I.
L’ORDINAMENTO GIURIDICO E IL DIRITTO COSTITUZIONALE
1. LE REGOLE DEL DIRITTO
La pluralità delle organizzazioni sociali corrisponde alla pluralità degli ordinamenti giuridici, infatti
“qualunque organizzazione sociale costituisce un ordinamento giuridico”. Un’organizzazione per essere
considerata tale ha bisogno di un complesso di regole che ne disciplinano la vita e l’attività. Le regole
costituiscono il diritto di una determinata organizzazione, esse nel loro insieme formano un ordinamento
giuridico. Tali regole appartengono al linguaggio prescrittivo del dover essere e sono finalizzate alla
sopravvivenza e allo sviluppo di una certa organizzazione.
→ Le regole etiche e religiose hanno come fine quello di perseguire il perfezionamento dell'individuo e la
sua salvezza dell'anima, mentre le regole giuridiche regolano i rapporti fra i soggetti di un’organizzazione
sociale, definiscono i confini degli interessi, individuano e tutelano beni e valori ad essi comuni.
Le regole non giuridiche impongono solo doveri, le regole giuridiche, accanto ai doveri, tutelano i diritti dei
consociati.
Siamo in presenza di norme giuridiche quando si instaura un rapporto fra due o più soggetti, che sulla base
di una regola comune (diritto oggettivo) imposta da altri (eteronoma) o posta dalle parti (autonoma) dà
luogo a vincoli reciproci.
Ogni organizzazione produce diritto ed è soggetta a quel diritto. Ne deriva che il diritto non è monopolio di
alcuna organizzazione, ma inerisce a qualunque organizzazione: questa è la teoria della pluralità degli
ordinamenti giuridici.
In questo libro studieremo il diritto dello stato, una delle strutture più complesse all'interno del diritto.
2. COSA E’ UN ORDINAMENTO GIURIDICO
Qual è il rapporto fra diritto e organizzazione sociale? È il diritto che fonda l’organizzazione o viceversa?
▪ Secondo i fautori delle teorie normativiste (che si possono ricondurre al giurista austriaco Hans Kelsen),
l’ordinamento è costituito dal complesso delle norme vigenti in un determinato spazio territoriale, visto come
un qualcosa a sé, isolato dalla società e da studiarsi secondo regole proprie (dottrina pura del diritto).
▪ Secondo i fautori delle teorie istituzionaliste (che si possono ricondurre ai costituzionalisti Santi Romano
e Maurice Hauriou) un ordinamento è il complesso delle norma che scaturiscono da una determinata
organizzazione sociale. Non sono le norme a dar luogo all’organizzazione, ma è questa che le produce; la
loro funzione è di mantenerla, consolidarla, rafforzarla.
Possiamo dire infatti che le norme sono il prodotto di fatti normativi intervenuti in un certo momento della
storia. Come esempio basta pensare alle Common Law dei paesi anglosassoni nei quali dalla regolarità dei
comportamenti scaturisce la gran parte delle norme. Ma essa è valida anche per gli altri ordinamenti, nei
quali è invece prevalente il peso delle norme scritte, pubblicate e promulgate da organi sovrani (Civil law).
La stessa Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948 ne è un esempio, in quanto prima che si formasse
c'erano già basi formate nella società e quindi di fatti normativi.
La teoria normativista gode di rilevanza poiché tende a rendere il diritto una scienza oggettiva nel suo essere,
valida perchè "posta" (da "positum", comando), come "diritto positivo".
Quindi concludendo secondo le teorie normativiste una società ha un ordinamento, secondo invece le teorie
istituzionaliste una società è un ordinamento.
Per meglio definire l'espressione "ordinamento", indichiamo lo stesso come l'insieme di elementi - quali
prescrizioni, consuetudini, fatti normativi – accomunati dal fatto di essere tutti espressioni di una
determinata organizzazione sociale e coordinati secondo criteri sistematici.
Un lungo dibattito si inserisce nel diritto, ovvero se il diritto naturale sia sopra ogni diritto. Purtroppo l'idea
di cosa sia il diritto naturale è variabile nel tempo e nei luoghi quindi è pressoché impossibile darne una
risposta certa.
Inoltre da dopo la fine della seconda guerra mondiale sono tornate le teorie giusnaturaliste che riconoscono
i diritti inviolabili dell'uomo.
3. OGNI ORDINAMENTO E’ UN SISTEMA
Ogni ordinamento è un sistema unitario (ha un principio fondante che ne assicura l’unità), necessariamente
coerente (non ammette contraddizioni tra norme) e completo (non ammette lacune o vuoti normativi).
L’essere sistema dell’ordinamento è il prodotto sia di consapevole volontà del legislatore sia dell’attività
degli interpreti. L’interprete del diritto deve presupporre che il diritto costituisca un sistema, così
contribuendo a far sì che lo diventa effettivamente.
Interpretazione: le varie norme e i vari settori del diritto non sono parti di un tutto, ma un insieme di
elementi, ciascuno con propria funzione coordinata rispetto a quella degli altri. Ciò spiega perché, accanto
all’interpretazione letterale si faccia uso di altri strumenti interpretativi, fra i quali l’interpretazione logica-
sistematica che inerisce anche al contesto di sistema.
L’interprete deve inoltre penetrare nella logica del sistema giuridico e può dar vita a nuove regole per casi
non espressamente presi in considerazione dal testo scritto (interpretazione analogica).
Disposizione vs norma: la dottrina moderna è solita distinguere fra disposizioni e norme. Le disposizioni
sono mere formulazioni linguistiche, potenzialmente suscettibili di diverse interpretazioni. Le norme sono il
risultato dell’interpretazione, operata sulla base di più criteri (letterale, logica, ecc..).
4. COSTITUZIONE E ORDINAMENTO COSTITUZIONALE
Affinché un ordinamento giuridico possa costituire un sistema è indispensabile che la sua unità, coerenza,
completezza siano assicurate sia da un insieme di principi e valori fondanti sia dalla catena di produzione di
nuove norme. Tali principi sono sanciti da una costituzione.
La costituzione può essere scritta o non scritta, e se scritta rigida o flessibile.
→ Rigida si considera la costituzione che si può modificare solo con un procedimento di revisione aggravato
(rispetto al modo di produzione della legge ordinaria).
→ Flessibile si considera la costituzione che può essere modificata o cui si può derogare tramite legge
ordinaria.
Dalla fine del XVIII secolo per effetto del movimento costituzionalista si è cominciato ad avere costituzioni
scritte (denominate statuti o carte). Le prime costituzioni furono sostanzialmente improntate ai principi del
liberalismo. Anche se la forma scritta è oggi di gran lunga prevalente, vi sono paesi che non hanno un simile
documento, l’esempio tipico è quello della Gran Bretagna. Essa non ha una costituzione ma possiede un
nucleo di norma che costituiscono l’ordinamento costituzionale di quel paese.
Non si può quindi affermare che ogni ordinamento statale ha una costituzione, è invece vero che ogni
ordinamento statale ha un proprio diritto costituzionale.
Ogni paese ha quindi un ordinamento costituzionale ovvero il complesso delle norme fondamentali, scritte
e non scritte, che danno forma all’ordinamento giuridico e rappresentano, per così dire, il codice genetico
che determina l’identità dell’ordinamento stesso, vale a dire il suo ordine costituzionale.
E’ importante sottolineare che la costituzione:
- come documento scritto non esaurisce affatto tutto ciò che attiene agli elementi di fondo
dell’ordinamento: restano fuori da esso leggi costituzionali e consuetudini costituzionali;
- essere considerati tali da caratterizzare l’ordinamento. Vi sono norme formalmente costituzionali la
cui abrogazione o modifica non eliminerebbe alcun pilastro dell’ordine costituzionale (es: modifica
del numero dei parlamentare);
- può contenere norme non più effettivamente vigenti. Es: contrapposizione tra statuto e leggi fasciste.
In breve: l’ordinamento costituzionale di un paese non si identifica con le sole norme formalmente
costituzionali, e viceversa, le norme di una costituzione non esauriscono i contenuti di un ordinamento
costituzionale.
Può infatti accadere che il processo di revisione totale della costituzione non determini alcun mutamento
dell’ordinamento costituzionale. Es: nuova costituzione elvetica del 2000.
Organi costituzionali vs organi di rilevanza costituzionale: la distinzione tra norme costituzionali che
conferiscono identità all’ordinamento e norme costituzionali che non hanno la medesima funzione, fa capire
a sua volta la distinzione tra organi costituzionali e organi di rilevanza costituzionale:
→ gli organi costituzionale, concorrono a delineare l’ordinamento costituzionale (Parlamento,
Governo, presidente della Repubblica, Corte Costituzionale);
→ gli organi di rilevanza costituzionale, pur previsti dalla costituzione non possono definirsi
necessari per delineare l’ordinamento costituzionale (Consiglio nazionale economia e lavoro).
Il ricorso al concetto di ordinamento costituzionale risponde a fini pratici. Esso aiuta a:
- meglio interpretare le norme costituzionali vigenti, tenendo conto di ciò che caratterizza l’ordinamento nel
suo complesso, al di là del documento scritto, alla luce delle trasformazioni sociali intervenute;
- individuare i limiti al potere di revisione costituzionale: essendo il potere di revisione non un potere
costituente ma un potere costituito (cioè previsto e disciplinato dalla Costituzione stessa), esso non può
contraddire le basi della propria legittimazione;
- stabilire se una carta costituzionale è in vigore oppure no: se il divario tra l’ordinamento costituzionale e il
documento costituzionale è eccessivo si deve dubitare che il secondo sia ancora in vigore.
Desuetudine: un aspetto delicato dell’attività dei costituzionalisti consiste nello stabilire la distinzione fra
una vera e propria desuetudine (cioè una consuetudine abrogatrice) e una prolungata violazione delle
disposizioni costituzionali.
5. L’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE FRA NORMATIVISMO E ISTITUZIONALISMO
Nell’ambito del concetto di costituzione si è manifestata una contrapposizione fra normativisti e
istituzionalisti.
Normativisti: tendono ad identificare la costituzione con il documento costituzionale, posto al vertice del
sistema delle fonti del diritto. Essi vedono nel diritto un sistema di tipo piramidale che al vertice ha una
norma suprema – presupposta ma non posta – da cui discende a cascata l’intero ordinamento.
Istituzionalisti: tendono ad identificare la costituzione con la decisione politica che fonda l’ordinamento
costituzionale.
È necessario distinguere costituzione e ordine costituzionale: nel primo caso si fa riferimento alla carta
entrata in vigore nel 1948 nel secondo caso invece ai principi che fanno parte. Non si fa riferimento a
forze politiche e questo ne garantisce una certa autonomia.
Il diritto costituzionale è il nucleo dell'ordinamento.
6. DIRITTO PUBBLICO E DIRITTO PRIVATO
Il diritto costituzionale si colloca sempre prima degli altri diritti, proprio perché ritenuto alla base di
tutte le norme. Possiamo distinguere il diritto in:
- diritto privato, nel quale lo stato lascia ai cittadini il libero esercizio e quindi il libero contratto, nella
realtà anche all’interno dei rapporti privatistici lo stato garantisce la parità tra i soggetti e controlla che
le loro attività non contrastino con l’interesse generale;
- diritto pubblico, lo stato è sempre al primo posto negli interventi che gli competono. Anche se oggi
molte amministrazioni si affidano al privato (es. liberalizzazioni).
Il confine tra privato e pubblico è mobile ed ha uno scopo didattico-pratico: serve a separare le attività
riservate ai soggetti privati da quelle in cui operano i soggetti portatori di interessi generali.
Del pubblico fanno parte il diritto costituzionale, parlamentare, regionale, amministrativo, tributario,
ecclesiastico, penale e civile. Nel caso invece del diritto del lavoro e dell'economia si parla di diritto
misto, facente parte sia del diritto pubblico sia di quello privato.
II. LO STATO
1. LO STATO COME COMUNITA’ POLITICA
Si può parlare di stato quando una popolazione, sottomettendosi a un potere politico, dà vita ad un
ordinamento in grado di soddisfare i suoi interessi generali (difesa, sicurezza interna, giustizia).
In questo modo una popolazione diviene popolo, ovvero un insieme di persone legate dal fatto di condividere
tutte un’uguale cittadinanza, quando sono assoggettate ad una tendenziale uguaglianza di diritti e di doveri.
Lo stato moderno è caratterizzato da più elementi ma due sono quelli più importanti:
- politicità, ovvero il potere di sottoporre alle proprie regole chiunque si trovi nel suo territorio e di
curare tutti gli interessi generali che riguardano la collettività;
- sovranità, ovvero la supremazia rispetto ad ogni altro potere costituito al suo interno e la sua
indipendenza rispetto a poteri esterni.
La sovranità è un potere non costituito ma costituente. Solo gli stati sovrano possono darsi/possedere una
costituzione.
Politicità e sovranità sono le caratteristiche dell’ordinamento statale.
Vi sono enti come ad esempio i comuni e le regioni che possono essere definiti politici ma non sovrani.
Uno stato può definirsi tale se riesce a conseguire sopra un determinato territorio il monopolio della forza.
Lo stato esercita il monopolio della forza sia in forma diretta, grazie all’uso della forza legale
(organizzazione di tribunali e di forze di polizia …) sia in forma indiretta ponendosi come unico soggetto in
grado di legittimare altri soggetti all’uso della forza (autorizzando la costituzione di forze di polizia locali).
Per aversi uno stato devono essere presenti tutti e tre gli elementi:
- un popolo (anche plurietnico ma che sia uno, cioè si sia dato un unico ordinamento costituzionale);
- un territorio (non necessariamente contiguo, es. Alaska e USA);
- un governo sovrano;
Non costituisce stato:
- un popolo privo di territorio (rom);
- un popolo stanziato su un territorio ma privo di un governo in grado di controllarlo (curdi);
- una popolazione insediata su un territorio disputato fra più di un governo in conflitto (Bosnia-Erzegovina
prima del 1995);
- uno stato la cui sicurezza esterna è assicurata da uno stato straniero (protettorato o colonie)
Sovranità: la sovranità appartiene al popolo. Da ciò derivano due aspetti fondamentali:
- il popolo è la fonte di legittimazione di ogni potere statale;
- il popolo, o meglio, il corpo elettorale è titolare dei poteri sovrani (esso elegge gli organi dello stato
e gli altri enti territoriali);
L’esercizio del potere sovrano incontra limiti crescenti:
- limiti di fatto derivanti dallo sviluppo di tecnologie informatiche e dai processi di globalizzazione,
che rendono difficile il controllo degli stati sia sulla circolazione delle informazioni sia sulla
circolazione dei capitali e delle risorse prodotte dal proprio territorio;
- limiti giuridici, derivanti dall’evoluzione dell’ordinamento internazionale che mira non più solo ad
assicurare la coesistenza fra stati ma anche fa i popoli e i singoli individui, allo scopo di proteggere i
diritti umani.
Nonostante tali limiti la sovranità rimane ancora valida poiché si presume che le limitazioni siano volute dal
popolo stesso nell’esercizio del potere costituente.
→ Stato federale: lo schema della sovranità sembra essere contraddetto dallo stato federale (USA, Svizzera).
Esso infatti realizza un ordinamento complesso in cui la sovranità è distribuita a due livelli di governo,
quello dello stato federale e quello degli stati federati, ciascuno con la propria costituzione. Il processo di
unificazione federale dà vita a un nuovo stato: la costituzione federale è fonte di legittimazione di tutti i
poteri pubblici, anche di quelli degli stati federati.
→ Confederazione di stati o unione di stati: in questo caso più stati non danno vita a un nuovo stato, ma a
comuni strutture di cooperazione. La confederazione è disciplinata dal diritto internazionale ed è priva di una
costituzione. Es: Unione Europea.
Gli stati sorgono e vivono, ma anche muoiono (Austria tra il 1938-1945) si trasformano (le due Germanie si
uniscono dopo la caduta del muro di Berlino del 1989) e si dividono (Jugoslavia nel 1990-1992).
Tali trasformazioni possono essere valutate sia dal punto di vista del diritto internazionale (riconoscimento
da parte degli altri stati e ammissione nell’organizzazione delle Nazioni Unite) sia dall’autonomo punto di
vista del diritto interno.
Uno stato, inoltre, può esso stesso qualificarsi come nuovo ed esserlo indiscutibilmente dal punto di vista
interno (Russia sovietica dopo la Rivoluzione del 1917) ma non essere considerato tale dal punto di vista
internazionale (alla Russia sovietica furono addebitate le obbligazioni contratte dalla Russia zarista).
2. LA GIUSTIFICAZIONE DELLO STATO
Le funzioni della comunità statale stanno alla base delle diverse dottrine dello stato, le quali riflettono sulle
forme di stato succedutesi in epoca moderna.
▪ Secondo il costituzionalismo d matrice liberale (di cui fu massimo teorico il filosofo inglese John Lock)
gli uomini possiedono tre diritti: alla vita, alla libertà e alla proprietà. Allo scopo di salvaguardarli hanno
anche il diritto di difendersi, per farlo in modo più efficace essi trasferiscono per contratto tali diritti ad
un’autorità sovrana. Esso perché si parla di dottrine contrattualistiche. Compito dello stato è solo di
riconoscere tali diritti e di assicurarne l’intangibilità. Il trasferimento può essere sempre revocato.
▪ Partendo dallo stesso filone contrattuali sta Thomas Hobbes giunge a conclusioni diverse. Per Hobbes lo
stato nasce da una condizione di grave conflitto (ogni uomo è nemico dell’altro uomo). Per uscire da questa
condizione si delega al sovrano il potere di disporre di se stessi. Ne deriva che lo stato non ha obblighi verso
i sudditi, si tratta di uno stato Leviatano che assoggetta al suo potere autoritario.
▪ La filosofia di Hegel è invece legata ad una visione dello stato come realtà spirituale, nella quale lo stato
precede le parti (singoli) e non è quindi uno strumento per la tutela dei diritti. Entriamo nel caso delle
dottrine statolatre secondo le quali gli individui ricevono identità dallo stato identificandosi con lo stesso.
Riassumendo tali dottrine hanno una fede cieca e assoluta nello stato.
Quando ad uno stato così concepito si attribuisce una missione derivante da valori a loro volta pensati come
assoluti (la nazione, la razza) si può parlare di uno stato etico. Es: stato fascista o nazista che tende a
riconoscere un capo e un solo partito.
▪ Secondo le dottrine marxiste il principale fattore di civilizzazione non è lo stato ma la società civile. Lo
stato si trasforma in una macchina attraverso cui una classe esercitava il dominio sulle altre.
Queste diverse impostazioni filosofico-politiche influenzarono i costituenti italiani. Da poco superato il
fascismo vennero decisamente rifiutate le dottrine statolatre e netta fu l’influenza delle dottrine
liberalcontrattualiste (art. 2 costituzione: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo).
Al tempo stesso di volle fare forte rilievo alle formazioni sociali intermedie (famiglia, scuola..). L’influenza
marxista è evidente nella costituzione italiana, in particolare nell’art. 3 il quale assegna alla repubblica il
compito di promuovere l’eguaglianza eliminando “gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale
del paese”.
3. LE FORME DI STATO MODERNE E IL COSTITUZIONALISMO LIBERALDEMOCRATICO
Le forme di governo hanno per oggetto le modalità di distribuzione del potere politico fra i vari organi
dello stato, vale a dire come vengono assunte da chi governa le decisioni politiche che concernono una
determinata collettività statale.
Le forme di stato hanno per oggetto il modo un cui si atteggia il rapporto fra i cittadini e il potere politico,
vale a dire il rapporto fra governanti e governati, nonché i fini ultimi che si pone l’ordinamento.
Esistono diverse tipologie di forme di stato:
▪ Stato assoluto: si afferma con la dissoluzione dell'ordinamento feudale. Esso si caratterizza per:
- legittimazione del sovrano direttamente da Dio;
- accentramento in capo al sovrano e ai suoi delegati di tutto il potere pubblico senza distinzione tra le
varie funzioni;
- rigida divisione in classi sociali e riconoscimento all’aristocrazia di particolari privilegi e immunità.
Le moderne forme di stato (stato liberale e liberaldemocratico) traggono le loro origini dal superamento dello
stato assoluto.
▪ Stato liberale: nasce come frutto della lotta vittoriosa tra borghesia (terzo stato) e aristocrazia e clero. Esso
è caratterizzato da una base sociale ristretta poiché il diritto al voto è riservato a coloro che possiedono un
determinato censo o determinate capacità. Al tempo stesso riconosce a tutti i cittadini i diritti di proprietà e
di libertà. E' uno stato monoclasse.
▪ Stato liberaldemocratico: nasce all'inizio 900 e attribuisce a tutti i cittadini maggiorenni il diritto di voto
(Italia 1912 suffragio universale maschile). Esso favorisce l'organizzazione degli individui in partiti e in
sindacati al fine di rappresentare e tutelare i ceti più deboli. È uno stato pluriclasse.
▪ Stato sociale: garantisce a tutti i diritti dell'individuo. Esso interviene sia a livello sociale che economico.
Si sviluppa a partire dal 1929 a seguito del crollo di Wall Street.
▪ Stato costituzionale: fissa i diritti e i doveri degli individui in costituzioni fisse e rigide che vanno
rispettate.
▪ Stato Fascista: si ispirava alla concezione autoritaria dello stato propria della destra hegeliana. Si sviluppa
in particolare tra le due guerre mondiali in Germania, Italia, Spagna.
▪ Stato Socialista: si ispira alla concezione della lotta di classe propria delle teorie marxiste – leniniste. Si
sviluppa in Russia nel 1917 a seguito della Rivoluzione bolscevica e dopo la seconda guerra mondiale nei
paesi dell’Est Europa e anche fuori dai confini europei (Cina, Corea, Cuba, Vietnam);
Entrambi questi tipi di stati (fascista e socialista) sono in uno stato di regressione.
▪ Stato confessionale: stato totalmente estraneo alla tradizione liberaldemocratica. Esso rifiuta il principio
della separazione della sfera religiosa da quella politica, anzi il potere statale si fonda su basi religiose.
Questo tipo di stato è diffuso in alcuni paesi islamici, nei quali trova diretta applicazione la sharia (un corpo
di norma dettate dal Corano che regolano la vita sia privata che pubblica).
Si parla talora di regimi teocratici (Arabia Saudita e Iran), la conseguenza di tali forme di stato è da un lato il
disconoscimento del principio di eguaglianza dall’altro l’insorgere di rilevanti problemi circa la tutela dei
diritti umani.
→ Le forme di stato rappresentano uno strumento di classificazione e di conoscenza. Per tale ragione non è
sempre facile inserire alcuni stati in questa o quella forma di stato.
Repubblica italiana: la Repubblica italiana può definirsi uno stato sociale ispirato al costituzionalismo
liberaldemocratico con il rispetto di tutte le caratteristiche dello stato costituzionale.
Nella Costituzione sono descritti i valori e i principi che caratterizzano lo stato italiano. Tra cui possiamo
menzionare:
- diritti dell’uomo seguiti dai diritti sociali e di cittadinanza
- i titoli che legittimano il riconoscimento di diritti e di doveri sono la cittadinanza e in molto casi la
condizione della persona stessa (non l’appartenenza a una classe);
- rispetto del principio di eguaglianza;
- la sovranità appartiene al popolo (e non alla Nazione) e le decisioni politiche sono assunte con il
principio di maggioranza),
- la sfera politica è autonoma dalla sfera religiosa;
- l’ordinamento si fonda su una costituzione scritta e rigida. Lo stesso sovrano è sottoposto alla legge;
- vige la separazione dei poteri;
- il potere legislativo è attribuito alle assemblee rappresentative dunque elettive. I diritti dei cittadini
sono garantiti da giudici indipendenti;
- è previsto il controllo di costituzionalità delle leggi ad opera dei giudici ordinari (controllo diffuso) o
di appositi tribunali costituzionali (controllo accentrato).
III. LO STATO E GLI LATRI ORDINAMENTI. L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
1. LA COMUNITA’ DEGLI STATI E IL DIRITTO INTERNAZIONALE
La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici pone un problema generale di rapporti fra i diversi
ordinamenti giuridici. Gli ordinamenti giuridici dotati del carattere della sovranità regolano autonomamente
al proprio interno i rapporti con gli ordinamenti che non hanno tale carattere.
Rapporti tra ordinamenti che parimenti rivendicano la loro natura sovrana: il diritto internazionale è
l’ordinamento della comunità degli stati. Il trattato di Vestfalia del 1648 è tradizionalmente considerato la
data di nascita del diritto intenzionale.
Caratteristica dell’ordinamento internazionale è quella di avere una base sociale costituita non da persone
fisiche, da esseri umani, ma esclusivamente da stati, cioè da entità collettive.
Questa diversa base sociale ha determinato una profonda diversità dell’ordinamento internazionale dagli
ordinamenti giuridici statali:
- non c’è un ente che si ponga nei confronti dei consociati in posizione sovraordinata (cioè in una posizione
simile a quella dello stato nei confronti dei singoli);
- l’ordinamento internazionale non ha un organo legislativo che produce norme che abbiano come destinatari
tutti i soggetti che ne fanno parte;
- le norme di diritto internazionale generale sono prodotti di fonti di fatto, sono cioè di formazione
consuetudinaria e spontanea; altra cosa sono i trattati e accordi fra stati, questi ultimi danno luogo a norme di
diritto internazionale particolare o pattizio;
- manca un meccanismo organizzato di soluzione delle controverse;
- la protezione degli interessi dei soggetti dell’ordinamento è in larga misura affidata all’istituto
dell’autotutela.
2. ORDINAMENTO INTERNAZIONELE E ORDINAMENTO ITALIANO
I sostenitori della concezione monista tendono a ridurre ad unità ordinamento internazionale e ordinamento
statale, indicando quale dei due si considera derivato rispetto all’altro. Quello che si considera originario ha
il primato sull’altro e dunque l’ultima parola in materia di rapporti con esso. Sostenitore di tale concezione è
Hans Kelsen.
I sostenitori della concezione dualista sostengono la presenza di sue ordinamenti indipendenti e separati. Tale
concezione prevale fra i giuristi italiani.
Modalità di contrazione degli obblighi internazionali: le modalità con le quali lo stato può contratto
obblighi di del diritto internazionale sono molteplici.
Tali obblighi possono avere origine pattizia ovvero consuetudinaria. Gli obblighi di natura pattizia possono
derivare da trattati o da accordi di diversa natura, meno solenni (accordi in forma semplificata).
I trattati richiedono, successivamente alla firma, la ratifica. Vi sono altri accordi che non richiedono la
ratifica (la firma semplice vincola lo stato). La ratifica consiste nell’istituto giuridico mediante il quale un
soggetto (lo Stato) fa propri gli effetti di un negozio (accordo) concluso con terzi dal proprio rappresentante.
Gli stati si scambiano gli strumenti di ratifica oppure tali strumenti vengono depositati presso una delle parti.
Nel caso dell’ordinamento italiano la ratifica è un atto presidenziale che in alcuni casi deve essere
autorizzato con legge del parlamento.
La legge di autorizzazione è necessaria quando la ratifica comporta:
- variazioni del territorio
- oneri finanziari a carico dello stato
- trattati che hanno natura politica
- trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari internazionali
I trattati di natura politica sono considerati accordi in forma semplificata. Essi devono comunque essere
pubblicati nel testo integrale sulla Gazzetta Ufficiale.
3. L’ADATTAMENTO AGLI OBBLIGHI INTERNAZIONALI
Lo Stato opera su due piano separati e distinti: come soggetto di diritto internazionale e come soggetto di
diritto pubblico al proprio interno.
Lo stato deve conformarsi alle decisioni prese in campo internazionale. L’adattamento dell’ordinamento
interno all’ordinamento internazionale può avere luogo in forme diverse:
- il ricorso a procedimenti ordinari: vengono adottate delle norme il cui contenuto, interamente
elaborato dal legislatore, serve ad ottemperare agli obblighi internazionali. La fonte in genere
utilizzata è la legge;
- il ricorso a un procedimento speciale (nella prassi il più utilizzato): viene approvata una legge che
dispone l’adattamento dell’ordinamento interno ai vincoli internazionali attraverso l’ordine di
esecuzione. Gli obblighi previsti nel trattato non sono riformulati dalla legge, è infatti la legge che
rinvia totalmente al trattato. L’estinguersi del trattato comporta l’estinzione delle norme interne
introdotte con l’ordine di esecuzione;
- il ricorso all’adattamento in forma automatica. In tal caso l’adattamento è immediato e diretto,
completo, continuo. Affinché tale meccanismo possa operare è necessario che l’ordinamento interno
lo preveda. Es: la Costituzione dispone che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute.
4. IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
Esempi di norme generalmente riconosciute: principio cardine “i patti conclusi vanno rispettati”, principi
circa la sovranità degli stati, l’estensione delle acque territoriali, l’immunità degli agenti diplomatici, il
divieto di pirateria e di tratta degli schiavi, ecc..
Evoluzione del diritto internazionale: dopo la Seconda Guerra Mondiale il diritto internazionale ha
conosciuto importanti sviluppi; in particolare in riferimento al campo della protezione dei diritti umani sulla
base di concezioni che si possono definire neo-giusnaturaliste, fondate sull’idea che ciascun essere umano in
quanto tale sia titolare di un patrimonio di diritti.
Molteplici sono state le dichiarazione e convenzioni sui diritti umani, tra cui possiamo menzionare la
Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo (1948) e i due Patti internazionali relativi ai diritti civili e
politici e ai diritti economici, sociali e culturali (1966).
Sotto il profilo processuale le organizzazioni internazionali hanno previsto una serie di procedure destinate
ad assicurare l’osservanza da parte degli stati dei precetti riguardanti la tutela dei diritti umani.
▪ Sul modello dei tribunali di Norimberga e di Tokyo e dei tribunali penali per la ex Jugoslavia e per il
Ruanda è stata istituita la Corte penale internazionale (prevista dallo Statuto di rima del 1998 ed entrata in
vigore nel 2002). Essa è un tribunale permanente che esercita la sua giurisdizione sulle persone fisiche che
si sono macchiate dei più gravi crimini di portata internazionale: genocidio, crimini contro l’umanità,
crimini di guerra. La sua giurisdizione è complementare alle giurisdizioni nazionali: può agire solo quando
sia accertato che queste ultime non vogliono o non possano procedere e si estende ai crimini commessi da
cittadini o sul territorio degli stati che hanno ratificato lo statuto.
▪ Un altro importante esempio sotto il profilo processuale è costituito dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Cedu.
Negli ultimi anni si è registrata la tendenza a considerare questi patti come un vero e proprio diritti
internazionale generale; nonché la tendenza ad affermare che ormai anche le persone fisiche (oltre agli stati)
sono da considerare soggetti dell’ordinamento internazionale.
5. L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE E LE MISSIONI INTERNAZONALI
La principale tra le organizzazioni internazionali è sicuramente l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu)
creata dalla Carta di San Francisco nel 1945 e sottoscritta da 51 paesi. Essa rappresentò il tentativo di
rilancio della fallita Società delle Nazioni (1919). L’Onu ha sede ha New York i suoi principali organi sono:
- Assemblea generale, composta da tutti gli stati membri (192). Delibera a maggioranza semplice e
per le questioni più delicate (ammissione di nuovi membri) a maggioranza di due terzi;
- Consiglio di sicurezza, composto da 15 membri di cui 5 permanenti gli altri eletti dall’Assemblea
generale per un periodo di due anni. I membri permanenti sono i vincitori della Seconda guerra
Mondiale (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, USA), essi hanno potere di veto;
- Consiglio economico e sociale, è composto da 54 membri eletti dall’Assemblea per un periodo di 3
anni. Esso promuove e coordina le iniziative economiche e sociali dell’Onu;
- Corte internazionale di giustizia, composta da 15 giudici eletti dal consiglio di sicurezza e
dall’Assemblea generale;
- Segretario generale viene eletto ogni 5 anni dall’Assemblea generale e ha compito di mediazione e
di iniziativa. Ruolo importante e delicato.
Non sono organi dell’Onu ma sono ad esso collegati altre organizzazioni internazionali quali ad esempio la
Banca Mondiale, la Fao, il Fmi, l’Unesco, l’Unicef.
Alla base dell’Organizzazione delle Nazioni Unite c’è l’idea assolutamente innovativa che l’uso della forza
sia centralizzato, cioè affidato al solo Consiglio di Sicurezza: i singoli stati non possono farvi ricorso salvo il
caso di attacco armato dal quale difendersi o dal quale difendere uno stato aggredito.
Gli interventi autorizzati sono le cosiddette missioni dei caschi blu.
