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Scienze Giuridico-Economiche Nella Scuola Secondaria Economia e Marketing

Il documento tratta del concorso per le cattedre di Scienze Giuridico-Economiche nella scuola secondaria, con un focus sulla legislazione sanitaria. Esamina l'organizzazione e l'evoluzione del sistema sanitario italiano, evidenziando le principali riforme e leggi che hanno influenzato il Servizio Sanitario Nazionale dal 1978 ad oggi. Viene sottolineata l'importanza della programmazione sanitaria e dell'integrazione tra pubblico e privato nel garantire l'assistenza sanitaria.

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Scienze Giuridico-Economiche Nella Scuola Secondaria Economia e Marketing

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il nuovo concorso

a cattedra
Scienze
Giuridico-Economiche
nella scuola secondaria
Legislazione sanitaria

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per esercitazioni online
Professioni e Concorsi
Discipline di settore
Legislazione sanitaria

SOMMARIO

Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano


Capitolo 2 Le istituzioni sanitarie
Capitolo 3 La pianificazione sanitaria
Capitolo 4 I servizi socio-sanitari
Capitolo 5 Gli interventi socio-sanitari
Capitolo 6 Le responsabilità giuridiche ed etiche del professionista sanitario
Capitolo 1
Organizzazione ed evoluzione
del sistema sanitario italiano

1.1 L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale


Il moderno Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è il risultato di cambiamenti
evolutivi occorsi nella società italiana dal periodo della Seconda Guerra Mon-
diale ai tempi odierni. Storicamente l’assistenza sanitaria è sostenuta dagli enti
ospedalieri, che garantiscono la degenza e le prestazioni diagnostiche. Nel
1978, in applicazione dei principi di tutela della salute sanciti dalla Costitu-
zione (art. 32), la legge n. 833 istituiva il Servizio Sanitario Nazionale, definito
come complesso di funzioni, servizi e attività destinati alla promozione, al man-
tenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione,
senza distinzione alcuna.
A livello organizzativo costituivano articolazioni del Servizio Sanitario Naziona-
le le Unità Sanitarie Locali (USL), le cui prestazioni abbracciavano le categorie
della prevenzione, della cura e della riabilitazione.
Quella del 1978 è la prima grande legge sanitaria nel nostro Paese. Si rendeva
effettivo, con essa, il diritto alla salute e si stabiliva che l’attuazione della nor-
mativa in essa contenuta fosse di pertinenza dello Stato, delle Regioni e degli
enti territoriali.
Alcuni degli obiettivi principali della legge n. 833 sono:
> il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del
Paese;
> l’educazione sanitaria dei cittadini e delle comunità;
> la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di
lavoro;
> la sicurezza sul lavoro;
> la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne fossero le cause, la feno-
menologia e la durata;
> la riabilitazione degli stati di invalidità e di inabilità;
> la tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo e favoren-
do il recupero e il reinserimento sociale dei disturbati psichici;
> la procreazione responsabile e la tutela della maternità e dell’infanzia;
> la disciplina della sperimentazione;
> la produzione, l’immissione in commercio e la distribuzione dei farmaci;

[Link]
4 Parte Seconda Contenuti disciplinari

> la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente


naturale di vita e di lavoro.
Ciò nondimeno la legge de qua ha dimostrato nel tempo di avere notevoli di-
fetti: la farraginosità delle procedure, la complessità del rapporto tra Enti lo-
cali e Unità Sanitarie Locali (USL), il cattivo funzionamento degli strumenti
di governo hanno impedito che si creassero le condizioni più favorevoli agli
operatori e soprattutto ai dirigenti per lavorare nella piena responsabilità e
con senso di servizio. Ne è derivata l’esigenza di rivedere la riforma alla luce di
modelli privatistici e di buona gestione e sono entrati in campo concetti come
quello di mercato, concorrenza, produttività, analisi dei costi, cittadino non
più utente ma cliente.

1.2 La riforma del 1991


Un importante passo in avanti nella revisione del sistema fu la legge 30 dicem-
bre 1991, n. 412, di accompagnamento alla legge finanziaria per l’anno 1992.
Gli aspetti più innovativi hanno riguardato:
> l’affidamento al Governo della determinazione dei livelli di assistenza sanitaria
per assicurare condizioni di uniformità su tutto il territorio nazionale, nonché
standard organizzativi e di attività;
> la responsabilizzazione delle Regioni per la ristrutturazione della rete ospe-
daliera, messa in atto operando le trasformazioni di destinazione, gli accor-
pamenti e le disattivazioni necessarie;
> l’obbligo delle Regioni di attuare il modello delle aree funzionali omogenee
con presenza obbligatoria di day hospital;
> per il personale del Servizio Sanitario Nazionale, l’incompatibilità del rapporto
di lavoro con ogni altro rapporto di lavoro pubblico e privato e con altri rapporti
anche di natura convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale;
> la compatibilità dell’attività libero professionale se esercitata al di fuori
dell’orario di lavoro, all’interno o all’esterno delle strutture sanitarie, con
esclusione delle strutture private convenzionate;
> le sperimentazioni di nuove forme gestionali, più idonee a garantire risultati
di efficienza, efficacia e qualità.
Inoltre, la legge affidava alla Regione il controllo preventivo di legittimità sugli
atti delle Unità Sanitarie Locali e degli enti ospedalieri, in precedenza affidato
ai comitati regionali di controllo. La Regione avrebbe dovuto pronunciarsi,
anche sotto forma di silenzio-assenso, entro 40 giorni dal ricevimento delle
deliberazioni sui seguenti provvedimenti: bilancio di previsione, variazioni di
bilancio, conto consuntivo, piante organiche, programmazione delle spese plu-
riennali, provvedimenti per l’attuazione dei contratti e delle convenzioni.
Infine, si stabiliva che, in caso di spesa sanitaria superiore a quella parametrica
correlata ai livelli obbligatori di assistenza, non compensata da minori spese in
altri settori, la Regione fronteggiasse la situazione con il ricorso alla propria e
autonoma capacità impositiva.

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Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 5

1.3 La riforma bis: dalle USL alle ASL e le Aziende


ospedaliere
La legge n. 421/1992 conferiva al Governo la delega per il riordino della pre-
videnza, della sanità, del pubblico impiego e della finanza locale. In materia di
sanità fu promulgato il decreto legislativo n. 502/1992, che attuava una revisio-
ne della legge n. 833/1978 e introduceva fondamentali cambiamenti organiz-
zativi. Successivamente il Governo, avvalendosi delle facoltà previste dalla legge
delega, apportò al provvedimento disposizioni correttive e integrative con il
decreto legislativo n. 517/1993.
I decreti nn. 502/1992 e 517/1993 stabilirono la centralità del Piano Sanitario
Nazionale, quale ineludibile strumento di programmazione sanitaria nell’am-
bito dei vincolanti limiti delle risorse finanziarie effettivamente disponibili.
Al centro dello scenario sanitario locale si poneva finalmente la Regione, come
titolare della funzione legislativa e amministrativa in materia di assistenza me-
dica e responsabile della programmazione sanitaria regionale.
L’Unità Sanitaria Locale, da struttura operativa dei Comuni, diveniva Azien-
da Sanitaria Locale (ASL), articolata in dipartimenti (di Prevenzione e di Salute
mentale) e distretti, e le si riconosceva personalità giuridica di diritto pubblico.
Lo scopo era istituire un soggetto pubblico autonomo e responsabilizzato, ca-
pace di improntare gli obiettivi a logiche di efficienza, efficacia, produttività e
qualità dei processi produttivi. Si prevedeva l’obbligo di adottare il conto eco-
nomico e patrimoniale e la contabilità analitica.
Al vertice dell’Azienda era posto il direttore generale, coadiuvato da un diret-
tore sanitario e da un direttore amministrativo da lui nominati. Il direttore
generale era titolare esclusivo dei poteri di gestione e rappresentanza legale
dell’ente.
Aziendalizzazione e riconoscimento di personalità giuridica di diritto pubblico
erano estese agli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione in pos-
sesso di almeno tre strutture di alta specialità e di un’organizzazione di tipo
dipartimentale. Si garantiva, inoltre, una marcata autonomia a quegli ospedali
che, non essendo costituiti in azienda, conservavano la natura di presidi ospe-
dalieri, con autonomia economico-finanziaria e contabilità separata all’interno
del bilancio delle ASL.
L’ASL aveva l’obbligo di erogare le prestazioni specialistiche nei confronti dei
cittadini direttamente tramite le proprie strutture o tramite soggetti pubblici
o privati convenzionati. Si confermava per tale ente l’obbligo di assicurare, nel
proprio ambito territoriale, i livelli uniformi di assistenza individuati dal Piano
Sanitario Nazionale, con la specificazione delle prestazioni da garantire a tutti
i cittadini e rapportate al volume delle risorse disponibili, mentre l’assunzione
in gestione diretta di attività o servizi socio-assistenziali poteva avvenire solo su
delega degli enti interessati.
Per i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e gli specialisti
ambulatoriali veniva mantenuto il regime della Convenzione Unica (ex art. 48

[Link]
6 Parte Seconda Contenuti disciplinari

della legge n. 833/1978) mentre era rimesso alle ASL stesse, in regime pattizio
e di mercato, la disciplina dei rapporti convenzionali con i singoli professioni-
sti nel caso in cui le ASL non fossero state in grado di rispondere con la loro
struttura alla domanda di assistenza.

1.4 La riforma ter (decreto legislativo n. 229/1999)


1.4.1 I principi contenuti nella delega legislativa
La legge n. 419/1998 delegava il Governo ad adottare un T.U. in materia di or-
ganizzazione e funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale. Il fine era quel-
lo di fare chiarezza sui decreti legislativi nn. 502/1992 e 517/1993 e correggere
l’impostazione eccessivamente economicistica del modello da essi previsto.
Si sanciva un principio fondamentale: la tutela della salute ha carattere priori-
tario rispetto alle esigenze finanziarie. Si superava così il limite del vincolo del
bilancio come variabile indipendente che aveva trasformato la salute da diritto
costituzionalmente garantito a diritto finanziariamente condizionato.
Si prevedeva che i livelli di assistenza fossero fissati contestualmente alle risorse
da assegnare al Servizio Sanitario e che la contestualità dei finanziamenti fosse
legata al Documento di Programmazione Economica e al Piano Sanitario Na-
zionale.
Se l’Azienda Sanitaria produceva un prodotto particolare – la salute –, questo
prodotto non poteva rispondere alla logica del profitto e del rapporto costi-
benefici. Le aziende avrebbero dovuto tendere al miglioramento delle presta-
zioni, della loro efficienza e della loro efficacia.
Il rapporto pubblico-privato veniva ricondotto all’interno della programma-
zione regionale, in cui erano individuate le reali esigenze della popolazio-
ne. L’integrazione pubblico-privata sarebbe stata attuata attraverso il sistema
dell’accreditamento. Alle Regioni era assegnata la responsabilità totale della
programmazione e del governo. Si introduceva il federalismo sanitario, poten-
ziando il ruolo dei Comuni nella programmazione sanitaria e socio-sanitaria
a livello regionale e locale e nei procedimenti di valutazione dei risultati rag-
giunti dalle ASL rispetto ai programmi e agli obiettivi congiuntamente definiti.
Si specificava meglio l’integrazione socio-sanitaria, individuando il diritto dei
cittadini a poter fruire di un servizio integrato in alcune aree importanti quali
la psichiatria, la tossicodipendenza, l’AIDS, la non autosufficienza, la disabilità
grave e gravissima. Quest’integrazione era realizzata a livello distrettuale, anche
attraverso il rapporto e la collaborazione tra medici territoriali e ospedalieri,
evitando in tal modo la dicotomia tra aziende finanziatrici e aziende erogatrici.
Uno spazio fondamentale era riservato ai medici di famiglia, posti come fulcro
dell’intero sistema, veri responsabili e ordinatori della salute dei propri pazienti.
Il testo di legge conteneva due deleghe specifiche al Governo: una per meglio
definire il rapporto tra il Servizio Sanitario e l’Università, assicurando lo svolgi-

[Link]
Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 7

mento delle attività assistenziali funzionali alle esigenze della didattica e della
ricerca e la corenza fra attività assistenziale ed esigenze della formazione e della
ricerca, l’altra per un riordino della medicina penitenziaria tendente a garanti-
re un servizio di qualità integrato con il Servizio Sanitario.
Per i medici del Servizio Sanitario Nazionale si confermava l’unicità del rappor-
to di lavoro. Si introduceva, inoltre, il ruolo unico per la dirigenza medica. Sulla
base di questi principi il Governo varava definitivamente il decreto legislativo
19 giugno 1999, n. 229 (cd. decreto Bindi).

1.4.2 Le principali innovazioni contenute nel decreto legislativo


229/1999
Il decreto Bindi mantiene inalterati i principi fondanti della legge n. 833/1978,
ma mira alla razionalizzazione dell’impianto organizzativo del sistema sanita-
rio, spingendolo verso principi di efficienza, qualità ed equità.
Il Servizio Sanitario Nazionale viene definito quale complesso delle funzioni
e delle attività assistenziali erogati dai Servizi Sanitari Regionali (SSR) e dalle
altre funzioni e attività svolte da enti e istituzioni di rilievo nazionale.
I Livelli Essenziali e Uniformi di Assistenza (LEA) sono definiti dal Piano Sa-
nitario Nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona, della
qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze,
nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse. Le prestazioni a elevata
integrazione sono assicurate dalle Aziende Sanitarie e comprese nei livelli es-
senziali di assistenza sanitaria (materno-infantile, geriatrico, per handicappati,
psichiatrico, per dipendenza da droga, alcool e farmaci, per HIV e patologie
in fase terminale, per inabilità o disabilità conseguenti a patologie croniche
degenerative).
Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni, che
provvedono a finanziarle negli ambiti previsti dalla legge regionale.
Viene introdotto un regime articolato su tre livelli: l’autorizzazione, l’accredita-
mento e gli accordi contrattuali. Il primo livello è il regime di autorizzazione: la
realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sanitarie e socio-sani-
tarie sono subordinate al rilascio di provvedimento autorizzatorio. L’autorizza-
zione è concessa, a strutture pubbliche e private, nel rispetto di alcuni requisiti
minimi (strutturali, tecnologici e professionali).
Il secondo livello è l’accreditamento istituzionale, rilasciato dalle Regioni alle
singole strutture autorizzate pubbliche o private e ai professionisti che ne fac-
ciano richiesta. L’accreditamento è subordinato al possesso di requisiti ulte-
riori di qualificazione, alla funzionalità delle strutture rispetto agli indirizzi di
programmazione regionale, alla verifica dell’attività e dei risultati raggiunti.
Il terzo livello è rappresentato dagli accordi contrattuali. L’accreditamento in-
dividua una sorta di albo dei fornitori del Servizio Sanitario Nazionale, con cui le
Regioni e le Unità Locali Socio Sanitarie definiscono gli accordi per l’erogazio-

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8 Parte Seconda Contenuti disciplinari

ne dei servizi necessari a soddisfare i bisogni assistenziali dei cittadini, tenendo


conto della qualità e dei costi.
Il decreto rafforza l’autonomia delle Regioni, cui spetta la responsabilità pri-
maria di gestire e organizzare l’offerta di servizi di cura e riabilitazione. Le Re-
gioni concorrono alla definizione del Piano Sanitario Nazionale e alla determi-
nazione del fabbisogno complessivo del Servizio Sanitario Nazionale. I Comuni
hanno un ruolo più incisivo nella programmazione e nella valutazione dei ser-
vizi e del raggiungimento degli obiettivi, nonché nella valutazione dell’operato
del direttore generale. Il sistema dei rapporti tra Regioni, autonomie locali e
Unità Locali Socio Sanitarie si completa con l’individuazione dei compiti di
programmazione e di monitoraggio da parte del Governo che, in caso di gravi
inadempienze da parte delle Regioni, ha poteri sostitutivi.
La riforma sviluppa ruolo e funzioni del distretto, che assicura l’assistenza pri-
maria e realizza l’integrazione tra i servizi sociali e i servizi sanitari: percorsi
assistenziali integrati assicurano una risposta unitaria a quei bisogni di salute
per i quali siano necessari sia un intervento strettamente sanitario sia azioni di
protezione sociale.

1.4.3 I rapporti fra Servizio Sanitario Nazionale e Università


La legge n. 419/1998 delegava il Governo anche a ridefinire i rapporti di colla-
borazione fra Servizio Sanitario Nazionale e Università, finora strutturati attra-
verso Azienda sanitaria mista e Policlinico universitario (quest’ultimo privo di
soggettività giuridica autonoma).
A questa seconda delega veniva data attuazione con decreto legislativo n.
517/1999, che introduceva, come modalità di collaborazione fra Servizio Sa-
nitario Nazionale e Università, l’Azienda Ospedaliera Universitaria, dotata di
soggettività giuridica e articolata in due tipologie: l’Azienda Universitaria in-
tegrata con il Servizio Sanitario Nazionale, derivata dalla trasformazione dei
policlinici universitari a gestione diretta, e l’Azienda Ospedaliera integrata con
l’Università, derivata dalla trasformazione dei presìdi ospedalieri.
Queste due tipologie di Aziende avrebbero operato nell’ambito della program-
mazione sanitaria nazionale e regionale e concorso sia al raggiungimento degli
obiettivi della programmazione sanitaria stessa, sia alla realizzazione dei com-
piti istituzionali dell’Università. La legge ne prevedeva la riunione in un’unica
tipologia di Azienda Ospedaliera Universitaria dopo un periodo di sperimen-
tazione quadriennale.

