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La Chiesa Cattolica - G. K. Chesterton

Il documento esplora la conversione religiosa di G. K. Chesterton alla Chiesa Cattolica, evidenziando il suo percorso intellettuale e personale attraverso tre fasi: l'onestà intellettuale, la scoperta progressiva della fede e l'impossibilità di abbandonarla. Chesterton sostiene che il cattolicesimo, pur essendo una religione antica, si rivela sorprendentemente nuova e rilevante, grazie alla sua razionalità e libertà. La sua opera invita a considerare la Chiesa Cattolica come il luogo dove tutte le verità si incontrano e promuove l'idea che la vera fede porta a un cambiamento personale profondo, definito come conversione.

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La Chiesa Cattolica - G. K. Chesterton

Il documento esplora la conversione religiosa di G. K. Chesterton alla Chiesa Cattolica, evidenziando il suo percorso intellettuale e personale attraverso tre fasi: l'onestà intellettuale, la scoperta progressiva della fede e l'impossibilità di abbandonarla. Chesterton sostiene che il cattolicesimo, pur essendo una religione antica, si rivela sorprendentemente nuova e rilevante, grazie alla sua razionalità e libertà. La sua opera invita a considerare la Chiesa Cattolica come il luogo dove tutte le verità si incontrano e promuove l'idea che la vera fede porta a un cambiamento personale profondo, definito come conversione.

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Ladri di Biblioteche

È con la consueta inclinazione al paradosso e all’ironia che Chesterton ci


parla di un’esperienza drammatica come la conversione religiosa,
partendo ovviamente dalla sua personale, avvenuta nel 1922.
In queste pagine – sottili, brillanti, appassionate – accompagna l’anima
perennemente in bilico del convertito attraverso le tre fasi che precedono
l’ingresso nella Chiesa di Roma: l’assunzione di un atteggiamento
intellettualmente onesto nei confronti di essa, quindi la sua progressiva e
irresistibile scoperta e infine l’impossibilità di abbandonarla una volta
entratovi.
Al termine di tale pellegrinaggio interiore, la religione più antica si rivela
sorprendentemente la più nuova, più nuova delle cosiddette religioni nuove –
come protestantesimo, socialismo o spiritismo –, perché, a differenza di esse,
da duemila anni la tradizione e la verità cattoliche conservano intatta la
propria validità.
Per Chesterton il solido fondamento di questa autentica universalità (al di là
dell’azione della Grazia, mistero teologico sempre sotteso alla fede) risiede
nella razionalità e nella libertà del cattolicesimo.
G. K. Chesterton (1874-1936) fu scrittore e pubblicista dalla penna
estremamente feconda. Soprannominato «il principe del paradosso», usava
una prosa vivace e ironica per esprimere serissimi commenti sul mondo in cui
viveva. Scrisse saggi letterari (su Dickens, Wilde, Shaw) e polemici
(Ortodossia), romanzi «seri» (L’uomo che fu Giovedì, L’osteria volante) e
gialli (celebre la serie di avventure di Padre Brown). Lindau ha pubblicato i
suoi saggi biografici su san Francesco d’Assisi e san Tommaso d’Aquino, i
saggi Eretici, Ortodossia, La mia fede, Ciò che non va nel mondo, Il profilo
della ragionevolezza, La nuova Gerusalemme, L’uomo comune, L’imputato,
La serietà non è virtù, Quello che ho visto in America, Il pozzo e le
pozzanghere, Il racconto del mondo: Chaucer e il medioevo, le opere
narrative Il Napoleone di Notting Hill, I paradossi del signor Pound, Lo
scandalo di Padre Brown, Uomovivo, L’uomo che fu Giovedì e
l’Autobiografia.
I Pellicani
Titolo originale: The Catholic Church and Conversion

Traduzione dall’inglese di Federica Giardini

© 2010 Lindau s.r.l.


Corso Re Umberto 37 - 10128 Torino

Nuova edizione: febbraio 2015


ISBN 978-88-6708-390-9
Gilbert K. Chesterton

LA CHIESA CATTOLICA
Dove tutte le verità si danno appuntamento

Prefazione di Marco Sermarini Presidente della Società Chestertoniana


Italiana
Prefazione all’edizione italiana

Marco Sermarini*

Quella che avete tra le vostre mani è una delle tessere dell’avvincente
mosaico dell’ortodossia che Chesterton elaborò nel corso della sua lunga,
copiosa e felice produzione letteraria. Un’attività quasi frenetica, che definire
intensa è un buffo eufemismo (pensate che, oltre alle centinaia di libri,
Chesterton produsse migliaia di articoli su diverse testate giornalistiche, e di
questi articoli solo una parte è stata raccolta e pubblicata in volume), lo vide
impegnato a sviscerare il rapporto tra l’uomo e la ragione, l’uomo e la fede, la
fede e la ragione, nel tentativo (riuscito) di descrivere passo dopo passo una
coinvolgente danza in cui egli stesso si era lanciato.
Egli stesso chiamò questa sua personalissima e universale vicenda «il
romanzo dell’ortodossia», e romanzo va inteso nel senso di storia
avventurosa, cavalleresca, una fascinosa storia d’amore.
Chesterton fornisce le spiegazioni più esaurienti dei motivi di questo
idillio in Ortodossia e nell’Autobiografia; le più poetiche in Uomovivo e
L’uomo che fu Giovedì. Quest’opera descrive cosa accade nel cuore e nella
mente di chi si converte alla Chiesa Cattolica; l’affermazione fondamentale è
che il marchio della fede è il cambiamento, cioè la conversione.
Il suo non è un interessamento intellettuale, «antropologico». È
estremamente personale.
La sua vita religiosa, in realtà, non fu delle più ordinarie: «Battezzato,
secondo le formule della Chiesa d’Inghilterra»1 (ossia anglicana) – dirà con
compiaciuta ironia nell’incipit della sua Autobiografia –, Chesterton verrà in
realtà cresciuto come unitariano (gli unitariani credono in Dio, stimano Gesù
Cristo un grande uomo ma nulla più, rifuggono il dogma trinitario e ritengono
il cristianesimo una sorta di rispettoso amore universale); questo in una
famiglia avvezza più alla discussione che alla devozione, per quanto lo
scenario familiare fosse diverso da quello circostante:
Lo sfondo generale di tutta la mia giovinezza era agnostico. I miei genitori erano quasi
un’eccezione, perché, in mezzo a persone tanto intelligenti, credevano in un Dio
personale e nell’immortalità personale. […] V’era una uniformità di miscredenza […]:
non fra le persone eccentriche, ma semplicemente fra le persone istruite.2

Dio è un fantastico scrittore perché scriverà anche su questo


originalissimo materiale una storia unica – addirittura sarà «un dono fatto alla
cattolicità (e all’umanità intera) direttamente da Dio», dirà in una insuperata
conferenza il cardinale Giacomo Biffi, forse il più chestertoniano del
Collegio Cardinalizio. L’humus da cui trarrà potente energia sarà lo sguardo
positivo, innocente e lieto che Gilbert erediterà in primis da padre Edward
(che lo aveva introdotto al senso del bello nell’arte e nella letteratura, e infuso
il gusto perenne del gioco: sì, del gioco e in particolare del teatro delle
marionette, per tutta la vita…). Tutto ciò sembrò esaurirsi alle porte della
giovinezza, quando oscuri pensieri si addensarono in questa mente acuta
come quella di un anziano saggio, ma vivace e innocente come quella di un
bambino (egli stesso dirà di «assurde preoccupazioni psicologiche»); alcune
letture (L’isola del tesoro di Stevenson, le poesie di Walt Whitman, il Libro
di Giobbe), l’essere «sceso nel profondo degli abissi»3 e una sorta di
esperienza mistica di cui egli stesso darà conto in una lettera al suo amico
d’infanzia Edmund Clerihew Bentley («Adesso la visione sta svanendo nel
corso della vita quotidiana, e ne sono felice. È imbarazzante parlare con Dio
faccia a faccia, come si parla con un amico»4) la riporteranno alla vera
Origine di quella Gioia e di quella Speranza ricevuta da bambino. L’alleanza
tra fede e ragione non venne mai meno e produsse uno splendore; dirà
Chesterton di aver «scoperto che la realtà intorno a noi, se la si esamina,
testimonia una… perfezione mistica»5 e di essere «certo che ogni cosa è
come è perché così deve essere». Gratitudine sarà la parola chiave di questa
storia che ha lasciato il segno nella vita di migliaia di persone.
Chesterton parte da qui per affermare, passo dopo passo, in una crescita
quotidiana di consapevolezza e di entusiasmo, di intelligenza e penetrazione
del Mistero, che «anche la sola esistenza, ridotta nei suoi limiti più semplici,
è tanto straordinaria da essere stimolante»6. Tutto questo è la scoperta
dell’ortodossia, che viene descritta con un curioso paradosso, quello di uno
yachtman che si mette in mare dall’Inghilterra e sbarca di lì a poco a Brighton
convinto, dinanzi al Padiglione sul lungomare della cittadina inglese, di
essere sceso in terra pagana e selvatica, pronto a piantarvi la Union Jack.
Chesterton ci dice che ciò che lui riteneva essere la sua nuova religione, in
realtà era la sua antica religione riscoperta, rimessa a fuoco attraverso il gioco
della vita e la magia della gratitudine, riconosciuta nella sua interezza.
La sua scoperta dell’ortodossia (cui dedica l’omonimo capolavoro) lo
portò prima verso la Chiesa Anglicana (anche tramite sua moglie Frances
Blogg e importanti esponenti della Chiesa Alta anglicana quali Conrad Noel,
Percy Dearmer, Stopford Brooke e Charles Gore) e successivamente, all’età
di quarantotto anni, al cattolicesimo. In effetti Chesterton, prima di
convertirsi alla Chiesa di Roma, si accorse di aver lavorato per anni a favore
del cattolicesimo, di aver spinto centinaia di persone al suo interno, ma di
aver varcato la stessa soglia solo dopo circa ventuno anni.
Come rileva padre Ian Boyd, uno dei massimi esperti dell’opera
chestertoniana, egli ha paradossalmente scritto poco in argomento
strettamente religioso, a parte il San Francesco d’Assisi, il San Tommaso
d’Aquino e poco altro; quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre
a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un «discorso ecclesiastico» o
clericale. Può partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto
per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perché per lui fu
così: il Mistero che fa tutte le cose si manifestò nella sua vita attraverso gli
umili ma potenti segni dell’allegria familiare, del gusto del bello scorto nelle
cose di tutti i giorni, come il vento che sconvolse la casa dove si svolge la
vicenda di Uomovivo. Tutto era la conferma che la vita era degna di essere
vissuta, che il mondo era magico e che, se ne aveva scoperto la magia, voleva
dire che c’era un Mago.
Chesterton si scusa dicendo di aver dato «dispiacere a coloro che mi
auguravano ogni bene, e a molte persone sagge e prudenti, per la mia
condotta incauta nel diventare cristiano, cristiano ortodosso, e infine cattolico
nel senso di cattolico romano»7, in un’adesione progressiva al nocciolo del
Credo degli Apostoli, definito come la maggiore sorgente di energia e di
sanità morale. In effetti, per alcuni questo ingresso fu un vero trauma: c’era
chi credeva che fosse già cattolico, chi invece non auspicava questo
passaggio, ritenuto quasi fatale. L’amico-rivale George Bernard Shaw lo
ammonirà in una lettera: «Gilbert, questo è andare troppo lontano…».
Egli dirà nell’opera che vi accingete a leggere, quasi a rispondere ai
critici, che la Chiesa Cattolica «è molto più grande dentro che fuori» (infra, p.
60) e che ha cento porte, cento ingressi, e due persone non vi entreranno mai
con la stessa angolazione.
Il Genio Colossale, come lo definì Shaw, aveva scoperto la Speranza, che
giorno dopo giorno comprese essere Dio, il Dio cristiano, cioè il Dio
Incarnato, e più avanti scoprì che Egli era il Dio della Chiesa Cattolica
Romana, come si dice in Inghilterra (espressione che cela secoli di rancori e
rivendicazioni).
Dirà Chesterton che la Chiesa Cattolica è il luogo in cui tutte le verità si
danno appuntamento, e che «è l’unica a difendere qualsiasi cosa sia
stupidamente disprezzata», e in virtù di ciò l’«unico campione della ragione
nel XX secolo» (infra, p. 19). Ma in fondo tutto ciò sarebbe nulla, se il frutto
della fede non fosse il nostro personale cambiamento, che la Chiesa (e
Chesterton con essa) ci insegna a chiamare «conversione».

* Presidente della Società Chestertoniana Italiana.


1 Gilbert K. Chesterton, Autobiografia, Istituto di Propaganda Libraria, Milano 1970, p. 11.
2 Ivi, pp. 145-146.
3 Da una lettera di Chesterton del 1894 al compagno di scuola e amico di una vita Edmund

Clerihew Bentely, citata in Paolo Gulisano, Chesterton e Belloc. Apologia e profezia,


Ancora, Milano 2002, p. 31.
4 Ivi.
5 Ivi.
6 Chesterton, Autobiografia cit., p. 93.
7 Ivi, p. 80.
LA CHIESA CATTOLICA
Capitolo 1

Introduzione. Una religione nuova

Un tempo la fede cattolica era chiamata la Vecchia Religione, mentre ora


le viene riconosciuto un posto tra le Religioni Nuove. Questo non c’entra
niente con la verità o la falsità dei suoi precetti, ma ha piuttosto a che fare con
la comprensione del mondo moderno.
Sarebbe assai indesiderabile che gli uomini moderni accettassero il
cattolicesimo solo in quanto novità, sebbene lo sia. Il cattolicesimo, infatti,
agisce sul suo ambiente con la forza e la freschezza tipici di una cosa nuova.
Persino i suoi oppositori generalmente lo denunciano per questo: perché è
un’innovazione e non una semplice sopravvivenza. Si parla del partito
«progressista» all’interno della Chiesa d’Inghilterra; si parla
dell’«aggressione» della Chiesa di Roma. Quando si parla di un estremista, le
probabilità che si intenda un ritualista o un socialista sono identiche. Se
prendiamo una normale famiglia di rispettabili protestanti, anglicani o
puritani, sia in Inghilterra sia in America, scopriremo che ai fini pratici il
cattolicesimo in realtà è considerato una religione nuova, cioè una
rivoluzione. Non è una sopravvivenza. Non è in quel senso un’antichità. Non
deve necessariamente qualcosa alla tradizione. Dove la tradizione non può
fare nulla in suo favore, dove tutta la tradizione gli è contro, esso si impone
per i propri meriti: non come tradizione, ma come verità. Il padre di una
famiglia come quella descritta, anglicana o puritana d’America, scopre molto
spesso che i figli stanno rompendo con il suo compromesso più o meno
cristiano (considerato normale nel XIX secolo) e si stanno allontanando in
varie direzioni, inseguendo fedi o tendenze che egli definirebbe una mania
passeggera. Uno dei suoi figli diventerà socialista e appenderà al muro un
ritratto di Lenin; una delle sue figlie diventerà spiritista e giocherà con una
tavoletta per sedute spiritiche; un’altra si convertirà alla Christian Science ed
è probabile che un altro figlio passi dalla parte di Roma. Dal punto di vista
del padre, e in un certo senso anche della famiglia, per il momento tutte
queste cose agiscono alla stregua di religioni nuove, di grandi movimenti, di
entusiasmi che esaltano i giovani e sconcertano o irritano i più vecchi. Il
cattolicesimo, ancor più delle altre, è spesso annoverato tra le passioni
selvagge di gioventù. Zie e zii ottimisti dicono che al giovane «passerà»,
come se fosse un’infatuazione infantile o una deplorabile avventuretta con la
cameriera. Zie e zii più arcigni e severi, in un periodo forse un po’ più
lontano, ne parlavano come se addirittura si trattasse di un vizio scandaloso,
come se la letteratura cattolica fosse una specie di pornografia. Newman1
osserva con assoluta naturalezza, come se all’epoca non ci fosse stato niente
di strano, che uno studente universitario sorpreso con un manuale ascetico o
con un libro di meditazioni monastiche finiva in disgrazia, poiché era stato
trovato in possesso di un «cattivo libro». L’idea era che avesse sguazzato nel
piacere sensuale delle none o che avesse infiammato la sua lascivia
contemplando un numero errato di candele. Forse oggi non si usa più vedere
la conversione come una forma di dissolutezza, ma è ancora diffusa la
convinzione che sia una sorta di rivolta. E in effetti di una rivolta si tratta,
almeno rispetto alle convenzioni in vigore in gran parte del mondo moderno.
Quando manda il figlio al college, il rispettabile commerciante della classe
media o il rispettabile agricoltore del Middle West è un po’ preoccupato che
il ragazzo finisca in mezzo ai ladri, intendendo con questo i comunisti; ma
teme ugualmente che finisca in mezzo ai cattolici.
Non ha invece paura che capiti tra i calvinisti. Non teme che i figli
diventino supralapsariani2, per quanto possa detestare questa dottrina del
XVII secolo. Né lo allarma particolarmente la possibilità che abbraccino
concezioni estreme come quelle solfidiane3, un tempo comuni tra i metodisti
più stravaganti. Difficilmente aspetterà con terrore il telegramma in cui il
figlio lo informa che è diventato quintomonarchiano4 o che si è unito agli
albigesi5. Non passa le notti in bianco chiedendosi se Tom, che studia a
Oxford, sia diventato luterano oppure lollardo6. In tutte queste confessioni,
egli riconosce confusamente delle religioni morte, o in ogni caso vecchie. E
le religioni che teme sono solo quelle nuove: le idee fresche, paradossali e
provocatorie che fanno perdere la testa ai giovani. Eppure, nel novero di
queste pericolose attrazioni giovanili, egli classifica la freschezza e la novità
di Roma.
Ora questo è piuttosto strano, dal momento che Roma non è poi così
nuova. Tra tutte le religioni nuove e fastidiose, è piuttosto vecchia; ma è
anche l’unica religione antica a essere così nuova. Alle sue origini, quando
era veramente nuova, senz’altro un padre dell’antica Roma si sarà spesso
trovato nella stessa posizione del padre anglicano o puritano. Anche lui avrà
magari scoperto che i figli imboccavano strane vie, disertando i penati e il
sacro tempio del Campidoglio. Lui pure sarà venuto a sapere che uno di quei
figli si era unito ai cristiani, entrando nella loro Ecclesia e forse nelle loro
catacombe. Ma avrà anche scoperto che, degli altri suoi figli, uno non
provava alcun interesse per i misteri di Orfeo, un altro era incline a seguire
Mitra, un altro ancora era un neopitagorico diventato vegetariano
sull’esempio degli indù, e così via. Sebbene il padre romano, a differenza di
quello vittoriano, potesse avere il piacere di esercitare la patria potestas
tagliando la testa a tutti gli eretici, non poteva comunque interrompere il
corso di tutte le eresie. Solo che ormai quasi tutte queste correnti si sono
alquanto prosciugate. Al giorno d’oggi raramente è necessario che il genitore
ansioso metta in guardia i figli contro la compagnia indesiderabile del toro di
Mitra, o addirittura che li distolga dalla contemplazione esclusiva di Orfeo; e
anche se non mancano i vegetariani, in genere sono più eruditi in materia di
proteine che di Pitagora. Ma quell’altra stravaganza giovanile è ancora
giovane. Quell’altra religione nuova è ancora una volta nuova. Quell’altra
moda fugace si è rifiutata di fuggire; e quell’antico pezzetto di modernità è
tuttora moderno. Il genitore protestante di oggi e quello pagano di ieri sono
nella stessa situazione. Potremmo dire che è una seccatura, ma è comunque
una novità. Non si tratta semplicemente di ciò a cui il padre è abituato, o a cui
si è abituato il figlio. Quel qualcosa arriva come un che di fresco e
inquietante, come arrivò ai Greci sempre in cerca di novità, o come arrivò ai
pastori che per primi sulle colline udirono l’annuncio della buona novella,
altrimenti detta Vangelo. Non è difficile capire perché i Greci ai tempi di San
Paolo la considerassero una cosa nuova, visto che era davvero una cosa
nuova. Ma come spiegare perché sia ancora tanto nuova oggi, per l’ultimo dei
convertiti, quanto lo era per il primo dei pastori? È come se un centenario
partecipasse ai Giochi Olimpici con i giovani atleti della Grecia, il che
avrebbe sicuramente costituito la base di una leggenda. C’è qualcosa di quasi
altrettanto leggendario nel fatto che una religione vecchia di duemila anni sia
considerata una rivale delle religioni nuove. Ecco cosa va spiegato, senza
minimizzare; poiché niente può trasformare la leggenda in mito. Abbiamo
visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie la grande disputa
moderna tra giovani cattolici e vecchi protestanti; ed è questo il primo passo
da riconoscere in qualsiasi studio sulla conversione moderna.
Non parlerò di numeri e statistiche, anche se magari potrò farvi qualche
accenno più tardi. Innanzitutto bisogna capire che una differenza di sostanza
invalida ogni differenza a livello di dimensioni. Oggi la grande maggioranza
delle comunioni protestanti, siano esse forti o deboli, non si rafforza attirando
nuovi seguaci verso le loro vecchie dottrine. Un giovane potrà farsi
improvvisamente prete o addirittura monaco in seno alla Chiesa Cattolica,
spinto da un entusiasmo personale, spontaneo e addirittura impaziente per la
dottrina della verginità così come appariva a santa Caterina o a santa Chiara.
Ma quanti diventano pastori battisti perché inorridiscono in prima persona
all’idea di un neonato innocente che viene inconsapevolmente a Cristo?
Quanti onesti ministri presbiteriani in Scozia vogliono davvero tornare a John
Knox, come un mistico cattolico potrebbe voler tornare a Giovanni della
Croce? Questi uomini ereditano posizioni che ritengono di poter occupare
con ragionevole coerenza e consenso generale, ma resta sempre il fatto che le
ereditano. Per loro la religione è tradizione. Noi cattolici naturalmente non
deridiamo la tradizione, ma in questo caso diciamo che è veramente
tradizione e nient’altro. Non uno su cento di questi uomini avrebbe mai
abbracciato la sua attuale confessione, se non vi fosse nato. Non uno su mille
avrebbe inventato niente di simile alle formule della sua chiesa, se qualcun
altro non le avesse già fissate per lui. Nessuno di loro ha un motivo reale per
appartenere alla sua particolare chiesa, benché possa avere delle buone
ragioni per rimanere fuori dalla nostra. In altre parole, il vecchio credo della
loro comunione non ha più l’effetto di un’idea fresca e stimolante. Nel
migliore dei casi è un motto o un grido di guerra, e nel peggiore uno slogan.
Ma non si contrappone alle idee contemporanee come un’idea
contemporanea. Quando verrà il loro turno, siamo convinti che anche queste
altre idee contemporanee dimostreranno la propria mortalità trasformandosi a
loro volta in motti, slogan e tradizioni. Magari tra uno o due secoli lo
spiritismo sarà diventato una tradizione, e forse anche il socialismo e la
Christian Science. Ma il cattolicesimo non si sarà mutato in una tradizione.
Sarà ancora scomodo, qualcosa di nuovo e pericoloso.
Qualsiasi studio personale sulla conversione alla fede cattolica si regge su
queste considerazioni generali. La Chiesa ha difeso la tradizione in un’epoca
in cui la tradizione era stupidamente negata e disprezzata. Ma questo si
spiega soltanto perché la Chiesa è l’unica a difendere qualsiasi cosa nel
momento in cui è stupidamente disprezzata. E già ora sta facendo suo il ruolo
di unico campione della ragione nel XX secolo, come nel XIX lo è stata della
tradizione. Sappiamo che un’alta matematica tenta di negare che due più due
fa quattro, e che un alto misticismo si sforza di immaginare qualcosa al di là
del bene e del male. In mezzo a tutte queste filosofie antirazionali, la nostra
rimarrà l’unica razionale. Con questo stesso spirito effettivamente la Chiesa
trasmise il valore della tradizione a un’epoca che la considerava del tutto
inutile. Il disinteresse del XIX secolo per la tradizione e la sua fissazione per i
documenti erano assurdi. Era come dire che gli uomini mentono sempre ai
bambini, ma che non sbagliano mai nello scrivere i libri. Ma benché le nostre
simpatie, essendo umane, vadano alla tradizione, non è questo a imprimerle
un carattere divino. Il marchio della Fede non è la tradizione: è la
conversione. È il miracolo in virtù del quale gli uomini scoprono la verità
nonostante la tradizione, e spesso troncando tutte le radici dell’umanità.
È la natura di questo processo che io intendo affrontare, cosa difficile a
farsi senza introdurre alcuni elementi personali. Il mio è solo un caso molto
banale, ma naturalmente è quello che conosco meglio; e nelle pagine che
seguono sarò costretto a trarne molti esempi. Pertanto, ho ritenuto opportuno
inserire prima questa nota generale sulla natura del movimento nella mia
epoca; per dimostrare fino a che punto sono consapevole che si tratta di un
movimento molto più vasto e anche molto più recente di quanto lasci
intendere la descrizione della mia vita o della mia generazione. Sono
convinto che sarà una questione sempre più importante per la generazione
attuale e per le successive, man mano che scopriranno la vera alternativa
all’orribile realtà del nostro tempo. E forse, quando si alzano in piedi tutti
insieme per cantare La fede dei nostri padri, i cattolici si rendono conto quasi
divertiti che potrebbero benissimo cantare «La fede dei nostri figli». E in
molti casi il ritorno è stato così recente che quasi merita di essere descritto
come una Crociata dei fanciulli.