Adesione italiana e missioni italiane all’estero: l’Italia venne ammessa nell’Onu nel 1955. Discussioni
sono nate intorno alla partecipazione dell’Italia a missioni militare all’estero. L’interpretazione largamente
prevalente è che essa sia da considerarsi sicuramente legittima dal punto di vista costituzionale ogniqualvolta
si tratti di operazioni delle Nazioni Unite o comunque da esse autorizzate.
Le missioni italiane all’esterno sono disciplinate e finanziate con decreti di legge ad hoc, essi fissano le
caratteristiche dell’intervento, le regole d’ingaggio, i limiti del combattimento, ecc..
6. LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI REGIONALI
Dopo la Seconda guerra mondiale si sono affermate una serie di organizzazioni internazionali regionali,
costituite da gruppi di stati aventi uno scopo specifico. Elenchiamo le principali:
- Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (Nato), con sede a Bruxelles e a cui partecipa
l’Italia sin dal 1949. Il principio cartine dell’organizzazione consiste nell’obbligo per ciascun paese
alleato di prestare assistenza in caso di attacco contro uno stato membro. Tale organizzazione nacque
originariamente in funzione antisovietica;
- Consiglio d’Europa, organizzazione regionale aventi fini non militari. È stato istituito nel 1949, ha
sede a Strasburgo e comprende attualmente 47 stati europei. Esso ha la finalità di promuovere e
difendere i diritti democratici tutelati attraverso la Cedu;
- Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse), nasce in seguito alla
conferenza di Helsinki del 1975, ne fanno parte tutti i paesi europei ed ex sovietici, Canada e Usa. È
nota soprattutto per le missioni di osservazione elettorale;
- Organizzazione degli Stati americani (Oas), ha lo scopo di garantire pace e giustizia nelle
Americhe;
- Una serie di aree di libero scambio per promuovere il commercio fra gli stati membri (Nafta
nell’America del Nord, Mercosur nell’America meridionali, Cedeao in Africa);
Vanno distinte dalle organizzazioni regionali le organizzazioni sovranazionali, ovvero associazioni di stati
volte a creare vincoli particolarmente stretti di integrazione. L’esempio tipico è l’Unione Europea.
IV. L’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
1. DALLE COMUNITA’ EUROPEE ALL’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea nacque il 1° Novembre del 1993 a seguito dell’entrata in vigore del Trattato sull’Unione
firmato nella città olandese di Maastricht.
▪ Essa è il frutto di un processo durato oltre 40 anni, iniziato nel 1951 quando venne istituita con il Trattato di
Parigi la Ceca ovvero la Comunità europea del carbone e dell’acciaio fra Belgio, Francia, Germania, Italia,
Lussemburgo e Pesi Bassi. L’obiettivo di tale comunità era quello di superare l’antagonismo tra F e D
creando basi solide per la riconciliazione e di mettere in comune le principali risorse strategiche dell’epoca.
▪ La nascita della Ceca fu seguita dall’istituzione dell’Euratom (per sviluppare insieme l’industria nucleare)
e della Cee ovvero della comunità economica europea. Questa formazione avvenne tramite il Trattato di
Roma del 1957. Lo scopo era quello di creare un’area di libero scambio con tariffe e regole uguali per tutti
gli stati.
▪ Nel 1965 si arrivo alla fusione delle comunità sotto un unico consiglio. Dal 1970 la comunità viene dotata
sempre più di una certa, seppur limitata, autonomia giuridica e decisionale. Nel 1974 nasce un vero e proprio
organi di indirizzo politico, il Consiglio Europeo. Al tempo stesso la corte di Giustizia garantisce il rispetto
dei diritti umani all’interno della comunità.
La comunità europea si allarga di anno in anno introducendo i vari paesi.
▪ Nel 1986 venne firmato l’Atto unico europeo il quale fissò l’obiettivo del mercato unico interno.
▪ Nel 1992 fu firmato il Trattato di Maastricht che pose le basi della moneta unica ed aggiunse un nuovo
trattato ovvero il Trattato sull’Unione europea (Tue). Il Tue diede vita a una struttura organizzativa
peculiare definita dei “tre pilastri”, il primo costituito dalle preesistenti tre comunità (Cee, Ceca, Euratom), il
secondo dalla politica estera comune e il terzo dalla coordinazione di polizia il materia penale.
▪ Nel 2009 entrò in vigore il Trattato di Lisbona che rinnovò profondamente l’ordinamento europeo.
L’unione Europea sostituì la Comunità Europea.
2. ALLE ORIGINI DEL TRATTATO DI LISBONA
Attraverso la Dichiarazione di Laeken i paesi dell’Unione decisero che essa sarebbe dovuta cambiare per
poter interpretare un ruolo di spicco nel mondo. Questo era possibile solamente rendendo le istituzione più
efficienti e trasparenti e soprattutto più vicine ai cittadini.
La revisione dei trattati dell’Unione fu affidata a un particolare organo che prese il nome di Convenzione sul
futuro dell’Unione Europea. Essa concluse i suoi lavori approvando un documento denominato Progetto di
Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa. L’idea di una Costituzione per l’Europa dovette essere
abbandonata poiché i referendum popolari di Francia e Paesi Bassi videro prevalere il no.
Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ha apportato ampie modifiche al Trattato sull’Unione
europea. Esso abolisce i “tre pilastri” alla base del Tue e istituisce Unione europea.
3. L’ORGANIZZAZIONE E LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA
Il quadro istituzionale dell’Unione si fonda sugli organi elencati dall’art. 13 del Tue. I principali sono:
♥ Consiglio europeo: è l’organo di indirizzo politico dell’Ue, decide per consenso (cioè senza votare) in
certi casi all’unanimità in altri a maggioranza qualificata. Esso è comporto dai capi di stato o di governo
degli stati membri, dal suo presidente e dal presidente della commissione, vi partecipa anche l’alto
rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Si riunisce almeno due volte ogni
due mesi a Bruxelles. Il presidente viene eletto dal Consiglio europeo stesso, ha il compito di rappresentare
all’esterno l’Unione e presiede i lavori del Consiglio europeo. Ha un mandato di due anni e mezzo,
rinnovabile una sola volta.
♥ Consiglio dei ministri: è composto da un rappresentante per ogni stato membro. Esso si riunisce in varie
formazioni a seconda dei temi che deve affrontare (coi ministri dell’agricoltura se il tema è la politica
agricola). Le due formazioni espressamente previste dal Tue sono il Consiglio per gli affari generali e il
Consiglio per gli affari esteri, questo ultimo è presieduto dall’alto rappresentante dell’Unione. La presidenza
delle altre formazioni è affidata a turno ai rappresentanti di ciascun stato membro per un periodo di sei mesi.
Le principali funzioni del consiglio sono:
- esercita, insieme al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio;
- definisce e coordina le politiche dell’Unione;
- garantisce il coordinamento e la sorveglianza delle politiche economiche;
- prende le decisioni relative alla politica estera e di sicurezza comune.
La regola decisionale ordinaria è la maggioranza qualificata: si ottiene con il 55% degli stati membri, i quali
devono rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Non è ammesso che tre soli stati
blocchino le decisioni anche se la loro popolazione supera il 35%.
Le riunioni pubbliche del Consiglio sono preparate dal comitato dei rappresentanti permanenti degli stati
membri (Co.re.per).
♥ Parlamento europeo: è composto attualmente da 754 membri, eletti ogni 5 anni direttamente dai cittadini
dell’Unione secondo un principio proporzionale. I suoi membri di ripartiscono in gruppi politici e lavorano
suddivisi in 20 commissioni. Il Parlamento europeo ha un proprio regolamento e di norma delibera ha
maggioranza. Non ha un’unica sede ma la sua attività si divide fra Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo.
Il parlamento europeo ha numerose funzioni:
- esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio;
- esercita funzioni di controllo politico e funzioni consultive, elegge il presidente della Commissione e
il Mediatore europeo.
♥ Commissione: è comporta da 27 membri (uno per stato), incluso il presidente e l’alto rappresentate, e ha
sede a Bruxelles. Il presidente decide l’organizzazione interna e ripartisce le competenze fra i componenti:
La Commissione agisce in piena indipendenza e ha il compito di promuove l’interesse generale dell’Unione
e adotta le iniziative appropriate a tal fine. Essa ha numerose funzioni:
- ha l’iniziativa degli atti legislativi;
- presenta il progetto annuale di bilancio e gli dà esecuzione;
- vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione;
- ha il potere di rivolgere avvertimenti agli stati membri ai fini del coordinamento delle politiche
economiche e sorveglia la situazione di bilancio in ciascuno stato.
♥ Corte di giustizia: è composta da 27 giudici assistiti da almeno 8 avvocati generali, nominati dai governi
ogni 6 anni. Ha sede in Lussemburgo. Compito generale della Corte è assicurare il rispetto del diritto
internazionale e nell’applicazione dei trattati. Essa giudica le controversie:
- fra stati membri;
- fra l’Unione e uno stato membro;
- fra istituzioni dell’Unione;
- fra persone fisiche o giuridiche e l’Unione (limitatamente al alcuni casi).
Si tratta in particolare dei ricorsi per inadempimento contro le infrazioni compiute dagli stati membri e dei
ricordi di annullamento contro gli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione in violazione dei trattati.
Alla Corte di giustizia si affianca il Tribunale, competente per le azioni intraprese da persone fisiche o
giuridiche nonché per le controversie fra l’unione e i propri funzionari.
♥ Banca centrale europea (Bce): è dotata di personalità giuridica e gode di un elevato grado di
indipendenza. Ha sede a Francoforte. Il presidente della Bce è nominato per 8 anni, con mandato non
rinnovabile dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata. Essa ha un ruolo fondamentale in materia di
politica monetaria, disponendo del diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote euro all’interno
dell’Unione.
♥ Corte dei conti: è composta da 27 membri nominati ogni 6 anni dal Consiglio. La sua funzione è
assicurare il controllo dei conti, attraverso l’esame delle entrate e delle spese dell’Unione e di ogni organo da
essa istituito.
♥ Sono previsti infine due organi che assistono Parlamento europeo, Consiglio e Commissione:
- Comitato economico e sociale, composto dai rappresentanti delle categorie economiche e produttive;
- Comitato delle regione, composto di rappresentanti degli enti regionali e locali.
4. IL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
L’ordinamento dell’Ue si fonda prima di tutto sui trattati, i quali sono stati conclusi per una durata illimitata
e costituiscono le fonti originarie del diritto dell’Unione. Le norme adottate dalle istituzione dell’Ue sulla
base delle fonti originarie prendono il nome di fonti derivate, esse devono essere compatibili sotto il profilo
sostanziale e formale con i trattati. Fonti originarie e derivate insieme costituiscono le fonti dell’Unione.
→ FONTI ORIGINARIE DELL’UNIONE
Valori, obiettivi e principi dell’Unione si ritrovano in due trattati: Tue e Tfue. I principali sono:
- il rispetto della dignità umana, libertà, democrazia e diritti umani;
- pace e benessere dei popoli, circolazione delle persone e controllo delle frontiere;
- rispetto dell’uguaglianza degli stati membri e della loro identità nazionale;
- riconoscimento dei diritti, libertà, principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione;
- uguaglianza dei cittadini e la comune cittadinanza dell’Unione;
- buon funzionamento dell’Unione e delle istituzioni.
Principio di attribuzione: riguarda il riparto di competenze tra Unione e stati membri. L’unione esercita
solo le competenze che gli stati hanno ad essa attribuito con i trattati: tutto il resto resta di competenza degli
stati membri.
L’unione esercita le competenze che gli spettano applicando i principi di:
- sussidiarietà, l’Unione interviene solo se e in quanto i suoi obiettivi non possono essere conseguiti
in misura sufficiente dagli stati e possono essere meglio conseguiti dall’Unione;
- proporzionalità, l’azione dell’Unione non deve andare al di là di quanto necessario al
conseguimento dell’obiettivo.
Cittadinanza europea: essa non sostituisce ma si aggiunge a quella nazionale ed è riconosciuta di diritto a
tutti i cittadini di uno stato membro. Essa conferisce il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel
territorio degli stati membri, di partecipare alle elezioni europee, il diritto alla tutela da parte delle autorità
diplomatiche e di avere risposta dalle istituzioni dell’Unione.
Iniziativa popolare: il Tue prevede il diritto di iniziativa dei cittadini dell’Unione che consiste nella
richiesta alla Commissione, da parte di almeno un milione di cittadini che appartengono a una pluralità di
stati, perché presenti una proposta appropriata si una materia per la quale si chiede una decisione
dell’Unione.
Carta dei diritti fondamentali: ai trattati quali fonti originarie va aggiunta la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, ad essa è attribuito lo stesso valore giuridico dei trattati. Essa contiene un catalogo di
diritti riconosciuti ai cittadini degli stati membri,
Politiche dell’Ue: la parte terza del Tfue indica le politiche dell’Unione. Accanto alle politiche da tempo
attribuite all’Unione (mercato interno, libera circolazione delle merci e delle persone, ecc..) sono ora
comprese alcune politiche nuove (energia, turismo). In particolare possiamo menzionare la cooperazione
giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia, essa comprende la sicurezza interna e la lotta
contro il terrorismo.
Procedure di revisione: per quanto riguarda la revisione dei trattati il Tue prevede una procedura ordinaria e
anche procedure semplificate.
▪ La prima attribuisce a qualsiasi stato, al Parlamento europeo e alla Commissione l’iniziativa da presentare
al Consiglio che a sua volta la trasmette al Consiglio europeo. Questo pronuncia a maggioranza semplice.
▪ Se le modifiche riguardano esclusivamente la parte terza del Tfue (Politiche dell’Unione) è possibile una
procedura semplificata, ma il Consiglio europeo deve esprimersi all’unanimità e gli stati devono comunque
tutti approvare la revisione.
→ FONTI DERIVATE DELL’UNIONE
Le fonti derivate dell’Unione sono costituite da atti giuridici. Essi sono:
- regolamenti, atto di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile
in ciascuno degli stati membri;
- direttiva, atto che vincola lo stato membro in vista di un risultato che essi devono raggiungere entro
un certo termine e facendo ricorso agli strumenti giuridici di diritto interno più opportuni e adatti allo
scopo;
- decisione, atto obbligatorio in tutti i suoi elementi, ma solo per i destinatario se da esso assegnati;
- raccomandazioni e pareri, atti non vincolanti aventi valenza d’indirizzo politico e non fanno
sorgere diritti né obblighi nei destinatari.
Gli atti giuridici dell’Unione si distinguono ulteriormente in:
- atti legislativi: atti adottati mediante procedura legislativa;
- atti delegati: atti di portata generale;
- atti di esecuzione
→ ALTRE FONTI DELL’UNIONE
L’ordinamento dell’Ue conosce anche fonti non scritte: i principi generali del diritto dell’Unione, fra i
quali emergono i diritti fondamentali garantiti dalla Cedu. Inoltre l’Unione può concludere accordi
internazionali con paesi terzi o organizzazioni internazionali: tali accordi vincolano l’Unione e gli stati
membri.
→ L’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea è spesso definita come una federazione di stati nazione, formula con la quale si cerca di
conciliare sia gli sviluppi in senso federale sia la difesa delle identità nazionali. Nonostante tale definizione
l’insieme dei suoi cittadini non può essere considerato un unico popolo.
V. LE FONTI DEL DIRITTO
1. COSA SONO LE FONTI DEL DIRITTO
Sono fonti del diritto i fatti o gli atti che l’ordinamento giuridico abilita a produrre norme giuridiche.
Caratteristiche fondamentali delle norme giuridiche sono:
- generalità, sono riferite alla pluralità indistinta di soggetti;
- astrattezza, prevedono un ipotesi di comportamento denominata fattispecie.
Sono fonti di produzione (cioè norme giuridiche) quei fatti (eventi naturali o anche comportamenti umani
non volontari) o quegli atti (comportamenti umani volontari e consapevoli) ai quali l’ordinamento
attribuisce la capacità di produrre imperativi che esso riconosce come propri.
Sono fonti sulla produzione quelle norme che disciplinano i modi di produzione del diritto oggettivo,
individuando i soggetti titolare di potere normativo, i procedimenti di formazione e gli atti prodotti.
Fonti fatto: quando l’ordinamento riconosce direttamente al corpo sociale la capacità di produrre norme in
via autonoma senza quindi l’inter di procedure particolari, tali norme prendono il nome di fonti di fatto.
Fonti atto: nel caso in cui la norma sia prodotta da un soggetto istituzionale portatore di una precisa volontà
e nel rispetto delle procedure previste dalle fonti sulla produzione di parla si fonti atto.
Fonti di cognizione: alle fonti di produzione è affidata la funzione di rendere conoscibile le norme. Le fonti
di cognizione sono atti che non hanno natura normativa ma svolgono unicamente la funzione di far
conoscere il diritto oggettivo.
Con riferimento alle fonti l’ordinamento prevede:
- la pubblicazione in forma ufficiale;
- l’applicazione di una serie di principi secondo i quali il giudice è tenuto a conoscere la legge e
nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge;
- il ricorso in cassazione per violazione di legge contro le sentenze civili e penali;
- l’interpretazione e applicazione del diritto delle preleggi.
2. QUALI SOGGETTI CONCORRONO A PRODURRE DIRITTO
Il tema delle fonti del diritto implica la scelta dei soggetti abilitati a introdurre nell’ordinamento norme
giuridiche.
Stato liberale → nell’Ottocento e in parte anche nel Novecento i processi di produzione normativa
ruotavano attorno ai due soggetti titolare del potere sovrano: la legge del parlamento rappresentava la fonte
primaria. Il governo del re poteva emanare regolamenti solamente conformi alla legge, essi presero il nome
di fonte secondaria.
Stato liberaldemocratico (nella forma dello stato costituzionale) → la costituzione rigida rappresenta un
atto supremo superiore a qualsiasi altra fonte, in primis alla legge ordinaria.
3. LA COSTITUZIONE COME FONTE SULLE FONTI
La Costituzione, oltre ad essere essa stessa una fonte del diritto, è la massima fonte nel senso che essa
legittima tutti i processi di produzione del diritto.
Il sistema delle fonti di diritto deve considerarsi chiuso, ciò implica che:
- non sono configurabili altre fonti primarie al di là di quelle espressamente previste dalla Costituzione
stessa. La creazione di ulteriori atti di fonti primarie richiederebbe un processo di revisione
costituzionale;
- ciascun atto normativo non può disporre di una forza maggiore di quella che la Costituzione ad esso
attribuisce.
Agli atti fonte primari va riconosciuta forza di legge (o efficacia formale). Essa comprende due profili:
- profilo attivo: cioè la capacità di innovare al diritto oggettivo subordinatamente alla Costituzione
intesa come fonte suprema, abrogando o modificando atti fonte equiparati o subordinati;
- profilo passivo: cioè la capacità di resistere all’abrogazione o modifica da parte di atti fonte che non
siano dotati della medesima forza.
Il concetto di forza di legge presuppone che il sistema delle fonti sia ordinato gerarchicamente, di modo che
l’atto gerarchicamente superiore prevalga sull’atto gerarchicamente subordinato.
Differente è invece il caso delle fonti secondarie per le quali il sistema costituzionale è aperto.
4. UNITA’, COERENZA E COMPLETEZZA DELL’ORDINAMENTO
La pluralità delle fonti del diritto e quindi la pluralità delle norma giuridiche deve essere coerente con le
caratteristiche fondamentali dell’ordinamento giuridico:
- unità: significa che tutte le norme possono farsi risalire al potere costituente, cioè al momento
fondante dell’ordinamento e all’atto che con esso viene posto, la Costituzione;
- coerenza: significa che l’ordinamento non tollera contraddizioni tra le parti che lo compongono.
Esso predispone una sere di rimedi per risolvere le antinomie (contrasti tra norme);
- completezza: significa l’assenza di lacune o vuoti normativi, ossia di casi non previsti dal diritto
positivo.
5. CRITERI PER ORDINARE LE FONTI DEL DIRITTO
I criteri per risolvere i contrasti tra norme si traggono dalla Costituzione e dalle disposizioni contenute nelle
preleggi al Codice Civile del 1942. I criteri sono:
→ CRITERIO CRONOLOGICO
In caso di contrasto tra norme stabilite da fonti aventi il medesimo rango gerarchico e la medesima
competenza ossia da fonti equiparate prevale e deve essere applicata quella posta successivamente nel
tempo. La norma precedente si considera abrogata.
[ Le norme giuridiche valgono di regola per il futuro non hanno quindi efficacia retroattiva. Il divieto di
efficacia relativa è derogabile secondo lo stesso criterio cronologico. La retroattività tuttavia non è mai
assoluta ma riguarda solo i rapporti pendenti, ossia suscettibili di essere ancora regolati. Il limite alla
retroattività della legge si giustifica per garantire i diritti quesiti, ovvero di situazioni che non possono essere
messe in discussione per garantire la certezza del diritto. Il divieto di retroattività è assoluto e inderogabile
per le leggi in materia penale. ]
L’effetto abrogativo non elimina la norma precedente, bensì circoscrive nel tempo l’efficacia dell’atto
normativo abrogato. Distinta dall’abrogazione è la deroga, attraverso la quale l’atto normativo rimane valido,
se ne circoscrive l’efficacia nel tempo, nello spazio o nei destinatari.
Esistono tre tipi di abrogazione:
- abrogazione espressa: è disposta direttamente dal legislatore quando nel testo di una legge vengono
indicate le disposizione preesistenti precedentemente abrogate;
- abrogazione per incompatibilità (tacita): viene accertata dall’interprete quando rileva il contrasto
tra due norme dal contenuto incompatibile, per cui si deve scegliere tra l’una e l’altra;
- differente è il caso delle clausole di abrogazione espressa, con tale espressione si fa riferimento ai
casi un cui la legge prevede che la disciplina da essa dettata non possa essere abrogata, derogata,
modificata se non in modo espresso.
→ CRITERIO GERARCHICO
In caso di contrasto tra norme poste da fonti non equiparate deve applicarsi il criterio della gerarchia, la
norma posta da una fonte superiore prevale su una norma posta sa una fonte inferiore.
La norma sottordinata non si considera abrogata ma è invalidata, deve essere cosi eliminata dall’ordinamento
mediante l’annullamento. L’invalidità determina l’eliminazione dall’ordinamento dell’atto e la caduta di ogni
sia efficacia, non solo futura ma anche passata (efficacia retroattiva).
→ CRITERIO DELLA COMPETENZA
Le antinomie devono essere risolte anche applicando il principio della competenza, ovvero dando
applicazione alla norma posta dalla fonte competente a disciplinare la fattispecie.
La norma non competente è invalida ed è soggetta ad annullamento.
6. INTERPRETAZIONE DEL DIRITTO
L’applicazione del diritto presuppone un’attività interpretativa. I criteri che regolano l’interpretazione sono
quelli indicati dall’art. 12 delle preleggi:
- interpretazione letterale o testuale, ossia secondo il senso fatto palese dal significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse;
- interpretazione teleologica, ossia secondo il fine o l0intenzione del legislatore;
- interpretazione logico – sistematica, ossia secondo la connessione tra le diverse disposizioni
all’interno dell’atto normativo considerato, collocate nel contesto dell’ordinamento complessivo.
L’interpretazione analogica consiste nell’applicare a un caso non previsto una disciplina prevista per casi
simili. Essa ha lo scopo di colmare le lacune o i vuoti normativi. Si distinguono due casi:
- analogia legis, quando la lacuna può essere colmata rinviando alla disciplina dettata per un caso
simile o materie analoghe;
- analogia iuris, nel caso in cui manchino anche le norme che regolino casi simili, la lacuna può
essere colmata facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico ricavabili per via
interpretativa dalle norme giuridiche.
Per le disposizioni della Costituzione che prevedono diritti fondamentali vale il criterio di stretta
interpretazione, in caso di dubbio l’interprete non può attribuire un significato in alcun modo restrittivo o
lesivo dei diritti fondamentali.
La legge stabilisce il divieto di analogia per le leggi penali e per le leggi speciali.
Dall’attività di interpretazione va distinta l’interpretazione autentica, ossia l’interpretazione effettuata con
legge dal legislatore stesso. Le leggi di interpretazione autentica sono naturalmente leggi retroattive,
l’interprete dovrà quindi applicare la legge secondo il senso prescritto dal legislatore. Simili leggi fissano
autoritativamente l’unico significato che la disposizione interpretata deve esprimere.
7. LE FONTI DEL DIRITTO: TIPOLOGIA
Le fonti del sistema costituzionale italiano sono classificabili nel modo seguente:
- la Costituzione e le fonti costituzionali;
- fonti dell’Unione europea;
- fonti legislative ordinarie e le fonti legislative equiparate;
- fonti legislative specializzate;
- fonti espressione di autonomia degli organi costituzionali;
- fonti regolamentari;
- fonti del diritto regionale;
- fonti degli enti locali;
- fonti espressione di autonomia collettiva;
- fonti esterne riconosciute;
- fonti di fatto;
8. LA COSTITUZIONE E LE FONTI COSTITUZIONALI
La Costituzione è l’atto supremo dell’ordinamento in quanto posta dal potere costituente, tutti gli altri atti
fonte sono subordinati. La caratteristica essenziale della costituzione è la sua rigidità, essa può essere
modificata solo mediante uno speciale procedimento di revisione costituzionale.
Tra le fonti del diritto di rango costituzionale la Costituzione prevede:
- le leggi di revisione costituzionale, che hanno come oggetto la modificazione di parti del testo della
Costituzione;
- le leggi costituzionali, si tratta sia di quelle espressamente richiamate da singole disposizioni della
Costituzione per integrare la disciplina di determinate materie, sia di quelle che il Parlamento decide
di deliberare nelle forme previste dall’art. 138. Esse affiancano il testo costituzionale pur non
facendone parte.
Il procedimento di formazione delle leggi è un procedimento aggravato e prevede una duplice lettura da parte
di ciascuna camera:
- la prima lettura si svolge secondo le regole previste per qualunque procedimento legislativo, ma
con divieto di approvazione in commissione in sede legislativa;
- la seconda lettura, a distanza non inferiore a tre mesi richiede maggioranze qualificate.
In questa seconda fase:
□ se il progetto di legge è stato approvato a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera,
esso viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale a scopo notiziale. Dal giorno della pubblicazione ed entro
i tre mesi che seguono i componenti delle camere o 500.000 elettori possono chiedere che la legge
sia sottoposta a referendum costituzionale. Trascorso il termine si procede alla pubblicazione della
legge;
□ se il progetto di legge è stato approvato a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna
camera non è consentito richiedere referendum e la legge viene promulgata e pubblicata.
Il referendum costituzionale svolge una funzione di garanzia, essendo posto a tutela delle minoranze.
Esistono tuttavia dei limiti alla revisione costituzionale:
- limite espresso, stabilito dall’art. 139 della Costituzione secondo cui la forma repubblicano non può
essere oggetto di revisione costituzionale;
- limiti impliciti, che coincidono con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Es: valore
della dignità umana, diritti inviolabili dell’uomo, principio della sovranità popolare. Se intaccati tali
principi si darebbe luogo a un processo di mutamento costituzionale (non di revisione).
Legge costituzionale rinforzata: è prevista per la fusione di regioni o per la creazione di nuove regioni.
Anche in questo caso è previsto il rispetto di un particolare iter, le nuove regioni devono avere in ogni caso
una popolazione non inferiore a un milione di abitanti.
9. LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA
Le autorità amministrative e giurisdizionali italiane applicando il diritto dell’Unione in parte direttamente
(regolamenti) e in parte adeguando l’ordinamento interno (direttive) disapplicano il diritto italiano
eventualmente incompatibile in forza del primato del diritto comunitario.
È lo stesso art. 11 della Costituzione che consente di stipulare trattati con cui ci si obbliga a limitazioni di
sovranità affermando “l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia tre le nazioni”.
Tuttavia solo nel 2001 è stato nuovamente formulato l’art. 117 della Costituzione introducendo il riferimento
ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. L’unico limite stabilito dalla Corte costituzionale è il
rispetto dei principi supremi e dei diritti inviolabili della nostra costituzione.
Fasi cruciali dei rapporti tra Ue e fonti interne:
- in un primo momento si consideravano equiparati il diritto comunitario e la legge ordinaria;
- successivamente, le norme interne furono considerate incompatibili con le norme comunitarie;
- infine si riconobbe il primato del diritto comunitario.
Il diritto interno in contrasto con quello comunitario non si considera abrogato o invalido. I due ordinamenti
sono infatti separati anche se coordinati, il diritto interno viene semplicemente considerato non applicabile in
quanto esiste una normativa europea.
Direttive: nel caso delle direttive esse devono essere recepite con atto normativo interno, esse avranno nel
sistema delle fonti la stessa collocazione che è proprio dall’atto di recepimento.
10. LA LEGGE ORDINARIA DELLO STATO
La legge può essere definita come l’atto fonte abilitato a produrre norme primarie e dotato di forza di legge.
I limiti della legge ordinaria riguardano il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento
dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali.
Alla legge la Costituzione affida importanti materie mediante riserve di legge: tale istituto designa i casi in
cui le disposizioni costituzionali attribuiscono la disciplina di una determinata materia alla sola legge,
sottraendola così alla disponibilità di atti fonte ad essa subordinati, tra cui soprattutto i regolamenti
dell’esecutivo.
La riserva di legge è contraddistinta da due aspetti:
- aspetto negativo, cioè il divieto di interventi da parte di atti diversi della legge;
- aspetto positivo, cioè l’obbligo di intervenire nella materia riservata.
Le riserve di legge sono stabilite allo scopo di garantire il principio democratico e in generale di tutelare i
diritti fondamentali e il principio di eguaglianza. Esistono diverse tipologie di riserve:
- riserve assolute, quando l’intera disciplina della materia è riservata alla legge, salvo solamente i
regolamenti di stretta esecuzione (es: elenchi delle sostanze stupefacenti);
- riserve relative, quando alla legge spetta la disciplina essenziale in modo da circoscrivere la
discrezionalità derivante dal regolamento.
Le riserve di legge si dicono riserve rinforzate quando la Costituzione stabilisce che l’intervento legislativo
debba avvenire secondo certe procedure p che esso debba avere certi contenuti costituzionalmente stabiliti.
Leggi in senso (solo) formale: le leggi hanno come contenuto norme generali ed astratte destinate ad
alimentare l’ordinamento giuridico. Tuttavia, vi sono dei casi in cui si verifica una dissociazione tra la forma
(legge) e i suoi contenuti. In questi casi si parla di leggi solo in senso formale, es. di tali leggi sono legge di
bilancio e leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Leggi di provvedimento: frequente è anche il caso di atti la cui forma è la legge ma il cui contenuto non è
generale e astratto ma è volto a provvedere immediatamente alla cura di un determinato interesse (es.
intervento straordinario alla sede dei carabinieri di Ancona). Essi prendono il nome di leggi provvedimento e
sono state riconosciute ammissibili dalla Corte Costituzionale anche se non generali.
Leggi necessariamente generali: le leggi provvedimento devono considerarsi escluse in tutti i casi in cui la
Costituzione richiede specificatamente leggi generali. Es. le limitazioni alla liberta di circolazione possono
essere stabilite dalla legge solo in via generale per motivi di sanità e di sicurezza; generali devono essere le
norme sull’istruzione.
11. GLI ATTI NORMATIVI DEL GOVERNO EQUIPARATI ALLA LEGGE: DECRETI
LEGISLATIVI
La Costituzione attribuisce al governo il potere di adottare decreti legislativi e decreti legge aventi la
medesima forza della legge ordinaria. Al tempo stesso essa richiede sempre l’intervento del Parlamento un
funzione di garanzia, il governo non può adottare decreti legislativi senza una previa legge di delegazione.
Il procedimento di delegazione legislativa è un procedimento duale che vede come protagonisti sia il
Parlamento che il governo. La legge di delegazione ha la funzione di conferire al governo (solo al governo)
il potere di adottare atti aventi forza di legge. Essa deve:
- contenere l’individuazione dell’oggetto della delega chiaramente definito;
- stabilire i principi e i criteri direttivi;
- indicare il termine entro il quale la delega può essere esercitata (deleghe senza scadenza non sono
ammissibili).
È inoltre previsto per le leggi di delegazione che il governo, prima di esercitare la delega, acquisisca il parere
delle commissioni parlamentari o di apposite commissioni bica melari.
Il decreto legislativo è quindi l’atto che il governo adotta in attuazione della legge di delegazione, deliberato
dal Consiglio dei Ministri e dal presidente della Repubblica.