1.5 Le disposizioni correttive e integrative del decreto Bindi


Nel 2000 il decreto Bindi era fatto oggetto di una serie di disposizioni correttive
e integrative. Si segnala, in primo luogo, quella contenuta nel decreto legislati-
vo n. 168, attributiva di un potere sostitutivo al Ministro della Sanità in caso di
grave inadempienza della Regione nella realizzazione degli obiettivi previsti in

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Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 9

atti di programmazione a rilievo nazionale o interregionale, adottati attraverso


procedure d’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni e Conferenza unifica-
ta: potere da esercitarsi previo avviso della grave inadempienza alla Conferenza
Stato-Regioni, sentite la Regione interessata e l’Agenzia per i servizi sanitari
regionali.
Con il decreto legislativo n. 254, in secondo luogo, veniva affidato alla Regione
il compito di definire, entro il 31 dicembre, un programma per la realizzazio-
ne di nuove strutture sanitarie, l’acquisizione di nuove attrezzature e tutto il
necessario per l’attività libero professionale intramuraria e, presso il Ministero
della Sanità, veniva organizzato un apposito Osservatorio per l’attività libero
professionale.

1.6 La nuova disciplina dell’assistenza primaria nel decreto


Balduzzi
Con il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158 (cd. decreto Balduzzi) – conver-
tito dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 – si riorganizza l’assistenza primaria
sul territorio, nell’intento di ridurre il tasso di ospedalizzazione e i relativi costi.
Nell’ambito dell’organizzazione distrettuale, il decreto garantisce l’assistenza
primaria sul territorio per 24 ore e tutti i giorni della settimana, deputando alle
Regioni il compito di riorganizzarla secondo modalità operative monoprofessiona-
li denominate Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) e forme organizzative
multiprofessionali denominate Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP).
Le UCCP sono costituite in reti di poliambulatori territoriali dotati di strumenta-
zione di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonché nei giorni
prefestivi e festivi con idonea turnazione. Attraverso sistemi informatici, le Regioni
assicurano l’adesione obbligatoria dei medici all’assetto organizzativo e al sistema
informativo nazionale, particolarmente in relazione al sistema della tessera sani-
taria e della ricetta elettronica. L’assistenza primaria è erogata dalle AFT e dalle
UCCP attraverso personale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale.
Il personale convenzionato è costituito dai medici di medicina generale, dai
pediatri di libera scelta e dagli specialisti ambulatoriali. Per i medici di medici-
na generale è istituito il ruolo unico, disciplinato dalla convenzione nazionale,
fermi restando i livelli retributivi specifici delle diverse figure professionali.
L’accordo collettivo disciplina le attività e le funzioni, individuandole tra quelle
previste nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), nei limiti delle disponibili-
tà finanziarie complessive del Servizio Sanitario Nazionale, fatto salvo quanto
previsto dalle singole Regioni con riguardo ai livelli di assistenza e alla relativa
copertura economica a carico del bilancio regionale.
Nel settore dell’assistenza farmaceutica, si segnalano le disposizioni sui farmaci inno-
vativi, che impongono alle Regioni di assicurare agli assistiti l’immediata disponibilità
dei medicinali ad innovatività terapeutica, a carico del Servizio Sanitario Nazionale ed
erogati attraverso gli ospedali e le Aziende Sanitarie Locali, indipendentemente dall’in-
serimento nei prontuari terapeutici ospedalieri o regionali.

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10 Parte Seconda Contenuti disciplinari

1.7 La Spending review sanitaria del 2015: il principio


dell’appropriatezza delle cure
Il decreto legge 19 giugno 2015, n. 78 (cd. decreto «Enti locali», convertito in
legge 6 agosto 2015, n. 125), contenente anche un pacchetto di misure e di ta-
gli alla sanità pubblica, ha codificato, come principio di base in materia di cure
sanitarie, quello dell’appropriatezza, secondo cui il Servizio Sanitario Nazio-
nale si fa carico soltanto delle prestazioni specialistiche e riabilitative ritenute
strettamente necessarie, restando le altre a carico del cittadino.
Allo scopo di rendere effettivo il principio – valevole anche per riabilitazione e
ricoveri, in particolare nelle case di cura convenzionate con meno di 40 posti
letto –, sono state stabilite sanzioni contro i medici che prescrivono prestazioni
ritenute non necessarie, fino alla decurtazione dello stipendio nei casi di ina-
dempienza.
Spetta al Ministro della Salute fissare, con apposito decreto, le condizioni di
erogabilità delle prestazioni e individuare anche le prestazioni specialistiche ad
alto rischio di inappropriatezza.

1.8 La riforma Madia


La legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. «legge Madia»), nel delegare al Governo
la riforma delle Amministrazioni Pubbliche, non ha mancato di fissare i criteri
per il riordino della dirigenza sanitaria e socio-sanitaria.
In attuazione di questa delega, in particolare per quanto riguarda le procedu-
re di accesso, il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171 (come modificato e
corretto dal decreto legislativo 26 luglio 2017, n. 126) ha previsto l’istituzione,
presso il Ministero della Salute, di un elenco nazionale, aggiornato con cadenza
biennale, dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle Aziende
Sanitarie Locali, delle Aziende Ospedaliere e degli altri enti del Servizio Sani-
tario Nazionale. Scopo della riforma, più in generale, è quello di improntare
i criteri di selezione del personale dirigenziale sanitario e socio-sanitario alla
trasparenza, all’imparzialità e alla valorizzazione del merito.
La nuova disciplina conferma la disposizione del decreto legislativo n. 229/1999,
recepita dal decreto Balduzzi (decreto legge n. 158/2012), che stabilisce una du-
rata dell’incarico non inferiore a 3 anni né superiore a 5. Alla scadenza, ovvero,
nelle ipotesi di decadenza e di mancata conferma, si procede a nuova nomina.
Il conferimento dell’incarico continua a essere di competenza regionale. Alla
Regione resta affidato anche il controllo sull’operato del direttore, previa defi-
nizione e assegnazione – all’atto della nomina – degli obiettivi di salute e fun-
zionamento dei servizi, da aggiornare periodicamente. I criteri di valutazione
devono tener conto del raggiungimento degli obiettivi assegnati, definiti nel
quadro della programmazione regionale.
La nomina dei direttori amministrativo e sanitario e del direttore dei servizi
socio-sanitari spetta al direttore generale, il quale ha l’obbligo di attingere agli

[Link]
Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 11

elenchi regionali che individuano i soggetti idonei, eventualmente anche di


altre Regioni.
Le nuove disposizioni si applicano anche alle Aziende Ospedaliere Universi-
tarie, ferma restando la necessità per la nomina del direttore generale della
previa intesa con il Presidente della Regione e il rettore.

1.9 I nuovi LEA


1.9.1 La definizione dei LEA e la loro prima regolamentazione
Giova ricordare che già la legge n. 833/1978 attribuiva allo Stato il compito di
determinare Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) garantiti a tutti i cittadi-
ni. L’attributo dell’essenzialità, infatti, era inizialmente riferito alle «prestazio-
ni sanitarie», piuttosto che all’«assistenza» e fu soltanto il decreto legislativo n.
502/1992, nell’ottica di razionalizzazione delle risorse, a sostituire alle presta-
zioni l’assistenza, introducendo per l’appunto i Livelli Essenziali di Assistenza
(LEA).
Con l’Accordo Stato-Regioni dell’agosto 2001, il Governo si impegnò ad adot-
tare un provvedimento per la definizione dei LEA, d’intesa con la Conferen-
za Stato-Regioni. In attuazione dell’Accordo, la legge n. 405/2001 ne affidò il
compito al Presidente del Consiglio dei Ministri, che avrebbe provveduto su
proposta del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia
e delle Finanze.
Fu così emanato, il 29 novembre 2001, il decreto in base al quale i livelli di as-
sistenza si strutturavano in tre macro-aree, quali l’assistenza sanitaria collettiva
in ambiente di vita e di lavoro, l’assistenza distrettuale – che comprendeva le
attività e i servizi diffusi sul territorio – e l’assistenza ospedaliera, nella quale
rientravano le prestazioni e i servizi sanitari offerti in ospedale.

1.9.2 La revisione del 2017


Dopo la revisione straordinaria del 2008, revocata perché priva di copertura fi-
nanziaria, una nuova revisione fu prevista nel 2012 dall’art. 5 del decreto Bal-
duzzi, con particolare riferimento alle malattie croniche, alle malattie rare e
alle ludopatie, ma solo nel 2017, sulla base dell’Intesa Stato-Regioni del 7 set-
tembre 2016, e con la copertura finanziaria resa effettiva dalla legge di stabilità,
si è finalmente giunti, con provvedimento firmato dal Presidente del Consiglio
il 12 gennaio, al varo di un nuovo decreto integralmente sostitutivo di quello
del 2001 e di altri provvedimenti in vigore.
Se pure il decreto del 2017 conserva le macro-aree individuate nel 2001, ag-
giornando e ampliando i livelli precedenti, la nuova regolamentazione affida
alla Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA la revisione annuale
delle prestazioni garantite. La Commissione deve monitorare il funzionamento

[Link]
12 Parte Seconda Contenuti disciplinari

dei LEA, eliminare le prestazioni superate dai progressi scientifici e valutarne


l’introduzione di nuove, più funzionali ed efficaci.
Al tempo stesso sono innovati i nomenclatori della specialistica ambulatoriale, intro-
ducendo procedure diagnostiche e terapeutiche finora di portata sperimentale
o praticate solo in regime di ricovero, e i nomenclatori dell’assistenza protesica,
rendendo prescrivibili ausili di ultima generazione, come quelli informatici, o
come gli apparecchi acustici a tecnologia digitale e le attrezzature domotiche.
L’area dell’«assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro» assume
la nuova denominazione di prevenzione collettiva e sanità pubblica, con una
differente aggregazione delle attività. Sul piano dell’assistenza distrettuale, si
ampliano le tipologie di pazienti aventi diritto all’assistenza integrativa e si pre-
cisano le condizioni per l’accesso. Per quanto riguarda l’area socio-sanitaria, si
individuano tipologie di assistenza caratterizzate da livelli progressivi di complessi-
tà e impegno assistenziale.
In applicazione del principio dell’appropriatezza delle cure, introdotto dalla
Spendind review sanitaria del 2015 – e applicabile, peraltro, anche all’assistenza
ospedaliera –, vengono individuate, per alcune prestazioni, le cd. condizioni di
erogabilità e viene introdotto, per altre prestazioni ancora, l’obbligo per il me-
dico prescrittore di riportare sulla ricetta la diagnosi o il sospetto diagnostico
(cd. appropriatezza prescrittiva). In pronto soccorso viene prevista una funzio-
ne di osservazione breve intensiva e in regime di day surgery vengono definite le
prestazioni ad alto rischio di non appropriatezza.
Sul piano dell’assistenza destinata alle categorie particolari, si incrementa l’e-
lenco delle malattie rare, con l’inserimento di più di 110 nuove entità fra ma-
lattie singole e gruppi di malattie. I nuovi LEA recepiscono anche i contenuti
della legge n. 134/2015, per quanto riguarda la diagnosi precoce, la cura e il
trattamento individualizzato dei disturbi dello spettro autistico.
Si revisiona, infine, l’elenco delle malattie croniche, includendovi patologie
precedentemente trattate come malattie rare, quali la sindrome di Down o di
Klinefelter o la celiachia, e introducendovi patologie nuove, come per esempio
l’osteomielite cronica, le patologie renali croniche e la broncopneumopatia
cronico ostruttiva.

Aree e macro-aree dei LEA 2017


La struttura dei nuovi LEA ricalca quella del sistema precedente. Essa prevede tre macro-
aree, articolate ciascuna in segmenti o aree di attività, secondo lo schema seguente:
> prevenzione collettiva e sanità pubblica, nell’ambito della quale il Servizio Sanitario
Nazionale garantisce, attraverso i propri servizi nonché avvalendosi di medici e pediatri
convenzionati, le seguenti attività:
– sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, inclusi i
programmi vaccinali;
– tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati;
– sorveglianza, prevenzione e tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro;
– salute animale e igiene urbana veterinaria;
– sicurezza alimentare e tutela della salute dei consumatori;

[Link]
Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 13

– sorveglianza e prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stili di


vita sani e i programmi organizzati di screening;
– sorveglianza e prevenzione nutrizionale;
– attività medico-legali per finalità pubbliche;
> assistenza distrettuale, articolata nelle seguenti aree di attività:
– assistenza sanitaria di base;
– emergenza sanitaria territoriale;
– assistenza farmaceutica;
– assistenza integrativa;
– assistenza specialistica ambulatoriale;
– assistenza protesica;
– assistenza termale;
– assistenza socio-sanitaria domiciliare e territoriale;
– assistenza socio-sanitaria residenziale e semiresidenziale;
> l’assistenza ospedaliera, articolata nelle seguenti aree di attività:
– pronto soccorso;
– ricovero ordinario per acuti;
– day surgery;
– day hospital;
– riabilitazione e lungodegenza post acuzie;
– attività trasfusionali;
– attività di trapianto di organi e tessuti;
– centri antiveleni (CAV).

Agli stranieri obbligatoriamente o volontariamente iscritti al Servizio Sanitario


Nazionale vengono garantiti, in accordo con la normativa in vigore, parità di
trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri, rispetto ai cittadini italiani,
per quanto attiene all’assistenza sanitaria erogata in Italia. L’assistenza sanitaria
spetta altresì ai familiari a carico regolarmente soggiornanti.
Ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, presenti sul territorio
nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, il Ser-
vizio Sanitario Nazionale garantisce le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti
o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio e i pro-
grammi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.

1.10 La disciplina del caregiver familiare nella legge di


bilancio 2018
Tra le disposizioni di maggior impatto contenute nella legge di bilancio 2018
(L. 27 dicembre 2017, n. 205), si segnala l’istituzione, presso il Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali, con uno stanziamento di 60 milioni di euro per
il triennio 2018-2020, di un Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assi-
stenza del caregiver familiare. Si intende per caregiver colui che volontariamente
assiste e si prende cura del coniuge, o della persona con la quale ha contratto

[Link]
14 Parte Seconda Contenuti disciplinari

unione civile – secondo la normativa sulle unioni fra persone dello stesso sesso
– o, ancora, del convivente di fatto, di un familiare o affine entro il secondo grado, o
di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità,
anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi
cura di sé.
Ai fini dell’accesso alla misura di sostegno, occorre che la persona curata e
assistita dal caregiver familiare sia riconosciuta invalida, in quanto bisognosa di
assistenza globale e continua di lunga durata, o sia titolare di indennità di ac-
compagnamento.

1.11 La riforma Lorenzin (2018)


La legge 11 gennaio 2018, n. 3, voluta dal Ministro della Salute Beatrice Lo-
renzin, introduce novità per tutto il settore sanitario, delegando al Governo il
riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di sperimentazione
clinica dei medicinali per uso umano e, soprattutto, affrontando la riforma
degli ordini professionali.
Le nuove norme sulle professioni sanitarie trasformano i collegi in ordini pro-
fessionali, e agli ordini già esistenti (dei medici-chirurghi, dei veterinari e dei
farmacisti) aggiungono gli ordini delle professioni infermieristica, ostetrica e
dei tecnici sanitari di radiologia medica, nonché gli ordini delle professioni
sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
Al fine di rafforzare la tutela della salute, intesa come stato di «benessere fisico,
psichico e sociale», la legge istituisce l’area delle professioni socio-sanitarie, nella
quale sono compresi i preesistenti profili professionali di operatore socio-sani-
tario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale.
Si riscrive la procedura per il riconoscimento delle professioni, introducendo
un sistema potenzialmente aperto, ma si interviene sul reato di esercizio abusi-
vo della professione (art. 348 c.p.), aggravandone il trattamento sanzionatorio,
in particolare quando il delitto riguarda una professione sanitaria.
Al tempo stesso, la legge ridisegna la disciplina sul funzionamento interno de-
gli ordini, risalente al 1946, con l’inserimento di disposizioni dirette a valoriz-
zarne la funzione deontologica, a perfezionare la funzionalità degli organi e a
definirne meglio i compiti, nonché a favorire la partecipazione interna degli
iscritti.
Il riordino riguarda anche i chimici, i fisici, i biologi e gli psicologi, sulle cui
professioni e sui cui ordini professionali la vigilanza passa dal Ministero della
Giustizia a quello della Salute.
Sul piano della sperimentazione clinica dei medicinali, la legge delega al Gover-
no la riforma della materia, con l’obiettivo di adeguarla alla nuova normativa
europea (Regolamento UE 536/2014).
Disposizione di rilievo è quella che prevede la predisposizione di un piano, da
adottarsi con decreto ministeriale, per la diffusione della medicina di genere,
mediante la divulgazione, la formazione e l’indicazione di pratiche sanitarie

[Link]
Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 15

che – nell’ambito della ricerca, della prevenzione, della diagnosi e della cura
– tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la
qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Na-
zionale in modo omogeneo sul territorio nazionale.

