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M. Sarfatti - Gli Ebrei Nell'italia Fascista

Il documento analizza la storia degli ebrei in Italia durante il periodo fascista, evidenziando la progressiva erosione dei loro diritti e la violenza subita. Si discute l'evoluzione della loro identità nazionale e la loro partecipazione alla vita politica e sociale fino all'ascesa del fascismo, che portò a un crescente antisemitismo. Infine, viene esaminata la demografia e la condizione sociale degli ebrei italiani negli anni Venti e Trenta, sottolineando il loro alto livello di istruzione e la loro integrazione nella società italiana.

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M. Sarfatti - Gli Ebrei Nell'italia Fascista

Il documento analizza la storia degli ebrei in Italia durante il periodo fascista, evidenziando la progressiva erosione dei loro diritti e la violenza subita. Si discute l'evoluzione della loro identità nazionale e la loro partecipazione alla vita politica e sociale fino all'ascesa del fascismo, che portò a un crescente antisemitismo. Infine, viene esaminata la demografia e la condizione sociale degli ebrei italiani negli anni Venti e Trenta, sottolineando il loro alto livello di istruzione e la loro integrazione nella società italiana.

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Gli ebrei nell’Italia fascista

La storia degli ebrei italiani comprende un segmento cronologico di vent’anni che comincia e finisce in
concomitanza con l’ascesa e la definitiva sconfitta del fascismo, durante il quale gli ebrei subirono violenze di
ogni tipo e vennero privati dei loro diritti e del loro lavoro, fino ad arrivare alla negazione del diritto stesso di
vivere (negazione del loro status giuridico e sociale). Tutto questa processo di erosione delle esistenze non
ebbe uno sviluppo lineare, ma fu un processo complicato, ed ebbe uno sviluppo processuale, fatto di tappe
collegate tra loro, ma non necessarie (“Progressione persecutoria”). Quindi, l’intero processo che fondava le
sue radici in tempi passati, ebbe vita e termine con i governi guidati da Mussolini.

I. Gli ebrei all’avvento del fascismo

L’eredità dell’Ottocento

Durante la guerra contro l’Austria, nel 1848, Carlo Alberto di Savoia concesse i diritti civili agli ebrei piemontesi
e liguri, mettendo così fine alle persecuzioni (la revoca della legislazione antiebraica costituì una delle richieste
armistiziali dell’alleanza degli Stati francesi).
Come affermò Arnaldo Momigliano, la storia degli ebrei in qualsiasi stato italiano dal XVII al XIX sec. Era la
storia della formazione della loro coscienza nazionale italiana. Infatti, la formazione della coscienza nazionale
negli ebrei fu parallela, e non posteriore, a quella del resto degli italiani non ebrei. E parallelo fu anche il
processo di costruzione di uno stato unitario nazionale e indipendente e il processo di emancipazione giuridica
degli ebrei, anzi tali processi furono coincidenti e intrecciati tra loro (nel 1870, Vittorio Emanuele II ordinò la
cessazione di ogni disuguaglianza fra i cittadini e la nuova realtà creatasi determinò l’interruzione della serie di
congressi nazionali organizzati dai dirigenti delle comunità ebraiche nazionali, perché gli ebrei italiani sentivano
di non avere più problemi specifici nazionali).

Nel corso dell’Ottocento, il gruppo ebraico italiano era contraddistinto da varie particolarità:
- Per il loro comportamento demografico medio: gli ebrei presentavano tassi di mortalità e di natalità migliori
rispetto al resto della popolazione;
- Maggior istruzione
- Erano avanzati in campo economico, grazie alla mobilitazione intensa registrata tra gli operatori ebrei del
Reggiano per l’adozione A Guastalla nel 1864 del sistema metrico decimale nelle misure e nei pesi;
- Elevata presenza ebraica, a metà Ottocento, nel ristretto corpo elettorale del regno, perché gli ebrei
presentavano più di altri le condizioni fissate dalla legge elettorale piemontese per l’elettorato attivo (saper
scrivere – possedere un determinato censo – svolgere una professione qualificata).
Inoltre, nei collegi elettorali di loro residenza il loro voto risultò più influente (come nel caso della rielezione di
Camillo Cavour nel 1853).
Essi svolsero un ruolo importante nel processo di costituzione politica e sociale della nazione e nel suo primo
periodo di vita.
Quindi, gli ebrei d’Italia divennero italiani parallelamente al resto della popolazione, ma con maggiore rapidità.
Ciò fu garantito anche dal fatto che dopo l’unità laica d’Italia*, venne offerto loro “la prospettiva di identificarsi
con un insieme di valori della modernità.

* Laica perché l’Italia ha raggiunto l’unificazione lottando contro la propria religione.

La partecipazione sociale e politica degli ebrei comportò una trasformazione e riduzione della partecipazione
alla vita religiosa ebraica. All’impegno politico corrispondeva un progressivo abbandono e trascuratezza delle
pratiche di rito e culto. Tuttavia, tali trasformazione non avevano niente a che fare con la riforma portata
avanti dall’ebraismo tedesco. Essi vissero una religione lontana dall’ortodossia, modernizzata e adattata alla
società circostante.
Inoltre, l’Italia fu il porto di correnti migratorie ebraiche (tardo Ottocento: 1871-1900) che, sebbene di piccola
dimensione, determinò un saldo migratorio positivo, perché la maggioranza dei flussi non proveniva da est ma
dal Mediterraneo orientale e meridionale, ovvero da aree sotto l’influenza italiana. Essi così contribuirono
all’accettazione nazionale degli ebrei italiani, riducendo il rischio di agitazioni antiebraiche contro gli israeliti
stranieri o apatridi. Anche grazie all’annessione di Roma al regno d’Italia, la Santa Sede procedette a una
revisione del ruolo attribuito agli ebrei in relazione alla rivoluzione che dalla fine del Settecento stava
modificando la società cristiana. Ciò fu anche una reazione alla nascita e all’affermazione dell’Alliance israélite
universelle, un’associazione solidaristica e assistenziale costituita nel 1860 (fu la prima organizzazione
internazionale creata da ebrei e che ebbe una grande influenza sull’Europa Liberale e venne descritta come la
sede organizzativa della supposta conquista ebraica del mondo).
Tuttavia, il ceto dirigente civile della nazione mantenne un’impronta antiebraica. Ma la posizione della Chiesa
venne ufficialmente ribadita nei primi decenni del XX secolo dal presidente del consiglio dei ministri Giovanni
Giolitti, durante la guerra italo-turca (1911-1912), il quale riaffermo il rispetto assoluto di tutte le religioni.

Nazione, religione e politica alla vigilia del fascismo

Nel primo ventennio del Novecento, gli ebrei occupavano la maggior parte delle cariche più alte della società
italiana, raggiungendo un’ampiezza numerica e una rilevanza qualitativa importante (es: presidente del
Consiglio dei ministri; ministro della Guerra; ministro di Grazia e giustizia e dei Culti…). Le donne ebraiche,
sebbene non potessero partecipare alla vita istituzionale del paese, in quanto donne, si impegnarono
nell’ideazione e realizzazione di progetti educativi e culturali (come la prima scuola agraria femminile italiana).
A inizio secolo, quindi, gli ebrei italiani erano entrati in una fase di ridefinizione ed evoluzione delle proprie
identità ebraiche e italiane. Già alla fine del XIX secolo, gli ebrei avevano assimilato la vita nazionale, cioè
vivevano la propria vita nel quadro della nazione e non come membro della collettività ebraica seguendo le
proprie tendenze personali (ci furono anche coloro che arrivarono a rinnegare la religione dei padri e
abbandonarono la comunità, abbracciando il laicismo). Nacquero, quindi, nuove identità ebraiche, più moderne
e che si caratterizzavano come nazionali, religiose e integrali, in contiguità o all’interno del fermento sionistico,
impegnandosi attivamente a favore della cultura ebraica. Inoltre nel secondo decennio del Novecento gli ebrei
stabilirono interrelazioni sempre più diverse con le idee nazionalistiche e con le vicende belliche
euromediterranee. In quegli anni l’identità ebraica e la nazione si trovarono ancora una volta connesse nel
processo di definizione di struttura nazionale delle università israelitiche. Infatti, nel 1909 si riunì un nuovo
congresso delle comunità ebraiche italiane e nel congresso del 1914 si decise di costituire un Consorzio delle
università e comunità israelitiche italiane, avente il compito di occuparsi delle varie comunità ebraiche e posto
sotto la direzione del Comitato delle comunità. Ciò permise di integrare ulteriormente le comunità ebraiche
alla Patria. Il Consorzio, nel gennaio 1921, diede vita al Comitato italiano di assistenza agli emigrati ebrei, I
organismo moderno a dimensione nazionale. Alla guida di Angelo Sullam, esso aveva le principali sedi a
Venezia e a Trieste (per i suoi intensi traffici portuali).

Questa ridefinizione del proprio profilo ebraico-italiano venne favorito da molteplici eventi:

- piena partecipazione (ideale e materiale) di molti ebrei all’impegno degli stati nella IGM (1914-1918).

- Il pubblico riconoscimento dell’esistenza di un vero e proprio “popolo ebraico” avente il diritto di costituire in
Palestina la propria sede nazionale (la prima fu la Gran Bretagna nel 1917, un anno dopo anche l’Italia si
pronunciò a favore di un centro nazionale ebraico);

- La nuova postura assunta dal Regno d’Italia nel contesto ebraico del Mediterraneo centrale e orientale in
seguito alla guerra italo-turca (1911-1912) e in seguito al grande conflitto mondiale.

→ Infatti durante il processo espansionistico italiano nel Mediterraneo, il ministero degli affari aveva avviato
una politica “ebraica” (tra cui prevedeva la costruzione di un’associazione italianizzante degli ebrei sefarditi).
Tuttavia tale progetto si arrestò nella primavera del 1920.

Infatti l’espansionismo italiano nel Mediterraneo fornì, oltre alle violente inquietudini postbelliche, stimoli
all’antisemitismo italiano (gli ebrei erano accusati di avversare la guerra o di professare la turcofilia).
Inoltre nel febbraio 1921, Giovanni Preziosi, fascista, pubblicò la prima traduzione italiana dei Protocolli dei
“Savi anziani” di Sion1 (pubblicato poi a puntate sul periodico cattolico integralista “Fede e ragione”).
Quindi, una volta cessata la guerra, gli ebrei dovettero far fronte a nuove tensioni e conflitti.
Sebbene nel periodo postbellico il sentimento antisemita era forte, moltissimi ebrei presero parte attivamente
alla vita politica nazionale. Grazie alle loro caratteristiche sociali (alto grado di istruzione; residenza
esclusivamente urbana; consistente appartenenza al ceto medio), occupavano posizioni elevate nei vari
movimenti politici. Inoltre, gli ebrei italiani erano fascisti come gli altri italiani (dovuto anche dal fatto che nei
primi anni di vita il Pnf non era antisemita) e più antifascisti degli altri italiani (es: Claudio Treves). Tuttavia, nel
partito fascista, gli ebrei non risiedettero mai ai vertici (al convegno per la cultura fascista nel marzo del 1925 a
Bologna, parteciparono solo tre ebrei: Gino Arias, Margherita Grassini Sarfatti e Angelo Oliviero Olivetti, coloro
che si impegnarono anche nella costruzione dell’ideologia e del mito fascista).
A testimonianza di questo grande impegno politico, Sarfatti cita due episodi aventi come di cui si fa menzione
solo della partecipazione ebraica:

1) 13 aprile 1921, a Pisa, un gruppo di studentesse fasciste attirò fuori da scuola il maestro socialista Carlo
Cammeo, che venne circondato da altri fascisti e venne ucciso.
2) 26 ottobre 1921 a Modena, Guido Cammeo, commissario di pubblica sicurezza, si trovò a comandare
un reparto di guardie regie che fronteggiava una manifestazione fascista, che sfociò in una grande
violenza.

II. La città, la stoffa e il libro

Demografia degli italiani tra gli anni Venti e Trenta2

Nel ventennio fascista, gli ebrei costituivano una minoranza di dimensioni ridotte, ma ben articolata al suo
interno, quelli “effettivi” residenti nel territorio del regno d’Italia erano circa 44.000 nel 1911, 45.000 nel 1931
e 47.000 nel 1938. Quindi, negli anni Trenta, gli ebrei d’Italia costituivano l’1,1 per mille della popolazione
complessiva residente in Italia e la loro distribuzione era disomogenea. Erano residenti per lo più nelle regioni
Settentrionali e Centrali, concentrandosi soprattutto nei maggiori centri regionali e nazionali di produzione e di
scambio, come Roma, Milano (la cui popolazione ebraica era in costante crescita), Trieste, Torino, Venezia
Napoli, Genova ecc.

[Per ebrei effettivi si intende i censiti che si autoqualificavano ebrei nei moduli del censimento, mentre si
indicava “di discendenza ebraica”, coloro che avevano almeno un genitore ebreo o ex ebreo.]
L’aumento demografico della popolazione ebraica fu il frutto dell’intreccio di due fattori: il generale
decremento demografico che colpì la penisola e un aumento dei flussi migratori degli ebrei stranieri
(provenienti da Russia, Palestina, Austria, Ungheria). In linea generale, però, l’emigrazione e l’immigrazione di
ebrei italiani tra la IGM e il 1938 ebbero scarsa consistenza. In Italia, tra il 1931 e il 1938, gli stranieri passarono
dal 12 al 21,5 % del totale degli ebrei residenti. Principalmente erano ebrei polacchi e tedeschi. Inoltre in quegli
anni molti ebrei di cittadinanza italiana erano residenti nelle città del Mediterraneo meridionale e orientale. È
da anche sottolineare che in seguito alla conquista dell’Etiopia, nel 1936, una numerosa popolazione di ebrei
locali e di gruppi di ebrei yemiti passò in mano italiana.

Il decremento numero degli ebrei italiani fu causato da molteplici fattori:

- il generale saldo negativo della popolazione

1
Redatti in Russia tra il 1902-1903 e diffusi a partire dal 1919 in tutto il resto d’Europa , consistevano in una raccolta di
verbali (falsi) di una riunione tenuta dai dirigenti mondiali ebrei (inesistenti) con lo scopo di organizzare la conquista del
mondo. Si trattò di un testo di riferimento per i miti antisemiti, quali l’Internazionale ebraica, la cospirazione mondiale
ebraica e lo spirito di dominio degli ebrei.
2
fatta anche alla luce del censimento speciale degli ebrei effettuato nell’agosto del 1938 dalla Direzione generale per la
demografia e la razza, avente un’impostazione più razzista che religiosa.
- la tendenza ad adottare un’educazione non ebraica ai figli dovuta ai matrimoni misti in costante crescita
(tendenza che però non venne registrata negli ebrei stranieri). Le famiglie miste con figli ebrei costituivano solo
il 21%.

- numerosi distacchi effettivi dall’ebraismo (iniziato a fine Ottocento e continuato in maniera cospicua in epoca
fascista). Tra il 1930-1931 venne inoltre introdotto il nuovo ordinamento giuridico attraverso cui veniva
imposta l’iscrizione obbligatoria e la dissociazione formale (inizialmente, cioè tra il 1921-1930, nelle comunità
ebraiche italiane la dissociazione era un atto semplice e destinato a scomparire).

Condizione sociale e professionale degli ebrei italiani tra gli anni Venti e Trenta

Il livello sociale degli ebrei d’Italia era, in media, più superiore rispetto a quello dei loro connazionali, dovuto al
fatto che essi erano massicciamente alfabetizzati.

