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Storia 2

La Belle Époque, un periodo di prosperità in Europa tra fine Ottocento e primi Novecento, vide Parigi come centro culturale, con importanti innovazioni in economia, trasporti e comunicazioni. La modernizzazione portò a una società di massa, caratterizzata da urbanizzazione, consumismo e nuove forme di partecipazione politica, mentre il movimento socialista si rafforzava e il suffragio femminile iniziava a emergere. Tuttavia, la crescita economica e i cambiamenti sociali portarono anche a problemi di alienazione e omologazione, segnando un'epoca di profonde trasformazioni.

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Storia 2

La Belle Époque, un periodo di prosperità in Europa tra fine Ottocento e primi Novecento, vide Parigi come centro culturale, con importanti innovazioni in economia, trasporti e comunicazioni. La modernizzazione portò a una società di massa, caratterizzata da urbanizzazione, consumismo e nuove forme di partecipazione politica, mentre il movimento socialista si rafforzava e il suffragio femminile iniziava a emergere. Tuttavia, la crescita economica e i cambiamenti sociali portarono anche a problemi di alienazione e omologazione, segnando un'epoca di profonde trasformazioni.

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CAPITOLO 1- La belle époque tra luci e ombre

La Belle Époque
La Belle Époque (fine Ottocento - primi Novecento) fu un periodo di prosperità e spensieratezza in Europa.
Parigi fu il cuore culturale e sociale di quest’epoca, simbolo di moda, arte e divertimento. Eventi come
l’Esposizione universale (1889, costruzione della Torre Eiffel) e le Olimpiadi del 1900 rafforzarono il suo
ruolo centrale.
Modernizzazione economica e miglioramenti materiali
Dopo la “lunga depressione” (1873-1896), l’Europa occidentale visse una fase di forte crescita economica:
• Sviluppo dei trasporti: le ferrovie permisero una migliore distribuzione del cibo, eliminando le
grandi carestie.
• Elettricità: usata per industrie, illuminazione urbana, trasporti (tram elettrici) e abitazioni
private (lampadine, riscaldamento centralizzato, ascensori e servizi igienici).
Nuovi mezzi di trasporto
1. Automobile: il motore a scoppio, inventato da Nikolaus Otto e perfezionato da Benz e
Daimler, diede vita all’auto, prodotta su scala industriale.
2. Aerei: nel 1903 i fratelli Wright effettuarono il primo volo, e nel 1909 fu compiuta la prima
traversata della Manica.
3. Bicicletta: da strumento per aristocratici divenne un mezzo di trasporto popolare e usato
anche nello sport.
Molto importante fu il
Petrolio: l’estrazione di questa risorsa divenne centrale, aumentando la dipendenza
economica e le rivalità geopolitiche.
Progresso nelle comunicazioni e nell’informazione
• Telegrafo senza fili: inventato da Guglielmo Marconi nel 1895, fu il precursore delle
telecomunicazioni moderne, come la radio.
• Cinema: nato nello stesso anno grazie ai fratelli Lumière, divenne un mezzo di
comunicazione e arte amato da tutti i ceti sociali.
Avanzamenti in medicina
1. Vaccinazioni e pastorizzazione: Louis Pasteur e Robert Koch contribuirono a combattere
malattie come vaiolo, colera e tubercolosi.
2. Sterilizzazione: Pasteur introdusse pratiche antisettiche fondamentali per la chirurgia.
3. Raggi X: scoperti da Wilhelm Röntgen nel 1895, resero possibile la diagnosi medica senza
interventi invasivi.
Scoperte scientifiche
1. Radioattività: Henri Becquerel e Marie Curie studiarono l’energia rilasciata dalla scissione
degli atomi. Curie isolò elementi come radio e polonio.
2. Teoria dei quanti: elaborata da Max Planck nel 1900, rivoluzionò la fisica, dimostrando che
l’energia è composta da quantità discrete.
3. Teoria della relatività: sviluppata da Albert Einstein (1905, 1915), introdusse il concetto di
massa ed energia come grandezze equivalenti, e la relatività di tempo, lunghezza e massa rispetto alla
velocità.

La psicoanalisi
Fondata da Sigmund Freud, la psicoanalisi analizzò l’inconscio umano, identificando in questa parte della
psiche l’origine di fobie e ossessioni. Freud dimostrò come eventi traumatici nascosti nell’inconscio
influenzassero la vita delle persone, aprendo una nuova strada nello studio della mente umana.
La nascita della società di massa
A cavallo tra Ottocento e Novecento si sviluppò in Europa e in America un fenomeno noto come società di
massa, caratterizzato dal crescente protagonismo della popolazione nella sfera sociale e politica. Non più
aggregati passivi, le masse iniziarono a esprimere punti di vista e aspirazioni proprie, influenzando in modo
significativo la società e la politica.
Urbanizzazione e cambiamenti sociali
L’urbanizzazione fu uno degli elementi chiave della nascita della società di massa. L’aumento demografico
e l’industrializzazione portarono molte persone dalle campagne alle città, soprattutto a causa della crisi
agricola. Nacquero grandi centri urbani in cui la vita ruotava intorno all’industria.
Le città si popolavano non solo di operai, ma anche di un ceto medio in crescita, impegnato nel commercio,
nei servizi e nella pubblica amministrazione. La convivenza nelle città favorì maggiori contatti sociali grazie
al sovraffollamento e alla diffusione di nuovi mezzi di trasporto e comunicazione.
Stili di vita e tempo libero
La riduzione delle ore lavorative permise l’espansione del tempo libero, che veniva speso in caffè, locali da
ballo, cinema o leggendo giornali. Alla fine del XIX secolo si diffuse anche il turismo, inizialmente riservato
alle classi più abbienti, ma gradualmente esteso alla piccola borghesia.
Parallelamente, lo sport divenne una passione collettiva: discipline come ciclismo, calcio, rugby e pugilato
coinvolgevano ampi strati della popolazione. Eventi come il primo Tour de France (1903) e il Giro d’Italia
(1909) attirarono grandi folle. Nel 1896 si svolsero ad Atene le prime Olimpiadi moderne grazie a Pierre de
Coubertin.

