LA CULTURA RUSSA E L’EMIGRAZIONE - Marc Raeff
Dopo la presa del potere dei bolscevichi e lo scoppio della Prima guerra mondiale, centinaia di migliaia di
russi e emigrarono dalla madrepatria. Non era la prima volta che l’Europa assisteva all’emigrazione di gruppi
di una nazione: espulsione degli ugonotti dalla Francia nel XVII secolo, la grande emigrazione dei polacchi
dopo l’insurrezione del 1831, liberali e ebrei costretti a fuggire dall’Italia fascista, dalla Germania nazista e
dai regimi dittatoriali. Nonostante le analogie, le differenze sono profonde perché gli ugonotti lasciarono la
Francia senza grandi speranze di tornare e si assimilarono rapidamente alla società di esilio. Più simile
all’emigrazione russa fu la grande emigrazione polacca che coinvolse gli esponenti di più strati sociali, ma
soprattutto la nobiltà ed esponenti dell’Élite culturale. I rifugiati polacchi però non si amalgamarono
facilmente con la società e la cultura che li ospitava. Questa migrazione polacca però fu più limitata di quella
russa, meno varia sul piano sociologico e meno dispersa geograficamente. Per quanto riguarda le emigrazioni
politiche razziali degli anni 30, esse furono diverse: costituite da un numero elevato di esponenti dell’Élite
intellettuale, nella stragrande maggioranza dei casi questi emigrati trovarono rifugio in colonie (Stati Uniti,
Canada, Argentina, Australia) e si integrarono al modello multietnico e multiculturale di quei paesi. Coloro
che furono incapaci di integrarsi ebbero la possibilità di tornare in patria.
Tratti distintivi dell’immigrazione russa:
1. Molto numerosa
2. Con un’alta percentuale di esponenti legati all’ambito culturale
3. Vide sé stessa come un’estensione della Russia, sia storicamente che geograficamente
4. Mantenne stretti legami fra i vari centri della sua diaspora
5. Assicurò con la varietà politica e sociale dei suoi membri, un ampio spettro di ideologie, di interessi
culturali, di gusti, che permisero lo sbocciare di numerosi artisti.
Ovviamente gli sviluppi politici ed economici dei paesi ospiti ebbero ripercussioni sulla vita degli emigrati
ed influirono sulle loro iniziative culturali, così come quanto stava accadendo nella Russia dei soviet e che
finì per plasmare il loro comportamento.
Non è possibile conoscere con sufficiente esattezza i dati riguardanti il numero delle persone coinvolte
nell’ondata migratoria russa. Secondo i dati più attendibili, sembra che non meno di 1 milione di persone
emigrate dall’impero russo si trovassero fuori dai confini al termine della guerra civile e al momento della
firma del trattato di Riga. Su circa 1 milione di russi che si trovavano all’estero a metà dell’anno 1921
probabilmente tornavano in Russia dalle 200.000 alle 300.000 unità (prigionieri di guerra o soldati delle
armate bianche che furono rimpatriati, i contadini che sfuggiti dalla carestia desiderarono ritornare in patria).
Alla fine degli anni 20 gli emigrati russi erano circa 900.000.
La massa degli immigrati era costituita da uomini, per questo lo squilibrio sessuale, sommato alla ristrettezza
economica, comportò una scarsa natalità tanto che la popolazione emigrata non solo non aumentò ma non fu
nemmeno in grado di mantenersi stabile. Buona parte di coloro che si sposarono dovettero trovare il loro
partner nella popolazione ospite: questi matrimoni misti comportarono un’integrazione più rapida nella
società ospite soprattutto per i figli nati da tali unioni. L’emigrazione soffrì di un costante logoramento
dovuto non solo ai decessi ma anche al fatto che molti individui furono assorbiti dalle società che li
ospitarono e persero qualsiasi interesse attivo si verso la terra d’origine sia verso la cultura degli immigrati
all’estero.