Anche per quanto riguarda la loro condizione professionale ed economica, gli ebrei, grazie all’elevato grado di
istruzione e alla loro residenza urbana, presentavano specifiche caratterizzazione. Se quasi la metà della
popolazione della penisola era impegnata nelle campagne o nelle fabbriche (oltre il 20% delle famiglie italiane
aveva un capofamiglia operaio), negli ebrei erano solo il 10%, mentre il 70% di essi apparteneva a nuclei
familiari aventi il capofamiglia commerciante, impiegato o professionista. La realtà ebraica era diversificata
localmente (es: gli ebrei del Piemonte e quelli del Friuli Venezia Giulia si caratterizzavano per un benessere
maggiore o minore in base alla media nazionale). Quindi, in quegli anni si registrava una massiccia presenza di
manodopera italiana nelle attività agricole delle campagne e di manodopera italiano-ebraica nelle attività
commerciali. Se nelle attività industriali, le percentuali di italiani e di italiani-ebrei non si differenziano più di
tanto, nelle categorie di credito e di assicurazione e delle attività e arti libere la presenza ebraica supera dieci
volte quella italiana. Tuttavia, la forte presenza ebraica nel commercio ambulante conferma anche la
condizione di miseria all’interno della comunità.

I dati confermano migliore situazione sociale degli ebrei. Come viene dimostrato: la presenza massiccia
dell’insieme degli italiani nelle attività agricole e degli italiani ebrei nelle attività commerciali. Questi due gruppi
risultano meno distanti nel settore industriale e quasi adiacenti nelle categorie di culto e di trasporto. Per
quanto riguarda invece le attività di credito o di assicurazione oppure nelle attività di arti libere la presenza
ebraica supera di dieci volte quella italiana. Tuttavia, bisogna anche prendere in considerazione la fascia degli
ebrei che si occupavano del commercio ambulante, quindi ad alcuni ebrei era riservata una condizione più
misera.
Le attività degli ebrei (di discendenza e di quelli effettivi) negli anni Trenta ruotavano intorno alla stoffa e al
libro (20/25 % degli italiani attivi aventi un genitore ebreo si occupava della produzione e del commercio di
prodotti tessili e per l’abbigliamento; 9/10 % impegnato nella produzione e nella vendita di prodotti
tipografici). Ma si trattava di una comunità variegata e diversificata in base ai vari contesti abitativi, per
esempio a Genova furono registrati numeri elevati di impiegati amministrativi e professionisti tra gli ebrei più
giovani e di addetti al commercio tra gli ebrei più anziani. Questa progressiva diversificazione generazionale
non fu altro che il frutto di un fenomeno evolutivo in atto a partire dalla fine dell’Ottocento che portò a una
forte crescita della presenza ebraica nel settore della pubblica amministrazione e delle libere professioni. La
popolazione attiva ebraica italiana infatti risiedeva in una posizione professione mediamente superiore a quella
della popolazione complessiva e questa sperequazione era molto più evidente nei ceti medio-alti, quindi nei
liberi professionisti e nei dirigenti.
Quindi, le principali professioni erano: liberi professionisti, commercianti al dettaglio di prodotti tessili e
commercianti ambulanti.
Inoltre, la presenza ebraica raggiungeva valori ancora più elevati in specifici profili professionali e in ambiti
territoriali delimitati (es: professori ordinari nelle università, proprietari di borse e cambiavalute).
Ma, non tutti gli ebrei erano ricchi e la percentuale di povertà era diversa da città a città (numero elevato a
Roma; Trieste; Livorno). Le fasce estreme dell’intera popolazione ebraica erano costituite da circa il 10% di
persone che vivevano esclusivamente di carità e meno del 5% di ebrei definibili modestamente ricchi.
III. Il periodo di persecuzione della parità dell’ebraismo (1922 – 1936)

Vita, inquadramento e nuovi pericoli nella nazione non più uguale

Sebbene il primo governo d’Italia a guida fascista (31 ottobre 1922) non era apertamente antisemita, il nuovo
presidente del Consiglio Benito Mussolini possedeva evidenti convinzioni e pregiudizi antiebraici, già
manifestati negli anni della sua militanza e dirigenza socialista (es: nel 1919 il movimento dei Fasci di
combattimento si erano scagliati sul giornale “Il popolo d’Italia” contro i grandi banchieri ebrei di Londra e NY).
Tuttavia, Mussolini mantenne posizioni ambigue nei confronti degli ebrei (per il suo pragmatismo e il suo
carattere antisemita non sistematico, gli permise di mantenere rapporti e collaborazioni con gli ebrei).
Ma, nel primo discorso che Mussolini che tenne in Parlamento nel giugno del 1921, si fece il portavoce
dell’antisemitismo professato dai nazionalisti e da una parte dei fascisti, in cui affermava anche che la
“tradizione latina e imperiale di Roma è rappresentata dal cattolicesimo”.
Mussolini, una volta al governo, determinò una progressiva chiusura nei confronti delle altre confessioni
minoritarie e fece dei passi indietro rispetto alle legislazioni precedenti:
- il 16 novembre 1922, nel presentare alla Camera la propria compagine ministeriale, Mussolini affermò che
tutte le fedi religiose sarebbero state rispettate, ma con particolare riguardo alla fede dominante, il
cattolicesimo. Veniva così annullato lo spirito egualitario tra le fedi (=> accezione più intollerante all’articolo I
dello Statuto Albertino, il quale dichiarava che la religione cattolica era la sola religione dello Stato). La religione
cattolica diventa così la religione di Stato.
Ciò portò a importanti conseguenze in ambito scolastico:
- il 22 novembre il sottosegretario alla Pubblica istruzione Dario Lupi impose la ricollocazione del crocifisso,
come elemento di arredo obbligatorio e simbolo della religione dominante dello stato, in tutte le aule delle
scuole elementari).
- il 26 dicembre 1922, Giovanni Gentile, il nuovo ministro della Pubblica istruzione, annunciò che intendeva fare
dell’insegnamento della religione cattolica, il principale fondamento del sistema dell’educazione pubblica e
della restaurazione orale dello spirito italiano.
- il primo ottobre 1923, venne varato il provvedimento legislativo di riforma dell’istruzione primaria che
rendeva obbligatorio l’insegnamento della religione cristiana (veniva dato spazio alla religione in molti
insegnamenti, il programma di canto doveva comprendere canti religiosi, quello di italiano doveva esaltare gli
eroi della fede, la giornata scolastica doveva sempre iniziare con una preghiera o un canto religioso).
Inoltre il provvedimento di Gentile riduceva le possibilità di esonero dalle ore speciali, ovvero le ore settimanali
riservate alla religione (da una o due).3
- il 30 dicembre del 1923 venne riattribuita la qualità di giorni festivi civili ad alcune solennità cattoliche, venne
abrogato il diritto al divorzio.

Questo progressivo accentramento della religione cattolica fu favorito da molteplici fattori, connessi alla
crescente presenza di cattolici e delle loro istanze, dalla costruzione di un’ideologia nazionalista-cattolica (in un
discorso tenuto nel novembre 1921 al congresso costitutivo del Pnf, Mussolini affermò: “Il cattolicesimo può
essere utilizzato per l’espansione nazionale”) e dal ruolo che Mussolini assegnava alla Chiesa romana. Tutto ciò
che era minoritario doveva sottostare al maggioritario (questa prima fase di politica portò alla sostituzione
della nuova concezione di prevalenza a quella di convivenza e pacifica concorrenza). Si tornò a valorizzare il
cattolicesimo come fede e dottrina che appartenesse alla storia dell’Italia, parte integrante della formazione e
della civiltà del popolo italiano.

Se tuttavia nella politica in campo religioso veniva fatto un distinguo tra cattolici e non, gli ebrei costituivano
comunque il principale bersaglio, a causa della loro maggiore diversità e anche perché tale politica portava
nuova linfa alla crescita del pregiudizio e dell’ostilità.

3
La Riforma Gentile colpiva anche la differenziazione linguistica: l’ordinamento dell’ottobre 1923 stabiliva anche
l’obbligatorietà dell’insegnamento in lingua italiana, istituendo ore aggiuntive per l’insegnamento della lingua materna
(clausola che venne poi soppressa nel 1925). Quindi venivano attaccate non solo le religioni minoritarie, ma anche le
lingue, soprattutto il croato e lo slavo.
Tale politica sfociò nei progressivi provvedimenti generali e organici presi nel quindicennio seguente che
stabilirono una diversa tutela giuridica delle varie confessioni:
- Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del novembre del 1926
- il Trattato stipulato tra il Regno d’Italia e la Santa sede, l’11 febbraio 1929 che ridefinì il cattolicesimo come
religione di stato.
(+ il Concordato che pose l’insegnamento della dottrina cristiana a fondamento dell’istruzione pubblica).
- il Nuovo codice penale varato nel 1930
- tra il giugno 1929 e il febbraio 1930, venne varata una normativa specifica sugli altri culti “ammessi nel
Regno”, che li assoggettò a controlli, limitazioni, divieti molto più pesanti (subordinazione della nomina dei
ministri di culto all’approvazione del governo, il quale poteva nominare un commissario che non
necessariamente appartenesse a tale culto per controllare).
Tutta questa rete di provvedimenti configuravano un quadro fortemente persecutorio ed erano totalmente
opposti all’uguaglianza religiosa e, finché era lecito opporsi alla politica fascista, gli ebrei espressero il loro
dissenso (Il senatore Vittorio Polacco definì la riforma di Gentile un “pogrom morale” o l’astensione al voto
degli ebrei di Roma per protesta contro la politica religiosa governativa nell’aprile del 1924). Ma, a partire dalla
primavera del 1925, le proteste pubbliche ebraiche assunsero una forma sempre più velata. Il dissenso
proveniva nella maggior parte dei casi, dalla comunità di Roma, dalla cerchia raccolta attorno del settimanale
“Israel” della borghesia colta.
Anche in terreno scolastico alcuni ebrei tentarono di arginare la politica di Gentile. Nel dicembre del 1921, al
Convegno giovanile ebraico di Torino, si registrò che le scuole elementari ebraiche della penisola, sebbene
molto diffuse, accoglievano pochi alunni (per lo più poveri). Inoltre, i sostenitori del movimento di risveglio
ebraico erano convinti della necessità dell’attivazione dell’insegnamento ebraico. Con la riforma Gentile, tale
esigenza si coniugò con il tentativo di difendere la libertà di educare all’ebraismo i propri figli e per il fatto che
tale provvedimento legava in maniera inscindibile la nazione con la religione maggioritaria, il dibattito portato
avanti dagli ebrei legava la questione scolastica con la questione di identità. Da ciò, nell’estate del 1924 venne
costituita la Scuola elementare israelitica di Roma.

La svolta politica del 1922, non determinò solo una progressiva chiusura del sistema scolastica e una maggiore
disuguaglianza in campo legale delle confessioni minoritarie, ma essa comportò anche la diffusione della
propaganda antiebraica* e l’avvio di numerose violenze, in un territorio, quello italiano, che era ancora
immune dal germe della violenza. Sebbene, si trattò di casi isolati e sporadici, diedero l’avvio a un’ondata di
grande violenza (la cui risposta ebraica fu l’autocensura difensiva: essi evitarono qualsiasi denuncia pubblica).
A Tripoli, nell’agosto 1923, i preesistenti attriti tra gli ebrei libici e le autorità italiane e organizzazioni fasciste
sfociarono in una serie di incidenti, dove morì un soldato italiano. Essa ebbe come conseguenza una spedizione
punitiva fascista nel quartiere ebraico.
A Padova, tra l’1 e il 2 novembre 1926, in seguito all’attentato a Mussolini il 31 ottobre 1926, si scatenò
un’ondata di violenza, dove alcuni squadristi presero d’assalto la sinagoga principale di Padova e un piccolo
tempio, danneggiando gli arredi e gli oggetti sacri.
Inoltre, l’antisemitismo costituì una motivazione aggiuntiva dell’aggressione contro gli oppositori politici e non
la caratteristica principale di quei fatti (come denunciò Carlo Sforza nel 1929, affermando nelle aggressioni e
violenze fasciste non erano presi di mira solo gli ebrei, ma anche molti antifascisti non ebrei).

* Si registra quindi anche una crescita, sia a livello quantitativo che di importanza, della propaganda antiebraica
(Robert Michels aveva evidenziato una corrente antisemita in campo fascista), denunciato anche da Claudio
Treves nel “La giustizia” dove sostenne che l’antisemitismo non riguardava solo le manifestazioni della stampa
o del comizio, ma si verificava anche in altri modi e ambienti, come il boicottaggio degli insegnanti ebrei in
campo universitario. Per arginare tale violenza, si tentò di sottolineare l’assurdità del pensiero di una possibile
internazionale ebraica e dell’importanza della presenza ebraica nella politica espansionistica italiana (Sacerdoti
afferma: “elemento prezioso di collegamento con tutti i nuclei ebraici che vivono nel bacino del
Mediterraneo”). E che l’ebraismo avrebbe contribuito allo sviluppo del commercio italiano nel Mediterraneo. E
ciò venne accettato da Mussolini che, nel 1927, ricevette il rabbino capo d’Alessandria d’Egitto e permise la
costituzione nella penisola del Comitato Italia-Palestina e l’apertura di un Collegio rabbinico a Rodi.

L’Unione della comunità e la vita ebraica all’inizio degli anni Trenta

Con la svolta del 1925, Mussolini portò avanti il processo di fascistizzazione4 del paese e la costruzione della
struttura dittatoriale (il discorso dell’”Ascensione” che tenne alla Camera, dove affermò la soppressione di tutti
i giornali di opposizione e lo scioglimento dei partiti antifascisti), ma anche una progressiva conversione
antisemita.
Il razzismo era già presente in Italia, nei suoi testi legislativi e nella sua vita pubblica e istituzionale, ma era
confinato alla dimensione coloniale (nel primo decennio del Novecento vennero promulgate leggi e disposizioni
che vietavano nelle colonie i rapporti misti, tuttavia in Italia ebbero un’applicazione parziale). Comparse a
livello ufficiale nel 1903 sulla colonia Eritrea, poi venne impiegato nel 1909/1910, quando si vietò ai funzionari
coloniali in Eritrea e Somalia di vivere con donne indigene, vennero proibiti i matrimoni masti e venne precluso
ai meticci di cittadinanza italiana di risiedere nelle cariche pubbliche. Poi la IGM costituì una vera e propria
cassa di risonanza dell’ideologia razzista (il concetto di razza era presente nella maggior parte dei trattati siglati
nel postguerra). Inoltre tale ideologia venne rafforzata dalle affermazioni di qualche studioso: Edoardo
Zavattari, professore universitario che sosteneva la rigida divisione tra razza dominante e razza dominata nelle
colonie. Tuttavia, in tale impostazione razzistica, gli ebrei occupavano un ruolo marginale. Anche i primi
provvedimenti liberticidi, promulgati da Mussolini tra il 1925-1927, non riguardavano solamente gli ebrei, ma
assoggettavano a un forte controllo della polizia le associazioni di qualsiasi tipo, come per esempio la
massoneria (che gli antisemiti associavano al giudaismo).
Il processo di fascistizzazione aveva iniziato anche a toccare direttamente la parte ebraica della popolazione
italiana (per esempio alle elezioni del novembre 1926 a Firenze, vinse una lista che si dichiarava apertamente
fascista). Nacque quindi la necessità di trovare un nuovo patto con lo Stato, attraverso la definizione di
un’unica normativa giuridica per tutte le comunità della penisola e l’istituzione di un ente ebraico nazionale al
posto del Consorzio. Venne avanzata anche la proposta di un nuovo ente nazionale che aveva il compito di
coordinare l’attività delle Università e Comunità israelitiche in modo consono al governo italiano. Venne così
riorganizzato l’assetto interno della comunità ebraica italiana anche attraverso la promulgazione di un nuovo
provvedimento legislativo ultimata solo nel 1930, che prevedeva:
1) uniformità di condizione e di regolamentazione per tutte le comunità israelitiche;
2) appartenenza obbligatorio di ciascun ebreo a una Comunità e l’abbandono con atto formale;
3) sistema elettivo per la scelta dei componenti del consiglio e del presidente (diritto di voto riservato ai
contribuenti comunitari maggiori di 21 anni);
4) necessità di possesso della cittadinanza italiana, per i 2/3 dei consiglieri, per i rabbini e per i segretari delle
comunità;
5) inquadramento obbligatorio di tutte le Comunità in una Federazione delle comunità israelitiche (poi
chiamato: Unione delle comunità israelitiche italiane) che doveva tutelare gli interessi religiosi degli ebrei e
rappresentarli di fronte al governo. Retto da un Consiglio federale composto da cittadini italiani;
6) Istituzione della Consulta Rabbinica, nominato dal Consiglio federale e che aveva una funzione perlopiù
consultativa;
7) era necessaria l’approvazione prefettizia o ministeriale all’elezione dei presidenti comunitari e federali e per
la nomina del rabbino.
Tale nuovo provvedimento favorì:
- l’ebraismo italiano acquisì un riconoscimento maggiore;
- l’opera di regolamentazione governativa conferiva un certo diritto di esistenza per gli ebrei nel regime
comunitario;
- la quasi obbligatorietà dell’iscrizione comunitaria consentiva di arginare il processo di secolarizzazione e

