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D. Attinger Lettera Ai Romani Estratto

Il documento è un commento alla Lettera ai Romani, scritto da Daniel Attinger, che cerca di offrire una lettura complessiva di questo testo biblico. Attinger sottolinea l'importanza di comprendere la lettera nel suo insieme, piuttosto che estrarre singoli passaggi, e riflette sulla sua rilevanza storica e teologica, specialmente nel contesto delle relazioni tra cristiani e ebrei. La premessa evidenzia anche l'intenzione di promuovere la tolleranza e la riconciliazione tra diverse tradizioni cristiane.
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D. Attinger Lettera Ai Romani Estratto

Il documento è un commento alla Lettera ai Romani, scritto da Daniel Attinger, che cerca di offrire una lettura complessiva di questo testo biblico. Attinger sottolinea l'importanza di comprendere la lettera nel suo insieme, piuttosto che estrarre singoli passaggi, e riflette sulla sua rilevanza storica e teologica, specialmente nel contesto delle relazioni tra cristiani e ebrei. La premessa evidenzia anche l'intenzione di promuovere la tolleranza e la riconciliazione tra diverse tradizioni cristiane.
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DANIEL ATTINGER

LETTERA
AI ROMANI
La misteriosa compassione di Dio

EDIZIONI QIQAJON
COMUNITÀ DI BOSE
PREMESSA

Ancora un commento alla Lettera ai Romani! • vero che que-


sti non mancano, allora perchß proporne un altro? Per essere sin-
cero, devo confessare che ho pensato prima di tutto a me stes-
so. Piô m’imbattevo in questo testo, il piô delle volte in brani
scelti, sia perchß proposti dalla liturgia, sia perchß importanti
per la tematica che contenevano, piô pensavo che fosse venuto
il momento di cercare di farne una lettura complessiva. La Let-
tera ai Romani, come tutti gli altri scritti della Bibbia, non à
una cava da cui estrarre le pietre che ci fanno comodo, ma uno
scritto unitario (nonostante alcuni commentatori ipotizzino in
Rm un raggruppamento di testi paolini non sempre ben compa-
ginati) con il suo percorso specifico che, à vero, non à facile di-
scernere, e quando se n’à trovato uno, nulla garantisce che sia
quello immaginato da Paolo. L’importante perð non consiste nel-
lo scoprire quale fu la “vera” intenzione di Paolo. Ogni scritto,
dopo che à stato concluso, vive di una sua vita propria determi-
nata anche dall’incontro con il lettore che lo legge con i propri
occhi e con il proprio cuore. Il lettore cerca evidentemente di
capire cið che Paolo ha voluto dire, ma non puð fare come se
non fosse egli stesso un essere pensante, con la propria menta-
litÜ e la propria cultura che non sono quelle di Paolo. Cosç nelle
pagine che seguono ho cercato anzitutto di dire come io com-
prendo il messaggio che Paolo ha affidato a questo grande scrit-
to, di cui tutti conoscono la difficoltÜ. Padre Paul Beauchamp
ha scritto che cita volentieri, a proposito della Lettera ai Roma-

5
Premessa

ni, la parola di san Paolo: “... rapito fino al terzo cielo [quel-
l’uomo] ha sentito parole ineffabili che non à permesso all’uo-
mo pronunciare” (2Cor 12,2-4). E commenta:

In Romani, Paolo ha nonostante tutto detto queste cose che


non à permesso ridire ... ed esse sono rimaste parzialmente
ineffabili. Eppure, ha utilizzato tutta la sua intelligenza per
dirle, e occorre che facciamo il nostro possibile, secondo i no-
stri mezzi [per comprenderle]1.