1 John Henry Newman (1801-1890), cardinale, teologo e apologista cattolico inglese


nonché esponente di spicco del Movimento di Oxford [N.d.T.].
2 Il supralapsarianismo è una dottrina della predestinazione, nata in seno al calvinismo, che

colloca la salvezza e la dannazione prima (supra) della caduta (lapsus).


3 Il solfidianismo è la dottrina della giustificazione attraverso la sola fede (sola fide),

escludendo del tutto il merito e le opere.


4 I quintomonarchiani erano gli esponenti di una setta puritana radicale che si diffuse

durante la guerra civile inglese negli anni ’40 del XVII secolo. Credevano che Cristo
sarebbe tornato per stabilire il suo regno in terra, la «quinta monarchia».
5 L’albigeismo è una forma di dualismo manicheo sorta nella Francia del Sud alla fine del
XII secolo. Nel 1208 papa Innocenzo III promosse una crociata per estirpare questa eresia,
su cui le forze ortodosse prevalsero intorno agli anni ’20 del XIV secolo.
6 Il lollardismo si sviluppò nell’Inghilterra del XIV secolo a partire dagli insegnamenti di

John Wycliffe (ca. 1320-1384), il cui anticlericalismo e le cui critiche contro la ricchezza e
il potere temporale della Chiesa anticiparono le idee che sarebbero emerse pienamente con
la Riforma.
Capitolo 2

Gli errori palesi

Ho detto che nel XX secolo il cattolicesimo resta veramente ciò che era
nel II, vale a dire la Religione Nuova. Anzi, proprio la sua antichità mantiene
un elemento di novità. Ho sempre considerato straordinario e persino
commovente che, nonostante a noi sembri giungere carica di secoli e secoli,
la venerabile invocazione del Tantum Ergo mantenga ancora un linguaggio
innovativo, quello del documento antico che deve piegarsi a un rito nuovo.
Per noi l’inno stesso ha qualcosa del documento antico. Ma il rito è sempre
nuovo.
Ma se un convertito vuole parlare di conversione, dovrà cercare di
ripercorrere i suoi passi all’indietro, uscendo da quel santuario per tornare al
deserto assoluto in cui un tempo credeva davvero che questa eterna
giovinezza fosse solo la «Vecchia Religione». Farlo è difficilissimo e
raramente riesce bene, e per quanto mi riguarda nutro poche speranze di
ottenere un risultato anche solo passabile. «Non so spiegare perché io sia
cattolico; ora che lo sono, non riesco a immaginare d’essere nient’altro»: così
mi espresse questa difficoltà un altro convertito. Tuttavia, è giusto fare uno
sforzo di immaginazione. Non è fanatismo avere la certezza di essere nel
giusto, mentre lo è non arrivare a immaginare come potremmo esserci
sbagliati. È mio dovere cercare di capire che cosa possa mai voler dire H.G.
Wells quando afferma che la Chiesa nel Medioevo non aveva alcun interesse
a educare ma solo a imporre dogmi; è mio dovere ipotizzare (anche se
confusamente) i motivi che hanno del tutto accecato un uomo intelligente
come Arnold Bennett1 riguardo ai fatti più evidenti sulla Spagna; è mio
dovere, se posso, scoprire la concatenazione di pensieri dietro le varie
condanne di George Moore2 contro l’Irlanda cattolica; e, allo stesso modo, è
mio dovere sforzarmi di capire la strana condizione mentale di G.K.
Chesterton quando veramente immaginava che la Chiesa Cattolica fosse una
specie di abbazia in rovine, deserta quasi quanto i resti megalitici di
Stonehenge.
Innanzitutto, nel mio caso va detto che si trattò di scortesie, più che di
calunnie. Molti convertiti assai più importanti hanno dovuto lottare contro
cento diavoli falsi come Giuda, contro una frotta di bugie e di diffamazioni.
Se ho avuto l’illuminazione necessaria per sfuggire alla rete di Maria Monk3,
lo devo all’atmosfera liberale e universalista della mia famiglia, a Stopford
Brooke4 e ai predicatori unitariani che seguivano i miei. Nondimeno, poiché
questo non è che un privilegio privato di cui devo essere riconoscente,
occorre dire qualcosa su quelli che sarei tentato di definire gli abbagli palesi,
se non fosse che uomini migliori di me non sempre ne hanno colto l’ovvietà.
Non credo esercitino molta influenza sulla generazione successiva alla mia.
Per il peggiore dei giovani pagani, la tentazione più forte oggi non è tanto
quella di denunciare i monaci perché violano il loro voto, bensì di
meravigliarsene perché lo mantengono. Ma esiste anche una posizione
intermedia, di cui bisogna comunque tener conto, nella quale un vago
pregiudizio protestante vorrebbe l’una e l’altra cosa. Non manca cioè una
specie di filisteo con la testa piena di segatura, il quale vorrebbe considerare
il frate un mascalzone per la sua lascivia, e allo stesso tempo vorrebbe
ritenerlo uno stolto per la sua castità. In altre parole, sebbene simili calunnie
stiano agonizzando, non sono ancora morte e sepolte; un numero sufficiente
di persone potrebbe essere ancora frenato da ostacoli così rozzi e maldestri, e
dunque in una certa misura occorre spazzarli via. Dopodiché concentreremo i
nostri sforzi su quelli che si possono definire gli ostacoli veri, le vere
difficoltà che incontriamo e che, in realtà, sono generalmente l’esatto
contrario delle difficoltà che ci vengono prospettate. Ma ora cerchiamo di
capire quali siano le prove che tutte queste cose sono nere, prima di passare
alla scomoda realtà che invece sono bianche.
Come spiegherò tra un attimo, la consueta affermazione del protestante,
secondo cui la Chiesa di Roma avrebbe paura della Bibbia, non mi ha mai
terrorizzato più di tanto. Non fu merito mio, ma un caso dovuto alla mia età e
alla mia condizione. Sono infatti cresciuto in un mondo in cui i protestanti,
subito dopo aver dimostrato che Roma non crede nella Bibbia, erano in pieno
subbuglio perché stavano scoprendo che nemmeno loro ci credevano. Alcuni
tentarono persino di unire le due condanne, sostenendo che erano fasi del
progresso. La fase successiva vide un uomo prendere a calci il padre per aver
messo sotto chiave un libro di tale bellezza e valore, libro che il figlio
procedette quindi a strappare in mille pezzi. In fatto di stupidità, ho presto
scoperto, il progresso è peggio del protestantesimo. Ma si dà il caso che la
maggior parte dei liberi pensatori miei amici pensasse con sufficiente libertà
da vedere che l’Alta Critica5 attaccava molto più il culto protestante della
Bibbia, che non l’autorità di Roma. In ogni caso, la mia famiglia e i miei
amici avevano un interesse maggiore per il libro di Darwin che non per il
libro di Daniele; e la maggior parte di loro considerava le Scritture ebraiche
alla stregua di sculture ittite. Tuttavia, anche così, sembra strano che si
venerino delle sculture come divinità e poi le si facciano a pezzi come idoli,
continuando a criticare qualcun altro perché non le ha venerate abbastanza.
Ma ancora una volta trovo difficile capire fino a che punto la mia esperienza
sia rappresentativa, o se non sia meglio approfondire l’argomento di questi
dubbi e pregiudizi, appannaggio esclusivo dei protestanti, più di quanto io
non sia in grado di fare attingendo dal mio vissuto.
La Chiesa è una casa con cento porte, e nessun uomo vi entra mai con la
stessa identica angolazione di un altro. La mia era tanto agnostica quanto
anglicana, anche se per un certo periodo accettai la terra di confine
dell’anglicanesimo (ma solo partendo dal presupposto che potesse davvero
essere anglo-cattolicesimo). Questo implica una distinzione a livello di
intenzione ultima che nella vaga atmosfera inglese spesso non viene colta.
Non è una differenza di grado, ma chiaramente di obiettivo. Tanto i membri
della Chiesa Alta che della Chiesa Bassa mirano soprattutto e in via esclusiva
a salvare la Chiesa d’Inghilterra. Alcuni pensano di riuscirci definendola o
rendendola cattolica, o convincendosi che lo sia; ma ciò che vogliono salvare
è la Chiesa d’Inghilterra. Io, invece, non sono partito con l’idea di salvare la
Chiesa d’Inghilterra, bensì di trovare la Chiesa Cattolica. Se le due fossero
risultate una cosa sola, tanto meglio; ma non avevo mai concepito il
cattolicesimo come una specie di vistoso attributo o di attrattiva da
appiccicare alla mia chiesa nazionale, bensì come l’anima più profonda della
vera chiesa, ovunque si trovasse. Si potrebbe dire che l’anglo-cattolicesimo
fu soltanto la mia conversione incompleta al cattolicesimo. Tuttavia, mi sono
convertito partendo da una posizione inizialmente molto più distaccata e
indefinita: un’atmosfera, se non agnostica, quanto meno panteistica o
unitariana. A questo devo la mia difficoltà estrema nel prendere sul serio
alcune affermazioni protestanti. Un uomo che sia stato nel mondo reale e
oggettivo, come deve interpretare, per esempio, l’eterno grido di chi sostiene
che le tradizioni cattoliche sono condannate dalla Bibbia? Ciò evidenzia un
guazzabuglio di argomentazioni stravolte e di criteri di valutazione
sottosopra, di cui mai in vita mia sono riuscito a vedere il senso. Il comune
uomo di senno, scettico o pagano, si trova per via (nella veste suprema
dell’uomo della strada) e vede passare in processione i sacerdoti di qualche
strano culto, i quali trasportano l’oggetto della loro venerazione sotto un
baldacchino: alcuni indossano alti copricapi e stringono bastoni simbolici,
altri portano rotoli e testi sacri, altri tengono in mano immagini sacre con
candele accese, altri ancora sacre reliquie in cofanetti o casse, e così via.
Posso capire che quello spettatore dica: «Non sono altro che trucchi»; posso
addirittura capirlo se, in un momento di irritazione, interrompe la
processione, butta a terra le immagini, fa a pezzi i rotoli, calpesta i preti e
qualsiasi altra cosa rappresenti quelle idee. Lo capisco se esclama: «I vostri
pastorali sono stupidaggini, così come sono stupidaggini le vostre candele, e
anche le vostre statue e i rotoli e le reliquie e tutto il resto sono stupidaggini».
Ma quale stato d’animo può spingerlo a salvare un particolare rotolo delle
scritture di quelle persone (un rotolo che era sempre appartenuto a loro e che
aveva sempre fatto parte dei loro trucchi, se di trucchi si trattava)? Perché mai
l’uomo della strada dovrebbe dire che un particolare rotolo non è una
stupidaggine, bensì l’unica verità sulla base della quale ogni altra cosa va
condannata? Perché venerare i rotoli non dovrebbe essere altrettanto
superstizioso che venerare le statue di quella particolare processione? Perché
preservare le statue non dovrebbe essere altrettanto ragionevole che
preservare i rotoli, secondo i principi di quel particolare credo? È ragionevole
dire ai preti: «Le vostre statue e i vostri rotoli sono condannati dal nostro
buon senso». Non è ragionevole da alcun punto di vista, ancor meno da
quello dell’uomo della strada, dire: «Le vostre statue sono condannate dai
vostri rotoli, e noi ci uniremo a una parte della vostra processione ma
distruggeremo il resto».
Allo stesso modo, non ho mai potuto prendere sul serio la paura del prete,
come se fosse un pericolo in casa propria: qualcosa di innaturale e sacrilego.
Perché mai un uomo intenzionato a essere malvagio dovrebbe complicarsi la
vita con speciali ed elaborate promesse di essere buono? Talvolta può esserci
una ragione se un prete è dissoluto, ma per quale motivo un dissoluto diventa
prete? Esistono altre occupazioni ben più redditizie, nelle quali una persona
con un talento così brillante per il vizio e per la malvagità potrebbe fare un
uso migliore dei suoi doni. Perché accollarsi dei voti che nessuno può
imporci, se non ci aspettiamo di mantenerli? Chi accetterebbe di farsi povero
se la sua intenzione fosse quella di diventare avaro? o pronuncerebbe un voto
di castità terribilmente difficile da mantenere, solo per avere più guai quando
lo infrange? L’immagine sensazionale dei peccati di Roma mi è sempre
sembrata sciocca, persino da ragazzo o quand’ero un miscredente; e non
posso descrivere come l’ho superata perché non ha mai fatto parte di me.
Ricordo che a Cambridge chiesi ad alcuni amici, provenienti da famiglie
puritane, perché mai avessero così tanta paura dei papisti; perché un prete in
casa fosse un pericolo o un domestico irlandese l’equivalente di una
pestilenza. Domandai perché non potessero semplicemente esprimere il loro
disaccordo con i papisti, come facevano con i teosofi6 o con gli anarchici.
Loro sembrarono compiaciuti e insieme sconcertati dalla mia audacia, come
se mi fossi prefisso di convertire un bandito o di addomesticare un cane
rabbioso. Forse la loro apprensione era davvero più saggia della mia
spavalderia. In ogni caso, allora non avevo la più pallida idea che il bandito
avrebbe convertito me. A mio avviso, il significato inconscio di tutta la
faccenda non può essere che uno: sospettano che la nostra religione sia
talmente sbagliata da risultare dannosa per chiunque al minimo accenno;
oppure che sia così giusta da convertire chiunque con la sua sola presenza.
Ma poiché voglio render loro giustizia, dirò che secondo me molti sospettano
oscuramente sia valida la seconda ipotesi e non la prima.
Appena più plausibile è l’idea che i preti papisti ricerchino il bene
attraverso il male, anziché inseguire il male e basta. Tradotto nel linguaggio
comune vuol dire che, se non sono per forza lascivi, sono comunque furbi.
Cancellare questa idea è solo una questione di esperienza; ma persino quando
di esperienza non ne avevo, avevo trovato alcune obiezioni che la
contestavano anche solo in teoria. Molto spesso la teoria attribuita ai gesuiti
era quasi identica alla pratica di quasi tutti i miei conoscenti. Tutti in società
omettono di dire certe cose, si esprimono in modo ambiguo o semplicemente
mentono, senza per questo avere la sensazione di essere falsi. Ogni
gentiluomo deve dire che sarà lieto di cenare con una persona noiosa; ogni
signora dichiara che il figlio di un’altra è stupendo, anche se lo trova orrendo;
e nessuno di loro ritiene sia un peccato evitare di dire cose spiacevoli. Giusto
o sbagliato che sia, resta comunque il fatto che è un’assurdità mettere alla
gogna una manciata di preti papisti per un crimine commesso ogni giorno da
mezzo milione di laici protestanti. L’unica differenza è che i gesuiti hanno
affrontato la questione, formulando regole e limitazioni per salvaguardare la
massima veridicità; mentre gli allegri protestanti non se ne sono curati affatto,
e invece mentono dalla mattina alla sera con la stessa letizia e innocenza
degli uccelli che cinguettano tra gli alberi. Naturalmente la verità è che il
mondo moderno è pieno di una casistica del tutto illegale perché ai gesuiti è
stato impedito di farne una lecita. Ma resta il fatto che siamo tutti o casisti o
pazzi.
È vero che a molti questa verità fu nascosta per mezzo di asserzioni
inequivocabili, che in linguaggio semplice posso solo definire come le
menzogne dei protestanti sul mentire dei cattolici. Chi le ripeteva non
necessariamente mentiva, poiché si limitava a riproporre ciò che aveva
sentito. Le dichiarazioni, invece, avevano sempre un tenore lucido e preciso:
come quella che il papa ha tre gambe, oppure che Roma si trova al Polo
Nord. Sulla loro sostanza non credo vi siano dubbi. «Ai cattolici romani
viene insegnato che qualunque cosa è lecita purché fatta per il bene della
Chiesa»: ecco un altro esempio di affermazione convinta, che un tempo
riecheggiava ovunque e che ancora oggi capita di udire spesso. Ma non
corrisponde ai fatti, punto e basta. È invece una precisa dichiarazione di
un’istituzione le cui dichiarazioni sono molto precise; e si può dimostrare che
è totalmente falsa. Anche qui, come sempre, i critici non si accorgono di
voler avere ragione in un senso e anche in quello contrario. Lamentano in
continuazione il carattere definitivo del nostro credo, il fatto che ci viene
detto in cosa credere (con l’ingiunzione di non credere in nient’altro), e anche
che la nostra dottrina è tutta scritta in bolle e confessioni di fede. Se è vero, la
cosa assurge a verità legale e letterale, che può essere verificata; e una volta
verificata, risulta essere una bugia. Ma anche stavolta mi salvai molto presto
per aver notato un fatto curioso, e cioè che quanti criticano i preti perché si
affidano a rigide formule, raramente si prendono la briga di scoprire quali
siano queste formule. Mi capitò di leggere i divertenti pamphlet di James
Britten, così come avrei potuto mettere le mani su qualsiasi altra
pubblicazione propagandistica; Britten, però, mi condusse verso quel
delizioso genere letterario da lui battezzato «fiction protestante». In seguito,
trovai per conto mio altri esempi di quelle invenzioni fittizie, tuffandomi nei
romanzi di Joseph Hocking7 e di altri. Me ne occupo qui solo per illustrare un
fatto particolare e curioso in materia di precisione. Non capisco perché questi
romanzieri non si siano mai presi la briga di appurare certi fatti elementari su
quanto denunciavano. I fatti avrebbero potuto facilmente corroborare
l’accusa, laddove le invenzioni la screditavano. All’epoca non mancava una
serie di dottrine cattoliche autentiche che avrei ritenuto vergognose per la
Chiesa, e ancora oggi ve ne sono alcune che si possono manipolare con
facilità in modo da renderle altrettanto disonorevoli. Ma i nemici della Chiesa
non hanno mai trovato queste vere pietre dello scandalo. Nemmeno le hanno
cercate. Non hanno mai cercato un bel niente. Si sono invece limitati a
inventare un pugno di frasi, come quelle che potrebbe pronunciare una donna
vestita sì di porpora e di scarlatto8, ma anche debole di mente; in ogni caso,
oltre non sono andati. Regnava una libertà totale, e non si pensava di doversi
attenere ai fatti. Il prete poteva dire qualsiasi cosa sulla fede perché il
protestante poteva dire qualsiasi cosa sul prete. Quanto al tenore delle
dichiarazioni che infarcivano quei romanzi, eccone una di cui ancora
conservo il ricordo: «Disobbedire a un prete è l’unico peccato per il quale
non esista assoluzione. Lo definiamo un caso riservato». Ovviamente chi
scrive una cosa del genere sta soltanto immaginando come stanno le cose, e
non gli è mai venuto in mente di chiedere se davvero stiano così. Ha sentito
l’espressione «caso riservato» e, in una rêverie poetica, valuta quale
significato le attribuirà. Non si prende il disturbo di chiedere al prete più
vicino che cosa significhi. Non ne cerca la definizione in un’enciclopedia o in
una qualsiasi altra opera di consultazione. La frase indica senz’altro un caso
riservato ai superiori ecclesiastici, e che quindi non spetta al prete risolvere in
via definitiva. Ecco che ha scovato un fatto denunciabile, ma pur sempre un
fatto. In realtà, quell’uomo denuncia la sua stessa fantasia. Qualsiasi manuale
di teologia gli direbbe che non esiste peccato «per il quale non vi sia
assoluzione»: né disubbidire a un prete, né assassinare il papa. Sarebbe facile
appurare fatti simili, e altrettanto usarli come base per un’invettiva
protestante. Non riuscivo a immaginare, persino in quella fase iniziale, perché
gente che muoveva accuse controverse contro un’insigne e potente istituzione
trascurasse di verificare le proprie tesi, procedendo a caso sulla scorta della
propria fantasia. Questo non mi spronò affatto a diventare cattolico, un’idea
che a quei tempi mi sarebbe parsa folle; fu però la mia salvezza,
impedendomi di bere le solide e solenni dichiarazioni su ciò che i gesuiti
facciano o dicano. A differenza di altri, non accettavo del tutto un fatto ben
accertato e generalmente riconosciuto, vale a dire che «i cattolici romani
possono fare qualsiasi cosa per il bene della Chiesa»; e questo perché avevo
già imparato a sorridere di verità altrettanto riconosciute, come quella
secondo cui «disobbedire a un prete è l’unico peccato per il quale non esista
assoluzione». Non mi ero mai sognato che la religione di Roma fosse vera;
ma sapevo che i suoi accusatori, per un motivo o per un altro, erano
curiosamente imprecisi nelle loro denunce.
Adesso mi risulta strano tornare a queste cose, e pensare di averle mai
prese sul serio, per quanto assai poco. Ma nemmeno allora ero molto serio, e
certamente non lo fui a lungo. L’ultima ombra ostinata del gesuita che scivola
dietro le tende o si nasconde negli armadi sparì dalla mia giovane vita più o
meno quando per la prima volta intravidi da lontano il compianto padre
Bernard Vaughan9. A quei tempi era l’unico gesuita tra i miei conoscenti; e
poiché in generale lo si poteva sentire a un chilometro di distanza, sembrava
inadatto alle incombenze di uno che scivola dietro le tende. Mi è sempre
sembrato curioso che questo gesuita suscitasse un gran baccano con il suo
rifiuto di essere gesuitico (nell’accezione tipica del «giornalese»), ovvero
rifiutando di sostituire ai fatti bruti espressioni melate ed evasive che giocano
sull’equivoco. Poiché parlò di «uccidere i tedeschi» quando occorreva
ucciderli, riuscì a scandalizzare la nostra moralità pudica e ambigua. E non
uno di quei protestanti sempre in vena di protestare si fermò un attimo a
riflettere che lui per primo tradiva tutta l’insincerità evasiva di cui accusava i
gesuiti, e che il gesuita dimostrava tutto lo schietto candore rivendicato dai
protestanti.
Potrei fare molti altri esempi sulla Bibbia nascosta, sul prete dissoluto o
sull’infido gesuita. Potrei scorrere meticolosamente la lista di tutte queste
accuse contro Roma, ormai fuori moda, e dimostrare quale influenza ebbero
su di me, o piuttosto perché non ne esercitarono alcuna. Ma il mio unico
obiettivo qui è evidenziare, come premessa, che non mi condizionarono
affatto. Ho dovuto affrontare tutte le difficoltà in cui si sarebbe imbattuto un
pagano nel farsi cattolico nel IV secolo, ma ben pochi degli impedimenti che
incontrò un protestante tra il XVII e il XVIII secolo. E questo lo devo a
uomini di cui onorerò sempre la memoria: mio padre e la sua cerchia di
amici, la tradizione letteraria di uomini come George MacDonald10 e gli
universalisti dell’età vittoriana. Se sono nato dalla parte sbagliata del vallo
romano, almeno non mi è toccata la stessa sorte in relazione alla querelle
antipapista; e se non ho ereditato una fede pienamente civile, non ho
nemmeno ereditato un odio barbaro. Le persone tra cui nacqui desideravano
essere giuste con i cattolici, anche se non sempre li capivano; e sarei
terribilmente ingrato se non dicessi (come fece un convertito ben più
apprezzabile) che devo a loro la fortuna di poter dire che sono nato libero.
Per meglio illustrare questo punto, aggiungerò un altro esempio che ci
porterà a questioni più importanti. Dopo molto tempo – potrei quasi dire dopo
una vita intera – ho finalmente iniziato a capire cosa intende il degno liberale
o il probo socialista di Balham o di Battersea quando si definisce un
internazionalista, e sostiene che l’umanità andrebbe preferita alla grettezza
delle nazioni. Dopo aver discusso con uno di loro per diverse ore, ebbi
un’illuminazione improvvisa: di sicuro era stato allevato nella convinzione
che i devoti inglesi fossero la razza eletta. Con ogni probabilità, agli occhi del
padre o dello zio erano davvero gli eredi delle dieci tribù perdute. A ogni
modo, qualsiasi cosa – dal giornale quotidiano al sermone settimanale di
questi signori – sottintendeva che fossero il sale della terra, e soprattutto il
sale del mare. I suoi non avevano mai pensato a prescindere dalla propria
nazionalità britannica. Vivevano in un impero dove il sole non tramontava
mai, o magari non era mai sorto. La loro chiesa era enfaticamente la Chiesa
d’Inghilterra – anche se si trattava di una cappella dissenziente. La loro
religione era la Bibbia, che ovunque si accompagnava alla bandiera del
Regno Unito. E quando me ne resi conto, compresi tutta la storia. Ecco
perché erano così esaltati da una teoria incredibilmente noiosa come quella
internazionalista. Ecco perché la fratellanza delle nazioni, che per me era un
vero truismo, per loro andava annunciata a suon di tromba. Ecco perché dire
che dobbiamo amare gli stranieri sembrava un paradosso così elettrizzante:
perché conteneva in sé il paradosso divino che bisogna amare i nemici. Ecco
perché l’internazionalista era sempre impegnato a programmare delegazioni e
visite nelle capitali straniere, e discussioni a cuore aperto e aiuti oltremare.
Era per la meraviglia di aver scoperto che gli stranieri hanno due mani, per
non parlare di un cuore. In quell’eccitazione c’era una specie di grido
soffocato: «Guardate! Anche i francesi hanno due gambe! Visto! I tedeschi
hanno il naso proprio dove ce l’abbiamo noi!». Ora un cattolico, soprattutto
se proviene da una famiglia cattolica, non potrà mai capire un simile
atteggiamento perché da sempre tutta la sua religione è radicata nell’unità
della razza di Adamo, la sola e unica razza eletta. Egli è fedele al proprio
paese, anzi è di solito molto patriottico poiché questi affetti locali sono insiti
nella sua vita religiosa, fatta anche di santuari e di reliquie. Ma proprio come
la reliquia viene dopo la religione, così la fedeltà locale viene dopo la
fratellanza universale di tutti gli uomini. Il cattolico dice: «Certo che
dobbiamo amare tutti gli uomini, ma che cosa amano tutti gli uomini? Amano
la loro terra, i legittimi confini del loro paese, il ricordo dei loro padri. Essere
nazionalisti è normale, è questa la sua giustificazione». Il patriota protestante,
invece, ha pensato sempre e solo al proprio di patriottismo. In questo senso il
protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro. Parte da lì e
non va mai oltre. Noi, al contrario, cominciamo con l’umanità e andiamo
oltre, fino a includere i diversi affetti e le tradizioni che le appartengono. Non
c’è mai stato bagliore più illuminante di quello che rischiarò l’ora estrema di
una donna annoverata tra gli esponenti più illustri del protestantesimo
inglese, una figura delle più protestanti e delle più inglesi. Poiché questo è il
significato della frase pronunciata da sorella Cavell11, la martire più nobile
della nostra moderna religione della nazionalità, quando il raggio del bianco
sole della morte brillò fin dentro la profondità della sua mente ed ella gridò,
quasi avesse avuto una rivelazione: «Ora vedo che il patriottismo non basta».
E proprio questo avevano in comune i cattolici, in mezzo ai quali sono
venuto, e i liberali, tra cui sono nato: che né gli uni né gli altri avrebbero mai
pensato, nemmeno per un istante, che il patriottismo fosse sufficiente. Ma
l’idealismo insulare di cui si era nutrita quella nobile donna, senza volerlo le
aveva insegnato sin dall’infanzia che il patriottismo bastava. Spesso la storia
ha dipinto la donna inglese come un’eroina, ma di solito perché affronta e
sconfigge stranieri e selvaggi, e non perché li consideri fratelli e pari. Le
ultime parole di Edith Cavell al momento del suo martirio in Belgio hanno
più volte fatto capolino sulla bocca di semplici cosmopoliti; ma i cosmopoliti
sono gli ultimi a comprenderle realmente. In generale costoro non cercano di
dimostrare che il patriottismo basti, bensì che sia decisamente troppo. Io,
invece, voglio sottolineare che centinaia di persone tra le più eroiche e nobili
dei paesi protestanti partono realmente dal presupposto che basti essere
patrioti. Il più sconsiderato e cinico dei cattolici sa che non è così; e
altrettanto può dirsi dell’universalista più vago e visionario. Di tutte le
difficoltà protestanti, che qui trovo difficile immaginare, questa è forse la più
comune e per molti aspetti lodevole: il fatto che un normale suddito
britannico inizi con l’essere così britannico. A me non capitò, ma fu un caso.
La tradizione da me assorbita in gioventù – le semplici, le fin troppo semplici
verità ereditate da Priestly12 e Martineau13 – conteneva in sé qualcosa della
superba generalizzazione sugli uomini in quanto tali che, nella prima di
queste grandi figure, si contrappose all’eccezionale sciovinismo delle guerre
francesi14 e sfidò addirittura la leggenda di Trafalgar. A quella tradizione
devo il fatto, sia esso un vantaggio o meno, di non poter analizzare
degnamente le virtù eroiche di un fratello di Plymouth15, per il quale
Plymouth sia l’unico centro di riferimento. Poiché quel razionalismo, per
quanto imperfetto, iniziò tanto tempo fa nella medesima civiltà centrale in cui
la stessa Chiesa vide la luce; se è finito nella Chiesa, iniziò molto prima nella
Repubblica: in un mondo dove tutte queste bandiere e frontiere erano
sconosciute; dove tutte queste istituzioni statali e sette nazionali erano
impensabili; un vasto mondo cosmopolita che non aveva mai udito il nome
Inghilterra, né concepito l’immagine di un regno distinto e belligerante; nella
vasta pace pagana matrice di tutti questi misteri, che aveva dimenticato le
città libere e non si era sognata le piccole nazioni; che conosceva soltanto
l’umanità, l’humanum genus, e il nome di Roma.
La Chiesa Cattolica ama le nazioni come ama gli uomini, poiché sono
tutti suoi figli. Ma sono certamente figli suoi, nel senso che sono venuti dopo
di lei nel tempo e nella genesi. Questo, si dà il caso, è un ottimo esempio di
falso ragionamento che spesso confonde il dibattito sul convertito. Gli stessi
che lo definiscono un depravato, e soprattutto un traditore del patriottismo,
molto spesso usano l’altra parola intendendo che è costretto a credere questo
o quello. Ma il punto non è davvero che cosa un uomo sia costretto a credere,
bensì che cosa debba credere; che cosa non può fare a meno di credere. Egli
non può dubitare dell’elefante dopo averne visto uno; e non può trattare come
un bambino la Chiesa dopo aver scoperto di esserne il figlio. La Chiesa non è
solo madre sua ma anche madre del suo paese, essendo molto più vecchia e
più indigena di questo. È madre non per un’emozione sentimentale, ma per
un fatto storico. L’uomo non può pensare una cosa quando sa essere vero il
contrario. Non può pensare che il cristianesimo sia stato inventato da Penda
di Mercia16, il quale avrebbe inviato dei missionari al pagano Agostino e al
rozzo e barbaro Gregorio17. Non può pensare che la Chiesa sia nata
nell’Impero britannico anziché nell’Impero Romano. Non può pensare che
l’Inghilterra esistesse, bella e pronta con tanto di cricket e caccia alla volpe e
traduzione giacobiana della Bibbia18, quando fu fondata Roma o quando
nacque Cristo. Non serve dire che è «libero» di credere queste cose. Egli è
libero di crederle tanto quanto è libero di credere che un cavallo abbia le
piume o che il sole sia verde pisello. Ma una volta che le avrà realizzate
appieno, non potrà più crederci; e tra queste cose rientra anche l’idea che i
diritti di una nazione sul buon patriota siano per loro natura più assoluti,
antichi e autorevoli di quelli esercitati dall’intera cultura religiosa che
inizialmente tracciò i confini del suo paese e unse i suoi re. Questa cultura
religiosa lo spinge a combattere per il suo paese e per la sua famiglia, anche a
costo della vita. Ma ciò avviene perché essa è generosa e immaginativa e
umana, e sa che gli uomini devono avere legami intimi e individuali. Ma
quelle fedeltà sono secondarie, in ordine di tempo e a livello logico, rispetto
alla legge di moralità universale che le giustifica. E se il patriota è così
sciocco da forzare la mano alla tradizione universale da cui discende il suo
stesso patriottismo, se esige di avere la priorità sulla legge primitiva di tutta la
terra – allora se la sarà cercata se ottiene come risposta la franchezza
polverizzante del Libro di Giobbe. Come Dio disse all’uomo: «Dov’eri tu
quand’io ponevo le fondamenta della terra?»19, così noi possiamo ben dire
alla nazione: «Dov’eri tu quando furono poste le fondamenta della Chiesa?».
E la nazione non saprà proprio cosa rispondere – ammesso che voglia farlo –
ma sarà costretta a mettersi la mano sulla bocca, anche solo come uno che
sbadigli sul punto di addormentarsi.
Ho preso in considerazione questo particolare caso di patriottismo perché
almeno riguarda un’emozione in cui credo profondamente e si dà il caso
provi intensamente. Ho sempre fatto del mio meglio per difenderla, anche se
a volte ho suscitato diffidenza simpatizzando per il patriottismo di altri popoli
oltre che per il mio. Ma non vedo come possa essere difeso se non in quanto
parte di una più grande moralità; e oggi la moralità cattolica, guarda caso, è
una delle pochissime grandi moralità disposte a difenderlo. Ma la Chiesa lo
sostiene in quanto lo considera un dovere dell’uomo e non il suo unico
dovere, come avveniva invece nella teoria prussiana dello stato e, troppo
spesso, in quella britannica dell’impero. E per questo il cattolico, proprio
come un tempo l’universalista, si basa su un fatto reale: l’esistenza di una
unità umana anteriore a tutte queste sane e naturali divisioni umane. Ma è
assurdo trattare la Chiesa come una novella cospirazione contro lo stato,
quando solo poco tempo fa lo stato emergeva come un novello esperimento
all’interno della Chiesa. È assurdo dimenticare che proprio la Chiesa si è
vista tributare per prima la fedeltà di uomini che non avevano ancora
nemmeno concepito di fondare uno stato separato e nazionale; è assurdo
dimenticare che davvero la fede non fu solo la fede dei nostri padri ma anche
dei nostri antenati addirittura prima che dessero un nome alla patria.

