Ciriffo Calvaneo
Ciriffo Calvaneo
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è
un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l’utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Non
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell’intero testo di questo libro da http://books.google.com
PARNASO د
د
Taliane
४४०
TERO
(Volume Sesto
MONAS
SUBLA
ani no
Marc 6.Lali i .
oric inv.edi
h s.
Urania
VENEZIA 1841
CoTipidiGiuseppe Antonelli
Premiato di Medaglied'Oro
PARNASO ITALIANO
VI.
PARNASO
ITALIAN
VOLUME SESTO
VENEZIA
NEL PRIVILEGIATO STABILIMENTO NAZIONALE
DI G. ANTONELLI ED.
M.DCCC.LI
Non poría mai di tutti il nome dirti ;
Chè non uomini pur, ma Dei, gran parte
Empion del bosco degli ombrosi mirti,
Petr. Tr. d Amore, Cap. 1.
ツ
CIRIFFO
CALVANEO
DI
LUGA PULCI
CON L'AGGIUNTA
DI BERNARDO GIAMBULLARI
ei soli pred
VENEZIA
GIUSEPPE ΑΝΤΟNELLI EDITORE
TIP. PREMIATO CON MEDAGLIE D'ORO
M.DCCC.XLI
B
I
B
10
SOOLAS
E
Το Φ0824641
Al Lettore
b
LUCA PULCI
VITA
DI
LUCAPULCI
Splendesti co' germani ai medicei
Di pura luce ; e fur soggetto ai carmi
Ciriffo, Lora, la pietà, i tornei.
F. Z
VITA
DI
LUCA PULCI
Tutti coloro che scrissero della vita e tere ed arti antiche, che ognun sa ; per la
delle opere dei tre nobilissimi fratelli fio- qual cosa, nulla avendo su questo proposito
rentini, Bernardo , Luca e Luigi Pulci, rispetto a Luca Pulci ad aggiungere, verremo
convengono in questa onorevole sentenza, ad alcuni particolari intorno agli scritti che
aver essi coll' ingegno e colle opere due di lui ci rimangono, e innanzi tratto del
grandi beneficii arrecato alle lettere italiane. suo poema il Ciriffo Calvaneo.
Il primo ed il massimo fu l' avere aiutato H Tiraboschi, il quale riputava poco at-
il magnifico Lorenzo de' Medici nella glo- to a farsi leggere il Morgante, non fa nes-
riosa impresa di ritornare la lingua italia- suna onorevole menzione del Ciriffo Calva-
na in quello onore cui sollevata l'avevano neo, e nemmeno tocca di un particolare, che
il divo Alighieri , il Petrarca ed il Boccac- qualche raggio di gloria avrebbe potuto
cío, e questo a tutti tre i fratelli Pulci è spargere sovra esso, e che fu avvertito
vanto comune; il secondo è quello di aver dal Ginguenè. Il primo è che il Ciriffo
dato all' Italia nel Morgante un genere di Galvaneo si è pure sicuramente il primo
poesia non conosciuta all'antichità, e tutta- romanzo epico apparso dopo il Buovo di
vía particolare all'Italia, e questa è gloria Antona e la regina Ancroia, i quali altro
cui solo ha diritto il minore de' tre fratel- non sono se non lunghe narrazioni di favole,
li, Luigi, checché ne abbiano taluni pen- seritte in versi cosi scipiti e pieni di tanta
sato e scritto. Dopo questo, non potrebbe stranezza che l'animo mal regge alla let-
fare se non grandissima maraviglia la scarsită tura; Ginguenè però tace come questo poe-
delle notizie che di questi, tre meritamente ma, secondo che scrissero il Quadrio e il
celebri poeti, ci rimangono, quando il Tira- Tiraboschi, od è veramente, o fu ereduto
boschi non ci avvertisse, parlando del can- in gran parte lavoro del fratello di Luca
tor di Morgante, che ciò fu perchè la con- più celebre, l'autor del Morgante. Si aggiun-
dotta loro fu privata, e solamente rivolta ge come l'autore avendo lasciato questo
agli studii. Quindi è che nessuno ci avviso Ciriffo imperfetto, Lorenzo de Medici com-
di quali genitori nati fossero, e solamente ci mise a Bernardo Giambullari di condurlo
è manifesto ch'essi appartennero ad una a termine, e questo vi aggiunse tre libri, e
delle principali famiglie di Firenze per no- così venne pubblicato da principio. Ciò mo-
biltà, perantichità e per la molta parte ch'ella stra che a quei di quel poema non era te-
ebbe nelle fiorentine vicende : solamente di
nuto in lieve riputazione quando si voglia
Luigi sappiamo perconghietture l'anno della recare ad onore di Luca Pulci la sorte co-
nascita e della morte, ma non di Bernardo mune a tutti i grandi epici di avere avuto
edi Luca; e finalmente sappiamo che tutti un continuatore , come furono Quinto Ca-
e tre vissero cari ed onorati a Lorenzo de labro ad Omero, Maffeo Veggio a Maro-
Medici, quel grande ristautatore delle let- ne, Camillo Camilli a Torquato. Aggiungi
XXV111
XXVII VITA DI LUCA PULCI
che nelle edizioni posteriori all'originale del figliuola, rimase sugli Appeunini, e fu l'origi-
Calvaneo fatta in Venezia l'anno 1535 in
ne di que' semidei che abitarono que' monti .
4.º e subitamente in quella de'Giuntidi Fi- Ivi la Driade Lora figliuola di Apollo è
renze del 1572 egualmente in 4.º si rigetta- amata dal Satiro Severeo figliuolo di Mer-
rono i tre canti del Giambullari; e furono solo curio, e corrisponde al suo amore. Diana a
ritenuti sempre i sette di Luca. Questa cir- punirnela trasfornia il Satiro in liocorno.
costanza aggiunta alle ripetute edizioni del Lora l'insegue alla caccia e lo trafigge di
poema è ad esso nuovo argomento di lode' sua mano, dopo di che è cangiato in fiume.
In ultimo non lascieremo di allegare Anton Lora la quale senza conoscerlo l'uccise lo
Francesco Grazzini detto il Lasca, il quale va chiamando per le foreste: unaninfa le fa
fa menzione del Ciriffo in una sua canzone, noto che credendo ferire un liocorno avea
dove rimprovera a Giovanni Fantini il non trafitto l'amante. Ella volge contro il pro-
aver salvato col pericolo della propria vita prio petto il dardo omicida, ed Apollo la
certo giovinetto che s'affogo in Arno, men- trasforma in rio, unendola per sempre al
tre passeggiava lungo il fiume in sua com- fiume Severeo. Ciò viene a significare che
pagnia. Con ció, egli dice, tu avresti ottenuta Lora si slancia in esso fiume, il quale scorre
la gloria di un semideo, e degli eroi più in una parte della Toscana. Ginguenė osserva
ſamosi per vicendevole amicizia. che siffatte trasformazioni erano allora assai in
O Ercole, o Tesco, voga, come lo furono anche appresso, che
Il Povero, e Ciriffo Calvanco, possono per verità aprire il campo a varie
Tito e Gisippo non pur vinto avreste, descrizioni e belle pitture, ma che il poema
Ma Pilade ed Oreste. di Luca è troppo ingombro di accessorii.
Senza negar questo difetto , osserveremo
Comunque si prendano questi versi atte-
stano pur sempre che questo poema a' suoi d'altro lato che l'argomento medesimo ac-
di godeva una fama popolare, e a' dotti non cenna nel poeta un animo inchinevole al
era ignoto. Resta a vedere quai pregi pos- patetico ed al delicato.
sa contar tuttavia perché non riesca inde- Luca Pulci è anche autore di egloghe starn-
gno della seconda parte di quella sua an- pate nel 1484, del primo volgarizzamento
tica condizione . delle Buccoliche di Virgilio, d' un altro poe-
Non fu questo però il solo poema com- ma sulla passione di Cristo, stampato in Fi-
posto da Luca Pulci : un altro ne pubblicò renze del 1490 in 4.º, nel quale pare non
abbia altro merito che di essere stato dei
col titolo Driadco d'Amore, la cui prima
edizione, dice Tiraboschi, essere quella del primi che trattarono quest' argomento, del-
1491. Questo poema dal Tiraboschi è det- le stanze per la giostra di Lorenzo de
to romanzesco al par del Calvaneo. Se per Medici, egualmente celebri per ciò solo che
genere romanzesco il Tiraboschi intendeva perdettero l'onor della vittoria al paragone
quello appunto del Furioso, lo storico nostro delle maravigliose di Agnolo Poliziano ;
finalmente di sedici Eroidi imitate da Ovi-
certo s'inganna, perchè il sommario di que-
sto poema lo mostra una cosa tutta pastora- dio, ma solo nel titolo e nell' intenzione,
le. Una Driade la quale avea tenuto dietro perchè prive di ogni colore poetico. E que-
a Cerere, mentre andava in cerca della sto è quanto ci venne fatto raccogliere di lui .
:
CIRIFTOO
DI
LUCA PULCI
DI BERNARDO GIAMBULLARI
1
DI
LUCA PULCI
CANTO PRIMO
111
E non invoco voi, sacre, che al monte Non sono a Mirra al suo dolore eguale
Scandete i versi, ove il caval Pegaso Ond' io m' avvolgo il laccio al collo, o Fille;
Fece nel sasso quel famoso fonte; Perche più arde il mio foco fatale,
Ma Vener, che d'amor colma ogni vaso, E son già presso a l'ultime faville.
Aspiri, e volga la benigna fronte, Non fa il colpo d'un arco, e d'uno strale?
Di Paliprenda al doloroso caso, Tu piangi, Deidamia, sol d' Achille :
Che sola in selva, misera e infelice, Io piango, e piangerò, e pianger deggio,
Sè stessa piange, e poi mormora, e dice : Ed ho paura ancor di pianger peggio.
3 CIRIFFO CALVANEO 4
VII XIV
O sventurato, o mal concetto, o reo Non era ancora il suo termine giunto,
O maledetto , o folle sponsalizio, Ch' ella dovesse il mondo abbandonare ;
O Giunon violata, o Imeneo, E come piacque a Dio , quasi in quel punto
Voi non foste presenti al vostro ufficio ! Quando volea la spada insanguinare ,
Cosife' Demofon, cosi Teseo, A caso ivi un pastore è sopraggiunto,
Così Giason, poi pianse altro supplizio ; E grido forte: Donna, che vuoi fare ?
Deli, sia di voi la maggior gloria quella Che cosa è questa, e che pazzia ti tocca ?
D'aver tradita una vil femminella : Non vo' per nulla che tu sia si sciocca.
x XVII
Or non crediate, donne, a tanti giuri, Lascia la spada, e dimmi qual follia
A tanti prieghi con lagrime sparte; T' induce a questo, o qual infernal furia:
Prima che il vostro onor si falsi, o furi, Questo non piaccia al ciel, nè vo che sia,
Fuggite i versi, e le vergate carte, Che tu faccia a te stessa, donna, ingiuria ;
Che non curan gli amanti gli spergiari. Forse che quel che non è pensi che fia
Misera, oimè, con quanta astuzia ed arte Cagion che la tua morte affretta e infuria.
Promettendo ogni Iddio, ver testimone, Cosi dicendo a lei la spada tolse,
Mi prese in Francia in Aringa Guidone ! Ond'ella irata a quel pastor si volse,
XI XVIII
Anello infisso in or, ricco topazio, E disse : O me, qual fato, o qual destino
Che mi donò per segno il mio amadore, Ti manda, o vecchio, a turbar la mia pace?
Testimon se' del non dovuto strazio, Lasciami andar al mio fatal cammino ;
Come tu fusti al nostro lieto amore : Dove son l'alme aflitte in contumace,
Se della morte mia non è quel sazio, Forse tu vien dall' infernal confino .
Volgasi al figlio lo efferato core, Il benigno pastor savio non tace:
Ch'i' voglio il corpo sparare ed aprire, Non temer, disse, io guardo qui le pecore
Onde quel possa nascere ed uscire. Palpami e tocca, i' son chiamato Lecore.
XII XIX
Io sento che nel corpo si dimena, Non so s' egli è mia grazia, o tua fortuna,
Chal nono mese son vicina e presso; Che tu sia qui cosi sola arrivata :
Forse del lamentar mio sente pena: Or nota, a questi giorni ne venne una
Parmi vederlo in terra genuflesso. Alla capanna mia si sconsolata,
Non sarò Progne cruda, o Filomena ; Che vita e morte ugual gli era importuna;
Non vo come Medea far tanto eccesso . Piangendo si dolea d'esser mai nata,
Figlio, io ti lascio solo in queste selve, Lattava il petto suo un picciol figlio,
Tu sarai cibo alle spietate belve. Ch' al faretrato Arcier to rassomiglio.
XII XX
Forse avverrà a te, come già avvenne Intesi la cagion poi del suo pianto,
A Ciro ancora, od al pastor Troiano, E porch'io l'ebbi per pietade inteso,
Che l'uno e l'altro poi famoso yenne; Io l'ho tenuta consolata tanto,
O a quel primo felice Romano. Che in parte s'è già alleggerito il peso.
Era pastor, poi il santo reguo tenne, Tutto'l di suono la zampogna, e canto,
Quel che uccise Golia non con sua mano. Il mele, e il latte liquido e rappreso
Jo son disposta una volta morire, Gli porgo spesso, e molte frutta e fiori,
Che più non posso vivere e languire . Grillande d' erbe di soavi odori .
5 6
CIRIFFO CALVANEO
XXI XXVIII
Lascia questo tuo pianto afflitto e rio, Il padre mio Alessandro di Piro,
Lascia i pensier di stati o di ricchezza ; Del sangue di quel Pirro de' Pırroti,
D'ogni cosa ringrazia e prega Iddio, Mi fece sposa del gran re di Tiro,
Che ti dia pazienzia con fortezza ; Fratel del re Tibaldo (or ſa che noti),
Forse che il ciel sarà benigno e pio, Ma nol potei veder, dond' io sospiro,
E leveratti dal core ogni asprezza : Che si mori : io feci essequie, e voti
Non manca a ognun la sua pietosa manna; Vedova sempre star, celibe, e casta,
Viene con meco ora alla mia capanna. Ma il voto senza l'opera non basta.
XXII XXIX
Pensi tu, nobil donna, per morire Io facea sacrifici alle sante are,
Acquistar grazia in cielo, o in terra fama, Io facea sempre prece, ed orazione
O qualche error commesso ricoprire, Che si dovesse a me manifestare,
Perch'io non so de' tuoi casi la trama ? Poi che in vita nol vidi, in visione ;
Perdona a me s'io erro nel mio dire, Tanto che in fine una notte m'appare,
Vieni a veder questa misera e grama, Ch' ebbe di me pietà forse Junone;
Che porta paziente ogni suo duolo, E di nuovo la fede detti a questo
Epensa or sol nutrire il suo figliuolo. Sempre in abito star vedovo onesto.
XXI XXX
Rispose al savio vecchio Paliprenda: Per questo più m'è contro il mio peccato,
Caro Pastore, io prego il Padre Eterno, Per questo mai più al mondo sarò allegra,
Che merito per me giusto ti renda; Per questo il voto è poi più violato,
Io era mossa andar giù nell' inferno, Per questo or sono a forza in vesta negra,
Or vo'venir con teco, acciò ch'io intenda Per questo ogni supplizio ho meritato,
Di quella donna i suoi casi, che ferno Per questo la mia istoria non è integra ;
Che la sia capitata ne' tuoi boschi Convien ch' io dica pur la mia tristizia:
Deh, fa, per Dio, che presto io la conoschi. Io n' andai in Candia alla bella Anfilizia .
ΧΧΙV XXXI
Disse il pastor benignamente: Aspetta, Soggiornando ivi con essa alcuno anno,
Epoi si volse e la zampogna prese, E'l re Tibaldo d' Arabia Petrea,
E suona, e tutte le pecore alletta, Da Guglielmo d' Oringa avuto danno,
Ch' eran pel bosco pascendo distese ; Che Tiborga sua sposa tolto avea,
Poi prese per la man la poveretta, Avea lasciato d'Egitto lo scanno
E in picciol tempo, destro pel paese, Con centomila armati alla mislea,
Alla sua capannetta meno quella, E posto intorno ad Oringa l'assedio
Dove si sta quell'altra meschinella. Istretto si che non v'era rimedio.
XXV XXXII
Talvolta i tortolin del nido tratti E l'uno e l'altro alla battaglia ria
Portava a consolar l' afflitte e sole; In campo sempre insieme stette saldo:
Talvolta i paneruzzol, ch'egli ha fatti, Il re d' Esdram mandò di Barberia,
Che traboccan di rose e di viole ; Per aiutare il genero Tibaldo,
Talvolta portó lor bizzarri orsatti, Malducco re, con gran cavalleria,
E parmi già sentir queste parole, Famoso in arme, molto ardito e baldo:
Che l'una sventurata all' altra dica Questo al principio, nelle strelle risse,
De' casi avversi, e d'ogni sua fatica. Il re di Francia in gran paura misse.
XXVII XXXIV
XXXV XLII
Onde per questo Malducco di Ramma Non meno più che cento de' suoi armati:
Si tenne tra' pagan' vituperato . Tra questi fu Guidone il mio marito,
Acceso d'ira ardeva come fiamma : Guiscardo Altimonier, e nelli aggnati
Folco ogni giorno fra le schiere armato, Passò per forza insino al nostro lito.
Come un leon per selva drietro a damma, In parte gli stendardi ebbe assaltati :
Tanto lo strinse e tanto l'ha infestato, E il re Maldueco già s'era fuggito.
Che e' fecion sopra del Rodano un ponte, Anfilizia sentendo il gran romore
E quel passaro e chiusonsi in un monte. Volle Folco veder, ch'ardea nel cuore.
XXXVII XLIV
Era già sparso in tutto l'universo Foleo, figliuol del valoroso Ughetto,
Del glorioso giovane la fama, Fe' riverenzia alla madonna nostra,
E vulgarmente si cantava in verso: E innanzi a lei si trasse un ricco elmetto,
Folcodi Fieravilla il ciel ti chiama. Onde la crespa chioma e bella mostra.
Questa novella venne a caso verso Or questo è quello stral, che passò il petto!
Candia, e la bella Anfilizia fe' brama Io m' accomando alla signoria vostra,
Intender le virtù di quel signore, Disse, madonna, e volse il suo destriere,
Ed accesa per ſama è del suo amore. E passa in mezzo di tutte le schiere.
XXXVIII XLV
E finse a me con simulate note : Amore il cor d' Anfilizia più infiamma,
O Paliprenda, mia diletta, io sento Come fiamma più il vento innalza sue :
Che il re Luigi Tibaldo percuote, Ella si strugge dentro a dramma a dramma ,
E stretto l'ha con sì grave tormento, Quasi di Meleagro il fuoco fue :
Che parria strano, essendo io sua nipote, Non sa chi sia più Malducco di Ramma,
Non metter presto le mie nave al vento, Pensa di Folco, e le prodezze sue,
E pe'liti cristian passare e scorrere E mandogli un messaggio, e cosi scrisse,
Con gente armate, e Tibaldo soccorrere. Che a lei segreto nel campo venisse .
XXXIX XLVI
I' son di tutta l'isola regina, Folco altresi, che all'opera era atteso ,
E'l padre mio senza figliuoli è morto, Come fu dato l'ordine fra loro,
Giovane, bella, onesta e peregrina; Venne non manco d' Anfilizia acceso,
Le navi in punto bo preparate al porto : Come fecion que' due già al gelso moro.
Di riverenza sai ch'ognun m' inchina. Guidon che gli avea seco, era sospeso,
Che debbo far ? deh, dimmi il vero seorto, Solo, e pensoso a piè d'un bello alloro ;
E rispondi benigna al mio sermone. E mi chiamo, e disse : Donna, vieni
Ond' io risposi al fine: Tu hai ragione. A star qui meco, e compagnia mi tieni .
XLI XLVIII
Ella ordino tremila cavalieri, Lassa! pel tanto suo dolce parlare,
Greci sperti nell'arme, e parte Italici, Io m'accostai , o sventurata, al loco:
E quattro mila valorosi arcieri, làn da tro E cominciò con meco a motteggiare,
Altri pedestri al modo de' Tessalici, zad Por d'amor sottraendo a poco a poco.
E trenta nave a' venti di leggieri , Vero è il proverbio, e non si può negare,
Per passar quindi poi ne' regni Galici Non metter l'esca troppo presso al foco;
Iventi, e'l mare, ogni cosa s'umilia: 4 E non tentar delle donne la fede,
Ponemmo in terra a' liti di Marsilia. Ch'ella è fallace e più che l'uom non crede.
9 CIRIFFO CALVANEO 10
XLIX LVI
Cosi passò alcun tempo; e intanto scrisse Io nacqui in Roma, e Massimo mio padre
Folco più volte ad Anfilizia, e messi Mi fece sposa di Lucio Fabrizio,
Mando, e sempre il suo amor gli promisse: Di cui l'opere assai furon leggiadre ;
Guidone a me, che ferma sposa stessi, Loco non ebbe il nostro sposalizio,
Ed io a lui, che di nuovo venisse, Perchè e' mori fra l'armigere squadre ;
Eche lettere più non mi scrivessi : Io feci esequie anch'io e sacrifizio,
Si che più volte poi quello a me venne, Ela sua morte piansi sopra lui ;
E le promesse sue ferme ancor tenne. Vedova, e sconsolata un tempo fui.
LIV LXI
Un di fra gli altri al campo ritornato Novecento anni poi che Gesù Cristo
Con Folco tanto furioso scorse Si fece umano, il Pontefice santo,
Che fu al padiglion nostro arrivato, Per mandar su nel ciel l' anime a Cristo,
Anfilizia a veder con meco corse; Del suo Cefas il glorioso ammanto
Etrasse fuor la spada ch'avea a lato Spiegò nel tempio, e dinunzió per Cristo
Rigida, e disse, poiché a me la porse, Solenne giubileo, devoto tanto,
Nessun mi vince, fuor che il tuo bel volto: Ch'a tutto l' universo, essendo noto,
Eperò solo a te mi dono sciolto. Gente assai venne a sotisfare al voto.
LV LXII
Cosa fu grande al pensar quel che 'l giorno Fra gli altri un degno e si gentil barone,
Fecion nell' arme i valorosi , e forti: Che fu principio a miei miseri affanni,
Egli avean sempre mille o più dintorno : Un altro Ganimede, un altro Adone,
In un momento eran feriti o morti ; Che non aveva ancor, credo, vent'anni,
Tanto che salvi al fin fecion ritorno Vi venne dalle parti d' Aquilone,
Dentro ad Oringa, e non chiuson le porti, Anzi per me dagl' infernali scanni,
Ne giorno o notte eran guardie alle mura, Ch'era figliuol del grande imperatore
Come color che non avean paura. Chedi Costantinopoli è signore.
12
11 CIRIFFO CALVANEO
LXIH LXX
Antandro il nome suo volgar si chiama: Fessi in Testaccio una caccia famosa,
E come a Roma quello fu arrivato, E in campo Mierlo a sua magnificenzia ;
Pensa, in un tratto si sparse la fama; Mostrossi ogni reliquia preziosa
E molto fu da' Romani onorato, E'l Volto santo con gran riverenzia .
Tanto che ognuno di vederlo brama : Andò per Roma veggendo ogni cosa,
E prima al Campidoglio fu menato Che ancor pur mostra della sua eccellenzia,
Con gran trionfo, ed ordinaro, intanto Contemplando i superbi alti edifizii
Ch' a visitare andasse il Padre santo. E in compagnia di lui tutti i Patrizii.
LXIV LXXI
Un giorno a san Giovanni Laterano, Fra gli altri Fabio, un mio fratel più caro,
Un nostro tempio venne a visitare Avea sempre con seco il primo a lato ;
Con gente assai, che pareva Africano, Né creder tu che mi fosse discaro,
Che il popol tutto il volse accompagnare ; Perchè chi ama è giusto che sia amato,
Io m'arrecai dalla sinistra mano E quel che piace al ciel non v'è riparo ;
Con altre donne il giovane ammirare, Quel falsoArcier, che 'l cuor m' avea furato ,
Mentre a certa basilica era intorno, Mi dette un dì sì temerario ardire,
Tanto che gli occhi un tratto si scontrorno. Ch'io cominciai cosi con Fabio a dire :
LXV LXXII
L'aspro bendato e faretrato Amore Fabio, io penso pur meco quanto onore
In mezzo a quei del giovanetto apparse, V'ha fatto, tante volte, e tanti doni
Che gittaron un lampo, uno splendore, Questo figliuol del magno imperadore :
Ch' ogni senso, ogni spirto incese ed arse, Voi non siete patrizii, degni o buoni,
E passaron per gli occhi i raggi al cuore : Non far qualche convito a quel signore:
Ogni altra cura, ogni pensiero sparse ; S'io dico troppo, io vo' che mi perdoni,
E guardando più volte il nobil viso, Che teco a sicurtà per tuo onor dico,
Giurato avrei, ch'io fussi in paradiso. Sendo costui del nostro sangue antico.
LXVI LXXIII
Ferno i Romani a lui massimo onore, Io che fingevo star vedova, e trista,
Come conviensi a principi alti, illustri, Mi fu quasi per forza comandato
Sendo figliuol d'un tanto Imperadore ; Ch'io dovessi anch'io far di festa vista ;
Gli antichi giuochi Aliensi armilustri, El nero manto mi fu via levato,
Furon parati al teatro maggiore, E fatta guida a la leggiadra lista.
Come solevan ne' passati lustri ; Già era il loco, e'l tempo preparato,
In agon si faceva ogni di giostra, Dal balcon d' Oriente alzato il raggio,
Nè mai più lieta ſu la città nostra. Nella stagion del bel mese di maggio.
13 CIRIFFO CALVANEO 14
LXXVII LXXXIV
Come ordinato fu n'andammo prima Or piacessi a colui, che 'l può sol fare,
Le donne fuor delle romane mura ; Che voi volessi, donna peregrina,
Ed ordino, per far di quel più stima, Venire in Grecia con meco abitare,
Fabio, ch' a ogni cosa aveva cura, Ch'io vi farei d'ogni cosa regina!
Buffon, sollazzi , suon, cantori in rima , Ch'io veggio in voi più che in altra abbondare
Dove era un prato con fresca verdura ; Grazie, he a pochi il ciel largo destina :
E impose con le donne io quivi stessi, Cosi vi dò come sposo la fede,
E incontro al giovinetto mi facessi, E come prigionier chieggo mercede.
LXXVIII LXXXV
XCI XCVIII
Esendo Antandro in Roma ritornato Tra santo Angelo, il Cavo, e Spartivento,
Con l'altre donne insieme mi rimasi : Passato il golfo, trovammo Modone,
E combattea con la ragione a lato E poi nell' Arcipelago là drento
Il senso in mezzo agli amorosi casi ; Sempre infino al calcese l'artimone,
E di seriver più volte ebbi tentato, Con fresco mare, e in fil di ruota il vento;
E cominciai, poi le lettere rasi Dipoi in un tratto si misse Aquilone,
Quando pensai di fidarmi d'un messo, E cominciò a soffiar, tal che fa forza
E così il mio pensier cangiava spesso. Col terzuolo alfine caricar l' orza.
XCIX
Ma loi, che non minore il duolo avea, Venne la notte oscura e tempestosa,
Ebbe alcun mezzo, ed un breve mi scrisse Il vecchio Egeo cominció a mugghiare,
Segretamente, e quel ch'e'contenea E minacciava la nave ogni cosa ;
Per discrezion m'intendi, o quel che disse; Era proprio a veder la notte il mare
Ed io risposi, perch'ei mi scrivea, Una valle d'inferno paurosa ;
Che destramente la notte venisse: Antandro pur mi volea confortare,
O lassa, sventurata me, ch'ei venne Ma io sentiva il cuor come il mar frangere,
E nelle braccia sue mi strinse e tenne ! E del peccato mio cominciai piangere.
XCI C
Prima sposommi, io non volli altrimenti, E dicea: Lassa, s'io fossi ora in Roma
Che pur l'anima mia dannar m'increbbe; Nella mia zambra, io viverei sicura:
E mi fe'mille, giuri e sagramenti, La giustizia del ciel mi segue e doma,
Ch'altra sposa di me mai non arebbe ; Ed ho del corpo e dell'alma paura.
Ma la fede d'amor ne porta i venti. La nave getta e la stoppa e groma,
Pianse alcun quel che volle poi che l'ebbe, Per le percosse con molta giattura :
(Proverbio accomodato a pensier folli) Antandro presso la morte vedeva ,
Vedi ch'io piango ancor quel ch'io pur volli. E le commesse colpe allor piangeva.
XCIV CI
Eper far breve il mio ragionamento, Noi trascoremmo per tutti que' mari ,
Noi ci accordammo di dover partire: Che'l vento l'un con l'altro combattea ;
Jo fe' mal tosto; ora ad agio mi pento, Ed or vedemmo Pari, ora Antipari ,
E cosi tosto il parlar vo' finire : Talvolta i Colchi ove mal fe' Medea,
Una notte le vele demmo al vento, Di Pafo, e Cipri, e i suoi luoghi più cari
Però che'l tempo ci volle servire, Dove fu adorata Citerea,
Giù pel fiume del Tevere alla china, Ed Andria, e dove Lesdille si chiama,
Fin che noi fummo a largo alla marina. Dove il tempio d' Apollo ebbe gia fama.
XCV Cl
Cosi lasciai la patria, e'l mio fratello, Noi vedemmo le Smirne antiche, e'l Nilo,
Ch'io non dovevo riveder giammai , E l'isola ove fu già il Laberinto ;
E pel cammin mi confortava quello : Talvolta un vento si metteva a filo ,
Il tal paese, o isola vedrai : Ed insino a Tenedo n'ebbe sospinto;
Tu vedrai Ilion, che fu si bello, Tal volta a Scio, Corfu, Corona, o Pilo,
Edove fu rapita intenderai Dulichia, e l'alta silvestra Giacinto,
Elena, che ha di bellezza la fama, Girando in qua e in là n'andava il legno:
E'l Citri ancor dal suo nome si chiama, Parea che il cielo e'l mar ci avessi a sdegno.
XCVI CHI
Gli antichi il monte disson Citereo, E cosi molto alla fine girando,
Dove Vener già al mondo andava a caccia; Poi che tutti gli Dii furno sfogati,
Tu vedrai il mar dove mori Egeo, Dalla man destra indietro ritornando,
Nè credo che ancor Delo ti dispiaccia, Egualmente col legno faticati,
Dove dava responso Apollo Iddeo; Venimmo in certa parte capitando,
E cosi mentre il mare ebbe bonaccia, Ove mal fummo a ridosso ormeggiati ;
Per veder Ilion, per veder Delo, Quivi il vento alle Strofade ci mise,
A me parea con man toccar già il cielo. Ove arrivò il Troian figliuol d' Anchise.
XCVII CIV
CV CXIT
Era il bosco d' Arpie già tutto pieno, Era una nave d'un certo pirate,
Galate in terra, e cerchio m'avean fatto , Che veniva da Tenedo a predare :
Con volto umano, e benigno, ed ameno, E poi che più mi si fu appressato
Ma il resto tutto parea contraffatto; Mi feci sopra uno scoglio a mirare,
E'l capitano era innanzi, Cileno, Se fusse Antandro per me ritornato,
Che m' avea con gli artigli più d' un tratte Ch' ancor volesse la fede osservare ,
Graffiati i panni, e credo che tu pensi, E perdonargli ogni fallo commesso,
Che mi dovea il cor tremare e i sensi. Fin ch'io conobbi poi l'error d' appresso.
CIX CXVI
Tosto duol sentirai delle mie colpe ; E non avevo in tre giorni mangiato,
Ecosì detto mi volsi alla riva, Se non certe erbe, e con fatica, e ingegno,
Benchè e' tremavan si l'ossa alle polpe, Ch'io avea sempre quelle fere a lato.
Ch'io era quasi come semiviva : Efinalmente alla nave fei segno,
Ecome fanno le gazze a le volpe, Che intese ben com' io ebbi amattato,
Quello stormo d'uccei drieto veniva E dirizzossi alla volta mia il legno ;
Con urla, strida e spaventevol voce, E poi che gli ebbe varato il battello,
Che parean tratte delle infernal foce. S' appresso tanto, ch'io sali in su quello.
CXI CXVIII
Poi ch'io ebbi scoperta la marina, Giunto il corsal, ch'era chiamato Arguto,
Altro non vidi, che isolette e scopoli, Mi prese per la man con discrezione,
Edissi : Or va, che la crudele Erina E disse: Donna, di voi m'è incresciuto,
Venga con teco al tuo Costantinopoli : Non vo' del caso cercar la cagione :
Or fatta m'hai , qual dicevi, regina : Lodate Iddio, ch'io mi son qui abbattuto,
Cosi scrisse il Troian ne gli alti popoli Ouer farovvi per compassione,
Nella scorza, ch' ancor n'è testimone, Ch'a ognuno avvenir questo potrebbe;
Non lasciar la sua bella e vaga Enone. D' Adam siam tutti, onde di voi m' increbbe.
2
20
19 CIRIFFO CALVANEO
CXIX CXXVI
Dove to andrai il mio paese fia: Non si può star, madonna, in nave in agio,
La patria mía è la faniosa Esperia, Questo è proverbio anticamente detto:
Ond'io parti' con la disgrazia mia ; Chi dice navigar, dice disagio.
E s'io ho tanto mai di spazio o feria Avrei voluto per vostro rispetto
Che il mio figliuol ch'io porto nato sia, Parato aver qualche ricco palagio.
lo farò poi come gia fece Egeria, lo v'accomando a Gesù benedetto,
Se a mia morte le man non saran ponte, Che vi dia Raffael per compagnia :
In qualche parte di lagrime un fonte. Andro cercando la ventura mia.
CXXHI CXXX
Eprego te che mi pari uom discreto, Voi siete omai in paese abitato,
Per quello Iddio che ha fatto Sole e Luna , E trovarete o parente, od amico,
Che ti può fare ancor felice e lieto, Ed anche Iddio non v'avrà abbandonato.
Che tu abbi pietà di mia fortuna : Or nota, Paliprenda, quel ch'io dico,
E tuttavolta al tuo cammin va drieto . Che sempre un uom da bene in ogni stato
Di molte grazie a me basta sol' una: Riserba e tien pur del costume antico.
Questa per prima e ultima dimando, Io volea ringraziarlo, ed offerere,
Civé, l'onestà mia ti raccomando. Ma non potea le lagrime tenere.
CXXIV CXXXI
Disse il padron: Pel gran santo di Bari Ma sempre l'arò fisso inmezzo ' l cuore,
Vigiuro, o donna degna, e per santo Ermo, E si parti: io me n'andai soletta,
Nostri avvocati a perigliosi mari Sempre per boschi, d'uno in altro errore,
Ch'alle nostre tempeste sono schermo, Quando trovavo qualche capanetta,
Che non vi parrà esser tra corsari, Dove del latte mi dava un pastore ;
E in porto alcun non istarò mai fermo, E perchè lunga questa istoria ho detta,
Se il cielo o'l vento l'arà consentito, Acciò ch'io ponga una volta silenzio,
Ch'io vi porrò in Italia in qualche lito. Arrivai al fiume ch'è detto Bisenzio.
CXXV CXXXIL
CXXXIII
Io fui tentata far come fe'Progne Ecosì sempre intervien, che chi erra,
Al suo marito, e poi pietà mi tenne: La penitenza a fin non ha fuggita,
Ora hai sentite tutte mie vergogne, O vita breve, o cieca umana gente,
E come Antandro a Roma prima venne, Vanitas vanitatum veramente !
E come disse già mille menzogne, CXLI
E infino a qui ciò che di me intervenne:
E so che il lungo dir fa sempre greve, Pigliate esempio a Paliprenda, quale
Miete del tristo seme amaro frutto:
Ma non si può dir molto in tempo breve.
Non può più indrieto ritornar lo strale
CXXXVII
Sospinto un tratto: il primo error val tutto.
Ed ho pensier, come il figliuol mio fia Colui che vi par cieco, e bel con l'ale,.
Foor della infanzia, di menarlo al tempio Cieco non è, ma scelerato e brutto.
Sacrato in nome di Santa Sofia,
Vuolsi ostare al principio, ognun m'intenda,
Acciò ch'a tutto il mondo sia in esempio; Che così far non seppe Paliprenda.
O dove Antandro in altra parte sia, CXLIII
E poi del corpo mio far crudo seempio.
Or non vo'tinnovar più il mio dolore, Piangerà l'altra sventurata ancora,
Che più savie di noi già inganno amore. Massima, benchè pianto ha già molti anni,
Che ora pe' boschi soletta dimora.
CXXXVIII Deh! non sia ignun che sè medesmo inganni.
El'una e l'altra il suo ramarichio Sempre il giusto giudicio viene a ora ;
Posto in silenzio, attese a viver sulo Ma il giusto non è ignun che mai condanni:
Qual si fussi in lor fato avverso e rio, Un attimo, un sol punto è nostra vita,
Per passar tempo e mitigare il duulo; Ma la colpa mortale è infinita.
23 CIRIFFO CALVANEO 24
CANTO II
Poi che l'età del Povero Avveduto Ma non bisogna dir molte parole:
Venne di quindici anni, valoroso Massima qui sa ben con quanta fede
Quanto altro mai fussi al mondo veduto, (La qual d'abbandonar troppo mi duole)
V'ho nutricati della mia mercede
Si mostró bello, forte e grazioso;
E Calvaneo, che insieme era cresciuto Con quella carità, che il padre suole ;
Ne' boschi, ancor già nou tenea nascoso Ed or pensava d'ogni cosa erede
Quel che tornon si può quand'è pur nostro, Lasciarvi , e tante bestie e tanti armenti,
E il vero valor sempre è alfin mostro. Che tra pastor dovessi esser contenti.
11 VIRI
Eran l'opere lor dunque conforme Io non vi potea dar città, nè imperi,
Ne' gesti, ne' costumi, e ne' sembianti, Voi m'avete ogni cosa consumato,
Si che e' parean quasi gettati in forme : Troppo avuto al donar le man leggieri
Givano insieme per le selve erranti , Quel che col mio sudor m'avea acquistato;
Quando seguivan delle fere l'orme, Ed or siete cagion ch'io mi disperi,
Quando con altri pastor dolci canti : E son per questo dolore indozzato,
Ma in tutte le loro opre si vedia Veggendomi pur vecchio, e poco sano,
Onestate, eccellenzia, e leggiadria. E non aver un cacio a che por mano.
111 IX
Tutti ipastor, che appresso erano intorno Pur come padre con affezione,
S' avean fatti costor quasi soggetti ; Ch'altro padre, meschin , non conoscete,
Onde avvenia, ch'ad un suonar di corno Vi lascerò la mia benedizione,
Correvan tutti a questi giovanetti. La mia gonnella, il tabarro, e la rete,
Cosi la fama cresceva ogni giorno : La tasca, l'arco, il barlotto, e 'l bastone,
A lor compagni donavan cavretti, La ciota, il zufol, se apparar volete,
Le capre, il latte, gli agnelli, e le pecore, Che mai volesti (e quanto ve l'ho detto)
Che per dolor alfin ne mori Lecore. La bocca porvi, per più mio dispetto.
1V X
XI XVII
Al corpo mio darete sepoltura, Egli arebbon ben tolto, come Achille,
Com' io detti a tua madre già, Avveduto; ' Ulisse le spade,
Fra molte cose d
Acciò che morto io non abbi paura E fatto a queste gittar poi faville.
De' lupi più, siccome ho sempre avuto. Cosi si stanno per quelle contrade,
Jo veggio apparir già la morte oscura; Abitando in capanne, in boschi, e ville:
Pregate Iddio, che m'abbi ricevuto A luogo, e tempo ſien nelle cittade,
Nel paradiso in ciel per sempiterno, Non si può giudicar prima che ' l frutto
Che 'l fistol non mi porti nello inferno. Le cose a fior: conduce il tempo tutto.
XII XIX
Or questo è quel che Ciriffo volea: Guidone, il padre tuo, famoso tanto,
E cominció col Povero Avveduto T' ingenerò d'una donna reale:
Afar certi archi che apparato avea Poi la lasciò soletta in doglia e in pianto
Da un pastor che gli aveva veduto; Presso a Oringa, o lassa, quanto male!
Ed un turcasso di pelle ſacea, Mori qui, poveretta, e so ben quanto
E qualche strale di ſaggio pennuto; La piansi più che sorella carnale.
E cominciorno a seguitar gli stuoli Questa spada lasciommi per memoria,
Di cervi, e danii e mufi, e cavriuoli. Ch'io t'ho serbata, e raccontò l' istoria.
XV XXII
Poi parvon lor troppo vili animali, Il Povero Avveduto quando intese,
Ecominciorno con lacci e con morsi, Della sua madre tante pene e doglie,
E con li spiedi assalire i cinghiali ; E come sposa già Guidon la prese,
Poi cominciorno appiccarla con gli orsi, E ruppe fede, e ritolse altra moglie,
E far con essi battaglie mortali , Si turbo tutto, e di furor s'accese,
Ed ogni di son pe' boschi trascorsi : Però che bene ogni cosa raccoglie;
Ecome Meleagro, a quella e questa E giurò sopra l'ossa della madre,
Donano spesso delcinghial la testa. Che ne farà vendetta contra 'I padre.
XVI XXI
Quando facean palestre e quando pomi; Eda quel di mai poi si rallegrorno,
Enon corron piu destri i leopardi, E l'uno e l'altro tutto era pensoso:
Nė mai parevan faticati, o domi , Il Povero Avveduto essendo un giorno
Con atti fieri, e robusti, e gagliardi : Driete ad un cervio tutto furioso,
Quando con altri pastor salti, o tomi, Il qual trovò ch' avea gittato un corno,
Quando traevan pietre, e quando dardi, E poi sotterra l'aveva nascoso,
Quando saeltan, quando fanno corni, Correndo il bosco a traverso cammina,
Quando balestra di nassi, o d'avorni. E seguitollo insino alla marina.
28
27 CIRIFFO CALVANEO
XXV XXXII
E giunto appresso alla riva del mare, Era quel sasso levato su in alto,
Sendo già il Pover faticato e lasso, Tagliato intorno come una rocchetta :
E' vide il cervio nell' onde notare : Ferno al principio un furioso assalto,
Però fermossi , e riteneva il passo, Ma tristo a quel che la sua spada aspetta !
E comincio questo agurio a gustare; A molti fece nel mar fare un salto,
E per vederlo sali sopra un sasso, E questo, e quello e quell'altro giù getta,
E guarda bene ogni suo effetto fiso, Si che la furia si leva da dosso,
Tauto che fu da lui lontan diviso. Etutto il sasso di sangue ſe' rosso,
XXVI XXXHI
Poi vide a terra uscir del mare un tonno, Enon parea con quella spada certo
Che ſuggiva dinanzi a due delfini; Un pastor rozzo, un montanaro alpestro,
Né stette guari che, vinto dal sonno, Ch' era quasi allevato nel deserto :
Sopra quel sasso par che gli occhi inchini: Natura d'ogni cosa è il ver maestro;
Le cose destinate non si ponno E non era Chiron che l'abbi sperto,
Torre a' mortali i fati e gl'indovini : E fatto al giuoco della scrima destro;
Quivi dormendo il Povero Avvedato, Ma la turba di mare era soperchio,
Fortuna a'casi suoi ha provveduto. Che gli avea fatto intorno al sasso cerchio .
XXVII XXXIV
Cheti, e chinati vanno in terra scesi, Era tutto gentil di sua natura
E giunti ov' era il Povero Avveduto, Il Povero, e Falcon parea discreto,
Che si dormia con suoi pensier sospesi, E le parole a punto ben misura,
Lo sopraggiungon cosi sprovveduto; Si che in un tratto il suo furor ſa cheto;
Eparte scorson per altri paesi, E rimise la spada alla cintura,
Dove gli avevan bestiame veduto ; E rispose benigno e mansueto:
Epreson pecor, vacche, e donne, e schiavi, Io non son qui pastor, non guardo armento,
Eritornar colla preda alle navi . Ma non è uom di me peggio contento.
XXXI XXXVIII
XXXIX XLVI
Falcon, che gli mancava sol l'anello, Non so se inteso hai già che il re Tibaldo
Però che sempre la gioia avea seco, A Guglielmo d' Oringa mosse guerra;
Perchè sapeva ogni malizia quello, E per molti anni in campo stette saldo,
Un vecchio astuto, scalterito Greco, Per acquistare e la moglie e la terra ;
Tanto seppe ciurmare e porre orpello, Il re di Francia, di potenzia caldo,
Che il Pover disse: Io ne verrò con teco. Venne in aiuto, e, se il mio dir non erra,
Cosi n'andò dov'era Epidoniffo, Tibaldofu alla fine isconfitto,
Elasciò nelle selve il suo Giriffo. E fuggissi per mar verso l'Egitto.
XLI XLVIII
Il Pover, poi che in nave era rinchiuso, Vidi Guidone, il tuo famoso padre,
Rispose, come savio alle parole, La sorella di Folco per isposa
Edisse: Epidoniffo, io mi ti scuso Onesta torre, e far nozze leggiadre ;
La prima cosa, e dico ch'e' mi duole Ed altra volta, alla impresa famosa,
Avere alcun de tuoi rotto oggi il muso, Col re di Francia armato fra le squadre,
Come è usanza; or sia quel ch' esser vuole, Dove fu la battaglia sanguinosa,
Qui son condotto, e però dico innanzi, Col sanguedi Maganza e di Nerbona,
Chỉ sợ ch'al vostro suon couvien, ch'io danzi. Per assediar Tibaldo in Ascalona.
XLII L
Falcon mentre che parla avea guardato Rispose a questo il Povero Avveduto :
La spada, e poi quel riveggendo in volto, Io ho ben caro il tuo ragionamento,
Al proprio padre l'ha raffigurato; Che mai più del fratel non ho saputo;
Onde e' divenne stupefatto molto, E si sta in festa, ed io, misero, stento :
E disse : Epidoniffo, quel c'ha dato Ma se mai il tempo l'arà conceduto,
La natura, a goun mai non sarà tolto: Che ci servissi o la fortuna o'l vento,
Costoi, nelle parole alte e leggiadre, Io priego te, signor, se t'è in piacere,
Non par degenerato dal suo padre. Che in qualche parte io lo possi vedere.
31 32
CIRIFFO CALVANEO
LIM LVAR
Era Falcon de' fortunati amico ; Era in Marsilia il creder degli Iddei,
Cosi quando un vedea cadere in basso, Che non erano in Cristo battezzati,
Fatto l'arebbe ancor via più mendico, Ricetto a' tristi, scellerati, e rei.
E sopra il peso suo posto anche un sasso ; Quivi fuggian banditi e condannati,
E come io dissi, e' fa signore antico, E mori, e turchi, e marrani, e giudei ;
D'un regno, e poi per difalta fu casso, E se gli avean danar son ricettati,
Che l'isola tenea di Negroponte, Perchè il patacco sai ch'ognun umilia.
Dove e' fu natural signore e conte. Falcone adunque se n'andò a Marsilia.
LV LX
E poi gli dette de' suoi certi legni, Ecosi quando d'altra cosa ingiusta
Che potesse pigliar cristiani e schiavi ; Tentava alcuno, e che colui recusa,
E si faggi poi ne' Gallici regni, Sapea vela scambiar, l'orza e la fusta ;
Pentuto parve de' suoi eccessi gravi, Ed avea qualche malizietta o scusa,
E ritornò di Cristo a primi segni . Si che e' parea lui la persona giusta,
Il re di Francia gli dette le chiavi Quell'altro il tristo, come spesso s'usa :
D'una porta d'Oringa, ove il ribaldo Della vergogna io non dico e' l' asprezzi,
Volle darla una notte al re Tibaldo. Che come a madre egli faceva vezzi.
33
CIRIFFO CALVANEO 34
SE
MEN CANTO I
PR
OT
V
ARGOMENTO O
Aveva Antandro avuto un suo figliuolo
D'un' altra moglie, detto Costantino;
Ed ebbe un savio antico seco solo,
Che predetto gli avea, come indovino,
Benché e' non seppe annunziare il duolo ;
Massima cerca l'Avveduto, e'lduolo Madisse : O padre quanto se' meschino !
Al fin l
La morte tua col tuo figliuol t'è nata :
' ancide ; e Ciriffo trovato Cosi questa sentenza in ciel fu dala.
Ilpadre, imperador del greco stuolo,
L' ammazza; fugge a Roma, e battezzato VI
Massima la sua madre più angosciosa . Piùtosto, benchè il cor mi s'apre e'l petto,
Che di proprio figliuol, si duole e piagne, Perchè non è del proprio padre ufficio,
E come Ceres, trista e dolorosa In qualche parte me n'andrò soletto
Domandava per tutte le campagne, A far si brutto e crudo maleficio,
Senza spiar di lui mai niuna cosa : Acciò che mai non sia saputo o detto ;
E tanto andò per boschi e per montagne, Ma pensi e temi del cielo il giudicio.
Efa tanto'l dolor tenace e forte, Ond' e' rispose: Va con esso in pace,
Che in picciol tempo la condusse a morte. Uccidil pure, e in che modo ti piace.
111 IX
E Calvaneo non ha più lei, nè il Povero: Costui trovò una certa barchetta,
Fece il sepolcro alla misera madre, Ch'aveva un pover meschin marinaio;
Alato a Paliprenda sotto un rovero; E disse a quel : Tutti i tuoi remi assetta,
E termino di cerear del suo padre. Levami presto ch' io non sia il sezzaio ;
Di sedici anni è già, se ben annovero, Gente vien per pigliarmi molto in fretta.
Elascia de' pastor le rozze squadre ; E cominciò a suonar di Dio il danaio,
Eprese verso Grecia il suo cammino, Come fa il savio ne' suoi casi estremi:
Solo, e vestito come pellegrino. Si che presto a quel suon ballorno i remi.
IV X
3
10
VOLLSVIOUS S
7T
403
E
35 36
CIRIFFO CALVANEO
XI XVIII
Ciriffo aveva ogni cosa sentito, Ed è più tempo, ch' io n'ebbi paura.
Tanto seppe da molti investigare ; Nostro saper, sai, contra il ciel non vale;
E come il servo col figlio è fuggito, Cosi vuole il peccato o mia sciagura,
E come il savio uso pronosticare ; Forse questo sarà l'ultimo strale.
E dicea seco : E'ti verrà fallito, A mediei fu dato intanto cura,
Tu non hai ben saputo indovinare ; Che liberassin costui di quel male,
Ed or ti caccerò doppio coltello E credo adoperorno ogni loro arte,
Per vendicar mia madre, e'l mio fratello. Ma la storia noi chiama in altra parte.
XII XIX
Ora hai tu Antandro tutte le tue voglie Lasciamo Antandro a' medici in governo
Empiuto, e pensi di viver sicuro ; E Costantin, quando fia tempo a dire,
Tradita e morta l'una e l'altra moglie, Ritroveremo , e fia di fama eterno;
Occiso il figlio in quanto al tuo cor daro. Ed or di Calvaneo convien seguire,
Ma poco o nulla alla fine si toglie Che cavalcato avea la state e 'l verno,
Di quel che è dato nel tempo futuro : Tanto che s'ha in Italia a trasferire;
Tosto avverrà che piangerai te stesso, E rivide quel monte, ove già nacque,
Che la tua penitenzia è molto appresso. Ma poco dimorar quivi gli piacque.
XIII XX
Tu non pensi altro figliuolo ora avere, E scese giù dove l'acque di Severe
Ardito a venir già nella tua terra, Non trascorrendo per le fresche rive,
Per darti morte, e farti dispiacere, Con altri fiumi, che convien ricevere
E punir le tue colpe, e di poco erra. D'alpestri rivi, e di fontane vive,
Vuolsi Iddio, se non gl' uomini, temere, Per obbedire al fratel poi del Tevere :
Che sempre a tempo i suoi colpi disserra, Senti di Carlo Magno opere dive ;
Perchè giusto altrimente non sarebbe, E vide la città redificata ,
E'l ciel senza giustizia al fin cadrebbe. Fiorenza bella, da lui molto amata.
XIV XXI
Ciriffo è stato molti mesi e giorni ; Vide alfin Roma, e vide la rovina
E intese un di che Antandro andava a caccia:
De' gran palazzi e d'edifizii santi,
Vide rete, falcon, can, busne, e corni, Vide la corte e la curia divina,
E seguito del suo padre la traccia. E gran prelati sotto i ricchi ammanti,
Difficil fia, Antandro, che tu torni , Che mal seguon di Pietro la dottrina;
Che la giustizia, ch'io dissi, minaccia : Gl' Idoli antichi sparsi tutti quanti ;
Levossi un daino, e subito al romore Vide de' Fabii alcuna antica insegna ,
Antandro il seguito con gran furore. Onde discese la sua madre degna.
XY
XXII
Trascorse al fin per una selva molto, Andando al tempio un di poi di san Piero,
Tanto che fu da sua gente smarrito, Quivi senti di Cristo predicare,
E ritrovossi in luogo strano e folto; E credette, e conobbe, ch'era vero
Ma Calvaneo l'avea sempre seguito, Giò che la santa Chiesa usa cantare;
E grida: O padre, o padre, io t'ho pur colto, E inteso ben di Cristo ogni mistero
Traditor, vedi tu, non m'hai fuggito! Si volse alla sua fede battezzare
Dove è mia madre, e'l figlio poveretto ? Con l'acqua santa sopra le sue chiome ;
E lanciolli un suo dardo a mezzo il petto. Ma non muto di Calvaneo il nome.
XVI
XXIII
Turbossi Antandro, e veggendosi solo, E prima e poi dal santo Sacerdote,
Disse: Par giunto qui m'ha il mio peccato : Fe' de peccati suoi remissione,
E cadde in terra pel colpo e pel duolo; E poi che le sue colpe fece note
E Calvaneo di nuovo ebbe gridato : D'aver fatto nel padre offensione ;
Vedi, che t'ha pur morto un tuo figliuolo : Perchè il peccato è grave, quanto puole,
E poi pensando d'averlo ammazzato Costretto fu di far promissione
Piglio il cavallo, e strinse a gran furore, D'andar peregrinando umile e pio,
Tanto che gli esce della selva fuore. A visitare il sepolcro di Dio.
XVII XXIV
Fu ritrovato Antandro in su la sera, Cosi passo in Gerusalem e quiνί,
E portato al suo padre, come morto, Satisfe' al voto, e in sul monte Carmello
Che piange, e sopra di lui si dispera; Romito fessi: or qui, Calvaneo, vivi
Enon poteva ignun dargli conforto, Pentuto, umile, e mansueto agnello,
Che fra tante sue genti un sol non era, Finchè fortuna a te più lieta arrivi,
Che sappia nulla di quel caso scorto, E'l Pover trovi, e'l tuo caro fratello:
Se non che Antandro, poi passato il duolo, Noi troverem la gente di Nerbona
Gli disse : E' m'ha ferito un mio figliuolo. In tanto a campo intorno ad Ascalona.