Siccome poi questa lettera ha alimentato durante secoli uno


degli aspetti principali del conflitto tra i figli della chiesa di Ro-
ma e quelli della riforma, conflitto oggi attenuato, grazie a Dio
e grazie anche al lavoro effettuato da numerosi teologi soprat-
tutto nel corso degli ultimi cinquanta, sessant’anni (e non a ca-
so, il primo fascicolo della Traduction œcumßnique de la Bible2
a uscire nel 1967 à stato proprio quello della Lettera ai Roma-
ni), mi à sembrato che la mia lettura potesse non essere inutile,
giacchß vivo in una situazione privilegiata, che alcuni forse di-
ranno scomoda, di monaco protestante all’interno di una comu-
nitÜ in cui convivono, tutto sommato armoniosamente, cattoli-
ci ed evangelici. Per di piô, vivendo da trent’anni a Gerusalem-
me, in un mondo segnato sia dall’ebraismo sia dalla mentalitÜ e
dalla fede delle varie chiese ortodosse, queste diverse tradizioni
si sono mescolate in me e mi hanno forgiato. Forse questo puð
dare un tocco particolare alla lettura che propongo di questa let-
tera di Paolo.
In questo contesto vorrei esprimere la mia gratitudine a Ranie-
ro Fontana che mi ha fatto l’amicizia di rileggere queste pagine
con un occhio (e un cuore) particolarmente sensibile alla tradi-

1 P. Beauchamp, “IsraÝl et les nations hors et dans l’”glise. Lecture de Rm 9-11”, in


Id., Confßrences. Une exßgàse biblique, Paris 2004, p. 133.
2 D’ora in poi tob. Analogamente per la Bible de Jßrusalem (bj) e per la versione uf-
ficiale a cura della Conferenza episcopale italiana (cei).

6
Premessa

zione ebraica: mi ha fatto diverse osservazioni utili delle quali ho


cercato di tener conto, anche se non ho potuto soddisfarle tut-
te. Ringrazio anche quelli, fra i miei fratelli e le mie sorelle di
Bose, che hanno messo mano a queste pagine per renderle atte
alla pubblicazione, specialmente Sabino ChialÜ e Fabio Baggio.
La lettura che propongo qui non pretende di spiegare cið che
Paolo voleva dire; ho fatto il mio possibile per rendere intelligi-
bile questo scritto. Si potrebbe, anzi si dovrebbe, riprendere an-
cora e correggere molte parti di quanto ho scritto, ma, a forza
di riprendere, ci si accorge che non sempre si migliora cið che si
à detto. Occorre quindi, a un certo momento, consentire a met-
tere la parola “fine”, pur sapendo che la lettura di una lettera
come quella di Paolo ai romani rimane infinita.
Andando avanti nella redazione di questo commento, mi so-
no accorto che Romani assomiglia alla Gerusalemme in cui vi-
vo: piô la si conosce, piô appare impenetrabile, piô si percepi-
sce quanti sono i punti dei quali si dovrebbe dire: “Non li capi-
sco”; attira e respinge nel contempo; ti affascina ma, allo stesso
tempo, ti fa vedere quanto sei ancora uno straniero, la cui men-
talitÜ mai corrisponderÜ alla sua mentalitÜ. Possa, non di meno,
questo modesto contributo aiutare qualcuno non tanto a capire,
ma piuttosto ad amare e a rileggere con piô passione questa let-
tera della quale Beauchamp scriveva ancora:

Se i protestanti ne hanno fatto un uso che non ha potuto es-


sere completamente accettato dalla nostra chiesa [cattolica],
inversamente la nostra chiesa cattolica non se n’à abbastanza
servita3.

Gerusalemme, 25 gennaio 2013


Memoria dell’illuminazione di Paolo

3 P. Beauchamp, “IsraÝl et les nations hors et dans l’”glise”, p. 133.

7
INTRODUZIONE
Rm 1,1-15

Indirizzo (Rm 1,1-7)

1 1 Paolo, servo di Cristo Gesô, chiamato apostolo, perchß


messo a parte in vista dell’evangelo di Dio, 2 che egli aveva
promesso in anticipo attraverso i suoi profeti nelle Scritture
sante, 3 [evangelo] che concerne il Figlio suo
– nato dalla discendenza di David secondo la carne
4 e costituito Figlio di Dio in potenza
secondo lo Spirito di santitÜ
dalla resurrezione dei morti –
Gesô Cristo, nostro Signore, 5 mediante il quale abbiamo ri-
cevuto la grazia dell’apostolato per suscitare l’obbedienza del-
la fede fra tutte le genti, a gloria del suo nome; 6 fra queste
siete anche voi, chiamati di Gesô Cristo. 7 A tutti quelli che
sono a Roma, amati di Dio e chiamati santi, grazia a voi e pa-
ce da Dio nostro Padre e dal Signore Gesô Cristo.