1 Arnold Bennett (1867-1931), romanziere, giornalista e drammaturgo inglese.


2 George Moore (1852-1933), romanziere irlandese, contribuì alla fioritura della letteratura
irlandese all’inizio del XX secolo.
3 Nel 1836 Maria Monk pubblicò un resoconto salace sulla sua presunta fuga da un

convento di Montreal. Awful Disclosures of Maria Monk si rivelò presto una montatura, ma
gli anticattolici continuarono a servirsene come arma.
4 Stopford Brooke (1832-1916), importante predicatore anglicano in Irlanda, nel 1880
ripudiò la sua chiesa non potendo più accettarne gli insegnamenti.
5 L’alta critica è un ramo degli studi biblici finalizzato a ricostruire gli aspetti storico-

letterari della Bibbia, come le sue fonti, gli autori, il quadro religioso, sociale e culturale in
cui i suoi libri hanno visto la luce, nonché i possibili interventi di glossatori e traduttori. Si
contrappone alla bassa critica (o critica testuale), che invece mira a una ricostruzione
filologica del testo biblico [N.d.T.].
6 Fondata da Helena Petrovna Blavatskij a New York nel 1875, la teosofia è un movimento

religioso sincretico che combinava elementi del cristianesimo e di varie religioni asiatiche.
7 Joseph Hocking (1860-1937), romanziere e predicatore inglese della chiesa libera

metodista unita.
8 Rimando a Ap 17,4 [N.d.T.].
9 Padre Bernard Vaughan (1847-1922), gesuita inglese, famoso per la sua predicazione e il

suo lavoro tra i poveri di Manchester e di Londra.


10 George Macdonald (1824-1905), poeta e romanziere scozzese.
11 Edith Cavell (1865-1915) era un’infermiera inglese giustiziata come spia dai tedeschi

durante la prima guerra mondiale.


12 Joseph Priestley (1733-1804), scienziato inglese di idee politiche radicali, nonché figura

chiave nello sviluppo dell’unitarianismo. Chesterton sbaglia a trascriverne il nome.


13 James Martineau (1805-1900), filosofo e ministro unitariano inglese.
14 Si tratta dei conflitti tra Inghilterra e Francia iniziati nel 1793 e sfociati nelle guerre

napoleoniche, con il coinvolgimento di altre potenze europee. Le ostilità cessarono con la


sconfitta di Napoleone nel 1815.
15 I fratelli di Plymouth sono una setta millenarista sorta a Plymouth, in Inghilterra, negli

anni ’30 del XIX secolo.


16 Penda di Mercia, re anglo-sassone pagano del VII secolo.
17 Nel 596 papa Gregorio I mandò Agostino e quaranta monaci a predicare il vangelo in

Inghilterra. Agostino divenne il primo arcivescovo di Canterbury e morì nel 604.


18 Si tratta della King James Version, la traduzione della Bibbia voluta da re Giacomo e

conclusa nel 1611.