1.12 Legge di bilancio 2019 (L. 145/2018): le principali novità


Gli interventi di maggior impatto della legge di bilancio 2019 hanno riguar-
dato la riduzione delle liste di attesa, la ristrutturazione e l’ammodernamento
degli ospedali, l’incremento delle borse di studio per la medicina generale, i
contratti di formazione specialistica dei medici, gli IRCCS delle reti oncologica
e cardiovascolare e l’adroterapia.
Le altre erogazioni, fra l’altro, spaziano: dalla costituzione di un fondo per la
prevenzione della dipendenza da stupefacenti alla dotazione per il 2019 del
fondo per le persone con disabilità (cd. fondo per il «Dopo di noi»), nonché
alla nuova disciplina dei fondi per le politiche della famiglia, per il sostegno del
ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare e per le misure di conciliazio-
ne vita-lavoro; dal finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard
per gli anni 2019-2021 alla sottoscrizione del nuovo patto per la salute; dalla
completa realizzazione dell’anagrafe nazionale vaccini all’istituzione, presso il
Ministero della Salute, di una banca dati destinata alla registrazione delle di-
sposizioni anticipate di trattamento sanitario (Dat).
Sul fronte farmacologico, si è intervenuti sul monitoraggio dei tetti di spesa,
nonché in tema di sconti e negoziazioni dei prezzi rimborsati dal Servizio Sa-
nitario Nazionale e sono stati trasferiti dal Ministero della Salute allo stato di
previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per quanto riguarda
l’acquisto dei medicinali innovativi e oncologici innovativi, i fondi per concor-
rere al rimborso dovuto alle Regioni.
Tra le disposizioni più discusse, si segnala la previsione della deroga per l’iscri-
zione agli ordini professionali: segnatamente, si stabilisce che, ferma restando
la possibilità di avvalersi delle procedure per il riconoscimento dell’equivalen-
za dei titoli professionali conseguiti nel pregresso ordinamento a quelli di cui al
vigente ordinamento, coloro i quali svolgono o abbiano svolto un’attività pro-
fessionale in regime di lavoro dipendente o autonomo, per un periodo minimo
di 36 mesi, anche non continuativi, negli ultimi 10 anni, possono continuare a
svolgere le attività professionali previste dal profilo della professione sanitaria
di riferimento, purché iscritti entro il 31 dicembre 2019 – l’iscrizione non si
traduce in un’equiparazione – negli elenchi speciali ad esaurimento istituiti
presso gli ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni
sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
Si introducono, poi, regole più stringenti per la pubblicità sanitaria, stabilen-
dosi che le comunicazioni informative, da parte delle strutture sanitarie private
di cura e degli iscritti agli albi degli ordini delle professioni sanitarie – in qual-
siasi forma giuridica svolgano la loro attività, comprese le società operanti nel

[Link]
16 Parte Seconda Contenuti disciplinari

settore odontoiatrico di cui all’art. 1, co. 153, della L. 124/2017 («legge annuale
per il mercato e la concorrenza») – possono contenere esclusivamente gli elementi
funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, con esclusione di
qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestionale «nel rispetto della
libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della di-
gnità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria».
All’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) si affida il com-
pito di realizzare a supporto del Ministero della Salute e delle Regioni un siste-
ma di analisi e monitoraggio delle performance delle Aziende sanitarie che segna-
li, in via preventiva, attraverso un apposito meccanismo di allerta, eventuali e
significativi scostamenti relativamente alle componenti economico-gestionale,
organizzativa, finanziaria e contabile, clinico-assistenziale, di efficacia clinica e
dei processi diagnostico-terapeutici, della qualità, sicurezza ed esito delle cure,
nonché dell’equità e della trasparenza dei processi.

1.13 Legge di bilancio 2020 (L. 160/2019): le principali novità


Le principali novità introdotte in ambito sanitario dalla legge di bilancio 2020
sono costituite dall’abolizione del superticket (istituito nel 2011 a favore delle
Regioni come compartecipazione alla spesa sanitaria per prestazioni di spe-
cialistica ambulatoriale), dagli investimenti in infrastrutture ospedaliere, edili-
zia compresa, e in innovazione tecnologica, dal superamento del precariato e
dall’istituzione di un fondo per la disabilità e la non autosufficienza.
Altri interventi hanno riguardato il finanziamento di fondi destinati all’acqui-
sto di apparecchiature sanitarie per i medici di medicina generale e pediatri
di libera scelta, al fine di migliorare il processo di presa in cura degli assistiti
e allo stesso tempo ridurre le liste d’attesa. Stanziamenti sono stati indirizzati
anche alla ricerca pubblica nazionale e altri ancora alla formazione speciali-
stica in medicina. In particolare, le competenze dell’Osservatorio Nazionale
della Formazione Medica Specialistica sono state estese alle scuole di specia-
lizzazione destinate alla formazione di profili professionali sanitari diversi da
quello «medico», per cui l’Osservatorio ha assunto la nuova denominazione di
Osservatorio Nazionale per la Formazione Sanitaria Specialistica, del quale si è
provveduto a integrare la composizione per garantire una rappresentanza de-
gli specializzandi di tutti i profili professionali, in aggiunta alla rappresentanza
eletta dei medici in formazione specialistica.
Nel settore farmaceutico sono stati rifinanziate i fondi per i farmaci innovativi
e oncologici innovativi, promuovendo al contempo e sempre più la cd. «farma-
cia dei servizi», quale presidio territoriale diffuso, funzionale al monitoraggio
sull’aderenza dei pazienti alle terapie.

[Link]
Capitolo 1 Organizzazione ed evoluzione del sistema sanitario italiano 17

1.14 La tutela della salute nelle strategie dell’Unione


europea
Lo status di Stato membro dell’Unione europea, impone al nostro Paese di
non dissociarsi dalle strategie europee per la salute, nell’ambito delle quali si
possono enumerare i seguenti punti fermi:
> il rafforzamento della prevenzione, anche e soprattutto attraverso la promo-
zione di stili di vita più sani, favorendo la maggior diffusione possibile di
informazioni e conoscenze in materia di salute;
> la possibilità di accedere a servizi sanitari di qualità, indipendentemente dal
reddito, dal genere, dall’appartenenza etnica ecc., così da ridurre le disugua-
glianze in campo sanitario;
> la promozione e il sostegno di sistemi sanitari dinamici;
> la promozione e il sostegno delle nuove tecnologie;
> il rafforzamento della cooperazione fra le parti interessate.
Tra le priorità, figurano le strategie intese a valutare l’impatto, sulla salute delle
persone, dei cd. determinanti di salute. Si tratta di fattori quali l’alimentazione,
l’attività fisica, il tabacco, l’alcool, le droghe, i fattori genetici, l’età, le abitudini
sessuali.
Negli ultimi anni l’Unione europea si è adoperata a fronteggiare nel miglior
modo possibile le minacce sanitarie a livello internazionale, elaborando piani
d’intervento coordinato contro i rischi legati alle pandemie e al bioterrorismo.
Senza precedenti si è dimostrata, nel 2020, la risposta emergenziale allo scop-
pio dell’epidemia di coronavirus (Covid-19), per la quale sono stati mobilitati
tutti gli strumenti disponibili al fine di aiutare gli Stati membri a coordinare
le rispettive risposte nazionali e attenuare le conseguenze del contagio, impe-
gnandosi ad assicurare le risorse necessarie ai sistemi sanitari, a finanziare la
ricerca scientifica per vaccini e terapie, a fronteggiare l’impatto devastante che
la pandemia ha prodotto sull’economia di tutti i Paesi coinvolti.
Se con il programma di ricerca «Orizzonte 2020», fra il 2014 e il 2020 l’Unione
si è impegnata a invertire nella ricerca quasi 7,5 miliardi di euro per migliorare
l’assistenza sanitaria, con il programma «Salute per la crescita» 2014-2020» –
costituente in ordine di tempo il terzo programma europeo per la salute, nel
quadro della strategia sanitaria «Insieme per la salute», che sostiene la strategia
globale Europa 2020 – gli obiettivi generali perseguiti sono i seguenti quattro:
> promuovere la salute, prevenire le malattie e incoraggiare ambienti favorevo-
li a stili di vita sani, tenendo conto del principio «la salute in tutte le politiche»;
> proteggere i cittadini dell’Unione da gravi minacce sanitarie transfrontalie-
re;
> contribuire alla creazione di sistemi sanitari innovativi, efficienti e sostenibili;
> facilitare l’accesso a un’assistenza sanitaria migliore e più sicura per i cittadi-
ni dell’Unione.

[Link]
18 Parte Seconda Contenuti disciplinari

Attuato mediante piani di lavoro annuali, per stabilire i settori prioritari e i


criteri per il finanziamento delle azioni, questo programma costituisce il prin-
cipale strumento di cui la Commissione europea si avvale per dare esecuzione
alla strategia europea per la salute.
La normativa europea, inoltre, sancisce il diritto dei cittadini europei di farsi
curare in un altro Paese membro. La Tessera Europea di Assicurazione Malat-
tia (TEAM), entrata in vigore in tutta l’Unione europea dal 1º novembre 2004,
consente ai cittadini degli Stati membri, nonché di Islanda, Liechtenstein,
Norvegia e Svizzera di accedere ai servizi sanitari pubblici dello Stato ospitan-
te (medici, farmacie, ospedali o cliniche), esattamente come i residenti. Se si
ricevono cure mediche in uno Stato in cui l’assistenza sanitaria non è fornita
gratuitamente, si è rimborsati immediatamente o dopo il rientro. La TEAM ha
validità sei anni, eccetto diversa indicazione da parte della Regione o dell’ASL
di appartenenza.

[Link]
Capitolo 2
Le istituzioni sanitarie dello Stato. Cenni
alle principali istituzioni internazionali

2.1 Il Ministero della Salute


2.1.1 Storia del dicastero e riorganizzazione del 2014
Nel 1958 nasceva il Ministero della Sanità, per scorporo dal Ministero dell’In-
terno. Collocato dalla riforma del 1978 al vertice del Servizio Sanitario Nazio-
nale, il dicastero vide successivamente variare le proprie funzioni via via che le
competenze regionali andarono aumentando, in attuazione del dettato della
Costituzione, che includeva la sanità fra le materie riservate alle Regioni.
Alla fine degli anni Novanta, ne fu deciso – con la riforma Bassanini – l’accor-
pamento con il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, a decorrere
dal 2001, sotto la nuova denominazione di Ministero del Lavoro, della Salute
e delle Politiche Sociali. Ma prima che la riforma Bassanini fosse attuata, il
Governo Berlusconi ricostituì un autonomo dicastero, nominandolo Ministero
della Salute e attribuendogli «le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela
della salute umana, di coordinamento del Sistema Sanitario Nazionale, di sanità vete-
rinaria, di tutela della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e sicurezza degli alimenti».
La legge finanziaria per l’anno 2008 (legge n. 244/2007) dispose la reintro-
duzione dei dodici dicasteri previsti dalla riforma Bassanini e così il Ministero
della Salute fu nuovamente riassorbito in quello del Lavoro e delle Politiche
Sociali, ma dopo appena un anno si ritornò allo scorporo delle competenze sa-
nitarie dalle altre. Così, con legge n. 172/2009, entrata in vigore il 13 dicembre
2009, fu finalmente costituito il Ministero della Salute, come organo centrale
del Servizio Sanitario Nazionale.
Nel 2014, nel più ampio quadro delle politiche di razionalizzazione e conte-
nimento della spesa pubblica, si è proceduto con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.), n. 59 dell’11 febbraio 2014, a ridefinire l’as-
setto organizzativo del Ministero della Salute, al fine di ridurne gli organici,
migliorarne la funzionalità e, più in generale, elevare l’efficienza dell’intero
sistema, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento della Pub-
blica Amministrazione.
Nel quadro della nuova organizzazione sono stati soppressi i Dipartimenti, so-
stituiti da un Segretariato generale – con l’obiettivo di razionalizzare le funzio-
ni di coordinamento delle strutture ministeriali – e sono state previste dodici
Direzioni generali. Al tempo stesso si è cercato di rafforzare l’azione ammini-

[Link]
20 Parte Seconda Contenuti disciplinari

strativa, in risposta a tutte le prescrizioni sulla revisione della spesa, l’accresci-


mento dei livelli di efficacia e la centralizzazione dei servizi comuni.

2.1.2 L’organigramma del Ministero della Salute


L’art. 1 del D.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 59 stabilisce che il Ministero della
Salute si articola in dodici Direzioni generali coordinate da un Segretario gene-
rale, le quali assumono le seguenti denominazioni:
> Direzione generale della prevenzione sanitaria;
> Direzione generale della programmazione sanitaria;
> Direzione generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Ser-
vizio Sanitario Nazionale;
> Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico;
> Direzione generale della ricerca e dell’innovazione in sanità;
> Direzione generale della vigilanza sugli enti e della sicurezza delle cure;
> Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari;
> Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione;
> Direzione generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e
della statistica;
> Direzione generale degli organi collegiali per la tutela della salute;
> Direzione generale della comunicazione e dei rapporti europei e interna-
zionali;
> Direzione generale del personale, dell’organizzazione e del bilancio.
I Direttori generali si riuniscono in una conferenza che formula pareri sulle
questioni comuni alle attività di più Direzioni e, inoltre, può formulare propo-
ste al Ministro della Salute, per l’emanazione di indirizzi e direttive. La confe-
renza è presieduta dal Ministro della Salute e, in assenza di questi, dal Segreta-
rio generale.
A livello periferico, operano gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontie-
ra (USMAF), i servizi territoriali di assistenza sanitaria al personale navigante
e aeronavigante (SASN), gli uffici veterinari per gli adempimenti comunitari
(UVAC) e i posti di ispezione frontalieri (PIF). Si tratta di uffici di livello diri-
genziale non generale che esercitano le rispettive funzioni nell’ambito delle
competenze riservate allo Stato.

2.2 L’Istituto Superiore di Sanità


Inaugurato nel 1934 con la denominazione di «Istituto di Sanità Pubblica»,
per assumere nel 1941 l’attuale denominazione, l’Istituto Superiore di Sanità,
ente di diritto pubblico dal 2001, svolge – come organo tecnico-scientifico del
Servizio Sanitario Nazionale e sotto la vigilanza del Ministero della Salute –
funzioni di ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, documentazione
e formazione in materia di salute pubblica, promuovendo convegni e dibattiti

[Link]
Capitolo 2 Le istituzioni sanitarie dello Stato. Cenni alle principali istituzioni internazionali 21

scientifici a carattere nazionale e internazionale.


L’Istituto adotta un piano triennale di attività, con il quale:
> stabilisce gli indirizzi generali;
> determina obiettivi, priorità e risorse per l’intero periodo;
> definisce i risultati scientifici e socio-economici attesi, nonché le correlate ri-
sorse di personale, strumentali e finanziarie previste per ciascun programma
e progetto.
Il piano è approvato dal Ministro della Salute, che ogni tre anni presenta al
Parlamento una relazione sull’attività svolta dall’Istituto e sul programma per
il triennio successivo.

2.3 Il Consiglio Superiore di Sanità


Il Consiglio Superiore di Sanità è organo consultivo tecnico-scientifico del Mi-
nistero della Salute.
Ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, che ne discipli-
na le prerogative, l’organizzazione e il funzionamento, il Consiglio Superiore
di Sanità svolge le seguenti funzioni:
> prende in esame i fatti riguardanti la salute pubblica, su richiesta del Mini-
stro della Salute;
> propone lo studio di problemi attinenti all’igiene e alla sanità;
> propone indagini scientifiche e inchieste su avvenimenti di rilevante interes-
se nel campo igienico e sanitario;
> propone all’Amministrazione sanitaria la formulazione di schemi di norme e
di provvedimenti per la tutela della salute pubblica;
> propone la formulazione di standards costruttivi e organizzativi per l’edifica-
zione di ospedali, istituti di cura e altre opere igieniche da parte di Pubbliche
Amministrazioni.
Il parere del Consiglio, nei casi in cui è prescritto dalla legge (es. sulle modifi-
cazioni da introdursi negli elenchi degli stupefacenti, sul diniego e sulla revoca
di registrazione delle specialità medicinali ecc.), è obbligatorio.

2.4 L’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali


(Agenas)
Istituita con il citato decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, l’Agenzia Nazio-
nale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas), dotata di personalità giuridica, è
ente pubblico non economico di rilievo nazionale, svolgente – sotto la vigilanza
del Ministero della Salute – attività di supporto tecnico-operativo alle politiche
di governo dei sistemi sanitari di Stato e Regioni, all’organizzazione dei servizi
e all’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Nello svolgimento delle proprie attività, l’Agenas opera in collaborazione con

[Link]
22 Parte Seconda Contenuti disciplinari

il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, gli Istituti di Ricovero e


Cura a carattere scientifico, gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali e, sulla base
di intese di carattere organizzativo con le Regioni interessate, con le Aziende
Sanitarie Locali e le Aziende Ospedaliere.

2.5 L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)


Istituita con decreto legge n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003, l’A-
genzia Italiana del Farmaco (AIFA), ente dotato di personalità giuridica di di-
ritto pubblico, è l’autorità nazionale competente per l’attività di regolamenta-
zione dei farmaci.
Sotto la direzione del Ministero della Salute e la vigilanza dello stesso Ministero
della Salute e del Ministero dell’Economia, l’AIFA autorizza l’immissione dei
farmaci in commercio, garantendone l’impiego sicuro e appropriato, svolge
attività ispettiva e di farmacovigilanza, promuove la sperimentazione clinica, la
conoscenza e la cultura sul farmaco e la raccolta e valutazione delle best practices
internazionali.
L’AIFA collabora con le Regioni, l’Istituto Superiore di Sanità, gli Istituti di
Ricovero e Cura a carattere scientifico, i medici e le società scientifiche e le
associazioni dei pazienti.

2.6 L’Istituto Nazionale Assicurazioni contro gli Infortuni


sul Lavoro (INAIL)
Nato nel 1933 dall’unificazione della Cassa nazionale infortuni e delle Casse
private di assicurazione, e ridisciplinato nel T.U. 1124/1965, che estese la co-
pertura assicurativa anche alle malattie professionali, l’Istituto Nazionale per
l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) ha accorpato nel 2010
le funzioni dell’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL), in seguito alla soppressione di quest’ente.
L’assicurazione sociale obbligatoria presso l’INAIL ha la duplice funzione di:
> garantire ai lavoratori, in caso di infortunio o malattia professionale, presta-
zioni sanitarie relative alle prime cure, prestazioni economiche e forniture
di apparecchi di protesi;
> esonerare il datore di lavoro dalla responsabilità civile conseguente alla lesio-
ne subita dal lavoratore, salvo il caso in cui venga riconosciuta la sua respon-
sabilità per un reato commesso con violazione delle norme di prevenzione e
igiene sul lavoro.
Con il versamento del premio assicurativo, infatti, l’INAIL si assume l’onere
economico derivante dagli infortuni e dalle malattie.
All’obbligo assicurativo sono soggetti:
> i lavoratori addetti ad attività rischiose, alle dipendenze di un datore di la-
voro, compresi i sovrintendenti ai lavori, i soci di cooperative e di ogni altro

[Link]
Capitolo 2 Le istituzioni sanitarie dello Stato. Cenni alle principali istituzioni internazionali 23

tipo di società, i medici esposti a raggi X, gli apprendisti, i soggetti apparte-


nenti all’area dirigenziale e gli sportivi professionisti;
> gli artigiani e i lavoratori autonomi dell’agricoltura, nonché i lavoratori che
svolgono attività di collaborazione in via coordinata e continuativa (cd. pa-
rasubordinati).
La contribuzione è a esclusivo carico del datore di lavoro, dell’artigiano o del
lavoratore autonomo dell’agricoltura. Per il principio dell’automaticità delle
prestazioni, il dipendente ha accesso alla tutela anche se il datore di lavoro (te-
nuto per legge) non procede al versamento dei premi di assicurazione.