I primi versetti della Lettera ai Romani possono servire per


fornire alcuni elementi di introduzione, pur sempre necessari al-
la comprensione di questo scritto tanto discusso, controverso e
commentato nel corso della storia. Anzitutto, diversamente dal-
la quasi totalitÜ degli scritti neotestamentari, l’autenticitÜ di Ro-
mani non à mai stata seriamente contestata. Questo non stupi-
sce. Infatti, dai tempi di Lutero, i figli della riforma hanno fat-

9
Introduzione

to di questo scritto il loro “cavallo di battaglia”; ora, sono essi


che, nella maggior parte dei casi, hanno contestato l’autentici-
tÜ di altri scritti biblici: non potevano quindi segare il ramo sul
quale erano seduti! Quando poi la critica storica à entrata nel-
l’esegesi cattolica, l’autenticitÜ e l’integritÜ di Romani non sono
neanche state rimesse in questione. Da questo punto di vista,
l’unico problema concerne la fine dell’epistola, in particolare Ro-
mani 16,1-24, un biglietto di raccomandazione e di saluti, forse
inizialmente indipendente, ma paolino, e Romani 16,25-27, di
cui si discute l’autenticitÜ paolina, ma che costituisce comun-
que una bella conclusione in cui riappaiono alcuni temi dell’in-
troduzione, come l’“evangelo”, “le Scritture profetiche” e “l’ob-
bedienza della fede”. Ne riparleremo a suo luogo.
Sappiamo che, da quando si trovava a Efeso negli anni 53-55
o 54-56, Paolo progettava di andare a Roma (cf. At 19,21); egli
esprime questo desiderio in Romani 1,10-13 (cf. 15,22-24.32),
pur sottolineando che fin lç ne à stato impedito. Molti hanno
pensato che Romani dovesse servire da lettera di presentazione
in cui l’Apostolo espone l’essenziale del suo messaggio. Riten-
gono percið che sia la sintesi paolina per eccellenza o addirit-
tura il suo “testamento”. Questa ipotesi à perð poco probabile,
perchß mancano in esso troppi elementi importanti della fede,
come una teologia dell’eucaristia, o anche una teologia elabo-
rata della chiesa. Certo, il motivo dell’autopresentazione non à
assente, ma sembra che con questo scritto Paolo intenda anche
intervenire in una situazione concreta della chiesa di Roma, ca-
ratterizzata da relazioni difficili, in parte provocate dallo stesso
evangelo paolino, tra giudeo-cristiani e pagano-cristiani da una
parte, ma anche tra cristiani ed ebrei dall’altra: di fatto tutto il
corpo della lettera (Rm 1,16-15,13) à sotteso da questa proble-
matica, e non a caso si conclude con un pressante appello ad “ac-
cogliersi gli uni gli altri” (Rm 15,7). Inoltre, non si deve dimen-
ticare che era pervenuta a Roma una certa fama di Paolo, come
indica la furtiva ma chiara allusione, in Romani 3,8, a coloro