Accanto ai numerosi giovani con istruzione scarsa o incompleta, vi fu anche un numero considerevole di
appartenenti alle élite socioculturali precedenti il 1917 che si stabilì nelle capitali culturali occidentali.
Questa massa dell'intelligencija comprendeva non solo esponenti del vecchio establishment, ma anche
numerosi professionisti e docenti universitari, accanto ad alcuni esponenti della «borghesia» colta:
industriali, finanzieri, negozianti. Dal punto di vista etnico, non erano soltanto i russi ad emigrare, ma anche
armeni, georgiani, ucraini o ebrei che non necessariamente facevano parte della chiesa ortodossa russa. Tutti
erano però russi nel senso che consideravano se stessi come appartenenti e partecipi della cultura russa, della
sua lingua, della sua letteratura, delle sue tradizioni storiche, indipendentemente dal fatto che pochi avessero
anche un altro legame etnico linguistico o religioso.
Almeno all’inizio molti furono costretti ad insediarsi nei paesi e nelle città più vicini ai luoghi del loro esodo.
Nei primi anni 20 troviamo dunque grandi centri di emigrati sul Baltico (Finlandia, Estonia, Lettonia,
Lituania). In tutte le aree in cui gli emigrati si insediarono furono fondate istituzioni russe e si sviluppò una
vita culturale spesso molto intensa. Per semplificare si può dire che vi furono due tipi di insediamento: quello
in cui la cultura veniva prodotta e quello dove era soprattutto consumata. Dal punto di vista cronologico
Berlino fu il centro produttori più attivo all’inizio degli anni 20 mentre i suoi consumatori erano
complessivamente altrove. Nel 1925-1926 tuttavia la città tedesca cedette il passo a Parigi per ragioni
economiche e socioculturali. L’altro centro eminentemente produttore e creativo fu Praga benché questa città
ospitasse un numero rilevante di consumatori. Grazie all’apporto economico e finanziario del governo ceco,
Praga divenne il centro culturale d’accademico della diaspora russa. Nel corso degli anni 30 comunque la sua
creatività come del resto il numero di partecipanti attivi declinò sensibilmente sia per la loro morte naturale
sia anche per la partenza delle personalità più giovani e promettenti verso centri politicamente più sicuri ed
economicamente più gratificanti come Parigi o Stati Uniti. Altri centri più piccoli di emigrati si formarono in
Inghilterra, Belgio, nel Sudamerica dagli anni 30.
Gli emigrati si avvalsero di numerosi procedimenti istituzionali o informali per mantenere saldi i contatti e
per diffondere la loro produzione culturali, istituzioni già note e tradizionali nella Russia prima della
rivoluzione ma che sotto l’influsso dell’emigrazione acquisirono tratti caratteri nuovi. L’istituzione più
tradizionale fu la Chiesa. La chiesa, i preti e le scuole religiose riacquistarono un ruolo significativo nella
vita dei fedeli. L’influenza della fede e della chiesa fu accentuata dalle sofferenze imposte dalla guerra, dalla
rivoluzione, dalla guerra civile, per cui gli emigrati si ritrovarono più vicini alla chiesa di quanto non lo
fossero stati in patria prima dell’emigrazione. Essa costituì una facile rete di comunicazione fra i vari centri
di insediamento poiché vescovi e metropoliti funsero da elementi di collegamento. La chiesa e le scuole si
dimostrarono lo strumento più importante ed efficace per perpetuare e trasmettere ai figli degli emigrati la
lingua russa oltre che la pratica religiosa e la tradizione storica della madrepatria. Inoltre, più il periodo
dell’emigrazione si protraeva nel tempo e le speranze di ritorno in patria svanivano, più divenne impellente
la necessità di formare nuove generazioni di ecclesiastici e di proseguire nel loro lavoro teologico. A questo
scopo venne fondato anche a Parigi nel 1926 l’Istituto teologico ortodosso Saint-Serge che fu un punto di
riferimento costante. La chiesa ebbe anche parte attiva nella costituzione delle organizzazioni sovraimposte
al soddisfacimento dei bisogni essenziali dei bambini e degli adolescenti (dei figli degli emigrati residenti in
Francia, Germania e Cecoslovacchia. Per i giovani, un gruppo di intellettuali espulsi dall'Unione Sovietica
fondò il Movimento degli studenti cristiani russi, movimento che si diffuse in tutti i paesi europei della
diaspora russa ortodossa per concentrarsi, dopo la Seconda guerra mondiale, a Parigi. Negli incontri c’era lo
scambio di idee ed opinioni su questioni religiose, filosofiche e, piú in generale, culturali. Il loro periodico, il
«Il Messaggero del Movimento degli studenti cristiani russi» divenne un importante veicolo per la diffusione
dell'informazione e delle idee in tutta la diaspora russa.