4
Il progetto di fascistizzazione si realizzava anche attraverso la nazionalizzazione delle sinagoghe e alla fusione degli ideali
ebraici con quelli italiani, per cui veniva divinizzati la Monarchia e il duce.
rafforzare le amministrazioni comunitarie;
Ma: esso portò anche a un capillare controllo da parte dello stato sulle varie comunità ebraiche, che persero la
loro autonomia e divennero, per un certo senso, degli organi dello stato5.
Tale riforma era centralizzatrice, autoritaria, irrigimentatrice e permise una progressiva fascistizzazione.
Mussolini, oltre a imporre il controllo sulle comunità ebraiche, minacciava gli ebrei con una politica antisemita
(nel discorso tenuto al Congresso sionistico italiano: “Speriamo che gli ebrei italiani continueranno ad essere
abbastanza intelligenti, per non suscitare l’antisemitismo […] che non venga provocato dagli ebrei in Italia”).
Nel 1929, nei due massimi istituti culturali controllati dal governo: l’Accademia d’Italia e il Consiglio nazionale
delle ricerche, vennero esclusi gli scienziati ebrei e di polemica antiebraica. E nel maggio del 1930, il ministero
degli Affari esteri e il ministero dell’Interno decisero di respingere le richieste di cittadinanza italiana fatta dagli
ebrei dell’Europa centrale e orientale e i residenti nelle “nuove provincie” (si palesò così l’ostilità nei confronti
degli ebrei stranieri e le limitazioni agli ebrei italiani).
Quindi, sebbene l’antisemitismo non fosse ancora evidente nella politica mussoliniana, nessun ebreo venne
mai chiamato a far parte dell’Accademia d’Italia e, come sostenne Camillo Berneri in un’intervista: “Se
l’antisemitismo diventasse necessario alle necessità del fascismo italiano, Mussolini, peggio di Machiavelli,
seguirebbe Gobineau, Chamberlain, e parlerebbe anche lui di razza pura” (= ALVEARE DI CONTRADDIZIONI).
I dati raccolti tra il 1928-1933, dimostrarono la crescente partecipazione degli ebrei al Pnf. Ciò fu dovuto da tre
fattori principali:

1. La consistente presenza ebraica nelle categorie che dovevano esplicitare fedeltà al regime (dipendenti
pubblici; docenti universitari; persone in rapporto con l’amministrazione pubblica);
2. Il senso di tranquillità in seguito alla promulgazione del nuovo ordinamento giuridico e la
consapevolezza di far parte di uno Stato centralizzato e totalitario;
3. La presa di distanza da Mussolini dalle decisioni antiebraiche di Hitler.

All’inizio degli anni Trenta, la comunità ebraica italiana era un insieme assai diversificato, a livello religioso ma
anche a livello politico. Tra di essi si contavano antifascisti; sionisti; liberali; socialisti e anche revisionisti.
Quest’ultimi, fortemente nazionalisti, si trovavano in armonia con il fascismo, poiché condividevano le stesse
istanze ideologiche. Inoltre, nel maggio 1930, essi diedero vita al mensile “L’idea sionistica”.
Infatti, in quegli anni si registrò un grande fervore pubblicista, sintomo di una maggiore vivacità, apertura e
diversificazione rispetto all’ebraismo presente in alcune zone. Esso venne anche favorito dalla presenza di
importanti centri culturali, come i Convegni di studi ebraici che si radunava intorno alla Federazione
associazioni culturali ebraiche. Oppure l’Associazione delle donne ebree d’Italia, fondata nel 1927 e impegnata
sui terreni assistenziale, educativo e autoformativo. Molti ebrei incominciarono a interessarsi all’educazione
dei bambini e dei ragazzi nelle scuole ebraiche e pubbliche. In quest’ultime proposero la sostituzione del libro
di testo unico imposto dal regime, che incitava alla conversione o che sviliva la religione d’origine (l’Unione
ottenne solo la cancellazione di alcuni brani e non la sostituzione del libro di testo).

Gli ebrei antifascisti e antitaliani

La nuova realtà tedesca influenzò la percezione degli italiani nei riguardi degli ebrei, sebbene Mussolini
criticasse il razzismo tedesco (mancanza di equilibrio, il fatto di essere contro tutto e contro tutti, e che non
puntasse all’essenza di base). Ma il processo di ingabbiamento totalitario del fascismo e la persecuzione della
parità religiosa acquisirono una valenza positiva. Sul piano diplomatico, Mussolini portò avanti una politica
complessa e non lineare, attraverso la quale tentava di: fare dell’Italia uno strumento di mediazione tra la
Germania e i perseguitati e riaprire la questione mediterranea, proponendo la creazione di uno Stato in
Palestina, in cui gli ebrei erano suddivisi in 4 categorie6. Progetto proposto in un articolo intitolato “Una

5
Anche altre comunità religiose persero la propria autonomia, come ad esempio la comunità di ortodossi.
6
1) Gli ebrei residenti nello Stato ebreo in Palestina e quindi in possesso della nazionalità ebrea; 2) Ebrei dimoranti in altri
stati a cui si sarebbe potuta riconoscere la nazionalità ebrea; 3) ebrei cittadini di altri paesi e facenti parte di una
minoranza nazionale protetta da accordi internazionali; 4) ebrei assimilati.
soluzione”, Mussolini tentava di portare avanti la “chiarificazione” già realizzata con il nuovo ordinamento e
“l’assimilazione” politica e nazionale nell’Italia fascista.

Ma furono molteplici gli episodi, che furono il sintomo dell’influenza tedesca e che verificarono la tendenza
antisemita nel fascismo:

1) Controllo da parte dell’Unione sulla stampa ebraica per impedire nuove polemiche che potessero
turbare il pubblico ebraico, arrivando anche alla sospensione della pubblicazione di alcuni giornali,
come “L’Idea sionistica”.
2) L’11 marzo 1934, al posto di frontiera italo-svizzero di Ponte Tresa, vennero fermati due torinesi che
rientravano in Italia che trasportavano clandestinamente pubblicazioni del movimento antifascista
Giustizia e Libertà, dove si incitava a votare No al plebiscito del 24 marzo indetto dalla dittatura. Mario
Levi riuscì a scappare, mentre Sion Segre venne arrestato e portato a Varese. Fu inviato il relativo
rapporto a Roma, dove si dichiarava il ritrovamento di copie di una circolare di un comitato di
organizzazioni giovanili ebraiche di Torino, Onegh Shabbath7, e che l’arrestato era ebreo. Si arrivò
quindi a identificare tutti gli ebrei come antifascisti. In seguito a tale vicenda, venne predisposto
l’arresto e la perquisizione di alcuni militanti del movimento Giustizia e Libertà e la perquisizione della
sede torinese del comitato. Ciò ebbe un’importante conseguenza mediatica che aggravò la situazione,
perché molti giornali che riportavano l’episodio, non contenevano il vocabolo ebreo, ma l’abbinamento
ebreo-antifascista.
Per la prima volta, gli ebrei erano stati dichiarati pubblicamente antifascisti e ciò permise ai carabinieri
e alla polizia di considerare gli ebrei un problema di ordine pubblico e di antifascismo.
Tuttavia, Mussolini non appoggiò tale politica generalizzatrice degli ebrei e, nel processo di novembre,
dove tra gli imputati c’erano Sion Segre e Leone Ginzburg, non venne dato particolare rilievo al loro
ebraismo.
3) Il 2 aprile 1934, Mussolini ordinò il sequestro immediato di un romanzo che narrava la storia d’amore
tra un uomo nero e una donna bianca. Il giorno seguente dispose l’introduzione della censura
preventiva: editori e tipografici potevano continuare a stampare liberamente, ma la diffusione delle
opere era subordinata a un ulteriore controllo da parte della prefettura, della direzione di polizia e
dell’ufficio di stampa di Mussolini.
→ Tutto ciò testimonia il radicamento dell’ideologia razzista di Mussolini, attestato anche dai numerosi
richiami alla necessità di una politica demografica per salvare la razza bianca e per la difesa della razza8.
4) Il 4 aprile 1934, il capo del gabinetto del ministero dell’Interno sollecitò il prefetto di Ferrara a
sostituire il podestà ferrarese, Renzo Ravenna, che era ebreo, con un podestà cattolico. Tuttavia, il
prefetto si rifiutò, in quanto Ravenna diede un grande contribuito al fascismo ferrarese durante il
periodo di incertezza dopo l’assassinio di don Minzoni e per i suoi ottimi rapporti con le autorità
cattoliche cittadine.
Se inizialmente tale vicenda riguardava una singola città, coinvolse tutta la penisola. Infatti, il
sottosegretario all’Interno chiese a tutti i Prefetti di riferire la confessione di tutti gli amministratori
degli enti locali e di segnalare la religione dei nuovi candidati alle cariche.
5) Nell’estate del 1935, Mussolini radicalizzò le sue convinzioni razziste, andando a studiare
provvedimenti contro i meticci, chiedendo al ministero delle Colonie di predisporre un piano d’azione
per evitare la creazione di una generazione di mulatti.

7
Comitato imperniato su un forte senso di identità ebraica e antifascista.
8
È necessario sottolineare che la prima norma legislativa italiana esplicitamente ed effettivamente razzista risale al 1933
(sebbene limitata e parziale, in quanto concerne solo un gruppo di persone), in cui si faceva riferimento del concetto di
“razza bianca”. Essa stabiliva che il meticcio nato in colonia da un genitore di razza bianca rimasto ignoto, non riceveva
automaticamente la cittadinanza italiana, ma poteva ottenerla solo dopo aver raggiunto la maggiore età e solo se
rispondeva a determinati requisiti (culturali e comportamentali). Venne introdotta, quindi, la necessità di procedere a una
diagnosi antropologica etnica, finalizzata all’accertamento della razza e venne stabilita una soglia qualitativa per l’accesso
di alcuni meticci alla cittadinanza italiana. Ciò diede inizio a una politica di limitazione del numero di cittadini non
totalmente bianchi.
I fatti della stampa seminarono terrore nelle comunità ebraiche, portando alla perdita della sicurezza e il
diffuso senso di smarrimento. A ciò segui il progressivo e definitivo accentramento della vita associativa ebraica
da parte dell’Unione e la maturazione di riunirsi e operare in modo organizzato nelle strutture ebraiche.
L’accentramento si realizzò attraverso un commissariamento degli enti ebraici culturali e assistenziali, locali e
nazionali posti sotto il controllo dei presidenti di comunità. Nell’aprile 1934, gli ebrei fascisti decisero di riunirsi
a Torino e fondarono il giornale “la nostra bandiera” e si candidarono alla guida dell’Unione. Essi erano
caratterizzati da diverse posizioni politiche e religiose, si opponevano alle organizzazioni ebraiche internazionali
e al movimento sionista. Inoltre non contestavano la politica mussoliniana, come ad esempio la progressiva
riduzione degli incarichi pubblichi, ma erano contrari all’antisemitismo nazista. Tuttavia i “bandieristi” scesero a
patti con gli altri gruppi e accettarono il compromesso proposto dal rabbino capo di Roma e dirigente
dell’Unione Angelo Sacerdoti e furono inglobati nel consiglio dell’Unione, portando così avanti l’opera
centralizzatrice (Sacerdoti voleva preservare l’unità dell’ebraismo italiano e contrastare gli esiti modernizzatrici
promulgati dai bandieristi).
L’antisemitismo nazisti portò gli ebrei d’Italia a impegnarsi nel creare azioni di solidarietà nei confronti degli
ebrei tedeschi. Venne costituito, infatti, un ente di assistenza, il Comitato centrale di assistenza per gli ebrei di
Germania, ma ebbe vita limitata. Furono efficienti invece: il Comitato italiano di assistenza agli emigrati ebrei e
il Comitato di assistenza per gli ebrei profughi dalla Germania. Se inizialmente, il governo mussoliniano portò
avanti la politica del Laissez faire, a partire dal 1933, vennero adottate misure di contenimento e selezione per
l’immatricolazione di giovani stranieri.
Inoltre Mussolini incontrò, il 13 novembre 1934, il presidente del Comité des Délégations Juives, il quale
sollecitava il suo appoggio diplomatico relativo agli ebrei nel Saar, territorio austriaco che stava per essere
annesso alla Germania. E, il dittatore assicurò il proprio impegno a favore della questione (tutto ciò non era
connesso alle sue intenzioni riguardo alla situazione italiana, ma rispondevano alla sua politica pubblica
internazionale).

IV. Il periodo della persecuzione dei diritti degli ebrei (1936 – 1943)

La decisione fascista e l’inizio dello sfaldamento

Come abbiamo detto prima, all’interno del gruppo ebraico erano presenti numerose divergenze per la
polimorfia del gruppo. Mentre si radicalizzavano i contrasti interni, il fascismo era impegnato nell’impresa
colonialista (1935-1936) appoggiata dalla maggior parte degli ebrei. Dopo il conflitto in Eritrea e una volta
proclamato l’impero, il regime favorì le attività portate avanti dall’Unione a favore della popolazione etiopica
ebraica (i Falascià), ma ciò riguardava solo la politica estera.
Per quanto riguarda la politica interna, durante la guerra etiopica, il regime portò avanti un processo di
transizione che determinò il passaggio dalla persecuzione della parità di genere e autonomia dell’ebraismo (con
l’allontanamento dalle cariche pubbliche) alla persecuzione dei singoli ebrei e dei loro diritti9.
Questo momento di transizione è poco documentato. L’unica traccia concreta del suo svolgimento fu una
disposizione emanata da Mussolini nel febbraio del 1936 e diretta ai dirigenti del ministero dell’Interno,
attraverso cui negava la cittadinanza italiana agli ebrei immigrati. Esso non era un vero e proprio divieto, ne
dava il via ad attività persecutorie, ma estendeva la limitazione del numero dei cittadini ebrei sul suolo
nazionale10. Tutto ciò non fu che il sintomo di un cambiamento antisemita in atto. Confermato dall’ordine
inviato da Mussolini all’ambasciatore italiano di Londra, il quale doveva comunicare al giornalista ebreo del
Financial Times che l’ebraismo mondiale non doveva opporsi al fascismo, in quanto l’Italia non era ancora
antisemita (una vera e propria minaccia che assegnava la responsabilità della svolta agli ebrei, e in particolare

9
La transizione costituì la conclusione logica della svolta verificatasi nel 1922. Non fu preceduta da riflessioni dense e
importanti.
10
Infatti, se il provvedimento del 1930 riguardava le popolazioni extraterritoriali, la disposizione del 1936 riguardava
l’intera Italia.
alla loro posizione collettiva e generalizzata a favore dell’Etiopia aggredita).
Questa transizione fu anche favorita da altri fattori:

1) L’impossibilità di realizzare un’effettiva fascistizzazione degli ebrei, i quali non erano disposti a
rinunciare alla propria identità ebraica;
2) A causa della mancata realizzazione delle iniziative antisanzionsitiche, fece pensare ai dirigenti fascisti
che l’ebraismo della penisola non poteva essere utile alla nazione e al regime;
3) La progressiva politica di avvicinamento dell’Italia alla Germania, determinò un cambio di postura
rispetto alla solidarietà degli ebrei della penisola verso le vittime dell’antisemitismo nazista.
4) Con la proclamazione dell’Impero, il 9 maggio 1936, venne abbandonata la politica razzistica coloniale
per una politica razzistica pura. Furono stanziate ordinamenti contro il metacciato (venne vietata la
concessione della cittadinanza italiana ai meticci e venne imposto che nessuno italiano senza moglie
potesse rimanere più di sei mesi)11.

