio men pare avere,
Esser poteva né piastra, nè maglia Il qual proprio la vita ci ha salvata,
Non avendo nessun, o lancia, o brando Non per nostra virtù, non per sapere.
E quella orribil testa e fera scaglia, E cosi presso al fin de la giornata,
Del drago, ogoun veniva esaminando ; Dov'io lasciai Sidilagi a sedere
Ultimamente poi ciaschedun prezza Sendo poco lontani, e lui che aspetta
Certificarside la sua lunghezza. Faceva spesse volte la civetta.
273 CIRIFFO CALVANEO 274

CDXLIV CDLI
E volto l'occhio un tratto ebbe veduto Ciriffo per quel urlo risentissi
Da la longa venir duo compagnoni, E iu piè levossi, e riprese il bastone
Ch'era Ciriffo e il Povero Avveduto, Mentrechè Sidilagi indi partissi ,
Si come è detto con que' gran bastoni. E vul valersi de l' offensione.
Questo malvagio al male antivedato, Non volse Sinefido egli il seguissi
Appiè del masso si gitto carponi Avendo pur di lui dubitazione,
Da l'altra banda, perché non temessino E disse non tentar mai la fortuna
Di lui, chè altro sentier non prendessino. In cosa che non sia di gloria alcuna.
CDXLV CDLI

Cosi di piatto sta per assaltargli, Lascial andar, che poco util sarebbe
Nè niente teme d'esti doo briganti, A noi sua morte, e s'ta vi rimanessi,
Tanto si fida clie la spada tagli, Volgarmente di te poi si direbbe,
Che non are' temuto di duo tanti, Abbisi il danno, e molto ben ti stessi,
Anzi si crede certo da fettagli, Nè altro che viltà la tua parrebbe
E poi far la ricerca de' bisanti, Fuggendo lai e drieto gli corressi,
Dicendo: Questi mascalzon ribaldi Sì che per nessun modo in questo panno
Più che di panni son di dobre caldi. Non ci conosco taglio senza danno.
CDXLVI CDLIII

Ciriffo ch'ha veduto il sasso quadro Seguitiam pure avanti nostra via
Per posarsi su quel ne vien più ratto Che mill anni mi par d'uscir de' boschi:
Che Sinefido: ma l'assassin ladro Queste vivande per la fede mia
Che'l vede, aspetta come il sorcio il gatto Omai mi par che ciascuna m' attoschi;
Per metter l'uno e l'altro po'a soquadro: Questo sentier dee pare, ove che sia,
Ecco Ciriffo giunto, e lui diffatto Guidarci in altri agier non cosi foschi;
Salto in su'l masso, e trassegli nel petto E cosi sendo appresso a Gostantina
Un calcio, che 'l mandò in terra di netto. Furno arrivati a casa di Aleandrina.
CDXLVII CDLIV

Per chelo colse ne la bocca a punto, La qual con Siliametto lagrimosa


Del stomaco, si che pur tramortito Si stava per la morte di Drusilla,
Rimase che parea proprio defunto; Sendo fra lei, e lui quieta la cosa
Eccoti Sinefido invelenito E come buon figliuol volle ubbidilla ;
Ch'ha visto 'l ladro innanzi che fie giunto, Ma ella afflitta stava, e paurosa
E Sidilagi incontro li fu ito Che Sidilagi non torni a fornilla
Col brando nudo, ed un mandritto spranga La notte, mentre che fusse nel letto,
Credendo pur ch'al primo e' vi rimanga. Ed anco la accoccasse a Siliamello .
CDXLVID CDLV

Sinefido ch'è pratico, ed avvezzo Giunti costoro, e bussato la porta


A la schermaglia, para col hastone, Chiedevan per Macon qualche mercede ;
E pârli questo giovan di tal prezzo Aleandrina impallidita e smorta
Che non bisogna averne discrezione, Su dal balcon questi briganti vede,
Ma perché resti a lui il colpo sezzo E presto fe' disegno come accorta :
Adopera ogni industria col garzone; S'io ritengo costor, per la mia fede,
Cosi l'un l'altro si forbotta e picchia, Di Sidilagi non aro paura
L'un si scontorce, e l'altro si rannicchia. Forse che Dio mi manda tal ventura.
CDXLIX CDLVI

Sidilagi crudel, malvagio, e rio E volta a Silametto, il pensier disse,


Per dar le frutta al padre avanti cena, Ch'aveva fatto, e sendogli capace
Un colpo trasse col brando a schiancio E se pareva a lui ched egli aprisse,
Al destro braccio, e con gran forza il mena Onde e' rispose : il disegno mi piace,
Per tagliar quel, com'era suo desio, Emolto gratamente aperse e misse
Egiunse su la spalla a la catena ; Costoro in casa con amor verace,
Ma se quella non era tanto grossa Avendogli invitati a buono scotto,
Are' ricisa quella, e panni e l'ossa. Ma lor l'aren tenuto del diciotto.
CDL CDLVIL

A Sinefido parve il colpo strano Egionti in sala feron reverenza


E tinto d'ira, come un diavol cruciasi, Ad Aleandrina, e il saracin saluto
E crivello il baston verso la mano Dettono a lei, e con grata accoglienza
Di Sidilagi : si che quella sbucciasi , A l'uno, e l'altro fa da lei renduto,
E perché il colpo gli parve villano E riposati alquanto a la presenza
Si mise in fuga urlando, e la man succiasi, Mentre ched ella aveva provveduto
E par che'l diavol abbi a le calcagna, Circa a la cena, e per tal modo ha fatto
Per modo corre su per la montagna. Che per la sera ella fe'lor buon piatto.

18
275 CIRIFFO CALVANEO 276

CDLVIII CDLXV

Ultimamente ognuno a seder posto Sendo per isciagura ivi saputo


Su un tappeto in terra a la moresca, I proprii nomi d'essa duo cristiani,
E varie imbandigioni lesse e arrosto Di Calvaneo, e Povero Avveduto
E insieme al brodo n' un piatto si tresca, Che tanto erano odiati da' Pagani ,
E così sendo l'uno a l'altro accosto Ch' altri che'l ciel non poteva in aiuto
Siliametto col suo parlare aesca Esser per loro in que' paesi strani ,
Ciriffo, e Sinefido per comprendere Perchè quivi non son cinti di mura,
Lor qualità, e varie cose intendere, Ma soli , iscalzi, a piè, senza armadura.
CDLIX CDLXVI

Di che paese sono, e come presi Adunque venne ben fatto a costei
Eran suti, e in che modo da corsali Di cangiar nome, e finger la risposta
E dove, e quando, e come poi difesi Per la salute e di loro e di lei ,
S'eran da quegli iniqui e micidiali, Nè può tener le lagrime a sua posta
E così sendo nel parlar distesi Per tenerezza, e diceva : I'vorrei
Con Siliametto l'uno e l'altro eguali Pregandovi, che voi facessi sosta
Contavan le fortune e le vittorie Qui col mio figlio, e meco alquanti giorni
Ch' aveano avute, e narravan ie storie. Per tema che quell'altro non ritorni.
CDLX CDLXVII

Ultimamente del leon, e il drago Per tormi (come volse oggi) la vita
Ch'avevan morti, e le branche mostravano, Quando la tolse a quella mia matrona,
E Siliametto innamorato e vago Ma s'io non fosse in quel punto fuggita
Era d'udir le cose che narravano. Col brando ricedeva mia persona.
Sinefido per dargli intero il pago Cosi al dimorar costoro incita;
Diceva come un giovane trovavano Pur lagrimando mentre che ragiona,
Lui d'appresso, e in che modo assaltogli E Siliametto, Calvaneo, e il padre
E de la mischia, e poi come lasciogli. Ne priega per pietà de la sua madre.
CDLXI CDLXVIII

E cosi mentre insieme ragionando, Dicendo come è quel superbo e crudo,


Aleandrina a le parole attenta Robusto, qual creasse mai natura,
Sinefido venia raffigurando , Ed in effetto quel ch'io vi conclado,
Ed anco di Ciriffo si rammenta, La vostra compagnia terrà sicura
E chiaramente viene interpretando Questa mia madre; benchè scalzo e nudo
Come e'son dessi per quel ch'ella senta; Sia ciaschedun, di nobile armadura
Ma Sinefido a le parole pronte Provvisto vi parrà che presto sia ,
Conobbe scorto per un neo ch'ha 'n fronte. Si che il servigio meritato fia.
CDLXII CDLAIX
E tanta fu la tenerezza ch' ebbe, Quando Ciriffo, e Sinefido intese
Che le lagrime presto fuor balzorno : Ultimamente quel che'l giovan protera,
Costoro accorti ognun saper vorrebbe Restando alquanti giorni per distese
De la cagione, e ne la dimandorno, Ciascun consente, e libertate gli offera,
Ed ella finse, e disse che l' increbbe Desiderando d'essere in arnese.
Tornandole a memoria come il giorno Leopantina lieta il suo amor soffera
Una cara matrona dal figliuolo Per rinfrancar l'onor del suo marito,
Suta era morta, e piangeva pel duolo: Che per fortuna avversa era smarrito.
CDLXHI CDLXX

E come s' avia preso per partito E ripetendo le pene, e gli affanni,
Avendo a più d'una cosa respetto, Che per amor di lei avea sofferti
Non voler palesarsi al suo marito, Per ritrovarla , circa a diciotto anni
Per non smentir quel che prima avea detto, Si può dire abitato è pe' deserti,
Che gli era un uom sopra gli altri gradito Ed ora il vede al declinar degli anni,
E mostrandol si vile a Siliametto E l'uno e l'altro miseri ed incerti
Non le parea che vi fosse il suo onore, Di ritrovarla, anzi fuor di speranza ,
E tienlo occulto, e spera in suo valore. Nè di vedere più Parigi o Franza.
CDLXIV CDLXXI

Ed ella per non esser conosciuta Epel dolce martir che la molesta
Quando gionse a Drusilla si meschina, Non può mangiare, e da mensa levossi,
Non disse il proprio nome, anzi se'l muta E preparoe per lor la zambra, e in questa
E fecesi chiamare Leopantina , Un degno bagno in che ciascun lavossi,
Si che fu buon, perchè in questa venuta E con una amorevolezza onesta
Non vi si mentovasse Aleandrina, Che d'onorarli a ognun modo non puossi
Ch'egli era forza rinnegare il tutto, Saziare, e simigliante Siliametto :
E facil cosa ognun fusse distrutto, Ultimamente se n'andorno a letto.
277 CIRIFFO CALVANEO 278

CDLXXH CDLXXIX
Or se costei con molta affezione De la quale il gran popol, per ingiuria
In tale estremo amassi il suo marito, Ricevuta dal rege suo innante
Io nol distinguo, ma per discrezione Circa a sei mesi, l'avea morto a furia,
Il savio dia il giudicio espedito; Per le sue tirannie che tante e tante
E le prepara ogni recreazione N'aveva fatte, e per la sua lussuria,
Utile al corpo, che restituito In ciò sfrenato assai più che Vergante,
In esso sia il vigore che già fue, E non sendo di lui resta' persona
E similmente fu per amendue. Succedente a lo scettro e la corona,
CDLXXIII CDLXXX

Cosi pe'lor bisogni antiveduto S'era più volte il popol congregato


Da la madre e dal figlio è con effetto, Per crearsi novella maestade,
E come da natura è conceduto, Nè mai d'alcun che si fusse trattato,
Era da Sinefido Siliametto Vi fu accordo, ed in fra loro accade
D'un filial amore nel cuor tenuto, Un certo sacerdote, o gran prelato
E similmente lui dal giovenetto Astuto e falso pien di falsitade,
Amato, e tanto ch'io nol so descrivere, Però che falsamente ha dato a'ntendere
Ma non poteva un senza l'altro vivere. Al popol sì che l'ha fatto conscendere.
CDLXXIV CDLXXXI

Ecosì l'un con l'altro si travaglia E a la sua voglia, notate l'effetto,


Famigliarmente, e stan senza paura, Volendo un suo nipote coronare,
E Sinefido molto di schermaglia Ha inferito lor che Macometto
Mostrava a Siliametto, e lui pon cura Visibilmente gli venne a parlare,
Quando guarniti di piastra e di maglia E dove, e come, e quando gli avea detto
Facevano a saltar qualche misura, Che dovessin quaranta giorni stare
Quando di piana terra, in ne l'arcione In orazion di fuori a la campagna
Sopra d'un grosso e corrente roncione; Ferventi, e volti in verso la montagna.
CDLXXV CDLXXXII

Tanto che Siliametto, ch' era destro In ne la qual su in ne la parte esima


Imprese quel che ne può far natura, L'ultimo giorno sarebbe apparito
Nè li pareva alcun giuoco sinestro, Un suo mandato, che da somma a l'ima
E innamorossi si de l'armadura Di candido color sarà vestito,
Che fe' pensier di seguire il maestro, Ed a la chioma sua sarebbe in çima
E gir con lui cercando sua ventura. D'una ghirlanda d'ulivo guernito,
Or lasciam qui costor goder con agi, Con un libretto in ne la man sinistra
E ritorniamo al crudel Sidilagi. Nel qual sare' del suo voler la listra.
CDLXXVI CDLXXXIII

Ricordavi ch'io dissi poco avante In ne la destra, nuda arè la spada


Che avendo col padre combattuto, Qual vero difensor de la giustizia,
Saliva la montagna d' Atalante E visto quello incontro ognun li vada
Qual fusse un daino, od uno stral pennuto, A'ncoronarlo con molta letizia;
Non gli parendo d' essere bastante Ma nel tenergli in tal disio a bada
Con Sinefido ; e pel colpo ch'ha avuto Cautamente, non già con pigrizia,
Col baston ne la man, quella si succia, Sendo il suo nievo a studiare in disparte
Dicendo l'orazion de la bertuccia. Ne l'avea fatto accorto con le carte.
CDLXXVII CDLXXXIV

Ma la ventura corre dietro a' tristi, Equel per soddisfare al suo precetto
E per fuggir i buon par ch'abbi l'ale; Era venuto al luoco, al punto, e l'ora
Costui sendo disposto, come udisti, Occultamente, benchè alcun sospetto
Deliberato al tutto di far male, Non ha, perchè di lui ciascun ignora
Parmi che a torto tanto bene acquisti "In quella ragione: e come è detto,
Si brevemente, nè mai cosa eguale Venuto il giorno, senza far dimora
Non credo fusse poi che la natura Preparato costui per coronarsi
Ebbe creato al mondo creatura. Sen giva al luoco ove dovea mostrarsi.
CDLXXVIII CDLXXXV

Conciossia cosa che uno assassino Parato a punto come prima dissi
In uno stante coronato sia In capo, e indosso, e l'una e l' altra mano:
Qual fu costui, o per fatto, o destino, Cosi andando par che si scoprissi
O che fortuna per sorte gli dia, A Sidilagi di poco lontano.
Qualunque fosse; e prese buon cammino Che il vide andar facendo pissi pissi ;
Avendo preso del monte la via, Sidilagi vêr lui con volto strano
Perchè di là da piè de la montagna Fermossi, avendo per affanno l'asima
Arba v'era città famosa e magna. Dicendo: Pare questa la fantasima.
CIRIFFO CALVANEO 280
279

CDLXXXVI CDXCM

E'l vo' veder, ma certo che non fia, A questa volta, e il gufo fia pur egli
Però ch'ella non suol portare spada : Che rimarrà nel vischio spennacchiato :
Se la sua taglierà me' che la mia Avendo dileggiati molti uccegli
Me n'avvedrò , e senza stare abbada Meritamente loi resta uccellato .
Con quattro salti attraverso la via Chi si diletta di fraude e travegli
Pel bosco come un cervio, e'n su la strada Non si dee lamentar sendo gabbato :
Innanti a quel fermossi, e prese a dire: Il sacerdote fuor de la moschea
O Baccallare dove credi tu ire ? Non dovea travagliar sua mente rea.
CDLXXXVII CDXCIV

Così dicendo, ha sfoderato il brando, E questo è dato per giusta sentenza,


E quel garzon, il qual non era pratico Cosi dice il decreto de la fede,
Ne l'arme impallidi tutto tremando Ch'ogni peccato vol sua penitenza,
Ch'era sol ne le scole bon grammatico, E spesso esperienza se ne vede.
E le parole, e gesti cogitando Questo di tutti sia ferma credenza :
Di Sidilagi , gli parea rematico, Chi fa quel che non dee, quel che non crede,
Nè sa che far debba, e per temenza Le più volte gli avvien contro a sua voglia,
Si ingenuflesse, e dice : Abbi avvertenza Che ne risulta eterna infamia e doglia.
CDLXXXVIII CDXCV

Ala mia vita, e di grazia ti chieggio Torniamo a Sidilagi, ch'è parato


Che le parole mie ti piaccia intendere: Apistola, e vangel senza l'amitto,
Se m'uccidessi, sarebbe il tuo peggio; O manipolo, o stola, ed è inviato
Deh non voler la tua ventura offendere, Per gire al luoco, ove colui gli ha ditto ;
Or nota in che felicità io deggio Ed asceso sul masso relevato
Venir, se il monte tu mi lasci ascendere ; Sopra di quello in piè restando ritto,
E brevementeli distingue e sgocciola Nè prima fu sopra il masso salito
Il barlettin che non vi rese gocciola. Che giù nel pian dal popol fu scolpito.
CDLXXXIX CDXCVI
E detto il tutto un codicillo annoda. Dove ciascun con lagrimose strida
A le parole che di sopra assunse : Con somma reverenza, e devozione
Si che di retro tu mi farai coda, Ringraziavan Macon, che la lor guida
La tua ventura a tempo oggi qui ginnse. Avea mandato a sua contemplazione.
Sidilagi in quel ponto par si roda Sidilagi non può far che non rida
Tutto per ira, che nel cuore il punse, Veduto il popol come a processione
E trasse un man rovescio al giovanetto Mosso vêr lui con istromenti e canti,
Che il capo in terra gli mandò di netta. Con molti sacerdoti andare avanti.
CDXC CDXCVII

Dicendo: Traditor, malvagio, e rio, E mentre che la torba in su saliva


I' credo per Macon che tu t'inganni, Per la montagna, e Sidilagi aspetta,
Che a questa volta il capo sarò io E si come ciascun presso gli arriva
E tu sarai la coda con tuo' danni. Di mano in mano inginocchion s'assetta.
Si non sono in errore al parer mio Il detto sacerdote compariva
Meglio staranno a me cotesti panni, Tra i principi maggior di quella setta
E se in tuo cambio sarò coronato Con cerimonie e con massimo onore
Sicuramenre sia di me il peccato, Per coronare il lor novel signore.
CDXCI CDXOVLI

D'aver tradito il popolo ignorante E stimandolo un uom celestiale,


Ch'aspettano il mandato di Macone, Ciascun il pregia, riverisce e teme :
Qual sia no' importa: un sarà lor bastante Accolto insieme il gran popol bestiale,
Pur che di lui non abbian cognizione, Per devozion ciascun lagrime geme:
E sia proporzionato qual avante Non vede il sacerdote alcun segnale
Tu mi diresti al luoco, e la stagione, Che sia il nievo, e gran dolore il preme,
E come tu dicesti la ventura Dovendo fare una degna orazone
Sarà per me, ed io la tua sciagura. Al popolo, com'era sua intenzione.
CDXCH CDXCIX

Vedrai ch'io mi sarò forse levato La qual cosa pareva suo interesso,
In migliore ascendente del pianeto, Perchè più grato sia da lor tenuto;
Che non ti sara' to, per quel ch'è stato Ma quando fu a Sidilagi presso,
Insino ad ora: e cosi molto lieto Attonito parea, balordo e muto.
Fussi qual era colui addobbato, Certificato che non era desso
Col brando a mano, e il libro del secreto A pena disse: Tu sia il ben venuto,
Di Macometto, anco del sacerdote Ned altra esortazion potette scorgere,
Quale uccielato arà pel bellegote Ma la corona in testa a pena porgere,
281 CIRIFFO CALVANEO 282

D DVIL

Gli potè pel dolore, e pel sospetto Nel qual si conteneva questo effetto:
Del suo nipote, ed anco pel trattato Che del reame assai prenci, e signori
De la corona, e del libro predetto Sian decolfati, che vuol Macometto;
Per quel che v'era per lui deputato; Cosi de la città molti maggiori ,
Ma Sidilagi ancor non l' avea letto, De' quali il sacerdote avea sospetto
Pur nondimeno essendo coronato, Che non si generasse ne' lor cuori
11 popol tatto lietamente il vede, Odio, nè invidia, e facessino un tratto
E beato chi può basciargli il piede. Al nuovo re come al vecchio avean fatto.
DI DVIHI

Con molte ceremonie degne, eguali A Sidilagi fu molto capace


Ala lor qualità, come usan vivere, Il modo a levar via sospezione
Secondo il luoco, qual proprii animali, Dal suo reame, e per tenerlo in pace
Tal ch'io non so di for modesto scrivere : L'ordine detto misse a sequizione.
Uomini ignoti, viziosi e bestiali, Or questo, or quel, secondo che gli piace
Onde disposto son di lor prescrivere, Facea morire a sua contemplazione,
Salvo che tutti fur con devozione Dicendo che Macon manda per loro
D'an voler pronti a la coronazione, Per transferirgli al suo superno coro.
DII DIX

Eccetto che il predetto sacerdote, Eciascun pronto a la sua obbidienza,


Che da la torba s'era dipartito Che parea proprio ch'andassino a nozze,
Battendo il capo, e graffiando le gote Nè del morir facevan resistenza;
E inverso la caverna ne fu ito, Cosi di man in man le teste mozze
Dove sapeva che dovea il nipote Furono a tutti que' di più potenza,
Al tempo prepararsi al modo udito, O di gente bestiali, orrende e sozze,
E trovandolo morto ne la strada, Che reputavano questo uom-céleste,
Nel caur si fisse quella nuda spada. Eparea a lor celebrar sacre feste.
DIII DX

La qual dovea mantener la giustizia 4T


Lasciam re Sidilagi che scapezza
Secondo ch'egli aveva dato a 'ntendere Di man in man qual era pia cresciuto
Al popol, simulando la tristizia In pregio, di potenza e di ricchezza,
Per farlo bene al suo voler conscendere. Perché col tempo non'li sia nociuto,
Ecco che la ha punita la niquizia E-ritorniam dove l'alma più prezza,
Di lui, che si pensava quella offendere, Cioè a Ciriffo e al Povero Avveduto,
Ma del sno tristo seme or mette il frutto, Che sono stati già circa duo mesi
E per salire assai, isceso ha il tutto. Con Siliametto, e son bene in arnesi.
DIV DXI

Dunque il proverbio, quale avanti dissi, Ed era tanta la benivolenza,


:
In breve spazio s'è verificato. L'amor, la affezion tra 'l padre e'l figlio,
Torniamo a Sidilagi che partissi Che quando l'uno a l'altro era in assenza
Con la gran turba del monte elevato; Ipsofatto ciascun turbava il ciglio,
1
Reputava ciascun che lui venissi E già più volte di far dipartenza
Di cielo in terra, e lui ha confirmato Avevano infra for preso consiglio, 1
La loro opinion, che vana e sciocca E sempre Aleandrina, o Siliametto
In modo gli ha lavorati con bocea. L'interrompeva per qualche respetto.
DV ‫וואת‬

Cosi con tutto quanto il popolazzo Ella aveva duo emoli nel cuore, 1
Con istromenti e gran solennitade, Che l'uno e l'altro repognava assai
E canti, e giuochi, e piacere, e solazzo Dal si al no del suo sposo e signore:
11 re novello entrò ne la cittade, Se parte, in dubbio è rivederlo mai,
1
E dismontato al magno e bel palazzo, E se non parte, tème del suo onore,
Ne la sedia real sua maestade E sospirando dicia: Che farai ?"
Po collocata, e ne la sua presenza Sarai tu si crudel che non ti mostri
Giuraron tutti i grandi obbedienza. Col frutto al tuo signor de' corpi nostri.
DVI DXIM

Dopo alquanti giorni per la terra Ma per cagion che gran ragionamento
Si fece balli e molte armeggerie. Era suto tra lor di Barbaria,
Se l'autore che scrive in ciò non erra Come già dissi , del torniamento,
L'ottavo giorno Sidilagi aprie Ch'era bandito in tutta pagania,
Il libro di Macone, e presto il serra Pel qual Giriffo e Sinefido attento
Si come del tenor suo si chiarie, Istavau per partirsi tuttavia;
Per osservar i suo' comandamenti Ed ella per gran zelo del suo fiolo
Ovver del sacerdote i tradimenti. E del marito consentiva al doulo
283 CIRIFFO CALVANEO 284

DXIV DXXI

Del partir Sinefido, e Calvaneo, La festa è questa. Quando par che sia
Perchè accogliessi a Tunisi la rosa, Il tempo a lor proposito, si muovono
Stimando certo che quivi uno Deo Con esercito grande, e in Barbaria
Si facci sua persona valorosa , Vanno scorrendo, e predan ciò che trovono,
Sapendo quanto ne l'arme poteo, E non ti dico se quella ginia
S'era disposta a speranza dubbiosa Come nugol di storni al gancio piovono :
Vivere ancor, come quella che brama Sino a le porte di Tunisi vanno
Lasciar di sè posmorte in terra fama, Mettendo que' paesi a saccomanno.
DXV DXXII

Per la constanzia sua, come si vede Si ch'al tornare indrieto con la preda
Avendo usato tanta continenza , Ne venian tutti carchi come micci,
Ed osservala casta e pura fede E le loro armi vo' che ciascun creda
Per preterito, ed or con tal prudenza Ch'altro non eran che bastoni arsicci,
Non ha voluto aver di sè mercede; Nocchiuti e gravi , e in sul bernocchio v'era
Pel gran disio d'onore, a la partenza Certi sponton di ferro, che 'l bisticci
Cedette d'esti duo franchi guerrieri, Non arebbe guasta quella cionta,
Provvisti a quanto fa loro mestieri. Nè col suo incanto iscorazza da Ronta .
DXVI DXXII

Avendo avuto al termine respetto Inteso Sidilagi la proposta


De la giostra che'l di non preterissi De la lor festa, si solenne e degna,
Di Tunisi , si come sopra è detto ; Gli par che sia, e niente si scosta
Ma prima ch'a destrier nessun salissi Dal lor volere, e ſe' far nuova insegna,
Era disposto al tutto Siliametto Dicendo, che gli vol seco a la costa
Di gir con lor, ma non volse che gissi E gir personalmente a tal convegna,
Leopantina: tanto piange, e priega E se paressi troppo a stare un anno
Che Siliametto al suo voler si piega, Da l'una volta a l'altra duo, v' andranno.
DXVII DXXIV

Con le impromesse che que' due li fanno Or non ti dico se'l popol galluzza,
Di ritornare, o di mandar per lui, Però che a Sidilagi gli solletica
E l'uno e l'altro la fede gli danno. Dove pizzica loro ed egli auzza
Sinefido dicea : Credi a costui L'ingegno a compiacer la gente eretica,
Come a buon padre, e non temer d'inganno E se ignun luoco il tempo si rabruzza
Ch'i'non sarò ingrato, e mai non fui, Verso di lui, male per chi farnetica,
E se per grazia il ciel nel torniamento Che basta solo un cenno de la bocca
Ci dà vittoria, tu sarai contento. A quella plebe, poi zara a chi tocca.
DXVIII DXXV

Ultimamente accomiatati e mossi, Non tenne mai niun tempo lo scettro


Avendo fatto in lor soddisfazione De gli Arbi un re, nè giammai più ne fia
Con parlar grato quanto far si possi Nessun, che fusse a tutti al cuore în metro
Verso di Leopantina e del garzone, Qual Sidilagi era a quella genía.
In modo tal che ciaschedun restossi Or lasciam qui di lor concordia a retro,
Lagrimando per grande affezione, E ritorniamo a la festa di pria,
E Sinefido e Ciriffo s'avvia De la qual sendo appresso il tempo giunto,
Contenti e lieti verso Barberia. Re Sidilagi si metteva in punto.
DXIX DXXVI

Lasciamli andare, e ritorniamo intanto Siccome quel ch'è padre di malizia,


A Sidilagi re de la montagna Ebbe pensato un doppio scaltrimento,
D' Atalante, si come dice il canto, Avendo avuto sentore e notizia
Che faceva tremar quella campagna, Che in Tunisi bandito è il torniamento,
E quel popol bestial lo tien per santo, Per poter de l'agresto a dovizia
Nè de l'opere sue nessun si lagna ; Fe' di dugentomila assembramento,
Anzi ciascun aumenta l'effetto, E dipartissi, e simulando, mostra
Stimando sia voler di Macometto. Per gran magnificenza ire a la giostra.
DXX DXXVII

Emolto piace loro il suo governo, Avendo fatto un secreto consiglio


E come l'uccision de' grandi resta, Perché con tanta gente si movessi,
Un giorno il popol notizia gli denno Che se poneva in sul baston l'artiglio
Come per una lor solenne festa Metter Tunisi a sacco, o se potessi
Ogni anno un tratto ab antico già ferno Dare al reame in un tratto di piglio,
Sino al presente, e par lor cosa onesta, Non sia chi creda, che se ne infignessi ;
Che di tal festa fian sue voglie brame E se il disegno non facessi colta,
Perchè sen pasce e ingrassa il suo reame. Per far come la piena al dar la volta.
285 CIRIFFO CALVANEO 286

DXXVIII DXXXV

Scorrendo piani, e valli, e monti, e colli E'l qual tu ami, e non hai conosciuto,
Ad ogni cosa menando il rastrello Ma tor non puossi quel che da natura,
Massime del bestiame insino a polli, E ben che sia in esterminio venuto
Ch'ognun facessí a suo poter fardello, Esalterallo adesso la ventura :
Epieno il sacco, il corpo si satolli Sappi ch'egli è quel che tu hai tenuto
Finchè trabocchi disopra al cervello, Teco, che sperto t'ha ne l'armadura,
Si ch'a ignun modo non si perda i passi, E la sera ch' io tanto lagrimai
E che l'antica usanza s'osservassi. A mensa, fu perch' io lo affigurai.
DXXIX DXXXVI

Se questa impresa a Sidilagi aggrada Pensa, figliuol, che mi crepava il cuore


Non si disputi, o se lieto cammini, Per tenerezza, e gran pena soffersi
Perchè (come già dissi) ire a la strada Di sua calamità e gran dolore
Era disposto come gli assassini. Ebbi gustando di suo' casi avversi,
Or vedi ben se par ch'ella gli vada Sperando e' rinfrancassi il suo onore
Apelo, e la ventura tien pe' crini, Là dove è ito, non me gli scopersi ;
Sendo lui fatto pastor d'una gregge De la qual cosa non dubito punto
Che sol di ratto si notrica, e regge. Se fia a tempo a quella giostra giunto.
DXXX DXXXVII

De gli Arbi, (che ne Zinchani nė Ussi Perch'io so che nessun non corre lancia
Non sono al camufar si pronti e destri) Eguale a Sinefido in tutto il mondo,
To' qual ta vuoi, che si può dir malfussi Ma la fortuna ci ha su la bilancia
Giovene, o veglio, a cavallo o pedestri. E manda quale al ciel, quale in profondo.
Re Sidilagi pareva il breussi Se per ventura mai ritorna in Francia,
Tra quegli uomini rigidi ed alpestri, Figliuol, to ti potrai chiamar giocondo,
E vanno verso Tunisi cantando, E s'egli acquista pregio in Barbaria
Come putte ebbre tutti gagagliando. Ti darà qualche regno in pagania.
DXXXI DXXXVIII
Sonando molti e variati stromenti In premio del servigio recevuto
Busne, cornetti, isveglie e pifferoni, Da te d'averlo rimesso in arnese,
E l'un per l'altro non par che si senti Perchè il cuor generoso è sempre suto
E certi tamburacci e naccheroni, Magnialmo, grato, al munerar cortese;
Qual propri Farisei sopra correnti Il proprio nome è il Povero Avveduto
A tutta briglia battendo gli sproni E di nobile stirpe Nerbonese,
Quando d'intorno al numero s' aggirano : E Calvaneo ha nome il suo fratello
Cosi costor verso Tunisi tirano.
Che già il trovai in sul monte Carmello .
DXXXH DXXXIX

Or lasciam questo popolo scorretto Ma nota, e gusta ben quel ch'io favello,
Andar, perchè mi torna a la memoria Se voi ch'io benedica tua persona,
Ch'io ho lasciato a casa Siliametto Non ti palesar mai per figlio a quello,
Piangendo, come detto è ne la storia Se prima non ti fa re di corona ;
Con tanto affanno, e dolor nel suo petto Che se tu seguirai il suo drappello
Che morte brama per suprema gloria, Breve sarà quel che teco ragiona
Tale che Leopantina per temenza La madre tua, e quando questo sia
De la sua vita gli dette licenza. Ricordatidi me dove tu sia.
DXXXIII DXL

Piangendo, con parole assai leggiadre E così detto Siliametto in punto


Disse : Figliuol, per la salute tua Armato in sul destrier è messo in via,
Consento che tu lasci me tua madre E brevemente a Tunisi fu giunto
Sola, meschina priva d'amendua E trovò il padre e la sua compagnia,
Figli ch'aveva, sperando che il padre Con gaudio e festa fu con lor congiunto
Ancor dimostra la prodezza sua ; E ricevuto con gran cortesia
Ma voglio che mi facci sacramento Da Sinefido e da Giriffo ancora ,
Di non passare il mio comandamento. Che ciascun l'ama, e quanto può l'onora.
DXXXIV DXLI

Sorrise alquanto, e giurò Siliametto Conoscendo ciascun d'esser tenuto


Sopra la fede, poi toccossi il dente, Al giovinetto, e pensan ristorallo
Epel santo Tabir di Macometto Se il ciel då loro favore ed aiuto;
Di non fallire la promessa niente. Per ognun mille ancor remunerallo.
Or nota, figlio, che sia benedetto, Ora aspettiam che'l tempo sia venuto
I vo' chiarirti quanto é conveniente E che i giostranti sian tutti a cavallo,
Per isvegliar tua ventura che dorme, E ritorniamo agli Arbi malandrini
Si che del padre tuo seguiti l'orme. Che a duo giornate, o manco, eran vicini.
287 CIRIFFO CALVANEO 288

DELII DXLIX

La qual cosa ad Esdran sendo palese 1 Dicendo che di tutta pagania


Che il nuovo re de' monti d' Atalante Prencipi e regi vengono a la giostra
Veniva, e' si come la nuova intese Per dimostrar qual più potente fia,
Andogli incontro una giornata avante E quello arà il baston de l'oste nostra :
Per onorarlo, sì che 'l suo paese Basterà che'l signor veduto n'abbia
Non metta in preda, e mostrasi suo amante, In campo senza far di gente mostra,
Però che avendo inteso il suo governo Si che per ovviare confusione
Lo estimava lo diavol de l'inferno. Si vieta moltitudin di persone.
DXLHI DL

Ned a la sua venuta resistenza Perchè non dieno in campo impedimento


Poteva fare, e mente per la strozza Al numer grande che fiano i giostranti,
Che l'ami , e giunto ne la sua presenza, Tal che bisognerà che il torniamento
La man gli bascia, e poi diceva mozza Fusse maggior di spazio ancor duo tanti, 1

Nel suo secreto, ed anne gran temenza E così dato buon provvedimento
Veduto il grande stuol che si raccozza Fu al bisogno, e già molti ammiranti
Ivi con lui, e di buon per la pace Erano in punto armigeri e gagliardi,
Gli dà per non voler sua contumace. E vedeansi spiegar molti stendardi.
DXLIV DLI

Anco fingeva di voler menario Di qua di là per Tunisi si corre


In Tunisi con tutta la sua scorta, Portando lancie, scudi , elmi e corrazze ;
Nel suo real palagio ad onorarlo Dove bisogna levar, dove porre
E molto affez onato nel conforta. Chi barde acconcia, che dipigne mazze,
Sidilagi nol volse contentarlo Chi un pennacchio ad un altro vuol torre,
Anzi gli chiese in dominio una porta Chi pruova i corridor su per le piazze,
A suo volere, e l'uscita e l'entrata, Chi scema, o cresce a la trombetta on punto,
Da mille cavalier de' suo' guardata. E tuttavia qualcun di nuovo è giunto.
DXLV DIIL

Edisse: Non avere, Esdran, a sdegno Eran già pieni i balconi, e teatri
Che tua grata proferta non negletto, Di damigelle con molte adornezze,
Ma il tuo cuor generoso accetto e degno, Chi per veder fratel, chi zii, chi patri
E sol del tuo parlar resto soggetto, Mostrare in campo il giorno lor prodezze,
Edovunque i' mi sia fuor del mio regno Venute di lontan con le lor matri
Non voglio in terra morata ricetto E Turche, More, Indiane e Ghezze,
La notte tanto, non dico del giorno, E Tartare ch' avevan que' visacci
Ma poi la sera a la campagna torno. Iscofacciati, larghi e pallidacci .
DXLVI DLIII

Fingeva Esdran che questo sia il suo cucco Mai non si vide il più pazzo inescaglio,
Ed offera di dargli ciò che vuole, Dico di donne di varie stature,
Pur che di cortesie l'abhi ristucco, E spesso insieme facevon garbuglio
E la porta gli die, benché gli doole. De le lor varie e strane acconciature,
Poi tornò dentro a Burello, e Malducco, Che parevan d'armenti un guazzabuglio
E disse lor, che più che non si suole Considerando tutte lor figure,
Conviensi avere in Tunisi respetto Che non arebbe mai ritratte Apelle,
Di buona guardia, e la cagione ha detto. Nè Zeusi le varietà di quelle.
DXLVII DLIV

Di Sidilagi , che la porta ha chiesta Lasciam costoro su per i palchetti,


Eper lo meglio glie l'ha conceduta, Che son d'intorno intorno a lo steccato,
E che gli è si copioso di sua gesta Quali eran pieni, anzi i balconi, e telli,
Che'l mal grado gli sa di sua venuta : E giả non v'è per le vil donne lato.
Benchè con essi a la campagna resta Eccoti giugner con molti trombetti
Pur nondimeno una persona astuta In campo l'Arcaliffo, che il papato
Gli par da non fidarsene col pegno, Teneva fra pagani di Maometto ,
Ede la porta non gli par buon segno. E d'auro lo scudo aveva al petto.
DXLVIII DLV

Non so se lui sotto ombra d'amicizia Le barde talte d'ariento e d'oro


Sendo venuto d'uomin si copioso Tirato, e l'un con l'altro era contesto
Pensato avessi di far la tristizia Con tanto vario e leggiadro lavoro
Che già fece a la serpe lo spinoso, Che non si vide mai simile a questo,
Benché e' ci fia de cattivi dovizia, E per cimieri aveva il barbassoro,
Ch'una ne pensa il cuoco, una il goleso : Non so se questo in versi pare onesto,
Qui bisogna aver l'occhio e star attento Un Macon d'oro, che ne la moschea
Che con poca brigala e' passi drento. Dovea tenerlo , e in su l'elmo l'avea.
289 CIRIFFO CALVANEO 290

DLVI DLXIII

Per istendardo aveva una magnifica Eravi giunto il re Cornes Dalisse


Bandiera, anzi pareva un confalone : Come un fero leon d'orgoglio caldo,
Nel campo azzurro, in quella si notifica Con intenzion che se'l baston venisse
Sopra un sol d'oro uno alto Macone Ne le sue mani, guai al re Tibaldo ;
Di nuovo fatto, e dicon ch' e' significa Che gli atterrebbe quel che gli ha promisse,
Ch'a lui si debbe aver la devozione, E non poteva ignun luoco star saldo,
Perché l'esser salito sopra al sole Ed anco v'è l' Alpatrice novello,
Mostra come gli è la sua eccelsa prole. Che nou poteva star più nel cappello.
DLVII DLXIV
Ecco venir l'Almansor di Soria I'ti so dir che gli scalchi bisognano
Con tanta moltitudine di gente Ed annovi da far più che non possono,
Che gli andava sossopra Barberia Perché i giostranti egualemente agognano
Per gli stromenti, e il gridar che si sente: D'essere a' fatti, ed anco se ne mossono
Eccoti l'Amostante d' Alfania Alcun talvolta; e questi gli rampognano
D'un'altra banda, e punse il suo corrente, In modo tal che que' non si percossono,
Ecome un drago nel campo si scaglia Dicendo, che convien che tutti aspettino
Per far isviluppar quella canaglia. Fin che'l figlio d' Esdran dietro si mettino.
DEVILL DLXV

Egli è ben ver che dove è moltitudine, Ispalancossi in un tratto il palazzo


Eforza che vi sia confusione; D' Esdran, sonando trombe, e tamburelli,
L'ordine è bello, ma la 'mprontitudine Gridando forte tutto il popolazzo
Non lascia poi avere perfezione Quando uscir fuor que' tredici fratelli,
Al bel registro, e la similitudine Armati in su' destrier, che per sollazzo
Degli stendardi e loro proporzione, Il popol tatto correva a vedelli.
Perché con tanta furia ognuno isbocca De' tredici il minore è Rubicante,
In campo, ch'io non posso aprirne bocca. Il qual veniva a tutti gli altri avante.
DLIX DLXVI

Di qua, di là, di so, di giù istridere Dappoi Ischiappaferro, e Falsetrone,


Si sentiva e trombetti e vari suoni, EBellantin seguitava costoro,
E qual cader, qual piangere, e qual ridere, E dopo lui il fier Brancaleone,
Che pel romor par proprio che'l ciel tuoni, Ed appresso di lui era Arganoro,
Tal ch'io mi sento da affanno conquidere Poi Urbinel che pareva un falcone,
Non potendo narrar gli effetti buoni Poi Malagrappa, e Galappio con loro,
Distintamente, e die di tutti quanti Galeran, Falganoro e Balfumiero,
Lor qualità con gli stendardi avanti. Poi l'ultimo Burello ardito e fiero .
DLX DLXVII

Sarien qui bisognati gli occhi d' Argo Che magna cosa pareva a vedere
E l'orecchie di Mida non bastavano, L'un dopo l'altro tredici stendardi,
E però breve le sustanze spargo Ciascun con la corona appiè il cimiere
De' giostranti ch' a furia in campo entravano, De l'elmo di ciascun giovan gagliardi,
Che non si udiva se non largo, largo: Edopo a tutti su'n un bel destriere
Ma poi gli sealchi in campo gli assettavano, Esdran lor padre; e dee stimar che guardi
E Artibar ch'era re di Numidia Congran diletto sua bella famiglia;
Pareva che ciascun gli avesse invidia, Anco da lor non torceva le ciglia.
DLXI DLXVIII

Per la sua armadura, e il destrier vago Avea ciascun di lor vario ornamento
Ch' aveva sotto, rubesto e giulivo, Con cinquanta be' gioveni dintorno
Inuno scoglio natural di drago, Tutti pedestri, e nel torniamento,
Tal che pareva andando proprio vivo Come era deputato, quegli entrorno;
Quel di sanGiorgio, quando uscia del lago, Nè altra gente vi passava drento
E più feroce ancor ch'io non vi scrivo : Che gli staffieri, e chi giostrava il giorno,
Un cornoha in fronte e la coda arronciglia, E qual con grida, e con tanti stromenti,
Né si vedeva a quel redine o briglia. Che Marte certo il di credo spaventi
DUXI DLXIX

Era nel campo Tremeo di Persopia Per gli stromenti, e le grida che furno
Minore, e Brattamor re d' Argentina, In su la giunta per magnificenza,
Arballo re di Tripoli, e gran copia Tal ch' i' credo che Giove, anche Saturno,
Di regi pur de la legge Apollina , Temessindi ricever violenza.
Di Persia, d' Asia, d' India e d' Etiopia, Ettore, e Giosuè, Artu e Turno
E de la Tana, e di Bellamarina, Credo ne spaventassino in assenzia
E il gran Soldan del Cairo maggiore, Pel gran tumulto; e poi fatta la mostra
L' Ammiraglio, e l' Arcaito Monsore. Entrati in campo cominciar la giostra.