10
Rm 1,1-7

che lo calunniano affermando che dice di “fare il male perchß


ne venga il bene”; in previsione del viaggio a Roma, era neces-
sario affrontare tale questione; questa tematica (fortemente col-
legata con il ruolo della legge) occupa di fatto gran parte del-
la lettera. Non si deve quindi leggere Romani come un tratta-
to dogmatico sulla giustificazione per fede indipendentemente
dalle opere (tema che certamente à presente, e come!), ma piut-
tosto come uno scritto motivato da piô cause, ma tutto impre-
gnato dalla chiara volontÜ di invitare alla tolleranza reciproca e
alla riconciliazione. In questo senso Romani appare come una
lettera “ecumenica”1.
Si ritiene solitamente che Romani sia stata scritta poco dopo
la Lettera ai Galati (che presenta molte somiglianze con Rm),
probabilmente nell’inverno 55-56 o 56-57 durante il terzo sog-
giorno di Paolo a Corinto (cf. At 20,2-3; 2Cor 12,14; 13,1-2).
Qui à ospite di Gaio (cf. Rm 16,23), che fu uno dei primi bat-
tezzati di Corinto (cf. 1Cor 1,14).
Come quasi sempre, Paolo inizia menzionando il suo nome e
la sua qualitÜ di apostolo, il nome dei destinatari e una formu-
la di saluto. Qui perð queste indicazioni, soprattutto quelle che
lo concernono, sono particolarmente sviluppate. Forse perchß i
romani non conoscono Paolo di persona, o piô probabilmente
perchß egli teme che a Roma si abbia una falsa immagine di
lui. Dopo tutto, dal momento che non ha fondato la chiesa di
Roma, puð avere motivo di pensare che coloro che vi hanno se-
minato l’evangelo non nutrissero solo sentimenti di benevolen-
za nei confronti del suo ministero, contestato un po’ dappertut-
to. Fin dall’inizio Paolo sembra voler prevenire ogni possibile
tensione: à “servo di Cristo”, “apostolo”, non giÜ per ambizio-
ne, ma perchß “chiamato” e “messo a parte in vista dell’evan-
gelo di Dio” (Rm 1,1). Paolo ricorda qui l’essenziale della sua

1 • tra l’altro il sottotitolo che Alphonse Maillot ha dato al suo commento: L’”påtre
aux Romains. ”påtre de l’œcumßnisme et thßologie de l’histoire, Genàve-Paris 1984.

11
Introduzione

vocazione: non à stato chiamato solo a diventare cristiano, ma


a essere apostolo con la missione di proclamare l’evangelo, e un
evangelo che non si à inventato lui, perchß trova in Dio il suo
autore e il suo attore, giacchß Dio lo “aveva promesso in anti-
cipo attraverso i suoi profeti nelle Scritture sante”. Quest’evan-
gelo si inserisce quindi nella grande tradizione dell’at: tutto il
corpo della lettera si sforzerÜ di mostrarlo. Esso poi concerne
“il Figlio [di Dio]”, titolo che risale alla tradizione cristiana piô
antica, come attestano i diversi racconti del battesimo di Gesô
(cf. Mc 1,11 e par.) o l’episodio in cui Gesô chiede di chi il
Messia sia Figlio (cf. Mc 12,35-37 e par.). Questo titolo affon-
da perð le sue radici anche nel cuore dell’evento di Damasco dal
momento che, quando Paolo ne parla in Galati 1,15-16, lo rias-
sume scrivendo che “Dio ... si compiacque di rivelare in me il
Figlio suo”. In Romani precisa poi subito:

il Figlio [di Dio]


– nato dalla discendenza di David secondo la carne
e costituito Figlio di Dio in potenza
secondo lo Spirito di santitÜ
dalla resurrezione dei morti –
Gesô Cristo, nostro Signore (vv. 3-4).

Questa precisazione sembra destinata anch’essa a tranquilliz-


zare i lettori, perchß dipinge il Cristo con i termini di una con-
fessione di fede che la comunitÜ di Roma forse conosceva e uti-
lizzava. Quasi tutti i commentatori concordano nel dire che si
tratta di un testo preesistente2, anche se poi divergono sul suo
esatto significato. Non stupisce che questa confessione di fede
abbia poco a che fare con i testi elaborati piô tardi, nel contesto
delle polemiche contro le eresie (credo di Nicea-Costantinopoli

2 In particolare, ma non solo, in ragione del vocabolario non paolino di questo testo.
Cf. ad esempio A. Pitta, Lettera ai Romani, Roma 2001, p. 48.