La questione ebraica divenne parte integrante della politica interna, risolvibile dotando il regime di una
moderna politica “antiebraica”. Tutto questo processo di radicalizzazione era stato preceduto da due episodi
fondamentali:

I) La domanda posta nel novembre del 1928, dove veniva chiesto agli ebrei se fossero una religione o
una nazione;
II) La generalizzazione degli ebrei come antifascisti nel 1934

Essi causarono un repentino, ma temporaneo12, trambusto pubblico e permisero la mise en avant, lenta e non
molto lineare, della progressiva politica liberticida antiebraica.
In quegli anni si registrò l’inizio dello sfaldamento del sistema ebraico. Quel sistema solido che si basava sulla
piena integrazione degli ebrei nella vita cittadina, l’adesione di molti di loro al fascismo e la presenza degli ebrei
nelle cariche pubbliche, entrò in crisi. Forse iniziò a partire dal 1936, quando a Ferrara alla fine di giugno
vennero imbrattati muri pubblici con scritte antiebree (W il duce, abbasso gli ebrei), o quando si iniziò ad
allontanare gli ebrei dalle cariche pubbliche.
Tutto ciò venne sancito con l’ordinanza tripolina del 14 novembre 1936, quando a Tripoli venne emanata
un’ordinanza commissariale che imponeva agli ebrei proprietari di negozi posti fuori dalla città vecchia e in una
certa zona di stare aperti il sabato e, coloro che non adempivano, sarebbero stati puniti. Venne introdotta,
quindi, in maniera concreta una vera e propria politica antiebraica. Inoltre, in seguito alla al rifiuto da parte
dell’ambasciatore italiano a Berlino, Bernardo Attolico, di far arrivare in Germania un connazionale ebreo (il
Generale del Genio Navale Giorgio Rabbeno), si realizzò un allontanamento generalizzato degli ebrei dalla
nazione. Nel giro di pochi mesi, i dirigenti dell’ebraismo, da utili propagandisti degli interessi nazionali,
divennero una minaccia.

→ L’allontanamento divenne totalitario e quasi-pubblico (transizione caratterizzata da un mix di riservatezza e


pubblicità).
Ciò ebbe anche una grande risonanza mediatica, nei giornali veniva portato avanti un antisemitismo
indifferenziato e generalizzato (ebrei sotto accuse politiche, religiose).
I rabbini furono l’oggetto del primo episodio di discriminazione legislativa del fascismo: il ministro
dell’educazione nazionale Bottai, portò avanti una riforma attraverso la quale escludeva dal diritto al prestito
bibliotecario i principali rabbini (1937).

11
Parallelamente alla svolta antisemita, venne portata avanti anche la politica coloniale di tipo razziale (di distinzione, di
inferiorità, di gerarchizzazione, di separazione e di revoca dei diritti), verso i neri egli africani in generale. Vennero varati
vari provvedimenti per la “difesa della razza” (Es: Il ministro delle colonie Lessona presentò un progetto di legge che
vietava le relazioni di indole coloniale tra italiano e suddito). Si completò definitivamente la svolta antisemita del regime.
1212
Temporanea, perché Mussolini inizialmente tentava di distinguersi dalle novità antisemite naziste. Inoltre in Italia,
mancavano le speciali circostanze (economiche, sociali, psicologiche) presenti negli altri paesi, quindi fu un fenomeno
antistorico, ingiusto e crudele.
La complessa preparazione governativa e la difficile preparazione ebraica

Mussolini non si assunse mai le responsabilità per la svolta antisemita del suo governo (sebbene ancora non
identificata se di tipo nazionale, esoterico-tradizionalista, biologico), come dimostra l’articolo Il troppo storpia
pubblicato nel dicembre del 1936 su “il popolo d’Italia”, in cui affermava che l’antisemitismo era una
conseguenza inevitabile del troppo ebreo.
Se inizialmente le politiche che tentavano di arginare la minaccia dei miscugli tra le razze riguardava solo
obblighi a livello relazionale (dovuto ai patti lateranensi, a partire dal 1938, il fascismo stabilì il divieto
generalizzato di qualsiasi matrimonio misto)
Per portare avanti questa politica razziale, venne potenziato un istituto del ministero degli Interni, che si
dedicava allo studio dei problemi demografici. Creato nel 1935 con il compito di occuparsi di nuzialità, aborti,
mortalità infantile, nel 1937 il Gran Consiglio del fascismo fece di tale Ufficio un organo centrale di controllo e
di propulsione della politica del regime nell’ambito demografico (venne rinominato: Ufficio centrale
demografico).
Inoltre, nel marzo 1937, vennero pubblicate due opere antisemite, ma di orientamento diverso:

1) Gli ebrei in Italia di Paolo Orano, un libello in cui l’autore riconosceva gli ebrei come i principali nemici del
regime, anche gli ebrei detti “ebraizzanti”, ovvero coloro che non si caratterizzavano solo per l’osservanza ai
rituali, ma anche perché conservavano un’identità ebraica e una coscienza collettiva (che li portava a
soccorrere i profughi tedeschi). Orano credeva nella possibilità che alcuni ebrei potessero contribuire ad abolire
il problema ebraico.
2) Ai margini del razzismo. Il meticcio dissidente di Telesio Interlandi, in cui, nell’ultima parte, affermava la
diversità biologica del sangue ebraico.

In seguito alla scissione, gli ebrei fascisti, attivi nella vita della comunità, crearono il Comitato degli italiani di
religione ebraica (Cire), il quale chiese al ministero dell’Interno lo scioglimento del consiglio dell’Unione e la
nomina di un proprio esponente a commissario governativo, ma Mussolini lo negò.
Inoltre si cominciò a diffondere nella dirigenza del partito e del paese l’equazione ebrei = razza, tanto che un
preside della provincia di Trieste consegnò a Mussolini una lista delle posizioni politiche, amministrative ed
economiche tenute in quella città dagli ebrei, identificati in base alla razza e non alla religione. Oppure il
responsabile della Direzione generale della stampa italiana che affermò che gli ebrei erano caratterizzati da un
internazionalismo connaturato alla loro razza.

La presenza ebraica nel Pfn cominciò a calare e cominciò a diffondersi in tutta la penisola il Comitato degli
italiani di religione ebraica, il quale aveva il compito di salvare il diritto dei singoli a conservare la propria
identità. Tuttavia, anche sul piano religioso gli ebrei incontrarono una crisi e una minaccia di scissione.

1938

Già nell’autunno del 1937, l’antisemitismo era pienamente diffuso, soprattutto all’interno del ministero
dell’Interno. Tuttavia, tra la fine del 1937 e l’inizio del 1938, venne avviata una nuova fase della persecuzione
dei diritti che mirava aa risultati concreti e che diede vita a operazioni preliminari. Il 1938 fu un anno cruciale
per l’ebraismo europeo, alla sua vigilia solo la Germania nazista aveva una legislazione antiebraica, mentre alla
fine di quell’anno divenne una caratteristica continentale. In quell’anno, tutto il continente arrivò a maturare la
questione ebraica, una maturità persecutoria che si accaniva maggiormente sugli ebrei perseguitati, che erano
in continua crescita a causa delle molteplici espulsioni e revoche di cittadinanza.

I principali provvedimenti messi in atto erano:


- identificazione e censimento degli ebrei;
- varo delle prime iniziative di arianizzazione settoriale;
- elaborazione definitiva della definizione giuridica di ebreo e della definitiva impostazione della normativa
persecutoria.
Ma, ancora una volta, tali azioni avvennero sia pubblicamente che in segreto.

- Fine gennaio – inizio febbraio:


Mussolini fa controllare la presenza di ebrei nei ruoli di ufficiali superiori delle forze armate;
- 2 febbraio:
Il ministro della cultura Alfieri chiede all’antropologo razzista Guido Landra di creare un comitato
scientifico di un nuovo Centro per il problema della razza;
Mussolini autorizza il licenziamento del direttore del quotidiano del Pnf di Ancona, Ferruccio Ascoli;
- 11 febbraio:
Gino Jacopo Olivetti si dimette da alcune cariche rappresentative dell’industria tessile;
- 12 febbraio:
Viene messo in vendita il nuovo settimanale umoristico di propaganda antisemita: “Il giornalissimo”;
- 14 febbraio:
Il ministero dell’Educazione nazionale chiede ai rettori delle università di censire gli ebrei tra gli
studenti e i professori, sia italiani che stranieri;
Il ministero degli Interni chiede ai direttori dei ministeri di comunicare la presenza di ebrei nei vari uffici
e nelle questure;
- 16 febbraio:
Viene diffusa la prima dichiarazione ufficiale del regime “sulla questione ebraica”
- 24 febbraio:
il ministero dell’africa vieta qualsiasi migrazione ebraica nei territori dell’Impero;
- 15 marzo:
il questione di Novara impose la registrazione della confessione religiosa degli stranieri;
- 18 marzo:
il ministero dell’Interno comunicò ai prefetti di “confine terra” il divieto di ingresso agli austriaci ebrei;
- 24 marzo:
il ministero degli Affari Esteri Ciano comunicò all’ambasciata statunitense che l’Italia non avrebbe
partecipato, per motivi politici, all’iniziativa internazionale organizzata per facilitare l’emigrazione di
rifugiati politici dalla Germania e dall’Austria.
- 20 aprile:
Il ministero delle Corporazioni si assunse la prerogativa di concedere nuove licenze commerciali a
stranieri di nazionalità tedesca, polacca, romena..
- 31 maggio: Il ministero degli Affari Esteri impose di registrare l’origine etnica e la religione degli
stranieri che chiedevano di iscriversi presso le università italiane.

Progressivamente, l’Italia arrivò a disegnare un sistema normativo antiebraico molto articolato, contenente
anche norme più specifiche (es: l’espulsione degli studenti ebrei dalle scuole pubbliche e degli stranieri ebrei
dal paese). Fu un processo lungo e non lineare, se inizialmente tale politica antiebraica era parziale e articolata
secondo fasce qualitative e quantitative (in cui gli ebrei erano suddivisi in varie categorie). In un secondo
momento, sebbene sempre parziale, era limitata alle sole fasce qualitative, per poi arrivare al novembre 1938,
quando, con la stesura completa dei provvedimenti, Mussolini ridusse le eccezioni al nocciolo e la persecuzione
divenne più uniforme, determinando uno sviluppo ulteriore delle persecuzioni più generalizzate e pubbliche,
attraverso la promulgazione di atti di natura diversa:

8 aprile: eliminazione definitiva delle collaborazioni degli ebrei con giornali e riviste.
14 luglio 1938: venne diffuso il documento Il fascismo e i problemi della razza, testo teorico su razzismo e
antisemitismo13.

13
Presentato come un’opera di un gruppo di studiosi fascisti, venne scritto in realtà da Guido Landra con consigli di
Mussolini, a cui aderirono dieci studiosi fascisti, docenti di università italiane. Il testo riguardava il razzismo in generale,
non solo quello antiebraico. Veniva affermata l’esistenza di una “razza italiana pura”, di origine e civiltà ariana e veniva
proclamata la non appartenenza degli ebrei a tale razza.
[il testo venne seguito con la pubblicazione della Dichiarazione sulla razza il 6 ottobre dal Gran Consiglio del
fascismo, nel cui testo veniva annunciata la parziale persecuzione degli ebrei]14
28 luglio: il segretario del Pnf, Starace, ordinò alle federazioni provinciali del Pnf di eliminare gli ebrei da tutti gli
incarichi nel partito e da tutto ciò che lo riguardava.
17 agosto: il sottosegretario dell’Interno impose l’allontanamento degli ebrei dalle cariche pubbliche di enti che
dipendevano dal Ministero dell’Interno.
→Si trattò del primo tentativo di arianizzazione di un comparto nazionale
il 19 novembre: si decise di espellere dal Pnf tutti gli ebrei.
A dicembre e nei mesi successivi, vennero varati altri provvedimenti.

E sempre nel novembre 1938, venne varata una definizione giuridica di “appartenente alla razza ebraica”, che
andò ad ampliare il numero dei possibili perseguitandi.

Il regime ufficializzò anche l’esistenza dei due principali uffici ministeriali dedicati alla persecuzione razzistica:
17 luglio: L’Ufficio centrale demografico divenne la Direzione generale per la demografia e per la razza
(DEMORAZZA), impegnata sia in campo demografico sia nelle questioni razziali. Essa effettuò il lavoro di pre-
elaborazione e gestione della normativa razzistica e arrivò a preparare gli schemi per quantificare le parti di
“sangue ebreo” e “sangue italiano” posseduti da coloro che provenivano da una discendenza mista.
il 22 agosto 1938 effettuò un censimento speciale, seguendo criteri razzistici, degli ebrei per identificare i
potenziali perseguitandi15.
Agosto: Ufficio studi del problema della razza (UFFICIO RAZZA): dotato di funzioni consultative e operative. Tale
ufficio si impegno nella documentazione, nella propaganda e organizzò in varie città i Centri per lo studio del
problema ebraico.

Inoltre, in quegli anni la questione ebraica conobbe un grande essor mediatico. Se inizialmente la questione
ebraica era gestita da alcuni periodici, come “Il Tevere” (di Telesio Interlandi), il 5 agosto si iniziò a pubblicare il
quindicinale “La difesa della razza”, il primo periodico divulgativo consacrato in toto alla questione ebraica e al
razzismo. Nacquero anche riviste specializzate, come “Il diritto razzista” o “Razza e civiltà”. Iniziò, quindi, sui
quotidiani e periodici una forte campagna denigratoria contrò gli ebrei, la quale costituì una fase necessaria e
preparatoria alle persecuzioni.

Caratteristiche e svolgimento della persecuzione (1938-1943)

1-2 settembre 1938: il Consiglio dei ministri approvò i provvedimenti legislativi che riguardavano l’espulsione
degli ebrei stranieri e la revoca delle concessioni di cittadinanza; l’arianizzazione della scuola pubblica;
l’istituzione degli uffici statali incaricati della persecuzione.
Il 9 novembre approvò il Regio decreto che conteneva un nuovo testo del primo libro del Codice Civile, il cui
primo articolo riguardava la capacità giuridica e le sue limitazioni per determinate razze. Quest’ultima
limitazione, con il manifesto razzista e antisemita, trasformarono l’Italia in uno stato razziale.
è necessario sottolineare che tali provvedimenti riguardavano esclusivamente gli ebrei e non erano rivolti ad
altre razze (se non il decreto che vietava il matrimonio tra cittadino italiano di razza ariana e una persona
appartenente ad altra razza.