19
291 CIRIFFO CALVANEO 292

DLXX DLXXVII

La prima lancia corse Rubicante E dopo questo il gran Gan de la Tana


Si come valoroso giovinetto, Mando per terra con molto furore,
Ed a l'incontro l'Alpatrice avante Poi il Re Tremeo di Persopia spiana
Gli venne, e l'uno a l'altro ne l'elmetto In terra insieme lui col corridore,
Pose, e del pari al ciel volson le piante E poi il re de la parte Indiana
Si che ciascun votóe l'arcion di netto : Cornes Dalisse e l' Archaito Monsore,
Da l'altra banda corse Schiappaferro Equanti ne riscontra or questo, or quello
Contro Arbal di Tripoli, s'io non erro. Tutti per terra gli manda Burello.
DLXXI DLXXVHI

Artibal di Numidia, e Falsetrone, Tanto che la più gente s'accordava


Brattamor d' Argentina e Bellantino, Che la bella corazza fusse sua,
E l'arcaliffo con Brancaleone, E già il bastone a voce si gli dava:
EArganoro col re Domaschino, Adagio un poco, e'ce n'è ancor dua.
Ed Urbinello a l'Amostante pone, Eccoti Sidilagi che arrivava
Dico di Persia, e come paladino In questo: or ferma qui la mente tua,
Ciascun provossi, e per modo si truovano Che quando e' giunse con la sua bandiera
Che l'uno e l'altro di cader si pruovano. Ciascun ebbe tremor de l' Idra fiera.
DLXXIL DLXXIX

Ma il diavol gli scampo, che non v'andorno Ned altrimenti una gran foce in mare
Perchè nessun di staffa piede scappa : D'un grosso fiume l'acqua salsa fende,
Da l'altra banda insieme s' affrontorno Qual fece Sidilagi ne l'entrare
L'almansor di Soria e Malagappa ; Fra la gran turba ch'a la giostra attende.
Galappio, e il gran Soldan si ritrovorno Burel crede di lui simile fare
Con si gran colpi che quasi la zappa Che di quegli altri : in ver lui si distende
Fo di bisogno, in modo un pezzo stettono Col possente destrier, quale un falcone
Per morti in terra, e molti se'l credettono. Volando pare, e quell'altro un rondone.
DLXXIII DLXXX

Pur nientedimeno ognun si sforza Re Sidilagi con molta rapina


Di trarsi avanti , e non essere il sezzo . Con l'asta bassa al re Burello ha posto
Re Galeran con tutta la sua forza Ala visiera mentre che cammina
Contro al re d' Etiopia, ch'era Ghezzo, Che dieci braccia o più il gittò discosto;
Il destrier punse, e quel niente ammorza Lui e'l caval tombolando rovina,
Il suo valor, che l'ha aspettato un pezzo ; Nè tante fronde ha il maggio, o fichi agosto,
E l'asta abbassa contra a Galerano Quante lucciole parve a lui vedere,
Forte spronando, e già non pose invano. E ritrovossi in su l'erba a sedere.
DLXXIV DIXXXI

E si ferocemente ebbe a colpire, Or questo colpo fe' maravigliare


Che lo trasse d'arcion con gran martoro, Chi il vide, e chi lo 'ntese dire altrui ;
In modo tal che gli convenne uscire Galappio crede Burel vendicare
Di campo per aver qualche ristoro, E l'asta abbassa, e sprona inver di lai;
Però che non poteva rivenire. Ma Sidilagi lo fe' dismontare
Credendo vendicarlo Falganoro Senza staffiere, e poi dopo costui
Con l'asta bassa contro al Ghezzo venne, Abbatte Malagrappa e Falsetrone,
Ed anco a lui il simile intervenne. Poi Urbinello, e poi Brancaleone,
DLXXV DLXXXII

Veduto questo, mosse Balfumiero Poi abbatte l'Almansor di Soria


Per vendicare i duo detti frategli, Brattamor d' Argentina e il gran Soldano,
Forte spronando il possente destriero, Poi il re Salatresso di Rossia,
Ma fuor di campo ritrovossi anch'egli, E il gran Can de la Tana gittò al piano,
Però che il Ghezzo sul verde sentiero, E di poi l' Amostante d' Alfania,
Qual morto fusse, il gitto come quegli Qual era in arme un uom molto sovrano,
Duo altri innanzi, e Balfumier fu il terzo E l'arcaliffo per maggior dispetto
Si che nonpiacque a Burello il suo scherzo. Nel cader ruppe il cimier de l'elmetto.
DLXXVI
DLXXXHI
Maravigliossi al primo e del secondo E rimase Macon senza le mani
Si dolse bestemmiando Maumetto: A suo dispetto, ed anco al sol disotto,
Al terzo non l'are' tenuto il mondo
Che sopra a quel l'avrian posto quei cani ;
Che non fuss' ito contro al Moro a petto, Or si ritrova fracassato e rotto;
E sprono forte il destrier furibondo E Sidilagi con suo' colpi strani
Con impeto, veleno, ira e dispetto, A più di trenta avea già dato il botto,
Con l'asta bassa, e già non pose in fallo E qualunque con l'asta lui rintoppa
Che sossopra mando lui e'l cavallo. L'abbatte, o l'arrovescia in su la groppa .
293 CIRIFFO CALVANEO 294

DLXXXIV DXCI

In modo tal ch'a lui restava il vanto Pel gran sinistro che ſe'ne l'arcione.
De la giostra reale e del bastone. Ecome è detto staffo da un piede,
Mentre che corre si scopriva intanto Si che i giudicator con gran ragione,
Ciriffo e Sinefido ad un cantone Sendo il difetto chiar, come si vede,
Con Siliametto, e rimirato alquanto Del fievole destrier di quel barone,
La mirabile prova del barone, La sua prodezza quel colpo richiede ;
Il qual com' un leon pel campo rugge; Ma Sinefido ne la giostra magna
E Sinefido si consuma e strugge. Essendo a piè, del suo destin si lagna.
DLXXXV DXCII

Econ Ciriffo mentre si consiglia, Ciriffo e Siliametto come e' vidono


Dicendo: Qui potremo racquistare Caduto in terra il Pover col morello,
Quel ch'è perduto, ed alzava le ciglia Spronan ver lui, e di duol si conquidono
Dicendo che mai più in terra nè in mare Ed egli in piè salto come un uccello.
Con tal ventura niun si raccapiglia, La plebe dietro a Sidilagi gridano;
Si che non gli par tempo da indugiare; Immediate mandava il re Burello
Ned aspettoe che risposta seguisse, A Sinefido, e disse : O cavalieri,
Che il destrier punse e l'asta in resta misse. Qual tu ti sia, se vuoi un buon destrieri,
DLXXXVI DXCHI

E contro a Sidilagi il destrier serra, Ti donerò il meglior di questo campo


E Sidilagi inver lui non galoppa, Se ti basta la vita a repugnare
Anzi parea che non toccasseterra Con quel malfusso, eche non facci scampo,
Ma voli, e l'un con l'altro si rintoppa. Che di ratto il bel don s'osa portare.
Se l'autor che serive qui non erra, Il Povero che d'ira mena vampo
Con l'aste basse a la sinistra poppa Rispose : Se mi voi rincavallare,
L'un l'altro truova, e fu il colpo si crudo Vedrai in uno stante, o vivo, o morto,
Che a ciascun resta il roccieto al scudo. Ricredente il farò, datti conforto.
DLXXXVII DXCIV

L'aste parvon due gambi di finocchi Nè prima il disse che Burel dismonta
Bene intarlati, che se ne fe' polvere, Del possente destrieri , e sì gliel dona,
O tronchi, che sparir davanti agli occhi E Sinefido prese un lancio e monta
Volando, e in aria s'ebbono a dissolvere : Sopra di quello, e il dolore abbandona.
E Sinefido par che giù trabocchi Drieto al figliuol con furia e rabbia ed onta
Col sno destrier, ma qui bisogna assolvere Col brando in mano a tutta briglia sprona ;
Lui del cader, che non fu suo il difetto Ciriffo, e Siliametto si conforta
Ma del caval, perché scoppio di netto. : Spranando drieto a lui verso la porta;
DLXXXVIII DXCV

Pel colpo tanto poderoso e grave E cosi tutti e tre giunti di fuori
Ch'are' fatto scoppiare una montagna, Senza seguito ignuno in su quel punto
L'asta che ruppe, una antenna di nave Di tanti regi, e principi, o signori
Pareva, e però fece tal magagna ; Nessun v'ando per non esser defunto
Ma Sidilagi tal percossa ave Dagli Arbi micidiali , e traditori,
Dal padre, che con lui poco guadagna, E il Povero ebbe Sidilagi giunto,
Perchè sopra la groppa del cavallo Il qual si volse e dette la corazza
Arrovesciossi per iscaricallo. Ad un de suo'ch' aveva una gran mazza :
DLXXXIX DXCVI

Edel sinistro piè perdé la staffa ; Che giå era nel campo tra sua gente,
Ma se non che 'l cavallo inginocchiossi E di poco lontan dal padiglione,
Col piè dinanzi, e non avea la paffa E verso Sinefido col corrente
Di tornare in arcion, come tornossi : Si rivolse più fiero ch'un dragone ;
Il suo destrier balordo, una giraffa E sciorinava col brando un fendente
Con la testa parea, quando rizzossi ; A Sinefido, e lui quale un leone
E salta in aria perchè lui lo pugne, Si scaglia, e trasse un man rovescio a quello,
ESidilagi la corazza aggiunge, Che l' elmo roppe e 'ntronogli il cervello,
DXC DXCVII

E quella strappa, e girava la briglia E sbalordito al cavallo in sul collo


Con essa in braccio, e ne l'arcion si serra, Cadde, qual proprio una persona morta,
E tutti gli altri giostranti scompiglia : Cosi il destrier pel campo trasportollo,.
Esce di campo, e'l buon destrier disserra E Sinefido qual persona accorta
Verso la porta con la sua famiglia, A quel ch'aveva la corazza in collo
Ebrevemente usciva de la terra, Trasse una punta che la morte porta,
De la qual cosa ognun biasma costui, A la sinistra spalla sotto l'omero,
Perchè quel colpo non fa scritto a lui. Che la passòe come fasse un cocomero....
295 CIRIFFO CALVANEO 296

DXCVII DCV

E la bella corazza presto tolse Ed un forte elmo in testa s'ebbe messo


E rivolse il destrieri in un momento Ed anco alquanto prima rinfrescossi :
Verso la porta, e drento si riccolse Visto passar Sinefido d' appresso
Ciriffo ; e Siliametto non fu lento, Un'asta ismisurata in man recossi
Anzi del par ciascun con lui si volse Con intenzion di vendicarsi adesso
E ritornati far nel torniamento, Del colpo avuto, ed anco ricordossi
De la qual cosa molto commendato De la corazza, che gli fu ritolta,
Fa Sinefido per un uom pregiato. E pensa rilevar a questa volta .
DXCIX DCVI

Ma sopra tutti dal fiero Burello, Col buon destrier fra nimici si scaglia
Perchè gli par veder la sua vendetta, Con l'asta bassa che pare un abisso,
Offerendosi al Pover per fratello Fracassando elmi, scudi, piastra e maglia,
Con ciò ch'e' può, e Sinefido accetta, Stracciando i bei turbanti del cibisso,
E dice che volea tornare a quello, Ned arme trova ch'a suo' colpi vaglia,
Per sommergerlo il dì con la sua setta, E qualunque riscontra in terra ha misso,
E pregava Burel che lo seguisse Qual morto, e qual ferito, e poi la lancia
Con la sua gente, e faori ognuno uscisse. Al re Tremeo la ruppe ne la pancia.
DC DCVII
Burel che vede l'animo terribile E conficol dirieto ne l' arcione
Di Sinefido, che non teme gli Arbi Ed anco in quel non si fermò la punta,
Tanto feroci, gli pare impossibile Ch'un braccio ne la groppa del roncione
E molto par che tal gita gli garbi, Ficcossi ch'a forarlo parve unta,
E comandò ch'ognun facci il possibile Si che l'uomo e 'l cavallo in un troncone
Che da la terra tal genia si sbarbi ; Resto infilzati ne la prima giunta
E tutti in arme il Povero seguirono Da Sidilagi ; e volta ch'ebbe l'aste
Immediate, e quegli Arbi assalirono. Col brando dava lor le pere guaste.
DCI DCVILL

Or chi vedesse qui fra tante mazze Sonandogli da ritto e da mancino,


De gli Arbi arsiccie il nostro Calvaneo Gli elmi, e gli scudi parean ciladoni,
Con l'asta fraccassare elmi e corazze, Le corazze parean di cristallino
Che tanto non fe' Giuda Maccabeo, Al brando, non credessi co' punzoni ;
E poi col brando si facea far piazze E combattendo vide Bellantino
Che mai Sanson tra'l popol Filisteo Ch'ha fesso un Arbo dal capo a gli arcioni.
Non fece tanto con quella mascella, Ah disse Sidilagi chi è quello ?
Qual fa Ciriffo che squarta, e sbudella. Fugli risposto: Un fratel di Burello.
DCII DEIX

Siliametto pareva un leopardo, Ahi malfusso aspetta, e trasse un tondo


Od un leon famelico crucciato, A Bellantin che'l buon elmo gli valse,
Su ' n un destrier poderoso e gagliardo Ma parve che ſusse ito a l'altro mondo ;
Nel sangue di quegli Arbi imbrodolato, In modo, cadde che poi non risalse
E sempre al padre suo facea riguardo, Per qualche giorno al caval furibondo,
Di sua prodezza tanto innamorato, E Sidilagi poi col brando assalse
Che e'sare' per seguirlo ito nel fuoco, Quel moro ch' era re de l'Etiopia,
E combattendo il segue in ogni luoco. Ed abbattello, e de gli altri gran copia.
DENI DCX

Burello, e Balfumiero, e Falganoro, E gli Arbi suo'con que' bastoni arsisi


Galappio, Malagrappa e Galerano, Parea che a mazzicare avessin poi,
Bellantino, Urbinello ed Arganoro, E facevan colar di sangue e' visi
Brancaleon, l' Almansor, e'l Soldano, A chi l'avea sul capo, e toi qual voi,
E l'Arcaliffo, e il gran Can con costoro, Per che ciascun de' Barbar s' accaprisi
Cornes Dalisse ed il forte Indiano, Quando vede cadere alcun de' suoi :
Ed il re Tremeo, Salatresse, e Arballo, Ciriffo e Sinefido, e Siliametto
Eran entrati nel marziale ballo; N'avevan fatto pel campo un guazzetto.
DCIV DCXI

L'Amostante di Persia, e d'Alfania, Un tratto Sidilagi il padre affronta


L'Arcaito Monsore, e l'Ammiraglio, Che l'ha veduto in un certo gran fosso,
E tutto il resto de la baronia E crede vendicare ogni sua onta ,
Sonavano a martel senza battaglio, Ma Sinefido se gli scaglio addosso,
Per modo tale che a quella genia E con tanto furore il brando smonta
Parve esser loro in un nuovo travaglio: De l'aere, che gli ruppe e l'elmo e l'osso,
Re Sidilagi ch'era al padiglione E rassettogli del cervel la spugna,
Ariposarsi , rimontò in arcione. Sì chè poi bisognovvi altro che sugna.
CIRIFFO CALVANEO 298
297

DCXII DCXIX

E fu per morto di terra ricolto E così il capitano e Calvaneo


Da la sua gente con assai martire, Con Siliametto con onor grandissimo
E nel suo padiglion l'ebbon rinvolto Istando, un re chiamato Gironeo,
Immediate, e missonsi a fuggire Uom generoso ed anco potentissimo,
In isconfitta, e, se'l vero io ascolto, Di Sinefido parzional si feo,
A Barberi fo grato il lor partire, Amandolo d'amor singularissimo,
Benchè sedicimila Arbi vi resta E che sia con affetto gliel dimostra,
Morti, che se ne fece poi gran festa. Come vedrassi nell' istoria nostra,
DEXIII DCXX

Gli altri che si fuggiron non essendo Aspettando che passi la vernata
Da Barberi seguiti, s' allargorno In Tunisi s'attende a dar diletto,
Per que' paesi, ed a sacco mettendo E il capitan da tutta la brigata
Qualunque case, o cose vi trovorno, V'era stimato qual puossi in effetto,
Sidilagi rinvenne, e lor vedendo Tanto che'l re Burel ne pensa e guata
Che gli era vivo, presto lo eurorno E finalmente sel recò in dispetto,
Per via d'incanto, e perchè in pochi giorni Che un forestier, ne sa donde, lontano,
Libero fusse, e in Arba si ritorni, Gli abbi levato la palla di mano.
DCXIV DCXXI

Avendo que' paesi iscorsi, e netti Vedato che il gran popol saracino
Di tutti i beni, e con bonaccia e festa A quello ha volto ogni reputazione,
Ricchi di preda, e tutti a lor distretti Il terrazzano, il lontano, e il vicino
Si fur tornati, e Sidilagi in questa Lo reverisce, e nessun se gli oppone,
Fece bandire che ciascun s' assetti Tal che pareva lui un fattorino
Aprimavera a pena de la testa, Essere in corte, poiché e' die' il bastone
Ch'ognun sia in punto, e giudichi la guerra A Sinefido; e tanto l'odia forte
A Tunisi che vuol disfar la terra . Ch'altro non si pensa che a la sua morte .
DCXV DCXXIL

Edar di quella il gran bottino a sacco Così di giorno in giorno tuttavia


A qualunque sarà sotto sua insegna, L'invidia cresce e nel petto martella.
Perch' ognun facci de' Barbari fiacco, Soggiunse in questo in Tunisi una spia
Si che l'orgoglio di Burel si spegna, Da Arba, che recò una novella
E di quel Capitan forestier biacco, Che die spavento a tutta Barbaria,
In cui tanta potenza in arme regna. Perchè non parve nè buona nė bella,
Lasciam qui Sidilagi e il suo drappello, Che Sidilagi re de la montagna
E ritorniamo in Tenisi a Burello, Era guarito e faceva oste magna.
DEVI DCXXIII

Il quale essendo ritornato drento, E che gli aveva bandito la guerra


Con Sinelido a braccio per la mano, A Tunisi per tutto il suo distretto,
De la sconfitta de gli Arbi contento, Si che di fuori e drento ne la terra
E dismontati al palagio sovrano, Ne stavan tutti con un gran sospetto,
Avoce tutti quei del torniamento Barello nel suo cuor raddoppia e serra
Chiamaron Sinefido capitano, L'odio ch'aveva, e fece suo concetto
E de la magna giostra il guiderdone Di far con Sidilagi accordo e patto
Esdran gli dette, e de l'oste il bastone ; Perdate al capitano scaccomatto.
DCXVII DCXXIV

Veduto il grande ardire, e la possanza Ma per non dimostrarsi quel fellone,


Qual regna in lui, e la somma eccellenza, Era con Sinefido notte e giorno
Però ch'ogn' altro eccede e tanto avanza Con tante foie e tante fregagione
In fatti d'arme, ed anco di prudenza, Più inpronto che la mosca al mel d' intorno.
Che se e' conduce la grand'oste in Franza, In questo tempo vi giunse Andreone
Non potrà far Luigi resistenza Di Samastia, re franco ed adorno,
Con quanto sforzo repugnassi a petto Con magna scorta, e con la sua persona
A lui ed a Ciriffo e a Siliametto. In compagnia la bella Bisantona.
DCXVIII DCXXV

Con l'esercito grande che averanno Per la qual parve che Tunisi allotta
Del fior di tutta quanta pagania, Sossopra andasse per magnificenza,
Che infallante stima e' passeranno Che si bella non ſu giammai Meotta
Un milione la sua cavalleria, Di Galeran, nè di tanta potenza;
Con quaranta corone, che faranno E giunto Capitan di si gran frotta
Tremar la terra, e il mar lor gagliardia, Sinefido, con somma reverenza
E ognuno taglia e affetta il re Luigi, Si inginocchiorno, e per gran tenerezza
E fanno un solco di tutto Parigi . Ridendo lagrimavan da allegrezza .
299
CIRIFFO CALVANEO 300

DCXXVI DCXXXIII

Poi Andreon si gli gettava al collo E raguno quattrocento migliaia


Dicendo : O Capitan che grazia è questa D'uomini fieri qual proprii leoni,
Che qui t'abbi trovato, e poi basciollo Da non voler con lor briga nè baia
La bocca, e gli occhi, le guance, e la testa; Per non si ritrovar tra que' bestoni.
Nè si potea veder sazio o satollo Re Sidilagi intende che si paia
Di fare a Sinefido onore e festa, La sua potenza, e son tutti in arcioni.
E mentre il bascia, e forte lagrimava, Ultimamente a Tunizi scorrendo
Ne gli occhi di Ciriffo i suo'scontrava. Vanno per tutto predando ed ardendo.
DCXXVII DCXXXIV

E visto lui il capitan lasciava Con duo giganti, ch'io non so se mai
Pien d' allegrezza, e misse un sordo strido: Naturafe' duo mostri si feroci.
Ecco Ciriffo mio, poi l'abbracciava ; Io n' ho pur visti, e inteso dir d'assai,
E mentre Bisantona a Sinefido Ma non simili a questi tanto atroci.
Pur genuflessa la man gli toccava, Aspetta pur, che se ta gli vedrai
E qual proprio adorasse un suo Cupido Ti segnerai con più di cento croci :
Lo risguardava e ridea lagrimando, Lasciamgli un po' venire, e ritorniamo
Come dicessi : I' mi ti raccomando. Al nostro valoroso Capitano,
DCXXVIII DCXXXV

E nel levarsi in piè la mano strinse Ch'avendo inteso come Sidilagi


Al Capitan, ed anco l'are' morso A Tunisi ne vien per porvi il campo,
Non che basciato, tanto amor la vinse, Fece sbuccare ognun fuor de' palagi
Ma fuggir volse del biasimo il corso : E de la terra per fuggire inciampo,
Sinefido pel duolo grido, e finse : Ed egli insieme a provare i disagi,
O quanto grato m'è vostro soccorso, E con bell'oste si poneva a campo
Ovvero aiuto ; e per la tua venuta Con molti padiglion, trabacche e tende,
Già mi par la vittoria avere avuta. Ed a schierar la sua brigata attende.
DCXXIX DeXXXVI

Or qui gli abbracciamenti che si fanno, E die'la prima schiera al re Burello


La festa, e basci pien di tenerezza, E di quella lo fece Capitano,
Per loro i savi sel giudicheranno E Balfumiero, e Falganor con ello,
Come di far qualunque onor s' apprezza, Col quarto lor fratel ch'è Galerano,
E con la lor venuta costor danno E fu con lor l' Alpatrice novello
Al Capitan maggior pregio ed altezza, E del Gairo il magno, e gran Soldano
Visto ciascun quanto fu riverito Col possente Amostante d' Alfania,
Da Andreone un re tanto gradito . E il gran Can de la Tana lo seguia.
DCXXX DCXXXVII
Similemente ancor da Bisantona Fur centomila ne la prima schiera
E da molti signor da Samastia, Che seguondi Burello il suo stendardo,
Tal che per tutto di lui si ragiona Ed ordinati stanno a la frontiera,
Divulgando la sua gran vigoria, Poi la seconda a Gallappio gagliardo,
La qual cosa a Burel gli orecchi introna, EMalagrappa, ed anco Urbinel v'era,
E criepa, e scoppia d'odio e invidia ria, EdArganor che non fu mai codardo,
Ch'avea nel cuor, nè più potè tenersi, L'almansor di Soria, e ' l re Tarpeo
Che e' cominciò co' fratelli a dolersi, Ed il re Arballo, e'l buon re Cironeo,
Dexxxt DCXXXVII

Or con l'uno or con l'altro, e finalmente Con centomila sotto un gonfalone,


A tutti disse la sua intenzione, E poi la terza il Capitan prefetto
E che non gli parea conveniente Con altri tanti diè al re Andreone,
Che sia lor tolto ogni reputazione; Con esso lui Ciriffo e Siliametto,
Onde ciascuno al suo voler consente E Bisantona, che col suo bastone
D'accordo tutti a la destruzione Come la noce istritola l' elmetto,
Del capitano, e disse lor Burello E con lor Belantino e Falsetrone,
Del modo ch'ha pensato contro a quello. E Schiappaferro con Brancaleone.
ECXXXII DCXXXIX

Econgiurati si basciorno in bocca La quarta schiera pur con altrettanti


Ciascun giusta sua possa d'osservare Guidolla il franco re Cornes Dalisse,
Ciò ch' ha promesso, e cosi glie l'accocca L' Arcaito Monsore, e duo Amostanti
Qualunque se di lor potendol fare. L' un di Numidia, e l'altro del Tigrisse,
Cosi di giorno in giorno il tempo scocca Con duo grandı Ammiragli, qual giganti,
Tanto che la vernata ebbe a passare, E l'ultimo figliuol d'Esdran vì misse
Nè prima il tempo fu di primavera De' tredeci, ch'è detto Rubicante,
Che Sidilagi ispiegò sua bandiera, Con Artibar, ch'ha si bello afferante.
301 302
CIRIFFO CALVANEO

DCXL DCXLVII

La quinta schiera il Capitan per se Per quella almanco con la quale offende
Tolse con altri tanti battaglieri, Ch'era una costa grande di balena
Ementre ch'egli esaminava i re Ferrata, e d'ogni lato il taglio ſende
Che gli pareva in quella di mistieri, Ogni armadura, quando lui la mena
Eper lasciar con Esdran dietro a se Infuriato, che le braccia istende,
Ne l'ultima con tutti i cavalieri Ma dato il colpo finiva la pena,
Che vi restavan, ch'eran due cotanti Dove quella coglieva tanto o quanto
O più che quei de le schiere davanti, Che non vi bisognava unzione o incanto.
DCXLI DCXLVIHI
Eccoti gli Arbi in un tratto che sboccano L'altro gigante era detto Bustercio
Fuor d'una valle per una costiera ; Che pareva una fera mostruosa
Con istromenti, e grida in giù traboccano Come scorzon chiazzato, ed era guercio
Inverso il pian con la real bandiera, Venuto de la Valle perigliosa,
Dove con fieri Barbari s'abboccano Ch'un mazzafrusto aveva si bilercio
Senza aspettar di far nessuna schiera: Che nessuna arme dove quel si posa
Burello, e Balſumiero , e Falganoro Più non bisogna poi si netti o forba
Con l'aste basse spronan contro loro. Dove appiccava con esso la sorba.
DCXLII DCXLIX
E Galaran con molti cavalieri E già non eran costor di grandezza
Ciascun tra gli Arbi la lancia fraccassa, Molto degenerati da natura
Atterrandone molti de' destrieri Però che Morgales era d'altezza
E l'Alpatrice, e'l Soldano oltre passa, Quindici braccia di buona misura.
E mazzicati son come somieri Bustercio alquanto era di più bassezza,
Da quella turba ch'era si gran massa, Tredici braccia era alta sua figura,
Che pel foror la prima schiera fessono Ma dava col baston pesche duracine
Ch' al lor furore i Barbari non ressono . Che non che gli elmi, are' rotte le macine.
DCXLIII DCL

Ne la seconda schiera tanto pinsono, Esi facevan far d'intorno piazze


Che forza fu che i Barbar s'allargassino, Che spesse volte rimanevan soli,
E in quella tanti con baston e' vinsono Perchè a lor colpi non valean corazze;
Che ne la terza convenne che entrassino, Chi vuol campar da lor convien che voli.
De la qual tutti i capi si ristrinsono Gli Arbi menavan per modo le mazze
Insieme perché più oltre non passino Che par che'l sangue dal ciel piova e coli,
Andreone, e Ciriffo, s'io non erro, E co'giganti tanta furia abbonda
Bellantin, Siliametto e Schiappaferro. Che trapassaron la schiera seconda.
DCXLIV DCLI

Col valoroso e franco Falserone Ma ne la terza trovaron rintoppo,


Ch'ognun pareva ne l'arme un Ettorre, Benchè innanzi a lor fugge ogni persona.
Similemente il fier Brancaleone Ciriffo che gli avea aspettati troppo,
Che non si può a sua virtute opporre; Benchè fusse dirieto a Bisantona
EBisantona col suo gran bastone Con l'asta bassa non già di galoppo
Dove ella vede che la torba scorre Verso Bustercio a tutta briglia sprona,
Quivi s'avventa, e sciorina col legno Perchè gli aveva dato a Siliametto
Colpi che gli facea tornare a segno. Un colpo, che gli avea rotto l'elmetto.
DCXLV DCLII

Cosi queste tre schiere mescolati E come morto in terra era caduto
Con gli Arbi sono senz'ordine e guida, Sì chè Ciriffo intende vendicallo;
I capitan come cani arrabbiati Ma Bisantona che l'avea veduto
Chi qua chỉ là si scaglia, e fere, e grida. Cader, v'è corsa per volere aitallo,
Eccoti in campo i giganti arrivati , Facendo col bastone il suo dovuto :
Che par che'l cielo intuoni con le stride, Bustercio si chinava per pigliallo :
E facevan de' Barbar tal fraccasso Ciriffo a punto gli mise la lancia
Che non v'è niun che contrasti lor passo. Tra il golzerino, e la sinistra guancia.
DEXLVI DELIIL

Il primo si chiamava Morgalesse Che fu come ficcarla in un fastello


Ch'era signor de la Ricisa valle ; Di frasche, o come si infilzasse un pollo,
Dipoi che a Samastia Carbon non resse Perchè non valse l' armadura a quello
Succedette costui tutte sue calle, E per mezzo melato trapassollo
E non v'era nessun che non facesse Col ferro acuto, e strasciogli il fardello,
Per temenza di lui le gotte gialle. E così morto infilzato lasciollo,
Veduto il fiero aspetto, e le sue armi Che l'asta non potette riavere,
Sarian tremati gli uomini de' marmi. Ed anco fu Ciriffo per cadere.
303 CIRIFFO CALVANEO 304

DCLIV DCLVII

In questo Morgalesse è quivi corso Ma volle la fortuna o la ventura,


Ch' avea sentito Bustercio mugghiare, Che nel girar la costa diè di piatto,
Stimando ben, che volessi soccorso, Benché egli fece una vecchia paura,
Ma quando il vide in tal maniera stare, Perchè d'arcion qual morto Pebbe tratto,
Come cinghial ferito, o accanit' orso, E infransegli la carne e l'armadura,
A Bisantona si vide voltare, E'l simigliante a Bellantino ha fatto;
Che già ricolto aveva Siliametto Ma poi la costa riprese e con essa
E trasse a quella di punta nel petto. Ricide e squarta qualunque s' appressa.
DCLV DCLVIII

Con quella costa ch'io dissi ferrata I'ti so dir che faceva la buca
Ma la corazza sua, benchè perfetta Innanzi a gli Arbi per tutte le schiere,
Fusse, rimase pel colpo incalcata E fende, taglia, e stritola e sbruca
E per gran doglia de la destra tetta Ogni arme con le sua percosse fiere.
Lascio ir Siliametto, e stramazzata 11 Capitan perché sua fama luca
In terra se n' andò la poveretta ; Avendo inteso per un cavaliere
Ciriffo col destrieri era sparito Di Morgalesse la possa diversa,
Indi, poi ch' ebbe il gigante ferito. Il destrier serra, e le schiere attraversa ,
DCLVI DCLIX

Andreon ch'ha veduta Bisantona Senza aspettar che più schiere si faccino,
Cader pel colpo del fiero gigante, Per riparare a la furia de' diavoli,
Girò la briglia, e con furore sprona Prima che tutti nel campo si caccino
Verso di Morgalesse lo afferrante Con que' baston che non son pien di cavoli,
Per far vendetta de la sua persona, E comandò a ciascuno che si spaccino
Che troppo gli dolea la donna aitante; Di seguir lui senza fare altri favoli,
E come lui al gigante s'accosta, E così quanti re, duchi e pascià
E quello un tondo meno de la costa: V'eran rimasi , s'avviorno in là.

PARTE I

IlCapitanparea proprio ‫מט‬ serpente E così il popol barbaro reffliggere


In caldo irato, e fra gli Arbi si messe Si vide tutto per questa novella,
Spronando il poderoso suo corrente E morto Morgalesse, si ristrinsono
Con l'asta bassa, e dove è Morgalesse Le schiere insieme, e gli Arbi intorno cinsono.
S' addirizzava il Capitan possente, IV
Con intenzion che lui vi rimanesse,
I'dico tutti quei ch' erano entrati
E vede a punto che il gigante sbricca Ne la battaglia con tanto furore,
Un tondo, che con quel sei teste spicca. Ma non ti dico se ne fu infilzati
11 Da tanti regi ed uomin di valore.
Che diavol fa costui ? che arme è quella Ciriffo tanti n'aveva smembrati
Che tanta gente ad un colpo scapezza ? Col brando che pareva uno stupore,
E' non è uom da mandargli l'ombrella, E Bisantona poi ch'ella rivenne ,
Anzi più tosto il fuoco o la cavezza. In su la spalla il baston non si tenne.
Forte spronando , l'asta a la forcella
Del pettignon gli pose, e non si spezza ; Burello il di giuocava del fellone,
Ma piastra, e maglia, giubba, e carne straccia, Balfumier, Falganoro e Galerano,
Edirieto il passò più di due braccia, Galappio, Malagrappa e Falsetrone,
Cosi gli altri fratei di mano in mano
Quando il gigante si senti traſfiggere Per venire a la loro intenzione
Mise tre mugghi e la costa arrandella Con Sidilagi contro il Capitano :
Sentendosi da mortal doglia affliggere, Andreon, Bellantino, e Siliametto
E sferra l'asta, e verso le budella; A' padiglion si stavano in sul letto.
305 CIRIFFO CALVANEO 306

νι XIIH

E Febo al nostro emisperio celavasi, E quivi giunti trovorno in sul letto


Nè era Sídilagi giunto ancora, Re Sidilagi che prendea riposo ,
Si che la mischia per forza aquietavasi Non che dormisse, perché avea respetto
Benchè pochi degli Arbi fusse allora Atal venuta, ed erane bramoso
Vivi nel campo, e qual potea tornavasi Per chiarirde la lettera l'effetto,
Per riposarsi insino all' aurora E come falso, astuto e malizioso,
A' padiglioni, a le trabacche e tende, Visti costor in tale proporzione,
Eper la sera più non si contende. Mando sua gente fuor del padiglione.
VII XIV

E Sinefido il Capitan pregiato Quasi ridendo, e disse: Che novelle


Abuona guardia il suo campo rasselta. Avete? come quel che presto attinse
Giunse re Sidilagi, e dismontato Il fatto; e lor risposon: Buone e belle ;
Al padiglion, gli fu la nuova detta, Dipoi con essi in segreto si strinse,
Come era de' giganti il fatto andato, E quivi le bracciate fer con quelle
De la qual cosa giuroe far vendetta Parole, ch'ognun seppe, e non si infinse,
Prima che torni con sua gente in Arba, A cui Barello sparse tante brace
O che sul volto mai s'affetti barba. Che non lefa in dieci anni una fornace,
VIII XV

Nė prima giunse, che Burello intesa E mostra averlo sommamente a grado,


Ebbe la giunta sua per una spia, Quanto se fusse un ottimo fratello,
Ed una grata lettera distesa E quasi lo tento di parentado,
Ebbe in segreto, e mandatala via Ecosi spesso mutava zimbello,
Con molte scuse, e che gli duol l'offesa Tanto che vide da passare il guado,
Ch'ha ricevuta e la gran villania, E finalmente riusciva a quello ,
La quale è suta contro al mio volere, Ch'era disposto in un concetto, e saldo,
E se tu vuoi, i'tel farò vedere. Che si battessi duo chiodi ad uno caldo.
IX XVI

Ben ch'io vi fussi con armata mano Edisse : Nota appunto quel ch'io dico,
Co' mia fratelli, e ne le prime schiere, O Sidilagi, ch' io non parli in vano :
Reputa il fallo sol del Capitano In Tunisi non v'è nessun nimico
Che lui fu lo'nventor di tal mestiere ; Contro di te, eccetto il Capitano,
Nè eran gli Arbi ancor discesi al piano, E se tu voi , noi il farem mendico,
Nonché schierati, e quegli a le frontiere ; E facilmente pur di nostra mano
Lui, e Ciriffo si trassono avanti Domani isconosciuti qua nel campo
Con Bisantona a frontare i gigantia L'affronterem, si che non arà scampo.
X XVII

I quai non ebbon pur agio, nè spazio Poi che si venne quella gigantessa,
Di riposarsi, o rinfrescarsi alquanto, Qual par di lui innamorata sia,
Che ne fu fatto un macello, uno strazio E non si può nè con lui, nè con essa,
Che pertuo amore i'n'ho quasi che pianto; E pargli esser signor di Barberia,
E de la tua venuta ti ringrazio Noi dubitiam per quella monna fessa
Ed obbligato te ne resto tanto, Non si togliessi un di la signoria ;
Chedistinguer non posso con inchiostro, E se mettessi in Tunisi l'artiglio
Ma con effetto ti sarà dimostro. Darebbe a tutto il levante di piglio.
XI XVIR

Or tu se'savio, (i' credo essere inteso) I'so come tu sai, che noi siam tredici
Eperchè spero ne la tua prudenza Fratelli, e tutti abbiam giurato morte
Senza dubbio nessun d'essere offeso, Sopra di lui , e questo certo credici,
Verrò a veder la tua magnificenza ; Perchè non siamo più per nulla in corte.
Io non mi son nel dir molto disteso Eccone quattro qui come tu vedici,
Per riferirti a bocca la mia intenza, Nè altri ei bisogna per iscorte ;
E cosa che ti fia somma letizia, Noi gli saremo in una foria addosso
E fede, e segno d'ottima amicizia. Efia con l'asta da ciascun percosso
XII XIX

Comprese Sidilagi quasi appresso Si che fia forza che resti per terra
Il tenor, quando i versi ebbe veduti, Per tanti colpi fraccassato e morto,
E Burel mentre s'era in punto messo Finito lui è finita la guerra
Con tre de' suo'fratelli e sconosciuti, Fra te e noi, e vendicato il torto.
In su la mezza notte il campo han fesso Ma vedi, Sidilagi, chiudi e serra
Pedestri per non esser conosciuti; In te questo segreto: io me n'apporto
In guisa di corrier, questi malvagi, Al tuo cuor generoso e a la tua fede,
Girono al padiglion di Sidilagi . Quale è fra noi, per quanto se ne vede.
20
308
307 CIRIFFO CALVANEO

XX XXVII

E cosi detto, fursi accomiatati Cosi'n un tratto furon mescolati


Dopo molte proferte e ricchi doni I campi con assai grida e stormenti,
Di be' giojelli, e' quali avean recati E in su la prima giunta scavalcati
A Sidilagi , e lui a que' garzoni Molti vi furno, e de la vita spenti.
Similemente alcun' n'ebbe donati, Ciriffo e Sinefido erano entrati
E ritornati in campo a' padiglioni Fra lor qual proprii lupi negli armenti;
Furonsi, reputando esser felici, E Siliametto un fiero leopardo
Sendosi fatti a Sidilagi amici . Pareva il giorno, il giovane gagliardo.
XXI XXVHI

Passò la notte, e come l'orizzonte Quel che ſe' Bisantona col bastone
Si vide punto da Febo percosso Non è da dire, e come ella gli mazzica,
Co' raggi de la sua lucida fronte, E certe volte quattro o sei ne pone
Qual pallido si mostra, anzi che rosso, In terra con un colpo, e niun s'azzica,
Il Capitan con le sue forze pronte E pochi presso a lei sopra l'arcione
Si fu dal sonno svegliato e remosso, Ne stava il di dove col baston bazzica ;
Per affrontarsi di nuovo a battaglia, Ed Audreon pareva un nuovo Ettorre,
E dimostrare il giorno quanto e' vaglia. E per tutto quel campo il sangue corre.
XXI XXIX

Il quale armato montato in arcione Re Sidilagi quando ebbe veduto


In fra tutte le schiere mandò bando, Appiccata la zuffa da dovero,
Che ciascun Capitano al suo pennone Al campo venne ch'arebbe voluto
Tutta la schiera sua venga assettando. Trovare il Capitan sopra il destriero
Ciriffo, Siliametto, ed Andreone Per fare un colpo che fusse valuto ;
Erano in punto e Bisantona, quando Ciriffo il vide, e con un mal pensiero
Gli altri pel campo cominciorno armarsi, Rimise il brando, ed un'asta carpiva
Che mill' anni parea lor d'affrontarsi . Auno vassallo, e inver di lui ne giva
XXIII XXX