Esistono dei limiti (impliciti) alle materie che il Parlamento può delegare al governo: sono sottratti alla legge
di delega tutti quegli atti che presuppongono l’alterità politica ossia la necessaria distinzione dei ruoli tra
Parlamento e governo.
Decreti del governo in caso di guerra: essi possono essere adottati dal governo previa deliberazione da
parte delle Camere dello stato di guerra. L’atto di conferimento attribuisce al governo il potere di adottare
atti con forza di legge che comunque non possono ritenersi abilitati a derogare a disposizioni della
Costituzione. A differenza delle deleghe legislative, i criteri e i principi non possono essere predeterminati,
come pure la durata del conferimento.
12. GLI ATTI NORMATIVI DEL GOVERNO EQUIPARATI ALLA LEGGE: DECRETI LEGGE
Il governo, quando ricorrano determinati presupposti, può adottare decreti legge. Essi sono provvedimenti
provvisioni con forza equiparata alla legge ordinaria, deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati dal
presidente della Repubblica. In base all’art. 77 della Costituzione, il decreto legge:
- può essere adottato solo in casi straordinari di necessità ed urgenza, tali presupposti sono
solitamente interpretati in senso ampio, non limitati solamente a eventi imprevisti;
- deve essere presentato alle Camere per la conversione lo stesso giorno in cui è adottato e le Camere
si riuniscono entro i successivi 5 giorni;
- dura solo 60 giorni, ha quindi efficacia provvisoria: se non è convertito in legge la perde sin
dall’inizio.
La legge di conversione è l’atto mediante il quale il Parlamento si riappropria della funzione legislativa
eccezionalmente esercitata dal governo.
In sede di conversione le Camere sono libere di apportare modifiche al testo del decreto legge. Gli
emendamenti delle camere hanno efficacia pro futuro, ossia dal giorno successivo a quello della
pubblicazione della legge. Qualora il decreto legge decada il Parlamento può adottare una legge regolatrice
dei rapporti e delle situazioni che si sono determinate nel periodi di vigenza dell’atto normativo.
Reiterazione: l’abuso dei decreti legge (specialmente negli anni Settanta) produsse il fenomeno della
reiterazione dei decreti legge.
Nel 1996 la Corte Costituzionale ha sancito il divieto di riprodurre lo stesso identico decreto allo scopo di
protrarne l’efficacia nel tempo. Negli ultimi hanno inoltre la Corte costituzionale ha cominciato a esercitare
un vero e proprio controllo sulla sussistenza degli stessi presupposti di legittimità del decreto legge.
13. IL REFERENDUM ABROGATIVO
L’art. 75 della Costituzione disciplina il referendum popolare per l’abrogazione, totale o parziale, di leggi e
di atti aventi forza di legge. La dottrina prevalente include l’atto abrogativo referendario tra le fonti del
diritto in quanto l’abrogare puramente e semplicemente corrisponde ad un disporre diversamente e come tale
corrisponde a esercizio di potestà normativa.
14. FONTI LEGISLATIVE SPECIALIZZATE
Tra le fonti legislative specializzate includiamo fonti tra loro diverse, che non hanno nulla in comune se non
l’atipicità rispetto a tutte le altri fonti primarie. Sono anche chiamate fonti atipiche.
Tra le fonti specializzate rientrano i seguenti atti legislativi:
- leggi di esecuzione dei Patti lateranensi, i quali disciplinano i rapporti fra Stato e chieda cattolica;
- leggi che disciplinano i rapporti fra lo Stato e le altre confessioni religiose;
- leggi che staccano una provincia o un comune da una regione per aggregarli all’altra, devono essere
approvate con un referendum con voto favorevole della maggioranza delle popolazioni interessate;
- leggi di amnistia e di indulto che devono essere deliberate a maggioranza dei due terzi dei
componenti di ciascuna camera;
- leggi statali che stabiliscono forma e condizioni particolari di autonomia alle regioni ordinarie.
L’iniziativa spetta alla Regione interessata e la legge deve essere approvata a maggioranza assoluta
dalle Camere;
- decreti legislativi di attuazione degli statuti delle regioni speciali.
15. LE FONTI ESPRESSIONE DI AUTONOMIA DEGLI ORGANI COSTITUZIONALI
REGOLAMENTI PARLAMENTARI
I regolamenti parlamentari sono atti fonte di rango primario a competenza materiale riservata, in quanto
attuano direttamente la Costituzione. Essi sono fonte del diritto poiché regolano i rapporti delle Camere con
gli altri organi.
I regolamenti delle due Camere prevedono a loro volta l’adozione di regolamenti parlamentari speciali che
disciplinano l’organizzazione e il funzionamento di particolari organi delle Camere. Distinti da questi sono i
regolamenti di organizzazione che disciplinano la gestione amministrativa degli apparati dei due rami del
Parlamento.
REGOLAMENTI DEGLI ALTRI ORGANI COSTITUZIONALI
Una potestà regolamentare relativa alla loro organizzazione e funzionamento è riconosciuta anche agli altri
organi costituzionali.
▫ La potestà della Corte costituzionale trova un indiretto fondamento costituzionale;
▫ Per quanto riguarda la Presidenza della Repubblica è prevista la possibilità di adottare regolamenti interni,
ma solo in relazione all’organizzazione e funzionamento dell’apparato amministrativo e non al complessivo
esercizio delle funzioni presidenziali.
→ Tali regolamenti hanno natura secondaria
▫ Per quanto riguarda invece la presidenza del Consiglio è prevista una autonomia organizzativa simile a
quella riconosciuta alle Camere e alla Corte Costituzionale.
16. LE FONTI REGOLAMENTARI
I regolamenti sono fonti secondarie del diritto, ossia subordinate a quelle primarie. La denominazione
include una categoria eterogenea di atti normativi di competenza del governo, dei ministri, degli organi
centrali e periferici e della pubblica amministrazioni, nonché delle regioni e degli enti locali.
Anche se le fonti secondarie non costituiscono un sistema chiuso, la potestà regolamentare deve trovare
fondamento in una norma di legge che attribuisca il relativo potere (principio di legalità).
Il contrasto tra norma di regolamento e norma di legge deve essere risolto dal giudice ordinario in base al
principio di preferenza della legge.
REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO si distinguono in:
I regolamenti governativi sono approvati dal Consiglio dei ministri sentito il parere del Consiglio di stato,
sono emanati con la forma del decreto del presidente della Repubblica. Tutti i regolamenti devono essere
sottoposti al visto della Corte dei conti. Ne sono previsti di vario tipo:
- regolamenti di esecuzione, per rendere più agevole l’applicazione di leggi e di regolamenti
dell’Unione;
- regolamenti di attuazione e di integrazione;
- regolamenti indipendenti, per disciplinare materie sulle quali manchi una normativa di legge,
- regolamenti di organizzazione, per disciplinare organizzazione e funzionamento delle
amministrazioni pubbliche;
- regolamenti di delegificazione, possono determinare l’abrogazione di norme vigenti di legge allo
scopo di semplificare e razionalizzare i processi di produzione del diritto.
Per i regolamenti ministeriali e interministeriali è necessaria un’apposita disposizione legislativa che
autorizzi l’esercizio del potere regolamentare. I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie di
competenza di un ministro; i regolamenti interministeriali sono adottati in materie di competenza di più
ministri. Entrambi sono sempre subordinati ai regolamenti di governo e devono essere comunicati al
Presidente del Consiglio prima della loro emanazione.
REGOLAMENTI DI ALTRE AUTORITA’
L’ordinamento prevede l’attribuzione di un potere regolamentare ad altre autorità (autorità portuali, prefetti)
e alle autorità amministrative indipendenti. Tale potere deve essere esercitato nei limiti delle rispettive
competenze e in conformità delle leggi particolari.
17. LE FONTI DEL DIRITTO REGIONALE
Sono fonti di diritto delle regioni:
- gli statuti delle regioni ordinarie
- le leggi regionali
- i regolamenti regionali
Diverso è il caso degli statuti speciali, che sono fonti statali di rango costituzionale.
STATUTI ORDINARI
Il procedimento di approvazione e revisione è formato da due fasi, una necessaria e una eventuale.
○ La fase necessaria riguarda l’approvazione dello statuto da parte del Consiglio Regionale che avviene in
due deliberazioni a distanza non inferiore a 2 mesi che deve essere approvato a maggioranza assoluta dei
componenti.
○ La fase eventuale riguarda l’intervento del corpo elettorale mediante referendum.
Lo statuto regionale è un atto fonte a competenza specializzata e sovraordinato rispetto alla legge regionale.
LEGGE REGIONALE
È approvata nelle forme e nei modi previsti da ciascuno statuto regionale. Incontra gli stessi limiti previsti
per la legge statale.
La Costituzione elenca una serie di materie di competenza concorrente tra lo Stato e le regioni, stabilendo
che alle regioni spetta la potestà legislativa residuale, cioè quella in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
REGOLAMENTI REGIONALI
Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla regione, mentre il presidente della giunta
promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali. Il potere regolamentare può essere attribuito alla giunta
o al consiglio, secondo le forme e le modalità stabilite dallo statuto di ciascuna regione.
I regolamenti regionali sono subordinati sia alla legge statale sia a quella regionale.
STATUTI SPECIALI
Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta dispongono di
forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale.
Procedimento:
- quando la revisione dello statuto speciale è d’iniziativa del governo o del Parlamento, il progetto di legge
costituzionale deve essere comunicato all’assemblea regionale, la quale ha due mesi di tempo per esprimere
il proprio parere;
- non si dà luogo ad alcun referendum. Nel caso specifico il Parlamento è quindi l’unico soggetto al quale è
affidata la tutela dell’interesse nazionale.
18. LE FONTI DEGLI ENTI LOCALI
Sono fonti degli enti locali:
- gli statuti;
- i regolamenti.
Essi sono disciplinati dal Tuel (testo unico sull’ordinamento degli enti locali).
STATUTI: costituiscono l’atto fondamentale dell’organizzazione dell’ente locale. È previsto un
procedimento aggravato di approvazione. Gli statuti di comuni e province sono deliberati dai consigli a
maggioranza dei due terzi, se tale maggioranza non viene raggiunta il progetto di statuto è approvato anche
solo con la maggioranza assoluta dei consiglieri. Limite dello statuto è la legge dello Stato.
REGOLAMENTI: ogni ente locale dispone di potestà regolamentare, essa trova fondamento nell’art. 117
della Costituzione. La potestà spetta al consiglio dell’ente, essi sono subordinati allo statuto nonché alle leggi
statali e regionali. I regolamenti locali incontrano limiti nella legge sia statale sia regionale.
19. LE FONTI ESPRESSIONE DI AUTONOMIA COLLETTIVA
Fra le fonti del diritto sono da annoverare anche fonti che, espressione dell’autonomia dei provati, sono
direttamente previste dalla Costituzione. Affinché sia considerate fonti del diritto è necessario che:
- siano generali e astratte;
- siano abilitate a produrre atti ad efficacia;
- siano assistite da apparati dello stato (possibilità di far ricorso al giudice);
- abbiano il trattamento proprio delle fonti pubbliche
Fra queste fonti possiamo annoverare:
▫ i contratti collettivi di lavoro, destinati a disciplinare il rapporto di lavoro fra datori di lavoro e lavoratori.
È la stessa Costituzione che prevede che “i sindacati registrati e dotati di personalità giuridiche possano
stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie cui il
contratto si riferisce”;
▫ i contratti collettivi per la disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Tali contratti sono
vincolanti per tutti i dipendenti pubblici, essi sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ed è riconosciuta la
possibilità di ricorso in cassazione per la loro violazione. Essi sono una particolare fonte del diritto negoziata.
20. LE FONTI ESTERNE RICONOSCIUTE
Prendono il nome di fonti esterne riconosciute le fonti alle quali è riconosciuta l’attitudine a produrre
norme giuridiche nell’ordinamento interno.
○ A tal proposito si parla di rinvio alla fonte, ossia del rinvio a tutte le norme che la fonte richiamata è in
grado di produrre nel tempi;
○ Un altro caso riguarda l’adattamento automatico alle norme generalmente riconosciute dall’ordinamento
giuridico internazionale.
Le norme interne di riconoscimento sono fonti sulla produzione giuridica, le fonti esterne richiamate sono
fonti di produzione.
Norme interne che valgono come fonti sulla produzione sono le nome di diritto internazionale privato che
individua le situazioni nel quale l’ordinamento italiano entra in collegamento con altri ordinamenti distinti,
permettendo il tal modo il riconoscimento di fonti esterne abilitate.
Esistono tuttavia dei limiti alle norme esterne richiamate che possono essere applicate, in particolare nel caso
in qui esse siano contrarie all’ordine pubblico.
21. LE FONTI FATTO
La fonte fatto per eccellenza è la consuetudine, la quale richiede due elementi:
- un comportamento ripetuto nel tempi (elemento materiale);
- la convinzione da parte del corpo sociale che tale comportamento sia giuridicamente dovuto
(elemento soggettivo).
Ove questa condizione non vi fosse saremmo semplicemente di fronte a una prassi (comportamento ripetuto
ma non vincolante).
Le preleggi stabiliscono che “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti, gli usi hanno efficacia
solo in quanto siano da essi richiamati”. Gli usi e le consuetudini sono subordinate gerarchicamente alle
fonti atto, esse sono quindi invalide se in contrasto con queste ultime.
▫ Il valore delle consuetudini di diritto privato è molto minore negli ordinamento di civil law rispetto a quelli
di common law, dove il diritto comune di origine consuetudinaria viene invece considerato di rango
superiore alla statute law, ossia il diritto statuito secondo procedure formali;
▫ Esistono anche consuetudini costituzionali le quali hanno rango costituzionale. Quando esse sono in
armonia con il sistema costituzionale si impongono a tutte le fonti subordinate.
Tra di essi vengono ricomprese anche le convenzioni costituzionali. Cosa diversa sono invece le norme di
correttezza costituzionale le quali definisco il galateo dei rapporti tra gli organi costituzionali.
22. LE FONTI DI COGNIZIONE
Si definiscono fonti di cognizione quegli atti, non aventi forza normativa, i quali sono volti esclusivamente
a rendere conoscibile il diritto oggettivo. Esse si dividono in:
- fonti aventi valore legale, come la Gazzetta Ufficiale e le altre pubblicazioni ufficiali;
- fonti aventi valore meramente conoscitivo, come la Normattiva istituita dalla legge per offrire
gratuitamente su Internet tutto il complesso delle norme stati vigenti.
LA PUBBLICAZIONE DEGLI ATTI NORMATIVI
Tutti gli atti normativi devono essere pubblicati nelle forme previste dalle legge.
- Gli atti normativi statali sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Repubblica;
- Gli atti normativi regionali sono pubblicati nel Bollettino Ufficiale di ciascuna regione;
- Gli atti locali sono pubblicati mediante affissione nell’albo pretorio dell’ente locale.
Il nostro ordinamento conosce una precisa disciplina delle modalità di promulgazione, emanazione e
pubblicazione degli atti normativi.
○ La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale è curata dal ministro della giustizia. Essa pubblica:
- leggi e regolamenti delle regioni e province autonome;
- regolamenti e direttive dell’Unione europea;
- il testo integrale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale
○ Le leggi e gli altri atti normativi si citano indicando il giorno, mese, anno della promulgazione + il numero.
Essi entrano normalmente in vigore il 15° giorno seguente alla loro pubblicazione. L’atto stesso può
prevedere un termine diverso.
I TESTI UNICI
I testi unici sono testi che raccolgono atti normativi preesistenti, che sebbene posto in tempi diversi,
disciplinano una medesima materia.
Essi sono destinati al riordino della legislazione vigente: cioè a eliminare o ridurre la disseminazione di
norme sulla stessa materia, allo scopo di facilitare gli operatori del diritto.
I testi unici si distinguono in:
○ testi unici compilativi: si tratta di atti di natura amministrativa e hanno come fine esclusivo quello di
agevolare la conoscenza del diritto esistenze in una certa materia. Essi unificano la legislazione preesistente
lasciandola immutata.
○ testi unici normativi: si tratta di atti di produzione del diritto. Essi non li limitano a raccogliere in un
unico atto le norme vigenti, ma provvedono ad armonizzare la legislazione.
→ i testi unici compilativi sono deliberati dal governo sulla base di una mera autorizzazione del Parlamento
o su propria iniziativa.
→ i testi unici normativi sono deliberati dal governo nella forma di decreti legislativi sulla base si una legge
di delegazione del Parlamento.
VI. I DIRITTI FONDAMENTALI
1. LE LIBERTA’ E I DIRITTI FONDAMENTALI NELLO STATO MODERNO
La formazione dello stato moderno è stata accompagnata da una serie di dichiarazione dei diritti, Petition of
Rights, Bill of Rights (1689). Tuttavia il primo riconoscimento delle libertà fondamentali viene considerata
la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino la quale proclamava i diritti naturali, inalienabili e
sacri dell’uomo.
Diritti civili → si affermarono per primi i diritti civili, tra cui menzioniamo la libertà personale, la libertà di
domicilio, le libertà economiche.
Diritti politici → si affermarono nella seconda metà dell’Ottocento. I più importanti sono il diritto di voto, il
diritto di associazione in partiti e in sindacati.
Diritti sociali → dopo la Prima guerra mondiale e la crisi economica degli anni Trenta fu necessario un
maggiore intervento statale nell’economia al fine di riequilibrare le disparità sociali. Emersero i diritti sociali,
definiti anche diritti di terza generazione,tra cui menzioniamo il diritto all’istruzione, alla salute, al lavoro.
Nuovi diritti → nella seconda metà del Novecento il processo di affermazione dei diritti non si è arrestato.
Si sono sviluppati dei nuovi diritti, i cosiddetti diritti di quarta generazione, che riguardano soprattutto la
dignità umana.
L’espressione diritti fondamentali incluse tutti i diritti sino ad ora indicati: diritti civili, politici,
sociali e nuovi diritti.
L’espressione diritti umani include i diritti che l’ordinamento internazionale si sforza di riconoscere
a tutti i popoli e a tutte le persone.
2. LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Sono soggetti di diritto coloro che godono della capacità giuridica, ovvero la capacità di essere soggetti di
diritti e obblighi, ovvero di situazioni giuridiche. Il nostro ordinamento riconosce come soggetti di diritto sia
le persone fisiche sia le persone giuridiche.
La capacità giuridica si acquisisce al momento della nascita, la capacità di agire si acquisisce di regola con la
maggiore età e si può perdere al verificarsi di certe condizioni (es. interdizione).
Le situazioni giuridiche si dividono in:
- situazioni giuridiche favorevoli, poteri diritti e interessi legittimi.
- situazioni giuridiche non favorevoli, obblighi, doveri, soggezioni.
○ Il potere giuridico è una situazione potenziale e astratta che consiste nella possibilità di ottenere
determinati effetti giuridici. Esempio: accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.
○ Il diritto soggettivo è una situazione a tutela di un interesse attuale e concreto. Il titolare esercita il diritto
soggettivo in via immediata e diretta: l’ordinamento gli riconosce non solo determinate facoltà, ma anche la
pretesa di condizionare il comportamento degli altri soggetti (ipoteca su un bene).
I diritti si dividono in:
- diritti assoluti, possono essere fatti valere nei confronti di tutti i soggetti;
- diritti relativi, possono essere fatti valere solo nei confronti di determinati soggetti.
○ L’interesse legittimo designa una situazione soggettiva di vantaggio il cui titolare gode di poteri
strumentali in vista della tutela di un proprio interesse. Affinché il suo diritto possa essere fatto valere
direttamente e immediatamente occorre che l’interesse legittimo coincida con uno specifico interesse
pubblico. Es: l’interesse di un soggetto a che dalla graduatoria dei vincitori di un concorso siano esclusi
coloro che non rispondono ai requisiti richiesti.
○ Obblighi, comportamenti che un soggetto deve tenere per rispettare un diritto altrui (obbligo pagare
canone di locazione);
○ Doveri, comportamenti dovuti indipendentemente dall’esistenza di un corrispettivo diritto altri (diritti
costituzionali);
○ Soggezioni, situazione di chi è soggetto ad un potere giuridico.
3. CONDIZIONE GIURIDICA DEL CITTADINO E DELLO STRANIERO
Il cittadino è il soggetto titolare di diritti civili e politici, nonché di doveri. La cittadinanza può essere
acquisita tramite il principio dello “ius sanguinis, in tal caso essa viene acquisita per discendenza, tale
preferenza risponde alla volontà di tutelare la coesione etnico-culturale di una nazione; oppure può essere
riconosciuta tramite il principio dello “ius soli”, essa viene conferita a coloro che nascono sul territorio di
uno stato. In tal caso essa risponde alla volontà di creare coesione all’interno della comunità.
La cittadinanza italiana può essere acquisita secondo diverse modalità:
- è cittadino italiano il figlio di un cittadino italiano (madre o padre) ed anche chi nasce nel territorio della
Repubblica da genitori ignoti, apolidi o che comunque non possano trasmettere la cittadinanza. Si parla di
cittadinanza acquisita per nascita;
- è cittadino italiani che è adottato da un cittadino italiano. Si parla di cittadinanza acquisita per estensione o
per trasmissione;
- può diventare cittadino italiano, se lo richiede, lo straniero che dispone di determinati requisiti. Si parla di
cittadinanza acquisita per concessione. Tuttavia colui o colei che è figlio o figlia di un genitore che era
cittadino ha un vero e proprio diritto all’acquisto della cittadinanza, per beneficio di legge.
Altre norme sulla cittadinanza stabiliscono:
- è sempre ammessa la doppia cittadinanza;
- si perde la cittadinanza per espressa rinuncia in caso di acquisto di un’altra e residenza all’estero in caso di
acquisto di un’altra e residenza all’estero;
- sono previste varie forme di agevolazione al riacquisto della cittadinanza per chi l’ha perduta.
La Costituzione stabilisce che:
- nessun cittadino può essere privato della cittadinanza per motivi politici;
- il cittadino italiano può essere estradato, cioè consegnato ad uno stato straniero dove abbia compiuto un
reato per essere sottoposto alla giustizia di tale paese, solo nelle ipotesi espressamente previste dalle
convenzioni internazionali. Non è comunque ammessa l’estradizione per reati politici. La Corte
Costituzionale ha inoltre dichiarato illegittima l’estradizione per reati puniti all’estero con la pena di morte
Il cittadino italiano è anche cittadino dell’Unione Europea.
Condizione giuridica dello straniero:
- straniero è colui che non è cittadino italiano e non è apolide.;
- extracomunitario è colui che non è cittadino italiano o di altro stato appartenente all’UE.
La Costituzione stabilisce che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità
delle norme e dei trattati internazionali. La disciplina dell’ingresso, del soggiorno e dell’espulsione dello
straniero si uniforma alla politica dell’UE e prevede:
- allo straniero, comunque presente nel territorio, sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona
umana;
- agli stranieri regolarmente soggiornanti (ovvero in possesso del permesso di soggiorno) sono
riconosciuti i diritti civili;
- a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti è riconosciuta parità di trattamento e piena
uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
Diritto di asilo: allo straniere che lascia il proprio paese non per motivi lavorativi o di studio ma perché non
può esercitare in modo effettivo le libertà democratiche la Costituzione italiana riconosce il diritto di asilo
territoriale. L’Italia tuttavia non ha ancora una organica legislazione sul diritto di asilo, lacuna che si deve in
buona misura all’oggettiva difficoltà di disciplinare un fenomeno suscettibile di allargarsi a dismisura.
Rifugio politico: l’Italia apre le sue porte a coloro i quali abbandonano il proprio paese perché
personalmente discriminato o perseguitato, per esempio a causa del credo religioso o della propria attività
politica. Costoro possono richiede rifugio politico.
Estradizione dello straniero: è consentita l’estradizione dello straniero tranne che nel caso di reati politici,
tranne se il reato politico consiste in genocidio.
Espulsione dello straniero: è un atto con cui si allontana un soggetto dal territorio italiano. È prevista:
- come conseguenza dell’ingresso o del soggiorno illegale nel territorio nazionale;
- a titolo di sicurezza e a titolo di sanzione alternativa alla detenzione;
- per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato.
L’espulsione dello straniero irregolare è disposta dal prefetto con decreto motivato convalidato dal giudice.
L’espulsione è eseguita dal questore tramite accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
Lo straniero irregolare può essere trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione nel pieno rispetto
della sua dignità.
Diverso è il respingimento alla frontiera, disposto dalla polizia di frontiera nei confronti degli stranieri che si
presentano privi dei requisiti per l’ingresso.
4. I DIRITTI INVIOLABILI NELL’ART. 2 COSTITUZIONE
L’art. 2 della Costituzione: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
I diritti fondamentali sono inviolabili sia dai poteri pubblici sia dai privati, ed essi sono riconosciute le
seguenti caratteristiche:
- assolutezza, possono essere fatti valere nei confronti di tutti;
- inalienabilità e indisponibilità, non possono essere trasferiti per atto di volontà del titolare;
- imprescrittibilità, il mancato esercizio di essi anche se prolungato non determina la perdita da parte
del titolare;
- irrinunciabilità, il titolare non vi può rinunciare neppure volendo.
5. I DIRITTI DELLA PERSONALITA’
Accanto ai diritti della personalità espressamente riconosciuti dalla Costituzione, come il diritto alla capacità
giuridica, il diritto alla cittadinanza e al nome, sono stati individuati numerosi altri diritti.
Il diritto alla vita e all’integrità fisica è tutelato dalle leggi civili che consentono la donazione di sangue
e il trapianto di organi; esse tuttavia vietano gli atti di disposizione del proprio corpo che cagionino una
diminuzione permanente dell’integrità fisica del soggetto e che siano contrati alle legge, all’ordine pubblico
o al buon costume. Il diritto alla vita si può implicitamente trarre anche dall’art. 27 della Costituzione che
vieta la pena di morte.
Anche colui che non è ancora nato gode del diritto alla vita. Nei paesi in cui viene riconosciuta alla donna la
possibilità di interrompere la gravidanza, questa è permessa solo a condizioni precise ed entro un
determinato periodo di tempo dal concepimento (in Italia 90 giorni).
Il diritto all’onore, ovvero la tutela dell’integrità morale della persona, del prestigio, della reputazione è
garantito penalmente.
Il diritto all’identità personale è tutelato. L’identità personale costituisce un bene per sé medesima,
indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto.
Il diritto alla libertà sessuale, inteso come diritto di disporre liberamente della propria sessualità, è
protetto giuridicamente e rappresenta uno dei diritti inviolabili della persona umana. Collegato ad esso è
anche il diritto al libero orientamento sessuale.
Il diritto alla riservatezza, cioè alla segretezza e all’intimità della vita privata, rappresenta uno dei diritti
fondamentali nella società contemporanea insieme all’inviolabilità del domicilio e delle comunicazioni.
Nel 1996 è stato istituito il Garante per la protezione dei dati personali. Il diritto alla privacy è infatti
costantemente minacciato dallo sviluppo di nuove tecnologie e mezzi di comunicazione.
Fra i dati meritevoli di protezione vi sono i dati sensibili, cioè capaci di rivelare l’origine razziale ed etnica,
le convinzioni religiose e politiche, le abitudini sessuali delle persone: essi non possono essere raccolti, senza
il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante.
Il diritto all’ambiente rappresenta un valore costituzionale la cui protezione spetta a tutti i soggetti
dell’ordinamento. Allo stato spetta il risarcimento per i danni subiti dall’ambiente.
6. DOVERI COSTITUZIONALI
La seconda parte dell’art. 2 della Costituzione collega strettamente la garanzia dei diritti inviolabili
all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; senza però prediligere
gli uni agli altri.
Fra i doveri costituzionali vi sono: il dovere di svolgere un lavoro utile alla società; il dovere dei genitori di
mantenimento, istruzione ed educazione nei confronti dei figli; il dovere sacro del cittadino di difesa della
patria; il dovere di tutti di concorrere alle spese pubbliche; il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservare
la Costituzione e le leggi.
7. LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI E L’ORDINAMENTO ITALIANO
Il Novecento è stato caratterizzato dall’internazionalizzazione della tutela dei diritti umani, attraverso la
loro positivizzazione (cioè il riconoscimento espresso in atti internazionali) e giurisdizionalizzazione (cioè la
loro tutela dinanzi a tribunali internazionali).
Posizioni dei trattati nel sistema delle fonti: le convenzioni internazionali sui diritti, essendo recepite
nell’ordinamento interno con leggi di esecuzione, hanno formalmente il rango di una legge ordinaria.
Parte della dottrina tuttavia identifica le norme di esecuzione come leggi atipiche, aventi cioè forza attiva di
una legge ordinaria, ma una particolare forza passiva che permette loro di resistere all’abrogazione da parte
di norme primarie successive.
8. LA TUTELA DEI DIRITTI E I VINCOLI EUROPEI
Documento fondamentale per la tutela dei diritti fondamentali è la Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu).
La tutela giurisdizionale dei diritti è affidata alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte può essere
adibita con ricorsi individuali, attivabili sia da persone fisiche che giuridiche. Tali ricorsi, però, possono
essere presentati solo dopo che si siano esauriti tutti i rimedi interni allo stato contro il quale si agisce.
DIRITTI RELATIVI ALLA SICUREZZA PERSONALE
9. LA LIBERTA’ PERSONALE
La prima libertà garantita al singolo dalla Costituzione è la libertà personale, la quale è dichiarata
inviolabile. Essa non ammette atti di coercizione fisica, sia che siano posti in essere dalla polizia o dal
privato. Possono ritenersi lesive della libertà personale anche misure che, pur non consistenti in forme di
coercizione fisica, incidono negativamente sulla personalità morale e sulla dignità della persona umana.
La libertà personale non include tuttavia la libertà morale, ossia la libertà dell’individuo di determinare
autonomamente i propri comportamenti.
La Costituzione ammette restrizioni della libertà personale, ma nei soli casi e modi previsti dalla legge
(siamo quindi nel caso di una riserva di legge assoluta). I “casi” coincidono con i reati e con i presupposto
delle misure di sicurezza. La Costituzione determina anche i limiti sostanziali alla penalizzazione:
- il principio di tassatività o determinatezza del precetto penale. La condotta vietata va determinata in
modo chiaro, affinché tutti abbiano la piena consapevolezza dell’illecito da non commettere e per consentire
a chi è accusato di difenderli. Tale principio implica anche il divieto di analogia in materia penale;
- il principio della personalità della responsabilità penale. Non si può attribuire a un soggetto il fatto
d’altri;
- principio di consapevolezza. Sono punibili solo le condotte materiali collegate ad un atteggiamento
soggettivo di colpevolezza, nelle forme di dolo o colpa;
- il principio di offensività e lesività del reato. Il fatto per costituire resto deve pregiudicare un bene o un
interesse costituzionalmente tutelato o connesso ad altri beni costituzionali.
La riserva di giurisdizione: alla riserva di legge si aggiunge la seconda garanzia delle libertà personale, la
riserva di giurisdizione: nessuna restrizione è consentita se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria.
Restrizioni sono consentite solamente in casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente
dalla legge, si tratta delle ipotesi di arresto in fragranza di reato e del fermo di indiziati di reato.
Misure di sicurezza e misure di prevenzione:
○ La Costituzione consente restrizioni di libertà personale giustificare da esigenze di prevenzione. Essa
contempla, accanto alle pene, le misure di sicurezza che sono volte a neutralizzare la pericolosità del
soggetto e svolgono una funzione di difesa sociale;
○ Altra cosa sono le misure di prevenzione, le quali sono tese ad impedire la commissione di reati da parte
di soggetti ritenuti socialmente pericolosi, ma diversamente dalle misure di sicurezza, prescindono da un
precedente reato. Tali misure consistono in limitazione alla libertà del colpito.
Custodia cautelare: un’ulteriore forma di restrizione è la custodia cautelare. Oltre alla reclusione successiva
alla condanna, la carcerazione è prevista anche prima che la responsabilità penale sia definitivamente
acclarata. Essa è disposta qualora ricorrano gravi indizi di colpevolezza e in particolare in tre casi:
- possibile inquinamento delle prove;
- pericolo di fuga;
- rischio di reiterazione del reato.
Trattamento del detenuto e funzione della pena: la Costituzione vieta ogni violenza fisica o morale sulle
persone private della libertà personale ed esclude pene che possano consistere in trattamenti contrari al senso
di umanità.
La pena ha uno scopo di prevenzione generale, deve cioè dissuadere la generalità dei consociati dal
commettere reati. Ha poi uno scopo di prevenzione speciale nei confronti del reo. Ha, infine, la funzione di
tendere alla rieducazione del condannato.