L’applicazione di tali provvedimenti avvenne in modo palese e sotto gli occhi di tutti. Le leggi persecutorie
vennero controfirmate dal capo dello Stato, il re Vittorio Emanuele III di Savoia. Il 14 dicembre 1938, la Camera
dei deputati approvò all’unanimità i decreti. Per quanto riguarda la posizione del papa Pio IX rispetto a tali
provvedimenti, egli portò avanti trattative solo per impedire che la legislazione persecutoria disponesse pene

14
Inoltre il Gran Consiglio si mosse nell’avvertire che tale situazione si sarebbe aggravata in base alle posizioni assunte
dall’ebraismo nei confronti del fascismo. Ancora una volta, si trattò di un ricatto internazionale.
15
46.656 erano “ebrei effettivi” e 11.756 appartenevano a varie categorie, distaccati dall’ebraismo o di discendenza mista.
per il reato di concubinato interraziale (convivenze razzialmente miste sancite da matrimonio in Chiesa),
mentre per la questione antiebraica propose il laissez faire.

 Definizione giuridica di ebreo

Per perseguitare gli ebrei come razza, il governo dovette formulare una definizione giuridica di ebreo e stabilire
i criteri per classificare gli ebrei misti (coloro che provenivano da relazioni interraziali). Il sistema classificatorio
era portato avanti dal la Demorazza e si basava: 1. razza dei genitori; 2. Nazionalità dei genitori; 3.
Caratteristiche individuali delle persone da esaminare (ma si arrivò presto a un momento in cui era immediata
la coincidenza tra religione cristiana – razza ariana e religione ebraica – razza ebraica). Quindi, la classificazione
razziale dei figli dipendeva da quella dei loro ascendenti. Inoltre, a differenza del sistema nazista, il fascismo
non prevedeva categorie apposite per i misti, tutto era concepibile solo nel binomio aut – aut (o razza ariana o
razza ebraica).
Questo sistema classificatorio venne definito con il Regio decreto legge 1728/1938, il quale prevedeva di
colpire: il singolo nei suoi diritti individuali “siano essi di carattere personale sia patrimoniale” e ampliava
notevolmente le categorie razziali rispetto ai precedenti provvedimenti e la cui applicazione era di competenza
del Ministero dell’Interno. Esso prevedeva:

- Un uomo proveniente da genitori di razza ebraica era ebreo, indipendentemente dal fatto che fosse di
religione ebrea oppure no;
- Un uomo avente genitori ariani era di razza ariana, anche se era di religione ebraica;
- Un figlio dal padre ignoto riceveva la classificazione razziale da parte della madre, indipendentemente
dalla sua religione.

Nel caso di discendenza mista, venivano esaminate le nazionalità dei genitori e la Demorazza decise che
chiunque avesse più del 50% di sangue ebraico apparteneva alla razza ebraica.

- Se: genitore italiano di razza ebraica + genitore straniero di razza ariana = figlio di razza ebraica;
- Se: genitore straniero di razza ebraica + genitore straniero di razza ariana = figlio di razza ebraica;
- Se: genitore ita/straniero di razza ebraica + genitore italiano di razza ariana =
- il figlio di razza ebraica se aveva più di tre nonni di razza ebraica.
- Se aveva solo due nonni di razza ebraica, il figlio poteva essere o di razza ebraica o di razza ariana in
base a determinati criteri. Poteva essere ariano solo se: almeno un genitore misto apparteneva
ufficialmente a una religione non ebraica prima dell’ottobre 1938 e non avesse compiuto
manifestazioni di ebraismo).
- Se aveva solo un nonno ebreo, poteva essere classificato di razza ebraica o ariana. Ariano solo se il
suo genitore misto o lui stesso appartenessero ufficialmente a una religione non ebraica.

L’unica modifica apportata a questo sistema classificatorio, fu l’introduzione della legge 1024-1939 che portava
avanti la procedura di arianizzazione e che prevedeva che una persona potesse dimostrare di avere un genitore
(o altro ascendente) biologico diverso da quello registrato negli atti ufficiali di nascita. Tale procedura venne
utilizzata solo da persone di religione cristiana inizialmente classificate di razza ebraica, ma che volevano essere
riconosciute di razza mista. L’indagine fu seguita dal “Tribunale della razza”. Tale sistema ebbe però un numero
limitato e gli stessi “arianizzati” non riuscirono a fuggire alla minaccia persecutoria (nel gennaio ’42, il
segretario del Pnf dispose la loro esclusione dal partito).

Per quanto riguarda i misti classificati di razza ariana, se da un lato non furono assoggettato da provvedimenti
persecutori, dall’altro, la Demorazza portò avanti un controllo capillare dei loro comportamenti, per segnalare
possibili manifestazioni di ebraismo (ciò avrebbe comportato una riclassificazione razziale). E nel 1942 venne
deciso di introdurre la definizione ufficiale di “misto non ebreo”, così da distinguerli ulteriormente dalla
categoria di “razza ariana”.
Un ulteriore provvedimento (R. d. l. 1728/1938) prevedeva l’esenzione dalla persecuzione ai nuclei famigliari
un cui componente era caduto in guerra o per la causa fascista, avesse ottenuto meriti di ordine bellico. Tale
“discriminazione” poteva essere assegnata in maniera facoltativa e sempre facoltativamente poteva essere
estesa ai discendenti/ascendenti (estensione fino al II grado). Ciò permetteva a coloro che ne godevano di
ottenere determinati favori (es: possedere fabbricati urbani, terreni, aziende in misura superiore rispetto a
quella fissata per gli altri ebrei; prestare servizio militare)16.

Un ulteriore sviluppo del sistema persecuzionale avvenne tra l’autunno 1940 e l’estate 1941, quando venne
definito un progetto complessivo di soluzione della questione antiebraica, basato su una nuova suddivisione
degli appartenenti alla razza ebraica:

1) Coloro da espellere dal paese nell’arco di un decennio (nell’attesa si sarebbero dovute potenziare le
misure persecutorie nei loro confronti)
2) Coloro che erano di razza ebraica MA professanti religione cristiana e aventi come coniuge un ariano
cristiano e figli cristiani, avrebbero mantenuto il diritto di residenza nella Penisola e riacquisito i diritti
perduti.
Ma tale categoria era destinata a scomparire a causa dei vari provvedimenti emanati contro le
convivenze e relazioni miste (nel 1942, la Demorazza decise di adottare provvedimenti contro i
conviventi misti, i quali erano responsabili di arrecare offesa allo spirito della legge per la difesa della
razza).

 Condizione generale dell’ebreo

Nel settembre/ottobre 1938, Mussolini ipotizzò l’idea di revocare la cittadinanza a una parte o alla totalità degli
ebrei italiani. Inizialmente, si limitò a revocarla agli ebrei stranieri che l’avevano acquisita dopo il 1918,
esentando coloro che l’avevano acquisita a pieno diritto (come quelli che l’avevano ricevuta grazie al loro
impegno nella IGM). Ma tale esenzione non fu sempre praticata.
Fin dall’inizio si cercò di ben definire e differenziare le categorie razziali (ebrei – italiani), gli ebrei costituivano
un gruppo distinto dall’entità regime-stato-popolo-nazione italiano-fascista-cattolico. Bollati come antifascisti
(nel settembre 1938, Mussolini dichiarò che l’ebraismo mondiale era un nemico del fascismo e la Dichiarazione
della razza del 6 ottobre affermava che l’ebraismo era l’animatore dell’antifascismo). Tuttavia, il regime non
impose mai l’obbligo di portare una stella di Davide gialla o altri distintivi, in quanto si pensava che l’ebreo
potesse essere facilmente riconoscibile dal cognome.
La loro esclusione dall’esercito costituì la loro esclusione materiale dalla patria.
Essi vennero declassati di fatto, ma la mancata revoca formale delle loro cittadinanze fu soprattutto per motivi
di opportunità (i paesi confinanti non avrebbero accettato l’ingresso di questi nuovi ebrei apolidi o il regime
non voleva perdere i legami con i potenti nuclei di ebrei italiani sulle sponde del Mediterraneo).
Gli ebrei furono censiti e furono obbligati ad autodenunciarsi (comuni, questure e prefetture possedevano
informazioni sempre aggiornate sui loro spostamenti). La loro appartenenza alla razza ebraica era menzionata
sui certificati e sul libretto di lavoro, registrata da albergatori e affittacamere o sui lasciapassare per le colonie,
ma non era menzionata né sul passaporto (per facilitare l’espatrio) né sulla carta d’identità.
Venne ripreso il divieto agli ebrei di possedere domestici non ebrei e i dirigenti ebrei vennero licenziati dalle
grandi aziende. A partire dal 1940 venne vietato loro di soggiornare nelle principali località turistiche.
Vennero espulsi dalle principali cariche pubbliche, a eccezione dei deputati (dovuto al fatto che la Camera dei
deputati venne sciolta nel 1938) e quella dei senatori (per la natura regia della nomina e la durata vitalizia della
carica).
Furono colpiti anche i diritti che riguardavano la vita religiosa: venne vietata la macellazione degli animali
secondo l’uso ebraico, carne Kasher (19 ottobre 1938)17; tutti i periodici ebraici furono obbligati a cessare le

16
Inoltre la discriminazione permetteva di mantenere intatto il patrimonio personale e conservare il ruolo di dirigente
industriale o libero professionista. Essa, quindi, era vista come una sorta di riattestazione di appartenenza all’Italia.
17
Tale divieto costrinse gli ebrei a rinunciare alla carne bovina e a limitare quella di pollo o tacchino. In determinate
situazioni, era però possibile dare carne no kasher a bambini con problemi di salute. Ciascuna situazione doveva essere
esaminata da un medico e il giudizio definitivo spettava al rabbino (ci doveva essere l’impossibilità di assumere cibi
alternativi, doveva essere in pericolo la vita del bambino..)
pubblicazioni; gli ebrei assoggettati al lavoro obbligatorio non potevano astenersi dal lavoro per e festività
ebraiche.
La legge persecutoria aveva condizionato la vita ebraica, ma era rimasta a volontà di osservare la legge ebraica.

 Finalità concreta e conduzione generale della persecuzione degli ebrei stranieri

Il fascismo mirava a liberarsi velocemente degli ebrei stranieri, così si adoperò emanando vari provvedimenti
per depurare il territorio italiano dalla loro presenza:

- vietò gli ingressi di nuovi ebrei stranieri a scopo di residenza e vietò gli ingressi per “soggiorno” agli
ebrei tedeschi;
- espulse dal paese coloro che avevano ottenuto la residenza in Italia dopo il 1919;
- bloccò definitivamente l’entrata degli ebrei provenienti dall’Europa antisemita e vennero potenziati i
preparativi per l’internamento degli ebrei stranieri non autorizzati a risiedere nella penisola
(queste misure furono il riflesso dell’intensificazione dell’antiebraismo italiano; dell’ingresso dell’Italia
in guerra, 10 giugno 1940).
- Il 16 maggio 1940: Mussolini stabilì che gli ebrei stranieri dovevano essere internati in campi separati
(inizialmente egli prevedeva che: gli uomini sarebbero stati internati in campi di concentramento,
mentre le donne con i figli dovevano essere internati in comuni, per poi essere trasportati a Tarsia,
località meridionale).
- Il 15 giugno 1940: il ministero degli Interni dispose il rastrellamento degli ebrei stranieri provenienti da
Stati che avevano attuato la politica razziale e il loro internamento in appositi campi di concentramento
(decisione applicata solo in parte).
→ Tale provvedimento ebbe importanti conseguenze a Fiume e Abbazia, dove risiedevano molti ebrei
di nazionalità straniera a cui era stata revocata la cittadinanza italiana e in cui il prefetto era un feroce
antisemita.
→ Gli ebrei internati non furono sottoposti a particolari misure persecutorie, sebbene avessero molti
divieti e regole. L’internamento, infatti, costituiva una forma più blanda della carcerazione. Un esempio
fu il campo di Ferramonti di Tarsia, per la cui grande estensione e per il grande numero di internati
assomigliava a un ghetto.
- Il governo fascista decise anche di trasferire provvisoriamente in campi della penisola ebrei internati
nel meridione (erano soprattutto ebrei profughi in Dalmazia ed ebrei centroeuropei diretti in
Palestina).

Tutto questo sistema peggiorò a partire dal giugno 1943, come dimostrano due documenti:

1) 14 giugno 1943: il Direttorio del Pnf chiese a Mussolini il rimpatrio di tutti gli ebrei stranieri incapaci di
giustificare la propria presenza in Italia e se ciò non fosse stato possibile, era obbligatorio il loro
isolamento in luoghi di non villeggiatura.
Tale richiesta prospettava il rimpatrio degli ebrei dell’Europa centrale/orientale nei loro paesi, dove
erano in atto deportazioni. A questo documento Mussolini non si espresse né a favore né contro.
2) 25 luglio 1943, ma concepito e inviato prima:
in cui il prefetto di Cosenza sosteneva il trasferimento degli ebrei stranieri internati a Ferramonti a
Bolzano. Disposizione operativa che camuffava il reale obiettivo: o la consegna degli ebrei stranieri alla
Germania nazista o la costituzione di una riserva da utilizzare per riscattare prigionieri italiani o per
proteggere i gerarchi fascisti.
 Finalità concreta e conduzione generale della persecuzione degli ebrei italiani