37 CIRIFFO CALVANEO 38
XXV XXXII
Era già l'anno undecimo passato, Ed una torre in sul lito del mare,
Chel valoroso Tibaldo Arabesco Lontana dalla terra venti miglia,
Arditamente aveva repugnato Faceva il giorno e la notte guardare,
Contro a Cristian, ma il nostro re francesco Che non v'entrassi alcun della famiglia
Era d'intorno Ascalona accampato Di Duramen; e sapea tanto fare,
Con tanta gente, che gli stava fresco ! Come amor sempre la mente assottiglia,
Ed ogni di più stringeva la terra, Ch' ella faceva a questo padre credere
Come è usanza ne' casi di guerra. Giò che gli piace, e le sue voglie cedere.
XXVI XXXIII
Era Cipri in quel tempo de' Pagani, Dall' altra parte Lionetto viene,
Però che 'l gran soldan di Babilonia, Vide ch'aveva Falcon sotto vento;
Tutti avea morti e cacciati i cristiani: Come colui, che l'arte intende bene,
Ed una sua nipote, Danidonia, Missesi in puuto per dar tosto drento,
ConLeone Spinetto era alle mani, E la volta diritta a costor tiene.
Di dargli regno in quella parte lonia; Or qui Falcon mostrò suo scaltrimento,
Emolte calde lettere gli serisse, E divise in due parti le sue navi,
Che con l'armata all' isola venisse. L'una alla terra, e l'altra a' venti gravi.
XXX XXXVII
Ella ardeva già tutta del suo amore, Fece un pensier quel malizioso Greco :
Che lungo tempo aveva desiato ; Quand' io sarò dal capitan diviso
E nota or qui ta ch'ascolti, lettore, Con queste navi, e da parte mi reco,
Che Lione Spinetto era chiamato Lionetto a investir farà suo avviso ;
Alcuna volta, qual fusse l'errore, S' a me quel viene accorderommi seco;
Lionetto, e cosi parea vulgato; Se verso Epidoniffo volge il viso,
E quando Lionetto noi diremo, Forse potrebbe al fin restarsi al rezzo,
Per Lione Spinetto intenderemo. Ch'io il metterò con l'altra volta in mezzo.
XXXI XXXVIII
E' s'era già d' Ascalona partito, Ebbe Lione Spinetto consiglio,
Acceso il cor di quella bella dama, Quale a investir dovea più tosto andare,
Della quale sperava esser marito ; Dove fusse più acquisto, e men periglio:
Aver di Cipri lo scettro e la fama: Alcun diceva : Investiam que'di mare,
Ma spesso avvien che 'l pensier è fallito, Sì che noi diamo a que' prima di piglio :
Credesi facil quel ch'assai si brama. Altri diceva: A me il contrario pare,
Danidonia ordinava tuttavia, Perchè e' fia con color che a terra vanno
La cosa alla città di Nicosia. Il capitano, e gli altri di più danno.
39 CIRIFFO CALVANEO 40
XXXIX XLVI
Bdice: Pover mio, se tu se' franco, Come e' fu largo l'altra volta prese,
Venuto è il tempo d'acquistare onore; E per far forza a montar certo corno
Non ci può la vittoria venir manco, Aghinda in alto, e i gran remi distese,
Che'l tuo fratello ha fatto un grand' errore: Tanto che salvo si ritrasse il giorno :
Con forza strinse, ed investi nel fianco Ma Falcon quando sua malizia intese
La nave di Spinetto a gran furore ; All' altre navi si misse d'intorno:
E'l colpo fu si ponderoso e grave, E facea quel che non sare' creduto
Che mise in fondo la preſata nave. In compagnia del Povero Avveduto,
XLIV LI
Ma Lione Spinetto fu si destro , Che non trovava ove e' si posi loco :
Che all' altra nave s' appiceò al timone ; Era saltato dal furore acceso
Cosi scampò da quel caso sinestro. Su l'altre navi , e in parte acceso il foco;
Qui cominciò la nave di Falcone, E non è ignun che da lui sia difeso.
Come colui che in mar era maestro, Nave senza signor suol valer poco;
Far dalla gabbia grande offensione ; Lionello era per morto disteso,
E gettan pietre, e dardi in basso a rombo, E gente assai da basso era fuggita,
Calcina, ed olio, e acqua, e zolfi, e piombo. Cosi tutta l'armata è shigottita.
XLV LII
Già era da due parti combattuto L'ultimo fu, che i legni de' Cristiani
Si vigorosamente Lionetto, Non potendo più reggere al martoro,
Che gli avea già più che mezzo perduto Feriti e morti tutti i capitani ,
L'altro navil da lato del trinchetto : Ed arse già due navi per ristoro,
Falcone aveva seco, come astuto, Venneno in fine a Falcon nelle mani :
In certi vasi chiusi per rispetto, Si che di dieci, che n' avean costoro,
Serpenti venenosi, e quegli seaglia Una fuggi, come altra volta è detto,
Dove era più ristretta la battaglia. Inverso Cipri, e su v'è Lionetto.
41 CIRIFFO CALVANEO 42
LIII
Poi fece il Pover con Falcon disegno Falcon quando era tempo da tirare,
Di dover pure andare ad Ascalona, E che vedea che vi fusse guadagno,
Prima scorrer di Cipri tutto il regno, Più ch'altro destro sapeva ciuffare,
Perchè in que' mar non vi resta persona ; Si che dir si potea Falcon ciuffagno;
Avea pur fisso del padre lo sdegno, Accettò i doni , e poi fe' domandare
E piove al fin quando si spesso tuona. Aduramen, che gli par buon compagno,
Al Pover nella mente questo rugge, Cento cavalli, e cinquecento arcieri ,
ELionetto suo per mar si fugge. E fu fatto ogni cosa e volentieri.
LVI LXIII
Ma come avvien che sempre le gran cose Rispose il Pover: Caro Falcon mio
Convien che in piccol tempo sien palese, Io son disposto in Ascalona andare,
Cosi di Danidonia al fin nascose Per satisfare il voto e'l mio desio,
Nonfurle colpe; il padre tutto intese. Cioè Guidone il mio padre ammazzare :
E'l dito alla moresca al dente pose, Tu sarai sempre in questi mari, ed io
Aggiungendo parole d' ira accese; Signor ti lascio de legni e del mare ;
Egiuro con la bocca e con le mani, Ese farà bisogno, a certi segui
Di far la figlia sua mangiare a'cani. Aiuto mi darai con questi legni.
43 CIRIFFO CALVANEO 44
LXVII LXVIII
L'arme e i cavalli e qualche buon arciere Disse Falcone: Iddio ti dia ventura,
Verran con meco a provar s'io son forte ; Io sarò sempre co' legni parato ;
Io passerò per mezzo delle schiere, E infin che l'alma in questo corpo dura,
E so ch'io entrerò drento alle porte ; Non creder che mai t'abbi abbandonato:
Tu mi potrai di mar sempre vedere, Tu di' che vuoi entrar drento alle mura,
Aiutami , ti prego, insino a morte, Fa che tu abbi ben tutto pensato.
Che sempre ov'io sarò, tu sarai meco, E cosi navigando tuttavia
E ciò ch'io arò, comun sia sempre teco. Falcone inverso Ascalona ne gia .
CANTO IV
Ad Ascalona il Pover mette in terra, EGuidon piange del suo figlio, e geme.
E il re Tibaldo soccorre assediato Il re di Francia a Guglielmo d'Oringa,
Dal re di Francia, e Folco il passo serra, Il capitano, in cui tutta sua speme
Era, ordino che la gente si stringa ;
Epiglia in mar Falcone scellerato : Che come savio d' ogni cosa teme,
Libera Lionetto d
' aspra guerra E parte in verso del mar se ne spinga,
In Cipri, da Guidone accompagnato :
Con nuova armata soccorre i Cristiani : E che si faccia un certo retroguardo
Sotto la cura del forte Guiscardo .
E'l campo forte ingrossa de' Pagani. V
Ch'io lo farei nel mio campo onorare : Venne la notte onde di novo afferra
Io mi terrei contento alto e felice, Il porto, e' venti lo servon leggieri :
Poi che tante gran cose ognun ne dice. Varò le barche, e'l Pover mise in terra
Con que' cavalli, e con tutti gli Arcieri :
Era di poco la nave arrivata, Ed appiccossi con Guiscardo a guerra
La qual portò già Lione Spinetto ; E passò in mezzo de' suoi cavalieri ;
E la novella v'aveva arrecata, Si che in un tratto si levò il romore,
E molte cose del Povero detto; E giudicorno ben che sia il pastore.
45 CIRIFFO CALVANEO 46
VIII XIV
Guiscardo prima percosse allo scudo Rimonta, ch'io t'aiuto, in sul destriere;
Il Povero, e fu il colpo grave tanto, Lasciami dentro in Ascalona andare
Pel ferro acuto, temperato e crudo, Senza più repugnar, che gli è dovere,
Che lo passò, sì che il piastron gli ha infranto; E la ragion non voler ricercare:
Tento la lancia insino al petto ignudo, Che molte volte è senno di sapere
Tanto che il Pover si scontorse alquanto, Quel che vender non puossi alfin donare;
E forse accomandossi al suo Macone, Che in ogni modo son disposto ir drento.
Ma però non si spicca dell' arcione. Guiscardo volea dir ch'era contento,
XI XIX
Non era ancor trapassata la notte, Il valoroso Sir, figliuol d' Ughetto,
E però la battaglia era confusa ; A un di que' del Povero Avveduto
E molti eran caduti per le grotte, Rivoltò la sua lancia in verso il petto,
E molti avevan di fuggire scusa. E morto in terra pel colpo è caduto;
Eran meglio i ranocchi, che le botte, Edisse: Mai più ancor non mi fu detto-
Che van qui attorno come in guerra s'usa, Quel che tu di', che per vil m'hai tenuto;
Tanto che al buio il Povero Avveduto E proverotti or con la spada in mano,
Sarà come l'ortica conosciuto. Ch'io son gentile, e tu pastor villano.
XIV XXI
XXII XXIX
Il Pover trasse un colpo d'ira acceso Chi è costui (il Povero dicia)
Pur sopra l'elmo al cristian Paladino: Sarebbe mai il mio padre Guidone ?
Parti il cimier, e fu di tanto peso, Un de' suoi cavalier gli rispondia ;
Che lofe risonar come un bacino; Egli è la gloria e la reputazione,
Ed a fatica si tenne sospeso, Beltram, che di Brabante ha signoria,
Che fu per traboccar giù a capo chino, E non è in Francia un si gentil barone.
E la staffa gli usci dal piè sinestro: Intanto Altimonier gli sopravvenne,
Non colpo di pastor, ma di maestro. Perchè il caval suo vola, ed ha le penne.
XXII XXX
Credo che Folco dicesse : Io mi pento Egli aveva le penne nel calcagno,
Di questa impresa, e non dicesse forte; Ma chiuso ne venia tanto veloce,
Ma dalla parte del mare spavento Che non si chiude si sparvier grifagno,
Venne, ch'uscito era fuor delle porte O falcon quando ne vien più feroce;
Tibaldo, e gia con grande assembramento, E'l suo signor, tanto famoso e magno,
E non s'udiva se non, morte, morte: Come e' fu presso grido con gran voce :
Ed era appunto l'aurora apparsa, Se' tu il pastor, ch'abbattesti Guiscardo
Quando e'si scuopre de' pagan la farsa. A tradimento come vil codardo ?
XXIV XXXI
Era vermiglia l' onorata spada, Beltram conobbe il fero animo e crudo,
Ene venia ristretto fra gli arcieri, E terminó parar, come prudente,
Che si facean per tutto dar la strada, Il colpo, e verso il ciel volse lo scudo :
E traevano a gliocchi volentieri, Giunse la spada al capo del serpente,
Qui sopraggiunse con la sua masnada Ovver cavallo, e trovò quello igaudo,
Beltramo il valoroso Altimonieri, Si che due parte ne fe' finalmente,
E, come e' vide il Povero vicino, Che nel parar Beltram, come discreto,
Rivolse in quella parte Serpentino. Venne col petto a farsi alquanto a drieto,
XXVIII XXXV
XXXVI XLIM
Sia benedetto, il re Tibaldo dice, Cosi passando d' uno in altro giorno,
Il di che tu arrivasti a nostri porti; Il re Luigi il consiglio ristrinse ;
Or sarà la città per te felice, E tutti i suo' baron furon d'intorno,
Or saran vendicati molti torti. Com' è usanza, e d'accordo si vinse
Quivi era già venuto l' Alpatrice, Che Folco in Candia facessi ritorno,
Etutto il campo par che si conforti. EGuidon anche alle navi gia pinse
E' cristian quasi già s'eran partiti Per nuova armata, e per ogni rispetto
Dalla battaglia, e gran parte fuggiti. In Cipri ponga, ov'era Lionetto.
XXXIX XLVI
Tibaldo disse: O caro Pover mio, E così questo mal vissuto vecchio,
Guidon del figlio suo ha tanto affanno, Come gemma in caston, proprio qui garba.
Che me ne incresce per Macone Iddio, La bambola è commessa nel suo specchio:
Perchè di Lionetto è pur gran danno ; I marinai, chi gli pela la barba,
Ben sarà satisfatto al tuo desio, Chi fece come a Malco a l'uno orecchio,
Tu vedrai presto l'onorato scanno : Chi l'altro tira tanto che lo sharba :
Non è senno tentare oggi più guerra, Cosi schernito, e scosso ben la borra,
Ma tornar con onor drento alla terra. Fa messo in fine a basso per zavorra.
XLII XLIX
4
52
51 CIRIFFO CALVANEO
L LVII
Vera cosa è che pure era guarito, Folco parti come e' vide buon vento,
E la sua Danidonia aveva appresso, E dirizzò la prua per Ascalona ;
E fatto s'era di questo marito ; E giunse in pochi giorni a salvamento,
Ma tanto Aduramen l'aveva oppresso, Dove aspetta di Francia la Corona :
Ch'egli avea preso già quasi partito E molto fu tutto il campo contento,
Di darsi a patti, o d'un coltel lui stesso, Si che per tutto per festa si suona ;
Che non potea mandar messi, nè scrivere, Ed ognon vuol veder la nuov'armata,
E non avevon più nulla da vivere. Che Folco avea di Gandia già menata.
LII LIX
Lionetto con gli altri feccion festa, Folco lo fece mettere in catena,
Che Folco era venuto ne' lor porti ; Legato al cal come un gatto mammone;
Benché pochi di lor vivi qui resta, Era d'alma dannata la sua pena,
Che quasi tutti per fame eran morti ; Che non valeva qui prego o orazione :
E Danidonia una leggiadra vesta Ognuno a torno pel campo lo mena,
Si misse pure, e par che si conforti ; E come scimia, per terra carpone,
E sforzar si volea di parer bella, Legato al collo strascinava un ruotolo,
Ed abbracció Guidon suocero a quella. E spesso è calpestato come un botolo.
LV LXH
Poi Guidone abbracciava il suo Spinetto Lasciam Falcone stare in questo modo,
E come padre più volte basciollo ; Che così piace alla somma Giustizia :
E Lione ancor lui teneva stretto, E' pagherà de' suoi peccati il frodo,
E non levava le braccia dal collo ; Che sempre non ha loco la malizia .
Le lagrime a ciascun rigano il petto, Tibaldo aveva intorno al cuore un nodo
E non pareva ingun di lor satollo Di pensier,di sospetto, e di tristizia,
Di tenerezza ; e non s'apre ancor bocca, E sapea come Folco in porto è giunto,
Tanto la giusta affezion trabocca. E dell' armata, e d'ogni cosa a punto ;
LVI 1.X11
Folco ordinò cavar fnor della torre, E di Falcon, come gli era menato
Quanto più presto poteva, costoro, Pel campo a strazio come una bertuccia,
E tutti in su le navi gli ſe porre, E come Lionetto era tornato :
E da mangiare e da ber trovò loro. Della qual cosa il Povero si cruccia ;
Oguuno all' esca come gazza corre E innanzi al re Tibaldo ebbe giurato,
Senz' aspettar che s'appicchi l'alloro; Che se la spada di man non gli smuccia,
Che non corse mai birro così in fretta Se Folco può trovar cagion di questo,
Tosto al palagio al suon della trombetta. Che ne fara vendetta grande, e presto.
53 CIRIFFO CALVANEO 54
LXIV
Tibaldo aveva scritto in molte parte Sospesi in alto, accio che a tempo scorchi
Per l'Oriente, ed or di nuovo scrisse, Per guastar delle mura i parieti :
Che già per tutto il mondo erano sparte E grilli, e bastion, falconi, e gatti,
Le gran battaglie, e bellicose risse. Con arte, ingegno, e disciplina fatti.
Gente è per terra, in mar son vele e sarte: LXX
Né creder tu che a Tibaldo venisse
Intanto è Irlacon, re di Turchia ,
Ognun, però che l'una parte viene Conmolta gente a Ascalona arrivato ;
Per dar soccorso, e l'altra a dargli pene. Ed in che modo drento entrato sia
LXV Non porta a dirlo, e basta che e' v'è entrato,
Que' della terra rafforzan le mura, E seco un re di molta signoria,
Perché e' rinforza la gente francesca : Che Sinettor per nome era chiamato,
Sempre chi è drento ha del campo paura, Ch' era disceso del sangue Troiano,
Se vuol che bene il suo conto riesca ; E fatto l'ha suo primo capitano.
Però Tibaldo a questo ben procura, LXXI
CANTO V
Mena Spinetto, e mena il Pover vampo : L'altra schiera guidò Cornes Dalisse ;
In tanto la Cittade mal sicura
La terza fu di Malducco di Ramma :
Assalta Folco, e per ultimo scampo E Anfilizia ne' suoi brevi scrisse,
Affrontano i Pagani'l Gonfalone, Che del suo amor ancor tutto rinfiamma,
Difeso da Guglielmo, e da Guidone. E per cimiere in su l'elmo si misse
***
Un cuor che si struggea sopra una famma;
E porta nello scudo, il suo amadore,
Folco dipinto come traditore.
VII
Credo che in Cielo il rubicondo Marte, Tibaldo al Pover poi veniva dopo
Di sangue a questa volta fia ristucco, Con molta ornata e bella compagnia ;
Lo qual si dee versar da ogni parte, E nella destra spalla ha un piropo,
De'Cristiani e del popol mammalucco; Che mai si bel non fu visto in Soria,
E se son registrate tante carte Tal che la notte, se venisse a uopo,
Di Serse già, di Dario, e di Nabucco, Risplendea si, che mostrava la via;
Con altra penna ancor, con miglior verso, E in una ricca targa alla moresca
Materia è qui da tutto l'universo. Il sol che par dell' Ocean fuori esca.
111 IX
XI XVIII
E nell' uscir costor fuor d' Ascalona, L'ultima schiera volle il re Luigi,
Parve che'l cielo e la terra tremasse, Che non fece all' usanza de' Pagani ;
Tanti stormenti e trombetti risuona : E schierate le genti di Parigi,
Credo lo spirto di Misen qui trasse; Che faron centomigliaia di Cristiani,
E credo ancor che la magna corona Gridavan: Viva Francia, e san Dionigi !
Del re di Francia sue gente ordinasse ; Ma Belfagor, ed altri nomi strani,
E commisse a Guglielmo che sia in punto, Gridava tutta la gente africante,
Perché il tempo era alla battaglia giunto. Appollin, Macometto, e Trivigante.
XII XX
Guglielmo, il quale al si non era ozioso, Or chi vedessi questi campi armati,
Sette altre schiere al rincontro ordinava ; E tanti strani e varii contrassegni,
Enella prima Guiscardo orgoglioso E cavalli in più modi corredati ,
Con ventimila innanzi cavalcava, E tanti re, signor famosi e degni ;
Ch'era di sangue il giorno desioso, Sarebbon tatti gli uomini ammirati :
E il Pover Avveduto minacciava : Sonavano istormenti di stran regni,
Non si ricorda più per far vendetta E corni, e tamburacci, e naccheroni,
Della fede tra lor data ed accetta. E pifferi , e sgraziati zufoloni.
XIV XXI
Perchè quel di (s' io non lo dissi in prima) Folco sapea di Malducco lo inganno,
Quando il Pover l'avea gittato in terra, Che dipinto l'avea come cattivo,
Egli promise, e poi non ne ſe' stima, E porta lui, come i soldati fanno,
Di lasciarlo andar libero alla terra; Cornuto a quattro, ch'è superlativo:
E, poi che caduto era dalla cima Ma che dico io ? tutti alla frasea vanno
Del suo onore, non gli faria più guerra : I becchi la domenica d' Ulivo ,
Ma Folco aveva le parole rotte, E tutto ad un proposito al fin torna,
Che non furon da sera, anzi da notte. Ch'ognuno ba il suo impiccato e le sue corna.
XV XXII
XXV XXXI
Guiscardo arà di salvarsi fatica, Poi cominciò con gran furore e rabbia
Che'l valoroso e gran re Sinettorre A scagliarsi nel mezzo della pressa;
Si ricordo della eccellenzia antica, E chi vorrà de' suoi colpi se gli abbia :
Forse ancor già del suo famoso Ettorre : Ma più savio sarà chi non s'appressa;
E de' Troiani il ver convien che dica E fece rossa in un tratto la sabbia :
Chi scrive istoria, e non levare o porre ; A molti aveva la zucca già fessa ,
Si che Guiscardo rovinò al dassezzo , E braccia in terra, e moncherin giù manda,
Che troppo s'era a quel cadere avvezzo. E tutti al gran Diavol gli accomanda.
XXVI XXXIII
Chi con accette, chi con mazzafrusti, Guiscardo poi, che in sul caval rimonta,
Dicendo a tutti : Ov'è la virtù vostra ? Riscontro Sinettor in prima giunta ;
Se mai gagliardi, cavalier miei , fusti , Si che di nuovo con lui si raffronta,
Oggi è quel dì che la vittoria è nostra : E crivellogli nel petto una punta
Si che molto i Troian parvon robusti, Con tanta forza, e con tanta ira ed onta,
Tanta virtù nel capitan si mostra ; Che la sua spada a forarlo parve onta ;
E Sinettor, correndo il suo destriere, E fu tanto il dolor, che il cor gli afferra,
Molti con gli urti ne facea cadere. Che cade quasi come morto in terra.
XXVII XXXV
ComeBeltram diè con sua schiera drento , Forse questo caval ſu già di Reso,
Uccison con le lancie assai Pagani ; Forse lo spirto in corpo avea d'Ettorre,
E ripose a caval con grande stento Acciò che fosse aiutato e difeso,
Guiscardo, ch'era tra arrabbiati cani ; Sendo Troiano, il suo buon Sinettorre.
Allor Cornes Dalisse come un vento Beltram credette un tratto averlo preso,
Corse presto a soccorrere i Troiani, E voleva alla briglia la man porre:
Che non si calò mai si presto uccello, Il caval si rizzò con gran tempesta,
Avendo sempre bene occhio e cervello. E con la zampa gli diè in su la testa.
XXX XXXVII
La lancia abbassa, e 'l suo cavallo strinse, Vedestu mai villan che sotto frasca
Che corre come un danio non galoppa, Ha percosso in sul capo la ghiandaia
E'l primo, ch' egli scontra morto spinse, Con la ramata, e in un tratto gli casca,
Poi con la spada l' altro che rintoppa Ofrusone, impanniato all'uccellaia ?
Uccise, e presto di sangue la tinse, Così Beltramo e convien che rinasca,
E cadde arrovesciato in su la groppa : Che morto credo in sulla terra paia ;
Abbatteil terzo, e ' l quarto, e'l quinto, e'l sesto , E come quel caval lo vide in terra
Tanto che 'l campo sbaragliava presto. Come porco ferito a lui si serra.
XXXI XXXVIII
XXXIX XLVII
Avea Beltramo intorno alcun vassallo, E se gli avessi risonato a doppio
Fra gli altri uno staffier fedel, un ghezzo, D'un piccol colpo, pur che sia il secondo,
Che lo cavò di sotto a quel cavallo, Non bisognava per dormire altr'oppio,
E strascinollo per le gambe un pezzo; O'l toreimanno andar nell'altro mondo.
Ma non poteva di bocca cavallo. Lionetto ebbe di questo uno scoppio,
Non so se il suo signor l'aveva avvezzo ; Che gli meno con tanta furia un tondo,
O se s'avea in corpo Satanasso, Egiunse a punto alla cintura quello,
O se questo era pur Bucifalasso. Ch' arebbe, credo, diviso Babello.
XL XLVII
Parve a Luigi re che Folco andassi Sarebbe questo mai corpo fantastico,
Presto a soccorrer la gente francesca, O lo spirito in corpo ha di Lucifero ?
Il quale a lanci e salti innanzi fassi , Diceva Lionetto: Io penso, e mastico,
Ch'un Leopardo par di catena esca, Nè questo fatto ancor meco dicifero,
E gruppo o vento ch'un cannetto abbassi. E par che sia rappiccato con ' l mastico ,
Come e' fu presso alla pagana tresca, O con la pece questo can furcifero ;
Parvon le lance poste in su la resta O Belzebu v'è drento, o il suo bisavolo,
Quasi inun tratto: o Dio! che furia è questa? Equel cavallo è forse un altro diavolo.
XLII XLIX
Etanto più che Folco è il suo rivale, Ma poi che vide le braccia distese
E combatteva qui Venere e Marte, A Sinettor, che non dava più crollo,
Che fa che più veloce ognun metta ale; E d'ogni parte toccava l'arnese,
E le lance abbassate d'ogni parte, Rassicurossi , e col brando frugollo,
Ognun come a nemico micidiale Tanto che cadde, e se stesso riprese
Adoperava ogni sua forza ed arte. Dell' error, che l' avea tenuto in collo;
Malducco pose alla resta la lancia, E quel cavallo osservato ha la fede
Gridando : Muoia il traditor di Francia ! Al suo padrone insin che morto il vede.
XLIV 1.1
Folco feri nello scudo se stesso, Poi fece un atto, che fu maraviglia,
Perchè quivi era traditor dipinto ; Che se ne venne verso Lionetto,
La lancia parve un finocchio ben fesso, Quasi dicesse: A tuo modo mi piglia
Tanto che poco Malducco ha sospinto. Senza temer, che mio signor t'accetto ;
Malducco pose alla vista più presso E Lionetto pigliava la briglia,
AFolco, e il ferro di sangue fu tinto, E poi saltò del suo caval di netto,
Che gli entro tra il camaglio e il gorzaretto, E monto sul caval di Sinettorre ;
Econ fatica a caval si fu retto. E non avrebbe poi temuto Ettorre:
XLVI LII
LILI LX
Malducco era nom pur valoroso e forte, E Danidonia è sopra un bel poggetto,
E ricevuto da Folco avea scorno, Dov'era il capitan con lo stendardo ;
Tal che pin tosto vorrebbe la morte : E guarda quel che facea Lionetto,
E l'uno e l'altro insieme s' appiccorno, Che molto il giorno li parea gagliardo ;
Dandosi spesso di villane storte. E perchè amor non è senza sospetto,
La gente stava a vedergli d' intorno, Pregava il ciel, che gl' avessi riguardo,
Ma Folco un tratto il tempo, e'l modo scelse, Perché gli è giovinetto e molto adorno,
E finalmente dall' arcion lo svelse ; E che tornassi con vittoria il giorno.
LIV LXI
E salita era sopra un'alta torre Ben vedo quel ch'io fo, ma il giusto sdegno
Conmolte damigelle, Aleandrina, Mi sforza, e può più che l'amor paterno ;
E non sapea che il padre Sinettorre E so ch'io son per tal peccato degno
Renduta aveva l'anima meschina ; Col corpo vivo andar giù nell' inferno :
Laudava il Pover, che pel campo corre, Ma s'io dovessi star nel basso regno
E guardava la gente saracina ; Con l'altre anime triste in sempiterno,
E tutta stupefatta sta a vedere Poi che dato così m'ha la mia sorte,
Se alcun de' suoi cognosce fra le schiere. Io ti darò, Guidon, per certo morte.
65 CIRIFFO CALVANEO 66
LXVII LXXIV
E'l Pover feri fui più aspramente. E smontati, all' usanza d' Inghilterra,
Lo scudo come una teglia si fesse, Saettavan gran dardi e micidiali,
E la corazza fece similmente, E ferno al re Tibaldo il di gran guerra .
Si che nel petto la lancia gli messe; Intanto, rotto assai muro co' pali,
E se più drento gli entrava niente, Folco fu il primo a entrare nella terra,
Egl' arrebbe attenuto le promesse ; Epreson certi luoghi principali,
Poi con la spada in man si fu rivolto, E con le scale in sul muro saliti
Ma Guidon dal caval gli era già tolto. Erano assai prima che sian sentiti.
LXIX LXXVI
LXXXI LXXVII
Sappi, tu sei de' tuoi inimici in mezzo ; Tibaldo s'accostò sempre ad un colle
Io ho trovata la strada qua rotta, Donde si va a Guglielmo per la piana;
Tanto ch'io ebbi paura e riprezzo ; E quando e'fu condotto dove e' volle,
Gente uscì fuori armata d'una grotta, Sali in un tratto la gente pagana :
Credo assai più ne restassino al rezzo. E trattava Luigi come folle,
Perchè Tibaldo, sopra di sè all'otta, Se non che a scardassar s'aveva lana,
Disse così, come uom ch'ha intendimento : Che gli parrà più dura che sardesca ,
Sarebbe mai qualche trattato drento ? E sarà nerbonese e non francesca :
LXXXIII LXXXVIII
E' v'è pur l'Arcaliffa di Baldacca, Che dirai tu ? che quel savio Guidone
E' v'è pur l'amostante Persiano Ch'avea pur bianca e canuta la barba
Da non pigliar così la terra amacca ! E veduto assai cose, il buon vecchione,
Or ritorniamo al nostro Candiano, Dicea con Lionetto: A me non garba,
Che la battaglia co' nemici attacca : Che si debba scostar dal gonfalone,
Sì che qui si combatte in poggio e in piano, E come savio da quel non si sbarba ;
E spesso insino in su la piazza venne, E come vide Tibaldo salito,
Ed a dispetto de' Pagan la tenne. Disse : Luigi sarà pur tradito.
LXXXIV LXXXIX
Efecion tanto pel campo cercare, E che gli avessi cura allo stendardo,
Che ritrovorno fra le schiere il Povero, E se vedessi lui con gli altri morto,
Ch'avea fatto quel di san Pier sudare Che fussi solo a questo il suo riguardo ;
A metter drento gente senza annovero, E stessi come nave surta in porto :
Tibaldo disse quel ch'e' voleva fare, Poi şi fe' innanzi con un cor gagliardo,
E che questo era l'ultimo ricovero : A tutti i cavalier dando conforto;
Al Pover piacque quel che a gli altri piace, E già salito era sul monte, Arnaldo,
Perchè con la ragion gli fu capace. E la zuſfa appiccata con Tibaldo.
LXXVI XCH
XCII C
Ementre con la lancia oltre galoppa, Cosi fere Alessandro: ognun poi varca ;
Gli fa di drieto saettato un dardo, Veggo al fin pur della ragione il segno.
Eferigli il cavallo in su la groppa, Mentre ch'egli era già quasi monarca
Si che non par come prima gagliardo : Di tutto l'universo, e tanto degno,
Guglielmo in questo con lui si rintoppa, Cesare ancor di notte entrato è in barca
Edisse: Io t'ho serbato lo stendardo: E poi che vide il mar traverso al legno,
Ma questa è quella lancia che lo porta, E' fu costretto al suo nocchiere a dire :
Or noti ognuno un caso qui che importa. Cesare è teco, tu non puoi perire.
XCVI си
Le lance in su gli scudi s' appiccorno, E così fece già Regolo Attilio :
Erapponsi in più pezzi d'ogni parte; Prima nego , poi non trovò la pace,
Ma certi tronchi tanto in aria andorno, E ritornossi a morire in esilio,
Che crede alcun, che gli serbassi Marte, Per levar Roma sua da contumace :
Perchè più in basso poi non ritornorno ; Che se fortuna presta il suo ausilio
Ma questo non afferman le mie carte; (Come si crede) tal volta allo audace,
Più tosto il vento gli levassi a giuoco, Fra molti avventurato un sol si dice,
O ver nello elemento arson del fuoco. Se letto ho ben, Quinto Metel felice.
XCVII CIV
Tibaldo era già giunto nella zuſſa, E poi che vide l'astuzia arabesca
E'l Pover col cavallo era trascorso , E' s' accostò con la sua gente al fiume,
Ch'era ferito, e come un toro sbuffa, Quivi i cavalli in un tratto rinfresca;
Enon potea ritenerlo col morso. E perchè e' sa del suo campo il costume,
Or qui si fece una strana baruffa, Massimamente la gente francesca ,
Chi qua, chỉ là senza ragione è corso, Che per la sete non vedeva lume,
Perché a Tibaldo il disegno era rotto Accio che sien più fieri alla battaglia,
Epentesi si in alto esser condotto, Fece portar vin presto e vettovaglia.
XCIX CVI
CVH CXV
Buffardo v'era il conte d'Ormignacca, Il Pover, poi che il caval ebbe sotto,
Anzi più tosto d'Ormignatta al mosto : Pel campo va, che menava faville;
Beuto arè con una salimbacca, E minacciava, e giura a ogni botto
E non dicea se non: monsir tantoste: Che ne morrà per l' Alpatrice mille ;
Ognuno al vetro volentier s'attacca, Parea quel di che si crucciato e rotto
E pensa tu quel ch'avevan risposto Al campo venne per Patroclo, Achille:
Molti signori, che v'eran della Magna, E per ventura trovava Guglielmo,
Che ne volean tre otri per castagna ! E con la spada gli diè sopra l' elmo.
CVIII CXVI
Come e' fu rinfrescato il campo tutto, L'elmo sono, si che Guglielmo introna
E fatto insieme ciascun buona cera, E disse : O Dio è ruinato il mondo ?
Per gentilezza si trae qualehe rutto, O già l'ultimo di la tromba suona ?
E sfuma un poco il via per la visiera ; E poi menò con la spada d'un tondo,
E perché il becco non era più asciutto, Che bisogno che l'arme fussi buona,
Tamburi, e zufolin vanno a bandiera, E se Guglielmo appiccava il secondo,
E lanci, e salti, e giuochi, e balli, e scrima, Non sentia il Pover più caldo nè gelo;
Che parian cotti dalla nebbia prima. Ma e'rilevò la spada in verso il ciclo.
CX CAVIH
Tutti i cavalli eran fatti già rossi, Epoiché in gentil cuor può tanto sdegno
E correva di sangue ogni pendice; Quanto ognor si dimostra, e quanto è scritto,
E Lione Spinetto riscontrossi Poi che il nostro Cristian famoso e degno
Nella battaglia ov'era l' Alpatrice : A tradimento si senti trafitto,
E con le spade si furon percossi, Drizzò le forze sue tutte ad un segno;
Ch'era l'ultimo di per lui, infelice ! E però in su le staffe si fu ritto,
E cacciogli la spada in sin nel collo, E la spada levo di furor pieno
E cosi morto del caval gittollo. Con ambe mani , abbandonato il freno.
CXIF CXIX
Il Povero Avveduto quando vede E con quel taglio, che gli volea dare
L' Alpatrice caduto in terra morto: Minaceia prima il ciel, perchè in su il volse;
O Macon, disse, abbi di lui mercede, Poi lasciava la spada rovinare,
E se licito è dir, tu gli fai torto, Le braccia in tutto e la sua furia sciolse,
Che questo era il campion della tua fede; Che la folgor di Giove irato pare,
E poi di Lionetto si fu accorto ; Quando al superbo Capaneo già colse,
E termino vendetta far di quello, O il dì, ch'io credo più crueciato fosse,
Enon sapea che fussi il suo fratello; Quando Tiſeo e Efialte percosse.
CXIN CXX
E trasse un colpo all' elmo disperato : E se non che'l cimier trovato ha prima,
L'elmo gli uscì, d'onde la bella chioma Donde la spada poi giù seese a sghembo,
Si vide, essendo il capo disarmato, L'arebbe fesso tutto dalla cima
In su la groppa del caval suo tema ; Permezzo il petto in sin giù sotto al grembo;
E Sinettor, per questo spaventato, Si poco dell' elmetto ſece stima,
Parve dicessi: Io non so portar soma; Che ne portò quanto ne prese, un lembo;
Etrasse, e Lionetto è già caduto: Come se fossi stato o cera o ghiaccio,
Poi se n'ando dal Povero Avveduto. Emancò poco a spiccargli anche il braccio.
CXIV CXXI
Riconobbe il caval troiano, e, preso Non ebbe mai Cornes maggior paura ;
Il Fover vi saltò su molto destro, E'l viso con le man presto si forbe,
E lascia il suo ferito ond' egli è sceso; E poi, che'l sangue, e'l case ben procura,
E quest' altro caval non è più alpestro , Non volle aspettar più di queste sorbe,
Ma par per discrezion che gli abbi inteso, Che questa prima non fu ben matura,
Che questo era nell'arme lui il maestro ; E sa che piene veniran le corbe;
E Lionette benchè in terra vada, Evoltato il caval, tutto stordito,
Non si lascia far torto con la spada. Per arte di calcagna fu sparito.
73 CIRIFFO CALVANEO 74
CXXII CXXVN
Guglielmo seguito por la sua furia, Era del monte tagliata ogni ripa,
Eminacciava Cornes, il ribaldo, E stretto il colle, onde Tibaldo venne,
Ch'a tradimento gli avea fatto ingiuria, Si che la fretta e la calea gli seipa,
E ritrovò nella pressa Tibaldo, E bisognava volar senza penne:
E arrecossi per cattiva anguria, Chi s'appiccava a qualche bronco, o stipa,
Perchè ferito vede in terra Arnaldo; Chi qualche masso trovò, che lo tenne:
E tanto fe' che lo misse a cavallo, E cavai rovinavan per le grotte,
Ed al suo padiglion fece menallo. E tuttavia s'appressava la notte.
CXXIII CXXVIII
Era già il sol molto presso al Murrocco, Il re Luigi avea ristretti insieme,
Un'ora o manco avanzava del giorno; E tutti in punto in isquadra i Gristiani,
Guidon per tutto il campo ha dato il tocco, Perchè di qualche cosa anche pur teme,
Ed ognun presto a Guglielmo è d'intorno; Ben che l'urla cognosca de' pagani ;
Tibaldo ha fatto oggi on pensiero sciocco, E che Guglielmo di sopra gli oppreme,
Che tutti insieme i Gristian s' accozzorno, E che facea gin rotolargli a'piani :
E ferion tanta forza, e tanta punta, E sentito avea ben più d'una volta
Che 'l campo ruppon nella prima giunta; Tibaldo forte sonare a raccolta.
CXXVI CXXXI
:
FO ANEO
75 CIRIF CALV 76
CANTO VI
Teneva
eneva ancor pur Ascalona stretta Fece Luigi il campo presto armare,
Folco, e d'intorno quanto può la serra, Che n'avea a smaltir pur qualche cogno ;
E con trabocchi e con briccole getta , Perchè tempo non v'era a raccontare
Si che per tutto guastava la terra : Quel che veduto avea la notte in sogno,
Era la notte, e però il giorno aspetta Più tosto quel che si vedeva in mare,
Per veder quel che faceva la guerra; Ch'avea d'aiuto, e consiglio bisogno ;
E l'Arcaliffa in modo è sbigottito, E'l capitano avea tutto veduto,
Che non sapea pigliar qui alcun partito. Guglielmo, che sempre era proveduto.
VIII
11
Tibaldo la sua gente avea raccolta, Tibaldo scese intanto alla pianura,
Poi che vide che Folco dalla terra
Ed alloggiato quella notte al monte;
Benchè al contar ne mancherà poi molta, Partito s'era, e lasciate le mura,
Aspetta pur che da basso giù smonte: E i passi intorno ripigliava, e serra :
Il sole intanto avea data la volta, E come ardito cor, sanza paura ,
Per apparire all'usato Orizzonte; S' apparecchiava alla futura guerra.
ETitone avea alzato in sul piumaccio E lascia l'Alpatrice per le grotte,
Ilcapo, e la sua amica ancora ha in braccio. E più non pensa alla passata notte.
IX
111
Luigi ancor con le sue genti armate E manda all'Almansor che stessi inpunto,
Era stato la notte, e per l'affanno Però che gli era apparita gran gente;
Gran parte sono in terra addormentate, Che come e' tuona alle volte in un punto
E non sapea del suo futuro danno. In molte parti, così in mar si sente,
Vedea Tibaldo in gran calamitate; Perchè già presso il gran navilio è giunto;
Si che e' tuonava continovamente
Ma por le guardie e l'ascolte si fanno,
Emolte cose con seco disegna , E bombarde, e spingarde d' ogni parte,
Ed aspettava pur che il giorno vegna. Ch'intronava gli orecchi in celo a Marte.
IV X
ΧΙ XVIII
Era stato corsar forse trent'anni, Era il suo legno quasi carovella,
Avea molto veduto, era pur vecchio, E come Anfilibena potea andare
Sapea tutti de gli uomini gl' inganni, Innanzi, e indietro, e d' ogni parte ha stella,
Buon giudicio, buon occhio, e buon orecchio, Si che quel pesce pastinaca pare ;
E così molte volte i tristi panni Ma Falcon quando appressar vide quella,
Si rovistano in sin sotto al capecchio, Cominciò come falso a sospettare,
Ecerte scarpettacce vecchie e rotte E consigliava che si salutassi
Parute sono un zuccher di sei colle. Con le bombarde, e che non s'accostassi.
XIII XX
Falcon fu adunque a consiglio chiamato, Folco non volle: onde costui s' accosta,
E menato dinanzi al re Luigi, E salutogli con tanti bugliuoli,
E finalmente con Folco avviato, Che e'fe'in un tratto in coverta una crosta
Che ne va con le genti di Parigi. Di grassi strutti, di pece, e certi oli ,
Or si vedrà se fia qui scozzonato, E partissi e ritrassesi a sua posta;
Come lesto farà tutti i servigi. Perchè co'remi pareva che voli.
Ecome e' son condotti in su le navi, Folco le man poi si morse lai stessi,
Tirar le barche, e levoron i cavi. Ch'era meglio a Falcon creduto avessi.
XIV XXI
Poi Falcon fece restringer co' tuoni Falcon fe' presto crivellar zavorra,
Le navi, e fece di tutte due bande, Ed ordinò che per tutto si metta;
Condotte sotto a certi torrioni, Che e' parevan gia al buio in una forra :
I quali aiuto daranno lor grande ; Perchè questa materia un fumo getta,
Ed a mezzo alber certi bastioni O nebbia, come il lago di Gomorra ;
Fe' con le barche, e intorno le grilande E perchè e' non ismucci la scarpetta,
Non di rose, o vinole rosse e gialle, Disteson chi gabbani, e chi schiavina,
Ma di palvesi, e d'arnesi, e di balle; E cosi tolson via questa cucina.
XV XXII
Pui scorreva le bande, d' ogni parte Quivi era de' paesi d' Etiopia
Confortando: Ecco bella compagnia, Uomini neri, e i più stran farisei ,
Ognonmi par(quand'io vi guato) un Marte, Che non avevan forma umana propia,
Non dubitate, questi son genia, Tanto che i zingani erano i men rei.
Gente bestial, senza argumento o arte : Degli Arbi, pensa, che ve n'era copia,
lo caverò ben forse la pazzia Ed altri quasi specie di pimmei ;
Oggi dal capo a questa gente stolta, Uomini ch' banno un piè solo ed un occhio,
Com'ioho fatto in mar più d'una volta. E vanno a salti come fa il ranocchio.
XVII XXIV
XXV XXXII
Avevan varie spezie di serpenti, Per questo Falcon molto s' avvantaggia,
E certi can, come mostri, menati, Però che i legni de' pagan son bassi
Che i cavalli ammazzavano, e le genti, La maggior parte, e non avevan gaggia,
Ed animali Ippotami chiamati, Si che Falcon gli forbotta co' sassi ;
Manticore con tre filar di denti, E triste a quel che sua vivanda assaggia !
Callirafi di lupo, e di can nati, Che la bocca quel giorno cocerassi,
E tigri, e cocodrilli, e strane bestie, E saprà dir come ella sta di sale:
Che daranno a Franciosi assai molestie. E cosi spesso un nom per mille vale.
XXVI XXXIII
E come e' furno accostati alla riva , Folceincui sempre ogni eccellenzia abbonda
Comincian con le navi a far battaglia, All' usanza facea de' paladini;
Che l'aria e 'I cielo e la terra stupiva; Ch'era un nom della tavola ritonda,
E intanto scende di questa canaglia E stava sempre a fronte a' saracini;
Aterra, e tutta la rena copriva : Un braccio il capo avea fuor della sponda,
Chi qua, chi là dalle navi si scaglia : Tanto che a molti pon le mani a' crini,
Erano in terra già tutti i giganti E questo, e quello in mar gittava, e scaglia,
Erimontavan sopra i leofanti. Sì che in gran parte tenea la battaglia.
XXVA XXXIV
Ma le genti di mar gran cose fanno, E spesso come formiche s' appiccano,
Tal che l'aer parea per romor fioco : Senza temer che i cristian gli rabbuffino,
Mentre che questi inverso il campo vanno, Che a qualche cavo o catena s'abbriccano;
Edando a tutte le bombarde foco, Ma più convien pur co' pesci s' azzulfino,
A questo modo salutato s'hanno, Perché le spade, o l'accette gli spiccano:
E accostati cosi a poco a poco. Ma perchè molti nel mar ne rituffino,
Come furno i navil più insieme stretti, Ritornan come mosche a que' che scacciano,
Si sparan le balestra e gli scoppietti. Tanto che molto la battaglia impacciano.
XXXVI
XXIX
Falcone aveva alle gaggie ordinati Vedea fatto di sangue il mar vermiglio,
Più zolfi e piombi, che non ha l'archimia, E' pesci boccheggiar come in calcina ;
E sassi, e dardi e fuochi lavorati, Ecome savio presto ebbe consiglio
Ch'eran cose mortal più che epidimia ; Di doversi allargar nella marina,
Ed uomin di rispetto deputati, Perchè e' cognobbe ch'egli è in gran periglio,
Che montavan là su com'una scimia; Ch' avea dell'arte buona disciplina ;
Epiù che diecimille'il di ne cosse, E come e' faron d'accordo, levianci,
E sbrucava le carni insino all'osse. Subitamente fe' tagliare i ganci.
XXXVIII
XXXI
Erano i sassi un zucchero candito, Arebbe qui Falcon qualche riparo,
Ecannella confetta i dardi, e i pali, Che gli arebbe tenuto ancor il vischio ;
Si che chi era da questi ferito, Ma questo in altro modo gli fa caro,
Non bisognava alzar so gli orinali ; Che sapeva che il campo era in gran rischio,
Un balsamo parea l'olio bollito E di que' compagnon che in là n'andaro :
Che ne portava il moceol degli occhiali; Per la qual cosa posto a bocca il fischio,
E cener, e calcina di rispetto Silenzio fece, e consigliò poi Folco,
Era polver di duco, o violetto. Che lasciassi l'armata ir pel suo solco ;
81 82
CIRIFFO CALVANEO
XXXIX XLVI
E pensa, que giganti smisurati , Or pur per ora lascianlo alle nave ,
Se faranno col fiasco, o col barile: E ritorniamo a Guglielmo, che avea
E quando e' sien dal mosto riscaldati, Veduto tutto, e il caso gli par grave,
(Tu sai che fa l'ingegno più sottile) E de' giganti più ch' altro temea ;
E' saranno più arditi: ricordati Ede'serpenti, e quelle fiere brave,
De' lor fratei, che 'l ciel tennono a vile; E di Tibaldo il grande ardir sapea ;
E come Giove fu quasi sconfitto, Venne a Luigi il Capitan gagliardo,
Eper paura si fuggi in Egitto . E lascia il duca Aiolfo allo stendardo .
XLIII L
Gran festa fece Tibaldo a' Giganti, E dopo lunga e gran disputazione
E domando se v'era Scarambasso, Guglielmo disse la sua fantasia ,
Che cognosceva lui fra tutti quanti : Che combattuto avean con le persone :
Ein tanto vino si mettea da basso, Or combatton con bestie, e con ginia,
Eminacciano, e giuran per lor santi, Che non hanno misura nè ragione,
Che faran de Cristian si gran fracasso, E perché gli avea sempre qualche spia,
Che mai non tornerà più il re Luigi Come è ufficio d'ogni capitano,
In Francia bella a riveder Parigi ; Ogni cosa dicea di mano in mano.
XLV LIT
E che Tibaldo s'arrechi in luoghi alti, E sapea quel che dicono i giganti ,
Che faranno quel pian di sangue un guazzo Che avean molto Luigi minacciato;
Come e' sien cominciati e' primi assalti, E come gli han giurato tutti quanti,
E con un viso feroce Cagnazzo, Che in Francia mai non sarebbe tornato ;
Superbia mostra per cento Efialti, Eche il più vil di for par che si vanti,
Perché e' lavora del vin qualche sprazzo. Che presto il suo paese fia assaltato,
Par nondimeno saran da temere, Eche faranno un bordel di Parigi,
Giunto il vin con fa forza al mal volere. E i cavai mangeranno in san Dionigi;
6
83
CIRIFFO CALVANEO 84
LIII LX
E che non han di sua gente paura, E non aranno tutti gli epitaffi ,
Che volean mazzicargli come cani, E molti sentiranno la rugiada,
E quando e fieno in Francia alle sue mura Che come zucche la notte gl' innaffi ;
E torre sveglieran con le lor mani ; Si che a Beltram commesso fu che vada
E minacciavan Giove, e la natura, Là dove era Tibaldo co' suoi zaffi,
Edicean cose, che non son di umani : Che n'avea questa volta una masnada ;
Ma mentre così tutti avevan detto, E parve al re Luigi, ed a Guglielmo,
Ognun sollecitava col barletto, Che non portassi sicurtà nè elmo.
LIV LXI
lo farei per or tregua con Tibaldo , Tibaldo, come ho detto, era nom discreto,
Se paressi a questi altri, per un mese, E conoscea tanta in costui virtute,
Tanto che sia sfumato questo caldo: Che con un volto grazioso e lieto
Però che e' son venuto di paese, La man gli prese dopo le salute;
Che questo lor furor fia presto saldo. E comando che ognuno stessi cheto,
Tibaldo so che farà buone spese ; Si che tutte le turbe furon mute:
E tutti balenar gli vedrai tosto, E disse sorridendo il primo motto ;
Che non son usi a zuffarsi col mosto. Ove è Beltram il tuo salvo condotto ?
LVI LXIM
La scusa è qui parata, al parer mio, E non abbiamo insieme odio nè guerra,
Che ci bisogna a' morti aver pur cura , Ma combatte qui fede contro fede,
Acciò che non si offenda in questo Iddio, E non so qual di noi, ma l'un pur erra,
Di lasciargli alle fiere alla ventura, Ma l'uno e l'altro d'errar non si crede.
E puossi in modo dir, come dico io, Tibaldo allor la man ristringe e serra,
Che non parrà tu il facci per paura : Tanta eccellenza nel parlar suo vede,
Però che i morti omai si sentiranno, Che molto posson le parole pronte;
E seppellir per forza si faranno. Poi l'abbracciava, e baciolli la fronte .
LVIII LXV
Tibaldo, vorrà pur, che l' Alpatrice Guardo Beltramo, e i giganti vedea,
Sia levato de' boschi, e seppellito ; Che alcuno insieme faceva alle braccia ;
E Sinettor, che alla città si dice, E parea quando l'un l'altro scotea,
Per le man di Spinetto morto è ito: Quando ancor Giove Briareo minaccia,
E sa che il poggio ha piena ogni cornice Che tremar sotto la terra facea:
Degli altri corpi, e piglierà partito, Chi qualche pin con un pugno giù caccia,
Che in ogni modo il tuo parer si segua, Poi lo lanciava come un dardo in alto,
E come savio accettarà la triegua. Chi co' baston faceva qualche assalto.
LIX LXVI
Piacque a Luigi, e gli altri che d' intorno Egli avean palle grosse da bombarda,
Eran, molto il parlar del savio duca, Ed un di lor facea la bagattella,
E tatti uniti a questi s'accordorno , Edice all' altro: Apri la bocca e guarda,
E che Beltram sia quel che la conduca, Isputa, e gli sputava una cammella :
Acció che a morti s'attendessi il giorno, Un altro v'era, che fece la giarda
Però che s' avea a far più d'una buca; Ad un buffon di Tibaldo più bella,
E converrà qui guastator pur molti, Chelo inghiotti visibilmente tutto,
Prima che sien tanti corpi sepolti . Poi lo gittò fuor vivo con un rutto.
85 CIRIFFO CALVANEO 86
LXVII LXXV
Tibaldo che conobbe la lor mente, Poi fe' portare il corpo alla città
Che si scostassin con la man fe'cenno ; Del suo fratello, e poi molti altri vide
Pure Ansidonio, un gigante possente, De' suoi pagani, e seppellir gli fa.
Che avea fra tutti in verità più senno, Quivi si senton dolorose stride ;
Disse: Il Soldan non ti fe' mai niente : Chi il padre, chi il figliuol ritrovato ha,
Mastu non voli, e intanto io non mi spenno, E per dolore il cor se gli conquide :
Un di ricordératti di Ansidonio: Chi il suo fratel, chi'l morto amico abbraccia,
Cosi Tibaldo ne sia testimonio. E'l petto, e 'l volto si percuote e straccia.
LXIX LXXVII
Beltram, che vide il gigante nel viso Gran lamento si fece tra pagani ,
Turbato e tinto, alquanto s' accapriccia: E seppelliron, come è lor costume,
Gli altri a traverso lo guardavan fiso, Ne' campi i morti in molti luoghi strani:
Che paion Farfarello e Barbariccia: E non aspettan qui campana o lume :
Ma poi con seco alla fine ebbe riso, Alla città mandorno i Capitani,
Che come gli occhi da' giganti spiccia, E cavai rotolorno tutti al fiume,
Si vide intorno si strani animali, E riserbar di molti il fornimento,
Che esser credette tra monstri infernali.
Ebriglie, e selle d'oro e d'ariento.
LXXI LXXVIII
LXXXII XC
Hanno costor nel monte Carpenteo Era questo gigante tanto nero ,
Isbarrato la bocca già a mille orsi ; Che parevan di neve gli Etiopi ;
E se fussino stati con Tifeo, Un occhio aveva come forestiero,
Quando i giganti contro al ciel levorsi, Perch' egli è della schiatta de' Ciclopi :
Arebbon tanto prezzato ogni Deo, Un altro arroganton, superbo, altiero,
Quanto i leon delle pecore i morsi : Ch'era re delle gatte, o quel de topi,
Cavalcano elefanti, anch'e' frategli, In Africa appellato è Gattamummo,
Ma maggior bestie son di sopra quegli. Pien di fasto, bestiale e pien di fummo.
LXXXV XCIII
Un altro v'è chiamato Trangugione, Ella arebbe voluto che il suo padre,.
Venuto di Hiperbora, che trangugia Tibaldo, cosi morto rimandassi,
Gli uomini interi vivi in un boccone, Dove aspetta dubbiosa la sua madre.