Burello, e Balſumiero e Falganoro Forte spronando, e l'uno a l'altro pose


E Galerano ch'han la schiera pria, In su lo scudo rasente la trezza,
Ciascun fingeva quale un uom decoro Con tutte le lor forze poderose :
Sollecitando la lor compagnia Re Sidilagi la sua lancia spezza,
De' quattro principal ch'eran con loro, Epresso che a quel colpo non s'appose,
Che l'un fu 'l Amostante d' Alfania, Che scudo e'sbergo, qual fusse una rezza
Eil gran Can de la Tana, e il gran Soldano, Col ferro adamantin fracassa e sdruce,
El' Alpatrice, ch'era un uom sovrano. E insino a la camicia si conduce.
XXIV XXXI

Galappio, Malagrappa ed Urbinello Tal che Ciriſſo tutto si seontorse,


Con Arganoro la seconda assettano , Non già che il ferro gli facesse male,
Con l'Almansore e'l re Turpeo con ello, Ma pur con tutto il cuor presto ricorse
Arballo e Cironeo gli elmi si mettano ; A la madre del signor celestiale;
E cosi ordinato il bel drapello, E si gran colpo a Sidilagi porse
Laterza schiera in punto, e'l tempo aspettano, Con l'asta, ch' era di faggio un pedale,
E rassettando ch'ornasse la quarta, Che cinghie e pettoral non resse a quella,
Perchè Burel da la sua si diparta. E venti passi il gitto con la sella.
XXV XXXII

Senza aspettar che la quinta e la sesta E passo via che parve una saelta
Fussino in punto, o trombetto, o licenza, Fra gli Arbi, pur con quella lancia in resta,
Spronando pose la sua lancia in resta E dove e vede la calca più stretta
Per far quel ch'era sua ferma credenza , Quivi si caccia con furia e tempesta,
Come cangiato avessi sopravvesta E uomini, e cavai sossopra gella;
Si che di lui non fusse conoscenza: Non dimandar come te gli rimesta,
Cosi con gli Arbi appiccava la zuffa E rotta l'asta smisurata e verde
E l'un campo con l'altro s'abbaruffa. Ritrasse il brando, e 'l suo tempo nonperde.
XXVI XXXII

Non avea fatto Sidilagi, ischiere Burello intanto non avea dormito,
Perché le gente sue bestiale, e pazze Nè Falganor, ned anco Galerano,
Volevono esser tutti a le frontiere Nè Balfumier, nè Malagrappa ardito ;
In una furia con quelle lor mazze, Così nove di lor di mano in mano
Senza seguire stendardi o bandiere, Ciascun s'è sconosciuto travestito,
Con armadure di diverse razze ; Credendo pur far vezzi al Capitano,
E tutti stretti insieme si movevono E insieme sono in duo parte ristretti,
Si ch' ogni schiera per forza ſendevono. Epel campo facean molti tragetti,
309 CIRIFFO CALVANEO 310

XXXIV XLI

Or qui, or qua per dargli a tradimento: Nè più che giunto lui, giunse Urbinello,
Cosi l'avevan codeato molto, Ch' avea lo scudo riciso in due pezzi,
Ma'l suo destrier, qual folgore era lento, La corazza, e la falda e il giubberello,
Saltando spesso, e 'ndrieto s'era volto. Edice : Il capitan m'ha fatto vezzi.
Sinefido con l'occhio andava attento Ecco Galappio, e Arganoro con ello
E per ventura aveva il tratto colto : Feriti , e son di sangue amendue mezzi ,
Burel con tre fratelli è già a la volta E ciascun dice: Il Capitan col brando
Di lui; con l'asta bassa ognun s'affolta, Mi dette, e non che l'era ito cercando.
XXXV XLI

Forte spronando con molta rapina E gli eran suti, com'è detto nove,
Cheti e chinati che parevan nicchi. Che prima quattro l'aveano assalito,
Dietro a lo scudo il Capitan si china Come sentisti, ed or da gli altri altrove
E par che ne l'arcion tutto si ficchi; Par che sia suto per quel ch'è seguito.
Ed un roverscio col brando sciorina Non ch'io l'abbi veduto come o dove,
Ver l'asta, e a tre di netto par ne spicchi Ma sette n'è condotti a mal partito.
Il ferro, con un braccio di troncone, Burello al padiglion s'era tornato
Si che di questi tre nessun gli pone. Fingendo stanco, e s'era disarmato.
XXXVI XLII

Il quarto a punto gli pose al cimiero, Sidilagi ch'avea veduto, e inteso


Ed è ben ver che gli levoe il penacchio, Come il disegno a Burel non riesce,
Equesto fu de' quattro Balfumiero, E come il capitan s'era difeso,
Benché quel colpo non valse un pistacchio. E de' tanti feriti gliene incresce
Ma Sinefido invelinito e fiero Figli d' Esdran: e' di furore acceso
Trasse una punta a questo Falalbacchio Fu contro a Sinefido, e l'odio accresce.
Sotto lo scudo, e ferillo e forollo Credendo vendicare sè e coloro,
Nel fianco in modo, che 'n terra gittollo. Ando affrontarlo per darli martoro.
XXXVII XLIV

Poi rivolse il destrier dietro a coloro Gridando: Ahi traditor, se tu non voli,
Ch' aveano ancor le lance mozze in mano, E'ti convien per le mie man morire,
E dette un tal fendente a Falganoro Che le vendette mie a mie' figliuoli
Che l' elmo ruppe, e'l teschio fece insano. Non vo lasciar, se n'ho per l'avvenire ;
Burel temeva e fuggiva il martoro, E perchè più non distrugga gli stuoli,
Ed egli sprona dietro a Galerano Non vo' lasciar il tempo preterire :
Tanto che il giunse, e trasse al destro braccio Ma yo' punirti di più d' uno eccesso
Un colpo tal che ne levoe lo straccio. Di me, e di Bustercio e Morgalesso.
XXXVIII XLV

Non conoscendo che costor si fussono Sinefido che intese il suo tenore,
Ma per veri nimici micidiali Tanto empito gli venne e tanta stizza,
Gli avea feriti, perchè lo condussono Che e' si senti gonfiar nel petto il cuore
Presso ch'a morte come disleali; E in su le staffe ne l'arcion si rizza,
Or questi tre feriti si ridossono Avendo inteso dirsi traditore,
Al padiglione, e ripresi i segnali E'l suo destrier speronando dirizza
Ch'aver solean di sopravveste snelle, Ver Sidilagi , che pare arrabbiato
Mandorno al padre lor queste novelle. E'l forte scudo a dietro ebbe gittato.
XXXIX XLVI

Come dal Capitano eran feriti, E con ambo le mani il brando strinse
Se questo gli parea segno d'amore, Giugnendo, e a Sidilagi un colpo spranga
Eche gli aveva pel campo assaliti Verso la testa e con tal forza il pinse
A tradimento come traditore. Che forza fu che'l buon elmo s'infranga,
Esdran che sente i figli a tai partiti E cadde isbalordito, e già non finse,
Turbossi, e gran dolor n'ebbe nel cuore, Nè ha tal forza che in arcion rimanga,
Dicendo : Forse che costui desia E per men male il buono elmo scampollo
Di dar lor morte, e tor su Barberia. Da morte, e il brando il Povero spezzollo.
XL XLVII

Poi con ungran sospir disse: O Macone, Non era Durlindana quella spada
Soccorri qui che bisogna il tuo aiuto, Gioiosa, od Altachiara, ne Fusberta :
E seco pensa in che modo il bastone Ben ch' avesse buon taglio, e che la rada,
Ritor potesse al Povero Avveduto. Aquesto colpo rimase deserta,
Eccoti in questa il suo Brancaleone Si che per forza a Sinefido aggrada
Giugner ferito e grida: Aiuto aiuto, Quella del figlio senza che offerta
Dicendo, il Capitan l'avea percosso, Suta gli fusse, e del destrier dismonta,
E crede fusse fesso l'elmo e l'osso. E di man gliela strappa e poi rimonta.
30 CIRIFFO CALVANEO 312

XLVIM LV

Ma bene è ver, che gli facea la festá A' padiglion da l'una a l'altra parte,
Prima che fusse rimontato in sella; Si che'l combatter per ciascun quietossi ;
Ma la turba degli Arbi lo molesta, Ma tante membra v'era in terra sparte,
Con quelle mazze, e forbotta e martella. Non che il terren, ma gli alberi eran rossi
Sidilagi qual morto in terra resta, Di sangue, tal ch'i' credo che in ciel Marte,
E Sinefido la sua spada bella Per non vedere il di gli occhi turossi;
Ebbe per questo modo rianta, E sonato a raccolta, chi restava
Nè prima l'ebbe in man che conoscinta. In campo, a'padiglion presto tornava.
XLIX LVI

Vedato come già dissi nel pome Esdran n'aveva i suoi figli menati
Scolpite in oro lettere leggiadre, Ne la città per trargli di periglio,
Quai diceano in francese il proprio nome Si che cautamente sian curati ,
Di Guidon, ch'era del Povero padre, E contro al Capitan con un mal piglio
E senza quivi ricercare il come Ne parlava con tutti i suoi fidati,
Pianse per morta la sua sposa, e madre Sopra del caso chiedendo consiglio,
Di Sidilagi, Aleandrina detta, Avendo pure in se ferma credenza
E sopra gli Arbi ne fece vendetta. Che volontaria sia tale violenza.
L LVII

Stimando ch'ella fusse capitata In questo tempo il Povero Avveduto


Ad Arba, quando del monte Carmello Ciriffo, Siliametto, ed Andreone,
Discese, donde Ciriffo trovata E Bisantona, avendo provveduto
L' avea con essa, che gli diè l'anello, Di guardia il campo per lor salvazione,
Col quale era da lui suta sposata, Ciascun tornossi, e par che sia dovuto,
Che lui le disse ch'era suo fratello, Per prender refrigerio al padiglione,
E tutte queste cose repetendo Che n'aveva ciascun bisogno, e grande
Per tenerezza combattea piangendo. Si di riposo, ed etiam di vivande.
7.1 LVIII

E per l'affanno del dolore scoppia; E tutti disarmati, e posti a mensa


Da l'altra parte è del brando si lieto, Nel magno padiglion del capitano ;
Che le sue forze con esso raddoppia, Ma lui si maraviglia, e guarda, e pensa
Nè dava colpo che desse divieto Che non vede Burel nè Galerano,
Punto a la morte, e mai men d'una coppia Nè di tanti nessuno, e de l'offensa
Non atterrava, o dinanzi , o dirieto, Non sa del caso occorso, e pargli strano ;
Da ritto, o da mancino in ogni modo, Ma teme di lor morte ne la guerra,
Come e'traesse, si traeva sodo. Nè pensa, o crede che sien ne la terra.
LAI LIX

In modo tal che non v'era nessuno Pure sperava di dover vedergli,
Che non temesse di tanto furore, Dopo la cena come erano usati,
l'dico pur de suo', perchè alcuno O tutti, o parte di tanti frategli,
Aveano avuto pel campo sentore Con molti di que' principi nomati ;
De' figli d'Esdran, e già l'aere bruno E cosi pure a mensa lasceregli,
Si dimostrava, e Febo lo splendore Replicando lor colpi ismisurati.
Da lo Emisperio nostro avea ritolto, Lasciam seguire il lor ragionamento
E col suo carro a gli Antipodi volto. Perchè l'istoria mi richiama drento.
LIIM LX

E giả s'eran ridotti a' padiglioni, Aveva Esdran in consiglio proposto


Gran parte della gente barberesca, Il caso de' figliuoli, ed in effetto
Per non aver qualcun de' sergozzoni Concluse come lui avea disposto,
Che'l Poverdava a quella turba Arbesca. Per ovviar maggior danno e difetto,
Re Sidilagi con gran passioni Che muoia il Capitan quanto più tosto
È suta forza che di campo s'esca, Far si poteva; e per giuocar più netto,
Per la percossa che l'avea intronato Gli parea che dormendo s' uccidesse,
Il capo, gli occhi, e'l naso aveva 'nfiato. O pur. ch' ognuno il suo parer dicesse.
LIV LXI

Ma soprattutto la spada gli duole Come ebbe detto Esdran, disse Burello,
Più ch'altra cosa, che se ne dispera, Che il capitano il giorno a tradimento
Ned altro brando che quel piùnon vuole, Avea ferito ciascun suo fratello,
Perchè di riaverio ancora spera; Ed anco a lui are'dato tormento
Se il Gapitano in campo, come suole Se non si dileguava innanzi ad ello,
Venir, verrà davanti a quella sera, E disse, come nel torniamento
Lo crede riaver la prima volta, Gli avea donato il suo proprio cavallo ;
E così mentre sonossi a raccolta Ora in tal modo volse meritallo.
313 CIRIFFO CALVANEO 314

EXII LXIX

Si come ingrato ed uom piendimagagna E l'uno e l'altro di tal caso duolsi,


Da nol volere appresso a suoi confini, Nė però volson di campo partirsi,
E dette per esempio quella cagna Perchè di lor non si dica qual suolsi,
Povera che per fare i catellini Che per viltà avessino a fuggirsi ;.
Accatto da quell' altra ricca e magna Ma per assicurarsi ciascun vuolsi
La casa per nutrirvi i figliuolini ; Con Andreon del fatto conferirsi
Allevatigli poi non volse rendere E si con Bisantona, e Siliametto,
La casa a quella: anco la volse offendere. Non avendo di questi alcun sospetto.
EXIII LXX

Così mi par che voglia far costui, E così insieme si furon ristretti;
Nè che del beneficio si ricorda ; Pure in segreto a tutti tale eccesso
Anco il mio regno, e forse quel del tui Fu denotato, e quei come perfetti
Pensa voler per se, però mi morda Fedeli amici per loro interesso
Come la cagna, e que' che son con lui, Si furno offerti; e detto e, non sospetti,
Saranno i cagnolin. Così s'accorda Ecosi congregati giunse un messo
Tutto il consiglio, e giudicato scorto Mandato da Esdran al capitano,
Fu in effetto, che'l Povero sia morto. Che gli poneva una lettera inmano.
EXIV LXXI

Non già che loro il Povero dicessino, Ne la qual contenea ch'a Sidilagi
Che vulgarmente dicean Capitano, Il Capitano addimandasse triegua,
Perchè non v'era gnun che'l conoscessino Rispetto a morti che darien disagi
Pel Pover, nè che lui fusse cristiano. A' vivi, se ciascun non si dilegua,
Doleva a Gironeo, che l'uccidessino, E per dare a' feriti luoco ed agi,
Ma per non dimostrarsi partigiano, Che la salute d'ogni parte segua,
Fingeva de' feriti aver dolore, Sì che pe' lor bisogni siano altesi,
Etacea per non dar contro o favore. E la triegua s'intenda per due mesi.
LXY LXXID

E visto, e inteso come son disposti Ma questo traditore avea mandato :


In un voler che il capitan morisse Un altro breve a Sidilagi, e in quello
Atradimento, si che sottoposti Gli dette avviso di tutto il trattato,
Non restassino a lui dopo le risse, E dopo il messo anco v' andò Burello
Re Cironeo allor, perchè non sosti, Occultamente, per farlo avvisato,
Prese comiato, e di corte partisse, Che non rieusi la triegua con ello,
E ne la terra niente soggiorna, La quale a cautela gli era chiesta
Ma presto in campo al suo padiglion torna Per poter fare al Capitan la festa.
LXVI LXXHI

Con tanta pena e con tanto martire. Dovunque il tratto da far lo vedessino
Che par che'l cuor non gli capi nel petto, O ne la terra, o in qualunque de' campi,
Nè tempo volse lasciar preterire, Il più comodamente che potessino
Ma scrisse un breve, e di tutto l'effetto Pur che de le lor man quel non iscampi,
Notizia dette, il valoroso sire, E più che disse, morto che l'avessino,
ASinefido per un suo valletto, Gli darebbe il baston senza altri inciampi,
Ed in sostanza in quel conclude e serra, Acciò che Sidilagi anco mettesse
Che stia di fuori, e non vada in la terra. Per dargli morte ogni industria ch'avesse.
LXVI LXXIV

E sempre a l'erta preparato, e al largo, Cosi d'accordo Sidilagi resta


Ed anco la cagion par gli conchiudas Col re Burello, e'l Capitano serive
Si che mestier ti sarien gli occhi d'Argo , Al figlio avverso con grata e modesta
Perchè non c'è pur uno, anzi ognun Giuda; Dimanda per cubar le genti prive
Eccelso capitan, quel ch'io ti spargo Di vita sute si de la sua giesta,
Nel foglio prego in te lo serba, e chiuda, Ed eziancora de le Barber rive,
Si che'l mio onor si resti in te salvando, E brevemente gli conclude, e chiede
E quale a mio signor mi raccomando. Tregua due mesi, e lui gliene concede.
LXVHI LXXV

Avuto, e inteso il breve il Capitano, Fatta la tregua vanno a la sicura


Rimandò il messo senza altro rispondere, Pe' corpi morti l'una e l'altra parte,
E parvegli quel caso tanto strano, Per dare, come è usanza, sepoltura
Che si sentiva il cuor nel petto fondere, Aquei che'l sangue e le membra hanno sparte;
Eprese il suo Ciriffo per la mano Emolti si tornar dentro a le mura
Disposto a non volere a lui ascondere Ne' bei palagi con malizia ed arte,
Il breve, ma chiarirgli il suo tenore Gredendo farvi il Capitan rinchiudere
E quanto Cironeo gli porta amore. Per poter il disegno lor concludere.
315 CIRIFFO CALVANEO 316

LXXVI LXXXIII

Ma egli stava a largo a la campagna Dappoi che il capitano a la foresta


Col suo Ciriffo e co gli altri suo' amici Di stare aveva fermo suo pensiero,
Fedeli, e non dimostra la magagna Si fingessi la pace, e per gran festa
Saper, quale è nel cuor de' suo' nimici; S'inviti il terrazzano e il forestiero
E l'occhio del cervier tiene a la ragna Ad un magno convito, e cosa onesta
Tesa per lui, e per quelle pendici Parrà la sua venuta a tal mestiero,
Non si distende, e tuttavia recusa E nel palagio mettere tre agguati
L'andata dentro con lecita scusa. Che lui e tutti i suo' restin tagliati.
LXXVII LXXXIV

Ecosì sendo già passato un mese E'lmodo appunto, e'l dove, quanti e come
Che messo piè non avea ne la terra, Nel consiglio in segreto Esdran distinse,
Sendo deposte le 'ngiurie e l' offese Edisse a lor: Lasciate queste some
E sanati i feriti de la guerra; Sopra di me, e'l partito si vinse,
Burel non vede riuscir le imprese, E de la pace fatta diessi il nome.
E l'odio pur nel cuor lo affligge e serra, Burello al fatto niente si infinse,
E manda spesso a Sidilagi messi Ma per ambasciator degno e gradito
Pregandolo che dentro il conducessi. Re Sidilagi chiamò al convito.
LXXVIII LXXXV

E quel che fu cattivo insin ne l'uovo, Dipoi il traditor con Balfumiero,


Non si volea ne la trappola mettere, E l'Arcaliffo, e'l Soldan di Soria ,
Ma se per l'autore il vero i' truovo Con più signor, ciascun sopra il destriero,
Ne la città più volte era ito in lettere, Con gran magnificenza e leggiadria
E dicea seco: Burel mio, io pruovo Fuor de la terra presono il sentiero,
Che tu se traditore, e vuoi ammettere Con istromenti e dolce sinfonia,
Me ch'io conduca a la mazza costui, Tenendosi per braccio, e chi per mano,
Per conducervi insieme me e lui. E girno al padiglion del capitano
LXXIX LXXXVI

E teneva Burel pure in tranquillo Senza armadura alcuna per rispetto,


Ed aspettava questo Lodovico Che de la pace fatta istien sicuri,
Che dovessino un tratto pur fornillo E dismontati al padiglion predetto
Tra loro, e farlo di vita mendico, Sonando cetre, zuſoli e tamburi
E poi gir dentro e pigliare il vessillo Per dare al capitan quel di diletto ,
Non estimando triegua, nè amico, Sperando pur che ne' giorni futuri
Morto che fusse il Capitan predetto, Ne la città al suon d'altri stromenti
Che tutti gli altri non curava a petto. Farlo danzare e saltare altrimenti.
LXXX LXXXVI

Veduto pure Esdran che il tempo ſugge E quivi fatti tutti i convenevoli,
E non si viene con l'opra ad effetto, Le grate riverenze, e i degni inchini,
Quale un cinghial talor d'affanno rugge E dati i baci qual di Giuda orrevoli
E pargli nutricar la biscia in petto. Al capitan da quei can saracini,
Burello ognora lo consuma e strugge Per gaudio e festa, con motti piacevoli
E gli altri suoi fratei, che in gran dispetto Burello espose con brevi latini
Se l'avevan recato in su le corna, Al capitan, che dovesse ricevere
Edoglionsi che tanto ivi soggiorna. Sidilagi al convito e con lui bevere.
LXXXI LXXXVII

E sendo già tutti sette guariti Dipoi appresso a la fine del giorno
E ciaschedun disposto a la vendetta, Dopo una ricca e magna colezione,
Con tutti gli altri d'un volere uniti, Tutti dal capitan s'accommiatorno
Ma sempre è lungo il tempo che s' aspetta. Avendo ferma la conclusione
Veduto Esdran come sono accaniti, Pel giorno sesto, e in Tunisi tornorno ;
De la lor furia teme, e ben sospetta E Sinefido resta al padiglione
Che un giorno non si mettino a periglio, Con la sua compagnia, e il re Ciróneo
E tutti i regi chiamare a consiglio. Gli dette avviso del convito erroneo ;
LXXXII LXXXIX

Fingendo, per uscir di contumace Siccome a quello e' sarebbe tradito


Edare esecuzione a l'alta impresa, Nel palagio d' Esdran; e tutto il modo
Di voler far con Sidilagi pace Ch'era ordinato gli ebbe riferito,
Liberamente, e dimetter l'offesa. Il quale era infallante posto in sodo,
E questo fu a la plebe capace Si che vien preparato e ben guernito,
Universal, di tal disio accesa ; Signor mio caro, sicché di tal nodo
Ma nel consiglio poi altra lezione Te ne discioglia, e salvando il tuo onore
Esdran propose, e fe' questa orazione. Direi che'l non venir fusse migliore.
317 CIRIFFO CALVANEO 318

xe XCVII

Avendo il tutto Sinefido inteso, Questo sarebbe il tuo ultimo tuffo,


Tacendo ne sorrise per allora, Nè far porresti un simigliante errore :
Per non ne dare indizio, e sta sospeso I' vo' che tu ti metta in quel baruffo
Alquanto, e per Ciriffo ch'era fuora In mezzo a tutti per salvar l'onore ;
Mando, ed ebbe per partito preso E non temer, che se quivi m' azzuffo
D'alzare i mazzi senza più dimora. E tu col brando mostri tuo valore,
Giunto Ciriffo, il breve in man gli pone, Ed altresi la nostra compagnia ,
E poi con Bisantona ed Andreone Che tu riceva oltraggio, o villania.
XCI XCVII
111

E col suo Siliametto prende scusa Ciriffo un tratto le parole ha mozze


Ch' era forzato di dover partire, A Bisantona, e disse: Per le buffe
Narrando loro il trattato, qual s' usa, Ne lascierei per andarvi le nozze,
Che non vuol micidial di sè venire. Pur ch'io sapessi dove mischia fusse:
Bisantona d' affanno e duol confusa, E tu temi d' andar fra genti rozze,
Riprese il capitan con molto ardire, Forse ch'avendo de l'erba milusse
Dicendo: Sinefido, se' tu ora Non temeresti con un buon compagno,
Di te uscito ? e tutto lo rincuora. Ma dove è il gran rischio sta il guadagno.
xcit XCIX

Équesto il gran valor che tu ha'mostro? Questo sarà quel giorno per ventura
-E- EE -E -E・ E・ E

Equesta d'un tant' uomo la sapienza? Che tu sarai o Cesare, o Nihille,


questo lo sperar nel poter nostro? E per un bel morir s' acquista e dura
questa fama, o infamia a tua eccellenza? Eterna fama, che in tante postille
questo ove tu vai l'infernal chiostro ? Risulta gloria poi per la scrittura,
questa Bisantona ch' hai in presenza ? Ma chi vol queste lode attribuille
Equesto il gran baston qual sempre hai porto? A se, bisogna de' tempi preteriti
Equesta scorta da esservi morto ? Tal lume dar, che pel futuro il meriti.
хеш C

Ha' tu però perduta la possanza ? Per aver sempre al mondo tribolato


Ha' tu però di minaccie timore? E tante volte con l'acqua a la gola,
Ha' tu però perduta la speranza ? E in tutto il tempo ciò che s'è acquistato,
Ha' tu però in te si poco cuore? Perderlo poi in una volta sola,
Ha' tu però in Ciriſſo fidanza ? Indarno ti saresti affaticato:
Ha' tu però si sprezzato il tuo onore ? Questo è quel tratto che tua fama vola
Ha' tu però smarrito lo 'ntelletto ? Per tutto l'universo in ciascun luoco,
Ha' tu però, dove siam noi, sospetto ? Qual nuovo Mario che si dette al fuoco.
χειν CI

Non dubitare, e non n'aprir più bocca E sendo certo che nessun scampo
De la partita, e mettiamci in assetto V'era per lui, e per dar di sè fama,
Di gire, perchè a te più ch' altri tocca. Con l'armadura sul destrier nel vampo
Sendo nel loco quale tu se' eletto, Gittossi, e tu rispondi a chi ti chiama,
Ben daresti che dir, ben sare' sciocca E va, e lascia ben provvisto il campo
La mente tua, e da ciascun negletto De la più fida gente, e che più t'ama,
E l'uno e l'altro, e chiamati due zacchere, E teco menerai ottima scorta,
Edietro ognuu vi sonere' le nacchere. E lascerem per noi presa la porta.
XCV CII

Tu sai pur che tu hai tal compagnia Riprese le parole Siliametto


Almen di quattro, e tu il quinto con essi, Immediate, e similmente Andreone,
Senza che tanti degli altri vi fia E l'uno e l'altro confirmava il detto
Per tua difesa, che se tu dovessi Con molti esempi e degne allegazione,
Gire a l'inferno, non are' balia Talchè pareva a Sinefido in petto
Pluto, ch'a forza si vi ritenessi : Sentirsi un fuoco, una revoluzione
Se ti legasse con quante catene Di desiderio d'essere a le mani
Vi son, tu n'usciresti, credi a mene. Per mezza invidia de' Deci Romani.
XCVI CIII

Ha' tu paura d'esser ritenuto E cosi sendo disposti a tal gita


Nel palagio d' Esdran contro a tua voglia? Pel sesto giorno, messonsi in assetto,
O temi forse d'essere abbattuto Con degna scorta, de la più gradita
Ad un soffio di vento come foglia ? Gente ch'avesse Andreou nel distretto,
Ah ! s'io m'avveggo che ti sia voluto E per guardia del campo a la partita,
Fare violenza dentro a quella soglia, Lasciovvi il valoroso Siliametto
Vedrai bello spulezzo in quella sala, Benché al partir ne lagrimasse forte,
E quanti ne farò saltar la scala. Perchè del padre suo temea di morte.
CIRIFFO CALVANEO 320
319

CIV CXI

E volontier sarebbe ito con lui Mettendo tutti quanti a fil di spada
Per dargli a suo poter con gli altri aiuto, Il capitano e la sua compagnia
Ma il capitan non conoscea costni Stimando certo che la cosa vada
Per figlio, ed anco avendol conosciuto Come avea disegnato in fantasia;
L'are' lasciato, e credo in guardia altrui, E insin che giunga la franca masnada,
Che se per caso fusse intervenuto Perchè il trattato scoperto non sia,
Pur la sua morte, non pareva onesto Burel con tutti i suoi fratelli aspettano
Mettere in sopra volta ogni suo resto. Il capitano e con festa l'accettano.
CV схи

Rimase Siliametto assai dolente E sendo giunto al palagio reale,


E gli altri s'avviorno inver la terra, Sinefido con sua degna famiglia,
Ch'eran cinquanta armati sul corrente E dismontati , e salendo le scale
Non altrimenti che si vada in guerra, E sendo armati , Esdran si maraviglia.
Salvo le lance ch' era inconvenente, Burello, e tutti l'avevon per male,
E tutti avevan (se l'autor non erra) E l'un con l'altro s'accosta e bisbiglia,
Disopra a l'arme una vesta leggiadra; Temendo che il trattato non si sappia
Che non si vide mai sì bella squadra. E nel disegno l'effetto non cappia.
CVI CXI

E quella porta lasciaron guardata, Pur nientedimeno ognun si sforza


Da quattromila franchi cavalieri, Far buona cera e festa al capitano,
Presa la torre, e quella bene armata Ma buon non può parer quel ch'èper forza,
Di pietre e dardi, e molti uomini fieri Chi altro dice, spande il fiato in vano.
Per potersi tirar, sendo appiccala Esdran però il fuoco non ammorza
La zuffa drento, come avean pensieri, Ch'arder dovea, e preselo per mano,
E Bisantona con fieri sembianti Simulando il parlar con falso riso,
Facea la scorta al capitan dinanti. E tutto era impallidito nel viso.
CVI CXIV

Il quale appresso su n'un gran roncione Dicendo: O capitan, sia il ben venuto
Seguiva lei, e pareva uno Ettorre, Per mille volte, e la tua compagnia ;
In mezzo di Giriffo e d' Andreone, Per pace fatta qui s'è provveduto,
E per vedergli la gran plebe corre ; Che Sidilagi convitato sia;
Ma per veder Bisantona al balcone, Ma non mi pare onesto nè dovuto,
Non bisognava molte dame porre, L'arme al convito: non so se resia
Per che di sala standosi a sedere Tra voi si fusse; a me non è capace ;
Passando molte la potean vedere, Quest' armadur non è segno di pace.
CVUI CXV

Lasciam costoro al palagio venire Acui rispose il magno capitano,


E ritorniamo un po' dentro a Burello, Dicendo : Serenissima corona ,
Che de l'ordine sno mi convien dire, Per mantenerti il degno scettro in mano,
De'tre agguati ch'avea messi in quello; M' è debito tener la mia persona
E tutti ammaestrati del ferire Provvista a ripugnare un caso strano
11 Capitan e chi fasse con ello Quando occorresse, come si ragiona ;
Quando fia tempo, e le scale, e le porte, Chi può saper quel ch'è dal ciel promesso:
Nè nessun chiuse infin ch'avesse morte . I' son venuto come è mio interesso.
CIX CXVI

E misse il primo d'essi tre agguati Rispose Esdran : E' sarebbe ben pazzo,
Da basso ne le zambre e ne' cortili, Qualunque a farmi ingiuria si mettessi,
Ne' qual fur mille ben provvigionati, Pur ne la terra, non che nel palazzo,
Che non parevan codardi, ne vili, lo non vorrei per nulla che tu stessi
Da quattro suoi fratelli accompagnati, Con tal disagio : e facea gran rombazzo
Qual furono i minor e più gentili, Che lui almanco l'arme si traessi
E questi avevano a tener di sotto E sgridava Burello, e Galerano
Se il primo agguato e l'altro fusse rotto.. Ch' ha disarmarlo ognun ponessi mano.
CX CXVII
Il secondo avea messo a mezza scala Non tanta furia, il capitan diceva,
Con cinquecento buon combattitori, Ed accenna con man che stia discosto,
Occultamente e al pari de la sala, E che armato restare si voleva
Con altre tanti il terzo de' migliori, Che pel suo onor così era disposto.
E in ciascuno per guida, non per gala, Eccoti in questo un trombetto giugneva
Quattro di questi fratei traditori, Di Sidilagi, ch'un breve ebbe posto,
E dato avviso a l'agguato disopra In man d' Esdran, e salutava quello,
Ch' a la seconda vivanda si scopra. Dipoi il capitano e il re Burello.
321 322
CIRIFFO CALVANEO

CXVIII CXXV

Per Sidilagi e per quel breve, scusa Mentre che la brigata s'assentava,
Mandava come non viene al convito, Quel traditor malvagio di Burello,
Ch' avea la mente sua tutta confusa Si come era ordinato, ne mandava
Per una doglia che l'avea impedito, A prender l'arme ciascun suo fratello .
Benchè di molestarlo spesso era usa: Come la prima vivanda si dava ,
Era quasi sul destrieri salito Dette d'intorno a le mense un drappello:
Per venirvi, e con gran dispiacere Dipoi tra gente, e gente fu sparito
Si rimaneva in sul letto a giacere. Di sala in zambra, e de l'arme guernito
CXIX CXXVI

Ch' avessino pazienza per allotta Si fu; e mentre che quelle si mette,
E non istessin per lui a disagio, Ebbe sentor ch' ognuno era parato.
Ch' era forzato, ma del mal non dotta ; La seconda vivanda soprastelle
Pur bisognava alquanto stessi in agio ; Alquanto, come l'ordine era dato .
Che il giorno poi verre con una frotta. Besdran quel vecchio iniquo il cenno dette;
Non dice come il traditor malvagio Disse: Or è tempo; e detto, spalancato
Avea pensato riuscendo il giuoco Fa l'uscio d'una zambra, e foor di quella
Di metter quella terra a sacco e fuoco. Usciva con furor la gente fella.
CXX CXXVII
E tuttoció che scrisse aveva finto Gridando: Carne, carne, e ciascun pensa
Per dare a la malizia sua colore, D'aver quel Pulicano nel capecchio ;
Ma con alquanti suoi prima destinto, Ma Bisantona in un tratto la mensa
Aveva a punto quel ch'era nel cuore, Mando sossopra, e tutto l'apparecchio.
Si che in sul fatto ne l'arme depinto Si fracasso cristallo, argento, e rensa,
Fusse ciascuno, in punto il corridore, Poi prese per un braccio il tristo vecchio
E la pace che vuol co' Barbereschi E'n piazza lo scaglide fuor d' un balcone ;
S'era col fuoco, e insieme ognun poi treschi. Poi afferrava il suo greve bastone,
CXXI CXXVIII

Or ritorniamo in palagio, che l'ora E trasse in modo di punta a Burello


Era di dar la battaglia co' denti. Che lo spiede gli fe' cader di mano
Esdran, Burello e tutti gli altri ancora, Il quale aveva, e credeva con quello
Eran pel capitan poco contenti ; Conficcare a sedere il Capitano ;
Pur nientedimen ciascun l'onora, Ma lui fu destro, qual volante uccello
Esperan nel gran numer di lor genti, Sopra la mensa con la spada in mano,
Qual preparati son per dargli morte Saltato in piè, si come e' vide aperta
In sala, a mezza scala, e ne la corte. La zambra, come quel che stava a l'erta.
CXXII CXXIX

E non potendo Sidilagi avere, E trovandosi in mezzo di coloro,


Per non tediar tanti regi sovrani, Ha sciorinato con la spada un tondo
Fingendo aver di ciò gran dispiacere, Che trovò Balfumiero e Falganoro,
Fece diffatto dar l'acqua a le mani Ma se menava il brando più a fondo;
Per affrettar la brigata a sedere, Gli are' forniti : ma pure un di loro
Burello, e trar di guinzaglio i suoi cani, Si ritrovò del capo un pezzo mondo :
Ciriffo e Galeran tolse la ronca
Come la lepre fusse al covo posta,
Che le rete son tese, e lui l' apposta.. Ch'aveva in mano, e con quella gli tronca.
CXXII CXXX

Il primo fu di tutti a mensa posto, Che prima aveva la spada rimessa


Come è dovuta cosa, il più antico, E Galeran per paura fuggissi ;
Besdran padre d' Esdran come preposto, E Sinefido con la gigantessa
Ed anco il primo in fatto medico Parevan veramente due nabissi ,
Da Bisantona, che gli siede accosto, E Andreone a la zambra s' appressa
Di dentro come donna il ver replico: Col brando in mano, e mal pochi n'useissi
E in capo de la mensa un Barbassoro Con la sua gente, ch'eran quaransei,
Detto Arcaliffa, ch'era il Papa loro. Ch'ognun pare Sanson tra Filistei .
CXXIV CXXXI

A lato a Bisantona il Capitano Burello era pel colpo sbalordito,


Mandatofu da questi traditori, E ritrovava la scala a chius' occhi,
Poi Andreone e Giraffo sovrano, Da molti regi e principi seguito,
E così tutti i lor primi signori, Per ritenerlo che giù non trabocchi.
Per averli rinchiusi e salvi in mano, 1
Esdran di sala s'era già fuggito,
E di fuor molti regi ed Almansori Perchè di lui non fusse fatto tocchi,
Sedetten tuttavia stando in cagnesco Vedendo far di sua gente macello,
Ciascun per essere a l'arme manesco. Le chiappe gli sonavono a martello.

