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L'arte Preistorica

Il documento descrive l'evoluzione dell'arte preistorica dall'Homo sapiens fino all'età del ferro, evidenziando le principali tappe artistiche come le pitture rupestri, le sculture e le costruzioni megalitiche. Le pitture rupestri, caratterizzate da rappresentazioni di animali e impronte di mani, riflettono la vita e le credenze degli uomini preistorici, mentre le sculture, come le 'veneri', simboleggiano la fecondità. Con l'avvento dell'agricoltura, l'arte si evolve verso forme più stilizzate e astratte, culminando nella costruzione di megaliti come menhir e dolmen, che hanno anche significati religiosi e astronomici.
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L'arte Preistorica

Il documento descrive l'evoluzione dell'arte preistorica dall'Homo sapiens fino all'età del ferro, evidenziando le principali tappe artistiche come le pitture rupestri, le sculture e le costruzioni megalitiche. Le pitture rupestri, caratterizzate da rappresentazioni di animali e impronte di mani, riflettono la vita e le credenze degli uomini preistorici, mentre le sculture, come le 'veneri', simboleggiano la fecondità. Con l'avvento dell'agricoltura, l'arte si evolve verso forme più stilizzate e astratte, culminando nella costruzione di megaliti come menhir e dolmen, che hanno anche significati religiosi e astronomici.
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300.

000 anni fa nasce in


700.000-300.000 a.C. Economia Paleolitico inferiore Africa l’homo sapiens
di caccia e Prime pitture rupestri in
300.000-40.000 a.C. di raccolta Paleolitico medio Indonesia
Pitture rupestri e piccole
40.000-10.000 a.C. Paleolitico superiore sculture in Europa
Nascita dell’agricoltura
10.000-7.000 a.C. Economia Mesolitico Si diffonde la terracotta
basata su Sul finire del neolitico
7.000-4.000 a.C. agricoltura e Neolitico nascono i graffiti rupestri
allevamento Costruzioni megalitiche
4.000-2.500 a.C. Età del rame Invenzione della scrittura
Scoperta del bronzo
2.500-1.200 a.C. Età del bronzo (lega di rame e stagno)

Introduzione di arnesi di
1.200-700 a.C. Età del ferro ferro come la martellina,
usata per incidere la pietra
Le pitture rupestri del Paleolitico hanno come tema dominante la raffigurazione
degli animali. In un’era in cui il sostentamento dell’uomo è basato sulla caccia, la
rappresentazione realistica dell’animale allude al suo possesso tramite la cattura.
L’artista-mago esercita le sue facoltà propiziatorie per favorire la morte
dell’animale cacciato. Gli animali più raffigurati, infatti, sono i più difficili da
combattere, come il mammut o il bisonte, per i quali si riteneva necessaria
una pratica magica. Invece un animale come la renna, che non aggredisce
l’uomo ed è facile da catturare, compare di rado nelle pitture rupestri.
Le più antiche pitture rupestri, risalenti ad oltre 50.000 anni fa, sono nella grotta
di Leang Tedongnge in Indonesia. L’artista-mago vi ha dipinto 4 cinghiali in ocra
rossa, descrivendo con accuratezza il pelo ispido e le protuberanze sul volto.
In Europa la pittura rupestre compare più tardi, nelle grotte dell’Ardèche, di
Lascaux e di Altamira. Le pitture della grotta Chauvet, nella regione francese
dell’Ardèche, si datano tra il 34.000 e il 30.000 a.C. Vi sono raffigurati bisonti,
mammut e rinoceronti che si accalcano con eccezionale dinamismo.
Gran parte degli animali sono incompleti o solo abbozzati, ma sono descritti realisti-
camente e dotati di una notevole resa plastica. I colori sono applicati direttamente
sulla pietra calcarea, che grazie all’umidità della grotta ha trattenuto i pigmenti.
Tuttavia, per assenza o carenza di leganti, gran parte del colore è caduta, lasciando
solo i contorni delle figure.
Intorno al 17.000 a.C. si datano le pitture della grotta di Lascaux, nella Francia
sud-occidentale, scoperte da uno studente durante la Seconda Guerra Mondiale.
Vi sono raffigurati diversi animali, quali bisonti, tori e orsi, in cui si ravvisa
un’eccezionale ricerca di plasticità e di naturalismo. Più rara è la figura umana,
che si presenta in forme stilizzate. L’utilizzo di grassi animali come legante ha
permesso la buona conservazione dei colori.
I medesimi caratteri si riscontrano nelle pitture della grotta di Altamira, nella
Spagna nord-orientale. Le pitture della volta, che si datano intorno al 15.000
a.C., raffigurano un branco di bisonti nelle loro proporzioni reali: alcuni
raspano il terreno, altri sono accovacciati, altri cadono abbattuti da lance.
Le figure acquistano profondità e rilievo grazie al colore, al chiaroscuro
e all’uso sapiente delle protuberanze della rupe. Nelle visioni di scorcio,
si avverte persino una ricerca prospettica, attuata in modo intuitivo.
Per eseguire queste pitture, fu necessario illuminare le pareti delle grotte,
realizzando impalcature per le parti più alte. Il colore si stendeva sfregando la
pietra sulla superficie, oppure macinando la pietra e applicandola con le dita o con
rudimentali pennelli. Si usavano colori naturali: il bianco ricavato dalla pietra
calcarea, il nero dal carbone, l’ocra dalla terra, altri colori da succhi d’erba.
Un’altra tipologia di pittura rupestre è costituita dalle impronte di mani,
stampate in positivo o in negativo, usando le proprie mani come matrice. Il
significato di queste pitture, ritrovate in ogni continente, è simbolico: nel
Paleolitico, la mano può indicare la cattura dell’animale, mentre nel Neolitico
può indicare il possesso della caverna.
Le più antiche impronte di mani, associate al tema della caccia, sono quelle
ritrovate nella grotta di Leang Tedongnge.
Nel campo della scultura, le prime
testimonianze sono le “veneri” paleolitiche,
piccole statue che rappresentano la donna
come generatrice di vita. Un esempio è la
Venere di Willendorf (Vienna, Museo di
Storia Naturale) scolpita in pietra calcarea e
tinta di rosso intorno al 27.000 a.C.
Simbolo di fecondità, la donna è mostrata
nuda e prosperosa, con accentuazione degli
attributi femminili (seno, ventre e glutei),
mentre una ricca acconciatura, o forse un
copricapo, le nasconde il volto.
Venere di Lespugue (25.000 a.C.).
Parigi, Museo dell’Uomo.