Consumismo e nuove modalità di produzione


L’aumento generale dei salari e il miglioramento delle condizioni economiche favorirono un incremento
della domanda di beni di consumo. Anche le classi meno abbienti iniziarono ad acquistare beni secondari,
trasformando i consumi in un fenomeno di massa.
I grandi magazzini, nati a Parigi e poi diffusi in Europa e Stati Uniti, permettevano di acquistare prodotti di
ogni genere a basso costo, grazie alla produzione in serie. La pubblicità, attraverso giornali e manifesti,
influenzava le scelte dei consumatori.
Sul fronte produttivo, il taylorismo e il fordismo rivoluzionarono l’industria:
• Taylorismo: basato sull’organizzazione scientifica del lavoro, puntava a eliminare pause
inutili e a suddividere le mansioni per aumentare la produttività. Tuttavia, disumanizzava l’operaio, ridotto a
compiere azioni ripetitive senza autonomia.
• Fordismo: introdotto da Henry Ford nel 1913, si basava sulla catena di montaggio, che
accelerava la produzione e riduceva i costi, rendendo beni come l’automobile accessibili a più persone.
Questi metodi favorirono lo sviluppo della produzione di massa, portando alla concentrazione industriale in
trust e cartelli, che dominarono il mercato con situazioni di monopolio o oligopolio. Si diffusero anche le
multinazionali, capaci di aggirare le barriere doganali protezionistiche espandendo le proprie attività in altri
paesi.
Effetti culturali e sociali
La società di massa uniformò i comportamenti e rese i rapporti sociali più anonimi e impersonali,
allontanandosi dalle relazioni tradizionali delle comunità rurali o cittadine. Questo anonimato e la
frustrazione dell’uomo moderno furono temi centrali nelle opere di autori come Pirandello, Svevo, Kafka e
Rilke.
In parallelo, i progressi scientifici e tecnologici (es. la teoria della relatività di Einstein) e le nuove indagini
psicologiche di Freud scossero principi considerati fino ad allora indiscutibili. Filosofia, arte e letteratura
rifletterono queste tensioni, evidenziando la crisi dell’uomo contemporaneo.
La società di massa segnò un’epoca di trasformazioni profonde: urbanizzazione, consumismo,
cambiamenti negli stili di vita e nuovi modelli produttivi. Tuttavia, questa modernizzazione portò anche
alienazione e omologazione, problemi che avrebbero accompagnato la società del XX secolo.
La partecipazione politica delle masse, l'istruzione e la questione
femminile
1. L’istruzione pubblica e la riduzione dell’analfabetismo

A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, nei paesi occidentali nacque un sistema di istruzione pubblica
obbligatoria, laico e gratuito. Questo permise una significativa riduzione dell’analfabetismo e un progressivo
accesso delle masse all’istruzione superiore e professionale. L’alfabetizzazione non solo divenne un
requisito per il diritto di voto, ma favorì la presa di coscienza dei diritti e della forza politica delle classi
popolari.

2. L’estensione del suffragio universale maschile

Il diritto di voto rimase inizialmente legato al censo (reddito minimo), ma a cavallo tra Ottocento e
Novecento, il suffragio universale maschile si estese gradualmente in Europa.
• Francia (1848) e Germania (sotto Bismarck) furono i primi paesi ad adottarlo.
• Seguì l’Austria-Ungheria (1907) e i paesi scandinavi, come Norvegia (1898) e Svezia (1907).
• In Italia il suffragio universale maschile fu introdotto nel 1912; nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna
rispettivamente nel 1917 e 1918.
In Russia, l’estensione del suffragio avvenne nel 1917, ma in un contesto socialista, non liberale.

La democratizzazione politica fu resa possibile dal rafforzamento dei sindacati e dei partiti socialisti, che
diedero voce agli operai, rivendicando rappresentanza e giustizia sociale.

3. La nascita dei partiti di massa

I partiti di massa si distinsero dai partiti tradizionali:


• Coinvolgevano una vasta base sociale e non solo una ristretta élite.
• Si basavano su un’ideologia condivisa e su regole precise per selezionare leader e militanti.
• Utilizzavano sindacati, società di mutuo soccorso e sezioni locali per rafforzare il radicamento
territoriale.
Esempi significativi furono il Partito socialdemocratico tedesco (SPD), fondato nel 1863, e il Partito
laburista inglese, nato nel 1900, che nel 1906 portò 29 rappresentanti in Parlamento.

4. La lotta per il suffragio femminile

Nonostante i progressi per gli uomini, le donne continuarono a essere escluse dal diritto di voto. Tra
Ottocento e Novecento crebbe la consapevolezza della disparità di diritti, favorita dall’accesso delle donne
all’istruzione e al lavoro.
• Le donne borghesi rivendicavano l’accesso a professioni e università.
• Le operaie lottavano per la parità salariale.

Il movimento suffragista, particolarmente attivo in Gran Bretagna con la Women’s Social and Political Union
guidata da Emmeline Pankhurst, ricorse a iniziative eclatanti come comizi, scioperi della fame e
manifestazioni. Nonostante la resistenza, alcuni paesi democratici riconobbero il suffragio femminile prima
della Prima guerra mondiale, tra cui Australia (1895), Finlandia (1907), Norvegia e Danimarca (1913). In
Italia, tuttavia, il voto alle donne arrivò solo dopo la Seconda guerra mondiale.

5. Conclusione

L’estensione dei diritti politici, la diffusione dell’istruzione e la nascita dei partiti di massa furono processi
cruciali per la democratizzazione delle società occidentali. Tuttavia, mentre gli uomini conquistarono il
suffragio universale entro la Prima guerra mondiale, le donne dovettero lottare più a lungo per ottenere
parità di diritti politici.

Lotta di classe e interclassismo


Rafforzamento dei partiti socialisti e la Seconda Internazionale
Nel 1889 venne fondata la Seconda Internazionale socialista per coordinare l’azione dei partiti socialisti e
laburisti europei contro il capitalismo internazionale. I principali obiettivi includevano:
• aumento dei salari,
• riduzione della giornata lavorativa a 8 ore,
• estensione del diritto di voto.

I socialisti criticarono il colonialismo e il militarismo, considerandoli strumenti della borghesia, e proposero


una società basata su pace, uguaglianza e libertà.
Divisione tra rivoluzionari e riformisti

All’interno del movimento socialista si crearono due correnti:


• Rivoluzionari: seguivano il modello marxista, sostenendo la necessità di una rivoluzione per
abbattere la società borghese e capitalista.
• Riformisti o socialdemocratici: promuovevano una trasformazione pacifica tramite riforme
parlamentari.

Nonostante le divergenze, fino al 1914 la Seconda Internazionale rimase unita, privilegiando la linea
rivoluzionaria. Simboli comuni del socialismo erano la falce e il martello e la bandiera rossa. Inoltre, si
diffuse la celebrazione del 1° maggio, in memoria delle manifestazioni operaie di Chicago del 1886.

Prime conquiste sociali e scioperi

Il movimento socialista rafforzò i sindacati e introdusse forme di legislazione sociale:


• limitazioni al lavoro minorile e femminile,
• riduzione della giornata lavorativa a 8 ore in Francia e USA,
• divieto di lavori pesanti e notturni per donne e bambini.

In Germania, il cancelliere Bismarck avviò una legislazione sociale avanzata per contrastare i socialisti,
introducendo assicurazioni obbligatorie contro infortuni, malattie e vecchiaia.

Gli scioperi, soprattutto quelli generali, divennero strumenti potenti per ottenere concessioni, costringendo i
governi a migliorare le condizioni dei lavoratori.

La Rerum Novarum e l’interclassismo cattolico

Nel 1891, papa Leone XIII pubblicò l’enciclica Rerum Novarum, criticando lo sfruttamento operaio ma
difendendo la proprietà privata. Pur condannando il socialismo rivoluzionario, riconobbe il diritto degli
operai a organizzarsi in sindacati e a rivendicare il giusto salario.