21
323 CIRIFFO CALVANEO 324

CXXXII CXXXIX

E pur gridava chiamando soccorso, E's'eran fermi in s' uno pianerottolo


Veduto il sangue che venia di sala Con ronche e partigiane, accette e spiedi,
Qual proprio un rio, e per la scala è corso, E spade, Bisantona diè il cimbottolo
Insin di sotto in men d'un batter d'ala. Amolti col baston con l' asta, e piedi
Spesso ne vedea venir giù un torso Traendo calci , si fece un viottolo
Senza capo correndo per la scala, Inanzi per la scala. Esdran, tu credi
Che gli era suto mozzo ne l'uscire Avere a Bisantona tolto il passo,
Fuor de la sala, volendo fuggire. Che non glie lo torrebbe Satanasso.
CXXXI CXL

Sotto le mense molti eran rimasti, Dove il capo mettea la gigantessa,


Di que' ch' eran di fuor suti a sedere, Si dee pensar v'entrasse anco la coda:
Che fur calpesti, lacerati e guasti Ciriffo, e Sinefido dietro a essa,
Ch'eran caduti roverscio a giacere ; Con la lor gente, ognun di sangue broda,
E alcuni per fuggir questi contrasti Fur discesi le scale con gran pressa :
S'eran soffitti giusto lor potere, Pensa s'tu credi che Esdran la roda,
Qual per le buffe i can sotto le banche, Che su da uno balcon giù vede, e sente
Ravviluppati in le tovaglie bianche. Il gran macello, e l' urla di sua gente.
CXXXIV CXLI

Ma e' si nascondean come il faggiano Mordendosi le pugna per la rabbia


Il capo, e'l cul ne portava le pene, Gridava perchè suoi figli scampassono,
Ch'a lor non si traeva colpo in vano, E che s'aprisse disotto la gabbia
Chi gli frugava, e chi då in su le schiene Presto, perchè que' diavoli sbuccassono,
Di taglio con la spada ch'avia in mano, Ma gran ventura qui mi par che gli abbia,
Anco talvolta infilzane due, o trene, Che tutti in sua presenza si ritrassono
L'un dopo l'altro si vedea n'un brando I figli suoi, sendo essi più feriti,
Chi sottoman gli andava rifregando. E come feminelle isbigottiti.
CXXXV CXLII

Non credo sian tali urla ne l'inferno, Ora chí avessi visto in quella corte,
Qual de'feriti che traevan guai Ciriffo, e Sinelido, e Bisantona,
In quella sala pel crudel governo Aquanti in un momento e' dieron morte,
Che ne facean costor, come tu sai. Che pel fracasso il palagio rintrona,
Ciriffo e Sineſido erano il perno Pe'colpi che traean si aspri e forte
E Bisantona non restava mai; Che nessuna arme v'era tanto buona,
Nè l'ultimo Giriffo a l'uscio aspetta Che reggere a nessun de' colpi possa,
E quanti ne vien fuor, tanti n'affetta Cogliesse ove voleva la percossa.
CXXXVI CXLHI

Con quella ronca; e tanti n'era in terra Era la corte un pelago di sangue,
L'un sopra l'altro, quale una catasta La scala proprio pareva un fossato,
Di schegge fusse e chi'l crede non erra, E l'un ferito sopra l'altro langue:
Ma quella turba ch'è dentro rimasta, Chi andava carpon ch' avea tagliato
La porta de la zambra a furor serra, Gli occhi nel viso, e chi grida, e chi piange
Per tenerezza di lui, ed in tal pasta Chi ha fesso il capo, e chi il petto forato;
Non vorrebbon aver messe le mani, E tanti v'è che le budella versano,
Vedendosi straziar qual proprio cani. Ch'a tutti quanti tra piè s'intraversano.
CXXXVII CXLIV

Chiusa la zambra, Ciriffo si scaglia Eravi già tanta la gente morta,


Per quella sala, e d'intorno si spazza E per uccider tuttavia s' azzoffano,
Que' traditori , e tutti gli sbaraglia, Che possibil non era aprir la porta
E combattendo ognun nel sangue guazza. Pe' corpi che nel sangue ivi si tuffano;
Parevan l'arme di cera o di paglia Ma Bisantona pratica ed accorta
Dove coglieva un colpo de la mazza Per uscir di color che l'alme sbuffano,
Di Bisantona, in modo le sfracella, Col gran baston ne la porta percosse
Ch'era coperta di sangue e cervella. Più e più volte con tutte sue posse
CXXXVHI CXLV

Non sendo in sala a suo modo faccenda, In modo tal, che tutta fraccassolla
(E disotto il romor sentia levato) In pochi colpi, e mezza la disserra ,
Ella gridava che ciascun discenda, E col sinistro braccio isgangherolla,
Le scale dopo lei, ed a l'agguato Immediate e spianavala in terra,
Secondo giunse, e quivi vo' che 'ntenda Eprese un lancio e di netto saltolla,
Si fu ciascun per modo adoperato, Fuor del palagio, e ristringe ed afferra
Che brevamente i morti in terra v'alzono, Con ambo mani il sanguigno bastone:
Ed ivi per campar le scale balzono. Rivolta indietro, e chiamava Andreone,
325 CIRIFFO CALVANEO 326

CXLVI CLIII

Ciriffo e il valoroso Capitano Ed anco Bisantona non si tenne


Uscirno al par di lei del laberinto, Di rider di quel colpo e di quell' atto,
E cosi gli altri poi di mano in mano, E col destrieri a man poi se ne venne
Benché di lor ve ne rimase il quinto Al Capitan, qual come cervio o gatto
Morti nel caso tanto alroce e strano, Di piana terra, o come avesse penne,
E di quei traditor, se il vero ho attinto, Fu saltato in arcion si destro ed atto,
Di due mila che fur men di trecento E nel saltar le redin de la briglia
Ve ne rimase senza gran tormento. Prese, ch'ognun se ne ſe' maraviglia.
CXLVH CLIV

Enel principio di questi romori Cosi Ciriffo, e cosi Andreone


Quando vidon Besdran cader in piazza, In un baleno, e gli altri for montati ;
Il popol grande, ch'era li di fuori Per chi mancava in quel punto roncione
Istupefatto, ognun grida e schiamazza. Da Bisantona ne fu lor trovati
Sentendo gridar dentro, ah traditori, Più che il bisogno, che col suo bastone
Ciascun fu corso a vestir la corazza Gli aveva per la piazza scaricati.
Apiede, ed a caval grandi e mezzani, Cosi il giusto qui pel peccatore
Ritornando al palagio come cani, Punito fu di così fatto errore.
CXLVIII CLV

Ede la piazza ebbon prese le bocche Esdran veduto in bilico il suo stato,
E le catene tirate su alto ; Alla fortuna volse ogni speranza ,
Cosi molte fortezze, e torre, e rocche, Ned altrimenti che un disperato
E quivi d'arme coperto lo smalto, Mostro d' aver nel nimico fidanza.
Credendo repugnar le genti sciocche Da un balcone pel giardino ha mandato
Contro a costoro, e facean grande assalto, Di faor per Sidilagi, ed in sostanza
Stimando certo dovergli finire, Si raccomanda, e chiede aiuto a quello
Nè che di piazza potessino uscire. Siccome amico, e fu il messo Urbinello.
CXLIX CLVI

Vedendogli saltar fuor del palazzo Non bisogno costui lusingar troppo
Quai feri draghi o crucciati leoni, Vedendo darsi la starna nel guanto,
Gridava tutto quanto il popolazzo : Nè mica parve doglioso nè zoppo
Viela vieloro, e fuggian pei cantoni, A muover con l'esercito suo tanto.
Che Bisantona nettava lo spazzo E per non dar nel capitan d' intoppo
Col suo bastone e mentre que' campioni Dentro a la porta volse al primo canto,
Salivan su' destrier ch' avean lasciati Fingendo di voler pigliare i passi,
Tutti d'intorno al palagio legati , Sì che il nimico suo non isbucassi.
CL CLVII

Benchè qualcun già n'era suto sciolto E cosi tutto lo esercito grande
Non de' più brutti si debbe comprendere, De gli Arbi mise in Tunisi ad un'otta,
Fra i quali al Capitan l'agresto colto E per la terra con essi si spande,
Quivi era suto: or questo è il bello a 'ntendere, Per ogni ruga ne manda una frotta :
Che Bisantona accorta volse il volto In su la piazza v'era il romor grande
Ed ebbelo veduto, e fenne scendere Che la più gente al palagio è ridotta,
Un che v'era salito col bastone ; E Sidilagi le bocche rinserra
Ma odi come ne scese il ghiottone. Con la sua gente, e saccheggia la terra .
CLI GLVHI

Ella gli trasse, cosi per motteggio, E finge di mostrar che rinchiuso abbia
Un certo man rovescio sottomano, Il capitan con la sua gente in piazza,
Mentre e' pigliava col destrier puleggio, E grida forte che mercè non s' abbia
Enon lo colse però molto in vano ; Di loro, e mentre menava la mazza
Ma ella ſe' cosi per non far peggio Ch'avea di ferro, e' tien rinchiuso in gabbia
Col bastone al destrieri , che al pagano, Il popolazzo che grida e schiamazza,
E il destro braccio ispicco con la spalla Non potendo sbucar da nessun luoco,
E la testa balzo quale una palla. E la città va tutta a sacco e a fuoco,
CLI CLIX
Rimase il torso cosi smozzicato Esdran che dal palagio vede ed ode
Con la sinistra man tirando il freno, Per la città fuochi, grida, e fracassi,
E il destrieri in duo piè si fu levato. D'ira e d'affanno si consuma e rode,
In questo il saracin veniva meno E il capitan che in piazza non istassi
E fussi in su la groppa arrovesciato Con la sua gente; e Sidilagi gode
E fe'lo schiavonesco in sul terreno; Perché sua gregge par di roba ingrassi.
Vedi come ne scese istranamente, Esdran diceva, poi ch'ebbe veduto
Che ne rise di lui ben molta gente. Di Sidilagi il soccorso e l'aiuto :
328
327 CIRIFFO CALVANEO

CLX CLXVII

O fidi miei, se tutti i vostri amici Ed Andreone con sua compagnia


Ne' casi estremi son di questa fatta Ch'avevan fatto un fracasso, un macello,
Vi potete tenere alti e felici Co' brandi il giorno, di quella ginia,
Però ch'io veggo che ciascun s'adatta Tal ch'ogni ruga pareva un ruscello.
A sgombrarvi la terra qual nimici, Re Cironeo in piazza comparia
E col fuoco l'han già mezza disfatta: Avendo di sua gente un bel drapello;
Di questi aiuti ci venga di rado, Fingendo di soccorrere il palazzo
E voi e lai di questo abbi malgrado. Faceva col destrieri un gran rombazzo.
CLXI CLXVIII

Sin che gli amici fanno a questo modo Tanto che giunse a Sinefido presso
Fiaci nessun che si metta in cammino E lui, che il conosceva di lontano
E vada a ritrovare e a dire il modo Andogli incontro, e Cironeo ad esso
A questo Sidi can, ladro, assassino? Diceva : Valoroso Capitano,
Brancaleon diffatto trovò il modo, Jo fingerò di fare mio interesso
Come Urbinello, e scese nel giardino, Giusta mia possa qui col brando in mano,
D'arme guernito, e di quello usci destro Tu similmente fa con la tua scorta,
Col brando in man, benchè fusse pedestro, Io rinculando ti trarrò a la porta.
CLXII CLXIX

Nè prima fu del bel giardino uscito Perchè io ti porto singulare amore


Che da un canto isboccare la bandiera M'incresce del gran torto che t' è fatto,
Vide de gli Arbi, ed appresso scolpito E per mio amantissimo signore
V'ebbe re Sidilagi in quella schiera, Ti priego e ti conforto a questo tratto ;
Il qual Brancaleon presto seguito Per tua salute fuga il gran furore
L'ebbe chiamando, e infra la gente fiera E i tuo' compagni, ne alcun altro patto
Entrato fu, e Sidilagi ascolta Ivi si fe', e finse Cironeo
La voce, e col destrieri a lui si volta. D'assaltar Sinefido e Calvaneo.
CLXIII CLXX

A cni Brancaleon con grande audace E tratto ch' ebbe col brando due colpi
Di lui, e di sua gente molto duolsi, E questi inver di lui, qual proprio cani
Dicendo, che 'l suo aiuto gli dispiace Si gli avventorno addosso ; ma le golpi
E che l'amico aitar così non suolsi. Accennan lui, e danno a que' pagani
Ma Sidilagi simula, e non tace, Che son d' intorno, e l'arme e l'ossa e polpi
E con Brancaleone iscusar vuolsi , Recidevan co' lor brandi sovrani,
Fingendo aver di ciò gran dispiacere, E cosi Gironeo con loro attende
Ma non poteva lor furia tenere. Giusta sua possa, e de' barberi offende.
CLXIV CLXXI

Ch'aveva alleso per insino allora Perchè col brando in man con lor s'arrosta
Che il Capitan di piazza non uscisse, E dove e' vede la calca più stretta,
Credendo che Burel venisse fuora Quivi isciorina, e chi non si discosta
Con tutti gli altri regi e lo fornisse La forma gli cadea de la berretta ;
Col popol grande, e che senza dimora EBisantona drieto a tutti sosta
Verrebbe in piazza e così gli promisse ; Faceva, e col baston la piazza netta
Ma che voleva sua gente riprendere La plebe per poter fuggir avanti.
Ch'a menar ben le man dovesse attendere. Calorno le catene a tutti i canti.
CLXV CLXXII

Non disse come e' die' bere a colui, Un tratto Cironeo partito prese
Che gli rispose : Ella fia cortesia. D'uscir di piazza per far loro scorta,
E dipartito che si fu costui, Mostrando di fuggir, benchè difese
Re Sidilagi a la sua compagnia Facesse mentre e' per la via più corta
Dieeva lor, che dicessino altrui Si misse, e ciascun dietro si distese
Ch' ognun si sforzi giusta sua balia Lasciandosi ciascun gran gente morta
Da far buon gancio, e niente soggiorni Addietro, perché mentre e' combattevano
Che'l porti in campo e poi dentro ritorni. Le pietre, e i dardi da' balcon piovevano.
CLXVI CLXXIII

E faccian che le lor mazze nonmuffino, Eccoti un tratto venire un cantone,


Ma tra barberi menino a chius' occhi, Che colse in su la groppa del cavallo
Si che morti per terra in prima tuffino Di Sinefido, e morto in terra il pone.
Lor che infilzati sian come rannocchi, Bisantona che vide giu gittallo,
E mentre ch'egli ammette che s' azzuſfino Gridando, fe' due lanci col bastone,
La piazza par che di sangue trabocchi Disposta al tutto voler vendicallo,
Pe' colpi che Ciriffo Calvaneo E fece il Capitan passare avanti,
E Sinefido e Bisantona feo, Cosi Ciriffo, e gli altri tutti quanti.
329 CIRIFFO CALVANEO 330

CLXXIV CLXXXI

Sendo tutti passati il caval morto, Ma Tunisi parea proprio l'inferno


Ed ella il gran baston ristringe e afferra, Pe' fuochi e le ruine de le case
E trasse un colpo attraverso a lo sporto, E morti, e'l sangue, e urla che si ferno
E con tanta ira e possanza il disserra, De'feriti , ch' assai ve ne rimase .
Che non valse a nessuno essere accorto, Del danno grande gli Arbi farno il perno,
Chi v' era sopra se ne venne a terra Che non facevan le misure rase
Insieme con la casa in quel fraccasso, Al menar de le man quanto potevano,
E cosi dopo lor si chiuse il passo. E per le case molta gente ardevano.
CLXXV CLXXXII

Sendo la ruga pure in vero stretta, In modo che in dua terzi de la terra,
Per la ruina si fe' tale monticchio, Ch'era di giro grande a maraviglia,
Che nessun de la gente maladetta Arse, se il mio parlare in ciò non erra,
Non può passar, se non va per ispicchio. E morivvi gran numer di famiglia.
A questo modo la brigata sbietta Sendo ciascuno in arme per far guerra,
Verso la porta, e gionti a uno crocicchio Esdran col popol suo partito piglia,
Di vie, e Cironeo volta ed arranca Che Andreone e il Capitan si segua
Dicendo : Andate via, brigata franca. Senza voler accordo, o pace, o triegua.
CLXXVI CLXXXII

E così finse d' essersi fuggito, Istando pur nel suo concetto saldo,
Per ultima difesa da costoro Giusta sua possa, di torgli la vita,
Ed al palagio d' Esdran ne fu ito E per batter il ferro così caldo,
Dicendo: Non poter più contro a loro, Fe' bandir l'oste per guerra finita,
Ede la gigantessa ebbe inferito, Dicendo come Andreone il ribaldo
Come col suo baston dette martoro La degna impresa gli aveva impedita,
Atanta gente, e in ultimo conchiuse Che se non fusse lui suto in effetto
De la rovina che la via gli chiuse. Riusciva il disegno chiaro e netto.
CLXXVII CLXXXIV

Ciriffo e Sinefido appiè la porta Ma per cagion che lui era lo scampo
Si furon fermi, perchè erano innanzi, Di Sinefido con la Gigantessa ,
Per trarne a salvamento loro scorta Vo' che si ponga a Costantina il campo,
Si che nessun per forza dentro avanzi ; E quella tutta isfasciata, e desessa
EBisantona è dietro, e gli conforta Vo' veder prima a bottino ed a vampo,
Ch' attendino arrostarsi pur dinanzi, Che mio oste si levi mai da essa,
Ciascun si come cavalier gagliardo , Nė pietra sopra pietra vi rimanga
Che il suo baston facea buon retroguardo. Sì che del danno mio altri ne pianga.
CLXXVIII CLXXXV

Quei de la porta ch'eran su la torre, E per uscir d'eterna contumace


Il Capitan diffatto gli fe' scendere, Bisogna un tratto spegner questa setta,
Per potersi di fuor salvi ricorre Né altro modo mi fare' capace
Tutti in un tratto, e fe' nel campo stendere Che l'alta impresa non fusse interdetta ;
Padiglioni, e trabacche, e quelle porre Efe' con Sidilagi accordo e pace
Sopra i somieri, e presto il cammin prendere Con patto ch'ogni isforzo e industria metta,
Inverso Costantina d'Andreone, In quello assedio, e non lasci la guerra
Per uscir de le man di Faraone, Finchè non n'è desolata la terra.
CLXXIX CLXXXVI

E salvare il suo popol che menoe E così Sidilagi gli promisse


Da Samastia, che fur quarantamila ; A real fede toccandosi il dente,
Così la tela ordita si taglioe Ed ordinò che con seco vi gisse,
Avviluppata, e stracciate le fila ; Dugentomila, e non più di sua gente ;
Cosi con Andreon via cavalcoe, E il resto per mandarne ad Arba misse
Ciascuno, se l'autore il ver compila; In punto con la ruba che al presente
E in quella giunti aspettando l'assedio, Avevan tratto di Tunisi il giorno
Immediate attesono al rimedio. (Si come è detto) quando il saccheggiorno.
CLXXX CLXXXVII

Or mi par di dover lasciar costoro E quei che ne mando, n' andorno carichi
Attendere a ripari de le mura, Di gran ricchezza, e con un capitano,
Per affortificar la terra loro, E disse lor: Che se v'è niun che varichi
Si che la gente in quella stia sicura, Il suo comando gli fia poco sano;
Mentre sgombrano tutto il tenitoro, Che faccin si, che lui non si rammarichi,
D'intorno per montagne, e per pianura, Che non ne spenderà parola in vano;
Che pareadi formiche un brulicame Ma se d'alcuna cosa arà sentore
Nel fuggirdentro e persone e bestiame. Il giusto punirà col peccatore.
332
33г CIRIFFO CALVANEO

CLXXXV111 CXCV

Fatto che gli ebbe lor questa proposta Ma prima ch'ella mi desse notizia
Immediate ciascun vía cammina. Interamente de la tua persona,
E Sidilagi a Tunisi s'accosta Mi fece far di giuri gran dovizia
Co'regi de la turba saracina, Che insino che tu mi davi corona
Quali ordinavan l'oste senza sosta, Non ti dovessi dar questa letizia
Per gire a por l'assedio a Costantina, Di palesarmi, e però mi perdona:
E distrugger la franca baronia S' io fu prolisso al tuo disie, o padre,
E lui fu il primo che si mise in via. Fu per servar la fè data a mia madre,
CLXXXIX CXCVI

Sendo afforzati di mura, di fossi, Qual non si volse a te mai discoprire,


E in su le torre fatte assai bertesche , Mentre che dimorasti in sua presenza,
E con tutti i ripari che si possi Nè anco a me, sol per non impedire,
Far per difesa, e molte arme manesche, Di Tunisi tua gita; e gran prudenza
Stimando ben dovere esser percossi Usoe, stimando dover rifiorire
Da quelle fiere genti barberesche, Ivi la gloria di tua eccellenza,
Ed Andreon, uom pien di cortesia , Qual per fortuna era sommersa : or pensa
A Sinefido diè la signoria Che la sera ne pianse tanto a mensa.
CXC cxcvi

Di Costantina e del suo tenitoro, Che vi giugnesti quasi nudi, e scalzi,


E volendo di quella coronarlo, Perchè ella ambedua riconosciuti
Il premio del reame e del tesoro V'ebbe, piangeva gli atroci rimbalzi,
Di Carsidora. Or, senza replicarlo, De la fortuna, e de' disagi avuti
Sinefido di regno, o gemme, od oro Per lei in mare, e 'n terra, e'n selve,e 'nbalzi,
Non è bramoso: così il ver ti parlo : Per quanto intese, sendovi doluti
Avendo da Andreon lo scettro accetto, Con lei e meco; ma finse Drusilla
Si come suo donollo a Siliametto. Pianger, volendo la cagion coprilla
CXCI CXCVIII

Si come grato, che ben ricordossi De le lagrime tante che versavono


Del beneficio da lui ricevuto Su'occhi , che venian proprio dal cuore,
A casa sua, che fur per lui riscossi, Perchè la mente, e sensi si svegliavono,
Dico di Calvaneo e l'Avveduto, Per dimostrarti lo intrinseco amore;
Quando eran suti cotanto percossi Ma vinti da ragion pur si celavono,
Da la fortuna, e pel suo proprio aiuto Respetto a la salute, ed a l' onore,
Eran del fondo sormontati in cima Si come donna ch'ha il cuor generoso,
Su de la rota, e più alti che prima. Che pria ama l'onor, che ſiglio o sposo.
cxell exeix

Ultimamente sendo coronato Adunque avendo da te ricevuto


Di Costantina il franco Siliametto, Il magno don di si degna corona,
E da ciascun reverito ed amato, Mi dono a te, o Povero Avveduto,
Ancor che genuflesso il giovenetto Operno de la stirpe di Nerbona,
Fusse, si fu al padre palesato O proprio padre, e per figlio tenuto
Di lagrime bagnando il volto e'l petto Ti prego io sia, e con la mia persona,
Per tenerezza, e disse: O padre degno Ti raccomando sopra ogni altra cosa
D'eterna fama, e di scettro, e di regno, Aleandrina mia madre e tua sposa.
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схени

Per farti noto a cui questa corona E così detto in piè si fu levato
L'abbi concessa, come ha il ciel voluto, Con tenerezza, e l'un l'altro s' abbraccia
Sappi ch'io son tuo figlio, e in Ascalona Basciandosi, e ciascun tutto è bagnato
Mi generasti, e tanto isconosciuto Di lagrime in sul petto, anco la faccia,
Se' ito errando dietro a la persona E disse: O padre sendo batteggiato,
De la mia madre, che tu se' venuto Non creder che tal cosa mi dispiaccia ;
Al tuo effetto; ma Leopantina Anco m' è grato, e però ti paleso
Non conoscesti per Aleandrina. Senza alcun dubbio che tu sia offeso.
CXCIV CCI

La qual con tanto amor, con tanto affetto Imperò ch'io conosco omai chi sono
Tu sai che vi ritenne in casa sua , Il Povero Avveduto, e Calvaneo,
Avendo affigurato ne lo oggetto, Però si largo nel dir m'abbandono,
Ne l'Andreone ho dubbio che sia reo :
E te, e Galvaneo, e amendua.
Dopo il partir, qual fu a mio dispetto, Anzi il primo de' nostri, e pel gran dono
Mi disse il tutto, e de la virtù tua L'amerò sempre al mondo quale Iddeo,
Tanto mi riscaldo e accese il cuore, Ecosi il priego per nostro maggiore
Che di tenermi a se manco il valore . Che il battesimo prenda per tuo Amore.
333 CIRIFFO CALVANEO 334

CCl CCIX

Ed io per me ne son disposto al tutto Terrazzani, paesani, e forestieri


Di rinegar la falsa fè pagana, Il battesimo santo ciascun piglia,
D'Apollino e Macon bugiardo e brutto, E il Pover fece rizzar più bandieri,
Ebatteggiarmi a la fede cristiana, Nel campo bianco una croce vermiglia.
Veduto che un cristian sol val per tutto Re Siliametto fe' più cavalieri,
Il grande stuol de la legge Africana , De' signor ch' Andreone avea in famiglia ;
E che sia il ver de la lor gran potenza Ma bene è'l ver che prima ognun di loro
A Tunisi n'ho visto esperienza. A Calvaneo calzava lo spron d'oro.
Cent cex
Io ho veduto a Calvaneo far cose Ementre, ſe' per la terra cercare
Col brando, e similmente con la lancia, Con diligenza senza alcun romore
E a te, padre, si maravigliose Di Aleandrina, qual si fa chiamare
Che chi l'udisse le terrebbe a ciancia, Leopantina, o discreto auditore;
Perchè al creder sarieno assai dubbiose, E ritrovata, la fece menare
Che mai Orlando fior de' Pari in Francia, Su nel palagio con massimo onore,
Simil non ſe' con l'asta o Durlindana Qual sia conveniente a simil donna
In Roncisvalle per la fè cristiana. Di compagnia e d'onorevol gonna.
CIV CCXI

Si che per tanto omai d'un voler tutti La qual tutta tremante d'allegrezza
Vi priego siam per la salute nostra Non avea di salir tanta potenza,
Lasciando i falsi Iddei, malvagi e brutti, Su del real palagio la sua altezza :
Poi che'l vero Signor la via ci mostra Par sendo pervenuta a la presenza,
Da poter far per l'alma e il corpo frutti, Del marito e del figlio, o che dolcezza
Usando con fervor la virta nostra, Ebbe il suo cuore ! o con gran reverenza
E se del vero Iddio faremci amici Fu ricevuta! e lei che ciascun prezza
Vittoria ci darà contro a' nimici. Non può parlare a niun per tenerezza.
ccv сехи

Mentre che tal parole Siliamelto Ecosi tutti tre slettono un pezzo
Lasciava, e Calvaneo riprese il dire, Abbracciati piangendo, e non parlavano,
E brevemente con un dolce oggetto, Tanto ch'ognun di lagrime era mezzo,
Dal primo moto al presente inferire E mille e mille volte si basciavano ;
Volse la fèdi Cristo benedetto, Ma Siliametto con la madre avvezzo
E come la sua gloria mai finire Lasciolla, ed abbracciati si restavano
Non debbe, anzi regnare in sempiterno Moglie e marito, e caddon tramortiti
Co i giusti, e pe' dannati il fuoco eterno. Per allegrezza che parean finiti.
CCVI CCXIII

E tanto di fervore ivi infiammossi Andreone, Calvaneo e Siliametto


Nel dir, che spesse volte lagrimava, Erano impalliditi ne la faccia,
In modo tal, che i cuori ebbe rimossi Tatti ripien d'orrore e di sospetto
Di qualunque il vedeva o l'ascoltava; De la lor vita, e Bisantona abbraccia,
E finalmente Andreone accordossi, In un tratto que'due, e in su n'un letto
E Bisantona, e gli altri ognun gridava : Gli ebbe posati, e destramente traccia,
Viva Gesù, e muoia il paganesimo, La lor salute in quanto s'appartenga,
E tutti addimandavano il battesimo. Essendo vivi, che ciascun rinvenga.
CCVH CCXIV

Il Povero Avveduto a Calvaneo Pur brevemente col divino aiuto


Impose che il battesimo ordinasse, Ed altresi di quei ch'eran d'intorno,
Non vi sendo messere, e lui lo feo, Aleandrina e il Povero Avveduto,
Nè creda alcun che ponto dimorasse, Quali da un grave sonno si svegliorno;
Ne tanta calea sia pel giubileo El'uno e l'altro sendo rinvenuto,
In santo Pietro, quanto quivi fasse Non si poter saziar per tutto il giorno
Immediate intorno a l'acqua santa, Di farsi festa, e spesso lagrimando
E lui gli bagna dal capo a la pianta.. Tenendosi per mano e ragionando.
COVIL CCXV

Eper cagion che non are' potuto De' preteriti giorni di tant'anni,
Resistere al battesimo di tanti, Che l'uno e l'altro parti d' Ascalona,
In primamente il Povero Avveduto E dove, e come, i riposi e gli affanni ,
Batteggio Andreone, e de' suo' alquanti, Che avien sofferti; ma prima ragiona
E Bisantona, e quei dier poi aiuto Aleandrina, e dice con che panni
Abatteggiare il popol su pe' canti Isconosciuta la terra abbandona
De la piazza real, grandi e piccini, Iscapigliata, e scalza con quel brando
Femmine e maschi, ch' eran saracini. Per selve, e boschi giorno e notte errando.
TATAL

B,

‫تدا‬
17
336
335 CIRIFFO CALVANEO

CCXVI CCXXIII

E d'acque, e d'erbe, e di pome salvatiche Per la qual cosa disperata al tutto


Si cibava piangendo con asprezza , Giva qual fera per le selve errando,
Tal che le fere in ciò avvezze e pratiche, Cercando morte, e già più volte tutto
Ne sarebbon venute in debolezza, Avendo tratto del fodero il brando
E come per gli sterpi già le natiche Per far qual Tisbe e per pietà del frutto
Quasi scoperte avea, quando a l'altezza Ch' avea nel ventre pur giva stentando
In cima al monte Carmel detto giunse A l'acqua, al vento, al sole, ed al sereno,
Quel di che Calvaneo la sopraggiunse, Sempre baguando di lagrime il seno.
CCXVH CCXXIV

Aquella fonte, dove sotto a l'ombra E cosi replicando io mia sciagura


Era distesa d'uno alpestro rovero, Piangeva, e Calvaneo teneramente
Di sua salute disperata, e isgombra Insieme meco tal disavventura,
D'ogni speranza d'aiuto o ricovero Pregaudomi de l'esser paziente ;
Per refrigerio di quei che ingombra E nel parlare entrò ne la scrittura
L'aveano il ventre del seme del Povero, Con dolci esempli, e ragioni autente,
Poi disse : Pensa chente esser dovea E, come quel che 'l bisogno conobbe,
Che e' dubito, ch'io fusse un ombra rea. Quieto mie pene con quelle di Giobbe.
CCXVIII CCXXV

Ed io che'l vidi quale un uom selvaggio E tanti e tanti e si fatti miracoli


Venir con un broncon per quella foce Mi disse de l'eterno creatore,
In collo, e tanto fiero nel visaggio Che da tutti i bugiardi e falsi oracoli
Che quasi i sensi mancorno e la voce, De gli altri Iddei remosse ivi ilmio cuore,
Benchè poco vi fusse di vantaggio E battezzommi, e senza tabernacoli
Ch' ognun temette, e con la santa croce Mi dette il modo d'orar con fervore,
Lui si segnava, e dicea qualche verba, Però che non è l'occhio quel che scorge
Ed io col brando in man sedea su l'erba. La pace a Dio, se'l cuor non gliela porge.
CCXIX CCXXVI

E del suo dubbio accorta, dissi a lui : Cosi rimasi tutta consolata
Che non temesse di mia vista oscura, Disposta al sopportar con pazienza
Ch'io non ero ombra de gli abissi bui La vita mia, e per le mie peccata
Venuta, anzi era mortal creatura; Reputando ogni cosa a penitenza,
Ed egli a me per chiarir gli error sui Con isperanza d'esser poi salvata ;
Non avendo la mente ancor sicura, Ma quando Calvaneo prese licenza
Disse: Non sendo tu spirto nè ombra, Per venirti a trovar, parve che allora
Qual fato, o qual destin t' indusse a l'ombra Il cuor del petto mi balzasse fuora.
Ccxx CCXXVI

De l'aspro rover ne l'alpestro colle, E trassimi di dito la turchina


Inusitato a ciascun corpo umano ? Del nostro sposalizio senza nozze,
E dal principio al fine intender volle Che te la dessi, e di questa meschina
Distintamente il caso atroce e strano, Raccomandasse a te le membra sozze
E mentre che il parlar tremante e molle Per l'aspra vita, e inverso Costantina
Gustava, il brando mi trasse di mano Per selve e boschi, a ruscelli, a le pozze,
Pur con dolcezza, e risguardando il pome Cibandomi di pome e d'erbe e d'acque,
Il breve lesse, e dimandommi come A stento venni pur, come a Dio piacque,
CCXXI CCXXVII

L'avessi avuto ; ed io con parlar finto Di qui lontana circa di due miglia,
Risposi; e quel con rigide parole Dove già mi trovasti a quella villa,
Verso di me turbossi, e tutto tinto, Ch'una certa matrona ivi per figlia
Minacciommi di morte pel dir fole, Seco mi tenne, predetta Drusilla,
S'io non gli recitava il ver distinto E quivi partorii che maraviglia
Di te, Povero mio, e in quale prole Fu come l'alma il parto non sortilla
Restavi quando mi dipartii io, Dal corpo flagellato da' disagi,
E che il brando fu prima suo che mio. E in sa lo stremo fui per Sidilagi.
CCXXII CCXXIX

Ma quando intesi a lui dire scolpíto Par con l'aiuto prima del Signore,
Il proprio nome, parve d'un coltello Poi di Drusilla, i tuo' figli lattai,
Allor fusse il mio cuor, lassa, ferito, Non sendo però spento in me l'amore
Tal che distinguer non potevo a quello Del padre loro, e quivi mi restai ;
Parola a pena: pur, che mio marito E perch'e' dimostrassin lor valore
Eri, gli dissi, e mostragli l'anello Sendo in etade, e di persona omai
Ch' aveva in dito, col qual mi sposasti, Da sprimentar ciascun ne l'armadura,
Mi mossi a dir la lor disavventura.
E dissi come poi m' abbandonasti.
337 338
CIRIFFO CALVANEO

cexxx CCXXXVI

Un giorno a mensa, poi ch'ebbi sentito Per quella notte, se quel figliuol reo
Che far voleva Esdran l' assembramento Fusse tornato, voi ci difendessi ;
Sol per elegger qual fia più gradito Dipoi a mensa te e Calvaneo
Per capitano, il bel torniamento Conobbi nel parlar come eri d'essi ,
Libero aveva in Tunisi bandito E chiaramente per cotesto neo
E così stando al mio parlar attento T'affigurai: or pensati tu stessi,
Ciascuno, e detto d' onde, e come, e quando Qual parte fusse maggior nel mio cuore
Ero venuta, palesai quel brando. O l'allegrezza a vederti, o il dolore.
CCXXXI CCXXXV

Qual fu cagion di tanti e tanti omei Considerando in che miseria estrema


Che le lagrime arien fatto una chiana, E in quanto vilipendio la fortuna
E mentre ch'io mostrava a' figli miei Avea condotta tua virtù suprema ,
La spada, dissi come ero cristiana. Che ripensandol poi pur volta alcuna
Sidilagi crudel con pensier rei Tanto l'affanno par che'l mio cuorprema
Quella rapimmi, e con essa mi spiana Che i' sto sospesa se esser digiuna
In ver la testa un colpo per partilla, Vorrei, o no , d'averti conosciuto ;
Se non che in mezzo si mise Drusilla. Pure ero lieta d'averti veduto.
CCXXXII CCXXXIX

Ed ella il colpo, oimė lassa! sostenne E credi, che più volte in quella sera
Per iscamparmi , e vi lasciò la vita, Tentata fui di gittarmiti al collo,
E poco men ch'a me non intervenne Ma per non dare al tuo figlio matera
Il simigliante; por mi fui partita: Per isdegno, di farci dare il crollo,
Indi fuggendo, quale uccel con penne, Avendo io detto prima che'l padre era
E sopra un leccio altissimo salita Ne l'arme Marte, in beltà nuovo Apollo,
Appena i' fui, che lui giunse al pedale Pur mi ritenni , rispetto a l' onore,
Col brando per tagliarlo e farmi male. Sotto speranza del tuo gran valore.
ccxxxm CCXL

Ma come piacque al figliuol di Maria Andando tu a Tunisi a quel degno


Qual i' pregavo col cuore umilmente Torniamento , armato a corridore,
Che m'aiutasse, in un tratto apparia Fama acquistassi e anco qualche regno
Una cerva cacciata ivi rasente Brevemente per forza, o per amore.
Da un fiero leon che la seguia, Or veggo riuscito il mio disegno
Equel col brando, sendogli presente, Mediante la grazia del Signore
Un colpo trasse al leone a la testa Che m'ha renduto e lo sposo e lo stato,
Che gliel parti per mezzo appunto a sesta. Del qual veggio il mio figlio coronato.
CXXXIV CCXLI

Nè prima quel leon caduto in terra Ma quel che fu l'origine di tutto


Appena fo, che la sua leonessa L'error che partori ogni mio affanno,
Li sopraggiunse, e con orribil guerra, Pel qual non tenni mai il volto asciutto
Forte latrando, gli faceva ressa , Un'ora in terra, in ispazio d'un anno,
Ed egli il brando lasciava, ed afferra Fu l'ignoranza, non pensando al tatto,
Quella nel petto abbracciata, e con essa Come le donne sai, che sempre fanno
Si scote, e storce e finalmente un botto Ne' casi estremi, quando si consigliano
Dettono in terra ; e lui restoe di sotto. Co' lorparer, che sempre il peggio pigliano.
CCXXXV сехи

Quando lo vidi in così fatta stretla Egli è ben ver, che chi non sa, non sa
Stimai quel fasse il suo ultimo giorno, Più che si sappi, e per non saper erra
E del leccio tremante con gran fretta Di molte volte, e così fee' io giả
Discesi in terra, e fecimi ritorno Senza aspettar che segua de la guerra,
A casa, ove Drusilla poveretta Che s'io avessi fatto come fa
Morta trovai , e Siliametto intorno Chi pensa al fine, così de la terra
A lei piangendo, estimavasi quello Non mi partiva, ma con dolci carmi
Ch'io fussi suta morta dal fratello. Doveva a te, signor, raccomandarmi.
CCXXXVI CCXLII

E quivi insieme con tenero pianto E intender la cagion del tuo partire,
Ci lamentammo, e demmo sepoltura O se tornar dovevi in Ascalona,
Al corpo qual di propria madre, tanto O si, o no , men doveva chiarire,
Ciascuno amava quella creatura; Non dare a la fortuna mia persona,
E la sera medesima da canto Amando te, o mio famoso sire,
Gingnesti come fa di Dio fattura, Anzi seguirti a Parigi, a Nerbona ;
Send' io incerta; pure avea sospetto Ma se considerato avessi allotta
Di Sidilagi, e vi detti ricetto Quel che dipoi, non sarei qui condotta.

22
339 CIRIFFO CALVANEO 340

CCLI
CCXLIV

Questo si è, ch' avendo conosciuto, Qual furon questi dentro uno steccato
Quanto lafè di Macone è fallace, Fuor de la terra tra'l campo e le mura;
E Cristo il vero Dio, e tu voluto Guglielmo Lancioniere e Fortunato ,
Aresti trarmi a la tua ſè verace, Beltramo e Tarabusso a la ventura,
Però partisti, e facesti il dovuto Guidon con Amoroldo accapigliato
Tornando al padre, e far con esso pace ; Si fu, siccome volse sua sciagura,
Né credo ti partissi per lasciarmi, Folco con Serpentone e Lionetto,
Ma per ripatriarti ed onorarmi. Fu con Iscarpiglione il poverelto.
CCLII
CCXLV
Ma la mia fanciullezza incontinente Ed io con Salameche, che il maggiore
Mover mi fe' disperata a furore; Era di tutti, e tutti gli spaciammo,
Poi il tuo Calvaneo, ch' è qui presente, Benchè morti da lor, per mio dolore,
Guidone e Lionetto vi lasciammo.
Mi fe' capace il mio commesso errore
Aquella fonte, e restai paziente Dipoi Luigi, il magno imperadore,
Amando te e i figli per tuo amore, Fe' pace con Tibaldo, e via levammo
E tu amavi me, considerando L'assedio ch' era ad Ascalona intorno,
se' ito cercando. E in Francia fe' la bella oste ritorno.
Per quanto poi
CCXLVI CCLII

Or d' ogni cosa ringraziato sia Dove in Parigi con lo imperadore


Il buon Gesù, e la sua Madre e i santi Mi stavo molto onorato da quello,
Ch'ha adempinta tua voglia e la mia E Calvaneo, senza alcun sentore,
E sani e salvi e lieti tutti quanti Mi sopraggiunse, e dettemi il tuo anello,
Ci ritroviamo, ed anco in signoria E riferimmi di tutto il tenore,
Senza che più andiam pel mondo erranti, E come e quando sul monte Carmello
Or dimmi ta dipoi la tua partita, Trovotti, e come t' avea battezzata
E come e dove fusse la tua gita. Mi disse, ed in qual parte eri inviata.
CCXLVII CCLIV

Il Pover trasse un gran sospiro allora Ma perch'egli era quale un uom selvaggio,
E disse: Donna a replicarti il vero Come il vedesti, non presi partito
Sarei troppo prolisso, e gran dimora Cosi allora di mettermi in viaggio
Bisognerebbe a recitar lo 'ntero, Per farlo in fatti d'arme iscalterito,
Dappoi che d' Ascalona uscii di fuora E in pochi mesi n'ebbi visto il saggio
Armato con Rampaldo sul destriero Tanto ch'egli era in corte il più gradito
La propria sera, poi ch' io ti sposai Uom che vi fusse con ispada o lancia,
In zambra, e teco que' figli acquistai, E sconosciuti partimmo di Francia.
CCXLVIII CCLV

Pur brevemente ti dirò l'effetto Guerniti d'arme e bene a corridore,


Di tutto questo tempo, e come e dove Verso l' Arabia s'avemmo a distendere,
Io sono stato: or ferma lo intelletto E di cristianitade uscimmo fuore
E non porger l'orecchie tue altrove Senza alcuna molestia di contendere ;
Per fin che la sostanza t'abbi detto. Poi d'aspre fere avemmo già timore
Prima per grazia de l'eterno Giove Più e più volte, e valseci il difendere
Lasciai te, e Tibaldo e le sue squadre Passando poggi, e piagge, e canne, e laghi,
Pel vero Dio e zelo del mio padre. Di trovar te desiderosi e vaghi .
CCXLIX CCLVI

Avendo da lo spirto di Falcone E una sera quando Febo iscioglie


Avuto indizio come il re Tibaldo Dal suo bel carro i veloci cavalli ,
Per lui di me aveva cognizione, E le sue chiome d'oro a sè raccoglie
E fatto aveva suo concetto saldo, Che in cima i colli tra vermigli e gialli
Sapendo ch'ero figliuol di Guidone, Dimostra, e noi infra l'orate foglie
Farmi morir, quel traditor ribaldo, Giugnemmo al monte Carmel su le spalli,
Non per mia colpa, ma sol per dispetto E finalmente a la fonte ismontammo
Di Guidon,di Luigi e di Spinetto, E rinfrescati quivi ci posammo
CCL CCLVIL

Ed io, perchè t'amavo, a la partenza Per quella notte, e quivi il tutto intesi
Fe' ciò ch'io fe', perchè non m'impedisse Da Calvaneo, in che modo al battesimo
La mia salute, non per violenza, Ti indusse, e mentre l'effetto compresi,
Ma credendo dipoi tu mi seguisse, Più volte lagrimai in me medesimo.
Ed ignorando con poca prudenza Passoe la notte, e del monte discesi
Pigliasti il volo, e Tibaldo disdisse Quasi eravam , che lui disse il millesimo
La tregua, e'l terzo giorno sei giganti Non m'aver detto, e fe' silenzio poscia,
Preson la guerra, e di noi altrettanti. Perchè il tanto parlar gli dava angoscia.
341 CIRIFFO CALVANEO 342

CCLVIII CCLXV
Io mi studiava di camminar tosto Ho pur presa la Rocca, e vi lasciai
Per ritrovarti , e presi assai vantaggio Un Castellan che per me la tenessi,
Da lui avante, e sendogli discosto, E inverso Troncavalle cavalcai,
Trovai per quella valle un nom selvaggio, In furia prima che la si sapessi,
Molto formoso, ch'era a seder posto E'l cancelliere avanti ne mandai
In su d'un masso, e con lieto visaggio A dire a Carpisante che facessi
Addimandommi de la mia venuta, Mandar fuor la giustizia, che Irlacone
E fu ivi infra noi degna disputa. Volea veder Ciriffo in sul broncone
CCLIX CCLXVI

Ultimamente Calvaneo vi giunse Confitto insieme con quel suo fratello,


A tempo, e cominciò a ribadire Quale avea preso, e la vittoria auta,
Le mie parole, ed anco ve n'aggiunse E Carpisante se'l credette, e fello,
Con tante allegazioni , che arguire Presto mandar sentendo la venuta ;
Colui non seppe e dipoi si congiunse Ed io quale il falcon fuor del cappello,
Insieme meco, ed indi il feci uscire : Ch'aspetta, avendo la starna veduta
Fattol cristian, venia con esso noi ; Con l'ale aperte per pigliare il volo,
Ma e' fu morto il terzo giorno poi. Cosi Ciriffo aspettava, e non solo.
CCLX CCLXVII

Il qual ci dolse molto, e duole ancora. Né prima de la terra la giustizia


Dipoi ce ne venimmo a Samastia Uscita fu, che i mie' preson la porta.
Dove Irlacon per aver Carsidora Carpisante conobbe la tristizia,
A campo v'era con tutta Turchia. E ne la Rocca con sicura scorta
Noi per difender la ragione allora Fuggissi, e quivi condusse a dovizia
Avendo avuto il raguaglio tra via, Di ciò che fa mestieri, e che più importa
Andammo dentro per servir la dama D'artiglierie, vittovaglia e famiglia,
In cortesia e per acquistar fama. Con Brunaspina sua leggiadra figlia.
CCLXI CCLXVIII

Dove facemmo grande uccisione La terra fu in un momento presa


D'uomini e molti feroci. giganti, Per me, e messo ognuno al fil di spada,
Ed anco Calvaneo vi fu prigione Dico qualunque volse far difesa,
Che per morto di lui feci gran pianti ; Edi fuor non istemo punto a hada,
Pur gli rompemmo ed uccisi Irlacone Anco assaltamo con crudele offesa
Ch'era fuggito una giornata avanti ; Avendo tolto il passo de la strada
Poi ritornai con la sua testa indrieto Innanzi e indietro a quel popol feroce,
A Samastia, che ne ſu ciascun lieto. Che menavan Calvaneo a porre in croce.
CCLXII CCLXIX

Ma io non ero già lieto o contento Il qual libero fu, e presto armato
Pel mio Ciriffo, ch'era in Troncavalle Di tutte l'arme, e in sul destrier fu misso
Suto menato a far morire a stento. Di Grifonante che l'avea menato
Io mi struggevo d'essergli a le spalle, Per crocifigger, poi fu crocefisso
E feci far bandiere in un momento Egli in suo scambio, e punito il peccato
Con l'arme d'Irlacone e trombe e balle Che Irlacon traditore avea commisso .
E sopravveste di molti signori , Poi presi de la terra la tenuta
Che n'ebbi buona parte de' maggiori . Benché la Rocca non si fusse auta.
CCLXIII CCLXX