Le veneri paleolitiche, che si


diffondono in Europa dopo il 40.000
a.C., erano indossate come amuleti o
depositate presso i santuari, che spesso
erano sorgenti d’acqua. Dopo
l’invenzione dell’agricoltura, nasce
l’uso di seppellire le veneri nei campi
per propiziare un buon raccolto.
Intorno all’8.000 a.C., a partire dall’alta Mesopotamia, l’uomo impara a coltivare la
terra e addomesticare gli animali, sia per usi alimentari che per usi agricoli (aratura,
semina etc.). Non più costretto a vagare in cerca del cibo, l’uomo da nomade diventa
sedentario e sviluppa un nuovo stile di vita. Invece di rappresentare l’animale per
propiziarne la cattura, tende ad esprimere scene agricole, scene di guerra, o concetti
astratti come il bene e il male. Superato il bisogno di simulare la realtà, l’arte del
Mesolitico stilizza la natura, fino ad evolversi in una completa astrazione.
Conseguente all’invenzione dell’agricoltura è la produzione di recipienti di
terracotta, poiché la ricchezza, in una società agricola, è data non solo dalla
prole, ma anche dai beni accumulati. Si modella l’argilla umida solo con le mani,
senza l’uso del tornio. Alcuni recipienti in terracotta presentano decorazioni
geometriche, che probabilmente hanno un valore simbolico.
Al Mesolitico risale il più antico villaggio che si conosca: Çatal Hüyük in
Turchia. Il villaggio è composto da case addossate le une alle altre, senza strade.
L’accesso alle case avveniva tramite una botola nel soffitto, in cui era inserita una
scala a pioli. I muri erano in mattoni d’argilla cruda, mentre i soffitti, verosimil-
mente, erano composti da travi di legno e canniccio, coperti da un intonaco a base
di gesso. Il villaggio fu costruito dal popolo degli Hatti intorno al 7400 a.C.
Durante il Neolitico, alle pitture rupestri subentrano i graffiti, sempre più
stilizzati, di cui abbiamo numerosi esempi in Valcamonica nelle Alpi. I graffiti più
antichi, i cosiddetti ‘oranti’, raffigurano uomini in preghiera a braccia alzate.
I graffiti più recenti rappresentano scene di guerra e sono incisi sulla roccia con
la ‘martellina’, nuovo strumento in ferro. Il ferro prese il sopravvento sul bronzo
quando cessarono le importazioni di stagno dall’Inghilterra (il bronzo è una lega
di stagno e rame).
All’età del rame risalgono le prime costru-
zioni megalitiche (da mega, grande e lithos,
pietra), diffuse specialmente in Europa.
I megaliti si dividono in tre gruppi:
i menhir, i dolmen e i cromlech.

I menhir, che in bretone significa “pietra


lunga”, sono blocchi di pietra infissi nel
terreno in posizione verticale; essi indicavano
una sepoltura individuale e, probabilmente,
avevano anche un significato religioso.