L’enciclica promuoveva una visione interclassista: le classi sociali dovevano collaborare per il bene
comune, con i benestanti che aiutavano i più poveri. La Chiesa si oppose così al socialismo, sostenendo
una società organica basata sulla solidarietà.

Il modernismo cattolico

All’inizio del Novecento, il modernismo cercò di reinterpretare il cristianesimo in chiave moderna,


sostenendo l’impegno dei cristiani contro le ingiustizie, anche politiche.

Nel 1907, papa Pio X condannò il modernismo con l’enciclica Pascendi Dominici gregis, considerandolo
una minaccia per il cattolicesimo e riaffermando una visione tradizionale della Chiesa.

Questi sviluppi riflettono le profonde trasformazioni sociali e politiche avvenute tra Ottocento e Novecento,
segnando il passaggio verso una maggiore giustizia sociale e l’affermazione del movimento operaio e delle
istanze cattoliche.

La crisi agraria e l'emigrazione dall'Europa


Crisi dell’agricoltura europea

• La crescita dell’economia capitalistica ebbe un impatto negativo sull’agricoltura europea, che non a
soddisfare la crescente domanda alimentare dovuta all’aumento demografico e all’inurbamento.
• L’agricoltura rimase arretrata:
• Piccoli proprietari e fittavoli usavano tecniche rudimentali e coltivavano principalmente cereali.
• La meccanizzazione era limitata, a differenza delle manifatture.
• Frutta e verdura erano poco diffuse e costose.
• Le grandi aziende agricole (es. in Gran Bretagna e Germania) introdussero macchinari e fertilizzanti
chimici, aumentando la produzione ma provocando sovrapproduzione e crollo dei prezzi.
• Dal 1873 al 1896 si verificò la grande depressione agraria, aggravata dalla concorrenza del grano
americano, canadese, argentino e russo, che fece crollare i prezzi dei cereali in Europa.
• Le misure protezionistiche adottate dai governi (alte tariffe doganali) favorirono i grandi proprietari,
penalizzando i piccoli agricoltori e i braccianti salariati. Questo causò impoverimento e abbandono delle
campagne.

Conseguenze sociali ed emigrazione

• Lo sviluppo industriale non eliminò la povertà rurale, soprattutto nelle aree meno sviluppate
dell’Europa meridionale e orientale (es. Mezzogiorno d’Italia).
• Alta presenza di analfabetismo e malattie come malaria e tubercolosi.
• Grande divario tra aree industriali avanzate e campagne arretrate.
• La povertà e le persecuzioni religiose e politiche (es. contro gli ebrei in Russia) spinsero milioni di
persone all’emigrazione transoceanica, soprattutto verso il Nuovo Mondo.
• Tra il 1870 e il 1914 circa un milione di europei l’anno emigrò, soprattutto da Italia, Irlanda,
Germania, Scandinavia ed Europa orientale.
• Destinazioni principali: Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina, Brasile e Uruguay.

Caratteristiche e difficoltà dell’emigrazione

• L’emigrazione fu favorita da:


• Miglioramenti nei trasporti, più veloci e meno costosi.
• Politiche di apertura dei governi dei paesi di destinazione, che necessitavano di manodopera per
l’industria e l’agricoltura.
• Gli emigranti affrontavano molte difficoltà:
• Lontananza dalla famiglia e dalla patria.
• Mancanza di conoscenza della lingua e analfabetismo.
• Condizioni di vita difficili e discriminazioni sociali.
• Si concentravano in quartieri etnici (es. Little Italy o Chinatown a New York) e trovavano lavoro
grazie ai compatrioti già insediati.
• Svolgevano lavori pesanti e mal pagati (es. costruzione di strade e tunnel).
• Rimesse: molti inviavano denaro alle famiglie in patria; circa metà degli italiani emigrati negli Stati
Uniti prima del 1910 tornò in Italia, mentre gli altri si stabilirono definitivamente all’estero.

Impatto dell’emigrazione

L’emigrazione rappresentò una “valvola di sfogo” per la povertà europea, trasferendo forza lavoro verso
paesi in crescita economica, ma fu anche un’esperienza dolorosa e complessa per gli individui coinvolti.

La competizione coloniale e il primato dell'uomo bianco


Imperialismo e teorie razziali tra Ottocento e Novecento

Contesto storico

• L’ascesa del Secondo Reich tedesco (1871) sconvolse gli equilibri europei:
• La Germania sfidò il primato economico britannico.
• Creò un profondo rancore con la Francia dopo la sconfitta del 1870.
• Tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo Novecento, le potenze europee intensificarono la corsa
alle colonie, concentrandosi su Africa e Asia.
• La Conferenza di Berlino (1884-1885), organizzata da Bismarck, cercò di regolare l’espansione
coloniale e definire le aree di influenza, ma dopo il 1885 il fenomeno divenne sempre più caotico.
• Entro il 1914, pochissime aree di Africa e Asia conservarono la loro indipendenza.
Imperialismo e trasformazioni politiche

• Con l’ascesa di Guglielmo II e la caduta di Bismarck, la politica tedesca divenne più aggressiva.
• Il colonialismo evolse da controllo commerciale a dominio politico e militare, con sfruttamento diretto
delle risorse da parte degli Stati, anziché lasciarlo a compagnie private.
• Questo fenomeno è definito imperialismo e coinvolse sia potenze europee sia extraeuropee.

Motivazioni dell’imperialismo

• Obiettivi economici e di prestigio internazionale vennero sostenuti da:


• Ideologia patriottica e nazionalista.
• Retorica della “missione civilizzatrice dell’uomo bianco”, secondo cui gli europei, appartenenti a una
presunta civiltà superiore, avevano il dovere morale di civilizzare le popolazioni indigene.
• Teorie razziali, che attribuivano una supremazia biologica all’uomo bianco.

Le teorie razziali e il darwinismo sociale

• Durante l’Ottocento, si diffuse la classificazione delle “razze umane”, basata su presunti gradi di
evoluzione:
• Charles Darwin, con la sua teoria dell’evoluzione, influenzò indirettamente la società: il darwinismo
sociale venne usato per giustificare le disuguaglianze tra le “razze”.
• Il biologo tedesco Ernst Haeckel classificò le razze umane, ritenendole diverse per livello evolutivo.
• Queste idee portarono a collegare imperialismo ed evoluzionismo, aprendo la strada al razzismo
scientifico e all’eugenetica:
• L’eugenetica sosteneva il controllo della procreazione per preservare la “purezza” della razza,
evitando unioni con individui malati o appartenenti a “razze inferiori”.

Critica delle teorie razziali

• Le teorie razziali furono erronee e basate su una scarsa comprensione scientifica.


• Concetti fondamentali, come l’unicità della razza umana, vennero chiariti solo nel Novecento,
confutando le basi del razzismo e del darwinismo sociale.

Sintesi

L’imperialismo fu alimentato da motivazioni economiche, nazionaliste e razziste, trovando giustificazione


nelle teorie pseudo-scientifiche dell’epoca. Questo fenomeno consolidò il dominio europeo su Africa e Asia,
ma fu anche accompagnato da gravi discriminazioni e disuguaglianze, basate su un falso concetto di
supremazia culturale e biologica.