E cacciagli là giù tra la minugia ; Intanto un giorno un bel convito fassi
E l'altro ch'era tutto devozione, E tutte le più belle e più leggiadre
Come a dire, Scarinci o Gattarugia, Tibaldo comando che s'invitassi :
Che mangiava i fanciulli, anch'egli, il porco! Fra l'altre Aleandrina pregata era,
Suo fratello è chiamato Basalorco. Che si dovessi trar la vesta nera .
LXXXVII XCV
Tre altri venuti eran di Numidia, E di sua man gli spron d'oro gli misse
Gattagancia chiamati, e Carbonchione, Per onorarlo questa volta a doppio :
O Carbonel, che paion pur l'Accidia, Della qual cosa ebbe Cornes Dalisse
Uomini strani senza proporzione, Tanto sdegno, dispetto e tanto scoppio,
Da non tirargli Prasitel o Fidia ; Che e'ne segui poi tante e tante risse,
Un altro Bricco, o più tosto Briccone, Che fu per molti al fin pestifero oppio,
Da declinarlo pure in ablativo, Un tristo seme di malvagio frutto,
Ed è, come si vuol, grande e cattivo. Tanto che il mondo andra sozzopra totto.
89 CIRIFFO CALVANEO 90
XCVII CIV
Eperchè ella avea detto in suo liguaggio, Tu hai già quello stral fisso nel cuore
Che volea ritornar nel suo paese, Di Febo per la figlia di Peneo,
Il disse con la lingua, e col visaggio E dirai come semplice amadore :
Un altro effetto assai mostró palese : Non son pastor più in selva, io son Iddeo,
L'Almansor, ch' era un uom discreto e saggio, Dove è la fede tua , dove l'amore ?
E le parole, e gli occhi bene intese ; Non ti ricordi tu di Calvaneo ?
Avendo a lato il Povero Avveduto Che lo solevi amar come fratello,
Fece un altro pensier si come astulo, Ed or si sta soletto al suo Carmello?
91 CIRIFFO CALVANEO 92
CXI
E Falcon tuo, che ti guido per mare, Noi lo faremo in Arabia signore ,
Eposeti nel porto d' Ascalona, Ch'i'non vidi mai giovin tanto ardito;
Lasciato hai per lo campo strascinare, Nè mai più partirà da nostre squadre,
E straziar come un can la sua persona : Perch'io conosco in lui cose leggiadre.
Se ingrato Amor ti farà diventare , CXIII
Questo peccato poi chi lo perdona ?
Amore è ben gentil, ma il suo ciel regge In tanto il gran convito è sparecchiato,
E posto fine al sollazzo e diletto,
Ingiusto, ingrato e senza fede o legge.
Il Pover si parti tutto turbato ,
CXM Ed andossene in camera soletto ;
Tibaldo disse poi con l' Alınansore : Soletto no, che sarà accompagnato
A me piace, Almansor, questo partito, Di pensier, di speranze e di sospetto :
Perch'io portavo a Sinettorr' amore, Quivi sol seco combattea sè stesso :
Che il Pover di sua figlia sia marito: Non si ricorda d'altre guerre adesso.
CANTO VII
Iit
I.
lo non so, lasso, più quel ch'io mi voglio, Io debbo solo odiar Guidon, mio padre,
Oquel ch'io speri in questo mondo, o brami: Che m'ha scacciato fuor del cristianesimo,
O Falcon mio, di te quanto mi doglio, E ingannata per altra la mia madre.
Ch'io sare' all'ombra ancor di verdi rami; Adunque mai non piglierò battesimo ?
Umil pastor ne' boschi, come io soglio, Io mi starò fra le pagane squadre,
Adoprerei l'astuzie, e l'esca, e gli ami , La fede osserverò del paganesimo ?
Dove preso son io da gli altrui lacci, E licito ogni cosa è per costei,
E non è chi per me difesa facci . Che venuta è del regno degli Iddei ?
11 VI
VII XIV
Ecco costei, poi che mia sposa fia, E traevon coreggie i ribaldoni
Dove andrò io con essa, od in qual parte ? Alcuna volta per ischerzo, o gola,
Tibaldo ha fatto forse fantasia, Che cavavon la polver tra mattoni,
Come Luigi e sua gente si parte, E spazzavan le tre ogni gran sala:
In qualche modo poi cacciarmi via, Non bisogna pel fuoco altri soffioni ;
E ordinò con astuzia e con arte Non si conosce pidocchio o cicala:
Le parole, che disse l'Almansore, Eran proprio la schiuma de' gaglioffi,
Perchè l' nom nasce ingrato e traditore. Porci, birri, ghiotton, rubaldi e goffi.
X XVII
Tutta la notte in sino alla mattina E cantavan talvolta tutti in tresca,
Varie cose gli apparvon nella mente; E facean la più strana gargaliata,
Pur riveder di nuovo Aleandrina Che non era nè d'Ungher, nè Tedesca :
Propose a se medesimo, e consente; Più tosto o filastrocca, o intemerata;
E in tanto Amor il suo dardo raffina E pensi ognun come questa rincresca,
Che più che prima sarà poi fervente; Perché la solfa non è qui segnata,
Chein un segno e in un loco undoppio strale O per bi-molle, o per natura grave:
Sempre al colpo secondo è più mortale; Ma lo intronare era sempre la chiave,
XI XVIII
Ma poi si scambierà qui gioia a gioia, Però fece Tibaldo un suo pensiero,
Enon ce ne sarà sola una buona ; Come e' potessi costor rimandare ;
Non ci bisogna Aleandrina a Troia E manda al re Luigi un messaggiero
Ritorni, che la Troia è qui in persona : A dir, che gli volea significare,
La cosa se n' andrà di soia in soia, Come i giganti hanno il cervel leggiero,
E'l fante spacceren per Barzalona ; E non volevan la tregua aspettare ;
E cosi fanno poi tutte le donne E insino a qui gli avea tenuti a pena,
Un gioco, che è più bel ch'alle minonne. E che son can da romper la catena ;
XII XX
Or ci bisogna qui fermare un poco Che gli parea, se a lui paressi questo,
Quel che fanno i giganti con Tibaldo, Che si dovessi terminar la guerra
Perchè e' comincia a rincrescerli il gioco. A corpo a corpo : e se non fussi onesto,
Come il nostro voler non sta mai saldo, Che gli perdoni se nel dir pur erra :
Era già freddo, anzi giacchiato il fuoco E se'l suo cavalier vincea, che presto
D'un desio, che al principio fu si caldo; Liberamente gli darà la terra :
Che spesso tardi a suo danno si pente Ma se e' perdessi con ispada, o lancia,
Chi troppo a se medesimo consente. Che si dovessi ritornare in Francia ;
95 CIRIFFO CALVANEO 96
XXI XXVIII
Fu dato il di, secondo il lor costume, E l'uno e l'altro assai del campo tolse,
E il luogo alla battaglia deputato E poi in un tratto con molta destrezza
Tra il campo e la città, presso ad un fiume, La lancia abbassa, e'l suo caval rivolse,
E fatto intorno a questo uno steccato : Ch'una rondine va con men prestezza ;
E perchè ognun la vittoria presume, E quasi a mezzo lo scudo ognun colse,
Acciò che scandol non fussi qui nato, Si che la lancia parimente spezza,
O dato in qualche modo impedimento, E' destrier come folgor via passorno,
S' accordaron lor due serrarsi drento ; Tal che i giganti si maravigliorno.
XXVII XXXIV
XXXV XLII
E disse: Questo Pastor non cincischia, E'non si vide mai serpenti in caldo
Questo non è di montanaro scherzo : Combattere, o leon gelosi in cruccio,
Perché la mano e la spada qui fischia, Che non paressi ognun pigro, anzi saldo,
E non saria d'aspettar forse il terzo ; Rispetto a questi, e il loro ardire un succio,
Edetto questo rappicca la mischia, Ed or temea del suo guerrier Tibaldo,
E terminò di menar pur al bierzo Che pareva rimesso come un cuccio,
D'una percossa, che l'elmo non suona, Ed or temeva Luigi e Guglielmo ,
Più tosto crocchia e la zucca gl'intruona. Pur tutta volta si fidava all' elmo.
XXXIX XLVI
Tibaldo par che a suo modo la intenda; Or qui la furia per modo raddoppia
Dicea con l'Almansor, e con Malducco : Che il tempo in mezzo non par che ci cappia;
Per Dio che ci farà molta faccenda ! I colpi sempre si sentono a coppia,
Questo cristian fatato è nel baucco : Né par dell'un più che l'altro si sappia;
Cosi dall'altra parte par che attenda Come il tuon e'l balen di pari scoppia,
Il re Luigi al suo mignone, o cucco; Tal qui forza e valor si scioglie e scappia,
Edisse : Lionetto è pur gagliardo, E' destrieri anche si torrien la greppia
Edal ciel venne come lo stendardo. Sudati no, ma da gittare in seppia.
7
99 CIRIFFO CALVANEO 100
XLIX LVI
E chi arebbe creduto, che i giganti Però mutò come savio pensiero,
Avessin tanta gentilezza in loro, E venne al re Luigi di secreto ,
Che cominciorno a gridar tutti quanti : E disse : A rivelarti vengo un vero,
Ponete in posa un si crudo martoro ! Ch'io so; tu ne sarai per certo lieto :
E poi, che intesi non erano, avanti Ma serbal nel tuo petto tutto intero,
Si fecion mossi a pietà di costoro, E nota, e gusta ben, com'uom discreto :
E ruppon lo steccato, e dentro entrorno, Guidon non sa quel che tu arai saputo,
E finalmente la zuffa spiccorno. Che suo figlinol è il Pover Avveduto.
LIHI LX
LXHI LXX
LXXVII LXXXIV 3.
La lettera Falcon dieea, che vuole, Così, chi vive male, guai a lui ! guai !
Acció che il re Luigi chiaro intenda, Alfine un punto sol giudica tutto.
E prestassi più fede alle parole, E'l boia dice: Spacciati ! Ormai
E'l Pover semplicetto lo commenda ; Nel perder tempo non è buon costrutto.
E dettegli uno anel, che tener suole Levati su, ch'alla barba l'arai :
In dito, che fu già di Paliprenda, Quest'è di tua ragione il resto tutto;
Che lo portassi per segno al suo padre, E legogli le mani, e menol via,
Ch' aveva già donato alla sua madre. Perchè Tibaldo vuol che così sia.
LXXVIII LXXXV 4.
Come Falcon la lettera ebbe in mano In questo mezzo il Povero Avveduto,
E l'anello, a pensar cominciò seco, Ch'ha inteso le novelle di Falcone,
Quel traditor di Folco Candiano ; Subitamente a Tibaldo è venuto,
Quando io ripenso a tante ingiurie meco , Porgendo per Falcon dolce sermone.
Non mi rimorde, s'io son Giuda o Gano , Tibaldo a lui, come prudente e astuto,
Menar la mazza tonda come cieco, Riconta e'l caso e la conclusione
E pensar come e' riesca il disegno, Del tradimento, ed ogni suo disegno,
Che licito è tradir per giusto sdegno. E lettera ed anel mostra per segno.
LXXIX LXXXVI - 5.
E finalmente se n'ando a Tibaldo, E'l Povero riman tutto smarrito
E mostrogli la lettera e l'anello ; Vedendosi tradito e discoperto.
E disse come il Povero, il ribaldo, O Falcon mio, tu sei troppo ardito,
Di Lione Spinetto era fratello; Et'è tal penitenza un giusto merto :
E mostrogli più serpe ch'an ceraldo : Tu meriti, per certo, esser punito :
Tutto facea quel traditor e fello, Per te non resta ch'io non sia diserto ;
Perchè la guerra andassi tanto avanti , E, perchè è da punire ogni trist' opra,
Che alle man si venissi co' giganti. Va pur con Dio : la giustizia t'è sopra.
LXXX LXXXVI - 6 .
Perchè e' dicea: Se il Povero, Spinetto Falcon, legato, fu a mano a mano
Vincessi alla battaglia per ventura , Menato in piazza con gran grido e tuono,
Luigi osserverà quel che gli ha detto : Incatenato come un can alano;
Ma se i giganti per la sua sciagura E tutti i Farisei dintorno sono,
Si conducono in campo a petto, a petto, E pensan solo ognun averne un brano,
So che più il danno fia che la paura, E mentre vuole pur chieder perdono,
E che sarà condotto a qualche stretta, E crede ancora Tibaldo gli creda :
E, sedendo io, vedrò la mia vendetta. Ma e' lo dette a quella turba in preda.
LXXXI LXXXVIII 7.
Tibaldo conoscea Falcone a punto, Tibaldo istette a veder questa caccia;
Edisse : O Falcon mio, benchè tu finga, E, come in mezzo la volpe è de'cani,
Tu sai, ch'io so che il capestro d' oro unto Ognun fa la sua presa, ognuno straccia;
Meritasti insin già sendo ad Oringa : Chilo morde, chi gli storce le mani,
Or se il peccato a Ascalona t'ha giunto, Chi per deligion gli sputa in faccia,
Non vo' che più le maschere dipinga : Chi gli da certi sorgozzoni strani,
Pertanto son disposto che tu muoia, Chi per la gola talvolta lo ciuffa
E così detto fe' chiamare il boia. Tanto che'l cacio li saprà di muffa .
LXXXII 1. LXXXIX 8.
E voltossegli allor Tibaldo, e poi : Poi gli misse il capestro d'oro al collo,
Se desideri l'anima salvare, E la corona de' ribaldi in testa.
Chiamati in colpa, ch'esser certo puoi Ancor non era quel popol satollo,
Che 'l tempo è ora, e non potrà passare Anzi rugghiava con molta tempesta ;
Ch'io non dia fine a'tradimenti tuoi . Alcuna volta e' torceva el collo,
Intanto fa le forche apparecchiare ; E'nverso il Pover voltava la testa,
E gia si vede il boia comparito, Dicendo : I'mi t'accomando, figliuolo,
E Falcon di paura è sbigottito. Non mi lassar morire in tanto duolo !
LXXXIII 2. XC 9.
Ma, come audace, a suoi pie ginocchioni Il Pover, pur, quando l'udi parlare,
Supplica, piange e non gli par già giuoco, Quasi che venne di poi lacrimando ;
E, con molti argomenti, e sue ragioni Epensa ancor di volerlo campare,
Si raccomanda : ma gli varrà poco, E venirlo a Tibaldo domandando ;
Che'l fingere, e 't ciurmare, e l'orazioni E fra sé stesso non sa che si fare,
A questa volta non avranno loco ; Epensa pur che gli è fino ribaldo ;
Perché gli è stabilito, e posto in sodo, Poi si dispose che fussi impiccato :
Che Falcon sia impiccato in ogni modo. Il Povero a Ascalona s'è tornato.
105 106
CIRIFFO CALVANEO
XCI 10.
XCVIII - 17 .
Tibaldo vuole alla fine che muoia : E con questo pensiero e' se n'andava,
Presso a Ascalona e' fe' le forche fare, Come che gli era usato, a riposarsi ;
E poi 'n un tratto e'fe' chiamare il boia; E tutta quella notte imaginava
E tecelo dinanzi a se tornare, E'l come e'l quando e' debba ritrovarsi
E disse : I son disposto che tu muoia, Con Lionetto. Alfin s' addormentava :
Traditor falso, pien di male affare. E non potè però molto posarsi,
11 manigoldo lo legava presto, Che, come piacque a Dio, e'fu isvegliato,
Ed attaccollo ad un santo capresto. E con dolcezza per nome chiamato.
xen 11. XCIX 18.
Per non esser prolisso, i suo' trist' anni E senti una voce, el cavalieri,
Fini Falcon con danno e pregiudizio : Che disse : Ascolta, e'ntendi il mio precetto.
Tre legni furon fin de' suoi inganni, E' piace a Dio che tu pigli il sentieri
Ua laccio fa sostegno del suo vizio. Verso il monte Carmel: questo è l'effetto;
O, misero meschin con quanti affanni Si che fermerai qui i tuoi pensieri,
Ha 'l tempo speso e con tristo giudizio ! Ch'ancor ne sentirai gaudio e diletto:
Vedi ciascun che traditor ti chiama, Leva su, presto ! e prenderai il cammino:
Ed immortal sarà tua trista fama. Che cosi piace a Dio, rege divino.
XCII 12
.
C- 19.
Or punit'è Falcon, e le sue norme, E quando al monte detto giungerai ,
Però nessun con la coda le cuopra : Cerca dal lato destro appresso al colle:
Che la divina giustizia non dorme, Una spelonca tu vi vederai,
E pure al fine è testimon dell' opra . Dove che Calvaneo elegger volle 1
Ediceva fra se, il poveretto : Cerca per tutto il campo in ogni lato,
Voglio io l'amor paterno abbandonare. E pensa pur dove poss' esser ito :
Qual ragione, o qual forza m'ha costretto Sa che dal re Luigi non è andato;
Dover del sangue mio costor saziare ? Non lo ritrova, e ne resta smarrito;
Oh ! lasso a me, s' io vinco Lionetto, Ed è in modo e forma isconsolato,
Come potrò da mio padre tornare ? Che e'non sa che farsi, o che partito
E se Tibaldo lascio così subito, Prender si debba i partiti son vani
Che traditor mi chiami sempre dubito. A repugnar ormai contra a' Cristiani,
XCVII 16. CIV - 23.
Forzato sono adunque di tornare E bestemmia Macone ed Apollino,
Alla battaglia, po' ch'io l'ho promesso : Belfagor, Balaino e Trevigante ;
La fede voglio a Tibaldo servare, E maladice suo fato e destino,
Che onorato foi sempre da esso; E bestemmiava e'l suo regno e Levante:
E farò forse a Spinetto costare Luigi, Carlo, e bestemmia , e Pipino ;
Del mio e del suo padre el grande eccesso. Maladice ogni cosa in uno stante,
lo giuro a Dio, se con meco s'affronta, Trovasi pien di gran fastidia e tedio :
Di dargli morte a suo dispetto ed onta. La medicina alfin pensa e'l rimedio.
108
107 CIRIFFO CALVANEO
cv - 24. CVIII 27 .
Ma come uomo d'ingegno, e di valore, E'l qual con molta gloria è ritornato
Chiama a consiglio i primi capitani, Dal suo signor, che fu molto contento :
Tutti signori di gran pregio e onore; Di poi in breve tempo ebbe ordinato
Ed alla fine e signori e Pagani Lasciare di sua gente a compimento;
Conchiudon che si mandi ambasciadore, E poi, che ogni cosa accomodato
Che pratichi una triegua co' Cristiani, Gli parve avere, e' dié le vele al vento:
Almanco pur dieci anni ; ch' oramai Non vincitor e' se n'ando, nè vitto,
La guerra è stata lunga tempo assai. A riposarsi alquanto nello Egitto.
CVI - 25. CIX 28.
Cosi ferno, e mandorno un oratore Un tempo de' venir, lassolo andare,
Alla corona del gran re Luigi, Dove gli è più tormenti riservato :
Il qual lo riceve con grande amore ; Noi vedrem tante spade insanguinare,
Ed egli a lui: O signor di Parigi, Che sare' me' per lui non esser nato.
Mandato sono a te dal mio signore E'l re Luigi anche lui vuol tornare
Per dar riposo a' nostri gran litigi ; Al suo Parigi, dove egli ha lassato
E, per posare alquanto i nostri affanni, Ogni sua gloria, che lo 'nvita e chiama,
Domandoti una tregua per dieci anni. Come ancor sentirai, a maggior fama.
CVII 26. CX 29.
E'l re Cristiano, che era affaticato La brieve vita del tempo non dice
Per la gran guerra lungo tempo auta, Dover trovar la fine di costoro.
Provvidamente si fu consigliato : Ancor resurgerà una fenice,
Di poi la tregua ferma, e conceduta Che già s'incoronò di verde alloro ;
Conpatti, il privilegio è suggellato. E forse ha ritrovato ogni pendice
Ma prima fu la cosa antiveduta ; Di questo fatto nobile e decoro :
L' quando fu a pien tutto ordinato, E che ciò sia, se alcuno mai lo 'mpetra,
E' imbasciador con don fu licenziato ; Quel che segui ci dirà la sua cetra.
CONTINUAZIONE
DI BERNARDO GIAMBULLARI
AL POEMA
DI LUCA PULCI
CIRIFFO CALVANEO
CONTINUAZIONE
DI BERNARDO GIAMBULLARI
AL POEMA
DI LUCA PULCI
来的 肉
PARTE PRIMA
I
IV
Guarda però che diavol di natura Com'è già detto, egli era un uomo astuto,
Ha il traditor, ch'a ogni ora va a rischio E recandosi qui la mente al petto,
D'aver la morte, se per sua sciagura Conosce che il suo termine è venuto,
Non risponde il zimbel secondo al fischio; E reputa morire in degno letto;
Ma questa sarà l'ultima paura, E però tace, che pareva muto,
Malvagio seme d'idra o bavalischio; Come quel ch'ha d'altra morte sospetto,
Meglio era che venuto qui non fussi, O d'esser da' cavalli strascinato
Che tu hai scontro i tuo' ventuno influssi. In quattro parti, o d' essere impalato.
111 VI
E vanne de l'avanzo del tuo resto ; Etaceva per dubbio che Tibaldo
Tu sarai pure a' traditori specchio. Non si rimuti e facciagli altro gioco,
Cosi dicendo il boia giunse in questo Che e'non facessi morillo di caldo,
Emise il vezzo al collo al tristo vecchio
Che a quel che e'meritava questo è poco.
Col cappio acconcio, e per fornirlo presto Cosi tacendo mansueto e saldo,
L'anse e fermollo sotto al destro orecchio. Il boia a la giustizia vuol dar loco:
Falcon che vede ordinar questa festa, Falcon, tu volerai senza sonagli.
Tace, perchè gli par tal morte onesta, Così dicendo par che fuor lo scagli.
8
115 CIRIFFO CALVANEO 116
VII XIV
Falcon fe' il volo come il passerino : E s'io t'ho fatto questo tradimento,
Cosi rimase a trar de' calci al vento, Egli è ben ver ch'io nol dovevo fare,
E cosi vuole il giudizio divino Ma chi pecca una volta pecca cento :
Che chi mal vive, muoia mal contentos Io mi volea con Folco vendicare
Prima che l' alma prendesse il cammino Del grave strazio, e del crudel tormento,
Per andar giù nello eterno tormento, Quando e' mi fe' per tutto il campo andare
Volse tornar dal Povero Avvedato Legato come simmia, o ver bertuccia,
Per fargli noto ciò ch'era avvenuto. Che addosso non avevo pel, nè buccia,
VIII XV
Immediate al Povero ne fu ito, Io son, come tu sai, pur d' anni vecchio
Che sospirando si stava in sul letto, Con poca fede e manco conscienzia ;
Perchè (come è già detto) era ferito Facciamo a dir il ver, pon qui l'orecchio:
Si da Cupido e sì da Lionetto ; Le colpe mie non mertan penitenzia.
E d'un pensiero e d'un altro assalito, Ho de la mente mia fatto uno specchio
Dal sonno fu occupato e costretto, E da me stesso mi do la sentenzia .
Edormendo gli apparse in visione Or circa al fatto tuo non prender agio
Lo spirito parlando di Falcone. Ch'io tengo più d'un diavolo a disagio.
X XVII
Non già ch'io creda che per tuo amore Al Pover parve una strana novella:
Tibaldo mi facesse far la festa, Che vuol dir questo ? pur seco dicea.
Perch'io so ben ch'egli ha disposto il cuore Sentissi andar il cuor tra le budella
A farti fare altra morte che questa, E nessun verisimil ci vedea ;
E come a me li sarà traditore Pure de la vision seco ſavella,
Sapendo chi tu sei, e di qual gesta ; Va intendi, disse al servo e quel correa,
Come tu sei fratello di Lionetto E giunto in sala vedeva Tibaldo
E figlio di Guidon, che gli hai dispetto. Nel viso tinto, infuriato e caldo .
XIM XX
E dubita che tu ne sia d' accordo Che in giù e in su per la gran sala andava
Col re Luigi e Guglielmo e Guidone, Soffiando, che pareva un bravo toro,
E ch'io sia la civetta, e lui il tordo, Con la lettera in mano, e lagrimava,
E che tu sia per pigliarlo al panione; Perché nel cuor sentiva gran martoro ;
Si che, Povero mio, non esser sordo, E come savio dentro esaminava
Ma pensa e cerca la tua salvazione, Di dare perfezion al suo lavoro,
E non istar col re Tibaldo in pratica, E non si vuole al Povero scoprire,
Che ti farebbe una festa salvatica. Né tal secreto in altri trasferire.
CIRIFFO CALVANEO 118
117
XXI XXVI
S'io il facessi morire, ch'are' io fatto? H Povera avea fatto il suo disegna
Egli è la mia colonna, il mio sostegno. Apunto, e vede il suo partito vinto,
Altro partito sarebbe di matto, E come savio operando lo 'ngegno,
Anche la mia ruina e del mio regno; Volse aspettar che l'aire fussi tinto;
E s'io l'ho meco, ancor qualche buon patto E per dimostrar lor quanto egli è degno
Potrei aver col re Luigi degno; Nell' arte militar, quando ebbe cinto
Questo partito mi par più sicuro, Il degno brando al sinistro gallone,
E non si può giudicar del futuro. Apiù signori il suo voler prapone.
XXIII XXX
Cosi ciascun la sua mente rovistola Sentesi il cuor legato in due catene
Assottigliando i ferri senza ancudine, Che ognuna il tira, e pur l'amor paterno
Tibaldo per sanar nel cuore la fistola Ripugna più, perchè il natural bene
Che lo teneva in grande ansietudine, E più potente, se il vero discerno;
N'andò al Povero senza breve o pistola, Edice seco: Se costei mi tiene,
Pregandolo con gran mansuetudine Io perdo il corpo, e l'alma va a l'inferno,
Ch'a la sua volontà fusse arrendevole, Pur di partirsi avea disposto il cuore,
Facendo con effetto il convenevole: E in parte vuole soddisfar l' amore.
XXV XXXII
Povero, per l'amor che tu mi porti Era già spento del hel sole il raggio,
Eper quanto tu brami mia salute, E l'aire parea d'oltra marino.
Rispetto avendo a tanti uomini morti, Il Povero Avveduto, come saggio,
Massime il Capitan pien di virtute, Occultamente prese il suo cammino,
Sinettor nostro, e gli altri guerrier forti Perchè era molto breve tal viaggio
Che son defunti ne le risse sute: A la zambra del viso pellegrino
Si che per tanto, Povero mio bello, Di Aleandrina bella e graziosa,
E' ci bisogna aver gli occhi al pennello. Ch'era soletta, mesta, e lagrimosa ,
XXVI XXXII
Inteso ch' ebbe il Pover la proposta, E giunto in zambra con grato saluto,
Disse infra sé: Questa è la mia ventura ; In pie si levo presto Aleandrina,
Efece indrieto una dolce risposta : Dicendogli : Voi siate il ben venuto,
Tibaldo non è uom d'aver paura, E riverente al Povero s'inchina.
Massime avendone sempre a tua posta Il Pover ch' era molto antiveduto,
Con teco insieme sotto l'armadura: Per confortar quella donna meschina,
Se tutto il mondo assediassi Ascalona, Le disse: Donna, e' non si puote opporre
Va, non temer, Tibaldo, di persona. Aquel ch'ha fatto Dio di Sinettorre,
119 CIRIFFO CALVANEO 120
XXXV XLII
Imperocchè noi siam tutti mortali : E tal gita non è senza cagione:
Solamente non muor quel che non nasce : Mentre la triegua è sicura tra noi,
Questo volubil mondo, pien di mali, Si può andar senza dubitazione;
Di falsa speme ci notrica e pasce. Qual sia l'effetto intenderetel poi.
Tal si crede volare al ciel senza ali, S' io non fussi tornato a lo squillone
Chemeglio era per lui morire in fasce, Quando Tibaldo andrà con gli uomin suoi
E tutti siam soggetti a tal sentenza, Ağfar la guardia, come è deputato,
Però si vuole ch'abbiate pazienza. Io sarò bene al bisogno tornato.
XXXVI XLIII
Ponete un po' da parte tal molesta, E cosi detto volse far partita,
Prendete per mio amor qualche conforto ; Aleandrina per la man pigliando :
Pensate un po' che il pianto torni in festa, Ella divenne ismorta e impallidita ,
Prender si vuol partito, egli è pur morto; Le sue parole ben considerando ,
Pensate di por giu la negra vesta, E disse : Ohimė lassa, questa gita
Di qui a domane il termine c'è corto ; Io non la so venire interpretando,
Più lieto son che mai ancor sia suto, Così di notte e così sol di subito,
E per far lieta voi son qui venuto. Se non che del mio mal mormoro e dubito .
XXXVII XLIV
Conciosia cosa che Tibaldo ha detto Misera me, ch'una nuova Medea
Che domattina vi debbo sposare, Mi vedo abbandonata da Giasonne,
Però avendo al bisogno rispetto O nuova Dido dal Troiano Enea,
Altro esercizio vi convien pigliare, Io sarò pur tra le misere donne !
E cangiar vestimenta, e ne lo obbietto Ah, disse il Pover, la mia voglia rea
Graziosa età e contenta mostrare Punto non è: ma spero acquisteronne
In quanto piaccia a voi d'esser mia sposa. Onore e gloria, come il mio cuor crede :
E lei rispose tutta vergognosa: Cosi vi giuro, e lascio la mia fede.
XXXVIII XLV
Io son venuto per più d'un rispetto, Io aveva fatti già mille disegni
Ma sopra tutto de lo isposalizio In te, e riputava esser felice,
Cauta farvi , se di tal concetto E regina e madonna di più regni,
Avuto non avessi alcuno indizio ; Come disse Tibaldo e l'Alpatrice:
E si per ovviar da voi sospetto Or veggo ben che tu mi sprezzi e sdegni ;
Di me, passando fuori del mio uffizio : Cosi l'animo mio mormora, e dice :
Quando mia gente arò ferma a le poste Se tu mi amassi non ti partiresti
In guardia, ed io andrò di fuor ne l'oste. Cosi in sul fatto, anzi mi sposeresti.
121 122
CIRIFFO CALVANEO
XLIX LVI
Che posso io creder qual sia la cagione E disse : Signor mio, non vo' che vada
Che a questa andata si ti debba stringere, Solo e di notte fra cotante squadre.
Se non che con tua falsa intenzione Il Pover si discinse allora la spada,
Venuto sia a simulare e fingere ? E gliela die' dicendo : La mia madre
Deh prendati di me compassione Già mi die' questa , che molto m'aggrada,
E tante maraviglie non dipingere: E disse ch' ella fu già di mio padre,
E' ci è di tregua Janti giorni ancora La quale io prezzo sopra ogni altra cosa,
Che tu mi puoi sposare, e poi gir fuora. Seconda ate, o donna valorosa.
L LVII
LXIII LXX
Digli che venga insino a mezza strada: E va dicendo pur da lui a lui :
Va francamente, non aver sospetto, Che vuol dir questo ? io nol posso comprendere !
E breve, senza stare niente a bada, Che può volere il Pover da costui ?
Di' ch'io li vo' parlar per buon rispetto : Vorrebbesi Tibaldo mai arrendere?
Che ti risponda, se lui vuol ch' io vada ; Ma e'non si può saper il cuor d'altrui :
Sopra de la sua ſe v'andrò soletto, lo vo ' ngegnarmi se lo posso intendere.
Ecosi venga lui solo come me Cosi dicendo, iscontro per la via
Sicuramente, sopra a la mia fe. Il Povero, che incontro li venia.
LXIV LXXI
Non mi rimorde i giuri ch' io gli ho fatti, Poi gli disse del fatto di Falcone
Che lafèdi Macon posta è da lato : Come l'avea tradito ed ingannato ;
A femmina o fanciul promesse, o patti , E de l'anel che mandava a Guidone
O romper fede, già non è peccato. Come Falcone a Tibaldo l'ha dato ;
Quei che credon a donne son ben matti ; E si come Tibaldo ad un balcone
Tibaldo pensa d'avermi legato Avea Falcon per la gola impiccato :
E alloppiato con si dolce manna ; E lo spirito proprio nel partire
Ma molte volte ingannato è chi inganna. Mi venue al letto la sua morte a dire.
LXVIII LXXV
LXXVII LXXXIV
Guglielmo avea nel cuor tanta allegrezza Io sono il peccatore, e tu se' Pietro,
Che non poteva star sopra al corrente, E a te vengo per misericordia,
Repetendo del Pover la prodezza, E d'ogni mio fallir pel tempo a dietro
E si d'aver un si fatto parente; Dico, mia colpa, e vo' teco concordia ;
E non potea parlar per tenerezza ; E qui Guglielmo con si degno metro
Pur cominciò cosi teneramente : Ha soddisfatto con sua dolce esordia :
O Povero, diletto figliuol mio, Jo mi conosco tanto peccatore
Che bella grazia t'ha concessa Iddio! Che nonposso esplicar quel ch'ho nel cuore,
LXXIX LXXXVI
XCI XCVIII
Giunto Rampaldo, metteva uno strido, Che si grande il dolor le strinse il cuore,
Che mise a tutti con quel gran terrore, Ch' ella divenne in sè tutta smarrita,
E tutti ispaventati volti al grido, E come morta senza alcun vigore
Disse Tibaldo: Nevo, che romore? Rimase sopra al letto tramortita,
Oimè, disse Rampaldo, io mi conquido, E così stette circa di due ore ;
Che il Povero Avveduto è traditore : Poi con un gran sospir fu risentita
Fuor de la terra con seco menommi, Piangendo forte, e si sciolse la trezza ,
Ed esso è ito e solo qui lasciommi. E quella si diveglie, e straccia, e spezza.
XCH XCIX
Tibaldo udendo si fatta novella Io non sapevo che Guidon tuo padre
Bestemmiò Trivigante ed Apollino, Fusse si, come pare ch'ora intenda,
E da lato si trasse la coltella, E come lui ingannasse tua madre,
Dicendo : Macometto Paterino, Come ora intendo dir di Paliprenda
Ah! s'io potessi trarti la budella Quando ebbe sazie le sue voglie ladre;
I' le dare' mangiare ad un mastino Ma prima la sposo che lui offenda
O can malfasso, beccaccio scornato, Il suo onore, e la sua pudicizia
Tu se' cagion che'l Pover m'ha lasciato. Con falsi giuri , e il cuor pien di malizia.
XCIV CI
Perchè io non feci quel che far dovevo? Che farò io, misera, dolorosa ?
Uom morto non fe' mai a nessun guerra. Io cercherò di qualche alpestre regno,
S'il facevo morir quando potevo, E qualche valle rigida ed ombrosa
Arei men quel nemico a la mia terra, Sarà il teatro mio famoso e degno.
Ma un proprio figliuol aver credevo, Egli è ben ver quel che dice la chiosa,
E chi troppo si fida a le volte erra ; Chedoveè il grande amor,ivi è il gran sdegno.
Vedi se a tempo la guardia gli detti, I' son tanto sdegnata per costui,
Che i suoi disegni riuscirno netti ! Che io non sarò mai più donna d'altrui.
XCVI CIII
Oimė, pur ch'io non sia quel villanello Ein questo pianto, e gran rammarichío
Che fu tanto pietoso nel suo cuore, Ritorna pure al Povero Avveduto,
Trovando ne la via quel serpentello Dicendo : O traditor marito mio,
Quasi morto da freddo e con amore Almanco non t'avessi io mai veduto,
Se'l mise in seno e portossel con ello O io avrei per te lasciato Dio
Per riscaldarlo e rendergli il vigore, Macone, al quale io ho sempre creduto,
E poi fu morso dal serpente ingrato: Ed or da te mi veggio abbandonata
Pur ch'io non sia dal Povero impiccato. Senza cagione, e son vituperata.
XCVII CIV
CV ext
Che in campo si facea di lui gran festa, Di ch'io gli dò del combatter le prese
Emolto da ciascuno è reverito ; O vuole a corpo, o a battaglia campale,
E Lionetto ancor nel letto resta Ch'io son disposto nettare il paese,
Perchè non era molto ben guarito E vada come vuole o bene, o male,
D'una ferita, ch'aveva a la testa, Ch'io non istimo tutto il suo arnese
Ma come egli ebbe del Pover udito, Un vil mangur, che sa ben quanto vale,
Si come egli era suo fratel carnale Che il minimo che sia de' miei giganti
Non parve a Lionetto aver più male. Repugnerà con lor sendo duo tanti.
CVII CXIV
Anco del letto subito si scaglia, Ma per non metter tanta carne al fuoco,
Eride e piange per grande allegrezza, Per la salute di ciascuna parte
Esenza usbergo di piastra o di maglia Che e'farà ben levarsi dal giuoco,
Dal Povero n'ando con gran prestezza, Senza voler veder più membra sparte,
Nè più che visto di lagrime abbaglia, Ch'insino ad or lui ci ha acquistato poco,
Ed abbracciollo con gran tenerezza, El'un e l'altro si reputa un Marte,
E tanla affezione a quel mostrava, Benchè la guerra sempre sia dubbiosa
Che il volto suo di lagrime bagnava. E che tribola altrui se non riposa.
CVILI CXV
Il Pover similmente Lionetto Ma per cagion che da me s'è fuggito
Abbraccia e bacia con molta baldanza, Cosi vilmente il Povero Avveduto
Elagrimando tien l'uno l'altro stretto, Vo' dimostrar ch'io non son avvilito,
Chiedendo mille volte perdonanza: Anzi son più feroce divenuto,
Baciati in bocca poi con molto affetto Però dimando che pigli partito
Ritorno Lionetto a la sua stanza, Di levar campo, o d'aver combattuto,
Eil re Luigi al Povero ha donato E se a pigliar partito e' non fia mosso
Unricco padiglion, molto pregiato. Io gli sguinzaglierò i giganti addosso.
CIX CXVI
Essendo il campo in bonaccia tranquilla Si che per tanto digli che si spacci,
E il Pover battezzato con gran gloria, E non aspetti quelle tentennate
Il re Tibaldo di rabbia sfavilla, Di mazza-frusti, e scure, e bastonacci,
Tal che pareva uscito di memoria; Che portanquelle bestie dispietate,
E vuol la triegua mandare a desdilla Che gli parra che'l mondo si disfacci
Al re Luigi e la rotta, o vittoria, Se costoro entran nelle sue brigate:
Quel che debb'esser, vol venir al termine, Or va a Luigi, e di che a tal proposta
Per levargli dal cuor l'antico vermine. Pigli partito, e mandi la risposta.
Cx CXVII
9
132
131 CIRIFFO CALVANEO
CXXIX CXXVI
Epresi a braccio con altri baroni Ma come uom generoso chiar si vede
Andorno alquanto a diporto pel campo. Che sol d'onor desideri milizia ;
Il Povero dicea con suoi sermoni, E combattendo qui fede per fede,
E pareva un dragon che sbuffi vampo : Non già per odio o mortal nimizia,
S'io pongo addosso a Tibaldo gli unghioni, Debbesi aver degli uomini mercede,
Se il brando non mi smuccia o non inciampo, E non fare un macel con ingiustizia,
Io li dimostrerò s'io son codardo, E parmi a questo un buon provvedimento
O s'io sarò legittimo o bastardo. La mia dimanda, se tu se' contento.
CXXI CXXVIII
Rispetto avendo solo a quei giganti , Io dico che tu metta quegli in nave
E' non vede dal suo tanti campioni Perché non ci facessin villania,
Che a corpo a corpo fussin lor bastanti, Ch'in ver son genti pur bestiali e prave,
E in battaglia campal que'bacchilloni Senza intelletto, tutti una genia,
Non gli vorrebbe, che sono si tanti, E sai quanto al mal far ciascuno è grave;
E si feroci con que' gran bastoni, Non san che cosa fedeltà si sia:
Che quando alcun di lor menasse un tondo Onore e gentilezza han tanto a sdegno,
Mill' uomin caccerebbe a l'altro mondo. Gente da non fidarsene col pegno.
CXXIII CXXX
CXXXIII CXL
Ecosi tu non debba passar mai Lasciam un po' costor metter in ponto,
A la tua vita, sopra de' cristiani, E torniamo a Tibaldo che fassetta
E, come è detto, dentro ti starai Per quando l'ora e il termine fia giunto
Con tuoi gran mammalucchi, e tuoi Pagani, Che ognun sia mosso al suon de la trombetta;
E se a questo voler consentirai E non può creder che ne sia defunto
Dà la risposta, e vengasi a le mani, Da alcun de nostri ignun de la sua setta;
E che la fe' di ciascun sia reale, Ma sempre al fior non si discerne il frutto,
Come di re virile e naturale. E rettamente il fin giudica il tutto.
CXXXV CXLII
Tibaldo intese la risposta degna Tibaldo fe' de' suoi giganti un tondo
Del re Luigi con chiara ragione ; Per far guernirgli de le lor vestigie,
Conobbe quanta in lui prudenzia regna, E Salamech il primo, e poi il secondo
E quanto e' parla con discrezione, Ne trasse senza far troppo litigie,
Che con salute al termine si vegna Fortunato chiamato era pel mondo
De l'una e l'altra parte, o regione, Giallaccio e brutto, di fattezze bigie;
E letto il breve, e inteso il fondamento, Il terzo Tarabusso Tarteraccio
Rispose al re Luigi, che è contento. Ch' aveva il naso largo più d' un braccio,
CXXXVI CXLIN
E tutti innanzi a la sacra corona Poi fece questi sei metter da parte
Del re Luigi stando inginocchione Ch' eran maggiori, e più feroci, e strani,
Disse Luigi: Casa di Nerbona E più disciplinati eran ne l'arte,
Degna di laude e di reputazione, E per fidi nimici de' cristiani:
Di cui per l'universo il grido sona, E fe' quegli altri menar in disparte
E perchè io v' amo con affezione, A la marina da' suoi capitani,
Ne le vostre virtù confido e mette Per guardia de l'armata dato a intendere
L'onor, la gloria e il mio stato in effetto. Fu loro, e fatti sopra un grippo ascendere,
CXXXVIII CXLV
Ricordivi de' nostri antecessori Lasciam questi giganti sopra mare,
Da Costantino al mio famoso padre, E ritorniamo al campo ed a la terra
Che uomin sono stati, e quanti onori Che ognuno attende ben a preparare
Avuti han già nell' armigere squadre : La parte sua per la marziale guerra;
Fate uno specchio in lor de' vostri cuori, E come al terzo giorno l'alba appare,
E seguite loro opere leggiadre, Nostri campion, se'l mio parlar non erra,
E cosi otterrete la vittoria Guarniti furno, e con gran devozione
Quale vi fora perpetua memoria. Udirno messa al real padiglione.
CXXXIX CXLVI
Si che per tanto poi per più potenti Udita messa fursi inginocchiati,
Eletti siete per nostri campioni, Chiedendo l'uno a l'altro perdonanza;
Epregovi dell'esser pazienti Poi tutti in bocca si furon baciati
Asopportar per Dio tal passioni, Con un perfetto amor pien di leanza,
Or preparate vostri guarnimenti E prima tutti s'eran confessati;
Efate vostri cuor qual di leoni, Renduti in colpa d'ogni lor fallanza,
Ed abbiate in Gesu ferma credenza, Econ gran riverenza e divozione
Che vi darà gran vigore e potenza. Piangendo preson la comunione.
BLIO
CA STATAL YOLLSYIDOS'S
135 136
CIRIFFO CALVANEO
CXLVII CLIV
Onde Luigi con un bel sermone E gli eran tanto mostruosi in vista,
Gli benedisse tutti lagrimando, E in dosso e in mano avean tale armadure,
Ed abbracciarsi con affezione Che il re Luigi e il campo se n'attrista
Tutti con lui e senza più parlando, Per que' gran bastonacci, accette e scure ;
Usciti fuor con la benedizione Ma quando insiem tal gente sarà mista
Sopra i destrier, si vennon assettando. E ci saran de le vecchie paure,
Or lasciam qui costoro e più avanti E' non sarà la vittoria sì netta,
Andiamo a ritrovar que' sei giganti. Che il re Luigi del suo non ci metta.
CXLIX CLVI
E' parean proprio diavoli infernali Tibaldo venne con più barbassori
Tanto eran di fattezze mostruosi Con que' giganti sin fuor de la porta
E cavalcavan variati animali In su le sbarre, e lasciogli di fuori,
Non punto manco che lor paurosi, Ma prima molto gli prega e conforta
Chi elefanti , e folandre con ali; Che faccin si che riportino onori
Ma non son punto al correr poderosi, A chi gli manda, e poi senz' altra scorta
Son bestie agiate di lor condizione Lasciogli andare inverso lo steccato,
Da cavalcare con la processione. Edrento ad Ascalona fu tornato .
CL CLVII
Tibaldo cominciò la sera innanzi Nostri campion vedendo comparire
A far armar quegli uomini feroci, Questa brigata, come veltri a caccia,
Perchè teme che'l tempo non gli avanzi, Quando si debbe le lepre scoprire,
Tanto son importuni e tanto atroci , Ciascun s'assetta per seguir la traccia,
Chi vuole, e chi non vuol, chi par che danzi Così ciascun pel nemico assalire
Saltando con lo strepito di boci, Si gli fe'incontro con feroce faccia,
E se l'un si raccheta, e l'altro istride, E come que' giganti in campo entrorno
Se l'un si cruccia, e l'altro se ne ride. Chi qua, chỉ là pel prato s'allargorno.
CLI CLVIII
CLXI CLXVIM
Guglielmo quando vide l'asta rotta, Guglielmo quando vide questa coppia
Enon aver il suo nemico offeso, Combatter amendue cosi pedestri
Guidone, e Folco e il Povero ad un'otta, L'ira, la forza , il furor gli raddoppia
E cosi gli altri ciascun d'ira acceso, Contro a questi giganti tanto alpestri,
Considerando ognun a la gran botta, E sente or qua, or là, che il colpo scoppia,
E non veder l'avversario disteso, Tondi, ſendenti, mandritti e sinistri,
Ciascun si maraviglia che con quello E per salvar il suo destrier gagliardo
Are' creduto mandar giu Babello. Saltò d'arcion, che parve un leopardo.
CLXIII CLXX
Epareva un castel sopra d'un monte, Che nel girar si ruppe una catena
Quel Salamecche in su quello elefante, Con una palla, che ve n'era cricca.
Ed il Pover col brando a fronte, a fronte Guglielmo vede come il colpo mena
Percuote spesso il feroce gigante; E non temendo sotto si gli ficca,
Ma l'armadure sue, ch'io non v' ho conte, E mentre che il gigante in giù balena
Eran più dure assai ch'un adamante, Un man riverscio Guglielmo rappicca.
E col suo mazzafrusto ei non è lento, Perchè il gigante avea le braccia istese
Ma quando il mena par un tuon, o'l vento. Guglielmo in piena con la spada il prese,
CLXVI GLXXII
CLXXV CLXXXII
Però ch' ognun degli altri avea faccenda: E cosi Amoroldo di Chinea
Guglielmo era ito a soccorrer Guidone. Fu ritornato sopra al suo nemico
O Lionetto, Gesù ti difenda Col gran bastone, e con la mente rea,
Ch'io veggo in aria la scure e 'l bastone, Ciascun per farlo di vita mendico:
Che par sopra di te ciascun discenda, Il Povero in quel mezzo si mettea,
Ed Amoroldo su l'elmo gli pone Cosi Guglielmo, quel campione antico,
Col mazzafrusto così acerba pesca Ma Scarpiglion con la scure rapicca
Cheprovienche' l cervel per gli occhi gli esca. Sopra Guidone, e la testa gli spicca.
CLXXVIII CLXXXV
E come dopo il balen vien lo scoppio, Quando il Povero vide in tal maniera
Cosi dopo Amoroldo, Scarpiglione Finito il padre ed il fratel Lionetto,
Con la sua scure risonava a doppio, Non fu mai drago si feroce o fera,
Edivisel per mezzo in su l'arcione. E trasse ad Amoroldo ne l'elmetto
Se questi due giganti insieme accoppio Uua punta, che entrò per la visiera,
Non ne prenda nessuno ammirazione, E quell' occhio gli trasse a suo dispetto;
Che lor bestialità tal uso reca, Ed Amoroldo gira il suo bastone
Ma poi saranno tutti a mosca cieca. Cosi al buio, e colse a Scarpiglione
CLXXIX CLXXXVI
O Dio, che cosa fu quando s'avvide Amoroldo pur gira il suo bastone
Il Pover come Lionetto è morto, Cosi al buio e dà di gran mazzate;
E con quanto furor si scaglia e stride Cosi girando dette a Serpentone,
Contro il Pagan per vendicare il torto! Onde gli venne tanta niquitate,
E Salamecche a suoi colpi non ride, Che si gli volse senza discrezione
Che il suo futuro mal conosce scorto, Col baston con tre pale incatenate,
Perchè il Pover gli avea si punto il dosso, E l'un baston con l'altro insieme colse,
Che gli era tutto già di sangue rossa. E l'un con l'altro le catene avvolse .
CLXXXI CLXXXVIII
CLXXXIX CXCVI
Tarabusso del fatto non si avvede E così detto il Povero si scaglia
Che Amoroldo al bujo sia rimasto, Per vendicare Lionetto e Guidone,
E così Serpentone, e ciascun crede E terminar l'orribile battaglia,
Che e'facci pe' cristian con lor contrasto, E trasse un man diritto a Serpentone
E che sia accordato a la lor fede; Che 'l destro braccio al gomito gli taglia
Onde e'pensan di far macello e guasto Ricisamente, e poi giunse al gallone,
Di lui, e poi de gli altri in su quel prato E la coscia taglio di netto a sesta,
Prima che gli esehin fuor de lo steccato. E cosi fece a Serpenton la festa.
CXC CXCVII
Cosi di tutti tre n'è fatto un mazzo, Tarabusso veduto il colpo detto
Eciascun grida e niuno si può intendere Con Amoroldo pur si scuote e tira,
L'un dice traditore, e l'altro pazzo, Cosi tirando gli trasse l'elmetto,
Ecosi insieme attendono a contendere. E visto il suo difetto, quando il mira
Nostri campion vedendo tal solazzo Bestemmio Jupiter, e Macometto,
Missonsi inmezzo e ingegnansi d' offendere, E per compassion di lui sospira,
Colga a chi vuole ognun picchia e martella, E si come un cinghial contro lo spiede
Ri.ti, e roversci, e chi puote crivella. A Folco s'addirizza che lo fiede.
CXCI CXCVIII
Che fiera cosa pareva a vedere Folco gli dette in su l'elmo talpicchio,
Que' tre giganti insieme accapigliati! Che parve proprio che fusse di ghiaccio,
Amoroldo temea di non cadere, Che il brando ne levo netto lo spicchio,
E teneva quegli altri si serrati, Mandò giù la visiera e quel nasaccio;
Che nessun può dimostrar suo potere, E Tarabusso si fe' come un nicchio,
Se non che traggon calci ismisurati Poi prese con due mani il bastonaccio
Quando co'brandi si sentivan pugnere, Per dare a Folco una nespola secca,
E l'un dall'altro non si può disgiugnere. Ma egli fe' col bastone la cilecca.
CXCIX
Mentre che i valorosi Narbonesi Perchè Beltramo come maestro vecchio
Combatton que' giganti in inviluppo, Con una punta sotto il braccio il prese,
Guglielmo sè, e gli altri ebbe ripresi, Che a traverso la gola e per l'orecchio
Che si debba lasciar disciorre il gruppo, Da l'altra parte il brando uscio palese.
Epoi a uom per uom si sian contesi Non bisognò né stoppa nè capecchio
Che si vilmente il lor sangue m'inzuppo, A questo colpo che netto il paese,
E cosi voi e non è cortesia, E caddegli il bastone, e lui su quello
Nè anco onor de la cavalleria. Cadde, e fiacollo, che parve un fuscello.
CXCHI CC
Noi siamo untratto entrati in questo cerchio Egli stava in orecchi come il veltro
Per trarre a fine l'una o l'altra parte: Quando sente pel bosco frascheggiare,
Costoro han più di noi tanto soperchio Ebisognava i calcetti di feltro
Di forza e di grandezza, che con arte A chi fussi voluto irlo a trovare,
Anoi bisogna mettere il coperchio, E non avere armadure di peltro
Sopra di loro e lasciar qui disparte Dove ' l poteva col baston toccare:
Lor membra senza alcuna gentilezza, In mezzo di costor pareva un orso
Equella riserbar dove s' apprezza. Or dinanzi, or diretro col suo morso.
CXCV CCI
CCX
CCHI
Lasciam Tibaldo che accende torcietti
Sendo tal giuoco pur durato un pezzo,
Il valoroso Folco Candiano A Macone e Apollino, e a Trivigante;
D'affanno e d'ira era, di sudor mezzo, Cosi tutti gli Dei ha maladetti,
E fe' pensier d'atterrare il Pagano , Quanti ne son dal ponente al levante,
E corse sotto al fier gigante ghezzo E ritorniamo a' cavalier predetti
Ed al ginocchio gli pose la mano, Ch' eran d' intorno Amoroldo gigante,
Edestramente quello abbraccia e serra, Si come è detto, con grida e con festa,
E sollevollo, e fel cadere in terra. Ecosi Folco gli taglio la testa.
CCIV cext
Non credo che nel basso regno e Stigie, Dolendosi col Povero Avveduto
In que' bollenti e fetidi pantani, De la morte del padre, e del fratello,
Dove son tormentate l'alme bigie, Dicendo : Pover mio, tu hai perduto
Fussi tali urla o strepiti si strani, Il padre, ma presumi ch'io sia quello;
Nè s'è gran guazzabuglio, o tal litigie, E cosi un fratel che arei creduto
Come nel mare insiem fanno quei cani : Il mondo soggiogar teco e con ello;
L'un s'appicava all' altro, un altro isbuffa Ma resta paziente a la lor morte,
Col muso faori, un altro lo rituffa. Poi che così dal ciel dato è per sorte.
CCVII CCXIV
Per più di diece miglia di marina E perché egli è impossibil per tesoro,
Quivi d'intorno non rimase pesce, Per gemme orientali, o signoria,
Che non fuggisse per la gran rovina Remunerarti de la vita loro,
Che costor fanno, e il mar bolle e ricresce; Attribuisco a te la vita mia
Vedevasi saltar tonni e lombrina Con la propria fidanza che con loro
E balene e delfini ognun se n'esce, Avessi fatto, e così vo' che sia
E salton nelle navi, e quali in terra, Tra te e me, con tutte le mie squadre,
Perfuggirde' giganti in mar la guerra. Come tra buon fratelli, o figlio e padre.
ccvnt CCXV
CCXVII CCXXIV
Ech'iol'aspetto in quanto che li piaccia Tibaldo, benché sia d' anni più vecchio,
Ad ogni suo volere in Ascalona, Al re Luigidette la man destra, !
Enel palagio mio se vuol si faccia Come colui ch'era di senno specchio
Quanto conviensi per la mia corona, Ed anco la ragion qui l'ammaestra
Si che di buono amor con gran bonaccia E lo 'ntelletto , al parlare l'orecchio
Si disparta da me la sua persona, Teneva, e poi che fortuna il balestra
Edi' che venga dentro il re Luigi Che debba dare a Luigi tributo,
Fidatamente come in suo Parigi, Questo gli par suo debito dovuto.