10. LA LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE E SOGGIORNO. LA LIBERTA’ DI ESPATRIO
L’art. 16 della Costituzione tutela la libertà, per ogni cittadino, di muoversi sul territorio italiano e di fissare,
in qualunque parte di esso, la propria dimora o la propria residenza.
La libertà di circolazione e di soggiorno è riconosciuta esplicitamente dalla Costituzione, essa ha lo scopo di
specificare il divieto ad ogni restrizione per ragioni politiche.
Per quanto riguarda i cittadini dell’UE, essi godono del diritto di stabilimento, ossia della facoltà di scegliere
liberamente dove svolgere sul territorio comunitario la propria attività lavorativa e, in base agli accordi di
Schengen, del diritto al libero ingresso nei paesi aderenti.
Limiti → tale libertà può essere soggetta solo a limitazioni che la legge stabilisce in via generale e per
motivi di sanità o di sicurezza. Provvedimenti tipici sono i cordoni sanitari, i quali hanno lo scopo di
prevenire pericoli per la salute pubblica.
Differenza libertà di circolazione e libertà personale → si è in presenza di una limitazione della libertà
personale ogni volta che un provvedimento, pur limitando materialmente la libertà di movimento,
presuppone una valutazione delle condizioni personali del destinatario. Tale interpretazione è collegata alla
locuzione “in via generale” che suggerisce l’illegittimità di ogni provvedimento “ad personam”.
Es: coprifuoco adottato per l’intera collettività incide sulla libertà di circolazione, mentre un provvedimento
adottato nei confronti di un sorvegliato speciale è da ritenersi restrittivo della libertà personale.
Libertà di espatrio e di emigrazione → la Costituzione garantisce la libertà di espatrio, ossia la libertà di
uscire dal territorio della Repubblica e rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. Il rilascio del passaporto è un
diritto soggettivo, non essendo subordinato ad alcuna valutazione discrezionale da parte dell’autorità
amministrativa, la quale deve rilasciarlo.
Simile alla libertà di espatrio è la libertà di emigrazione, si differenzia dalla prima solamente per le
motivazioni che ne stanno alla base.
11. LA LIBERTA’ DI DOMICILIO (art. 14)
La Costituzione tutela la libertà di domicilio, quale prolungamento della libertà personale, intesa come
proiezione spaziale della persona.
Limitazioni → anche nel caso della libertà di domicilio sono previste una serie di limitazioni: le
perquisizioni, le ispezioni e i sequestri possono avvenire solo nei casi e modi previsti dalla legge (riserva di
legge) per atto motivato dall’autorità giudiziaria (riserva di giurisdizione), tranne i casi di necessità e urgenza
indicati tassativamente dalla legge. Per tutelare altri interessi costituzionalmente preminenti (quali ad
esempio la salute pubblica o la riscossione dei tributi) è stabilito che le ispezioni per motivi di sanità e di
incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.
Significato → diverso è il significato che può essere attribuito al termine domicilio. Costituzionalmente esso
è inteso come qualunque luogo, isolato dall’ambiente esterno, in cui la persona abbia diritto di rinchiudervi
per coltivare i propri interessi, affetti o anche la propria attività professionale (abitazione, capannone, roulette,
anche una macchina).
12. LIBERTA’ E SEGRETTA DELLA CORRISPONDENZA E DELLE COMUNICAZIONI (art. 15)
La Costituzione garantisce a tutti la libertà di comunicare con una o più persone determinate, essa
garantisce inoltre la segretezza e la libertà di ogni comunicazione, dichiarandole inviolabili.
La tutela costituzionale comporta la duplice garanzia della riserva di legge e della riserva di giurisdizione,
con esclusione di qualunque intervento dell’autorità di pubblica sicurezza.
Intercettazioni → coerentemente con tale impianto di tutela, la legislazione in materia di sequestro di
corrispondenza e intercettazioni di conversazioni o comunicazioni prevede che sia sempre necessario
l’intervento preventivo dell’autorità giudiziaria, ovvero del gip e su richiesta del pubblico ministero.
In particolare le intercettazioni sono consentite solo per determinati reati, qualora ricorrano gravi indizi di
reato e siano assolutamente indispensabili ai fini della prosecuzione delle indagini.
Diverso è invece il caso dei tabulati, ovvero dei dati esteriori delle comunicazioni telefoniche; per la loro
acquisizione è richiesto solo un decreto motivato dal pubblico ministero.
Reti informatiche → la tutela delle comunicazioni è stata estesa anche per quelle che avvengono tramite le
nuove reti reti informatiche (e-mail, forum, chat room).
I DIRITTI A ESPRIMERSI, A RICERCARE, A INSEGNARE
13. LA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO E IL DIRITTO
ALL’INFORMAZIONE (art. 21)
La Costituzione riconosce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Chiunque può far conoscere ad uno o più destinatari indeterminati le
proprie idee, opinioni, sentimenti. Tale libertà ricomprende anche il diritto al silenzio, il diritto cioè a non
esprimere il proprio pensiero.
La libertà di manifestazione incontra due tipi di limiti:
- un unico limite esplicito, ovvero il buon costume;
- una serie di limiti impliciti, derivanti dall’esigenza di tutelare altre libertà costituzionali o altri beni di
rilevanza costituzionale.
○ Per buon costume si intende il comune senso del pudore e della pubblica decenza secondo il sentimento
medio della comunità. La contrarietà al buon costume dovrà essere valutata tenendo conto del contesto e
delle modalità degli atti.
Diversa è la disciplina a seconda del mezzo scelto: per gli stampati non è ammessa alcuna forma di controllo
preventivo (censura), ma solo la possibilità di eventuale sequestro successivo alla pubblicazione; controlli
preventivi sono previsti per gli spettacoli pubblici, in particolare sono previsti tagli per le scene giudicate
contrarie al buon costume.
○ I limiti impliciti si ruotano attorno al concetto base che il godimento di una libertà da parte di un soggetto
non può tradursi nell’avvilimento delle libertà di un altro soggetto o nella lesione di un bene di rilevanza
costituzionale.
La manifestazione del pensiero deve essere misurarsi ed essere bilanciata:
- con i diritti della personalità;
- con i diritti di natura civilistica (diritto d’autore e delle opere dell’ingegno);
- con il divieto di pubblicazione apologia di reato idonea a provocare la violazione delle leggi penali;
- con il divieto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali, della bandiera, ecc.
La libertà di informazione → la libertà di manifestazione del pensiero implica anche la libertà di
informazione: la Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo riconosce sia il diritto ad informare sia il
diritto ad informarsi sia il diritto ad essere informati.
Presupposto indispensabile per la libertà di informazione è che la vita istituzionale e politica
dell’ordinamento sia improntata ad un regime di pubblicità nel quale le notizie cui sia vietata la divulgazione
rappresentino l’eccezione. Ciò ricollega alla disciplina dei segreti che comprende: segreto professionale,
segreto aziendale, segreto industriale, segreto d’ufficio, segreto investigativo, segreto di stato. In particolare
risultano coperti dal segreto di stato “gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui
diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della Repubblica”.
Gli strumenti di diffusione del pensiero: l’art. 21 della Costituzione che disciplina la libertà di
informazione risulta alquanto datato per quanto riguarda gli strumenti di diffusione del pensiero considerati.
○ L’unico mezzo di circolazione delle informazioni espressamente evocato è la stampa. L’articolo inoltre
non garantisce, insieme alla libertà di stampa, anche il pluralismo e la libertà della stampa.
La disciplina cui la stampa è sottoposta si può cosi riassumere:
- la pubblicazione a mezzo stampa non è soggetta a controlli preventivi (no censura);
- si può ordinare il sequestro di una pubblicazione solo in base a due presupposti: riserva di legge rinforzata e
riserva di giurisdizione;
- la pubblicazione deve rispettare i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero;
- la legge tende ad evitare che imprese editoriali assumano sul mercato una posizione dominante attraverso al
concentrazione di testate.
○ Privi di esplicita disciplina costituzionale sono invece gli altri moderni mezzi di comunicazione di massa, e
in particolare il sistema radiotelevisivo. Esso ha subito una graduale evoluzione normativa.
Nel 1936 era stato affidato in regime di monopolio allo Stato. Negli anni Settanta si arrivò prima alla
liberalizzazione delle trasmissioni private in ambito locale e poi in ambito nazionale. La regolamentazione
della radiotelevisione avvenne solo nel 1990 e fu ispirata al principio della pluralità delle voci. Nel 1997
stata istituita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con compiti di controllo e di vigilanza anche si
radiodiffusione ed editoria. Tutta la materia della comunicazione politica è stata disciplinata da una legge ad
hoc, la legge sulla par condicio, improntata al principio della tendenziale pari opportunità fra tutte le forze.
Nel 2005 è stato infine emanato il testo unico della radiotelevisione, contenente un lungo elenco di principi,
la ridefinizione dei compiti del servizio pubblico e l’ennesima riforma della Rai spa.
14. LA LIBERTA’ DI RELIGIONE E LA LIBERTA’ DI COSCIENZA (art.19)
Tra le libertà di pensiero si collocano anche la libertà di religione e la libertà di coscienza. La libertà di
religione è disciplinata dall’art.19 della Costituzione: esso garantisce la libertà religiosa come libertà di fede
e come libertà di pratica religiosa. Tali libertà devono essere esercitata nel rispetto del buon costume. Al
tempo stesso la Costituzione tutela anche la libertà di coscienza dei non credenti.
15. LA LIBERTA’ DELLA RICERCA SCIENTIFICA (art. 33)
La Costituzione afferma la libertà della scienza e affida alla Repubblica il compito di promuovere lo sviluppo
della ricerca scientifica e tecnica. I confini della scienza rappresentano un tempo assai discusso:
○ Nuovi problemi sono stati posti dalla diffusione delle biotecnologie, ossia quel complesso di tecniche
scientifiche che mirano ad incidere sui processi biologici della materia vivente. Tra tali tecniche vanno
annoverati anche i metodi di procreazione medicalmente assistita i quali scindono la riproduzione umana
dall’atto sessuale.
○ Problemi etici e giuridici sono stati posti anche dalla clonazione, nelle due forme di clonazione
riproduttiva (cioè la clonazione diretta e totale di essere umani, che è vietata) e la clonazione terapeutica
(cioè la riproduzione di cellule staminali per finalità terapeutiche).
○ Con riferimento al mondo agricolo discusso è il tema degli Ogm, organismi geneticamente modificati. Si
tratta di specie vegetali molto più resistenti ai fattori ambientali esterni, di cui tuttavia non si conoscono
ancora a pieno le conseguenze.
16. LIBERTA’ DELLA E NELLA SCUOLA – DIRITTO ALL’ISTRUZIONE E ALLO STUDIO
L’art. 33 della Costituzione garantisce la libertà di insegnamento (o libertà nella scuola), come attività
finalizzata all’educazione e alla diffusione della cultura.
La Costituzione inoltre affida allo Stato il compito non solo di stabilire norme generali sull’istruzione, ma
anche di istituire scuole statali per tutti gli ordini e i gradi, prevedendo inoltre un esame di stato per
l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi. Il diritto di istituire scuole e istituti
di educazione è parimenti riconosciuto ad enti privati.
Accanto alla libertà nella scuola è riconosciuta anche la libertà della scuola, l’alunno è libero di scegliere tra
scuola pubblica e scuola privata. La Costituzione tuttavia stabilisce che il diritto di istituire scuole private
deve essere esercitato senza oneri per lo stato.
Nel creare le scuole pubbliche lo Stato deve seguire i criteri indicati dall’art. 34:
- la scuola deve essere aperta a tutti;
- obbligatoria per almeno 8 anni.
Il diritto all’istruzione non comprende solamente il diritto per tutti di essere ammessi alla scuola, ma deve
essere inteso come diritto a ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per la formazione della
personalità e l’assolvimento dei compiti sociali della persona.
La Costituzione stabilisce il diritto allo studio: i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto
di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo stato deve fornire i mezzi finanziari per rendere effettivo ciò.
Le università hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
L’autonomia universitaria è volta a tutelare la libertà di insegnamento e la libertà di ricerca scientifica.
17. LA LIBERTA’ DI RIUNIONE (art. 17)
La libertà di riunione è garantita dalla Costituzione ai soli cittadini (ferma restando la legittimità della tutela
a livello non costituzionale per gli stranieri). La riunione può essere definita come il radunarsi volontario in
luogo e tempo predeterminati di una pluralità di persone che perseguono uno scopo comune prestabilito.
Non sono quindi tutelati gli assembramenti, cioè le confluenze casuali. Lo sono invece i corte e le
processioni, che sono da considerarsi riunioni in movimento.
Limiti → l’art. 17 della Costituzione stabilisce che la riunione non può svolgersi in modo non pacifico, ossia
in modo violento contro le persone o cose, né vi possono partecipare persone armate. Qualora si verifichi
questa seconda ipotesi la pubblica autorità allontanerà coloro che risultano armati (eventualmente
arrestandoli), per tutelare il diritto a riunirsi degli altri partecipanti.
Tipologie → esistono diverse tipologie di riunioni: riunioni in luogo privato, riunioni in luogo aperto al
pubblico e riunioni in pubblico. Per luogo aperto al pubblico deve intendersi un qualsiasi luogo
materialmente separato dall’esterno, l’accesso al quale, pur consentito a una generalità di soggetti, sia
regolabile da chi ne ha la disponibilità giuridica.
I prime due tipi di riunioni sono equiparati per quanto concerne da disciplina: per entrambi non è richiesto
preavviso alla’autorità pubblica di sicurezza. Nel caso di riunione in luogo pubblico è necessario, almeno 3
giorni prima dello svolgimento, comunicare la data al questore. Questi potrà vietarla solo per comprovati
motivi di sicurezza e di incolumità pubblica. Dal termine comprovati si deduce che:
- la motivazione dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere specifica in riferimento al caso di specie;
- proprio per la specificità del divieto, esso può riguardare solo le singole riunioni;
- devono sussistere concrete possibilità di turbamento dell’ordine pubblico.
Un regime particolare è previsto per le riunioni elettorali, per le quali non è previsto l’obbligo di preavviso e
il cui svolgimento è garantito dalla legislazione penale. Esse tuttavia non possono avere luogo nel giorno
delle elezioni e in quello che le precede.
18. LA LIBERTA’ DI ASSOCIAZIONE
Per associazione si intende un’organizzazione di individui, legati dal perseguimento di un fine comune da un
vincolo di natura giuridica. Proprio l’esistenza di tale vincolo giuridicamente rilevante differenzia
l’associazione dalla riunione, nonostante il fatto che la distinzione fra l’una e l’altra si fonti tradizionalmente
sulla tendenziale stabilità della prima e la temporaneità della seconda. È riconosciuta ai cittadini:
- la libertà di associazione, ossia la possibilità per più cittadini di costituire associazioni senza la necessità
di permessi o autorizzazioni;
- la libertà delle associazioni, ossia la possibilità di formare un numero indefinito di associazioni, anche se
perseguenti lo stesso scopo;
- la libertà negativa di associazione, per cui nessuno può essere costretto ad aderire ad una associazione.
Particolari tipi di associazioni sono le associazioni obbligatorie, l’adesione alle quali è imposta per
l’esercizio di determinate attività: ordini professionali, federazioni sportive, ecc. Tali fattispecie non sono
illegittime se necessarie per perseguire fini pubblici.
Limiti → la Costituzione vieta l’esercizio delle libertà di associazione per il perseguimento di fini vietati ai
singoli dalla legge penale. Vi è poi il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito
fascista. Il codice penale inoltre vieta le associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico.
Inoltre sono previsti due limiti specifici; l’art. 18 vieta:
- le associazioni segrete: la legge specifica che non è la segretezza in sé ad essere vietata, ma la segretezza
unita al fine di condizionare i poteri pubblici;
- le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
19. LA FAMIGLIA
La Costituzione considera la famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio. Essa mostra un favor
per la famiglia legittima, fondata cioè sul matrimonio, e non sulla convivenza di fatto. Per matrimonio deve
intendersi sia il matrimonio civile sia quello concordatario. La Costituzione prende in considerazione anche
la famiglia di fatto: stabilendo il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se
nati fuori dal matrimonio.
Ulteriore principio in materia di famiglia è quello dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi che ha
trovato attuazione con la riforma del diritto di famiglia del 1975, la quale ha promosso l’uguaglianza tra i
coniugi.
20. LE MINORANZE LINGUISTICHE (art. 6)
Le minoranze linguistiche sono tutelate dall’art. 6 della Costituzione, il quale si limita però a sancire un
principio generale, senza indicare né le popolazioni garantite né gli strumenti di tutela e rinviando alla legge
la loro definizione. Il testo di legge che dà attuazione alla norma costituzionale stabilisce le misure di tutela
delle minoranze linguistiche, prevedendo:
- l’utilizzazione e insegnamento nelle scuole;
- la possibilità di un uso pubblico;
- utilizzazione per la toponomastica, per i nomi e i mezzi di comunicazione di massa.
21. LE COMUNITA’ RELIGIOSE (art. 7 e 8)
La Costituzione disciplina i rapporti dello Stato con le diverse comunità religiose distinguendo a seconda che
si tratti della Chiesa cattolica o delle altre confessioni religiose.
○ In base all’art. 7 la Chiesa è riconosciuta come ordinamento giuridico originario, esso pone Stato e Chiesa
sullo stesso piano: “Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordinamento indipendenti e sovrani”. I
rapporti istituzionali tra i due ordinamenti sono disciplinati dai Patti Lateranensi, i quali costituiscono una
legge rinforzata.
○ Per quanto riguarda le altre confessioni religiose l’art. 8 prevede:
- la loro autonomia organizzativa nel rispetto dell’ordinamento italiano;
- la definizione dei loro rapporti istituzionali con lo Stato mediante intese, recepite in leggi appartenenti alla
categoria di “leggi rinforzate”.
La Costituzione riconosce il principio di laicità dello stato, inteso non come indifferenza verso il fenomeno
religioso, ma come equidistanza nei confronti di tutte le confessioni religione e dichiarando incostituzionali
le fattispecie penali che assicuravano una tutela maggiore alla religione cattolica.
I DIRITTI ATTINENTI AI RAPPORTI ECONOMICI
22. LA PROPRIETA’ PRIVATA E L’INIZIATIVA ECONOMIA PRIVATA
L’art. 42 della Costituzione costituisce una delle norme fondamentali della costituzione economica del titolo
III della carta costituzionale, dedicata alla disciplina dei rapporti economici.
Funzione sociale → esso afferma che “la proprietà è pubblica o privata”, “la proprietà privata è
riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo
di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibili a tutti”. La “funzione sociale” serve a legittimare
le limitazioni della proprietà privata, ma non solo. Serve anche a vincolare il legislatore, un’eventuale
restrizione della proprietà potrà essere stabilita solo per assicurarne la funzione sociale.
Espropriazione → “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata per motivi di interesse generale”. Per espropriazione si intende quel provvedimento
amministrativo mediante il quale il titolare di un diritto di proprietà su di un bene viene privato delle facoltà
che gli competono a favore di un diverso soggetto, solitamente (ma non esclusivamente) pubblico.
L’indennizzo non deve corrispondere all’integrale risarcimento del danno economico arrecato dall’esproprio,
anche se va quantificato in modo serio, congruo ed adeguato e non deve consistere in una cifra dal carattere
meramente simbolico.
Iniziativa economica → art. 41 della Costituzione tutela l’iniziativa economica provata. Tuttavia al tempo
stesso essa stabilisce che la legge può indennizzare e coordinare a favore sociali tanto l’attività economica
pubblica tanto quella privata. Dall’affermazione “l’iniziativa economica privata è libera” si deduce che
neppure la legge può obbligare il privato ad intraprendere una qualsiasi attività di natura economica.
Imprese nazionalizzate → art. 43 della Costituzione stabilisce che “a fini di utilità generale la legge può
riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti
pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono
a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazione di monopolio ed abbiano carattere di
preminente interesse generale”. L’esproprio può essere disposto solo per soddisfare fini di utilità generale,
inoltre esso va indennizzato. La legge espropriativa può concernere solo determinati settori.
La libertà di iniziativa economica è disciplinata anche a livello di Unione europea. La disciplina si fonda sul
principio di un’economia di mercato aperta e in libera circolazione ed è caratterizzata da regole comuni
riguardanti a libera circolazione di capitali, merci, servizi e lavoratori e la concorrenza tra le imprese.
A livello italiano nel 1990 è stato istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che opera in
stretta cooperazione con la Commissione europea.
23. LE LIBERTA’ SINDACALI E IL DIRITTO DI SCIOPERO
Le associazioni sindacali → l’art. 18 della Costituzione disciplina i “sindacati”, i quali sono chiamati a
svolgere compiti di tutela professionale nei confronti degli associati. “Ai sindacati non può essere imposto
altro obbligo se non l a loro registrazione presso uffici locale o centrali, secondo le norme di legge”. I
sindacati registrati possono stipulare contratti collettivi di lavoro, con efficacia obbligatoria per tutti gli
appartenenti alle categorie.
Diritto di sciopero → l’art. 40 della Costituzione tutela il diritto di sciopero, ovvero l’astensione
programmata di uno o più lavoratori dall’attività lavorativa. Tale diritto deve essere esercitato nell’ambito
delle leggi che lo regolano. Del diritto di sciopero possono avvalersi i lavoratori subordinati e autonomi, ma
non gli imprenditori. Esistono diverse tipologie di sciopero:
- sciopero economico, ossia quello posto in essere dai lavoratori per qualsiasi tipo di rivendicazione di
natura salariale o economica;
- sciopero esercitato per finalità politiche, è stato considerato legittimo a condizione che non sia diretto a
sovvertire l’ordinamento costituzionale.
Il diritto di sciopero può essere esercitato solo in modo pacifico ed include la libertà del lavoratore di non
prendere parte allo stesso. Si tratta di un diritto soggettivo (tutelabile davanti ai giudici) dei lavoratori in
quanto tali, ovvero della persona umana. Esso è legittimo anche se è indetto per sostenere le rivendicazioni di
altri lavoratori (sciopero di solidarietà).
Esistono dei limiti al diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, essi influiscono sulla fruizione e
sulla garanzia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Per tale motivo deve essere assicurata
l’erogazione delle prestazioni minime indispensabili. La legge prevede anche la possibilità di precettazione
dei lavoratori in sciopero in caso di mancato rispetto di tali disposizioni.
Diversa è la serrata, cioè la chiusura totale o parziale dell’impresa da parte del datore di lavoro, considerata
lecita ma non un vero e proprio diritto, l’imprenditore dovrà quindi risarcire i lavoratori per la mancata
prestazione lavorativa.
24. DIRITTI DELLO STATO SOCIALE
La categoria dei diritti sociali trae il proprio fondamento dalla necessità di assicurare prestazioni dei poteri
pubblici uguali per tutti e tali da riequilibrare le posizioni dei singoli all’interno della società.
La differenza tra diritti di libertà e sociali sta nel fatto che questi ultimi valgono come diritti di prestazione
da far valere nei confronti dello stato, valgono come pretesa del singolo affinché la Repubblica intervenga
per renderli effettivi. Si tratta di diritti strettamente legati alle risorse finanziarie e alle politiche di bilancio.
I principali diritti sociali contemplati dalla nostra Costituzione sono: diritto al lavoro, diritto all’assistenza
sociale, diritto alla tutela della salute, diritto all’istruzione e diritto allo studio.
25. DIRITTO AL LAVORO
L’art. 4 della Costituzione afferma “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove
le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. L’art. 1 della Costituzione definisce l’Italia una
Repubblica fondata sul lavoro. L’art. 4 della Costituzione ha natura precettiva e promozionale, essa vincola i
pubblici poteri a perseguire una politica di piena o maggiore occupazione. Il diritto al lavoro, sebbene di per
sé non idoneo a garantire al cittadino un’occupazione, è considerato inviolabile.
Numerosi sono le libertà riconosciute dall’art. 4:
- la libertà del cittadino di scegliere l’attività lavorativa o professionale da esercitare. Tale libertà si
sostanzia in due ulteriori posizioni soggettive: la libertà di non subire limitazioni irrazionali nell’accesso al
lavoro; la libertà di esercitare un lavoro o una professione adeguati alle proprie capacità;
- diritto del lavoratore a non essere licenziato in modo arbitrario, il licenziamento può verificarsi solo in
presenta di una giusta causa o giustificato motivo.
Vi sono poi altri diritti sociali legati al diritto al lavoro:
- il diritto a una giusta retribuzione, ossia proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e comunque
sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa;
- il diritto al riposo settimanale ed alle ferie, entrambi retribuiti ed ai quali il lavoratore non può rinunciare.
L’art. 35 afferma che “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”, espressione si
presta a coprire le nuove forme di prestazioni lavorative sviluppatesi un anni recenti e caratterizzate da
elevata flessibilità.
26. DIRITTO ALL0ASSISTENZA E ALLA PREVIDENZA
L’art. 38 della Costituzione garantisce l’assistenza e la previdenza sociale.
L’assistenza sociale è garantita nei confronti di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi
necessari per vivere direttamente da parte della pubblica amministrazione (comuni, regioni).
La previdenza sociale è assicurata ai lavoratori in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria, essa viene erogata da organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza e la previdenza rientrano nei diritti sociali, i quali hanno per oggetto la pretesa di fruire
determinate prestazioni di sicurezza sociale, il cui livello minimo di tutela deve essere garantito dai pubblici
poteri, ma può essere integrato attraverso il ricorso ai privati.
Il legislatore deve contemperare la tutela di tali diritti con le disponibilità finanziarie della Repubblica.
27. IL DIRITTO ALLA SALUTE
Il diritto alla salute è tutelato dall’art. 32 della Costituzione, che lo definisce fondamentale diritto
dell’individuo e anche interesse della collettività. Si tratta quindi di un diritto soggettivo, assoluto, perfetto
che rientra nella categoria dei diritti inviolabili.
Il diritto alla salute ha avuto piena attuazione con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Strumentale
al diritto alla salute è il diritto a ricevere i trattamenti sanitari. La legge prevede la libertà del singolo di
scegliere se ricevere o meno le cure sanitarie. Solo in casi eccezionali, tassativamente indicati dalla legge,
possono essere previsti trattamenti sanitari obbligatori.
28. DIRITTO ALL’ABITAZIONE
Il diritto all’abitazione è riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Esso tuttavia
nella sua accezione più specifica di diritto ad ottenere un alloggio non costituisce in realtà un diritto
autentico. Esso rappresenta piuttosto un interesse preminente di rilevanza costituzionale rivolto a soddisfare
un interesse preminente di rilevanza costituzionale, rivolto a soddisfare un’esigenza di carattere primario.
29. I DIRITTI CONTRO DIRITTI
La Costituzione riconosce e garantisce una pluralità di diritti, i quali possono entrare in conflitto tra loro. I
conflitti possono essere di due tipi:
- conflitti tra diritti fondamentali (tra diritto di cronaca e diritto alla privacy);
- conflitti tra diritti ed esigenze collettive.
I limiti alle libertà di norma sono espressamente previsti da singole disposizioni costituzionali (limiti
espressi). Esistono tuttavia anche limiti impliciti dei diritti. In entrambi i casi la delimitazione dei limiti è
affidata al legislatore. Il bilanciamento dei diritti deve avvenire nel rispetto delle regole seguenti:
- esso deve riguardare conflitti tra diritti o valori aventi il medesimo rango costituzionale;
- deve essere svolto in modo tale che il sacrificio subito da un diritto o da un valore sia proporzionato;
- deve essere tale da preservare comunque il contenuto essenziale del diritto sacrificato.
30. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA
EGUAGLIANZA E LIBERTA’
La Costituzione, nell’art. 3, stabilisce due principi fondamentali:
1) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (principio di eguaglianza
formale).
2) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (principio di
eguaglianza sostanziale).
→ L’eguaglianza formale è propria della cultura liberale, che riconosce la condizione di eguaglianza nei
punti di partenza, ossia come pari opportunità per tutti.
→ L’eguaglianza sostanziale evoca la concezione socialista dell’eguaglianza nei risultati, che impone allo
stato di intervenire nella struttura economica della società, al fine di rimuovere le situazioni di
diseguaglianza esistenti di fatto.
SIGNIFICATI DI EGUAGLIANZA
Dall’art 3 della Costituzione è possibile ricavare differenti significati del principio di eguaglianza:
Eguaglianza davanti alla legge: significa che la legge si applica a tutti. Esso è strettamente legato al
principio della generalità della legge e al principio di efficacia della legge: la legge deve avere medesima
forza nei confronti di tutti. Sono quindi vietate, in linea di massima, le leggi ad personam.
Corollari del principio di eguaglianza formale solo il principio di imparzialità della pubblica amministrazione
e il principio di terzietà del giudice.
Il principio di eguaglianza riguarda tutti, cittadini e stranieri, persone fisiche e giuridiche.
Il divieto di discriminazioni: individua talune fattispecie che non possono essere assunte a motivi di
differenziazione. Il divieto di discriminazione concerne:
- il sesso: la legge non può distinguere le persone in ragione del sesso: uomini e donne devono essere trattati
in modo eguale. Lo stesso principio vale contro le possibili discriminazioni derivanti dagli orientamenti
sessuali. È possibile intervenire tramite “azioni positive” per promuovere situazioni di eguaglianza (es. tutela
della donna che lavora);
- la razza: è vietato introdurre e praticare discriminazioni dirette ed anche indirette sulla base della razza o
origine etnica;
- la lingua: la legge non può fare distinzioni in base alla lingua conosciuta dai soggetti dell’ordinamento,
salvo le deroghe previste per le minoranze linguistiche;
- la religione: la legge non può fare discriminazioni in base alla confessione religiosa del soggetto;
- le opinioni politiche: tale divieto di discriminazione deve essere collocato in relazione alla libertà di
manifestazione del pensiero, nonché alla libertà di associazione in partiti politici;
- le condizioni personali e sociali: con riferimento alle condizioni sociali si rinvia al principio di
eguaglianza, per le condizioni personali si fa riferimento al principio della generalità della legge.
Con riferimento a tutte queste fattispecie tipiche, la Costituzione ha posto una presunzione di illegittimità,
accettabile dalla Corte costituzionale. Si tratta di una presunzione non assoluta; l’onere di dimostrare la
ragionevolezza della fattispecie incombe su chi delibera in deroga.
Eguaglianza come divieto di distinzioni o parificazioni irragionevoli: l’eguaglianza presuppone che
siano messi a confronto almeno due elementi. Sotto l’aspetto strutturale, il giudizio costituzionalista ha una
struttura triangolare, possa su tre elementi necessari:
- la norma impugnata per la violazione del principio di eguaglianza;
- la norma parametro;
- la norma che fa da termine di paragone.
Se la Corte Costituzionale ritiene che nessuna ragione sussista per distinguere la posizione disciplinata nella
norma oggetto di impugnazione, essa dichiara l’illegittimità della stessa. Il principio di eguaglianza significa
che la legge deve trattare in modo eguale situazioni ragionevolmente eguali e in modo diverso situazioni
ragionevolmente diverse; esso va quindi inteso come principio di eguaglianza ragionevole.
Il principio di eguaglianza ragionevole vieta leggi ingiustificatamente discriminatorie e, per converso, leggi
ingiustificatamente parificatorie.
Esempio di leggi ingiustamente discriminatorie si hanno quando la Corte costituzionale sanziona il diseguale
trattamento di soggetti che invece avrebbero dovuto essere equiparati (ruolo della lavoratrice donna
equiparato al lavoratore uomo).
Esempio di leggi irragionevolmente parificatorie è la clausola solve et repete, ossia l’istituto che in materia di
accertamento tributario stabiliva che chi avesse voluto contestare la correttezza del procedimento condotto
dagli ufficiali tributari avrebbe dovuto prima pagare il tributo poi fare ricorso alla giustizia.
PROMOZIONE DELL’EGUAGLIANZA
La sola eguaglianza formale non basta, per tale ragione la Costituzione richiede che siano poste in essere
attività volte a promuovere l’eguaglianza. Essa individua:
- un compito, spettante alla Repubblica, che consiste nella rimozione degli ostacoli di ordine economico e
sociale che di fatto limitano l’estensione di libertà ed eguaglianza a tutti;
- un fine, che consiste nel pieno sviluppo della persona umana e nell’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Il compito spetta alla repubblica, e cioè non esclusivamente allo Stato apparato, ma a tutti i soggetti
appartenenti allo Stato comunità. Destinatari della norma sono tutti i soggetti che versano in condizioni di
deficit di libertà ed eguaglianza.