CAPITOLO 2- L'età degli imperialismi

L’imperialismo tra fine Ottocento e inizio Novecento


Caratteristiche dell’imperialismo

• L’imperialismo, sviluppatosi tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, si distingue dal


tradizionale colonialismo:
• Le colonie vennero integrate politicamente e militarmente in un assetto imperiale.
• Le risorse delle colonie furono sfruttate secondo modalità nuove.
• Questo modello fu elaborato in modo compiuto dalla Gran Bretagna.
Precondizioni dell’imperialismo

• Lo sviluppo dell’imperialismo fu reso possibile da:


1. La formazione dello Stato-nazione.
2. Le trasformazioni produttive e commerciali innescate dalla Rivoluzione industriale, che
diedero alle potenze un vantaggio tecnologico e amministrativo rispetto al resto del mondo.

Cause dell’imperialismo

Gli storici hanno individuato diverse cause, spesso intrecciate fra loro:
1. Economiche:
• I mercati interni non riuscivano più ad assorbire l’offerta di prodotti delle grandi potenze
industriali, spingendole a cercare nuovi mercati.
• Le colonie fornivano a basso costo materie prime (ferro, carbone, petrolio, lana, cotone)
essenziali per sostenere la produzione industriale.
• Le materie prime venivano trasformate in prodotti finiti in Occidente, contribuendo alla
globalizzazione economica.
2. Sociali:
• L’espansione territoriale aiutava a risolvere il problema della disoccupazione e a contenere i
conflitti sociali interni.
3. Politiche e nazionaliste:
• Possedere colonie era simbolo di prestigio internazionale e segno tangibile della potenza di
una nazione.
• L’imperialismo rafforzava il consenso interno, alimentato da un forte nazionalismo.

Giustificazioni ideologiche

• La diffusione di un esasperato nazionalismo portò a giustificare:


• Aggressioni e sottomissioni economiche, militari e culturali verso nazioni considerate
arretrate.
• Il ruolo di “civilizzatore” attribuito all’uomo bianco, che si riteneva superiore tecnicamente,
culturalmente e moralmente.
• L’invio di missionari per evangelizzare le popolazioni indigene.
• Queste giustificazioni erano fondate sulla convinzione della superiorità dell’Occidente e della
sua civiltà.

Conseguenze

• In nome del progresso e della civilizzazione, le potenze europee commisero gravi ingiustizie
e soprusi contro le popolazioni dei territori colonizzati.

La Germania di Guglielmo II
• Nel 1888 salì al trono tedesco Guglielmo II di Hohenzollern, un imperatore ambizioso,
militarista e sostenitore della modernità.
• Si distinse dal cancelliere Otto von Bismarck, che aveva sempre cercato di mantenere
l’equilibrio internazionale.
• Nel 1890, Guglielmo II costrinse Bismarck a dimettersi per accentrare il potere nelle proprie
mani.
• Il nuovo Kaiser promosse l’industrializzazione e il nazionalismo, ponendo le basi per
un’aggressiva politica espansionistica.

Industrializzazione e crescita demografica

• Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la Germania divenne la prima potenza
economica europea, superando la Gran Bretagna:
• Industria siderurgica: Krupp eccelleva nella produzione di acciaio.
• Industria chimica: Bayer rivoluzionò il settore con l’invenzione dell’aspirina nel 1887.
• Industria elettrica: Siemens innovò nelle telecomunicazioni, nei trasporti (tramvie) e nella
tecnologia medica.
• La flotta tedesca fu ampliata, garantendo ricavi all’industria metallurgica, ma pesando sul
bilancio statale.
• La popolazione tedesca crebbe da 41 milioni (1871) a 65 milioni (1910), trasformando la
Germania in una terra di immigrazione.

La politica estera di Guglielmo II

• Fine della politica di equilibrio di Bismarck:


• Guglielmo II perseguì la Weltpolitik (“politica mondiale”), puntando a rendere la Germania
una potenza globale.
• L’imperatore cercò di espandere l’influenza tedesca attraverso interventi economici, politici e
militari, urtando gli interessi di Gran Bretagna e Francia.
• Crisi con Londra e Parigi:
• Nel 1896, il Kaiser inviò un telegramma di solidarietà a Paul Kruger, leader della Repubblica
boera in conflitto con la Gran Bretagna, peggiorando le relazioni.
• Nel 1897, la Germania sostenne l’Impero ottomano contro la Grecia, in contrasto con
l’appoggio britannico agli ellenici.

Conseguenze della Weltpolitik

1. Riavvicinamento tra le potenze europee:


• La politica aggressiva tedesca spinse la Gran Bretagna a uscire dall’isolamento e a firmare
nel 1904 l’Entente Cordiale con la Francia.
• La Russia si allontanò dalla Germania dopo il sostegno tedesco all’Austria-Ungheria durante
l’annessione della Bosnia-Erzegovina (1908), consolidando il suo interesse per i Balcani.
2. Isolamento diplomatico della Germania:
• Le tensioni generate dalla Weltpolitik contribuirono a rafforzare le alleanze tra Francia, Gran
Bretagna e Russia, preparando il terreno per gli schieramenti della Prima Guerra Mondiale.

La Francia e il caso Dreyfus


(fine XIX secolo)

Tensioni interne e instabilità politica

• Dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana (1870-1871), la Francia soffrì per la perdita di
Alsazia e Lorena, alimentando il revanscismo (desiderio di rivalsa contro la Germania).
• La politica interna fu instabile: tra il 1894 e il 1898 si alternarono 5 primi ministri e 3 presidenti della
Repubblica.
• Lo scandalo di Panama (1892) coinvolse molti deputati corrotti dalla compagnia responsabile del
progetto del canale, aggravando la sfiducia verso le istituzioni.

L’Affaire Dreyfus e l’antisemitismo

• Nel 1894 scoppiò l’Affaire Dreyfus, in cui Alfred Dreyfus, ufficiale ebreo, fu accusato ingiustamente
di spionaggio.
• I conservatori e l’Action française sfruttarono il caso per alimentare l’antisemitismo.
• Gli intellettuali progressisti, guidati da Émile Zola, difesero Dreyfus, denunciando l’ingiustizia del
processo.
• Dreyfus fu graziato nel 1899 e riabilitato nel 1906.
• Il caso divise profondamente l’opinione pubblica e rafforzò le tensioni sociali e politiche.

La nascita dei governi radicali

• Nel 1899 emerse una coalizione di democratici, repubblicani e radicali che avviò importanti riforme:
• 1901: nascita del Partito Radicale, centrato sull’anticlericalismo e la laicità dello Stato.
• 1905: legge sulla separazione tra Chiesa e Stato, abolendo il Concordato napoleonico del 1801.
• Riforme sociali (1906-1911): pensione di vecchiaia, riduzione oraria del lavoro e diritto al riposo
settimanale, promosse dai governi di Georges Clemenceau e Aristide Briand.