2.7 I Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (NAS) dell’Arma dei


Carabinieri
I Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (NAS) furono istituiti nel 1962 sulla base di
intese intercorse fra l’allora Ministero della Sanità, il Ministero della Difesa e il
Comando generale dell’Arma dei Carabinieri.
I Nuclei, inizialmente presenti solo in alcune grandi città (Milano, Padova, Bo-
logna, Roma, Napoli, Palermo), furono posti alle dipendenze del Ministero
della Sanità con il compito di «vigilare sulla disciplina igienica della produzio-
ne, commercializzazione e vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, a
tutela della salute pubblica».
La struttura si è poi progressivamente ampliata, fino a estendere la propria
presenza sull’intero territorio nazionale. Nel 2005 il reparto ha acquisito la
denominazione di Comando Carabinieri per la Tutela della Salute. La struttura
attuale è articolata in un Comando centrale, un Ufficio Comando e Reparto
Analisi, 3 Comandi di Gruppo Tutela della Salute, con sede a Milano, Roma e
Napoli, e 38 Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (NAS), posti alle dipendenze dei
rispettivi Comandi dei Gruppi Tutela della Salute, con competenza regionale
o interprovinciale.
I NAS possono intervenire in tutti i luoghi dove si producono, somministrano,
depositano o vendono generi destinati all’alimentazione, e possono entrare
in tutti i luoghi in cui vengono prodotti, o si suppone che lo siano, alimenti
e bevande. Tra i loro compiti, rientra anche quello di farmacovigilanza, per
il cui espletamento è operativo dal 2017, presso l’AIFA, il Nucleo Carabinieri
AIFA, direttamene dipendente dal Comando Carabinieri per la Tutela della
Salute.

2.8 Gli organi locali: il Prefetto e il Sindaco


Se a livello provinciale è il Prefetto, in forza delle leggi vigenti, a poter adottare
con carattere d’urgenza ordinanze e provvedimenti in materia d’igiene e sanità
pubblica, spettano al Comune, che le esercita per il tramite del Sindaco, nella
sua qualità di capo dell’Amministrazione comunale, tutte le funzioni ammini-

[Link]
24 Parte Seconda Contenuti disciplinari

strative in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera che non siano espressa-


mente riservate allo Stato e alle Regioni.
A norma dell’art. 13 della legge n. 833/1978, tali funzioni amministrative sono
esercitate dai Comuni in forma singola o associata mediante le Aziende Sani-
tarie Locali, ferme restando le attribuzioni di ciascun Sindaco, al quale l’art.
50, comma 5, del Testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000,
come modificato dal decreto legge n. 14/2017, convertito in legge n. 48/2017),
conferisce il potere di emettere, in presenza di pericolo grave per la salute pub-
blica, ordinanze contingibili e urgenti per fronteggiare emergenze (sanitarie o
di igiene pubblica) di carattere esclusivamente locale.
Negli altri casi, l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costi-
tuzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle
Regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interes-
samento di più ambiti territoriali regionali. In caso di emergenza che interessi
il territorio di più Comuni, ogni Sindaco adotta le misure necessarie fino a
quando non intervengano i soggetti competenti.
L’art. 2, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 502/1992 prevede che il Sindaco
faccia parte della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e
socio-sanitaria regionale nel caso in cui l’ambito territoriale dell’Azienda Uni-
tà Sanitaria Locale coincida con quella del Comune, nonché nei casi in cui
l’ambito territoriale dell’Unità Sanitaria Locale sia rispettivamente superiore
o inferiore al territorio del Comune; e l’art. 3, comma 14, dello stesso decreto
legislativo, prevede che nelle Unità Sanitarie Locali il cui ambito territoriale
coincide con quello del Comune, al fine di corrispondere alle esigenze sanita-
rie della popolazione, il Sindaco:
> provvede alla definizione, nell’ambito della programmazione regionale, del-
le linee di indirizzo per l’impostazione programmatica dell’attività;
> esamina il bilancio pluriennale di previsione e il bilancio di esercizio e rimet-
te alla Regione le relative osservazioni;
> verifica l’andamento generale dell’attività e contribuisce alla definizione dei
piani programmatici trasmettendo le proprie valutazioni e proposte al diret-
tore generale e alla Regione.
Se, invece, l’ambito territoriale dell’Unità Sanitaria Locale non coincide con il
territorio del Comune, le funzioni del Sindaco sono assunte dalla conferenza
dei Sindaci o dei Presidenti delle Circoscrizioni di riferimento territoriale, tra-
mite una rappresentanza costituita nel suo seno da non più di 5 componenti
nominati dalla stessa conferenza con modalità di esercizio delle funzioni detta-
te con normativa regionale.

2.9 Le istituzioni internazionali


Si impone, in sede internazionale, il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS), dal 1948 Agenzia delle Nazioni Unite specializzata in materia di
salute, cui aderiscono attualmente ben 195 Paesi, fra i quali l’Italia.

[Link]
Capitolo 2 Le istituzioni sanitarie dello Stato. Cenni alle principali istituzioni internazionali 25

L’OMS costituisce organismo d’indirizzo e coordinamento per le questioni sa-


nitarie. Secondo l’atto fondativo, suo obiettivo istituzionale è il raggiungimen-
to, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute.
L’OMS indirizza e finanzia a livello globale la ricerca sanitaria, stabilisce norme
e standard, formula scelte di politica sanitaria basate sull’evidenza scientifica,
garantisce assistenza tecnica agli Stati membri, ha la responsabilità di monitora-
re e controllare la diffusione di malattie, in particolare quando v’è il rischio di
una rapida diffusione epidemica, fornisce aiuti di emergenza in caso di calami-
tà. Si propone, inoltre, come guida per il miglioramento della nutrizione, delle
condizioni abitative, dell’igiene e delle condizioni di lavoro in tutto il mondo.

Nell’Unione europea si impone il ruolo della Commissione, nel perseguimento


dei seguenti obiettivi di salute:
> il miglioramento della tutela di tutti i cittadini dai rischi per la salute pub-
blica;
> la promozione della salute per il conseguimento della prosperità e della so-
lidarietà;
> il miglioramento delle conoscenze dei cittadini in materia sanitaria.
Ciò in conformità a quanto previsto dal trattato istitutivo, il quale prevede che
la salute umana sia protetta in tutte le politiche, imponendo agli Stati membri
di collaborare per la prevenzione delle malattie e l’eliminazione delle fonti di
pericolo per la salute fisica e mentale. Se spetta ai Governi degli Stati membri
organizzare e far funzionare l’assistenza sanitaria, all’Unione europea spetta
l’integrazione delle politiche nazionali.
Alla protezione e promozione della salute dei cittadini, e anche di quella ani-
male, concorre peraltro l’Agenzia europea per i medicinali (EMA), i cui com-
piti principali consistono nell’autorizzare l’immissione in commercio dei me-
dicinali all’interno dell’Unione europea) e dello Spazio economico europeo,
monitorandone la sicurezza durante il loro intero arco di vita e fornendo infor-
mazioni agli operatori sanitari e ai pazienti.
Spetta invece al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie
di Stoccolma studiare le nuove minacce per la salute, onde consentire all’U-
nione europea di rispondere rapidamente. Il Centro raccoglie e condivide le
conoscenze sulle minacce attuali ed emergenti e collabora con le controparti
nazionali per sviluppare un sistema europeo di sorveglianza delle malattie.

[Link]
Capitolo 3
La pianificazione sanitaria

3.1 Il Piano Sanitario Nazionale (PSN)


Le linee generali di indirizzo e le modalità di svolgimento delle attività istitu-
zionali del Servizio Sanitario Nazionale sono stabilite con il Piano Sanitario
Nazionale, in conformità agli obiettivi della programmazione socio-economica
nazionale, tenendo conto anche dei principi sulla tutela della salute determi-
nati a livello internazionale.
Alle linee espresse nella pianificazione nazionale devono conformarsi i Piani
Sanitari Regionali, che sono piani strategici degli interventi per gli obiettivi di
salute e il funzionamento dei servizi regionali. Strumento ulteriore per agevo-
lare la programmazione sanitaria, e misurarne l’effettività, è la Relazione sullo
stato sanitario del Paese.
Il compito di predisporre il Piano Sanitario Nazionale è attribuito al Governo,
che provvede su proposta del Ministro della Sanità, sentiti i pareri delle Com-
missioni parlamentari competenti per materia (chiamate a esprimersi entro 30
giorni dalla trasmissione dell’atto) e le Confederazioni sindacali maggiormen-
te rappresentative (che devono esprimersi entro 20 giorni), e tenendo conto
delle proposte formulate dalle Regioni, singolarmente o attraverso strumenti
di autocoordinamento, entro il 31 luglio dell’ultimo anno di vigenza del Piano
precedente.
Il Piano è adottato d’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni entro il
successivo 30 novembre, con atto del Capo dello Stato, previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri.
Il Piano, di norma, ha valenza triennale e può essere modificato nel corso del
triennio, con lo stesso procedimento previsto per la sua adozione.
Attualmente la finalità del Piano Sanitario Nazionale è stabilire, contestual-
mente all’individuazione delle risorse finanziarie, le linee generali di indirizzo
del Servizio Sanitario Nazionale, gli obiettivi fondamentali di cura, prevenzio-
ne e riabilitazione, e i Livelli Essenziali di Assistenza da erogare su tutto il terri-
torio nel rispetto del quadro finanziario definito per l’intero sistema pubblico.
A termini dell’art. 1, co. 10, [Link]. 502/1992, i contenuti della pianificazione
sanitaria nazionale sono così individuati:
> definizione delle aree prioritarie di intervento;
> determinazione della quota di finanziamento per ciascun anno di validità del
Piano;

[Link]
28 Parte Seconda Contenuti disciplinari

> definizione dei progetti obiettivo e delle linee generali di indirizzo del Servizio
Sanitario Nazionale, nonché delle priorità in materia di salute;
> definizione dei Livelli Essenziali e Uniformi di Assistenza (LEA), intesi come
l’insieme di prestazioni, servizi e attività di carattere primario che i cittadini
hanno diritto di ottenere dal Servizio Sanitario Nazionale, nel triennio di
vigenza del Piano Sanitario Nazionale, in condizioni di uniformità su tutto il
territorio nazionale;
> miglioramento continuo della qualità dell’assistenza, anche attraverso il coin-
volgimento delle Regioni;
> promozione della ricerca biomedica e sanitaria;
> determinazione degli indirizzi relativi alla formazione di base e alla formazione
continua del personale sanitario;
> valorizzazione delle risorse umane e relativo fabbisogno;
> definizione di linee guida e percorsi diagnostico-terapeutici finalizzati allo svilup-
po di modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica
assistenziale, nonché alla garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Nell’attuale quadro istituzionale e normativo, che vede la necessità di armoniz-
zare il servizio sanitario sia rispetto ai principi europei sia rispetto al contesto
nazionale, il Piano Sanitario Nazionale pone come macro obiettivo del Servizio
Sanitario Nazionale non solo la promozione della salute dei cittadini, ma anche
la promozione del benessere e della salute delle comunità, nella consapevolezza
che «la vera ricchezza del sistema sanitario è la salute dei cittadini».

3.2 Il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP)


Il Piano Nazionale della Prevenzione, approvato in sede di Conferenza Stato-
Regioni, con accordo del 20 aprile 2010, è parte integrante del Piano Sanitario
Nazionale e individua le aree degli interventi igienico-sanitari finalizzati a evita-
re l’insorgenza e la diffusione delle malattie.
Agli obiettivi e alle finalità del Piano Nazionale della Prevenzione devono ade-
guarsi le Regioni e le Province autonome, attraverso la predisposizione di piani
regionali per la prevenzione di valenza triennale.
L’attuazione del Piano Nazionale è coordinata dalla Direzione generale della
Prevenzione sanitaria presso il Ministero della Salute, chiamato a svolgere una
funzione di sostegno delle Regioni e di coordinamento degli organi tecnico-
scientifici locali.

3.3 I Piani Sanitari Regionali (PSR)


Gli obiettivi che le Regioni si propongono di raggiungere in materia di sanità
sono inclusi nei Piani Sanitari Regionali, attraverso i quali si individuano gli
aspetti strategici degli interventi finalizzati alla tutela della salute e al migliore
funzionamento dei servizi. Perciò, entro 150 giorni dall’entrata in vigore del
Piano Sanitario Nazionale, le Regioni devono obbligatoriamente adottare i ri-
spettivi Piani Sanitari Regionali.

[Link]
Capitolo 3 La pianificazione sanitaria 29

I Piani Sanitari Regionali sono predisposti dalle Giunte e si connotano come


strumenti di pianificazione strategica degli interventi regionali, anche in riferi-
mento agli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale.
I relativi progetti di pianificazione sono sottoposti alla Conferenza permanente
per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale – istituita con il de-
creto legislativo n. 229/1999 –, ai cui lavori partecipano i soggetti istituzionali
di rilevanza locale, quali i rappresentanti degli enti territoriali, i sindacati degli
operatori sanitari (pubblici e privati), le strutture accreditate all’interno del
Servizio Sanitario Nazionale e le formazioni sociali private impegnate nell’assi-
stenza sanitaria e sociale. Dal momento che il Piano Sanitario Regionale deve
essere predisposto tenendo conto degli obiettivi stabiliti nella pianificazione
nazionale, le Regioni inviano i progetti di piano al Ministro della Salute al fine
di acquisirne il parere.
Gli obiettivi specifici dei Piani Sanitari Regionali differiscono da Regione e
Regione. Ciò peraltro non impedisce di individuare le finalità generiche della
programmazione regionale, le cui competenze sono orientate a definire:
> i modelli organizzativi dei servizi sanitari;
> i criteri per la distribuzione delle risorse fra le singole aziende;
> le modalità per l’attuazione dei controlli sui livelli di efficacia e di efficienza
conseguiti dalle singole aziende e dall’intero sistema regionale.
La mancata adozione del Piano Sanitario Regionale, entro un anno dall’entrata
in vigore del Piano Sanitario Nazionale, comporta l’intervento sostitutivo del
Governo: il Ministro della Salute assegna alla Regione inadempiente un termi-
ne non inferiore a 3 mesi, perché provveda ad adottare il piano. Spirato inu-
tilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della
Salute, sentita l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, d’intesa con
la Conferenza permanente Stato-Regioni, adotta i provvedimenti necessari per
rendere operative nella Regione le disposizioni del Piano Sanitario Nazionale.
Le Regioni trasmettono al Ministro della Salute, entro il 31 marzo di ogni anno,
la relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Sanitario Regionale, sui
risultati di gestione e sulla spesa prevista per l’anno successivo.

3.4 I Piani Attuativi Locali (PAL)


Spetta alla legge regionale disciplinare il rapporto tra la programmazione re-
gionale e la programmazione attuativa locale, nella quale sono coinvolte le
Aziende Sanitarie Locali (ASL), in quanto soggetti incaricati della gestione del
servizio, e gli Enti locali. In particolare, la legge regionale disciplina il procedi-
mento per l’adozione dei Piani Attuativi Locali.
I Piani Attuativi Locali, di durata triennale, sono gli strumenti di pianificazione
e programmazione operativa che, nell’ambito delle disposizioni della program-
mazione socio-sanitaria regionale, permettono di tradurre i bisogni di salute e
assistenza della popolazione in azioni concrete.

[Link]
30 Parte Seconda Contenuti disciplinari

Essi designano gli indirizzi e le scelte che la comunità territoriale è chiamata a


realizzare per migliorare i livelli di assistenza e di benessere collettivo.
Sono adottati dal direttore generale dell’Azienda Sanitaria Locale entro il 31
dicembre dell’anno precedente, rispetto al triennio di riferimento, e trasmessi
alla Regione per l’approvazione. Nel caso di mancata adozione del Piano, il
Sindaco o la Conferenza dei Sindaci possono chiedere alla Regione la revoca
del direttore generale o di non confermarlo.
Nell’ambito della loro autonomia, peraltro, le regioni definiscono i criteri e le
modalità, anche operative, per il coordinamento delle strutture sanitarie ope-
ranti nelle aree metropolitane, nonché l’eventuale costituzione di appositi or-
ganismi. A questi ultimi, ove costituiti, spetta l’elaborazione del Piano Attuativo
Metropolitano.