Il fascismo si proponeva di eliminare gli ebrei italiani dal Regno d’Italia, ma, per la loro profonda integrazione
nella società italiana, tale obiettivo non venne subito proclamato e perseguito pubblicamente. Inizialmente,
quindi, il governo si mosse con la loro eliminazione dalla vita pubblica (espulsione dalle cariche pubbliche/dalla
dimensione culturale ed educativa), distinguendoli dal resto della popolazione non ebrea (divieto dei
matrimoni misti), e agevolando e favorendo la loro emigrazione con l’emanazione di vari provvedimenti, divieti
e limitazioni (limitazione della possibilità di lavorare o istruirsi). In realtà si stava già realizzando un’emigrazione
volontaria degli ebrei, le cui principali destinazioni erano la Palestina, gli Stati Uniti e l’Argentina.
Quest’ultima venne incentivata soprattutto nell’autunno del 1938:
- settembre 1938: il ministero dell’Interno invitò a rilasciare il passaporto anche agli ebrei sospettati di svolgere
all’Estero attività antifasciste.
- nel novembre il Ministro degli esteri ribadì che non dovevano essere frapposti ostacoli per il loro espatrio.
Ma, solo nel febbraio 1940, Mussolini comunicò pubblicamente che gli ebrei italiani dovevano lasciare,
gradualmente, ma definitivamente la penisola, anticipando il progetto complessivo di soluzione della questione
antiebraica. Tuttavia, durante il 1941, il progetto venne abbandonato, soprattutto perché la guerra aveva reso
impossibile qualsiasi possibilità di espatrio. Inoltre, durante la guerra, il governo fascista permise l’ingresso in
Italia di molti ebrei provenienti dalla Germani e da altri territori a lei assoggettati.
Contrario alla politica di sterminio portata avanti dal nazismo e volendo tutelare gli interessi nazionali
rappresentati dagli ebrei (soprattutto per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo), tra il 1942/1943 portò
avanti una politica di evacuazione (ebrei evacuati: 1800, quasi 2/3 dalla Francia).
Con l’imminente ingresso in guerra, il regime decise di internare gli ebrei italiani giudicati di “reale pericolosità”
per l’ordine pubblico o che potevano svolgere attività contro il regime (di propaganda e attività spionistica). ->
l’ebraicità era vista come una minaccia per l’ordine pubblico.
La decisione di internare gli ebrei, ovvero quella di istituire campi separati, riguardava non solo gli ebrei
stranieri, ma anche quelli italiani, i quali vennero sottoposti a misure persecutorie aggiuntive. Tuttavia si trattò
di una procedura parziale e diseguale, sia perché in ciascuna provincia era presente una diversa proporzione
degli ebrei italiani internati, sia perché le varie autorità locali incaricate dell’applicazione agirono diversamente
le une dalle altre18.
Oltre all’internamento, vennero promulgati altri provvedimenti di carattere generale nei confronti degli ebrei
italiani. Fu deciso che coloro che non fossero espatriati volontariamente entro i termini indicati (10 anni per i
discriminati; 5 per quelli non discriminati; 1 per quelli non discriminati e nullatenenti), sarebbero stati
accompagnati alla frontiera o internati in “colonie” di lavoro. Ma tutto ciò non andò in porto.
Ma: nel 1943 furono stabiliti campi di internamento e lavoro obbligatorio.
L’assoggettamento al lavoro obbligatorio (precettazione) venne sancito da un provvedimento amministrativo
del 6 maggio 1942, presentata alla popolazione come una prima specifica attuazione del generale “servizio al
lavoro” (nel corso della sua istituzione, vennero chiamati al lavoro obbligatorio tutti gli italiani di media età
esentati dal servizio militare, ma in realtà tale misura era fortemente persecutoria e connessa alla questione
dei campi).
Il provvedimento di maggio coinvolgeva gli ebrei italiani, di ambo i sessi, dai 18/55 anni (vennero esentati
coloro che avevano coniuge e figli ariani, gli inabili, i malati), il lavoro poteva essere svolto anche fuori dalla
propria regione di appartenenza, doveva essere preferibilmente manuale19, e non dovevano essere mischiati
con gli ariani.
Nella primavera del 1943, a causa delle sconfitte militari, della radicalizzazione della politica fascista, il Pnf
decise di intensificare i meccanismi di persecuzione, la lotta ebraica divenne l’ordine del giorno.
il 17 giugno 1943, il sottosegretario dell’Interno Umberto Albini, trasmise ai prefetti l’ordine di avviare le
operazioni di selezione degli ebrei fisicamente idonei al lavoro (ambi sessi, tra i 18-37 anni). Ma a causa della
crisi del luglio 1943, vennero adottate altre misure.
Con l’istituzione dei campi di internamento e il lavoro obbligatorio, il fascismo raggiunse il vertice della
persecuzione dei diritti degli ebrei.

18
Alcune di esse hanno attuato una sorta di resistenza passiva (A Rovigo nessun ebreo fu avviato al lavoro)
19
Lavori di sterro, taglio della legna, cernita della spazzatura, carico e scarico di merci, lavori agricoli o edili, fabbricazione
di scarpe, cappelli e divise per militari. Il salario era minimo e veniva ridotto sempre di più (ci furono vari episodi di
contestazione e scioperi, ma tutti velocemente smantellati).
 La normativa persecutoria nei comparti di lavoro, delle proprietà, della scuola e della cultura

I divieti e le esclusioni (furono principalmente atti di estromissione), intaccarono tutti gli ambiti della vita
sociale. Ciò fu anche la conseguenza dell’internamento (istituito nel 1940) e del lavoro obbligatorio (istituito nel
1940) che partecipò al processo di distanziamento rispetto al mondo ordinario. Il regime portò avanti una vera
e propria arianizzazione di tutte le componenti che costituivano la vita sociale:
1) Arianizzazione dell’economia:

- Licenziamento da tutti gli impieghi pubblici e assimilati (fine 1938)


- Espulsione dalle attività e dagli impieghi privati:
Venne vietato loro di essere dirigenti in grandi aziende e di lavorare presso banche/imprese di
assicurazione e da qualsiasi attività subordinata o autorizzata dalla polizia (anche quelle turistico-
alberghiere) (1938). Vennero esclusi dalle professioni autonome regolate da albi (medico, ostetricia,
veterinario, avvocato, ingegnere, geometra). Furono esclusi nei cantieri navali e negli stabilimenti
ausiliari alla difesa della nazione, come Fiat o Compagnia generale di elettricità.
- Il Ministero delle Corporazioni ordinò alle aziende e uffici di collocamento nel febbraio 1942 di favorire
l’occupazione dei lavoratori ariani.
- Divieto di essere iscritti nell’elenco dei poveri, così da escluderli dall’assistenza pubblica.
- Divieto di accedere ai dormitori pubblici.
- Espulsi dal settore dello spettacolo (1938-1942).
- Agli ebrei di cittadinanza italiana non discriminati fu vietato di possedere aziende commerciali o
industriali. Le società non conservabili dovevano essere liquidate o cedute a nuovi proprietari ariani
(venne effettuato un censimento dettagliato di tutte le aziende non artigiane e non azionarie
possedute anche in parte da ebrei italiani non discriminati).
- Numerose ditte piccole e medie vennero chiuse o cedute
- Fu vietato alle pubbliche amministrazioni di assegnare appalti o commesse a ebrei.
- Venne vietato agli ebrei di possedere beni immobili in misura superiore a 5.000 lire di estimo per
terreni e 20.000 di imponibile per i fabbricanti urbani. I beni eccedenti dovevano essere trasferite a
EGELI (il nuovo ente di gestione e liquidazione immobiliare). Anche in questo caso venne effettuato un
censimento di tutte le proprietà.

Alcuni divieti lavorativi vennero decisi direttamente dalle autorità amministrative: tra la fine del 1938 e il 1942,
la polizia con il supporto della Demorazza, promulgò una serie di decreti limitativi: Divieto di essere titolari di
attività in determinati settori (agenzie d’affari; commercio di preziosi; esercizio dell’arte della fotografia;
mediatori; tipografie; raccolta di rifiuti) o il divieto di guidare autoveicoli di piazza.
Per quanto riguarda le società azionarie sotto il possesso ebraico, il regime promulgò specifiche leggi, in
quanto: non voleva intaccare il diritto di proprietà, ma soprattutto voleva evitare possibili squilibri e
ripercussioni sull’economia italiana e l’emigrazione del capitale ebreo investito. Quindi dispose di mettere il
capitale degli ebrei sotto il controllo ariano e al servizio della nazione.
-> La persecuzione determinò un grave impoverimento medio del gruppo ebraico e un forte impoverimento di
alcuni strati.

2) Arianizzazione della cultura e dell’educazione, adottate varie misure contro la presenza ebraica negli
ambienti culturali (musei, teatri) e negli ambienti educativi (scuole/università/case editrici):

- Esclusione degli studenti dalle scuole elementari e medie, frequentate da ariani (gli esclusi potevano
frequentare scuole cattoliche se battezzati).
- Esclusione degli studenti dalle università (temporanea eccezione per coloro che erano già iscritti
nell’Anno Accademico 37/38 e che non erano fuori corso).
- Esclusione degli insegnanti dalle scuole pubbliche e private di qualsiasi grado.
- Esclusione degli impiegati dalle scuole, dagli uffici ministeriali…
- Divieto di adozione di libri di testo redatti/commentati/revisionati da autori di razza ebraica
- Divieto di far parte du associazioni culturali e ricreative.
- Licenziamento da parte degli enti operanti nel teatro, nella musica, nel cinema e nella radio di
dipendenti ebrei
- Annullamento dei contratti degli artisti ebrei (nel 40 tale norma venne estesa anche alle imprese
private).
- Esclusione delle opere di autori ebrei nei teatri e in tutto il settore dello spettacolo.
Tutti tali provvedimenti vennero ampliati ulteriormente da un apposito decreto legislativo nel 1942.
- Tra 1938/1939, le case editrici cessarono pressoché del tutto di pubblicare nuove opere di autori ebrei
e le opere già in circolo vennero ritirate dal commercio (in maniera confusionaria). Vennero anche
sequestrati libri non ebraici, come un dizionario che riportava la definizione:
antisemita: persona poco civile che osteggia e combatte gli ebrei.
ma anche l’opera antifascista di Ernesto Orrei del 1942.
- Nel 1938, gli ebrei vennero esclusi totalmente dalla stampa quotidiana e periodica.
- Nel 1942, il ministero dell’Educazione nazionale ordinò alle biblioteche di escludere le opere di autori
ebrei (eccezione per qualche categoria di studioso).
- Pittori e scultori ebrei vennero esclusi dalle mostre o censurati (ciò ebbe gravi ripercussioni per le loro
relazioni professionali).
- Espulsi da tutte le accademie e società scientifiche
- Nov./dic. 1938: il Comitato olimpico nazionali italiano (Coni) ordinò a tutte le federazioni di introdurre
nello statuto sociale l’articolo che affermava che una condizione indispensabile per potere essere soci
era l’appartenenza alla razza ariana. La Coni si assunse l’obiettivo del “miglioramento fisico e morale
della razza”.
- Gli ebrei professionisti e dilettanti vennero espulsi dalle competizioni e dagli allenamenti.

 La violenza

Tutte queste misure erano attuate e percepiti come atti di violenza: psicologici (l’apposizione di cartelli
“negozio ariano” o “in questo locale gli ebrei non sono benvenuti”) che fisica. Inizialmente essa venne
scoraggiata dal governo e furono per lo più episodi isolati di pedinamenti e percosse, di cui ne rimane poca
traccia poiché chi fu la vittima preferì tacere (umiliazione della violenza). Tali azioni si verificarono in
determinate località e furono casi isolati, le principali furono:

- assalti alle vetrine;


- pestaggi e aggressioni che avvennero nell’anconetano durante una manifestazione pro-guerra di
studenti fascisti (maggio 1940);
- saccheggio di negozi e l’uccisione di due ebrei a Bengasi;
- aggressioni fisiche a ebrei tripolini nell’aprile/maggio 1941
- sett./ott. 1941 si realizzarono violente azioni squadriste contro le sinagoghe:
venne devastata a Ferrara la sinagoga fanese e quella di rito tedesco (21 sett.); venne dato fuoco al portone
della sinagoga di Torino (nella notte tra 14/15 ott.); a Triste dall’8 ottobre iniziarono una serie di atti
antisemiti e di danneggiamenti alle sedi ebraiche, che avrebbero dovuto sfociare con l’incendio della
sinagoga, ma non si realizzò e ciò determinò la fine di quest’ondata di violenze.

Tutti questi atti vennero accompagnati con scritte come “morte agli ebrei”, percosse, bastonate ecc. e
coincisero con altri avvenimenti, sempre di carattere antiebraico, frutto dell’iniziativa del ministero della
Cultura popolare:

- diffusione nelle sale cinematografiche del film antisemita tedesco: Suss l’ebreo (le azioni di Trieste e di
Casale presero il via durante tale proiezione);
- La messa in onda di una serie di conferenze radiofoniche sui temi dei Protocolli di Sion;
- L’inaugurazione ad Ancona, il 28 ottobre, del primo Centro per lo studio del problema ebraico.
Continuarono anche delle azioni squadriste, sempre isolati, ma molto gravi:

- Aprile 1942: vi fu un’incursione nel ghetto di Venezia, venne picchiato il rabbino e furono danneggiate
delle sedi ebraiche.
- Giugno 1942: la sinagoga di Spalato venne saccheggiata e devastata.
- Luglio 1942: ancora una volta la sinagoga di Trieste venne saccheggiata, insieme ad altri edifici
comunitari e aggressioni ai singoli ebrei.
- Ottobre 1942: distruzione di insegne e vetrine di negozi ebraici a Pisa.
- Maggio 1943: incendio della principale sinagoga di Padova + ulteriori saccheggi a Trieste.
- Marzo-luglio 1943: a Mantova venne istituito un coprifuoco per gli ebrei, e coloro che venivano trovati
in giro dopo il tramonto subivano violenza e minacce.

Diverso fu il caso per gli ebrei stranieri presenti nel Regno d’Italia, il progetto fu il medesimo ma la sua
conduzione fu più dura. Per le zone annesse la legislazione persecutoria vigente venne estesa. Mentre per i
territori occupati, nelle zone della Grecia meridionale, della Croazia occidentale e della Francia sudorientale, ci
fu una diversa legislazione, Mussolini diede il proprio nulla osta a consegnare gli ebrei croati e della Francia
sudorientale ai tedeschi20.

Per quanto riguarda le posizioni di Mussolini riguardo alla politica nazista di procedere all’eliminazione totale
degli ebrei (adottata a partire da set/ott 1941), Mussolini l’approvò (inviò in più occasioni lettere in cui è
evidente la sua accettazione della nuova politica antiebraica). Ma, fino al 25 luglio 1943, continuò per la sua
strada, senza prendere in considerazione tale progetto per portare a termine la questione ebraica.

I perseguitati

Per cinque anni, 38-43, il regime portò avanti una dura persecuzione nei confronti degli ebrei per portare a
termine l’obiettivo di rendere l’Italia “pur”, ovvero di estirpare completamente il germe ebreo (l’azione fascista
può essere definita totalitaria). Le comunità ebraiche si dimezzarono, passarono da 45.000 iscritti (1938) a
33.000 (1943).
Gli emigrati registrati furono circa 6.000 su 45.000 iscritti. Ma la partenza non era possibile per tutti, sia per gli
affetti, ma anche per il costo elevato, quindi la maggior parte degli ebrei non era in grado di abbandonare
l’Italia.
Molti ebrei abbandonarono l’ebraismo e uscirono formalmente dalle comunità, molti dovuto alle gravi
condizione di perseguitato. Inoltre, in molti casi, la dissociazione veniva seguita dal battesimo che sanciva
l’effettivo allontanamento dalla religione e dall’identità ebraica.
Un’altra conseguenza dei provvedimenti antiebraici fu il calo di natalità (un altro fattore che determinò le
riduzioni numeriche nelle comunità ebraiche). Se il numero medio annuo delle nascite ebraiche era 594 nel
periodo tra il 1921.1938, si abbassò a 425 nel 1939-1940 e 224 nel 1941-1945. Inoltre, con il divieto dei
matrimoni misti, la gente non si sposava più e anzi aveva dimezzato la percentuale di matrimoni religiosamente
omogenei tra due ebrei.
In altri casi, sebbene in bassissima percentuale (quasi 40 tot.), scelse di seguire la via del suicidio per rimediare
alla vita insostenibile da perseguitato (a Taormina nel marzo 1939, i fratelli Kurschner insieme alla loro madre
decisero di suicidarsi, gettandosi in mare).

Prima che il sistema persecutorio venisse attivato, nel marzo 1938, si era tenuto il congresso statuario
quinquennale dell’Unione delle comunità israelitiche, dove venne ratificato l’accordo per una gestione unitaria

20
La complessa questione venne risolta nel luglio del 3 nella Francia sudorientale, dove nel marzo era stato inviato un
ispettore di polizia (Guido Lospinoso), il quale aveva il compito di imprimere un’accelerazione al censimento e
all’internamento degli ebrei stranieri. Posto a capo di un Regio ispettorato di polizia razziale il quale comunicò a Roma che
la polizia tedesca aveva chiesto la deportazione degli ebrei di loro pertinenza. Il capo della polizia (Chierici) gli disse di
accettare e la polizia tedesca iniziò subito le operazioni. Con la crisi del 25 luglio 1943, il regime dovette portare avanti
altre misure (internamento e lavoro obbligatorio per gli ebrei italiani).
tra il gruppo dirigente ebraico e il Comitato degli italiani di religione ebraica. Ma tuttavia l’Unione si dimostrò
incapace di bloccare la politica persecutoria iniziata dal regime e anche fragile (nell’autunno del 1938, vari
consiglieri delle comunità e dell’Unione si dimisero). L’Unione conobbe numerosi crisi e mostrò quanto la
politica governativa avesse intaccato gli equilibri interni.
Con l’estensione della persecuzione in Europa e in Italia, il Comitato di assistenza per gli ebrei profughi in
Germania aveva ampliato il suo raggio di azione, continuando a operare un miglioramento delle condizioni di
vita degli ebrei nella penisola e organizzando fughe ebraiche verso la Francia. Ma, in seguito alla richiesta della
Demorazza, nel luglio 39, il Comitato venne sciolto.