Azione positive → Allo scopo di promuovere l’eguaglianza sostanziale il legislatore mette in atto una serie
di azioni positive, tra le quali gli interventi diritti a realizzare pari opportunità tra i sessi. Ad esempio, le
azioni previste dalla legge in tema di parità nel lavoro sull’imprenditoria femminile sono volte a favorire la
posizione della donna rispetto a quella dell’uomo, esse sono giustificate proprio dal fatto di colmare
situazioni di storica inferiorità sociale ed economica.
Quote elettorali → la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le quote elettorali a favore delle donne.
Le misure di riequilibrio di posizioni eventualmente svantaggiate non potevano determinare direttamente un
certo risultato, ma dovevano limitarsi a predisporre i mezzi affinché i soggetti svantaggiati potessero
raggiungerlo. L’art.117 della Costituzione impone di promuovere la parità di accesso tra donne e uomini. Un
esempio: norma che stabilisce che le liste non possono contenere più di due terzi (o altra percentuale) di
candidati appartenenti al medesimo sesso.
CAP. VII – L’ORGANIZZAZIONE E L’ESERCIZIO DEL POTERE POLITICO
1. I SOGGETTI DELLE DECISIONI POLITICHE E LA FORMA DI GOVERNO
La funzione di elaborare, individuare ed applicare le leggi viene divisa in cariche diverse: la separazione dei
poteri ha lo scopo di evitare quell’eccessiva concentrazione di potere tipica dello stato assoluto. Essa fu
teorizzata per la prima volta da Locke e Montesquieu.
Il modo in cui viene organizzato ed esercitato il potere politico determina la forma di governo. Essa attiene
al modo come fra gli organi di una comunità politica organizzata si distribuisce il potere di indirizzarla
verso determinati fini generali (fini politici).
2. LE FORME DI GOVERNO: STORIA ED EVOLUZIONE
Le forme di governo possono essere studiate dia cronicamente (cioè nella loro evoluzione storica) e
sincronicamente (cioè con riferimento a un momento dato). L’approccio storico è indispensabile perché le
istituzioni di oggi rappresentano l’evoluzione di quelle del passato.
GB: Il modello primogenito è quello della monarchia inglese tra 1600/1700, ovvero di una costituzionale. In
questa fase i poteri dello stato erano concepiti come separati: nella Camera dei Comuni si facevano sentire
interessi diversi e contrapposti a quelli della grande nobiltà fondiaria e della Corono; il potere politico-
amministrativo restava nelle mani del re.
Nell’Ottocento la monarchia costituzionale si trasformò in un governo parlamentare in versione monista, nel
quale l’indirizzo politico dipendeva solo dai rapporti tra governo e parlamento. Tra furono gli elementi
cruciali di tale rivoluzione:
- all’interno al governo di sua maestà emerse la figura del primo ministro;
- facendo ricorso all’istituto dell’impeachment la Camera dei Comuni pose le basi del rapporto
fiduciario: il governo non poteva esercitare le sue funzioni se gli veniva a mancare la fiducia del
Parlamento;
- la Camera dei comuni si organizzo in due parti contrapposte.
USA: A Filadelfia nel 1787 fu stesa la più antica costituzione scritta ancora in vigore, quella americana. I
costituenti delinearono i termini di separazione dei rapporti fra il Presidente e il Congresso: in nessun caso il
presidente poteva mandare a casa il Congressi e che questo non poteva liberarsi del presidente salvo l’ipotesi
di messa in stato d’accusa (impeachment).
EU: in Europa il ruolo dello Costituzioni scritte fu decisivo.
→ In Francia, con la Costituzione del 1830, si affermò la monarchia orleanista, caratterizzata da un marcato
dualismo: il governo rispondeva sia al re che al parlamento. All’indomani della Seconda guerra mondiale si
ebbero in Europa varie ondate costituzionali. La soluzione voluta dal generale francese de Gaulle fu una
forma di governo semi-presidenziale, caratterizzato dal forte ruolo del presidente.
3. LE FORME DI GOVERNO: TIPOLOGIA
Esistono diverse tipologie di forme di governo: nel modo di operare concreto esse sono fortemente
condizionale dal sistema partitico e dalla cultura politica di ciascuna comunità. È necessario quindi tenere
conto del carattere dinamico delle forme di governo.
□ FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE
∙ Si chiama così perche titolare del potere esecutivo è in prima persona il presidente: si tratta di una forma di
governo a direzione monocratica. Il modello di riferimento è quello degli Usa: il presidente viene scelto
direttamente dal corpo elettorale, per mezzo dei grandi elettori.
∙ Vige un regime di separazione dei poteri, il potere legislativo non può sfiduciare il presidente, dall’altro in
nessun caso il presidente può sciogliere le assemblee. È salvo il caso dell’impeachment ovvero il
procedimento parlamentare di messa d’accusa del presidente.
∙ Le leggi le fa il Congresso e il presidente ha in materia poteri limitati, ha solo il potere di veto.
∙ La logica istituzionale di tale forma di governo è quella dei pesi contrapposti, o checks and bilance, ovvero
un potere controlla l’altro.
∙ Si può verificare il caso del governo diviso: si ha quando il presidente appartiene a un partito, ed una o
entrambe le camere vedono in maggioranza l’altro partito. Il presidente deve cercare un accomodamento con
la maggioranza congressuale.
□ FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE
∙ Si chiama così perche l’esecutivo è considerato espressione del Parlamento. Si tratta di una forma di
governo largamente diffusa, soprattutto in Europa.
∙ L’esecutivo è generalmente nominato da un organo terzo, il capo dello stato. Il parlamento può, votando il
qualsiasi momento la sfiducia, obbligare il governo a dimettersi. Per tale ragione tutte le forme di governo
parlamentari prevedono la possibilità di scioglimento del parlamento prima della scadenza delle naturale.
∙ Nelle forme di governo parlamentare il capo di stato ha funzioni prevalentemente cerimoniali, simboliche, o
comunque relativamente limitate.
∙ Fra tutte le forme di governo quella parlamentare è quella maggiormente sensibile al formato e alla
meccanica del sistema partitico.
□ FORMA DI GOVERNO SEMI-PRESIDENZIALE
∙ Si chiama così perché combina alcune caratteristiche della forma di governo presidenziale e di quella
parlamentare.
∙ Il modello di riferimento è la Francia della Quinta Repubblica. Qui i poteri del presidente includono tutti
quelli dei capi di stato dei regimi parlamentari, cui si aggiungono altri incisivi poteri, soprattutto nell’ambito
della politica estera.
∙ Il presidente ha il potere di condizionare la durata del parlamento (con lo sciogli mento) e il parlamento ha
il potere di far dimettere il governo (con la sfiducia).
∙ Nella forma di governo semi-presidenziale si possono verificare diversi casi: si può verificare una
uniformità (presidente e maggioranza parlamentare appartenenti allo stesso schieramento) oppure difformità.
In quest’ultimo caso si ha la coabitazione fra un presidente e un primo ministro di partiti diversi, sorge quindi
la necessità di trovare giorno per giorno un modus vivendi.
∙ Anche se alcuni studiosi hanno ritenuto questo modello dotato di una utile flessibilità, proprio in Francia è
stata modificata la Costituzione per ridurre i casi di coabitazione.
□ FORMA DI GOVERNO DIRETTORIALE
∙ Titolare del potere esecutivo è un questo caso un organo collegiale: il direttorio. Esso è al tempo stesso
vertice del governo e vertice dello stato. Questo collegio non è eletto dai cittadini direttamente, bensì dal
parlamento.
∙ Il parlamento non può sfiduciare il governo e obbligarlo a dimettersi. A sua volta l’esecutivo non può
condizionare il mandato parlamentare che dura sempre fino al termine.
∙ Il modello di riferimento di tale forma di governo è la Svizzera.
□ ALTRE TIPOLOGIE
∙ Forma di governo del primo ministro: forma di governo parlamentare nella quale il primo ministro gode di
notevole potere (nomina e revoca i ministri, può indire elezioni anticipate, ecc).
∙ Forma di governo a premier direttamente elettivo: forma di governo parlamentare nella quale l’investitura
del primo ministro avviene per via elettorale diretta.
4. FORMA DI GOVERNO IN ITALIA: PROFILI STORICI
L’ordinamento statutario del regno di Sardegna nacque nel 1848 con i caratteri della monarchia
costituzionale. Immediatamente però presidenti di nomina regia, in particolare Cavour, giudicarono utile
avvalersi del sostegno dell’assemblea elettiva per meglio perseguire il proprio indirizzo.
Tuttavia nei periodi di crisi la corona non manco di intervenire pesantemente e scelse presidenti del
Consiglio fra i proprio fedelissimi. Fino all’avvento del fascismo il regime italiano fu un governo
parlamentare dualista. Questa visione dualista riemerse anche in sede costituente.
5. LA FORMA DI GOVERNO IN ITALIA: LA COSTITUZIONE E LA PRASSI
Secondo la Costituzione è il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio. Il governo
necessita la fiducia di entrambe le Camere, al tempo stesso esse possono approvare una mozione di sfiducia.
Si può quindi affermare che la forma di governo italiana non è mai stata riconducibile alla tipologia del
governo parlamentare a direzione monocratica. Unica eccezione fu il periodo degaspariano, il presidente del
Consiglio Alcide de Gasperi, era anche il leader indiscusso del partito di maggioranza relativa, la Dc.
Sempre inoltre i governi furono governi di coalizione, si fondavano su una maggioranza parlamentare
composita che raggiunse anche i sei o sette gruppi. Ciascun ministro rispondeva più al proprio partito e alla
propria corrente che non al presidente del Consiglio. Ciò aveva ridotto la nostra forma di governo a un
singolare esempio di governo a direzione plurima dissociata. Si trattò soprattutto di governi instabili, dalla
durata media di 11 mesi.
6. LA FORMA DI GOVERNO IN ITALIA: LE TRASFORMAZIONI
Il funzionamento delle forme di governo sopra descritte cominciò a manifestare segni di crisi nella seconda
metà degli anni Settanta. Governabilità e stabilità cominciarono ad essere percepite come condizioni
indispensabili di sviluppo, difficilmente compatibili con il governo a direziona plurima dissociata.
Trasformando in maggioritario il sistema proporzionale su cui quella forma di governo si era basata, si penso
di raggiungi ungere diversi scopi:
- istaurare una competizione bipolare;
- imporre un ricambio della classe politica;
- moralizzare la vita pubblica;
- semplificare il sistema dei partiti.
La logica della competizione politica è così diventata decisamente bipolare, al contempo la figura del
presidente del Consiglio di è rafforzata.
In conclusione, l’ordinamento italiano si è andato orientando verso governi di legislatura e direzione
monocratica, fondati su coalizioni formate prima delle elezioni e legittimata direttamente dal voto.
CAP. VIII – LA SOVRANITA’ POPOLARE
1. LA SOVRANITA’ APPARTIENTE AL POPOLO
L’art. 1 della Costituzione recita “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione”. Ciò significa:
- il popolo è titolare in senso giuridico della sovranità;
- il popolo mantiene continuamente il possesso della sovranità;
- il popolo non vi può rinunciare e non può dunque trasferirla a nessun singolo individuo e a nessuna
parte di sé. Non può naturalmente delegarne l’esercizio.
L’ordinamento italiano si fonda sul principio che il popolo costituisce la fonte di legittimazione di ogni
potere costituito.
Popolo/popolazione: il popolo è l’insieme di tutti coloro che sono legati all’ordinamento giuridico da un
vincolo particolare che si chiama cittadinanza. L’insieme dei cittadini costituisce il popolo. La popolazione
è l’insieme di tutti coloro che si trovano entro i confini di un qualsiasi ente territoriale.
Diverso è il concetto di nazione,la quale identifica un vincolo sociale e a volte politico: è quello che unifica
e accomuna per tradizioni, storia, lingua, religione, origini etniche, un insieme di persone fisiche.
Il vincolo della cittadinanza determina un vero e proprio status giuridico, vale a dire una somma di diritti e di
doveri, tra cui anche i diritti e i doveri politici.
2. IL POPOLO CHE VOTA
L’art. 48 della Costituzione stabilisce 4 principi fondamentali:
1 - sono elettori tutti i cittadini che hanno la maggiore età (18 anni);
2 - specifiche limitazioni al diritto di voto possono essere previste, ma solo per chi non ha la capacità di agire
o come pena accessoria in caso di sentenza penale definitiva;
3 - il voto è circondato da una serie di garanzie ed è definito dovere civico;
4 - l’esercizio del diritto di voto di chi risiede all’estero è disciplinato in forme speciali.
1 – Il primo punto riprende la tradizionale identificazione fra cittadini ed elettorato, che tuttavia è stata
messa in discussione in tempi recenti. Ci si chiede infatti se persona che non hanno la cittadinanza ma vivono
stabilmente nel territorio italiano, adempiendo ai doveri che la loro residenza comporta e condividendo le
conseguenze delle decisioni pubbliche, non debbano essere considerate membri della comunità politica.
Già adesso, per le elezioni comunali, la legge estende l’elettorato attivo (diritto di votare) e l’elettorato
passivo (il diritto di essere votati o comunque candidati) a tutti i cittadini non italiani dell’Unione.
2 – La legge stabilisce che non godano dell’elettorato attivo (e nemmeno di quello passivo):
- coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione;
- coloro che sono sottoposti alle misure di sicurezza previste dal codice penale, detentive o non detentive;
- coloro che sono stati condannati all’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici.
3 – Quanto alle garanzie, la Costituzione vuole che il voto sia:
- personale (cioè debba essere espresso da ciascun cittadino di persona);
- uguale (nel senso che non sarebbe legittimo il voto plurimo o multiplo);
- libero (nel senso che esso è esente da qualsiasi forma di costrizione);
- segreto.
4 – il votare è considerato un dovere civico. Nel 1993 infatti fu soppresso il riferimento al voto come
obbligo, qualificando il voto “un diritto di tutti i cittadini, il cui libero esercizio deve essere garantito e
promosso dalla Repubblica”.
5 – I cittadini italiani residenti all’esterno hanno sempre goduto della titolarità del diritto di voto, ma la
distanza dall’Italia rendeva eccezionalmente oneroso il suo esercizio. L’unica soluzione è apparsa il voto per
corrispondenza.
3. IL POPOLO CHE ELEGGE
La democrazia italiana è prevalentemente rappresentativa. Le scelte di natura politica devono essere
compiute dal corpo elettorale, il quale lo può fare, oltre che in forma diretta, anche e soprattutto attraverso la
selezione dei propri rappresentanti,
Nel nostro ordinamento il corpo elettorale elegge:
- 630 deputati che compongono la Camera dei Deputati;
- 315 senatori elettivi, che insieme ai senatori a vita, compongono il Senato della Repubblica;
- i presidenti delle regioni e i consiglieri regionali;
- i presidenti delle province e i consiglieri provinciali,
- i consiglieri circoscrizionali,
- i componenti del Parlamento europeo.
Si tratta, nel complesso, di circa 125.000 cariche elettive. Il fenomeno elettorale è disciplinato dalla
legislazione elettorale. Essa comprende: la disciplina delle modalità di indizione delle elezioni; la disciplina
dell’elettorato attivo e passivo; le modalità secondo le quali si presentano le candidature, ecc.
4. I SISTEMI ELETTORALI: CONCETTI GENERALI
Un sistema elettorale (o formula elettorale) consiste in un meccanismo per trasformare in seggi i voti che il
corpo elettorale esprime. Occorre tuttavia distinguere:
○ ELEZIONE DI ORGANI MONOCRATICI: quando si tratta di eleggere una persona sola (sindaco) la
cosa è piuttosto semplice. Si può stabilire che chi vince ottiene più voti, cioè la maggioranza relativa, si
tratta del sistema di plurality o anche first past the post (in Italia viene così eletto il sindaco nei comuni sino
a 15.000 abitanti). In alternativa si può stabilire una serie di condizioni: vince non solo chi prende più voti di
qualsiasi altro candidato ma almeno una quota minima di voti. Se questa quota è fissata nella metà più uno di
coloro che votano, il sistema prende il nome di maggioranza assoluta, ovvero majority.
In genere si procede a un secondo turno. Se la partecipazione è limitata ai primi due siamo in presenza di un
ballottaggio, oppure si può stabilire un numero qualsiasi (i primi 3), oppure una percentuale di voti minimi.
○ ELEZIONE DI UN ORGANO COLLEGIALE: anche in tal caso esistono diverse formule. Si possono far
votare liste di candidati e quella che ottiene più voti elegge l’intero organi. Tuttavia tale formula non
garantisce la rappresentatività sotto il profilo territoriale e politico. Questa capacità di rappresentare può
essere ottenuta con:
→ formule maggioritarie, sono quelle in base alle quali chi prende più voti conquista l’intera posta in
palio, che si tratti di un solo seggio o più seggi. Esistono due principali varianti:
- plurality, in base alla quale il seggio lo vince chi ottiene più voti in ciascun collegio nominale (Usa, Gb);
- majority a doppio turno eventuale, in base alla quale il seggio lo vince chi ottiene la metà più uno dei voti.
→ formule proporzionali, sono quelle che ripartiscono i seggi da assegnare in misura tendenzialmente
percentuale rispetto ai voti dati dagli elettori a ciascun partito. Tale formula garantisce il risultato
proporzionale, ma non garantisce la rappresentanza territoriale. Se si vuole ridurre il numero dei partiti
rappresentati (per limitare la frammentazione) si può stabilire che il partito che non ottiene almeno una certa
percentuale prestabilita dei voti non partecipi alla distribuzione dei seggi. Il sistema proporzionale determina
una concentrazione dei consensi sui partiti maggiori.
I fautori delle formule maggioritarie sostengono che queste favoriscono l’individuazione di un partito o di
una coalizione vincenti e quindi di una maggiore governabilità. Tutto ciò avviene a spese della
rappresentatività. Viceversa i fautori delle formule proporzionali sostengono che esse permettono la
formazione di assemblee fedelmente rappresentative. I critici tuttavia sottolineano che tali assemblee
risultano eccessivamente frammentate e incapaci di garantire il necessario sostegno al governo.
È possibile tuttavia adottare degli accorgimenti che permettono a un sistema proporzionale di ottenere una
maggioranza. Un esempio è il premio di maggioranza attribuito a chi ottiene la maggioranza dei seggi.
I sistemi elettorali che cercano di conciliare principio maggioritario e principio proporzionale, nel tentativo
di evitare gli svantaggi di entrambi unendone i vantaggi, prendono il nome di sistemi misti (caso italiano).
5. LE ELEZIONI PARLAMENTARI
Le formule elettorali relative alle elezioni parlamentare hanno un carattere misto: su una base
rigorosamente proporzionale si innesca all’occorrenza un premio. Se chi vince non ha ottenuto un numero
minimo di seggi gli si attribuisce un comunque un certo numero garantito di seggi.
I seggi da assegnare alla Camera sono suddivisi su base territoriale, mentre i seggi del Senato sono ripartiti
su base regionale. La formula funziona così:
- all’elezione sia della Camera sia del Senato concorrono liste di candidati presentati dalle diverse
forze politiche;
- ciascuna forza politica può decidere di collegarsi in coalizione, se più liste si collegano esse devono
anche presentare un unico programma e un unico capo della coalizione;
- sulla scheda per la Camera e sulla scheda per il Senato compaiono esclusivamente i singoli delle
forze politiche che presentano le liste di candidati;
- è possibile essere candidati alternativamente alla Camera o al Senato;
- la proclamazione degli eletti avviene sulla base di liste bloccate.
Venendo alla ripartizione dei seggi bisogna distinguere tra Camera e Senato.
Alla camera:
- si determinano i voti che ciascun lista e ciascuna coalizione di liste consegue sull’intero territorio
nazionale;
- si procede a una prima ripartizione proporzionale dei seggi fra le coalizioni e le liste singole che
hanno superato le soglie;
- se tale riscontro non dà esisto positivo, si procede a due distinte ripartizioni: alla coalizione o alla
lista singola che ha avuto più voti si attribuiscono 340 seggi.
- Si stabiliscono così quanti seggi spettano complessivamente a ciascuna lista coalizzata.
Al senato:
- si applica la stessa formula della Camera, non su base nazionale, bensì regione per regione con
soglie di sbarramento diverse.
Riepilogando: mentre alla Camera la coalizione o la singola lista vincente ottiene da 340 seggi in su e la
coalizione e le singole liste perdenti da 277 in giù, al Senato i seggi totali della coalizione o lista vincente e
di quelle perdenti sono un numero che deriva dalla sommatoria dell’esito delle 20 diverse elezioni regionali.
È probabile che chi vinca alla Camere vinca anche al Senato: ma non vi è nessuna garanzia di ciò.
Importante è anche la circoscrizione estero che elegge 12 deputati e 6 senatori, qui la formula utilizzata è
proporzionale. La formula elettorale vigente punta a favorire una competizione bipolare.
6. ELEZIONI REGIONALI
L’art. 122 della Costituzione stabilisce che la competenza in materia di sistema elettorale delle regioni a
statuto ordinario spetta alla legge regionale, sia pure nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla legge
dello Stato. La vigente legislazione elettorale regionale transitoria si basa sull’elezione diretta del presidente
della regione. Si tratta di una sistema proporzionale che si avvale di un premio di maggioranza.
Caratteristiche essenziali delle elezioni regionali:
- si vota si una scheda sola per il presidente e il consiglio;
- i candidati a presidente devono essere necessariamente collegati con una o più liste provinciali;
- l’elettore può votare: il candidato presidente da solo, il candidato presidente e una delle liste provinciali cui
è collegato; il candidato presidente e una delle liste provinciali cui non è collegato (voto disgiunto);
- il candidato presidente che ottiene più voti è eletto, con lui sono eletti non meno del 55% dei consiglieri
delle liste a lui collegate.
Caratteristica di questa formula è che, combinando elezione diretta del presidente e composizione su base
proporzionale del consiglio, dovrebbe garantire governabilità e al tempo stesso un ampio pluralismo nella
rappresentanza.
7. ELEZIONI COMUNALI E PROVINCIALI
La legislazione elettorale degli enti locali, comuni e province (domani anche città metropolitane) è materia
di competenza statale esclusiva. La relativa disciplina si trova raccolta nel testo unico sull’ordinamento degli
enti locali. Essa è caratterizzata dall’elezione diretto di sindaci e presidenti di province.
In realtà siamo di fronte a tre formule diverse:
○ COMUNI MAGGIORI (oltre i 15.000 abitanti): gli elementi essenziali di tale formula sono:
- scheda unica per eleggere sindaco e consiglio;
- facoltà per l’elettore di votare per un candidato sindaco; per il sindaco e per una delle liste collegate; solo
per la lista (voto ricade sul candidato sindaco collegato); per un candidato sindaco e una lista non collegata;
- per essere eletti sindaco occorre conseguire la maggioranza assoluta dei voti validi, se ciò non accade si
ricorre a un secondo turno di ballottaggio;
- il candidato eletto garantisce alle liste a lui collegate una sicura maggioranza del 60% dei seggi;
○ COMUNI MINORI (fino a 15.000 abitanti): ciascun candidato sindaco è collegato a una lista sola, si vota
in un solo turno. Il candidato che prende più voti è eletto e ciò comporta l’elezione dei due terzi dei
consiglieri fra candidati della sua lista.
○ PROVINCE: il sistema è molto simile a quello dei comuni maggiori, ma con la significativa differenza che
i candidati al consiglio si presentano in collegi uninominali. L’elettore può votare solo per il candidato
presidente, senza votare un candidato al consiglio, ma non può votare per il presidente e un candidato al
consiglio che non appartenga a uno dei gruppi o partiti ad esso collegati.
○ CIRCOSCRIZIONI: esse sono limitate solamente ai comuni molto grandi. Le modalità di elezione sono
affidate dalla legge allo statuto del comune: in mancanza del quale si applicano le norme relative ai comuni
con oltre 15.000 abitanti.
8. ELEZIONI EUROPEE
La legge elettorale italiana per il Parlamento europea è la meno recente fra le leggi elettorali del nostro
ordinamento. Essa si avvicina a una legge elettorale proporzionale pura salvo uno sbarramento per le liste
che non raggiungano il 4% dei voti.
La formula funziona così: i seggi da eleggere (72 nel 2009) sono ripartiti in 5 grandi circoscrizioni pluri-
regionali (NO, NE, CENTRO, SUD, ISOLE) con un numero di abitanti assai diverso l’una dall’altra.
Si applica la formula del quoziente naturale, sono previste le preferenze. Ciò rende difficile per le regioni
meno popolose eleggere propri candidati e vi sono regioni senza rappresentanti (es. Sardegna che fa
circoscrizione con la Sicilia che ha più di tre volte i suoi elettori).
9. LA LEGISLAZIONE ELETTORALE DI CONTORNO
Candidature: in relazione alla presentazione delle liste di candidati è stato formalmente ripristinato
l’obbligo di sottoscrizione da parte di un certo numero di elettori di entità rapportata alla popolazione del
collegio. In relazione invece alla responsabilità delle diverse fasi del procedimento elettorale, essa è affidata
in parte al ministro dell’interno, in parte ai comuni, in parte ad organi istituiti di volta in volta.
Contestazioni: in merito alle contestazioni eventuali fino alla proclamazione esse vanno indirizzate agli
uffici elettorali. Quelle successiva variano a seconda del tipo di elezione. Per esempio per le elezioni
politiche la competenza è attribuita dalla Costituzione alle camere stesse.
Campagne elettorali: la disciplina delle campagne elettorali prevede disposizioni che regolano l’accesso ai
mezzi di informazione, i limiti alle spese elettorali dei candidati e dei partiti, la tipologia delle spese elettorali
ammesse, ecc.. Inoltre una specifica legislazione (la par condicio) disciplina l’accesso ai mezzi di
informazione in condizioni di parità tra le varie liste durante le campagne elettorali. Essa al tempo stesso
stabilisce il divieto di diffondere risultati di sondaggi sulle intenzioni degli elettori nei 15 giorni che
precedono il voto.
10. COME SI SONO TRASFORMATE LE LEGGI ELETTORALI
Gli elementi comuni a tutte le formule elettorali italiane possono essere così sintetizzati:
- tutte favoriscono l’aggregarsi di forze politiche in due schieramenti contrapposti (bipolarismo);
- tutte prevedono qualche forma di sbarramento;
- tutte perseguono l’obiettivo di facilitare la governabilità;
- tutte si traducono in formule e sistemi definibili come misti.
La differenza riguarda invece il modo con il quale obiettivi identici sono stati perseguiti. Ciò si spiega in
base all’esistenza, a livello nazionali, di precisi vincoli costituzionali, che hanno impedito di introdurre,
senza modifica alla Costituzione, l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, che è stato invece possibile per
regioni, province, comuni.
11. IL POPOLO CHE DELIBERA: I REFERENDUM
L’ordinamento italiano prevede alcune forme di decisione popolare diretta mediante referendum. Del resto
proprio tramite il referendum del 2 giugno del 1946 fu scelta la forma repubblicana dell’Italia. Un
referendum consiste in una votazione sulla base di un quesito che viene sottoposto alla valutazione del
corpo elettorale in forme varie e con effetti diversi.
In quanto agli effetti esistono diverse tipologie di referendum: referendum dal carattere meramente
consuntivo (come un parere) ed altri che si possono definire decisivi o deliberativi, nel senso che incidono di
per sé sull’ordinamento. Caratteristica di tutti i referendum è la somma zero: la volontà di coloro che
prevalgono infatti diventa la volontà del popolo senza mediazioni. Si tratta quindi di un procedimento
decisionale che non ammette compromessi.
La Costituzione prevede due principali tipi di referendum in ambito nazionale. Caratteristica di tali
referendum è che essi possono essere proposti anche su iniziativa popolare (referendum dal basso).
○ REFERENDUM COSTITUZIONALE (art. 138)
Si tratta di un referendum approvativo o confermativo. Titolari del diritto di chiedere il referendum sono:
- 1/5 dei componenti della Camera o del Senato;
- 500.000 elettori;
- 5 consigli regionali.
Quando ciò accade, l’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la cassazione decide sulla
legittimità della richiesta. Successivamente il presidente della Repubblica indice il referendum. Se la legge
viene approvata dalla maggioranza dei voti validi, ciò viene attestato dalla Corte di cassazione e il presidente
della Repubblica la promulga. A differenza del referendum abrogativo non è previsto un quorum strutturale.
○ REFERENDUM ABROGATIVO (art. 75)
Il referendum abrogativo consiste nel sottoporre al corpo elettorale la domanda “Volete che sia abrogata la
legge..?”, ovvero che sia abrogata la legge limitatamente a parti di essa. Possono richiedere il referendum:
- 500.000 elettori;
- 5 consigli regionali.
Non può invece richiederlo una minoranza parlamentare. Il referendum abrogativo infatti esprime un
indirizzo politico di maggioranza, e non risulta opportuna che la minoranza lo possa mettere continuamente
in discussione.
Limiti: la Costituzione prevede una serie di limiti sotto forma di oggetti che non possono essere sottoposti a
referendum. L’ammissibilità è affidata alla Corte costituzionale. Sono inammissibili i referendum aventi per
oggetto:
- leggi tributarie;
- leggi di bilancio;
- leggi di amnistia e di indulto;
- leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Esistono tuttavia una serie di limiti ulteriori, impliciti e logici. Costituiscono limiti ulteriori all’ammissibilità
di referendum abrogativi:
- la Costituzione e le leggi formalmente costituzionali, che prevedono un procedimento diverso e aggravato
rispetto alla legge ordinaria;
- le leggi a contenuto costituzionale vincolato, ossia quelle per cui la Costituzione detta l’unica disciplina
possibile, senza possibilità di scelta per il legislatore;
- le leggi a contenuto comunitario vincolato;
- gli atti legislativi aventi forza passiva rinforzata;
- le leggi collegate strettamente a quelle vietate dall’art. 75 della Costituzione, le quali pertanto devono
considerarsi parimenti ricomprese nel divieto;
- le leggi obbligatorie o necessarie, ossia quelle che devono necessariamente esistere nell’ordinamento
perché direttamente previste dalla Costituzione.
▪ Inammissibili sono state considerate anche le richieste di abrogazione totale delle leggi elettorali, esse
infatti sono contrarie al principio di continuità degli organi costituzionali. Esse possono essere sottoposte a
referendum solo quando la richiesta colpisca solo alcune disposizione (abrogazione parziale).
▪ Ulteriori vincoli riguardano la formulazione del quesito referendario. La richiesta per essere ammissibile
deve essere omogenea, chiara e univoca. L’omogeneità fa si che la scelta avvenga tra un’alternativa secca:
l’eliminazione o il mantenimento di una certa disciplina. La Corte Costituzionale ritiene che una richiesta sia
omogenea quando il quesito sottoposto agli elettori è riconducibile ad un unitario principio abrogativo.
L’omogeneità è anche il presupposto della chiarezza.
Una volta che la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il quesito referendario, il presidente della
Repubblica indice il referendum che si deve tenere tra il 15 aprile e il 15 giungo. Affinché la consultazione
sia esito favorevole all’abrogazione non è sufficiente che i sì prevalgano sui no, ma deve aver partecipato la
metà più uno degli aventi diritto.
L’ufficio centrale per il referendum verifica e proclama i risultato: se favorevole, il presidente della
Repubblica emana un decreto col quale dichiara abrogata la legge o la parte di essa sottoposta alla
consultazione. Dal giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale l’abrogazione ha effetto. Un effetto
ce l’ha anche il prevalere dei no, in questo caso non si può proporre referendum sulle medesime disposizioni
prima che siano passati 5 anni. Tale vincolo non si applica se il quorum non è stato raggiunto.
Il procedimento referendario è intercorro nel caso in cui sia approvata una legge che abroga le norme oggetto
della richiesta.
○ Referendum relativi a modificazioni territoriali (art. 132). Ve ne sono di due tipi:
- il referendum che, in caso di voto favorevole, costituisce il presupposto di una legge costituzionale per la
fusione di più regioni o per la costituzione di una nuova regione;
- il referendum che, in caso di voto favorevole, costituisce il presupposto di una legge ordinaria che consente
a una provincia o a un comune di staccarsi da una regione e aggregarsi all’altra.
○ Referendum regionali e locali: agli statuti di regioni e di enti locali è rimessa la disciplina di referendum
regionali e locali, che debbono avere per oggetto leggi e provvedimenti amministrativi della regione.
○ Altri referendum: un singolare referendum che può essere definito di indirizzo si tenne nel 1989 in
occasione delle elezioni europee: oggetto fu il conferimento al Parlamento europeo di un mandato costituente
(a stendere la costituzione europea). La maggior parte degli elettori si espresse a favore, ma esso non ebbe
conseguenze concrete.