Conflitti sociali e ascesa del militarismo


• Nonostante le riforme, le tensioni sociali non si placarono:
• La Confédération générale du travail (CGT), di orientamento rivoluzionario, rifiutò la collaborazione
con le forze borghesi e organizzò scioperi massicci.
• Il militarismo crebbe negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale:
• 1912: il governo di destra guidato da Raymond Poincaré si caratterizzò per una politica ostile verso
la Germania.
• Poincaré divenne presidente della Repubblica nel 1913, consolidando l’approccio nazionalista e
militarista.

La fine dell'età vittoriana in Gran Bretagna


Dal 1886 al 1905, la Gran Bretagna fu dominata dal Partito conservatore, con Lord Salisbury al comando,
dopo il periodo di governo dei liberali di William Gladstone. La fine del governo Gladstone avvenne per le
divisioni interne sul tema dell’Home Rule per l’Irlanda. I conservatori riuscirono a ottenere il sostegno dei
liberali unionisti, contrari all’autonomia irlandese, rafforzando così la loro posizione.

I conservatori dovettero affrontare difficoltà economiche, in parte dovute alla guerra anglo-boera (1899-
1902), che aumentò le spese e introdusse nuove imposte. La concorrenza di potenze emergenti come
Germania e Stati Uniti stava mettendo in crisi l’economia britannica. Joseph Chamberlain propose politiche
protezionistiche per favorire il commercio con le colonie, ma i liberali si opponevano, temendo che queste
misure avrebbero danneggiato la classe operaia.

Nel frattempo, la spesa pubblica crebbe significativamente, con un aumento del numero degli impiegati
pubblici. Dopo la morte della regina Vittoria nel 1901, salì al trono Edoardo VII, dando inizio all’epoca
edoardiana, segnata da instabilità politica e dalla crescente forza del Labour Party, fondato nel 1900.
Questo partito, sostenuto dalle Trade Unions e dalla Fabian Society, si alleò con i liberali per ottenere
maggiore supporto popolare.

Nel 1906, le elezioni videro una netta vittoria dei liberali, che formarono un governo insieme ai laburisti,
ampliando la politica sociale, con l’introduzione di servizi sanitari gratuiti, assistenza alla maternità e
pensioni di vecchiaia. In questo periodo, Winston Churchill, inizialmente membro del Partito conservatore,
entrò nel Partito liberale e ricoprì vari incarichi, promuovendo riforme sociali come la giornata lavorativa di
otto ore per i minatori.

Nel 1911, con l’approvazione del Parliament Act, il governo ottenne il pieno controllo sul bilancio,
superando l’ostruzionismo della Camera dei Lord. In parallelo, la questione irlandese rimase un tema
centrale. Nonostante i tentativi di Gladstone e dei liberali di concedere la Home Rule all’Irlanda, il progetto
fu sempre ostacolato dai Lord. La situazione si inasprì ulteriormente con la creazione del partito Sinn Féin,
che rivendicava l’autonomia irlandese.

A livello coloniale, la Gran Bretagna continuò ad espandersi, occupando l’Egitto nel 1882 e conquistando
territori in Africa e Asia. Tuttavia, le guerre coloniali, come quella contro i boeri in Sudafrica (1899-1902),
rivelarono le difficoltà di mantenere il dominio su territori vasti e distanti. La vittoria in Sudafrica fu costosa e
indebolì la posizione internazionale della Gran Bretagna. Di conseguenza, il governo britannico cercò
alleanze con Francia e Russia per contenere la minaccia tedesca. Nel 1904, firmò l’Entente cordiale con la
Francia, e nel 1907, con la Russia, stabilendo la Triplice Intesa.

Questi eventi segnarono un periodo di transizione, con l’Impero britannico che affrontava sfide interne ed
esterne, mentre nuove potenze emergenti mettevano in discussione il suo predominio.

L'Impero austro-ungarico e la questione delle nazionalità


Alla fine dell’Ottocento, l’Impero austro-ungarico vide un rapido susseguirsi di governi, con ben 20 primi
ministri in Austria e 17 in Ungheria tra il 1867 e il 1914. Il governo più longevo fu quello di Eduard Taaffe,
dal 1879 al 1893, che cercò di riconciliare le diverse etnie e classi sociali dell’Impero. Tuttavia, la sua
mancata mediazione tra cechi e tedeschi lo costrinse a dimettersi.

Il conflitto tra cechi e l’Impero era legato alla promessa dell’imperatore Francesco Giuseppe di concedere
ai cechi lo stesso livello di autonomia ottenuto dagli ungheresi nel 1867, inclusa l’introduzione del ceco
come lingua ufficiale. Tuttavia, Francesco Giuseppe non mantenne questa promessa, temendo che altre
etnie potessero fare richieste simili. I cechi, delusi, iniziarono a boicottare il Parlamento, fondare società
segrete e supportare il panslavismo, un movimento che puntava all’unione politica di tutti i popoli slavi.

Nel 1897, la questione linguistica causò la caduta del Primo Ministro Kazimierz Badeni, il quale tentò di
introdurre il bilinguismo, ma si scontrò con l’opposizione dei deputati germanofoni, costringendolo alle
dimissioni. Il Parlamento di Vienna si paralizzò, mentre l’Impero divenne sempre più debole. Nel 1907, con
l’introduzione del suffragio universale maschile, si creò un Parlamento democratico, ma privo di reale
potere.

Nel 1908, l’Imperatore Francesco Giuseppe ratificò l’annessione della Bosnia-Erzegovina, un’azione che
accresceva il peso delle nazionalità slave nell’Impero e alimentava il panslavismo. La mossa sollevò
proteste internazionali, in particolare da Serbia e Russia, che vedevano minacciati i loro interessi nei
Balcani. Nel contesto diplomatico, l’Impero aveva un’alleanza con la Germania dal 1879 e, nel 1882, si unì
all’Italia formando la Triplice Alleanza. Tuttavia, questa alleanza era fragile, soprattutto a causa delle
tensioni interne legate alle rivendicazioni di autonomia delle diverse etnie, come quella italofona che
desiderava l’annessione all’Italia.

La Russia zarista tra reazione e spinte democratiche

Nel periodo tra il 1881 e il 1917, sotto i regni di Alessandro III e Nicola II, la Russia visse un ritorno a un
governo autoritario e reazionario, dopo le riforme liberali di Alessandro II. Alessandro III annullò gran parte
delle riforme del padre e sostenne l’aristocrazia, creando istituti di credito favorevoli ai nobili. La politica di
russificazione, che cercava di imporre la cultura russa nelle regioni periferiche, continuò, e la popolazione
ebraica venne perseguitata, sia con leggi discriminatorie che con violenze dirette come i pogrom.

Nel 1905, dopo l’umiliante sconfitta della Russia nella guerra contro il Giappone, scoppiò una rivolta
popolare, nota come la Rivoluzione del 1905. Le richieste di riforme sfociarono in uno sciopero generale e
nel primo soviet, un organo che rappresentava i lavoratori. Lo zar Nicola II fu costretto a concedere alcune
riforme, come la Duma (un parlamento), ma limitò presto i suoi poteri, mantenendo il controllo. Durante il
regno di Pëtr Stolypin, che fu primo ministro dal 1906 al 1911, vennero introdotte riforme agrarie per
modernizzare l’agricoltura, ma la povertà rimase diffusa tra i contadini.