Eperché non restasse così sola Qual io credendo per battaglia o assedio
La bella dama, ch'io ti dissi pría, Pigliar, si combatteva ciascun giorno;
Fella sposar, con licenza di Frola Nè mai vi fu ne modo nè rimedio,
Da Andreone, e quel di Samastia E tutto il popol mio vi mori intorno;
Fu coronato senza far parola Ultimamente a non tenerti a tedio
E tatto il suo reame e mobilia Mandai Ciriffo poi che molti andorno
Ebbe per dote, e Bisantona allora A Samastia per soccorso ed aiuto,
Con la madre restoe di Carsidora. E come gli altri me l'ebbi perduto.
CCLXIV CCLXXI

Ed io con diecimila cavalieri Poi per disperazion con l'arme indosso,


Partimmi a furia, e venni a Rocca-franca, Una mattina presi una gran mazza
Ch' era la chiave di tutti i sentieri, Di ferro, e nel piastron de l'uscio grosso
Eper trattato vi appiccai la branca De la Rocca, come uom di bona razza ,
Per consiglio e favor d'un cancellieri Percossi tanto ch'io l'aveó remosso
Già d' Irlacon, che me la diè poi bianca, E rotto in parte, e mentre e' si diguazza,
Per quel ch'ho inteso dir del traditore, Un cantone in su l'elmo mi percosset
Ma io che men fidai feci l' errore. Che in terra mi mandò qual morto fosse.
343 CIRIFFO CALVANEO 344

CCLXXII CCLXXIX

E cosi fui ne la Rocca tirato Non gli sendo il disegno riuscito


Da quella crudel gente saracina Fece pensier di giungermi al boccone,
E certamente allora ero impiccato Ed ordino in palagio un bel convito
A un balcone, ma per grazia divina E vennemi a 'nvitare al padiglione
Vi sopraggiunse, ch'ero disarmato, Per pace fatta col nimico udito
Per vedermi la bella Brunaspina, Sidilagi, e per detto d'Andreone
E incarcerommi, e disse isquarterebbemi; E di Ciriffo , e Bisantona andai
Così mi chiese al padre, e così ebbemi. Con loro, e in campo il tuo figlio lasciai
CDLXXIH CCLXXX

Ma fecel per camparmi dal furore, A guardia d'esso, ben ch'era avvisato
Innamorata de la mia prodezza , Da un che'l tutto m' avea riferito,
Non pensar, donna, per lascivo amore, E dove, e come, e quando era ordinato
Ma perchè il cuor gentil la virtù prezza. Che io vi fusse infallante tradito ;
Stimava quel che non era in errore, Si che ciascun di noi ben preparato
Come s'avesse avutane certezza, V'ando , e nel principio del convito,
Ch'io fossi un cavalier cristiano errante Avendo messi i denti a punto in opra,
Che gisse isconosciuto per levante. Le mense andorno in un tratto sossopra .
CCLXXIV CCLXXXI

Ultimamente ella mi si scoperse, Quivi in un tratto si vide apparire


Che di farsi cristiana avea disio : Ispiedi, e spade, e ronche, e partigiane,
Io gliel promisi, e lei l'arme m'offerse, E molte teste in un punto giù ire
Ed armati che ſummo lei ed io, E non ti dico le mazzate strane
Entrammo in una tomba ch' ella aperse , Di Bisantona, quale ci fe' uscire
Qual era un loco tenebroso e rio, Fuor del palagio ad onta di quel cane
Usciti d'essa una bella fontana Macon bugiardo : or non ti dico in piazza
Trovammo, e quivi la feci cristiana. Se ella bene isciorino la mazza,
CCLXXV CCLXXXH

Eper prendere alquanto di conforto In modo che que' Barberi malvagi


Mi rinfrescai , e dormendo soave Ci dierno il passo, e non parea lor giuoco,
A uno arezzo, sendo sopra un porto, E già v'era venuto Sidilagi,
Per acqua dolce vi sorse una nave E messa avea la terra a sacco e fuoco,
Di pirati, che indi qual un morto E rovinando le case e palagi,
Levato fui da lor ; pensa se grave A furia ci partimmo di quel loco
Mi fu trovarmi in mare in ferri a remo, Col popol d' Andreon, ch'era nel campo,
Ch'ognor ancor quando vi penso tremo. E rifuggimo qui per loro scampo,
CCLXXVI CCLXXXII

Poi come piacque al figliuol di Maria Prima che fatto ne fusse macello
Insieme per fortuna s'affrontorno De'Barberi, e degli Arbi il grande stuolo.
La nave di Ciriffo con la mia, Re Siliametto allor rispose: Quello
Come altra volta ti dissi quel giorno Re Sidilagi, padre, è tuo figliuolo,
Aquella villa, e poi in Barberia E de la madre , e mio carnal fratello;
Vinsi il torniamento tanto adorno ; S'io non tel dissi prima, il feci solo
E fatto Capitan del grande stuolo Per non mi discoprire a te nè a lui,
Ebbi il baston come sa il tuo figliuolo. Eper non palesarti in forza altrui.
CCLXXVII CCLXXXIV

Dipoi il re de monti d'Atalante, Or tu se' qui più ch'altrove sicuro


Qual nel principio per morto sconfissi Del preterito tempo ristorato
Vi ritornò, e mend gente tante, Per grazia del Signore, or pel futuro
Che tutta Barbaria parve coprissi Vivendo spera accrescer fama e stato.
Con dua giganti mostruosi avante Le tante avversità che avesti furo
Che parean proprio usciti de gli abissi: La tua salute, e me hanno allevato
Andreon, Bisantona e Siliametto Da rusticana vita in tale altezza,
Il sanno, perchè furno loro a petto. E congregata tanta tenerezza.
CCLXXVII CCLXXXV

Pur gli spacciamo Calvaneo ed io, E così detto il Povero levossi


Ciascuno il suo con un colpo di lancia, In piè, tenendo la sposa per mano,
E Burel traditor, malvagio e rio E sorridendo col parlar voltossi
Con suoi fratei mi volse dar la mancia A Bisantona benigno ed umano :
Un giorno a tradimento, e sallo Iddio Nessun debba voler quel che non possi,
Che'n sul bilico fui de la bilancia; Ma perchè il tuo servir non spenda in vano,
Di nove che in due parti m' assaltorno Ti prego, Bisantona, tu consenta
Ne ferii selte, e gli altri due nettorno. Volere al voler mio esser contenta.
1

345 CIRIFFO CALVANEO 346

CCLXXXVI сехени

Conciossia cosa che a Samastia Di Gostantina, e come Bisantona,


Già ti promisi doverti sposare Era sposata e fattane regina, 1
Dipoi un tempo, se la donna mia E come Sinefido è di Nerbona
In fra quel non avessi a ritrovare ; H perno, e de la corte Parigina,
Or tu se' certa ch'ella è viva, e fia Che il Povero Avveduto si ragiona
Da me amata e giusta cosa pare, Pel proprio nome, e d'una Aleandrina
E la legge eristjana non consente Giva cercando sua sposa, e con ello :
Più ch' una donna a nessuno nom vivente E quel Ciriffo, e'l dicon suo fratello.
CCLXXXVII CCXCIV

In matrimonio, e per questo rispetto Non ebbe a pena Sidilagi intesa


A tal promessa non son più tenuto; Tal nuova, che parti con le sue squadre,
Ma perchè il tuo servire ho sculto in petlo E in verso Costantina a la distesa
Vo'far quel che mi par giusto e dovuto, Cavalcó via , inteso ch' era il padre
Volendo tu, che del re Siliametto Quel Sinefido, e molto più gli pesa
Ti faci sposa, e fia l'amor cresciuto L'odio contro di lui e de la madre;
Fra noi, ed io, da una cosa in fuora, E fe' fermo proposito, e concetto
Qual donna t'amerò, non come nuora. Di tor la vita loro, e a Siliametto..
CCLXXXVIII cexev

Tinse la Bisantona a le parole E finalmente giugneva a la terra


Dal Pover dette, le guance, e la fronte, Con la sua gente rigida e feroce,
Anco tutto il bel volto, qual pel sole E intorno intorno la circonda e serra
Si mostra a l'aurora l'orizzonte. Dando battaglia crudele ed atroce ;
Andreon lieto di sua man si tole Ma gli Arbi si credean gittare in terra
Un ricco anello, e con parole pronte, Le mura co'bastoni e con le voce;
Con grata reverenza allor donollo E tanti funne da' cristian percossi
Al re novello, e da seder levollo. D' in su le mura, che s'empierno i fossi
CCLXXXIX CCXCVI

Ciriffo, Aleandrina e Bisantona, Di corpi morti, e molti di feriti,


Ebbono in mezzo quivi di lor messa. Perchè a le mura traean come pecchie,
Siliametto l'anel, poi la corona Credendo sopra quelle esser saliti ,
Mise a la bella sposa gigantessa. Ci s' appiccavan che parean forfecchie
Il Povero la sua non abbandona, In su la gionta, e poi impauriti
Anzi di nuovo la sposa, e confessa Si fuggivan per quante parapecchie
Ch'era sua donna, e sul parto legittimo V'eran d'intorno, dovunque e' credessino
Quale aveva fatto in quel lito marittimo. Che da le mura i cristian non traessino.
ecxc CCXCVII

Tanti profitti, e tanti abbracciamenti E così da la terra si scostavano


Si fe'la sera nel real palazzo, Per la tempesta che piovea de' sassi,
Tanti vi forno, e si degni presenti Eil saettame, che gli altri scoccavano,
De' cittadini , e sì del popolazzo; E le bertesche che facean fraccassi,
Tanti strambotti, variati stromenti, Che tutti spaventati s'allargavano
Vi for per dare a le nozze solazzo, D'intorno intorno, e pigliavano i passi ;
Che ricche e magne furon, benché doppie Ementre che l' assedio si poneva ,
Erano state per quelle due coppie. La grande oste de' Barberi giugneva.
CCXCI CCXCVHI

Il Pover con sua sposa Aleandrina In un momento tutta circondata


Si ricongiunse in matrimonio nuovo : La terra fu de' padiglioni e tende,
Non so qual fusse o'l gallo o la gallina, E d'alberi, e di pomi gran tagliata,
La cagion che'l pulcin non fu ne l'uovo; Si fe' dovunque il campo si distende,
Ma Siliametto con la sua regina Minanciando la gente batteggiata
Supplirono per loro, e questo provo Pur con parole, ma nessun gli offende,
In questo libro, ch' ella restò doppia, Se non che Sidilagi il terzo giorno
Come dirassi al tempo, d' una coppia. Chiese battaglia sonando un gran corno.
сахен Cexcix

Or mi conviene a Tunisi tornare Forte gridando, e dicea: Traditore


Dove eran tanti regi armati in sella, Padre codardo, cristian rinnegato,
Qual come Esdran volevano assediare, Vien fuor, bastardo, armato a corridore,
Come già dissi , Costantina bella; Ch'io t'ho a punir d' ogni colpa e peccato:
E mentre l'oste faceasi assembrare Vien ch'i't'aspetto per cavarti il cuore,
Per muoversi, vi giunse la novella Malfusso, uom senza fede iscelerato,
Come Andreone era fatto cristiano Vieni non aspettar d'esser col fuoco
E coronato un fiol del Capitano Fatto sbuccare, uom vil, tristo e da poco.
347 CIRIFFO CALVANEO 348

ccc CCCVID

Il Povero Avveduto quando intese Qual fegli una risposta molto strana
Tanto spregiare, e da chi, sua persona, Anzi che l'ambasciata abbi finita,
Nel volto impallidi, poi si raccese, E balza, e scrofa e ' scaglia, anco puttana
Qual fosse un vampo, e l'amore abbandona La madre sua del postribolo uscita
Del figlio, e per guernirsi d'ogni arnese Chiamava, e troia, perchè era Troiana
Voltossi a Galvaneo, e a Bisantona, Giurando al padre e lei di tor la vita
Forte gridando: Recate mie armi Giusta sua possa, e simile al fratello,
E date spazio ch'io voglio affrontarmi Eper dispetto trasse un' occhio a quello.
CCCI CCCVIII

In campo con quel figlio paterino, E rimandollo con tante mazzate


Che si perfidamente mi nimica, Ch' appena si potea tenere in sella,
E traditor mi chiama, l'assassino, Pur si condusse dentro a la cittate
Ma or convien che muoia o si disdica. Qual semivivo ch'a nessun favella,
Aleandrina ch'ha il cuor femminino E Sinefido avea già dismontate
Disse : Signor, che Dio ti benedica, Le scale armato, e Bisantona bella
Abbi avvertenza, egli è pur tuo figliuolo, Guernita d'arme, e Calvaneo ancora,
E se l' uccidi arai poi maggior duolo. E Andreone per gir con lui di fuora.
cecif ccclx

Abbi rispetto a la sua giovinezza, Bisantona discosto, quel trombetto


Che dove non son gli anni è il gran furore, Ebbe veduto di sangue coperto,
'Nanzi che fatti, pruova con dolcezza Con molta gente intorno al poveretto,
Di bocca d' ammendare il suo errore. E da presso parendogli diserto,
Non sa'tu quanto il Salvatore apprezza, Maravigliossi, e qual fusse il difetto
Quando ritorna a menda il peccatore, Volse sapere, e intesel da lui certo,
Che ogni fallo perdona e dimette Ch'appena si poteva intender scorto,
Non ch'una volta, ma settantasetle. E mentre ancor che dicea cadde morto .
ccent ceex

Egli è pur nato del tuo sangue e mio, Per la qual cosa il Povero con furia
E che sia 'l ver, non par che lui traligni Salto di terra ne l'arcion di netto,
Dal padre in fatti, benchè iniquo e rio Se rammentando che di tale ingiuria
Avverso con suo' uomini maligni. Vendicherassi a sua onta e dispetto,
Tanta più grata tale opera a Dio Perchè si reputava in trista auguria
Sarebbe, se per tuoi preghi benigni Quella innocente morte del trombetto,
Lo riducessi a la tua obbedienza Nè prima fu in arcion che 'l destrier punse
E col battesmo a vera conoscenza. Ed usci de la terra , e al campo giunse,
CCCIV CCCXI
Anco teneramente Siliametto Dov'era Sidilagi, ch'è smontato
Pregava il padre, che gli perdonasse, A l'ombra d'alcuno arbore che v'era,
Il quale aveva tanta ira nel petto Per esser manco ne l'arme affuocato
Che non volea che nessun gli parlasse. Da Febo con la sua rovente spera,
Aleandrina mando un trombetto Qual visto il Pover, fussi in piè levato
Occultamente, e pregol che volasse, Senza aspettar che giugnessi ove gli era,
Di fuori a Sidilagi, e riverente Eprese un lancio, e ne l'arcion ricovera,
Lo riprendesse e pregasse umilmente Che rampognando al suo padre rimprovera
CCCV ceexit

Che non dovesse contro al proprio padre Ch'è nato d'adultero traditore
Si per l'onore, e per la sua salute E non credeva in Cristo nè in Macone.
Repugnar per niente, e che sua madre Il Pover senza fare altro romore,
Si raccomanda a lui, e per virtute Girò la briglia al possente roncione,
Del filiale amor, con dritte squadre Per far quel ch's' aveva posto in cuore ;
Misuri e guardi a far cose dovute, Ma fugli tolto il passo da Andreone
E ch'egli aprisse a questo lo 'ntelletto Il qual gli disse : Or vedi, Pover mio,
Per quanto latte e'trasse del suo petto. E'ti convien voler quel che voglio io.
CCCVI ceexill

E che fusse contento per suo amore Questa è la prima cosa ancor che mai
Depor lo sdegno, e riconciliarsi Ti chiesi : dunque non me la disdire:
Con l'uno e l'altro proprio genitore, Per quello Dio che adorare mi fai
E quando giunge il padre umiliarsi, Ten prego si , che non mi contraddire :
Il quale è tanto pietoso di cuore La giostra col tuo figlio a me darai,
Che gli perdonerà, ma furno iscarsi Perchè giusto non è che dea morire
Questi disegni, imperocche 'l trombetto Per le tue man, che non è degno uffizio
Fe' l'ambasciata a quel can maledetto. Questo, qual fu d' Abram il sacrifizio.
1

349 CIRIFFO CALVANEO 350


i

CCCXIV CCCXXI

Non è lecita cosa a ognun che intrida Ma prima che le lance si fiaccassino
Le proprie man nel sangue di sè stesso, Sendo ne le visiere i ferri fitti
Né de la carne sua sia omicida: Convenne ch'ambo due s' arroversciassino
:
Questo non piaccia a Dio tal facci adesso. In su la groppa del destrier: poi ritti
Il Pover par che d'ira si conquida, Furno in un tratto, e par che si voltassino
Visto interrotto il suo pensiero espresso, L'uno inver l'altro senza alcun respitti.
E volse dare ad Andreon la mancia, Il pagan prese la mazza di ferro,
Ma Bisantona gli tolse la lancia, Ed Andreone il brando s'io non erro.
CCCXV cccxxli

E Calvaneo il brando dal gallone E come degno cavalier brandillo,


Col fodero in un tratto ebbe strappato Mentre dicendo a Sidilagi, ascolta
Dicendo : Matto, si che Andreone Qualche parola, e quello fermo audillo,
Merta da te questa mercede, ingrato, Ed Andreone il priega tulta volta
Da cui la vita, la reputazione Per parte de la madre, qual nutrillo
Poi dir d'aver, che del suo proprio stato Del proprio petto, che sua mente stolta
Privato l'ha lo sviscerato amore Raffreni, e conoscendo il grande errore
Il qual ti porta: or conosci il tuo errore.. Che il battesimo prenda per suo amore.
ceexvi сесххи

Veduto il Pover non poter contendere Inteso ch'ebbe il pagano il tenore,


Con Sidilagi, dà a le pugna in fuora, Verso Andreone col destrier scagliossi,
Ed anco pur sentendosi riprendere Gridando : Ah ! rinnegato traditore !
Così da Calvaneo, e da la nuora, E l'uno e l'altro si furon percossi,
Donoe al fin quel che non potea vendere Ma Andreon come gentil signore
Ad Andreone, e tutto si rincuora, Lo riguardava, e più volte provossi
Dicendo : Almen che sia tra le mie mani Con parole benigne, dolci e grate
Presto, ch'io dia il suo cuor mangiare a'cani, Far che e'cedesse a la sua voluntate.
CCCXVIII CCCXXIV

Re Sidilagi che il parlare intese Ma quanto più gli lisciava la coda,


Gridando, disse : Chi ne vuol, ne venga E quel crudel superbo con dispetto
Presto, che possa dare a' can le spese, Lo rampognava, e menava più soda
Ma l'opposito credo che intervenga; La mazza, ora a lo scudo, ora a l'elmetto,
Nè altro disse, che del campo prese Iu modo che Andreon non se ne loda
Quanto gli parve che si gli convenga. E poco arebbe a le percosse retto ;
Da l'altra parte Andreon similmente Visto pur che'l pregare e fuoco e fiamma,
Del campo prese, e rivolse il corrente. Scagliossi, qual leone in selva a damma,
ссеххи CCCXXV

E ben ch'avesse a la madre promesso A Sidilagi, e disse ad Aleandrina:


Di Sidilagi, d'averne riguardo Perdonerammi, perch'io son forzato
Combattendo con lui, non volse adesso Non servar la promessa, e con ruina
A questo colpo far de lo'nfingardo, Un colpo a Sidilagi ha sciorinato,
Per non esser da lui per terra messo Sopra de l'elmo in modo, che si china
Col colpo suo ponderoso e gagliardo; Sino a la testa del caval pregiato
Anzi fe'buon pensier, giusta sua possa, Dove e'percosse, e dette si gran botta,
D'atterrar lui con l'asta verde e grossa. Che il destrier fugge ispaventato allotta.
CCCXIX CCCXXVI

E l'uno e l'altro galloppando mosse Ma presto il saracin fu ritornato


Il possente destrier : poi con tempesta In vigoria, e rivolse il cavallo
Ciascun serrollo, e le lor lance grosse Per essersi del colpo vendicato,
In un tratto del par calorno in resta, Ed Andreon non istette aspettallo,
Volando proprio qual folgore fosse, Anzi ver lui il destrieri ha spronato,
E per coprirsi avean fitta la testa Con intenzione al tutto di spacciallo,
Quasi sotto lo scudo, e l'occhiolino El'un con l'altro di nuovo s'affronta
Al ferrode la lancia adamantino. Del pari in un voler con forza pronta.
cccxx cccxxvII

E l'uno a l'altro a la visiera appicca Andreon trasse al pagano un fendente


La punta, ma ciascun l'elmo ha si forte A l'elmo , e 'l brando a lo spallaccio iscende
Che resse al colpo, si che non si ficca Sinistro, e il colpo fu tanto potente
Più oltre il ferro, e scampollo da morte, Ch' ogni cosa che trova taglia e fende,
Nè anco de l'arcion nessun si spicca, Infin che giunse col taglio rasente
Benché le lance grosse, verde e corte L'osso, ma quel non tocca ned offende,
Fussino, in mille tronchi si fiaccorno, Se non che il pezzo ne mandò in giù netto
E credo alcuni insino al ciel volorno . De l'arme e de la carne e del giubbetto.
35г CIRIFFO CALVANEO 352

CCCXXVIII CCCXXXV

E de lo scudo levonne una fetta Il Povero, Calvaneo e Siliametto,


Si ch'al pagan gli parve esser deserto, E Bisantona con Aleandrina
Ma pur per vendicarsi si rasselta Piangean teneramente il lor dispetto,
In ne l'arcion qual nom pratico esperto, Et etiam tulla quanta Costantina.
E con ambo le man la mazza ha stretla Ultimamente il real corpo infetto
E lo scudo gittossi, ove ha scoperto In una arca leggiadra e pellegrina
La spalla, e ' l braccio, ed in staffe si rizza, Imbalsamato il misson per allora
Gridando pien di furore e di stizza : Per mandarlo col tempo a Carsidora.
CCCXXIX CCCXXXVI

Guarti da questo, Turco rinnegato, Or ritorniamo a Sidilagi ch' era


Che ti bisognerà ben giuocar netto, Tornato al padiglion molto accanito
E benchè l'elmo tuo fusse incantato E disarmato, e veduto com' era
Ad onta d'Apollino o Macometto, Del braccio il pezzo di netto giù ito,
Non ti varrà ed ebbe scaricato Non si puote quetar per quella sera
Il colpo mentre tal parole ha detto, Di bestemmiar, minacciando col dito
E trasse a sghembo a la sinistra tempia Trivigante, Apollino, anche Macone,
Con tutta la sua forza d'ira empia. E malediva il padre ed Andreone .
eeexxx CCCXXXVII

In modo che non valse essere accorto Esdran di Barberia personalmente


Ad Andreon, benchè il capo coprisse Ch'era venuto, e Burel con lo stuolo
Col grosso scudo, qual gli fece torto Da Tunisi , e sì come il caso sente
Perchè si ruppe, e come il pagan disse Di Sidilagi, qual proprio figliuolo
L'elmo non resse al colpo, e chiaro, e scorto A visitar lo venne immantinente,
Gli attenne il saracin quel che promisse, Al padiglion mostrando aver gran duolo
Escudo, ed elmo, e scuffia, e carne, ed osso Del colpo ; e de la morte d' Andreone
Gli ruppe, e nel cervel ficcogli l'osso. Si mostra lieto e più fier ch'un leone.
COCXXXI CCCXXXVIL

Si che fu forza allora che Andreone Dicendo, che di morte non temesse,
Cadesse in terra pel colpo mortale, Nè di combatter le sue voglie brame
E Sidilagi in un tratto d'arcione Fussin, che solo a la cura attendesse
Scagliossi, e in terra di nuovo lo assale ; Di sè, e de l'assedio che per fame
Ma Calvaneo accorto die' di sprone La terra conveniva che si desse
Al suo destrier, che parve avesse l'ale Col tempo, ed etiam con tutto il reame
E Bisantona, e'l Povero Avveduto Senza combatter gli uomini, o le mura,
Forte gridando, ognun corse in aiuto. Pur che l'oste d'intorno stia a la cura
CCCXXXI CCCXXXIX

Sidilagi ch'a tempo se n'avvide Che dentro non vi vada vittovaglia


Saltò in arcione ed ebbe il campo netto, Tenendo i passi dintorno vicini ;
E per dispregio del Povero ride Cosi per tutto il campo si ragguaglia
Dicendo presto trargli il cuor del petto. Con secento migliai di saracini,
Calvaneo piange, e Bisantona stride Nè di combatter nessun si travaglia ;
Pel colpo visto, trattogli l'elmetto, Efece Esdran, perché presto cammini
E destramente Bisantona in collo Da Tunisi le nuove e le risposte,
Lo prese, e dentro a la città portollo. Ispessi i cavallar porre a le poste;
CCCXL
Con tutto che non fusse morto ancora Si che in dieci ore andavan le novelle
Non parve lor di rimetterlo in sella, Da l'una a l'altra di queste cittate
Ma ciascuno il conforta e lo rincora, Che maraviglia par: pur givan quelle
Perchè e' conosce, e 'ntende, e non favella: Conciosiacosa ch'eran tre giornate.
Pur non dimanco il pregavan tutt'ora, Lasciamo il dir di queste genti felle
Ch'avesse il cuore al fiol di Maria bella, E ritorniamo a le nostre brigate
Sperando nella sua mercè infiuita , In Costantina, che in lagrime gemono
In questo Bisantona era salita Per Andreone, e de l'assedio temono.
CCCXXXIV CCCXLI

Gli scaglion de la porta del palazzo Dico la plebe del popol minuto,
Ch' Andreon cominciò forte a raccorre, Molto più i terrazzan, che i forestieri ;
Ed ella il pose destra in su lo spazzo, Ma Calvaneo, e'l Povero Avveduto,
E tutto il popol suo piangendo corre Mandarono un fidato messaggieri
E de la morte sua tanto rombazzo Di notte tempo, e passò sconosciuto
Si fe' di pianto, che mai per Ettorre Il campo, e tutti i barberi sentieri,
Simile in Troia non par suto sia , E finalmente se n'ando a Parigi
Qual fe'la gente sua da Samastia. A dar di lor notizia al re Luigi.
353 CIRIFFO CALVANEO 354

CCCXLII CCCXLIX

Ed a tutta la stirpe di Nerbona Sparando in mare a gran magnificenza ,


Dando salute e raccomandazione ; In nel montar moltissime bombarde,
Ma sopra a tutti a la magna corona Da Guglielmo, e Beltram presa licenza,
Si raccomanda con affezione, E spingardelle, e moschieri, e spingarde.
E del re Siliametto, e Bisantona Cosi partir dal porto di Provenza,
Detten notizia, e del morto Andreone L' armigere brigate, anzi gagliarde,
E come ritrovarno Aleandrina , Con prosper vento, e par ch'alto marpigli
E de l'assedio ch' hanno a Gostantina, Sopra ogni legno i gloriosi gigli.
CCCXLIN CCCL

Per la qual cosa si raccomandavano Lasciam l'armata che veloce traccia


Teneramente, e per tempo brevissimo, Fra le salse onde la più breve via
E molto grato e spesso supplicavano Per lor, che il capitan vol che si faccia
Al re Luigi, si qual nom piissimo, Iscala al magno porto in Barberia
Da cui l'aiuto infalsante speravano, Tunisi detto: or fortuna minaccia
E tuttavolta, Imperator santissimo, Il Povero, e però l'istoria mia
La lettera diceva, il tuo dominio Mi fa lasciar costoro, benché a tempo
Speriam ci tragga di tale esterminio. Dironne, e come lor non person tempo.
CCCXLIV CCCLI

Onde Luigi la lettera intesa Sendo discorso in ponente, e in levante


Fu molto lieto de la vita loro, In pubblico del Povero Avveduto,
Con tutto che assai gli duole e pesa E si di Calvaneo che tante e tante
L'assedio ch'hanno , e senza alcun dimoro Cose avea fatte, benchè isconosciuto,
A Guglielmo commisse tale impresa Gisse ciascun cotanto tempo errante,
Ed a Beltramo, ed amendua costoro Ultimamente Tibaldo saputo
Soddisferono a quanto fu commesso, Avendo come e' sono a grande stretta,
Non come ignoti per loro interesso, Vide un bel tratto da far sua vendetta .
CCCXLV CCELI

Ma d'un volere, e senza negligenza Non che scoprir si voglia pel suo onore,
Qual dotti, esperti e pratichi al mestieri. Perchè la triegua, e la pace ancor dura ,
Trentamila a caval di gran potenza, Pure il disegno suo a tutte l'ore,
Giovani tutti, valorosi e fieri Si come savio esamina e misura.
Ebbon soldati al porto di Provenza, Egli avea in corte a cui portava amore,
I quali a gara andavan volentieri, Un giovan detto Leone Sventura,
E fu di questa armata Capitano Qual era la più franca e nobil lancia
Folcodi Candia, cavalier soprano. Allor che fusse in Pagania o in Francia
CCCXLVI CECLI

E cosi brevemente preparata De l'età sua, e di membra formoso,


Al porto fu per levar questa gente Qual fusse un altro di ventidue anni;
Di vari legni una potente armata , E questo fa di Guiscardo orgoglioso
E Guglielmo e Beltram sempre presente, Figliuol, ma per celar la colpa, e danni
Per vedere ogni nave corredata De la sua madre, si teneva ascoso
O altro legno quanto è convenente, Qual fusse suta, perché con inganni
Sia qual si vol che tutti eran navili Fu una volta appunto adoperata
E ben armati, ornati e signorili. Disse ella, non che fasse innamorata.
CCCXLVII CCCLIV

Nave grosse, e sottile, e balonieri, Com'era di Guiscardo già per fama


Caracche, e barehe, caravelle, e fuste Suta più tempo, ho inteso dir di questa :
Brigantin, galeazze, legni fieri, Venne per caso poi, che 'sta madama
E grippi , e saettie, e corte e giuste, Potea provarlo con la lancia in resta,
Liuti, e schifi su l'acqua leggieri E fe' come si dice per chi brama
Gondole, e scute non vecchie nè fruste, Trarsi una voglia pur per cosa onesta ;
Burchi, marani, scafe e palandree Cosi fece costei, poi disse, ch'egli
Grosse e sottil carovane e galee. L'avea ingannata, e che gli era stato egli.
CCCXLVII CCCLV

Ed altri legni assai variati e strani Come dicon le più de ste tromberte,
V'eran che tutti a qualche cosa servono, E par lor far una lecita scusa,
Qual d' uomin carchi, e qual di gente vani Quando elle sono in tal fallo scoperte,
In mezzo agli altri, che questi conservano Ch'hanno fatto del centro cornamusa,
Ne' casi adversi, e da nocchier sovrani E con minaccie, o con moine, o berte
Apanto i lor comandamenti osservano, Contaminate, il vero al fin s'accusa,
E cosi Folco con la sua brigata E tutte chiaman Pamante ribaldo :
Ascese lietamente in su l'armata . *Cosi questa parente di Tibaldo

23
355 CIRIFFO CALVANEO 356

CCCLVI CCCLXIII

Ebbe a dir di Guiscardo: or oltre in su Il quale immediate sarà mosso


Lasciam andare, io non vo dir più in là, Come quel che sta sempre a la vedetta,
Nẻ chi, né come, nè donde ella ſu, E verrà fuor per averti riscosso,
Basta che a chi la tocca appunto il sa; Perchè dal re Luigi gente aspetta ;
Ma chi ama l'onor, che è gran virtù, E tu con lui insieme abbi percosso
Perchè il male non si dica nol ſa :
Il campo, e quanto puoi taglia ed affetta
Gostei la fe', e poi si fu scusata De' suo' nemici sol per dimostrarti
Con dir ch'era da lui suta ingannata. Suo partigiano, e voler vendicarti
CCCLVII CCCLXIV

Ritorniamo a Tibaldo ch' avea seco Di tale offesa a così gli dà a 'ntendere
Leon soletto, e dissegli : Figliuolo, D'esser cristiano un cavaliere errante,
Poichè dal cielo è tutto, ed io con teco, Che si sia messo solo il campo a fendere
Vo'referir quel che ti fia gran duolo, Per dargli indizio che di corto avante
Benchè per tua salute ciò m'arreco, Vedrà il soccorso qual viene a difendere
Ma duolmi alienarti dal mio stuolo, Lui e sua terra da le insidie tante
E perchè i't'amo con affezione Di Esdran, ma che non tema, e non sospetti,
Voglio elevarti in gran reputazione. Che tantosto di Francia gente aspetti
CCCLVII CCCLXV

E che tu facci intendo di te pruova, Dal re Luigi: e Guglielmo e Beltramo


Ma col calzar del piombo ir ti bisogna : Fa pur che in su la giunta questo senta,
So che t'è noto come Esdran si truova, Che gli fia grato, e d'onorarti bramo
A'ssedio a Costantina, e solo agogna, Sarà ne la città; ſa che il contenta.
Prima che la grand'oste in noi rimuova, Cosi qual pesce sotto l'esca l'amo
Opreso, o morto (e aral, se mal non sogna) Piglierà , e tu poi del modo tenta
Quel capitan che par di Barberia Sicuro che'l pensiero tuo abbi effetto
Gli abbi voluto tor la signoria, Da dargli morte e ne riesca netto.
CCCLIX CCCLXVI

Si come traditore, e disleale Fa conto d'esser Cesare od Achille,


Che misse i figli d' Esdran a gran strette E se netta ti vien colta la rosa
Ungiorno in campo, e in tal modo gli assale Non bisogna qui fare altre postille
Isconosciuto che ne feri sette Che tu averai da Esdran ogni cosa
Amorte: or nota questa che più vale, Qual tu vorrai, e non potrà disdille :
Ch' al proprio padre tuo la morte dette Cosi verrà tua fama gloriosa,
Atradimento pria, sì che s' aspetta Dicendo averlo morto a fronte a fronte
A te di far del tuo padre vendetta. Per vendicare le tue, e l'altrui onte.
CCCLX CCCLXVH

E parmi il tempo accomodato giunto, E senza forse, e'ti darà il bastone


Ma chi ha tempo, e tempo aspetta, perde De l'oste con che vuol passare in Franza,
Tempo; però mi par ti metta in punto Che inteso ho dir di quaranta corone,
Per far fiorir tua fama così verde ;
Che in essa fian di mirabil possanza,
Nè torna sempre al savio in pari il punto, Che maggior pregio o più riputazione
E'l tempo passa e l'età non riverde; Vorresti: or questo basti ; abbi speranza
Ame duol solo, anco mi crepa il cuore, In Macometto : or va, fa questa pruova,
Non poter favorirti pel mio onore. Parti secreto, e presto il cammin truova.
CCCLXI CCELXVHI
Ma tu come da te secretamente Nè altro abbracciamento, o altro motto
Ti parti, come il disegno t'ho mostro, Si ferno, perchè ciò non si scoprissi .
Guernito d'arme sopra il buon corrente Tibaldo scrisse il breve, e diel di botto
Con un breve qual fia d'ottimo inchiostro, Al gioven, perchè a sua posta partissi.
Che ne farai di tua mano un presente A Leone Sventura, sperto e dotto
Al magno Esdran, degno parente nostro, Mill'anni gli parea che il di finissi;
Che gli fia grata assai la cognizione Poi su la mezza notte occultamente
Di te ed etiam la tua intenzione . Partissi armato sul franco corrente.
CCCLXU CCCLXIX

Or nota il punto, e la chiosa del testo: Come uom che non alberga in se paura
Quando l'assedio con Esdran farai Per selve, e boschi soletto cammina.
E referito il caso tuo molesto Or lasciam questo Leone Sventura
De la vendetta di Guiscardo avrai, Ch'a la volta ne va di Costantina
Allor con suo voler piglia un bel sesto E ritorniamo al dolore e sciagura
E nel campo una mischia appiccherai Ch' ebbe per Sidilagi Aleandrina
Finta presso la terra, e chiedi aiuto Quando ella intese del morto trombetto
Di dentro, e chiama il Povero Avveduto, Da Bisantona, e l'oltraggio e'l dispetto
358
357 CIRIFFO CALVANEO

CCCLXX CCCLXXVII

Ch' aveva usato con parole, ed atti De la cui morte il marito e il figliuolo
Verso di lei col misero trombone, E la nuora e Giriffo assai dolenti
E come non voleva accordo o patti Ne furno, ed etiam tutto il grande stuolo
Col padre, o seco a niuna condizione ; Drento d' amici, e lor benivolenti,
Di poi soggiunse al mal peggio co' fatti, Qual dimostrar di ciò massimo duolo
Che il medesimo giorno ad Andreone Per molti intollerabili concenti,
Die morte, come è detto, il qual dolore Con lagrime, e sospiri in ne le essequie,
AdAleandrina stringe e agghiaccia il cuore. Nè per un mese dierno al pianto requie.
CCCLXXI CCCLXXVIII

Sendo col suo marito reputato E ad ognora : O Aleandrina mia,


Sopra a ciascun che portasse elmo in testa, Dicea il Pover, male per te al mondo
E l'uno e l'altro figlio coronato Venni, cagion de la tua morte e mia,
Ed aver nuora di tanta podesta, Edel pellegrinaggio tutto a tondo
Si che non spera più da nessun lato Pel qual resti sepolta, anima mia,
Maggior felicità, nè pari a questa : Or che fortuna ti traea del fondo
Eteme or che fortuna non volga De la sua rota, dove tu se' stata,
La ruota, e quel ch'ha dato non ritolga. Colpa di me, per averti io lasciata.
CCCLXXII CCCLXXIX

Epur pensava a quel figlio crudele Ragion di piangere ho, che d'ogni male
Che senza colpa tanta disciplina Cagion son suto di te, poveretta,
A tutti dava, ed essendo infedele Benchè il pianto non può essere eguale
Pur le dolea de l'alma sua ruina, Quanto meriterebbe la vendetta ;
Si che non valse fisico o medele Ma il poeta di Tracia pianto tale
Per la salute di questa meschina, Non-
fe' d' Euridice giovenetta,
Avendo in sè del futuro e passato Né Cefalo per Procri pianse mai
Principio e mezzo e fin ben cogitato. Quanto i'farò per te, tu il sentirai ..
CCCLXXIII CCCLXXX

Del tempo de l'infanzia in quanta altezza Se lecito è di là, ne l'altra vita


E in che delizie ben si ricordava, L'aver notizia di questa presente,
Con tatto che pur vana sua bellezza OMassinissa il tuo pianto mi incita
Si fusse ne la legge iniqua e prava; Per la tua Sofonisba si dolente.
Poi perse sua paterna tenerezza S'io fussi Febo, la luce finita
Quando fortuna avversa si nostrava, Sare' per questa a ciaschedun vivente,
Toltogli il padre, gli dette e ritolse Che non varrebbe a Giove il suo pregare,
Marito, di che poi tanto si dolse. Perch' io dovessi più il carro guidare.
CCCLXXIV CCCLXXXI

In selve,in boschi,ora in piano,ora inmonte, Enon fu pianta in Troia Polissena


A l'acqua, al vento, al sole, ed a la brina, Qual dentro a Costantina fu costei,
Sempre formando di lagrime un fonte E massime dal Pover che la lena
Dove passava, da sera a mattina, Gli era mancata, e sol gli ultimi omei
Di poi credendo aver sue colpe sconte Desiderava per aver men pena,
Per grazia della maestà divina Ognor dicendo : Almanco io uscirei
Le parve alquanto poi che battezzata D'affanni, nè sarò mai più contento
Fa esser suta, e da Dio ristorata. Se non di fare una morte, e non cento.
CCCLXXV CCCLXXXII

Avendo auta si fatta ventura Lasciamo il pianto che d' Aleandrina


Quanto fu di trovar quella matrona, Ha fatto il Pover poi che fu sepulto
Con la qual visse assai lieta e sicura, Il corpo suo, qual di degna regina
Or vede si felice sua persona Inun ricco sepolcro, e in oro isculto
Che quanto più considera e misura Il nome suo in lettera latina ,
La sua felicità più s' abbandona, E finito del pianto il gran tumulto,
Perchè non può con lamente comprendere Partori Bisantona due be' figli
Dover poter salire, più anco iscendere. L'un maschio, l'altro a lei par che simigli.
CCCLXXVI CCCLXXXIII

E questo dubbio in mezzo al cuor si fisse Per la qual cosa rimutossi in tanto
Poi che più volte il Povero Avveduto Gaudio il dolor de la predetta morte,
Con Sidilagi ebbe fatte più risse Che totalmente fu deposto il pianto
Per riducerlo a se, nè mai potuto Pel Povero, e per tutta la sua corte
Aveva; onde ella tanto se ne afflisse, Eper tutta la terra, e in festa, e incanto
Che l'ultimo suo giorno fu venuto Era ciascun, che così dà la sorte
Anzi che l'anno, e par ch'ella finissi Generalmente, ed è cosa già autentica
Prima che Bisantona partorissi. Che morte in breve tempo si dimentica.
359 CIRIFFO CALVANEO 360

CCCLXXXIV ceexci

Massime quando vi soggiunge, o nasce E cosi detto fussi accommiatato


Un ben desiderato, a quel s'attende Dal re Esdran il possente Leone,
E di letizia l'alma, il cuor ne pasee Guernito d'arme, e di brun covertato,
Quando l'uom grato lode a Dio ne rende. Ed etia 'ncora il possente roncione,
OrBisantona in parto, e i figli in fasce Qual era un corridor molto pregiato,
Lascio, perchè la mente mi riprende, Vario da gli altri di proporzione,
Ch'avendo al compartir la storia cura Con l'unghia fessa, come il caprio, e soda
Convien ch' i' torni a Leone Sventura. Qual fa l' avorio, e con piccola coda,
CCCLXXXV ceexcl

Qual era giunto in campo proprio il giorno, Non setoluta, ma come il vitello
Che Bisantona aveva partorito Poco manco d'un braccio di lunghezza ;
E ad Esdran, il giovenelto adorno, Leardo pomelato avea il mantello,
Fu molto grato poi ch' ebbe inferito Quartato bene, e d'una giusta altezza,
A lui, che intese la cagion che a torno Dal petto innanzi coperto di vello
Leone andava, e quanto era gradito Qual proprio di leon, che gran fierezza
Ne l'arme: e finalmente il giovenetto Gli dava, e quel che più il faceva adorno
Deliberoe di venire a l'effetto . Si era ch'egli aveva in fronte un corno ;
CCCLXXXVI ceexem