13. IL POPOLO CHE PARTECIPA: I PARTITI (art. 49)
I cittadini hanno a disposizione altri strumenti per concorrere a influenzare le scelte collettive, esercitando
così la loro sovranità. Uno dei possibili strumenti è rappresentato dall’associazionismo a fini politici generali.
Il partito moderno è sorto negli ultimi anni dell’Ottocento e si è affermato nelle forme di partito di massa
all’inizio del Novecento. Modello fu il partito socialdemocratico tedesco, il quale organizzo i lavoratori e i
ceti meno abbienti a investire in politica per porre l’attenzione sui loro bisogni.
I partiti politici sono disciplinati dall’art. 49 della Costituzione. Esso ha come destinatari i cittadini e
riconosce ad essi il diritto “ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale”.
Il fatto che i partiti siano garantiti dalla Costituzione fa si che essi siano delle organizzazioni proprie della
società civile. Secondo la costituzione tuttavia non sono i partiti a determinare la politica nazionale, ma i
cittadini nel loro insieme. Tale concorso deve inoltre avvenire con metodo democratico.
→ l’espressione metodo democratico è alquanto dubbia. Tuttavia essa deve essere interpretata nel senso che
il partito deve rispettare le regole democratiche nei rapporti esterni, ma può essere organizzato senza
selezione democratica della dirigenza all’interno. Al tempo della stesura dell’articolo infatti i partiti non
avevano alcuna intenzione di sottoporre a controllo i propri statuti e attività interne.
Finanziamento dei partiti: alcune forme di controllo, anche se blando, e di carattere strettamente
finanziario sono state introdotte quale corrispettivo delle diverse forme di finanziamento all’attività dei
partiti, i quali prevedono un rimborso annuo di talune spese elettorali.
I rimborsi elettorali: ai fini dei rimborsi elettorali sono stati istituiti quattro fondi (per l’elezione della
Camera, del Senato, dei consigli regionali e del Parlamento europeo). L’ammontare di ciascun fondo è pari,
per ciascun anno di legislatura, a 1€ moltiplicato per il numero dei cittadini iscritti alle liste elettorali della
camera. La legge prevede rimborsi anche ai comitati promotori di referendum (a condizione che il quorum
strutturale sia stato conseguito).
Partiti: nel Secondo dopoguerra e per molti decenni si è parlato di partitocrazia, espressione con la quale si
intende segnalare l’eccessivo potere dei partiti e la loro tendenza ad impadronirsi delle istituzioni
rappresentative, occupando tutti i posti di potere e dunque sostituendosi con esse. Negli anni Novanta
tuttavia molti partiti si sono sfaldati: la legislazione elettorale ha così introdotto attori nuovi, le coalizioni.
Tuttavia coalizioni ampie e frammentate non garantivano la governabilità. La nuova tendenza è quella di
costruire coalizioni ristrette attorno a due partiti a vocazione maggioritaria, in grado di governare da soli o
quasi (es. Pd e Pdl). Negli ultimi anni si è anche diffusa la prassi di far partecipare gli elettori alla cruciale
fase della selezione dei candidati con ricorso a elezioni primarie.
14. ALTRI ISTITUTI DI PARTECIPAZIONE POLITICA
I cittadini hanno a disposizione ulteriori istituti e forma di partecipazione. Fra questi:
□ la petizione: consiste in una delle forme più antiche di rapporto fra cittadini ed autorità, ed è stata
mantenuta dall’art. 50 della Costituzione, ma con espressa esclusione di azioni a sostegno di interessi
puramente personali. Si parla infatti di petizioni rivolte a chiedere provvedimenti legislativi o esporre
comuni necessità. Ciascun cittadino può anche individualmente presentare una petizione, esse verranno
esaminate nella specifica commissione. Tuttavia è difficile che le petizioni abbiano seguito;
□ l’iniziativa legislativa popolare: la quale prevede che 50.000 elettori possano presentare un progetto di
legge redatto in articoli ad una delle due Camere. La camera dovrà verificare le firme e accertare la regolarità
della richiesta.
CAP. IX – IL PARLAMENTO
1. ALLE ORIGINI DEI PARLAMENTI
I parlamenti di oggi sono organi assai diversi rispetto a quelli del passato; essi somigliavano più a delle
assemblee. La trasformazione di queste assemblee in qualcosa di vagamente simile ai parlamenti attuali
avvenne dapprima in Inghilterra e durò vari secoli. Il parlamento inglese aveva un carattere bicamerale, da
una parte la House of Lords e dall’altra la House of Commons. Nel corso del Settecento il parlamento inglese
affermò poco a poco un potere fondamentale, quello di influire sulla scelta da parte del re, dei ministri e in
particolare del primo ministro.
Con il suffragio universale i parlamenti divennero le vere istituzioni dello stato democratico di derivazione.
Tuttavia fino alla fine del XIX secolo il potere esecutivo era ancora delle mani del re. Col tempo tuttavia i
parlamenti affermarono il potere di influire sulla formazione dell’esecutivo. L’affermarsi dello stato
costituzionale, caratterizzato da una costituzione rigida, ha determinato una rigida separazione dei poteri.
2. IL PARLAMENTO ITALIANO FINO ALLA COSTITUENTE
Il parlamento italiano è il diretto erede del parlamento dell’Italia monarchica e dello statuto del 1848.
Quello statutario era un parlamento bicamerale costituito di una camera sede della rappresentanza nazionale
(Camera dei Deputati) e di una camera di nomina regia (Senato). Si trattava di formalmente di un
bicameralismo differenziato (i due rami dovevano avere funzioni diverse) e paritario (nessun ramo doveva
prevalere uno sull’altro).
Durante il fascismo la Camera dei deputati fu trasformata in Camera dei fasci e delle corporazioni, organo
non più espressione del corpo elettorale ma di nomina governativa e partitica.
Durante l’Assemblea Costituente intesa fu la discussione sulla forma da dare al Parlamento. Alcuni infatti
erano sostenitori di un parlamento monocamerale, altri invece sostenevano un parlamento bicamerale.
Il Parlamento italiano attuale si fonda su un bicameralismo paritario, indifferenziato e perfetto.
Il Senato a differenza della Camera ha una più limitata rappresentatività (45 milioni contro i 50). La
differenza dell’età di voto possono comportare equilibri politici diversi nelle due camere.
3. COM’E’ COMPOSTO IL PARLAMENTO ITALIANO
Il Parlamento italiano è un organo costituzionale complesso perché formato da due camere:
- la Camera dei deputati, formata da 630 componenti, tutti eletti da cittadini maggiorenni;
- il Senato della Repubblica, formato da 315 componenti eletti da cittadini che abbiano compiuto 25 anni,
più un ristretto numero di senatori a vira, di cui 5 nominati dal presidente della Repubblica “per altissimi
meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario” e tutti coloro che siano stati presidenti della
Repubblica, salvo che vi rinuncino.
L’elezione avviene a suffragio universale e diretto: a suffragio universale perché il diritto di voto è
riconosciuto a tutti i cittadini; diretto nel senso che devono ritenersi escluse le forme di voto secondario.
Chi può essere eletto → quanto all’elettorato passivo possono essere eletti i cittadini che abbiano compiuto
nel giorno delle elezioni i 25 anni per la Camera dei deputati e i 40 per il Senato e che siano elettori. L’art. 65
della Costituzione disciplina i casi di incompatibilità e di ineleggibilità:
- sussiste incompatibilità quando la legge vieta di detenere contemporaneamente due cariche;
- sussiste ineleggibilità quando il cittadino, in ragione della carica o dell’ufficio che ricopre al momento
della candidatura o che aveva ricoperto entro termini stabiliti dalla legge, non può essere eletto. Es:
presidenti di provincia, sindaci di comuni oltre i 20.000 abitanti, capo e vicecapo della polizia di Stato, ecc.
Senatori a vita → la durata della carica presidenziale che è di 7 anni e il fatto che può essere eletto solo chi
abbia compiuto 50 anni fa sì che i senatori ex presidenti della Repubblica siano pochi. I restati senatori a vita
sono nominati direttamente dal presidente della Repubblica. Essi sono soprattutto uomini politici di primo
piano. Il voto dei senatori può risultare, in particolari circostanze, decisivo (caso del secondo governo Prodi).
Circoscrizioni estero → i 12 deputati e i 6 senatori eletti nelle circoscrizioni estero rappresentano i cittadini
che non risiedono in Italia.
4. LA DURATA DELLA CARICA
Le Camere durano in carica 5 anni e non possono essere prorogate se non per legge nel solo caso in cui il
Paese si trovi in stato di guerra. Il divieto di proroga risponde al principio cardine del periodico rinnovo delle
cariche. I poteri delle Camere, inoltre, sono prorogati fino al momento in cui non si riuniscono le nuove
Camere: allo scopo di far sì che sia in ogni caso garantita la continuità nell’esercizio delle funzioni
parlamentari. Una o entrambe le camere possono essere sciolte in anticipo.
5. IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE
Il Parlamento in seduca comune, formato dai membri delle due Camere, si riunisce sempre nell’aula della
Camera dei deputati ai soli scopi definiti dalla Costituzione. Si tratta di funzioni esclusivamente elettive.
Il Parlamento in seduca comune:
- elegge, con il concorso dei delegati regionali, il presidente della Repubblica e assiste al suo giuramento. Lo
può mettere anche in stato d’accusa;
- elegge un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura;
- elegge un terzo dei componenti della Corte costituzionale.
Il Parlamento in seduta comune è presieduto dal presidente della Camera, anche il regolamento è quella della
Camera. È sempre il presidente della Camera a indire l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
L’organo vota sempre e solo a maggioranza qualificata.
6. LA DISCIPLINA COSTITUZIONALE DELLE DUE CAMERE
L’organizzazione e il funzionamento delle due Camere sono disciplinate da fonti costituzionali e da fonti di
autonomia parlamentare. Il complesso di tali disposizioni costituiscono una branca del diritto costituzionale
che prende il nome del diritto parlamentare. Le regole fondamentali del diritto parlamentare sono stabilite
dalla Costituzione e sono le seguenti:
- ciascuna camera elegge fra i suoi componenti presidente ed ufficio di presidenza;
- ciascuna camera adotta il proprio regolamento e lo fa a maggioranza assoluta dei propri componenti: si
garantisce così l’autonomia delle camere.;
- le sedute sono sempre pubbliche, a meno che non sia deliberata la seduta segreta. Le sedute segrete sono
rarissime. Per ogni seduta vengono redatti un processo verbale in forma sintetica ed integrale;
- le decisioni sono di norma assunte con il voto favorevole della maggioranza dei presenti (quorum
funzionale) purché sia presente la maggioranza dei componenti di ciascuna assemblea (numero legale). Il
numero legale è particolarmente elevato: la metà più uno dei componenti, salvo congedi autorizzati. Quando
manca il numero legale, le deliberazioni non sono valide. Il quorum funzionale, per l’approvazione di una
proposta è quello della maggioranza semplice, costituita dalla metà più uno di coloro che votano, salvo che la
Costituzione preveda una maggioranza più ampia, cioè qualificata. La più piccola delle maggioranze
qualificate è quella assoluta, costituita dalla metà più uno di coloro che compongono il collegio;
- i compenti del governo hanno diritto di assistere alle sedute e di essere ascoltati ogni volta che lo richiedano.
Hanno altresì l’obbligo di farlo se richiesti.
La costituzione disciplina poi il complesso dei diritti e dei doveri che formano il nucleo dello status
giuridico dei parlamentari:
- non si può appartenere ad entrambe le Camere;
- i titoli in base ai quali una persona diventa parlamentare e il sopraggiungere nel corso del mandato di cause
di ineleggibilità o incompatibilità sono giudicati dalle stesse Camere;
- ogni parlamentare rappresenta l’intera nazione;
- ogni parlamentare riceve un’indennità stabilita dalla legge. La misura dell’indennità è stabilita dall’ufficio
di presidenza di ciascuna camera, entro un tetto che per legge è lo stipendio dei magistrati con funzioni di
presidente di sezione di Corte di cassazione;
- ogni parlamentare gode di una serie di immunità. L’origine storica di queste prerogativa stava nella
necessità di tutelarsi dal potere regio. Oggi da un lato si vuole garantire il libero esercizio delle funzioni
parlamentari, dall’altro evitare il rischio di prevaricazioni da parte del potere giudiziario. Le immunità si
distinguono in:
- insindacabilità, per come votano e per ciò che dicono nell’esercizio delle loro funzioni;
- inviolabilità, i parlamentari non possono subire alcuna forma di limitazione della libertà personale,
a meno che la camera di appartenenza non autorizzi. Esistono diverse eccezioni: il caso in cui il
parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale l’arresto in fragranza è
obbligatorio e il caso in cui una condanna sia passata in giudicato.
7. L’ORGANIZZAZIONE DELLE CAMERE
Numerosi sono gli organi delle Camere:
Il presidente dell’assemblea ha il compito di rappresentare all’esterno la camera e di assicurare sia il
corretto e ordinato svolgimento dei suoi lavoro sia il buon andamento dell’amministrazione interna; fa
osservare il regolamento e dirige le sedute. È coadiuvato da alcuni vicepresidenti ed è eletto a maggioranza
qualificata. Il ruolo della presidenza è stata interpretata come magistratura imparziale votata appunto al
miglior funzionamento della camera. Solitamente il presidente è un parlamentare della maggioranza.
L’ufficio di presidenza (al Senato consiglio di presidenza) è composto in modo da rappresentare tutti i
gruppi parlamentari. Ha compiti amministrativi e attinenti alla disciplina interna.
La conferenza dei presidenti dei gruppi (o dei capigruppo) assiste il presidente in relazione a tutto ciò
che riguarda lo svolgimento dei lavori dell’aula e delle commissioni. È composta dai presidenti di tutti i
gruppi parlamentari. Essa decide il programma dei lavori, il calendario e l’ordine del giorno delle singole
sedute. La conferenza delibera all’unanimità al Senato e a maggioranza qualificata dei tre quarti alla Camera.
Nel caso in cui non sia in grado di decidere provvede da solo il presidente.
Alcuni organi collegiali svolgono funzioni specifiche: la giunta per il regolamento dà pareri al presidente
quando si tratta di interpretare il regolamento; la giunta delle elezioni svolge il lavoro istruttorio nei confronti
dell’altra; la giunta delle autorizzazioni a procedere riferisce quando l’autorità giudiziaria richieda
provvedimenti nei confronti di parlamentari.
Le commissioni permanenti, attualmente 14, sono suddivise in base all’oggetto della loro competenza
(affari costituzionali, giustizia, affari esteri, difesa, bilancio, ecc). Esse svolgono funzioni essenziali e
costituzionalmente necessarie ai fini sia del processo di formazione delle leggi sia nelle fasi di indirizzo e
controllo. La composizione delle commissioni permanenti rispecchia la proporzione dei gruppi: i gruppi che
sono di maggioranza in assemblea lo sono necessariamente anche in commissione e quelli che sono
minoritari in assemblea lo sono pure in commissione.
Ciascuna camera può introdurre delle commissioni speciali o ad hoc con compiti specifici. Ciascuna
camera può altresì istituire commissioni d’inchiesta.
Esistono numerose commissioni bicamerali, cioè costituite da un numero uguali di senatori e deputati,
per svolgere funzioni che spettano ad entrambi i rami del Parlamento. Due sole commissioni sono previste
dalla Costituzione: la commissione per le questioni regionali e la commissione per i procedimenti d’accusa.
Le altre commissioni bicamerali sono istituite per legge e hanno un carattere:
- o permanente (commissioni per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, la
commissione per il controllo degli enti previdenziale, comitato per la sicurezza della Repubblica);
- o temporaneo (commissione d’inchiesta e commissioni consultive).
I gruppi parlamentari sono lo strumento di organizzazione della presenza dei partiti politici all’interno
delle Camere. Gli eletti, dopo la prima seduta della camera di appartenenza devono dichiarare a quale gruppo
appartengono, se non lo fanno confluiscono nel gruppo misto. Il numero minimo prescritto per l’esistenza di
un gruppo parlamentare è di 20 deputati e 10 senatori. Il ruolo dei gruppi è stato esaltato dai regolamenti del
1971: sono i presidenti dei gruppi a far valere una serie di prerogative sull’andamento dei lavori e sui
dibattiti; inoltre il tempo d’aula (facoltà di intervenire) è ripartito tra i gruppi.
8. LE FUNZIONI DELLE CAMERE
In Costituzione non esiste un catalogo delle funzioni del Parlamento, esse si ricavano dall’intera parte II
sull’ordinamento della Repubblica. Il termine funzione può essere interpretato in senso:
- tecnico-giuridico: la Costituzione affida alle Camere l’esercizio della funzione legislativa;
- istituzionale: ci si riferisce in tal caso al ruolo che l’organo assume nell’ordinamento costituzionale,
derivante dal complesso di poteri che gli sono stati attribuiti. Si parla così di funzione di indirizzo, di
controllo e di informazione.
9. IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
PROCEDIMENTO ORDINARIO
Il procedimento legislativo è formato da diverse fasi:
1) FASE DELL’INIZIATIVA: i titolari del potere sono il governo, ciascun consiglio regionale, il Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro, il popolo mediante proposta firmata da 50.000 elettori, ciascun
membro del Parlamento. Mentre i parlamentari possono presentare proposte alla sola camera a cui
appartengono, gli altri titolari dell’iniziativa hanno facoltà di scelta senza limitazioni.
2) FASE ISTUTTORIA: fase affidata alle commissioni e che non può essere evitata essendo esplicitamente
richiamata dalla Costituzione. Ogni progetto viene assegnato al presidente della commissione competente, è
possibile chiamare anche altre commissioni affinché esprimino un parere.
3) FASE DELIBERATIVA: che si può svolgere secondo tre procedure diverse, è possibile tuttavia passare
da un procedimento all’altro:
- procedimento normale o in sede referente: attribuisce alla commissione un compito esclusivamente
istruttorio. Il presidente della commissione riferisce sul progetto e la commissione, dopo aver acquisito tutti
gli elementi informativi necessari, lo discute prima in via generale e poi lo esamina articolo per articolo;
- procedimento in sede redigente: alla commissione viene affidato il compito di formulare un testo
semidefinitivo. L’aula potrà votarlo come tale senza possibilità di modifica;
- procedimento in sede legislativa: esso può essere attuato solo quando vi è un largo consenso. Se non vi si
oppongono il governo, oppure 1/10 dei componenti della camera o 1/5 di quelli della commissione
competente, i progetti di legge possono essere approvati in commissione senza delibera dell’assemblea.
→ Se il procedimento seguito è quello normale, l’esame in assemblea del progetto di legge si sviluppa
attraverso tre momenti: discussione generale; esame e votazione articolo per articolo, nel corso della quale si
discute e si vota su ciascun articolo in cui il progetto è ripartito e sui singoli emendamenti presentati;
seguono le dichiarazioni di voto e ovviamente la votazione finale.
Se il progetto è approvato esso viene trasmesso con apposito messaggio al presidente dell’altra camera.
Questa dovrà approvare il progetto nella stessa identica formulazione, qualsiasi modificazione comporta il
ritorno alla camera che lo aveva approvato (il su è giù delle navette). La camera alla quale è stato rinviato il
progetto riesamina solamente ciò che è stato cambiato. Nel caso in cui, invece, il progetto sia già stato
approvato nello stesso testo dall’altra camera esso va al presidente della Repubblica per la 4)
PROMULGAZIONE e al ministro della giustizia per la 5) PUBBLICAZIONE.
PROCEDIMENTI LEGISLATIVI SPECIALI
Le Camere prevedono procedimenti speciali diversi da quanto descritto per alcuni oggetti:
- esame dei disegni di legge di conversione di decreti legge;
- esame dei progetti di legge costituzionale;
- esame della legge di bilancio e della legge finanziaria;
- esame della legge comunitaria.
Sessione di bilancio: è un periodo di circa un mese e mazzo durante il quale i lavori parlamentari sono
finalizzati alla discussione e votazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione. Essa costituisce la
fase finale del ciclo annuale di bilancio.
Il ciclo annuale di bilancio prende avvio in aprile con la relazione sull’economia e la finanza pubblica
presentata al ministro dell’economia; prosegue con la presentazione del rendiconto generale e con il
conseguente disegno di legge di assestamento; quindi con la decisione di finanza pubblica la quale fissa le
grandezze di massima e gli obiettivi del triennio. Il governo entro il 15 di ottobre presenta il disegno di legge
di bilancio e il disegno di legge di stabilità. La legge di stabilità fissa il livello massimo del saldo netto
(entrate meno uscite) che deve essere finanziato emettendo titolo di stato, nonché l’eventuale aumento o
riduzione delle tasse, i fondi destinati al rinnovo dei contratti pubblici, ecc..
Legge comunitaria: è lo strumento con cui viene assicurato il periodico adeguamento dell’ordinamento
interno all’ordinamento dell’Unione europea. E’ stata istituita nel 1989 e deve essere presentata dal governo
alle Camere entro il 31 gennaio.
Riordino normativo: attraverso la legge di semplificazione si sarebbe dovuto procedere periodicamente a
delegificare e semplificare settori dell’ordinamento. Si sono avute solamente due leggi si tale genere, anche
se lo sforzo di semplificazione è stato ugualmente perseguito. Uno degli interventi più recenti è la norma
tagli-leggi con cui si è proceduto all’abrogazione generalizzata delle leggi anteriori al 1970, salvando
solamente le disposizioni indispensabili.
10. LE PROCEDURE DI INDIRIZZO
Le Camere concorrono a determinare l’indirizzo politico in forme svariate. La funzione di indirizzo consiste
nell’indicare, innanzitutto al governo, cosa si deve fare e a quale fine. Le Camere concorrono quindi alla
determinazione dell’indirizzo generale del paese e al tempo stesso effettuano più specifiche scelte di
indirizzo attraverso diversi strumenti. I principali sono quelli che riguardano il rapporto fiduciario: le
votazioni sulla mozione di fiducia del governo o le eventuali mozioni di sfiducia per esempio.
Le Camere utilizzano altri strumenti allo scopo di specificare ed integrare l’indirizzo politico generale:
- le mozioni: sono lo strumento che serve a provocare una deliberazione si un qualsiasi argomento: le
Camere possono votare una mozione che chiede al governo di muoversi in una direzione piuttosto che in
un’altra. Esse sono esaminate e votate con procedure in tutti simili a quelle dei progetti di legge;
- la risoluzione: ha le stesse finalità della mozione, cioè che cambia sono le circostanze in cui può essere
presentata: come atto di indirizzo che conclude un dibattito, come atto di indirizzo che può essere presentato
e votato in commissione. Ogni parlamentare inoltre può presentare una risoluzione, a differenza delle
mozioni che richiedono un numero minimo di proponenti;
- gli ordini del giorno di istruzione al governo: costituiscono l’atto di indirizzo più blando, che spesso si
traduce in emendamenti non accettati rappresentanti una promessa futura.
E’ chiaro che i margini entro cui ciascuna camera può muoversi nell’integrare l’indirizzo politico generale
sono in realtà circoscritti dai termini del rapporto fra governo e maggioranza.
Se la questione è considerata poco rilevante dal governo, esso può lasciare la sua maggioranza libera di
pronunciarsi. Per temi più delicati invece l’atto di indirizzo è concordato direttamente tra governo e
maggioranza. Se l’atto di indirizzo è proposto dalla sola opposizione è chiaro che la maggioranza farà in
modo che sia accantonato. Tutto ciò non rende inutile la funzione dell’opposizione, essa infatti in tal modo
cerca di conquistarsi spazio parlamentare attirando l’attenzione pubblica sulla bontà delle sue proposte.
11. LE PROCEDURE DI CONTROLLO E INFORMAZIONE
Le Camere dispongono di molteplici strumenti per esercitare funzioni di controllo e di informazione.
○ Alcuni di tali strumenti rientrano nella disponibilità del singolo parlamentare:
- interrogazioni: consistono in una domanda rivolta per iscritto al governo (in genere al ministro
competente) per chiedere informazioni, il governo risponde in forma orale o scritta. L’interrogante deve
limitarsi a dire se è soddisfatto della risposta o no e perché, in pochi minuti. Non si apre quindi alcun
dibattito;
- interpellanze: sono domande per sapere dal governo perché si è comportato in un certo modo e cosa
intende fare in ordine a questo o quello aspetto della sua politica. L’interpellante può replicare più a lungo
rispetto al caso delle interrogazioni.
○ Altri strumenti rientrano nella disponibilità delle commissioni. Esse possono:
- chiedere che i ministri vengano a riferire in commissione su qualsiasi questione politica o amministrativa;
- chiedere al governo relazioni sull’esecuzione delle leggi e su come ha dato attuazione agli strumenti di
indirizzo approvati dalla camera;
- disporre indagini conoscitive.
○ La Costituzione prevede la possibilità per le Camere di istituire commissioni d’inchiesta. Esse:
- devono avere per oggetto materie di interesse pubblico;
- devono essere composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi;
- dispongono degli stessi poteri e sono sottoposte alle medesime limitazioni dell’autorità giudiziaria.
Le commissioni di inchiesta costituiscono lo strumento di controllo più incisivo. Esse vertono sempre su
questioni politicamente scottanti e, in genere, vengono imposte dall’opposizione e dall’opinione pubblica per
inchiodare alle responsabilità l’amministrazione o chi l’ha guidata politicamente.
12. ALTRE FUNZIONI DELLE CAMERE
Le Camere si trovano ad assolvere compiti che, per la loro natura, sono per lo più attribuiti ad altri poteri
dello stato: funzioni giurisdizionali e funzioni amministrative; si tratta solitamente di funzioni che sono
assegnate per garantire l’esercizio pienamente libero delle loro funzioni tipiche.
∙ Quando ciascuna camera decide in ordine alle contestazioni relative al procedimento elettorale svolge una
funzione giurisdizionale. Inoltre esercita la autodichia, cioè la giurisdizione domestica sui ricorsi contro i
provvedimenti in materia di personale riguardanti i dipendenti delle Camere.
∙ La legge attribuisce anche alle commissioni parlamentari bicamerali funzioni amministrative, cioè di
gestione diretta.
13. LA PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI E I SISTEMI DI VOTAZIONE
A partire dal 1971 i lavori parlamentari sono improntati al metodo della programmazione: essi sono
cadenzati secondo criteri concordati dalla conferenza dei capigruppo, su proposta del governo, della
maggioranza e dell’opposizione. Questo è stato reso concretamente possibile tramite il contingentamento
dei tempi, in base al quale i procedimenti in assemblea devono concludersi entro una data prefissata; il tempo
disponibile è ripartito in quote fra governo, relatori, rappresentanti dei gruppi. I casi di deroga sono tuttavia
molto frequenti.
Come si vota: la maggior parte delle votazioni avviene a scrutinio palese. Ciò rende impossibili le imboscate
dei cosiddetti franchi tiratori, e obbliga ciascun gruppo ad assumersi le proprie responsabilità.
Ostruzionismo: chi è all’opposizione tende con frequenza a far ricorso all’ostruzionismo, cioè all’utilizzo
esasperato di tutte le facoltà previste dal regolamento allo scopo di ritardare o impedire che l’assemblea
deliberi. Naturalmente l’ostruzionismo è usato per ottenere l’attenzione dei mezzi di informazione.
14. IL GOVERNO IN PARLAMENTO
Il parlamentarismo necessita della collaborazione fra il governo e il parlamento. Per anni tuttavia così non è
stato. Sono proprio i regolamenti parlamentari a disciplinare aspetti importanti del rapporto fiduciatario, a
partire da un istituto che prende il nome di fiducia.
La questione della fiducia consiste nell’annuncio formale fatto dal governo, nell’imminenza di una
qualsiasi votazione parlamentare, che esso la considera tanto rilevanti ai fini del proprio indirizzo che si
dimetterà nel caso in cui l’assemblea si pronunci negativamente.
Nonostante ciò i governi italiani restano in una condizione più limitata di preminenza rispetto ai governi di
altri paesi.
15. I PARLAMENTO E I RAPPORTI CON GLI ALTRI ORGANI E SOGGETTI
- Presidente della Repubblica: il Parlamento in seduta comune lo elegge e ne ascolta il giuramento; ad esso
trasmette le leggi per la promulgazione, o presidenti dei gruppi parlamentari sono ascoltati dal presidente; il
parla mentolo può mettere in stato d’accusa ma non può sindacarne l’attività.
- Corte costituzionale: il parlamento elegge 1/3 dei giudici costituzionali; le leggi del parlamento sono
sottoposte al controllo di costituzionalità, esso sostiene l’accusa nei confronti del presidente.
- Potere giudiziario: il parlamento elegge 1/3 dei componenti del Consiglio superiore della magistratura;
ciascuna camera è chiamata a decidere sulle eccezioni di insindacabilità delle opinioni espresse dai
parlamentari nell’esercizio delle funzioni e sulle richieste di provvedimenti restrittivi della libertà personale a
carico dei propri componenti.
- Regioni: la Costituzione ha previsto una commissione parlamentare per le questioni regionali. Inoltre le
due camere possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle regioni ai lavori di questa
commissione. I consiglio regionali possono presentare proposte di legge alle camere.
- Unione Europea: i regolamenti parlamentari prevedono specifiche procedure di indirizzo e di controllo
sull’attività governativa in ambito europeo. In entrambe le camere è istituita una commissione “politiche
dell’Ue” con compiti relativi:
- all’esame in sede referente della legge comunitaria;
- all’esame in sede consultiva degli schemi di atti di governi attuativi di direttive Ue;
- esame in sede politica degli atti e progetti dell’unione.
Il Trattato di Lisbona conferisce ai parlamenti nazionali il compito di vigilare sul principio di sussidiarietà,
partecipando alle politiche volte a garantire libertà, sicurezza e giustizia.
- Organi ausiliari e autorità indipendenti: le Camere si avvalgono di pareri, studi ed indagini del Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro. La Corte dei conti riferisce direttamente alle camere.
CAP X – IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
1. ALLE ORIGINI DELLA FIGURA PRESIDENZIALE
Ogni ordinamento statale conosce una figura istituzionale che lo rappresenta nella sua interezza e nella sua
unità: sia nei confronti degli ordinamenti istituzionali sia al suo interno. Questa figura prende il nome di
capo dello stato. In qualche raro caso il capo dello stato è un organo collegiale (Svizzera), nella maggior
parte dei casi capo dello stato è un organo monocratico. Egli può essere:
- un presidente della repubblica;
- un monarca di estradizione ereditaria.
2. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: ELEZIONE E DURATA IN CARICA
Il presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune integrato da 58 delegati
regionali (tre per ciascuna regione, uno per la Valle d’Aosta). La sua elezione richiede sempre una
maggioranza qualificata (per le prime tre votazioni essa è di due terzi).
Requisiti: unico requisito per diventare presidente della Repubblica è essere un cittadino che abbia compiuto
50 anni e che goda di diritti politici e civili.
Durata: la durata della carica è sette anni, si tratta di una carica di notevole lunghezza che la svincola dai
legami politici dell’organo che la elette.
Segretario generale: il presidente gode di un assegno personale e di una dotazione finanziaria entrambi
fissati per legge. La legge ha istituito un apparato amministrativo che risponde direttamente al presidente, il
segretario generale della presidenza della Repubblica. Tale apparato ha un segretario generale.
Supplenza: nel caso in cui il presidente non sia in grado di adempiere temporaneamente alle sue funzioni
l’esercizio passa al presidente del Senato, tale istituto viene chiamato supplenza. Se la causa è una grave
malattie o un serio intervento che lasci sperare in una ripresa dell’esercizio delle funzioni si può pensare
anche a un pieno esercizio della supplenza.
3. LE ATTRIBUZIONI DEL PRESIDENTE ELLA REPUBBLICA
Secondo la Costituzione italiana il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità
nazionale. Egli non ha funzioni di indirizzo politico bensì di garanzia.
Gli atti del presidente devono essere controfirmati da un ministro del governo. La Corte costituzionale ha
stabilito che la controfirma assume un diverso valore a seconda del tipo di atti di cui rappresenta il
completamento. Vi sono tuttavia alcuni atti che si ritiene che il presidente possa compiere senza controfirma:
può dimettersi, può fare dichiarazioni informali in pubbliche occasioni.