CCXXI CCXXVII
10
CIRIFFO CALVANEO 148
147
CCXXXI CCXXXVII
Luigi volle che il tributo fusse Si pe' disagi, e per l' aspre vivande
Una leggiadra e candida chinea, Qual si cibava ne le selve oscure,
Perchè a tal bestia non bisognan busse, Che l'infinite lagrime che spande,
E per la donna sua questa volea . Pel duol de' graffi, e de l' aspre punture
Cosi Tibaldo ogni anno la condusse Che riceveva ognor da tutte bande,
Per grande spazio, e poi sua mente rea Da varie fere mostruose : oppure
Si rimuto, sendo fatto soldano, Col saper bene adoperar la spada,
E ripasso nel paese cristiano. In ogni loco si facea la strada.
CCXXXII CCXL
Febo calando in giuso a sciolta briglia Cosi diselva in selva in piaggia, in monte
Tibaldo l'ore con piacer dispensa, Errando va con infinito duolo,
E da Luigi seco si consiglia E non di rado a qualche rivo o fonte
D'esser la sera in altro loco a mensa ; Si posa per l'affanno del figliuolo,
E da Tibaldo con la sua famiglia Dove tutte le sue delizie ha conte
Accommiatarsi finalmente pensa , Che usar soleva sendo nel suo stuolo,
E come ebbe pensato, accomiatossi E questo è quel dolor che la rinnova
Quando fa l'ora, e nel campo tornossi. Nel pianto grande dovunque si truova.
CCXXXVI CCXLIIL
Poi l'altro giorno senza far dimoro O quante volte per disperazione,
Cominciorno a disfar loggie e frascati, Per darsi morte isfoderò quel brando
E tutto loro arnese e lor tesoro Si come pel Troian già fe' Didone ;
E ricchi padiglion fur caricati, Ma poi al figlio suo considerando
E così disgombrorno il tenitoro, Por la vinceva la compassione
E verso Francia si furno inviati, De la innocenza sua, e lagrimando
Eper mare, e per terra, e notte, e giorno Si ritenea de l'esser tanto acerba,
Tanto che in Francia a Parigi arrivorno. E per l'affanno poi cadea sull' erba.
COXLIV
CCXXXVII
Lasciam costoro in Parigi tornati, Così di giorno in giorno in questo,e in quello
E la gran festa che fe'la reina, Bosco passava con lagrime tante,
E mentre che saranno riposati E tanto afflitto è il corpo meschinello,
Si vuol tornare un poco ad Aleandrina, Ch'a fatica potea levar le piante :
Ch'erra per boschi come i desperati. E così giunse sul monte Carmello
Egli ha d'increscer pur de la meschina, Qual è nelle montagne d' Atalante,
Ch'era in tante delizie prima avvezza, Con quella spada appoggiandosi, mentre
Or gravida si trova in tanta asprezza. Tutta è affannata pel peso del ventre.
149 CIRIFFO CALVANEO 150
CCXLV COLII
Era Febo nel segno del Lione Dicesi che le donne sempre al peggio
Di mezzo giorno quando più riscalda Pensando vanno : o me lassa meschina
L'aria, e la terra, acque e le persone S'io mormorai del male or chiaro il veggio
Chepar che la sua spera tenga salda; Sopra di me, e foi più che indovina;
Quando la meschinella in cima pone Nè so in qual parte, o come sola deggio
I piedi al monte, e tutta si difalda Partorir mai quest' anima tapina :
Per debolezza, trafelata e smorta, L'aiuto de le donne a tal mestiere,
Epiange il figlio che stentando porta. Dubito che saran diverse fiere.
CCXLVI CCLII
Cosi dietro a quel suon in un pratello Che veniva per l'acqua a la fontana.
Ebbe veduta una chiara fontana, Ricordavi che detto è come quello
Che uscia d'un verde masso un bel ruscello Sendo venuto a la fede cristiana
D'un' acqua fresca, nitida e sovrana, Resto romito sul monte Carmello.
E'n un grembo del masso cadea quello, Sentendo lamentar questa Pagana
Poi giù di quel pe' boschi s'allontana, E menzionare il nome del fratello,
E bramosa di bere Aleandrina, Tutto ammirato al suon di quella voce
Col volto basso, a la fonte si china. S' armò col santo segno de la Croce.
CCXLVIII CCLV
CCLIX CCLXVI
Obimé dolente ! cosi non fuss'io, Edisse : Donna, quel che il ciel destina
E fussin l'ossa mie redutte in cenere : Tor non si può, e per nostra salute
Arei fatto omicidio al corpo mio; Talvolta viene un' aspra disciplina;
Ma per dar lume a queste membra tenere Ma non son queste grazie conosciute.
Ch'io ho nel ventre, e sacrificio pio Se tu se' tanto misera e tapina
Arei di me col fuoco fatto a Venere, La potenza di Dio, e sua virtute
Dacch'io mi veggo in odio a Macometto, Ancor ti esalterà più che non eri,
Ma solo ho avuto al mio figliuol rispetto. Pur che tu voglia, e che non ti disperi.
CCLXII CCLXIX
Deh, dimmi , disse Calvanen, allotta, Vedi di tanto mal quanto profitto
Il primo moto, e poi l'origin tutto Nė seguirà, se tu mi crederai.
Di tanta angoscia, e in che modo prodotta Ferma la mente e tieni il cuor diritto
Ti se' in loco si sterile e si brutto. A le parole; e se li disporrai
Aleandrina pore alquanto dolla Di credere in Golui che fa confitto
Di Calvaneo, piagnendo e con gran lutto, Per noi in croce, libera sarai
E come è de le donne usanza antica, Di tanti affanni, e sarai consolata,
Qualche bugia convien ch'ella gli dica. E l'alma salverai, quale è dannata.
CCLXHI CCLXX
E inse che dal Cairo ella venisse Misera a te! in che tenebre oscuro
Col suo marito a soccorrer Tibaldo Venuta se', e in quanta amaritudine !
Ad Ascalona, e in campo lui morisse Ma se al presente speri pel futuro
Contro a Luigi a fronte stando saldo, D'esser felice con beatitudine,
E che Luigi Tibaldo sconfisse Si lasci il van sentiero, e pel sicuro
Perché era molto di potenza caldo : Camminerai : o quanta dolcitudine
Io per campar del mio sposo la reda Ne sentirai ! abbi di te mercede,
Sola fuggimmi per non ire in preda. Poi nota bene, e intendi questa fede.
CCLXIV CCLXXI
E son oggi nel fin del mese sesto, Comincio Calvaneo a dire in prima
Che gravida partii con questo brando, La creazion de la terra, e del cielo,
Ch'è quanto al mondo per me c'è di resto, E de la luce di cotanta stima
E Calvaneo il pome risguardando, Levando de le tenebre il gran velo;
Lo riconobbe e diceva: Cotesto E l'angelica gregge tanto esima,
Donde l'avesti ? e preso a suo comando, Gli animali, e le piante, e'l caldo, e 'l gielo,
Il breve lesse intagliato nel pome, Ogni cosa con ordine e misura
Scolpito in oro, di Guidone il nome. Di grado in grado, secondo natura.
CCLXV CCLXXI
Aleandrina mentre che leggea : E come Dio del ciel eacció Lucifero
Fu del mio sposo, sospirando dice, Con la sua setta nel profondo abisso
E Calvaneo allora : Ah donna rea, Per quel peccato, ch'è tanto pestifero
Tu parli come falsa mentitrice: De la superbia, ne la quale e'fisso ;
Non mi celare il ver chi già solea E come padre giusto e salutifero
Tenere appresso tal brando felice; Creassi l'uomo, e poi gli ebbe promesso
Dimmi la verità donde l'hai avuto, L'eterna gloria del superno regno,
E dove resta il Povero Avveduto. Ma con l'operazion sen faccia degno.
153 CIRIFFO CALVANEO 154
CCLXXII CCLXXX
E per la afflizione che esso conobbe, Ogni altra fede fuor che la cristiana,
Per dare a la meschina un po' di pace, O Turchi, o Mori, o Pagani, od Ebrei ,
Le disse tutta la vita di Giobbe, Ciascheduna di questa è falsa e vana
E quanto e' visse al mondo incontumace; E tutti andranno a gli eterni oimei.
Edisse di Esau e di Giacobbe: Cosi dicendo, inverso la fontana
Ed ella attenta nulla le dispiace : Si veniva appressando lui e lei ;
Edisse come Lotte, e le figliuole E finalmente inginocchiata ſue,
Foggir l'ira di Dio, come Dio vuole. Ebattezzata a la fè di Giesue,
CCLXXVI CCLXXXII
Ementre Calvaneo per gran fervore Dicendole, ch' al tutto era disposto
Dicendo lagrimava tutta via Di voler ire il Povero a trovare.
La Passion del nostro Salvatore Benchè e'sia molto lontano, e discosto
Eil gran dolore, e'l pianto di Maria, Sapea bene il paese attraversare;
Edisse come in croce il Creatore E come egli ha nella mente proposto
Sitio diceva, e quella gente ria Con lui insieme indrieto ritornare
L'ebbon d'aceto e fele abbeverato, In que' paesi, e tanto cercheranno,
Ede la piaga ch'ebbe nel costato. Che viva o morta la ritroveranno.
CCLXXVHI CCLXXXV
Come egli stette poi quaranta giorni, Cosi dicendo si trasse di dito
Glorificato il corpo, qua giù in terra Quella turchina con che fu sponsata,
Prima che in cielo al suo Padre ritorni, Dicendo: Se tu trovi il mio marito
E ciò che sotto a sopra s'apre e serra, Donagli questo, e fagli l'ambasciata
Governa e regge con suo'raggi adorni, De l'esser mio, e digli a che partito
E chi spera in sua grazia mai non era; E dove, e come, e quando m' hai lasciata!
Benché di lai non t'ho conto il millesimo; E se non ha compassione, o duolo
Ma sua grazia non fa senza battesimo. Di me, gl'incresca almanco del figliuolo.
155 CIRIFFO CALVANEO 156
CCLXXXVII CCXCIV
Cosi partissi da quella fontana Beato quel che può correre innanzi
Lui a la china, ed ella piaggia piaggia A dire al Pover come costui viene,
Sen giva per la selva ombrosa e strana, Ch' era in palagio, e par che vi si danzi,
E spesse volte qualche pome assaggia E una dama gentil per mano tiene.
Per volontà e per la gran caldana ; Mentre che e' danza inginocchiossi innanzi
Tal volta par per debolezza ch'aggia Dicendogli : Monsire e le tantiene,
Contro a sua voglia qualche gran cimbottolo; Tanto che disse come viene al Povero
Poi riposava il capo in sur un ciottolo. Un uom selvaggio per aver ricovero.
CCLXXXIX eCXCVI
Tanto di giorno in giorno a poco a poco Cosi le danze, e'l ballo fa finito,
Fu camminata su per la montagna, E'l Povero si fe' in capo di seala ;
Che quando l'orizzonte par di fuoco E mentre Calvaneo fu comparito
Una mattina, una bella campagna Con molta gente, e gionto in su la sala,
Ebbe trovata, e posata in quel luoco, E' par d'ammirazion tutto stupito
Vide quella città famosa e magna ; Di tanta baronia, e si gran gala :
Qual Costantina pel volgo s'appella, Vedendo tante dame, e suoni, e canti
E tanto camminoe, che giunse a quella. Gli par vedere il ciel con tutti i santi.
ccxc Cexevn
Lasciam costei che cerca sua ventura, Visto ch' ebbe la maestà del re,
E ritorniamo un poco a Galvaneo, Davanti a lui si mise genuflesso,
Ch' are' con quel broncon fatto paura E reverirlo poi levossi in piè,
In su la spalla, forse a Capaneo. E volto al Pover ch'era li da presso :
Egli era grosso, e di grande statura, Istette alquanto un po' sopra di sè
Incolto e nero qual fusse un gineo : In dubbio o si o no s'egli era desso;
La barba ha longa, e que'velli che nascono E così mentre le lagrime abbondano
Su per la testa e d'intorno gli cascono. Per tenerezza e giù pel volto grondano,
Cexcl СеХСУН
E perchè gli era ne le selve avvezzo E per la tenerezza non può digli
Camminava qual proprio an leopardo, Parola alcuna, e, dettegli l'anello
E non ti dico se fa bene il ghezzo, D' Aleandrina, ed innanzi che il pigli,
Però che gli era giovine e gagliadro, Il Povero ebbe conosciuto quello.
E non si gli accoston mai a un pezzo Tenendo fissi a Calvaneo i cigli,
Alcuna fera: anco facean riguardo; Gli parve al cuor sentir proprio un coltello,
E poi faggendo facean mille romboli, Perchè l'ardente fiamma e il vero amore
Perchè con quel brancon lui non le zomboli. D'un presto lampo gli raccese il cuore.
CCXCH CCXCIX
A lui non dava noia la grossezza Deh dimmi, disse il Povero Avveduto,
Nè rugiada, nè sole, o erta, o china, Qual tu ti sia, che questo ben conosco,
Ed ogni pome gli piace ed apprezza ; E dove, e quando in che l' hai avuto
Non è svogliato come Aleandrina, Che tu m'hai tutto il cuor ripien di tosco.
E notte e giorno con molta prestezza E Calvaneo più presto ch'ha potuto
Poco si posa e con furor cammina , Piangendo disse : L'aspre selve, e 'l bosco
E guarda sempre diritto a ricidere M'han trasformato, che pur già soleo
Ogni paese, ch'è cosa da ridere. Essere uguale a te: son Galvaneo.
ecxem ccc
ecer CCCVI
La tenerezza che vi ſu visibile" E non ha più dal suo chi per lei sia,
Mai non si dimostró fra due che nascono Benchè ella aveva buona possessione,
D'un seme ad un portato, nè credibile E vista Aleandrina ne la via
Sarebbe mai le lagrime che cascono Ismunta, e smorta con quel gran corpone,
Da gli occhi loro, che parea impossibile, Parve che tutta in se compunta, e pia
E di basciar l'un l'altro sol si pascono. Ella venesse per compassione
Cosi d'intorno a lor s'è fatto un gruzzolo , Di questa poveretta, e in casa sua
Mirando fisso qual nell' uovo istruzzolo.. Seco menolla, piangendo amendua.
CCCIX
Lasciam Parigi, e chi dentro vi resta, Poi che di far così la donna aggrada,
Chev'è per Galvaneo più d'una scola, Le disse : Figlia a questo tuo lamento
Eginochi e balli e canti e suoni e festa Pon fine, ch'io non vo' più che tu vada
D'organetti, liuti, arpe e viola ; Tapinando pel mondo in tanto stento.
Eritorniamo a quella afflitta e mesta Cosi dicendo prendea quella spada
Aleandrina, misera figliuola, Piangendo con parlar soave e lento:
Com'io vi dissi fuor di Costantina, Restati qui , e qui partorirai,
Cercando sua ventura, la meschina. E in vita e morte meco ti starai.
CCCVI ceexu
Dice il proverbio, che chi cerca truova, Nè altrimenti che da madre figlia
Echi è paziente e spera in Dio, Sarai trattata; e d'ogni mia sostanza
Mai non perisce, e vedesene prova Pari di me a tuo piacer ne piglia,
Ognor, perché il Signore è tanto pio, Che c'è pur d'ogni bene in abbondanza;
Che a pietà d'ognun pare che si muova, Nè più saremo noi che due in famiglia;
Edi nostra salute ha gran disio, Or ti conforta con buona speranza.
Esa fard'un gran mal nascer gran bene, Aleandrina come savia intese
Come si vede che spesso interviene. Il suo bisogno, e la ventura prese.
ceevil CCCIV
CCCXV сесххи
In modo tal, che quasi all'ultim' ora E Calvaneo : O Pover, qui giacea
La si condusse per quel partorire ; Aleandrina, quando la trovai,
Pur come piacque a Dio la ne fu fuora; E quello è il rover che l'ombra facea
Dipoi attese sua figlia nutrire. Per sua difesa da' cocenti rai;
Di giorno in giorno con essi dimora E replicando ciò ch'ella dicea,
Li con Drusilla e non si vuol partire. Come piangendo lo chiamava assai,
Lasciam crescer costor com'è dovuto E come fera scalza, e poco indosso,
E ritorniamo al Povero Avveduto, Pallida, e secca la buccia su l'osso.
CCCXVI CCCXXIV
Ch'era in Parigi già più e più mesi Col corpo a gola, non che di sei mesi,
Con Calvaneo stato in giuochi ed in festa, Ella pareva gravida d'un anno.
Tanto che Calvaneo avea compresi S'ella binassi, per quel ch'io compresi,
Tutti i costumi d'uom di franca gesta ; Non fare maraviglia, e per l'affanno
Ed armigero si , ch'arebbe offesi Forse perita per questi paesi :
Mill' uomin solo con la lancia in resta : Ohime che ne sare' pur un gran danno !
Anco pedestre non are' perduto Ma se le fere non l'aran defunta,
Con qual si fusse a combatter venuto. La fia pur forse a Costantina giunta.
CCCXVIN ccexxv
E già più volte avea fatto ricordo Eprima disse in che modo conducere
Al Pover la promessa ch'avea fatto Lui l'ave' fatta a prendere il battesimo,
Ad Aleandrina, e detto: lo mi ricordo E che tante ragion le seppe adducere,
De la promessa e vo'servare il patto. Ch'or non saprebbe narrare il centesimo ;
Ultimamente rimasi d'accordo E come tante lagrime producere
Quando al Povero parve, e preso il tratto, Vuole dagli occhi suoi, che mai il millesimo
Di Parigi partirno isconosciati Are' creduto, e come batteggiolla
Pe'lor bisogni, bene antiveduti. E nel sno proprio nome confirmolla.
CCCXIX CCCXXVI
Passando gran paduli, e selve, e boschi, Gosi calando giù per un burrone
Al caldo, al freddo, al nugolo, al sereno, Ombroso e folto, ed al passar romatico,
E pel disagio in vista oscuri , e foschi, Ebbe vedato un gigante vecchione,
Dormendo a la campagna sul terreno, Nero, peloso, quale un nom salvatico,
Tal che non fora nom che gli conoschi, Che si sedeva, ed aveva un bastone
E cosi fa chi tien d'amore il freno : Che chi non fusse ne la scrima pratico
Ogni peccato vuol sua penitenza , Arebbe detto: Costui qua che entrespola?
Benchè costoro il fan per coscienza, Tu troverai chi non vo' quella nespola.
CCCXXI CCCXXVI
CCCXXIX
CCCXXXVI
Ma se la spada di man non mi smuccia, Deh,dimmi unpoco,in qual parte, o in qual regno,
O s'io non casco, e giù pel balzo tombolo Qual rege, o imperio a sua contemplazione
Intacchero ad amendua la buccia, Ha un teatro si spazioso e degno,
I'so pur quando voglio come isnombolo, Ripien di tante varie condizione,
Quando io mel caccio ne la capperuccia D'animali, e d'uccelli, che a sdegno
E come a' colpi miei crivello e frombolo. Quei non avessin sua abitazione ?
E pur calando in giù con questa stizza Io son con loro famigliar ne' boschi,
Che non c'è fera che non mi conoschi.
Il fier gigante da seder si rizza.
CCCXXXVII
cccxxx
Nè più che detto, quel gigante in basso Eleggi qual tu voi d'uccellagione
Chino la testa, e il Pover prima piglia Che grasso al mio piacer non abbi il nidio
Con lieto volto, e con un lento passo, Senza lor cura, o far lite, o questione,
E sorridendo il Povero consiglia E per tutto il paese e lor residio ;
Che sia contento sedere in sul masso Emolte volte per compassione
Pari di lui, e lasciassi la briglia Né lascio andar, per non far quel micidio,
Del suo destrieri che qui l'erbe nascono, Eper diletto a le volte ne imbecco,
D'un tal sapor, che volentier si pascono. O levo lor dal nidio qualche stecco.
CCCXXXIX
ecexxxH
Il Pover che non ha la mente certa, Dal canto lor la melodia de' versi,
Pur come savio tien l'occhio al pennello, Non ha comparazione, arte, o misura,
La mano al brando, in cagnesco, ed all'erta Nè si potrebbe a paragon tenersi
Se bisognassi ischerzar pur con quello; Maestro alcun di canto di figura .
Che chi col lupo va insieme a l'aperta, Conobbi già, quando la mente apersi,
Debbe tenere il can sotto il mantello: Che 'l ver maestro del tutto è natura ;
La troppa libertà talvolta costa : Cosi natura mi notrisce e pasce,
Chi non si fida, mai nė perde posta. E finalmente muore ognun che nasce.
cecxl
ceexxx
E cosi posti sul masso amendua, Io non t'ho detto de le piante i pomi:
In primamente diceva il gigante : Dove fu mai si bella agricoltura
Per soddisfare a l'intenzione tua Senza il villan con suoi giovenchi domi,
Reciterotti qual fia a bastante, O coltivar per man di creatura ?
Con questo che ciascun dica la sua Che s' io volessi replicarti i nomi
Vita qual sia, e quale è più errante, Sarei tedioso, tanto il tempo dura ;
Per che tu cerchi guerra, ed io in pace Di tempo in tempo ogni pome si serba:
Libero vivo d'ogni contumace. Per me son pomi a maturar sull' erba.
CCCXLI
CCCXXXIV
E vivo lieto sopra a gli alti spirti, Che più bella città, che più bel sito,
Secondo la stagion, secondo il loco, Che più felicità, che più ricchezza,
Ale fresche ombre de' lauri e de' mirti , Che più degno signor fu mai sentito,
E pini, e faggi, e sempre a poco, a poco Che più trionfo, o che maggior altezza,
Mi vo' innalzando in cima de' monti irti Che più manto real, che più vestito,
La state, e nulla il verno prezzo il fuoco, Che più che natural cosa s'apprezza,
Perchè ne le caverne io mi raggruzzolo Che più si dee voler che libertate,
Enon istimo vento, o neve, o spruzzolo. Che più val che tesoro, o le cittate ?
CCCXXXV CCCXLH
Quanto ch'a me questa vita più garba E sendo certi che ogni cosa in polvere
Di selva in selva fuor di gran pericoli, Ultimamente al fin si dee riducere,
Che son ne la città e dove Jarba Dunque che ti bisogna tanto avvolvere
Solcando il mar si va con tanti articoli! Per farti vetro per fama rilucere ?
Vestito di mia lana e di mia barba Che quella non ti può però assolvere
Ch' un tratto a morte non ti dei conducere;
D'ogni stagion, ed in vari cubicoli,
Edove il sonno, o il gasto fammi offensa , Dunque perché in tanta ansietade
Quivi è il mio letto, quivi è la mia mensa. Consumi tu questa tua breve etade ?
11
163 CIRIFFO CALVANEO 164
CCCXLIII CCCL
Or dimmi tu, e dammi un poco a ' ntendere Eper ritrarti da tanta tristizia
De la tua vita, e tuoi modi, e costumi, Disposto sono, e vo' provar s'io posso,
Che forse ti potrei al fin riprendere Darti di molti uomini notizia
Gustando tu e gli aspri , e tanti agrumi, Che forsi l'almo tuo sarà remosso,
De' quai ti pasci nel salire e scendere E verrai sitibondo d' amicizia,
Passando poggi e piaggie, e laghi, e fiumi, Ma dimmi il nome tuo, ed egli : Chaosso,
E in ogni parte dove tu từ truovi Disse, mi chiamo ; sorridendo alquanto;
Sei con suspetto d' inimici nuovi . E'l Pover la risposta ordinò intanto.
CCCXLIV CCCLI
Quale è più degno, o l'uomo, o l'animale E per darti più breve questa listra,
Incognito senza ordine, o misura ? Come a la mente mi verrà il nome
Dunque ti farestu con lui eguale Te lo darò : e così lo registra
Affirmando tua vita più sicura ? Senza altro replicar quando, nè come,
L'imagine d'un nom molto più vale Alcuno si fusse, e così men sinistra
Che quante fere creò mai natura, Sarà la nota di loro idiome ;
E certamente che' boschi e le selve
Ma considera ben quanto divario
Producono animali e strane belve .
E infra, loro e te, che se'il contrario.
CCCXLVI
.CCCLI
O quanto è degna cosa la cittade, Adunque resta con l'orecchio attento
Le varie industrie, e gl'ingegni sottili, Le mie parole ben considerando .
Tanti mestieri, e d'ogni facultade, In prima fu nel vecchio testamento
Dove gl'indotti son negletti e vili ; Il patriarca Abram, qual militando
E d'un loco in un altro come accade Potente fu e di gran valimento,
Si va per terra, e per mar co' navili, La sua prudenza in più cose mostrando ;
E per industria si fa l'oro nascere : Ed ebbe già gran popoli isconfitti ;
E tu stai qui come le fere a pascere? Cosi fu Giosuè, cosi Danitti,
CCCXLVII CCCLIV
Nè puoi di gentilezza aver notizia ; Così Saul, cosi Turno, e Teseo,
Tu se' quale una pianta senza frutto, Così Giason, Ettorre, e il forte Achille,
Nè puoi saper qual sia duolo o letizia, E Diomede, e Giuda Maccabeo,
Ma proprio un animal selvaggio e brutto, Che for ne l'arme folgor di faville,
Nutrito d'ozio e d'una gran pigrizia, Ed i due Scipioni , e il gran Pompeo
Nè puoi di te lasciare alcun costrutto, Magno, descritto già in tante postille,
Ed spirato il tuo tempo preterito Cesar, Camillo, Romulo , e Troiano,
Senza alcun frutto o di fama, o di merito . Enea, e Lancillotto, e il buon Tristano .
CCCXLVI CCCLV
Mai non doveva natura crearti
E sette re ch'andorno a campo a Tebe
Una figura si formosa e degna ; Adrasto, Polinice, e il buon Tideo,
Ben si doveva qualche animal farti, Ed Anfiarao, il qual con tanta plebe
Poichè in te tanta ignoranza regna, Vi si condusse, e il quinto Capaneo ;
Senza virtù o di scienza, o d'arti Ipomedonte, che non guardo zebe,
Le quai ne la città s'impara e insegna, Ed il settimo il bel Partenopeo,
Ed anco ne le selve e ne' deserti Quale tu in gioventù molto famoso,
Son suti già de gl'uomin dotti e sperti : Di corpo bello e di virtù copioso.
CCCXLIX
CCCLVI
Ch'han fatto di lor vita notomia Il primo trionfante Tito Tazio
Per lasciar fama di loro scienzia :
In Roma fu, e Giulio il vecchio Augusto,
Quai si son dati ne la astrologia Che fu il primo de lo imperio sazio,
Senza pigrizia , e senza negligenzia : E fa Neron tanto crudo e robusto,
Alcun s'è dato a la filosofia , E Ciro re di Persia, che a Trazio
Ed altri con fervore a penitenzia ; Mandato fu da l'avo suo ingiusto,
Ma ne le gran cittate, e ne'gran popoli Lucio Fabricio, e l'uno e l'altro Cato,
Fioriscon le virtù fra molti iscropoli. E Silla, e Mario, e Quinto Cincinnato.
165 166
CIRIFFO CALVANEO
CCCLVII CCELXIV
CCCLXXI CCCLXXVIII
Però che Calvaneo lo conosceva Che fai tu qui ? tu se' suto ignorante
Quando stette in quel monte in penitenzia , Insino ad ora, non arai più scusa ;
E le qualità sua chiaro sapeva, La terra, gli animali, uccelli e piante
E come egli era un uom di gran potenzia, Hanno tanta virtute in loro infusa,
Che già più volte veduto l'aveva Che ognun fa qualche frutto, e l' emicante
Con draghi e con leoni a la presenzia, Sole non posa mai, nè tien rinchiusa
E combatter con lor per uno scherzo, La sua virtu; cosi l'acque e le stelle
E non aver temenza già d'un terzo. Van discorrendo, e mai si posan quelle.
CCCLXXII CCCLXXIX
E quasi che piangendo, un grande strido E l'un per l'altro germina a producere;
Mosse, chiamando il Povero pel nome Adunque fanno ogni cosa terrena,
Di nuovo posto, detto Sinefido, E l'aier nubilosa fa conducere
E lui Ciriffo s' avea posto nome. L'acque per tutto in ogni occulta vena;
Quando partir di Parigi , il bel nido, Febo riscalda, e fa il mondo rilucere,
Cosi proposon chiamarsi per nome: La luna tempra il gran calor che mena;
E mentre chiama, l'occhio a girar mosso, Ogni cosa creata si travaglia
Vedeva Sinefido con Chaosso. E scema, e cresce, e tutto si ragguaglia.
CCCLXXII CCCLXXX
Non si allegrò giammai fantino in fascia E tu che fai, che stai, che aspetti, o pensi?
Quando vide la zinna uscir del seno, Tu se' pur troppo ingrato, ed ignorante:
Qual fe' Ciriffo e di subito lascia Considera la forma de' tuo' sensi
Il suo destrier, che lo tenea pel freno, Quanto natura la creò aitante,
E già nel petto avea si grande ambascia E torna amenda, e fa che tu dispensi
Pel duol, che quasi si veniva meno, L'ore future in opere prestante :
Non per temenza, ma l'amor perfetto Or nota, e questa sia la chiusa al testo:
Di Sinefido il cuor si strugge in petto. A chi è più dato, più sarà richiesto.
CCCLXXIV CCCLXXXI
Deh, vogli fare il proverbio bugiardo, Pur l'uno e l'altro tanto e tanto disse,
Il qual si dice per ciascuna calle: Che il trasson de la sua opinione,
Chi sempre a sua salute è pigro e tardo, E ciascun gli giaroe, e gli promisse
E quello uccel che nasce in trista valle. Farla venire in gran reputazione ;
Deh, gusta le parole, abbi riguardo Stimando questi certo che e' venisse
A tua salute, e'l baston su le spalle Uno Ercole novel con quel bastone;
Ti poni, e lascia fere, uccelli e pomi, E ciascun si giuro per suo fratello,
E segui l'orme de' predetti nomi. E poi disceson del monte Carmello .
CCCLXXVII CCCLXXXIV
CCCLXXXV ceexci
Pur con sua volontà, perché gli piacque Questi son cinquecento cavalieri
Molto quel nome, e con assai letizia Che conducono al campo vittuaglia
Tre giorni si pascer di pome e d'acque, Di pane e vino, e ciò che fa mestieri,
Che in quelle selve n'era gran dovizia; E d'armadure di piastra e di maglia,
Ela notte ciascun a l'ombre giacque, Per compagnia di trecento somieri
E il giorno vanno via senza prigrizia (Come vedete), e di tutto ragguaglia,
Per uscir de le selve orrende e brutte, E come egli eran presso a poche miglia
Epotersi cibar d'altro che frutte. A Samastia, e dipoi il cammin piglia.
CCCLXXXVI cccxem
Eperché lei nol vuole, egli a suo' danni Parve quel colpo a Sanson tanto strano,
Venuto è qua con molta gente in sella: Che disse: Certo costui non ischerza :
Vera cosa è ch'egli ha più d'ottanta anni, A me bisogna volendo star sano
Equattordici , o manco ha la pulzella. Guardar che non mi dia con quella sferza,
La madre veste i vedovili panni, Che non mi giovere' porvi la mano :
Ela figlia riluce più che stella, S'io n'avessi una, io non vorrei la terza.
Nècredo interra a lei sia paragone, E vi prese a duo man l'arsiccio sorbo,
Ed è disposto d' averla Irlacone. Perché Arfasarre non muoia di morbo.
171 CIRIFFO CALVANEO 172
CCCXCIX CDVI
Anco quello era pieno di bemocchi, Quivi non posson nè salir, nè scendere,
Il quale alzato un gran colpo in giù scarica E son rinchiusi, e convien che rimanghino,
Per fargli de la testa schizzar gli occhi : E volentieri si vorrebbon rendere:
Arfasarre lo schifa, e il colpo varica, Non giova dir mercè, nè perchè pianghino,
Sicche 'l baston non par che punto il tocchi, Nè dunque due si poteron difendere,
De la qual cosa Sanson si rammarica, Che convien che costor tutti gli franchino:
Che se'l colpiva sul cappel di bronzo Ciriffo, e Sinefido si raccozzano,
Il cervel su pel prato andava a conzo . E tutti gli sforacchiono, o gli mozzano.
CD CDVIL
Poi mise mano ad una scimitarra, Egli erano amendue tanto accaniti
E vien con quella Sanson ritrovando, Che volentieri arebbon fatto a morsi ;
E quanto può ne le braccia si sbarra : Ma ad Arfasarre i denti erano usciti ,
Sansone ischifa col sorbo parando. E di sangue ingozzati avea più sorsi.
Cirifſo gli è d' intorno, e par che garra, Menando colpi si aspri ed arditi
Dicendo: Non temer, vallo frugando Che d'una torre arebbe fatto torsi,
Al teston par, si che non possa asciolvere, La scimitarra ad un colpo s'attacca
E qualche volta iscuotigli la polvere. Su'l duro sorbo e 'n due pezzi si fiacca.
CDIN CDX
Sinefido dinanzi era passato Ma bene è ver che'l suo baston gittollo
A tutti per la forza del destrieri, Quando sentissi da quel dardo pugnere,
Quando vide Ciriffo su pel prato E si piacevolmente arrandellollo
Che gli seguiva sonando il quaglieri ; Drieto a colui, che lo dovette giugnere,
Efermossi a la bocca d'un fossato, Però che gli spicco il capo dal collo,
Al passo dove questi cavalieri E non vi bisognoe impiastro, nè ugnere,
Conveniva per forza capitassino, Che la gotta non fe' livida o rossa
E guai a quei che indietro si voltassino. Perché n'ando col baston la percossa.
173 CIRIFFO CALVANEO 124
CDXIII CDXX
E così l'ano e l'altro con gran pianto Irlacon per dispregio dimandollo:
Lasciorno quivi Arfasarre e Sansone, Che soldo vorestu' col tuo compagno,
Avendo l' altro popol tutto affranto Che mi par come te sì mal satollo,
Ultimamente, insino a lo spione Che con voi si po' far poco guadagno.
Che torno indietro, come dice il canto, Sinefido giuroe per l'alto Apollo:
Ecome il capo n'ando col bastone: Per men di diecimila, signor magno,
Sendo costor di mangiare affamati In nessun loco soldo piglierei,
Aquelle some si furno inviati. E s'io trovassi più, più ne torrei.
CDXIX CDXXVI
Per non badare a discioglier i cappi, Quando Irlacone intese la sua chiesta
Iscaricavan la soma col brando, Turbossi, Sinefido besteromiando ;
Enon creda nessun ch'io gabbi o frappi, Che diavol chiedi tu, che gente è questa?
Cosi venivon le cose trovando, Sarestu mai il senatore Orlando ?
Edebbesi pensar ch' ognun ne pappi Sinefido rispose: La mia gesta
Senza venir la mensa apparecchiando, Del sanguedi Macon venne calando,
E senza melaranze, o solcio, o sale, E son venuto del monte Carnazio
Feron scotto da buono vetturale.
Per darti , signor mio, vittoria e spazio.
175 CIRIFFO CALVANEO 176
CDXXVII CDXXXIV
Brunadoro il sentier presto ebbe netto Frola non manco lieta che la figlia
Per fare un colonel contro a costoro. Desiderosa di sua libertà,
Le guardie de la porta ebbon sospetto, Ciriffo e Sinefido per man piglia,
E ben provvisti vennon contro a loro, Ringraziando di loro umanità.
E notando lor grida con effetto, Ciriffo non potea torcer le ciglia
E stimando ciascun un uom decoro, Da Carsidora per la sua beltà,
Insin fuor de le sbarre furno usciti E fe' pensier ch'a niun modo quel vecchio
Perdar soccorso a'cavalier graditi. Dominio avesse a cosi vago specchio.
177 CIRIFFO CALVANEO 178
CDXLI CDXLVII
Sendo con quelle donne sormontati Qui bisogna pensare altro che a dame,
Su nel palagio ne la mastra sala, E il primo colpo intendo che sia il mio,
E i lor destrier provvisti e dissellati Se di combatter fian tue voglie brame,
Fur prima che nessun monti la scala, E il modo c'è a adempir tuo disio.
Per onorar que' due campion pregiati Attendi prima a cavarti la fame
Carsidora parea ch'avesse l'ala : Che di queste vivande, so ben io,
Frola con lor si duol del grande assedio E qualche giorno che non assaggiasti,
Quafe ha d'intorno, e non vede rimedio. Ora hai per mal, ch'a ordin vanno i pasti..
CDXLII CDXLIX
Ma chi è quel, che quando il vuol offendere ESinefido di sonar non resta,
Cupido, con Cupido abbi valore ? Chiamando Brunadoro ed Irlacone :
Nessuna cosa si può bene attendere Venga sul campo chi la dama onesta
Senza qualche scintilla, o zel d'amore; Brama d'avere a sua contemplazione.
Adunque io spero la dama difendere Irlacon con furore e gran tempesta
Perchè a la forza s' aggiunge il fervore, Comanda al nievo che monti in arcione,
Qual mi costringe di volergli bene; E vadi al campo a'ntender chi è quello,
Ma Irlacon ne porterà le pene. Ese vuol giostra, che giostri con ello.
CDXLVII CDLIV
Enon gusta vivanda ch'egli assaggi, Abbattuto che l'hai, fallo menare .
Nè può avere a mensa pazienza Senza dimoro nella mia presenza,
Per vendicar de la dama gli oltraggi : Che lo farò di subito impiccare:
A Sinefido chiedeva licenza, Di poi a gran furor senza avvertenza
Il quale accorto come fanno i saggi, Farò le mura e la terra spianare,
Rispose pianamente: Abbi avvertenza, Ch'io non ci posso aver più pazienza,
Non correre a furor come gli sciocchi, Credendo che costei si debba arrendere,
Ecombatti col brando, e non con gli occhi. E lei di nuovo si crede difendere.
12
180
179 CIRIFFO CALVANEO
CDLXII
CDLV
CDLXIX CDLXXVI
Non volsono i baron per buon rispetto Or per condurre l'opera ad effetto,
Che a lor da dosso si levasse maglia, Si che il disegno non riesca in fallo,
Non per temenza alcuna, né sospetto, Senefido fe' mettere in assetto
Ma per saper come w' è vettovaglia; Da quattrocento arcier bene a cavallo,
E se nella città ne fia difetto, Ed altrettanti a piè con lo scoppietto
Volean dipoi passar quella canaglia Per guidare i somier senza intervallo,
Che son di fuora, e disson dove, e come Ebene a corridor dugento elmetti
Di vettovaglia v'è trecento some, Con lancia e brando, cavalier perfetti.
CDLXXI CDLXXVIII
Si che per tal rispetto paziente Frola piangendo per la man gli piglia
Rimase Frola, che con l'arme indosso Per grande affezion che a lor dimostra,
A mensa si ponessimo al presente, Dicendo: Cavalier, questa mia figlia,
E per la vettovaglia disse: Io posso La mia corona, e la faculta nostra,
Poco tenermi, di che son dolente, Questa città con tutta la famiglia
Avendo ne la terra un popol grosso Si raccomanda a voi, sì come vostra,
Di terrazzani, e sì di forestieri, E di tal gita siam tutti dolenti,
Come richiede si fatto mestieri. Ma per necessità siamo pazienti.
CDLXXIII CDLXXX
Perchè non ci sia rotto l'uovo in bocca, Ciriffo, che in deposito il suo cuore
Che quel sarebbe lo scorno del doppio. A Carsidora lascia, a tal proposta
Iso che se Irlacon tal nuova tocca Parlando come lo ammaestra amore,
Di questa gita n'ara grande scoppio, A la regina fece tal risposta :
Epotrebbe aspettarsi in su la scocca ; Non bisogna pregar quel servidore
Però tanta brigata insieme accoppio, A cui il signor comandar può a sua posta :
Perché quando vorrem tornar nel guscio, Noi siam per soddisfar ciò che domandi,
Non ci cadesse il presente su l'uscio. Che con tuoi dolci prieghi a noi comandi.
CDLXXV CDLXXXII
CDLXXXIT CDXC
Senza romor camminan cheti e stretti, Nel primo agguato ebbono a dar di cozzo,
A piede, ed a caval con gran furore, Quai fur tremila, come prima dissi.
Attraversando sempre per traghetti Credendo avere a questi il cammin mozzo,
Perchè nel campo non ne sia sentore ; Il capitan su la strada, scoprissi,
Ma il lume de la luna negli elmetti Gredendo pur la luna aver nel pozzo
Lustrava tanto, che per lo splendore Rinchiusa, ma non par che riuscissi
Che refulgeva spessissime volte, Il suo disegno, e contro a quei si scaglia:
Furno scoperti al campo da le scolte. Or qui s' appicca la crudel battaglia.
CDLXXXV CDXCII
Non che fussin però chiari scolpiti Tutto l'agguato a furor si scoperse,
Appunto quanti, o che gente si fussono; Avendo preso d'intorno ogni passo.
Ma furno da le spie tanto seguiti, Ciriffo vede quelle gente avverse,
Che vidon dove, e perchè si condussono ; E scontrò al capitan, detto Marmasso,
E sendo gionti in que' prati fioriti Con l'asta bassa, e tal colpo gli offerse,
Dove i somieri tutti insiem ridussono, Che, non lo scudo, arė riciso un masso;
E de le some sciolte anco assagiorno, E scudo, piastra, maglia, giubba e pancia
Poi dier la volta indietro al far del giorno. Passò più di due braccia con la lancia.
CDLXXXVI CDCXIII
Poi chiamò tre de suo' più nominati Sinefido sentendo il gran rumore,
E in tal tenor sue parole compila : Gridava : Saldi, saldi , stretti, stretti,
Mettete prestamente tre agguati Non sia nessun di voi ch' abbia timore,
Innanzi a quegli, e nel primo tremila, Parate tutti gli archi , e gli scoppietti ;
Ne l'altro quattromila bene armati, E serrava ne' fianchi il corridore
Cinquemila nel terzo, ed alla fila Per riparare a tutti i lor difetti;
L'un dopo l'altro, ed a'passi gli aspettino, E perchè gli era quasi nel dassezzo
Che riabbin la preda, e loro affettino. Drieto a le some, ebbe a spronar un pezzo.
CDLXXXIX CDXCVI
Lasciam costor che li agguati ordinavano Gionto dove era la spietata mischia
In un momento, come Irlacon disse, Sentendo l'arme che pei colpi squillano,
E torniamo a color, che s' avviavano Con l'asta bassa fra tutti s' arrischia,
Con la gran preda; e Sinefido misse Ed a' suoi colpi lor vene zampillano.
Le some inmezzo, e innanzi a quelle andavano Poi col suo brando squarta, non cincischia,
I cavalier da far rosse le risse, Tal ch' i nimici per paura oscillano,
E innanzi a tutti Ciriffo cavalca E per esser più destri al fuggir via,
Per far, se bisognassi, aprir la calca. Chi il brando, e chi la lancia scaglia pria.
185 CIRIFFO CALVANEO 186
CDXCVII DIV
I' ti so dir, che ognun non vi par zoppo, Ritrasse l'asta il cavalier giocondo,
Ma par ne le calcagna abbia il parletico: Ed il terzo, e ' l quarto, e 'l quinto ed anco il sesto
Non v'è nessun che vadi di galoppo, Privóe di vita, finito il secondo,
Ma fuggon come pazzi pel fernetico. E rotta l'asta trasse il brando presto.
Qualunque dava in questi due d'intoppo E sciorinoe in fra i nimici un tondo
Non si poteva poi chiamar eretico, Che mai si vide un colpo pari a questo,
Perché credeva per isperienza Perchè due teste mandò giu con quello,
S' egli scampava da tale influenza. Un'altra ne parti insino al cervello.
CDXCVIII DV
E brevemente tutti a volta rotta Visto quel colpo, chi gli era dintorno
Inverso il campo spronando fuggivano : Senza aspettar che più presso gli sia,
De'corpi morti n'è piena ogni grotta, Come diavoli tutti ispulezzorno,
E più d'un miglio di sentier coprivano,. Senza cercare o di sentiero, o via.
E di tremila ch' eran suti in frotta La gente di Ciriffo gli affrontorno:
Men di trecento al campo comparivano, Sinefido con l'asta comparia
Di sangue, e di sudor fragidi, e mezzi : Bassa, e col ferro le budella iscelse
Il resto tutti fur tagliati a pezzi. A un, che de l'arcion netto lo svelse.
CDXIX DVI
Ciriffo con gli sproni il suo martella, Tanto che ben dua miglia, o più lontani
Benchè per se medesmo quello vola, Donde fu la battaglia eran fuggiti.
Con l'asta bassa e l'occhio sopra a quella, Ritornaronsi indietro i due cristiani
E il ferro adamantin pose a la gola, A la lor compagnia tanto graditi.
Che passò il gorzerino, e la cannella, Di quattromila che furon que' cani,
Epel nodo del collo il sangue cola, Circa secento tra sani e feriti
Che la passo, e fu il colpo sì scuro, Al campo d' Irlacon se ne condusse,
Che non l'arebbe campato il Tanfuro. E gli altri si rimason per le busse.
CIRIFFO CALVANEO 188
187
DXI DXVIII
Bisogna andarvi per certi viottoli, Già era tutta la valle coperta
Ed aver l'occhio che'l piè non isdruccioli, Da ogni banda sopra al fiumicello,
Che si cadrebbe si aspri cimbottoli, Credendo aver la brigata deserta
Che di gennaio farien veder le luccioli Nel fiume, e farne co'sassi macello;
Non v'è altro che spine, sterpi e ciottoli E que' di sotto traevono a l'erta,
Che a fatica v' andren le zebe, e i seucioli, E la valle pareva Mongibello:
Benché questa non è la via legittima, Pel gran romor degli scoppietti e sassi,
Ma credon per la preda sia la pitima. E pel gran fumo, non si vede i passi.
DXIII DXX
Vera cosa è, che si può ir pel fiume, I' dico per la gente d' Irlacone
Ma perché gli è la via troppo tediosa Ch'eran di sopra, perché il fumo innalza,
Per le tante traverse ed un vilame Rimasi al boio, e tal ch'e' van carpone
De l'acqua, ma non corre rovinosa ; Per non rotolar già per quella balza ,
Però per que' viottoli è il costume E gli scoppietti senza discrezione
D'andar, benchè la sia pur faticosa : Traggono in modo che spesso rimbalza
Ma il doloroso passo, e il gran periglio, Di que' di sopra rotolando in basso,
E manco spazio d'un terzo di miglio. Tirandosi dirieto qualehe masso.
DIV DXXI
DXXV DXXXII
I quai sendo cosi messi nel mezzo Or questo fu ben lo scorno del doppio:
Edrieto e innanzi, par che 'l ciel rovinis Quei che credevan quelle some torre
Veduto il gran soccorso ebbon ribrezzo Ferno il baleno, e quegli altri lo scoppio
Di morte, e par ch' ognun se la indovini. E rosso di lor sangue il fiume corre;
Allor si trasse la preda dal rezzo E'l vin che v'era fu pestifero oppio
Adispetto di tutti i Saracini Ch' addormentati gli ha per quelle forre :
Fuor della valle, e verso Samastia Credendo avere il lion pel ciuffetto,
Con furia, e in caccia fu messa per via. Ebbono il diavol per la coda stretto.
DXXVI DXXXIII
E quei che per la valle eran saliti, Non si poté con parole disporre
Alquanti pur che vivi eran rimasti, Il gaudio, l'allegrezza e la bonaccia
Ala china pel fumo eran fuggiti Del popol, ch'a la piazza tutto corre,
Come topi balordi, arsicci e guasti ; E ciascun porge a le some le braccia
Egiunti al pian, di vita eran finiti, Per aiutarle da' somier deporre.
Senza troppa difesa, o far contrasti, Ecco Ciriffo seguendo la traccia
Perché giugnevan tra cattive mani, Dopo le some, e come in piazza gionse,
Ed ogni volpe ha al cul parecchi cani. Un tratto degli sproni il destrier ponse.
DXXIX DXXXVI
Non prese Sinefido più intervallo, Egià nel campo la trista novella
Epargli che Ciriffo l'abbia intesa, Ha Irlacon sentita, e non gli garba,
Econ domila tra a pie, e a cavallo Ecol pugno si batte la mascella,
Ebbe drieto a le some la via presa. E tira e straccia la canuta barba,
Or ritorniamo al marziale ballo E di testa la sua corona bella
Dove si fa la micidial contesa: Si trasse, e i bianchi crin divelle, e sbarba:
La gente d'Irlacon non può fuggire, Maladicendo a uno, a un gli Dei,
E convien lor combattere, o morire. Diceva: Or manda i campioni a colei.
DXXXI DXXXVIII
E' son rinchiusi come fiere in parco, Io mi credeva aver l'anguilla in mano
Tutti accaniti qual cinghiali ed orsi, Pel capo, ed io non l'ho par per la coda,
Foggendo or qua, or là, cercando il varco, E ſemmi la speranza esser villano
E finalmente sendo assai discorsi, Con que' due cavalier di tanta loda.
Di lancia, o spada, o di scoppietto, o d'arco Se ciascun m'è inimico crudo, e strano,
Eran feriti, e per tal modo morsi, Mi sta pur ben, e credo ognun ne goda,
Che tutti morti a la fine rimangono, E certamente e'vennon per dispregio
O feriti per morti, e in terra piangono. Al padiglione a chiedermi tal pregio.
191 CIRIFFO CALVANEO 192
DXXXIX DXLVI
Ahi Macon maladetto sia tu, Con allegrezza, e con gaudio, e con festa
Che in te non regna se non tradimenti ! Su nel real palagio fur montati,
S'io t'ho credato, non ti credo più, E ne la zambra, ch' era in lor podesta
E mentirei, se dicessi altrimenti, Con diligenza furon disarmati ;
Perchè colui che ier qui a me fu Ciascun provvisto di onorevol vesta
7
Disse esser nato de' tuo'descendenti, Conveniente a baron si pregiati,
E veniva per darmi presto ispaccio : E prima che di zambra uscissin fuora ,
Or questo è il modo, traditor beccaccio ? A visitar gli venne Carsidora,
DXL DXLVII
Non fu nessuno in tutta sua famiglia Che parve che s'aprisse il Paradiso,
Ardito di parlargli in quella furia. E dimostrasse in quel punto ogni trono,
Di poi alcun de' suoi savi 'l consiglia E gli Angioli d'intorno al suo bel viso
Per ovviar maggior periglio, e ingiuria, Parean le damigelle che vi sono.
Discosti il campo per parecchi miglia Non si sare' per sè morto Narciso,
Chè forse il ciel, o i fati l'han aguria Nè si sare' per Atalanta il pomo
Nel luoco dove e' sono ora al presente, Gittato, avendo visto Carsidora ,
E faccia ogni suo sforzo di più gente. Che cielo, e terra, e l'abisso innamora.
DYLI DXLVIII
Con istormenti, e fuochi, e balli in tresea, Perocchè questo passa drento al petto,
Per tutta la città sono in galloria, E incende insieme col corpo anco l'alma,
Cantando in su le torre a la moresca E di mirarla Cupido ha diletto,
Molti talacimanni per vittoria, Tanto che dona a lei di sè la palma,
Che cosi s' usa a la saracinesca, E col suo proprio stral senza rispetto
Ned altrimenti vi si suona a gloria , Ferito s'è per lei, che fare' calma
Perchè non v'è campane, e non vi s' usano, D'ogni tempesta, e vuol servir costei,
E co talacimanni il suono iscusano.
E geloso ne par de gli altri Iddei.
DXLIV DLI
DLIN DLX
Io dico perle, e perle perle i denti OTebe degna, laqual tanti guai
Si ben composti d'una egual misura, Avesti, non l'avevi già tu ancora;
Fissi, minuti, chiari e rilucenti, O Semele le pene, che tu hai
Senza macula alcuna di bruttura; Tu non l'aresti, sendo Carsidora,
E de la bocca sua dolci concenti Che Giunon contro a te non era mai:
Ne porge col parlar graziosa e pura, La donna d'Attamante ancor ne plora,
Edi sotto a le labbra il gentil mento, Nè i tuo' progenitor visti serpenti
Ritondo, onesto e con un foro drento. Se al mondo stati suoi occhi lucenti
DLIV DLXI
Equando ride che prende diletto, Fussin, che Marte quando è più irato
Ne le angeliche guancie l'apparisce Farien pietoso, benigno ed umile,
In ciascheduna un leggiadro foretto EMeleagro il porco seguitato
Che tutta sua beltà le rifiorisce ; D'Arcadia arebbe per questa gentile,
E in fra le spalle sopra il bianco petto E il tizzo suo non sare' consumato,
La sua candida gola comparisce, Ch' ogni altra a petto a lei parrebbe vile,
Isvelta, e schietta, e tanto ben risiede, E non arebbe Ippolita menata
Ch' ella fa innamorar chiunque la vede. Teseo, anco per questa abbandonata,
DLV DLXII
Vestite d'un tabi a la moresca, E' non sare' stato rinchiuso Achille
Ches sottil non tesse mai Aragne, Per Deidamia, ne riposate l'armi
O Palla quando par che Aragne esca Per Polissena a Troia, nè ancor Fille
De l'esser primo, e ragnol fassi e piagne, Per Demofonte isparsi tanti carmi ,
La bella vesta a la saracinesca Nè Troiolo per Briseida, e più di mille
Contesta è tutta d'opre ricche, e magne, Altri contar potrei, ma vo' chetarmi,
D'argento e d'oro pur tirato fino, E basti questo, che nessuna fue
Ela tela d' azzurro oltramarino. Pari a costei di bellezza o virtae.
DLVIII DLXV
13
195 CIRIFFO CALVANEO 196
DLXVII DLXXIV
Sendo di zambra uscita Garsidora E seco aveva, tutti del suo regno,
Con le donzelle sue, nostri baroni, Cinquantamila franchi cavalieri,
Di sua beltà parlando molto allora Da far istare i lor nemici a segno,
Ferventi e fieri a sue defensioni, E schifare i lor colpi volentieri ;
Senza intervallo, o riposo, o dimora E portava costui per contrassegno
Deano opera a le lor preparazioni, In campo azzurro due lupi cervieri
Raddoppiando le sbarre, e fossi e mura, Ritti l'uno inver l'altro, e con gli artigli
Che il popol dentro stia senza paura. Par che ciascuno e co'denti si pigli.
DLXIX DLXXVI
In modo tal che Irlacon non poteva Nel quale era Diana, che Cupido
Più ripararsi e per disperazione, Tenea legato, e quel tutto tremante
Un giorno al tutto uccider si voleva Sembiante fa con lagrimoso strido
Adispetto del cielo e di Macone, Chieder merce; e quella minacciante
Se non che in suo soccorso vi giugneva Negletta lui, e come, io non mi fido,
Di Costantina il famoso Andreone, Dicessi, perché tu non se constante,
Di corpo bello e giovenetto d'anni, Anco se micidiale, e traditore,
Armiger qual Annibal fusse a Canni, E matto, e quel che fa scudo del cuore.
DLXXI DLXXVII
Di brun vestito, e portava corona, Lasciam de lo stendardo di costei,
E del suo regno, e del suo tenitoro, Che simile in quel campo non avea ;
Mende cinquantamila sua persona, A loco e a tempo conterem di lei,
Ed anco un Pulicane avean con loro. Che in arme non fu mai Pantasilea,
Quasi in fra trentamila si ragiona, Nè di Semiramis dire potrei,
Tutti guerniti, e de argento, e d'oro, Nè di Bradiamonte, né d' Antea,
E per insegna porta, il re felice, Ne di Formosa sora d'Aquilante :
Quando s'arde, e rinasce la fenice. Nessuna fu si bella, o sì aitante.