A lato, menhir di Champ Dolent, in Bretagna


Dolmen di Monte Freddone nelle Alpi Apuane

I dolmen, che in bretone significa “tavola di pietra”, sono composti da due


pietre verticali, su cui poggia una lastra orizzontale; essi indicavano una sepol-
tura collettiva. È la prima idea di architettura basata sul sistema trilitico, dove
due elementi verticali (piedritti) ne sostengono uno orizzontale (architrave).
I cromlech, che in bretone significa “pietre in circolo”, sono composti da file di
menhir e dolmen disposti in circolo intorno a un altare. I cromlech erano luoghi
di culto, ma anche calendari solari, che permettevano di individuare le stagioni
e, quindi, i momenti delle colture e delle transumanze.
Il cromlech più antico sorge a Nabta Playa, in Egitto, e si data al 4.000 a.C.
ma il cromlech più famoso è quello di Stonehenge, in Inghilterra, che fu costruito
in più fasi dal 3.000 al 1.600 a.C. Il cromlech si articola in 5 cerchi concentrici
intorno a un altare: il cerchio più esterno, del diametro di 100 metri, è composto
da un fossato e da un terrapieno. I 4 cerchi interni sono composti da pietre infisse
nel terreno, allineate a distanza regolare.
Di fronte all’altare, ma all’esterno del perimetro del santuario, è posto un altro
megalito che indica il punto in cui sorge il sole nel giorno del solstizio d’estate.
Probabilmente, il cromlech serviva per il culto del sole, considerato fonte di vita
poiché regolava la vita dell’uomo e l’alternarsi delle stagioni.
La pietra d’altare di Stonehenge viene dalle Isole Orcadi, in Scozia, dove sorge
il villaggio di Skara Brae (3.000-2.500 a.C.) con abitazioni circolari in pietra
a secco. Ogni abitazione ha un focolare al centro, letti e scaffalature di pietra
lungo le pareti interne. Il tetto era composto da ossa di balena e zolle di terra.
Abbasanta, Nuraghe Losa
In Italia abbiamo un altro tipo di costruzioni megalitiche: i nuraghi sardi, case-
fortezza di forma tronco-conica, che si datano tra il 1800 e il 1000 a.C. La forma è
originata dalla tecnica di costruzione, che prevede solide fondazioni con massi
squadrati e sovrapposti a secco, senza leganti, tenuti insieme dal loro stesso peso.
Abbasanta, Nuraghe Losa, la camera interna con falsa cupola (tholos)
Man mano che il costruttore
procedeva in altezza, riduceva la
dimensione dei massi.
L’interno del nuraghe è composto
da una o due camere circolari
sovrapposte, dotate di copertura a
tholos, ovvero di falsa cupola
costituita da circoli di pietre
sempre più aggettanti. Nello
spessore delle mura è ricavata una
scala elicoidale, che consente di
accedere alle camere e alla
terrazza sommitale, munita di
parapetto. La scala è illuminata nel
percorso ascendente da feritoie.
Alla civiltà nuragica si devono, inoltre, le più antiche statue monumentali a
tutto tondo ritrovate in Occidente: sono i Giganti di Mont’e Prama, statue
di guerrieri in arenaria alte più di 2 metri e datate intorno al 1.000 a.C.
Le statue, conservate nel Museo Archeologico di Cagliari, provengono da una
necropoli nella penisola del Sinis, sede di commerci con i popoli orientali.
Si ritiene che i Giganti abbiano
ispirato la piccola statuaria in
bronzo, i cosiddetti bronzetti
nuragici, che sono stati ritrovati
in numerosi siti della Sardegna.
I bronzetti sono statue
miniaturistiche con funzione di
ex voto, che rappresentano i più
vari soggetti: principi, guerrieri,
divinità, animali domestici,
oppure oggetti d’uso comune
come i carri e le navi.
La cospicua presenza di navi testimonia la dimestichezza degli antichi sardi
con il mare, che spiegherebbe le relazioni culturali con i popoli del Mar Egeo.
In Toscana, tra il Monte Gabberi e la Sella dell’Anguillara, vi sono le
incisioni delle Alpi Apuane, realizzate dai Liguri nella tarda età del
bronzo. Soggetto delle incisioni è il ‘pennato’, uno strumento composto
da una breve impugnatura e una lunga lama che si curva all’estremità.
Il pennato, oltre a essere un’arma e uno strumento di lavoro, è associato a
Silvano, il dio delle selve, e la sua rappresentazione può essere legata a riti
sacri. Talvolta il pennato si affianca a simboli sessuali femminili, quindi
potrebbe essere un simbolo fallico e alludere alla fecondità della terra.
Non lontano, sul Monte Freddone, abbiamo anche un esemplare di dolmen.
È stato osservato che durante l’equinozio, cioè quando il sole è allo zenit
dell’equatore, la luce attraversa il dolmen.
Ai confini meridionali della Toscana, invece, abbiamo un cromlech composto da
dieci megaliti in circolo. Il monumento, datato al 2500-2300 a.C., è ubicato a
Poggio Rota nel comune di Pitigliano.
Sembra che, in occasione di ogni
solstizio e ogni equinozio, il sole al
tramonto illuminasse la vetta di un
determinato megalito.

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