I poteri che la Costituzione attribuisce al presidente sono molteplici:
- in ordine della rappresentanza esterna, accoglie i rappresentanti esteri, dichiara lo stato di guerra, firma
trattati ed effettua le visite all’estero;
- in ordine delle funzioni parlamentari, nomina fino a 5 senato a vita, scioglie le camere, tranne negli ultimi
sei mesi del suo mandato nei quali non può indire le elezioni; può mandare messaggi alle camere;
- in ordine alla funzione legislativa, promulga le leggi approvate dal Parlamento e può rinviarle, autorizza la
presentazione dei disegni legge del governo alla camera, emana gli atti di governo aventi forza di legge;
- in ordine alle funzione esecutiva, nomina il presidente del Consiglio e su proposta di questo nomina i
ministri, conducendoli al giuramento sulla costituzione, accetta le dimissioni del governo, presiede il
Consiglio supremo della difesa;
- in ordine all’esercizio della sovranità popolare, indice le elezioni e i referendum;
- in ordine all’esercizio della giurisdizione costituzionale, nomina 1/3 dei giudici della Corte costituzionale,
presiede il Consiglio superiore della magistratura e può concedere la grazie e commutare le pene.
Questo elenco di attribuzioni ha una rilevanza molto diversificata:
- vi sono alcune attribuzioni il cui esercizio è in qualche caso obbligato (il presidente deve promulgare
le leggi riapprovate dalla Camera);
- vi sono altre attribuzioni che certamente riservano al presidente uno spazio di valutazione
discrezionale (rinvio alle Camere di una legge da esse approvata);
- vi sono attribuzioni di altissima valenza politica, in grado di condizionare l’indirizzo politico.
La grazia: l’iniziativa della grazia spetta sia al ministro sia al presidente. Tuttavia la necessità della
controfirma ha permesso al ministro di bloccare il provvedimento nel caso in cui non lo condividesse (es. del
presidente Ciampi nel 2005). La grazia è considerata un’eccezionale strumento destinato a soddisfare
straordinarie esigenze di natura umanitaria. Per tale ragione non spetta al ministro impedire tale
procedimento.
4. LA RESPONSABILITA’ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
L’art. 90 della Costituzione prevede una forma di irresponsabilità del presidente per tutti gli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, salvo le ipotesi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione. La
prima ipotesi si identifica nella collusione con potenze straniere, la seconda con violazioni della carta
costituzionale idonee a mettere a repentaglio i caratteri essenziali dell’ordinamento.
Il Parlamento in seduta comune e la Corte costituzionale rappresentano l’unico giudice degli eventuali atti e
fatti ascritti al presidente. Egli ovviamente risponde come ogni altro cittadino per le azioni compiute fuori
dall’esercizio delle sue funzioni.
Il procedimento per far valere la responsabilità del capo dello Stato per alto tradimento e attentato alla
Costituzione si articola in due fasi:
- la prima, intrinsecamente politica, è la messa in stato di accusa da parte del Parlamento in seduta comune
con voto di maggioranza;
- la seconda, di carattere giurisdizionale, è il giudizio della Corte costituzionale.
→ Il procedimento di accusa parlamentare si articola in due fasi: istruttoria e decisione.
L’istruttoria è condotta dal comitato parlamentare per i procedimento d’accusa. Durante tale fase vengono
interrogati i testimoni a vengono assunte le prove. Tale attività preliminare può concludersi o con un
provvedimento di archiviazione per manifesta infondatezza delle accuse o con una relazione contenente
conclusioni favorevoli o contrarie all’accusa. Dopo l’atto di accusa il capo dello Stato può essere sospeso
dalla carica in via cautelare.
→ Il giudizio della Corte costituzionale si divide in tre fasi procedimentali:
- istruttoria, durante la quale si acquisiscono tutti gli elementi di prova ritenuti utili per la decisione;
- dibattito, durante il quale le parti discutono sulle rilevanze dell’istruttoria;
- decisione finale, che potrà essere di assoluzione o di condanna.
In caso di condanna potranno essere applicate le pene fino alla misura massima prevista dalla legislazione.
Inoltre potranno essere applicate sanzioni civili, amministrative e costituzionali (destituzione). La sentenza
così emessa è definitiva e non può essere impugnata, salvo le ipotesi di revisione (emergere di elementi
nuovi).
5. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELLA PRASSI
I presidenti della storia repubblicana sono stati 10:
○ il primo presidente costituzionale fu Luigi Einaudi, che si trovò ad operare in una fase politica in cui la
maggioranza centista, guidata da De Gasperi, fu coesa e compatta.
○ Giovanni Gronchi operò in un contesto instabile e si fece protagonista di interventi pesanti in materia sia
di politica estera sia di politica interne e in generale di indirizzo politico. Diede origine al primo tentativo di
un governo che rispondesse più al presidente che ai partiti (governo Tambroni).
○ Con le presidenze di Antonio Segni e Giuseppe Saragat si ebbe un forte ridimensionamento
dell’intervento presidenziale.
○ Il presidente Giovanni Leone fu costretto a dimettersi per scandali veri o presunti, il suo successore
Sandro Pertini stabilì un vero e proprio rapporto diretto con l’opinione pubblica, fu il primo presidente
dell’era mediatica.
○ Francesco Cossiga si trovò inizialmente in una situazione tranquilla: il pentapartito appariva il grado di
guidare il paese. Egli fu il promotore di un cambiamento istituzionale.
○ Oscar Luigi Scalfaro operò in un periodo di crisi sia finanziaria che politica. Diede vita a un governo del
presidente formato esclusivamente da non parlamentari (governo Dini).
○ Il settennato di Carlo Azeglio Ciampi è stato caratterizzato da un’ampia maggioranza uscita dalle urne del
2001, ma al tempo stesso da una dura opposizione.
○ Giorgio Napolitano ha sempre accompagnato tutte le più delicate decisioni della Repubblica,
accompagnandole da dichiarazioni volte a spiegarne le ragioni.
Potere di scioglimento: la decisione del presidente della Repubblica di sciogliere le camere deve essere
controfirmato dal presidente del Consiglio. Il presidente della Repubblica deve consultare previamente i
presidenti delle due Camere, il cui parere non è vincolante. Non può tuttavia esercitare tale potere negli
ultimi sei mesi del mandato (semestre bianco).
Il potere di convocare le elezioni anticipate è un fondamentale strumento di stabilizzazione del governo
parlamentare: la sola minaccia è più efficace dell’uso stesso. Si tratta di uno strumento politico di eccellenza.
CAP. XI – IL GOVERNO
Il governo costituisce l’organo che promuove, elabora e realizza le politiche pubbliche. Esso è titolare del
potere esecutivo. Il potere esecutivo rappresenta anche il vertice dell’amministrazione statale.
2. IL GOVERNO ITALIANO: ORGANIZZAZIONE E FUNZIONI
Il governo è un organo complesso, cioè un organo costituito da altri organo. Il governo della Repubblica
composto da:
- presidente del Consiglio dei ministri;
- ministri;
- consiglio dei ministri.
○ Il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ha un compito di direzione politica generale del governo, della
quale porta personale responsabilità politica. In particolare:
1. a lui spetta mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo ;
2. deve promuovere e coordinare l’attività dei ministri;
3. il suo potere chiave è la proposta al presidente della Repubblica dei nomi dei ministri;
4. può porre la fiducia alle camere;
5. controfirma gli atti deliberati dal consiglio e presenta alle camere i disegni di legge d’iniziativa
governativa;
6. può apporre il segreto di stato e nomina i servizi di intelligence;
7. promuove e coordina l’azione del governo nei rapporti con le autonomie regionali;
8. promuove e coordina l’azione del governo nell’Ue.
Il presidente del Consiglio ha sede a Palazzo Chigi. È dotato di una struttura composta di numerosi
dipartimenti e diverse migliaia di dipendenti e collaboratori che prendono il nome di presidenza del
Consiglio.
○ Il CONSIGLIO DEI MINISTRI assume tutte le deliberazioni relative alla funzione di indirizzo politico:
determina la politica generale del governo e dirime eventuali conflitti di competenza fra ministri. In
particolare il Consiglio decide:
1. in merito al voto di fiducia, insieme al presidente del Consiglio;
2. sugli indirizzi di politica internazionale e comunitaria;
3. sulla presentazione di disegni di legge e atti normativi;
4. sulle nomine al vertice di enti pubblici;
5. sull’annullamento di atti amministrativi illeciti;
○ I singoli MINISTRI costituiscono il vertice delle amministrazioni cui sono preposti. Essi rispondono
insieme (collegialmente) degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei rispettivi
ministeri. Attualmente i ministeri sono 13. Tuttavia al momento della formazione del governo possono essere
nominati altri ministri i quali non siano a capo di alcun ministero, ma esercitino funzioni attribuite alla
presidenza del Consiglio, a loro delegate dal presidente del Consiglio. Essi sono i ministri senza portafoglio
(quelli per la cui attività il bilancio dello Stato non prevede specifici capitoli di spesa), essi siedono peraltro a
pieno titolo in Consiglio dei ministri al pari dei ministri dotati di portafoglio.
La legge prevede anche una serie di organi costituzionalmente non necessari che integrano la
composizione dell’organo complessi di governo. Si tratta di:
- uno o più vicepresidenti del Consiglio dei ministri, cioè ministri ai quali, su proposta del presidente, il
Consiglio attribuisce la funzione di supplenza in caso di assenza del presidente stesso (spesso sono nominati
per ragioni politiche);
- i sottosegretari di stato alla presidenza del Consiglio e a ciascun ministero, i quali hanno il compito di
coadiuvare il presidente o il ministro e di esercitare determinate funzioni che a lui appartengono. Uno dei
sottosegretari viene nominato segretario del Consiglio dei ministri che è responsabile del verbale. La legge
non determina il numero dei sottosegretari di stato, ma è previsto un numero massimo di componenti del
governo (63).
Sono inoltre previsti comitati interministeriali istituiti per legge in determinati settori, la cui
composizione e le cui funzioni sono stabilite dalla legge. Tali istituti sono un numero assai ridotto, esempio:
Comitato interministeriale per la programmazione economica, Comitato interministeriale per la sicurezza
della Repubblica.
Rispondono invece a scelte del presidente del Consiglio i comitati di ministri che egli può istituire con
compiti istruttori, come per esempio il consiglio di gabinetto (organi di supporto politico del presidente).
Su proposta del presidente del Consiglio infine, il Consiglio dei ministri può deliberare la nomina di
commissari straordinari del governo, ai quali sono affidati specifici progetti (commissari per affrontare
calamità naturali).
3. COME IL GOVERNO SI FORMA
Il governo non è un organo a durata fissa. Ciò dipende dal fatto che la sua formazione è conseguente alle
elezioni parlamentari. Il governo si costituisce per nomina del presidente della Repubblica.
La Costituzione dispone:
- che il governo deve godere della fiducia di entrambe le Camere;
- questa fiducia non è presunta, ma deve essere ottenuta dal governo nominato che si deve presentare alla
Camere entro 10 giorni dal giuramento.
Il presidente della Repubblica consulta a tale scopo le forze politiche, tali consultazioni prendono il nome di
consultazioni presidenziali, le quali si considerano una prassi consolidata se non addirittura una consuetudine
costituzionale.
Incarico: il presidente della repubblica, una volta esperite le consultazioni, non nomina subito il presidente
del Consiglio, ma affida l’incarico di formare il governo alla personalità prescelta e che questi accetti
l’incarico con riserva. La persona incaricata solitamente effettua proprie consultazioni, finalizzate alla
conclusione del patto di maggioranza.
Scelta ministri: il presidente del Consiglio è nominato prima della fiducia parlamentare e, su sua proposta, il
presidente della Repubblica nomina gli altri ministri. Quindi il Parlamento è chiamato a giudicare insieme i
vari elementi di formazione del governo.
Giuramento: col giuramento il governo entra in carica e i singoli suoi componenti prendono letteralmente
possesso dei loro uffici, assumendo tutte le responsabilità che la Costituzione e legge ad essi attribuiscono.
La correttezza costituzionale impone che un governo in attesa di fiducia limiti la propria attività all’ordinaria
amministrazione, rinunciando a iniziative politiche.
Presentazione: entro dieci giorni deve avvenire la presentazione del governo alle Camere. Segue il dibattito
parlamentare che si conclude in ciascuna camere con l’approvazione di una mozione di fiducia.
Fiducia: il governo deve ottenere la maggioranza semplice dei voti, fermo il quorum strutturale della metà
più uno dei componenti, la votazione avviene mediante scrutinio palese e appello nominale.
4. LA RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO
Il governo risponde del proprio operato a vario titolo. Esso è legato ovviamente da un rapporto di
responsabilità in senso tecnico-giuridico con il Parlamento: ciascuna delle due Camere può sfiduciarlo
approvando una mozione ad hoc oppure negando la fiducia quando il governo lo sollecita.
Sotto il profilo della responsabilità civile e amministrativa, i componenti del governo rispondono alla stregua
di coloro che sono preposto a pubblici uffici.
Per quanto riguarda invece la responsabilità penale occorre distinguere fra reati commessi dal presidente del
Consiglio e dai ministri nell’esercizio delle funzioni e tutti gli altri reati:
- per i primi, è prevista una disciplina speciale. Le indagini preliminari sono affidate a un collegio
composto di tre magistrati, nel caso in cui il collegio non disponga l’archiviazione, gli atti sono
trasmessi a una delle Camere per l’autorizzazione a procedere. L’autorizzazione è deliberata dalla
camera di appartenenza, essa può essere negata solo ove l’assemblea reputi a maggioranza assoluta
che l’inquisito abbia agito per tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero il
perseguimento di un preminente interesse pubblico. Tale valutazione è insindacabile. Se
l’autorizzazione viene concessa il tribunale del distretto competente è giudice naturale di primo
grado;
- per i secondi, il presidente o il ministro sono giudicati come qualsiasi altro cittadino.
5. COME I GOVERNO CESSA DALLE FUNZIONI
Il governo cessa dalle funzioni nel momento in cui un nuovo governo giura nelle mani del presidente della
Repubblica. Tuttavia nel momento in cui esso entra in crisi le norme di correttezza costituzionale impongono
che si attenga alla ordinaria amministrazione, ovvero agli affari correnti. È prassi che il presidente del
Consiglio dimissionario indirizzi ai propri ministri una lettera circolare che specifica ciò che essi possono e
devono fare in pendenza della crisi.
La crisi di governo è conseguenza delle dimissioni di questo e, in particolare, del presidente del Consiglio
dei ministri. Diverso è il rimpasto, ovvero la semplice sostituzione di più ministri senza crisi di governo.
Quando un ministro si dimette e in attesa si individuarne il successore, si chiama ad interim l’incarico di
reggere un ministero che il presidente del Consiglio assume o affida a un altro ministro.
Solo in caso di approvazione (a maggioranza semplice) da parte di una delle Camere di una mozione di
sfiducia, il governo è obbligato a dimettersi. Tuttavia potendo il governo porre la questione di fiducia il voto
contrario equivale a una mozione di sfiducia, determinando così l’obbligo di dimissioni.
→ Nella lunga prassi repubblicana solo due governi sono caduti per espressa sfiducia di una delle camere, il
Governo Prodi I e II (crisi parlamentari).
→ Tutti gli altri governi si sono dimessi per iniziativa propria, determinata da sconfitte parlamentari
particolarmente gravi (crisi extra-parlamentari). Tali ultime crisi sono state una delle manifestazioni di
maggior debolezza della forma di governo italiana.
→ Diverso è il caso dei governi che cessano dalle funzioni non per dimissioni di natura politica, ma per
dimissioni conseguenti all’avvio di una nuova legislatura. I governi in carica si sono sempre dimessi
all’indomani del voto, si tratta di un dovere di correttezza costituzionale.
Quanto ai singoli ministri la Costituzione non parla di revoca. Nonostante ciò il regolamento della Camera e
del Senato ammettono la mozione di sfiducia individuale contro un singolo ministro. Questo istituto è stato
legittimato da una sentenza della Corte Costituzionale.
6. IL GOVERNO E I SUOI RAPPORTI CON GLI ALTRI SOGGETTI
○ Parlamento: determinante è il ruolo del governo in Parlamento. Esso è: - motore e coprotagonista della
produzione legislativa; - oggetto dell’esercizio parlamentare della funzione di controllo; - destinatario degli
indirizzi politici delle camere.
○ Presidente della Repubblica: il governo è nominato dal presidente della Repubblica e con esso intrattiene
continue ed importanti relazioni giuridico-formali e politico-istituzionali. Il governo tiene informato il
presidente della Repubblica di tutte le iniziative più importanti.
○ Corte costituzionale: il presidente del Consiglio solleva conflitto di attribuzione davanti alla Corte
costituzionale, solleva questione di legittimità costituzionale in via diretta contro la legge regionale.
○ Potere giudiziario: il governo non ha alcun potere in ordina a tutto ciò che riguarda la carriera dei
magistrati e l’esercizio della giurisdizione con una sola eccezione affidata al ministro della giustizia, egli ha
un potere ispettivi sull’organizzazione e il funzionamento degli uffici giudiziari.
○ Regioni ed enti locali: in sede governativa sono situati gli unici organi di raccordo istituzionale fra Stato e
autonomie: la Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, regioni e province autonome, la Conferenza
Stato-città e autonomie locali e la Conferenza unificata.
○ Unione europea: il governo, tramite la partecipazione al Consiglio Europea e la partecipazione al
Consiglio dell’unione, è l’organo costituzionale che più direttamente concorre a tutto il processo decisionale
europeo.
CAP. XII – GLI ORDINAMENTI REGIONALI E LOCALI
1. LE ORIGINI ACCENTRATE DELLO STATO ITALIANO
L’ordinamento italiano fu alle origini fortemente accentrato. Il modello era quello napoleonico, caratterizzato
da accentramento e uniformità. Per decenni i prefetti (nominati direttamente dal ministri dell’interno) furono
i rappresentanti nelle province del governo nazionale.
Tale situazione cominciò a mutare solo con il nuovo secolo, durante il quale furono proprio gli enti locali a
farsi carico della produzione di servizi quali acqua, gas e luce (servizi pubblici locali). Gli enti locali furono
chiamati autarchici, nel senso che dovevano limitarsi alla cura degli interessi della loro comunità all’interno
dell’unico indirizzo politico stabilito dal governo nazionale.
Durante la Costituente furono previste le regioni. Il modello dello stato regionale era ritenuto intermedio tra
lo stato accentrato e lo stato federale. Alle regioni in cui si manifestarono aspirazioni autonomista o moto
separatisti furono concessi statuti speciali.
2. LA SCELTA DEL COSTITUENTE E L’ATTUAZIONE DELL’ORDINAMENTO REGIONALE
Il costituente ripartiva la Repubblica “una e indivisibile” in regioni, province, comuni.
Regioni: enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. La
disciplina delle regioni è fissata direttamente dalla Costituzione.
Province e comuni: enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne
determina le funzioni. La disciplina dei comuni è rimandata alla legge ordinaria.
REGIONI: caratteristica della competenza legislativa delle regioni ordinarie fu di essere concorrente e
limitata a un numero ristretto di materie elencate dalla Costituzione. Le regioni avrebbero potuto legiferare,
ma tenendosi all’interno del quadro tracciato dalle leggi dello stato, le quali stabiliscono i principi
fondamentali della materia. Esistono limiti ulteriori quali l’interesse nazionale e quello di altre regioni.
La Costituzione del 1948 dettava queste altre disposizioni in materia regionale:
- alle regioni furono attribuite funzioni amministrative;
- la regione avrebbe dovuto esercitare le proprie funzioni amministrative delegandole a province e comuni;
- alle regioni fu riconosciuta autonomia finanziaria, ma nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della
Repubblica;
- espresso fu il divieto delle regioni di ostacolare la mobilità di persone, cose o di istituire dazi;
- fu riconosciuta a ciascuna regione autonomia statutaria sulla propria organizzazione interna;
- fu istituito un commissario del governo con compiti di coordinamento fra amministrazione regionale e statale;
- gli atti amministrativi regionali furono sottoposti a controllo di legittimità da parte dello stato;
- furono previsti una serie di casi in cui il consiglio regionale poteva essere sciolto con decreto del presidente
della Repubblica.
PROVINCE E COMUNI: la Costituzione rinvia alle leggi generali della Repubblica, in modo da garantire
che tutti gli enti locali siano posti sullo stesso piano.
È importante sottolineate che l’istituzione delle regioni ordinarie avvenne solo nel 1970, oltre 22 anni dopo
l’entrata in vigore della Costituzione ed incontrò numerose resistenze.
Dagli anni Novanta i sono verificati grandi cambiamenti nel sistema delle autonomie regionali e locali:
- attraverso l’ordinamento delle autonomie locali, comuni e province poterono darsi propri statuti;
- attraverso le leggi di conferimento di funzioni statali a regioni, province e comuni, la generalità delle funzioni
amministrative è stata attribuita agli enti locali con la sola eccezione di quelle che devono essere
necessariamente esercitate a livelli regionale;
- le riforme della finanza regionale e locale hanno ridotto i trasferimenti dal bilancio dello Stato, sostituendolo
con il gettito di tributi;
- fu stabilità l’elezione diretta del presidente della Regione;
- furono stabilite una serie di deleghe al Governo in materia di federalismo fiscale, in modo da dare piena
autonomia finanziari a regioni ed enti locali, garantendo uguali livelli base di servizi.
3. I CARATTERI DELL’ORDINAMENTO REGIONALE
Più che di ordinamento regionale in Italia è opportuna parlare di ordinamenti regionali. Le regioni, così come
i comuni, le province e le città metropolitane sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo
i principi fissati dalla Costituzione. Le regioni nascono per una decisione della Costituzione della Repubblica
italiana che si definisce una e indivisibile.
4. L’ORDINAMENTO DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO
La potestà statuaria delle regioni ordinarie è stata rafforzata dalla riforma del 1999. Con riferimento allo
statuto regionale si devono menzionare:
- contenuti: lo statuto disciplina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento della regione, nonché l’esercizio del diritto di iniziativa popolare, i referendum, le modalità di
pubblicazione di leggi e regolamenti. Si tratta del contenuto necessario dello statuto;
- procedimento: lo statuto deve essere approvato dal consiglio regionale con voto a maggioranza assoluta
(metà più uno dei componenti del consiglio), in due successive deliberazioni ad almeno due mesi di distanza
la seconda dalla prima. Il governo può impugnarli davanti alla Corte costituzionale entro 30 giorni dalla
pubblicazione. Può essere richiesto anche un referendum, in tal caso occorre che si pronunci a favore la
maggioranza dei voti validi (non c’è quorum strutturale);
- vincoli: lo statuto deve rispettare una serie di vincoli in particolare quello di essere in armonia con la
Costituzione, ovvero con i valori costituzionali;
- organizzazione e funzionamento: gli organi regionali che non possono mancare sono – consiglio
regionale (potere legislativo) – giunta (potere esecutivo) – presidente della giunta (vertice dell’esecutivo) –
consiglio delle autonomie locali. La Costituzione prevede l’elezione a suffragio universale diretto del
Presidente della regione. Qualora il presidente eletto si dimetto o il consiglio lo sfiduci, si torna a votare sia il
presidente sia il consiglio.
La regione è competente in materia elettorale, pur nei limiti dei principi fondamentali della legge dello stato:
essa impone alla regione di dotarsi di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze;
detta le norme relative all’ineleggibilità e incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta
e dei consiglieri regionali. Ad oggi le regioni che non hanno ancora portato a termine l0iter di approvazione
del nuovo statuto sono tre (Basilicata, Molise, Veneto).
5. LA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE LEGISLATIVE
L’art. 117 della Costituzione prevede:
- materie di competenza statale, definita competenza esclusiva nelle quali lo Stato è abilitato a legiferare;
- materie di competenza regionale, definita competenza concorrente, nella quali spetta alla legge dello Stato
fissare i principi fondamentali della materia, e alle regioni il potere di dettare norme legislative di dettaglio;
- materie di competenza regionale cosiddetta residuale.
La Costituzione prevede l’eventualità che ciascuna regione ordinaria possa acquisire ulteriori forme e
condizioni particolari di autonomia. Ciò può avvenire per esempio in virtù di una legge dello Stato sulla base
di un intesa con la regione, si pongono così le basi per un regionalismo differenziato.
Tanto la legge statale quanto quella regionale devono rispettare tre limiti:
- il rispetto della Costituzione;
- i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario;
- gli obblighi internazionale.
LA POTESTA’ LEGISLATIVA ESCLUSIVA DELLO STATO
Le materie di competenza esclusiva dello Stato indicate nel primo comma dell’art. 117 sono molte ed
eterogenee. Alcune sono individuate secondo un criterio oggettivo (ossia facendo riferimento a puntuali
ambiti materiali “Forze Armate”); altre secondo un criterio teleologico (ossia in ragione delle finalità delle
funzioni da realizzare); altre ancora secondo un criterio difficilmente qualificabile che consente più ampia
discrezionalità al legislatore statale.
Vi sono alcune competenze chiamate poteri impliciti, comunque spettanti allo stato centrale in quanto
desumibili dalle materie espressamente attribuite. In tali materie trasversali (definite in dottrina materie-
valori o materie non materie) il legislatore statale può esercitare la sua potestà di formazione al di là dei
confini della materia stessa, occupando ambiti attribuiti alla regione.
LA POTESTA’ LEGISLATIVA CONCORRENTE
Le materia di competenza concorrente solo quelle nelle quali la potestà legislativa regionale deve esercitarsi
nel rispetto dei principi fondamentali della materia stabiliti dallo Stato. La nozione di principio fondamentale
non ha e non può avere caratteri di rigidità e di universalità.
Lo stato insieme alle disposizioni di principio può dettare anche disposizioni di dettaglio, queste ultime
valgono solo in via suppletiva (ossia in assenza di disciplina regionale), trattandosi di norme cedevoli di
fronte a disposizioni eventualmente approvate da ciascuna regione.
LA POTESTA’ LEGISLATIVA RESIDUALE
Tutte le materie non espressamente attribuite alla legislazione dello stato appartengono alla competenza
residuale delle regioni. Rispettando il criterio di prevalenza, le materie innominate prima di essere
riconosciute alla regioni devono superare una verifica diretta ad accertare che non siano riconducibili alle
materie previste. Tra le materie di competenza regionale menzioniamo il turismo, il trasporto pubblico locale,
le comunità montane. Resta fermo tuttavia che anche tali materie potrebbero in futuro richiede l’intervento
normativo dello Stato.
LE COMPETENZE LEGISLATIVE NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
La Corte costituzionale ha chiarito la nozione di “concorrenza di competenze”, individuando due criteri
specifici di risoluzione di tali conflitti:
- conflitto della prevalenza: la potestà legislativa dello Stato sussiste solo ove sia ricavabile un puntuale
titolo di legittimazione costituzionale. Tale titolo può essere desunto anche dalla dimensione
macroeconomica dell’intervento o dello stesso carattere imprescindibilmente unitario dello strumento
utilizzato per svolgerlo;
- principio di sussidiarietà: la competenza dello stato serve ogniqualvolta si tratti di realizzare esigenze di
carattere unitario.
La legge statale deve rispettare anche i principi di ragionevolezza (cioè che sia effettivamente giustificata), di
proporzionalità (la legge statale deve essere l’unico atto normativo in grado di disciplinare quel genere di
funzioni) e di leale collaborazione (lo Stato deve decidere gli interventi nazionali insieme alle regioni).
La dottrina ha distinto anche fra: intese forti, nelle quali si richiede la concorde e paritaria manifestazione di
volontà dello Stato e della regione e intese deboli, nelle quali è sufficiente che lo stato dimostri di aver
ricercato un accordo.
POTESTA’ LEGISLATIVA E POTESTA’ REGOLAMENTARE
La potestà regolamentare spetta:
- allo Stato, nelle materie di legislazione statale esclusiva, salvo la possibilità di delegarla alle regioni;
- alle regioni, in ogni altra materia.
L’attribuzione alle regioni della potestà regolamentare nelle materie di competenza concorrente crea non
pochi problemi. La difficoltà di individuare con precisione le materie di competenza legislativa si ripercuote
sulla definizione degli spazi di esercizio della potestà regolamentare di stato, regioni e enti locali;
rafforzando le ragioni di coloro che criticano la scelta di suddividere la competenza legislativa fra Stato e
Regioni sulla base di elenchi di materie.
6. I RAPPORTI DELLE REGIONI CON ALTRI SOGGETTI
○ Rapporti internazionali: le regioni possono concludere, nelle materie di loro competenza, accordi
internazionali sia con stati con enti sub-nazionali non italiani.
○ Rapporti con l’unione europea: il Trattato di Lisbona ha espressamente riconosciuto il ruolo del sistema
delle autonomie regionali e locali. Le regioni partecipano alla fase ascendente e discendente del diritto
dell’Ue: concorrono sia alla formazione che all’esecuzione e attuazione degli atti dell’Unione.
○ Rapporti con lo Stato: sono previste specifiche forme di coordinamento fra Stato e regioni, disciplinate
dalla legge statale. Nel 1988 è stata istituita la Conferenza permanete per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome, la quale rappresenta il luogo centrale del negoziato fra Stato e regioni,
○ Rapporti con le altre regioni: la regione può concludere intese con altre regioni per il miglior esercizio
delle proprie funzioni e istituire a tale scopo organi interregionali comuni.
○ Rapporti con gli enti locali: i rapporti con gli enti locali devono svolgersi nel rispetto del principio della
leale collaborazione. Ogni regione si è dotata di un consiglio delle autonomie locali, quale organi di
consultazione tra regioni e enti locali.
7. L’ORDINAMENTO DEI COMUNI E DELLE PROVINCE
ASPETTI GENERALI
La Costituzione prevede la potestà degli enti locali di darsi uno statuto, prevede inoltre una potestà
regolamentare oltre che un’autonomia impositiva, finanziaria, organizzativa e amministrativa. Essa inoltre
stabilisce che tutte le funzioni amministrative spettano ai comuni, salvo che per assicurarne l’esercizio
unitario siano conferite alle province, regioni o Stato.
Secondo il Tuel (Testo unico enti locali), i comuni e province sono “enti che rappresentano la propria
comunità, ne curano gli interessi e ne promuovono lo sviluppo”, si tratta quindi di enti a fini generali, nel
senso che di certe funzioni devono necessariamente occuparsi.
LE FUNZIONI DEGLI ENTI LOCALI
L’art. 118 della Costituzione stabilisce che “i comuni, le province, e le città metropolitane sono titolare di
funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con la legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze”. Spetta allo Stato direttamente la potestà legislativa su: legislazione elettorale, organi di
governo, funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.
Le funzioni attribuite ad enti locali sono spesso definite: proprie, conferite, attribuite, fondamentali. Si è
molto discusso su tali espressioni anche perché il Tuel non individua specificatamente le funzioni degli enti
locali, ma ne demanda l’individuazione alla legislazione statale.
GLI ALTRI ORGANI DI GOVERNO COMUNALE E PROVINCIALE
L’organizzazione di comuni e province è praticamente la stessa. I loro organi necessari sono:
- sindaco e presidente;
- consiglio;
- giunta.
Sindaco e presidente della provincia sono eletti a suffragio universale diretto a maggioranza assoluta dei voti
validi, nel caso non sia conseguita si ricorre al ballottaggio tra i primi due. Nei comuni fino a 15.000 abitanti
si è eletti a maggioranza relativa. Durano in carica 5 anni e non possono essere immediatamente rieletti se
hanno già esercitato due mandati consecutivi. Il sindaco nomina e revoca gli assessori che con lui
compongono la giunta. Esiste incompatibilità tra la carica si assessore e consigliere.
Consiglio: il consiglio è definito come organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo. Esso ha la
competenza di approvare una serie di atti fondamentali dell’ente (statuto, bilancio), deve dettare gli indirizzi
su come il sindaco e la giunta devono agire e deve verificare se questi assolvono alle funzioni esecutive.
Giunta: la giunta insieme al sindaco rappresenta il governo dell’ente. Essa ha una competenza generale, cioè
fa tutto quello che la legge o lo statuto non attribuiscono alla competenza del sindaco e del consiglio.
Sindaco: il sindaco porta la responsabilità di tutta l’amministrazione del comune:
- rappresenta l’ente, convoca e presiede la giunta;
- sovrintende all’esercizio da parte del comune delle funzioni ricevute da Stato o regione;
- adotta provvedimenti d’urgenza in materia di sanità e igiene pubblica;
- coordina e organizza gli orari dei negozi, servizi ed enti pubblici;
- nomina e revoca tutti i rappresentanti del comune in altri enti;
- nomina i responsabili di uffici e servizi.
Il sindaco sovrintende anche a: registri dello stato civile, adempimenti in materia elettorale, funzioni in
materia di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria, ecc..
Forme di governo: il sindaco cessa la carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia da parte del
consiglio, questa deve essere approvata a maggioranza assoluta sulla base di una mozione motivata e firmata
da almeno 2/5 dei consiglieri. In questo caso anche il consiglio si scioglie e si va a nuove elezioni. Lo stesso
accade quando il sindaco cessi per qualsiasi altra ragione: dimissioni, impedimento, morte. Allo scioglimento
si provvede anche quando si dimetta contestualmente la metà più uno dei consiglieri.