La scolarizzazione costituì una delle maggiori preoccupazioni dei primi anni dell'emigrazione, soprattutto
finché si ritenne possibile un ritorno in patria nell'arco di una generazione. Era necessario non solo istruire i
ragazzi nelle materie tradizionalmente utili, ma aiutarli anche a conservare il patrimonio culturale, storico e
religioso. Man mano che il tempo passò e che lo ritorno in patria si dimostrò sempre meno probabile i
genitori cercarono i mezzi per impedire la denazionalizzazione dei figli che si stava realizzando attraverso il
loro progressivo inserimento nella società e nella cultura del paese che gli ospitava. Una scolarizzazione
russa inoltre avrebbe preparato la giovane generazione a svolgere un ruolo utile al suo ritorno in patria per la
ricostruzione della Russia dopo la rivoluzione. Ovviamente le scuole dirette dalla chiesa erano inadeguate a
questo poiché ponevano al centro dell’insegnamento il catechismo e la lingua russa. Negli anni 20 vennero
fondate scuole laiche primarie e secondarie. Più lo status dell’emigrato si rivelava essere definitivo, più i figli
degli emigrati cominciarono a sentire l’esigenza di un’istruzione superiore. L’accesso alle università e agli
istituti specializzati di istruzione superiore non fu però sempre facile, in parte per il denaro, in parte era
questione di ammissione a causa del mancato riconoscimento dei diplomi russi, della mancanza di referenze
e delle difficoltà linguistiche. Il governo ceco si fece promotore della cosiddetta “azione russa”. Furono
stanziati dei fondi governativi destinati alla fondazione di istituti di insegnamento superiore a Praga. I russi
emigrati ricevettero aiuti anche finanziari e vennero così istituite numerose facoltà universitarie in cui i titoli
di studio rilasciati da queste facoltà russe avevano lo stesso valore di quelli cechi. Viene anche fondata in
questo periodo un’università Ucraina a Praga.
Tutti questi mezzi di diffusione culturale erano geograficamente fissi. La possibilità degli individui di
spostarsi, alimentando in tal modo legami e scambi, era limitata poiché i viaggi erano costosi, difficili e
ostacolati dal rilascio del visto e del passaporto che non molti emigrati potevano ottenere (il passaporto
Nansen, introdotto soltanto a metà degli anni 20, non era universalmente riconosciuto e non veniva rilasciato
a tutti gli emigrati). Vi era comunque un mezzo per superare la dispersione geografica e le difficoltà del
viaggio: la stampa. Fin dall’inizio, l’emigrazione si era impegnata nella pubblicazione di giornali e periodici
di qualsiasi tipo il cui primo scopo era quello di fornire agli emigrati notizie sulla situazione della
madrepatria, informazioni su problemi economici, politici che tutti si trovavano a dover affrontare. I giornali
si diffusero persino nelle più piccole città. Molti di loro però hanno avuto una vita effimera: gli emigrati si
spostarono, il loro numero decrebbe e le risorse finanziarie si esaurirono a man mano che l’emigrazione si
protrasse negli anni.