In politica estera, la Russia cercò di rompere l’isolamento, specialmente dopo la fine dell’alleanza con la
Germania, a causa dell’uscita di scena di Bismarck. Nel 1891, la Russia strinse un accordo con la Francia
e nel 1907 si unì alla Gran Bretagna e alla Francia nella Triplice Intesa, in opposizione alla Triplice
Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia). La guerra russo-giapponese (1904-1905) segnò una
grande sconfitta per la Russia e spinse il paese a modernizzare l’esercito.

Questi eventi contribuirono a creare un clima di crescente malcontento che, insieme a una forte
opposizione interna, porterà alla Rivoluzione Russa del 1917.

Crisi e conflitti nello spazio mediterraneo


Ecco un riassunto dei concetti principali riguardo alla corsa per il possesso del Marocco e agli eventi legati
all’Impero ottomano, con focus sugli sviluppi internazionali prima della Prima Guerra Mondiale:

La corsa al possesso del Marocco:


Nel tardo XIX secolo, la Francia, già in possesso dell’Algeria, si impegnò a contrastare l’influenza spagnola
in Marocco. Nel 1904, la Gran Bretagna consentì alla Francia di intervenire, lasciando agli spagnoli solo il
controllo delle regioni settentrionali. La Germania, nel 1905, si oppose all’espansione francese e sostenne
il sultano marocchino al-‘Aziz per fermare l’occupazione francese. Questo portò alla Prima crisi
marocchina, risolta dalla Conferenza di Algeciras del 1906, che limitò l’influenza francese. Tuttavia, nel
1907, la Francia intervenne militarmente, occupando città come Fès e Meknès. Nel 1911, la Germania
reagì con la Seconda crisi marocchina, inviando una nave a minacciare le truppe francesi, ma alla fine
accettò una parte del Congo francese in cambio del riconoscimento del protettorato francese sul Marocco
(trattato di Fès, 1912).

Il collasso dell’Impero ottomano:


L’Impero ottomano, in grave crisi, affrontò tensioni interne dovute a movimenti indipendentisti di vari gruppi
etnici, tra cui armeni e greci. La Macedonia fu un’area particolarmente instabile, con conflitti tra bulgari e
greci. Nel 1897, la Grecia dichiarò guerra all’Impero ottomano, ma venne sconfitta grazie al sostegno
tedesco. Inoltre, il movimento armeno si radicalizzò dopo il 1878, portando a crescenti tensioni. I “Giovani
Turchi”, un gruppo di oppositori al regime, tentarono di riformare l’Impero e nel 1908 riuscirono a deporre il
sultano Abdul Hamid II, portando al potere Mehmet V. Nel 1911, l’Italia approfittò della debolezza ottomana
e invase la Libia e il Dodecaneso.

Le guerre balcaniche:
Nel 1912, Grecia, Serbia, Montenegro e Bulgaria formarono la Lega balcanica per contrastare l’Impero
ottomano. Nella Prima guerra balcanica (1912-1913), l’Impero ottomano fu sconfitto e perse quasi tutti i
suoi territori europei. Tuttavia, i paesi balcanici non si accordarono sulla divisione della Macedonia, il che
scatenò la Seconda guerra balcanica (1913), in cui la Bulgaria fu sconfitta da Grecia, Serbia, Montenegro e
Romania. La guerra portò alla creazione del nuovo stato dell’Albania, riconosciuto nel 1914 grazie anche
all’intervento di Austria-Ungheria e Italia, che volevano impedire l’espansione della Serbia.

Questi eventi segnarono un periodo di instabilità che contribuì alla tensione internazionale prima della
Prima Guerra Mondiale.

L'Estremo Oriente: Cina e Giappone


Alla fine del XIX secolo, il colonialismo europeo aveva raggiunto gran parte del mondo, ma in Asia
l’ostacolo principale era rappresentato dalla Cina. Nonostante fosse un paese vasto e unitario, governato
dalla dinastia Qing, la Cina era arretrata e senza un esercito moderno. Le potenze europee cercavano di
spartirsi il territorio cinese, ma dovettero accontentarsi di ottenere delle “concessioni”, ovvero zone portuali
e commerciali controllate militarmente. Gli occidentali erano malvisti in Cina, dove la loro ingerenza e i
tentativi di evangelizzazione suscitavano odio. Questo sentimento esplose nel 1898 con la rivolta dei
Boxer, che cercavano di cacciare gli stranieri. Le potenze coloniali risposero con una spedizione militare,
ponendo fine alla rivolta e imponendo pesanti indennità alla Cina.

Nel 1911, la debolezza della dinastia Qing portò alla rivoluzione che rovesciò l’impero, dando vita alla
Repubblica Cinese, guidata da Sun Yat-sen, che cercò di fermare l’espansione occidentale e modernizzare
il paese. Tuttavia, il suo governo fu breve e il paese entrò in un periodo di instabilità, dominato dai “signori
della guerra” e dalle potenze straniere.

Nel frattempo, il Giappone, grazie alla Restaurazione Meiji, divenne una potenza industriale e militare. Nel
1904-1905, il Giappone sconfisse la Russia nella guerra russo-giapponese, segnando una vittoria storica
per un paese asiatico contro una potenza europea. Dopo il conflitto, il Giappone ottenne il controllo su
Corea e Manciukuè.

In Europa, la Francia e la Gran Bretagna risolsero le loro rivalità coloniali in Marocco, ma la Germania
cercò di contrastare l’influenza francese, portando a due crisi marocchine (1905 e 1911). La Francia
ottenne il controllo del Marocco, mentre la Germania si accontentò di un’area del Congo francese.

Infine, l’Impero Ottomano si trovava in una crisi profonda, segnata da tensioni interne ed esterne.
Movimenti nazionalisti, come quelli armeni, e le rivolte interne segnavano il suo declino. I “Giovani Turchi”
rovesciarono il sultano Abdul Hamid II nel 1909, e l’Italia approfittò della debolezza ottomana per
conquistare la Libia nel 1911. Inoltre, la Lega Balcanica, composta da Grecia, Serbia, Montenegro e
Bulgaria, lanciò guerre contro l’Impero Ottomano, che subì una pesante sconfitta. La divisione della
Macedonia tra Serbia, Grecia e Bulgaria portò poi alla Seconda Guerra Balcanica, in cui la Bulgaria fu
sconfitta.

Questi eventi contribuirono alla crescente instabilità internazionale e prepararono il terreno per la Prima
Guerra Mondiale.