Dopo alcun giorno e parere, e consiglio Qual fu mandato da un'isola strana


Chiese ad Esdran de l'ora, e da qual banda Al re Tibaldo per questo garzone,
Dovesse gire a mettere scompiglio Che non si va con questa tramontana
Nel campo, qual faceva una ghirlanda In quella zona, e non c'è cognizione
D'intorno a la città, benchè un miglio Di qua veruna, salvo che umana
Discosto al muro fasse un poco aranda. Gente non pare in quella regione;
Esdran rispose: Fia buon che tu tenga Ma mostruosa ne' sembianti, e fera,
Tal via, che paia da Tunisi venga. E l'isola si dice Lanumera.
CCCLXXXVII CCCXCIV

Esci del campo, e piglia un bel tragetto Accommiatato, e partito in un tratto


Per quella spiaggia, e cala giù quel monte Fu da Esdran Leone ardito e fiero,
Qual vedi a man sinistra al dirimpetto Verso la spiaggia traversando ratto,
Qui proprio, ove noi siam; volgi la fronte Ricisamente senza ir per sentiero,
Eguarda il loco, e nota ben il detto ; E brevemente a quel poggio di fatto
Quivi son gli Arbi, gente fiere e pronte Girato, smonta a terra del destriero ,
Al menar de le man come assassini, E le redini prese e giù pedestro
E senza dubbio iscuoteranti i crini Calò del poggio senza alcun sinestro.
CCCLXXXVIII CCCCXV

Per la bella armadura e il bel roncione; Nè prima fu di quel poggio calato


Ma se tu vuoi ricider quella schiera, Che prese un lancio, e tornossi in arcione,
Va pur discosto al magno padiglione E inverso il campo de gli Arbi inviato
Dove si vede la real bandiera Fu galoppando il possente roncione,
Non già nè d' Apollin, nè di Macone, Ementre il forte scudo ebbe imbracciato,
Anzi d'una Idra paurosa, e fera, E la visiera abbassa, e l'asta pone
Perchè se a Sidilagi ti scoprissi In resta, e serra il corridor nel campo,
Temo che 'l tuo pensier non riuscissi. Qual proprio strale o folgore con vampo.
CCCLXXXIX CCCXCVI

Imperocchè gli è uom molto feroce, E siccom'uom, che non avea temenza
Cupido, senza fè, né pregia onore. Di Sidilagi, o di quella canaglia ,
Quando tu se' calato in quella foce, Anco per dimostrar sua gran potenza,
Arresta l'asta , e serra il corridore, Al real padiglion dritto si scaglia
E grida pur Mangiogia ad alta voce, Senza riguardo od alcuna avvertenza,
Cosi si leverà 'l campo a romore: Degli Arbi il campo ricide, e sbaraglia,
Or se tu credi a questo esser bastante Mongioia gridando, e con l'asta, e con l'urta
Va che Macon t'aiuti e Trivigante. Feriti e morti assai per terra n'urta.
cccxc CCCXCVI

Ma sopra a tutto esamina ben prima Cosi passoe dal padiglion rasente
Che tu ti metti in un gran laberinto, Di Sidilagi , sì che'l vide e intese
E di ritrarti il modo pensa e stima Gridar Mongioia, e subito il corrente
E di vincere altrui, non essere vinto ; Addimandava quel sendo in arnese,
Ma per ascender molto in gloria esima E montato in arcion, quale un serpente,
In caldo drieto a Leon si distese
Guarda che tu non sia ne l'urna spinto
Auzi che'l tempo, o pur si dice ognora Con la mazza di ferro in pugno stretta
Che un bel morir tutta la vita onora . Gridando : Cavaliere, aspetta, aspetta.
361 362
CIRIFFO CALVANEO

cccxevm CDV

Ma Leone Sventura era sparito IlPover che con l'occhio, e con la mente
Per la gran foga del destrier gagliardo, Attento stava a rimirar la zuffa,
E rotta l'asta il giovinetto ardito Non potea immaginar, se non che sente
Col brando non pareva già codardo, La voce, che Leon per l'elmo sbuffa
E Sidilagi che l'avea seguito Chiamando aiuto in francese al presente,
Il giunse a punto a mezzo l'antiguardo, E'nteso mentovarsi giù si tuffa
Dove per forza alquanto fece sosta, Chiamando Calvaneo ridendo, e corre
Non potendo passar quello a sua posta. Immediate a terra da la torre.
ceexcrx CDVI

Perchè v'eran le lecie, e fossi, e sbarre Alla zambra n'ando di Bisantona


E gente assai copiosa d'armadura, Che v'era Calvaneo e Siliametto :
Perchè temevan le bestie bizzarre Mottegiando con essa ognun ragiona ;
Pur de cristian che son dentro a le mura. Il Pover giunto brevemente ha detto
Quivi con mazze, e con iscimitarre Che'l soccorso di Francia e di Nerbona
Ciascuno affronta Leone Sventura, E giunto, e Bisantona fuor del letto
E lui col brando quantunque ne tocca Volea saltar per allegrezza, e correre
Tanti per terra morti ne rimbocca. Armata fuor per l'amico soccorre;
CD CDVII

In modo tal, che gli facevon piazza Ma Siliametto con turbate ciglia
In ciascun lato al giovinetto sire. Le disse : Tosto fa un poco del bravo,
Eccoti Sidilagi con la mazza Ripeti il grado tuo, e te ripiglia
Levata in alto per voler ferire, Che non se' ancor di parto al giorno ottavo.
E Leone Sventura ne gavazza Abbi rispetto al tuo figlio, e la figlia,
Quando l'ha visto, e con feroce ardire Se non per altro lascia fare a l'avo,
Volse inver lei il possente cavallo, Ed a noi altri, e fussi indi partito
Mongioia gridando, e correva affrontallo. In un momento, e de l'arme guernito.
CDI CDVIII

Dicendo: Ah traditor che contro al padre E Calvaneo e'l Povero Avveduto


Repugni, paterin , can rinnegato, In manco spazio che non dura un tuono
A tuo dispetto, e di tutte tue squadre, Ne l'arme fussi in sul destrier veduto,
Passerò il campo, e ta vituperato E tutto il popol come intese il suono.
Con tua gente bestiale, inique e ladre Re Siliametto, il giovane saputo,
Sarà, e il Pover fia ricuperato. Gli parve necessario allora e buono
Cosi dicendo col brando di punta Di dare al padre e a Calvaneo soccorso
Gli trasse un colpo ne la prima giunta, Di gente, perchè fuor ciascun è corso,
CDII CDIX

A la visiera, e per modo trovollo E trasse d'un fioretto un bel drappello


Che'l fe' per la percossa sbalordire In uno stante di tremila elmetti,
E in su la groppa tutto arrovesciollo, Ciascun ne l'arme uno Scipion novello,
Poi rivolse il destrier con molto ardire Ede la terra uscirno insieme stretti.
Ver l'antiguardo e in due lanci passollo, Re Siliametto in mezzo al colonnello
Adispetto di tutti il franco sire, Era di questi cavalier perfetti,
Benchè gli Arbi facessin lor dovató: Nė prima per la terra usciti fuore
Or ritorniamo al Povero Avveduto, Fur, che ciascun serrava il corridore.
CDII CDX

Il qual per una consueta usanza E foronsi fra gli Arbi mescolati
Saliva un'alta torre a tutte l'ore Qual proprii lupi in un semplice armento
Guidato dal disio, e da speranza, Di pecore, o di zebe infuriati
D'aver soccorso da lo ' mperadore; Con l'aste basse, sì che al pavimento
E per veder se nessuna sembianza Ne fa più di seimila scavaleati,
Di ciò scoprisse, sentiva il romore Dico degli Arbi con pena e tormento,
Del tumulto degli Arhi, e pose cura In modo che il foggir fu lor ricovero:
Fra loro e vide Leone Sventura, Or ritorniamo a Calvaneo e al Povero;
CDIV CDXI

Che tutti gli Arbi sopragiudicava Che in su la giunta avevan fatti colpi
Per l'altezza del bel destrier formoso, Con l'aste, che parea cosa impossibile,
H qual mirabilmente furiava, Che scudi, piastre, maglie, giubbe e polpi
Or qua, or là, senza prender riposo, Ed ossa a essi non resse al terribile
E Leone Sventura si sforzava, Colpo di lancia, si che in fra le volpi
Giusta sua possa, il campion valoroso, Son giunti i cani ; ma parea invisibile
D'accostarsi a la terra, e grida aiuto, Fra gli Arbi Sinefido e Calvaneo,
Forte chiamando il Povero Avveduto. E l'un par Saladin, l'altro Pompeo.
363 CIRIFFO CALVANEO 364

CDXIL CDXIX

Qual folgore ciascunpel campo schizzano Di Leone Sventura, e di coloro


Con l'aste basse ; e rotte quelle, traggono Che gli erano amendue giunti a le spalle
I brandi, e 'ndietro amendue si dirizzano, Per dargli il giorno l'ultimo martoro,
A due i due guerrier l'un l' altro assalgono Si che gli valse andare in altro calle.
Destri, quai pesci nel pelago guizzano, Leon mugghiava, che pareva un toro
E le forti armi ch'hanno a colpi valgono; Per ira, e le sue guancie ismorte e gialle
Dico di Sidilagi , e di Leone Aveva fatte, e per questo dispetto
Che s'erano affrontati, e gran costione Dispose d'accoccarla a Macometto.
CDXILI CDXX

Avevan fatto prima, che movessi Se non faceva la prima vendetta,


De la terra nessun per dargli aiuto ; Cioè del padre, per far la seconda
Gli scudi in pezzi fraccassati, e fessi Del franco corridor, che in su l'erbetta
S' avevan l'uno e l'altro, e par dovuto. E morto : onde per lui lagrime gronda
Sidilagi dicea ch'e's' arrendessi Da gli occhi suo', e infra gli Arbi si getta
Leone, e mai non aveva voluto, Cosi pedestre, e tanta ira gli abbonda,
Non che'l dicessi già per fargli onore, Che non vedeva in quella parte lume,
Ma per rapirgli il suo bel corridore. Ma col brando facea di sangue un fiume.
CDXIV CDXXI

Il qual più volte in compera già chiesto Il Povero Avveduto e Calvaneo


L'avea, dicendo di lasciargli prendere Aveano atteso a seguir Sidilagi
Poi il cammin, ma pagato d' agresto Per trarlo a fine, e quel malfusso reo
L'arebbe se n'avesse auto ascendere, Passoe le sbarre de gli Arbi malvagi,
A cui Leon risposto avea, ch'onesto Che violenza alcuna non gli feo.
Non gli pareva di dovergliel vendere Or sendo giunti dove con disagi
Volendolo per se; pur che provassi Leon pedestre irato combatteva,
D'averlo, e se'l volea, se'l guadagnassi. Il Povero dismonta e sì diceva :
CDXV CDXXII

Onde per questo s'eran disfidati O franco cavalier, qual tu ti sia


E trattisi di parte a la campagna, Raffrena un po' per tanto il tuo furore,
Gli Arbi d'intorno stavan preparati Che per gran gentilezza e cortesia
Che'l tordo non uscisse de la ragna, E tua salute monti a corridore,
E Calvaneo e'l Povero arrivati E prendi inverso la città la via :
Sendo 'n un tratto appresso ognun si lagna Sappi chi vuol stravincere è in errore,
De' combattenti, e chi era d'intorno Non tentar più fortuna in tale stallo
Si come spiritati ispulezzorno. Che ben vendicherassi il tuo cavallo.
CDXVI CDXXIII

Sidilagi crudel, malvagio e rio E non temer che ben sarai provvisto
Che sente e vede il suo campo a soqquadro Di corridore a tua contemplazione,
Teme di non avere il suo disio Ed a quel Sidilagi iniquo e tristo
Seco dicendo: Se ben dritto squadro, Spera dargli del tuo gran punizione.
Omai quel corridor non sarà mio, Leon ripien d'affanno e d'ira misto
E pensa di colpir, lo assassin ladro, Senza star quivi a far disputazione ,
Quel su la testa con la mazza sua, Disse: Signor monta in arcion tosto
Si che non resti a nessun di lor dua. Che son di seguitarti a piè disposto,
CDXVII CDXXIV

E con ambo le man quella ebbe stretta Da che fortuna vuol ch' io sia privato
E in su le staffe tutto sollevossi, Del più degno destrier, che mai con sella
La mazza alzando , e poi calando in fretta, Al mondo fusse per uom cavalcato,
Con tutta la sua possa andar lasciossi Nė vidi bestia ancor simile a quella.
Verso la testa del destrier, che retta Cosi dicendo ciascun s'è inviato
Non potè far, ma qual vetro spezzossi Verso la terra, e Calvaneo martella
La testiera d'acciaio, e l'osso, e fello Infra gli Arbi col brando suo perfetto
Morto cader, perché ruppe il cervello. E combattendo trovò Siliametto .
CDXVIII CDXXV

Si che Leon crudelmente crucciato Che col suo colonnello aveva un cerchio
Fu bestemmiando Apollino, e Macone, Fatto d'intorno ad un certo squadrone
E Trivigante; e ritto in piè sul prato, D' Arbi, e co brandi una Chiana o un Serchio
Per render simigliante guiderdone Di sangue, di cavalli e di persone
A Sidilagi, il brando ha crivellato ; Ivi era fatto ; ma pel gran soperchio
Quel se n'accorse, e lavoro di sprone Che ne veniva con quel re fellone,
Il suo destrier, e risaltò nel campo, Di campo Siliametto die'la volta
Ecosi prese da la furia scampo Verso la terra, e suonossi a raccolta.
365 366
CIRIFFO CALVANEO

CDXXVI CDXXXIII
E così ne la terra a salvamento Or per servire vostra signoria
Trassonsi i cristian, fatto un macello Ho cavalcato notte e giorno a prova,
De'lor nemici, e funne Esdran contento, Stimando certo che grata vi sia
Quando egli intese che dentro era quello La mia venuta per la buona nuova,
Leone, ch'era ito per aver spento Benchè il mio cuor mai più lieto non sia
Di vita il Pover, ch'era suo rubello, Pel corridor che morto ivi si truova ,
Qual (come è detto) Leone Sventura Pel quale ho fatti mille sagramenti
N' avea menato dentro a le sue mura, Di vendicarlo e non stare altrimenti
CDXXVII CDXXXIV
Credendo certo che fosse cristiano Che sempre armato di questa armadura,
Mandato dal nipote di Pipino O morto rimanere in questa guerra,
Per avvisar che di poco lontano O vendicarmi di tale sciagura,
Fusse il soccorso , ch'era per cammino ; Tanto questo dolor mi stringe e serra ;
E Siliametto, e Calvaneo sovrano E sono il cavalier de la ventura
Sendo tornati, e visto il saracino Chiamato, or veggo certo che 'l non erra,
Ciascun l'abbraccia per magnificenza, Nè vo'de la ventura esser chiamato
Con tenerezza e somma riverenza. Più, anzi lo cavaliere sventurato.
CBXXVII CDXXXV

E tutta la città ne facea festa E col suo parlar finto die' lor bere
Sperando dover esser liberati Con tutto che 'l destrier gli doglia forte,
Pel re Luigi da tanta molesta : Che prima avea giurato di tenere
Or sendo la brigata disarmati Quell'arme tanto che desse la morte
Salvo Leon, che l'elmo sol di testa Al Pover, nè senz' esse mai giacere;
S'aveva tratto, e così assentati Cosi rimase e così stette in corte
Ne la zambra real di Bisantona Servito ed onorato notte e giorno:
Il Povero a Leon così ragiona. Dov'era il Pover sempre gli era intorno.
CDXXIX CDXXXVI

Or sia laudato il figliuol di Maria Con una certa sua carezza fiota
E la nostra madama, e san Dionigi. Sempre sua scorta, e leal partigiano
Per mille volte il ben venuto sia, Si dimostrava per dargli la pinta,
Che novelle ci porti da Parigi ? Come a Tibaldo avea giurato in mano.
Che di Guglielmo e de la schiatta mia ? Veduto il tratto, e glie l'are' pur cinta,
Che del magno imperieri re Luigi ? Si che fidare non si dee d'uom strano;
Che si dice di noi nel caso occorso, Ma il Pover sempre avea seco codazza,
O vien per liberarci alcun soccorso ? E'l brando cinto, e indosso la corazza.
CDXXX CDXXXVII

Acui rispose Leone Sventora, Si che Leone non potea côr posta
Siccome savio a ciò ben preparato, In nessun luoco da pigliare scampo,
E le parole sue pesa e misura E fatto circa a venti giorni sosta
E 6age, simulando essere stato Tentollo d'assaltare un giorno il campo
In Francia, e gli conforta e gli assicura Soletti senza nessuno a la costa
Del soccorso che presto fia arrivato Per dargli a tradimento fuor lo inciampo
Infallante, come era sua credenza , Sott'ombra d'allacciargli l'elmo in testa
Perché sapeva certo che in Provenza Efargli col coltello ivi la festa.
CDXXXI CDXXXVHI
Guglielmo era ito, e con seco Beltramo Ma non si appose, che 'l vischio non tenne
Per fare armata grande e mandar gente. Perchè re Siliametto a Bisantona
Però disse: Io ch' era desioso e bramo Avea giurato con parlar solenne
Di vostra cognizione, occultamente Sopra la fede e per la sua corona
Partiimi, preso quale il pesce a l'amo Che de la terra salvo uccel con penne
Dal vostro amor per la fama eccellente Non uscirebbe senza sua persona,
Di voi che oggi ne risuona il mondo Nessun, finch' il soccorso è giunto, e allora
In ponente e'n levante tutto a tondo. Ella uscirebbe insieme con lor fuora.
CDXXXH CDXXXIX

E come errante cavalier ch' io sono E questo a cautela ch' ella stesse
Per acquistar ne la mia giovinezza Con la mente quieta in parto tanto,
Onore e pregio di milite buono, Che senza nocumento ella potesse
Quale ogni generoso cuore apprezza, L'arme portare, e 'l suo baston tamanto,
Errando vo', non per prezzo o per dono, Si che forza gli fu ch'e' disdicesse
Ma combattendo sol per gentilezza, Il gir di fuora, e pur da l'altro canto
E per servire un nom famoso e degno D'uscire a campo si consuma e strugge,
Andrei sin giù di Plato nel suo regno. Che'I soccorso non viene e'l popol rugge.
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367 CIRIFFO CALVANEO

CDXL CDXLVII

E per la terra n'era gran romore, Oimè, Guiscardo, se tu fossi al mondo,


Perché mancava agli uomini e al bestiame Felice mi terrei sotto tuo caldo,
La vettovaglia, e molti avean timore O fratel mio, ne l'arme si giocondo
Pel grande assedio di morir di fame, Quale eri tu; ma quel becco ribaldo
Nè anco in Cristo avean molto fervore L'origin fa ch'io ti mandassi al fondo
Gioveni, vecchi , o vecchie, spose o dame, Per mio dispetto, dico di Tibaldo ,
Dico de' terrazzan quella genia Che mi teneva sotto le sue insegne
Che meno quei d' Andreon da Samastia. Per aggiugner al fuoco ognor più legne.
CDXLI CDXLVIII

Sendo mancato il pastore a la gregge Epur Guiscardo mio ...., né altro inbocca
Ciascun giva scorrendo la pasciona, Aveva più se non singhiozzi e lai ,
Senza timor di punizione o legge, E Leone Sventura in sa la rocca
Non sendo sottoposti a la corona Era salito per trarlo di guai,
Di Siliametto, qual non gli corregge Però che sempre stava in su la cocca,
Nè etiam la regina Bisantona Dov'egli andava il seguia sempre mai,
Perché con lor non pigliassino il grillo E giunto su, sentiva tal lamento
E patteggiati dessino il vessillo, In nel principio, e con l'orecchio attento
CDXLI CDXLIX

O vogliam dire a nemici la terra Istette, e poi che senti mentovare


Per potersi tornare a Samastia, Guiscardo suo con tanta tenerezza,
Benché molti n'è morti ne la guerra E visto tante lagrime versare,
Ne l'uscir fuor più volte, e tuttavia Il cuor nel petto gli si fende e spezza ,
Ve ne muor de la punta che gli afferra , Talche più non si puote a lui celare
Di che il Pover n'avea maninconia, E depose da sé l'odio e l'asprezza
Epur con isperanza di soccorso Ch'aveva contro al Povero nel cuore,
Avere, in su la torre ognora è corso. E la gran nimista võlse in amore.
CDXLIII CDL

A rimirar se da nessuna banda E riverente al Pover si scoperse


Vedesse gente, o insegne comparire, Con basse ciglia, forte lagrimando,
Nè altro iscopre che la gran ghirlanda E genuflesso appresso se gli offerse,
Del campo, e quel non vede isminuire, Tenendo per la punta in mano il brando
E sa ben che tenersi a randa a randa Gli pose quello, e tutto si gli aperse,
Più non potrieno, e per tal doglia il sire Del fallo se traditore accusando,
Si sentiva nel cuore i sospir frangere Chiedendogli mercè diceva : Zio
Un di sedendo, e comincioe a piangere, Perdonami e battezzami al tuo Dio.
CDXLIV CDLI

Dolendosi che tanto la fortuna Per la qual cosa il Povero ammirato


Gli fosse avversa mostrandogli calma; Fu molto del parlare, e de' sembianti,
Anzi , che nato al sole ed a la luna E inteso di cui il giovine era nato
Fu per perdere il corpo e insieme l'alma, Le lagrime abbondorno allor duo tanti
E quivi i giorni suoi noti raguna Per tenerezza, e in piè l' ebbe levato
Soletto, e tien la guancia in su la palma Abbracciando l'un l'altro con gran pianti;
E mentovando tutta la sua schiatta. E baciati più volte in fronte e in bocca,
Qual morte aveva a suo tempo disfatta . Insieme a braccio isceser de la rocca.
CDXLV CDLIL.

Piangeva amaramente tutti quegli, E per gran tenerezza non poteva


Perchè era suto ciascun valoroso Il Povero distinguer verba alcuna .
In arme, padre, zii, cugin, frategli, Giunti in sala real dove sedeva,
Degno ciascun per sé d'un uom famoso, Re Siliametto a modo che in tribuna,
E tutti gli chiamava, ma quand' egli Ciascun di questi ridendo piangeva,
Chiamò fra gli altri Guiscardo Orgoglioso, Par la qual cosa intorno a lor s'aduna
Parve che fusse d'un coltel ferito Tutta la baronia, giovani e vegli
Pel duolo, e poco men che tramortito Immediate per intender quegli.
CDXLVI CDLHI

Rimase, sopraffatto dal dolore, Nè prima giunti in la real presenza


Rendendosi del fallo in colpa a Dio, Che Leone Sventura genulesso
Dicendo : Bene merto, tale errore Fu collocato con gran reverenza
Signor, punisei ; ma tu sai ben ch'io Mercè chiedendo, e narrava lo eccesso
Come ignorante il feci , e l'alma, e'l cuore Pel quale era venuto, e la clemenza
Men duole ognora : oimė , Guiscardo mio, Di Dio non volse e'l'avessi commesso ;
Perchè non volle il ciel, destino, o sorte E mentre s'accusava il giovinetto
Che tu mi dessi e non io a te morte ? 11 Pover s'accostava a Siliametto,
369 CIRIFFO CALVANEO 370

CDLIV CDLXI

E brevemente espose suo latino Ma Bisantona di fatto s'accorse,


Come quello era figlio di Guiscardo, Che tutti avean le guanze lagrimose,
Qual viene a esser secondo cugino Perla qual cosa alquanto in dubbio, e inforse
A te figliuolo; or abbi qui riguardo Stette, ma presto il Povero propose
Ad onorare il giovin pellegrino, La nuova, ed ella immediate corse
Che gloria e fama fia di tuo stendardo, ALeon con parole sì graziose,
E s'egli era venuto a danno nostro, Che ben dimostrò quivi d' aver senno ,
Gli era il bianco per nero suto mostro E con sembianti onesti ne ſe' cenno.
CDLV CDLXII

Da quel can traditor superbo, ingrato E similmente il franco giovenetto,


Tibaldo, a cui cagion Guiscardo uccisi, Dotato di virtù da la natura,
Qual, come disleal, perseguitato Non manco nel parlar, che con effetto
M'ha, poi che da sua voglia mi divisi. Fusse sopra il destrier ne l'armadura,
Egli è ben vero che il riconciliato Edopo molte parole, ebbe detto
Amico sempre sta con mille avvisi Che 'l proprio nome è Leone Sventura,
Contro al nimico, e chi dice altro gracchia, Ed anco questo nome al Pover piacque
Che sempre resta al cuor ruggine o macchia. Molto, e mostrogli il nipote che nacque
CDLVI CDLXIII

Or questo te ne fia esperienza, Di poco avante, e la bella fantina


Va fidati di pace con tal gente; Di Bisantona , e del re Siliametto
Ma sia lodata l'eterna potenza Qual fe' chiamar Leon di Gostantina,
Ch'ha ovviato tale inconveniente . Pel suo fratello che mori Lionetto ;
Siliametto, che intese, usoe prudenza, Ma fece dir Leon, perché declina
Levossi, e prese Leon prestamente Quello antinome, e qui ebbe rispetto
Con la sua destra, e ritto in piè levollo, Sendo formoso, e nato di gigante,
Con la sinistra li avvignava il collo, E molto fiero in ciascun suo sembiante.
CDLVII CDLXIV

Dicendo: Ofratel mio, nè più parola E la sorella sua Leopantina


Esprimere potè per tenerezza Per Leandrina al battesmo chiamata
Finchè basciollo in bocca, e in fronte, e cola Fu, perchè mentre visse a Costantina
Di lagrime, e ciascuna guancia ha mezza. Altrimenti non v'era nominata,
Non vi rimase una persona sola Reputata per buona saracina
Che non piangesse proprio d' allegrezza , Generalmente, da ciascuno amata ,
Veduto quanto amore in fra lor germina Si che ciascun de' tre nomi predetti
In uno stante, e l'odio occulto termina. Fur molto grati al Povero ed accetti.
CDLVIII CEXV

E cosi dopo molti abbracciamenti, E Leone Sventura fe' gran festa


Il Povero Avveduto, e Siliametto De' due nipoti, e piu volte gli abbraccia,
Ripien di gaudio, e più che mai contenti Che non gli avea più visti, e cosi resta
Ciascunfe'le parole al giovinetto; Con tutti lor in amore, e in bonaccia ;
E così Calvaneo per buon parenti Ma quel che por gl' importuna, e molesta
Facendosi di lor, col buono effetto Si è che morte quel popolo spaccia,
Ultimamente in zambra a la regina Né per uscir di fuor a ordin mettano,
N'andorno al letto, ch'era da mattina. Perchè d' oggi indoman soccorso aspettano.
CDLIX CDLXVI

La qual si come tenera di parto Ma chi vive a speranza, muore a stento


Faceva ogni mattina il sonnellino, Un tantostodi Francia vien poscrai.
Finch'era il Sol per l'universo sparto, Lasciamo un po' costoro aspettar drento
Più presso a nona, ch'a terza vicino. Che di tornare a Folco è tempo omai ,
Giungendo in zambra insieme questo quarto, Col bel naviglio in mar con prosper vento
Re Siliametto con dolce latino D'uomin copioso e vittovaglia assai,
A Bisantona diceva : Madonna Per non aver cagione in nessun lato
Omai é tempo da vestir la gonna. Di toccar porto o d'essere spiato.
CDLX CDLXVH

Levati su che c'è buone novelle, Ed a Tunisi giunti, e sorti a terra


E Bisantona sollevoe la testa Senza romore appresso a l' aurora
Immediate, e dal sonno si svelle, Furno in un tratto, perché a la terra
E per levarsi addimandò la vesta Ognun d'essere a fatti si divora.
A le sue cameriere vaghe e snelle, Lasciorno il porto, ed in mare ed in terra
Le quai furon di fatto intorno a questa Guardato da ritrarsi salvi ognora.
Con tante riverenze e tanti inchini, Folco mandò spiando ad una porta
Che parean angioletti e cherubini. Se l'era aperta, o se v'è sopra iscorla.

24
371 CIRIFFO CALVANEO 372

CDLXVIII CDLXXV

E prestamente indietro ebbe risposta, E, come è detto da le prime carte,


Che quella per ancora era serrata , Quel servo si parti con Costantino
Che si facesse avante senza sosta, Ne la barchetta , e vogando si parte
Però che da nessuno era guardata. D'onde Antandro teneva il suo domino,
Folco a le mura di fatto s' accosta E con industria e con difficil' arte
Con vintimila armati, ed a l'armata Conservò pur la vita a quel bambino,
Diecimila lascionne per guardare, Solcando tanto per la marina onda
E cominciorno le mura a scalare. Che a salvamento giunse in Trebisonda.
CDLXIX CDLXXVI

Con iscale di fune, e certi legni Al degno scanno de lo imperadore


Ch'eran fuor de la terra lungo il fosso, Ch'era di Costantin suo carnal zio,
Qual dierno un grande aiuto a lor disegni, Fratel de la sua madre, e con dolore
E senza che nessun fusse percosso Quel servo disse tutto il caso rio,
Preson il muro i guerrier franchi e degni Si come Antandro, crudel peccatore,
Prima che dentro nessun fusse mosso, La donna uccise , e come il suo disio
E presa ch'ebbon di sopra la torre Era di dare al bambin del coltello,
Aperson giù la porta, e ciascun corre Ed in che modo lui salvato ha quello.
CDLXX CDLXXVII

A furor dentro gridando : Mongioia, Dove benignamente ricevuto


Viva Gesù, e san Dionigi e Franza , Fu l'uno e l'altro, e molto si favella
E Macometto, e Trivigante moia Del tristo caso ch'era intervenuto,
In cui non regna virtù nė possanza; E duolsi lo 'mperier de la sorella ;
Ma tutti i terrazzani eran col Roia E dispose di fare il suo dovuto,
A Costantina, e non avean dottanza Senza alcuna pietà vendicar quella,
Alcuna che nessun venir dovessi E solo attende che quel bambin cresea,
A Tunisi che prender la potessi . Perch'ei sia quel ch'accenda il fuoco a l'esca.
CDLXXI CDLXXVIII
Si che la terra d'uomini era netta La 'ngiuria non si può dimenticare
Da portare arme, e non v'è se non vecchi, Quando che offeso s'è contro a ragione,
E putti e donne: pure ognun s'assetta E non si può a niun modo perdonare
A la difesa con loro apparecchi. Quando s'è vinto da grande passione;
Or lasciam qui costoro, che chi aspetta Ma sempre pensa la vendetta fare,
Mi sento ognor zuffolar negli orecchi, E'l cuor ne piglia allor consolazione
Dico del mio Giriffo Calvaneo Quando si spera di far la vendetta,
Quale è ne l'arme volgato un Iddeo. E tempo e luoco desiando aspetta.
CDLXXII CDLXXIX

E risonando per ogni confino Cosi lo imperador di Trebisonda


La fama del guerrier pel nome antico, Aspetto tempo, e tempo a tempo venne
Ricordami che già d'un Costantino Che Costantin, la persona gioconda,
Figlio d'Antandro ho detto: ora il replico; Fu in sedici anni in arme un uom solenne;
Qual sendo in fasce innocente bambino E a Costantinopoli d'ogni sponda
Antandro, come micidial nemico, Pose l'assedio, e tanto stretto il tenne
Per adempir sue voglie inique e ladre Che finalmente vendicoe sua madre
Lo diè per morto, e morta avea la madre, E fe' che di sua mano uccise il padre.
CDLXXIII CDLXXX

Credendo lui del dubbio esser sicuro Però non sia nessun, che non apprezzi
Per aver morta la sua donna e il figlio; La giustizia di Dio, che sempre è sopra :
Ma non sia niun che giudichi il futuro, Se non ne' primi di, la vien ne' sezzi,
E questo sia per ottimo consiglio. E giustamente sopra ognun s'adopra ;
Quel servo e Costantin col tempo furo Si che convien ch'al fin si raccapezzi
La ruina d'Antandro, e il suo periglio : Ogni delitto, benchè non si iscopra
Sempre il peccato chiama la vendetta, O sia evidente ne' nostri cospetti,
Mai la spada di Dio non taglia in fretta. E finalmente chi la fa l'aspetti.
CDLXXIV CDLXXXI

Se fu veduto per destino o fato Or ritorniamo al proposito nostro


Ch' Antandro fusse da un suo figliuol morto; Se non da Galvaneo, da Costantino
L'origin fu la colpa del peccato Fu morto Antandro nel suo proprio chiostro
Che Massima lascioe a si gran torto Dove e'ſe' l'omicidio, e l'indovino
Ne l'isola di Strofade chiamato, S' appose, e Costantin ch'ha il valor mostro
Gravida e sola senza alcun conforto ; Tien di Costantinopoli il dominio,
Ma Costantino il puni de lo eccesso E inteso ha di Giriffo come quello
Di Massima e sua madre e di sé stesso . Era figlio d' Antandro e suo fratello.
373 CIRIFFO CALVANEO 374

CDLXXXII CDLXXXIX

E la gran fama, che nel volgo suona Folco veduto in che viluppo e tresca
Di Calvaneo e'l Povero Avveduto, Egli era entrato, non gli parve giuoco
E come universal ciascun ragiona E dubita che salvo non riesca
Che l'un da l'altro è, per fratel tenuto ; Con la sua gente di sì fatto luoco,
Ma il Poverde la stirpe di Nerbona E comando a la gente Francesca
Esser si dice, ma non ha saputo Ch'ognun s'ingegni d'attaccarvi il fuoco,
Costantino in che modo questo sia, E con le spade faccin di lor fiacco
E veder l'uno e l'altro assai desia. Mettendo quella terra a fuoco e a sacco,
CDLXXXIII CDXC
Ma ora inteso come e' son costretti E sol per questo a fuggir fu costretto,
Dal re Esdran, là ne la Barberia Che'l combatter con lor sare' maltezza ;
E che chieggono ajuto a'lor distretti, E così fuor di Tunisi in effetto
E Folco con l'armata era ito via Con la sua gente recossi in fortezza,
Con trentamila cavalier perfetti, In su n'un relevato, e bel poggetto,
Provvisti ben di tutta artiglieria ; Etutto 'ntorno con molta prestezza
Costretto Costantin d'amor fraterno Fe' affossarlo , e farvi un bastione
E si per acquistar fama in eterno, Che fu al poggio la sua salvazione.
CDLXXXIV CDXCI

Delibero di soccorrere anch'egli Con fortissime sbarre su l'entrata


Senza che fusse da nessun richiesto, Con ispingarde e con passavolante
Come fa il buono amico a' buon frategli Da far stare discosto la brigata,
Quando gli occorre alcun caso molesto; E su nel poggio misson tutte quante
E fece trentamila, e come uccegli Lor salmerie, e la roba predata
Con bella armata mosse via, e presto De la città con vittovaglie tante,
Col vento in poppa, e con le vele piene, Che potevan due mesi istar sicuri
E al porto di Tunisi ne viene. Senz' esser circondati d'altri muri.
CDLXXXV CDXCH

Lasciam l'armata con prospero vento E lasciata la porta ch'avean presa


Che tien per alto mar diritto il solco, Pur con gran danno di quella canaglia,
A ciascun legno il buon nocchiere attento Rinchiusonsi nel poggio a la difesa
Che il guida, qual l'aratro il buon bifoleo; Aspettando da Tunisi battaglia.
E ritorniamo a Tunisi che drento Esdran che presto la novella ha intesa
Con la sua gente vi combatte Folco, Come Tunisi ha avutorgran travaglia
E, come è detto, avea presa una porta Pe'cristian che l'avevano assalito,
E di pigliar la terra si sconforta. Chiese consiglio e fu preso partito,
CDLXXXVI CDXGII
Perché la trova d' uomini isfornita Che Esdran con Burello e più signori
Che non vi si vedeva un testimonio, Dovessi presto Tunisi soccorrere,
Se non fanciulli, e gente rimbambita : E con dugentomila de' migliori
Folco per la città pare un demonio ; Del campo, e cosi mosso quasi accorrere,
Con la sua gente ne l'arme gradita, Temendo che i cristian non vadin fuori,
Ciascun per se è un cavaliere idonio, Per quei paesi a saccheggiare e scorrere :
Ma quelle fiere donne Barbaresche Così si dipartirno in furia e in fretta,
Parevan draghi con l'arme manesche. Lasciando Costantina intorno stretta.
CLXXXVII CDXCIV

Eper le strade facevon serragli Nè prima fu a Tunisi arrivato


Concasse, e panche, e tavole, e lettiere, Esdran col suo gran popol saracino,
Si che passar non possino i cavagli : Che in porto giunse il bel navilio armato
Cosi avvilupporno ogni sentiere, Del valoroso e franco Costantino,
Eda balcon par che ciascuna iscagli, E l'armata di Folco gli fe' lato
E trespoli, e deschetti, e lucerniere, Con molta festa, e il giovan pellegrino
E seggiole, e predelle, e chi il mortaio, Discese in terra, e dirizzossi al monte
Che ne gittorno fuor più d'un migliaio. Là dove Esdran veniva a Folco a fronte.
CDLXXXVIII CDXCV

Le parean proprii diavoli a balconi E Folco d' in sul poggio ha conosciuto


Per difender la terra da' cristiani Che quella armata è di gente cristiana,
Gittando pietre, e legname, e mattoni, Epresume che e' vengano in aiuto
Ciò che veniva in quel ponto a le mani: Del Pover contro a la gente pagana.
Vedeansi lor le poppe a dondoloni E come capitan degno e saputo
Uscir del sen che parean ventri vani, Deliberò discender su la piana
Massime a quelle vecchie micidiali E di mettere in mezzo i Barbereschi
Ch'a vederle parean furie infernali. Ch'erano stanchi, e lor gagliardi e freschi.
375 CIRIFFO CALVANEO 376

CDXCVI D111
Con ventimila tutti in una schiera D'inverso il monte Folco gli percnote,
De la sua gente subito si mosse : D'inverso il porto i Greci e Costantino,
Gli altri sul poggio intorno a la bandiera, Si che nessun de' Barber si riscuote
Rimasero a la guardia e a le riscosse. Col brando, o con la lancia in sul cammino,
Con l'asta bassa in ver la gente fiera Enel fuggir facean viluppi e ruote:
Si seaglia, e come folgore percosse, L'uno con l'altro si facea meschino:
Cosi tutta sua gente iscesi al piano Tra lance, e spade, e uomini, e cavagli
Seguirno il valoroso capitano. Facevan spesso montagne e serragli.
CDXCVIL DIV

Da l'altra parte venne Costantino, Chi avessi veduto Folco nostro


Ch'aveva lo stendardo conosciuto Il giorno prima con la lancia in resta,
In sul poggio del nievo di Pipino, E poi col brando questo, egli ha dimostro
E già nel campo avea Folco vedato; La degna fama di sua franca gesta ,
E dice Galvaneo è qui vicino, E mancherebbe tempo, carta e inchiostro
I'sare' pure a tempo omai venuto, A gli aspri colpi, e I furore, e tempesta
E inverso il campo venía come un drago Ch' a Tunisi quel di fe' sua persona,
Con l'asta bassa di lor sangue vago. Sempre gridando, Mongiogia, e Nerbona.
CDXCVIII DV

Cosi nel mezzo i Barberi rinchiusi Cosi da l'altra parte Costantino


Tra Greci sono, e la gente Francesca, Che pareva il superbo Campaneo,
Che son sempre ne l'arme e in battaglie usi Non fece mai Ettore, o il Saladino
E suonan quella ciurma Barberesca, O'l greco Achille, o Giuda Maccabeo,
E tagliando, e rompendo braccia e musi, Quanto fece quel giorno il guerrier fino,
E chi la zucca ha fessa, o la ventresca Chiamando il suo Ciriffo Calvaneo,
Forata, o era morto in su la sella, Soffiando che pareva proprio un drago,
E strascinasi dietro le budella. E in ogni parte fa di sangue un lago.
CDXCIX DVI

Esdran che vede, istima che due campi, E così l'uno, e l'altro istringe e preme
Sien questi che cosi l'han messo in mezzo I Barberi facendone macello,
E perchè il popol suo tal furia iscampi E tanto il sangue lor per terra geme,
In Tunisi sen volle andare al rezzo, Che e' correva pel pian com' un ruscello ;
Che per l'affanno allora par che avvampi, E cosi Folco e Costantino insieme
Temendo, e de la morte avea ribrezzo, Si riscontrorno a piè d'un ponticello,
Perchè Burello era stato ferito E già per fama s'eran conosciuti,
Da Folco, e quasi di vita finito. Or con gran festa si furon veduti.
D DVII

E lui da Costantin si gran percossa Ma non concede il tempo qui di dire


Avea auta, che la zucca ha fessa, L'accoglienza che'nsieme poi si ferno,
E fatta avea la terra e l'arme rossa, Perchè or bisogna attendere a ferire,
E pur colai d'intorno gli fa ressa, Volendo fama poi retto in eterno .
Benchè da Mamalucchi ebbe riscossa Quarantamila Barberi morire
Con gran fatica, e ne la terra messa Ferono il giorno, e pareva un inferno,
Fu la persona sua dopo a Burello, L'urla e le strida a l'entrar de la porta
Ch'era suto portato innanzi a quello. E in quella calca fu gran gente morta.
DI DVIII

Così fa tutto il campo messo in volta: E non potendo resister l'entrata


Beato chi può in Tunisi fuggire Di verso Costantina, longo il fosso
Senza sonar le cornette a raccolta. Prese la volta assai de la brigata
Si come Esdran fu veduto partire, D'una altra porta per esser riscosso,
Folco con la sua gente allor s'affolta Gran parte de la gente scompigliata ;
Facendo di que' cani il suo disire, E Folco e Costantino allor fu mosso
Perchè e' fuggivan tutti a la distesa Quando i Barberi for passati il ponte,
Verso la terra senza far difesa. E con lor gente salirono il monte.
DII DVIX

Non essendo in fra lor capo nè guida, Folco che ſa di Costantino stima
Nè ordine, nè modo, o alcun timore, Appresso il tenne nel suo padiglione
E li Barberi traevano a le strida, Adiecimila che rimason prima
E poi fuggian via tutti a furore, In guardia al monte intorno al bastione,
Che fuor de la città nessun si fida, A tutti quanti dal piede a la cima,
E crepavan d'affanno e di sudore Imposto fu che d'ogni imbandigione
Per aver cavalcato tanto a stracca, Dessino a tutti buon provvedimento
Si che cristian potean ferire a macca. Si di riposo e di rinfrescamento.
377 CIRIFFO CALVANEO 378