- Poslednie novosti= 20-40
- Vozrozdenie= 23-40
- Rul’= Berlino 20-31
Il giornale diventava quindi il sostituto della vita sociale diretta e il veicolo di informazione di incontri,
conferenze, opere teatrali, concerti o lezioni. Molto importanti le grosse riviste. Contrariamente ai periodici
usuali che si occupavano di argomenti specifici (lettere, arti o particolari settori dell’erudizione) questo tipo
di rivista che appariva generalmente ogni tre o quattro mesi conteneva letteratura (poesia, narrativa, critica),
informazioni e discussioni su argomenti scientifici e filosofici, recensioni, reazioni a fatti politici, economici
e sociali. La pubblicazione più importante fu senz’altro la parigina Sovremennye Zapiski (20-40) pubblicati
da un’équipe di socialisti rivoluzionari moderati. Altra rivista curata dai rivoluzionari socialisti e
caratterizzata da una maggiore apertura verso gli scrittori sperimentali e gli autori sovietici tesa alla
pubblicazione delle opere letterarie russe e alla traduzione di autori europei dell’avanguardia, era la Volja
Rossii. Accanto alla stampa periodica e ad essa strettamente legata è la pubblicazione dei libri.
- Inizialmente, dal 1921 al 1924, il centro dell’attività editoriale dell’emigrazione fu Berlino soprattutto per i
bassi costi di produzione che la città tedesca garantiva.
- In un secondo momento, intorno al 1925 divennero quartieri generali dei maggiori editori emigrati pari
Parigi e Praga.
Libri russi venivano pubblicati anche in estremo oriente ma in quantità minori e gli autori che vivevano
preferivano comunque pubblicare in Europa dove la distribuzione era più promettente.
I testi che venivano pubblicati dall’emigrazione erano:
1. Manuali Avevano lo scopo di preservare la cultura russa, di
impartirla ai giovani e istruirli.
2. Riedizione di classici della letteratura russa
3. Opere letterarie di autori emigrati= categoria più importante
4. Monografie= Poco di rilievo poiché i contributi eruditi tendevano ad essere pubblicati in una delle
principali lingue europee
5. Memorie= apparivano sottoforma di libro più raramente, esistendo parti particolari periodici
destinati espressamente alla loro pubblicazione puntate.
Fu un’istituzione che tentò di fungere da deposito-biblioteca per tutte le pubblicazioni degli emigrati e da
ente conservatore degli archivi: l’archivio e la biblioteca storica russa di Praga. Sfortunatamente i suoi tesori
d’archivio furono consegnati nel 1945 ai sovietici e il materiale stampato andò in buona parte smarrito o
rubato durante o dopo la Seconda guerra mondiale.
Vi fu infine un altro canale di trasmissione: il teatro (nei centri più importanti della diaspora e soprattutto
nelle grandi capitali come Parigi, Berlino, Praga, riga e Belgrado). Non appena insidiati in queste, i gruppi di
emigrati cominciarono ad organizzare club, circoli, tournée teatrali di dilettanti o professionisti, cabaret che
mettevano in scena il repertorio classico della letteratura drammatica e musicale russa contribuendo in tal
modo a mantenere vive queste forme culturali per le vecchie e per le nuove generazioni, ma anche per gli
stranieri. Le tournée di compagnie teatrali e musicali sovietiche divennero soprattutto negli anni 30, quando
l’isolamento della madrepatria accentuava il desiderio di sperimentare direttamente la cultura originale russa,
manifestazioni d’orgoglio culturale riaffermando l’appartenenza dell’emigrazione al patrimonio nazionale
tradizionale.