19 Gb 38,4.
Capitolo 3

I veri ostacoli

Nell’ultimo capitolo ho affrontato in via preliminare le argomentazioni


che i protestanti di solito sfoderano nelle controversie. Ho parlato delle
obiezioni che ho sospettato molto presto fossero pregiudizi e che ora so
essere tali. In ultimo, mi sono dilungato su quello che, a mio avviso, è il più
nobile di tutti i preconcetti del protestantesimo, e cioè quello fondato sul
patriottismo. Non penso che il patriottismo sia per forza un pregiudizio;
tuttavia, sono abbastanza sicuro che non possa essere nient’altro se non
risponde a una moralità comune. E un patriottismo che non consenta agli altri
di essere patrioti, non è morale, bensì immorale. Ma persino un pregiudizio
così tribale suscita maggior rispetto delle calunnie trite e confuse che sono
costretto a riportare come politica ufficiale di opposizione alla Chiesa.
Sembra che questi aneddoti frusti contino molto per chi ha deciso di rimanere
lontano dalla Chiesa, mentre non credo abbiano mai avuto nessuna
importanza per chi ha già iniziato il suo percorso di avvicinamento. Quando
un uomo arriva a vedere realmente la Chiesa, anche se ciò che vede non gli
piace, non sarà comunque quello che si era aspettato di detestare. Anche se
vuole cancellarla, non può più calunniarla; potrà trovarla odiosa all’istante,
ma ciò che ha davanti agli occhi non è quello che aveva previsto; forse
sperimenterà una nuova rabbia, ma perderà i suoi vecchi pregiudizi. Ecco che
cade la sacra armatura della sua invincibile ignoranza: da quel momento in
poi non potrà più essere così stupido. Se ha una mente pronta, potrà
senz’altro impartire un certo ordine alle sue nuove ragioni e addirittura
tentare di collegarle alla sua tradizione perduta. Ma la cosa che odia è lì,
esiste; il capitolo precedente, invece, era interamente dedicato allo studio di
cose inesistenti.
Le ragioni reali sono quasi il contrario delle ragioni riconosciute, le
difficoltà vere quasi l’opposto di quelle riconosciute. Naturalmente questo si
ricollega a un fatto generale, ora così cospicuo e ovvio ma non ancora
compreso con chiarezza né confessato. La tesi protestante contro il
cattolicesimo ha subito un netto dietrofront, e ora guarda nella direzione
inversa. Non solo il mondo moderno ha prosciolto la Chiesa da quasi tutte le
accuse della Riforma, ma di fatto le ha rinfacciato il reato opposto. È come se
i riformatori avessero attaccato il papa per la sua avarizia, e poi il tribunale lo
avesse non solo assolto ma addirittura censurato per la sua prodigalità nel
distribuire soldi alla folla. Il principio del protestantesimo moderno sembra
essere che, purché continuiamo a gridare «Al diavolo il papa», ci sia spazio
per le più grosse differenze d’opinione sul fatto che meriti l’inferno degli
avari o quello dei prodighi. Ecco cosa si intende affermando che il
cristianesimo ha una base ampia, in grado di accogliere opinioni diverse.
Quando il riformatore dichiara che i principi della Riforma permettono la
libertà di esprimere punti di vista diversi, intende che all’universalista e al
calvinista danno rispettivamente la libertà di inveire contro Roma e perché
aderisce troppo al concetto della predestinazione e perché vi aderisce troppo
poco. Intende che in quella famiglia felice c’è posto per l’antipapista che
ritiene il purgatorio troppo tenero e anche per l’antipapista che invece ritiene
l’inferno troppo duro. Vuol dire che la stessa definizione può comprendere il
tolstojano che critica i preti perché consentono il patriottismo, e anche il
conservatore irriducibile che li critica perché rappresentano
l’internazionalismo. Dopo tutto, l’obiettivo essenziale del vero cristianesimo
è che i preti vengano criticati; e chi siamo noi per imporre angusti limiti
dogmatici alle modalità in cui temperamenti diversi possono voler esprimere
la loro disapprovazione? Perché dovremmo permettere a una fredda difficoltà
logica, ossia a ciò che in gergo tecnico si definisce una contraddizione in
termini, di frapporsi tra noi e la sempre più ampia e calorosa confraternita di
quanti provano un’avversione sincera e spontanea per i loro vicini? La
religione è un fatto di cuore, non di testa; e finché i nostri cuori saranno pieni
di odio per tutto ciò che amavano i nostri padri, potremo andare avanti in
eterno a contraddirci su cosa ci sia da odiare.
In questo si riassume la sostanza dell’attacco moderno più generoso e
liberale contro la Chiesa. Non è molto coerente con il vecchio attacco
dottrinale; tuttavia, non intende perdere i vantaggi dell’offensiva, di
qualunque tipo essa sia. Analogamente scopriremo che le difficoltà autentiche
di un convertito moderno sono quasi l’esatto contrario di quelle prospettate
dai protestanti in tempi più remoti. I pamphlet protestanti non colgono affatto
le reali esitazioni del convertito; e quanto agli opuscoli cattolici, spesso
tradiscono un’eccessiva preoccupazione di contestare le accuse del
protestantesimo. In realtà, possiamo dire che i preti e i propagandisti cattolici
siano rimasti indietro coi tempi solo perché si ostinano a sprecare energie nel
tentativo di eliminare un’eresia che si è suicidata molto tempo fa. Ma persino
questo errore, adeguatamente compreso, è attribuibile a un eccesso di
cavalleria. Il predicatore, e finanche il persecutore, davvero prende l’eresia
più sul serio di quanto in definitiva l’eresia stessa non meriti; l’inquisitore ha
più rispetto per l’eresia di quanto non ne abbiano gli eretici. Nondimeno, è
vero che i motivi di sospetto o di timore che in effetti assalgono il convertito,
e talvolta lo paralizzano proprio in punto di conversione, non hanno proprio
niente a che fare con questa vecchia messe di calunnie grossolane e falsi
ragionamenti, e anzi sono spesso il loro esatto contrario.
Per dirla in breve, il convertito non ha più paura dei vizi del
cattolicesimo, ma è terrorizzato dalle sue virtù. Per esempio, spinto da una
viva e legittima preoccupazione per la veridicità della confessione, ha del
tutto dimenticato le vecchie assurdità sulle ingegnose bugie fabbricate in
confessionale. Non rifugge l’insincerità, bensì la sincerità della confessione; e
in questo non è necessariamente ipocrita. La vera pietra d’inciampo è il
realismo, davanti al quale non è affatto innaturale ritrarsi; d’altra parte, se la
maggior parte dei realisti moderni riesce ad apprezzarlo, è solo perché bada a
essere realistica in relazione agli altri. Il convertito è abbastanza vicino al
sacramento della penitenza da averne scoperto il realismo, ma non ancora a
sufficienza per vederne la ragionevolezza e il buon senso. Molti di coloro che
hanno vissuto questa esperienza hanno il diritto di dire, come il vecchio
soldato al compagno inesperto: «Sì, ho avuto paura; e se tu avessi anche solo
la metà della paura che ho avuto io, scapperesti a gambe levate». Forse è un
bene che la gente attraversi questa fase prima di scoprire quanto poco ci sia
da temere. In ogni caso, non mi dilungherò oltre sull’argomento, poiché
sospetto che l’assoluzione, come la morte e il matrimonio, sia qualcosa che
bisogna scoprire da sé. Basterà dire che è forse l’esempio supremo del fatto
che la fede è un paradosso più grande se contemplata dall’interno piuttosto
che dall’esterno. Se questo vale per la chiesa più piccola, a maggior ragione
sarà valido per l’ancor più minuscolo confessionale, che è come una chiesa
dentro la chiesa. È quasi un bene che fuori nessuno sappia quale gigantesca
generosità, e persino cordialità, possa racchiudersi in quella specie di scatola,
come il leggendario scrigno che conteneva il cuore del gigante. È un motivo
di soddisfazione, ma anche una specie di scherzo, che solo in un angolo
oscuro e in uno spazio angusto chiunque possa scoprire quei vertici di
magnanimità.
Lo stesso emerge esaminando tutti gli altri attacchi, soprattutto quelli
vecchi. Chi ha percorso la strada sin qui, da tempo si è lasciato alle spalle
l’idea che il prete lo costringerà a rinunciare alla sua volontà. Ma non è
irragionevole il suo sgomento al pensiero di quanto forse dovrà farne uso. Il
suo timore non è di diventare per sempre irresponsabile, una volta presa
questa droga; al contrario, ha paura perché sarà responsabile. Avrà qualcuno
davanti al quale sarà responsabile e saprà in che cosa consiste questa sua
responsabilità: due scomode condizioni a cui oggigiorno i suoi simili più
fortunati si sono completamente sottratti. Senza dubbio esistono molti altri
esempi dello stesso principio, e cioè che in effetti vi sia un intervallo di
dubbio acuto, più paura che dubbio in senso stretto, poiché almeno in alcuni
casi (come evidenzierò altrove) il dubbio viene meno dove aumenta la paura.
Ma in ogni modo, i dubbi non appartengono quasi mai alla tipologia
suggerita dalla solita propaganda anticattolica; ed è certamente ora che simili
propagandisti si informino meglio sul problema reale. Il cattolico non è quasi
mai spaventato dall’immagine che i protestanti gli offrono del cattolicesimo,
mentre a volte teme l’immagine cattolica del cattolicesimo; il che può essere
un buon motivo per non sottolineare in maniera eccessiva gli aspetti difficili
o sconcertanti della dottrina. Per il bene del convertito, bisogna anche
ricordare che una parola sciocca pronunciata all’interno della Chiesa fa più
danni di migliaia di parole sciocche dette al suo esterno. Egli ha già imparato
ad aspettarsi quest’ultima eventualità, come una grandinata o una pioggia
impenetrabile che batte contro l’Arca; ma le voci dall’interno, anche quelle
più serene e casuali, è portato a considerarle sacre o sovrumane; e sebbene sia
ingiusto nei confronti di gente che professa di essere solo umana, resta il fatto
che i cattolici dovrebbero ricordarsene. Molti convertiti raggiungono il punto
in cui nessuna parola di un protestante o di un pagano può più frenarli. Solo
la parola di un cattolico può tenerli lontani dal cattolicesimo.
In base alla mia esperienza, è falso dire che i gesuiti, o altri sacerdoti della
Chiesa di Roma, tormentino e infastidiscano la gente per fare proseliti.
Ignorare che, in quei lunghi giorni incerti e bui prima della conversione, è
l’uomo a tormentare se stesso, significa non avere idea di come si svolga
realmente la faccenda. Forse l’apparente ozio del prete assomiglia un po’
all’immobilità statuaria del pescatore; d’altra parte, un simile atteggiamento
non è innaturale nelle funzioni di un pescatore di uomini. Mentre è assai di
rado impaziente o precipitoso, e la persona su cui agisce è abbastanza sola da
capire che a minacciare la sua libertà non è qualcosa di meramente esterno. I
laici sono probabilmente meno saggi, dal momento che in quasi tutte le
comunità il laico ecclesiastico è più ecclesiastico di quanto gli sia salutare, e
certo molto più degli ecclesiastici. La mia esperienza mi insegna che il
dilettante è in genere molto più arrabbiato del professionista; e se esprime la
sua irritazione per la lentezza di un processo di conversione, o per le
incongruenze delle fasi intermedie, può fare molti danni, proprio quel genere
di danni che meno vorrebbe arrecare. Per quanto mi riguarda, ho sempre
subito una leggera battuta d’arresto tutte le volte che un irresponsabile è
intervenuto per spronarmi. Vale la pena testimoniare queste esperienze, in
quanto possono guidare il convertito quando a sua volta inizierà a dedicarsi
alla conversione altrui. I nostri nemici non sanno più davvero come attaccare
la fede; ma non è questo un buon motivo perché noi ignoriamo come
difenderla.
Eppure persino quest’unico ammonimento insignificante o marginale
ricorda quanto già notato, ovvero che le preoccupazioni del cattolico, di
qualsiasi tipo esse siano, sono l’esatto contrario degli avvertimenti del
protestante. Ho qui osservato, unicamente in virtù della mia esperienza
personale, che in generale non è il prete ma molto più spesso il laico che in
maniera un po’ troppo ostentata percorre il mare e la terra per fare un solo
proselito1. Le voci spaventose e inquietanti sugli orrori derivanti dalla
presenza del prete in casa, come se fosse una specie di vampiro o un mostro
per sua natura diverso dall’uomo, svaniscono al minimo contatto con un laico
militante. Il prete fa il suo lavoro, ma è molto più spesso il suo
correligionario laico che ha la propensione a parlarne e a spiegare in che cosa
consista. Non sono contrario ai laici che fanno proselitismo; e questo perché
non sono mai riuscito a capire, nemmeno quando in sostanza ero pagano, il
motivo per cui un uomo non dovrebbe propugnare le sue opinioni, se vuole
farlo, e tanto un’opinione quanto qualsiasi altra. Difficilmente mi lamenterò
dell’energia evangelizzatrice di Hilaire Belloc o di Eric Gill2, se non altro
perché le sono debitore delle conversazioni più intelligenti avute nella mia
giovinezza. Ma è questo genere di uomo a fare proselitismo in quel modo; e
la caricatura convenzionale sbaglia ancora raffigurandolo sempre in abito
talare. Il cattolicesimo non si diffonde con trucchi particolari o intonazioni
professionali, segni o cerimonie segrete. A divulgarlo sono i cattolici, ma
certo non solo i preti, almeno nella vita privata. Ho scelto questo tra centinaia
di esempi possibili perché dimostra per l’ennesima volta che il tradizionale
terrore del papismo era quasi sempre sbagliato, anche quando forse avrebbe
potuto essere giusto. Se vuole, un uomo può dire che il cattolicesimo è il
nemico, e dal suo punto di vista magari questa è una profonda verità
spirituale. Ma se dice che il nemico è il clericalismo, non fa che ripetere un
vecchio slogan.
Secondo la mia esperienza, il convertito di solito attraversa tre fasi o stati
d’animo. Nella prima fase immagina di essere completamente distaccato, o
addirittura del tutto indifferente, ma nel vecchio senso del termine, come
quando il Prayer Book3 parla di giudici che saranno fedeli e indifferenti
nell’amministrare la giustizia. Qualche moderno irrispettoso forse lo
interpreterà nel senso che i nostri giudici amministrano la giustizia con
assoluta indifferenza. Ma il significato più antico era legittimo e addirittura
logico, ed è quello che va applicato qui. La prima fase è quella del giovane
filosofo che sente di dover adottare un atteggiamento imparziale nei confronti
della Chiesa di Roma. Desidera renderle giustizia, in primo luogo perché
riconosce che è vittima di un’ingiustizia. Quando iniziai a lavorare per il
«Daily News», il grande periodico liberale dei nonconformisti, ricordo che
mi presi la briga di elencare quindici falsità che, sulla base delle mie
conoscenze personali, avevo riscontrato in una condanna espressa da Horton
e Hocking contro Roma. Notai per esempio che era una sciocchezza sostenere
che i covenanter4 combattevano per la libertà di culto quando il loro patto
denunciava la tolleranza religiosa; era falso dire che la Chiesa pretende solo
l’ortodossia senza curarsi della moralità poiché, se questo è vero per
qualcuno, lo è di certo per i sostenitori della salvezza attraverso la fede e non
attraverso le opere; era assurdo attribuire ai cattolici l’orribile sofisma per cui
a volte è concesso mentire, dal momento che qualsiasi persona sana di mente
direbbe il falso per salvare un bambino da una tortura cinese; e che si era
andati completamente fuori strada, a tale proposito, citando la frase di Ward5:
«Decidete una volta per tutte che la menzogna è giustificata e mentite a più
non posso», poiché Ward si era espresso contro l’ambiguità o ciò che la gente
chiama gesuitismo. Ecco cosa intendeva in realtà: «Se davvero il bambino è
nascosto nell’armadio e gli aguzzini cinesi lo inseguono con tenaglie
arroventate, allora (e solo allora) avrete la certezza di essere nel giusto a
ingannare e non esiterete a mentire; ma non abbassatevi a giocare
sull’ambiguità. Non prendetevi la briga di dire: “Il bambino è in una casa di
legno non lontano da qui”, intendendo con questo l’armadio; dite piuttosto
che il bambino si trova a Chiswick o sul Chimborazo o dove vi pare». Su
tutte queste argomentazioni presi appunti elaborati, solo per il piacere logico
di sbrogliare un’ingiustizia intellettuale. Avevo intenzione di farmi cattolico
tanto quanto di diventare cannibale. Nella mia immaginazione stavo solo
facendo presente che anche ai cannibali bisogna rendere giustizia. Supponevo
di rilevare certe falsità in parte per puro divertimento, in parte per un senso di
attaccamento alla verità dei fatti. Ma in realtà, riguardando questi appunti
(che non ho mai pubblicato), oggi mi sembra di essermi scomodato
eccessivamente sulla questione se davvero la consideravo un’inezia; e certo
quella di scomodarmi non è mai stata una mia vocazione. Ho l’impressione
che a livello inconscio fosse già scattato qualcosa, per cui mi interessavano
più i sofismi su questo particolare argomento che quelli sul libero scambio o
sul suffragio femminile o sulla Camera dei Lord. Comunque, il primo passo è
questo, nel mio caso e penso in molti altri: la fase in cui si desidera soltanto
proteggere i papisti dalla calunnia e dalla persecuzione, non (almeno
consapevolmente) perché siano detentori di una particolare verità, ma perché
sono vittime di un numero spropositato di falsità. La seconda fase è quella in
cui, dopo la menzogna, il convertito prende consapevolezza della verità, ed è
percorso da un brivido nel vedere che è molto più frequente di quanto si
sarebbe mai aspettato. Non è tanto una fase, quanto un progresso, che avanza
a passo rapido ma spesso per lungo tempo. È la scoperta che la filosofia
cattolica racchiude tantissime idee vivaci e interessanti, molte delle quali
suscitano subito la sua approvazione; e anche per quelle che rifiuta, si può
dire qualcosa in grado di giustificarne l’accettazione. Questo processo, che
potremmo definire la scoperta del cattolicesimo, è forse la parte più piacevole
e semplice della faccenda; più facile che entrare nella Chiesa Cattolica e
molto più facile che non provare a vivere la vita cattolica. È come scoprire un
nuovo continente pieno di strani fiori e di animali bizzarri, al contempo
selvaggio e ospitale. Descrivere in maniera dettagliata questo processo
equivarrebbe a discutere in successione una cinquantina di idee e istituzioni
cattoliche. Potrei far notare che gran parte del lavoro consiste in un lavoro di
traduzione, nello scoprire il significato reale di parole che la Chiesa utilizza
in modo corretto e il mondo no. Per esempio, il convertito scopre che
«scandalo» non significa «pettegolezzo», e che il peccato di dare scandalo
non significa che sia sempre una cosa malvagia far andare la lingua delle
vecchie comari. Scandalo significa scandalo, nel senso originale del termine
greco e latino, e cioè fare lo sgambetto a qualcun altro che cerca di essere
retto. Oppure scoprirà che espressioni come «consiglio di perfezione» o
«peccato veniale», che non significano proprio nulla stampate nei giornali,
assumono un significato intelligente e interessante nei manuali di teologia
morale. Inizia a rendersi conto che è il mondo secolare a rovinare il senso
delle parole; e intravede le prove reali a sostegno della ferrea immortalità
della messa in latino. La questione non si riduce alla scelta tra una lingua
morta e una viva e immortale. Si tratta invece di scegliere tra una lingua
morta e una in punto di morte, una lingua che sta inevitabilmente
degenerando. Sono questi rapidi sguardi ad altrettante idee grandiose, fin qui
nascoste al convertito dai pregiudizi della sua cultura provinciale, che
costituiscono l’avventurosa e varia seconda fase della conversione. In linea di
massima è lo stadio in cui l’uomo cerca inconsapevolmente di essere
convertito. La terza fase è forse la più vera e la più terribile, quella in cui egli
cerca di sottrarsi alla conversione.
Il nostro amico si è avvicinato troppo alla verità, e si è dimenticato che la
verità è un magnete capace di attrarre e di respingere. Egli è invaso da una
specie di paura, e si sente sciocco per aver soltanto difeso il «papismo»,
mentre avrebbe dovuto accorgersi della realtà di Roma. Scopre un fatto strano
e allarmante, forse implicito nell’interessante discorso di Newman6 su Blanco
White7 e sui due modi di attaccare il cattolicesimo. In ogni caso, si tratta di
una verità che Newman e ogni altro convertito hanno riscontrato in una forma
o nell’altra, ovvero che non si può essere imparziali con la Chiesa Cattolica.
Appena smettiamo di respingerla, ne siamo attratti. Appena smettiamo di
urlare per zittirla, iniziamo ad ascoltarla con piacere. Appena cerchiamo di
trattarla con obiettività, iniziamo ad amarla. Ma quando l’affetto supera una
certa soglia, assume l’imponenza tragica e minacciosa di un grande amore.
Anche in questo caso l’uomo ha la sensazione di essersi impegnato o
compromesso, di essere finito in un certo senso in trappola, per quanto ne sia
contento. Ma anziché essere felice, per un bel po’ è solo terrorizzato. Non è
da escludere che quest’esperienza psicologica sia stata fraintesa dagli stupidi,
e forse a questo si deve quanto rimane della leggenda che dipinge Roma
come una trappola. Tuttavia, la leggenda non afferra l’essenziale della
dimensione psicologica. Non è il papa ad aver messo la trappola o i preti ad
averla munita di esca. Il punto è che la trappola è semplicemente la verità.
L’uomo è approdato da sé alla trappola della verità, e non è la trappola a
inseguirlo. Spinto dall’interesse per la verità, le è andato incontro compiendo
tutti i passi con entusiasmo e per conto proprio, tranne l’ultimo; e persino
questo, ovvero l’ultima fase, lo allarma solo perché è così vero. Se posso
ancora una volta rifarmi a un’esperienza personale, dirò che non sono mai
stato meno tormentato dai dubbi che nell’ultima fase, quando ad angosciarmi
furono le paure. Prima di quell’indugio finale, mi ero sentito distaccato e
pronto a considerare qualsiasi dottrina con mente aperta. In seguito, da
quando ho maturato una decisione, il mio stato d’animo ha subito ogni genere
di cambiamenti; e rispetto a prima credo di riuscire a tollerare meglio, e con
maggior comprensione, dubbi e difficoltà. Ma allora non avevo dubbi o
difficoltà, solo paure: temevo qualcosa che aveva la definitività e la
semplicità del suicidio. Ma più lo relegavo in fondo alla mia mente, più ero
certo di cosa si trattasse. E in virtù di un paradosso che ora non mi spaventa
affatto, forse non avrò più la certezza così assoluta che sia vero come quando
feci l’ultimo sforzo per negarlo.
A questo paradosso devo aggiungere un poscritto o un’osservazione di
importanza secondaria, e so che molti la fraintenderanno. Diventare cattolici
allarga la mente, soprattutto rispetto alle ragioni per entrare nella Chiesa di
Roma. In piedi nel punto in cui tutte le strade si incrociano, l’uomo può
guardare in fondo a ciascuna e rendersi conto che provengono da tutti i punti
del cielo. Fintanto che segue la sua via, quella è l’unica visibile o, a volte,
anche solo immaginabile. Per esempio, molti che ancora non sono cattolici si
definiscono medievalisti. Ma il medievalista puro allargherà di molto le sue
vedute diventando cattolico. Io stesso sono un medievalista, nel senso che a
mio avviso la vita moderna ha molto da imparare da quella medievale; che le
gilde sono un sistema sociale migliore del capitalismo; e che i frati sono
molto meno fastidiosi dei filantropi. Ma, rispetto a quand’ero solo un
medievalista, adesso sono molto più ragionevole e moderato. Per esempio,
allora mi sembrava necessario contrapporre continuamente l’architettura
gotica a quella greca perché si dovevano sostenere i cristiani contro i pagani.
Ora invece non ho più questo affanno e so cosa intendeva Coventry Patmore8
quando disse serafico che, come cattolico, poteva decorare indifferentemente
la mensola del suo camino con la Venere di Milo o con la Vergine. In quanto
medievalista, sono ancora orgogliosissimo del gotico; ma come cattolico
sono fiero del barocco. Quell’intensità in apparenza quasi limitata perché
converge dritta al punto, come una finestra a ogiva, è molto rappresentativa
dell’ultimo raccoglimento che precede immediatamente la conversione.
Nell’ultimo istante, il convertito ha spesso l’impressione di guardare
attraverso una finestrella obliqua nel muro del presbiterio, quella che un
tempo era riservata ai lebbrosi. Guarda attraverso una piccola fessura o un
foro sbieco che sembra rimpicciolire mentre lo fissa, ma quell’apertura è
rivolta verso l’Altare. Solo dopo esservi entrato, scopre che la Chiesa è molto
più grande dentro che fuori. Egli si è lasciato alle spalle le finestrelle oblique
per i lebbrosi e, in un certo senso, persino le anguste porte gotiche, e ora si
trova sotto cupole ampie come il Rinascimento e universali come la
Repubblica del Mondo. Ora può pronunciare con il suo vero significato,
ignoto ai moderni, l’antica e serena espressione Romanus civis sum9: non
sono uno schiavo.
Tuttavia, la questione per il momento è che un intervallo di intensa
inquietudine, per non dir peggio, precede generalmente la conquista di questa
eredità. In certa misura è la paura insita in tutte le decisioni nette e
irrevocabili, la stessa di cui parlano le vecchie storielle sullo sposo che
all’altare viene colto dai tremori o sulla recluta che si ubriaca, in parte per
festeggiare e in parte anche per dimenticare l’arruolamento. Ma la paura che
assale chi si avvicina alla conversione è quella di un sacramento più pieno e
di un esercito più potente. Quest’uomo si è lasciato indietro da un pezzo la
goffa idea che il sacramento lo avvelenerà o che l’esercito lo ucciderà. Con
buona probabilità ha superato la fase, poiché presto o tardi la supera, in cui si
chiede se tutta la faccenda non sia soltanto una truffa straordinariamente
intelligente e ingegnosa, realizzata abusando della sua fiducia. Non è più
nella condizione definibile come l’ultima fase di dubbio reale, quella in cui ci
si domanda se ciò che a detta di tutti è brutto oltre il lecito non sia in realtà
troppo bello per essere vero. Ancora una volta ricorre lo stesso principio, vale
a dire che l’ostacolo è l’esatto contrario di quello preannunciato dalla
propaganda protestante. Se ancora ha l’idea di essere finito in una trappola,
l’aspirante convertito non pensa più che l’abbiano truffato. Non teme di
scoprire la Chiesa, ma piuttosto che la Chiesa scopra lui.
Queste note sulle fasi della conversione sono necessariamente molto
negative e inadeguate. L’ultimo secondo di tempo o l’ultima frazione di
spazio, prima che il ferro si lanci verso il magnete, contengono un abisso in
cui sono all’opera tutte le insondabili forze dell’universo. Il confine tra il fare
e il non fare una tal cosa è così esiguo e così immenso! L’unica cosa possibile
qui è fornire le ragioni in favore del cattolicesimo, non la sua causa. Ho
cercato di abbozzare le rivelazioni e le esperienze che un po’ per volta
insegnano a pensare bene della Chiesa a quanti sono stati istruiti a pensarne
male. Il fatto che qualcosa si riveli ottimo quando era stato descritto come
pessimo è di per sé un processo singolare, con un sapore sensazionale e
strano. Venire per maledire e restare per benedire, venire per schernire e
restare per pregare è un fenomeno accolto sempre con un sentimento di
meraviglia, e nel bagliore di un bene inatteso.
Ma una cosa è concludere che il cattolicesimo è buono, e un’altra
convincersi che sia giusto. Una cosa è stabilire che è giusto, e un’altra
concludere che sia sempre nel giusto. Non avevo mai creduto alla tradizione
che lo definisce diabolico; l’idea che fosse inumano aveva subito destato i
miei sospetti, ma questo non mi avrebbe lasciato altra possibilità se non
quella di giungere all’ovvia conclusione che fosse umano. Di qui a dedurre
che sia divino, il passo è notevole. Quando approdiamo alla convinzione
dell’autorità divina, tocchiamo l’argomento ancor più misterioso dell’aiuto
divino. Arriviamo cioè all’idea della Grazia e del dono della fede, che è
impenetrabile; e quindi non ho la minima intenzione di provare a spiegarla. È
una questione teologica della massima complessità; una cosa è sentirla vera, e
un’altra definirla come verità. Mi limiterò a indicare un paio di punti sulle
disposizioni preliminari che preparano la mente verso di essa. Innanzitutto, i
fanatici più intransigenti per certi versi sono in realtà i migliori filosofi. La
Chiesa è davvero come l’Anticristo, nel senso che è unica come Cristo. E se
non è Cristo, probabilmente è l’Anticristo; ma di certo non è Mosè o
Maometto, Buddha, Platone o Pitagora. Più impariamo a conoscere
l’umanità, più diventiamo solidali nei suoi confronti e più ci rendiamo conto
che, quando è semplicemente umana, è semplicemente pagana; e i nomi delle
sue particolari divinità locali o dei suoi profeti tribali o dei suoi venerabili
saggi sono una questione secondaria rispetto al suo carattere umano e pagano.
Nel vecchio paganesimo in Europa, e in quello attuale in Asia, ci sono state
divinità, sacerdoti, profeti e saggi di ogni genere; ma non un’altra istituzione
come la Chiesa. I culti pagani muoiono molto lentamente, e non rinascono in
fretta. Non hanno qualità che emergano nei momenti di difficoltà, per poi
tornare a riproporsi a ogni nuova crisi, durante tutta la storia della terra. Tutto
ciò che la gente teme oppure odia della Chiesa, tutto ciò contro cui indurisce
maggiormente il suo cuore e talvolta (viene la tentazione di dire) ottunde la
sua mente, tutto ciò per cui, consapevolmente o meno, considera la Chiesa
Cattolica un pericolo, dimostra che siamo di fronte a qualcosa che non
possiamo contemplare languidamente o con distacco, come potremmo fare se
vedessimo degli ottentotti che danzano in onore della luna nuova o dei cinesi
che bruciano pezzi di carta nei loro templi di porcellana. Il cinese e il turista
possono avere ottimi rapporti, basati sul mutuo disprezzo; ma lo scudo del
disprezzo non è contemplato nel duello tra la Chiesa e il mondo. La Chiesa
non acconsentirà a disprezzare l’anima del coolie e nemmeno quella del
turista; e la misura della rabbia con cui gli uomini la odiano non è che il loro
vano tentativo di disprezzarla.
Molto più profondo, delicato e difficile da descrivere è il collegamento
diretto tra quanto la Chiesa vanta di più terribile e arcaico e quanto ha di più
intimo e personale. È di per sé un miracolo che una cosa tanto enorme e
storica, per durata e diffusione, conservi una tale freschezza di affetti. È come
se un uomo trovasse il suo salotto e il suo focolare nel cuore della Grande
Piramide. È come se la bambola preferita di un bimbo si rivelasse l’immagine
sacra più vecchia del mondo, un tempo venerata in Caldea o a Ninive. È
come se la ragazza corteggiata da un uomo in giardino fosse anche, in
maniera oscura e doppia, una statua che si erge in eterno nel centro di una
piazza. È proprio qui che tutto quanto prima era considerato una debolezza
emerge come pienezza di forza. Tutto ciò che gli uomini hanno tacciato di
sentimentalità nella religione cattolica, nei suoi ricordini, nei suoi fioretti e
nei suoi ninnoli quasi pacchiani, negli occhi miti e nei gesti misericordiosi
delle sue statue, nel suo pathos dichiaratamente popolare e in tutto ciò a cui
Matthew Arnold alludeva parlando del cristianesimo e delle «sue lacrime di
sollievo» – tutto questo è segno di una vitalità concreta e intensa in una realtà
così vasta, stabile e sistematica. Niente è paragonabile a questo calore, che
ricorda quello del Natale, tra vetuste colline ricoperte dalla neve dei tempi
antichi. Si può addirittura permettere l’uso di diminutivi per apostrofare
l’Onnipotente. In tutte le sue svariate vesti, si appunta il Sacro Cuore sulla
manica e parla con sincerità. Ma sapendo che trabocca di questi affetti
intensi, come piccole fiamme guizzanti, si prova una soddisfazione quasi
ironica nel vedere le enormi e primitive dimensioni della cosa, come una
specie di mostro preistorico; e altrettanto vale per le sue guglie e le sue mitre,
simili a corna di mandrie gigantesche, o per le sue colossali pietre angolari,
simili alle quattro zampe di un elefante. Sarebbe facile scrivere uno studio
puramente artistico sulla strana esteriorità della religione di Roma, e farla
apparire rozza e soprannaturale come la religione azteca o quella africana.
Sarebbe facile parlarne come se davvero fosse una specie di mammut o di
elefante mostruoso, più antico dell’Era Glaciale, che torreggia sull’Età della
Pietra, con i contorni impressi nei terremoti o nelle frane di una creazione
precedente, e con gli organi e la trama esterna simili a ignote decorazioni
floreali e di aria e luce – ultimo residuo di un mondo perduto. Ma il mostro
preistorico è nello zoo e non nel museo di storia naturale. L’animale estinto è
ancora vivo. E qualsiasi stravaganza o elemento insolito del suo aspetto non
fa che accentuare la straordinaria naturalezza e familiarità della sua mente: è
come se all’improvviso la Sfinge si mettesse a parlare di argomenti attuali. Il
super elefante non è soltanto un animale docile, ma è anche domestico, e può
portarlo al guinzaglio anche un ragazzino.
Questa antitesi fra tutto ciò che è formidabile e remoto e tutto ciò che è
personalmente rilevante e realisticamente tenero è un’altra di quelle
impressioni convergenti che si incontrano nel momento della convinzione.
Ma scrivere di tutte queste cose, che più delle altre si avvicinano all’effettivo
conseguimento del dono della fede, è molto più difficile che non scrivere dei
preliminari razionali e storici della ricerca. Ed è solo di queste disposizioni
preliminari verso la verità che io affermo di volermi occupare qui. Nei
capitoli successivi intendo affrontare due considerazioni tra le più rilevanti di
questo gruppo, non perché abbiano un’importanza maggiore di molti altri
aspetti immensi di un argomento così straordinario, ma perché si dà il caso
che si bilancino a vicenda e che costituiscano una specie di antitesi tipica di
ogni verità cattolica. Nel primo dei due capitoli cercherò di evidenziare come,
quando elogiamo la Chiesa per la sua grandezza, non intendiamo
semplicemente che è grande, ma anche, in un senso unico e importante, che è
universale. Intendiamo la sua capacità di essere il cosmo e di contenere altre
cose. Nel secondo capitolo, invece, sottolineerò ciò che in apparenza
contrasta con questa verità, mentre di fatto la bilancia. Mi riferisco al fatto
che apprezziamo la Chiesa perché è una Chiesa militante, e a volte persino
perché milita contro noi stessi. La Chiesa trascende il cosmo, inteso come
totalità della natura (umana e non). La dimostrazione della sua superiorità sta
nel fatto che talvolta ha ragione laddove quelle sono nel torto. Questi due
aspetti vanno considerati separatamente, anche se insieme formano il pieno
convincimento che precede immediatamente la conversione. Ma in questo
capitolo ho annotato solo alcuni punti o fasi della conversione vista come
processo pratico, e soprattutto le tre fasi attraverso cui devono essere passati
parecchi protestanti o agnostici. Molti, ripensando con serenità a quei
momenti, non saranno infastiditi se chiamo il primo la difesa della Chiesa, il
secondo la scoperta della Chiesa e il terzo la fuga dalla Chiesa. Al termine di
questi tre stadi inizia a configurarsi una verità più grande, troppo grande per
essere descritta; ma noi procederemo comunque a farlo.
1 Rimando a Mt 23,15 [N.d.T.].
2 Eric Gill (1882-1940), scultore, incisore, tipografo e autore spiritualista che difese
l’artigianato contro la produzione industriale. Si convertì al cattolicesimo nel 1913.
3 Il Prayer Book è il testo ufficiale della liturgia pubblica anglicana redatto nel 1549 con il