DEXXII DIXXIX
DLXXXI DLXXXVIN
Ond' io vi priego, che nessun si scordi Quivi tremando, e non sapea che dirsi,
Del suo voler, che sarebbe ignorante: Se non che piange e Macometto invoca;
Anco chi vuol che Macon si ricordi E Carsidora venne a risentirsi,
Di lui, il suo comando segua avante, E per l'affanno avea la voce roca,
Si che per tanto a questo ognun s'accordi. E i sua campion conforta del partirsi
Ecosì detto, chiamava Brocante, Anzi che il campo gli molesti, o noca,
Dicendogli per parte di Macone : Dicendo : Iscampo non c'è più per noi,
Se' capitano ; e dettegli il bastone. E contenta morrei salvando voi .
DLXXXIII DXC
Ma il savio mai non corre troppo a faria: Dicendo : Quando e' fussin sei cotanti
Avendicarsi tempo e luoco aspetta, Non ariamo temenza, nė paura,
E finge non curarsi de l'ingiuria, Ed' anco fussin la mità giganti,
E con utile suo fa la vendetta. Sendo noi a destrier con l'armadura.
Fu questo ad Irlacon cattiva aguria, Diponete da voisla tema eipianti,
Benchè lo sdegno l'amico difetta, E ben provviste tenete le mura,
E molte volte fa partir l'amore, Che se e'non volan come pipistrelli,
E fa il servo nimico del signore. Non verrà nella terra niun di quelli.
DLXXXV DXCII
Or oltre fu a la terra a le mani Lasciate pure a noi menar le mani,
In un momento tutta la canaglia, Che ci sarà faccenda per ognuno :
Apiede ed a caval, grandi e mezzani, Le volpe aranno mosso guerra a' cani,
Forte gridando: Battaglia, battaglia. Ma elle aranno tra le chiappe un pruno
Cosi fur mossi, e per monti, e per piani, Che farà lor parere i monti piani
Circondando la terra, ognun si scaglia Per ritornare al covo suo ciascuno;
Chi qua chi là, a lor contemplazioni, E quanto è più la gente in campo stretta,
Dirizzando trabacche e padiglioni. Tanti più ad un colpo se n' affetta.
DLXXXVI DXCHI
DXCY DCII
Con una lancia, che parea una antenna , Lasciamo un po' Sinefido venire
Verso la porta, e dove è Carbon vola. Cosi a piede, e torniamo a Carbone.
Ciriffo presto pel destrieri accenna, Non sendo detto, è dovuto di dire
Mentre conforta Carsidora e Frola ; Come è guernito questo compagnone.
E di terra più lieve ch'una penna Prima l'altezza sua voglio inferire :
Saltò in arcione, e senza altra parola Quindici braccia è sua proporzione,
Una grossa asta prese, e il destrier pouse, Tutte le membra rispondenti al busto,
E Sinefido a la porta raggionse. Nel volto fiero, e ne l'arme robusto .
DXCVI DCIII
Si fa, che tanta forza, e tanto ardire Coperta tutta d'ossi di testuggine
Abbi, che solo al campo sia venuto; Chiovati qual di piastri e una corazza :
E sorridendo cominciò a dire : Questa armadura non temeva ruggine
Tu non meni nessuno in tuo aiuto ? Né scoppietto, o balestra, o spada, o mazza,
Va, chiama il tuo fratel, fallo venire, S'una punta non trova la capruggine,
Forse che tu non m'avevi veduto: Non puossi offender questa bestia pazza,
I' ti voglio atterrar col dito mignolo, E per iscudo un teschio ha di balena,
E torcerti di poi come un lucignolo. Convertato di scaglie di serena.
DXCVIII DCV
DCIX DCXVI
Allor Carbon cominció a bestemmiare Era Carbon per tal modo accanito,
Apollino, Macone e gli altri Iddei, Che mettea muggi, che pareva un toro:
Dicendo: Guarda chi vol contrastare Se e' mena il colpo a diritto, isfuggito
Meco, che con un pugno disfarei L'ha Sinefido senza far dimoro:
La torre d' Ero fondata inframare, Se mena un tondo, e Sinefido è ito
E con questo bastone ispianerei Sottogli presto, ed hagli fatto un foro,
E' monti d' Apennino, e d' Atalante: E tanto isforacchiate gli ha le chiappe,
E credi meco, e solo, esser bastante? Che il sangue intorno gli ſacea le nappe.
DCX Dexvn
A Sinefido venne tanta muffa Irlacon vede, e chiamava : Brocante
Al naso, perchè lui lo sprezza e biasima, Soccorri, presto, qua bisogna aiuto :
Che si tinse nel viso, e soffia e sbuffa, Non vedi come è ferito il gigante ?
Che per affanno par ch'egli abbi l'asima ; Disse Brocante: E' fia ben provveduto !
E l'asta sopraman lancia : la zuffa Se il Minotauro mio gli mando avante,
Fu appiccata, ed il fier gigante spasima Vendicherallo, e non ſia conosciuto
Per l'ira che gli venne, ch' egli avessi Il tratto che per voi sia suto colto;
Auto tanto ardir, che lui gli dessi. Diroe che il Minotauro si sia sciolto.
DCXI DCXVIII
Per la forza del colpo, e del granpondo, Non trasse Filottete mai con l'arco
Fe' col bastone in terra sì gran buca, Istrale a segno si velocemente,
Che il Pover teme di cader nel fondo, Nè mai Alcon quando levo lo carco
E l'acqua presto par vi si riduca. Da dosso al figlio del fero serpente,
Pur Sinefido, il cavalier giocondo, Qual fece il Pulican, sendo sul varco,
Altento sta, che Carbon non conduca Veduto il Minotauro li presente :
Un tratto un colpo d'acero a schiancio, Lo strale intra le corna fisse a quello,
E l'occhio tiene a quello, il cuor a Dio, Che passo il teschio, la spugna, e'l cervello.
DCXIV DCXXI
Pregandol sempre che gli sia in aiuto, E morto il Minotauro die' la volta
E salvi chi difende la sua fede. Il Pulicane, e tornò al padiglione.
Mentre combatte quel gigante astuto Brocante vistol con furia s'affolta,
Maladisce Macone, e chi gli crede, E minacciava lui ed Andreone.
Perchè non può si destro ed avveduto Disse Andreon: Se la bestia s'è sciolta
Trar che investisca, e il Povero lo fiede Che vuoi ch'io faccia? Io non ne son cagione:
Di punta spesso, or drieto, o dinanzi, Tra bestia e bestia venga pur la rabbia,
Emolto par che in verità l'avanzi. E' fe'il dovere: ora chi ha mal se l'abbia,
DCXV DCXXI
Pareva Sinefido un leopardo, Bench'io credo che l' uno e l'altro andassi
Saltando destro più ch'una bertuccia, Per dare aiuto e soccorso al gigante,
Ediceva a Carbone: Ahi codardo, E per invidia l'un l'altro assaltassi
lo ti sforacebiero tanto la buccia, Gome vedesti, e qual fu più aitante
Che brevemente ti farò bugiardo. All' altro prese pel cammino i passi :
Carbon superbo del parlar si cruccia, Va, riparavi tu, se puoi, Brocante;
Emena colpi da volerne pochi, E se tu vuoi, il Pulican gastiga,
Chenonvarrebbe a uu chieder buon ginocchi. Ch'io non ne piglierò per lui la briga.
203 CIRIFFO CALVANEO 204
DCXXIII DCXXX
Non seppe qui Brocante che rispondere, O con quanta letizia, e quanta festa
Sapendo ch'era lui suto il difetto, Entrava Sinefido in Samastia ;
E per volere il fallo suo nascondere, E per veder quella si orribil testa
Patisce, nè più altro gli ebbe detto. Ognuno corre innanzi per la via.
Torniamo a Sinefido or che confondere Gionto al palagio presentava questa
Spera col brando il gigante predetto, AFrola e Carsidora, e si dicia :
Con l'aiuto di Dio, che'l tutto puote: Questa e la testa de l'uccel ch' io dissi,
Con tal disio il gigante percuole. Che schiamazzava prima ch'io partissi.
DCXXIV DCXXXI
In modo che pel colpo isbalordito E disarmossi : poi fe' por la testa
Andò parecchi passi balenando : Sopra la porta del real palazzo :
Ultimamente cadde tramortito, Per la città se ne ſe' fuochi e festa.
Ciriffo il vede, e veniva sprouando Lasciam costoro in piacere e 'n solazzo.
Per aiutarlo, e se fosse finito, La morte di Carbone assai molesta
Pensa di far la vendetta col brando ; Irlacone, e nel campo è gran rombazzo:
E 'l capitan del campo d' Irlacone Brocante per la notte il campo assetta
Veniva per difesa di Carbone. A buona guardia, che di lor sospetta.
DCXXVI DCXXXIII
Carbon credendo pur che gli abbi tratto, Avevon fatto insieme l'antiguardo
Lasciò il bastone, e chinossi per quello La notte con la bella Bisantona,
Per portarlo nel campo; presto e ratlo E l'uno e l'altro pel colpo gagliardo
In su la spalla si pose il fastello. In uno istante la vita abbandona ;
Sinefido rivenne, e, visto l'atto, E Spinadosso, ch'avea lo stendardo,
Con la man destra traeva il coltello, Ciriffo contro a lui volando sprona,
Con la sinestra a la chioma s' appicca, E l'asta saguinosa al pettiggione
E sotto al destro orecchio il coltel ficca, Gli pose, e conficcollo in nell' arcione.
DCXXVIII DCXXXV
In modo che v' entrò più di dua spanne, Bisantona s'era ita a riposare,
Carbon si scuote, e il Povero s' attiene; E non s'era a fatica disarmata,
Ma perchè nol pigliassi con le zanne, Ch'ella si sente a gran voce chiamare,
Si gli scaglio dirieto in su le rene E la trista novella le fu data;
Diguazzando il coltello infra le canne, E Spinadosso ne vede menare,
Tanto che in terra il gigante ne viene. Che ancor non era la lancia sferrata,
Poi gli spiccò la testa col coltello, E lo stendardo non aver potuto
Ecosi spense il fiero Carboncello. Più sostenere, ed eragli caduto.
DCXXIX DCXXXVI
E quella pe' capelli se ne porta Che vuol dir questo ? Bisantona disse,
Con ambo mani, il franco cavalieri. O Macometto, tu debbi dormire,
Ciriffo è ritornato, e senza scorta E con gran furia l'arme si rimisse.
Gli viene incontro, e menagli il destrieri. Ecco Ciriffo , e'l Pover comparire
La gente della terra sendo accorta Con la sua gente, tulle insieme fisse,
Del fatto, non sergenti, ne scudieri, Che fan le squadre serrare ed aprire,
Ma tutti i principali, ognun fu mosso, E l'uno pareva Ettor, l'altro Achille,
Incontro, e vennon fin di fuor sul fosso. E già n'avevon morti più di mille.
205 CIRIFFO CALVANEO 206
DCXXXVII DCXLIV
Ene la sesta dopo queste schiere Era Furgatto innanzi per iscorta
Con centomila fu re Irlacone. A tutti gli altri, e credeva il gigante
Dato ciascun al vento sue bandiere, Gionto a la terra mandar giù la porta,
In questa era di tutte il confalone. Si come a Babillona fe' Morgante.
De l'altre gente di varie maniere Ciriffo il vede, e tutto si conforta ,
Si fece, per riscossa, uno squadrone E con tutta la mente a Dio costante
Insieme tutti, sotto un capitano Si raccomanda, e sprona con tempesta
Detto Achaille, ch'era Soriano. Verso Furgatto con la lancia in resta.
DCXLIII DCL
Cosi nel campo son tutti ischierati Furgatto il vede, e come quel ch'è mastro
Per venire a la volta de le mura. Ne le battaglie, in un tratto fermossi,
Torniamo a' nostri cavalier pregiati Aspettandolo in piè, come un pilastro,
Che avevon poca gente, e men paura, E il bastone a dua mani in man recossi,
E, come è detto, s' eran preparati Non temendo d'aver da lui disastro;
Afar le schiere, e la prima procura Ma quel che volsi, sempre mai non puossi,
Ciriffo nostro, pien di vigoria, E più ne seppe il tavernier che il giotto,
Con quindici migliaia in compagnia. Perchè Ciriffo gli venne si sotto,
208
207 CIRIFFO CALVANEO
DCLI DELVILL
Che e' non potè operare il bastone, Che lo passo come fusse di ghiaccio ;
E la grossa asta col buon ferro aguzzo. Cosi l'arme ch' avea si sgretolorno
Ciriffo a punto al bellico gli pone, Da l'altra banda, e nel sinistro braccio
E fora, e straccia ogni velo e peluzzo, Rimase il ferro, e i troncon via volorno.
E fracassogli la milza e l'amione ; De lo stendardo levoe uno straccio
Si che gli venne a questa volta puzzo Brunoro, e indrieto faceva ritorno;
Di fidarsi ne' duelli, o peli, o setole, Ma il gran Basca gli attraverso la via
E de la lancia si fe' mille gretole. Con l'asta bassa, e fe' gran villania.
DCLII DCLIX
E nel passar Ciriffo col cavallo Perché gli dette pure a tradimento;
Gli dette d' urto, e quanto può di spalla, Non che ferissi lui ma il suo cavallo
Con intenzion di dovere atterrallo: Nel fianco, e misse l'asta un braccio drento,
Pel colpo e l'urto, il gigante traballa, Si che rimase morto, e fu gran fallo.
E poco stante, cadde in tale stallo, Brunoro a piè col brando non è lento,
Perchè la piaga in un tratto divalla Ma vole al tutto quivi vendicallo;
Budella, e ventre, e 'l ſegato, e 'l polmone, E mentre si difende, chiama aiuto
E morto in terra rovince carpone. Da Ciriffo, e dal Povero Avveduto.
DCLIII DCLX
Ciriffo una grossa asta a uno vassallo Già son tutte le schiere avviluppate,
Ebbe rapita, e quella in resta messa, E sentesi per tutto un taffe, taffe
Forte spronando il possente cavallo, De' fieri colpi , ch'avean fracassate
Tutta la schiera di Furgatto ha fessa, Le'nsegne, e molti avien vote le staffe;
E quella d'Andreon senza intervallo; Le scimitarre e le mazze ferrate
Simile quella de la gigantessa, Forbottan, si che non vi son le paffe
E quella pur del Basca, e ne la sesta Grasse, come Irlacone are' creduto,
Ad Irlacon la ruppe ne la testa. E Sinefido ancor non c'è venuto.
DCLIV DCLXI
Ma l'elmo ch'egli avea di tutta botta Aspetta purche egli esca un po' da bomba
A questo tratto gli salvó la vita : Sinefido, ch'è detto uom senza fede,
Pur per quel colpo e'rovino allotta, E ne manderà tanti ne la tomba
Credendo ognun che l'alma sia partita. Di Satanas, che forse altri nol crede.
Ciriffo quando vide l'asta rotta, Mentre ch'aspetta, una voce rimbomba
Sfoderò il brando con possa infinita, Ne l'elmo, e sente a lui chiamar mercede,
E fra le schiere taglia, e fruga, e pigne, E vede uno scudier volar pel piano,
E'l brando in un balen di sangue tigne. Gridando: Soccorrete il capitano.
DCLY DCLXII
E con la lancia avea fatto un fracasso, Che gli è condotto tra cattive mani
Che a dirlo quasi sarebbe incredibile, Coldestriermorto, ed intorno ha un gran cerchio
Che più di trenta ne mandó al basso, Che per pigliarlo paion lupi e cani,
E dico morti, che pare impossibile : E non può più durare al gran soperchio :
Non trova ignun che gli contrasti passo, Tanti n'ha morti con suo' colpi strani
Tanto dimostra il suo furor terribile, Che pare il sangue la foce del Serchio.
Nè ritto lascia stendardo , o bandiera,. Inteso Sinefido il suo tenore
E fulminando torna a la sua schiera. In un tratto serrava il corridore.
DCLVI DCLXIN
I quai veduto rovinar Furgalto, Con l'asta bassa il buon destrier dirizza
E Ciriffo di vista aver perduto, In quella parte dove era Brunoro
La schiera allotta fu mossa in un tratto Con tanta furia e cabbia, e onta, e stizza,
Per dar soccorso, e fare il lor dovuto. Che a più di trentasei dette martoro :
Brunoro accorto fu mosso difatto Una folgore par, si fora, e schizza
Con licenza del Povero Avveduto Tra l'un e l'altro, e giunse infra coloro,
Per soccorrer Ciriffo , che non sia Che per pigliare il capitan combattono,
Cosi soletto fra tanta genia. E in un momento tutti si sbarattono.
DCLVII DCLXIV
DCLXV DCLXVI
Rade volte balena che non tuoni Pensi ciascun se Brunoro fu lieto,
Quando confuria vien pioggia o tempesta: Vistosi per costor da morte assolvere,
Il colpo fatto si può dir de' buoni : Ch'era l'ultimo punto del divieto
Ecco Ciriffo che giugneva in questa, Che bisognava che n' andassi assolvere.
Enon ti dico se par ch'egli suoni Ciriffo il gran Basca rispinse a drieto,
Col brando; e trasse un fendente alla testa E si il mandò nella sanguigna polvere:
Al Basca, che gridava : Piglia, piglia : Il buon destrier, ch'avea, dette a Brunoro,
E partillo per mezzo infra le ciglia. Il qual vi saltò su senza dimoro.
PARTE II
Ora
ra a vedere insieme questi tre Ecosì fu con la mente ricorso
A brandi infra le schiere d' Irlacone, Di darne avviso a'campion de la terra,
Co' le gran prove che ciaschedun fe', Nè del mortale stormo si travaglia.
Ne arebbe preso ognuno ammirazione. Or ritorniamo alla fiera battaglia ;
Bisantona era mezza fuor di se VI
Per Testa rossa, e pur col suo bastone Chè non si vede mai si crudel cosa
Forbotta orquestoorquello, enonponmente, Nè tanti morti forse in tale spazio
Sia quel si vole, e d'esservi si pente. Quali eran suti quivi, e non si posa
I Ancor nessun, che sia del ferir sazio :
Or per cagion ch' altrui non mi rimordi, Di qua, di là, di giù, di su furiosa
Non sendo fatto ancor nulla menzione, Va Bisantona, e fa macello e strazio
Non resta perchè io non mi ricordi E d'arme, e di cavagli, e di persone
Del valoroso e nobil Andreone; Col suo pesante e sanguigno bastone.
Ma chi è savio, spero che s' accordi VII
14
211 212
CIRIFFO CALVANEO
X XVII
Brocante fu da sua gente riccolto, Una sera fra l' altre Sinefido
E per morto portato al padiglione; Avendo scorso il campo d' Irlacone,
E Sinefido a Bisantona volto E volto per tornar dentro al suo nido,
Si fu per darle col brando un frugone; Fu assaltato dal buono Andreone
Ed ella aveva a punto a se raccolto Con molti cavalieri , e misse un grido,
Il braccio per levare alto il bastone ; Dicendogli : Tu se' qui mio prigione;
E visto trarre il colpo a Sinefido Renditi a me, se vuoi salvar la vita ;
Col baston para, come vol Cupido, E poi dappresso ridendo lo 'nvita.
XI XVIII
E tristo è quel che gli arriva dinanzi E per cagion che questo non si scopra
Si che pel campo gli è dato la via , Si vuol che insieme facciamo uno assalto,
Come sapete, ch'io vi dissi dianzi , E mostrando che io resti al disopra,
Colga chi vuole, e sia quale esser sia. Torn' a la terra, e fingi di far alto,
Irlacon vede, e vol pur che gli avanzi Ed io cautamente a la mia opra
Qualcun de vivi per sua compagnia, Daro effetto : e così detto, un salto
E pensa ch'ella sia per doglia istolta, Col destrier prese, e parve che dovessi
E fe' pel campo sonare a raccolta Aver lui, e 'l caval col brando fessi.
XUI XX
Non senza danno, perchè di lor gente Cosi scherzando fanno a la civetta,
Al far de la rassegna ve ne manca E la gente del campo e de la terra
Dodicimila, e gran parte dolente Per veder tutti stanno a la veletta,
Ve n'è ferita, lacerata e stanca. Non si accorgendo de la finta guerra :
Del campo d' Irlacon furono spente E fatti molti colpi si rassetta
Trentamila persone, la più franca Sinefido in un tratto, e il destrier ferra,
Gente che avesse, che n'avea cotanti, Come per tema d' Andreon fuggissi,
Ma non v'è più di quei fieri giganti ; E così l'un da l'altro dipartissi.
XV XXI
Così per qualche giorno ognun si stette Ma ripensando pur chi ama teme,
Abuona guardia, e mentre furon sani Frola ne volse parere e consiglio,
Molti feriti di brandi, e saette. E tutti i principal congregó insieme,
Or ritorniamo un poco a due cristiani E sopra a questo si fe' gran bisbiglio.
Che l'un e l'altro, e quando un sol simette, Sinefido cotal parole ispreme :
A saltar fuor il campo di que' cani, Non bisogna temer d'alcun periglio,
Facendo ad Irlacon danno ed oltraggio, Che certo lui parlee si virilmente
Tornando sempre dentro con vantaggio. Ch'io credo al sacramento suo del dente.
213 CIRIFFO CALVANEO 214
XXIV XXXI
Con tutto questo assai credo che vaglia Per istar qui a dir l'ando, la stette,
La buona guardia, e con ognuno a l'erta Sarebbe come pascersi di vento ;
Star sempre; pigliam pur la vettovaglia Se vettovaglia in campo non si mette,
In prima, e quando quella ci fia certa, Irlacon mio, noi ci morrem di stento;
Venga chi vuole a far dentro schermaglia, Fa provvedere a questo, ed a le strette
Che per tutti starà la porta aperta, Doman voglio esser io con que' di drento
Ch'io non li stimerei tutti una chiappola, A corpo a corpo, e con questo bastone
Che verrebbono a morder ne la trappola. Ciascun di loro arai morto o prigione,
XXV XXXII
A dire a Sinefido, ch' era tempo, Or sendo il campo (come è detto) armato,
Nè più altra parola non gli offerse, Cominciorno a le mura a dar battaglia.
E lui intese, e per essere a tempo Ciriffo ch' era sul destrier montato,
Innanzi sera a la porta s' offerse Come un leon da la porta si scaglia,
Andreon con la sua gente per tempo E fu da ventimila seguitato
A far la guardia in campo si scoperse, De la sua gente, tutti uomin di vaglia,
E prima avea la vettovaglia accolta Tutti gridando: Viva Carsidora ;
Per dar con essa in un tratto la volta, E tra nimici ognun fracassa e fora,
XXVII XXXIV
XXXVIII XLV
Ed Andreon pel campo con la spada Levossi nel cader tanto le grida
Pareva un nuovo Orlando paladino, Nel campo e in su le mura per costui,
In modo tal che gli è dato la strada E lui perira misse tale istrida
Dovunque e' volge il destrier pellegrino; Ch'io credo andorno insino a regui bui.
EAchaille ancorch' ai suo' colpi bada Andreon sente e di tornar si fida
Avendo l'asta il fiero saracino, Sino sul ponte, e veduto colui
Non estimando onor, nè gentilezza, Di sangue intriso, molle, e imbrodolato,
Sprona vêr lui, e sol sua morte prezza. Benignamente l'ebbe assai pregato,
XLII XLIX
Nel costato lo punse, e quello impazza Di più ferite e non potea campare ;
Quasi per doglia; e col suo brando nudo Pur nondimeno a suo poter s' aita
S'arrosta si che dinanzi si spazza E crede ancora Andreon superare,
I suo' nimici , e fassi dar la via Dicendo : Traditor, col mio bastone
Per tutto il campo, e fugge in Samastia. Farò qui le vendette d' Irlacone.
XLII L
LII LIX
Irlacone era appunto allor salito Ma se non fusse il gran cerchio ch'ha intorno
Su un destrier, che pareva una montagna, De' corpi morti e di lance, e di sassi
Ne prima fu dal padiglion partito Non sarebbe campato tanto il giorno
Che'l tordodette a tempo ne la ragna. O pur piangendo maraviglia fassi
Eccoti Sinefido comparito, Di Sinefido, e di Brunoro adorno,
Che lo mandò sossopra a la campagna E d'Andreon che gnun vi capitassi,
Lui col cavallo, e rotta l'asta, piglia, E pur chiamava Sinefido spesso
Il brando, e poi le redinde la briglia. Chiamando un tratto, e Bisantona è presso.
しい LX
Che come biscia pel colpo si sente Gridando: Via canaglia a la malora,
Fischiar, così la spada a' colpi fischia Se potessi col brando aggiugner voi,
Di Sinefido, che pare un serpente Nessun farebbe tanto qui dimora,
El'arme, e l'uom isquarta, non cincischia. Ma tristo a quel che più l'offenda o noi.
Bisantona, ch'è grande, ponea mente Ciriffo sente, e molto si rincuora
Pel campo spesso, e vede una gran mischia Con tutto che morir pensi pur poi;
In mezzo a' padiglioni, e volge il passo Ma per campar la vita il più che può,
Per gir dove ella sente il gran fracasso. S'ella il chiedea prigion, non vuol dir no.
LV LXIL
Quale era per Ciriffo, ch'io lasciai Qui combatte l'onor con la vergogna,
Combatter solo fra colante schiere, La vergogna è morir, chi vuol dir dica;
Non istimando però questo mai L'onore fia a uscir di questa gogna ;
Per troppo assicurarsi del destriere. Non posso più, e a questa nimica
Ohime, Ciriffo mio, tu imparerai S' io non m'arrendo, morir mi bisogna ;
Ale tue spese a far questo mestiere; Ecco ch'io ho perduto ogni fatica:
Pur nondimeno e'mi duol si il tuo danno, Per ischifar questa ultima percossa ,
Che pensando ne scoppio per affanno. E licito a ciascun far ciò che possa,
LVI LXHI
Il qual faceva come il tristo baro, Ricevuto ella il brando, il suo prigione
Non potendo giuocar, che mette altrui. Prende per mano, e fuor del cerchio il tira.
Brocante non avendo altro riparo Ciriffo lasso e per gran passione
A vendicarsi sopra di costui Di sè e del destrier molto sospira.
Non può di fatti, e di parole avaro Bisantona menollo al padiglione
Non era auco : gridava, a lui a lui, E fattol disarmar, per tutto il mira
Vile canaglia, porci, manigoldi, Con diligenza, e con massimo onore
Voi non valete tutti cinque soldi. L'ha provveduto, con sincero amore.
LVIII LXV
LXVI LXXIII
Chi qua, chi là pel campo si divide; Con quel prigion, che lo vole impiccare
Di tutti quanti n'è fatto un mescuglio, Davante al suo padiglion per la gola.
Eper non esser morto, ognuno uccide Bisantona nol vol con sè menare,
A suo poter per uscir di garbuglio . Ma tinta d'ira come un diaulo vola,
Bisantona col suo baston ricide Nè più che gionta, senza salutare,
Il campo e fa di tutti un guazzabuglio, Ad Irlacon dicea tale parola :
E maladice Irlacone e la guerra, Ch'a tu a far del prigion che tu chiedi ?
E'l di che venne a por campo a la terra. E' mi vien voglia di pormiti a piedi.
LXVIH LXXV
Già era Febo col carro disceso, E seppe si ciurmare, e porre orpello,
E ritratti da noi sua raggi d'oro, E giurando più volte ha tocco il dente
Quando Brocante ſu da morte offeso Di non fare violenza alcuna a quello,
Immediate de lo strale al fuoro ; E servaragli la vita certamente,
E lo stormo mortal restoe sospeso, Ch'ella gli crede e torna al meschinello,
Perchè la luce fu tolta a coloro, E se gliel manda senza esser presente ;
E d'ogni parte il ferir fu deposto, Ma sendo donna non è maraviglia,
Per dare a tutti refrigerio e tosto. E pur così de le volpe se piglia.
LXX LXXVII
Tornossi Sinefido ed Andreone Intanto che Ciriffo fu venuto
Col Pulicane, e gli altri in Samastia, Al padiglione, e questo traditore
E nel campo ciascun al padiglione Ebbe pensato, e cosi provveduto
Facendo la rassegna tullavia. Di trasfugarlo via a gran furore,
Trovossi della gente d'Irlacone Perché di Bisantona arè temuto
Esserne morta più che 'I di pria, Di farne qui quel ch'aveva nel cuore,
E morto Spinadosso, il fier gigante, E scrisse in Troncavalle, a Carpisante,
E il capitan ch' era detto Brocante. Ed al fratel che detto è Grifonante,
LXXI LXXVII
Ne la città il capitan Brunoro Come manda lor preso un di que' due
Si trova morto, e ferito Andreone, Ch'hanno del popol suo tanto distrutto,
E manco diecimila, e per ristoro E come e'giugne non lo tenghin pine,
Non si trova Giriffo, ch'è prigione. Che vol che 'n croce posto sia al tutto.
Sinefido n'avea tanto martoro, Questo l'effetto de lo scriver fue,
Che mette mugghi, che par un leone, E molto suo tesoro ebbe ridutto
Chiamando pur Ciriffo suo fratello, Insieme in some, per mandarlo via
E piange, e vol di fuor tornar per quello. ARocca franca, ch'era a mezza via.
LXXII LXXIX
LXXX
LXXXVII
Or pensi qui chi ha l'animo discreto . Per Bisantona, ch'era al padiglione,
Al cuor di questo povero meschino, Ch'a vederla pareva mostruosa;
Che potendo sapere il suo secreto Tanto turbata è per alterazione
Non are' dato del mondo un quattrino; Ch'ella non può trovar luoco, nè posa.
Gli era legato e dinanzi e di dreto, Però che rivolendo il suo prigione
Turato stretto sopra un bon ronzino, Non lo può riavere, ne spiar cosa
Nè può veder, nè sa che via si faccia, Alcuna dove quel fusse arrivato,
Esente dir di che morte si spaccia.. E crede che Irlacon l'abbi spacciato.
LXXXI
LXXXVIII
Onde piangendo seco si rammarica, E tanto è superata da lo sdegno
Raccomandando l'alma e'l corpo a Dio, Ch'ella è disposta al tutto a la vendetta,
E cosi d'un paese in altro varica,
Dicendo spesso : O Sinefido mio : E sol facea ne la mente disegno
Del modo breve, e poterla far netta;
Ohime, che questa m'è si aspra incarica, Eccoti in questa gionto Achail degno
Che rivederti più non spero io; Ch'era venuto quale una saetta,
Ma s'io morissi pur col brando in mano, E l'ambasciata brevemente espose
Non mi parrebbe il morir punto strano. Di Sineſido, e quella non rispose.
LX3XII
LXXXIX
Or lasciam qui Ciriffo che cammina, Anzi si mosse qual proprio un baleno
E come bestia è menato al macello .
Con Achaille, e duolsi per la via
Non fu a pena l'alba la mattina
Che Sinefido per riavere quello, Di quel can traditor, pien di veleno,
Irlacone, e dicea la villania.
Faor de la terra usei con gran rovina Achaille ritrasse un poco il freno
Per ispiar che fusse del fratello; A sè, e disse : E' l'ha mandato via
E s'egli è morto, vendicar sua morte Inquesta notte con di molte some,
Vuol prima che tornar dentro a le porte. Altro non ti so dir dove, nè come.
LXXXDI
XC
E come disperato a l'antiguardo Cosi dicendo , a Sinefido arriva
Ne va col brando per voler ferire, Bisantona con volto assai turbato .
Ma Achaille il Soriano gagliardo, In brevità l'effetto gli chiariva
Come lo vide di fuori apparire, Come ella aveva Ciriffo fidato,
Se gli fe' incontro non come codardo, E in che modo Irlacone la tradiva,
Ma con grato parlar comincia a dire Come la notte l'aveva trasfugato:
Quel che e' volessi: e Sinefido ad ello: Ma se di questo io non ne fo vendetta
Vo 'ntender, disse, dove è'l mio fratello. In cener mi riduca una saetta.
LXXXIV
XCI
Achaille rispose : A dirti il vero In modo la farò che fia memoria
Il tuo fratel è vivo, ed è prigione Mentre che durerà il secolo umano,
Di Bisantona, il franco cavaliero, E se tu voi, darotti la vittoria
Cosi dicendo veniva Andreone
Contro a quel traditor sicura in mano;
Con tutto il popol fuori ardito e fiero Attendi bene, abbreviando la istoria,
Col Polican, che pareva un leone, Vedrai l'effetto, ch'io non parlo in vano;
Per dare a Sinefido buon soccorso, Ame tocca sta notte l'antiguardo:
Stimando e' fussi pel campo trascorso. Or nota ed abbi al mio parlar riguardo.
LXXXV
XCU
Inteso Sinefido che prigione Come fia notte uscirete di fore,
Era Ciriffo, e come non è morto, Provvisti in punto da menar le mani;
Alquanto alienoe la passione ; Accozzeremci insieme in un furore,
Che di salvarlo si dava conforto.
Vedrai bello spulezzo in questi piani,
E Achaille priega ch'al padiglione Mettendo a sacco, e fuoco, ed a romore
A Bisantona vada, e dica iscorto, I padiglioni e tutti questi cani
Che Sinefido le volea parlare, A fil di spada, e taglieremgli a pezzi,
Ch' ella venisse senza dimorare. A ciò ch'un altro a tradir non s' avvezzi .
LXXXVI
xcm
Achaille rispose a Sinefido Restiamo in questo, ed anco abbi rispetto
Fa che la gente tua s'arretri e fermi, Avendo la tua gente qui manesca,
Se vuoi ch'io vada, e sol di te mi fido, Acciò che 'l campo non pigli sospetto
Se mi prometti che stieno a lor termi. Dal parlar nostro, fa che non ti incresca,
Il Pover disse : Va, ch'io te ne fido Partita ch'io sarò, fingi dispetto
Etristo a quel si potessi avvedermi Riceuto da me, e corri in tresca
Che per offesa alcuna alzassi il dito; Con la tua gente, ed una iscorribanda
E cosi detto Achaille fa ito
Pel campo da, da l'una a l'altra banda.
223 CIRIFFO CALVANEO 224
XCIV CI
Sendone morti più di mille e mille, Nè più che detto, ritornossi in drieto,
E tutto il campo montati in arcione, E Sinefido dove era Andreone
Sinefido scontrossi in Achaille, Che de le some giunte è molto lieto,
E fece la vendetta d' Andreone : Pur ne la mente avea sospezione,
Col brando le mascella sue partille, Nė dar voleva a l'impresa divieto,
E morto lo trabocca sul sabbione : Ma ben guardata la terra compone,
Ed Irlacon è montato a destrieri E Bisantona aveva congregati
Pur con paura di que' colpi fieri. Alquanti de' suoi principi nomati.
XCVIII CV
E cosi Andreon dette la volta Con Sinefido ho fermo il modo, e 'l patto,
Col Pulicane, e fermarsi a rastrello, Che ora immediate fuora egli esca
E fer di tratto sonare a raccolta, Con l'esercito suo, ed in un tratto
Avendo dato pel campo un drappello. Congionti insieme arà il nocciol la pesca:
La gente lor per ritornar s' affolta Date di ciuffo a padiglion di fatto,
Velocemente, qual volante uccello; E il menar de le man non vi rincresca,
Perchè oguun fugge volentier la morte, Mettete pure a sacco, e fiamma, e fuoco
A gara ispronan via verso le porte. Tutti gli alloggiamenti in ogni luoco.
C CVI
CVIDI CXV
Non dette lo spion si presto indizio Tutti sbuccavan fuor de' padiglioni
Ad Irlacon che possa provvedere, Sentendo gridar fuoco, e sangue, e carne:
Ma visto chiaro il futuro supplizio Eravi tal che le sue guernigioni
Che vien sopra di lui, nè il può tenere, Aveva in braccio, e non sapea che farne;
Or questa volpe, chè piena di vizio, A chi manca il cavallo, a chi gli sproni,
Parve ch'avesse l'occhio del cerviere. E non ha tempo da poter cercarne,
Inteso il caso, e sentito il romore, Nè sa chi dimandar di quel che manca,
Cangiava sopravvesta e corridore. Ma ognun quello che può pigliaed arranca.
CIX CXVI
Armato non di meno di tutte armi Ben si potevan chiamar genti rotte,
Da regger, come già dissi, a le botti, Vedendo isviluppar quella canaglia
Edice al cancelliere : I' vo' avviarmi, Per boschi e balzi, e per fossati e grotte :
ARocca franca, e quivi aspetterotti. Chi sdrucciola, o percuote e chi si scaglia
Con Sinefido non voglio abboccarmi, Giù d' una ripa, e dà poi si gran botte
Edipartissi senza far più motti. Che'l sangue e le cervella ivi sparpaglia,
Ned alcuna notizia ad altri dienne, E tutti nel fuggir comunemente
E sotti dir, che non disse a alcun vienne. Maledicon Maçon divotamente,
cx CXVII
Già era Bisantona, e Sinefido Ed Irlacone, e chiunque serve a vecchi,
Ed Andreon con tutte lor masnade Perchè non hanno discrezion nel cuore :
Passati l'antiguardo, e messo a grido Così fuggendo via fra sterpi e stecchi,
Il campo tutto, a fuoco, ed alle spade, Il campo si sgombrava in un furore;
E gionti a' padiglion, con grande strido, EBisantona par che gli punzecchi,
Chi si difende, e chi fugge, e chi cade, E quei ragghiando quai micci in amore
Chi di rubare, e chi far fuoco traccia, Fuggon dinanzi a lei, perch'ella macera
Chi ragliuppa, e chi taglia e chi straccia. La carne e l'ossa, e l'arme trita e lacera,
CXI CXVIII
Sinefido di tratto ne fu ito Non si fe' tal macel d'uomini a Canni,
Al padiglion del re, e crede avere A Troia, o a Tebe, a Sacra, ne in Tessaglia,
Quivi a man salva il vecchio, chè fuggito, Qual si fe' qui, e tale aveva a panni
Trovovvi Sinefido il cancelliere; Il fuoco appreso, e nel fiume si scaglia
Che rassettava per pigliar partito, Per riparare a' suoi ultimi danni,
Qual per temenza gli disse : Messere Che contro al fuoco non vale schermaglia.
Se mi prometti salvar la persona, Anco facendo più quando si frugola,
Insegnarotti dove è la corona; Ed evvi alcun che bocheggiando mugola.
CXII CXIX
Ed anco il suo tesor, ch'egli ha mandato Chi qua, chỉ là, chỉ giù, chỉ su si fuggono
Sta notte quando mando via il prigione. Facendo il fuoco, e l'arme operazione,
Mentre diceva fussi inginocchiato, E guai a quei che in campo si rinchiuggono
E Sinefido che l'orecchio pone Dove sia Bisantona ed Andreone ;
Ale parole sue, l' ebbe fidato E finalmente gli autor conchinggono,
E la risposta in tal modo propone, Che settecento migliaja di persone
I
' non cerco ricchezza, i' bramo onore, Fur morti in più battaglie a questa guerra
Sia tuo il tesoro, e'nsegnami il signore. Di quei del campo, e di quei de la terra.
CXHI CXX
Lasciamo andar costoro a lor viaggio, Quale era appunto fermo per discendere
E ritorniamo a Bisantona in campo, Giù del destrieri ad una fontanella,
EdAndreon col Pulican selvaggio, Volendo alquanto refrigerio prendere
Che ciascun par una folgore, un lampo, A l'acqua fresca, ch'è nitida e bella,
E fuoco e sangue è per tutto il rivaggio, Ne teme più de' nimici l'offendere :
Sicché chi può si sfugge per iscampo E Sinefido a lui: Restati in sella ,
Apiede, ed a cavallo, e disarmati, Malvagio traditor, o tu t'arrendi
E di quei v'è che son mezzi abbruciati. Prigione, o col tuo brando ti difendi.
15
227 CIRIFFO CALVANEO 228
CXXII CXXIX
Irlacon, sente, e volto, e visto, e inteso Dicendo: O Dio, può esser che costui
Le sue parole, e di fatto il conosce, Abbi lo spirto mai di Satanasso,
E' tutto impallidissi il volto acceso, Alzando il brando per ferire; e lui
E ne l'arcion gli tremano le cosce ; Con una punta lo percuote basso
Pur forza fu d'aver partito preso Sotto lo scudo, e tutte l'arme sui
Stimando quivi insieme di sue angosce ; Passolle, e credo che di vita casso
Ma non vuol far però del giuoco tavola, L'avrebbe, se non fosse tanto avaccio
Per non esser vivendo morto in favola. Venuto il colpo, che gli die' sul braccio.
CXXIII CXXX
Eperché vede che ne' va il suo resto, Irlacon per la doglia sbigottito,
Aver buon mostra per cacciar costui Visto cader in terra il braccio, e il brando,
Se lo cogliessi ; ma non è già questo Non vede altro riparo, ed è fuggito
Uom che fuggissi mai pel dir d' altrui ; A tutta briglia, il destrier speronando ;
E trasse il brando furioso e presto E Sinefido, ch' era invelenito
Irlacone, e faceasi contro a lui, Per la ferita, lo segue gridando:
Gridando : Traditor, tu se' condotto Ahi cane, se da can foggir tu sai,
A tal ostier, che pagherai lo scotto. Se tu non metti l'ale, ci starai.
CXXV CXXXII
Inmodo tal che non pareva veglio Ringraziando Gesù, e la Madre, e i Santi
A' fieri colpi con la gran destrezza, De la vittoria col divino aiuto,
I quai traeva, tanto ch'io mi sveglio Benchè'l suo cuor e gliocchi hapiendipianti,
Qui con la mente che colpi accapezza, Credendo aver Ciriffo suo perduto;
Simili, si ch'io non so dare il meglio E ritornando, si vedeva avanti
A qualunque di lor : tanta fierezza Il cancellier ch'era seco venuto,
E ne l'uno e nell' altro si discerne, El'un e l'altro il destrier mette a correre
Ch'io non ci so vantaggio ancor vederne. Per dare aiuto, e la terra soccorrere.
CXXVII CXXXV
Sentivansi lor brandi zufolare, Or lasciam qui costor cavalcar forte
Che pareau proprio fischi di serpente: A tutta briglia verso Samastia,
Vediensi punte, e rovesci menare Dove è tornato ognun dentro a le porte
Tondi, mandritti, e spesso alcun fendente, Con la vittoria, come dissi pria,
E qualche volta la testa chinare Dove poi sendo le persone accorte
Pel colpo insino al collo del corrente, Di Sinefido, gran malinconia
E Sinefido pien di duolo e slizza Vi fu, non si trovando in nessun lato,
In su le staffe in un tratto si rizza; O vivo, o morto sendone cercato.
229 230
CIRIFFO / CALVANEO
CXXXVI CXLIII
Per la qual cosa con afflizione Usciti fuor col Pulicane appresso,
Addolorati stanno, e meschinelli; Sinefido lo vol sempre a le spalle:
Poi visto giunto il nobile campione, Similemente il cancellier con esso
Ch' avea l'orribil testa pe' capelli , Passando selve, boschi, piani e valle.
Ciascun gridando : Vittoria, Macone, Lasciamo andar costor; torniamo addesso
Correva, anzi volavan come uccelli A que' provvigionati con le balle
Per veder Sinefido e quel teschione Dov'era d'Irlacone il gran tesoro,
Del lor nimico barbuto vecchione. E'l povero Ciriffo era con loro.
CXXXVII CXLIV
CL CLVII
Giugnendo il traditor presso a la Rocca Ein un balen di lui fer mille pezzi :
Con que' trecento, e con più some avante, Queste furon le some del tesoro
Con più trombetti, con le trombe a bocca, Che gli ha risposte , questi sono e'vezzi,
E' sonavon per dar segno a Raspante Che i traditor fanno agli amici loro.
Che la vittoria ad Irlacon sia tocca, Il castellan che savio sempre prezzi
E che tornasse quale uomo trionfante : L'onor più che l'amico, e più che l'oro,
Il cancellier come persona astuta E' pigli esemplo, e specchisi in costui,
Vede Raspante, e ridendo it saluta. Che il simigliante non avvenga a lui.
CLV CLXII
CLXIV CLXXI
Dicendo che fra tutti quegli elegga Egiunse a Carpisante con furore
Con la debita e breve reverenza, !
Un castellan per la Rocca a suo modo,
E di tal compagnia quivi il provvegga Dicendo come presse era il signore.
Che de la Rocca non sia fatto frodo, Carpisante gli ſe' grande accoglienza,
La qual per me si guardi, e si possegga; E Grifonante suo fratel minore
Che'l tesoro sia tuo confermo, e lodo; Che lo bascioe per più magnificenza;
Ma prima in Troncavalle verrai meco, E si perchè l'amava di buon cuore,
Che nulla vi varrei non sendo teco. Ne sa che bascia Giuda traditore.
CLXVIE CLXXIV
Quale è in mezzo la terra ed il monte . Si, chiamal, che ne viene; egli è qui presso.
TAT
VOLLSV
BL
IDOS'S
S
235 CIRIFFO CALVANEO 236
CLXXVIII CLXXXV
Ch'è venuto per farti compagnia Giunto a la porta, e visto tanta gente,
El'un per l'altro morrà più contento. Tante bandiere, e l'arme del nemico,
Quando Ciriffo tal cosa sentia, Dicea Ciriffo : Ohimè, lasso dolente,
Gli crebbe il duolo, ed ebbe più tormento. Per me non c'è parente, nè amico.
Diceva il cancellier : Su mandal via, 1
O Dio ! si fussi sopra il mio corrente :
Ch'i' voglio ardergli in croce e dare al vento Che aver solevo e col mio brando antico,
Per sepoltura d'amendua la polvere ; O Sinefido mio, tu 'l camperesti,
Cosi vo fare, e lor membra dissolvere. E il tuo Ciriffo morir non vedresti.
CLXXIX CLXXXVI
Disciolti Grifonante i nodi strani Cosi piangendo gli occhi intorno gira
Di più catene, de' piè lo disferra, Quel po' del tempo breve che gli avanza,
Dicendogli: Sta su, sì come a' cani Nè vede alcun soccorso, e pur sospira
Si dice, e strascinavalo per terra, Nè spera, nè può, perder la speranza ;
Sendo legato drieto per le mani, E pur di Sinefido suo rimira
E su le braccia una catena il serra ; Nė vedere il vorrebbe in quella stanza ;
Il corpo è tanto fievole ed afflitto E giunto al ponte levossi il rumore
Ch'a nessun modo e'non potea star ritto. Drento a le mura, e quivi in un furore.
CLXXX CLXXXVII
Chi'l tira, chi'l puncecchia, chi il minaccia, Ciriffo si può dir qual semivivo
E strascinando fu di prigion tratto; Temendo, e raccomanda l'alma a Dio,
Il cancellier con più rigida faccia E dice: O Sinefido, jo pure arrivo
Che nessun si gli mostra, è pronto al fatto, A morte che veduto non t'ho io.
Epure occultamente un fante spaccia E Sinefido non di valor privo
A Sinefido a dir che venga ratto Il brando trasse, e disse : O fratel mio
Che l'andrà bene, ed è inpunto ogni cosa, Eccomi qui : e nel mezzo si scaglia
Ed a suo modo fiorirà la rosa. Col buon destrier e tutti gli sbarraglia.
CLXXXI CLXXXVIII
Inteso Sinefido l'ambasciata, Parve in un tratto la folgore e'l tuono:
Parye che'l cuor un braccio gli crescesse, Veduto Sinefido ognun fu mosso.
Efe' sollecitar la cavalcata, Come Ciriffo vide e 'ntese il suono,
Nè crede veder l'ora che vedesse Si gli destaron tutti i sensi addosso,
Il suo Ciriffo; e gionta la brigata E ride e piange, e dice: O fratel buono,
Tra 'l poggio e'l ponte, vuole che ne stesse Disciolta che tu m'abbi, io son riscosso
Più là tremila tra'l ponte e la porta, E cosi detto e disciolto in un tratto,
Ch'a l'entrar dentro fusse più accorta. Saltava in piede, e più destro ch' un gatto,
CLXXXII CLXXXIX
Era ogni cosa in ordine di drento E Sinefido : E' nol fece a malizia,
E gionto il messo, la giustizia è mossa : Sicchè non ti doler del cancelliere,
Non era Grifonante suto lento, Ma perchè il mio fratello are' letizia
E il cancelliere avea fatto sua possa; Di cavalcare alquanto il tuo destriere,
Ecosi dati gli stendardi al vento, Eper non impedire io la giustizia,
Ciriffo che non vede aver riscossa , In iscambio di lui ti vo' vedere
Piange la morte sua, e del fratello, In croce, come tu il volevi porre,
Sentendo che morir dovea con ello. E non potrassi a la sentenzia apporre.
CLXXXIV CXCI
Avevanlo legato que' ribaldi Il qual disse: Ohime Dio te gli mandi
In su un certo cavallaccio secco, Disse Ciriffo, e la visiera afferra
Che come e' non teneva e suo' piè saldi Tirandol si, che convien che lo spandi
Sentivansi far l'ossa come ecco . Fuor de l'arcione a capo chino in terra.
Un manigoldo ch'era pien di gualdi Que' tremila più là con lance e brandi
Gli punzecchiava il cul con uno stecco, Son corsi dentro, e fanno mortal guerra:
Ed a piè di Ciriffo avean legato Gli altri seimila, ch'eran quivi intorno,
A ciascheduno un sasso ismisurato. Parevan lupi fra gli agnelli il giorno.
238
237 CIRIFFOLACALVANEO
CXCII exeix
Egli avean presi d'ogni banda e passa, Si come Sinefido il fatto intende.I
Si come gente pratica ed accorta. Nel volto tutto 'n un punto cambiossi, 1
Sinefido per dare al fatto ispaccio Con fumo, e fuochi, e cornacchi perfetti
Fe' Grifonante a suo dispetto e onte, E con passavolante, e spingardelle,
Nudo legare in su quel cavallaccio Edappie sotto certi mantelletti
Ch'era Ciriffo, e saliti sul monte :
Con iscarpeglive pali, e manovelle : 1
Lo fece por sopra quel bronconaccio, Ma su da piombatoi par che si getti
Confitto in ver la terra con la fronte, Tante le pietre, che a veder cadelle
Dice Ciriffo: Or chiama Carpisante, Pareva proprio grandine, che piova,
Che venga a te, e fia qui in uno stante. E sotto i mantelletti ischiaccion l' uova,
εχειν CCI
Aspetta pur che s'il posso carpire, E ne venivan giu si gran cantoni
E'ti sarà attenuta la promessa: Ch'arebbono una cupola sfondata
Poi rivolse il destrier senza piùdire. Di bronzo, non che un tetto di panconi,
Disceso il monte, a la città s'appressa Sicché la gente si fue allargata
Con Sinefido, il valoroso sire, Per non aver di quegli iscapezzoni,
Avendo tutta tagliata e defessa Che non son da fidarsi a la celata,
La gente, ch'era fuor con la giustizia ; E non che i mantelletti, e cappettoni
Cosi punita fu la lor nequizia. Doppi, non aren retto a que' petroni.
CXCV CCII
Sinefido che tiene il seggio, e il titolo, D'avere cosi l'opra mezza e monda,
Benché Ciriffo è eguale tuttavia, Ne vol che su le mosche vi si posiao,
Fe' congregare i maggiori a capitolo, Pensando di menar lieta e gioconda
Per saper del signor quel che ne sia; Quivi sua vita e con lui si riposino,
Della qual cosa presto ebbon chiaritolo Quantunque e' sono allor dentro a la sponda
Come egli avea la rocca in sua balía Del circuito e perchè non ritrosino
Provvista bene, e seco una fantina Punto con lui, ma stiano in pace, e segua
Sua figlia bella, detta Brunaspina. Poi ciò che vole, e fe' lor buona triegua.
239 CIRIFFO CALVANEO 240
CCVI Cext
Avendo avuto non che la licenza Ciriffo non potea per tenerezza
Ma dal signor comandamento espresso, Parlar, tanto gli duol quella partita ;
Che senza alcon riguardo, o reverenza Ma come savio che l'onor pur prezza,
Sia chi si vole, o da longe, o da presso. Va per salvare e l'onore, e la vita
Sicché per non uscir d' ubbidienza E de l'uno e de l'altro con prestezza !
Ciascun soddisfaceva al suo interesso, Gionto a la fonte quel vecchio lo invita
Si che religioso o secolare A colezione, e dice quel ribaldo:
Giugnendo quivi , è gionto o vogli andare. Egli è buon rinfrescarsi ispesso al caldo.
CCIX CCXVI
Torniamo a Sinefido ch'aspettava Disse Ciriffo : E' basta ber due tratti
Soccorso, ma sarà quel di Messina , E l'elmo presto si traea di testa,
Epur la rocca spesso molestava Dicendo: I' non son uso bere a patti
Si come ta faresti ora in foresta.
E la sua gente misera meschina
Di giorno in giorno tuttavia mancava, Il vecchio ride, e del barletto ha tratti
Onde per disperato una mattina Duo' bicchier di cervogia, e dice : Questa
Delibero mandar segretamente Vi caverà per un pezzo la sele,
Ciriffo a Samastia per aver gente, E senza patti in cortesia l'arete.
CCXI
CCXVIII
CCXX CCXXVII
Inmodo tal che si può dir che dorma, D'oggi in domani, e nessuno v'arriva
Che le bombarde non l'arebbon destro; Per risposta, nè gente in suo aiuto,
Edil vecchio assassin, persona inorma , E ne la terra poca n'era viva
L'ha disarmato, e l'ha ligato presto : Per l'aver ogni giorno combattuto;
Pur non segui de gli altri affatto l'orma E col suo Pulican si conferiva
D'uccider, ma tirollo dopo un cesto Del dubbio, e del danno ricevuto:
Di frasche al fresco inverso la marina ; Equel pregato assai piangendo abbraccia,
Poi con quell' arme a la tomba cammina. E'l Pulican fedel per via si caccia.
COXXI cexxvm
Ultimamente il buon destrier e l'armi Ultimamente a Rocca franca giunto,
DaCarpisante furon ricevute Il cancellier gli fe' buona accoglienza ,
Con grandolore e pianto, e ragion parmi E'nteso come il fatto istava a punto
Perché del suo fratel quelle eran sute. Di Sinefido non ha più temenza,
Ora a Ciriffo mio convien tornarmi E fe' pensier, che la notte defunto
Che dorme, ned in se ha più virtute. Sia il Pulicane, e non facci partenza,
•Partito il vecchio donde lui dormiva Perché da Samastia non venga aiuto
Un legno di corsari è suto a riva, A dargli il giuoco, ch'è vinto e perduto.
CCXXII CCXXIX
Costor non san che dorma per l' oppio E ch'aspettava grande assembramento
Eper destarlo il chiaman col bastone, Da Samastia che vien con Bisantona,
Enon bastino: cominciano a doppio E perchè non avesse impedimento
A sonarlo, dicendo: Su poltrone. Del passo, era restata sua persona.