Non mancarono casi di contestazione pubblica dell’antisemitismo e del razzismo da parte di italiani non ebrei,
ma furono pochi e scarsi (estate 1938, il mensile “L’igiene e la vita” del socialista Casalini, sottolineò l’origine
ebraica di Cristo e negò l’affermazione del documento Il fascismo e i problemi della razza, dove si affermava
che la popolazione dell’Italia fosse solo di origine ariana.
Inoltre, alcuni enti ebraici intensificarono i programmi di attività culturali e ricreative, come il Convegno ebraico
di Milano che organizzò nell’ott. 1939 cicli di conferenze, riunioni di approfondimento religioso, corsi di ebraico
e inglese ecc. Oppure si mantenne attiva, seppur con un’esistenza modesta, la casa editrice Israel.
Per quanto riguarda il sistema scolastico, consiglieri e comitati improvvisati cercarono di arginare il problema
dell’educazione, organizzando strutture complesse, cercando insegnanti (di alto livello) per garantire il
proseguimento dell’istruzione e limitare/lenire le conseguenze della politica persecutoria dell’esclusione dal
mondo ordinario (furono anche impartite lezioni di materie pratiche, tecniche e utili)21. Si aprì anche un
complesso dibattito sulla caratterizzazione ebraica, nazionalista o fascista delle scuole, se il rabbino di Prato
affermava che la scuola non era di nessun tipo confessionale e quindi lo studio della lingua ebraica era
facoltativo e non si sarebbe fatto lezione né il sabato né la domenica, a Ferrara si decise che la scuola sarebbe
stata aperta il sabato.
-> Tutto questo sistema di scuole e di corsi organizzato dalle comunità ebraiche, fu un fatto di straordinaria
importanza, in quanto costituì un atto di autorganizzazione, un’affermazione di dignità e una dimostrazione di
reagire.
Se tutti gli ebrei si videro umiliati da questo sistema persecutorio, gli ebrei fascisti subirono una tragedia ancora
maggiore (respinti dal loro stesso partito). Tuttavia, molti ebrei approdarono al fascismo, non solo come
reazione oppositiva a tale politica, ma in modo costruttivo (soprattutto da parte di coloro che si impegnarono
notevolmente nella creazione di questa rete di solidarietà). Alcuni giovani, emigrati all’estero già dal 1940, si
arruolarono come volontari negli eserciti dello schieramento anti-nazifascista. Oppure i fratelli Bassani a
Ferrara, giovani insegnanti nella scuola creata dalla Comunità ebraica di Ferrara, furono arrestati per
organizzazione di reti clandestine e diffusione di stampa antifascista.

I “Quarantacinque giorni” dell’estate 1943

Il periodo dei quarantacinque giorni, si intende il governo di Badoglio, chiamato a formare un nuovo governo
quando Mussolini venne deposto e arrestato (25 luglio 1943). Esso venne preceduto con lo sbarco in Sicilia di
primi reparti angloamericani, in seguito del quale l’Allied Military Government decretò l’abrogazione di
qualsiasi legge persecutoria. Seppur esso coinvolse determinati territori, costituì il primo passo verso la
liberazione di tutti i perseguitati del Regno d’Italia. Infatti, durante il suo governo Badoglio mantenne inalterata
l’intera legislazione persecutoria, revocando solo alcune disposizioni amministrative22 e rifiutò la consegna ai

21
La persecuzione fascista causò un netto rallentamento o anche un regresso del livello educativo degli ebrei della
penisola.
22
Es: Il ministro della Cultura popolare soppresse l’Ufficio studi e propaganda della razza; il ministro dell’Interno abrogò le
disposizioni di revoca delle concessioni e autorizzazioni della polizia; venne chiesto agli espulsi di presentare nuove
domande (che sarebbero state esaminate da ex novo); il governo considerò come decadute le disposizioni relative ai
campi di internamento e lavoro obbligatorio.
-> Per quanto riguardò gli ebrei internati, il capo della polizia ordinò la liberazione degli ebrei italiani, per poi arrivare nel
settembre 1943 alla liberazione generalizzata dei sudditi Stati nemici.
nazisti di ebrei stranieri presenti sul territorio. Il primo documento ufficiale in cui Badoglio annunciò
l’abrogazione della legislazione antiebraica è del 22 sett. 1943, la prima seduta in cui il Consiglio dei ministri
parlò ufficialmente della stesura di nuovi provvedimenti era del novembre, mentre gli schemi massimi delle
leggi abrogative vennero approvati dal Consiglio il 27/28 dic. 1943.
In realtà, dopo la guerra, Badoglio aveva affermato di non voler abrogare le leggi persecutorie per evitare
tensioni con la Germania, ma che esse sarebbero state inoperanti. Tuttavia, senza un’abrogazione formale, le
leggi rimasero operanti. Inoltre, l’opinione pubblica aveva pareri contrastanti, se i partiti antifascisti e singoli
italiani erano per la piena abrogazione, altre componenti sociali (es: Santa Sede) non le giudicavano malvagie.

Badoglio rallentò la defascistizzazione del paese. Inoltre mantenne l’alleanza con la Germania e iniziò le
trattative con gli Alleati per l’armistizio (concluso il 3 sett). Nelle trattative per l’accordo con gli Alleati, si
preoccupò solo di organizzare il trasferimento a sud della casa reale e di sé stesso, abbandonando la
popolazione dell’Italia Centrosettentrionale alla crescente presenza nazista, quindi a rischio.

Per ciò che riguardò i territori occupati, venne bloccata la consegna degli ebrei tedeschi in Francia alla
Germania, anzi, il ministero degli esteri rivelò la sua volontà di proteggere tutti gli ebrei dei territori francesi,
croati e greci (gli ebrei italiani presenti su quel territori ricevettero la possibilità di entrare liberamente nel
Regno d’Italia, mentre fu vietato a quelli stranieri). Ad alcuni stranieri venne invece data la possibilità di essere
trasferiti a Nizza o Corfù.

Il vero banco di prova del governo di Badoglio fu la questione del trasferimento degli ebrei italiani dalle regioni
italiane settentrionali al meridione, cioè a quelle regioni ormai prossime alla liberazione angloamericana.
Nel contesto delle numerose perdite italiane nel suo Impero appena nato e lo sbarco degli alleati in Sicilia,
determinò un ingente afflusso di forze militari tedesche sul suolo italiano. Ci si iniziò quindi a preoccupare per il
destino degli ebrei italiani e stranieri presenti nella penisola23, per cui gli esponenti dell’organizzazione ebraica
internazionale progettarono l’idea di un loro trasferimento.

V. Il periodo della persecuzione delle vite degli ebrei

La nuova situazione

Con la notizia della stipulazione dell’armistizio tra il Regno d’Italia e gli Alleati l’8 settembre 1943, la sorte degli
ebrei fu determinata dal confronto tra le capacità operative dei tedeschi deportatori e quelle delle forze
oppositive locali e degli alleati liberatori. In quel momento l’Italia dovette subire un nuovo assoggettamento,
una nuova organizzazione territoriale: divisa in due parti separate dalla linea mobile del fronte. All’inizio di
ottobre 1943, la zona sotto il controllo del Regno d’Italia e degli alleati comprendeva: Sicilia, Sardegna,
Calabria, Basilicata, Puglia e Campania. Esse furono immuni dalle politiche naziste e fasciste (non si ebbe tempo
di realizzarle) e gli ebrei residenti vennero liberati (200/400 italiani e 2.200 stranieri circa).
Invece, il territorio sotto il controllo nazista e fascista venne deciso il 10 sett. Da Hitler, che organizzò il nuovo
assetto dell’Italia centrosettentrionale in tre zone di operazione:

1. Zona di operazione PREALPI: provincia di Bolzano, Trento e Belluno;


2. Zona di operazione LITORALE ADRIATICO: provincia di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana.
3. Zona di operazione che comprendeva la retrovia del fronte
4. Zona di operazioni che comprendeva le regioni restanti e le regioni centrali

I tedeschi avevano solo il potere militare, ma nelle prime due amministravano anche l’ordine civile (affidato a
due alti commissari tedeschi sotto il diretto controllo di Hitler), mentre nelle altre due zone, il potere civile era
gestito da una nuova amministrazione fascista, che venne configurata formalmente il 23 settembre 1943,

23
È necessario ricordare che nel dic. 1942, gli ebrei stranieri internati a Ferramonti, temendo un’imminente consegna ai
tedeschi, inviarono un appello al governo statunitense chiedendo che gli Alleati concordassero con il governo italiano,
tramite la Santa Sede, il proprio trasferimento in Medio Oriente o in Africa. Ma né il governo statunitense né la Santa Sede
risultarono adeguati per adempiere a tale compito, e la richiesta non andò in porto.
quando Mussolini annunciò la composizione del governo del nuovo stato fascista repubblicano (dall’1 dic.
Divenne la RSI, la Repubblica sociale italiana24). Mussolini assunse solo le cariche di capo del governo e ministro
degli Affari esteri, lasciando l’intera responsabilità dell’Interno a Valerio Paolo Zerbino.
Il nuovo governo considerò nullo l’armistizio di Badoglio e ripristinò le vecchie alleanze militari e continuò a
portare avanti le misure antiebraiche25. Infatti, per gli ebrei delle regioni centrali e settentrionali, l’8 sett.
Costituì il ripristino immediato della persecuzione dei diritti e l’avvio delle persecuzioni della vita che si realizzò
in tempi diversi nelle varie regioni e vennero agevolate dagli schedari, dai censimenti e dagli elenchi, aggiornati
continuamente, realizzati nel corso del quinquennio precedente. Tali operazioni erano gestite solamente dai
tedeschi nelle prime due zone, mentre nelle altre due sia dai tedeschi che dagli italiani. La gestione antiebraica
era in mano a una sezione di polizia specializzata: la sezione B4 dell’ufficio IV (Gestapo, Polizia segreta di Stato),
della Polizia di sicurezza e Servizio di sicurezza (SIPO-SD), la cui articolazione italiana venne insediata a Verona.
Nel Litorale Adriatico venne insediato un’articolazione della SIPO-SD parzialmente autonoma, sotto il comando
del generale di Odilo Globonick.
Le azioni antiebraiche iniziarono subito dopo l’8 settembre, avviate immediatamente nella zona di Bolzano,
dove vennero eseguiti arresti e deportazioni per mano nella nascente polizia locale di sicurezza e di ordine e
della SIPO-SD e poi intensificate quando venne dato l’ordine di arrestare gli ebrei puri.
Dal 18 set., reparti dell’esercito e della polizia militare stanziati nel cuneese procedettero al rastrellamento e
all’internamento di molti ebrei stranieri. Essa fu motivata principalmente dalla politica annessionistica al Terzo
Reich trasposta dalle autorità locali a Bolzano.
Il 5 ottobre iniziò il rastrellamento nella provincia di Ascoli Piceno, il cui compito venne poi portato avanti dalle
autorità italiane. Il 9 ottobre ad Ancona. Queste azioni, invece, vennero motivate dall’ordine di sicurezza e non
vennero portate avanti dalla polizia specializzata. Inoltre, sempre per motivi di sicurezza, i comandi militari
tedeschi ripristinarono l’internamento di tutti gli stranieri nei campi a nord della linea del fronte. Mentre altre
strutture della polizia tedesca procedettero all’arresto di singoli ebrei, poi consegnati alla sezione specializzata,
la quale ricevette l’ordine di estendere le misure antiebraiche anche agli ebrei italiani, divenuti assoggettabili
all’espulsione verso est.
A causa della scarsità di forze, si era deciso di iniziare l’operazione di bonifica direttamente nelle zone dietro il
fronte, per poi procedere gradualmente verso nord. Per cui, la prima retata era prevista a Napoli, ma l’ordine
dovette essere cambiato a causa della liberazione della città (6 ottobre 1943). Le azioni di arresto gestite dalla
sezione IVB iniziarono a Trieste il 9 ottobre, dove operava un corpo autonomo.

Alla fine del settembre 1943, il massimo responsabile della polizia di sicurezza tedesca a Roma, Herbert
Kappler, ricevette dal RSHA l’ordine di iniziare i preparativi per l’arresto e la deportazione di iniziare i
preparativi e l’arresto/deportazione di tutti gli ebrei di Roma. Questa città, nel territorio amministrato dalla RSI,
era la più importante e delicata (per la presenza del papa), con la più popolosa comunità ebraica e l’unica nella
quale era sopravvissuta una certa concentrazione residenziale ebraica. Per cui, il reparto specializzato guidato
da Dannecker realizzò una razzia accurata ed estesa (si servirono di indirizzari preparati nella questura di Roma
e la retata venne effettuata in tutti i quartieri della città), il cui bilancio fu uno dei più consistenti (circa 1020
deportati ad Auschwitz il 18 ott. 1943). L’unità di Dannecker venne spostata a nord e portò avanti operazioni in
Toscana (Firenze26, Siena27 e altre località toscane), Bologna e nel triangolo Torino – Genova – Milano.

24
I cui esponenti e aderenti vennero chiamati repubblichini.
25
Le persone ebree assoggettate alla persecuzione delle vite furono circa 43.000, variamente distribuiti in tutte le regioni,
ma in particolare a Roma, dove il periodo delle persecuzioni durò nove mesi (Italia settentrionale 20 e a Firenze 11). Molti
riuscirono a passare la linea del fronte e raggiungere le zone meridionali, altri riuscirono a penetrare in Svizzera e
ricevettero il permesso di rimanere. Ma ci furono anche molti a essere respinti.
26
Fu una delle retate più consistenti, dove vennero arrestati più di 350 ebrei, per lo più erano ebrei stranieri fuggiti dalla
Francia
27
Alla retata di Siena, parteciparono anche militanti fascisti
Inizialmente, la polizia tedesca non arrestava gli ebrei che avevano coniuge o genitore ariano, ma a metà del
febbraio 1944, essi vennero internati e in alcuni casi deportati, ma poi si estese su tutto il popolo ariano, non
facendo più distinzioni o eccezioni.

Tali azioni di rappresaglia furono accompagnate da interventi di orientamento dell’opinione pubblica (azioni di
propaganda nei vari editoriali) e anche all’impossessamento dei beni degli ebrei, attraverso vere e proprie
rapine. A Roma vennero estorti più di 50 kg d’oro agli ebrei del ghetto, attuata da Kappler28 2 gg prima di
procedere alla deportazione (quindi forse finalizzata a riscuotere dalle vittime il costo del loro trasporto).