titolo di Book of Common Prayer [N.d.T.].


4 I covenanter erano un partito scozzese che sottoscrisse il National Covenant (patto

nazionale) del 1638, impegnandosi a difendere il presbiterianismo dai tentativi di


corruzione.
5 William George Ward (1812-1882), filosofo morale inglese ed esponente del Movimento

di Oxford, si convertì al cattolicesimo nel 1845.


6 L’opera di Newman a cui Chesterton allude è Lectures on the Present Position of

Catholics in England (ed. it. Discorsi sul pregiudizio: la condizione dei cattolici, Jaca
Book, Milano 2000) [N.d.T.].
7 Joseph Blanco White (1775-1841), prete spagnolo di nascita che abbandonò il

cattolicesimo, si stabilì in Inghilterra e nel 1825 pubblicò il volume Evidences Against


Catholicism.
8 Coventry Patmore (1823-1896), poeta inglese convertitosi al cattolicesimo.
9 Espressione latina che letteralmente significa: «Sono un cittadino di Roma».
Capitolo 4

Il mondo alla rovescia

Il primo errore sulla Chiesa Cattolica consiste nell’idea che sia una
chiesa, nel senso in cui i giornali nonconformisti parlano delle chiese. Non
intendo con questo esprimere disprezzo verso tali chiese, né sarebbe
un’espressione di disprezzo dire che è più opportuno chiamarle sette. E ciò
coincide con una verità molto più profonda e benevola di quanto non sembri
a prima vista; ma innanzitutto è senz’altro una verità assolutamente ovvia e
storica, che non ha proprio niente a che vedere con la simpatia. Così, per
esempio, provo molta più simpatia per le piccole nazioni che per le piccole
sette. Ma è soltanto un fatto storico che l’Impero Romano fosse l’Impero e
non una piccola nazione. Ed è un fatto altrettanto storico che la Chiesa di
Roma sia la Chiesa e non una setta. Non vi è alcunché di limitato o
irragionevole nel dire che la Chiesa è la Chiesa. Forse è un bene che l’Impero
Romano si sia disgregato in nazioni minori, ma certamente non era una delle
nazioni in cui si è disgregato. E persino chi ritiene una fortuna che la Chiesa
si sia suddivisa in sette, dovrebbe essere in grado di distinguere le piccole
cose che ama dalla grande cosa che ha spaccato. In realtà, per cose tanto
grandi, uniche e creatrici della cultura intorno a loro come l’Impero Romano
e la Chiesa di Roma, non è controverso ma solo corretto limitare quella
parola a quell’esempio. Chi in origine usava il termine «impero» lo usava per
quell’Impero, così come chi usava la parola «ecclesia» la usava per
quell’Ecclesia. Magari altrove c’erano realtà simili, ma non potevano avere lo
stesso nome, per il semplice motivo che non erano denominate nella stessa
lingua. Sappiamo cosa intendiamo per imperatore romano; volendo possiamo
parlare di un imperatore cinese, proprio come volendo possiamo prendere un
tipo particolare di mandarino e dire che equivale a un marchese. Ma non
possiamo mai essere certi che le due cose si equivalgano del tutto, poiché ciò
a cui pensiamo è proprio della nostra storia, e in tal senso è unico. Ora, in
questo, se non altro, la Chiesa Cattolica è unica: nel fatto che non appartiene
a una classe di chiese cristiane, né a una classe di religioni umane. Se la
consideriamo con una certa freddezza e imparzialità, come potrebbe fare un
uomo nato sulla Luna, è molto più sui generis. È, se il critico sceglie di
pensarla così, il rudere di un tentativo di Religione Universale che era
destinato a fallire. Ma chiamare i ricuperatori perché demoliscano una nave
non trasforma la nave in una delle sue travi; e spaccare in tre pezzi la Polonia,
non ne fa la Posnania.
L’idea che la Chiesa sia una delle tante sette è l’errore più grave, in un
senso molto più profondo e filosofico. È una questione più psicologica e più
difficile da descrivere. Ma è forse il più sensazionale degli sconvolgimenti o
dei capovolgimenti silenziosi che avvengono nella mente e che costituiscono
quella rivoluzione chiamata conversione. Ogni uomo ritiene di muoversi in
un certo cosmo, e quello della mia gioventù camminava in una specie di
vasto e arioso Palazzo di Cristallo1 stipato di oggetti in mostra, uno accanto
all’altro. Quel cosmo, essendo fatto di vetro e ferro, era in parte trasparente e
in parte incolore; in ogni modo, aveva qualcosa di negativo: sembrava
imparziale e impersonale, inarcato sopra le nostre teste e munito di un tetto
lontano quanto il cielo. La nostra attenzione era fissa sugli oggetti esposti,
tutti meticolosamente etichettati e allineati, poiché quella era l’era della
scienza. La mostra comprendeva tutte le religioni: le chiese o sette, o in
qualsiasi altro modo le chiamassimo; e verso la fine della fila ce n’era una
particolarmente squallida e tetra, con un tetto a punta mezzo crollato e
finestre anch’esse a punta in gran parte rotte a colpi di pietra dai passanti; ci
dissero che quella era la Chiesa Cattolica Romana. Alcuni di noi ne avevano
pena e pensarono che fosse stata trattata male; la maggior parte la
considerava sporca e logora; una manciata appena notò che molti particolari
del rudere erano belli dal punto di vista artistico o importanti da quello
architettonico. Ma quasi tutti preferivano visitare altri espositori più
efficienti: la bottega della pace e dell’abbondanza dei quaccheri o il
magazzino dell’Esercito della Salvezza, con tanto di imbonitore all’ingresso
che batteva su un grosso tamburo. Ora, sul piano intellettuale, la conversione
consiste in larga misura nella scoperta che quella immagine di credi tutti
uguali, in un cosmo indifferente, è del tutto falsa. Non si tratta di confrontare
i meriti e i difetti del luogo di culto dei quaccheri rispetto alla cattedrale
cattolica. Questo perché il luogo di culto dei quaccheri sta dentro la cattedrale
cattolica e perché la cattedrale cattolica copre tutto come la volta del palazzo
di cristallo: nel momento in cui alziamo lo sguardo verso l’enorme cupola
lontana che sovrasta tutti i credi in esposizione, riconosciamo il tetto gotico e
le finestre a sesto acuto. In altre parole, il quaccherismo non è che una forma
temporanea di quietismo2 sorta tecnicamente fuori della Chiesa, così come il
quietismo di Fénelon sembrava tecnicamente dentro la Chiesa. Ma entrambi
sono per loro natura temporanei e, come fece Fénelon, presto o tardi devono
tornare alla Chiesa per vivere. Il principio vitale delle confessioni protestanti,
se non è un principio di morte, è costituito da ciò che hanno conservato del
cristianesimo cattolico; e al cristianesimo cattolico le varianti del
protestantesimo sono sempre tornate per rivitalizzarsi. So che sembrerà
un’affermazione contestabile, ma è la verità. Dopo la frammentazione del
cristianesimo, il ritorno delle idee cattoliche ai vari segmenti cristiani
avvenne spesso in modo indiretto. Ma la provenienza era unica, anche se
l’influenza giunse da più parti. Arrivò attraverso il movimento romantico, che
fu una semplice visione del carattere meramente pittoresco del medievalismo;
e non è solo una coincidenza se i romanzi, come le lingue romanze, prendono
il nome da Roma. Oppure giunse attraverso la reazione istintiva di persone
all’antica come Johnson, Scott o Cobbett3, desiderose di salvare da un
progresso solo capitalista vecchi elementi che in origine erano stati cattolici.
Ma quella reazione li portò a denunciare il progresso capitalista e, come nel
caso di Cobbett, a diventare i veri nemici del protestantesimo senza essere
seguaci praticanti del cattolicesimo. Oppure arrivò dai preraffaelliti4 o dalla
scoperta dell’arte e della cultura europee da parte di Matthew Arnold,
Morris5, Ruskin e altri. Ma esaminiamo l’attuale forma mentis di un onesto
ministro quacchero, o congregazionalista, e confrontiamola con quella di un
dissenziente di Little Bethel nel periodo che precede la diffusione di quella
cultura. Vedrete fino a che punto egli deve salute e felicità a Ruskin e a ciò
che Ruskin doveva a Giotto; a Morris e a ciò che Morris doveva a Chaucer; a
eccellenti studiosi della sua stessa scuola, come Philip Wicksteed, e a ciò che
loro dovevano a Dante e a San Tommaso. A volte un uomo del genere parlerà
ancora di secoli bui riferendosi al Medioevo. Ma i secoli bui hanno
migliorato la tappezzeria delle sue pareti e i vestiti di sua moglie, e la vita
squallida e volgare che conduceva ai tempi di Stiggins6 e di fratello Tadger.
Poiché anch’egli è cristiano e vive solo la vita della cristianità.
Non è facile esprimere l’enorme capovolgimento che ho cercato di
evocare con l’immagine di un mondo alla rovescia. Mi riferisco al fatto che
quanto ci era sembrato piccolo, si gonfia e inghiotte ogni altra cosa. Il
cristianesimo è un continente in senso letterale. Arriviamo a sentire che
contiene tutto, persino le cose che si rivoltano contro di esso. Ma questa è
forse la trasformazione intellettuale più rilevante in assoluto e più difficile da
annullare, anche solo per amore della discussione. Persino con
l’immaginazione è quasi impossibile rovesciare quel rovesciamento. Un altro
modo di vedere le cose è dire che siamo giunti a considerare tutte queste
figure storiche come personaggi della storia cattolica, anche se non sono
cattoliche. E in un certo senso, ovvero in senso storico e non teologico, non
smettono mai di essere cattoliche. Non sono persone che abbiano creato
qualcosa di interamente nuovo, finché non oltrepassano il confine della
ragione e danno vita a incubi più o meno insensati. Ma gli incubi non durano,
e la maggior parte di questa gente ancora adesso si trova in una fase di
risveglio. I protestanti sono cattolici che hanno fatto uno sbaglio: è questo che
si intende realmente dicendo che sono cristiani. In alcuni casi il loro è stato
un grosso sbaglio, ma sono rare le volte in cui hanno portato avanti un errore
tutto loro. Così il calvinista è un cattolico ossessionato dall’idea cattolica
della sovranità di Dio. Ma quando le attribuisce il significato che Dio
desidera la dannazione di alcune persone, possiamo affermare, senza timore
di esagerare, che è un cattolico morboso. In effetti, è un cattolico malato; e la
malattia, lasciata a se stessa, porta alla morte o alla pazzia. La malattia però
non è durata molto e ormai è praticamente scomparsa. Ma ogni volta che il
calvinista fa un passo indietro verso l’umanità, si riavvicina al cattolicesimo.
Così un quacchero è un cattolico ossessionato dall’idea cattolica della verità e
di una semplicità mite. Ma quando ritiene una menzogna usare il «lei» o il
«voi di cortesia» e un atto di idolatria togliersi il cappello davanti a una
signora, allora non è un’esagerazione dire che ha perso una rotella,
indipendentemente dal fatto che si sia scoperto o meno il capo. Lui stesso,
però, ha ritenuto necessario rinunciare alla sua eccentricità (così come al
cappello), e abbandonare la via che lo avrebbe portato dritto in manicomio.
Solo che ogni suo passo indietro verso il buon senso è un passo indietro verso
il cattolicesimo. Nella misura in cui aveva ragione era cattolico; e nella
misura in cui aveva torto, lui stesso non è riuscito a rimanere protestante.
Per noi, dunque, da questo momento in poi è impossibile vedere il
quacchero come una figura agli albori di una nuova storia quacchera, o il
calvinista come il fondatore di un nuovo mondo calvinista. È assolutamente
palese che sono soltanto personaggi della nostra storia cattolica, i quali si
sono però limitati a provocare un bel po’ di guai cercando di fare qualcosa
che a noi riusciva meglio e che loro in realtà non hanno mai fatto. Ora alcuni
possono supporre che una cosa del genere sia valida per vecchie sette come il
calvinismo e il quaccherismo, ma non per movimenti moderni come il
socialismo o lo spiritismo. Tuttavia si sbagliano. Il carattere inclusivo o
continentale della Chiesa si applica tanto alle manie moderne che alle vecchie
manie religiose, e quindi tanto ai materialisti, o agli spiritisti, che ai puritani.
In tutte ritroviamo un dogma cattolico che subisce sempre lo stesso destino:
all’inizio gli adepti del movimento lo danno per scontato, poi lo esagerano
fino a corromperlo, quindi gli si rivoltano contro e lo respingono come errore,
tornando indietro di qualche passo sulla strada verso casa. E questo è quasi
sempre il segno distintivo di un simile eretico: il fatto che, pur contestando
forsennatamente qualsiasi altro dogma del cattolicesimo, non si sognerà mai
di mettere in discussione il suo dogma cattolico preferito e non sembra
nemmeno rendersi conto che si potrebbe contestarlo. Al calvinista non era
mai venuto in mente che qualcuno avrebbe potuto usare la sua libertà per
negare o limitare l’onnipotenza divina, o al quacchero che qualcuno avrebbe
potuto mettere in dubbio la supremazia della semplicità. Il socialista è nella
stessa situazione. Il bolscevismo, e ogni sua variante teorica basata sulla
fratellanza, si fonda su un dogma cattolico profondamente mistico, cioè
l’uguaglianza degli uomini. I comunisti puntano tutto sull’uguaglianza
dell’uomo, proprio come i calvinisti puntavano tutto sull’onnipotenza di Dio.
Cavalcano questo dogma fino a sfiancarlo esattamente come gli altri facevano
con il loro, trasformando il cavallo in un incubo. Ma non sembrano mai
pensare che qualcuno possa non credere nel dogma cattolico dell’uguaglianza
mistica degli uomini. Eppure molti, persino tra i cristiani, sono così eretici da
dubitarne. Nel tentativo di metterlo in pratica, i socialisti finiscono in un bel
pasticcio: scendono a compromessi con i loro ideali, modificano la loro
dottrina e così, come i quaccheri e i calvinisti dopo le loro somme
stravaganze, si ritrovano ad aver coperto un giorno di marcia in più verso
Roma.
In breve, la storia di queste sette non si compone di linee diritte che
procedono verso l’esterno e oltre; e se anche così fosse, punterebbero tutte in
direzioni diverse. È piuttosto un disegno fatto di curve che tornano
incessantemente alla vita capace e comune della loro e della nostra civiltà; e
la sintesi di quella civiltà, nonché il centro del suo equilibrio, è la filosofia
della Chiesa Cattolica. Per noi, gli spiritisti sono uomini che studiano
l’esistenza degli spiriti, avendo momentaneamente perso cognizione del fatto
che esistono anche quelli maligni. Sono abbastanza colti per aver sentito
parlare dei fantasmi, ma non delle streghe. Se gli spiriti maligni riescono a
fermare la loro istruzione e a intorpidire le loro menti, naturalmente questi
uomini potranno andare avanti in eterno a ripetere sciocchi messaggi di
Platone e versi zoppicanti di Milton. Ma se avanzano di un passo o due,
invece di restare fermi sul confine, il passo successivo sarà imparare ciò che
la Chiesa Cattolica avrebbe potuto insegnargli. Per noi, i seguaci della
Christian Science sono persone con un’idea sola, che non hanno mai
imparato a bilanciare e a combinare con tutte le altre idee. Per questo l’uomo
d’affari abbiente molto spesso aderisce a questa dottrina: non è abituato alle
idee e ne basta una per dargli alla testa, come succede a un uomo digiuno con
un bicchiere di vino. Ma la Chiesa Cattolica è abituata a vivere con le idee e
si aggira a testa alta fra tutte queste bestie selvatiche e pericolose, con la
compostezza di un domatore di leoni. Lo scientista può continuare a ripetere
monotonamente la sua unica idea e a rimanere seguace della Christian
Science. Ma se mai passerà a una qualsiasi altra idea, sarà tanto più vicino a
essere cattolico.
Dopo aver visto il mondo in questo modo, e cioè una volta che sia riuscito
a distinguervi alcune idee in equilibrio e altre che invece l’equilibrio lo hanno
perso, il convertito non affronta i disagi che avrebbe potuto ragionevolmente
temere prima di quella rivoluzione silenziosa ma sorprendente. Non si agita
se gli dicono che nello spiritismo o nella Christian Science c’è qualcosa. Sa
che c’è qualcosa in tutto. Ma si commuove per il fatto straordinario di trovare
tutto in qualcosa. E ha l’assoluta certezza che quegli altri ricercatori lo
cercheranno nello stesso posto, non appena smetteranno di accontentarsi di
una cosa qualsiasi e cercheranno davvero tutto. In questo senso, essi lo
preoccupano molto meno ora di quando pensava che fossero gli unici in
grado di entrare in comunicazione con i misteri superiori, e ovviamente anche
di mandare quella comunicazione a carte quarantotto. Le probabilità che si
senta in soggezione perché la signora Eddy7 ha raggiunto la guarigione
spirituale, o il signor Home8 la levitazione corporea, non sono maggiori di
quelle che avrebbe un gentiluomo vestito da capo a piedi nel vedere un
cilindro sulla testa di un selvaggio che si aggira nudo in Bond Street. Un
cilindro sarà anche un buon cappello, ma è un cattivo abito. E un trucco
magnetico sarà anche in grado di suscitare scalpore, ma come filosofia lascia
molto a desiderare. Egli non invidia al bolscevico la rivoluzione più di quanto
invidi la diga al castoro, poiché sa che la sua civiltà è capace di opere assai
più complicate e meno monotone. Ma questo lo pensa della sua civiltà e della
sua religione, e non solo di se stesso. Non c’è niente di altezzoso nel suo
atteggiamento, poiché sa benissimo di aver solo esplorato la superficie del
maniero spirituale in cui ora si aggira liberamente. In altre parole, il
convertito non abbandona affatto la ricerca e nemmeno l’avventura. Non
pensa di sapere tutto, né ha perso interesse per ciò che non conosce. Ma
l’esperienza gli ha insegnato che quasi tutto si trova da qualche parte
all’interno di quel maniero, e che al di fuori molti non trovano quasi nulla.
Poiché il maniero non è solo un giardino curato o una fattoria ben
organizzata: dentro i suoi confini la caccia e la pesca sono ricche e, come si
dice, c’è di che fare un buon bottino.
Veniamo ora a uno degli inganni più comuni e più bizzarri sulla sorte del
convertito. La gente ha recepito in modo confuso i naturali commenti dei
convertiti sul fatto di aver trovato la pace morale, e li ha interpretati nel senso
che hanno trovato il riposo mentale, inteso come inattività della mente. Tanto
vale dire che, dopo essersi ripresa, la vittima di una paralisi o di un attacco
del Ballo di san Vito manifesti il suo stato di benessere standosene seduta,
immobile come una statua. Recuperare la salute per essa significa riacquistare
la capacità di compiere movimenti corretti anziché sbagliati, e probabilmente
si muoverà molto più di prima. Diventare cattolici non significa smettere di
pensare, ma imparare a farlo. È questo il suo significato, proprio come
guarire da una paralisi non significa rinunciare a muoversi, ma imparare a
farlo. Per la prima volta il convertito cattolico dispone di una base solida per
un pensiero chiaro e forte. Ha modo di appurare per la prima volta la verità di
qualsiasi questione. Considerando come va il mondo, soprattutto in questo
momento, sono gli altri – i pagani e gli eretici – che sembrano possedere ogni
virtù tranne quella di un pensiero coerente. A dire il vero, per un breve
periodo durato appena dall’epoca di Voltaire a quella di Huxley, una piccola
minoranza di pagani e di eretici si fece promotrice di un pensiero profondo,
del quale però oggi non rimane traccia. Ciò che oggi chiamiamo libero
pensiero è apprezzato non perché sia libero, ma perché è libertà dal pensiero:
è libera mancanza di pensiero.
Niente è più divertente per il convertito, qualche tempo dopo il suo
ingresso nella Chiesa Cattolica, che sentire le congetture su se o quando si
pentirà della conversione: quando se ne stancherà, per quanto la sopporterà,
in quale stadio di esasperazione balzerà in piedi e dirà che non ne può più.
Tutto questo è frutto dell’illusione ottica che confonde esterno e interno, la
stessa che ho cercato di delineare in questo capitolo. Quanti si trovano
all’esterno stanno lì e vedono, o credono di vedere, il convertito che entra a
capo chino in una specie di piccolo tempio che nella loro convinzione
internamente è attrezzato come una prigione, se non come una vera a propria
camera di tortura. Ma per certo sanno solo che ha attraversato una porta.
Ignorano che non è entrato nell’oscurità interiore, ma che è uscito invece
nella piena luce. In realtà l’outsider, nella meravigliosa accezione letterale di
chi sta all’esterno, è il convertito. Egli non desidera entrare in una stanza più
grande, perché sa che non ce ne sono. Ha notizia di tante stanze molto più
piccole, ognuna delle quali reca un’etichetta su cui c’è scritto che è invece
molto grande; ma egli è assolutamente certo che in una qualsiasi di queste
stanze non avrebbe lo spazio per muoversi. Ognuna professa di essere un
cosmo intero o uno schema di tutte le cose, ma altrettanto fa il cosmo della
Clapham Sect9 o della Clapton Agapemone10. Ognuna sostiene di avere il
cielo come cupola o la volta stellata come decorazione. Ma al convertito tutti
questi sistemi cosmici sembrano molto più piccoli e persino più semplici del
vasto ed equilibrato universo in cui vive. Ce n’è uno etichettato come
agnosticismo, ma egli sa per esperienza che non offre nemmeno la libertà
dell’ignoranza. È una ruota costretta a girare in eterno, senza neanche la
minima scossa di una miracolosa interruzione – un cerchio che non va
quadrato con nessuna operazione di misticismo superiore; una macchina che
va ripulita da ogni residuo di spirito, come se fosse quella che dichiara
apertamente il suo materialismo. Vivendo in un mondo dotato di due ordini,
quello soprannaturale e quello naturale, il convertito sente che il suo è un
mondo più vasto, e non è minimamente tentato di tornare strisciando in uno
più piccolo. C’è poi un altro sistema che viene chiamato teosofia o buddismo;
ma egli sa per esperienza che è solo lo stesso tipo di ruota noiosa, usata per
cose spirituali anziché materiali. Poiché nel suo mondo è libero di fare
qualsiasi cosa, persino di andare al diavolo, non vede perché dovrebbe legarsi
alla ruota di un semplice destino. Un altro ancora è detto umanitarismo; ma
egli sa che gli umanitaristi non hanno una grande esperienza dell’umanità. Sa
che concepiscono l’uomo quasi esclusivamente come si presenta adesso nelle
città moderne, e che non possiedono nemmeno un briciolo dell’enorme
interesse umano di ciò che in origine era predicato ai legionari in Palestina e
che ancora oggi viene predicato ai contadini in Cina. Questa percezione è
così chiara, che a volte me la sono figurata come qualcosa a metà strada tra la
meditazione melanconica e lo scherzo. «Dove andrei ora, se lasciassi la
Chiesa Cattolica?» Certo da nessuna di queste piccole sette sociali, capaci di
esprimere solo un’idea alla volta perché si dà il caso che quell’idea sia di
moda in quel momento. La cosa migliore che potrei sperare sarebbe di
allontanarmi nei boschi e diventare, non un panteista (poiché anche questa è
una noiosa limitazione), ma piuttosto un pagano incline a gridare che qualche
particolare vetta alpina o albero fruttifero in fiore è sacro e va venerato.
Quello almeno sarebbe ricominciare tutto daccapo, ma alla fine mi
riporterebbe allo stesso problema. Se fu ragionevole avere un albero sacro,
non fu irragionevole avere un crocifisso sacro; e se la divinità si poteva
trovare su una vetta, altrettanto ragionevolmente può trovarsi sotto una
guglia. Chi cerca una nuova religione, presto o tardi la trova; e perché dovrei
essere scontento di quella che ho trovato? Soprattutto quando, come ho detto
all’inizio di questo saggio, è l’unica religione antica che sembra in grado di
rimanere nuova.
So perfettamente che se intraprendessi quel viaggio cadrei in preda alla
disperazione o tornerei indietro; e che nessun albero potrà mai sostituire il
vero albero sacro. Il paganesimo è meglio del panteismo, poiché il
paganesimo è libero di immaginare divinità, mentre il panteismo è costretto a
fingere, facendo del moralismo, che tutte le cose siano altrettanto divine. Ma
non so immaginarmi una divinità abbastanza divina. Se do l’impressione di
conoscere quel faticoso ritorno attraverso i boschi, è perché penso di averlo
già percorso simbolicamente. Come ho tentato di confessare senza eccessivo
egotismo, credo di essere il genere d’uomo che giunge a Cristo dopo aver
abbandonato Pan e Dioniso, e non dopo essere stato un seguace di Lutero o di
Laud11; la conversione che comprendo è quella del pagano, non quella del
puritano; e su quell’antica conversione si fonda l’intero mondo che
conosciamo. È una trasformazione molto più vasta e tremenda di qualsiasi
cosa che, da molti anni a questa parte, almeno in Inghilterra e in America, sia
stata motivo di controversia tra le sette o di divisioni dottrinali. All’apice di
quell’antico impero e di quell’esperienza internazionale, l’umanità ebbe una
visione. Altre non ne ha avute, escludendo le dispute su quell’unica visione.
Il paganesimo era quanto di più grande ci fosse al mondo, ma il cristianesimo
è ancora più grande: in confronto a esso, tutto il resto appare piccolo.