3.5 Gli altri strumenti


Si segnalano, per loro importanza, il Patto per la Salute, la Relazione sullo stato
sanitario del Paese, il Programma delle attività territoriali e il Piano delle attivi-
tà e dell’utilizzazione delle risorse disponibili.
Il Patto per la Salute è lo strumento finanziario e di programmazione con il
quale il Governo e le Regioni condividono gli indirizzi e gli obiettivi generali
relativi alla spesa sanitaria e al Servizio Sanitario Nazionale. Il Patto, approvato
in seno alla Conferenza Stato-Regioni, ha valenza triennale.
La Relazione sullo Stato Sanitario del Paese è una componente essenziale del
ciclo di pianificazione, programmazione e valutazione del Servizio Sanitario
Nazionale. Introdotta dalla legge n. 833/1978 come informativa periodica – da
parte del Ministro della Sanità al Parlamento – sullo stato di salute del Paese e
sull’attuazione delle politiche sanitarie, si è successivamente trasformata in uno
strumento di valutazione del processo attuativo del Piano Sanitario Nazionale.
Si tratta, dunque, di un importante osservatorio sulla salute della popolazione,
come pure sullo sviluppo e sull’evoluzione delle politiche socio-sanitarie nel
nostro Paese.
Il Programma delle attività territoriali prevede, a livello distrettuale, la localiz-
zazione dei servizi e, al tempo stesso, determina le risorse per l’integrazione so-
cio-sanitaria, sulla base del principio della intersettorialità degli interventi cui
concorrono le diverse strutture operative. Proposto dal direttore di distretto,
sulla base delle risorse assegnate e previo parere del comitato dei sindaci di di-
stretto, il Programma è approvato dal direttore generale dell’Azienda sanitaria,
d’intesa, limitatamente alle attività socio-sanitarie, con il comitato medesimo e
tenuto conto delle priorità stabilite a livello regionale.
A livello dipartimentale, invece, il direttore di dipartimento predispone an-
nualmente il Piano delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili,
negoziato con la direzione generale nell’ambito della programmazione azien-
dale. La programmazione delle attività dipartimentali, la loro realizzazione e
le funzioni di monitoraggio e di verifica sono assicurate con la partecipazione
attiva degli altri dirigenti e degli operatori assegnati al dipartimento.

[Link]
Capitolo 4
I servizi socio-sanitari

4.1 I nuovi bisogni assistenziali e il sistema qualità


Per far fronte alle cd. nuove epidemie – termine col quale l’Organizzazione
Mondiale della Sanità definisce le malattie croniche – si impone la necessità di
ripensare l’organizzazione dei servizi, rivisitando criticamente i percorsi assi-
stenziali e sperimentando nuove formule organizzative dell’assistenza. Sempre
più si punta alla realizzazione di una gestione integrata.
Le patologie croniche rappresentano un grande problema per il Servizio Sani-
tario Nazionale, ma possono essere allo stesso tempo un’opportunità di revisio-
ne radicale dell’offerta sanitaria. Sempre più spesso si fa riferimento a contesti
sociali multietnici o in cui la dominanza è costituita da individui ultraottanten-
ni. Si tratta di una realtà incalzante, in cui le persone richiedono, oltre all’as-
sistenza sanitaria, anche un trattamento di tipo sociale, per cui l’intervento
dei professionisti chiamati in causa è sempre più indirizzato verso l’area socio-
sanitaria.
Ai contesti di cura tradizionali si affiancano sempre più situazioni innovative:
la famiglia diventa luogo assistenziale ed emerge l’hospice come centro resi-
denziale in cui si attuano cure palliative attraverso una rete sanitaria. Queste
innovazioni prendono il via dalla posizione centrale assunta dal cittadino, dalla
persona assistita, ma implicano anche un arricchimento nelle declinazioni dei
diversi ambiti coperti dall’operatore sanitario.
Parlando di qualità, si arriva a trattare alcuni concetti fondamentali e sem-
pre più presenti nella logica di una sanità che associa i requisiti di risultato
all’appropriatezza delle procedure impiegate. Per assicurare che la struttura
raggiunga e mantenga standard minimi di cura, ci si affida all’accreditamento
e alla certificazione, che assumono una valenza di riconoscimento di confor-
mità raggiunta e/o superata. In Italia, alla certificazione si collegano le norme
ISO (International Organization for Standardization), EN (Comitato Europeo di
Normazione in Europa) e UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), dove
la sigla ISO indica una validità della norma riconosciuta a livello mondiale, la
sigla EN attribuisce un riconoscimento sovranazionale a livello europeo e la
sigla UNI conferisce il valore normativo all’interno del nostro Paese.
Il concetto di qualità si lega strettamente alle esigenze e alle aspettative degli
assistiti e degli stessi professionisti sanitari, nonché dei fornitori di attrezzature,
beni e servizi.

[Link]
32 Parte Seconda Contenuti disciplinari

Ciò nondimeno è possibile una definizione alternativa di qualità, dicendo che


essa coincide con il miglioramento delle condizioni di salute e del livello di
soddisfazione delle persone assistite, ottenuti nel rispetto dei caratteri norma-
tivi ed economici perseguiti dall’azienda sanitaria. La qualità è l’insieme delle
caratteristiche implicite ed esplicite che conferiscono al prodotto o servizio la
capacità di soddisfare le esigenze espresse o implicite dei clienti.
Inoltre, quando si parla di qualità, ci si rapporta ai tre aspetti che la compon-
gono:
> la qualità professionale, che include l’efficacia clinica, l’utilizzo di linee gui-
da e protocolli, la valutazione dell’appropriatezza o gli aspetti di clinical com-
petence;
> la qualità organizzativa, che si riferisce all’utilizzo ottimale delle risorse e a
come si garantisce una costanza nello standard di prodotto;
> qualità percepita, per la quale si misurano, attraverso degli indicatori
la
stabiliti a priori, fattori come l’aggiornamento professionale, la sicurezza,
l’efficacia dell’informazione e della comunicazione, l’efficienza e tanti
altri ancora.
A livello nazionale, i provvedimenti che hanno segnato il cambiamento orga-
nizzativo all’interno del contesto sanitario, portando le strutture a identificarsi
come aziende, si individuano nei decreti nn. 502/1992 e 517/1993.
A questi sono poi seguiti il decreto legislativo n. 626/1994, la Carta dei Servizi
Sanitari (1995), il decreto legislativo n. 229/1999 recante le norme per la razio-
nalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, la legge costituzionale n. 3/2001,
che ha ridisegnato i rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali, il [Link]. 81/2008,
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che ha
sostituito la normativa del 1994, le leggi finanziarie e poi quelle di bilancio, per
finire con la legge n. 3/2018 (cd. «riforma Lorenzin»), che ha introdotto, tra
l’altro le attesissime nuove norme sulle professioni sanitarie.
In particolare, la Carta dei Servizi Sanitari contiene una nozione di qualità
ampiamente dettagliata, che ne considera i fattori, gli indicatori e gli standard,
mentre nel 1997, con decreto presidenziale, si è dato formalmente il via al pro-
cesso di accreditamento. Quando si parla di accreditamento, si fa riferimento
a un’ulteriore conferma di valore, una conferma di qualità che viene assegnata
da un soggetto terzo, esterno all’ente che lo richiede, e che generalmente in-
dica che la fornitura di cure e servizi è considerata al di sopra degli standard
minimi.

4.2 Gli ospedali


4.2.1 I servizi ospedalieri
Gli ospedali forniscono il maggior numero di servizi: unità di cura specializza-
te con carattere di emergenza/urgenza, dipartimenti diagnostici, dipartimenti
terapeutici, servizi di supporto, assistenza infermieristica.

[Link]
Capitolo 4 I servizi socio-sanitari 33

È opportuno sottolineare come, quando si parla di unità di cura specializzate,


ci si riferisca a:
> Pronto Soccorso, che fornisce assistenza a pazienti coinvolti in qualunque
tipo di incidente;
> Unità di Terapia Intensiva, per esempio l’UTIC, che fornisce assistenza a
pazienti con gravi problemi cardiaci fino a quando le loro condizioni si sta-
bilizzano;
> Unità di Riabilitazione, per recuperare il massimo livello di autosufficienza
possibile in seguito ad un infortunio, un incidente o una malattia;
> Unità di Dialisi, per tutti coloro che presentano problemi di grado avanzato
inerenti all’insufficienza renale.
Le unità chirurgiche forniscono l’assistenza prima, durante e dopo l’intervento
cui il soggetto si sottopone. Molti ospedali affiancano all’unità chirurgica prin-
cipale, ambulatori e unità giornaliere che terminano la loro attività nel tardo
pomeriggio.
I servizi diagnostici eseguono le indagini utili al medico per la formulazione di
una diagnosi.
I dipartimenti terapeutici hanno la funzione di fornire trattamenti specializzati
e/o servizi di riabilitazione per migliorare il grado di funzionalità di un appa-
rato o di un organo specifico della persona malata.
Ad altri bisogni rispondono i servizi di supporto, come quello di farmacia, che
prepara e dispensa sostanze farmacologiche alle unità di assistenza, o di as-
sistenza sociale, interpellata nel momento in cui si presenta la necessità di un
supporto socio-psicologico.
Le competenze generali e specialistiche presenti nell’ospedale si inseriscono
necessariamente nella sua struttura organizzativo-funzionale. Sotto questo pro-
filo, la normativa vigente individua le seguenti categorie di enti ospedalieri:
> le Aziende Ospedaliere;
> le Aziende Ospedaliero-Universitarie;
> i Presìdi Ospedalieri.

4.2.2 Le Aziende Ospedaliere


L’art. 4 del decreto legislativo n. 502/1992 stabilisce che – per specifiche esi-
genze assistenziali, di ricerca scientifica, nonché di didattica del Servizio Sani-
tario Nazionale – possono essere costituiti o confermati in aziende dotate di
soggettività giuridica e autonomia imprenditoriale i Presìdi Ospedalieri scor-
porati dalle Aziende Sanitarie Locali e gli ospedali di rilievo nazionale o inter-
regionale.
Le Regioni, nell’ambito della riorganizzazione della rete dei servizi, possono
proporre la costituzione o la conferma in Aziende Ospedaliere dei Presìdi
Ospedalieri in possesso di determinati requisiti, fra cui la presenza di un’or-
ganizzazione dipartimentale, la presenza di almeno tre unità operative di alta

[Link]
34 Parte Seconda Contenuti disciplinari

specialità e di un dipartimento di emergenza di secondo livello, la disponibilità


di un sistema di contabilità economico-patrimoniale e di una contabilità per
centri di costo, la disponibilità di un proprio patrimonio immobiliare adeguato
e sufficiente allo svolgimento delle attività istituzionali.
Non si procede però alla costituzione o alla conferma in Azienda Ospedalie-
ra qualora questa costituisca il solo Presidio Ospedaliero pubblico presente
nell’Azienda Sanitaria Locale.
Quanto agli ospedali di rilievo nazionale o interregionale, l’individuazione di
quelli da costituire in Azienda Ospedaliera compete al Consiglio dei Ministri,
su proposta del Ministro della Salute, formulata attenendosi alle indicazioni
pervenutegli dalla Regione o dalle Regioni interessate, previa verifica dei re-
quisiti e, in mancanza, sulla base di sue valutazioni. Le Regioni, dal canto loro,
procedono alla costituzione dell’Azienda entro 60 giorni dalla deliberazione
del Consiglio dei Ministri.
Al momento della predisposizione del Piano Sanitario Regionale, ciascuna Re-
gione verifica la permanenza dei requisiti e valuta l’equilibrio economico delle
Aziende Ospedaliere costituite nel proprio ambito territoriale.
Anche gli Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico (IRCCS) di diritto
pubblico possono essere costituiti o confermati in aziende dotate di soggettività
giuridica e autonomia imprenditoriale e sempre, a norma dell’art. 4 citato, per
specifiche esigenze assistenziali, di ricerca o didattiche.
Alle Aziende Ospedaliere si applica la stessa disciplina delle Aziende Sanitarie
Locali, in quanto compatibile, ed è loro imposto il pareggio di bilancio. Anche
gli organi sono gli stessi delle Aziende Sanitarie Locali: il direttore generale, il
collegio di direzione, il collegio sindacale.

4.2.3 Le Aziende Ospedaliero-Universitarie


Ai sensi dell’art. 2 co. 1 del decreto legislativo n. 517/1999, le Aziende Ospeda-
liero-Universitarie, enti dotati di personalità giuridica, costituiscono il modello
organizzativo attraverso il quale si realizza la collaborazione fra Servizio Sanita-
rio Nazionale e Università.
Attraverso questa tipologia, infatti, si rende possibile l’integrazione fra didat-
tica, assistenza e ricerca, e quel che ne deriva è un’Azienda la cui mission è «di
concorrere al raggiungimento degli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale e
regionale nonché di realizzare i compiti istituzionali dell’Università, alla luce dell’apporto
reciproco delle funzioni delle due istituzioni interessate» (Podesva, 2013).
Le Aziende Ospedaliero-Universitarie, quindi, operano nell’ambito del Piano
Sanitario Nazionale, del quale contribuiscono a raggiungere gli obiettivi e, al
tempo stesso, concorrono a realizzare i compiti istituzionali delle Università.
Specifici protocolli d’intesa, stipulati dalla Regione con le Università ubicate
nel proprio territorio, nel quadro della programmazione nazionale e regio-
nale, assicurano la funzionalità e la coerenza dell’attività assistenziale con le
esigenze della didattica e della ricerca.

[Link]
Capitolo 4 I servizi socio-sanitari 35

4.2.4 I Presìdi Ospedalieri


Ai sensi dell’art. 4 co. 9 del decreto legislativo n. 502/1992, gli ospedali non
costituiti in Azienda Ospedaliera conservano la natura di Presìdi dell’Azienda
Sanitaria Locale, dotati di autonomia economico-finanziaria con contabilità se-
parata all’interno del bilancio dell’Azienda.
Alla riorganizzazione di tutti i Presìdi, sulla base delle disposizioni vigenti, prov-
vedono le Regioni, correlando gli standard ivi previsti con gli indici di degenza
media, l’intervallo di turn over e la rotazione degli assistiti, e organizzando gli
stessi Presìdi in dipartimenti.
All’interno dei Presìdi vengono erogate, in regime di ricovero, tutte le presta-
zioni non erogabili – per acuzie, complessità o intensità del bisogno assistenzia-
le – nelle strutture ambulatoriali, a domicilio del paziente o in altre strutture
residenziali. Spazi adeguati sono riservati per l’esercizio della libera professio-
ne intramuraria e una quota non inferiore al 5% e non superiore al 10% dei
posti letto per l’istituzione di camere a pagamento.
Trovano introduzione le disposizioni previste per le Aziende Ospedaliere, in
quanto applicabili.

4.3 I Distretti socio-sanitari


Il Distretto socio-sanitario costituisce, a norma dell’art. 3-quater del decreto le-
gislativo n. 502/1992, l’articolazione territoriale dell’Azienda Sanitaria Locale.
L’articolazione dell’Azienda in Distretti è disciplinata con legge regionale. I Di-
stretti sono individuati dall’atto aziendale e garantiscono una popolazione mi-
nima di almeno 60.000 abitanti, salvo che la Regione disponga diversamente,
in considerazione delle caratteristiche geomorfologiche del territorio o della
bassa densità della popolazione.
Le Regioni disciplinano l’organizzazione dei Distretti in modo che siano garan-
titi (art. 3-quinquies):
> l’assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale, attraverso il ne-
cessario coordinamento e l’approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a do-
micilio, fra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, servizi di
guardia medica notturna e festiva e i presídi specialistici ambulatoriali;
> coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera
il
scelta con le strutture operative a gestione diretta, organizzate in base al
modello dipartimentale, nonché con i servizi specialistici ambulatoriali e le
strutture ospedaliere ed extraospedaliere accreditate;
> l’erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da spe-
cifica ed elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza
sanitaria, se delegate dai Comuni.

[Link]
36 Parte Seconda Contenuti disciplinari

In particolare, il Distretto garantisce:


> assistenza specialistica ambulatoriale;
> attività o servizi per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze;
> attività o servizi consultoriali per la tutela della salute dell’infanzia, della don-
na e della famiglia;
> attività o servizi rivolti a disabili e anziani;
> attività o servizi di assistenza domiciliare integrata;
> attività o servizi per le patologie da HIV e per le patologie in fase terminale.
Trovano inoltre collocazione funzionale, nel Distretto socio-sanitario, le artico-
lazioni organizzative del Dipartimento di Salute mentale e del Dipartimento di
Prevenzione, con particolare riferimento ai servizi alla persona.
La localizzazione di tutti questi servizi, nonché dei presìdi per il territorio di
competenza, trovano regolamentazione nel Programma delle attività territoria-
li, basato sul principio dell’intersettorialità degli interventi cui concorrono le
diverse strutture operative.
Il Distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria,
con contabilità separata all’interno del bilancio dell’Azienda Sanitaria Locale.
Gli sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della po-
polazione di riferimento.
Nella nuova visione integrata della sanità, il Distretto – quale possibile arti-
colazione dell’accesso territoriale – e l’ospedale diventano componenti di un
unicum e di un continuum indissolubile in funzione di una risposta appropriata
ai fabbisogni assistenziali. Superare la contrapposizione dualistica ospedale-Di-
stretto implica, pertanto, la costruzione di ponti non solo culturali, ma anche
organizzativi e operativi.

4.4 Il sistema di emergenza-urgenza sanitaria


L’emergenza-urgenza sanitaria sul territorio si giova di un sistema articolato su
due livelli: uno di allarme sanitario, di tipo territoriale, e uno di accettazione
ed emergenza sanitaria, di tipo ospedaliero. Il primo è assicurato dalla centrale
operativa, che garantisce il coordinamento di tutti gli interventi nell’ambito
territoriale di riferimento e attiva la risposta ospedaliera 24 ore su 24; il secon-
do, invece, è assicurato dal servizio di pronto soccorso e dal Dipartimento di
Emergenza-Urgenza e Accettazione.
Le linee guida approvate d’intesa fra Stato e Regioni definiscono un sistema di
allarme sanitario – dotato di un numero telefonico breve e universale (118), in
collegamento con le centrali operative – un sistema territoriale di soccorso e una
rete di servizi e presìdi ospedalieri, organizzati fra loro in maniera gerarchica.
In alcune realtà territoriali tutti i numeri di emergenza sono stati unificati sotto
il Numero Unico Europeo di Emergenza 112, in attuazione della riforma della
Pubblica Amministrazione del 2015.