Persino piú importanti delle rappresentazioni teatrali furono le letture, i dibattiti, le celebrazioni nel corso
dei quali scrittori emigrati leggevano le loro opere, e docenti universitari, critici, filosofi e teologi
dibattevano i loro punti di vista. Con il tempo, alcune date particolari divennero l'occasione tradizionale per
riunioni pubbliche: il Giorno di Tatiana (Tat' janin den'), festa universitaria tradizionale in Russia, che
riuniva ex studenti e docenti delle diverse istituzioni universitarie; e il Giorno della cultura russa, che
coincideva con l'anniversario della nascita di Puskin. L'organizzazione di queste giornate metteva insieme
individui e gruppi praticamente di tutte le convinzioni politiche e religiose, e dava inoltre l'opportunità di
invitare le personalità culturali emigrate di maggiore spicco, residenti altrove. Il centenario della morte di
Puskin nel 1937 segnò forse l'apice delle celebrazioni di questo retaggio culturale e dell'incessante creatività
dell'emigrazione.
L’emigrazione prese avvio grosso modo nel 1919 con persone che fuggivano dalla situazione caotica e
mutevole. La maggiore ondata migratoria si ebbe nel 1921 con l’occupazione della Crimea da parte
dell’armata Rossa; nel 1922 fu espulso su ordine di Lenin il gruppo di intellettuali più significativo.
Chi si trovava all’estero poté, anche se con una certa difficoltà, mantenere contatti con la madrepatria ed
ottenere informazioni aggiornate. La NEP e l’istituzione di relazioni commerciali o diplomatiche con la
Germania e con altri Stati, dopo Rapallo, contribuirono a intensificare i contatti e il flusso di informazioni fra
gli emigrati e il Russia dei soviet→periodo in cui ci si illudeva che il sistema sovietico stesse apportando
sostanziali cambiamenti in direzione della democratizzazione e del liberalismo politico culturale oltre che
economico. I cittadini sovietici culturalmente attivi ottenevano facilmente il permesso di viaggiare all’estero
e anche di risiedervi per periodi prolungati. Libri, giornali stampati all’estero potevano essere importati in
Russia e si misero a punto programmi articolati per una regolare collaborazione fra case editrici sovietiche ed
emigrate. Alcuni scrittori emigrati come Ivan Bunin, Gippius, Merezkovskij rifiutarono qualsiasi rapporto
con tutto ciò che proveniva o era diretto alla terra dei soviet. Altri furono meno categorici, al punto che nel
caso delle figure piú creative dell'avanguardia e del modernismo non fu piú fatta distinzione alcuna fra
coloro che ancora vivevano in Russia e coloro che se ne erano allontanati. In realtà, molte persone emigrate
decisero di tornare in Russia in questo periodo, come ad esempio Aleksej Tolstoj, Il'ja Erenburg, Pasternak e
Gor'kij; numerosi turisti russi soggiornarono per lunghi periodi all'estero, senza tuttavia l'intenzione di
risiedervi definitivamente; altri ancora, come Fëdor Saljapin e Vladislav Chodasevic, scelsero infine
l'emigrazione.
Si progettó di stampare all'estero i libri russi - sia che fossero scritti da autori residenti in patria o da emigrati
- e di distribuirli in Unione Sovietica, sicché molti titoli pubblicati durante l'emigrazione raggiunsero i lettori
sovietici, anche se non senza qualche difficoltà e una certa censura. D'altro canto, le pubblicazioni russe
erano facilmente reperibili per gli emigrati, che erano in tal modo perfettamente aggiornati sui dibattiti nei
circoli culturali russi. L'unità della cultura e della letteratura russe non era dunque ancora del tutto infranta,
tanto che si può parlare del periodo della Nep come di un «prolungamento» dell'Età d'argento.
Dopo il 1926, e in particolare dopo il 1928, questa situazione mutò rapidamente. Il sistema sovietico era
sempre più sicuro dei suoi metodi e fiducioso nei suoi obiettivi; i controlli piú severi introdotti nel paese
portarono prima all'allentamento, e poi all'interruzione dei contatti fra gli emigrati e la madrepatria. Molte
iniziative e molti progetti di collaborazione naufragarono appena il governo sovietico interferì. Difficoltà
aumentarono a causa dalle crisi diplomatiche fra l'Unione Sovietica e gli Stati occidentali, a cui si aggiunse
l'instaurazione dei regimi dittatoriali di destra nei paesi limitrofi all'Urss.