12
Rm 1,1-7

o formula di Calcedonia). A proposito dei vv. 3-4 si à parlato di


una formula di “sapore adozionista”, come se “costituito” si-
gnificasse che Dio aveva “adottato” il Cristo “nato dalla discen-
denza di David secondo la carne”. Non si deve leggere questo
testo alla luce delle polemiche sorte alcuni secoli dopo; siamo
agli inizi della riflessione della chiesa sul Cristo e ci vorrÜ tem-
po per fissare un vocabolario atto (ma lo à stato veramente?) a
definire l’“ortodossia”. Questa confessione di fede, di sapore
piuttosto giudeo-cristiano, intende dire che, attraverso colui che
à “nato dalla discendenza di David”, cioà il Messia annunciato
dall’at, à sorta l’era della resurrezione dei morti3. L’evento pa-
squale manifesta “in potenza” cið che prima era nascosto nel
Gesô terreno: egli à il Figlio di Dio, non appartenente solo al
mondo di quaggiô, ma anche alla sfera divina. Il verbo tradotto
con “costituito” (horæzo) indica in un certo senso che gli à stato
dato un nuovo “orizzonte” nel quale dobbiamo cercare di com-
prenderlo. Percið Paolo aggiunge “nostro Signore”. Questo nuo-
vo titolo à problematico quanto alla sua origine: puð provenire
dagli ambienti giudeo-cristiani che avrebbero ripreso la parola
Adonai, che giÜ serviva a leggere il tetragramma divino impro-
nunciabile ( Jhwh), per dire di Gesô che era Dio, ma puð anche
provenire dagli ambienti pagano-cristiani, e servire allora a di-
stinguere il Signore Gesô da Dio stesso, conformemente a quan-
to Paolo scrive ai corinti:

Per noi, c’à un solo Dio Padre,


dal quale sono tutte le cose e noi siamo per lui,
e un solo Signore Gesô Cristo,
mediante il quale tutto esiste e mediante il quale
siamo anche noi (1Cor 8,6).

3 Non si tratta solo della resurrezione di Gesô dai morti, ma della “resurrezione dei
morti”, cioà dell’era escatologica. Cf. A. Nygren, Commentary on Romans, Philadelphia
Pa 1983, pp. 50 ss.

13
Introduzione

Comunque l’importante sta nel fatto che se Gesô à colui che


l’at annuncia, allora non puð essere che il nostro Signore del
quale siamo soltanto i servi. Accettare il Cristo come Signore
non à solo proclamare un contenuto di fede, à anche riconosce-
re la sua signoria sulla nostra vita, e cercare dunque di confor-
mare la propria esistenza alla sua volontÜ.
• quanto ha fatto Paolo che ha accolto, senza resistere, la
missione che gli era affidata. Essa, dice l’Apostolo, consiste nel
“suscitare l’obbedienza della fede fra tutte le genti”. Due osser-
vazioni si possono fare qui. Anzitutto Paolo allude alla sua vo-
cazione sul cammino di Damasco. • lÜ che, a un tratto, ha sco-
perto che il Crocifisso era il giusto Servo di Isaia 42-53, la cui
morte maledetta (cf. Dt 21,23 e Gal 3,13) non sanzionava il
suo peccato ma era un “sacrificio di riparazione” che “giustifi-
cava” i “molti” (cf. Is 53,10-12). Ora, se Gesô à il Giusto, à
anche “Figlio di Dio” (cf. Sap 2,18), e se à Figlio di Dio à an-
che “Messia” (cf. Sal 2,7, citato da Paolo in At 13,33). Ma in
questa scoperta Paolo ha pure capito che Gesô era la “luce delle
genti” (cf. Is 49,6 citato da Paolo in At 13,47), per cui l’evan-
gelo dev’essere annunciato non solo agli ebrei, ma anche alle
genti. Tutto cið à contenuto nello stretto legame con cui l’A-
postolo unisce in questi versetti i termini di “evangelo”, di “Fi-
glio di Dio” e di “genti” (vv. 1.3.5). • poi questo che costituirÜ
il centro di tutta l’epistola4. In secondo luogo, precisando che
la sua missione à rivolta alle genti, Paolo evoca anche la decisio-
ne presa dagli apostoli, probabilmente nell’assemblea narrata in
Atti 15, la cui versione paolina si trova in Galati 2,1-10, secon-
do la quale “noi [saremmo andati] verso le genti e loro [Pietro e
gli altri di Gerusalemme] verso la circoncisione” (Gal 2,9)5, de-

4 Cf. Ph. Rolland, ‘ l’ßcoute de l’”påtre aux Romains, Paris 1991, p. 35.
5 Questa decisione non significa che i dodici devono rimanere fra gli ebrei di Israele,
mentre a Paolo e Barnaba à affidato tutto il resto del mondo allora conosciuto. La di-
stinzione ebrei/gojim (tÜ ßthne, tradotto qui con “le genti”), caratteristica della tradizio-
ne ebraica, se implica aree geografiche, significa probabilmente che i dodici si riserva-