DX DXVII

Lasciam costoro in sul poggio saliti Ma credo ben se ci metton la branca


E ben provvisto il bastion d'intorno Non serveranno poi patto nè fede,
Ariposare e curare i feriti, Che e' parra loro averla auta bianca
Le navi sempre al porto si restorno; Non si trovando noi: nulla mercede
E cosi stando i cavalier graditi, Aranno di nessun, sì che e' non manca
Co' Barberi più volte s' affrontorno, La morte a tutti, e questo chiar si vede,
E sempre detton lor gran disciplina , E morendo cristian saran salvati :
Or ritorniamo un poco a Costantina, Cristo è pietoso, e son pur battezzati.
DXI DXVIII

Da l'esercito grande de' pagani Non è da creder che ne' campi resta,
D'intorno intorno tutta circondata, Ma questo fia, qual fare un sacrifizio
Epresi tutti i passi, e monti, e piani, ADio de l'alme, che con gaudio e festa
Per distrugger la gente batteggiata, In ciel n'andranno senza altro supplizio,
Aspettando col tempo che a' cristiani E noi adesso troverem la pesta
La vettovaglia dentro sia mancata; Come arem dato lor del fatto indizio,
Ma quando Esdran co' Barberi soccorsono Si che lo 'ndagio vizio non pigliassi ;
Tanisi, i nostri cristian se n' accorsono. Chi sa se'l popol poi ce la calassi.
DX11 DXIX

E per ispie di fatto ebbono avuto Oimė, disse Bisantona allora,


Di drentro come in campo si ragiona, Vo' tu mandare mie' figli a brodetto ?
Si come Folco a Tunisi è venuto Io non gli vo lasciare, e trar di fuora
E Costantin con l'armata in persona; Non gli potrei se non con gran sospetto.
Ma come Calvaneo l'ebbe saputo Rispose Calvaneo senza dimora :
La sera in zambra in tal forma sermona, E anco al fatto loro avrem rispetto:
Col Pover, con Leon, con Siliametto, Non ti bisogna dubitar di loro ;
Con Bisantona, e mosse questo detto : Che e' si trasse d'inferno un per tesoro.
DAILL DXX

Cari fratelli e franca compagnia , E sopra a questo furno a la disputa


Considerate in che calamitate Immediate, e preson buona via
Redutti siamo, e di quanta genia Con l' antibalia, ch' era molto astuta,
Si può dir siam prigion ne la cittate E gentil donna e di gran fantasia,
Con poca vittovaglia, e tuttavia Qual disse : Gli trarrò senza saputa :
Diminuisce nostra quantitate, Di qui per trasfugargli a Samastia :
E l'esercito grande de' pagani Ma perché e'c'è la via lontana e trista
Edisposto d'averci ne le mani. Vo'meco un uom, che gli basti la vista
DXIV DYXI

Econ le lor battaglie, e con l'assedio Di notte tempo a scorgermi il sentiere


Eginoco forza che noi sian perdenti, Che il giorno per burroni, e balze, e boschi
Nè veggo a nostra salute rimedio, Vorrò celarmi come fa mestiere
Se non che tutti d'un voler contenti Per la salute in luochi oscuri e foschi,
D'accordo siamo; ed uscirem di tedio E quel bastante sia che da le fiere
Che nullo scampo ei veggo altrimenti, Divorati non siamo, o che ci attoschi,
Che useir di notte tempo de la terra Che d'altro non ho dubbio di perigli,
Occultamente senza appizzar guerra. Pur che leale e fida scorta pigli.
DXV DXXII

Ma volsi aver rispetto che dipoi Aquesto il Povero chiamo un signore


Infamia non ci sia nė disonore, Quale era anima e corpo d' Andreone,
Che per voler salvar la vita a noi, Ebrevemente gli disse il tenore,
Ciascun fusse chiamato traditore E pregandolo con molta affezione
Da questi cani, e mi pare, se a voi Ch' e' dimostrasse in questo il buon amore
Par che si mandi per qualche maggiore In tra lor suto, sì che a salvazione
Qui de la terra, e darli il modo a'ntendere Conducessi color quando fia l'ora
Di nostro scampo e volergli difendere A Samastia davanti a Carsidora.
DXVI DXXIII

Da morte, e trargli d' affanno, e di stento E se tu gli conduci a salvamento


Che e' mandin fuori a dimandare accordo Tu non facesti mai la miglior via,
Fingendo darci per lor salvamento, Si che felice sarai e contento;
Ma che di ciò voglion fede e ricordo, Oltre al tesoro per la signoria,
Ediano indizio di mettergli drento Che tu n'acquisterai : or sia attento
Doman da notte, e nol diranno a sordo, Al voler di costei, e in questo apria
Imperocché i Pagan prometteranno, Uno forzetto, e d'oro empiva il grembo
Per aver noi ciò chiedere sapranno. Aquella donna, ed a quel sire un lembo
379 CIRIFFO CALVANEO 380

DXXIV DXXXI

D'una certa guarnaccia che gli aveva, E cosi sendo in punto per partire,
Pregandol ch'egli usasse diligenza , Diceva Calvaneo a quel signore
Giusta sua possa, e lui gliel prometteva Di Samastia : E tu verrai aprire
A leal fede con ferma credenza ; La porta e risserrar, sendo noi fuore,
E Bisantona pe' figli piangeva, E non lasciar le guardie giù venire
Questa partita pur sendo trassenza Si che nel campo non dessin sentore
Tanto teneramente, e con parole In modo alcun che la porta s'aprisse
Ch'are' per tenerezza pianto il sole. Che qualche ascolta di fuor ci scoprisse.
DXXV DXXXII

Ma Siliametto, e Leone Sventura In questo Bisantona, e Siliametto


Con rigide, parole a lei fu ito Co' figli lor facevan dipartenza
Dicendo: E questa la buona armadura Di lagrime bagnando il volto e'l petto
Che tu ti vesti per pigliar partito ? Per filiale amor, ch'ha gran potenza.
In te è pur quello che cred natura La lor benedizion data in effetto
Cuor femminil ne l'ira appunto ardito ? Gli accomandorno a Dio pien di clemenza,
Qui non ha luoco il piangere, o novelle Con loro insieme il Povero Avveduto,
Volendo a questi e a noi salvar la pelle. Che pianse si, che non l'arei creduto.
DXXVI DXXXIII

Basta che gli è preparato al bisogno, E Calvaneo, e Leone Sventura


Per questi attendi a la nostra salute, Sollecitavan pur questa partita,
Che non manco di te la loro agogno, Perchè non era a loro egual si dura,
Fa pur che sien le cose provvedute. Ma sol pensavan di salvar la vita.
Questa partita ha esser come un sogno: Calvaneo quanto può pur gli assicura
I' sento in sala già far le dispute Dicendo, fatto ch'arem questa uscita
Con Calvaneo; e come egli ebbe detto Di qui, e poi del campo a dritto solco,
Di zambra uscito fu re Siliametto. A Tunisi n' andremo a trovar Folco .
DXXVII DXXXIV

Erano in sala quattro i principali E lui insieme col mio Costantino


De la terra venuti al parlamento E con lor gente, piglierem partito
Che Siliametto aveva per quei tali Di combatter col popol saracino,
Mandato per dar loro intendimento O di partirci del barbaro lito,
Del fatto, sì come baron reali, E tornarci nel regno parigino:
Che non volean lasciargli a tradimento, Deh non vi dolga di lasciare il sito
Benchè ne dolga a tutti, e l'alma e 'l cuore D'esta infelice terra Costantina,
Volean salvar con la vita e l'onore. Ch'esser potrebbe la vostra rovina,
DXXVII DXXXV

Per liberar altrui , e lor d' assedio, Volendo pure stare qui a la dura :
E che per un non ne morisse tanti , No, non siam pesci che viviam di manna:
Dicendo : Qui non c'è altro rimedio : Sarebbe miglior vita e più sicura
Vo' sarete scusati tutti quanti A la foresta in una vil capanna.
Di tal trattato per uscir di tedio, Su presto uscianne, passiam via le mura,
E salverete voi, e noi avanti Chi altro pensa sé medesmo inganna :
Isbuccati sarem: fingete poi Meglio è sentir nel bosco l'usignolo
Far la festa de' maggi qui tra voi. Che il sorcio in zambra: orsu pigliamo il volo.
DXXIX DXXXVI

Ultimamente a questo s'accordorno, E sendo così tutti preparati


Benchè que' cittadin si condolessino Per levar campo, e più ratti che vento,
Di lor partita, e insieme lagrimorno, Circa la mezza notte, e bene armati,
Emal contenti parve rimanessino. E ben forniti di miglioramento,
Pore infallante come fusse giorno Di gemme e perle in be' gioielli ornati ,
Rimason che a l'opera attendessino, Come persone ch' hanno intendimento,
E fingessin con gli altri che guardassino Cosi furno in un tratto a palafreno,
Che tal trattato quei non ispiassino. E fu 'n un tratto lo scoppio e'l baleno.
DXXX DXXXVII

Così accommiatati e dipartiti Sendo di fuor la bella Bisantona


Fur questi quattro dal re Siliametto, A piede, e gli altri son tutti a cavallo,
E da gli altri campion tanto graditi E poi con Calvaneo così ragiona :
Quali per dare a lor pensieri effetto, Se noi vogliamo uscir di questo ballo
Come que' furon del palagio usciti Seguite tutti presso a mia persona
E lor ne l'arme furono in assetto; Che lievemente con poco intervallo,
E Leone Sventura a tai mestieri Vi guiderò per un certo traghetto
Avea sellati e guerniti i destrieri, Fuor de' nemici, a lor onta e dispetto.
381 CIRIFFO CALVANEO 382

DXXXVIII DXLV

Mentre che Bisantona così disse, E prese un lancio con tanta destrezza
E Calvaneo al Povero Avveduto Ripigliando il baston con ambo mani
Voltandosi, un gran sospiro misse, Che gustando costor la sua fierezza,
Dicendo : Pover, noi abbiam perduto Si consumavan d' assaltar que' cani;
Ciò ch' acquistato abbiamo in tante risse, Ma Siliametto quasi con asprezza
Dove ciascun di noi in fatti è suto, La riprese con voce e gesti strani,
Che sai , mai non avemmo vergogna : Dicendo : Non far tanto del saccente
Mo ci mettiam con la mitera in gogna. Che chi tosto erra a bel agio si pente.
DXXXIX DXLVI

Considerando ben questa partita Qui si bisogna aver occhio e cervello,


Che'nfamia ci sarebbe e disonore, Ch'a questo tratto ognun sa del suo resto.
Benchè d'accorde è fatta tale uscita, Leone rispose: I'voglio essere quello
Il tornar dentro sare' doppio errore ; Che rompa il giaccio, e voi seguite presto;
Si ch'e' disponga ognun metter la vita E'l Poverdisse a Calvanco : Fratello,
A questo punto per salvar l'onore, Egli ha ben detto, e tu attendi a questo
Sicché rimproverata mai non sia Che Siliametto in mezzo di noi venga,
Anostra gesta tanta codardia. E Bisantona il retroguardo tenga.
DXL DXLVII

Qui bisogna a ciascun far del cuor rocca Se tutti andremo in un groppo serrati
Sendo preso il partito e messi in via: Chi sare' quel che ci tenessi al passo,
Di tornar dentro non se n'apra bocca, Ancor che pazzi fusson scatenati,
Anzi vogliam morir di compagnia. E non ci riterrebbe Satanasso .
Se pur fortuna addosso ei rimbocca Cosi dicendo, si furno inviati
Il campo, che ci fia tolta la via, Inverso il campo come andando a spasso,
Facciam pur forza insieme tutti quanti E giunti appresso senza alcun riguardo
Alor dispetto, si ch' andiamo avanti. Parse ciascun un cerviere, o un pardo
DXLI DXLVIII

Noi siam pur cinque di tal qualitate Quando si scaglia in selva drieto a damma:
Ch' ognun per sè si farà far la strada Così co' brandi i pagani assaltorno,
Col brando in mano fra le schiere armate, Nè altrimenti ch' a l'unto la fiamma
E questi de' due l'uno a dormir bada; S'avventa, e brugia ciò che gli è dintorno,
Leon ch'avea sue forze esprimentate Costor che non prezzavano una dramma
(Si come è detto) ne la gran masnada I Barbari , per mezzo il campo entrorno,
Degli Arbi cosi solo il giovinetto, Urtando, e fraccassando isbarre, e lici
Immediate ripigliava il detto : Non v'è nessun che non si raccaprici,
DALIL DXLIX

Tu m'hai levato dal cuore un gran peso, Perchè 'n un tratto la folgore e 'l tuono
Ma per non mi volere agli altri opporre, Giunse con tanta e si fatta tempesta,
Sendo il minimo, io stavo sospeso, Che non v'era nessun si ardito e buono
Ma or vi dico, che'l parlare occorre, Che si sapessi allacciar l'elmo in testa ;
Che in tal disio il mio cuore è acceso Per tutto il campo in un tratto fu'l suono
E spero di mostrarmi un nuovo Ettorre Di trombetti e tamburi, e nessun resta:
Sol per lasciar posmorte di me fama, Di qua, di là arme arme ciascun grida;
Come dee far chi l'onor prezza ed ama. Ma di venire avanti ignun s'affida.
DXLIII DL

Si che per tanto d' un voler disposti Sentendo il grande strepito che fano
Vi priego siate tutti a questa volta, I quattro cavalieri, e Bisantona
Che l'un da l'altro mai non si discosti, Co'brandi loro, ed a qualunque e' dano
Perché la gente del campo è pur molta. Su l'elmo il fende, o'l cervel gli rintrona,
I'so per me che mal per chi s' accosti E par che'l ciel rovini dove e' vano,
A me, che gli sarà la vita tolta, E divulgata la fama rinsona
O morirò da franco cavaliere Per tutto il campo, e chi dormiadestavonsi,
Col brando in mezzo le nemiche schiere. E sonnacchiosi l'un l'altro affrontavonsi.
DXLIV DLI

Udendo questo il Povero Avveduto Non conoscendo amico o avversario :


E Siliametto 'n un tempo una voce A chi la da, san Pier la benedica ;
Misse, dicendo : Si come saputo Ma a'colpi de'nostri era divario,
Lodato sia colui che mori in croce, Perchè si conoscean come l' ortica
Che sarà forse quel tempo venuto Al buio, e chi al colpo era in contrario
Che si dirà di noi per ogni foce. Se ne scampava avea la morte amica,
Rispose Bisantona, ciò m'' aggrada, Si che per tutto era data la strada,
Ed io vo' farvi col baston la strada. Perché Leon la facea con la spada.
383 CIRIFFO CALVANEO 384

DLIL DLIX

Ricidendo pur sempre a dritto il campo, E'n su le staffe ne l'arcion rizzossi,


Là dove prender volevan la via, Con ambo mani il brando stringe e serra,
Parea ciascuno una folgore, un vampo E con gran furia al pagano accostossi,
Per le scintille che de' brandi uscia, Alzando il brando, e tal colpo disserra
Tal che nessun da lor faceva scampo, Sopra de l'elmo, ch'elli non fermossi
E Bisantona dietro rinfioria Niente, ma per tal modo lo afferra,
I colpi lor, menandovi la mazza, Che l'elmo, e la barbuta, e'l teschio ſende
Che sempre intorno a lei era la piazza. E 'nsino a la cintura il brando iscende.
DOUI DLX

E tutti i capitan de le bandiere Molti che vidon quel colpo si strano,


Aveano atteso a mettersi in assetto, Beato quel che la mischia abbandona,
E così sendo tutti a tal mestiere, E Siliametto il giovine sovrano
Faceansi innanzi a Leon per rispetto Fu rimesso a caval da Bisantona
D'interrompergli il passo a lor potere, Su'l possente corsier del Capitano
Ma poco gli prezzava il giovenelto, Come ne fu caduta sua persona;
E non possendo ignun luoco fermallo, E lui per far vendetta di sè stesso
Dierno a le cinghie al possente cavallo. Mal per qualunque che gli arriva appresso
DLIV DLXI

Si che e'ſa forza ch'il nobil corsiere E non potevan far, che qualche volta,
Restasse morto, e Leon quale uccello, In qualche parte non facessin sosta,
Salto d' arcione in su 'l verde sentieri Però che tutto il campo a lor s' affolta,
Disposto in tutto di vendicar quello Ma guai a quel ch' alcun di lor s' accosta,
O di morir da franco cavaliere : Che di subito gli è la vita tolta,
Eccoti a lui l' Alpatrice Novello Si che per tema gran parte è disposta
Con l'asta bassa per porgli nel petto, Del campo, sendo morto il capitano,
Leon col brando gliel taglio di netto Lasciargli andar, che combattleano invano.
DLV DLXH

Con un rovescio, e poi trasse di punta Avendo visto la possa e l'ardire


Col brando e lo investi nel gorzerino, De'valorosi e nobili cristiani,
Si ch'a forarlo la spada par unta, Volendo pur combatter e morire,
E cadde in terra morto il saracino. Non era la salute de' pagani ;
Eccoti Bisantona sopraggiunta, E visto avendo i tre capi finire
E visto a piede il giovin pellegrino, De' Barberi , e di que' colpi villani,
Lo prese per un braccio, e nulla dice E visto quel che fa la gigantessa
E posel sul destrier de l'Alpatrice. Che'l diavol non are' retto con essa .
DLVI DLXILI

Non era a pena Leon fermo in sella Pareva ch'ella giocassi agli ossi
Che l'Almansore, ch'era capitano Non già ch' ella lasciassi mai il bastone,
Di tutto il campo de la gente fella , Ma tutti quelli ch'ella avia percossi
Con una ismisurata lancia in mano Potevan dire: Aspettami , Macone,
Gli puose a l'elmo, e Calvaneo in quella Ecco io vengo ; e così fur remossi
Trasse un ſendente a quel turco villano Dal campo senza alcuna lesione
Sopra de l'elmo, e con tanto dispetto, Nostri cristian, per la lor vigoria,
Che la spada gli misse a mezzo il petto, E preson verso Tunisi la via .
DLVII DLXIV

E morto cadde il saracin crudele. I Barberi facean grande abbaiare


Eccoti l'Amostante d' Alfania Come fanno i can bottoli e mastini,
Ch'a Siliametto ha drizzate sue vele Dagli, piglia, tien, tien, non gli lasciare
Con l'asta bassa, e fe' gran villania Uscir del campo, fattegli meschini ;
Non estimando onor sendo infedele, Ma quando a dietro gli vedean voltare,
E fu quel colpo di tal vigoria Facevan come pel nibbio a pulcini:
Che benchè Siliametto sia potente Quando il veggon calar ciascun s'asconde
Pur cadde a questa volta del corrente. Sotto la chioccia, o sotto i sterpi o fronde.
DLVHI DLXV

Perciò che 'l saracin gli diè per fianco Nè eran molto dal campo lontani
A tradimento, sì che isprovveduto I valorosi e nobili guerrieri,
Trovollo, e però viene il valor manco Che Sidilagi intesi i casi strani
A lui, che forse non sare'caduto: Si mosse con alquanti cavalieri
Rizzossi presto il giovinetto franco; Per affrontarsi, ed essere a le mani
Di ció accorto il Povero Avveduto Col padre, si com'era suoi pensieri,
Disposto far del figlio la vendetta, Però che l'odiava molto forte
Dietro a le spalle lo scudo si getta. E sol bramava di dargli la morte.
385 386
CIRIFFO CALVANEO

DLXVI DLXXIII

E perchè gli erano i campi distante Di tutto ciò che i cristiani avea chiesto,
Da l'uno a l'altro circa di due miglia, E salvando l'avere e le persone.
Pel correr si veloce lo afferrante, I miser meschini credendo questo
Battendol con gli sproni a tutta briglia, Ne feron festa, e in conclusione,
Fu al campo de'Barber in un istante Partito il messo tutto il campo, e presto
Giunto e scoppiato; non fu maraviglia Fu messo in punto a loro distruzione;
Se ciò a Sidilagi fu molesto ; Ma per meglio ischiacciar il capo al tordo
Chi è discreto, mo giudichi questo. Le porte volson prima aver d' accordo.
DOXVII DLXXIV
Esi rivolse al ciel con tanta rabbia E avute le porte misson drento
Maladicendo lo Dio Macometto, Numer di some assai di vettovaglia
Dicendo: Ah se t'avessi in su la sabbia Di pane, e vin per dar rinfrescamento,
Trarre'ti di mie mani il cuor del petto, Al popol, che per fame quasi abbaglia,
O io ti gratterei tanto la scabbia, Non per pietà, ma si per tradimento
Che de la forza rimarresti netto, Pergiungerli isprovvisti a la battaglia,
Malfusso, becco, rinnegato, e reo, Si come avvenne, che facendo festa
Peggio che turco, o marrano, od ebreo. Dentro in tra lor, soggiunse la tempesta
DLXVIII DLXXV

Maledetto sia tu, e chi ti crede, Da ogni banda ad un cenno di corno,


Che io mi pento si t'ho mai creduto, Come fu notte tutti andorno drento,
Nè più t'arò riverenza, nè fede, E con gran furia i cristiani assaltorno
Che tu se'troppo iniquo e dissoluto A tutti dando di morte tormento
Avendo salvo mo come si vede Cosi tutta la terra saccheggiorno,
Da le mie mani il Povero Avveduto. E tutta l'affuocorno in un momento :
E perché or non seguiti sua traccia ? Quella donna gentil, ch'era antibalia
M'hai fatto questo? hai tu si poca faccia? Stava provvista, e sospesa in su l'alia.
DEXIX DLXXVI
E'nteso come sono andati via I'dico tuttavia con quel signore
Quei quattro insieme con la gigantessa Armata proprio come un cavalieri,
E di lor prove che li si vedia , E le balie, e fantin per manco errore
E di tanta gente tagliata e difessa, N'una cantina occulta a tal mestieri
Sidilagi per rabbia si mordia Misse per tanto gli traessi fuore,
Le mani, e vuol che la terra sia messa E quelle vecchie tennon volentieri
A sacco, e fuoco, e cosi comandava, Si per l'amor ch'avevon posto loro
E tutto il campo a la terra voltava . E'n premio n'aspettavan gran tesoro.
DLXX DLXXVII

Ecosi fece per tutto bandire E cosi stette da che si partirno


Da ogni banda d'intorno a la terra, Quella franca brigata infino a sera,
Che ciascun mostri sua possa ed ardire, Che mai niente per nessun s' udirno
Che vuol veder le mura tutte in terra. Nè si seppe niun dove alcun s' era.
Tatti per filo il volsono ubbidire, Come punto di strepito sentirno,
E'l campo intorno si restrigne e serra Tacitamente senza aver lumera
Con variati istromenti, e quei di drento Insieme, e ratte come in ciò bisogna
Chiesono accordo per lor salvamento. Occultamente entrorno in una fogna.
DEXXI DLXXVIII
Dando la terra con le chiave in mano La qual si era agiata, e molto antica,
De la città e di tutto il reame, Dietro al palagio, e fuori usciva sotto
Poichè s'era partito il capitano, Una porta murata in tra l'ortica,
Non si volean lasciar morir di fame ; Ne la coscia del ponte ch'era rotto.
Ma si volea ciascun restar cristiano Pur con timore, e con molta fatica
Uomini e donne, vecchi, e vecchie, e dame, Al buio senza far mai nessun motto
E se gli eran contenti a questo patto Givano, e ne lo andar sentivan tante
Ne facessin lor fede per contratto. Botte tra piedi, e zuſolar Tarante.
DLXXII DLXXIX

Emandassin pel messo la risposta Che tutti s'arricciavan loro i peli,


Con le cose distinte, chiare e certe E tenea l'una l'altra per paura
E poi drento venissero a lor posta In ne l'andare, e copriansi di veli
Che di tutto sarian le porte aperte Ch'aveva Aragne in quella parte oscura
E mandorno un trombetto, e senza sosta, Tessuti, e il volgo dice ragnateli,
Quel torno drento con molte proferte De qual coperte giunsono a le mura
A cittadin che venivan da parte E quivi ferme si restorno in bocca
Del capitan del campo, e con le carte, Drento a la fogna stando in su la scocca,

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388
387 CIRIFFO CALVANEO

DLXXX DLXXXVII
Che l'oste tutta fusse entrata drento Quel che tu vedi là con Costantino
Per potere isbucar senza sospetto, Si fiero in vista, e di grande statura
Ma prima per fuggire impedimento È Calvaneo il franco paladino,
Che i fantin non piangesson per difetto, Un nuovo Marte sotto l'armadura:
Un certo oppio die' lor che nutrimento Quell' altro è nato d'un nostro cugino
Assai ne dava, e qual fusson nel letto Detto è per nome Leone Sventura,
Dormivano egualmente tutta dua Che fu figliuol di Guiscardo Orgoglioso,
Or vedi che prudenza fu la sua Nimico di pigrizia e di riposo.
DLXXXI DEXXXVI

Di questa donna: or lasciam qui costoro Or la gran festa, e d'allegrezza il pianto


Di bocca a' lupi si può dire usciti, Che insieme ferno, il dir non ha qui luoco,
E per gir salvi in ciascun tenitoro E disarmati , e riposati alquanto
A guisa di pagani eran vestiti, Disson di Costantina tutto il ginoco,
E poco ferno in tal luoco dimoro, Giò ch' avean fatto, estimavon da canto
Che tutti i saracin d'arme guerniti Che la fosse ita tutta a sacco, e fuoco,
Sendo le porte aperte dentro entrorno E cosi essendo, per aver qui l'assedio,
Gridando, carne, e quella saccheggiorno. Si che piglian partito e buon rimedio
DLXXXII DLXXXIX

Cosi la guerra quivi terminossi, Di combatter con lor, o levar campo;


E Sidilagi con gli Arbi arricchirno Ma se noi ci lasciam d'intorno avvolvere
1
Di quel che de' cristian dentro rubbossi Si grande stuolo, senza nullo scampo
In nel principio quando l'assal rno . Noi non sarem per loro un mezzo asciolvere
Sendo spianata, e riempinti i fossi Ultimamente per fuggire inciampo
Gli Arbi insieme co'Barberi partirno : E non bagnar del lor sangue la polvere,
D'accordo il campo a Tunisi cavalca Che contro a tanti egli eran pochi a novero
Lanotte, e'l giorno in furia, e in fretta, e incalca. Non sendo tutti Calvaneo , o'l Povero.
DLXXXIII DXC

Or ritorniamo un poco a Bisantona, Preson partito, la presente sera


Ch' suta di que' quattro ottima guida ; Come l'aere fu bruna ed oscurata
E giunti dove Folco era in persona, D'in su il poggio levorno la bandiera
Con Costantin che sopra il monte annida, E la gran salmeria ch' era adunata
Ciascuna parte Nerbona, Nerbona, Per levar campo di quella rivera
Con allegrezza, e con bonaccia grida, E tutti asceson su la bella armata,
Folco com'ebbe il Povero veduto Non pur perché avessin dubitanza ;
Per la visiera l'ebbe conosciuto. Ma per salvar la corona di Franza .
DLXXXIV DXCI

Ch'era alta, e fe' del padiglione un salto Ed a questa ebbe il Povero rispetto
Che non fece mai cervio a la campagna. E Calvaneo , che sapevano il tutto,
1
Il Pover si scaglio sul verde smalto, Si come Esdran si metteva in assetto
Basciarsi in bocca, e di lagrime bagna E il grande stuol che insieme avea ridutto
Ciascun il volto, e rimirando in alto Per far passaggio, e per questo sospetto
Folco vedeva la bella compagna , Che il re Luigi non fusse distrutto:
Cioè di Bisantona il suo bel viso Indi partirno per essere a tempo
Che gli parve vedere il paradiso. In Franza a provveder le terre a tempo.
DLXXXV DXCIL

E stupefatto de la sua grandezza, Or lasciam navicare a lor diletto


Considerava l'orribil bastone, La bella armata, e Folco è capitano;
Che la teneva, e con quanta destrezza, E ritorniamo al popol maladetto
Al Povero disse : Chi è quel campione ? Barbaro, ed Arbo, che per monte e piano
Il qual rispose con somma allegrezza : A tutta briglia vien sotto concetto,
Questa è mia nuora e mia consolazione, D'appizzarsi con Folco Candiano,
E la vita repeto da costei, E levarsi d'intorno quella lappola;
Questo è mio figlio, ed è sposo di lei. Ma il sorcio vecchio ha fuggita la trappola.
DLXXXVI DXCIII

Che nacque de la bella Aleandrina Sidilagi crudel con le sue squadre


Che fu figlia del gran re Sinettorre, Veniva innanzi agli altri come un drago,
Qual d' Ascalona parti la meschina Con intenzion da frontarsi col padre
Grayida errando per boschi e per forre, Per far del sangue suo in terra un lago,
E ritrovata quella in Costantina, Chè cosi volse già far di sua madre,
Vedi se dietro fortuna ci corre: E sempre di far male ingordo e vago,
Coronato costui di quella terra Ed a Tunisi giunto, e inteso, e visto
L'abbiam perduta, e lei resta sotterra. Che i cristian non vi son, fa molto tristo.
389 CIRIFFO CALVANEO 390

DXCIV DCI

Dove era stato Folco in sul poggietto, Ultimamente al convito pregiato


Re Sidilagi con gli Arbi fermossi Fur posti tatti i prencipi a la mensa,
Per non esser da' Barberi costretto, Di grado in grado ciascun nel suo lato,
Ed al bisogno in un punto esser mossi, E così la vivanda si dispensa
Però che il traditor sempre ha sospetto Per Sidilagi come era ordinato,
Di non esser tradito, e non fidossi L'ultima fu, benchè lui non se'l pensa,
D'entrar con la sua gente ne le mura E sempre in mezzo d' Esdran e Burello
E parvegli la stanza più sicura. Istette il giorno il miser cattivello.
DXCV DCII

Sempre stava in cagnesco, e quando avessi Con quegli avendo gran ragionamento
Veduto un tratto e' l'arebbe calata Del preterito tempo, e come, e quando
A l'amico, al parente, o a chi volessi, Esdran vol mover con l'assembramento,
Pur che la cosa gli fusse attagliata, E la cristianità mettere in bando,
Posesi quivi, perchè se e' potessi Per far Burello suo figliuol contento
Far in un tratto una bella levata Di dargli la corona a suo comando
L'arebbe fatta, e non uccellava altro: Del re Luigi, come gli ha promessa,
Ma l'un diavol gastiga ispesso l'altro. Che intende che morir debba con essa .
DXCVI DCII

Esendo il campo in Tunisi tornato Così tutto quel giorno trastullato


De' Barberi, e disfatta Costantina Fu da costor, e poi dato licenza
E Calvaneo e'l Povero scampato, Appresso al tempo ch'era deputato,
E l'armata aveva sgombro la marina, Che il tosco dimostrasse sua potenza.
E Burello ed Esdran ciascun sanato, Sendo di fuora al padiglion tornato
Gran festa fe' la gente saracina, Con istormenti, e gran magnificenza
Avendo avuto co' cristian vittoria E giunto, e dismontato al padiglione
Etutti sendo in bonaccia, e 'n galloria. La medicina ſe l'operazione.
DXCVII DEIV

Esdran un giorno richiese a consiglio Lui per l'affanno gittossi in sul letto
Ciascun parente ed amico fedele, Urlando, e si scontorce per la pena
Pare in segreto, e' feron gran bisbiglio E volson dir che gliscoppio nel petto
Contra di quel Sidilagi crudele Per la forza del tosco qualche vena,
Per ovviare e sospetto e scompiglio, Che la bocca pareva un ruscelletto
Deliberorno sotto manna e mele Pel sangue che ne getta, e mai allena
Darli l'assenzo, o vogliam dir veleno, Finché e' rimase freddo quale il marmo,
E levarsel dinanzi in un baleno. Nè fuvvi per sua vita alcun risparmo.
DXCVIII DCV

Perchè gli era uonı malvagio e traditore Cosi miseramente la sua vita
Ne l'arme molto robusto e possente, Fini re Sidilagi in Barberia.
E non portava a niuno Dio amore, Finito lui, e gli Arbi fer partita
Ed era molto copioso di gente, Col corpo, e saccheggiar tutta la via,
Perchè non si mettessi uu tratto in corte Esdran ch' aveva la partenza udita
Da piccarla a Macone, e prestamente Fu molto lieto, che quella genia
Beccarsi su tutta la Barberia Avesse isgombro del suo tenitoro,
E chiamarsi suo padre in signoria. Che con sospetto viveva di loro.
DXCIX DCVI

Feron pensier sott'ombra d' allegrezza Nè prima gli Arbi furno andati via
De la vittoria, e per bonaccia e festa, Che Esdran fece un consiglio generale
Fare un convito di somma bellezza, Dove fa il fior di tutta pagania,
E deputato il dì si manifesta, Massimamente di gente regale
E tutti gli uomin di maggior altezza Conti, duchi, bascia e subascia,
Furno invitati a celebrar tal festa ; E fovvi il Papa lor pontificale,
E Sidilagi da Burel chiamato Qual l'Arcaliffa in tra pagan si dice,
Fu al convito, e lui ebbe accettato. E l'Almansor novello, e l'Alpatrice.
DC DCVII

E se vi viene con alcun compagno Ultimamente dopo la proposta


De la sua gente, e con molta adornezza, Qualfece Esdran col suo parlare egregio,
In vista lieto, e l'animo grifagno, Avendo lor la sua voglia anteposta
Come colui che l'onor non apprezza; E venerato sì magno collegio,
Ma la perdita sia più che'l guadagno, Qual congregato si vedea a la costa,
E sempre non arà la pera mezza, Da far di tutti i cristian gran dispregio,
Che fia giunto al boccon come il ranocchio Secondo lui, e concluse alfin quello
Ebeccherà per anici il finocchio. Di gire in Francia a coronar Burello.
391 CIRIFFO CALVANEO 392

DCVIII DCXV

Sì che qualunque disidera onore Aspetta che tu veggia in fra le schiere


Ed in eterno perpetua fama Con l'asta bassa quel fiero Candiano
Facci suo sforzo, e mostri suo valore, Folco, qual è un folgore a vedere
Si come quel che desioso brama Per tanti traboccar giù morti al piano,
D'uscir di servitù , che con fervore Aspetta pure il novel cavaliere
Tutte sue forze in se accoglie e chiama, Fatto da Siliametto per sua mano,
E preparasi si che ne l'offendere Dico di Calvaneo , che farà cose
Fa l'avversario al suo voler conscendere. Ch'a dirle, e non veder saran dubbiose.
DXCIX Dexvi

Noi siam suti percossi da' cristiani Aspetta che ne venga il Pover poi,
Già tante volte, e tanto abbiam perduto, Vedrai se ti parrà, che in casa sua
Che se saranno offesi or da' pagani, Abbi rigoglio e forza a doppio poi
Questa mi pare e lecito e dovuto. Per dare fama di sè, e gloria a sua:
Se la corona ci vien ne le mani Aspetta, aspetta quel vecchion, che poi
Del re di Francia, noi arem tributo Verrà col resto de la linia sua,
Da tutto il mondo, perchè la colonna Dico del franco Guglielmo d' Oringa
E de' cristiani, e messere, e madonna. Quale varrå sette Esdran ogni stringa.
DCX DCXVII

E senza dubbio, chiara e manifesta E se tu par desideri, ed agogni


Ci debbe la vittoria rimanere, Vedere a tutti mostrar lor valore,
Perchè noi passarem con tanta gesta, Credo che tanto aspettar ti bisogni,
Che non bisogna de' cristian temere, Che in campo venga il magno imperadore:
E già a me quella corona in testa Allora in dubbio starai se tu sogni
Mi par con l'occhio al mio Burel vedere, Pe'colpi , e l'urla, e'l fracasso e ' l furore
E vo' che re di Francia sia chiamato E tanto sangue, e membra in terra sparte,
E così fu di grida coronato. Che gli occhi, non che tu, si chiuda Marte.
DCXI DCXVII

Uno strepito grande fer le grida: Per non vedere il macello e scupino
Ognuno Burel , Burel, Franza, Franza, Di tanti corpi, e del sangue ch'è in Senna
Ciascun Luigi minaccia e disfida Sarà allora, ch'al Tevere , o al Tesino
Come gente bestial pien d'arroganza, Egual di corso fia per quel che accenna
Ch'ognun nel grande esercito si fida ; Questo esercito tanto saracino
Ma e'non fia al bisogno abbastanza, Da stancare ogni mano ed ogni penna,
Però che Rinovardo del Pinello Dove per far d'una corona acquisto,
Con Bisantona ne faran macello . Ne perderà quaranta il popol tristo.
DCXH DCXIX

E rimarravi con tredici figli E questo fia per lor l'ultimo tuffo,
Il vecchio Esdran per man di Rinovardo, Si che, in eterno ne saran dolenti
Che farà i rivi di sangue vermigli Per questo marziale e gran baruffo ,
Col suo Pinel pel francese stendardo. Nel qual prosumon d'esser sì saccenti,
Aspetta pur che con lor s'accapigli, Di dare al cristianesimo di ciuffo ,
Vedrai che di nessuno arà riguardo, E ad un soffio avergli tutti ispenti ;
Ch' al proprio padre ne lo stormo fello Ma lascia pur passare il gran drappello
Morte darà dopo a ciascun fratello. Che buoi andranno da loro al macello.
DCXIII DCXX

Aspetta che to veggia Bisantona Or posiam qui questo ragionamento,


S'ella sciorinerà ben quel bastone, Che il gran collegio è dal consiglio uscito:
Per dar fede di lei in quella zona D'accordo tutti al magno assembramento
Quel ch' ella fece a tempo d' Andreone : E'l come, e'l quando han fermo, e stabilito.
Aspetta pure, e vedrai se rinsona Chi ha promesso cento, e chi dugento
Quivi la fama di quel fier Leone Legni con vele, e corredati al lito
Detto Sventura, figliuol di Guiscardo; Di Tanisi infallante fra sei mesi
Vedrai che in fatti e' non parrà bastardo. D'uomini carchi, e guerniti d'arnesi,
DCXIV DCXXI

Aspetta pure, e vedrai Siliametto Chi ha promesso ad Esdran una cosa,


Se ti parrà che sia degenerato E chi un' altra, e tutti han tocco il dente,
Punto dal Padre, e così giovinetto E per quella oste magna, e valorosa,
Non fia men che la donna reputato : A voce han fatto il capitan possente,
Aspetta pur che prenderai diletto Cioè Burel, ch'a la giostra famosa
Di Costantin, che ti parrà stimato S' avea acquistato il baston chiaramente,
Ne l'arme quanto sia simile a quello Se non che da que' dua gli fa rapito,
E se parrà di Calvaneo fratello. Che l'uno è morto e l'altro se ne ito.
393 CIRIFFO/ CALVANEO 394

DCXXH DCXXIX

Ed avendo Burel preso il bastone Dal re e duchi, e da conti, e marchesi,


Per tutta pagania fece bandire, Da principi e signori e cittadini,
Che l'Arcaliffa dava assoluzione, Dal maggiore al minore, e da borghesi,
Di colpa e pena a chi volesse gire; Uomini, donne, grandi e piccolini
Sopra a'cristiani a loro distruzione Ne feron festa, e tutti for discesi
Ch'ognun dovessi a Tunisi venire, Al palagio real de' Parigini,
Che il capitan de l'oste a primavera Dove le donne a veder Bisantona
Spiegava di Macon la gran bandiera. Correvan per la fama che ne sona.
DCXXI DCXXX

Si che per tutto quanto il paganesimo Benché pur di lontan vedessin quelle
Ognun s'assetta, ognun taglia, e minaccia La sua statura, per vederla in viso
Già pensa Esdran d'avere il cristianesimo Ch'ogn'altro eccede, e gli occhisao'due stelle
Senza redenzion ne le sue braccia, Parevano, e si bel non fu Narciso,
Con intenzion di spegnere il battesimo La fronte e'l naso, e le sue guancie belle
Che mai più se ne vegga seme o faccia, Pareano consecrate in paradiso,
Per vendicarsi d'ogni ingiuria antica : Si ben proporzionate, e il giorno questa
Or ritorniamo un po' fra quella ortica; Un bel cappel d'acciaio aveva in testa
DCXXIV DEXXXI

Dov' io lasciai le balie a Costantina Guernito d'oro, e di gemme preziose,


In quella fogna pur con gran tremore Il qual s'aveva fatto in Costantina
Per trafugar Leone e Leopantina, Per gir con quello a feste, o simil cose
E visto il campo dentro ito a furore, Che ben pareva con esso regina ;
Senza aspettar l'aurora o la mattina, Si che le sue beltà maravigliose
Sbuccaron tutte dietro a quel signore, Ne mostra questa altera e pellegrina ,
Euscirono nel fosso, e fuor del campo E di Parigi ogn'altra donna avanza
Cosi al buio senza alcuno inciampo. Di beltà, di statura e di possanza.
DCXXV DCXXXI

Imperocchè i pagan tutti eran corsi E non ti dico se Luigi a questa


Dentro a la terra per menar le mani Fe'buona cera, or sendo collocato
Al gran bortin, che parean lupi e orsi, Nel real seggio con massima festa
Anco mordaci ed arrabbiati cani, Nė mai si lieto ancor non era stato.
Si ch'a costor non fu chi contrapporsi Ultimamente al Pover fe' richiesta,
E'n selve, e'n bosebi, in piagge, inpoggi e 'n piani Fatto ogni convenevol dal suo lato,
Il giorno a l'ombra o di ginepro o rovero Che gli desse di tutto indizio come
Celavansi: or torniamo un poco al Povero. L'aveva fatta, e de' compagni il nome.
DCXXVI DCXXXHI

Ed a Folco con tutta la brigata, Dipoi che si partirno di Parigi


Ch' al portodi Marsilia a salvamento E lui e Galvaneo così di piatto,
Tutti eran suti, che la bella armata La qual partita fu d' assai litigi
Ha sempre avuto in fil di ruota il vento ; Tra i Maganzesi e Nerbonesi un tratto.
E quivi sendo la gente smontata 1
Il Pover brevemente al re Luigi
Alquanti giorni per rinfrescamento Rispose, e venne a l'effetto di fatto
Feron li sosta, e con trionfo e festa, Ringraziandolo prima del soccorso
Di poi parti la valorosa gesta ; Pel quale erano usciti fuor del morso,
DCXXVII DCXXXIV