1 Il Crystal Palace (palazzo di cristallo) era un vasto edificio costruito a Londra nel 1851
per ospitare la prima esposizione universale di prodotti e macchine dell’era industriale.
2 Il quietismo era una forma di contemplazione mistica sviluppatasi nel XVII secolo.
François Fénelon (1651-1715), arcivescovo di Cambrai, ne fu sostenitore in Francia.
3 William Cobbett (1763-1835), libellista inglese di orientamento politico radicale e

sostenitore della riforma agraria, la cui opera più conosciuta è Rural Rides (1830).
4 La Confraternita dei preraffaelliti, un movimento che si prefiggeva di infondere moralità

nell’arte, fiorì in Inghilterra verso la metà del XIX secolo. I suoi membri, tra cui spiccano
William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, sostenevano che la
degenerazione dell’arte occidentale fosse iniziata con Raffaello durante il Rinascimento.
5 William Morris (1834-1896), poeta, romanziere e artista inglese nonché importante

sostenitore del socialismo.


6 Stiggins è un personaggio del Circolo Pickwick di Charles Dickens.
7 Mary Baker Eddy (1821-1910), americana di nascita, fondò la Christian Science (Scienza

Cristiana) o scientismo.
8 Daniel Home (1833-1886), noto spiritista inglese.
9 La Clapham Sect riuniva un gruppo di riformatori inglesi che si battevano contro i mali

sociali, soprattutto la tratta degli schiavi. Sorta intorno al 1790, prese il nome dal luogo in
cui si radunava, la casa di Henry Thornton a Clapham Common. Il suo membro più
importante fu William Wilberforce.
10 La Clapton Agapemone era una comunità religiosa sviluppatasi in Inghilterra nel XIX

secolo, sotto la guida di Henry Prince.


11 William Laud (1573-1645), arcivescovo di Canterbury e persecutore dei protestanti, fu

giustiziato per aver sostenuto Carlo I.