Dal 1928 il governo sovietico perseguì con la censura e il controllo più rigoroso di tutte le istituzioni
culturali in patria e per isolarle sempre più dall'esterno. Dopo il 1931, con l'avvento al potere di Stalin, la
comunicazione fra gli emigrati e la madrepatria divenne del tutto impossibile. Calò una cortina di ferro e
l'Urss troncò in pratica tutte le relazioni con il mondo esterno, vi fu l’imposizione di canoni ufficiali: le
tendenze moderniste e sperimentali, tollerate negli anni Venti, furono allora totalmente bandite.
A partire da quel momento, e fino al disgelo si può praticamente parlare di due culture e di due letterature
russe: quella ufficialmente sancita, che appariva in Unione Sovietica, e quella dell'emigrazione. E fu soltanto
dopo il XIX Congresso del Partito comunista sovietico che il mondo esterno, e l'emigrazione in particolare,
si resero conto dell'esistenza sotterranea di un'altra letteratura russa, legata a quella antecedente il 1917 e agli
scritti dell'emigrazione. L'emigrazione dovette in questo periodo accettare il fatto di essere definitivamente
separata dalla madrepatria e prestò sempre più attenzione a ciò che stava accadendo in Occidente, nei paesi
che gli avevano dato asilo. Fino al 1931 gli espatriati avevano avuto due obiettivi fondamentali:
1. mantenersi informati su quanto stava accadendo in patria, nella speranza di un eventuale ritorno
2. preservare e continuare a creare le tradizioni e i progressi culturali della Russia presovietica.
Essendo degli outsider ma allo stesso tempo anche osservatori diretti e partecipanti involontari essi avevano
un occhio critico più acuto ed erano in grado di svolgere le loro analisi comparative da una prospettiva più
ampia. Avendo vissuto a lungo nei paesi ospiti molti emigrati, soprattutto i più giovani, si erano trovati a
partecipare alla vita attiva e professionale di queste società unendosi alle Élite di questi paesi in alcuni casi si
erano perfettamente integrati senza perdere necessariamente le tradizioni. La cultura stessa dell’emigrazione
divenne più universalistica. Nonostante questa evoluzione, comunque, la cultura dell’emigrazione russa
continua ad esistere come entità separata dotata di tutta la sua forza.
Dal punto di vista politico (l’emigrazione fu un fenomeno prettamente politico scatenatosi in seguito
all’instaurazione del regime sovietico), la gamma delle opinioni spaziava dall’estrema destra (monarchici
conservatori che volevano il ritorno ai vecchi tempi di Alessandro III e che non vedevano nella rivoluzione
nient’altro che la conseguenza della cospirazione di una piccola cricca di intellettuali radicali malefici, ebrei,
massoni) all’estrema sinistra (per la quale il governo di Lenin era troppo moderato e borghese soprattutto
dopo l’introduzione della Nep); altri avevano optato per una posizione intermedia.
Negli anni 20 e negli anni 30 la massima manifestazione della creatività letteraria dell’emigrazione si ebbe
nel campo della poesia con importanti figure che avevano conosciuto la notorietà in Russia prima di
espatriare (Chodasevic e Ivanov) ma anche di un certo numero di giovani poeti che cominciarono ad essere
acclamati e pubblicati dalla stampa emigrata (Nabokov debuttò in poesia pubblicando Sirena e Marina
Cvetaeva raggiunse la notorietà a Berlino negli anni 20). Si creò in questi anni quella che fu denominata la
scuola di Parigi della poesia russa emigrata. Si continuava ovviamente anche a scrivere prosa che però era
propria degli scrittori più noti maturi come Bunin, Zajcev, Šmelëv. Mancò invece quasi del tutto la
letteratura teatrale.