Pure e' si desta, e viengli grande scoppio 1
16
CIRIFFO CALVANEO 244
243
CCXLI
CCXXXIV
Avendo visto che'l colpo non colse Aperto uno sportel del rivellino,
Nè vede che il coltello riaver possa, Tirato fa che parve avesse l'ala
Quale un orso ferito si rivolse E messo dentro il Povero Meschino,
Di nuovo a l'uscio, e diegli tale scossa Qual fusse morto il portan per la scala;
Che lo rompeva : se non che gli tolse E Carpisante, il fiero saracino,
Morte in un punto il valore e la possa, Il fe' posare in mezzo de la sala
Che in su la testa gli dette un tal sasso Edisarmarlo a furia e con asprezza,
Che cadde morto e non si mosse un passo. Per mettergli a la gola una cavezza.
CCXXXVIII CCXLV
Cosi finie la sua misera vita Trattogli l' elmo, e la forte corazza,
Il Pulican per questo traditore, Cominciorono i sensi a rinvenire
E la mattina come fu chiarita E risentirsi, mentre e' si diguazza,
L'alba, fu seppellito li di fuore. Qual uom che si svegliasse da dormire,
Adunque non puotė finir la gita E gli occhi aperse, e videsi a la mazza
E l'ambasciata far del suo signore, Condotto e tace con un gran sospire,
Che in Troncavalle aspettando si strugge, E ritto da la turba saracina :
E la sua gente manca, e 'l disio fugge. In questo giunse quivi Brunaspina.
CCXXXIX CCXLVI
CCXLVIII CCLV
Non vo' per nulla cosa che s'impicchi, Pur ne la mente alquanto s'assicura
Che farebbe un morir troppo contento, Veduta Brunaspina cosi sola
Anzi che la persona sua si ficchi Ne la prigione tenebrosa le scura,
In fondo de la torre, e quivi a stento La qual da presso la prima parola
Tenerlo un pezzo, e poi che si gli spicchi Ridendo disse : Non aver paura,
Amembro a membro per maggior tormento Ben sia trovato chi il mio cuor invola.
Da la persona sua le carne e l'ossa, J'ringrazio Macon di tua disgrazia,
O con più strazio, ancor pur che si possa. Quale io reputo a me singular grazia.
CCXLIX CCLVI
Opadre mio quand' io penso a l'inganno Avendo te, o famoso mio signore,
Di questo traditore iniquo, e fello, Ne la mia libertà preso e legato,
I
' sudo, e ghiaccio tutta per l'affanno, A cui l'anima mia, e'l corpo, e'l cuore
De la morte crudel del tuo fratello, Liberamente in eterno ho donato,
Edel nostro periglio, e del gran danno ; Se già tu non sarai a tanto amore,
Si che voglia mi vien torre un coltello, Quale io non stimo che tu sia ingrato,
E trargli di mia mano il cuor del petto, Non dubitare; e non aver temenza
Ma nol vo' far per suo maggior dispetto. Che ti sia fatto alcuna violenza .
cer CCLVII
E se tu mi vuo' ben non lo fidare Ma non voler che a Biblis eguale
A guardia di nessun di tua famiglia: I'sia : nè tu qual Cauno crudele
Lascialo pure a me incarcerare, Essere a me, e se il vivere ti cale,
E le chiavi tenère a la tua figlia, Puoi salvar te e me con tue medele.
Ed a mio piacimento sentenziare, Non fia di Mirra il peccato carnale,
Che so che tu ti farai maraviglia Anzi salute d'uno amor fedele:
Com' io lo puniró del suo errore, Io ardo più che Vener per Adone
E vedrassi dipoi quel ch' ho nel cuore. Per te, e in te sta tua salvazione.
CCLI CCLVIHI
Ecosi son menate l' ocche a bere, E mentre che la dama lo díscioglie
Qualche volta da papari in su monti: Combatteva col senso la ragione,
L'orso è qui posto a guardia de le pere, E l'on vol soddisfare a le sue voglie
Pensa tu che credi che questa s'affronti. Di quella dama, e l'altro vi si oppone ;
Cosi fu încarcerato a suo piacere Pure in sostanza l'effetto raccoglie
Con rigide parole ed atti pronti, Di consentir per sua redenzione,
Che par bench' ella facci da dovvero Con intenzion di far questa pagana,
Ma il diavol non fia poi quel pinto nero. Giusta sua possa, diventar cristiana.
CCL111 CCLX
Rimansi Sinefido con gran doglia Sendo disciolto, disse: Anima mia,
Incarcerato, e non ha più speranza Se amor tanto per me ti punge e sprona,
D'alcuno aiuto, e triema come foglia Jo mi ti dono, per ben che tuo sia
Ne sa che Brunaspina sia sua manza, Di volontà, e l'alma e la persona.
La qual di sua salute avea tal voglia, Compreso ciò che la dama disia,
Ch'ella non ebbe in se tanta costanza, Per ispacciar il fante a Barzalona
Ch'ella aspettasse che fasse ben sera, La bestia è in punto, e caricò la soma
Ma soletta n' andoe dove lui era.
A stento, perché la non era doma.
CDLIV CCLXI
Come e' senti disserrar la prigione Pur con lusinghe tanto ognun sospinse
Piangendo disse: O Vergine Maria Che in su gli arcioni si poser le balle,
Per tua pietà, e per la passione Ed anco le ' nvolture vi si tinse
Del tuo figliuolo, in aiuto mi sia. D'altro colore che le viole gialle.
E dicendo col cuor sua orazione La soma col randel tanto si strinse
Vide soletta la dama giulia Che e's' accordorno insieme a scaricalle:
Con picciol lume, e vien tacitamente, Sendo il cammin pur faticoso e stretto,
Nè altro mormorio d' intorno sente. Vi fu chi pianse presto tal difetto.
247 CIRIFFO CALVANEO 248
CCLXII CCLXIX
Ma molte volte par che'l pianger giovi, Opadre mio, i' tel chiego di grazia,
Massime il pianto che vien da natura, O padre mio, consenti che si squarti ,
Se non avvien per caso ch'altri truovi O padre mio, io non sarò mai sazia,
Qualche persona dispietata e dura, O padre mio, se non lo veggo a quarti;
Lei poco stante vol che si ripruovi, Imperocchè costui il cuor mi strazia
E più volonterosa, e più sicura E son disposta prima ch'io mi parti,
Si gli dimostra, che prima non era, Che tu consenta a la tua Brunaspina..
Nè ebbe mai ancor la miglior sera . Che con mie man lo squarti domattina.
CCLXIII CCLXX
E per non dare indizio del suo fallo O intelletto cieco, o mente insana,
Ne la prigion con gli altri non entrava, O fragil senso, o carne corrottibile,
Ma comando che dovessin menallo O volubile vita , o speme vana,
Presto di fuori e quivi l'aspettava ; Fuggi l'iradi Dio se gli è possibile :
E sol de' piedi fece disferrallo, Or ti conosci, or prezza una Pagana
Edal suo padre lo rappresentava, Più che'l poter del signor invisibile ;
Dicendo a Carpisante : O padre mio Meritamente tal supplizio è dato,
Ecco quel traditor ; malvagio e rio. Chè si purghi la colpa col peccato,
CCLXVIII CCLXXV
Ecco colui ch' ha guasto ogni disegno, Costei èquella che mi fece offendere
Ecco colui ch'ha diserto il levante, Il mio Signor, costei mi vol punire,
Ecco colui ch'uccise Irlacon degno, Costei è quella che mi dette a'ntendere 1
CCLXXVI CCLXXXII
Sperando ne la tua misericordia, Deh, volgi al tuo figliuol pietosi gli occhi
Ma non si de' peccar con tal fidanza : E priegalo per too, non per mio amore,
Signore, io pur vorrei teco concordia: Che mi perdoni, e priego t'inginocchi
Perdona al peccator, pien d' ignoranza, Davanti a lui per questo peccatore,
E non guardare a la semplice esordia, : Se voi che la sua grazia in me trabocchi,
Risguarda al cuore, e piglia la sostanza, E trarmi d' esto labirinto fore:
Benchè grazia non merti il fatto atroce: Io te ne priego; i'mi ti raccomando :
Tu perdonasti al ladron pure in croce, Tu mi puoi trar di contumace e bando...
CCLXXX CCLXXXVУП
Per la tua santa resurrezione Febo già s'era ascoso di tre ore,
Perdona il fallo mio, o Gesu santo, E l'aere serena fatta bruna
Per la ammirabil tua ascensione Era, e le stelle con loro splendore
Ten prego; e come lo Spirito Santo Si vedean lampeggiante andare alcuna:
Mandasti, manda me defensione Fior, fronde, erbe, ombre da l'umido umore
Per quanto ami Maria, o santa, o santo, Eran bagnate, nè lucea la luna
Ed etiam tutto il glorioso regno: Alo emisperio nostro, ma vicina
Signor perdona al peccator indegno. Era, quando giugneva Brunaspina
CCLXXXII CCLXXXIX
CCXC CCXCVII
Giugneva Brunaspina a lui ridendo, Tunon sa' bene ancor questa fortezza
Ma vedutoldi poi in tanta angoscia Come e'l'è fatta, e quanto e' l'è copiosa
Cangiossi tutta, e diceva piangendo: D'uomini dentro : ella sare' mattezza
O signor mio, e con le man si croscia A voler camminar per la sassosa,
Nel volto, e sè medesma riprendendo Potendo ir per la piana con dolcezza,
Faceva giù pel suo petto una stroscia E gir per la montata scropolosa;
Di lagrime, e 'n un punto suda e ghiaccia: Anco vorrei per esser più sicura
Cosi piangendo Sinefido abbraccia. Che tu guernisti me d'un' armadura ;
CCXCI CCXCVIL
Oimė, signor mio, ta non rispondi La qual fu del mio zio, che'l tuo fratello
Ala tua fedel serva Brunaspina ? L'aveva indosso poi, quando fu morto
Deh non temere, oime tu mi confondi, A una fonte qua fuor del castello,
Ma spera avanti che sia domattina A tradimento, e fugli fatto torto,
Che noi siamo a cammin lieti e giocondi, Edisse quando e come il vecchio fello
Con l'armadura, e daremla a la china ; L'arme e'l cavallo a Carpisante ha pôrto.
Revoca e sveglia i tuo'smarriti spirti Sinefido per doglia un mugghio getta
E'ntendi e gusta ciò ch'i' vengo a dirti. Giurando a suo poter farne vendetta.
CCXCH CCXCIX
Veduto il padre mio disposto al tutto Aveva Febo già distesi i raggi
Oggi di farti ad un balcone appendere, Per tutto l'universo in ogni calle,
Io per salvarti ed averti redutto Ne' dimestici luochi, e ne selvaggi
In libertà, non per volerti offendere , E piani pieni, e l'alte ville, e valle,
Simulando, facendo si gran lutto, Quando finiron gli occulti viaggi
Nè altro modo a volerti difendere Che de la tomba traevan le spalle,
Possibile era, e qui ogni arte e ingegno Che ne fu Sinefido lieto tanto,
Adoperai, e mi riusci il disegno. Che dir non si potrebbe in nessun canto.
CCXCV cccu
Or son venuta con la ragion fatta Pur Sinefido con parole pronte
Per trarti, e per uscir teco d'affanni ; La confortava a buona pazienza ;
I'voglio armarti, e per una via piatta Cosi pedestri discendendo il monte
D'una caverna uscirem senza dauni. Gli disse Brunaspina: Abbi avvertenza,
Dica chi vuol che traditrice o matta Ch'io ho veduto il vecchio a quella fonte,
I'sia, che'l padre mio tradisca e inganni : Guarda che non ti facci violenza
Non che ingannarlo, io gli darei la morte, Con l'oppio, l'assassin traditor fello,
Ma cusi ce n'andrem per le più corte. Come fe'a Ciriffo tuo fratello.
CCXCVI cccm
CCCIV ceexi
In fra le quali lui gli dette a 'ntendere Su a la parte esima a furor salse,
Da l'origine sua infino allora, Dolendosi del fallo suo commesso,
Edonde, e come, e si li fe' comprendere, A petizion de le lagrime false
11 proprio nome, e come Cristo adora, De la sua figlia, ch'era ancor li presso,
E la fede si gli ebbe a distendere, Non lo stimando, che ſu quel che valse,
Tanto che lei se ne 'nfiamma e innamora, Per lei, che si sarebbe punto messo
E co' santi dottor si scandalezza, A seguitarla con armata scorta,
Tanto che finalmente e' la battezza. E forse che sarebbe o presa o morta.
cccx cccxvii
cccxwl CCCXXV
O quale fu Mirra che in alber restoe, Ch'era supin su d'un pancon posato,
O qual fu Dafne in lauro discorsa , E gli gittorno addosso una schiavina,
O qual fu Aciroe che si mutoe, Ein quella in alto l'ebbono e legato;
O qual fu Ciane in acqua, e tanto è corsa, Pensava lui che fusse Brunaspina,
O qualfu Atamante che 'npazzoe : E tace, nè dal sonno s'è svegliato,
Cosi postu impazzare pria che iscorsa Cosi ne fu portato a la marina
Più giorni sia, e tu, e lui diventi Di peso come un cerro, e messo in nave ,
Come giá Cadmo e la moglie serpenti. E serrato de piedi in dire un'Ave.
ccexxu CCCXXIX
O sia la fine tua qual di Semele, Pur nondimanco non gli parea giuoco
Odi Medusa, sendomi si cruda, E seco si dolea de la fortuna
O scellerata, a me tanto crudele, Che lo balestra d'uno in altro luoco
O falsa, o traditrice più che Giuda Più rigida di lui che d'alma alcuna ;
E avevi il tosco in mano, e in bocca ilmele ; Così di giorno in giorno a poco a poco
Aprisi il centro, e dentro a se ti chiuda, A l'acqua, al vento, al sole, ed a la luna
O sia la fine tua per mio ristoro Dimesticossi sopra a la marina
Qual fu di Tisbe a la fonte del moro. Lasciamlo andar; torniamo a Brunaspina.
COCXXIV CCCXXXI
CCCXXXII CCCXXXIX
Quando scendeva inverso la marina, Non vedi tu, o cieco Amore ingrato,
Quando saliva in su verso la tomba, Che per non ribellarmi da tua gregge,
Poi per lemenza la dava a la china ; La fede, e'l padre, e 'l mio regnoho lasciato
Or qua, or là, e talvolta rimbomba El'alma soggiogata a nuova legge,
Eco, ed ignorando la meschina Nè spero più del mio pristino stato ;
Va drieto a quello, e poi ritorna a bomba, Or conosch'io in me quel che si legge
E ricercando ogni cespuglio intorno Che tu se'un dolore intollerabile,
Ando piangendo insino a mezzo il giorno. Nè mai in tua promesse suto stabile.
CCCXXLV CCCXLIH
Può egli esser che tu non ti ricordi Chi fu cagion che la regina Dido
Del beneficio, e che tu m'abbandoni ? Cosi miseramente a morte vada ?
Può egli esser che'l cuor non ti rimordi, Chi fu cagion del doloroso strido
E che tal fallo mai ti si perdoni ? Di Tisbe quando fu sopra a la spada ?
Pad egli esser, però che tu t'accordi Chi fu cagion ch' Oloferne nel nido
Atanta offesa, e qual fanno i ladroni Da Giuditta fu morto stando a bada?
Mi lasci e te ne porti le mie spoglie ? Chi è suta cagion di tanti e lante
Cosi chi serve a l' ingrato gl' incoglie. Se non tu ch'a l'inferno sono istante ?
17
CIRIFFO CALVANEO 260
259
CCCXLVI CCCLHI
Eper non far cotal vendetta occulta Nė senza il suo voler una sol fronde
Iscrisse col coltello sua epigramma Si voglie, nè da l'albero non cade:
A lato al fonte in una pietra isculta Or se Ciriffo è stato sopra a l'onde
Ingreco, e come Amor la'ncende e infiamma, Più tempo in fra cottanta ansietade,
Perché, e quello che 'nfin ne resulta E Sinefido altresi si confonde
Al miser corpo, e l'alma in maggior fiamma Di dolor sendo, in tal calamitade,
Errando se ne fugge in Malebolge E qualunque molestia egli hanno avuto,
Come dal corpo suo indi si svolge. E stato sue dal cielo antiveduto
CELIL CCOLIX
El'anno, e il mese,e il giorno e l'ora appunto Per trasferirgli a maggior pregio e fama,
Distingue, quando di vita si priva E per salvar la fede e il proprio regno,
E fatto ch'ebbe ne la pietra il sunto E combatter per altro che per dama,
Si rivolse piangendo inver la riva, Che'l cielo ha mostro lor d'averlo a sdegno;
Dicendo : Sinefido ecco egli è gianto E a Parigi la istoria gli chiama,
Il punto che Amor vol ch'io più non viva; Perché s'è fatto in Tunisi disegno
Lieta e contenta sarei morta teco, Di torre al re Luigi la corona.
E senza te a disperar m' arreco. E sommerger la stirpe di Narbona.
261 CIRIFFO 262
CALVANEO
CCCLX CCCLXVII
Perché di lor ne la cristianitade Ma non potette, benchè ognun s' aina
Non era indizio più, nè alcun sentore Parea la nave di Biscia un falcone
Di vita o morte, nè in quali contrade Quando si cala giù d'una collina
Nessun si fusse, previde il Signore Drieto a la starna, o altra uccellagione.
Di separargli con avversitade, Cosi adunque volando cammina
Ed in parte punire il loro errore E tra prova, e mezz'albero gli pone,
Del tempo perso, si come si vede, E con gli spron fin dentro al corpo passa
Senza alcun frutto per la santa fede. E tutta la posticcia gli fraccassa.
CCCLXI CCCLXVIII
Nè altro modo facil quanto questo Come ha investito sopra, i ganci getta
Era per trargli di que' regni strani, Sparando molte bocche di bombarde,
Per riducergli insieme salvi e presto E cosi l'una a l'altra con gran fretta
Sendo in paesi pur molto lontani ; Chi scarica balestre, e chi spingarde,
Ed anco par che'l tempo sia onesto E dardi che ciascun parea saella
Che Sinefido i suoi figli sovrani Con fuoco lavorato, che sempre arde,
Ritruovi, e la sua sposa Aleandrina, Con la balestra traean passatoi
Che rimase con essi a Costantina. Con zolfi lavorati ch'ardean poi.
CCCLXII CCCLXIX
La nave ove è Ciriffo a cinque remi Anco Caviglia non pareva muto
Era, da far per tutto a calci e a morsi, Ma per la nave va quale un serpente
D'uomin copiosa, che ne'casi estremi Soffiando, e dando ove bisogna aiuto,
Parean proprio leoni, draghi ed orsi. Orqua or là confortando sua gente,
Dove era Sinefido, ignun che temi E combattendo il Povero Avveduto
Non v'era, e per fortuna son trascorsi In sul castel di poppa destramente
In alto mare, ed eran sotto vento Monto, e dardi, pali, foochi, e sassi
Che ritrar non si ponno a salvamento. Traeva agli adversarii suo' più bassi.
CCCLXIV CCCLXXI
E di tre remi questa nave è detta, Per modo tal che mezza, o più la banda
E'l padron d'essa si dice Caviglia, Da quella parte abbandonata fue.
Che fu signor di certe castelletta Ciriffo perché il suo valor si spanda
Tra i confin di Granata e di Castiglia. Sendo le navi intrigate amendue
Il padron di Ciriffo, e di sua setta Un lacio prese, e quasi aranda aranda
Era uom bestiale, e crudo a maraviglia Saltoe che presso che non andò giue;
Per soprannome chiamato la Biscia, Pur destramente ad un cavo s' attenne
Che col suo legno tutti i mari istriscia. E così ne la nave avversa venne.
CCCLXV CCCLXXII
Eda presumer è che sia accanito Biscia gridava : Ahi brutta canaglia,
Per quella nave che innanzi gli fogge, Date soccorso al franco marinaio .
Si che in un tratto ebbe preso partito Cosi dicendo, un altro se ne scaglia
Di dare addosso a quella, e se ne stugge, Dricto a Ciriffo, e dopo a quello un paio.
Ed a la volta sua presto fu ito Così l'un dopo l'altro si travaglia,
Col vento in poppa, e come va ne rugge; E'l decimo non fu anco il sezzaio,
La nave di Caviglia pur de l'orza E mentre che ne saltan tuttavia,
Per rimontare a vento facea forza. Cariffo combatteva la corsia.
263 CIRIFFO CALVANEO 264
CCCLXXIV CCCLXXXI
Parte de' suo' combattevan la prua, Chi scaglia riondelle, e chi barili,
Parte facevan la banda sgombrare, Chi banchi, o balestriere, o remi, o scarmi
Perchè possa montar la gente sua Per non parer nè codardi , nè vili,
De l'altra nave, e quella superare. Non avendo difesa con altr'armi,
La crudel guerra che fanno amendua Biscia ch'era uso a scaligiar navili ,
Le nave insieme, non si può narrare: Era disceso in questa nave, e parmi
Giriffo era tutto unto, arsiccio e tinto, Che sia ito con più sotto coperta
Che si brutto non è il diavol dipinto. Per mandarne il bottino intanto a l'erta.
CCCLXXV CCCLXXXII
E s'avea messa una rubalda in testa Sinefido ch' avea l'occhio al pennello,
E'ndosso una panziera rugginosa, Veduto che 'l padron de l'altra nave
Che se non fusse suta quella e questa, N'era disceso, saltoe del castello
Mancava il giorno sua virtù famosa; Sopra di quella, come uccel soave :
E pure ancor la battaglia non resta, Seco dicendo : O Biscia meschinello
Benchè da prua è perduto ogni cosa: ' credo che'l tornar ti sarà grave
I
Caviglia per corsia più coffanetti Se tu non voli; ed anco tu volassi
Di triboli di ferro par che getti. Non credo il legno più padroneggiassi.
CCCLXXVI CCCLXXXΗΙ
Or chi vedesse in cosi breve spazio Ciriffo appunto per la sua ventura
Tra morti e vivi tanta moltitud ne, In cima del castello era salito
Si farà maraviglia, e che a lo strazio Sopra la poppa, e visto la sciagura
Fussin come eran con improntitudine. Chiamo Gesù, e prese per partito
Ciriffo innanzi a tutti, Cocle Orazio Saltar dove la stanza è più sicura,
Parea sul ponte per similitudine ; E ritornò nel legno onde era uscito.
Con quella accetta in man ch'io dissi dianzi Adunque Biscia mi par che li lasei
A poco a poco si faceva innanzi. E rimansi sott'acqua a fare i fasci .
GCCLXXIX CCCLXXXVI
Era in sull'ora quasi del mangiare. Lasciam costor a' pesci in la marina,
Quando si furno a la zuffa ridotti, E nel legno torniam che fu di Biscia
E combattendo appresso al focolare A Sinefido, che un remo sciorina
Quivi eran varnicati, e calderotti, Tra quella ciurma, e in modo gli scudiscia,
E padellin come s'usano in mare, Ch'è baon per chi può trovar la sentina,
Dove si bolle e cuocono i lor cotti : E per paura v'è chi si scompiscia,
Cosi bollendo la ciurma gli scagliano E combattendo Sinefido intese
Contra a nimici, e tutti gli sbaragliano. Ciriffo, e vide il gran salto che prese,
266
265 CIRIFFO CALVANEO
CCCLXXXVIII CCCXCV
E cosi l'uno e l'altro in uno stante In terra, perchè il porto era più presso
Rattiene il colpo suo ch'era tra via, Là dove avean le navi combattuto,
Ciriffo disse: Buscaino aitante Che nessun altro , e dirizzati ad esso
E Sinefido marinaio dicia, Ciriffo mentre e'l Povero Avveduto,
Deh, dimmi, se t'aiuti Trevigante, Ciascun per dismontare in punto è messo
Di che provincia, o qual genalogia In modo che nessun riconosciuto
Ta se', e nel parlar riconosciuto Esser non crede, e come galeotti
Ebbe Ciriffo il Povero Avveduto. Iscalzi, e pochi panni tristi e rotti.
cccxc cccxcvII
Mal, disse Sinefido, ed anco peggio Par nondimen ciascun volea più tosto
Per esser fu, che presso io non rimasi Andar per boschi de l'erbe pascendo,
In quella morto, ma poi ch' io ti veggio Ch'essere a la fortuna sottoposto
Qui salvo, non mi duol gli avversi casi Del mare, ed ogni imbandigione avendo,
Occorsi; e lu come per tal pileggio Lasciamgli un poco andar, ch'io son disposto
Se' arrivato : dimmelo che quasi Tornare ad Aleandrina, che sentendo
La mente mía come d'un sogno dubita Che in Tunisi gran gente s' assembrava
Incerta de la cosa cosi subita. A' figli suo'in tal forma parlava,
CCCXCIN CD
Disse Ciriffo : I'mi trovai dormendo Un giorno sendo dopo pranzo a mensa
In mare, e so ch'i' m'ero addormentato E ragionando d'una magna giostra
A la fonte del bosco: io non intendo Che in Tunisi bandita è per l'offensa,
Questo fatto in che modo e'si sia andato. La quale Esdran di fare in Francia mostra,
La cosa è qui, a Dio grazie ne rendo, Aleandrina i figli guarda, e pensa ;
Poiché son franco e te ho ritrovato, Poi con un gran sospir disse: La vostra
Che sua benignità ogn' or ci mostra ; Età mi pare omai nel fior del verde,
Or procacciam che la nave sia nostra. Ed ignorando il suo valor, si perde.
CCCXCIV CDI
E cosi detto a la ciurma voltati Per non torre a nessun la sua ventura,
Per dare a tutti l'ultima vivanda, Qual credo fia ne l'armigere squadre,
E quegli in uno stante inginocchiati Vo' palesar la vostra e mia sciagura,
Si forno, e ciaschedun si raccomanda, E come qui condotta è vostra madre
E tutti per ischiavi si son dati. Di strana parte, in vila atroce e oscura,
Ciriffo e Sinefido allor comanda Come volse fortuna e il vostro padre.
Che al più prossiman porto gli ponessino, Che mi lascine e come, e in qual contrada
Epoi il legno libero s'avessino. Recitò tutto, e palesoe la spada.
268
267 CIRIFFO CALVANEO
CDIE CDIX
Dipoi soggiunse alfin de la novella E visto pur che non la può colpire,
Tenendo ancor la bella spada in mano, Lasció la spada, e ritto in piè l'aspetta ;
Che non montava il più franco uom in sella Guarda uom feroce se dimostra ardire
Del padre loro, e come era cristiano. O se degenerato è da sua selta.
Sidilagi crudel, veduta quella Ecco la leonessa a lui venire
Gliela rapiva con un volto strano : Sidilagi l'abbraccia e tienla strella
Inteso dir che di cristiana gesta Sul petto, ed ella lui simile afferra,
Era disceso, le vol far la festa. E così cadon abbracciati in terra.
CDITI CDX
E Sidilagi per seguirla isferra Credendo certo che 'l fiero animale
Il brando: ma si presto Siliametto Facessedi Drusilla la vendetta,
Fu a pigliarlo, ed in tal modo l' afferra Ed ella non l'avea pianto per male,
In su le braccia, che a suo dispetto Veduta la sua mente si scorretta.
Lo tenne un pezzo, e poi caddero in terra; Or ritorniamo a Sidilagi, il quale
Ma tanto iscosse quel can maladetto Ebbe la leonessa in modo stretta
Che de le man de Siliametto isguizza Che ella scoppiò, qual per Ercole Anteo,
Col brando in mano, e subito si rizza, Ed era morta, e non se n'accorgeo.
CDV CDX'1
CDXVI CDXXIII
Veduto come il drago aveva cinto Venne per caso apponto ch' ad un'otta
Con la coda avvinchiate ambo le coscie, Meno ciascuno al drago col bastone,
Ed'una branca il petto gli ave' strinto, Ma si presto rimorsi fussi allotta
E con bocca gli dava grande angoscie Ch' ognuno ebbe la sua, perchè il leone
In modo tal, che quasi appresso vinto Rimorse il drago mentre che la botta
Era il leon, per questo ognun conosce ; Cadeva per offendere il dragone
Par nondimen co'denti, e co'li artigli Si che il leon sul capo una di quelle
Par che lo sbrani dovunque lo pigli. Ebbe, che un palmo gli stracció la pelle.
CDXIX CDXXVI
Deh non voler fortuna esprimentare Tra scaglia e scaglia quella verga aguzza
Senza necessità, ch'io non conosco Che quale strale, o folgore percosse,
Qui da potere alcun premio acquistare : E'l drago per la doglia si rinerozza
Lascia le fere iscarmire nel bosco, Il collo in seno, ed a volo si mosse,
E'ti debbon le carni pizzicare E si gran vampo per la bocca spuzza
E vol che con gli artigli, e poi col tosco Che fe' conlo splendor le piante rosse
Il leon te le grati, e il drago l'ugna; E parve che piovesse in quella forra
Stiamo a veder chi vincerà la pugna, Il fuoco, quale a Sodoma e Gomorra.
CDXXII CDXXIX
Non sa' tu che si dice, le due parte Visto Ciriffo come il drago in aria
Del ginoco a chi d'intorno sta vedere, Levato fu, impallidi la guancia
E le più volte chi la zuffa parte Temendo la vittoria esser contraria,
Resta percosso, e par che sia dovere: E trassegli il baston sotto la pancia
Se fussen pure in pubblicana parte Dove la scaglia è manco avversaria,
Sarei consenziente al tuo volere E quel ne si ficcoe quale una lancia,
Per acquistare onor, ma qui da Ecco E sopra l'omer destro passa e fora,
Acquisteremo nel calcagno un stecco. Si che fu forza caddessi pur allora.
271 CIRIFFO CALVANEO 272
CDXXX CDXXXVII
E sparse tanto fetido il suo tosco La testa, el collo, e 'l busto con la coda,
Che l'erbe, e piante, e pome dure e tenere Sedici passi il misurorno lungo,
Arsicce, e nere si feron nel bosco, Nel petto di largezza par ch'io oda
E fiori , e fronde si converte in cenere, Trebraccia e mezzo: i' non levo od aggiungo;
El'aere tinto, nebuloso e fosco E del suo sangue si fe' tanta broda
Divenne insino a la stella di Venere, Che vi dovette naseer più d'un fungo,
E per la selva cadon molti uccegli E quelle branche sanguinose e sotze
Morti pel tosco di su gli arbuscegli. Se ne portaron che parevan mozze.
CDXXXI CDXXXVH1
Però che lo investi ne la collottola, Fra gli altri vari lor ragionamenti
In modo tal che'l baston non isdrucciola, Il Povero diceva a Galvaneo:
Anzi 'n un tratto morto ivi cimbottola, Vedi quanto mancoe d'essere spenti
Tanto fu soda ed aspra quella succiola; Di vita per quel caso tanto reo,
Ma Sinefido già come una trottola Per tua cagion, ma simili accidenti
S'aggira pel fetore, o qual fa cucciola, Son da faggir, se bene un semideo
Nel sito, ove la lepre è suta a pascere, Fusse qualunque, acció s'avessi abbattere,
E credo che e' credesse ire a rinascere. E non si por con le bestie a combattere.
CDXXXIII CDXL
Perché naturalmente l'acqua fresca Che chi cerca le brighe del compagno,
Fa risentire i sensi in un baleno, Ebene inerto se per se ne truova :
Cosi in un punto par ch'a ambo due esca Dove perder si può senza guadagno,
Del capo il sonno, il fetido veneno ; Matto è colui ch'a l'impresa si muova:
Benchè ogni nocome par che se n'esca Esser bisogna idonio, anzi mascagno,
Onde si fia per l'aere sereno ; E tutto il giorno se ne vede pruova;
Ed è il sole, e'l seren quel che purifica In quel che non ti attiene e non ti tocca
Più ch'altra cosa, ed il tosco mortifica. Non ne mover mai passo, nè aprir bocca,
CDXXXV CDXLII
Dunque per l'acqua Calvaneo e 'l Povero Eccol to n'hai veduto esperienza
Si furono in un tratto risentiti, Quel che s'acquista de le liti altrui,
L' un sotto un ſaggio, l'altro a piè d'un rovero E certamente l'è poca prudenza
Dove la sera rimason sbasiti, Usar senza cagion dar noia altrui,
Non avendo altro refugio o ricovero, Or questa sia la chiosa e la sentenza,
E sani e lieti , gagliardi ed arditi Chi piglia parte, toe la briga altrui ,
In piè levarsi, ringraziando Iddio E nimicizia acquista, ed è incontrato
Del caso occorso, lui chiamando pio. A noi, come a chi spicca lo 'mpiccato.
CDXXXVI CDXLIII
CDXLIV CDLI
E volto l'occhio un tratto ebbe veduto Ciriffo per quel urlo risentissi
Da la longa venir duo compagnoni, E iu piè levossi, e riprese il bastone
Ch'era Ciriffo e il Povero Avveduto, Mentrechè Sidilagi indi partissi ,
Si come è detto con que' gran bastoni. E vul valersi de l' offensione.
Questo malvagio al male antivedato, Non volse Sinefido egli il seguissi
Appiè del masso si gitto carponi Avendo pur di lui dubitazione,
Da l'altra banda, perché non temessino E disse non tentar mai la fortuna
Di lui, chè altro sentier non prendessino. In cosa che non sia di gloria alcuna.
CDXLV CDLI
Cosi di piatto sta per assaltargli, Lascial andar, che poco util sarebbe
Nè niente teme d'esti doo briganti, A noi sua morte, e s'ta vi rimanessi,
Tanto si fida clie la spada tagli, Volgarmente di te poi si direbbe,
Che non are' temuto di duo tanti, Abbisi il danno, e molto ben ti stessi,
Anzi si crede certo da fettagli, Nè altro che viltà la tua parrebbe
E poi far la ricerca de' bisanti, Fuggendo lai e drieto gli corressi,
Dicendo: Questi mascalzon ribaldi Sì che per nessun modo in questo panno
Più che di panni son di dobre caldi. Non ci conosco taglio senza danno.
CDXLVI CDLIII
Ciriffo ch'ha veduto il sasso quadro Seguitiam pure avanti nostra via
Per posarsi su quel ne vien più ratto Che mill anni mi par d'uscir de' boschi:
Che Sinefido: ma l'assassin ladro Queste vivande per la fede mia
Che'l vede, aspetta come il sorcio il gatto Omai mi par che ciascuna m' attoschi;
Per metter l'uno e l'altro po'a soquadro: Questo sentier dee pare, ove che sia,
Ecco Ciriffo giunto, e lui diffatto Guidarci in altri agier non cosi foschi;
Salto in su'l masso, e trassegli nel petto E cosi sendo appresso a Gostantina
Un calcio, che 'l mandò in terra di netto. Furno arrivati a casa di Aleandrina.
CDXLVII CDLIV
18
275 CIRIFFO CALVANEO 276
CDLVIII CDLXV
Di che paese sono, e come presi Adunque venne ben fatto a costei
Eran suti, e in che modo da corsali Di cangiar nome, e finger la risposta
E dove, e quando, e come poi difesi Per la salute e di loro e di lei ,
S'eran da quegli iniqui e micidiali, Nè può tener le lagrime a sua posta
E così sendo nel parlar distesi Per tenerezza, e diceva : I'vorrei
Con Siliametto l'uno e l'altro eguali Pregandovi, che voi facessi sosta
Contavan le fortune e le vittorie Qui col mio figlio, e meco alquanti giorni
Ch' aveano avute, e narravan ie storie. Per tema che quell'altro non ritorni.
CDLX CDLXVII
Ultimamente del leon, e il drago Per tormi (come volse oggi) la vita
Ch'avevan morti, e le branche mostravano, Quando la tolse a quella mia matrona,
E Siliametto innamorato e vago Ma s'io non fosse in quel punto fuggita
Era d'udir le cose che narravano. Col brando ricedeva mia persona.
Sinefido per dargli intero il pago Cosi al dimorar costoro incita;
Diceva come un giovane trovavano Pur lagrimando mentre che ragiona,
Lui d'appresso, e in che modo assaltogli E Siliametto, Calvaneo, e il padre
E de la mischia, e poi come lasciogli. Ne priega per pietà de la sua madre.
CDLXI CDLXVIII
E come s' avia preso per partito E ripetendo le pene, e gli affanni,
Avendo a più d'una cosa respetto, Che per amor di lei avea sofferti
Non voler palesarsi al suo marito, Per ritrovarla , circa a diciotto anni
Per non smentir quel che prima avea detto, Si può dire abitato è pe' deserti,
Che gli era un uom sopra gli altri gradito Ed ora il vede al declinar degli anni,
E mostrandol si vile a Siliametto E l'uno e l'altro miseri ed incerti
Non le parea che vi fosse il suo onore, Di ritrovarla, anzi fuor di speranza ,
E tienlo occulto, e spera in suo valore. Nè di vedere più Parigi o Franza.
CDLXIV CDLXXI
Ed ella per non esser conosciuta Epel dolce martir che la molesta
Quando gionse a Drusilla si meschina, Non può mangiare, e da mensa levossi,
Non disse il proprio nome, anzi se'l muta E preparoe per lor la zambra, e in questa
E fecesi chiamare Leopantina , Un degno bagno in che ciascun lavossi,
Si che fu buon, perchè in questa venuta E con una amorevolezza onesta
Non vi si mentovasse Aleandrina, Che d'onorarli a ognun modo non puossi
Ch'egli era forza rinnegare il tutto, Saziare, e simigliante Siliametto :
E facil cosa ognun fusse distrutto, Ultimamente se n'andorno a letto.
277 CIRIFFO CALVANEO 278
CDLXXH CDLXXIX
Or se costei con molta affezione De la quale il gran popol, per ingiuria
In tale estremo amassi il suo marito, Ricevuta dal rege suo innante
Io nol distinguo, ma per discrezione Circa a sei mesi, l'avea morto a furia,
Il savio dia il giudicio espedito; Per le sue tirannie che tante e tante
E le prepara ogni recreazione N'aveva fatte, e per la sua lussuria,
Utile al corpo, che restituito In ciò sfrenato assai più che Vergante,
In esso sia il vigore che già fue, E non sendo di lui resta' persona
E similmente fu per amendue. Succedente a lo scettro e la corona,
CDLXXIII CDLXXX
Ma la ventura corre dietro a' tristi, Equel per soddisfare al suo precetto
E per fuggir i buon par ch'abbi l'ale; Era venuto al luoco, al punto, e l'ora
Costui sendo disposto, come udisti, Occultamente, benchè alcun sospetto
Deliberato al tutto di far male, Non ha, perchè di lui ciascun ignora
Parmi che a torto tanto bene acquisti "In quella ragione: e come è detto,
Si brevemente, nè mai cosa eguale Venuto il giorno, senza far dimora
Non credo fusse poi che la natura Preparato costui per coronarsi
Ebbe creato al mondo creatura. Sen giva al luoco ove dovea mostrarsi.
CDLXXVIII CDLXXXV
Conciossia cosa che uno assassino Parato a punto come prima dissi
In uno stante coronato sia In capo, e indosso, e l'una e l' altra mano:
Qual fu costui, o per fatto, o destino, Cosi andando par che si scoprissi
O che fortuna per sorte gli dia, A Sidilagi di poco lontano.
Qualunque fosse; e prese buon cammino Che il vide andar facendo pissi pissi ;
Avendo preso del monte la via, Sidilagi vêr lui con volto strano
Perchè di là da piè de la montagna Fermossi, avendo per affanno l'asima
Arba v'era città famosa e magna. Dicendo: Pare questa la fantasima.
CIRIFFO CALVANEO 280
279
CDLXXXVI CDXCM
E'l vo' veder, ma certo che non fia, A questa volta, e il gufo fia pur egli
Però ch'ella non suol portare spada : Che rimarrà nel vischio spennacchiato :
Se la sua taglierà me' che la mia Avendo dileggiati molti uccegli
Me n'avvedrò , e senza stare abbada Meritamente loi resta uccellato .
Con quattro salti attraverso la via Chi si diletta di fraude e travegli
Pel bosco come un cervio, e'n su la strada Non si dee lamentar sendo gabbato :
Innanti a quel fermossi, e prese a dire: Il sacerdote fuor de la moschea
O Baccallare dove credi tu ire ? Non dovea travagliar sua mente rea.
CDLXXXVII CDXCIV
Vedrai ch'io mi sarò forse levato La qual cosa pareva suo interesso,
In migliore ascendente del pianeto, Perchè più grato sia da lor tenuto;
Che non ti sara' to, per quel ch'è stato Ma quando fu a Sidilagi presso,
Insino ad ora: e cosi molto lieto Attonito parea, balordo e muto.
Fussi qual era colui addobbato, Certificato che non era desso
Col brando a mano, e il libro del secreto A pena disse: Tu sia il ben venuto,
Di Macometto, anco del sacerdote Ned altra esortazion potette scorgere,
Quale uccielato arà pel bellegote Ma la corona in testa a pena porgere,
281 CIRIFFO CALVANEO 282
D DVIL
Gli potè pel dolore, e pel sospetto Nel qual si conteneva questo effetto:
Del suo nipote, ed anco pel trattato Che del reame assai prenci, e signori
De la corona, e del libro predetto Sian decolfati, che vuol Macometto;
Per quel che v'era per lui deputato; Cosi de la città molti maggiori ,
Ma Sidilagi ancor non l' avea letto, De' quali il sacerdote avea sospetto
Pur nondimeno essendo coronato, Che non si generasse ne' lor cuori
11 popol tatto lietamente il vede, Odio, nè invidia, e facessino un tratto
E beato chi può basciargli il piede. Al nuovo re come al vecchio avean fatto.
DI DVIHI
Cosi con tutto quanto il popolazzo Ella aveva duo emoli nel cuore, 1
Con istromenti e gran solennitade, Che l'uno e l'altro repognava assai
E canti, e giuochi, e piacere, e solazzo Dal si al no del suo sposo e signore:
11 re novello entrò ne la cittade, Se parte, in dubbio è rivederlo mai,
1
E dismontato al magno e bel palazzo, E se non parte, tème del suo onore,
Ne la sedia real sua maestade E sospirando dicia: Che farai ?"
Po collocata, e ne la sua presenza Sarai tu si crudel che non ti mostri
Giuraron tutti i grandi obbedienza. Col frutto al tuo signor de' corpi nostri.
DVI DXIM
Dopo alquanti giorni per la terra Ma per cagion che gran ragionamento
Si fece balli e molte armeggerie. Era suto tra lor di Barbaria,
Se l'autore che scrive in ciò non erra Come già dissi , del torniamento,
L'ottavo giorno Sidilagi aprie Ch'era bandito in tutta pagania,
Il libro di Macone, e presto il serra Pel qual Giriffo e Sinefido attento
Si come del tenor suo si chiarie, Istavau per partirsi tuttavia;
Per osservar i suo' comandamenti Ed ella per gran zelo del suo fiolo
Ovver del sacerdote i tradimenti. E del marito consentiva al doulo
283 CIRIFFO CALVANEO 284
DXIV DXXI
Del partir Sinefido, e Calvaneo, La festa è questa. Quando par che sia
Perchè accogliessi a Tunisi la rosa, Il tempo a lor proposito, si muovono
Stimando certo che quivi uno Deo Con esercito grande, e in Barbaria
Si facci sua persona valorosa , Vanno scorrendo, e predan ciò che trovono,
Sapendo quanto ne l'arme poteo, E non ti dico se quella ginia
S'era disposta a speranza dubbiosa Come nugol di storni al gancio piovono :
Vivere ancor, come quella che brama Sino a le porte di Tunisi vanno
Lasciar di sè posmorte in terra fama, Mettendo que' paesi a saccomanno.
DXV DXXII
Per la constanzia sua, come si vede Si ch'al tornare indrieto con la preda
Avendo usato tanta continenza , Ne venian tutti carchi come micci,
Ed osservala casta e pura fede E le loro armi vo' che ciascun creda
Per preterito, ed or con tal prudenza Ch'altro non eran che bastoni arsicci,
Non ha voluto aver di sè mercede; Nocchiuti e gravi , e in sul bernocchio v'era
Pel gran disio d'onore, a la partenza Certi sponton di ferro, che 'l bisticci
Cedette d'esti duo franchi guerrieri, Non arebbe guasta quella cionta,
Provvisti a quanto fa loro mestieri. Nè col suo incanto iscorazza da Ronta .
DXVI DXXII
Con le impromesse che que' due li fanno Or non ti dico se'l popol galluzza,
Di ritornare, o di mandar per lui, Però che a Sidilagi gli solletica
E l'uno e l'altro la fede gli danno. Dove pizzica loro ed egli auzza
Sinefido dicea : Credi a costui L'ingegno a compiacer la gente eretica,
Come a buon padre, e non temer d'inganno E se ignun luoco il tempo si rabruzza
Ch'i'non sarò ingrato, e mai non fui, Verso di lui, male per chi farnetica,
E se per grazia il ciel nel torniamento Che basta solo un cenno de la bocca
Ci dà vittoria, tu sarai contento. A quella plebe, poi zara a chi tocca.
DXVIII DXXV
DXXVIII DXXXV
Scorrendo piani, e valli, e monti, e colli E'l qual tu ami, e non hai conosciuto,
Ad ogni cosa menando il rastrello Ma tor non puossi quel che da natura,
Massime del bestiame insino a polli, E ben che sia in esterminio venuto
Ch'ognun facessí a suo poter fardello, Esalterallo adesso la ventura :
Epieno il sacco, il corpo si satolli Sappi ch'egli è quel che tu hai tenuto
Finchè trabocchi disopra al cervello, Teco, che sperto t'ha ne l'armadura,
Si ch'a ignun modo non si perda i passi, E la sera ch' io tanto lagrimai
E che l'antica usanza s'osservassi. A mensa, fu perch' io lo affigurai.
DXXIX DXXXVI
De gli Arbi, (che ne Zinchani nė Ussi Perch'io so che nessun non corre lancia
Non sono al camufar si pronti e destri) Eguale a Sinefido in tutto il mondo,
To' qual ta vuoi, che si può dir malfussi Ma la fortuna ci ha su la bilancia
Giovene, o veglio, a cavallo o pedestri. E manda quale al ciel, quale in profondo.
Re Sidilagi pareva il breussi Se per ventura mai ritorna in Francia,
Tra quegli uomini rigidi ed alpestri, Figliuol, to ti potrai chiamar giocondo,
E vanno verso Tunisi cantando, E s'egli acquista pregio in Barbaria
Come putte ebbre tutti gagagliando. Ti darà qualche regno in pagania.
DXXXI DXXXVIII
Sonando molti e variati stromenti In premio del servigio recevuto
Busne, cornetti, isveglie e pifferoni, Da te d'averlo rimesso in arnese,
E l'un per l'altro non par che si senti Perchè il cuor generoso è sempre suto
E certi tamburacci e naccheroni, Magnialmo, grato, al munerar cortese;
Qual propri Farisei sopra correnti Il proprio nome è il Povero Avveduto
A tutta briglia battendo gli sproni E di nobile stirpe Nerbonese,
Quando d'intorno al numero s' aggirano : E Calvaneo ha nome il suo fratello
Cosi costor verso Tunisi tirano.
Che già il trovai in sul monte Carmello .
DXXXH DXXXIX
Or lasciam questo popolo scorretto Ma nota, e gusta ben quel ch'io favello,
Andar, perchè mi torna a la memoria Se voi ch'io benedica tua persona,
Ch'io ho lasciato a casa Siliametto Non ti palesar mai per figlio a quello,
Piangendo, come detto è ne la storia Se prima non ti fa re di corona ;
Con tanto affanno, e dolor nel suo petto Che se tu seguirai il suo drappello
Che morte brama per suprema gloria, Breve sarà quel che teco ragiona
Tale che Leopantina per temenza La madre tua, e quando questo sia
De la sua vita gli dette licenza. Ricordatidi me dove tu sia.
DXXXIII DXL
DELII DXLIX
Nel suo secreto, ed anne gran temenza E così dato buon provvedimento
Veduto il grande stuol che si raccozza Fu al bisogno, e già molti ammiranti
Ivi con lui, e di buon per la pace Erano in punto armigeri e gagliardi,
Gli dà per non voler sua contumace. E vedeansi spiegar molti stendardi.
DXLIV DLI
Edisse: Non avere, Esdran, a sdegno Eran già pieni i balconi, e teatri
Che tua grata proferta non negletto, Di damigelle con molte adornezze,
Ma il tuo cuor generoso accetto e degno, Chi per veder fratel, chi zii, chi patri
E sol del tuo parlar resto soggetto, Mostrare in campo il giorno lor prodezze,
Edovunque i' mi sia fuor del mio regno Venute di lontan con le lor matri
Non voglio in terra morata ricetto E Turche, More, Indiane e Ghezze,
La notte tanto, non dico del giorno, E Tartare ch' avevan que' visacci
Ma poi la sera a la campagna torno. Iscofacciati, larghi e pallidacci .
DXLVI DLIII
Fingeva Esdran che questo sia il suo cucco Mai non si vide il più pazzo inescaglio,
Ed offera di dargli ciò che vuole, Dico di donne di varie stature,
Pur che di cortesie l'abhi ristucco, E spesso insieme facevon garbuglio
E la porta gli die, benché gli doole. De le lor varie e strane acconciature,
Poi tornò dentro a Burello, e Malducco, Che parevan d'armenti un guazzabuglio
E disse lor, che più che non si suole Considerando tutte lor figure,
Conviensi avere in Tunisi respetto Che non arebbe mai ritratte Apelle,
Di buona guardia, e la cagione ha detto. Nè Zeusi le varietà di quelle.
DXLVII DLIV
DLVI DLXIII
Sarien qui bisognati gli occhi d' Argo Che magna cosa pareva a vedere
E l'orecchie di Mida non bastavano, L'un dopo l'altro tredici stendardi,
E però breve le sustanze spargo Ciascun con la corona appiè il cimiere
De' giostranti ch' a furia in campo entravano, De l'elmo di ciascun giovan gagliardi,
Che non si udiva se non largo, largo: Edopo a tutti su'n un bel destriere
Ma poi gli sealchi in campo gli assettavano, Esdran lor padre; e dee stimar che guardi
E Artibar ch'era re di Numidia Congran diletto sua bella famiglia;
Pareva che ciascun gli avesse invidia, Anco da lor non torceva le ciglia.
DLXI DLXVIII
Per la sua armadura, e il destrier vago Avea ciascun di lor vario ornamento
Ch' aveva sotto, rubesto e giulivo, Con cinquanta be' gioveni dintorno
Inuno scoglio natural di drago, Tutti pedestri, e nel torniamento,
Tal che pareva andando proprio vivo Come era deputato, quegli entrorno;
Quel di sanGiorgio, quando uscia del lago, Nè altra gente vi passava drento
E più feroce ancor ch'io non vi scrivo : Che gli staffieri, e chi giostrava il giorno,
Un cornoha in fronte e la coda arronciglia, E qual con grida, e con tanti stromenti,
Né si vedeva a quel redine o briglia. Che Marte certo il di credo spaventi
DUXI DLXIX
Era nel campo Tremeo di Persopia Per gli stromenti, e le grida che furno
Minore, e Brattamor re d' Argentina, In su la giunta per magnificenza,
Arballo re di Tripoli, e gran copia Tal ch' i' credo che Giove, anche Saturno,
Di regi pur de la legge Apollina , Temessindi ricever violenza.
Di Persia, d' Asia, d' India e d' Etiopia, Ettore, e Giosuè, Artu e Turno
E de la Tana, e di Bellamarina, Credo ne spaventassino in assenzia
E il gran Soldan del Cairo maggiore, Pel gran tumulto; e poi fatta la mostra
L' Ammiraglio, e l' Arcaito Monsore. Entrati in campo cominciar la giostra.
19
291 CIRIFFO CALVANEO 292
DLXX DLXXVII
Ma il diavol gli scampo, che non v'andorno Ned altrimenti una gran foce in mare
Perchè nessun di staffa piede scappa : D'un grosso fiume l'acqua salsa fende,
Da l'altra banda insieme s' affrontorno Qual fece Sidilagi ne l'entrare
L'almansor di Soria e Malagappa ; Fra la gran turba ch'a la giostra attende.
Galappio, e il gran Soldan si ritrovorno Burel crede di lui simile fare
Con si gran colpi che quasi la zappa Che di quegli altri : in ver lui si distende
Fo di bisogno, in modo un pezzo stettono Col possente destrier, quale un falcone
Per morti in terra, e molti se'l credettono. Volando pare, e quell'altro un rondone.
DLXXIII DLXXX
DLXXXIV DXCI
In modo tal ch'a lui restava il vanto Pel gran sinistro che ſe'ne l'arcione.
De la giostra reale e del bastone. Ecome è detto staffo da un piede,
Mentre che corre si scopriva intanto Si che i giudicator con gran ragione,
Ciriffo e Sinefido ad un cantone Sendo il difetto chiar, come si vede,
Con Siliametto, e rimirato alquanto Del fievole destrier di quel barone,
La mirabile prova del barone, La sua prodezza quel colpo richiede ;
Il qual com' un leon pel campo rugge; Ma Sinefido ne la giostra magna
E Sinefido si consuma e strugge. Essendo a piè, del suo destin si lagna.
DLXXXV DXCII
L'aste parvon due gambi di finocchi Nè prima il disse che Burel dismonta
Bene intarlati, che se ne fe' polvere, Del possente destrieri , e sì gliel dona,
O tronchi, che sparir davanti agli occhi E Sinefido prese un lancio e monta
Volando, e in aria s'ebbono a dissolvere : Sopra di quello, e il dolore abbandona.
E Sinefido par che giù trabocchi Drieto al figliuol con furia e rabbia ed onta
Col sno destrier, ma qui bisogna assolvere Col brando in mano a tutta briglia sprona ;
Lui del cader, che non fu suo il difetto Ciriffo, e Siliametto si conforta
Ma del caval, perché scoppio di netto. : Spranando drieto a lui verso la porta;
DLXXXVIII DXCV
Pel colpo tanto poderoso e grave E cosi tutti e tre giunti di fuori
Ch'are' fatto scoppiare una montagna, Senza seguito ignuno in su quel punto
L'asta che ruppe, una antenna di nave Di tanti regi, e principi, o signori
Pareva, e però fece tal magagna ; Nessun v'ando per non esser defunto
Ma Sidilagi tal percossa ave Dagli Arbi micidiali , e traditori,
Dal padre, che con lui poco guadagna, E il Povero ebbe Sidilagi giunto,
Perchè sopra la groppa del cavallo Il qual si volse e dette la corazza
Arrovesciossi per iscaricallo. Ad un de suo'ch' aveva una gran mazza :
DLXXXIX DXCVI
Edel sinistro piè perdé la staffa ; Che giå era nel campo tra sua gente,
Ma se non che 'l cavallo inginocchiossi E di poco lontan dal padiglione,
Col piè dinanzi, e non avea la paffa E verso Sinefido col corrente
Di tornare in arcion, come tornossi : Si rivolse più fiero ch'un dragone ;
Il suo destrier balordo, una giraffa E sciorinava col brando un fendente
Con la testa parea, quando rizzossi ; A Sinefido, e lui quale un leone
E salta in aria perchè lui lo pugne, Si scaglia, e trasse un man rovescio a quello,
ESidilagi la corazza aggiunge, Che l' elmo roppe e 'ntronogli il cervello,
DXC DXCVII
DXCVII DCV
Ma sopra tutti dal fiero Burello, Col buon destrier fra nimici si scaglia
Perchè gli par veder la sua vendetta, Con l'asta bassa che pare un abisso,
Offerendosi al Pover per fratello Fracassando elmi, scudi, piastra e maglia,
Con ciò ch'e' può, e Sinefido accetta, Stracciando i bei turbanti del cibisso,
E dice che volea tornare a quello, Ned arme trova ch'a suo' colpi vaglia,
Per sommergerlo il dì con la sua setta, E qualunque riscontra in terra ha misso,
E pregava Burel che lo seguisse Qual morto, e qual ferito, e poi la lancia
Con la sua gente, e faori ognuno uscisse. Al re Tremeo la ruppe ne la pancia.