14
Rm 1,1-7

cisione che perð pone un problema: se Roma fa parte del cam-


po affidato a Paolo, chi sono quelli che hanno evangelizzato Ro-
ma? Se sono persone vicine a Pietro e ai dodici, si capiscono
le esitazioni di Paolo a recarsi in quella cittÜ che pure gli “ap-
partiene” di diritto. Sempre per evitare i malintesi, Paolo preci-
sa che la sua missione deve condurre le genti “all’obbedienza
della fede, in nome [di Cristo]” (v. 5). Quest’ultima espressio-
ne (che, come giÜ detto, riappare alla fine dell’epistola) à estre-
mamente caratteristica, soprattutto nel contesto storico che ho
appena ricordato: a Paolo si rimproverava, come mostra tutta la
lettera, di far poco conto della legge o addirittura di predicare
contro di essa e di farsi promotore di una libertÜ che rasenta il
libertinaggio; l’Apostolo ribadisce qui che la fede che annuncia
rientra nella categoria dell’“obbedienza”, termine che verrÜ an-
ch’esso esplicitato lungo gli sviluppi del suo scritto, ma di cui si
puð giÜ ricordare che non à obbedienza “alla fede”, come se si
trattasse dell’adesione a un contenuto dottrinale, ma obbedien-
za “della fede”, cioà obbedienza che à la fede6, appunto perchß
si crede nel Signore, il quale intende regnare sulla nostra vita:
“Solo chi crede obbedisce, e solo chi obbedisce crede”, come di-
ceva Dietrich Bonhoeffer7.

no, oltre a Israele, tutto l’oriente e il meridione, che gravitano il primo attorno a Babi-
lonia e il secondo attorno ad Alessandria (queste cittÜ hanno l’una e l’altra una forte co-
munitÜ ebraica molto importante per l’ebraismo), mentre a Paolo tocca l’evangelizzazione
dell’occidente, il cui cuore à Roma. Resta il problema del settentrione, che gravita at-
torno ad Antiochia (comprendente, oltre la Siria romana, l’attuale Turchia: la Cappado-
cia, la Galazia e le terre vicine a Efeso). Evangelizzato da Paolo, il settentrione finç di
fatto, dopo un violento alterco con Pietro e altre polemiche attestate soprattutto dalla
Lettera ai Galati, sotto la responsabilitÜ dei dodici: Pietro ad Antiochia, Giovanni a
Efeso... Cf. su questo lo studio illuminante di L. Legrand, L’Apître des nations? Paul
et la stratßgie missionnaire des ”glises apostoliques, Paris 2001.
6 Cf. R. Penna, Lettera ai Romani I, Bologna 2004, p. 102.
7 D. Bonhoeffer, Sequela, Brescia 1997, p. 50.

15
INDICE

5 PREMESSA

9 INTRODUZIONE (Rm 1,1-15)


9 Indirizzo (Rm 1,1-7)
18 Azione di grazie e annuncio del tema principale (Rm 1,8-17)

31 parte prima – sezione a


EBREI E GRECI SOTTO IL PECCATO (Rm 1,18-3,20)

35 L’EMPIET‘ E LE SUE CONSEGUENZE (Rm 1,18-32)

45 IL GIUDIZIO DI DIO SU TUTTI QUELLI


CHE COMMETTONO IL MALE,
PAGANI O EBREI (Rm 2,1-29)
46 Tutti inescusabili (Rm 2,1-8)
48 Perchß tutti hanno una qualche idea della legge (Rm 2,9-16)
51 L’ebreo che sa, ma non fa (Rm 2,17-24)
54 Nonostante la circoncisione (Rm 2,25-29)

57 L’ESSERE PECCATORE DI OGNI UOMO (Rm 3,1-20)

65 parte prima – sezione b


LA GIUSTIZIA DI DIO
ANNUNCIATA DALL’EVANGELO (Rm 3,21-5,21)

69 GIUSTIFICATI MEDIANTE LA FEDE (Rm 3,21-31)

79 LA DIMOSTRAZIONE IN ABRAMO (Rm 4,1-25)


81 La giustificazione di Abramo
indipendente dalla circoncisione (Rm 4,1-12)
85 L’ereditÜ di Abramo à anche la nostra (Rm 4,13-25)