Capitolo 5

L’eccezione conferma la regola

La Chiesa Cattolica è l’unica cosa in grado di salvare l’uomo da una


schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo. L’ho confrontata
con le Religioni Nuove, ma è proprio qui che se ne differenzia: le Religioni
Nuove sono per molti versi adatte alle nuove condizioni, ma solo a queste.
Quando simili condizioni saranno cambiate, tra un secolo appena o anche
meno, gli unici punti su cui esse insistono al momento non avranno quasi più
senso. Se la fede ha tutta la freschezza di una religione nuova, possiede anche
tutta la ricchezza di una religione antica, e soprattutto ne mantiene le riserve.
A questo proposito, la sua antichità è di per sé un grande vantaggio, e
particolarmente grande al fine di rinnovarsi e mantenersi giovani. È solo per
analogia con i corpi animali che supponiamo che le cose vecchie debbano
essere rigide. Ma non è che una metafora presa in prestito da ossa e arterie.
Dal punto di vista intellettuale le cose antiche sono flessibili. Soprattutto,
sono varie e offrono molte alternative. Nella storia religiosa vige una specie
di rotazione dei raccolti: i vecchi campi vengono lasciati incolti per un po’ e
poi sono rimessi a coltura. Ma dopo che la nuova religione (o qualsiasi altro
concetto del genere) ha seminato il suo unico raccolto di avena folle, che il
vento generalmente spazza via, il campo diventa sterile. Una realtà antica
quanto la Chiesa Cattolica ha accumulato un arsenale e una camera del tesoro
a cui attingere; può pescare con cura tra i secoli e chiamare un’epoca in
soccorso di un’altra. Ha la possibilità di evocare il mondo antico perché
ristabilisca l’equilibrio del nuovo.
In ogni caso, le Religioni Nuove sono adatte al nuovo mondo, e questo è
il loro difetto peggiore. Ogni religione è il risultato di cause contemporanee
chiaramente individuabili. Il socialismo è una reazione al capitalismo. Lo
spiritismo è una reazione al materialismo; nella sua forma più intensa, non è
che uno strascico di quella enorme tragedia che fu la Grande Guerra. Ma se
vogliamo essere più sottili, vediamo che l’adeguatezza stessa dei nuovi credi
li rende inadeguati; la loro stessa accettabilità li rende inaccettabili. Così tutti
professano di essere progressisti perché il vanto particolare della loro epoca è
il progresso; dichiarano di essere democratici perché la dichiarazione
commovente del nostro sistema politico è ancora quella di essere una
democrazia. Si sono affrettati a riconciliarsi con la scienza, patteggiando
spesso soltanto una resa prematura. Si sono liberati in fretta di qualsiasi cosa
fosse considerata sorpassata o fuori moda, nell’abito come nel credo. Hanno
detto di avere riti vivaci e sermoni allegri; le chiese sono entrate in
competizione con i cinema, sono addirittura diventate dei cinema. Nella sua
forma più moderata tale atteggiamento consiste nel decantare i piaceri
naturali, come il godimento della natura e persino della natura umana. Sono
cose eccellenti e una simile libertà è ottima, eppure ha i suoi limiti.
Non abbiamo bisogno di una religione che sia nel giusto quando anche
noi siamo nel giusto. Quello che ci occorre è una religione che sia nel giusto
quando noi abbiamo torto. Attualmente il problema non è se la religione ci
consenta di essere liberi, bensì (nel migliore dei casi) se la libertà ci consenta
di essere religiosi. Queste persone non fanno altro che prendere lo stato
d’animo moderno, e il molto che ha di piacevole e di anarchico e di
semplicemente noioso e banale, pretendendo poi che ogni credo venga
ridimensionato per adattarsi a quello stato d’animo. Ma lo stato d’animo
esisterebbe anche senza il credo. Dicono di volere una religione sociale,
mentre invece vorrebbero essere sociali senza alcuna religione. Dicono di
volere una religione pratica, mentre vorrebbero essere pratici senza religione.
Dicono di volere una religione accettabile per la scienza, mentre in realtà
accetterebbero la scienza anche se non accettassero la religione. Dicono di
volere una religione così perché loro sono già così. Dicono di volerla, mentre
intendono dire che possono farne a meno.
La faccenda è molto diversa quando una religione, realmente concepita
come legame, lega gli uomini alla loro moralità anche quando non coincide
con il loro stato d’animo. Era molto diverso quando i santi predicavano la
riconciliazione sociale a fazioni feroci e violente che a stento sopportavano di
guardarsi in faccia. Era una cosa ben diversa quando si predicava la carità a
pagani che in realtà non ci credevano, ed è altrettanto diversa adesso che la
castità viene predicata a nuovi pagani che non ci credono. In questi casi si
scopre la vera presa della religione; e sempre in questi casi emerge il trionfo
singolare e solitario della fede cattolica. Non tanto perché ha ragione quando
abbiamo ragione, quanto perché è lieta e piena di speranza e umana. Perché
aveva ragione quando sbagliavamo, e perché questo fatto ci torna addosso
come un boomerang. Una parola che ci dica ciò che non sappiamo pesa più di
un migliaio di parole che ci dicano ciò che già sappiamo. E la cosa è ancor
più sorprendente se oltre a non conoscerla, nemmeno potevamo crederci.
Sembrerà un paradosso dire che la verità ci insegna di più attraverso le parole
che rifiutiamo, che non attraverso quelle che accettiamo. Eppure il paradosso
è una parabola delle più semplici e familiari, e se ne potrebbero fare tanti
esempi. Se un uomo ci dice di evitare i pub, lo giudicheremo un vecchio
noioso anche se magari bene intenzionato. Se ci dice di frequentarli,
riconosciamo che ha una moralità superiore e che presenta un ideale elevato,
ma forse un po’ troppo semplice e ovvio perché sia necessario difenderlo. Ma
se un uomo ci dice di evitare un pub in particolare (quello con l’insegna «The
Pig and Whistle», che si incontra sulla sinistra dopo aver girato all’altezza
dello stagno), l’indicazione può sembrare molto dogmatica e arbitraria, oltre
che argomentata in modo insufficiente. Tuttavia, se dopo esserci precipitati in
quel pub veniamo subito avvelenati con il gin o soffocati in un letto di piume
e derubati dei nostri soldi, riconosciamo che il nostro consigliere in effetti
sapeva il fatto suo e dei pub locali aveva una conoscenza scientifica e
approfondita. A maggior ragione se abbiamo liquidato il suo avvertimento
come una sciocca superstizione, e usciamo mezzi morti dal «Pig and
Whistle». L’avvertimento in sé fa quasi più effetto se non è giustificato dalle
ragioni, ma solo dai risultati. Una cosa arbitraria che sia anche esatta suscita
una grande impressione. Possiamo dimenticare con estrema facilità, persino
nel momento in cui lo mettiamo in pratica, l’avvertimento che ai nostri occhi
era evidentemente sensato. Ma niente eguaglia la nostra profonda e mistica
reverenza per il consiglio che sulle prime abbiamo giudicato privo di senso.
Come si vedrà tra un attimo, non intendo affatto dire che la Chiesa
Cattolica sia arbitraria nel senso che non fornisce mai ragioni; intendo invece
che il convertito è profondamente colpito dal fatto che, anche quando non ne
vedeva la ragione, con il tempo si è reso conto che essa era ragionevole. Ma
c’è qualcosa di ancor più singolare, che sarà bene osservare in quanto parte
dell’esperienza del convertito. In molti casi, di primo acchito egli ha
intravisto le ragioni, pur senza ragionarci sopra; ma poi le ha dimenticate
nell’intervallo in cui la ragione era offuscata dal razionalismo. Non è un
punto facile da spiegare, e per farlo sarò costretto a fare esempi tratti dalla
mia esperienza personale. Voglio dire che spesso all’avvertimento si
accompagna una premonizione; e poi il fatto ci ritorna in mente dopo che
abbiamo ignorato entrambi. Vale la pena sottolinearlo a proposito della
conversione, poiché il convertito è spesso ostacolato dalla diceria che la
Chiesa Cattolica schiaccia la coscienza. La Chiesa non schiaccia la coscienza
dell’uomo. È l’uomo che schiaccia la propria coscienza e poi, quando si è
quasi dimenticato di averla avuta, scopre che essa aveva ragione.
Citerò due esempi presi dai nuovi movimenti: il socialismo e lo
spiritismo. Ora, è innegabile che quando ho iniziato a riflettere seriamente sul
socialismo, ero un socialista. Ma è altrettanto vero, e più importante di quanto
non sembri, che prima di aver sentito parlare del socialismo ero uno strenuo
antisocialista. Ero ciò che nel frattempo è stato definito un distributista,
sebbene allora lo ignorassi. Quando da bambino facevo i soliti sogni su re e
pagliacci e ladri e poliziotti, ero convinto che la contentezza e la dignità
fossero qualcosa di consistente e personale, come essere il re del castello o il
capitano della nave pirata o il proprietario della bottega o il ladro al sicuro
nella caverna. Entrato nell’adolescenza, immaginavo che le battaglie per la
giustizia mirassero a difendere certe mura e certe case e alti santuari indomiti;
e alcune di queste visioni rozze ma colorite le incorporai in una storia
intitolata Il Napoleone di Notting Hill. Tutto questo accadeva, almeno
nell’immaginazione, quando ancora non avevo sentito parlare del socialismo
e dunque ne ero un giudice molto migliore.
L’ombra della prigione iniziò ad avvicinarsi, e allo stesso tempo prese
corpo una discussione puramente materialistica su come avremmo fatto per
evadere. Proprio allora, nell’oscurità della segreta, si udì la voce di Sidney
Webb1 dire che l’unica soluzione per uscire dalla cattività capitalistica era la
chiave Chubb2 del collettivismo. O per usare una metafora più esatta, disse
che potevamo fuggire dalle celle buie e sudicie della schiavitù industriale
solo fondendo tutte le nostre chiavi personali in un’unica chiave gigantesca,
grande quanto un ariete. A dire il vero non ci piaceva affatto rinunciare alle
chiavi private, agli attaccamenti locali o all’amore per le nostre proprietà; ma
eravamo convinti di dover garantire la giustizia sociale, e che si potesse farlo
solo con il socialismo. Pertanto diventai socialista nei tempi lontani della
Fabian Society; e altrettanto credo abbia fatto chiunque altro meriti di essere
ricordato – lo fecero tutti, tranne i cattolici. Ma i cattolici erano un gruppo
insignificante, la feccia di una religione morta, di fatto una superstizione.
All’incirca in quel periodo apparve l’enciclica di papa Leone XIII sulla
questione operaia3; e nessuno nel nostro mondo di bene informati vi fece
molto caso. Sostenendo che il capitalismo «ha imposto alla massa dei
lavoratori un giogo appena migliore della schiavitù», il Papa parlò senz’altro
con la stessa forza di un socialista. Ma poiché il Papa non era un socialista,
era evidente che non aveva letto i libri e gli opuscoli veritieri del socialismo;
e non ci si poteva aspettare che quel vecchio gentiluomo sapesse ciò che ogni
giovane all’epoca sapeva – e cioè che il socialismo era inevitabile. Questo
accadeva molto tempo fa, e attraverso un processo graduale, in gran parte
pratico e politico, che non ho alcuna intenzione di descrivere qui, la maggior
parte di noi iniziò a realizzare che il socialismo non era inevitabile; che non
era davvero popolare; e che non era l’unico modo, e nemmeno quello giusto,
per ripristinare i diritti dei poveri. Si giunse alla conclusione che, per
rimediare alla spartizione della proprietà privata tra pochi, si dovesse
intervenire per darla a tanti; e non fare in modo che fosse tolta a tutti o
affidata all’amministrazione di cari e buoni politici. Oggi, dopo aver appurato
la realtà di questo fatto, guardiamo indietro a Leone XIII e scopriamo nel suo
documento vecchio e datato, a cui all’epoca non avevamo fatto alcun caso,
che allora stava dicendo esattamente ciò che noi diciamo adesso. «Il maggior
numero possibile di esponenti delle classi lavoratrici dovrebbero diventare
proprietari.» Ecco a cosa mi riferisco quando parlo di avvertimenti arbitrari
giustificati. Se il Papa avesse detto esattamente ciò che dicevamo noi e che
noi volevamo dicesse, allora non avrebbe certo avuto la nostra reverenza e in
seguito lo avremmo del tutto rinnegato. Egli avrebbe solo marciato con il
milione di persone che accettava il fabianismo; e marciando con loro, si
sarebbe defilato. Ma poiché vide una distinzione che allora noi non
coglievamo, mentre oggi sì, quella distinzione è decisiva. Segna un
disaccordo più convincente di un centinaio di accordi. Non aveva ragione
quando anche noi avevamo ragione, bensì aveva ragione quando noi eravamo
nel torto.
Il critico superficiale, osservando che non sono più socialista, dirà:
«Certo, ora sei cattolico e non ti è concesso essere socialista». Al che
rispondo con decisione: no. Questo significa non cogliere il punto. La Chiesa
lo aveva previsto, ma è stata comunque un’esperienza mia e non solo un
gesto di obbedienza. Ora sono assolutamente certo, per il semplice fatto di
vivere in questo mondo e di aver conosciuto qualche contadino cattolico e
qualche funzionario collettivista, che per quasi tutti gli uomini sia un evento
più lieto e salutare diventare proprietari che non cedere ogni diritto di
proprietà a quei funzionari. Non condivido l’eccessiva fiducia del socialista
nello stato, ma non perché la mia credulità verso lo stato sia stata sostituita da
quella verso la Chiesa. Se credo meno nello stato, è perché conosco meglio lo
statista. Dopo averla vista, non posso credere che la piccola proprietà sia
impossibile. E dopo aver avuto un saggio dell’amministrazione statale, non
posso credere che sia impeccabile. Quando dico che la sola comunanza dei
beni è una soluzione che semplifica troppo, non rispondo ad alcuna autorità
se non a quella che San Tommaso chiamava l’autorità dei sensi. La Chiesa mi
ha insegnato, ma io non posso cancellare l’insegnamento; ho imparato perché
ho vissuto, e ciò che si vive non si dimentica. Se anche smettessi di essere
cattolico, non potrei tornare a essere comunista.
La mia vicenda con lo spiritismo è stata quasi identica. Anche in questo
caso fui moderno da giovane, ma non quand’ero molto giovane. Fintanto che
su di me aleggiò una vaga ma innocente religiosità infantile, provai solo
ripugnanza per i primi segni di questi fenomeni psichici e psicologici. Non
potevo soffrire il concetto di ipnotismo e i giochetti magnetici con la mente;
detestavo quegli occhi sporgenti, le posture rigide, le trance innaturali e tutti
gli altri trucchi del campionario. Quando vidi una ragazza che ammiravo
mettersi a fissare un cristallo, m’infuriai senza sapere bene il perché. Poi
venne il momento che volli saperlo e, quando esaminai le mie ragioni, scoprii
di non averne. Vidi che la scienza non era coerente se venerava la ricerca e
proibiva la ricerca paranormale. Vidi anche che gli scienziati sempre più
spesso accettavano questo genere di cose, e mi adeguai alla mia epoca
scientifica. Non diventai mai un vero e proprio spiritista, ma in me lo
spiritismo ha quasi sempre trovato un difensore. Feci degli esperimenti con
una tavoletta per sedute spiritiche, e mi convinsi che davvero avvengono cose
che non sono naturali in senso proprio. Per motivi che sarebbe troppo lungo
spiegare, allora sono giunto a pensare che non siano tanto soprannaturali
quanto innaturali e addirittura contro natura. Credo che quegli esperimenti mi
abbiano fatto male, e credo che lo stesso valga per chiunque li compia, ma
l’ho capito molto prima di scoprire la Chiesa Cattolica o la sua visione della
questione. Ma come dicevo, quando la scoprii ne ricavai un’impressione
straordinaria; poiché non si tratta di una religione che era nel giusto quando
io avevo ragione, ma della religione che era nel giusto quando io avevo torto.
A proposito di entrambi questi casi, desidero far notare la falsità di certe
accuse ricorrenti. Non è vero che la Chiesa abbia schiacciato la mia coscienza
naturale, né che mi abbia chiesto di rinunciare al mio ideale personale. Non è
vero che il collettivismo sia mai stato il mio ideale. E non credo che sia mai
stato l’ideale di nessun altro. Non era un ideale, bensì un compromesso; era
una concessione fatta a economisti concreti, i quali ci dissero che non
potevamo impedire la schiavitù se non attraverso qualcosa che le
assomigliava molto. Il socialismo di stato non ci è mai parso naturale; non ci
ha mai convinti di essere naturale; ma ci convinse della sua necessità.
Esattamente nello stesso modo lo spiritismo non è mai stato naturale, ma solo
necessario. Entrambi ci hanno detto di essere l’unica via per raggiungere la
terra promessa, intesa sia come vita futura sia come vita nel futuro. Non
amavamo gli uffici ministeriali, le cartelle e i registri, ma ci dissero che non
c’era altro modo per avere una società migliore. Non amavamo le stanze buie,
i medium sospetti e le signore legate con la corda, ma ci dissero che non c’era
altro modo per avere un mondo migliore. Eravamo disposti a strisciare in un
tubo di scarico statale o in una fogna spiritista, perché era l’unico modo per
migliorare le cose o anche solo per dimostrare che esistevano cose migliori.
Ma nei nostri sogni il tubo di scarico non è mai apparso come una torre
d’avorio o un palazzo d’oro, e nemmeno come la torre dei briganti della
nostra romantica fanciullezza o la casa solida e confortevole della nostra
maturità. La fede non solo era stata vera dall’inizio alla fine, ma lo era stata
rispetto alle cose prime e ultime, ai nostri istinti incontaminati e alla nostra
esperienza conclusiva; e non aveva condannato se non un intervallo di
snobismo intellettuale e di resa alle convinzioni della pedanteria. Non aveva
condannato se non ciò che noi stessi saremmo giunti a condannare, anche se
forse troppo tardi.
La Chiesa pertanto non ha mai impedito il mio ideale personale; sarebbe
più esatto dire che fu la prima a renderlo possibile. La mia disposizione
innata era molto più prossima all’ideale dell’enciclica che non a quello con
cui avevo accettato di sostituirlo. Il sospetto con cui il cattolicesimo guarda ai
rumori prodotti sul tavolino di una seduta spiritica è molto più simile al mio
sospetto originario che non alla mia successiva resa. Ma in questi due casi è
senz’altro chiaro che la Chiesa Cattolica riveste esattamente il ruolo che
sostiene di svolgere: quello di qualcosa che sa ciò che non ci si può aspettare
che sappiamo, ma che probabilmente accetteremmo se lo sapessimo davvero.
Anche stavolta, come in quasi tutto il saggio, non mi riferisco alle cose che
più vale la pena di sapere. Le verità soprannaturali sono legate al mistero
della Grazia e sono una questione per teologi, a dire il vero alquanto delicata
e difficile persino per loro. Ma sebbene siano le più importanti, le verità
trascendentali non sono le migliori per illustrare questo particolare punto, che
riguarda decisioni più o meno verificabili con l’esperienza. E di tutte le cose
che trovano un riscontro nell’esperienza potrei raccontare la stessa storia: ci
fu un tempo in cui pensavo che la dottrina cattolica non avesse significato;
ma persino quella non fu la primissima fase, poiché l’aveva preceduta
un’epoca di maggiore semplicità, in cui avevo confusamente intravisto il suo
significato sebbene non avessi mai nemmeno sentito parlare della dottrina. Il
mondo mi ingannava, e ogni volta la Chiesa mi avrebbe disingannato. Ciò di
cui l’uomo può veramente disfarsi, come di una superstizione, è la figura
passeggera di questo mondo4.
Potrei fare molti altri esempi, ma temo che avrebbero inevitabilmente un
carattere egotistico. In tutto questo breve saggio devo confrontarmi con una
duplice difficoltà: tutte le strade portano a Roma, ma ogni pellegrino è tentato
di parlare come se tutte le strade fossero identiche alla sua. Potrei scrivere
parecchio, per esempio, sul mio primo cimentarmi con il dilemma alquanto
ridicolo che mi fu posto in giovinezza, e cioè la scelta tra ottimismo e
pessimismo. Rifiutai subito e del tutto di essere un pessimista, perciò presi
l’abitudine di definirmi ottimista. Ora non mi definirei né in un modo né
nell’altro e, cosa più importante, vedo che entrambe le definizioni non
mancano di virtù. Tuttavia, la virtù è ingarbugliata; e penso che una verità più
antica e più semplice possa scioglierne il groviglio. Ma il punto della
faccenda è questo: quando ancora non avevo mai nemmeno sentito parlare di
ottimisti e pessimisti, ero molto più simile a ciò che sono ora di quanto non
venga contemplato nell’una o nell’altra di queste due definizioni pedanti.
Nella mia infanzia davo per scontato che l’allegria fosse una bella cosa, ma
anche che fosse un male non protestare contro le cose che non vanno bene.
Dopo una parentesi di formalismo intellettuale e di falsa antitesi, sono
nuovamente in grado di pensare ciò che allora potevo solo sentire. Ma ho
capito che la protesta può elevarsi fino a diventare un’indignazione molto più
divina e che l’allegria è solo la debole ombra di una gioia molto più divina.
Non ho scoperto di aver avuto torto, bensì che avevo ragione.
In questo troviamo l’esempio supremo dell’eccezione che conferma la
regola. E la regola, che ho tracciato a grandi linee nel capitolo precedente, è
questa: la filosofia cattolica è una filosofia universale che ovunque risulta
adatta alla natura umana e alla natura delle cose. Ma anche quando non si
addice alla natura umana, nel lungo termine risulta favorire qualcosa di
ancora più adatto. In genere va bene per noi, ma quando ciò non avviene
impariamo noi ad andarle bene, purché siamo abbastanza vivi da imparare
qualcosa. Nei rari casi in cui un uomo di senno può veramente dire che questa
filosofia trascende la sua intelligenza, di solito si scoprirà che è vera, non solo
perché corrisponde alla verità, ma addirittura alla sua più profonda intuizione
della verità. L’istruzione non termina con la conversione, al contrario
comincia solo allora. Non si smette di studiare perché si è giunti alla
convinzione che valga la pena studiare certe cose; e tra queste non solo i
valori, ma persino i divieti dell’ortodossia. Per quanto strano, il frutto
proibito è spesso più fecondo di quello a cui si può accedere liberamente. È
più fecondo perché si trova al centro di un affascinante studio botanico sul
perché sia in realtà velenoso. A titolo di esempio, dirò che tutte le persone
sane di mente possiedono un’avversione istintiva per l’usura; e che la Chiesa
non ha fatto che rafforzarla. Ma imparare a definire l’usura, studiare che
cos’è e argomentare perché sia sbagliata, equivale ad avere un’istruzione
liberale, non solo in economia politica ma anche nella filosofia di Aristotele e
nella storia dei Concili Lateranensi5. I consigli puramente umani che la
Chiesa dispensa all’umanità sottendono quasi sempre una ragione umana; e
scoprire il principio che si nasconde dietro di essi è, tra l’altro, uno dei piaceri
intellettuali più intensi. In ogni caso resta il fatto che nel complesso la Chiesa
ha ragione a essere tollerante; ma anche quando dà prova di intolleranza, ha
più che mai ragione ed è più che mai ragionevole. Adamo viveva in un
giardino dove gli erano concesse mille grazie; ma l’unica proibizione era la
grazia più grande.
Allo stesso modo, il convertito, o a maggior ragione il semiconvertito,
affronterà qualsiasi cosa gli sembri accusare di falsità il sistema cattolico; e se
l’affronta abbastanza a lungo, probabilmente scoprirà che è invece la verità
più grande. Io stesso l’ho scoperto nella logica del libero arbitrio,
estremizzata negli angeli caduti e nella possibilità della perdizione. Simili
cose vanno ben oltre la mia immaginazione, ma nella mia ragione è lì che i
fili della logica si dirigono. In effetti, posso giustificare l’intera teologia
cattolica a patto che mi venga concesso di cominciare dalla sacralità e dal
valore supremo di due cose: Ragione e Libertà. Il fatto che la maggioranza
delle persone ritenga siano queste le due cose proibite ai cattolici, è
un’osservazione illuminante sull’attuale propaganda anticattolica.
Ma il modo migliore per esprimere ciò che intendo è ripetere quanto ho
già detto sulla soddisfacente estensione dell’universalità cattolica. Non so
illustrare questi fondamenti teologici, né ho l’autorità o le conoscenze per
farlo. Tuttavia, ecco come mi pongo la questione: ammesso che fossi così
miserabile da perdere la fede, potrei tornare a quella carità da quattro soldi e a
quel rozzo ottimismo in base al quale ogni peccato è un errore frutto della
distrazione o dell’ignoranza, e il male non può trionfare o addirittura non
esiste? In quelle cappelle piene di cuscini non potrei fare ritorno più di quanto
un uomo che abbia riacquistato il senno avrebbe desiderio di tornare in una
cella imbottita. Potrei smettere di credere in Dio; ma non potrei smettere di
pensare che un Dio, il quale ha creato liberi gli uomini e gli angeli, sia meglio
di quello che li ha costretti alla comodità. Potrei smettere di credere in una
qualsiasi vita futura, ma non potrei smettere di pensare che una dottrina per la
quale siamo noi a scegliere e costruire la nostra vita futura sia migliore di
quella che ce la offre già attrezzata come un hôtel – dove siamo condotti a
bordo di un omnibus celeste, obbligatorio quanto una Maria Nera6. So che il
cattolicesimo è troppo grande per me, e che ancora non ho esplorato le sue
meravigliose e terribili verità. Ma so anche che l’universalismo mi va stretto;
e che non potrei tornare a strisciare in quella sicurezza monotona, dopo aver
contemplato la visione vertiginosa della libertà.

1 Sidney Webb (1859-1947) fu tra i fondatori della Fabian Society, un’organizzazione nata
nel 1884 con l’obiettivo di diffondere il socialismo in Inghilterra attraverso mezzi
parlamentari non rivoluzionari.
2 Si tratta della chiave che si usa con la serratura omonima inventata dall’inglese John

Chubb.
3 Leone XIII fu pontefice dal 1878 al 1903. Nella sua enciclica del 1891 sulla questione

operaia (Rerum novarum), egli sosteneva i diritti dei lavoratori, chiedeva salari equi e
difendeva i sindacati.
4 Rimando a 1Co 7,31 [N.d.T.].
5 I Concili Lateranensi sono i cinque concili ecumenici della Chiesa svoltisi a Roma, presso

San Giovanni in Laterano, tra il 1123 e il 1512.


6 I Black Maria erano furgoni cellulari della polizia inglese usati per il trasporto dei

prigionieri.
Capitolo 6

Una nota sulle prospettive attuali

Rileggendo questi appunti, trovo che siano troppo personali; eppure non
so immaginare come si possa illustrare altrimenti un qualsiasi concetto della
conversione. Non pretendo di avere particolari conoscenze sulle effettive
condizioni e valutazioni del movimento cattolico in questo momento, e credo
che nessuno abbia la minima idea di come sarà in futuro. Di solito le
statistiche sono fuorvianti e le previsioni quasi sempre false. Tuttavia, rimane
il cosiddetto buon senso, anche se sotto forma di una debole tradizione; e
fintanto che ne rimarrà un barlume, nonostante il giornalismo e l’istruzione di
stato, sarà possibile riconoscere ciò che definiamo una realtà. Solo chi è
uscito di senno negherà che al momento la conversione è una realtà.
Sappiamo tutti che la nostra cerchia sociale – la quale ancora cinquant’anni fa
era una roccaforte del protestantesimo, magari in una fase di irrigidimento
che lo avrebbe portato verso il razionalismo o l’indifferenza, ma in modo
graduale e senza sconvolgimenti consapevoli – proprio negli ultimi tempi ha
evidenziato una curiosa tendenza a lievi cedimenti improvvisi, in punti dove
non sarebbe stato possibile prevederli; e così ha scavato grandi buchi in quel
solido terreno, lasciando divampare le fiamme di un vulcano che si credeva
ormai estinto. Nell’esperienza di tutti, indipendentemente dal fatto che ci
rendano tristi, lieti, furiosi o solo indifferenti, queste conversioni sembrano
verificarsi in maniera spontanea nei luoghi più curiosi e in apparenza più
casuali: la moglie di Tom, il fratello di Harry, la cognata stramba di Fanny,
che un tempo faceva teatro, e lo zio eccentrico di Sam, che ha studiato
strategia militare – all’improvviso veniamo a sapere che ciascuna di queste
anime isolate è uscita dal suo isolamento. Ora è un tutt’uno con le anime
militanti e trionfanti.
A queste cose (che sappiamo essere fatti e che non leggiamo come
semplici statistiche), per la verità qualcosa da contrapporre c’è. Si tratta di ciò
che comunemente prende il nome di fuga; e terminerò queste pagine con un
paragrafo in merito. Padre Ronald Knox1, con una felicità di espressione così
arguta da sembrare quasi un colpo di fortuna, ha osservato che la Chiesa
Cattolica deve andare avanti, con le buone o con le cattive. Vale a dire con le
buone maniere del pescatore o quelle cattive del pastore: il pescatore deve
prendere il convertito e il pastore deve tenerlo. A questo proposito Knox ha
detto che le conversioni al cattolicesimo sono così numerose da risultare
palesi e travolgenti, come un moto franoso; se non fosse che a livello
puramente numerico vengono compensate, o meglio ridotte, da una serie di
defezioni verso altri lidi. La prima cosa da capire è che i lidi a cui approdano
i disertori sono completamente diversi. Alcuni, soprattutto i giovani,
abbandonano la pratica cattolica. Ma nessuno l’abbandona per il
protestantesimo. La verità è che tutti la lasciano per il paganesimo. La
maggior parte la sostituisce con qualcosa di veramente troppo semplice
perché possa rientrare nella definizione di un qualsiasi ismo. Disertano in
cambio di cose, non di teorie; e quando hanno delle teorie si tratta magari del
bolscevismo o del futurismo, ma quasi mai della teologia protestante. Non
dirò che lasciano il cattolicesimo per la birra e per il gioco dei birilli; poiché
il cattolicesimo non ha mai scoraggiato queste istituzioni cristiane, a
differenza del protestantesimo. Il motivo di questo abbandono è che vogliono
darsi alla pazza gioia; e visto il pasticcio che abbiamo fatto della moralità
moderna, si può a stento biasimarli. Ma questa reazione, che interessa solo un
settore, è per sua natura una reazione giovanile e, come tale, non credo
durerà. La vecchia cantilena razionalista sostiene che è la ragione a impedire
il ritorno dei giovani alla fede, ma è falso: non si tratta più della ragione,
quanto piuttosto della passione.
Potrà sembrare un’affermazione generica, ma una volta esaminata non
risulterà ingiusta e certo non priva di comprensione. Se davvero studiamo le
caratteristiche della generazione emergente, niente risalta più del fatto che i
giovani non agiscono sulla base di una filosofia precisa e definita, come
quelle che diedero vita alle rivoluzioni del passato. Se sono anarcoidi, non
sono anarchici. L’anarchismo dogmatico diffuso verso la metà del XIX
secolo non è il loro credo, e nemmeno lo propongono come scusa. La loro è
una straordinaria rivolta negativa contro la religione, una rivolta negativa
contro la moralità negativa. I giovani hanno la sensazione, per altro non
irragionevole, che la cittadinanza cattolica comporti delle responsabilità e che
queste responsabilità agiscano senza sosta come un limite. Tuttavia, non
sostengono affatto un sistema contrario di cittadinanza spirituale o di
responsabilità morale. Per esempio, è perfettamente naturale che vogliano
agire secondo natura. Ma non vogliono agire in maniera naturale perché
motivati da una teoria intellettuale che sostiene l’affidabilità della natura. Al
contrario, i loro brillanti uomini di lettere hanno la tendenza a sbatterci in
faccia la crudezza e la ferocia della natura. Questa è la morale di Aldous
Huxley e di tanti altri. Enunciate loro qualsiasi dottrina ben fondata sui diritti
supremi che la natura esercita su di noi – per esempio l’idea panteistica della
presenza di Dio in tutte le cose naturali; o la teoria nietzschiana in base alla
quale la natura si sta evolvendo secondo un fine superiore al nostro; o
qualsiasi altra difesa del processo naturale che possa essere racchiusa in una
definizione –, e quasi certamente la rifiuteranno come qualcosa di non
provato o screditato. Non vogliono un’imitazione esatta delle leggi
dell’universo fisico: vogliono fare a modo loro, un desiderio molto più
comprensibile. Ma il risultato è che, dopotutto, si trovano in una posizione di
svantaggio rispetto agli altri giovani, i quali hanno soddisfatto la propria
ragione con un sistema che rende l’universo ragionevole.
Questa è la spiegazione oltremodo semplice della questione. Nella misura
in cui tra i giovani è davvero in atto una secessione, non si tratta che di una
parte dello stesso processo di conversione dei giovani, argomento di cui ho
scritto nel primo capitolo. La generazione emergente riconosce il vero
problema; e quelli che sono pronti ad affrontarlo si radunano, mentre quelli
che invece non lo sono si disperdono. Ma l’esito di una guerra tra un esercito
compatto e un esercito disperso non può che essere uno. Non è una
controversia tra due filosofie, come quella tra cattolici e calvinisti, o quella
tra cattolici e materialisti. È una controversia tra filosofi e libertini. Non lo
dico con disprezzo: infatti, approvo molto di più chi lascia la Chiesa per
un’avventura amorosa di chi l’abbandona in cambio di una prolissa teoria
tedesca, tesa a dimostrare che Dio è il male o che i bambini sono scimmie
morbose. Ma le stesse leggi della vita si oppongono al perdurare di una
rivolta che si basa unicamente sulle passioni naturali: con l’arrivo
dell’esperienza, sarà destinata a cambiare proporzioni e, nel peggiore dei casi,
si risolverà in una battaglia tra buoni e cattivi cattolici – tutti raccolti sotto la
stessa grande cupola.