DC DCVII
Burel che vede l'animo terribile E conficol dirieto ne l' arcione
Di Sinefido, che non teme gli Arbi Ed anco in quel non si fermò la punta,
Tanto feroci, gli pare impossibile Ch'un braccio ne la groppa del roncione
E molto par che tal gita gli garbi, Ficcossi ch'a forarlo parve unta,
E comandò ch'ognun facci il possibile Si che l'uomo e 'l cavallo in un troncone
Che da la terra tal genia si sbarbi ; Resto infilzati ne la prima giunta
E tutti in arme il Povero seguirono Da Sidilagi ; e volta ch'ebbe l'aste
Immediate, e quegli Arbi assalirono. Col brando dava lor le pere guaste.
DCI DCVILL
DCXII DCXIX
Gli altri che si fuggiron non essendo Aspettando che passi la vernata
Da Barberi seguiti, s' allargorno In Tunisi s'attende a dar diletto,
Per que' paesi, ed a sacco mettendo E il capitan da tutta la brigata
Qualunque case, o cose vi trovorno, V'era stimato qual puossi in effetto,
Sidilagi rinvenne, e lor vedendo Tanto che'l re Burel ne pensa e guata
Che gli era vivo, presto lo eurorno E finalmente sel recò in dispetto,
Per via d'incanto, e perchè in pochi giorni Che un forestier, ne sa donde, lontano,
Libero fusse, e in Arba si ritorni, Gli abbi levato la palla di mano.
DCXIV DCXXI
Avendo que' paesi iscorsi, e netti Vedato che il gran popol saracino
Di tutti i beni, e con bonaccia e festa A quello ha volto ogni reputazione,
Ricchi di preda, e tutti a lor distretti Il terrazzano, il lontano, e il vicino
Si fur tornati, e Sidilagi in questa Lo reverisce, e nessun se gli oppone,
Fece bandire che ciascun s' assetti Tal che pareva lui un fattorino
Aprimavera a pena de la testa, Essere in corte, poiché e' die' il bastone
Ch'ognun sia in punto, e giudichi la guerra A Sinefido; e tanto l'odia forte
A Tunisi che vuol disfar la terra . Ch'altro non si pensa che a la sua morte .
DCXV DCXXIL
Con l'esercito grande che averanno Per la qual parve che Tunisi allotta
Del fior di tutta quanta pagania, Sossopra andasse per magnificenza,
Che infallante stima e' passeranno Che si bella non ſu giammai Meotta
Un milione la sua cavalleria, Di Galeran, nè di tanta potenza;
Con quaranta corone, che faranno E giunto Capitan di si gran frotta
Tremar la terra, e il mar lor gagliardia, Sinefido, con somma reverenza
E ognuno taglia e affetta il re Luigi, Si inginocchiorno, e per gran tenerezza
E fanno un solco di tutto Parigi . Ridendo lagrimavan da allegrezza .
299
CIRIFFO CALVANEO 300
DCXXVI DCXXXIII
E visto lui il capitan lasciava Con duo giganti, ch'io non so se mai
Pien d' allegrezza, e misse un sordo strido: Naturafe' duo mostri si feroci.
Ecco Ciriffo mio, poi l'abbracciava ; Io n' ho pur visti, e inteso dir d'assai,
E mentre Bisantona a Sinefido Ma non simili a questi tanto atroci.
Pur genuflessa la man gli toccava, Aspetta pur, che se ta gli vedrai
E qual proprio adorasse un suo Cupido Ti segnerai con più di cento croci :
Lo risguardava e ridea lagrimando, Lasciamgli un po' venire, e ritorniamo
Come dicessi : I' mi ti raccomando. Al nostro valoroso Capitano,
DCXXVIII DCXXXV
DCXL DCXLVII
La quinta schiera il Capitan per se Per quella almanco con la quale offende
Tolse con altri tanti battaglieri, Ch'era una costa grande di balena
Ementre ch'egli esaminava i re Ferrata, e d'ogni lato il taglio ſende
Che gli pareva in quella di mistieri, Ogni armadura, quando lui la mena
Eper lasciar con Esdran dietro a se Infuriato, che le braccia istende,
Ne l'ultima con tutti i cavalieri Ma dato il colpo finiva la pena,
Che vi restavan, ch'eran due cotanti Dove quella coglieva tanto o quanto
O più che quei de le schiere davanti, Che non vi bisognava unzione o incanto.
DCXLI DCXLVIHI
Eccoti gli Arbi in un tratto che sboccano L'altro gigante era detto Bustercio
Fuor d'una valle per una costiera ; Che pareva una fera mostruosa
Con istromenti, e grida in giù traboccano Come scorzon chiazzato, ed era guercio
Inverso il pian con la real bandiera, Venuto de la Valle perigliosa,
Dove con fieri Barbari s'abboccano Ch'un mazzafrusto aveva si bilercio
Senza aspettar di far nessuna schiera: Che nessuna arme dove quel si posa
Burello, e Balſumiero , e Falganoro Più non bisogna poi si netti o forba
Con l'aste basse spronan contro loro. Dove appiccava con esso la sorba.
DCXLII DCXLIX
E Galaran con molti cavalieri E già non eran costor di grandezza
Ciascun tra gli Arbi la lancia fraccassa, Molto degenerati da natura
Atterrandone molti de' destrieri Però che Morgales era d'altezza
E l'Alpatrice, e'l Soldano oltre passa, Quindici braccia di buona misura.
E mazzicati son come somieri Bustercio alquanto era di più bassezza,
Da quella turba ch'era si gran massa, Tredici braccia era alta sua figura,
Che pel foror la prima schiera fessono Ma dava col baston pesche duracine
Ch' al lor furore i Barbari non ressono . Che non che gli elmi, are' rotte le macine.
DCXLIII DCL
Cosi queste tre schiere mescolati E come morto in terra era caduto
Con gli Arbi sono senz'ordine e guida, Sì chè Ciriffo intende vendicallo;
I capitan come cani arrabbiati Ma Bisantona che l'avea veduto
Chi qua chỉ là si scaglia, e fere, e grida. Cader, v'è corsa per volere aitallo,
Eccoti in campo i giganti arrivati , Facendo col bastone il suo dovuto :
Che par che'l cielo intuoni con le stride, Bustercio si chinava per pigliallo :
E facevan de' Barbar tal fraccasso Ciriffo a punto gli mise la lancia
Che non v'è niun che contrasti lor passo. Tra il golzerino, e la sinistra guancia.
DEXLVI DELIIL
DCLIV DCLVII
Con quella costa ch'io dissi ferrata I'ti so dir che faceva la buca
Ma la corazza sua, benchè perfetta Innanzi a gli Arbi per tutte le schiere,
Fusse, rimase pel colpo incalcata E fende, taglia, e stritola e sbruca
E per gran doglia de la destra tetta Ogni arme con le sua percosse fiere.
Lascio ir Siliametto, e stramazzata 11 Capitan perché sua fama luca
In terra se n' andò la poveretta ; Avendo inteso per un cavaliere
Ciriffo col destrieri era sparito Di Morgalesse la possa diversa,
Indi, poi ch' ebbe il gigante ferito. Il destrier serra, e le schiere attraversa ,
DCLVI DCLIX
Andreon ch'ha veduta Bisantona Senza aspettar che più schiere si faccino,
Cader pel colpo del fiero gigante, Per riparare a la furia de' diavoli,
Girò la briglia, e con furore sprona Prima che tutti nel campo si caccino
Verso di Morgalesse lo afferrante Con que' baston che non son pien di cavoli,
Per far vendetta de la sua persona, E comandò a ciascuno che si spaccino
Che troppo gli dolea la donna aitante; Di seguir lui senza fare altri favoli,
E come lui al gigante s'accosta, E così quanti re, duchi e pascià
E quello un tondo meno de la costa: V'eran rimasi , s'avviorno in là.
PARTE I
νι XIIH
Ben ch'io vi fussi con armata mano Edisse : Nota appunto quel ch'io dico,
Co' mia fratelli, e ne le prime schiere, O Sidilagi, ch' io non parli in vano :
Reputa il fallo sol del Capitano In Tunisi non v'è nessun nimico
Che lui fu lo'nventor di tal mestiere ; Contro di te, eccetto il Capitano,
Nè eran gli Arbi ancor discesi al piano, E se tu voi , noi il farem mendico,
Nonché schierati, e quegli a le frontiere ; E facilmente pur di nostra mano
Lui, e Ciriffo si trassono avanti Domani isconosciuti qua nel campo
Con Bisantona a frontare i gigantia L'affronterem, si che non arà scampo.
X XVII
I quai non ebbon pur agio, nè spazio Poi che si venne quella gigantessa,
Di riposarsi, o rinfrescarsi alquanto, Qual par di lui innamorata sia,
Che ne fu fatto un macello, uno strazio E non si può nè con lui, nè con essa,
Che pertuo amore i'n'ho quasi che pianto; E pargli esser signor di Barberia,
E de la tua venuta ti ringrazio Noi dubitiam per quella monna fessa
Ed obbligato te ne resto tanto, Non si togliessi un di la signoria ;
Chedistinguer non posso con inchiostro, E se mettessi in Tunisi l'artiglio
Ma con effetto ti sarà dimostro. Darebbe a tutto il levante di piglio.
XI XVIR
Or tu se'savio, (i' credo essere inteso) I'so come tu sai, che noi siam tredici
Eperchè spero ne la tua prudenza Fratelli, e tutti abbiam giurato morte
Senza dubbio nessun d'essere offeso, Sopra di lui , e questo certo credici,
Verrò a veder la tua magnificenza ; Perchè non siamo più per nulla in corte.
Io non mi son nel dir molto disteso Eccone quattro qui come tu vedici,
Per riferirti a bocca la mia intenza, Nè altri ei bisogna per iscorte ;
E cosa che ti fia somma letizia, Noi gli saremo in una foria addosso
E fede, e segno d'ottima amicizia. Efia con l'asta da ciascun percosso
XII XIX
Comprese Sidilagi quasi appresso Si che fia forza che resti per terra
Il tenor, quando i versi ebbe veduti, Per tanti colpi fraccassato e morto,
E Burel mentre s'era in punto messo Finito lui è finita la guerra
Con tre de' suo'fratelli e sconosciuti, Fra te e noi, e vendicato il torto.
In su la mezza notte il campo han fesso Ma vedi, Sidilagi, chiudi e serra
Pedestri per non esser conosciuti; In te questo segreto: io me n'apporto
In guisa di corrier, questi malvagi, Al tuo cuor generoso e a la tua fede,
Girono al padiglion di Sidilagi . Quale è fra noi, per quanto se ne vede.
20
308
307 CIRIFFO CALVANEO
XX XXVII
Passò la notte, e come l'orizzonte Quel che ſe' Bisantona col bastone
Si vide punto da Febo percosso Non è da dire, e come ella gli mazzica,
Co' raggi de la sua lucida fronte, E certe volte quattro o sei ne pone
Qual pallido si mostra, anzi che rosso, In terra con un colpo, e niun s'azzica,
Il Capitan con le sue forze pronte E pochi presso a lei sopra l'arcione
Si fu dal sonno svegliato e remosso, Ne stava il di dove col baston bazzica ;
Per affrontarsi di nuovo a battaglia, Ed Audreon pareva un nuovo Ettorre,
E dimostrare il giorno quanto e' vaglia. E per tutto quel campo il sangue corre.
XXI XXIX
Senza aspettar che la quinta e la sesta E passo via che parve una saelta
Fussino in punto, o trombetto, o licenza, Fra gli Arbi, pur con quella lancia in resta,
Spronando pose la sua lancia in resta E dove e vede la calca più stretta
Per far quel ch'era sua ferma credenza , Quivi si caccia con furia e tempesta,
Come cangiato avessi sopravvesta E uomini, e cavai sossopra gella;
Si che di lui non fusse conoscenza: Non dimandar come te gli rimesta,
Cosi con gli Arbi appiccava la zuffa E rotta l'asta smisurata e verde
E l'un campo con l'altro s'abbaruffa. Ritrasse il brando, e 'l suo tempo nonperde.
XXVI XXXII
Non avea fatto Sidilagi, ischiere Burello intanto non avea dormito,
Perché le gente sue bestiale, e pazze Nè Falganor, ned anco Galerano,
Volevono esser tutti a le frontiere Nè Balfumier, nè Malagrappa ardito ;
In una furia con quelle lor mazze, Così nove di lor di mano in mano
Senza seguire stendardi o bandiere, Ciascun s'è sconosciuto travestito,
Con armadure di diverse razze ; Credendo pur far vezzi al Capitano,
E tutti stretti insieme si movevono E insieme sono in duo parte ristretti,
Si ch' ogni schiera per forza ſendevono. Epel campo facean molti tragetti,
309 CIRIFFO CALVANEO 310
XXXIV XLI
Or qui, or qua per dargli a tradimento: Nè più che giunto lui, giunse Urbinello,
Cosi l'avevan codeato molto, Ch' avea lo scudo riciso in due pezzi,
Ma'l suo destrier, qual folgore era lento, La corazza, e la falda e il giubberello,
Saltando spesso, e 'ndrieto s'era volto. Edice : Il capitan m'ha fatto vezzi.
Sinefido con l'occhio andava attento Ecco Galappio, e Arganoro con ello
E per ventura aveva il tratto colto : Feriti , e son di sangue amendue mezzi ,
Burel con tre fratelli è già a la volta E ciascun dice: Il Capitan col brando
Di lui; con l'asta bassa ognun s'affolta, Mi dette, e non che l'era ito cercando.
XXXV XLI
Forte spronando con molta rapina E gli eran suti, com'è detto nove,
Cheti e chinati che parevan nicchi. Che prima quattro l'aveano assalito,
Dietro a lo scudo il Capitan si china Come sentisti, ed or da gli altri altrove
E par che ne l'arcion tutto si ficchi; Par che sia suto per quel ch'è seguito.
Ed un roverscio col brando sciorina Non ch'io l'abbi veduto come o dove,
Ver l'asta, e a tre di netto par ne spicchi Ma sette n'è condotti a mal partito.
Il ferro, con un braccio di troncone, Burello al padiglion s'era tornato
Si che di questi tre nessun gli pone. Fingendo stanco, e s'era disarmato.
XXXVI XLII
Poi rivolse il destrier dietro a coloro Gridando: Ahi traditor, se tu non voli,
Ch' aveano ancor le lance mozze in mano, E'ti convien per le mie man morire,
E dette un tal fendente a Falganoro Che le vendette mie a mie' figliuoli
Che l' elmo ruppe, e'l teschio fece insano. Non vo lasciar, se n'ho per l'avvenire ;
Burel temeva e fuggiva il martoro, E perchè più non distrugga gli stuoli,
Ed egli sprona dietro a Galerano Non vo' lasciar il tempo preterire :
Tanto che il giunse, e trasse al destro braccio Ma yo' punirti di più d' uno eccesso
Un colpo tal che ne levoe lo straccio. Di me, e di Bustercio e Morgalesso.
XXXVIII XLV
Non conoscendo che costor si fussono Sinefido che intese il suo tenore,
Ma per veri nimici micidiali Tanto empito gli venne e tanta stizza,
Gli avea feriti, perchè lo condussono Che e' si senti gonfiar nel petto il cuore
Presso ch'a morte come disleali; E in su le staffe ne l'arcion si rizza,
Or questi tre feriti si ridossono Avendo inteso dirsi traditore,
Al padiglione, e ripresi i segnali E'l suo destrier speronando dirizza
Ch'aver solean di sopravveste snelle, Ver Sidilagi , che pare arrabbiato
Mandorno al padre lor queste novelle. E'l forte scudo a dietro ebbe gittato.
XXXIX XLVI
Come dal Capitano eran feriti, E con ambo le mani il brando strinse
Se questo gli parea segno d'amore, Giugnendo, e a Sidilagi un colpo spranga
Eche gli aveva pel campo assaliti Verso la testa e con tal forza il pinse
A tradimento come traditore. Che forza fu che'l buon elmo s'infranga,
Esdran che sente i figli a tai partiti E cadde isbalordito, e già non finse,
Turbossi, e gran dolor n'ebbe nel cuore, Nè ha tal forza che in arcion rimanga,
Dicendo : Forse che costui desia E per men male il buono elmo scampollo
Di dar lor morte, e tor su Barberia. Da morte, e il brando il Povero spezzollo.
XL XLVII
Poi con ungran sospir disse: O Macone, Non era Durlindana quella spada
Soccorri qui che bisogna il tuo aiuto, Gioiosa, od Altachiara, ne Fusberta :
E seco pensa in che modo il bastone Ben ch' avesse buon taglio, e che la rada,
Ritor potesse al Povero Avveduto. Aquesto colpo rimase deserta,
Eccoti in questa il suo Brancaleone Si che per forza a Sinefido aggrada
Giugner ferito e grida: Aiuto aiuto, Quella del figlio senza che offerta
Dicendo, il Capitan l'avea percosso, Suta gli fusse, e del destrier dismonta,
E crede fusse fesso l'elmo e l'osso. E di man gliela strappa e poi rimonta.
30 CIRIFFO CALVANEO 312
XLVIM LV
Ma bene è ver, che gli facea la festá A' padiglion da l'una a l'altra parte,
Prima che fusse rimontato in sella; Si che'l combatter per ciascun quietossi ;
Ma la turba degli Arbi lo molesta, Ma tante membra v'era in terra sparte,
Con quelle mazze, e forbotta e martella. Non che il terren, ma gli alberi eran rossi
Sidilagi qual morto in terra resta, Di sangue, tal ch'i' credo che in ciel Marte,
E Sinefido la sua spada bella Per non vedere il di gli occhi turossi;
Ebbe per questo modo rianta, E sonato a raccolta, chi restava
Nè prima l'ebbe in man che conoscinta. In campo, a'padiglion presto tornava.
XLIX LVI
Vedato come già dissi nel pome Esdran n'aveva i suoi figli menati
Scolpite in oro lettere leggiadre, Ne la città per trargli di periglio,
Quai diceano in francese il proprio nome Si che cautamente sian curati ,
Di Guidon, ch'era del Povero padre, E contro al Capitan con un mal piglio
E senza quivi ricercare il come Ne parlava con tutti i suoi fidati,
Pianse per morta la sua sposa, e madre Sopra del caso chiedendo consiglio,
Di Sidilagi, Aleandrina detta, Avendo pure in se ferma credenza
E sopra gli Arbi ne fece vendetta. Che volontaria sia tale violenza.
L LVII
In modo tal che non v'era nessuno Pure sperava di dover vedergli,
Che non temesse di tanto furore, Dopo la cena come erano usati,
l'dico pur de suo', perchè alcuno O tutti, o parte di tanti frategli,
Aveano avuto pel campo sentore Con molti di que' principi nomati ;
De' figli d'Esdran, e già l'aere bruno E cosi pure a mensa lasceregli,
Si dimostrava, e Febo lo splendore Replicando lor colpi ismisurati.
Da lo Emisperio nostro avea ritolto, Lasciam seguire il lor ragionamento
E col suo carro a gli Antipodi volto. Perchè l'istoria mi richiama drento.
LIIM LX
Ma soprattutto la spada gli duole Come ebbe detto Esdran, disse Burello,
Più ch'altra cosa, che se ne dispera, Che il capitano il giorno a tradimento
Ned altro brando che quel piùnon vuole, Avea ferito ciascun suo fratello,
Perchè di riaverio ancora spera; Ed anco a lui are'dato tormento
Se il Gapitano in campo, come suole Se non si dileguava innanzi ad ello,
Venir, verrà davanti a quella sera, E disse, come nel torniamento
Lo crede riaver la prima volta, Gli avea donato il suo proprio cavallo ;
E così mentre sonossi a raccolta Ora in tal modo volse meritallo.
313 CIRIFFO CALVANEO 314
EXII LXIX
Così mi par che voglia far costui, E così insieme si furon ristretti;
Nè che del beneficio si ricorda ; Pure in segreto a tutti tale eccesso
Anco il mio regno, e forse quel del tui Fu denotato, e quei come perfetti
Pensa voler per se, però mi morda Fedeli amici per loro interesso
Come la cagna, e que' che son con lui, Si furno offerti; e detto e, non sospetti,
Saranno i cagnolin. Così s'accorda Ecosi congregati giunse un messo
Tutto il consiglio, e giudicato scorto Mandato da Esdran al capitano,
Fu in effetto, che'l Povero sia morto. Che gli poneva una lettera inmano.
EXIV LXXI
Non già che loro il Povero dicessino, Ne la qual contenea ch'a Sidilagi
Che vulgarmente dicean Capitano, Il Capitano addimandasse triegua,
Perchè non v'era gnun che'l conoscessino Rispetto a morti che darien disagi
Pel Pover, nè che lui fusse cristiano. A' vivi, se ciascun non si dilegua,
Doleva a Gironeo, che l'uccidessino, E per dare a' feriti luoco ed agi,
Ma per non dimostrarsi partigiano, Che la salute d'ogni parte segua,
Fingeva de' feriti aver dolore, Sì che pe' lor bisogni siano altesi,
Etacea per non dar contro o favore. E la triegua s'intenda per due mesi.
LXY LXXID
Con tanta pena e con tanto martire. Dovunque il tratto da far lo vedessino
Che par che'l cuor non gli capi nel petto, O ne la terra, o in qualunque de' campi,
Nè tempo volse lasciar preterire, Il più comodamente che potessino
Ma scrisse un breve, e di tutto l'effetto Pur che de le lor man quel non iscampi,
Notizia dette, il valoroso sire, E più che disse, morto che l'avessino,
ASinefido per un suo valletto, Gli darebbe il baston senza altri inciampi,
Ed in sostanza in quel conclude e serra, Acciò che Sidilagi anco mettesse
Che stia di fuori, e non vada in la terra. Per dargli morte ogni industria ch'avesse.
LXVI LXXIV
LXXVI LXXXIII
Ecosì sendo già passato un mese E'lmodo appunto, e'l dove, quanti e come
Che messo piè non avea ne la terra, Nel consiglio in segreto Esdran distinse,
Sendo deposte le 'ngiurie e l' offese Edisse a lor: Lasciate queste some
E sanati i feriti de la guerra; Sopra di me, e'l partito si vinse,
Burel non vede riuscir le imprese, E de la pace fatta diessi il nome.
E l'odio pur nel cuor lo affligge e serra, Burello al fatto niente si infinse,
E manda spesso a Sidilagi messi Ma per ambasciator degno e gradito
Pregandolo che dentro il conducessi. Re Sidilagi chiamò al convito.
LXXVIII LXXXV
Veduto pure Esdran che il tempo ſugge E quivi fatti tutti i convenevoli,
E non si viene con l'opra ad effetto, Le grate riverenze, e i degni inchini,
Quale un cinghial talor d'affanno rugge E dati i baci qual di Giuda orrevoli
E pargli nutricar la biscia in petto. Al capitan da quei can saracini,
Burello ognora lo consuma e strugge Per gaudio e festa, con motti piacevoli
E gli altri suoi fratei, che in gran dispetto Burello espose con brevi latini
Se l'avevan recato in su le corna, Al capitan, che dovesse ricevere
Edoglionsi che tanto ivi soggiorna. Sidilagi al convito e con lui bevere.
LXXXI LXXXVII
E sendo già tutti sette guariti Dipoi appresso a la fine del giorno
E ciaschedun disposto a la vendetta, Dopo una ricca e magna colezione,
Con tutti gli altri d'un volere uniti, Tutti dal capitan s'accommiatorno
Ma sempre è lungo il tempo che s' aspetta. Avendo ferma la conclusione
Veduto Esdran come sono accaniti, Pel giorno sesto, e in Tunisi tornorno ;
De la lor furia teme, e ben sospetta E Sinefido resta al padiglione
Che un giorno non si mettino a periglio, Con la sua compagnia, e il re Ciróneo
E tutti i regi chiamare a consiglio. Gli dette avviso del convito erroneo ;
LXXXII LXXXIX
xe XCVII
Équesto il gran valor che tu ha'mostro? Questo sarà quel giorno per ventura
-E- EE -E -E・ E・ E
Non dubitare, e non n'aprir più bocca E sendo certo che nessun scampo
De la partita, e mettiamci in assetto V'era per lui, e per dar di sè fama,
Di gire, perchè a te più ch' altri tocca. Con l'armadura sul destrier nel vampo
Sendo nel loco quale tu se' eletto, Gittossi, e tu rispondi a chi ti chiama,
Ben daresti che dir, ben sare' sciocca E va, e lascia ben provvisto il campo
La mente tua, e da ciascun negletto De la più fida gente, e che più t'ama,
E l'uno e l'altro, e chiamati due zacchere, E teco menerai ottima scorta,
Edietro ognuu vi sonere' le nacchere. E lascerem per noi presa la porta.
XCV CII
CIV CXI
E volontier sarebbe ito con lui Mettendo tutti quanti a fil di spada
Per dargli a suo poter con gli altri aiuto, Il capitano e la sua compagnia
Ma il capitan non conoscea costni Stimando certo che la cosa vada
Per figlio, ed anco avendol conosciuto Come avea disegnato in fantasia;
L'are' lasciato, e credo in guardia altrui, E insin che giunga la franca masnada,
Che se per caso fusse intervenuto Perchè il trattato scoperto non sia,
Pur la sua morte, non pareva onesto Burel con tutti i suoi fratelli aspettano
Mettere in sopra volta ogni suo resto. Il capitano e con festa l'accettano.
CV схи
Il quale appresso su n'un gran roncione Dicendo: O capitan, sia il ben venuto
Seguiva lei, e pareva uno Ettorre, Per mille volte, e la tua compagnia ;
In mezzo di Giriffo e d' Andreone, Per pace fatta qui s'è provveduto,
E per vedergli la gran plebe corre ; Che Sidilagi convitato sia;
Ma per veder Bisantona al balcone, Ma non mi pare onesto nè dovuto,
Non bisognava molte dame porre, L'arme al convito: non so se resia
Per che di sala standosi a sedere Tra voi si fusse; a me non è capace ;
Passando molte la potean vedere, Quest' armadur non è segno di pace.
CVUI CXV
E misse il primo d'essi tre agguati Rispose Esdran : E' sarebbe ben pazzo,
Da basso ne le zambre e ne' cortili, Qualunque a farmi ingiuria si mettessi,
Ne' qual fur mille ben provvigionati, Pur ne la terra, non che nel palazzo,
Che non parevan codardi, ne vili, lo non vorrei per nulla che tu stessi
Da quattro suoi fratelli accompagnati, Con tal disagio : e facea gran rombazzo
Qual furono i minor e più gentili, Che lui almanco l'arme si traessi
E questi avevano a tener di sotto E sgridava Burello, e Galerano
Se il primo agguato e l'altro fusse rotto.. Ch' ha disarmarlo ognun ponessi mano.
CX CXVII
Il secondo avea messo a mezza scala Non tanta furia, il capitan diceva,
Con cinquecento buon combattitori, Ed accenna con man che stia discosto,
Occultamente e al pari de la sala, E che armato restare si voleva
Con altre tanti il terzo de' migliori, Che pel suo onor così era disposto.
E in ciascuno per guida, non per gala, Eccoti in questo un trombetto giugneva
Quattro di questi fratei traditori, Di Sidilagi, ch'un breve ebbe posto,
E dato avviso a l'agguato disopra In man d' Esdran, e salutava quello,
Ch' a la seconda vivanda si scopra. Dipoi il capitano e il re Burello.
321 322
CIRIFFO CALVANEO
CXVIII CXXV
Per Sidilagi e per quel breve, scusa Mentre che la brigata s'assentava,
Mandava come non viene al convito, Quel traditor malvagio di Burello,
Ch' avea la mente sua tutta confusa Si come era ordinato, ne mandava
Per una doglia che l'avea impedito, A prender l'arme ciascun suo fratello .
Benchè di molestarlo spesso era usa: Come la prima vivanda si dava ,
Era quasi sul destrieri salito Dette d'intorno a le mense un drappello:
Per venirvi, e con gran dispiacere Dipoi tra gente, e gente fu sparito
Si rimaneva in sul letto a giacere. Di sala in zambra, e de l'arme guernito
CXIX CXXVI
Ch' avessino pazienza per allotta Si fu; e mentre che quelle si mette,
E non istessin per lui a disagio, Ebbe sentor ch' ognuno era parato.
Ch' era forzato, ma del mal non dotta ; La seconda vivanda soprastelle
Pur bisognava alquanto stessi in agio ; Alquanto, come l'ordine era dato .
Che il giorno poi verre con una frotta. Besdran quel vecchio iniquo il cenno dette;
Non dice come il traditor malvagio Disse: Or è tempo; e detto, spalancato
Avea pensato riuscendo il giuoco Fa l'uscio d'una zambra, e foor di quella
Di metter quella terra a sacco e fuoco. Usciva con furor la gente fella.
CXX CXXVII
E tuttoció che scrisse aveva finto Gridando: Carne, carne, e ciascun pensa
Per dare a la malizia sua colore, D'aver quel Pulicano nel capecchio ;
Ma con alquanti suoi prima destinto, Ma Bisantona in un tratto la mensa
Aveva a punto quel ch'era nel cuore, Mando sossopra, e tutto l'apparecchio.
Si che in sul fatto ne l'arme depinto Si fracasso cristallo, argento, e rensa,
Fusse ciascuno, in punto il corridore, Poi prese per un braccio il tristo vecchio
E la pace che vuol co' Barbereschi E'n piazza lo scaglide fuor d' un balcone ;
S'era col fuoco, e insieme ognun poi treschi. Poi afferrava il suo greve bastone,
CXXI CXXVIII
21
323 CIRIFFO CALVANEO 324
CXXXII CXXXIX
Non credo sian tali urla ne l'inferno, Ora chí avessi visto in quella corte,
Qual de'feriti che traevan guai Ciriffo, e Sinelido, e Bisantona,
In quella sala pel crudel governo Aquanti in un momento e' dieron morte,
Che ne facean costor, come tu sai. Che pel fracasso il palagio rintrona,
Ciriffo e Sineſido erano il perno Pe'colpi che traean si aspri e forte
E Bisantona non restava mai; Che nessuna arme v'era tanto buona,
Nè l'ultimo Giriffo a l'uscio aspetta Che reggere a nessun de' colpi possa,
E quanti ne vien fuor, tanti n'affetta Cogliesse ove voleva la percossa.
CXXXVI CXLHI
Con quella ronca; e tanti n'era in terra Era la corte un pelago di sangue,
L'un sopra l'altro, quale una catasta La scala proprio pareva un fossato,
Di schegge fusse e chi'l crede non erra, E l'un ferito sopra l'altro langue:
Ma quella turba ch'è dentro rimasta, Chi andava carpon ch' avea tagliato
La porta de la zambra a furor serra, Gli occhi nel viso, e chi grida, e chi piange
Per tenerezza di lui, ed in tal pasta Chi ha fesso il capo, e chi il petto forato;
Non vorrebbon aver messe le mani, E tanti v'è che le budella versano,
Vedendosi straziar qual proprio cani. Ch'a tutti quanti tra piè s'intraversano.
CXXXVII CXLIV
Non sendo in sala a suo modo faccenda, In modo tal, che tutta fraccassolla
(E disotto il romor sentia levato) In pochi colpi, e mezza la disserra ,
Ella gridava che ciascun discenda, E col sinistro braccio isgangherolla,
Le scale dopo lei, ed a l'agguato Immediate e spianavala in terra,
Secondo giunse, e quivi vo' che 'ntenda Eprese un lancio e di netto saltolla,
Si fu ciascun per modo adoperato, Fuor del palagio, e ristringe ed afferra
Che brevamente i morti in terra v'alzono, Con ambo mani il sanguigno bastone:
Ed ivi per campar le scale balzono. Rivolta indietro, e chiamava Andreone,
325 CIRIFFO CALVANEO 326
CXLVI CLIII
Ede la piazza ebbon prese le bocche Esdran veduto in bilico il suo stato,
E le catene tirate su alto ; Alla fortuna volse ogni speranza ,
Cosi molte fortezze, e torre, e rocche, Ned altrimenti che un disperato
E quivi d'arme coperto lo smalto, Mostro d' aver nel nimico fidanza.
Credendo repugnar le genti sciocche Da un balcone pel giardino ha mandato
Contro a costoro, e facean grande assalto, Di faor per Sidilagi, ed in sostanza
Stimando certo dovergli finire, Si raccomanda, e chiede aiuto a quello
Nè che di piazza potessino uscire. Siccome amico, e fu il messo Urbinello.
CXLIX CLVI
Vedendogli saltar fuor del palazzo Non bisogno costui lusingar troppo
Quai feri draghi o crucciati leoni, Vedendo darsi la starna nel guanto,
Gridava tutto quanto il popolazzo : Nè mica parve doglioso nè zoppo
Viela vieloro, e fuggian pei cantoni, A muover con l'esercito suo tanto.
Che Bisantona nettava lo spazzo E per non dar nel capitan d' intoppo
Col suo bastone e mentre que' campioni Dentro a la porta volse al primo canto,
Salivan su' destrier ch' avean lasciati Fingendo di voler pigliare i passi,
Tutti d'intorno al palagio legati , Sì che il nimico suo non isbucassi.
CL CLVII
Benchè qualcun già n'era suto sciolto E cosi tutto lo esercito grande
Non de' più brutti si debbe comprendere, De gli Arbi mise in Tunisi ad un'otta,
Fra i quali al Capitan l'agresto colto E per la terra con essi si spande,
Quivi era suto: or questo è il bello a 'ntendere, Per ogni ruga ne manda una frotta :
Che Bisantona accorta volse il volto In su la piazza v'era il romor grande
Ed ebbelo veduto, e fenne scendere Che la più gente al palagio è ridotta,
Un che v'era salito col bastone ; E Sidilagi le bocche rinserra
Ma odi come ne scese il ghiottone. Con la sua gente, e saccheggia la terra .
CLI GLVHI
Ella gli trasse, cosi per motteggio, E finge di mostrar che rinchiuso abbia
Un certo man rovescio sottomano, Il capitan con la sua gente in piazza,
Mentre e' pigliava col destrier puleggio, E grida forte che mercè non s' abbia
Enon lo colse però molto in vano ; Di loro, e mentre menava la mazza
Ma ella ſe' cosi per non far peggio Ch'avea di ferro, e' tien rinchiuso in gabbia
Col bastone al destrieri , che al pagano, Il popolazzo che grida e schiamazza,
E il destro braccio ispicco con la spalla Non potendo sbucar da nessun luoco,
E la testa balzo quale una palla. E la città va tutta a sacco e a fuoco,
CLI CLIX
Rimase il torso cosi smozzicato Esdran che dal palagio vede ed ode
Con la sinistra man tirando il freno, Per la città fuochi, grida, e fracassi,
E il destrieri in duo piè si fu levato. D'ira e d'affanno si consuma e rode,
In questo il saracin veniva meno E il capitan che in piazza non istassi
E fussi in su la groppa arrovesciato Con la sua gente; e Sidilagi gode
E fe'lo schiavonesco in sul terreno; Perché sua gregge par di roba ingrassi.
Vedi come ne scese istranamente, Esdran diceva, poi ch'ebbe veduto
Che ne rise di lui ben molta gente. Di Sidilagi il soccorso e l'aiuto :
328
327 CIRIFFO CALVANEO
CLX CLXVII
Sin che gli amici fanno a questo modo Tanto che giunse a Sinefido presso
Fiaci nessun che si metta in cammino E lui, che il conosceva di lontano
E vada a ritrovare e a dire il modo Andogli incontro, e Cironeo ad esso
A questo Sidi can, ladro, assassino? Diceva : Valoroso Capitano,
Brancaleon diffatto trovò il modo, Jo fingerò di fare mio interesso
Come Urbinello, e scese nel giardino, Giusta mia possa qui col brando in mano,
D'arme guernito, e di quello usci destro Tu similmente fa con la tua scorta,
Col brando in man, benchè fusse pedestro, Io rinculando ti trarrò a la porta.
CLXII CLXIX
A cni Brancaleon con grande audace E tratto ch' ebbe col brando due colpi
Di lui, e di sua gente molto duolsi, E questi inver di lui, qual proprio cani
Dicendo, che 'l suo aiuto gli dispiace Si gli avventorno addosso ; ma le golpi
E che l'amico aitar così non suolsi. Accennan lui, e danno a que' pagani
Ma Sidilagi simula, e non tace, Che son d' intorno, e l'arme e l'ossa e polpi
E con Brancaleone iscusar vuolsi , Recidevan co' lor brandi sovrani,
Fingendo aver di ciò gran dispiacere, E cosi Gironeo con loro attende
Ma non poteva lor furia tenere. Giusta sua possa, e de' barberi offende.
CLXIV CLXXI
Ch'aveva alleso per insino allora Perchè col brando in man con lor s'arrosta
Che il Capitan di piazza non uscisse, E dove e' vede la calca più stretta,
Credendo che Burel venisse fuora Quivi isciorina, e chi non si discosta
Con tutti gli altri regi e lo fornisse La forma gli cadea de la berretta ;
Col popol grande, e che senza dimora EBisantona drieto a tutti sosta
Verrebbe in piazza e così gli promisse ; Faceva, e col baston la piazza netta
Ma che voleva sua gente riprendere La plebe per poter fuggir avanti.
Ch'a menar ben le man dovesse attendere. Calorno le catene a tutti i canti.
CLXV CLXXII
Non disse come e' die' bere a colui, Un tratto Cironeo partito prese
Che gli rispose : Ella fia cortesia. D'uscir di piazza per far loro scorta,
E dipartito che si fu costui, Mostrando di fuggir, benchè difese
Re Sidilagi a la sua compagnia Facesse mentre e' per la via più corta
Dieeva lor, che dicessino altrui Si misse, e ciascun dietro si distese
Ch' ognun si sforzi giusta sua balia Lasciandosi ciascun gran gente morta
Da far buon gancio, e niente soggiorni Addietro, perché mentre e' combattevano
Che'l porti in campo e poi dentro ritorni. Le pietre, e i dardi da' balcon piovevano.
CLXVI CLXXIII
CLXXIV CLXXXI
Sendo la ruga pure in vero stretta, In modo che in dua terzi de la terra,
Per la ruina si fe' tale monticchio, Ch'era di giro grande a maraviglia,
Che nessun de la gente maladetta Arse, se il mio parlare in ciò non erra,
Non può passar, se non va per ispicchio. E morivvi gran numer di famiglia.
A questo modo la brigata sbietta Sendo ciascuno in arme per far guerra,
Verso la porta, e gionti a uno crocicchio Esdran col popol suo partito piglia,
Di vie, e Cironeo volta ed arranca Che Andreone e il Capitan si segua
Dicendo : Andate via, brigata franca. Senza voler accordo, o pace, o triegua.
CLXXVI CLXXXII
E così finse d' essersi fuggito, Istando pur nel suo concetto saldo,
Per ultima difesa da costoro Giusta sua possa, di torgli la vita,
Ed al palagio d' Esdran ne fu ito E per batter il ferro così caldo,
Dicendo: Non poter più contro a loro, Fe' bandir l'oste per guerra finita,
Ede la gigantessa ebbe inferito, Dicendo come Andreone il ribaldo
Come col suo baston dette martoro La degna impresa gli aveva impedita,
Atanta gente, e in ultimo conchiuse Che se non fusse lui suto in effetto
De la rovina che la via gli chiuse. Riusciva il disegno chiaro e netto.
CLXXVII CLXXXIV
Ciriffo e Sinefido appiè la porta Ma per cagion che lui era lo scampo
Si furon fermi, perchè erano innanzi, Di Sinefido con la Gigantessa ,
Per trarne a salvamento loro scorta Vo' che si ponga a Costantina il campo,
Si che nessun per forza dentro avanzi ; E quella tutta isfasciata, e desessa
EBisantona è dietro, e gli conforta Vo' veder prima a bottino ed a vampo,
Ch' attendino arrostarsi pur dinanzi, Che mio oste si levi mai da essa,
Ciascun si come cavalier gagliardo , Nė pietra sopra pietra vi rimanga
Che il suo baston facea buon retroguardo. Sì che del danno mio altri ne pianga.
CLXXVIII CLXXXV
Or mi par di dover lasciar costoro E quei che ne mando, n' andorno carichi
Attendere a ripari de le mura, Di gran ricchezza, e con un capitano,
Per affortificar la terra loro, E disse lor: Che se v'è niun che varichi
Si che la gente in quella stia sicura, Il suo comando gli fia poco sano;
Mentre sgombrano tutto il tenitoro, Che faccin si, che lui non si rammarichi,
D'intorno per montagne, e per pianura, Che non ne spenderà parola in vano;
Che pareadi formiche un brulicame Ma se d'alcuna cosa arà sentore
Nel fuggirdentro e persone e bestiame. Il giusto punirà col peccatore.
332
33г CIRIFFO CALVANEO
CLXXXV111 CXCV
Fatto che gli ebbe lor questa proposta Ma prima ch'ella mi desse notizia
Immediate ciascun vía cammina. Interamente de la tua persona,
E Sidilagi a Tunisi s'accosta Mi fece far di giuri gran dovizia
Co'regi de la turba saracina, Che insino che tu mi davi corona
Quali ordinavan l'oste senza sosta, Non ti dovessi dar questa letizia
Per gire a por l'assedio a Costantina, Di palesarmi, e però mi perdona:
E distrugger la franca baronia S' io fu prolisso al tuo disie, o padre,
E lui fu il primo che si mise in via. Fu per servar la fè data a mia madre,
CLXXXIX CXCVI
Per farti noto a cui questa corona E così detto in piè si fu levato
L'abbi concessa, come ha il ciel voluto, Con tenerezza, e l'un l'altro s' abbraccia
Sappi ch'io son tuo figlio, e in Ascalona Basciandosi, e ciascun tutto è bagnato
Mi generasti, e tanto isconosciuto Di lagrime in sul petto, anco la faccia,
Se' ito errando dietro a la persona E disse: O padre sendo batteggiato,
De la mia madre, che tu se' venuto Non creder che tal cosa mi dispiaccia ;
Al tuo effetto; ma Leopantina Anco m' è grato, e però ti paleso
Non conoscesti per Aleandrina. Senza alcun dubbio che tu sia offeso.
CXCIV CCI
La qual con tanto amor, con tanto affetto Imperò ch'io conosco omai chi sono
Tu sai che vi ritenne in casa sua , Il Povero Avveduto, e Calvaneo,
Avendo affigurato ne lo oggetto, Però si largo nel dir m'abbandono,
Ne l'Andreone ho dubbio che sia reo :
E te, e Galvaneo, e amendua.
Dopo il partir, qual fu a mio dispetto, Anzi il primo de' nostri, e pel gran dono
Mi disse il tutto, e de la virtù tua L'amerò sempre al mondo quale Iddeo,
Tanto mi riscaldo e accese il cuore, Ecosi il priego per nostro maggiore
Che di tenermi a se manco il valore . Che il battesimo prenda per tuo Amore.
333 CIRIFFO CALVANEO 334
CCl CCIX
Si che per tanto omai d'un voler tutti La qual tutta tremante d'allegrezza
Vi priego siam per la salute nostra Non avea di salir tanta potenza,
Lasciando i falsi Iddei, malvagi e brutti, Su del real palagio la sua altezza :
Poi che'l vero Signor la via ci mostra Par sendo pervenuta a la presenza,
Da poter far per l'alma e il corpo frutti, Del marito e del figlio, o che dolcezza
Usando con fervor la virta nostra, Ebbe il suo cuore ! o con gran reverenza
E se del vero Iddio faremci amici Fu ricevuta! e lei che ciascun prezza
Vittoria ci darà contro a' nimici. Non può parlare a niun per tenerezza.
ccv сехи
Mentre che tal parole Siliamelto Ecosi tutti tre slettono un pezzo
Lasciava, e Calvaneo riprese il dire, Abbracciati piangendo, e non parlavano,
E brevemente con un dolce oggetto, Tanto ch'ognun di lagrime era mezzo,
Dal primo moto al presente inferire E mille e mille volte si basciavano ;
Volse la fèdi Cristo benedetto, Ma Siliametto con la madre avvezzo
E come la sua gloria mai finire Lasciolla, ed abbracciati si restavano
Non debbe, anzi regnare in sempiterno Moglie e marito, e caddon tramortiti
Co i giusti, e pe' dannati il fuoco eterno. Per allegrezza che parean finiti.
CCVI CCXIII
Eper cagion che non are' potuto De' preteriti giorni di tant'anni,
Resistere al battesimo di tanti, Che l'uno e l'altro parti d' Ascalona,
In primamente il Povero Avveduto E dove, e come, i riposi e gli affanni ,
Batteggio Andreone, e de' suo' alquanti, Che avien sofferti; ma prima ragiona
E Bisantona, e quei dier poi aiuto Aleandrina, e dice con che panni
Abatteggiare il popol su pe' canti Isconosciuta la terra abbandona
De la piazza real, grandi e piccini, Iscapigliata, e scalza con quel brando
Femmine e maschi, ch' eran saracini. Per selve, e boschi giorno e notte errando.
TATAL
B,
تدا
17
336
335 CIRIFFO CALVANEO
CCXVI CCXXIII
E del suo dubbio accorta, dissi a lui : Cosi rimasi tutta consolata
Che non temesse di mia vista oscura, Disposta al sopportar con pazienza
Ch'io non ero ombra de gli abissi bui La vita mia, e per le mie peccata
Venuta, anzi era mortal creatura; Reputando ogni cosa a penitenza,
Ed egli a me per chiarir gli error sui Con isperanza d'esser poi salvata ;
Non avendo la mente ancor sicura, Ma quando Calvaneo prese licenza
Disse: Non sendo tu spirto nè ombra, Per venirti a trovar, parve che allora
Qual fato, o qual destin t' indusse a l'ombra Il cuor del petto mi balzasse fuora.
Ccxx CCXXVI
L'avessi avuto ; ed io con parlar finto Di qui lontana circa di due miglia,
Risposi; e quel con rigide parole Dove già mi trovasti a quella villa,
Verso di me turbossi, e tutto tinto, Ch'una certa matrona ivi per figlia
Minacciommi di morte pel dir fole, Seco mi tenne, predetta Drusilla,
S'io non gli recitava il ver distinto E quivi partorii che maraviglia
Di te, Povero mio, e in quale prole Fu come l'alma il parto non sortilla
Restavi quando mi dipartii io, Dal corpo flagellato da' disagi,
E che il brando fu prima suo che mio. E in sa lo stremo fui per Sidilagi.
CCXXII CCXXIX
Ma quando intesi a lui dire scolpíto Par con l'aiuto prima del Signore,
Il proprio nome, parve d'un coltello Poi di Drusilla, i tuo' figli lattai,
Allor fusse il mio cuor, lassa, ferito, Non sendo però spento in me l'amore
Tal che distinguer non potevo a quello Del padre loro, e quivi mi restai ;
Parola a pena: pur, che mio marito E perch'e' dimostrassin lor valore
Eri, gli dissi, e mostragli l'anello Sendo in etade, e di persona omai
Ch' aveva in dito, col qual mi sposasti, Da sprimentar ciascun ne l'armadura,
Mi mossi a dir la lor disavventura.
E dissi come poi m' abbandonasti.
337 338
CIRIFFO CALVANEO
cexxx CCXXXVI
Un giorno a mensa, poi ch'ebbi sentito Per quella notte, se quel figliuol reo
Che far voleva Esdran l' assembramento Fusse tornato, voi ci difendessi ;
Sol per elegger qual fia più gradito Dipoi a mensa te e Calvaneo
Per capitano, il bel torniamento Conobbi nel parlar come eri d'essi ,
Libero aveva in Tunisi bandito E chiaramente per cotesto neo
E così stando al mio parlar attento T'affigurai: or pensati tu stessi,
Ciascuno, e detto d' onde, e come, e quando Qual parte fusse maggior nel mio cuore
Ero venuta, palesai quel brando. O l'allegrezza a vederti, o il dolore.
CCXXXI CCXXXV
Ed ella il colpo, oimė lassa! sostenne E credi, che più volte in quella sera
Per iscamparmi , e vi lasciò la vita, Tentata fui di gittarmiti al collo,
E poco men ch'a me non intervenne Ma per non dare al tuo figlio matera
Il simigliante; por mi fui partita: Per isdegno, di farci dare il crollo,
Indi fuggendo, quale uccel con penne, Avendo io detto prima che'l padre era
E sopra un leccio altissimo salita Ne l'arme Marte, in beltà nuovo Apollo,
Appena i' fui, che lui giunse al pedale Pur mi ritenni , rispetto a l' onore,
Col brando per tagliarlo e farmi male. Sotto speranza del tuo gran valore.
ccxxxm CCXL
Quando lo vidi in così fatta stretla Egli è ben ver, che chi non sa, non sa
Stimai quel fasse il suo ultimo giorno, Più che si sappi, e per non saper erra
E del leccio tremante con gran fretta Di molte volte, e così fee' io giả
Discesi in terra, e fecimi ritorno Senza aspettar che segua de la guerra,
A casa, ove Drusilla poveretta Che s'io avessi fatto come fa
Morta trovai , e Siliametto intorno Chi pensa al fine, così de la terra
A lei piangendo, estimavasi quello Non mi partiva, ma con dolci carmi
Ch'io fussi suta morta dal fratello. Doveva a te, signor, raccomandarmi.
CCXXXVI CCXLII
E quivi insieme con tenero pianto E intender la cagion del tuo partire,
Ci lamentammo, e demmo sepoltura O se tornar dovevi in Ascalona,
Al corpo qual di propria madre, tanto O si, o no , men doveva chiarire,
Ciascuno amava quella creatura; Non dare a la fortuna mia persona,
E la sera medesima da canto Amando te, o mio famoso sire,
Gingnesti come fa di Dio fattura, Anzi seguirti a Parigi, a Nerbona ;
Send' io incerta; pure avea sospetto Ma se considerato avessi allotta
Di Sidilagi, e vi detti ricetto Quel che dipoi, non sarei qui condotta.
22
339 CIRIFFO CALVANEO 340
CCLI
CCXLIV
Questo si è, ch' avendo conosciuto, Qual furon questi dentro uno steccato
Quanto lafè di Macone è fallace, Fuor de la terra tra'l campo e le mura;
E Cristo il vero Dio, e tu voluto Guglielmo Lancioniere e Fortunato ,
Aresti trarmi a la tua ſè verace, Beltramo e Tarabusso a la ventura,
Però partisti, e facesti il dovuto Guidon con Amoroldo accapigliato
Tornando al padre, e far con esso pace ; Si fu, siccome volse sua sciagura,
Né credo ti partissi per lasciarmi, Folco con Serpentone e Lionetto,
Ma per ripatriarti ed onorarmi. Fu con Iscarpiglione il poverelto.
CCLII
CCXLV
Ma la mia fanciullezza incontinente Ed io con Salameche, che il maggiore
Mover mi fe' disperata a furore; Era di tutti, e tutti gli spaciammo,
Poi il tuo Calvaneo, ch' è qui presente, Benchè morti da lor, per mio dolore,
Guidone e Lionetto vi lasciammo.
Mi fe' capace il mio commesso errore
Aquella fonte, e restai paziente Dipoi Luigi, il magno imperadore,
Amando te e i figli per tuo amore, Fe' pace con Tibaldo, e via levammo
E tu amavi me, considerando L'assedio ch' era ad Ascalona intorno,
se' ito cercando. E in Francia fe' la bella oste ritorno.
Per quanto poi
CCXLVI CCLII
Il Pover trasse un gran sospiro allora Ma perch'egli era quale un uom selvaggio,
E disse: Donna a replicarti il vero Come il vedesti, non presi partito
Sarei troppo prolisso, e gran dimora Cosi allora di mettermi in viaggio
Bisognerebbe a recitar lo 'ntero, Per farlo in fatti d'arme iscalterito,
Dappoi che d' Ascalona uscii di fuora E in pochi mesi n'ebbi visto il saggio
Armato con Rampaldo sul destriero Tanto ch'egli era in corte il più gradito
La propria sera, poi ch' io ti sposai Uom che vi fusse con ispada o lancia,
In zambra, e teco que' figli acquistai, E sconosciuti partimmo di Francia.
CCXLVIII CCLV
Ed io, perchè t'amavo, a la partenza Per quella notte, e quivi il tutto intesi
Fe' ciò ch'io fe', perchè non m'impedisse Da Calvaneo, in che modo al battesimo
La mia salute, non per violenza, Ti indusse, e mentre l'effetto compresi,
Ma credendo dipoi tu mi seguisse, Più volte lagrimai in me medesimo.
Ed ignorando con poca prudenza Passoe la notte, e del monte discesi
Pigliasti il volo, e Tibaldo disdisse Quasi eravam , che lui disse il millesimo
La tregua, e'l terzo giorno sei giganti Non m'aver detto, e fe' silenzio poscia,
Preson la guerra, e di noi altrettanti. Perchè il tanto parlar gli dava angoscia.
341 CIRIFFO CALVANEO 342
CCLVIII CCLXV
Io mi studiava di camminar tosto Ho pur presa la Rocca, e vi lasciai
Per ritrovarti , e presi assai vantaggio Un Castellan che per me la tenessi,
Da lui avante, e sendogli discosto, E inverso Troncavalle cavalcai,
Trovai per quella valle un nom selvaggio, In furia prima che la si sapessi,
Molto formoso, ch'era a seder posto E'l cancelliere avanti ne mandai
In su d'un masso, e con lieto visaggio A dire a Carpisante che facessi
Addimandommi de la mia venuta, Mandar fuor la giustizia, che Irlacone
E fu ivi infra noi degna disputa. Volea veder Ciriffo in sul broncone
CCLIX CCLXVI
Ma io non ero già lieto o contento Il qual libero fu, e presto armato
Pel mio Ciriffo, ch'era in Troncavalle Di tutte l'arme, e in sul destrier fu misso
Suto menato a far morire a stento. Di Grifonante che l'avea menato
Io mi struggevo d'essergli a le spalle, Per crocifigger, poi fu crocefisso
E feci far bandiere in un momento Egli in suo scambio, e punito il peccato
Con l'arme d'Irlacone e trombe e balle Che Irlacon traditore avea commisso .
E sopravveste di molti signori , Poi presi de la terra la tenuta
Che n'ebbi buona parte de' maggiori . Benché la Rocca non si fusse auta.