[Link]
Capitolo 4 I servizi socio-sanitari 37

In realtà quello di pronto soccorso è un livello di assistenza spesso superato dall’i-


stituzione dei Dipartimenti di Emergenza-Urgenza e Accettazione (DEA). Come in-
dicato dalle Linee guida 1/1996 sul sistema di emergenza sanitaria (adottate in ap-
plicazione del decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992), si tratta di
aggregazioni funzionali di unità operative che mantengono la propria autonomia e
responsabilità clinico-assistenziale, ma che riconoscono la propria interdipendenza
adottando un comune codice di comportamento assistenziale, al fine di assicurare
una risposta rapida e completa.
A differenza dei dipartimenti tipici, costituiti da unità operative aggregate fisica-
mente, il DEA comprende unità che fanno parte esclusivamente di questa struttura
(servizi di accettazione e pronto soccorso, l’unità di osservazione e breve degenza,
l’unità operativa di rianimazione con moduli di terapia intensiva e subintensiva,
nonché le unità operative di medicina d’urgenza, ove previste dalla programmazio-
ne regionale) e unità che appartengono ad altri dipartimenti. Spetta alle Regioni
adottare la normativa di dettaglio e l’organizzazione.

4.5 I servizi presenti sul territorio


Le aziende sanitarie sono sempre più impegnate a fornire e portare l’assisten-
za, per quanto possibile, più vicino alle esigenze del cittadino e della persona
assistita, pur mantenendo gli standard qualitativi ad un livello omogeneo per
qualsiasi contesto.
I servizi preposti a rendere effettiva quest’assistenza sono:
> la casa protetta, struttura residenziale di tipo socio-sanitario, solitamente di
proprietà del Comune o di privati convenzionati con il Comune, la cui uten-
za è rappresentata da persone anziane non autosufficienti che non possono
essere assistite a domicilio;
> residenza sanitaria assistenziale (RSA), in grado di garantire un’intensità
la
assistenziale più complessa, rispetto a quella della casa protetta, grazie alla
presenza di personale medico e infermieristico, impegnato a recuperare o
mantenere la funzionalità e le residue abilità fisiche, mentali e relazionali dei
soggetti qui ricoverati per periodi solitamente limitati nel tempo;
> centri di assistenza diurna, ambienti protetti per adulti non autosufficienti
i
che tuttavia non necessitano di un’assistenza continua per le 24 ore della gior-
nata (questi centri possono includere servizi di riabilitazione o terapeutici);
> l’assistenza domiciliare, il segmento dell’assistenza che sta crescendo più ra-
pidamente e include molti servizi offerti alle persone malate direttamente
nelle loro case. Gli assistiti possono ricevere a casa propria terapia endoveno-
sa, ventilazione e nutrizione parenterale.
Ai fini dell’individuazione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi mini-
mi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private,
incluse le RSA, il decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308, suddivide le strutture
residenziali in:
• strutture a carattere comunitario, caratterizzate da bassa intensità assistenziale,
bassa e media complessità organizzativa, destinate ad accogliere utenza con limi-

[Link]
38 Parte Seconda Contenuti disciplinari

tata autonomia personale, priva del necessario supporto familiare o per la quale
la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente con-
trastante con il piano individualizzato di assistenza;
• strutture a prevalente accoglienza alberghiera, caratterizzate da bassa intensità
assistenziale, media e alta complessità organizzativa in relazione al numero di
persone ospitate, destinate ad accogliere anziani autosufficienti o parzialmente
non autosufficienti;
• strutture protette, caratterizzate da media intensità assistenziale, media e alta
complessità organizzativa, destinate ad accogliere utenza non autosufficiente;
• strutture a ciclo diurno, caratterizzate da diverso grado d’intensità assistenziale
in relazione ai bisogni dell’utenza ospitata e con la possibilità di trovare collo-
cazione all’interno o in collegamento con una delle tipologie di strutture sopra
elencate.
Spetta comunque alle Regioni, nell’ambito della programmazione degli interventi
socio-sanitari, determinare gli obiettivi, le funzioni, i criteri di erogazione e quelli
di finanziamento delle prestazioni socio-sanitarie.

4.6 Il servizio sociale ospedaliero


La legge n. 132/1968, sugli enti ospedalieri e l’assistenza ospedaliera, fu la pri-
ma a riconoscere il ruolo del servizio sociale all’interno degli ospedali, e il
decreto del Presidente della Repubblica n. 129/1969, attuativo di questa legge,
stabilì che gli ospedali regionali e provinciali potevano istituire «servizi distinti di
assistenza sanitaria e di assistenza sociale a favore degli assistiti» (art. 23), precisando
che l’attività dell’assistente sociale era rivolta a trattare i problemi psico-sociali
degli assistiti, in collaborazione «con il personale sanitario, con il personale di assi-
stenza diretta e con gli altri servizi ospedalieri».
Successivamente il decreto del Presidente della Repubblica n. 761/1979,
sullo stato giuridico del personale delle Unità Sanitarie Locali, ha previsto,
nel ruolo tecnico, due posizioni funzionali distinte, ciascuna con responsabi-
lità diretta dei propri compiti – quella di coordinatore e quella di collaboratore
– le cui attribuzioni, nei presidi, nei servizi e negli uffici delle USL di ap-
partenenza, sono state in seguito dettagliatamente disciplinate dal decreto
presidenziale n. 821/1984.
L’assistente sociale coordinatore:
> predispone, sulla base delle indicazioni emergenti dagli atti di programma-
zione dei servizi, i piani di lavoro e di intervento nel rispetto dell’autonomia
operativa e delle necessità del gruppo di lavoro;
> assicura al tempo stesso i collegamenti funzionali con altri uffici e servizi, anche
appartenenti ad Amministrazioni diverse;
> svolge attività didattiche, nonché attività finalizzate alla propria formazione.
L’assistente sociale collaboratore:
> partecipa all’elaborazione dei piani di lavoro e di intervento;
> svolge le attività e gli interventi di servizio sociale previsti dagli stessi piani, con
autonomia operativa vincolata alla direttive ricevute.

[Link]
Capitolo 4 I servizi socio-sanitari 39

> svolge, al pari del coordinatore, attività didattiche, nonché finalizzate alla
propria formazione.
Se l’assistente sociale è oggi presente presso le strutture private accreditate del
Servizio Sanitario Nazionale, ciò nondimeno il ruolo del servizio sociale nel
contesto ospedaliero è cambiato, com’è cambiato nella rete dei servizi sanitari
il ruolo dell’«Ospedale», non più luogo privilegiato di assistenza e di recupe-
ro, ma luogo di cura delle acuzie e delle post-acuzie, nel contesto di una legi-
slazione che attribuisce «la priorità agli interventi di cura e assistenza effettuati a
domicilio»1 e in cui l’assistente sociale deve curare «il collegamento tra il luogo di
cura istituzionale, l’Ospedale, ed il territorio, garantendo un passaggio “protetto” da un
contesto all’altro per il paziente e per i suoi familiari»2.

4.7 Le cure palliative


Le cure palliative, com’è noto, sono orientate a fornire un’assistenza globale a
tutte le persone affette da patologie giudicate inguaribili.
Si parla, più propriamente, di rete di cure palliative per intendere quell’insieme
di attività e servizi strettamente interconnessi fra loro, che si sviluppano sia sul
territorio sia all’interno della struttura di cura vera e propria. Il team multidis-
ciplinare che opera in sinergia con la rete può essere costituito da medici di
medicina generale (MMG), medici specialisti, infermieri, psicologi, assistenti
sociali, fisioterapisti, mediatori culturali e altri professionisti che ruotano attor-
no al mondo della sanità, in base alle necessità di ciascun caso.
In Italia, la rete assistenziale di erogazione delle cure, nonché le modalità per
accedervi, sono state definite con legge 15 marzo 2010, n. 38. Questa legge
identifica le cure palliative e la terapia del dolore come obiettivi prioritari della
pianificazione sanitaria nazionale e prevede che il trattamento sia erogato sulla
base di un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia.
Al Ministro della Salute si attribuisce il compito di definire le linee guida per
la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali, nel
rispetto delle disposizioni sul riparto delle competenze in materia fra Stato e
Regione, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, e tenuto
conto anche dell’Accordo fra Governo, Regioni e Province autonome in mate-
ria di cure palliative pediatriche, sottoscritto il 27 giugno 2007, e del Documento
tecnico sulle cure palliative pediatriche approvato il 20 marzo 2008 in sede di
Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, Regioni e Province autonome.

Al fine di consentire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni


sanitarie alle esigenze del malato, in conformità agli obiettivi del Piano Sanitario
Nazionale, e comunque garantendo i Livelli Essenziali di Assistenza, si fa carico al

1 Bonifazi L. - Giacconi B., L’abilitazione per l’assistente sociale e l’assistente sociale specialista,
Maggioli, 2013, p. 294.
2 Ibidem, p. 294.

[Link]
40 Parte Seconda Contenuti disciplinari

Ministero della Salute di attivare una rilevazione specifica sui Presìdi Ospedalieri
e territoriali e sulle prestazioni assicurate in ciascuna Regione dalle strutture del
Servizio Sanitario Nazionale nel campo delle cure palliative e della terapia del do-
lore; ciò anche all’ulteriore fine di promuovere l’attivazione e l’integrazione delle
due reti a livello regionale e nazionale e la loro uniformità su tutto il territorio
nazionale.
La legge prevede anche l’attivazione, presso il Ministero della Salute, eventualmen-
te attraverso l’istituzione di una commissione nazionale, di un monitoraggio per le
cure palliative e per la terapia del dolore, connesso alle malattie neoplastiche e a
patologie croniche e degenerative. A ciò si aggiunge la redazione, entro il 31 dicem-
bre di ciascun anno, di un rapporto finalizzato a rilevare l’andamento delle prescrizioni
di farmaci per la terapia del dolore e monitorare lo stato di avanzamento delle due reti su
tutto il territorio nazionale e il livello di omogeneità e di adeguatezza delle stesse.

Secondo l’intesa raggiunta il 25 luglio 2012 – in seno alla Conferenza perma-


nente per i rapporti fra Stato, Regioni e Province autonome – l’assistenza può
essere erogata non solo in ospedale, ma anche in hospice o presso il domicilio
del paziente (o altra struttura residenziale), in relazione alle differenti caratte-
ristiche individuali e alle esigenze personali.
L’assistenza ospedaliera garantisce cure e trattamenti durante l’intero percor-
so di cura in funzione dei bisogni e in integrazione con le specifiche fasi tera-
peutiche delle malattie croniche evolutive.
L’assistenza in hospice, alternativa a quella ospedaliera, comprende prestazioni
sanitarie, sociali, alberghiere e di sostegno spirituale, fornite a pazienti che
non possono più beneficiare di terapie curative e la cui aspettativa di vita è di
solito uguale o inferiore a sei mesi. Si tratta di un contesto residenziale assai
simile all’abitazione che l’ammalato ha lasciato. Lo scopo, infatti, è sostituire
l’abitazione nel momento in cui, sia per l’aggravarsi della patologia, sia per la
difficoltà emotiva vissuta da chi sta accanto alla persona malata, questa non è
più gestibile al suo domicilio.
L’assistenza domiciliare, infine, deve assicurare prestazioni analoghe a quelle
fornite dagli hospice: unità di cure palliative domiciliari garantiscono sia inter-
venti di base sia interventi specialistici, con pronta disponibilità medica 24 ore
su 24.

[Link]
Capitolo 5
Gli interventi socio-sanitari

5.1 I destinatari degli interventi socio-sanitari


Sono interessate principalmente le seguenti categorie:
> gli anziani;
> le persone diversamente abili;
> le persone affette da disturbi psichiatrici;
> i tossicodipendenti;
> gli alcolisti;
> i malati di AIDS;
> i malati terminali (di questi ultimi si è parlato nel par. 4.7 del Capitolo 4, a
proposito delle cure palliative, cui si rinvia).

5.2 Gli anziani


Dalla fine degli anni Sessanta, l’aspettativa di vita media più lunga, associata al
declino nel numero medio di figli per nucleo familiare, ha modificato la com-
posizione demografica in gran parte del mondo occidentale. Da allora è stata
avvertita, sempre più, la necessità di sostenere e rinforzare l’autosufficienza
tra gli anziani e di valorizzare e utilizzare le loro esperienze di vita nell’ambito
della carriera, della famiglia e della comunità, bandendo ogni sorta di stereo-
tipizzazione.
Sotto quest’aspetto c’è l’esigenza che i professionisti del settore socio-sanitario
si liberino del pregiudizio di fondo, assolutamente fuori luogo, per il quale
l’anziano va assistito come se fosse un soggetto incapace.
A quest’esigenza rispondono le Unità Valutative Geriatriche, capaci di deter-
minare il grado di autosufficienza, le autonomie residue e le capacità mentali attuali
dell’anziano (senza prescindere dall’analisi della condizione sociale e delle risorse
economiche), sulla base di una valutazione geriatrica globale in cui particolare atten-
zione è posta nell’esame dello stato clinico.
Altre realtà sul territorio, in grado di garantire assistenza all’anziano, sono il
day hospital, il servizio ospedaliero, l’assistenza domiciliare e, soprattutto, le Re-
sidenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Queste ultime sostituiscono le precedenti
soluzioni residenziali per la cura di anziani in condizioni di non autosufficien-
za, lasciando aperte altre possibilità di soluzioni diversificate o innovative, per
altre tipologie di bisogno residenziale.

[Link]
42 Parte Seconda Contenuti disciplinari

In Italia spetta alle Regioni disciplinare nell’ambito delle loro competenze, ai


sensi del decreto legislativo n. 502/1992 (art. 3, comma 5), le modalità di attua-
zione e definizione delle RSA; queste, infatti, si inseriscono nella completa rete
di servizi socio-sanitari già previsti da leggi e regolamenti nazionali e regionali.
In questo contesto di rete, la RSA è il fulcro residenziale extraospedaliero
dell’assistenza alla persona non autosufficiente. Essa si rivolge ad anziani non
autosufficienti e ad altri soggetti non assistibili a domicilio, offrendo un livello
medio di assistenza sanitaria (medica, infermieristica e riabilitativa) integrato
da un livello alto di assistenza tutelare e alberghiera.

5.3 Le persone diversamente abili


Nel nostro Paese, la legge 5 febbraio 1992, n. 104 costituisce in materia di
handicap il primo intervento legislativo di carattere organico. Essa imposta in
modo sistematico le tutele dei portatori di handicap, ponendo in primo piano
il rispetto della dignità umana.
Gli obiettivi dichiarati dal legislatore sono i seguenti:
> rimozione delle cause invalidanti;
> promozione dell’autonomia;
> realizzazione dell’integrazione sociale.
Nell’International Classification of Functioning (ICF), pubblicata dall’Organizza-
zione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2002, l’idea di base è che «la disabilità
non è una situazione che riguarda singole persone rispetto al gruppo dei “non disabili”,
ma riguarda tutte le persone in quanto componenti del gruppo sociale di cui il disabile è
una costante. (…) Non può esservi pertanto una definizione di disabilità se non attra-
verso la valutazione del modo di interagire dell’individuo con il contesto ambientale nel
quale esso vive»1.
La stessa OMS, nel 2001, ha riveduto i termini dell’ICF e dell’ICIDH-2 (Classi-
ficazione internazionale del funzionamento e delle disabilità): non più disabilità, ma
diversa abilità; non più handicap, ma diversa partecipazione sociale.
L’integrazione del diversamente abile nel suo contesto familiare e sociale e la
sua partecipazione alla vita sociale sono obiettivi conseguibili solo con il tempe-
stivo intervento dei servizi terapeutici e riabilitativi.
A tal fine, il Servizio Sanitario Nazionale, anche attraverso strutture convenzio-
nate, garantisce alla persona diversamente abile, nel rispetto di apposite linee
guida, un’assistenza territoriale sia di tipo residenziale e semiresidenziale – con
residenze sanitarie assistenziali, presidi di riabilitazione extraospedalieri a ciclo
diurno o continuativo, comunità-alloggio per chi è privo di idonea sistema-
zione familiare –, sia di tipo ambulatoriale (con centri ambulatoriali di riabi-
litazione) – e domiciliare (anche con servizi personali di aiuto), assicurando

1 C. Dal Pozzo, F. Cattani, C. Venturi, Nuove frontiere nell’assessment del lavoratore


“invalido”: il modello bio-psico-sociale in Europa, Atti - VI convegno nazionale di medicina legale
previdenziale.

[Link]
Capitolo 5 Gli interventi socio-sanitari 43

inoltre la fornitura e la riparazione di apparecchiature, protesi e sussidi tecnici per


il trattamento e la riduzione delle menomazioni.
A ciò si aggiunge la possibilità di soggiornare all’estero presso centri di elevata
specializzazione, qualora lo richiedano i programmi terapeutici, per l’effettuazio-
ne di cure riabilitative non erogabili dai centri esistenti nel territorio nazionale.
Sul piano dell’inserimento e dell’integrazione sociale, l’eliminazione delle barriere
architettoniche per assicurare anche a chi è diversamente abile l’accesso agli edi-
fici, come pure i dispositivi tecnici per rendergli fruibili i mezzi di trasporto pubblici
e privati, nonché gli interventi per garantirgli l’effettività del diritto allo studio, in-
sieme all’organizzazione di attività educative extrascolastiche, in continuità con le at-
tività scolastiche, e alla piena integrazione nel mondo del lavoro, in forma individuale
o associata, rappresentano gli strumenti legislativi per promuovere e valorizzare
la «diversa partecipazione sociale» di questa categoria di soggetti e, nel contempo,
favorire il superamento di ogni forma di emarginazione ed esclusione.