Lasciando in porto senza dubbio ilegni, Cioè di bocca a tanti mastin cani,
Benché a la guardia vi rimase alquanti, Ch' avevan posto lor si fatto assedio,
ECostantin con que' cavalier degni Che forza era venir ne le lor mani
Verso Parigi, e con suoni e con canti O vivi, o morti, senza alcun rimedio;
Andonne, e giunti ne' Francesi regni E disse come lasciorno i cristiani
Sendo la lor tornata intesa avanti , Di Costantina ch' uscissin di tedio
Veniva incontro a lor tutto Parigi Fingendo dare a' pagani il reame
Gridando ognan Nerbona e san Dionigi. E noi per non voler morir di tame.
DCXXVIII DCXXXV

Il re Luigi insin fuor de la porta E disse allora come Siliametto


Incontro venne per magnificenza Era suo figlio, e re di Costantina
Con giucolari, e buffon per iscorta, E Bisantona ch'ha si vago aspetto
E suoni e canti ; e giunti a la presenza Era sua donna, e di quella regina,
Del magno re, questa brigata accorta La qual di poco era uscita del letto,
Dismonto tutta, e con gran riverenza Cioè di parto, e'l figlio e la fantina
Ala corona ognun die suo saluto, Ch'aveva d'un portato partoriti,
Emolto grato fu ciascun tenuto, Ma dubitava che fussin periti.
395 CIRIFFO CALVANEO 396

DCXXXVI DCXLII

Edisse come gli avevan lasciati Cioè ch' ognun tornasse in suo paese
In braccio a la fortuna, a la ventura, Senza far più in Parigi dimoro
Ma molto a Dio gli avean raccomandati : Stimando d'aspettar quivi l'offese,
Di poi a Carsidora in iscrittura Cosi prepari ognun suo tenitoro,
Avendogli per grazia Dio salvati; D'artigliere e d'uomini in arnese,
E disse come Leone Sventura E tutte le castella, e città loro
Era fio di Guiscardo, e brevemente Fortificati sian di fossi e muri
Gli dissedi Tibaldo fraudolente. E sbarre, si che dentro istian sicuri.
DCXXXVII DCXLIV

Di Costantin Luigi imperadore Ecomandanti gli uomin tutti quanti


Sapeva ch'era di Costantinopoli, Per città, per castella, e borgi, e ville
E come avea soccorso per amore Cavalieri, e pedoni , e scerne tanti
Il fratel Galvaneo con tanti popoli, Quanti ve n'è, che senza far postille
Si che Luigi a quel massimo onore Sieno a un cenno preparati avanti
Aveva fatto, e intese tanti scropoli Al suo signor se fusson ben le squille:
Dal Pover che in quel tempo avean passati Con tutto questo ognun potrebbe attendere
Poi che in Parigi non erano stati. A casa sua, e guadagnare e spendere.
DCXXXVIII DCXLV

In un breve discorso la sostanza Con altra affezion, con altro amore


Intese d'ogni cosa, e dove e quando Si lavora per sè, che per gli strani;
Avea mostro ciascun la sua possanza, Con men disagio, e con più lieto cuore
Ultimamente gli venne narrando Si vive in casa sua, che ne' lontani
Si come Esdran volea passare in Franza Paesi, e però, magno imperadore,
E messa avea cristianitate in bando Questo fia la salute de' cristiani,
Per dare al re Burel quella corona, Ch' ognun fortificar sue terre possi,
E fian quaranta re con sua persona. E al bisogno in un punto esser mossi.
DCXXXIX DCXLVI

Con tanta moltitudine di gente Quando venisse de' pagan la furia,


Che ci bisognerà ben esser forti; E non venendo questo non fie danno
Tutto levante ne verrà in ponente, Nessuno, anzi fia suta buona anguria
Che copriran di vele il mare e i porti : Pe' nostri succedendi, che verranno,
Per esser noi a fronte in sul corrente Perchè da lor nemici poca ingiuria
Venuti siam di volo, e per esporti In casa lor ricever ne potranno,
La nova, benchè non meriti il messo E se la tua corona osò promettere
Premio nessun, ma per nostro interesso. Esdran al figlio, vengagliela a mettere
DCXL DCXLVII

Tornati siamo con fermo proposito, Conle sue mani in questo degno seggio,
Che se passan di qua far le vendette Equando in testa l'ha, la chiami sua ;
Di tanti scherni avuti: e che l'opposito Quando che no, Burel, fia da motteggio
Sarà di tutto ciò che Esdran promette, Di Franza re, se già non siete dua;
Qui bisogna mandar gente in deposito E anco sendo lui, n' andrà col peggio
A le frontiere a stare a le velette Stando in esilio, e tu qui in casa tua ;
E fare a tutti i porti provvidenza Ma tu se'l puoi chiamar, disse Aluis,
D'artiglierie, e massime in Provenza. Nani nani per san Gian di Paris .
DCXLI DCXLVIII

Perchè più comodo è da fare scala Così ridendo in pié si fu levato


Ne' nostri liti, ch' en porto che sia, Nè più oltre Guglielmo il dir propose
Si che provvisti aspettargli in su l'ala Perché dal re, e da tutti affermato,
Il colpo del maestro certo sia. Fu brevemente ciò che avanti espose,
Cosi dicendo era piena la sala Edel savio consiglio commendato
Del fior di tutta la gran baronia Fu sopra a l'altre sua opre famose :
Di Luigi, che inteso a che periglio Ultimamente il magno imperadore
Era cristianità, chiese consiglio Dette commiato con questo tenore :
DCXLII DEXLIX

Di questo, e fuvvi varie opinioni, Ch' ognun tornassi al suo regno in effetto
Chi consigliava fare una grand' oste, Mostrando fare estima del nemico
Chi grande armata, e ciascun le ragioni Che chi nol prezza, e poi se 'l trova a petto
Assegnava nel far le sue proposte, Le più volte ne resta alfin mendico,
Ma il buon Guglielmo con grati sermoni, Or ciascun soddisfaccia a quanto ha detto
Tutte le altre dispute ebbe deposte, In nel consiglio quel campione antico,
Dando consiglio che parve solenne Senza più ricercare altri consigli
A tutti, e fu, e però quella ottenne. E salverete i regni vostri, e i gigli.
397 CIRIFFO CALVANEO 398

DCL DCLVII
Ultimamente fu rettificato Delaqualealuoco, e a tempoil nome el'opre
Da tutti senza alcuna differenza, Noto sarà per tutto l'universo,
A quel ch'avea Guglielmo consigliato, Che morte per destino or cela e copre
E da Luigi ognun prese licenza ; Ne l'urna il padre detto in altro verso,
E fu ciascun nel suo regno tornato Questo emicante sol vita nè scopre
Chi in Fiandra, chi in Borgogna, chi in Provenza , In nel futuro, e più lucido e terso :
E chi nando in Guascogna, chi in Bertagna Che il proprio genitor, qual fu si degno
E chi ne la Ragona, e chi in Ispagna. Milite ornato, e di scettro e di regno.
DCLI DCLVIII

Chi ne la Magna ando, chi in Ungaria, Or qui le vele a la veloce barca


Chi n'andò in Boemia, e chi in Irlanda, Calar convienmi sendo giunto al porto
Chi im Inghilterra, e chi ne l' Ormandia, Desiato a depor la grave incarca
Chi nữ andò in Piccardia, e chi in Olanda, Al picciol legno, e darne altrui conforto.
Chi ne la Scotia ando, chi in Lombardia, O immensa virtù, sommo monarca ,
Chi nando d'una, e chi d'un altra banda Che dal principio al fin guidato e scorte
Chi a Vignone, e chi a Monpollieri Suto è il mio ingegno per la tua clemenza
Chi a Marsilia, e chi in altri sentieri. Non già per mia virtù, nè mia potenza.
DELII DCLIX

E tutti i Nerbonesi festeggiando Che dove la tua grazia cessa, o manca


Torno ciascun ne la sua signoria . Nessuna sapienza o virtù vale
Re Luigi il palagio d'Orlando, Ed ogni ingegno uman s'affligge, e stanca
Donò al Povero, che per compagnia In picciol vol, perché vola senza ale;
Lo volse, e Siliametto a suo comando, E quella sola ogni mente rinfranca,
Con Bisantona, qual molto desia Che sopra ogni virtù questa prevale,
Vederla, innamorato del suo aspetto, Benchè di tanto dono indegno sia,
Non per lascivo amor, nè per difetto. Lo reputo pel mezzo di Maria .
DELILI DCLX

Guglielmo ne meno seco ad Oringa Da la benignità tua infinita


Il valoroso figliuol di Guiscardo, Mediante le preci umil di quella
Parendogli che 'l tempo omai lo stringa A te diritte, qual fu mai calamita
Nè si reputa, qual solea gagliardo. Come già dissi, e tramontana stella,
Costantin tanto Calvaneo lusinga Fra molti scogli ch'arieno impedita,
Che il meno seco dove già quel dardo Mia barca semplicetta, e poverella ,
Trasse, per trarre a fine Antandro padre, La qual nel primo prolisso viaggio
E fecel capitan de le sue squadre. Di suo valore ha fatto prova e saggio.
DCLIV DCLXI
Or che ciascun tornato è nel suo luoco Pure il giudizio sta ne' sapienti,
Edato cognizion de la lor fama Sì ch'io non debbo giudicar me stesso,
Di quei che militando son nel fuoco, Ma quando i versi mia sieno evidenti,
Qual salamandra, che altro non brama, Pubblici, e noti da lunge, e d'appresso,
Savio è colui che con onor da giuoco Sendo tale opra grata in quelle menti
Si leva or per rispondere a chi chiama; Questo il premio sarà chỉ bramo adesso :
L'opera desiata a tal volume Altro non prezzo, nė gemme, nè auro
Darò fine, e per darne a via di lume, Che soddisfare al mio florido lauro.
DCLV DLXII

Da che tanto di grazia m'ha concesso Il qual de gli accademici è esemplo,


La Vergin, che lodata sempre sia, Onore, e gloria de le sacre Muse,
Che'l mio Ciriffo e'l Povero ho rimesso Anco lucido specchio e sacro templo
In casa lor, si può dir ch'ognun sia, Di eccellenti virtù in esso incluse,
Attenderò al presente, che impresso E quanto più l'esamino e contemplo
Con diligenza questa opera sia , Di lui non si può dare infamie o accuse
E prima che Burel sia messo in ordine Al secol succidente di sua prove
Con altro libro sarò forse all'ordine. O gratis date dal superno Giove.
DCLVI DCLX111

Nel qual diſfiniransi le battaglie, Ciriffo i so che tu darai faccenda


Tra la legge cristiana e saracina A molti, ed in disparte che t'aspettano,
Edipoi che Esdran Parigi assaglie, Che se tu senti alcun che mi riprenda,
Come Leon vendico Costantina , Per ignoranza, a quei che ti difettano
Con la sorella, che di piastre, e maglie Rispondi, e di' che la tua tema prenda
Vestissi, dico di Leopantina, Chi se reputa idonio se dilettano
Con lor fiol d' Andreone, che allora Di fare in versi, e facci si che superi
N'era rimasa piena Carsidora. Con novi versi questo e poi il vituperi.
399 CIRIFFO CALVANEO 400

DCLXIV

Ma noti bene in prima il gran volume,


E la sua circostanza a parte a parte, Ciriffo Calvanco al Lettore
E apra lo 'ntelletto, si che il lume
Non gli mancasse ne le prime carte. Avea mio
Non è quando un ruscello, anzi un gran fiume primo Autor di vita privo
Dove bisogna navicar con arte L'invida Parca e me di fama spento,
E mutar vela spesso, or bassa, or alta Ma non fa tardo al mio soccorso o lento
Si come i venti , d'uno in altro salta . Quel sacro Lauro glorioso e divo,
DCLV La cui fama immortal, d' un picciol rivo
Ma non avendo in tutto soddisfatto Ha fatto un largo mare in un momento,
Col vago stile, ornato d'eloquenza Ne di fortuna avversa alcun evento
Qual nel principio Lucio Pulcro ha fatto Li può più tor la palma con l'olivo.
E poi Luigifonte di scienza , Ringrazio adunque sua alta eccellenza
Totalmente non son però destratto E quel che volentier tolse l'impresa
Da quello, benchè non sia tal veemenza Poi la fini con somma diligenza,
Nel verso mio, e scusi il basso ingegno, E chi per lo impressor resse alla spesa,
Nel qual non è d'accidental niun segno. Che se non fusse il favor di Fiorenza
DCLXVI In ogni modo ero portato in chiesa.
Nė per prosanzion tale opra stimino 幸 安
Da me gli storiografi che scrivono
Che sendo oppresso,e perchè non mi opprimino
Più con lor prieghi molti ch' ancor vivono,
Ho seguito color de' qual si imprimino Ciriffo ancora parla
Lor opre per le qual morti previvono,
Cioè per fama ch'ognor gli resuscita
Quando i lor versi alcun replica e lucita.
DCLXVII
Dal tempo che produce a tempo ogn'opra
In Calvaneo
luce sono or produtto,
Finaliter in queste ultime lettere Defunto il tristo fato, e vinto al tutto,
Vo'far noto il mio nome a chi nol sa, Che volse ogni mia speme sottosopra.
E altro bel volume vo' promettere, E benchè picciola urna inclusi copra
Qual ne la mente mia composto è già, L'an Pulcro e l'altro con funesto lutto
Se morte in breve non vuolsi inframmettere, Da nuovo successor colto lor frutto
Che più che di Ciriffo si dirà, Celebre nome mio fa che or si scopra.
Nel qual son suti più gran tempo in opra, E se ben da le dive del bel fonte
Bernardo Giambular die fine a l'opra. Non son tanto elevati e rozzi versi ,
Nè come i primi alzar posson la fronte,
E son si come son da quei diversi
In bianco il moro, ed in azzurro il monte
Fanno che non si stieno in scrigno immersi .
Basta che non son persi :
E chi più alto vuol volar si pruovi,
Ma guardi come Icaro non si truovi,

FINE DEL CIRIFFO CALVANΕΟ


INDICE
DEI NOMI PROPRII E DELLE COSE NOTABILI

contenute

NEL CIRIFFO CALVAΝΕΟ

N. B. Il numero romano indica il canto della prima parte, gli altri sono distinti col voc. Agg.
e l' arabo la stanza .

Anfilizia di Candia, I, 14, 30. Ama Folco,


37 , 45 ; II , 48 .
Ansidonio, gigante, VI, 83.
Antandro, figlio dell' imperatore di Costan-
Aduramen, padre di Danidonia, III, 32. tinopoli, I, 63. Sposa Massima, poi l' ab-
Assedia sua figlia in una torre ove si è bandona, 78 e seg. Ordina l' uccisione di
chiusa con Leone Spinetto, 60, IV, 51 . suo figlio Costantino; indi dell' istessa
Aleandrina, figlia di Sinettore, IV, 71 . sua sposa, III, 5 e seg. Ueciso da Ciriffo,
Guarda la battaglia dalle mura di Asca- 14 e seg.
lona, V, 5g. Invitata alla mensa di Ti- Arfasarre, gigante. Pugna con Caosso. Agg.
baldo s' innamora del Povero, 97 e seg. I, 396 e seg. 407 e seg.
É sposata da questo celatamente. Ag- Arganoro, figlio di Esdran. Agg. II, 566.
giunta del Giambullari. Parte, 1, 32 c Arnaldo, sua schiera, V, 16. Entra in bat-
seg. Da lui tradita, fugge da Ascalona 97 taglia, 58, 74-
e seg., 237 e seg. E confortata e battez- Artibar, re di Numidia. Agg . II, 60.
zata da Calvaneo, 254 e seg. Accolta
da Drusilla. Parte, 11, 307. Narra ai
suoi figli la loro origine, e Sidilagi, odian- B
do i cristiani, vuole ucciderla, 399 e seg.
Accoglie in casa Ciriffo ed il Povero,
453 e seg. Si fa chiamare Leopantina,
464. Suoi consigli a Siliametto suo figlio Balfumiero, figlio di Esdran. Agg. 1, 566.
prima della sua partenza per la giostra Basalorco, gigante, VI, 86.
di Tunisi, 532. Lo rivede in Costantina Beltramo Altimonieri, 1, 34. Pugna col
fatto re di quella città dal Povero. Par- Povero Avveduto, IV, 29 e seg. Sua
te III, 210. Narra le sventure della sua schiera, V, 15. Entra in battaglia, 28,
vita, 215 e seg. Suo dolore per la cru- 31. Abbattuto dal Povero, 63. Sua am-
deltà di Sidilagi, 36g e seg. Muore, 376. basciata a Tibaldo, VI, 59 e seg. 72 .
Almansore, sue schiere, V, 9. Scelto a pugnare contro i giganti . Agg.
Alpatrice, sue schiere, V, 7. Entra in bat- I, 136, 159, 199. Capitano dell' armata
taglia, 58. Ucciso da Leone Spinetto, 111, francese in soccorso del Povero Avveduto
- successore del primo. Nella giostra in Costantina, III, 344, 346 e seg.
inTunisi. Agg. Parte II, 363, 570. Bisantona, gigantessa.Agg. Parte 1, 576.
Altimonieri, Vedi Beltramo Altimonieri. In battaglia, II, 6, 7, 10 e seg. Salva
Amoroldo, gigante, VI, 91, 161, 184 с Ciriffo da gran pericolo, 59, 6o e seg.
seg. 200. Tratta con Sinefido di sterminare il cam-
Andreone di Costantina, soccorre Irlacone. po d'Irlacone, go e seg. 102. Soccorre
Agg. 1, 570. Lo abbandona conosciutolo Esdran, 624. Sua parlata a Sinefido che
fellone, II, 17 e seg. Soccorre Esdran, non voleva portarsi alla corte di Esdran
624. Tradito da esso ritorna a Samastia, traditore, III, 91. Fa strage dei sicari
III, 179. Fa che il Povero non combat- di Esdran che dovevano uccidere Sine-
ta con Sidilagi suo figlio, 312. Ucciso da fido e la sua brigata, 127 e seg. Demo-
questo, 318 e seg. lisce col bastone una casa, 173 e seg.
26
403 INDICE DELLE MATERIE 404

Sposa Siliametto, 285. Ha due figli, 382. drina che voleva uccidersi e la fa cri-
Lascia la città di Costantina, e si ritira stiana. Agg. I, 254 e seg. Lascia il mon-
al campo di Folco passando attraverso te Carmelo e si porta a Parigi, 290 e
le tende dei Barbari , 536. Suo ingresso seg. Abbraccia il Povero, 300. Accolto
a Parigi , 629 e seg. da Luigi e dai Paladini, 302. Parte da
Biscia, capo de' corsari. Agg. II, 364, c Parigi col Povero, 318. Dà l'assalto
seguc. alle vettovaglie d' Irlacone, 393 , 403.
Brancaleone, figlio d' Esdran. Agg. II. 566. Passa con artifizio tramezzo il campo di
Brocante, d' Aspalena, Agg. I, 572. Capi- Irlacone, 422. Entra in Samastia, 433 e
tano generale dell'armata d'Irlacone, 532. seg. Accolto da Carsidora, 436. Esce
Brunadoro, nipote di Irlacone. Agg. Par- con l'esercito per vettovaglia, 478 с
te, I, 427. Assalito da Ciriffo e Sinefido , seg. Respinge tre assalti dei nemici, 489
429 e seg. Pugna con Sinefido, 457 e e seg. Pugna, 652 e seg.; II, 8. Prigio-
segue. niero di Bisantona, 55 e seg. Preso da
Brunaspina, figlia di Carpisante. Agg. II, Irlacone e mandato al castello di Tron-
198. Ama Sinefido, 245 e seg. Lo libe- cavalle, 77 , 145 e seg. Liberato da Si-
ra di prigione e fugge con esso, 253 e nefido, 169 e seg. 192. Preso con l'op-
seg. S' addormenta, ed i corsari rapisco- pio da un ministro di Carpisante, indi
no Sinefido, indi per dolore si uccide, pigliato dai corsari, 214. Si scontra in
331 e seg. alla 353 . una nave ov'è pure prigione il Povero,
Burello, figlio di Esdran. Agg. II, 566. il quale dopo una fiera battaglia lo ri-
Consigliato dal Povero assalta gli Arbi conosce, 363 alla 391. Pugna con un
li scaccia da Tunisi, 600. Elegge il Po- drago e con un leone, 416 e seg. Per-
vero capitano dell' armata, 606. Lo odia cosso da Sidilagi, 446. Ospite d' Alean-
per invidia, 620. Gli tende insidie, III, drina, 453. Soccorre Leone Sventura,
5 e seg. Fa lega con Sidilagi a danno III, 408. Suo consiglio di abbandonar
del Povero, 8. Lo assalta a tradimento Costantina, 513 e seg. Passa colla bri-
co' suoi fratelli che restano da lui solo gata attraverso il campo de' Barberi.
feriti, 33 e seg. Suo consiglio contro Si- 536 e seg. Va a Costantinopoli con Co-
nefido, 108. Fugge dalla strage che fa stantino suo fratello, 653.
Ciriffo co' suoi compagni chiusi nel suo Cironeo, re, amico di Sinefido.Agg. II, 619.
palazzo, 127 e seg. Eletto capitano del- Gli dà avviso dei tradimenti d' Esdran,
I'armata che deve passare in Francia, III, 65, 88. Gli dà ajuto ad uscir di Ta-
622 e seg. nisi ov'era chiuso, 167 e seg. 172 .
Cornes Dalis, III, 27 ; IV, 42. Sue schiere
V, 6. Entra in battaglia, 29, 33. Suo
valore, 40, 117. Giostra in Tunisi. Agg.
11, 563.
Costantino, figlio d'Antandro re di Grecia,
C fratello di Ciriffo Calvaneo . Agg. III,
472. Soccorre il Povero e Giriffo asse-
diati in Costantina, 483. Entra nel por-
to di Tunisi e si unisce all' armata di
Gaosso, gigante. Sue dispute col Povero.
Agg. 327 e seg. Si battezza col nome
Folco, 494. Suo valore, 505. Conduce
seco Ciriffo a Costantinopoli, 653.
di Sansone, 384. Dà l'assalto alle guar-
die delle vettovaglie d'Irlacone, 393 e
seg. 407. È ucciso, 411.
Carbonchione o Carbonel gigante, VI, 88.
Carbone, gigante Agg. Parte 1, 589. Sfida D
solo tutti quei di Samastia, 593 e seg.
Ucciso da Sinefido 627 .
Carpisante, Agg. 11, 17. Ingannato dal
cancelliere del campo d' Irlacone, 173.
Fa prigioniero Sinefido, 241. S' impicca Danidonia, dona sè stessa ed il regno di
per la rabbia della fuga di Sinefido e Cipro a Leone Spinetto, III, 29, 57 , 58.
sua figlia Brunaspina, 312 alla 324. Assediata entro una torre dal padre, 59,
Carsidora, accoglie Ciriffo e Sinefido. Agg. 60. Liberata da Folco, IV, 5t e seg.
Parte 1, 436, 466. Sua beltà e gentilez- Guarda Lionetto in battaglia da un pog-
za, 546 e seg. Suo timore all'appressarsi gio, V, 69.
del campo nemico, 587 e seg. Drusilla, accoglie Aleandrina . Agg. I, 307 .
Ciriffo Calyaneo, I, 1. Sua nascita, 134. Uccisa da Sidilagi figlio di Aleandrina,
Sua educazione, II, 2, 3 , 14 e seg. Va II, 403 .
a Costantinopoli, III, 3 , 4. Uccide An- Duramen, padre di Danidonia, vedi Adn-
tandro suo padre, 14. Si battezza e va ramen.

in terra santa, 21 alla 24. Trova Alean-


405 INDICE DELLE MATERIE 406

Fortunato, gigante, VI, go. Agg. 1, 142,


159, 170.
Frola, madre di Carsidora. Agg. I, 439,
E 467. Lieta per le vittorie di Ciriffo e
Sinefido, 545 .
Furgatto, gigante. Agg. I, 574. Ucciso,
650, e seg.
Epidoniffo,
upidoniffo, corsaro Marsigliese, II, 27,
60. Affoga in mare, III, 41 .
Esdran di Barberia, soccorre Tibaldo. Agg.
II, 26. Cerca l'amicizia di Sidilagi per
tema degli Arbi, 542 e seg. Ha tredici G
figli, 565. Sedotto da essi macchina la
róvina di Sinefido, III, 39 e seg., 60.
Propone di ucciderlo ad un banchetto,
80. Chiama Sidilagi in città, e questo
gli da il sacco, 155 e seg. Porta guerra Galappio, figlio d'Esdran. Agg. II, 566.
ad Andreone a Costantina, 183 e seg.
Galeran, figlio d' Esdran. Agg. II, 566.
292. Lieto della morte di Andreone, 337 . Gattagamia, gigante, VI, 88.
Accoglie Leone Sventura, 385. Soccorre Gattamummo, gigante, VI, 92 .
Tunisi assediata da Folco, 492. Messo Gattarugia, gigante, VI, 86.
in rotta da questo e da Costantino, 501. Giganti. Loro costumi, VII, 14 e seg.
Avvelena Sidilagi, 577. Porta guerra in Guidone, I, 5, 43. Sposa Paliprenda, 47
e seg. L'abbandona per una sorella
Francia per coronarvi re sno figlio Bu-
rello, 607. di Folco, 57. Libera suo figlio Leone
Spinetto, IV, 55. Sua schiera, V, 18.
Pugna col Povero suo figlio, 67. Pugna
in nave co' Saracini, VI, 34. Perdona
al Povero e lo riconosce per figlio. Agg.
I, 86. Scelto a pugnare contro i giganti,
F 136, 160, 173 , 175, 183. Ucciso, 184.
Gugliemo, d' Oringa, I, 31 ; II, 47. Sua
schiera, V, 18. Viene a battaglia, 73 .
Suoi fatti, 94, 116 e seg. Suo consiglio,
VI, 51. Accoglie il Povero, che lascia
Falcone corsaro, ammira il valore del Po- Ascalona e il re Tibaldo. Agg. 1, 68, 78.
vero e il seduce a farsegli compagno, II, Scelto a pugnare nello steccato contro i
34, 35, 54. Costringe la nave di Lio- giganti, 136, 159, 169, 183, 192. Porta
netto a fuggirsi e preda le altre, 34 e i soccorsi di Carlo a Ciriffo assediato in
seg. Molesta il campo de'Franchi , IV, 6 , Costantina. Agg. III, 344, 346.
24, 25. Preso in mare da Folco, 47 . Guiscardo, Altimonieri, I, 43 ; IV, 5. Ab-
Frustato pel campo de'cristiani, 59. Co- battuto dal Povero, 10 e seg. Sua schie-
mandante dell'armata navale dei Franchi ra, V, 13. Abbattuto da Sinettore, 25,
contro i Saracini, VI, 10 e seg., 30. Re- 26. Suo valore, 34. Tramortito dal ca-
sta solo comandante della flotta, 48. Sno val Sinettore, 35 e seg. Ucciso dal Po-
tradimento a Luigi insieme e Tibaldo, il vero, 62 , 63 .
quale lo fa impiccare, VII, 57 al fine.
Parla in ispirito al Povero. Agg. 1, 7
e seg.
Falganoro, figlio d' Esdran. Agg. II, 566.
Falsetrone, figlio d' Esdran. Agg. II, 556. I
Folco Candiano, di Fieravilla, I, 34 e seg.
Amato da Anfilizia, 44 e seg ; II, 48 .
Pugna col Povero, IV, 30. Prende in mare
Falcone, 46, 47. Sua schiera, V, 15.
Entra in battaglia, 41, 43. Piglia Mal- Irlacon di Turchia, soccorre Tibaldo, III,
ducco, V, 52, 53, 54. Assalta Ascalona, 26; IV, 70 , 80, 81. Assedia Samastia.
70, 73, 75 , 78, 83 ; VI, r. Lascia la Agg. 1, 390 e seg. Manda in città Ci-
città alla venuta de' Saracini, 5. Pugna riffo e Sinefido per disprezzo, 425 e seg.
Manda Brunadoro a combatter contro
con essi in mare, 33. Scelto a pugnare
contro i giganti, 136, 160, 198, 203. Sinefido, 153 e seg. Chiude la strada a
Prende la città di Tonisi. Agg. III, 467 Ciriffo e Sinefido capitani dell' armata
e seg. Si ritira, 489. Suo valore, 504. di Garsidora, ma è vinto da essi in tre
Accoglie nel suo campo il Povero, Ci- scontri, 487 e seg. Domanda soccorsi ai
riffo, Siliametto, Bisantona e Leone Sven- suoi alleati, 531 e seg. Elegge il capi-
tura, 633. tano della nuova armata, 580. Manda
407 INDICE DELLE MATERIE 408

Ciriffo, prigione di Bisantona, al castello


di Rocca franca, II, 73. Conosciuta la
frode di Bisantona fugge travestito, 108.
Ucciso da Sinefido, 122 e seg. M
Ischiappaferro, figlio d'Esdran. Agg. II,
566,

Malagrappa, figlio di Esdran. Agg. 11,


566.
Malducco di Ramma. Soccorre Tibaldo, I,
33 , 27 ; IV, 42. Sua schiera, V, 6. En-
L tra in battaglia, 42, 43. Preso da Fol-
co, 52, 53, 54. Gli è chiusa dai Fran-
chi la strada tra il campo e la città di
Ascalona, 81 .
Lecore, pastore, ospite di Paliprenda che Massima, narra a Paliprenda gli avveni-
voleva uccidersi, 1, 16. Parla a Ciriffo e menti della sua città, 1, 59, 60. Muore,
all' Avveduto, indi muore, 11, 4 e seg. III, 2.
Leone Sventura, figlio di Guiscardo. Agg. Minotauro. Agg. 1, 573. Ucciso da Puli-
III, 352. Giura di uccidere il Povero cane, 617 .
Avveduto, 357 e seg. Accolto da Esdran,
385 e seg. Va in Costantina per ucci-
dere il Povero, e pugna cogli Arbi e
con Sidilagi, 394, 400, 413. Entra col
Povero in Costantina, 423. Tiene ce-
lato il motivo per cui venne in Costan- P
tina, 426 e seg. Cerca di uccidere il Po-
vero, 437 , 438. Lo ascolta pianger la
morte di Guiscardo suo padre e gli si
palesa, 448. Lascia Costantina e passa Paliprenda, I, 2. Tradita da Guidone, si
coll'armi attraverso il campo de'Barbe- querela e vuole uccidersi, ivi e seg. Nar-
ri, 536. ra a Massima le avventure della sua vita
Leopantina, nome assunto da Aleandrina 27 e seg. Muore, 140.
in Barberia. Vedi Aleandrina. Povero Avveduto, I, 1. Segue un cervo, s'ad-
Lione Spinetto, detto Lionetto, figlio di dormenta ed è preso dai corsari, II, 24 e
Guidone, II, 51 ; III, 28. Amato da Da- seg. Combatte per mare contro le navi di
nidonia, 29. Dà battaglia alle navi di Lionetto, III, 34 eseg. Abbatte Guiscar-
Epidoniffo ed è vinto e ſerito, 36 e seg. do, IV, 12. Pugna con Folco Candiano,
Liberato da Foleo dall' assedio di Adu- 19. E poi con Beltramo, 29 e seg. Ac-
ramen, IV, 50. Sua schiera, V, 18, 46. colto dal re Tibaldo, 38. Sua schiera,
Uccide Sinettore, 46 , 47. Sue prove, 92 . V, 7. Insegue Folco, 55. Suo valore, 61.
Uccide l'Alpatrice 111. Colpito dal Po- Pugna con suo padre Guidone, 64 e seg.
vero, 112, 113. Pugna in nave coi Sara- Suoi fatti, 94. Golpisce Lionetto e gli
cini, VI, 34. Pugna col Povero a corpo toglie il cavallo Sinettore, 113. Armato
a corpo, VII, 21, 33 e seg. Lo abbrac- cavaliere da Tibaldo, VI, 95, 96. Ama
cia riconosciutolo per fratello. Agg. 1, Aleandrina, 99, 109, VII, 1 e seg. Ac-
106. Scelto a pugnare contro i giganti, cetta terminar la guerra combattendo a
136, 160, 173. E ucciso, 177, 278 . corpo a corpo con Lionetto, 24 e seg. 33.
Lionetto, o Lione Spinetto, III, 30. Vedi Come venisse ingannato da Falcone, 70
Lione Spinetto . al fine. Vede lo spirito di Falcone e fug-
Luigi, figlio di Carlo Magno, re di Fran- ge d' Ascalona, Agg. 1, 9. Sposa celata-
cia, I, 32. Sua schiera, V, 19. Entra mente Aleandrina, 32 e seg. Esce di
in battaglia, 72. Ingannato da Falcone, Ascalona e passa al campo de' Franchi,
VII, 57 e seg. Concede a Tibaldo la pa- 61, e seg. Chiede l'amicizia del re Lui-
ce, 108 alla 126. Accoglie il Povero. gi, e il perdono del padre, 83 alla 86.
Agg. 1, 81. Rotta la tregua da Tibal- Scelto a pugnare contro i giganti, 136,
do propone una battaglia decisiva di 160 e seg. 193. Abbraccia Calvaneo, 300.
sei contro sei, 121 e seg. Parla ai suoi, Parte da Parigi con Ciriffo, 318. Dispu-
136. Li accoglie vincitori, 112. Con- ta col gigante Caosso e lo battezza, 327
chiude la pace con Tibaldo , 218 e e seg. 385. Prende le vettovaglie d' Ir-
seg. Manda soccorsi a Ciriffo e compa- lacone, 393 e seg. 404. Passa con ar-
gni in Costantina. Agg. III, 344. Acco- tifizio per mezzo il campo d' Irlacone,
glie in Parigi il Povero e sua brigata, 422. Entra in Samastia, 433 e seg. Ac-
628 e seg. colto da Carsidora, 436. Sfida Irlacone
e Brunadoro a battaglia, 453. Va a rac-
Lumacone, gigante. Agg. I 143.
coglier le vettovaglie, che abbandonarono
409 INDICE DELLE MATERIE 410

il giorno le scorte d'Irlacone, 478. Re-


spinge tre assalti de' nemici, 489 e seg.
Pugna con Carbone gigante e lo uccide, S
594 e seg. alla 629. Tratta con Andreo-
ne, II, 17 e seg. Accetta le proposizio-
ni di Bisantona, go e seg. Insegue Ir-
lacone e l'uccide, 120 e seg. Libera Ci-
riffo, :81 e seg. É preso da Carpisante Salamech, gigante, VI, 87. Agg. 1, 142,
mentre voleva romper la porta della 160, 165. Ucciso, 182, 183 .
rocca, 239. Liberato da Brunaspina figlia Salisbrech, gigante, VI, 87 .
diCarpisante, 253 e seg. Suo lamento, Sansone. Vedi Gaosso.
273. Fugge con essa, 288 e seg. Epre- Scanderbech, gigante, VI, 83 .
so dai corsari , 326 e seg. Trova Ciriffo Searinci o Gattarugia, gigante, VI, 86.
in una nave di corsari e dopo una bat- Scarpiglione, gigante, VI, 83. Agg. 1, 143 ,
taglia si riconoscono, 363 e seg. a 391 . 160, 183 , 184. Ucciso, 185 e seg.
Pugna con un leone e con un drago, Serpentone, gigante, VI, 91. Agg. 1, 143,
416. Indi con Sidilagi, 447. Ospite in 160, 196 .
casa di Aleandrina, 453 e seg. Giostra Sidilagi, figlio del Povero e di Aleandri-
in Tunisi, 584. Segue Sidilagi, che rapi na. Agg. I, 315. Udendo dalla madre
la corazza premio del vincitore in Tu- ch'egli è di stirpe cristiana, vuole ucci-
nisi, e gliela toglie, 593 e seg. E fatto derla, II, 402. Combatte con un leone
capi tano di Tunisi, 606. S'arma contro e con una leonessa, 405 e seg. Pugna
Sidilagi e gli Arbi, 635. In battaglia fa con Ciriffo e Sinefido, 444 e seg. Come
grande prove di valore, III, 1 e seg. venisse coronato re degli Arbi, 476 alla
Abbatte Sidilagi, 29. Ferisce Burello ed 510. Si prepara con tutti gli Arbi a scor-
i fratelli che lo assaltano a tradimento , rere il paese di Tunisi, 519. Giostra in
33 e seg. Abbatte Sidilagi e gli toglie Tunisi, 578 e seg. Rapisce la corazza
la spada e la riconosce, 48. Accetta l'in- premio del vincitore, ma la cede per for-
vito di Esdran al banchetto, ma vi si za d'armi a Sinefido suo padre , 589,
porta armato, conscio de' tradimenti, go. 590, 595 e seg. Uccide il re Tremeo , 606 .
Ace olto da Esdran, 112. Fa strage di Vinto dal padre, 611. Vinto nuovamen-
quelli che volevano ucciderlo, 130 e seg. te, III. 29. E ferito per la terza volta,
Si salva a Costantina 178 e seg. Dona 43 e seg. Suoi accordi con Burello, 72
il regno di Costantina a Siliametto, 190. e seg
. Chiamato in soccorso da Esdran
Lo riconosce per figlio, 192. Narra ad dà il sacco alla città, 155 e seg. Fale-
Aleandrina le sue avventure dopo la fu- gaconEsdran ed assedia Costantina,
ga d'Ascalona, 247 e seg. Sposa Bisan- 185 e seg. Odia suo padre e sua madre,
tona a suo figlio Siliametto, 285. Vuol 294. Sfida Sinefido, 299. Uccide Andreo-
combattere con Sidilagi che lo sfida a ne, 318 e seg. Pugna con Leone Sven-
battaglia, 300, 310. Suo dolore per la tura, 400, 413. Suo dolore per la fuga
morte d' Aleandrina, 378. Soccorre Leone di Sinefido, e compagni, 565. E avve-
Sventura, che combatte cogli Arbi, 405, velenato da Esdran, 597 alla 605 .
409 e seg. Invita Leone a venir seco in Siliametto figlio del Povero e di Alean-
Costantina, 422. Piange la morte di Gui- drina. Agg. I, 35. Educato da suo pa-
scardo, ed udito da Leone Sventura que- dre senza esser conosciuto , II, 474 e seg.
sti gli si palesa, 444 e seg. Lascia Co- Lascia la madre, e va alla giostra a Tu-
stantina e passa coll'armi tramezzo il nisi , 532. Suo valore, 602. Ha in guar-
campo de' Barberi, 536. Accolto dal re dia il campo, III, 103. Si palesa a suo
Luigi in Parigi, 633. padre, 192. Sposa Bisantona, 285 e seg.
Pulicane. Agg. I, 571. Uccide il Minotan- Soccorre Leone Sventura, 409. Lascia
ro, 617. E Brocante, II, 68. Ucciso dal Costantina e passa coll' armi tramezzo il
cancelliere, 227 e seg. campo de' Barberi, 536.
Sinefido. Vedi Povero Avveduto .
Sinettore. Soccorre Tibaldo assediato dai
Franchi in Ascalona, IV, 70. Sue schie-
re, V, 4. Abbatte Guiscardo, 25, 26, 46.
R Ucciso da Lionetto, 47 .
cavallo di Sinettore Trojano. Difen-
de il suo signore da Guiscardo, V, 35
e seg. Passa a Lionetto spontaneamen-
Rampaldo, accompagna il Povero al cam- te, 5r.
po franco. Agg. 1, 62, 77. Narra questo Soldano, manda un soccorso di 200 vele a
successo a Tibaldo, go. Tibaldo, VI, 22 .
Rubicante, figlio di Esdran, Agg. II, 565, Spinadosso, I, 576. Ucciso. Agg. II, 45 e seg.
570.
Rubicone, gigante, VI, 85 .
411 INDICE DELLE MATERIE 412

ni, 103 alla 121. Offre Aleandrina al


Povero, go. Agg. I, 23. Sua ira all'an-
nunzio della fuga del Povero, go e seg.
T Rompe la tregua e sfida Carlo , 119 e
seg. Vinto dai Franchi e Nerbonesi con-
chiude la pace, e paga il tributo, 219 e seg.
Venuto il tempo cerca di far vendetta dei
Tarabusso, gigante, VI, 83. Agg. 1, 142. Franchi e Nerbonesi. Agg. III, 351.
159, 188 e seg. 198 . Tranguglione, gigante, VI , 186 .
Tibaldo d' Arabia Petrea, I, 31 ; II , 47 . Troncavalle, castello, II, 77-
Accoglie il Povero ad Ascalona, IV, 38 . Tunisi . Giostra in questa città . Agg. II,
Munisce la città per difesa , 65. Sua 551. Bruciata dagli Arbi, III , 181 .
schiera V, 8. Viene a battaglia, 73 , 74,
98 e seg. Messo in rotta, 125, 126. Soc-
corso dai Saraceni, VI, 4 e seg. Con-
chiude per tre mesi la tregua con Lui-
gi, 62 e seg. Presenta ad Aleandrina
il Povero come suo sposo, 104 e seg.
U
107. Temendo de' giganti propone di ter-
minar la guerra a corpo a corpo, VII,
19, e seg. Scoperti i tradimenti di Fal-
cone lo fa impiccare, 66 al fine. Fug- Urbinel, figlio d' Esdran. Agg. II, 566.
gito il Povero d'Ascalona è costretto
a far tregua con Luigi per dieci an-

PR
CA

OT
A STI

CENO
OL
SC

18 ४
S' १५०१
S
INDICE

DE' CANTI DEL CIRIFFO CALVANEO

Al Lettore Pag. XVII Canto V Pag. 55


Vita di Luca Pulci . • » XXV Canto VI . "
75
Canto VII . » 91
*
Ciriffo Calvaneo, continuazione di Ber-
nardo Giambullari al poema di Lu-
ca Pulci . Parte I » 113

Canto1 . Pag. 1 Parte II » 209

Canto II » 23 Parte III » 303

Canto III " 33 Indice delle materie " 401


Canto IV " 43

*
IO
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31083

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