Gli Stati Uniti: una potenza in ascesa


Nel periodo successivo alla Guerra Civile (1861-1865), gli Stati Uniti vissero una rapida crescita
demografica, con un flusso massiccio di immigrati europei. La popolazione passò da circa 50 milioni nel
1880 a oltre 90 milioni nel 1910. Parallelamente, l’economia statunitense si rafforzò, con ingenti
investimenti nelle infrastrutture, come una vasta rete ferroviaria di 300.000 km, che facilitò il commercio
interno. Tuttavia, emerse un sistema produttivo dominato da grandi monopolisti, come quelli nel settore
petrolifero, che portarono all’introduzione di leggi antitrust, come lo Sherman Act (1890), per contrastare le
concentrazioni monopolistiche.
Nonostante la crescita economica, si verificarono conflitti sociali, soprattutto tra la crescente classe operaia
e i padroni, che rifiutavano di concedere diritti ai lavoratori. I sindacati non riuscirono ad ottenere risultati
significativi, anche a causa dell’opposizione dei partiti politici che ricevevano fondi dalle grandi aziende e si
opponevano all’intervento statale nell’economia.

Dal punto di vista della politica estera, gli Stati Uniti passarono dall’isolazionismo a un interventismo
economico e militare. Con la “dottrina Monroe” (1823), gli Stati Uniti si opponevano all’ingerenza europea in
America, ma con il “corollario Roosevelt” (1904), il presidente Roosevelt affermò il diritto degli Stati Uniti di
intervenire nei paesi del continente americano per proteggere i loro interessi. Questa politica si tradusse in
espansioni territoriali, come la guerra ispano-americana del 1898, che portò gli Stati Uniti a controllare
Cuba, Porto Rico, le Filippine e altre isole del Pacifico.

Un altro esempio di espansionismo fu la creazione del Canale di Panama. Dopo aver sostenuto
l’indipendenza di Panama dalla Colombia (1903), gli Stati Uniti completarono la costruzione del canale nel
1914, rafforzando il loro controllo sulla zona e sul commercio mondiale.

In sintesi, il periodo tra il 1880 e il 1910 segnò una grande trasformazione economica e politica per gli Stati
Uniti, che divennero una potenza mondiale con ambizioni imperialistiche, pur rifiutando il colonialismo
tradizionale europeo.

L'America latina e la Rivoluzione messicana


Migrazioni e sviluppo economico in America Latina
• Flussi migratori: Tra fine Ottocento e inizio Novecento, i paesi dell’America Latina, come Argentina,
Brasile e Uruguay, furono meta di massicci flussi migratori, aumentando la popolazione e formando
grandi città (es. Buenos Aires, San Paolo, Montevideo).
• Sviluppo economico: L’Europa, con l’industrializzazione, aumentò la domanda di prodotti
sudamericani (grano, carne, zucchero, caffè, cacao). Ciò portò a una crescita delle esportazioni, ma
anche a una dipendenza economica da paesi stranieri. La monocoltura (una sola coltura dominante)
divenne prevalente, con effetti positivi (modernizzazione) a breve termine e negativi (dipendenza) a lungo
termine.

Struttura politica e sociale


• Oligarchia e esclusione: La politica era dominata da un’élite di latifondisti (grandi proprietari terrieri)
e l’accesso alla politica era limitato. Il voto non era universale, ma controllato da clientelismo e violenze.
Le oligarchie mantennero il potere, spesso con il supporto militare, impedendo la democratizzazione.
• Coronelismo in Brasile: Dopo l’abolizione della schiavitù (1888), i latifondisti persero la manodopera
gratuita e nel 1889 avvenne un colpo di Stato che portò alla Repubblica. Il sistema federale favorì il
coronelismo, in cui i latifondisti controllavano il territorio con eserciti privati.

Brasile e la fine della monarchia


• Abolizione della schiavitù: Nel 1888 il Brasile abolì la schiavitù, ma ciò indebolì i grandi proprietari
terrieri, creando le condizioni per un colpo di Stato che portò alla proclamazione della Repubblica nel
1889. La politica economica continuò a favorire le esportazioni di caffè e carne, ma non promosse
l’industria.

La Rivoluzione Messicana
• Cause: A partire dal 1877, il Messico era sotto il controllo della dittatura di Porfirio Díaz, che favorì i
latifondisti e le multinazionali straniere, creando forti disuguaglianze.
• Rivoluzione: Nel 1910, la Rivoluzione messicana iniziò con la lotta dei contadini (sostenuti da
Emiliano Zapata e Pancho Villa) e dei liberali (Francisco Madero). Il governo di Díaz crollò nel 1911, ma i
contadini non ottennero subito le riforme richieste.
• Guerra civile e riforme: Dopo l’assassinio di Madero (1913) e una guerra civile, Venustiano
Carranza e Álvaro Obregón divennero leader, ma i riformatori non riuscirono a realizzare pienamente le
promesse, come la riforma agraria. Zapata (1919) e Villa (1923) furono uccisi, ma le loro lotte segnarono
la storia del Messico.

CAPITOLO 3 –L’ ETÁ GIOLITTIANA


La crisi di fine secolo e l'inizio di un nuovo corso politico
Alla fine del XIX secolo, l’Italia affrontò gravi crisi, come il fallimento della politica coloniale e conflitti sociali
acuti. I governi di Depretis e Crispi avevano cercato di espandere il paese in Africa, ma la sconfitta a Adua
nel 1896 contro l’Etiopia segnò la fine di queste velleità imperialiste. L’economia italiana, già in difficoltà a
causa della “grande depressione”, subì anche misure di austerità, come aumenti delle tasse sui consumi,
che colpirono principalmente i ceti popolari. Le agitazioni sociali, tra cui scioperi e proteste, furono
duramente represse dal governo con l’uso dell’esercito.

La repressione, culminata nella strage di Milano del 1898, portò a un crescente malcontento che sfociò
nell’attentato mortale contro il re Umberto I nel 1900, ad opera di Gaetano Bresci. Il figlio di Umberto,
Vittorio Emanuele III, salì al trono e, con idee più progressiste, affidò il governo a Giuseppe Zanardelli, che
nominò Giovanni Giolitti come ministro degli Interni. Giolitti propose una nuova visione del rapporto tra
Stato e società, promuovendo il dialogo con le parti sociali per risolvere i conflitti.

Durante il governo Zanardelli (1901-1903), furono introdotte riforme importanti, come leggi sul lavoro per
tutelare le donne e i minori, e un sistema di assicurazione contro infortuni e pensioni. Inoltre, si avviò la
municipalizzazione dei servizi pubblici. La nascita di organizzazioni sindacali, come le Camere del lavoro e
la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), segnò l’inizio di un processo di emancipazione dei
lavoratori. Anche i cattolici si organizzarono, creando le Leghe bianche nelle campagne e società di mutuo
soccorso in ambito industriale.

Nel novembre 1903, Zanardelli si dimise per motivi di salute e Giolitti assunse la leadership del governo,
cercando di portare avanti le riforme e di conciliare i conflitti sociali, evitando l’uso della forza contro le
manifestazioni operaie. Giolitti, tuttavia, non fu altrettanto conciliatorio con i moti contadini. Il suo governo si
distinse per l’apertura verso socialisti e cattolici, cercando di allargare la base sociale dello Stato liberale.
Questo periodo è conosciuto come “età giolittiana”.