5.4 Le persone affette da disturbi psichiatrici


In Italia, la pietra miliare della legislazione sulla salute mentale è la legge qua-
dro n. 180 del 1978 (cd. legge Basaglia), celebre per avere imposto la chiusura
dei manicomi e aver regolamentato il Trattamento Sanitario Obbligatorio, isti-
tuendo i servizi pubblici di igiene mentale.
I principi fondamentali contenuti in questa legge possono essere così riassunti:
> il fine dell’intervento pubblico non è più il controllo sociale dei malati di
mente, ma la promozione della salute e la prevenzione dei disturbi mentali;
> l’asse portante degli interventi e delle istituzioni assistenziali non è più rap-
presentato dal ricovero ospedaliero ma dai servizi territoriali;
> le reti familiari e sociali dei pazienti sono attivamente coinvolte nella pro-
grammazione dei progetti terapeutici e di risocializzazione.
Dopo l’avvento della legge Basaglia, poi recepita nella legge n. 833 del 1978,
sul Servizio Sanitario Nazionale, l’azione mirata alla tutela della salute mentale
ha radicalmente mutato la propria prospettiva, abbandonando la tradizionale
logica manicomiale, basata sulla segregazione del paziente psichiatrico, e acco-
gliendo l’innovativa logica della psichiatria sociale, del supporto territoriale e
della psicoterapia diffusa al livello dei pubblici servizi.
Attualmente i servizi di salute mentale, in accordo con la normativa vigente,
sono strutturati nelle seguenti tipologie, coordinate all’interno di un modello
dipartimentale:
> i Centri di Salute Mentale, che effettuano a livello di base le attività di acco-
glienza, valutazione e diagnosi psichiatrica in contesto di cura ambulatoriale
e garantiscono, in casi di necessità, interventi urgenti domiciliari o in altri
luoghi di vita. Nell’ambito dell’attività di valutazione i Centri di Salute Men-
tale effettuano l’attività di consulenza strutturata per i pazienti inviati dai
Medici di Medicina Generale e, inoltre, sono in grado di assicurare progetti

[Link]
44 Parte Seconda Contenuti disciplinari

curativi e riabilitativi capaci di rispondere ai bisogni della persona malata


senza escluderla dal proprio ambiente;
> i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), per l’accoglienza ospedalie-
ra diurna o notturna, che consentono una breve accoglienza della persona
in stato di sofferenza acuta;
> alloggi e case di tipo familiare, rivolti a pazienti che non hanno un supporto
familiare, diversamente caratterizzati da protezione, in base ai diversi bisogni
dei malati;
> centri diurni e day hospital, per attività riabilitative in regime semi-residen-
ziale;
> le Residenze Sanitarie Assistenziali, che accolgono pazienti affetti da elevata
disabilità psico-fisica, provenienti da pregresse esperienze manicomiali, ma
che necessitano di un’accoglienza idonea a favorire, per quanto possibile, il
percorso di riabilitazione e il reinserimento sociale;
> i reparti ospedalieri psichiatrici, per l’accoglienza, di breve durata, al malato
in fase acuta che necessita di cure specialistiche e alta protezione.
Presso ogni Azienda Sanitaria Locale è presente un Dipartimento di Salute
Mentale, con personale sanitario misto (medici, psicologi, assistenti sociali,
educatori, infermieri, terapisti occupazionali, operatori socio-sanitari), pronto
a fornire risposte diversificate.
A livello locale il coordinamento delle attività dei Dipartimenti di Salute Men-
tale con le attività dei servizi socio-assistenziali è disciplinato da convenzioni
che individuano i servizi e le prestazioni sanitarie e di rilievo socio-assistenziale
da erogare, regolamentando i rapporti tra le diverse figure professionali.
Ai Dipartimenti di Salute Mentale competono gli interventi ordinati alla cura,
alla riabilitazione e al reinserimento sociale dei soggetti affetti da patologia
psichiatrica. Gli interventi si articolano in ambulatoriali, domiciliari, semiresi-
denziali, residenziali e ospedalieri.
Nell’ambito del Nuovo Sistema Informativo Sanitario, il decreto ministeriale 15
ottobre 2010 ha istituito il Sistema Informativo per la Salute Mentale, finaliz-
zato alla piena condivisione delle informazioni tra Aziende sanitarie, Regioni
e Amministrazioni.

5.5 La dipendenza da stupefacenti e alcol


Le strutture di riferimento delle ASL per i tossicodipendenti e le loro famiglie
sono i SERT (Servizi per le Tossicodipendenze), istituiti a norma della legge n.
162/1990 e successivamente del T.U. n. 309/1999.
I SERT, in coordinamento con i consultori familiari e con le strutture sanitarie
per la cura delle patologie infettive, tra cui l’AIDS, sono in grado di garantire
interventi di primo sostegno e orientamento e i principali trattamenti di carat-
tere psicologico, medico-farmacologico e socio-riabilitativo, anche a domicilio,
nell’arco delle 24 ore per tutti i giorni della settimana.

[Link]
Capitolo 5 Gli interventi socio-sanitari 45

I SERT sono in grado di definire programmi terapeutici individuali, nonché


di attuare, in collaborazione con i servizi sociali, interventi periodici di preven-
zione delle infezioni da HIV e delle patologie correlate alla tossicodipendenza.
Per i soggetti alcoldipendenti o affetti da patologie correlate all’abuso di alcol,
l’assistenza sanitaria e socio-sanitaria viene erogata da apposite Unità operative
collocate presso le Aziende Ospedaliere e Ospedaliero-Universitarie, nonché
presso strutture sanitarie pubbliche e private accreditate.
Alla programmazione degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione
e reinserimento sociale dei soggetti con problemi e patologie alcolcorrelati,
nonché all’individuazione dei servizi e delle strutture che devono attuare tali
interventi, provvedono le Regioni, nell’ambito delle risorse rese disponibili dal
Fondo Sanitario Nazionale, a norma della legge quadro 30 marzo 2001, n. 125.

5.6 I malati di AIDS


Grazie all’introduzione di nuove terapie antiretrovirali, i casi di evoluzione
dell’HIV in AIDS sono sono andati progressivamente scemando e questa ten-
denza ha comportato la riduzione dei periodi di ospedalizzazione, sempre più
circoscritti alle fasi acute della malattia. Dal momento in cui il ricovero non è
più necessario, i pazienti sono presi in carico dalle Unità socio-sanitarie o desti-
nati ad altre cure assistenziali.
La presa in carico del paziente può essere effettuata in tre modi:
> negli hospice, soprattutto per chi è solo o è privo di un alloggio idoneo (il
ridotto numero di persone, peraltro, facilita il rapporto umano e il sostegno
psicologico);
> in comunità, strutturate per chi necessita di assistenza continua ma è privo di
supporto familiare (o se questo è inadeguato);
> attraverso l’assistenza domiciliare, gestita dalle ASL in convenzione con le
associazioni di volontariato scelte dalle Regioni.

5.7 Il Trattamento Sanitario Obbligatorio


Quando si parla di «Trattamento Sanitario Obbligatorio» (TSO) si fa riferimen-
to a procedure sanitarie regolamentate da leggi specifiche e applicabili – in
caso di motivata necessità e urgenza clinica – a soggetti che sono affetti da pa-
tologie psichiatriche o infettive non altrimenti gestibili e rifiutano di sottoporsi
a terapia.
In Italia i TSO sono previsti dall’art. 32 Cost. come eventi residuali ed eccezio-
nali: nel nostro Paese, infatti, gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di
regola volontari. Eventuali trattamenti obbligatori, pertanto, possono essere di-
sposti dall’autorità sanitaria solo sulla base di una legge che li preveda. Le leggi
che attualmente li disciplinano sono la già citata legge quadro n. 180 del 1978
– cd. legge Basaglia – e la legge n. 833 del 1978 sul Servizio Sanitario Nazionale.

[Link]
46 Parte Seconda Contenuti disciplinari

Il TSO, inoltre, può essere richiesto anche in tutti gli ambiti emergenziali in
cui non sia possibile richiedere il consenso al paziente e non sia possibile con-
tattare eventuali familiari.
Organo competente a disporre o prolungare il trattamento è il Sindaco, quale
autorità sanitaria locale, su proposta motivata di un medico. Chiunque può ri-
volgere al Sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento. Il tratta-
mento – nel corso del quale l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga
opportuno – può essere espletato sia presso una struttura ospedaliera in senso
stretto sia presso altra idonea sede terapeutica.
Nel caso di malattia mentale, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione
sono attuati di norma dai servizi e dai presìdi territoriali extraospedalieri. Spet-
ta alla legge regionale, nell’ambito di ciascuna Azienda Sanitaria Locale e nel
complesso dei servizi generali per la tutela della salute, disciplinare l’istituzione
di servizi a struttura dipartimentale che svolgano funzioni preventive, curative
e riabilitative relative alla salute mentale.
Il TSO per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in
condizioni di degenza ospedaliera solo se sussistono contemporaneamente le
seguenti condizioni:
> il paziente manifesti alterazioni psichiche (es. deliri, allucinazioni, intenzio-
ni suicide), per le quali si renda necessario e urgente un intervento terapeu-
tico;
> il paziente rifiuti l’intervento;
> non sia possibile prendere adeguate misure extraospedaliere.
Il relativo provvedimento – preceduto dalla convalida della proposta da parte
di un medico dell’Azienda Sanitaria Locale e adeguatamente motivato – deve
essere notificato entro 48 ore dal ricovero, tramite messo comunale, al giudice
tutelare della circoscrizione comunale. Entro le successive 48 ore, il giudice,
assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con de-
creto motivato a convalidare (o non convalidare) il provvedimento e ne dà
comunicazione al Sindaco. In caso di mancata convalida, il Sindaco dispone la
cessazione del TSO in condizioni di degenza ospedaliera.
Il TSO ha una durata di 7 giorni, prorogabili solo su richiesta espressa dello
psichiatra competente del reparto ove è stata ricoverata la persona. In assenza
di tale comunicazione, la cessazione del trattamento viene comunicata al Sin-
daco e poi al giudice. Se il trattamento si prolunga, il Sindaco firma una nuova
ordinananza e la trasmette al giudice per la convalida.
Qualora il soggetto da trattare sia un minore, i cui genitori siano entrambi de-
ceduti o decaduti dalla responsabilità genitoriale o, ancora, siano in contrasto
fra di loro o in contrasto con il figlio minore, è opportuna – sebbene il legisla-
tore nulla disponga al riguardo – la segnalazione al Tribunale ordinario per i
minorenni per i provvedimenti del caso (es. nomina di un tutore).

[Link]
Capitolo 6
Le responsabilità giuridiche ed etiche
del professionista sanitario

6.1 Concetti generali


Il professionista sanitario risponde delle proprie azioni secondo le norme
generali del diritto e deve esercitare la sua professione secondo i principi di
prudenza, perizia e diligenza. L’osservanza di tali principi nelle cure mediche
rende, di norma, il professionista sanitario non responsabile, anche quando il
risultato non si ottiene o non viene raggiunto nelle modalità previste.
Più in generale, la responsabilità professionale nasce da una prestazione ina-
deguata che ha prodotto effetti negativi sulla salute del paziente e che può
tradursi in un illecito civile, penale e/o disciplinare.
La materia è stata innovata dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, intervenuta a detta-
re nuove regole sulla sicurezza delle cure, il rischio sanitario e la responsabilità
dell’esercente la professione sanitaria, nonché della struttura sanitaria e socio-
sanitaria pubblica o privata in cui il professionista sanitario si trova a operare.
Il legislatore ha inteso colmare una lacuna che oramai non era più accettabile
nel nostro ordinamento giuridico: la nuova disciplina mira a garantire maggior
tutela ai pazienti e, allo stesso tempo, a riequilibrare il rapporto fra paziente,
strutture e professionisti sanitari.

6.2 La legge 8 marzo 2017, n. 24: il diritto alla sicurezza


delle cure e il rischio sanitario
La legge 8 marzo 2017, n. 24 riconduce la sicurezza delle cure all’alveo del
diritto alla salute, tutelata dall’art. 32 della Costituzione. Secondo le nuove di-
sposizioni, il diritto alla sicurezza non può essere circoscritto, in senso stretto,
all’erogazione della prestazione sanitaria, ma si realizza «anche» mediante l’in-
sieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio,
in connessione con l’attività di cura e mediante un utilizzo appropriato delle
risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Tutto il personale delle strut-
ture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private – compresi i liberi profes-
sionisti in regime di convenzione – ha l’obbligo di concorrere all’attività di
prevenzione.
Nell’esecuzione di prestazioni con finalità preventive, diagnostiche, terapeu-
tiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, gli esercenti le professioni

[Link]
48 Parte Seconda Contenuti disciplinari

sanitarie hanno l’obbligo, salve le specificità del caso concreto, di attenersi alle
raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate da istituzioni ed enti pub-
blici e privati, nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-
scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco, istituito e di-
sciplinato con decreto ministeriale.
Le linee guida e i relativi aggiornamenti saranno integrati nel Sistema naziona-
le per le linee guida (SNLG), previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sani-
tarie dovranno attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali.

6.3 La responsabilità civile


6.3.1 Caratteri generali
La responsabilità civile deriva dalla violazione di regole poste a tutela di interes-
si prevalentemente di natura privatistica.
Esistono due tipologie di responsabilità:
> la responsabilità contrattuale, che deriva dall’inadempimento o intempesti-
vo adempimento di un obbligo di natura contrattuale e, ai sensi dell’art.
1218 del codice civile, è presunta ogni volta che l’obbligato si rende inadem-
piente;
> la responsabilità extracontrattuale (anche detta aquiliana), sancita dall’art.
2043 del codice civile, ai sensi del quale qualunque fatto illecito, doloso o
colposo, obbliga chi lo ha commesso a risarcire il danno.
Se entrambe le tipologie obbligano il responsabile al risarcimento, quello che
differisce è la disciplina dell’onere probatorio.
Nell’illecito contrattuale, il danneggiato non ha l’onere di provare il dolo o la
colpa di colui che si è reso inadempiente, ma deve solo fornire la prova del fat-
to storico dell’inadempimento è quantificare il danno subìto. Spetta, invece, al
danneggiante dimostrare che il mancato o intempestivo adempimento è stato
determinato da una causa a lui non imputabile.
Nell’illecito extracontrattuale, al contrario, è onere di chi lamenta la lesione
fornire la prova dell’elemento psicologico: non vi è responsabilità, né risarci-
mento alcuno, se il danneggiato non riesce a provare in giudizio la colpevolez-
za dell’autore dell’illecito.

6.3.2 La responsabilità civile del professionista sanitario nella legge


n. 24/2017
La disciplina della responsabilità civile per prestazione professionale è
contenuta nel codice civile e segnatamente negli artt. 1176 e 2236.
L’art. 1176, al co. 2, fa obbligo al professionista di usare la diligenza del buon
padre di famiglia, vale a dire la diligenza media, da valutarsi con riguardo alla

[Link]
Capitolo 6 Le responsabilità giuridiche ed etiche del professionista sanitario 49

natura dell’attività esercitata, mentre l’art. 2236, per il caso in cui la prestazione
implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, limita la respon-
sabilità per gli eventuali danni alle ipotesi di dolo o colpa grave. Quest’ultima
norma è stata per lungo tempo applicata alla lettera, escludendo la responsa-
bilità del professionista, particolarmente quello sanitario, nei casi di colpa lieve.
A partire dagli anni Novanta, il concetto giuridico di colpa nell’esercizio della
professione sanitaria è stato inasprito per garantire maggior tutela al paziente.
Si è così consolidato, fino ai giorni nostri, l’orientamento per cui il professio-
nista sanitario risponde anche per colpa lieve, se i danni sono stati arrecati
per omessa diligenza e inadeguata preparazione professionale – salva la dimo-
strazione del caso fortuito, dell’evento imprevedibile e del fatto di terzi – mentre
può essere chiamato a rispondere soltanto a titolo di colpa grave (o di dolo)
nell’ipotesi che la prestazione implichi, per la particolare difficoltà del caso da
trattare, la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, nell’accezione
accolta dall’art. 2236 del codice civile.
Si era posto il problema, nel silenzio del legislatore, se la responsabilità del
sanitario operante all’interno di una struttura ospedaliera avesse natura con-
trattuale o extracontrattuale. Con la legge del 2017 il legislatore prende final-
mente posizione, sancendo la responsabilità contrattuale della struttura sanita-
ria o socio-sanitaria (pubblica o privata) che, nell’adempimento della propria
obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche
se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti dalla struttura, per i danni
derivanti dalle loro condotte dolose e colpose, con termine prescrizionale di
10 anni per l’esercizio dell’azione di risarcimento da parte del danneggiato.
Stessa disciplina si applica alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera
professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca
clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, non-
ché attraverso la telemedicina.
In ogni caso, l’esercente la professione sanitaria, direttamente chiamato in cau-
sa dal paziente danneggiato, risponde del danno in via extracontrattuale, salvo
che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con
il paziente.

6.3.3 La copertura assicurativa


A garanzia del ristoro del danno sanitario, il legislatore pone un obbligo di co-
pertura assicurativa, sia a carico delle strutture sanitarie e socio-sanitarie (pub-
bliche e private), sia a carico del professionista sanitario che svolga l’attività al
di fuori di queste strutture o che presti la propria opera all’interno di esse in
regime libero-professionale, o che si avvalga di esse nell’adempimento della
propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Si prevede, per tutte le strutture, l’obbligo di stipulare altresì una polizza assi-
curativa (o di adottare un’analoga misura) per la copertura della responsabilità
extracontrattuale verso i terzi (ex art. 2043 del codice civile), per il caso che il
danneggiato agisca direttamente nei confronti del professionista.

[Link]
50 Parte Seconda Contenuti disciplinari

A maggior tutela dei danneggiati, la legge (artt. 11, 12, 14):


• estende l’operatività temporale della copertura agli eventi accaduti nei 10 anni
antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’im-
presa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza;
• prevede per il caso di cessazione definitiva dell’attività professionale, per qualsia-
si causa, un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento
presentate la prima volta entro i 10 anni successivi e riferite a fatti generatori
della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza (periodo nel
quale è incluso quello di retroattività della copertura);
• attribuisce al danneggiato un’azione diretta, subordinata al fallimento del ten-
tativo di conciliazione obbligatoriamente previsto, nei confronti dell’impresa di
assicurazione della struttura e del libero professionista, sia pure entro i limiti
delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione;
• prevede l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero della Salute, di un
Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, alimentato dal
versamento di un contributo annuale dovuto dalle imprese autorizzate all’eser-
cizio delle assicurazioni per la responsabilità civile per i danni causati da respon-
sabilità sanitaria.