1 Monsignor Ronald Knox (1888-1957) fu uno dei più famosi convertiti anglicani al
cattolicesimo nell’Inghilterra del XX secolo. Cappellano cattolico all’Università di Oxford
(1926-1939), firmò una nuova traduzione della Vulgata, scrisse gialli e divenne uno degli
apologeti cattolici più eloquenti d’Inghilterra.
Nota biobibliografica

Gilbert Keith Chesterton nasce il 29 maggio 1874 a Kensington. Una vita


immeritatamente felice, dirà egli stesso, e immensamente prolifica, diciamo noi, uno spreco
d’arte e di genio, dirà Emilio Cecchi, il suo mentore in Italia, che ce lo presenta
(giustamente) così: «Padre della Chiesa, obbligato dalle necessità dei tempi e del
ministerio, a predicare in stile burlesco alle turbe degli scettici e dei gaudenti». Siamo alla
presenza di una personalità frizzante, amabilmente polemica, umoristica e gioiosa.
Eccezionale.
Figlio di Edward, agente immobiliare, e di Marie Louise Grosjean (madre scozzese,
padre svizzero predicatore calvinista), Chesterton visse l’infanzia in allegria nell’affetto
della sua famiglia, assieme al fratello Cecil, più giovane di cinque anni. Iniziò a scrivere
molto presto; da bambino non ancora decenne tentava di imitare uno dei suoi maggiori
ispiratori, George MacDonald. Forte in lui sin da piccolo il senso della meraviglia e il gusto
delle favole. La prima palestra fu «The Debater», il giornale del Junior Debating Club, che
contribuì a fondare e su cui riporrà tante speranze. Chiuderà nel 1893, anno in cui i membri
del club partono per l’università. Questa e altre vicissitudini, unite al clima decadente
dell’epoca, saranno la causa di quel periodo oscuro della sua vita in cui sfiorò anche la più
insana delle idee e da cui uscì grazie a buone letture e al non voler rinunciare alla speranza
di cui fu piena la sua infanzia. Scopre quindi la sua vocazione per la scrittura. Nel 1900
padre Edward («Mr Ed», per gli amici, che gli trasmise il gusto dell’arte e della letteratura,
oltre a quello del gioco) fa pubblicare le raccolte di poesie Greybeards at play e The Wild
Knight. Nel 1899 inizia la collaborazione a «The Speaker».
Nel 1901 sposa l’amatissima Frances Blogg e inizia a collaborare col «Daily News»
fino al 1913, anno dello «scandalo Marconi». In contemporanea vede la luce The
Defendant, in Italia Il bello del brutto, raccolta degli articoli usciti su «The Speaker». I
lettori iniziano a chiedersi chi sia la penna brillante che si cela dietro la sigla GKC.
Nel l902 appare Twelve Types, altra raccolta di articoli, e la biografia di Browning.
Questa e simili opere non si caratterizzano per il lato strettamente biografico (anzi, era il
lato temibile di Chesterton per gli editori; ammetteva di essere poco preciso sulle date
come sulle citazioni degli autori interessati, che riportava a memoria), ma per la profonda
penetrazione dell’autore e dell’argomento. Scriverà di Tolstoj, Tennyson, Thackeray
(1903), Watts (1904), Dickens (1906 e 1911), Blake (1910), Cobbett (1925), Stevenson
(1902 e 1927), Chaucer (1932). Si può affermare altrettanto delle due agiografie, il San
Francesco d’Assisi (1923) e il San Tommaso d’Aquino (1933), che gli valse il titolo di
«genio» da Etienne Gilson, uno dei massimi esperti del pensiero tomista.
Il 1903 è l’anno del passo deciso verso la difesa del cristianesimo, con la Blatchford
Controversy. Esce il primo romanzo, Il Napoleone di Notting Hill, pieno di amore per le
piccole patrie e della questione anglo-boera in cui si impegna con l’amico di una vita
Hilaire Belloc. Dal 1905 collabora con «The Illustrated London News», scrive Il club dei
mestieri stravaganti e la raccolta di saggi a tesi Eretici, prodromo e causa di Ortodossia.
Gli anni dal 1906 al 1909 sono quelli delle polemiche culturali con G.B. Shaw e H.G.
Wells. Nel 1908 raggiunge la maturità e la massima chiarezza sulla sua vita: è l’anno de
L’uomo che fu Giovedì e del suo capolavoro, Ortodossia; padre Ian Boyd le definisce «due
delle sue autobiografie», l’una romanzata e l’altra filosofica. Nel 1909 esce il saggio su
Shaw, nel 1910 La Sfera e la Croce e What’s Wrong with the World. Il 1911 è l’anno di
nascita di padre Brown, certo la sua creatura più famosa (nel 1970 arriverà con grande
successo anche sul piccolo schermo italiano), che vedrà il piccolo prete cattolico
protagonista di una serie di gialli di grande successo e spessore: L’innocenza di padre
Brown (1911), La saggezza di padre Brown (1914), L’incredulità di padre Brown (1926),
Il segreto di padre Brown (1927), Lo scandalo di padre Brown (1935). Non è altro che la
versione romanzata del prete irlandese (quello sì, vero, acuto e fondamentale nella vita di
Gilbert e Frances) padre John O’Connor, uno degli artefici della sua conversione. Coeva è
La Ballata del Cavallo Bianco, notevole opera di tono epico, e l’inizio della cooperazione
col fratello Cecil al giornale «The Eye Witness» che successivamente prenderà in carico
(dopo la morte del fratello in guerra) cambiandogli nome in «The New Witness». Nel 1912
esce lo stupendo Uomovivo, programma di vita spirituale chestertoniana.
Scriverà anche delle commedie: è del 1913 Magic, seguita da Il giudizio del dottor
Johnson, del 1927. Sempre del 1913 è L’età vittoriana in letteratura, pregevole saggio
sulla scia delle biografie. Il 1914 è l’anno della grande malattia che lo porterà quasi alla
morte, con enorme sconcerto di tutta l’Inghilterra che lo amava sinceramente. Compaiono
L’osteria volante e Berlino barbara. Al momento della sua ripresa dalla malattia
pubblicherà Poems e Wine Water and Songs (queste ultime canzoni e ballate di cui è ricco
L’osteria volante), e un saggio, The Crimes of England. Nel 1917 torna su argomenti
storico-politici con Una breve storia d’Inghilterra e L’utopia degli usurai. Irish
Impressions del 1919 è il resoconto del viaggio in Irlanda, paese molto amato; il viaggio in
Palestina dello stesso anno provocherà The New Jerusalem del 192l. Altro diario di viaggio
sui generis sarà What I Saw in America (1922) che racconterà della (trionfale) tournée negli
Stati Uniti. Nel 1922 viene accolto nella Chiesa Cattolica, circondato dagli amici padre
Vincent McNabb, padre John O’Connor, Hilaire Belloc, seguito due anni dopo dalla
moglie. Nello stesso anno dà alle stampe Eugenetica e altri mali, critica all’eugenetica
postdarwinista. Nel 1925 dà vita al «G.K.’s Weekly», il suo giornale, oltre che organo
ufficioso della Lega Distributista. Esce inoltre L’uomo eterno: ciò che Chesterton dice a
proposito della fede cristiana per l’uomo in Ortodossia, vale per la società in L’uomo
eterno. Se Ortodossia fu la risposta a G.S. Street (alla cui provocazione dobbiamo l’opera),
L’uomo eterno lo fu al darwinismo storico di H.G. Wells.
Nel 1927, anno della visita in Polonia, Chesterton accenna alla sua conversione in The
Catholic Church and Conversion. Del 1929 sono il romanzo Il poeta e i pazzi e The Thing,
altra opera riguardante la Chiesa. Nel 1930 esce La resurrezione di Roma, frutto di uno dei
viaggi in Italia. Postuma (seppure del 1936) la sua magistrale Autobiografia, come pure I
paradossi di mister Pond del 1937. Muore il 14 giugno 1936 a Beaconsfield circondato
dalla moglie, dalla fedele segretaria Dorothy Collins e dagli amici. È sepolto nella sua
cittadina nel piccolo cimitero attiguo alla parrocchia cattolica di Santa Teresa del Bambin
Gesù, quella parrocchia che contribuì a edificare e a fare bella. Con lui riposano la moglie e
Dorothy Collins.
Opere di Chesterton

Legenda

p = opere poetiche
s = saggi e raccolte di saggi
f = romanzi e fiction
t = opere teatrali

A sinistra compare l’anno della prima pubblicazione, tra parentesi il titolo delle opere
pubblicate in italiano, siano esse attualmente edite che non più in commercio.

1900 The Wild Knight (p)

1901 The Defendant [Il bello del brutto] (s)

1902 R.L. Stevenson (s)


Thomas Carlyle (s)
Twelve Types (s)

1903 Lev Tolstoj (s)


Robert Browning (s)
Simplicity and Tolstoj (s)
Tennyson (s)
Thackeray (s)

1904 G.F. Watts (s)

1905 Heretics [Eretici] (s)


The Napoleon of Notting Hill [Il Napoleone di Notting Hill] (f)
The Club of the Queer Trades [Il club dei mestieri stravaganti] (f)

1906 Charles Dickens (s)

1908 All Things Considered (s)


Orthodoxy [Ortodossia] (s)
The Man who was Thursday [L’uomo che fu Giovedì] (f)
Varied Types (s)
1909 G.B. Shaw (s)
Tremendous Trifles (s)
The Ball and the Cross [La sfera e la croce] (f)

1910 Alarms and Discursions (s)


William Blake (s)
Five Types (s)
What’s Wrong with the World (s)

1911 Appreciations and Criticism of the Works of Charles Dickens (s)


The Ballad of the White Horse [La ballata del cavallo bianco] (p)
The Innocence of Father Brown [L’innocenza di padre Brown] (f)

1912 A Miscellany of Men (s)


Manalive [Uomovivo] (f)

1913 The Victorian Age in Literature [L’età vittoriana in letteratura] (s)


Magic [Magica] (t)

1914 The Barbarism of Berlin [Berlino barbara] (s)


The Flying Inn [L’osteria volante] (f)
The Wisdom of Father Brown [La saggezza di padre Brown] (f)

1915 Poems (p)


Wine, Water and Song (p)
The Appetite of Tyranny (s)
The Crimes of England (s)

1916 Divorce vs. Democracy (s)

1917 A Short History of England [Una breve storia d’Inghilterra] (s)


Lord Kitchener (s)
Utopia of the Usurers [L’utopia degli usurai] (s)

1918 How to Help Annexation (s)

1919 Irish Impressions (s)

1920 Charles Dickens: Fifty Years after (s)


The Superstition of Divorce (s)
The New Jerusalem (s)

1922 The Ballad of Santa Barbara (p)


Eugenics and Other Evils [Eugenetica e altri malanni] (s)
What I Saw in America (s)
The Man Who Knew too much [L’uomo che sapeva troppo] (f)

1923 The Uses of Diversity (s)


Fancies versus Fads (s)
St. Francis of Assisi [San Francesco d’Assisi] (s)

1924 William Cobbett (s)


The End of the Roman Road (s)

1925 The Everlasting Man [L’uomo eterno] (s)


The Superstition of the Sceptic (s)
Tales of the Long Bow (f)

1926 The Queen of the Seven Swords (p)


The Outline of Sanity (s)
The Incredulity of Father Brown [L’incredulità di padre Brown] (f)

1927 Collected Poems (p)


Gloria in Profundis (p)
Robert Louis Stevenson (s)
The Catholic Church and Conversion
[La Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento]
(s)
The Judgement of Doctor Johnson (t)
The Secret of Father Brown [Il segreto di padre Brown] (f)
The Return of Don Quixote (f)
Social Reform vs. Birth Control (s)
Culture and the Coming Peril (s)

1928 Generally Speaking (s)


Do We Agree? (s)

1929 Ubi Ecclesia (p)


The Poet and the Lunatics [Il poeta e i pazzi] (f)
Father Brown Omnibus (f)
The Thing: Why I Am Catholic [La Chiesa viva] (s)
G.K.C. as M.C. (s)
1930 The Grave of Arthur (p)
Collected Poems (p)
Come to Think of It (s)
The Resurrection of Rome [La resurrezione di Roma] (s)
Four Faultless Felons (f)
The Turkey and the Turk (t)

1931 All is Grist (s)

1932 Chaucer (s)


Christendom in Dublin (s)
Sidelights on New London and the Newer York (s)

1933 St. Thomas Aquinas [San Tommaso d’Aquino] (s)


All I Survey (s)

1934 Avowals and Denials (s)

1935 The Way of the Cross (s)


The Well and the Shallows (s)
The Scandal of Father Brown [Lo scandalo di padre Brown] (f)

1936 As I Was Saying (s)


Autobiography [Autobiografia] (s)

Opere postume

1937 The Paradoxes of Mr Pond [I paradossi di Mr


Pond]

1938 The Coloured Lands

1940 The End of the Armistice

1950 The Common Man

1952 The Surprise

1953 A Handful of Authors


1955 The Glass Walking-Stick

1958 Lunacy and Letters

1965 The Spice of Life

1972 Chesterton on Shakespeare

1975 The Apostle and the Wild Ducks

1984 The Spirit of Christmas

1986 Daylight and Nightmare

1990 Brave New Family

1997 Platitudes Undone

2000 On Lying in Bed and Other Essays

2001 Basil Howe

Circa un quarto dei saggi scritti da Chesterton per l’«Illustrated London News» dal
1905 al 1936 sono contenuti in alcune delle raccolte sopra elencate.
In realtà Chesterton scrisse migliaia di saggi che non sono mai stati raccolti (si
consideri che collaborò stabilmente per anni con testate come il «Daily News», «The
Speaker», «The Daily Telegraph» e tante altre, fu una delle menti dell’«Eye Witness»
diretto da suo fratello Cecil, diresse «The New Witness» e «G.K.’s Weekly», scrisse per
decine di altre testate americane ed europee, incluse «La Ronda» e «Il Frontespizio» in
Italia).
In buona sostanza si tratta di un’opera immensa e difficile da padroneggiare nella sua
interezza, di cui Emilio Cecchi disse: «Uno spreco d’arte e di genio».

In Italia Chesterton è stato pubblicato sin dagli anni ’10 del XX secolo grazie a Emilio
Cecchi, che lo tradusse per primo e lo rese noto al grande pubblico, intervistandolo e
incontrandolo almeno tre volte. Lo tradussero anche Alberto Castelli e Gian Dauli. Esiste
una sua biografia in italiano di Paolo Gulisano, Chesterton e Belloc. Apologia e profezia,
Ancora, Milano 2002. Resta ancora molto da fare per far conoscere questo genio.
Indice

Prefazione all’edizione italiana, di Marco Sermarini

LA CHIESA CATTOLICA
1. Introduzione. Una religione nuova
2. Gli errori palesi
3. I veri ostacoli
4. Il mondo alla rovescia
5. L’eccezione conferma la regola
6. Una nota sulle prospettive attuali

Nota biobibliografica
Opere di Chesterton
I Pellicani

GILBERT K. CHESTERTON
San Francesco d’Assisi
pp. 168, € 14,00, ISBN 978-88-7180-725-6

Convertitosi al cattolicesimo nel 1922, Chesterton pubblicò questo «bozzetto» su san


Francesco nel 1923, come se dalla conversione del santo di Assisi traesse uno
spirituale alimento per la propria.
Per Chesterton san Francesco era soprattutto un uomo innamorato di Dio e della
Creazione, un poeta che si sentiva piccolo e cantava la gloria delle piccole cose, dei
piccoli esseri viventi, della vita ordinaria di coloro che aiutava nella lotta contro la
miseria. Dai folli gesti di carità compiuti quando era ancora il figlio di un mercante al
rifiuto del mondo e alla creazione di un ordine e di una regola che davvero imitavano
la vita di Cristo, alle stigmate ricevute sul monte Alverno, e fino alla morte, ogni
passo del suo cammino su questa terra era rivolto al cielo. Un amore così grande e
appassionato, una mistica così semplice e assoluta appaiono «scandalose» alla
mentalità moderna. Ma è proprio essa che Chesterton vuole scuotere in queste
pagine, cercando di aiutarla, con la consueta ironia, a compiere il movimento di
rivoluzione interiore che fece del piccolo Francesco Bernardone il grande san
Francesco.

«Era un trovatore spinto fino al limite del parossismo ascetico. Era un innamorato.
Era innamorato di Dio ed era veramente e profondamente innamorato degli uomini;
il che probabilmente è una vocazione mistica molto più rara.»
G. K. Chesterton

Disponibile sul sito www.lindau.it e nelle migliori librerie


I Pellicani

GILBERT K. CHESTERTON
San Tommaso d’Aquino
pp. 208, € 16,50, ISBN 978-88-7180-768-3

San Tommaso d’Aquino (1225-1274) è uno dei pilastri del pensiero cristiano. La sua
opera raccorda e armonizza il messaggio evangelico e la filosofia classica, la fede e
la ragione. Eppure, scrive Chesterton, «questo grande personaggio meriterebbe di
essere più conosciuto». E proprio intorno alla sua personalità ruota questa celebre
biografia, a giudizio di molti tomisti, in primis Jacques Maritain e Anton C. Pegis, la
migliore. Chesterton rievoca con la consueta ironia e sagacia le principali tappe della
vita di Tommaso: la decisione giovanile di diventare frate mendicante del nuovo
ordine fondato dallo spagnolo Domenico, strenuamente combattuta dalla sua ricca e
potente famiglia che avrebbe voluto per lui ben altri onori; gli studi a Colonia sotto la
guida sapiente di Alberto Magno – il filosofo e teologo tedesco che cercò di
conciliare il cristianesimo con l’aristotelismo e che tanto lo influenzò –; l’approdo a
Parigi e all’insegnamento universitario; infine il ritorno in Italia, la stesura della
Summa Theologiae e la morte nell’abbazia cistercense di Fossanova, nei pressi di
Latina.

Disponibile sul sito www.lindau.it e nelle migliori librerie


I Pellicani

Abbé Pierre, In cammino verso l’essenziale. Un appello ai giovani


Jacques Arnould, Teilhard de Chardin. Eretico o profeta?
Hélène e Jean Bastaire, Per un’ecologia cristiana
Matthieu Baumier, Antitrattato di ateologia
Georges Berson, Con san Giacomo a Compostela
Henri Brunel, Piccola introduzione alla vita monastica
Stratford Caldecott, Il fuoco segreto. La ricerca spirituale di J.R.R. Tolkien
Rino Cammilleri, Antidoti. Contro i veleni della cultura contemporanea
Rino Cammilleri, Dio è cattolico?
Jean-Pierre e Rachel Cartier, Thich Nhat Hanh. La felicità della Piena Consapevolezza
Gilbert K. Chesterton, San Francesco d’Assisi
Gilbert K. Chesterton, San Tommaso d’Aquino
Yves Chiron, Inchiesta sui miracoli di Lourdes
Yves Chiron, Paolo VI. Un papa nella bufera
Graciela N. V. Corvalán, Conversazioni con Castaneda
Marie De Hennezel, Morire a occhi aperti
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Lorenzo Fazzini, Nuovi cristiani d’Europa. Dieci storie di conversione tra fede e ragione
Jim Forest, Vita di Thomas Merton
Jean-Claude Guillebaud, Come sono ridiventato cristiano
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