Socialisti e cattolici, nuovi protagonisti della vita politica italiana

Il Partito Socialista Italiano (PSI) fu fondato nel 1892 da Filippo Turati come Partito dei Lavoratori,
divenendo rapidamente il principale riferimento politico per le masse operaie, soprattutto al Nord. Al suo
interno si svilupparono due correnti principali: quella riformista, guidata da Turati, che sosteneva la
partecipazione alla vita parlamentare per ottenere riforme politiche e sociali, come il suffragio universale e
la libertà sindacale, e quella rivoluzionaria, capeggiata da Arturo Labriola, che mirava a un cambiamento
radicale attraverso una rivoluzione armata. Nel 1900, il programma minimo fu adottato dalla maggioranza
del PSI, ma la corrente rivoluzionaria rimase influente, guidando le Camere del lavoro e promuovendo
scioperi generali, come quello del 1904 in solidarietà con i minatori di Buggerru e i contadini di Castelluzzo.

Parallelamente, il mondo cattolico aveva inizialmente osteggiato lo Stato liberale, a causa della storica
rottura con Roma dopo l’occupazione di Roma nel 1870. Tuttavia, nel tempo, i cattolici iniziarono a
partecipare alla vita politica, sostenendo i liberali alle elezioni e, dopo l’enciclica Rerum Novarum di Leone
XIII nel 1891, nacquero organizzazioni cattoliche orientate a una maggiore giustizia sociale. All’interno del
mondo cattolico, emersero diverse correnti: gli intransigenti, contrari alla partecipazione politica, e i
moderati, favorevoli a collaborare con i liberali per contrastare i socialisti. Un orientamento più radicale fu
quello del sacerdote Romolo Murri, che criticava il sistema liberale per la sua mancanza di giustizia sociale
e propose un movimento democratico cristiano. Tuttavia, le sue idee vennero condannate dalla Chiesa, e
nel 1909 fu scomunicato da Papa Pio X quando si candidò come deputato radicale.

Questi sviluppi mostrano come, nel primo Novecento, la politica italiana fosse segnata da un crescente
coinvolgimento di diverse forze sociali, con il PSI che cercava di portare avanti le proprie istanze attraverso
il riformismo o la rivoluzione e i cattolici che, pur restando divisi, iniziarono ad avere un impatto crescente
sulla vita politica.

La politica interna di Giolitti


Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio, cercò di coinvolgere i socialisti nel governo, ritenendo che la loro
partecipazione avrebbe favorito lo sviluppo dell’industria e la stabilizzazione del sistema capitalistico in
Italia. Tuttavia, il leader socialista Filippo Turati rifiutò l’offerta di alleanza, in quanto la maggioranza del PSI
era ormai a favore della corrente rivoluzionaria, che si opponeva alla collaborazione con il governo
borghese. Questo fallimento non scoraggiò Giolitti, che continuò a cercare alleanze con vari gruppi politici,
inclusi liberali, cattolici e conservatori, mantenendo così un forte potere politico per oltre un decennio. La
sua strategia trasformista, che prevedeva la collaborazione con diverse fazioni, è stata talvolta definita
“dittatura giolittiana” da alcuni storici.

Durante il suo governo, Giolitti promosse importanti riforme. Nel 1904, con la legge Orlando, l’obbligo
scolastico fu esteso fino al dodicesimo anno d’età. Tra il 1904 e il 1906 furono introdotti provvedimenti per il
Mezzogiorno, con iniziative per modernizzare le regioni del Sud, come l’industria a Napoli, il risanamento
agricolo in Basilicata e la costruzione di un acquedotto in Puglia. Giolitti propose anche la
nazionalizzazione delle ferrovie, per risolvere la cattiva gestione privata e ridurre i costi del trasporto delle
merci, ottenendo il sostegno dei socialisti riformisti, mentre i socialisti rivoluzionari si opposero per paura
che i ferrovieri perdessero il diritto di sciopero. Nel 1905 nacquero le Ferrovie dello Stato.

Giolitti, inoltre, propose nel 1911 il suffragio universale maschile, che fu approvato nel 1912, estendendo il
diritto di voto a un numero maggiore di cittadini (dal 9% al 24% della popolazione). Nel 1912, fu introdotto
anche il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, per finanziare la previdenza sociale e le pensioni,
consolidando il sistema di welfare già avviato.

Nel 1913, Giolitti cercò l’alleanza del mondo cattolico in vista delle elezioni, in un momento in cui il Partito
Socialista stava guadagnando potere. Per questo, stipulò il patto Gentiloni con l’Unione elettorale cattolica,
dove i cattolici accettarono di votare per i liberali in cambio della promessa che il Parlamento non avrebbe
approvato leggi contrarie agli interessi della Chiesa, come quella sul divorzio. Grazie a questo patto, i
liberali vinsero le elezioni, segnando un nuovo capitolo nei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

In sintesi, Giolitti ha governato con un approccio pragmatico, cercando di mantenere la stabilità politica
attraverso alleanze variabili, promuovendo riforme sociali e politiche importanti e risolvendo alcune
problematiche economiche e sociali, pur utilizzando un’opportunistica strategia di compromesso con diversi
gruppi politici.

La politica coloniale e la crisi del sistema giolittiano


Giolitti, dopo la sconfitta di Adua nel 1896, abbandonò momentaneamente l’espansione coloniale,
cercando di migliorare i rapporti internazionali, anche con la Francia, nonostante l’Italia fosse alleata con
Germania e Austria-Ungheria nella Triplice Alleanza. Tuttavia, con il deteriorarsi delle relazioni tra le
potenze europee, Giolitti dovette affrontare pressioni per riprendere una politica estera più assertiva,
sostenuta dai nazionalisti. Questi, spingendo per nuove ambizioni coloniali, vedevano nella colonizzazione
una via per fermare l’emigrazione degli italiani e rafforzare la posizione dell’Italia. Così, Giolitti decise di
intraprendere una guerra per la Libia, territorio dell’Impero Ottomano.

Nel 1911 iniziò la guerra, che incontrò una resistenza più forte del previsto, soprattutto a causa della
guerriglia ottomana. Nonostante le difficoltà, l’Italia ottenne la vittoria e nel 1912 la pace di Losanna stabilì il
possesso della Libia. Tuttavia, il conflitto alimentò il nazionalismo e il militarismo, mettendo in difficoltà
Giolitti, che temeva le spinte imperialiste e le tensioni interne.

Nel frattempo, il socialismo si radicalizzò, con la prevalenza dei rivoluzionari contro i riformisti. La guerra e
la crisi economica del 1913 segnarono un peggioramento della situazione sociale, sfociando nella
“settimanarossa” del 1914, una serie di violente proteste. Questi eventi segnarono il fallimento del tentativo
di Giolitti di conciliare le diverse forze sociali e politiche, portando alle sue dimissioni nel 1914.

L’era giolittiana ha visto un significativo sviluppo industriale e riforme sociali, come l’istruzione gratuita, ma
ha anche evidenziato l’incapacità di risolvere le questioni agrarie e meridionali, lasciando gran parte della
popolazione contadina in miseria. La fine di Giolitti segna la difficoltà di continuare un governo improntato
al compromesso in un’Italia sempre più polarizzata.

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