6.3.4 Compiti di garanzia e monitoraggio


Le Regioni e le Province autonome possono affidare la funzione di garante per
il diritto alla salute al Difensore civico, il quale può essere adìto gratuitamente
per la segnalazione di disfunzioni del sistema dell’assistenza sanitaria e socio-
sanitaria.
Inoltre, viene prevista in ogni Regione l’istituzione di un Centro per la gestione
del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, che raccoglie i dati regionali
su rischi ed eventi avversi, nonché sulle cause, sull’entità, sulla frequenza e
sull’onere finanziario del contenzioso, e li trasmette annualmente, mediante
procedura telematica unificata a livello nazionale, all’Osservatorio nazionale
delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità, istituito con decreto del Ministro
della Salute, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, presso l’Agenzia
Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS).

6.4 La responsabilità amministrativa


Se si tratta di struttura sanitaria pubblica o di esercente la professione sanitaria
presso una struttura pubblica, la legge n. 24/2017 pone a carico del profes-
sionista sanitario, in virtù della relazione funzionale con la struttura ospitan-
te, una responsabilità amministrativa per danno erariale, qualora sia accolta la
domanda di risarcimento in conseguenza di una lesione cagionata per dolo o
colpa grande.
La sanzione, per effetto delle modifiche disposte dalla legge n. 3/2018, non
può superare una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzio-
ne lorda o del corrispettivo convenzionale conseguito nell’anno di inizio della
condotta lesiva.

[Link]
Capitolo 6 Le responsabilità giuridiche ed etiche del professionista sanitario 51

Al pubblico ministero presso la Corte dei conti spetta la titolarità dell’azione di


responsabilità amministrativa.

6.5 La responsabilità penale


6.5.1 Caratteri generali
Si definisce “penale” la responsabilità derivante dai reati, comportamenti uma-
ni commissivi od omissivi che infrangono comandi o divieti posti dalla legge
penale, la quale reagisce con l’applicazione di una sanzione criminale: la reclu-
sione e/o la multa, se il reato è classificato come delitto; l’arresto e/o l’ammenda,
se è classificato come contravvenzione.
Il soggetto attivo, o reo, è l’autore del reato. Il soggetto passivo è chi subisce il fatto
e le conseguenze che ne derivano.
La dottrina, seppur divisa, ha elaborato una teoria generale del reato che enu-
clea nella struttura dell’illecito penale una serie di elementi costitutivi, comuni
a tutte le fattispecie criminose.
La tesi tradizionale individua due elementi costitutivi:
> un elemento oggettivo, nel quale rientrano la condotta, l’evento naturalistico che
ne costituisce la conseguenza e il nesso causale che lega la prima al secondo;
> un elemento soggettivo, rappresentato dal dolo o dalla colpa.
La condotta penalmente rilevante può consistere in un’azione o in un’omissio-
ne: l’azione è un movimento corporeo idoneo ad offendere il bene o l’interesse
protetto dalla norma incriminatrice; l’omissione consiste nel restare inerti di
fronte al dovere, imposto dall’ordinamento, di compiere un’azione possibile.
L’evento è la conseguenza della condotta. Secondo la concezione naturalistica,
l’evento consiste in una modificazione della realtà fenomenica suscettibile di
percezione sensoriale e legata alla condotta da un rapporto di causalità. Secon-
do la concezione giuridica, invece, il risultato cui fa riferimento il legislatore quan-
do parla di evento consiste nella lesione (danno) o messa in pericolo dell’interesse
giuridico protetto (es. il diritto alla vita).
Il nesso di causalità è il rapporto necessario che deve intercorrere tra la condot-
ta e l’evento. Affinché sussista il reato, è necessario che tra la condotta tipica e
l’evento sia accertato un nesso di derivazione causale.
L’opinione più moderna adotta il criterio della sussunzione sotto leggi scienti-
fiche, affermando che può casualmente ricollegarsi alla condotta del soggetto
quell’evento che, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento sto-
rico in cui egli ha agito, era prevedibile come verosimile conseguenza della sua
azione od omissione.

6.5.2 La colpa professionale nel diritto penale


Il decreto Balduzzi (decreto legge n. 158/2012), convertito dalla legge n.
189/2012, era intervenuto a escludere, nel campo penale, la sussistenza della

[Link]
52 Parte Seconda Contenuti disciplinari

colpa lieve nell’ipotesi in cui l’esercente la professione sanitaria si fosse attenuto


a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Il decreto
faceva espressamente salva la responsabilità civile del medico ai sensi dell’art.
2043 del codice civile.
Nell’abrogare questa disposizione, per finalità di coordinamento, l’art. 6 della
legge n. 24/2017 introduce nel codice penale l’art. 590-sexies, che disciplina la
responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario, preve-
dendo che se i reati di omicidio colposo (art. 589) e lesioni personali colpose
(art. 590) sono commessi per negligenza o imprudenza nell’esercizio della pro-
fessione sanitaria, si applicano le pene previste dal codice.
La punibilità è invece esclusa se l’evento si è verificato a causa di imperizia,
sempre però che risultino rispettate – e qui la nuova disposizione recepisce
quella contenuta nel decreto Balduzzi – le raccomandazioni previste dalle linee
guida o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, e sempre
che le raccomandazioni previste dalle linee guida risultino adeguate alle speci-
ficità del caso concreto.
Il legislatore si è così voluto allineare all’indirizzo giurisprudenziale che circo-
scrive la responsabilità per violazione di regole di perizia ai soli casi di imperizia
grave.

6.5.3 La responsabilità nell’attività medico chirurgica di equipe


Nel lavoro di equipe, come nel caso dell’attività medico-chirurgica, trova applica-
zione il principio dell’affidamento: in base a questo principio, coerente peraltro
con il concetto di specializzazione medica, ciascun componente dell’equipe ri-
sponde soltanto delle conseguenze che derivano dalla propria condotta, poten-
do fare affidamento per il resto nel corretto operato degli altri membri, salvo che
– per la posizione gerarchica occupata nell’equipe (es. il chirurgo capo-equipe)
o per altre ragioni – abbia degli obblighi specifici di controllo e sorveglianza
sull’operato degli altri componenti, nel qual caso un rimprovero di colpevolezza
potrà essergli mosso ogni qualvolta tali obblighi precauzionali siano stati violati e
dalla violazione siano derivate conseguenze sfavorevoli al paziente.

6.6 La responsabilità disciplinare


La responsabilità disciplinare è legata a:
> obblighi derivanti dal contratto di lavoro in qualità di dipendente (responsa-
bilità disciplinare);
> obblighi verso il Collegio di appartenenza (responsabilità ordinistico-disciplinare).
Il personale sanitario è assoggettato a Codici disciplinari che identificano l’in-
teresse pubblico da perseguire, i comportamenti non consentiti e le relative
sanzioni. Segnatamente, se dipendenti di una struttura pubblica, essi sono te-
nuti a osservare:

[Link]
Capitolo 6 Le responsabilità giuridiche ed etiche del professionista sanitario 53

> il Codice di comportamento del dipendente delle pubbliche amministrazio-


ni, che delinea gli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità;
> il Codice disciplinare del relativo C.C.N.L. comparto Sanità;
> il Codice etico-deontologico del Collegio di appartenenza.
La contrattazione collettiva del comparto Sanità definisce la tipologia delle in-
frazioni e le relative sanzioni. Queste devono essere proporzionate alla gravità
del fatto o dell’omissione (minore o maggiore gravità).
La responsabilità ordinistico-disciplinare deriva dall’iscrizione all’albo profes-
sionale tenuto dal Collegio e implica l’obbligo di rispettare le regole stabilite
dallo stesso.
I professionisti che si rendono colpevoli di abusi o di mancanze nell’esercizio
della professione, o comunque di fatti disdicevoli al decoro professionale, sono
sottoposti a procedimento disciplinare da parte del consiglio del Collegio della
Provincia cui sono iscritti.

6.7 L’etica professionale


All’interno delle professioni sanitarie, i Codici etici hanno dato luogo a rifles-
sioni importanti per i problemi di etica biomedica.
L’attività svolta dai professionisti sanitari ha a che fare con le scelte valoriali
degli ammalati, delle loro famiglie, delle loro persone significative, degli stessi
professionisti. Più in generale, essa partecipa attivamente ai risvolti e al dibatti-
to che riguarda le grandi tematiche bioetiche e dell’etica medica. Le esperien-
ze sono di forte impatto emotivo, si accompagnano spesso a decisioni “spiace-
voli” sia per gli assistiti sia per gli operatori. L’etica, in fondo, coltiva domande;
ma non provvede a dare facili risposte.
La clausola di coscienza è lo strumento più indicato per risolvere o mediare il
conflitto etico: essa permette all’operatore sanitario di rendere trasparente la
sua opposizione a richieste che contrastano con i principi della professione e
con i suoi valori. Avvalendosi della clausola di coscienza il professionista sani-
tario si adopererà per non nuocere, garantendo, attraverso l’intervento di altri
colleghi, le prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.

6.8 Gli obblighi di informazione verso la persona assistita: il


cd. consenso informato
Il consenso informato è la capacità di una persona ammalata, in grado di inten-
dere e volere, di prendere decisioni concernenti l’assistenza sanitaria, basando-
si sulla piena conoscenza dei vantaggi, dei rischi e delle potenziali conseguenze
di un programma di trattamento raccomandato e delle possibili alternative,
compresa l’assenza di trattamenti.
In Italia, il principio del consenso informato trova la sua più importante con-
sacrazione nell’art. 32 della Costituzione, secondo il quale «nessuno può essere

[Link]
54 Parte Seconda Contenuti disciplinari

obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», cor-


relato con l’art. 13 della stessa Costituzione che afferma l’inviolabilità della
libertà personale.
In conformità con il dettato costituzionale, la legge 22 dicembre 2017, n. 219
(cd. «legge sul testamento biologico), nel ribadire quanto già disposto dalla
legge n. 833/1978, stabilisce all’art. 1 che «nessun trattamento sanitario può essere
iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata,
tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge».
Anche il Codice di deontologia medica sancisce il principio generale secondo
cui è vietato al medico di intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica
senza l’acquisizione del consenso informato del paziente.
Il consenso costituisce, dunque, il fondamento della liceità dell’attività sanita-
ria. Esso si determina in due fasi fondamentali, che appartengono entrambe a
un dialogo diretto fra le parti: la somministrazione delle informazioni e l’acqui-
sizione del consenso.
La somministrazione delle informazioni deve essere effettuata da un soggetto
qualificato – cioè da un medico – e deve essere chiara, puntuale e compren-
sibile dell’ammalato, al quale deve essere resa nota la patologia accertata o
verosimilmente sospettata e devono essere prospettate le possibili alternative di
cura, l’intervento che appare più indicato, i possibili benefici, i relativi rischi,
le complicanze conosciute, le eventuali condizioni di rischio in riferimento alla
situazione pregressa e personale, le percentuali di successo delle tecniche (evi-
tando se possibile di utilizzare statistiche su base mondiale) e, infine, anche le
conseguenze di una scelta terapeutica non in linea con quella prospettata, così
come le conseguenze di un “non intervento”, sia esso operativo o diagnostico.
Sotto il profilo dell’acquisizione, il consenso deve essere attuale (vale a dire
prossimo all’informativa ricevuta dal paziente), riconoscibile e liberamente
prestato. Non è valido, pertanto, il consenso dato per errore, né quello frutto di
violenza o di dolo. Inoltre, il consenso deve essere prestato in forma scritta nei
casi in cui ciò sia obbligatoriamente previsto dalla legge o nelle ipotesi in cui sia
il Codice di deontologia medica a prevederlo di fronte a situazioni particolari
(es. prescrizione di farmaci sperimentali); può essere prestato anche attraverso
videoregistrazioni o, per le persone con disabilità, attraverso dispositivi che con-
sentono loro di comunicare.
La persona assistita in possesso della capacità di agire, d’altro canto, ha il diritto di
rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario o singoli atti
del trattamento, nonché il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso
prestato, anche qualora la revoca comporti l’interruzione del trattamento; inoltre,
può rifiutare, in tutto o in parte, di ricevere le informazioni ovvero può indicare i
familiari o una persona di fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso
in sua vece.
Il professionista sanitario, dal canto suo, è tenuto a rispettare la volontà espres-
sa dalla persona assistita di rifiutare il trattamento o di rinunciare al medesimo
e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. L’assistito,
dal canto suo, non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge,

[Link]
Capitolo 6 Le responsabilità giuridiche ed etiche del professionista sanitario 55

alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fron-


te di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali. Nelle situazioni di
emergenza o di urgenza, devono essere assicurate le cure necessarie, nel rispet-
to della volontà della persona ove le sue condizioni cliniche e le circostanze
consentano di recepirla.
Quale che sia la forma in cui è espresso, il consenso, come pure il rifiuto
o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato,
sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario.

6.9 Le disposizioni anticipate di trattamento (DAT)


La legge n. 219/2017 introduce l’istituto delle disposizioni anticipate di tratta-
mento (DAT), anche dette «biotestamento» o «testamento biologico», concer-
nenti le volontà di una persona in materia di trattamenti sanitari, accertamenti
diagnostici e scelte terapeutiche, espresse per l’ipotesi di una futura incapacità
di autodeterminarsi.
Le DAT possono essere redatte (mediante atto pubblico o per scrittura privata au-
tenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente
presso l’ufficio dello stato civile del proprio Comune di residenza o presso le
strutture sanitarie) da ogni persona maggiorenne e capace di intendere e vo-
lere, dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze
delle proprie scelte.
Si può affermare che le DAT costituiscono un’eccezione al requisito dell’at-
tualità richiesto per il consenso, in quanto con esse si esprime il consenso,
partecipando alle scelte terapeutiche e assistenziali, su trattamenti sanitari
eventualmente disposti in futuro allorquando viene meno la capacità di auto-
determinazione.
Il Ministero della Salute, le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali devono infor-
mare gli utenti/cittadini, anche attraverso i rispettivi siti internet, della possibi-
lità di redigere le DAT.
Nel caso in cui le condizioni fisiche del soggetto non lo consentano, le DAT
possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano
alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono
rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.
Il dichiarante può indicare una persona di sua fiducia, che ne faccia le veci e la
rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Il professionista sanitario è tenuto al rispetto delle DAT. Tuttavia, le disposizioni
possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il
fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrisponden-
ti alla condizione clinica attuale dell’ammalato ovvero sussistano terapie non
prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di
miglioramento delle condizioni di vita.

[Link]
56 Parte Seconda Contenuti disciplinari

6.10 Il trattamento dei dati sanitari


La tutela dei dati personali è stata oggetto nel 2003 di un processo di codifi-
cazione che ha portato all’emanazione del decreto legislativo 30 giugno 2003,
n. 196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali (cd. Codice
della privacy).
In particolare, il Codice ha racchiuso tutta la normativa in materia, ma solo nei
suoi aspetti fondamentali, in quanto la copiosa produzione di codici deonto-
logici da un lato, e le numerose pronunce del Garante e della giurisprudenza
dall’altro, ne hanno determinano la costante evoluzione. Oggi la fonte norma-
tiva di riferimento è costituita dal regolamento (UE) 2016/679, del 27 aprile
2016, in materia di protezione dei dati personali (GDPR - General Data Protection
Regulation), oltre al Codice della privacy così come sostanzialmente riformato
dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, volto ad adeguare l’ordinamento
italiano alla regolamentazione europea.
I dati sanitari rientrano nella categoria dei dati particolari, che si sostituisce alla
precedente dicitura dati sensibili. La disciplina relativa a questi dati è contenuta
nell’art. 9 del regolamento europeo, cui il Codice rinvia, il quale ricomprende
i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, fra quelli rispetto ai quali si affer-
ma il divieto di trattamento come principio generale.

Il divieto, tuttavia, non opera in una serie di circostanze cioè quando:


> l’individuo abbia prestato il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati
per finalità specifiche;
> trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del
il
lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assisten-
za o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione di sistemi e servizi sanitari o sociali
sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri o conformemente al
contratto con un professionista della sanità;
> il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità
pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere tran-
sfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assi-
stenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto
dell’Unione o degli Stati membri, che prevede misure appropriate e specifi-
che per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto
professionale;
> il trattamento è necessario a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca
scientifica o storica o a fini statistici (art. 89, par. 1, regolamento UE). In questo
caso il trattamento deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispet-
tare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appro-
priate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’inte-
ressato.

[Link]
Capitolo 6 Le responsabilità giuridiche ed etiche del professionista sanitario 57

La liceità del trattamento è perciò ancorata al requisito alternativo del consen-


so esplicito oppure della necessità. In presenza di questi presupposti e requisiti
il trattamento dei dati è lecito.

Il regolamento, peraltro, consente agli Stati membri di introdurre garanzie supple-


mentari e, dunque, di mantenere o introdurre ulteriori condizioni e limitazioni.
L’art. 2-septies del Codice, in attuazione dell’art. 9, par. 4 del regolamento, dispone
che il trattamento dei dati genetici, biometrici e relativi alla salute sia subordinato
all’osservanza di misure di garanzia, stabilite dal Garante della privacy con provvedi-
mento adottato con cadenza almeno biennale, a seguito di consultazione pubblica.
Le misure di garanzia sono adottate tenendo in considerazione le specifiche finalità
di trattamento in relazione a ciascuna delle categorie di dati e in ogni caso nel ri-
spetto delle condizioni di legittimità.

Una specifica disposizione riguarda i dati genetici e quelli relativi all’ambito


sanitario e diagnostico e alle prescrizioni di medicinali. Per tali dati, infatti, le
misure di garanzia sono adottate sentito il Ministro della Salute che, a tal fine,
acquisisce il parere del Consiglio Superiore di Sanità, e possono individuare,
in caso di particolare ed elevato livello di rischio, il consenso come ulteriore
misura di protezione dei diritti dell’interessato.

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