365
91 IL CRISTO, AUTORE
DELLA NOSTRA RICONCILIAZIONE (Rm 5,1-21)
92 La riconciliazione e la salvezza (Rm 5,1-11)
99 Adamo e Cristo (Rm 5,12-19)
109 Conclusione in forma di proposizione (Rm 5,20-21)

113 parte seconda


LA VITA NUOVA
E LA SPERANZA DEI GIUSTIFICATI (Rm 6,1-8,39)

117 IL BATTESIMO E L’INSERZIONE


DEL BATTEZZATO IN CRISTO (Rm 6,1-7,6)
118 Il battesimo (Rm 6,2b-14)
127 La legge e la grazia (Rm 6,15-23)
134 Sciolti dalla legge (Rm 7,1-6)

139 LEGGE E PECCATO (Rm 7,7-25)


142 Il problema della legge (Rm 7,7-11)
144 La legge e il peccatore (Rm 7,12-20)
148 Conclusione (Rm 7,21-25)

153 GUIDATI DALLO SPIRITO (Rm 8,1-39)


154 Se Cristo à in voi, lo Spirito à la vostra vita (Rm 8,1-17)
164 Dalla sofferenza alla gloria (Rm 8,18-30)
165 Le sofferenze della creazione (Rm 8,19-22)
169 Le sofferenze dei credenti (Rm 8,23-25)
172 I gemiti dello Spirito santo (Rm 8,26-27)
175 La gloriosa certezza dei cristiani (Rm 8,28-30)
178 Conclusione innica (Rm 8,31-39)

185 parte terza


LA GIUSTIZIA DI DIO E ISRAELE (Rm 9,1-11,36)

191 UNA DUPLICE CONVINZIONE DI PAOLO (Rm 9,1-6a)


191 Il paradosso degli israeliti
che non hanno accolto l’evangelo (Rm 9,1-5)
198 Eppure la parola di Dio non ha fallito (Rm 9,6a)

201 DUE ISRAELE? (Rm 9,6b-29)

225 LA MANIFESTAZIONE
DELLA GIUSTIZIA DI DIO (Rm 9,30-10,21)
226 La fede (Rm 9,32-10,13)
241 La predicazione (Rm 10,14-21)

366
249 LA FEDELT‘ DI DIO AL SUO POPOLO (Rm 11,1-32)
250 Un resto fedele (Rm 11,1b-6)
254 L’indurimento degli altri (Rm 11,7-15)
261 Esortazioni ai pagano-cristiani (Rm 11,16-24)
265 Il mistero della salvezza universale (Rm 11,25-32)

275 INNO ALLA SAPIENZA DI DIO (Rm 11,33-36)

279 parte quarta


LA GIUSTIZIA DI DIO
NELLA VITA DEI CREDENTI (Rm 12,1-15,13)

283 IL CULTO CONFORME ALLA PAROLA (Rm 12,1-2)

291 LE RELAZIONI
ALL’INTERNO DELLA COMUNIT‘ (Rm 12,3-16)
291 I cristiani membra dello stesso corpo (Rm 12,3-8)
296 L’amore (Rm 12,9-16)

301 LE RELAZIONI CON QUELLI DI FUORI (Rm 12,17-13,14)


301 L’amore per il nemico (Rm 12,17-21)
305 I cristiani e le autoritÜ civili (Rm 13,1-7)
315 L’amore, pienezza della legge (Rm 13,8-10)
317 Nell’attesa del giorno del Signore (Rm 13,11-14)

321 LA MUTUA ACCOGLIENZA DEI CREDENTI (Rm 14,1-15,13)


325 La casa di Dio
328 La libertÜ del cristiano
333 Un’accoglienza diversificata

337 EPILOGO (Rm 15,14-16,27)


338 Il ministero di Paolo (Rm 15,14-21)
344 I progetti di viaggio (Rm 15,22-33)
347 Raccomandazione e saluti (Rm 16,1-16)
352 Primo post-scriptum (Rm 16,17-20)
355 Secondo post-scriptum (Rm 16,21-24)
356 Dossologia finale (Rm 16,25-27)

359 BIBLIOGRAFIA

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