CCLXIII CCLXX
Eperché non restasse così sola Qual io credendo per battaglia o assedio
La bella dama, ch'io ti dissi pría, Pigliar, si combatteva ciascun giorno;
Fella sposar, con licenza di Frola Nè mai vi fu ne modo nè rimedio,
Da Andreone, e quel di Samastia E tutto il popol mio vi mori intorno;
Fu coronato senza far parola Ultimamente a non tenerti a tedio
E tatto il suo reame e mobilia Mandai Ciriffo poi che molti andorno
Ebbe per dote, e Bisantona allora A Samastia per soccorso ed aiuto,
Con la madre restoe di Carsidora. E come gli altri me l'ebbi perduto.
CCLXIV CCLXXI
CCLXXII CCLXXIX
Ma fecel per camparmi dal furore, A guardia d'esso, ben ch'era avvisato
Innamorata de la mia prodezza , Da un che'l tutto m' avea riferito,
Non pensar, donna, per lascivo amore, E dove, e come, e quando era ordinato
Ma perchè il cuor gentil la virtù prezza. Che io vi fusse infallante tradito ;
Stimava quel che non era in errore, Si che ciascun di noi ben preparato
Come s'avesse avutane certezza, V'ando , e nel principio del convito,
Ch'io fossi un cavalier cristiano errante Avendo messi i denti a punto in opra,
Che gisse isconosciuto per levante. Le mense andorno in un tratto sossopra .
CCLXXIV CCLXXXI
Poi come piacque al figliuol di Maria Prima che fatto ne fusse macello
Insieme per fortuna s'affrontorno De'Barberi, e degli Arbi il grande stuolo.
La nave di Ciriffo con la mia, Re Siliametto allor rispose: Quello
Come altra volta ti dissi quel giorno Re Sidilagi, padre, è tuo figliuolo,
Aquella villa, e poi in Barberia E de la madre , e mio carnal fratello;
Vinsi il torniamento tanto adorno ; S'io non tel dissi prima, il feci solo
E fatto Capitan del grande stuolo Per non mi discoprire a te nè a lui,
Ebbi il baston come sa il tuo figliuolo. Eper non palesarti in forza altrui.
CCLXXVII CCLXXXIV
CCLXXXVI сехени
ccc CCCVID
Il Povero Avveduto quando intese Qual fegli una risposta molto strana
Tanto spregiare, e da chi, sua persona, Anzi che l'ambasciata abbi finita,
Nel volto impallidi, poi si raccese, E balza, e scrofa e ' scaglia, anco puttana
Qual fosse un vampo, e l'amore abbandona La madre sua del postribolo uscita
Del figlio, e per guernirsi d'ogni arnese Chiamava, e troia, perchè era Troiana
Voltossi a Galvaneo, e a Bisantona, Giurando al padre e lei di tor la vita
Forte gridando: Recate mie armi Giusta sua possa, e simile al fratello,
E date spazio ch'io voglio affrontarmi Eper dispetto trasse un' occhio a quello.
CCCI CCCVIII
Egli è pur nato del tuo sangue e mio, Per la qual cosa il Povero con furia
E che sia 'l ver, non par che lui traligni Salto di terra ne l'arcion di netto,
Dal padre in fatti, benchè iniquo e rio Se rammentando che di tale ingiuria
Avverso con suo' uomini maligni. Vendicherassi a sua onta e dispetto,
Tanta più grata tale opera a Dio Perchè si reputava in trista auguria
Sarebbe, se per tuoi preghi benigni Quella innocente morte del trombetto,
Lo riducessi a la tua obbedienza Nè prima fu in arcion che 'l destrier punse
E col battesmo a vera conoscenza. Ed usci de la terra , e al campo giunse,
CCCIV CCCXI
Anco teneramente Siliametto Dov'era Sidilagi, ch'è smontato
Pregava il padre, che gli perdonasse, A l'ombra d'alcuno arbore che v'era,
Il quale aveva tanta ira nel petto Per esser manco ne l'arme affuocato
Che non volea che nessun gli parlasse. Da Febo con la sua rovente spera,
Aleandrina mando un trombetto Qual visto il Pover, fussi in piè levato
Occultamente, e pregol che volasse, Senza aspettar che giugnessi ove gli era,
Di fuori a Sidilagi, e riverente Eprese un lancio, e ne l'arcion ricovera,
Lo riprendesse e pregasse umilmente Che rampognando al suo padre rimprovera
CCCV ceexit
Che non dovesse contro al proprio padre Ch'è nato d'adultero traditore
Si per l'onore, e per la sua salute E non credeva in Cristo nè in Macone.
Repugnar per niente, e che sua madre Il Pover senza fare altro romore,
Si raccomanda a lui, e per virtute Girò la briglia al possente roncione,
Del filiale amor, con dritte squadre Per far quel ch's' aveva posto in cuore ;
Misuri e guardi a far cose dovute, Ma fugli tolto il passo da Andreone
E ch'egli aprisse a questo lo 'ntelletto Il qual gli disse : Or vedi, Pover mio,
Per quanto latte e'trasse del suo petto. E'ti convien voler quel che voglio io.
CCCVI ceexill
E che fusse contento per suo amore Questa è la prima cosa ancor che mai
Depor lo sdegno, e riconciliarsi Ti chiesi : dunque non me la disdire:
Con l'uno e l'altro proprio genitore, Per quello Dio che adorare mi fai
E quando giunge il padre umiliarsi, Ten prego si , che non mi contraddire :
Il quale è tanto pietoso di cuore La giostra col tuo figlio a me darai,
Che gli perdonerà, ma furno iscarsi Perchè giusto non è che dea morire
Questi disegni, imperocche 'l trombetto Per le tue man, che non è degno uffizio
Fe' l'ambasciata a quel can maledetto. Questo, qual fu d' Abram il sacrifizio.
1
CCCXIV CCCXXI
Non è lecita cosa a ognun che intrida Ma prima che le lance si fiaccassino
Le proprie man nel sangue di sè stesso, Sendo ne le visiere i ferri fitti
Né de la carne sua sia omicida: Convenne ch'ambo due s' arroversciassino
:
Questo non piaccia a Dio tal facci adesso. In su la groppa del destrier: poi ritti
Il Pover par che d'ira si conquida, Furno in un tratto, e par che si voltassino
Visto interrotto il suo pensiero espresso, L'uno inver l'altro senza alcun respitti.
E volse dare ad Andreon la mancia, Il pagan prese la mazza di ferro,
Ma Bisantona gli tolse la lancia, Ed Andreone il brando s'io non erro.
CCCXV cccxxli
CCCXXVIII CCCXXXV
Si che fu forza allora che Andreone Dicendo, che di morte non temesse,
Cadesse in terra pel colpo mortale, Nè di combatter le sue voglie brame
E Sidilagi in un tratto d'arcione Fussin, che solo a la cura attendesse
Scagliossi, e in terra di nuovo lo assale ; Di sè, e de l'assedio che per fame
Ma Calvaneo accorto die' di sprone La terra conveniva che si desse
Al suo destrier, che parve avesse l'ale Col tempo, ed etiam con tutto il reame
E Bisantona, e'l Povero Avveduto Senza combatter gli uomini, o le mura,
Forte gridando, ognun corse in aiuto. Pur che l'oste d'intorno stia a la cura
CCCXXXI CCCXXXIX
Gli scaglion de la porta del palazzo Dico la plebe del popol minuto,
Ch' Andreon cominciò forte a raccorre, Molto più i terrazzan, che i forestieri ;
Ed ella il pose destra in su lo spazzo, Ma Calvaneo, e'l Povero Avveduto,
E tutto il popol suo piangendo corre Mandarono un fidato messaggieri
E de la morte sua tanto rombazzo Di notte tempo, e passò sconosciuto
Si fe' di pianto, che mai per Ettorre Il campo, e tutti i barberi sentieri,
Simile in Troia non par suto sia , E finalmente se n'ando a Parigi
Qual fe'la gente sua da Samastia. A dar di lor notizia al re Luigi.
353 CIRIFFO CALVANEO 354
CCCXLII CCCXLIX
Ma d'un volere, e senza negligenza Non che scoprir si voglia pel suo onore,
Qual dotti, esperti e pratichi al mestieri. Perchè la triegua, e la pace ancor dura ,
Trentamila a caval di gran potenza, Pure il disegno suo a tutte l'ore,
Giovani tutti, valorosi e fieri Si come savio esamina e misura.
Ebbon soldati al porto di Provenza, Egli avea in corte a cui portava amore,
I quali a gara andavan volentieri, Un giovan detto Leone Sventura,
E fu di questa armata Capitano Qual era la più franca e nobil lancia
Folcodi Candia, cavalier soprano. Allor che fusse in Pagania o in Francia
CCCXLVI CECLI
Ed altri legni assai variati e strani Come dicon le più de ste tromberte,
V'eran che tutti a qualche cosa servono, E par lor far una lecita scusa,
Qual d' uomin carchi, e qual di gente vani Quando elle sono in tal fallo scoperte,
In mezzo agli altri, che questi conservano Ch'hanno fatto del centro cornamusa,
Ne' casi adversi, e da nocchier sovrani E con minaccie, o con moine, o berte
Apanto i lor comandamenti osservano, Contaminate, il vero al fin s'accusa,
E cosi Folco con la sua brigata E tutte chiaman Pamante ribaldo :
Ascese lietamente in su l'armata . *Cosi questa parente di Tibaldo
23
355 CIRIFFO CALVANEO 356
CCCLVI CCCLXIII
Ritorniamo a Tibaldo ch' avea seco Di tale offesa a così gli dà a 'ntendere
Leon soletto, e dissegli : Figliuolo, D'esser cristiano un cavaliere errante,
Poichè dal cielo è tutto, ed io con teco, Che si sia messo solo il campo a fendere
Vo'referir quel che ti fia gran duolo, Per dargli indizio che di corto avante
Benchè per tua salute ciò m'arreco, Vedrà il soccorso qual viene a difendere
Ma duolmi alienarti dal mio stuolo, Lui e sua terra da le insidie tante
E perchè i't'amo con affezione Di Esdran, ma che non tema, e non sospetti,
Voglio elevarti in gran reputazione. Che tantosto di Francia gente aspetti
CCCLVII CCCLXV
Or nota il punto, e la chiosa del testo: Come uom che non alberga in se paura
Quando l'assedio con Esdran farai Per selve, e boschi soletto cammina.
E referito il caso tuo molesto Or lasciam questo Leone Sventura
De la vendetta di Guiscardo avrai, Ch'a la volta ne va di Costantina
Allor con suo voler piglia un bel sesto E ritorniamo al dolore e sciagura
E nel campo una mischia appiccherai Ch' ebbe per Sidilagi Aleandrina
Finta presso la terra, e chiedi aiuto Quando ella intese del morto trombetto
Di dentro, e chiama il Povero Avveduto, Da Bisantona, e l'oltraggio e'l dispetto
358
357 CIRIFFO CALVANEO
CCCLXX CCCLXXVII
Ch' aveva usato con parole, ed atti De la cui morte il marito e il figliuolo
Verso di lei col misero trombone, E la nuora e Giriffo assai dolenti
E come non voleva accordo o patti Ne furno, ed etiam tutto il grande stuolo
Col padre, o seco a niuna condizione ; Drento d' amici, e lor benivolenti,
Di poi soggiunse al mal peggio co' fatti, Qual dimostrar di ciò massimo duolo
Che il medesimo giorno ad Andreone Per molti intollerabili concenti,
Die morte, come è detto, il qual dolore Con lagrime, e sospiri in ne le essequie,
AdAleandrina stringe e agghiaccia il cuore. Nè per un mese dierno al pianto requie.
CCCLXXI CCCLXXVIII
Epur pensava a quel figlio crudele Ragion di piangere ho, che d'ogni male
Che senza colpa tanta disciplina Cagion son suto di te, poveretta,
A tutti dava, ed essendo infedele Benchè il pianto non può essere eguale
Pur le dolea de l'alma sua ruina, Quanto meriterebbe la vendetta ;
Si che non valse fisico o medele Ma il poeta di Tracia pianto tale
Per la salute di questa meschina, Non-
fe' d' Euridice giovenetta,
Avendo in sè del futuro e passato Né Cefalo per Procri pianse mai
Principio e mezzo e fin ben cogitato. Quanto i'farò per te, tu il sentirai ..
CCCLXXIII CCCLXXX
E questo dubbio in mezzo al cuor si fisse Per la qual cosa rimutossi in tanto
Poi che più volte il Povero Avveduto Gaudio il dolor de la predetta morte,
Con Sidilagi ebbe fatte più risse Che totalmente fu deposto il pianto
Per riducerlo a se, nè mai potuto Pel Povero, e per tutta la sua corte
Aveva; onde ella tanto se ne afflisse, Eper tutta la terra, e in festa, e incanto
Che l'ultimo suo giorno fu venuto Era ciascun, che così dà la sorte
Anzi che l'anno, e par ch'ella finissi Generalmente, ed è cosa già autentica
Prima che Bisantona partorissi. Che morte in breve tempo si dimentica.
359 CIRIFFO CALVANEO 360
CCCLXXXIV ceexci
Qual era giunto in campo proprio il giorno, Non setoluta, ma come il vitello
Che Bisantona aveva partorito Poco manco d'un braccio di lunghezza ;
E ad Esdran, il giovenelto adorno, Leardo pomelato avea il mantello,
Fu molto grato poi ch' ebbe inferito Quartato bene, e d'una giusta altezza,
A lui, che intese la cagion che a torno Dal petto innanzi coperto di vello
Leone andava, e quanto era gradito Qual proprio di leon, che gran fierezza
Ne l'arme: e finalmente il giovenetto Gli dava, e quel che più il faceva adorno
Deliberoe di venire a l'effetto . Si era ch'egli aveva in fronte un corno ;
CCCLXXXVI ceexem
Imperocchè gli è uom molto feroce, E siccom'uom, che non avea temenza
Cupido, senza fè, né pregia onore. Di Sidilagi, o di quella canaglia ,
Quando tu se' calato in quella foce, Anco per dimostrar sua gran potenza,
Arresta l'asta , e serra il corridore, Al real padiglion dritto si scaglia
E grida pur Mangiogia ad alta voce, Senza riguardo od alcuna avvertenza,
Cosi si leverà 'l campo a romore: Degli Arbi il campo ricide, e sbaraglia,
Or se tu credi a questo esser bastante Mongioia gridando, e con l'asta, e con l'urta
Va che Macon t'aiuti e Trivigante. Feriti e morti assai per terra n'urta.
cccxc CCCXCVI
Ma sopra a tutto esamina ben prima Cosi passoe dal padiglion rasente
Che tu ti metti in un gran laberinto, Di Sidilagi , sì che'l vide e intese
E di ritrarti il modo pensa e stima Gridar Mongioia, e subito il corrente
E di vincere altrui, non essere vinto ; Addimandava quel sendo in arnese,
Ma per ascender molto in gloria esima E montato in arcion, quale un serpente,
In caldo drieto a Leon si distese
Guarda che tu non sia ne l'urna spinto
Auzi che'l tempo, o pur si dice ognora Con la mazza di ferro in pugno stretta
Che un bel morir tutta la vita onora . Gridando : Cavaliere, aspetta, aspetta.
361 362
CIRIFFO CALVANEO
cccxevm CDV
Ma Leone Sventura era sparito IlPover che con l'occhio, e con la mente
Per la gran foga del destrier gagliardo, Attento stava a rimirar la zuffa,
E rotta l'asta il giovinetto ardito Non potea immaginar, se non che sente
Col brando non pareva già codardo, La voce, che Leon per l'elmo sbuffa
E Sidilagi che l'avea seguito Chiamando aiuto in francese al presente,
Il giunse a punto a mezzo l'antiguardo, E'nteso mentovarsi giù si tuffa
Dove per forza alquanto fece sosta, Chiamando Calvaneo ridendo, e corre
Non potendo passar quello a sua posta. Immediate a terra da la torre.
ceexcrx CDVI
In modo tal, che gli facevon piazza Ma Siliametto con turbate ciglia
In ciascun lato al giovinetto sire. Le disse : Tosto fa un poco del bravo,
Eccoti Sidilagi con la mazza Ripeti il grado tuo, e te ripiglia
Levata in alto per voler ferire, Che non se' ancor di parto al giorno ottavo.
E Leone Sventura ne gavazza Abbi rispetto al tuo figlio, e la figlia,
Quando l'ha visto, e con feroce ardire Se non per altro lascia fare a l'avo,
Volse inver lei il possente cavallo, Ed a noi altri, e fussi indi partito
Mongioia gridando, e correva affrontallo. In un momento, e de l'arme guernito.
CDI CDVIII
Il qual per una consueta usanza E foronsi fra gli Arbi mescolati
Saliva un'alta torre a tutte l'ore Qual proprii lupi in un semplice armento
Guidato dal disio, e da speranza, Di pecore, o di zebe infuriati
D'aver soccorso da lo ' mperadore; Con l'aste basse, sì che al pavimento
E per veder se nessuna sembianza Ne fa più di seimila scavaleati,
Di ciò scoprisse, sentiva il romore Dico degli Arbi con pena e tormento,
Del tumulto degli Arhi, e pose cura In modo che il foggir fu lor ricovero:
Fra loro e vide Leone Sventura, Or ritorniamo a Calvaneo e al Povero;
CDIV CDXI
Che tutti gli Arbi sopragiudicava Che in su la giunta avevan fatti colpi
Per l'altezza del bel destrier formoso, Con l'aste, che parea cosa impossibile,
H qual mirabilmente furiava, Che scudi, piastre, maglie, giubbe e polpi
Or qua, or là, senza prender riposo, Ed ossa a essi non resse al terribile
E Leone Sventura si sforzava, Colpo di lancia, si che in fra le volpi
Giusta sua possa, il campion valoroso, Son giunti i cani ; ma parea invisibile
D'accostarsi a la terra, e grida aiuto, Fra gli Arbi Sinefido e Calvaneo,
Forte chiamando il Povero Avveduto. E l'un par Saladin, l'altro Pompeo.
363 CIRIFFO CALVANEO 364
CDXIL CDXIX
Sidilagi crudel, malvagio e rio E non temer che ben sarai provvisto
Che sente e vede il suo campo a soqquadro Di corridore a tua contemplazione,
Teme di non avere il suo disio Ed a quel Sidilagi iniquo e tristo
Seco dicendo: Se ben dritto squadro, Spera dargli del tuo gran punizione.
Omai quel corridor non sarà mio, Leon ripien d'affanno e d'ira misto
E pensa di colpir, lo assassin ladro, Senza star quivi a far disputazione ,
Quel su la testa con la mazza sua, Disse: Signor monta in arcion tosto
Si che non resti a nessun di lor dua. Che son di seguitarti a piè disposto,
CDXVII CDXXIV
E con ambo le man quella ebbe stretta Da che fortuna vuol ch' io sia privato
E in su le staffe tutto sollevossi, Del più degno destrier, che mai con sella
La mazza alzando , e poi calando in fretta, Al mondo fusse per uom cavalcato,
Con tutta la sua possa andar lasciossi Nė vidi bestia ancor simile a quella.
Verso la testa del destrier, che retta Cosi dicendo ciascun s'è inviato
Non potè far, ma qual vetro spezzossi Verso la terra, e Calvaneo martella
La testiera d'acciaio, e l'osso, e fello Infra gli Arbi col brando suo perfetto
Morto cader, perché ruppe il cervello. E combattendo trovò Siliametto .
CDXVIII CDXXV
Si che Leon crudelmente crucciato Che col suo colonnello aveva un cerchio
Fu bestemmiando Apollino, e Macone, Fatto d'intorno ad un certo squadrone
E Trivigante; e ritto in piè sul prato, D' Arbi, e co brandi una Chiana o un Serchio
Per render simigliante guiderdone Di sangue, di cavalli e di persone
A Sidilagi, il brando ha crivellato ; Ivi era fatto ; ma pel gran soperchio
Quel se n'accorse, e lavoro di sprone Che ne veniva con quel re fellone,
Il suo destrier, e risaltò nel campo, Di campo Siliametto die'la volta
Ecosi prese da la furia scampo Verso la terra, e suonossi a raccolta.
365 366
CIRIFFO CALVANEO
CDXXVI CDXXXIII
E così ne la terra a salvamento Or per servire vostra signoria
Trassonsi i cristian, fatto un macello Ho cavalcato notte e giorno a prova,
De'lor nemici, e funne Esdran contento, Stimando certo che grata vi sia
Quando egli intese che dentro era quello La mia venuta per la buona nuova,
Leone, ch'era ito per aver spento Benchè il mio cuor mai più lieto non sia
Di vita il Pover, ch'era suo rubello, Pel corridor che morto ivi si truova ,
Qual (come è detto) Leone Sventura Pel quale ho fatti mille sagramenti
N' avea menato dentro a le sue mura, Di vendicarlo e non stare altrimenti
CDXXVII CDXXXIV
Credendo certo che fosse cristiano Che sempre armato di questa armadura,
Mandato dal nipote di Pipino O morto rimanere in questa guerra,
Per avvisar che di poco lontano O vendicarmi di tale sciagura,
Fusse il soccorso , ch'era per cammino ; Tanto questo dolor mi stringe e serra ;
E Siliametto, e Calvaneo sovrano E sono il cavalier de la ventura
Sendo tornati, e visto il saracino Chiamato, or veggo certo che 'l non erra,
Ciascun l'abbraccia per magnificenza, Nè vo'de la ventura esser chiamato
Con tenerezza e somma riverenza. Più, anzi lo cavaliere sventurato.
CBXXVII CDXXXV
E tutta la città ne facea festa E col suo parlar finto die' lor bere
Sperando dover esser liberati Con tutto che 'l destrier gli doglia forte,
Pel re Luigi da tanta molesta : Che prima avea giurato di tenere
Or sendo la brigata disarmati Quell'arme tanto che desse la morte
Salvo Leon, che l'elmo sol di testa Al Pover, nè senz' esse mai giacere;
S'aveva tratto, e così assentati Cosi rimase e così stette in corte
Ne la zambra real di Bisantona Servito ed onorato notte e giorno:
Il Povero a Leon così ragiona. Dov'era il Pover sempre gli era intorno.
CDXXIX CDXXXVI
Or sia laudato il figliuol di Maria Con una certa sua carezza fiota
E la nostra madama, e san Dionigi. Sempre sua scorta, e leal partigiano
Per mille volte il ben venuto sia, Si dimostrava per dargli la pinta,
Che novelle ci porti da Parigi ? Come a Tibaldo avea giurato in mano.
Che di Guglielmo e de la schiatta mia ? Veduto il tratto, e glie l'are' pur cinta,
Che del magno imperieri re Luigi ? Si che fidare non si dee d'uom strano;
Che si dice di noi nel caso occorso, Ma il Pover sempre avea seco codazza,
O vien per liberarci alcun soccorso ? E'l brando cinto, e indosso la corazza.
CDXXX CDXXXVII
Acui rispose Leone Sventora, Si che Leone non potea côr posta
Siccome savio a ciò ben preparato, In nessun luoco da pigliare scampo,
E le parole sue pesa e misura E fatto circa a venti giorni sosta
E 6age, simulando essere stato Tentollo d'assaltare un giorno il campo
In Francia, e gli conforta e gli assicura Soletti senza nessuno a la costa
Del soccorso che presto fia arrivato Per dargli a tradimento fuor lo inciampo
Infallante, come era sua credenza , Sott'ombra d'allacciargli l'elmo in testa
Perché sapeva certo che in Provenza Efargli col coltello ivi la festa.
CDXXXI CDXXXVHI
Guglielmo era ito, e con seco Beltramo Ma non si appose, che 'l vischio non tenne
Per fare armata grande e mandar gente. Perchè re Siliametto a Bisantona
Però disse: Io ch' era desioso e bramo Avea giurato con parlar solenne
Di vostra cognizione, occultamente Sopra la fede e per la sua corona
Partiimi, preso quale il pesce a l'amo Che de la terra salvo uccel con penne
Dal vostro amor per la fama eccellente Non uscirebbe senza sua persona,
Di voi che oggi ne risuona il mondo Nessun, finch' il soccorso è giunto, e allora
In ponente e'n levante tutto a tondo. Ella uscirebbe insieme con lor fuora.
CDXXXH CDXXXIX
E come errante cavalier ch' io sono E questo a cautela ch' ella stesse
Per acquistar ne la mia giovinezza Con la mente quieta in parto tanto,
Onore e pregio di milite buono, Che senza nocumento ella potesse
Quale ogni generoso cuore apprezza, L'arme portare, e 'l suo baston tamanto,
Errando vo', non per prezzo o per dono, Si che forza gli fu ch'e' disdicesse
Ma combattendo sol per gentilezza, Il gir di fuora, e pur da l'altro canto
E per servire un nom famoso e degno D'uscire a campo si consuma e strugge,
Andrei sin giù di Plato nel suo regno. Che'I soccorso non viene e'l popol rugge.
368
367 CIRIFFO CALVANEO
CDXL CDXLVII
Sendo mancato il pastore a la gregge Epur Guiscardo mio ...., né altro inbocca
Ciascun giva scorrendo la pasciona, Aveva più se non singhiozzi e lai ,
Senza timor di punizione o legge, E Leone Sventura in sa la rocca
Non sendo sottoposti a la corona Era salito per trarlo di guai,
Di Siliametto, qual non gli corregge Però che sempre stava in su la cocca,
Nè etiam la regina Bisantona Dov'egli andava il seguia sempre mai,
Perché con lor non pigliassino il grillo E giunto su, sentiva tal lamento
E patteggiati dessino il vessillo, In nel principio, e con l'orecchio attento
CDXLI CDXLIX
CDLIV CDLXI
24
371 CIRIFFO CALVANEO 372
CDLXVIII CDLXXV
Credendo lui del dubbio esser sicuro Però non sia nessun, che non apprezzi
Per aver morta la sua donna e il figlio; La giustizia di Dio, che sempre è sopra :
Ma non sia niun che giudichi il futuro, Se non ne' primi di, la vien ne' sezzi,
E questo sia per ottimo consiglio. E giustamente sopra ognun s'adopra ;
Quel servo e Costantin col tempo furo Si che convien ch'al fin si raccapezzi
La ruina d'Antandro, e il suo periglio : Ogni delitto, benchè non si iscopra
Sempre il peccato chiama la vendetta, O sia evidente ne' nostri cospetti,
Mai la spada di Dio non taglia in fretta. E finalmente chi la fa l'aspetti.
CDLXXIV CDLXXXI
CDLXXXII CDLXXXIX
E la gran fama, che nel volgo suona Folco veduto in che viluppo e tresca
Di Calvaneo e'l Povero Avveduto, Egli era entrato, non gli parve giuoco
E come universal ciascun ragiona E dubita che salvo non riesca
Che l'un da l'altro è, per fratel tenuto ; Con la sua gente di sì fatto luoco,
Ma il Poverde la stirpe di Nerbona E comando a la gente Francesca
Esser si dice, ma non ha saputo Ch'ognun s'ingegni d'attaccarvi il fuoco,
Costantino in che modo questo sia, E con le spade faccin di lor fiacco
E veder l'uno e l'altro assai desia. Mettendo quella terra a fuoco e a sacco,
CDLXXXIII CDXC
Ma ora inteso come e' son costretti E sol per questo a fuggir fu costretto,
Dal re Esdran, là ne la Barberia Che'l combatter con lor sare' maltezza ;
E che chieggono ajuto a'lor distretti, E così fuor di Tunisi in effetto
E Folco con l'armata era ito via Con la sua gente recossi in fortezza,
Con trentamila cavalier perfetti, In su n'un relevato, e bel poggetto,
Provvisti ben di tutta artiglieria ; Etutto 'ntorno con molta prestezza
Costretto Costantin d'amor fraterno Fe' affossarlo , e farvi un bastione
E si per acquistar fama in eterno, Che fu al poggio la sua salvazione.
CDLXXXIV CDXCI
CDXCVI D111
Con ventimila tutti in una schiera D'inverso il monte Folco gli percnote,
De la sua gente subito si mosse : D'inverso il porto i Greci e Costantino,
Gli altri sul poggio intorno a la bandiera, Si che nessun de' Barber si riscuote
Rimasero a la guardia e a le riscosse. Col brando, o con la lancia in sul cammino,
Con l'asta bassa in ver la gente fiera Enel fuggir facean viluppi e ruote:
Si seaglia, e come folgore percosse, L'uno con l'altro si facea meschino:
Cosi tutta sua gente iscesi al piano Tra lance, e spade, e uomini, e cavagli
Seguirno il valoroso capitano. Facevan spesso montagne e serragli.
CDXCVIL DIV
Esdran che vede, istima che due campi, E così l'uno, e l'altro istringe e preme
Sien questi che cosi l'han messo in mezzo I Barberi facendone macello,
E perchè il popol suo tal furia iscampi E tanto il sangue lor per terra geme,
In Tunisi sen volle andare al rezzo, Che e' correva pel pian com' un ruscello ;
Che per l'affanno allora par che avvampi, E cosi Folco e Costantino insieme
Temendo, e de la morte avea ribrezzo, Si riscontrorno a piè d'un ponticello,
Perchè Burello era stato ferito E già per fama s'eran conosciuti,
Da Folco, e quasi di vita finito. Or con gran festa si furon veduti.
D DVII
Non essendo in fra lor capo nè guida, Folco che ſa di Costantino stima
Nè ordine, nè modo, o alcun timore, Appresso il tenne nel suo padiglione
E li Barberi traevano a le strida, Adiecimila che rimason prima
E poi fuggian via tutti a furore, In guardia al monte intorno al bastione,
Che fuor de la città nessun si fida, A tutti quanti dal piede a la cima,
E crepavan d'affanno e di sudore Imposto fu che d'ogni imbandigione
Per aver cavalcato tanto a stracca, Dessino a tutti buon provvedimento
Si che cristian potean ferire a macca. Si di riposo e di rinfrescamento.
377 CIRIFFO CALVANEO 378
DX DXVII
Da l'esercito grande de' pagani Non è da creder che ne' campi resta,
D'intorno intorno tutta circondata, Ma questo fia, qual fare un sacrifizio
Epresi tutti i passi, e monti, e piani, ADio de l'alme, che con gaudio e festa
Per distrugger la gente batteggiata, In ciel n'andranno senza altro supplizio,
Aspettando col tempo che a' cristiani E noi adesso troverem la pesta
La vettovaglia dentro sia mancata; Come arem dato lor del fatto indizio,
Ma quando Esdran co' Barberi soccorsono Si che lo 'ndagio vizio non pigliassi ;
Tanisi, i nostri cristian se n' accorsono. Chi sa se'l popol poi ce la calassi.
DX11 DXIX
DXXIV DXXXI
D'una certa guarnaccia che gli aveva, E cosi sendo in punto per partire,
Pregandol ch'egli usasse diligenza , Diceva Calvaneo a quel signore
Giusta sua possa, e lui gliel prometteva Di Samastia : E tu verrai aprire
A leal fede con ferma credenza ; La porta e risserrar, sendo noi fuore,
E Bisantona pe' figli piangeva, E non lasciar le guardie giù venire
Questa partita pur sendo trassenza Si che nel campo non dessin sentore
Tanto teneramente, e con parole In modo alcun che la porta s'aprisse
Ch'are' per tenerezza pianto il sole. Che qualche ascolta di fuor ci scoprisse.
DXXV DXXXII
Per liberar altrui , e lor d' assedio, Volendo pure stare qui a la dura :
E che per un non ne morisse tanti , No, non siam pesci che viviam di manna:
Dicendo : Qui non c'è altro rimedio : Sarebbe miglior vita e più sicura
Vo' sarete scusati tutti quanti A la foresta in una vil capanna.
Di tal trattato per uscir di tedio, Su presto uscianne, passiam via le mura,
E salverete voi, e noi avanti Chi altro pensa sé medesmo inganna :
Isbuccati sarem: fingete poi Meglio è sentir nel bosco l'usignolo
Far la festa de' maggi qui tra voi. Che il sorcio in zambra: orsu pigliamo il volo.
DXXIX DXXXVI
DXXXVIII DXLV
Mentre che Bisantona così disse, E prese un lancio con tanta destrezza
E Calvaneo al Povero Avveduto Ripigliando il baston con ambo mani
Voltandosi, un gran sospiro misse, Che gustando costor la sua fierezza,
Dicendo : Pover, noi abbiam perduto Si consumavan d' assaltar que' cani;
Ciò ch' acquistato abbiamo in tante risse, Ma Siliametto quasi con asprezza
Dove ciascun di noi in fatti è suto, La riprese con voce e gesti strani,
Che sai , mai non avemmo vergogna : Dicendo : Non far tanto del saccente
Mo ci mettiam con la mitera in gogna. Che chi tosto erra a bel agio si pente.
DXXXIX DXLVI
Qui bisogna a ciascun far del cuor rocca Se tutti andremo in un groppo serrati
Sendo preso il partito e messi in via: Chi sare' quel che ci tenessi al passo,
Di tornar dentro non se n'apra bocca, Ancor che pazzi fusson scatenati,
Anzi vogliam morir di compagnia. E non ci riterrebbe Satanasso .
Se pur fortuna addosso ei rimbocca Cosi dicendo, si furno inviati
Il campo, che ci fia tolta la via, Inverso il campo come andando a spasso,
Facciam pur forza insieme tutti quanti E giunti appresso senza alcun riguardo
Alor dispetto, si ch' andiamo avanti. Parse ciascun un cerviere, o un pardo
DXLI DXLVIII
Noi siam pur cinque di tal qualitate Quando si scaglia in selva drieto a damma:
Ch' ognun per sè si farà far la strada Così co' brandi i pagani assaltorno,
Col brando in mano fra le schiere armate, Nè altrimenti ch' a l'unto la fiamma
E questi de' due l'uno a dormir bada; S'avventa, e brugia ciò che gli è dintorno,
Leon ch'avea sue forze esprimentate Costor che non prezzavano una dramma
(Si come è detto) ne la gran masnada I Barbari , per mezzo il campo entrorno,
Degli Arbi cosi solo il giovinetto, Urtando, e fraccassando isbarre, e lici
Immediate ripigliava il detto : Non v'è nessun che non si raccaprici,
DALIL DXLIX
Tu m'hai levato dal cuore un gran peso, Perchè 'n un tratto la folgore e 'l tuono
Ma per non mi volere agli altri opporre, Giunse con tanta e si fatta tempesta,
Sendo il minimo, io stavo sospeso, Che non v'era nessun si ardito e buono
Ma or vi dico, che'l parlare occorre, Che si sapessi allacciar l'elmo in testa ;
Che in tal disio il mio cuore è acceso Per tutto il campo in un tratto fu'l suono
E spero di mostrarmi un nuovo Ettorre Di trombetti e tamburi, e nessun resta:
Sol per lasciar posmorte di me fama, Di qua, di là arme arme ciascun grida;
Come dee far chi l'onor prezza ed ama. Ma di venire avanti ignun s'affida.
DXLIII DL
Si che per tanto d' un voler disposti Sentendo il grande strepito che fano
Vi priego siate tutti a questa volta, I quattro cavalieri, e Bisantona
Che l'un da l'altro mai non si discosti, Co'brandi loro, ed a qualunque e' dano
Perché la gente del campo è pur molta. Su l'elmo il fende, o'l cervel gli rintrona,
I'so per me che mal per chi s' accosti E par che'l ciel rovini dove e' vano,
A me, che gli sarà la vita tolta, E divulgata la fama rinsona
O morirò da franco cavaliere Per tutto il campo, e chi dormiadestavonsi,
Col brando in mezzo le nemiche schiere. E sonnacchiosi l'un l'altro affrontavonsi.
DXLIV DLI
DLIL DLIX
Si che e'ſa forza ch'il nobil corsiere E non potevan far, che qualche volta,
Restasse morto, e Leon quale uccello, In qualche parte non facessin sosta,
Salto d' arcione in su 'l verde sentieri Però che tutto il campo a lor s' affolta,
Disposto in tutto di vendicar quello Ma guai a quel ch' alcun di lor s' accosta,
O di morir da franco cavaliere : Che di subito gli è la vita tolta,
Eccoti a lui l' Alpatrice Novello Si che per tema gran parte è disposta
Con l'asta bassa per porgli nel petto, Del campo, sendo morto il capitano,
Leon col brando gliel taglio di netto Lasciargli andar, che combattleano invano.
DLV DLXH
Non era a pena Leon fermo in sella Pareva ch'ella giocassi agli ossi
Che l'Almansore, ch'era capitano Non già ch' ella lasciassi mai il bastone,
Di tutto il campo de la gente fella , Ma tutti quelli ch'ella avia percossi
Con una ismisurata lancia in mano Potevan dire: Aspettami , Macone,
Gli puose a l'elmo, e Calvaneo in quella Ecco io vengo ; e così fur remossi
Trasse un ſendente a quel turco villano Dal campo senza alcuna lesione
Sopra de l'elmo, e con tanto dispetto, Nostri cristian, per la lor vigoria,
Che la spada gli misse a mezzo il petto, E preson verso Tunisi la via .
DLVII DLXIV
Perciò che 'l saracin gli diè per fianco Nè eran molto dal campo lontani
A tradimento, sì che isprovveduto I valorosi e nobili guerrieri,
Trovollo, e però viene il valor manco Che Sidilagi intesi i casi strani
A lui, che forse non sare'caduto: Si mosse con alquanti cavalieri
Rizzossi presto il giovinetto franco; Per affrontarsi, ed essere a le mani
Di ció accorto il Povero Avveduto Col padre, si com'era suoi pensieri,
Disposto far del figlio la vendetta, Però che l'odiava molto forte
Dietro a le spalle lo scudo si getta. E sol bramava di dargli la morte.
385 386
CIRIFFO CALVANEO
DLXVI DLXXIII
E perchè gli erano i campi distante Di tutto ciò che i cristiani avea chiesto,
Da l'uno a l'altro circa di due miglia, E salvando l'avere e le persone.
Pel correr si veloce lo afferrante, I miser meschini credendo questo
Battendol con gli sproni a tutta briglia, Ne feron festa, e in conclusione,
Fu al campo de'Barber in un istante Partito il messo tutto il campo, e presto
Giunto e scoppiato; non fu maraviglia Fu messo in punto a loro distruzione;
Se ciò a Sidilagi fu molesto ; Ma per meglio ischiacciar il capo al tordo
Chi è discreto, mo giudichi questo. Le porte volson prima aver d' accordo.
DOXVII DLXXIV
Esi rivolse al ciel con tanta rabbia E avute le porte misson drento
Maladicendo lo Dio Macometto, Numer di some assai di vettovaglia
Dicendo: Ah se t'avessi in su la sabbia Di pane, e vin per dar rinfrescamento,
Trarre'ti di mie mani il cuor del petto, Al popol, che per fame quasi abbaglia,
O io ti gratterei tanto la scabbia, Non per pietà, ma si per tradimento
Che de la forza rimarresti netto, Pergiungerli isprovvisti a la battaglia,
Malfusso, becco, rinnegato, e reo, Si come avvenne, che facendo festa
Peggio che turco, o marrano, od ebreo. Dentro in tra lor, soggiunse la tempesta
DLXVIII DLXXV
25
388
387 CIRIFFO CALVANEO
DLXXX DLXXXVII
Che l'oste tutta fusse entrata drento Quel che tu vedi là con Costantino
Per potere isbucar senza sospetto, Si fiero in vista, e di grande statura
Ma prima per fuggire impedimento È Calvaneo il franco paladino,
Che i fantin non piangesson per difetto, Un nuovo Marte sotto l'armadura:
Un certo oppio die' lor che nutrimento Quell' altro è nato d'un nostro cugino
Assai ne dava, e qual fusson nel letto Detto è per nome Leone Sventura,
Dormivano egualmente tutta dua Che fu figliuol di Guiscardo Orgoglioso,
Or vedi che prudenza fu la sua Nimico di pigrizia e di riposo.
DLXXXI DEXXXVI
Ch'era alta, e fe' del padiglione un salto Ed a questa ebbe il Povero rispetto
Che non fece mai cervio a la campagna. E Calvaneo , che sapevano il tutto,
1
Il Pover si scaglio sul verde smalto, Si come Esdran si metteva in assetto
Basciarsi in bocca, e di lagrime bagna E il grande stuol che insieme avea ridutto
Ciascun il volto, e rimirando in alto Per far passaggio, e per questo sospetto
Folco vedeva la bella compagna , Che il re Luigi non fusse distrutto:
Cioè di Bisantona il suo bel viso Indi partirno per essere a tempo
Che gli parve vedere il paradiso. In Franza a provveder le terre a tempo.
DLXXXV DXCIL
DXCIV DCI
Sempre stava in cagnesco, e quando avessi Con quegli avendo gran ragionamento
Veduto un tratto e' l'arebbe calata Del preterito tempo, e come, e quando
A l'amico, al parente, o a chi volessi, Esdran vol mover con l'assembramento,
Pur che la cosa gli fusse attagliata, E la cristianità mettere in bando,
Posesi quivi, perchè se e' potessi Per far Burello suo figliuol contento
Far in un tratto una bella levata Di dargli la corona a suo comando
L'arebbe fatta, e non uccellava altro: Del re Luigi, come gli ha promessa,
Ma l'un diavol gastiga ispesso l'altro. Che intende che morir debba con essa .
DXCVI DCII
Esdran un giorno richiese a consiglio Lui per l'affanno gittossi in sul letto
Ciascun parente ed amico fedele, Urlando, e si scontorce per la pena
Pare in segreto, e' feron gran bisbiglio E volson dir che gliscoppio nel petto
Contra di quel Sidilagi crudele Per la forza del tosco qualche vena,
Per ovviare e sospetto e scompiglio, Che la bocca pareva un ruscelletto
Deliberorno sotto manna e mele Pel sangue che ne getta, e mai allena
Darli l'assenzo, o vogliam dir veleno, Finché e' rimase freddo quale il marmo,
E levarsel dinanzi in un baleno. Nè fuvvi per sua vita alcun risparmo.
DXCVIII DCV
Perchè gli era uonı malvagio e traditore Cosi miseramente la sua vita
Ne l'arme molto robusto e possente, Fini re Sidilagi in Barberia.
E non portava a niuno Dio amore, Finito lui, e gli Arbi fer partita
Ed era molto copioso di gente, Col corpo, e saccheggiar tutta la via,
Perchè non si mettessi uu tratto in corte Esdran ch' aveva la partenza udita
Da piccarla a Macone, e prestamente Fu molto lieto, che quella genia
Beccarsi su tutta la Barberia Avesse isgombro del suo tenitoro,
E chiamarsi suo padre in signoria. Che con sospetto viveva di loro.
DXCIX DCVI
Feron pensier sott'ombra d' allegrezza Nè prima gli Arbi furno andati via
De la vittoria, e per bonaccia e festa, Che Esdran fece un consiglio generale
Fare un convito di somma bellezza, Dove fa il fior di tutta pagania,
E deputato il dì si manifesta, Massimamente di gente regale
E tutti gli uomin di maggior altezza Conti, duchi, bascia e subascia,
Furno invitati a celebrar tal festa ; E fovvi il Papa lor pontificale,
E Sidilagi da Burel chiamato Qual l'Arcaliffa in tra pagan si dice,
Fu al convito, e lui ebbe accettato. E l'Almansor novello, e l'Alpatrice.
DC DCVII
DCVIII DCXV
Noi siam suti percossi da' cristiani Aspetta che ne venga il Pover poi,
Già tante volte, e tanto abbiam perduto, Vedrai se ti parrà, che in casa sua
Che se saranno offesi or da' pagani, Abbi rigoglio e forza a doppio poi
Questa mi pare e lecito e dovuto. Per dare fama di sè, e gloria a sua:
Se la corona ci vien ne le mani Aspetta, aspetta quel vecchion, che poi
Del re di Francia, noi arem tributo Verrà col resto de la linia sua,
Da tutto il mondo, perchè la colonna Dico del franco Guglielmo d' Oringa
E de' cristiani, e messere, e madonna. Quale varrå sette Esdran ogni stringa.
DCX DCXVII
Uno strepito grande fer le grida: Per non vedere il macello e scupino
Ognuno Burel , Burel, Franza, Franza, Di tanti corpi, e del sangue ch'è in Senna
Ciascun Luigi minaccia e disfida Sarà allora, ch'al Tevere , o al Tesino
Come gente bestial pien d'arroganza, Egual di corso fia per quel che accenna
Ch'ognun nel grande esercito si fida ; Questo esercito tanto saracino
Ma e'non fia al bisogno abbastanza, Da stancare ogni mano ed ogni penna,
Però che Rinovardo del Pinello Dove per far d'una corona acquisto,
Con Bisantona ne faran macello . Ne perderà quaranta il popol tristo.
DCXH DCXIX
E rimarravi con tredici figli E questo fia per lor l'ultimo tuffo,
Il vecchio Esdran per man di Rinovardo, Si che, in eterno ne saran dolenti
Che farà i rivi di sangue vermigli Per questo marziale e gran baruffo ,
Col suo Pinel pel francese stendardo. Nel qual prosumon d'esser sì saccenti,
Aspetta pur che con lor s'accapigli, Di dare al cristianesimo di ciuffo ,
Vedrai che di nessuno arà riguardo, E ad un soffio avergli tutti ispenti ;
Ch' al proprio padre ne lo stormo fello Ma lascia pur passare il gran drappello
Morte darà dopo a ciascun fratello. Che buoi andranno da loro al macello.
DCXIII DCXX
DCXXH DCXXIX
Si che per tutto quanto il paganesimo Benché pur di lontan vedessin quelle
Ognun s'assetta, ognun taglia, e minaccia La sua statura, per vederla in viso
Già pensa Esdran d'avere il cristianesimo Ch'ogn'altro eccede, e gli occhisao'due stelle
Senza redenzion ne le sue braccia, Parevano, e si bel non fu Narciso,
Con intenzion di spegnere il battesimo La fronte e'l naso, e le sue guancie belle
Che mai più se ne vegga seme o faccia, Pareano consecrate in paradiso,
Per vendicarsi d'ogni ingiuria antica : Si ben proporzionate, e il giorno questa
Or ritorniamo un po' fra quella ortica; Un bel cappel d'acciaio aveva in testa
DCXXIV DEXXXI
Lasciando in porto senza dubbio ilegni, Cioè di bocca a tanti mastin cani,
Benché a la guardia vi rimase alquanti, Ch' avevan posto lor si fatto assedio,
ECostantin con que' cavalier degni Che forza era venir ne le lor mani
Verso Parigi, e con suoni e con canti O vivi, o morti, senza alcun rimedio;
Andonne, e giunti ne' Francesi regni E disse come lasciorno i cristiani
Sendo la lor tornata intesa avanti , Di Costantina ch' uscissin di tedio
Veniva incontro a lor tutto Parigi Fingendo dare a' pagani il reame
Gridando ognan Nerbona e san Dionigi. E noi per non voler morir di tame.
DCXXVIII DCXXXV
DCXXXVI DCXLII
Edisse come gli avevan lasciati Cioè ch' ognun tornasse in suo paese
In braccio a la fortuna, a la ventura, Senza far più in Parigi dimoro
Ma molto a Dio gli avean raccomandati : Stimando d'aspettar quivi l'offese,
Di poi a Carsidora in iscrittura Cosi prepari ognun suo tenitoro,
Avendogli per grazia Dio salvati; D'artigliere e d'uomini in arnese,
E disse come Leone Sventura E tutte le castella, e città loro
Era fio di Guiscardo, e brevemente Fortificati sian di fossi e muri
Gli dissedi Tibaldo fraudolente. E sbarre, si che dentro istian sicuri.
DCXXXVII DCXLIV
Tornati siamo con fermo proposito, Conle sue mani in questo degno seggio,
Che se passan di qua far le vendette Equando in testa l'ha, la chiami sua ;
Di tanti scherni avuti: e che l'opposito Quando che no, Burel, fia da motteggio
Sarà di tutto ciò che Esdran promette, Di Franza re, se già non siete dua;
Qui bisogna mandar gente in deposito E anco sendo lui, n' andrà col peggio
A le frontiere a stare a le velette Stando in esilio, e tu qui in casa tua ;
E fare a tutti i porti provvidenza Ma tu se'l puoi chiamar, disse Aluis,
D'artiglierie, e massime in Provenza. Nani nani per san Gian di Paris .
DCXLI DCXLVIII
Di questo, e fuvvi varie opinioni, Ch' ognun tornassi al suo regno in effetto
Chi consigliava fare una grand' oste, Mostrando fare estima del nemico
Chi grande armata, e ciascun le ragioni Che chi nol prezza, e poi se 'l trova a petto
Assegnava nel far le sue proposte, Le più volte ne resta alfin mendico,
Ma il buon Guglielmo con grati sermoni, Or ciascun soddisfaccia a quanto ha detto
Tutte le altre dispute ebbe deposte, In nel consiglio quel campione antico,
Dando consiglio che parve solenne Senza più ricercare altri consigli
A tutti, e fu, e però quella ottenne. E salverete i regni vostri, e i gigli.
397 CIRIFFO CALVANEO 398
DCL DCLVII
Ultimamente fu rettificato Delaqualealuoco, e a tempoil nome el'opre
Da tutti senza alcuna differenza, Noto sarà per tutto l'universo,
A quel ch'avea Guglielmo consigliato, Che morte per destino or cela e copre
E da Luigi ognun prese licenza ; Ne l'urna il padre detto in altro verso,
E fu ciascun nel suo regno tornato Questo emicante sol vita nè scopre
Chi in Fiandra, chi in Borgogna, chi in Provenza , In nel futuro, e più lucido e terso :
E chi nando in Guascogna, chi in Bertagna Che il proprio genitor, qual fu si degno
E chi ne la Ragona, e chi in Ispagna. Milite ornato, e di scettro e di regno.
DCLI DCLVIII
DCLXIV
contenute
N. B. Il numero romano indica il canto della prima parte, gli altri sono distinti col voc. Agg.
e l' arabo la stanza .
Sposa Siliametto, 285. Ha due figli, 382. drina che voleva uccidersi e la fa cri-
Lascia la città di Costantina, e si ritira stiana. Agg. I, 254 e seg. Lascia il mon-
al campo di Folco passando attraverso te Carmelo e si porta a Parigi, 290 e
le tende dei Barbari , 536. Suo ingresso seg. Abbraccia il Povero, 300. Accolto
a Parigi , 629 e seg. da Luigi e dai Paladini, 302. Parte da
Biscia, capo de' corsari. Agg. II, 364, c Parigi col Povero, 318. Dà l'assalto
seguc. alle vettovaglie d' Irlacone, 393 , 403.
Brancaleone, figlio d' Esdran. Agg. II. 566. Passa con artifizio tramezzo il campo di
Brocante, d' Aspalena, Agg. I, 572. Capi- Irlacone, 422. Entra in Samastia, 433 e
tano generale dell'armata d'Irlacone, 532. seg. Accolto da Carsidora, 436. Esce
Brunadoro, nipote di Irlacone. Agg. Par- con l'esercito per vettovaglia, 478 с
te, I, 427. Assalito da Ciriffo e Sinefido , seg. Respinge tre assalti dei nemici, 489
429 e seg. Pugna con Sinefido, 457 e e seg. Pugna, 652 e seg.; II, 8. Prigio-
segue. niero di Bisantona, 55 e seg. Preso da
Brunaspina, figlia di Carpisante. Agg. II, Irlacone e mandato al castello di Tron-
198. Ama Sinefido, 245 e seg. Lo libe- cavalle, 77 , 145 e seg. Liberato da Si-
ra di prigione e fugge con esso, 253 e nefido, 169 e seg. 192. Preso con l'op-
seg. S' addormenta, ed i corsari rapisco- pio da un ministro di Carpisante, indi
no Sinefido, indi per dolore si uccide, pigliato dai corsari, 214. Si scontra in
331 e seg. alla 353 . una nave ov'è pure prigione il Povero,
Burello, figlio di Esdran. Agg. II, 566. il quale dopo una fiera battaglia lo ri-
Consigliato dal Povero assalta gli Arbi conosce, 363 alla 391. Pugna con un
li scaccia da Tunisi, 600. Elegge il Po- drago e con un leone, 416 e seg. Per-
vero capitano dell' armata, 606. Lo odia cosso da Sidilagi, 446. Ospite d' Alean-
per invidia, 620. Gli tende insidie, III, drina, 453. Soccorre Leone Sventura,
5 e seg. Fa lega con Sidilagi a danno III, 408. Suo consiglio di abbandonar
del Povero, 8. Lo assalta a tradimento Costantina, 513 e seg. Passa colla bri-
co' suoi fratelli che restano da lui solo gata attraverso il campo de' Barberi.
feriti, 33 e seg. Suo consiglio contro Si- 536 e seg. Va a Costantinopoli con Co-
nefido, 108. Fugge dalla strage che fa stantino suo fratello, 653.
Ciriffo co' suoi compagni chiusi nel suo Cironeo, re, amico di Sinefido.Agg. II, 619.
palazzo, 127 e seg. Eletto capitano del- Gli dà avviso dei tradimenti d' Esdran,
I'armata che deve passare in Francia, III, 65, 88. Gli dà ajuto ad uscir di Ta-
622 e seg. nisi ov'era chiuso, 167 e seg. 172 .
Cornes Dalis, III, 27 ; IV, 42. Sue schiere
V, 6. Entra in battaglia, 29, 33. Suo
valore, 40, 117. Giostra in Tunisi. Agg.
11, 563.
Costantino, figlio d'Antandro re di Grecia,
C fratello di Ciriffo Calvaneo . Agg. III,
472. Soccorre il Povero e Giriffo asse-
diati in Costantina, 483. Entra nel por-
to di Tunisi e si unisce all' armata di
Gaosso, gigante. Sue dispute col Povero.
Agg. 327 e seg. Si battezza col nome
Folco, 494. Suo valore, 505. Conduce
seco Ciriffo a Costantinopoli, 653.
di Sansone, 384. Dà l'assalto alle guar-
die delle vettovaglie d'Irlacone, 393 e
seg. 407. È ucciso, 411.
Carbonchione o Carbonel gigante, VI, 88.
Carbone, gigante Agg. Parte 1, 589. Sfida D
solo tutti quei di Samastia, 593 e seg.
Ucciso da Sinefido 627 .
Carpisante, Agg. 11, 17. Ingannato dal
cancelliere del campo d' Irlacone, 173.
Fa prigioniero Sinefido, 241. S' impicca Danidonia, dona sè stessa ed il regno di
per la rabbia della fuga di Sinefido e Cipro a Leone Spinetto, III, 29, 57 , 58.
sua figlia Brunaspina, 312 alla 324. Assediata entro una torre dal padre, 59,
Carsidora, accoglie Ciriffo e Sinefido. Agg. 60. Liberata da Folco, IV, 5t e seg.
Parte 1, 436, 466. Sua beltà e gentilez- Guarda Lionetto in battaglia da un pog-
za, 546 e seg. Suo timore all'appressarsi gio, V, 69.
del campo nemico, 587 e seg. Drusilla, accoglie Aleandrina . Agg. I, 307 .
Ciriffo Calyaneo, I, 1. Sua nascita, 134. Uccisa da Sidilagi figlio di Aleandrina,
Sua educazione, II, 2, 3 , 14 e seg. Va II, 403 .
a Costantinopoli, III, 3 , 4. Uccide An- Duramen, padre di Danidonia, vedi Adn-
tandro suo padre, 14. Si battezza e va ramen.
PR
CA
OT
A STI
CENO
OL
SC
18 ४
S' १५०१
S
INDICE
*
IO
! TA
TE
68616
A
C
T
A
C
31083