La politica antiebraica della Repubblica sociale italiana

La nuova politica antiebraica iniziò contemporaneamente all’istaurazione della neonata RSI. Sebbene non ci
siano molti documenti a testimoniare, nel colloquio svoltosi in Germania nel sett. 1943 per preparare la
costituzione del secondo governo fascista, gli ebrei vennero riconosciuti come i principali responsabili degli
avvenimenti del 25 luglio e dell’8 settembre e si decise che la Germania li avrebbe aiutati a combatterli. Inoltre,
il 23 settembre, sia in Germania che in Italia venne annunciata la costituzione del nuovo governo repubblichino
e la deportabilità degli ebrei italiani.
Una volta insediatosi al potere, il nuovo governo procedette al ripristino dell’internamento e della normativa
minore del 1939-4329 (il 10/11 ottobre, la stampa quotidiana annunciò il ripristino delle norme antiebraiche
abrogate il 25 luglio) e introdusse disposizioni più specifiche (finalizzate a neutralizzare gli ebrei per la salvezza
degli interessi nazionali), impegnandosi a elaborare una normativa di ordine più generale.
-> 5/6 novembre, la Stampa annunciò che il ministro degli Interni aveva presentato a Mussolini un disegno di
legge per regolare la questione razziale, prendendo come base la legislazione nazista delle Leggi di Norimberga.
Il nuovo progetto prevedeva anche la confisca dei beni mobili e immobili degli ebrei; ulteriori limitazioni alla
loro vita professionale; una radicale discriminazione razziale.
Tale radicalizzazione venne portata avanti grazie alle autorità locali che, a seguito di questi annunci,
incominciarono a emanare misure più restrittive:

- Ferrara
ottobre 1943:
Per la prima volta, in Italia, vennero arrestati degli ebrei (la novità ancora più assoluta è che venne
arrestata un’autorità religiosa): i fascisti della milizia di Bologna e di Ferrara, eseguendo un ordine del
comando militare tedesco e con l’aiuto della polizia, arrestarono 32 ebrei e antifascisti, tra cui anche il
rabbino capo della città (Leone Leoni).
novembre:
Venne ucciso il capo della federazione di Ferrara del nuovo Pfr (Igino Ghisellini), la sera del giorno
successivo (14 nov) la polizia e i carabinieri organizzarono una retata di 72 ebrei e antifascisti e i militi
fascisti uccisero 11 persone.
- Lucca
11 settembre 1943:
per impedire la possibilità di fuga degli internati ebrei (i quali avevano paura di un loro trasferimento in
Germania), il prefetto proponeva un loro trasferimento in campi di concentramento.

Il 14 novembre, a Verona, si tenne la prima assemblea del nuovo partito fascista repubblicano, ricostituito il 15
settembre, durante la quale venne approvato un manifesto programmatico, in cui, al punto 7, veniva affermato
che coloro che gli appartenenti alla razza ebraica erano stranieri e di nazionalità nemica. Con ciò, si proclamò

28
Egli infatti aveva il compito di soprassedere all’applicazione di eventuali misure antiebraiche a carattere individuale.
29
La quale prevedeva: ordine alla polizia di arrestare gli ebrei pericolosi per l’ordine pubblico; gli ordini del ministro della
Cultura popolare di ritirare dalla circolazione i libri di autori ebrei e impedire loro qualsiasi attività artistica; il divieto di
partecipare alla vita militare.
che il nuovo stato era antisemita, anzi, l’antisemitismo costituiva per la RSI, un elemento fondante dello Stato.
A tale assemblea seguirono due provvedimenti legislativi:

1) Il 30 nov. Il ministro degli interni dispose l’ordine di polizia n. 5, il quale prevedeva:


- arresto di tutti gli ebrei e il loro internamento in campi di concentramento;
- il sequestro di tutti i beni, mobili e immobili;
- adozione di una vigilanza speciale di polizia sui figli di matrimoni misti (in precedenza ritenuti di razza
ariana).
2) Il decreto delegato del duce (d.l.d.) del 4 gennaio 1944 ordinava che i capi delle provincie dovevano
immediatamente procedere alla confisca di tutti i beni di qualsiasi natura (aziende, terreni, titoli
mobiliari, crediti vari, mobili di arredamento). E tale provvedimento concerneva sia gli ebrei stranieri
che quelli italiani (i principali destinatari di tale provvedimento).
Le proprietà confiscate erano custodite, amministrate e vendute dall’Egeli (istituto creato nel 39), e il
ricavato doveva essere versato allo Stato per arginare le spese per l’assistenza, per il risarcimento di
danni di guerra. Inoltre in esso si dichiarava che erano nulli tutti i trasferimenti di proprietà avvenuti
dopo il 30 nov 1943 e stabiliva gravi pene contro coloro che svolgevano atti di occultamento,
soppressione, distruzione, esportazione di cose appartenenti alla razza ebraica.

Ci furono tre momenti normativi per proseguire la questione antisemita:

- 28 gennaio 1944: il capo della polizia ordinò ai capi delle provincie di sciogliere le comunità israelitiche
e sequestrare i loro beni (il decreto del 4 gennaio prevedeva solo i beni di persone fisiche).
nell’aprile 1945, il consiglio dei ministri allargò tale divieto andando a inglobare anche gli enti ebraici di
assistenza e beneficenza.
- Nell’aprile 1944 Mussolini decise di mantenere una Direzione generale per la demografia e di istituire
l’Ispettorato generale per la razza, diretto da un ispettore generale (Preziosi). Esso doveva gestire le
prerogative razziali che erano state attribuite alla Demorazza fino a quel momento, e i compiti
dell’ufficio studi e propaganda sulla razza in mano al ministero della Cultura popolare.
Tale istituzione portò a un aumento del numero dei perseguitandi, oltre a intensificare la politica
persecutoria.
Infatti, Preziosi, nel maggio 1944, estese la persecuzione a tutte le persone con più di un bisnonno
ebreo e procedeva a riesumare vecchi documenti contenenti i fogli di censimento.

Tutto ciò venne seguito da un aumento del lavoro di propaganda e dopo l’assemblea, i capi delle provincie
(cioè i vecchi prefetti/questori) avevano iniziato ad attuare varie iniziative antiebraiche, molto spesso dopo
aver ricevuto istruzioni preparatorie dal ministero dell’Interno. Dal I dicembre 43, i capi delle provincie
iniziarono ad allestire campi di internamento provinciali e i questori a programmare arresti (vennero istituiti
veri e propri campi di internamento, in caserme, scuole, alberghi, altri vennero direttamente messi in carcere o
trasferiti in carceri in altre provincie. Sia la prefettura che la questura possedevano elenchi, sempre aggiornati,
delle persone da classificare di “razza ebraica” oppure quelli nati da matrimoni misti e quindi classificati di
“razza ariana”.
Le operazioni iniziarono presso le abitazioni degli ebrei, perseguite e poi sigillate. Gli arresti erano eseguiti da
reparti non specializzati della polizia ordinaria, ma vi parteciparono anche quelli incaricati della sorveglianza al
confine con la Svizzera.
Inoltre, furono prese decisioni nei confronti di alcune categorie specifiche di ebrei:

- Determinate categorie di ebrei italiani vennero esentati dagli arresti: nel dicembre 1943, il capo della
polizia Tamburini comunicò ai capi delle provincie di non arrestare gli ebrei italiani malati gravemente e
gli ultrasettantenni o coloro che avevano un genitore o un coniuge ariano.
- Per quanto riguarda gli ebrei minori, essi avrebbero seguito la sorte delle rispettive famiglie e le
famiglie ebree che avevano a carico bambini, potevano attendere la partenza per l’internamento in una
struttura diversa dal carcere.
Vennero promulgate anche normative/disposizioni30 riguardante i beni confiscati. Infatti, parallelamente agli
arresti, ebbe luogo la spoliazione dei beni, composta dalle confische legali e dalle ruberie dei beni trasportabili,
attuate da singoli o da autorità locali di entrambe le parti31. Le norme furono:

- Il ministero delle finanze diffuse nel febbraio 44, una circolare in cui si escludeva la confisca merce
deperibile (la cui conservazione imporrebbe una spesa maggiore rispetto al suo valore), oggetti di
vestiario ecc. Inoltre, venne aggiunto che l’Elgi, qualora non fosse riuscita la vendita, poteva
consegnarli a enti comunali di assistenza.
- Il ministero delle finanze il 13 maggio diffuse una circolare in cui autorizzava i capi delle provincie di
non confiscare il pagamento di pensioni mensili, vitalizie di modeste quote, le indennità di
licenziamento ecc.
- Il 15 maggio, una nuova circolare segnava l’opportunità di escludere dalla confisca le cose mobili
indispensabili per la vita.

Per quanto riguarda la gestione dei beni confiscati (gestita dall’Elgi) e la loro destinazione finale (ovvero:
“Indigenti sinistrati dalle incursioni nemiche” e per il “parziale recupero delle spese assunte per i sinistrati…”),
tuttavia, molto spesso tali beni avevano una destinazione diversa da ciò che era stato imposto (quindi illegale).
Molto spesso, a causa delle operazioni di confisca di gestione autonoma, attuate da alcuni capi delle provincie
(Es: un capo della polizia di Brescia denunciò illeciti guadagni di alcuni componenti dell’Elgi, in sede di
inventario, perché segnavano un valore inferiore rispetto a quello reale.
Inoltre, le disposizioni italiane sull’arresto degli ebrei stranieri, misti, anziani o malati non furono collimanti con
quelli tedeschi. Per cui ci furono casi in cui persone rilasciate dagli italiani, venivano arrestati dai tedeschi.
Infatti, i nazisti avevano imposto una propria politica di appropriazione dei beni degli ebrei, soprattutto nel
Litorale adriatico, dove in tale zona il potere amministrativo era in mano loro.

Un terribile segreto

In realtà, non ci sono documenti riguardanti le reali intenzioni delle Rsi sul destino finale degli ebrei, né
documenti riguardo agli accordi tra i massimi esponenti del governo italiano e del Terzo Reich. Un’assenza di
documentazione è stata riscontrata anche per la decisione iniziale nazista di procedere allo sterminio
sistematico degli ebrei. Quindi la decisione fascista sul destino ebraico è stata tutta svolta en cachant (nota solo
a un ristretto numero di autorità centrali e locali).
Sicuramente le autorità di ambo le parti pervennero a un accordo sulla consegna ai tedeschi e la conseguente
deportazione degli ebrei arrestati dagli italiani prima del febbraio 1944. Gli unici elementi noti sono:

- La Rsi allestì il solo campo di concentramento di Fossoli (istituito a inizio dicembre), destinato a
raccogliere gli ebrei provenienti dai campi di concentramento provinciali.
- Nel gennaio del 44 il questore di Modena informò il capo della polizia che il comandante tedesco locale
gli aveva dato l’ordine di consegnare loro gli ebrei per poterli trasportare in Germania.
- In gennaio i responsabili italiani del RSHA iniziarono a preparare un nuovo convoglio di deportazione,
dove vi introdussero sia ebrei da loro catturati, sia quelli catturati per mano italiana.
(ciò determinò un allentamento della pressione tedesca sulle autorità italiane locali).
Il 26 gennaio e il 19/22 febbraio i tedeschi fecero partire i primi convogli.
- Il 2 maggio il ministro degli Interni visitò il campo di Fossoli accompagnato da due alti ufficiali tedeschi.

Con la progressiva avanzata degli alleati, i nazisti trasferirono tra luglio/agosto 1944 il Polizei-und
Durchgangslager (campo di concentramento nazista) da Fossili a Bolzano, dove rimase in funzione per i restanti
nove mesi. Le condizioni si inasprirono e venne anche introdotto l’obbligo di portare il triangolo colorato sui

30
A volte erano piccole concessioni o dinieghi, ma a ciò erano esclusi i clandestini e i deportati.
31
Oltre al sequestro dei beni, ci furono anche atti di distruzione (principalmente edifici di culto, al patrimonio archivistico e
bibliografico) motivati da rabbia e rappresaglia: devastazione totale della sinagoga di Alessandria, compita dai
repubblichini nel dic.1943; incendio della sinagoga di Fiume nel genn. 1944.
vestiti (giallo per gli ebrei), ma la situazione degli ebrei rimase la stessa (arrestati, trasferiti nei campi, i tedeschi
li prendevano in consegna e li deportavano).
Per quanto riguarda gli ebrei del Litorale, essi una volta arrestati, venivano concentrati a Trieste, prima nel
carcere di Coroneo, poi in un campo allestito, di raccolta per la deportazione nella Risiera di San Sabba.
In complesso vennero deportati e uccisi circa 8128 persone.
La persecuzione ebraica aveva come principale nocciolo gli arresti finalizzati alla deportazione e all’uccisione ad
Auschwitz (il 91% degli arrestati vi giunse, e il 94% dei deportati vi morì). Ma ci furono anche eccidi32 e singole
esecuzioni (aventi specifiche motivazioni: rapina, rabbia o rappresaglia).
Altri ebrei internati in campi di concentramento o in carceri riuscirono a scappare, sia grazie all’azione alleata o
all’azione della Resistenza (8 giugno: il campo di Fossoli venne attaccato direttamente dai partigiani che
riuscirono a liberare tutti i prigionieri).
[L’arrivo degli Alleati e l’insurrezione partigiana portarono alla liberazione di più di 200 ebrei ancora detenuti in
carcere o nei campi]

Gli ebrei tra deportazione, clandestinità e Resistenza

Su 43.000 persone dichiarate di razza ebraica nella Rsi, 7.000 morirono (16,5 %). La deportazione colpì
maggiormente gli ebrei al 100% e soprattutto gli ebrei stranieri piuttosto che quelli battezzati o che avevano un
genitore/coniuge ariano (il gruppo che più di tutti venne annientato fu quello degli ebrei per eccellenza, delle
guide spirituali delle comunità). Molti si salvarono grazie al loro stato di povertà (come nel caso degli ebrei di
Trieste), che li rendeva immuni dalla deportazione, mentre altri si salvarono passando alla clandestinità. Il
passaggio allo stato clandestino fu un processo graduale, stimolato soprattutto dall’inasprimento delle loro
condizioni. La maggior parte di loro si nascondeva, cambiava nome, religione (imparando i riti del nuovo culto)
e abitudini e la loro sopravvivenza dipese soprattutto dalla loro capacità di contraffazione e dall’ausilio delle
persone al sicuro, anche se alla fine molti clandestini finirono per essere ugualmente arrestati. È stato studiato
che le principali modalità della loro salvezza furono:

- Fuggire lasciando la loro casa e cambiando identità/residenza;


- Trovando ospitalità in case di famiglie amiche o di conoscenti;
- Rifugiandosi in istituti religiosi o in ricoveri;
- Fuggendo in Svizzera o nascondendosi nel mondo rurale;
- Rifugiandosi presso strutture ospedaliere pubbliche o private;
- Sorpassando le linee meridionali incontro agli alleati.

Gli ebrei parteciparono attivamente alla Resistenza. Poiché impegnati a difendere il proprio diritto alla vita, il
nucleo fondante delle politiche naziste e repubblichine, per questo gli ebrei furono di fatto impegnati
nell’azione politica antifascista e antinazista. Alcuni di loro si impegnarono anche nella difesa collettiva e nella
lotta partigiana. Furono soprattutto rabbini e un gruppo di attivisti riuniti intorno alla Delasem. Essi riuscirono a
realizzare i propri progetti di soccorso anche grazie all’aiuto di altri italiani di razza ariana e di varie condizioni
che rafforzarono la rete Delasem33 e dalla stampa antifascista (che portava avanti il confronto tra “italiani mala
gente” e “italiani brava gente”.
Per quanto riguarda gli ebrei che andarono a inglobarsi alla partigianeria, motivati dall’assicurazione di
eguaglianza che prometteva il movimento, molti di loro raggiunsero le formazioni partigiane in montagna o,
anche se in misura minore, nell’azione antifascista nelle città, ricoprendo anche cariche importanti34. Il loro
impegno, soprattutto da parte delle classi con età più avanzata, portò nel movimento partigiano il bisogno di
libertà, giustizia e solidarietà. Il contributo armato fu dato da singoli, mai caratterizzati in senso collettivo.

32
L’eccidio più grave compiuto per mano italiana fu nel carcere di Cuneo, dove morirono sei ebrei, uccisi per rabbia il 26
aprile 1945.
33
Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei
34
Leo Valiani: Membro effettivo nel comitato esecutivo insurrezionale.

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