La situazione cambiò sensibilmente nel periodo poststaliniano: la letteratura emigrata assunse una notevole
importanza nella storia della letteratura russa; ma essa si sviluppò nell'isolamento e fu caratterizzata da alcuni
tratti specifici che non si ricollegano facilmente né agli sviluppi letterari sovietici, né alle tendenze letterarie
prevalenti nei paesi occidentali dove gli emigrati russi vissero e lavorarono. I piú importanti scrittori emigrati
non furono particolarmente influenzati dalle letterature occidentali contemporanee, né le influenzarono a loro
volta. In alcune, rare occasioni, scrittori russi crearono anche in una lingua diversa dalla loro, come nel caso
famoso di Vladimir Nabokov, che divenne romanziere di lingua inglese.
Questioni e temi che influenzarono il pensiero dell’emigrazione:
• La rivoluzione stessa=determinò il pensiero e gli scritti di praticamente tutti gli emigrati sino alla fine degli
anni Venti, rimanendo in primo piano anche negli scritti successivi. Oltre ai ricordi, che miravano a
ricostruire e a ritrovare lo stato d'animo del «come è realmente accaduto», vi erano, delle memorie di tipo piú
profondo e articolato, riflessioni su quanto era accaduto. La rivoluzione aveva un posto di primo piano anche
nei dibattiti sui progetti, sui programmi e sulle tattiche da adottare per opporsi al sistema sovietico e
costruirne un’alternativa.
• Il passato della Russia, la sua tradizione e le sue conquiste culturali.
• La religione= nei sentimenti e nei pensieri di persone che avevano vissuto recentemente esperienze
traumatizzanti la religione aveva un ruolo tanto importante. Le élite residenti all'estero prestarono molta
attenzione alla componente religiosa del passato culturale della Russia, pubblicando saltuariamente volumi
collettanei (sborniki) su questioni religiose e storiosofico-culturali; fondando una rivista specializzata, «Put'»
(«La via»), che trattava quasi esclusivamente problemi di questo tenore.
Gli emigrati russi si interrogavano sul loro ruolo e missione storica, in particolare riguardo ai rapporti con
l'Unione Sovietica. Alcuni ritenevano necessario interrompere i contatti con la madrepatria, considerata
governata dalle forze del male, per preservare l'autentica tradizione russa. Altri credevano che gli emigrati
dovessero mantenere legami per aiutare chi si trovava oltre cortina e rendere il linguaggio dell'emigrazione
simile a quello della madrepatria per essere compresi. Questo dilemma era legato al ruolo dell'emigrazione:
preservare il patrimonio culturale o svilupparlo creativamente verso la modernità. Tuttavia, essere innovatori
senza influenze culturali esterne era difficile, e integrarsi nelle società ospitanti poteva indebolire l'unità
culturale della diaspora russa.
Dopo il 1918, le crisi europee furono analizzate dagli intellettuali emigrati russi, che si interrogarono sul
modello occidentale per il futuro della Russia, valutando se seguirlo o rifiutarlo. L'emigrazione non fornì
risposte definitive a queste questioni. Dopo la guerra, alcune istituzioni culturali emigrate continuarono a
esistere in Occidente, mentre altre si ricostituirono, soprattutto a Parigi e nella Germania occidentale. Il
periodo tra le due guerre fu particolarmente fertile dal punto di vista artistico e letterario (perché
l'emigrazione continuò e preservò i valori e la produzione intellettuale ed estetica dell'Età d'argento - ne era il
suo «prolungamento», secondo la formula coniata nel corso di una conferenza tenuta in Francia nel 1968"-, e
perché poteva vantarsi di realizzazioni originali). Gli scrittori piú anziani continuarono a creare secondo gli
standard di un tempo, talvolta perfezionandoli, e continuarono ad influenzare non solo la generazione
emigrata piú giovane, ma anche alcuni scrittori in Unione Sovietica e nel loro ambiente non russo.