Si tratta si una forma di governo di legislatura a vertice monocratico elettivo, sindaco e consiglio sono eletti
contestualmente, se cessa uno cessa l’altro.
Status degli eletti: la legge prevede istituti volti a garantire che il cittadino eletto a funzioni pubbliche locali
possa disporre del tempo necessario, senza danni economici. Disciplina perciò il regime delle aspettative,
permessi, indennità e rimborsi. Naturalmente sono fissati anche una serie doveri degli amministratori, essi
devono agire in maniera imparziale e devono rispettare la distinzione tra le proprie funzioni e quelle a cui
sono preposti (distinzione tra politica e amministrazione).
Segretario comunale: per decenni al vertice della struttura amministrativa vi è stato il segretario comunale.
Questa figura ha subito una notevole trasformazione recentemente: esso è diventato una figura autonoma dal
governo, dall’altro è diventato un collaboratore con funzioni si assistenza giuridico-tecnica dell’ente. Egli ha
il compito di far si che tutti gli atti e le attività dell’ente siano conformi alla legge e allo statuto. Il segretario
è nominato dal sindaco che lo sceglie fra i segretari iscritti all’albo.
GLI ALTRI ENTI LOCALI
Atri enti locali sono:
- città metropolitane: in 9 aree che includono le maggiori città, su proposta degli enti locali e previo
referendum popolare, può essere istituito un ente locale denominato “città metropolitana” e dotato di un
speciale ordinamento che lo distingue sia dal comune sia dalla provincia. Scopo di tale ente è l’integrazione
economico-sociale e la gestione congiunta delle funzioni fra comune capoluogo e comuni limitrofi.
- Roma “capitale della Repubblica”: è prevista una disciplina speciale per la città di Roma, si tratta di un
solo comune dotato delle funzioni amministrative proprie della città metropolitana più di altre ancora.
- unioni dei comuni: sono enti locali costituiti da due o più comuni per esercitare insieme una pluralità di
funzioni. È tipico di comuni di piccoli dimensioni e spesso rappresenta il presupposto di una successiva
fusione, anche se non obbligatoria.
- comunità montane e comunità isolane: previste dall’ordinamento fino al 2009. Le prime erano unioni di
comuni montani, le seconde erano unioni di comuni costituite da comuni appartenenti ad un’isola o a un
arcipelago.
Non sono invece enti locali:
- municipi: che sono partizioni amministrative all’interno dei soli comuni. Lo statuto comunale ne disciplina
organizzazione e funzionamento.
- circoscrizioni: organismi di partecipazione, consultazione all’interno dei comuni oltre i 250.000 abitanti.
- circondari: partizioni all’interno delle province, soppressi nel 2009.
Per svolgere le funzioni in maniera coordinata gli enti locali possono far ricorso ad una serie di strumenti:
- convenzioni: ovvero accordi o contratti che definiscono ciò che i comuni intendono fare, nonché i
reciproci obblighi;
- accordi di programma: promossi dall’ente maggiormente interessato, fa sì che i soggetti interessati
si debbano riunire per raggiungere insieme e contestualmente un accordo vincolante per tutti.
8. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE E IL PRINCIPIO DELLA SUSSIDIARIETA’
Le funzioni amministrative di comuni, province, regioni e Stato sono disciplinate dall’art. 118 della
Costituzione. I criteri con i quali tale funzioni sono suddivise sono molteplici:
- principio di sussidiarietà verticale: in base ad esso le funzioni spettano di regola all’ente più vicino al
cittadino, l’intervento degli enti superiori è successivo e sussidiario e deve essere giustificato da esigenze di
carattere unitario. A tale principio di affiancano:
→ principio di adeguatezza: il livello di governo individuato dalla legge deve essere in grado di gestire
quella funzione.
→ principio di differenziazione: si esige che il conferimento delle funzioni amministrative avvenga in modo
ragionevole, disciplinando in modo eguale situazioni eguali e in modo differente situazioni differenti. La
Corte costituzionale potrà poi valutare se ci sono delle ragioni che giustificano l’attribuzione ad un livello
superiore di una determinata funzione.
- principio di sussidiarietà orizzontale: che si affianca a quello verticale. In forza del quale tutti gi enti
territoriali che costituiscono la Repubblica, compreso lo Stato, sono tenuti a favorire l’autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
9. L’AUTONOMIA FINANZIARIA E FISCALE DELLE REGIONI ED ENTI LOCALI
Le regioni, i comuni e le province hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, dispongono di un
proprio patrimonio, e possono indebitarsi ricorrendo al mercato dei capitali, ma solo per compiere spese di
investimento (costruzione di un ponte per es) non per sostenere spese correnti (stipendi personale). Sui
prestiti è espressamente esclusa la garanzia dello Stato.
Le risorse ordinarie delle regioni e degli enti locali sono di diversa origine:
- tributi ed entrate proprie: ossia fonti di finanziamento autonome, derivanti solitamente dall’esercizio di
poteri impositivi. Essi rappresentano i corrispettivi per i servizi pubblici offerti alla collettività;
- compartecipazione al gettito di tributi erariali (statali): che sono riferibili al loro territorio;
- entrate derivanti da un fondo perequativo: istituito con legge statale, per garantire una distribuzione di
risorse finanziarie in funzione di perequazione a vantaggio dei territori la cui capacità fiscale pro capite è più
bassa. Tali risorse vanno trasferite senza vincolo di destinazione, ossia senza predeterminazione di specifiche
finalità.
Tutte queste fonti di finanziamento devono permettere la copertura delle spese derivanti dall’esercizio delle
funzioni assegnate a ciascun ente territoriale. È questo il principio della congruità tra funzioni e risorse
finanziarie. Sono previsti, altresì, trasferimenti ulteriori dello Stato a favore di determinati enti per specifiche
finalità, quando si tratti di promuovere lo sviluppo economico e sociale. In tal caso è possibile stabilire un
fondo di destinazione.
Autonomia fiscale e finanziaria: l’autonomia finanziaria delle regioni, comuni e province, deve svolgersi in
ogni caso “in armonia con la Costituzione” e “ secondo i principi di coordinamento della finanzia pubblica e
del sistema tributario”. Il coordinamento finanziario e fiscale è una funzione volta a unificare i diversi
sistemi finanziari e tributari degli enti che costituiscono la Repubblica. Ciascun ente può fare politiche di
bilancio autonome, ma esse devono essere ricondotte al principio di coerenza.
Il coordinamento finanziario è finalizzato ad adempiere agli obblighi derivanti dal patto di stabilità e crescita,
che stabilisce limitazioni alla capacità di spesa delle regioni e enti locali anche attraverso controlli e obblighi
di informazione.
10. I POTERI DI CONTROLLO DELLO STATO
La riforma del titolo V della Costituzione ha determinato la scomparsa della figura del commissario del
governo. Sono state eliminate anche tutte le forme di controllo preventivo, l’unica forma di controllo che è
rimasta è quella di legittimità costituzionale.
La Costituzione tuttavia non priva lo Stato di importanti poteri di controllo:
○ il potere sostitutivo è attribuito al governo dei confronti degli organi regionale e degli enti locali in una
serie di casi:
- mancato rispetto di norme e trattati internazionali e della normativa europea;
- pericolo grave di incolumità e la sicurezza pubblica;
- tutela dell’unità giuridica e unità economica della Repubblica.
Il potere sostitutivo deve essere esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale
collaborazione. La Corte costituzionale ha stabilito inoltre una serie di elementi che devono caratterizzare
l’esercizio dei poteri sostitutivi:
- tali poteri devono essere previsti e disciplinati dalla legge;
- la sostituzione può prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attività prive di discrezionalità
rispetto alla necessità del loro svolgimento;
- il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo;
- la legge deve apprestare congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo.
○ Il controllo statale sugli organi regionali consiste nello scioglimento del consiglio regionale e nella
rimozione de presidente della regione come extrema ratio:
- nel caso in cui il presidente o il consiglio abbiano compiuto atti contrati alla Costituzione o gravi
violazioni della legge;
- quando lo impongano ragioni di sicurezza nazionale.
Essi sono disposti con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri.
○ Il controllo statale sugli organi degli enti locali consiste nello scioglimento dei consigli comunali e
provinciali e può essere determinato:
- dal compimento di atti contrari alla Costituzione, per gravi violazioni di legge;
- dalla non approvazione del bilancio entro i termini stabiliti dalla legge;
- da fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
Le stesse cause possono portare alla rimozione dei singoli amministratori locali.
○ sempre maggiore rilevanza assumono le forme di controllo interno a partire dal controllo di gestione,
volto a verificare a quantità, la qualità e il costo dei servizi effettivamente seri e delle prestazioni fornite. Il
controllo esterno, invece, è affidato alla Corte dei conti tramite le sedi regionali.
11. REGIONI A STATUTO SPECIALE
Ad alcune regioni sono attribuite forme e condizioni particolare di autonomia, sulla base di statuti
speciali. Essi vengono adottati tramite legge costituzionale, che definisce il profilo di autonomia di ciascuna
regione. Le regioni speciali hanno sempre avuto:
- una potestà legislativo in un numero di materie più ampio rispetto a quello previsto per regioni ordinarie;
- una competenza legislativa esclusiva in alcune materie;
- un’ampia autonomia finanziaria, anche impositiva, sulla base di normative diverse che assicurano risorse
ingenti a tutte le regioni speciali.
Per quanto riguarda la forma di governo invece l’elezione del presidente della regione avviene a suffragio
universale diretto, contestualmente all’elezione del consiglio regionale.
CAP. VIII – LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
1. LE AMMINISTRAZIONI FRA DIRITTO COMUNE E AMMINISTRATIVO
L’attività amministrativa si distingue dall’attività normativa. La prima consiste nel provvedere con atti
speciali alla cura di determinati interessi pubblici, la seconda invece si occupa di prevedere casi e situazioni a
cui applicare norme generali ed astratte. L’attività amministrativa inoltre interviene a prescindere dal
verificarsi di una controversia, in posizione di imparzialità.
Le pubbliche amministrazioni possono operare come:
- autorità amministrative, in tal caso operano in una situazione si supremazia utilizzando gli
strumenti propri del diritto amministrativo, ovvero un insieme di regole speciali volte a garantire il
perseguimento di un pubblico interesse.
- soggetti erogatori di servizi pubblici, in tal caso tendono ad utilizzare gli strumenti propri del
diritto privato o comune, ponendosi sullo stesso piano dei soggetti con i quali entrano in contatto.
→ Fra le regole speciali hanno particolare importanza le procedure di affidamento collegate ai contratti
pubblici. Attraverso i quali le amministrazioni selezionano il soggetto con cui stipulare un contratto per
l’acquisizione di servizi, di forniture, o per l’esecuzione di opere pubbliche. Prima dell’aggiudicazione si
svolge un articolato procedimento amministrativo volto a garantire il perseguimento dell’interesse pubblico.
→ Spetta alla legge stabilire quale regime deve essere seguito, se quello proprio del diritto privato o
amministrativo, ma la legge può lasciare all’autorità amministrativa tale scelta:
- l’attività discrezionale si ha nei casi in cui la legge lascia alla PA un margine di scelta circa le
modalità di esercizio del potere;
- l’attività vincolata si ha nei casi in cui la PA, in presenza di determinati presupposti, deve
necessariamente adottare una determinata decisione.
Produzione beni/servizi: la produzione dei beni o dei servizi può essere svolta:
- attraverso l’”amministrazione diretta”;
- attraverso l’istituzione di appostiti enti o aziende pubbliche “amministrazione per enti” (es. ASL);
- attraverso la regolazione di soggetti provato che operano sul mercato “amministrazione per regole”.
Dal primo dopoguerra si affermò in Europa il Welfare State, furono così creati appositi enti pubblici,
controllati e finanziati dallo Stato (servizi pubblici in senso soggettivo). A partire dagli anno Settanta tuttavia
si è sviluppata la tendenza a ricorrere sempre più frequentemente al mercato, stabilendo delle regole per la
produzione di beni e servizi da parte dei provati (servizi pubblici in senso oggettivo). In alcuni casi si è scelto
invece una strada intermedia, affidando il servizio a società di capitale cui concorrono le stesse
amministrazioni pubbliche (società miste).
2. L’ORGANIZZAZIONE PER MINISTERI E PER ENTI
L’unità organizzativa dell’amministrazione centrale è rappresentata dai ministeri. Ad essi spettano compiti di
amministrazione diretta, di indirizzo e vigilanza nei confronti degli enti che operano nello stesso settore.
I ministeri italiani sono:
- ministero degli affari esteri: si occupa della politica estera e dei rapporti internazionali;
- ministero dell’interno: svolge compiti relativi all’amministrazione civile e di sicurezza pubblica;
- ministero della giustizia: si occupa dell’organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia;
- ministero della difesa: si occupa della difesa e della sicurezza militare dello Stato;
- ministero dell’economia e delle finanze: si occupa del controllo dell’entrata e della spesa;
- ministero dello sviluppo economico: a cui sono attribuite funzioni in materia di industria, artigianato,
energia, ecc..;
- ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali: svolge funzioni di coordinamento in sede
europea in materia di agricoltura, alimentazione e foreste;
- ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare: svolge compiti diretti alla tutela
dell’equilibrio ecologico del territorio;
- ministero del lavoro e delle politiche sociali: spettano funzioni in materia di politiche del lavoro e di
occupazione;
- ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
- ministero per i beni e attività culturali: compiti di tutela del patrimonio;
- ministero della salute: tutela della salute umana, veterinaria e degli alimenti.
Tale modello ministeriale è stato ereditato dal Regno di Sardegna, e ispirato al modello della Francia
napoleonica. Esso è stato tuttavia modificato attraverso una serie di riforme negli anni Novanta:
- decentramento regionale e locale, che ha progressivamente trasferito funzioni e risorse dal centro
agli enti regionali e locali;
- la costituzione di enti pubblici, dotati di autonoma personalità giuridica;
- le privatizzazioni, che hanno investito il settore delle partecipazioni statali: in particolare degli enti
pubblici economici (Eni, Enel), degli istituti di credito e delle casse di risparmio;
- la costituzione di agenzie che svolgono attività a carattere tecnico-operativo già esercitate da
ministeri ed enti pubblici;
- il progressivo diffondersi di autorità amministrative indipendenti, che hanno assunto compiti di
regolazione amministrazione di interi settori prima affidati ai ministeri.
All’interno dei ministeri sono previsti numerosi organi consultivi e di controllo. Gli organi ausiliari del
governo istituiti direttamente dalla Costituzione sono due:
- il Consiglio di stato: organi di consulenza giuridico-amministrativa del governo. Che può esprimersi con
pareri facoltativi o pareri obbligatori. In ogni caso il governo è libero di uniformarsi o meno alle indicazioni
del Consiglio;
- la Corte dei conti: esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e il controllo
successivo sulla gestione del bilancio dello stato.
Tra gli organi annoverati dalla Costituzione vi è anche il Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del
lavoro.
3. L’ORGANIZZAZIONE PER AUTORITA’ INDIPENDENTI
Le autorità indipendenti sono collocate in posizione autonoma rispetto al governo e formate da personalità
scelte in modo stabiliti, per mantenere l’autonomia e l’indipendenza del giudizio. Esse sono:
- Commissione nazionale per le società e la borsa: vigila sui mercati finanziari e di borsa;
- Istituto per la vigilanza delle assicurazioni: funzioni di controllo e di regolazione delle imprese assicur;
- Autorità garante della concorrenza: funzioni di antitrust a tutela della concorrenza;
- Commissione di garanzia degli scioperi: compiti di regolamentazione dello sciopero dei servizi pubblici
essenziali;
- Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture: volta a garantire il rispetto
dei principi di correttezza e trasparenza nelle procedure di scelta dei contraenti;
- Autorità dell’energia elettrica e gas: regola l’attività delle aziende di pubblica utilità sul rispetto di regole
volte a garantire adeguati livelli di qualità nei servizi;
- Garante per la protezione dei dati personali: volto a garantire che il trattamento dei dati personali si
svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali;
- Garante delle telecomunicazioni (Agcom): regolamentare il servizio delle radio telecomunicazione a
tutela del pluralismo informativo.
Tali autorità sono nominate nei modi più diversi e agiscono secondo moduli fra loro non omogenei. Contro
le decisioni delle autorità è ammesso il ricorso al giudice amministrativo.
Un’altra autorità indipendente è la Banca d’Italia il cui governatore, nominato per sei anni con mandato
rinnovabile una sola volta, gode di notevoli garanzie di autonomia. La banca d’Italia, che può emettere
banconote solo autorizzazione della BCE, svolge il servizio di tesoreria dello stato. Inoltre ha compiti di
regolazione, vigilanza e tutela della concorrenza nei confronti delle aziende bancarie, dei gruppi bancari e
degli intermediari finanziari.
4. I PRINCIPI COSTITUZIONALI RELATIVI ALLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Le pubbliche amministrazioni agiscono secondo una serie di principi costituzionali:
- Principio del’autonomia: l’amministrazione è affidata agli enti locali e regionali, tendenzialmente più
vicini agli interessi da soddisfare, secondo il principio di sussidiarietà.
- Principio del decentramento: le attività che non sono svolte dagli enti locali ma dallo stato devono essere
decentrate sia a livello burocratico che istituzionale (obiettivo quasi mai raggiunto).
- Riserva di legge: per quanto riguarda l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni è previsto che i
pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di leggi. Si tratta di una riserva di legge relativa, che
fissa solo i criteri generali di organizzazione.
- Principio di legalità: la PA deve operare conformemente alla legge, non solo nei limiti della stessa. Gli atti
amministrativi contrati a norme di legge possono essere disapplicati.
- Principio del buon andamento: impone efficacia, efficienza ed economicità dell’intervento della PA. Per
“efficacia” si intende il grado di corrispondenza fra obiettivi preposti e risultati conseguiti, per “efficienza” si
intende il rapporto tra risultati e quantità di risorse impegnate, per “economicità” si intende il minor impiego
possibile di risorse. Per conseguire tali fini esiste la conferenza dei servizi, che viene convocata se un‟
amministrazione non porta a termine un obiettivo.
- Principio di imparzialità: esso richiede la ponderazione e composizione degli interessi pubblici da
soddisfare con gli interessi privati da sacrificare. Inoltre stabilisce il divieto di discriminazioni.
- Distinzione tra attività di governo e gestione amministrativa: l’attività di governo è affidata agli organi
di governo politicamente responsabili. La gestione amministrativa è invece affidata agli apparati
amministrativi. I primi individuano gli obiettivi che si devono raggiungere, la realizzazione di tali obiettivi
spetta all’amministrazione.
- Principio di responsabilità delle PA e dei funzionari: i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti
pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritto. Questo non esclude
necessariamente la responsabilità della PA.
- Principio dell’accesso mediante concorso: salvo i casi in cui la legge preceda l’assunzione nominativa.
- Regime speciale dei beni pubblici: la PA è titolare di beni denominati beni pubblici. Il codice civile
distingue tra demanio pubblico (fiumi, laghi); patrimonio indisponibile (miniere); patrimonio disponibile
(restanti beni). I beni appartenenti al demanio sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti di
terzi, quelli appartenenti al patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non
nei modi stabiliti dalla legge.
5. PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
L’attività delle PA è articolata in una serie di atti tra loro connessi, di competenza di una o più specifiche
amministrazioni, volte al raggiungimento del fine perseguito attraverso l’adozione di un provvedimento
finale. Il procedimento amministrativo di distingue in 4 fasi distinte:
fase iniziativa: l’atto iniziale del procedimento può consistere in un’istanza del soggetto
interessato al provvedimento finale oppure in un’autonoma scelta della stessa amministrazione
procedente (procedimento d’ufficio);
fase istruttoria o preparatoria: l’amministrazione raccoglie tutti i dati e le informazioni
necessari in vista dell’adozione dell’atto finale;
fase costitutiva o deliberativa: consiste nell’adozione del provvedimento finale, secondo per
modalità previste dalla legge;
fase integrativa dell’efficacia: una volta adottato l’atto finale si compiono tutti gli
adempimento generalmente previsti per consentirgli di produrre gli effetti giuridici (forme di
pubblicità).
Tutto ciò rispetta il principio del giusto procedimento, che tende a garantire forme di pubblicità e di
trasparenza. Tale principio di basa:
- obbligo di motivazione degli atti amministrativi;
- trasparenza amministrativa;
- individuazione di un responsabile per il procedimento;
- il diritto di accesso agli atti da parte dei soggetti interessati;
- la partecipazione dei soggetti interessati all’istruttoria;
- il contradditorio tra soggetti portatori di interessi diversi;
- l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso entro il termine stabilito.
6. GLI ATTI AMMINISTRATIVI
GLI ATTI AMMINISTRATIVI TIPICI
Le amministrazioni pubbliche producono atti amministrativi tipici, caratterizzati da un regime particolare:
○ Sono emanati seguendo determinate procedure amministrative. Gli atti amministrativi sono perfetti
perché sono emanati a conclusione di un procedimento ed efficaci se non sono sottoposti a termine o
condizione. Essi tuttavia possono essere invalidi, ovvero nulli (se manca un elemento essenziale) o illegittimi
(se è emanato in violazione dei principi e delle regole che disciplinano l’attività delle PA. Nei casi di
illegittimità l’atto può essere annullato quando risulta viziato:
- per incompetenza dell’autorità che lo ha emanato;
- per violazione di legge nei contenuti dell’atto;
- per eccesso di potere, esso riguarda il cattivo uso del potere discrezionale da parte dell’amministrazione.
○ Sono atti sottoposti a verifiche anche preventive sulla loro legittimità e talvolta sul merito (cioè
sull’opportunità delle scelte effettuate con l’atto stesso), attraverso specifici controlli.
○ Sono atti imperativi e informati al principio dell’autotutela. L’imperatività fa sì che la modificazione
della sfera giuridica del destinatario dell’atto non richieda la collaborazione di questo. L’autotutela consente
all’amministrazione di realizzare anche con la forza le situazioni di vantaggio determinato dal proprio
provvedimento, senza l’ausilio del giudice.
○ Sono atti giustiziabili.
LE ORDINANZE DI NECESSITA’
Una tipologia particolare di atti amministrativi è costituita dalle ordinanze di necessità. Essi sono
provvedimenti volti a fronteggiare in modo tempestivo situazioni di emergenza. È la stessa legge che
permette all’autorità amministrativa di intervenire. Esistono diverse tipologie di ordinanze:
- ordinanze di protezione civile: una volta deliberato lo stato di emergenza del Consiglio dei Ministri, il
presidente del Consiglio o un commissario straordinario appositamente nominato, provvedono all’attuazione
degli interventi di urgenza. Le ordinanze devono essere pubblicate sulla Gazzetta ufficiale;
- ordinanze di sicurezza urbana: sono adottate dal sindaco con atto motivato nel rispetto dei principi
generali dell’ordinamento al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità
pubblica e la sicurezza urbana, oppure in caso di emergenza igenico-sanitaria.
Tali ordinanze sono state oggetto di polemiche: le prime perche sono spesso usate anche in occasione di
grandi eventi per sopperire ad inefficienze e ritardi burocratici, le seconde perché talvolta sono usate
disinvoltamente da alcuni sindaci.
7. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI E DEGLI INTERESSI LEGITTIMI
La Costituzione stabilisce che contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti
e degli interessi legittimi. A tutti è data la possibilità di ricorso presso gli organi della giustizia
amministrativa o presso i tribunali ordinari.
In Italia vige un sistema dualistico di giustizia amministrativa, la tutela dei cittadini contro la PA è affidata al
giudice amministrativo. Se il soggetto colpito da atto amministrativo vede leso un diritto soggettivo, la
competenza è del giudice ordinario; se viene leso un interesse legittimo la competenza è del giudice
amministrativo.
Accanto ai rimedi giurisdizionali esistono i rimedi amministrativi, detti paragiurisdizionali.
Il soggetto leso può rivolgersi:
- alla stessa amministrazione che ha emanato l’atto (ricorso in opposizione);
- al superiore gerarchico dell’autorità che ha emanato l’atto (ricorso gerarchico).
È previsto anche il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: in tal caso il termine per far ricorso è
doppio (120 giorni) e non è necessario farsi patrocinare da un avvocato.
CAP. XIV – LE GARANZIE GIURISDIZIONALI
Per garantire l’armonia e la pace interna di un gruppo sociale è sempre stata prevista la presenza di giudici:
figure preposte al compito di garantire l’osservanza delle regole della convivenza sociale.
Risalgono alle fine del 1700 le prime teorizzazioni della divisione dei poteri; mentre il problema della piena
indipendenza della magistratura (sia interna, cioè di ciascun magistrato in relazione ai magistrati superiori,
sia esterna, nei confronti di altri poteri) si cominciò a porre dalla fine dell’Ottocento.
2. LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
Funzione giurisdizionale: funzione statale diretta all’applicazione della legge, attivata su impulso delle
parti, per risolvere un conflitto o una controversia, esercitata ad opera di un soggetto terzo, vincolato solo
alla legge, nel rispetto del principio del contradditorio fra le parti, della pubblicità del procedimento e della
motivazione delle decisioni. Il giudice deve essere passivo nel senso che non sta al giudice promuovere
l’azione, deve essere terzo perché se tale non fosse non sarebbe accettato dalle parti, deve essere vincolato
alla sola legge. La pubblicità del procedimento è a garanzia della sua correttezza, mentre la motivazione
serve a consentire forme di controllo successivo (o di secondo grado).
Tale definizione differenzia la funzione giurisdizionale rispetto:
- alla funzione legislativa, il cui compito è di creare disposizioni legislative;
- alla funzione esecutiva - amministrativa, il cui compito è di dare esecuzione a norme di legge, con lo
scopo di perseguire pubblici interessi.
Parti: a seconda del tipo di giurisdizione, diversi sono nome e ruolo delle parti:
- si chiamano attore e convenuto nel processo civile;
- pubblico ministero (che rappresenta la potestà punitiva dello Stato) e imputato nel procedimento penale;
- ricorrente e resistente nel processo amministrativo (nel quale a resistere è sempre la PA).
Sentenza: tipica espressione della funzione giurisdizionale, si tratta dell’atto processuale del giudice col
quale questi risolve la questione sottoposta alla sua attenzione.
3. L’ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA
La Costituzione stabilisce che “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinati istituiti e
regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. I giudici ordinari hanno giurisdizione generale in
materia civile e penale. Al vertice della giustizia ordinaria è posta la Corte di cassazione con sede in Roma.
La giurisdizione ordinaria si articola in 29 distretti giudiziari, i quali fanno capo ad altrettanti corti d’appello.
→ Per le cause in materia civile sono previsti:
- giudice di pace: decide da solo e ha una competenza limitata a cause minori;
- tribunale: le cui sentenze possono essere impugnate presso la corte d’appello;
- corte d’appello: giudice collegiale (tre giudici) di secondo grado.
→ Per i procedimenti in materia penale sono previsti:
- giudice di pace: le cui decisioni sono appellabili presso il tribunale;
- tribunale: giudice di primo grado le cui decisioni sono appellabili presso la corte d’appello;
- corte d’appello: giudice collegiale di secondo grado.
Per i reati più gravi, a tribunali e corti d’appello si affianca la corte d’assise. Si tratta di organi collegiali,
caratterizzati dal fatto che a fianco di 2 giudici siedono sei giudici popolari. La possibilità di ricorso in
cassazione contro le sentenze di appello si limita alle solo questioni di legittimità, che attengono al rispetto
della legge e delle norme di procedura. Tra le funzioni della Corte di cassazione fondamentale è quella di
assicurare l’uniforme interpretazione della legge. Si tratta della funzione nomofilattica.
Magistrati requirenti: accanto ai magistrati con funzioni giudicanti si collocano i magistrati con funzioni
requirenti. Sono questi i magistrati del pubblico ministero: presso ogni tribunale vi è una procura della
Repubblica, presso ogni corte d’appello, una procura generale della Repubblica, infine la procura generale
presso la Corte di cassazione. Compito dei magistrati con funzioni requirenti è quello di perseguire
l’interesse generale della giustizia. Essi rappresentano la pubblica accusa, sono dunque una parte e non
partecipano della passività e terzietà propria del giudice.
Giudici straordinari e giudici speciali: la Costituzione stabilisce il divieto di istituire giudici straordinari,
cioè giudici creati dopo l’accadimento del fatto da giudicare, o giudici speciali, cioè giudici con competenze
ritagliate in base agli interesse o materie in questione.
4. LE GIURISDIZIONI SPECIALI
La Costituzione prevede alcune giurisdizioni speciali:
GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA: i giudici amministrativi hanno competenza per le controversie che
vedono coinvolta la PA. In relazione all’organizzazione territoriale sono previsti i Tribunali amministrativi
regionali (Tar), si tratta di giudici collegiali competenti in primo grado, le cui sentenze sono appellabili
presso il Consiglio di stato.
GIUSTIZIA CONTABILE: i giudici contabili hanno una giurisdizione riservata in materia di contabilità
pubblica e nelle altre materie stabilite dalla legge. Essi giudicano sulla responsabilità amministrativa e
contabile di impiegati, tesorieri delle PA: la prima riguarda i danni recati all’amministrazione, la seconda il
maneggio di pubblico danaro.
GIUSTIZIA MILITARE: i tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In
tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze armate.
5. AUTONOMIA E INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA
La Costituzione stabilisce che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere”, “ i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
○ Ad ulteriore conferma della loro autonomia essi sono nominato solamente dopo il superamento di un
pubblico concorso. La nomine diretta di magistrati onorari è disciplinata dalla legge.
○ L’autonomia dei magistrati è rafforzata dalla garanzia della loro inamovibilità: essi non possono essere
dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi se non inseguito a decisione del consiglio superiore
della magistratura, adottata o per i motivi stabiliti dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso.
○L’indipendenza della magistratura va considerata sotto due profili:
- profilo esterno, il costituente ha voluto garantire una notevole autonomia del potere giudiziario da
interferenze di altri poteri;
- profilo interno, relativo ai rapporti tra i magistrati dello stesso ordine giudiziario.
Giudici popolari: la Costituzione prevede la partecipazione attiva dei cittadini all’attività giudiziaria. Oggi
essa è prevista solo all’interno delle corti d’assise, composte da singoli cittadini in veste di giurati.
Pubblico ministero: una posiziona particolare è quella dei magistrati appartenenti agli uffici del pubblico
ministero. Anche in questo caso la Costituzione prevede che siano stabilite apposite garanzie di indipendenza.
La fondamentale garanzia di indipendenza dei magistrati requirenti è l’obbligatorietà dell’azione, ovvero
eguale persecuzione di tutti i reati, da chiunque commessi.
Magistrati giudicanti (giudici) e requirenti (magistrati) fanno parte del medesimo corpo, solo di recente il
passaggio da una funzione all’altra è stato disciplinato il senso restrittivo (separazione delle funzioni), vi è
anche che sostiene la separazione delle carriere.
Particolari condizioni di indipendenza sono assicurate anche agli appartenenti alle giurisdizioni speciali.
6. IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) è l’organo cui la Costituzione affida il compito di occuparsi
delle assunzioni, delle assegnazioni, dei trasferimenti, delle promozioni e dei provvedimenti disciplinari nei
confronti dei magistrati ordinari. Si tratta quindi dell’organo da cui dipende tutta la carriera del magistrato.
Esso ha una composizione mista:
- tre componenti di diritto: il presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente della Corte di
cassazione e il procuratore generale presso la stessa;
- componenti elettivi (chiamati membri togati): sono letti da tutti i magistrati ordinari;
- componenti elettivi (chiamati membri laici): sono eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori in
materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di professione.
La sua composizione serve da un lato a garantire l’autonomia del potere giudiziario, dall’altro a evitare che si
possa creare una vera e propria corporazione di magistrati.
Il Csm elegge, tra i membri del Parlamento, un vicepresidente, il quale esercita le funzioni affidategli dalla
legge. Il Csm opera attraverso commissioni, un ruolo importante lo svolgono le commissioni per il
conferimento degli incarichi direttivi e la sezione disciplinare.
Al presidente spetta il compito di decretare lo scioglimento del Consiglio, sentito anche il parere delle
Camere, qualora ne sia impossibile il funzionamento.
Il Csm dà pareri al ministro della giustizia sui disegni di legge riguardanti l’ordinamento giudiziario, il loro
rapporto deve concretizzarsi in una leale collaborazione.
In relazione alla sezione disciplinare, la funzione del Csm è di decidere l’irrogazione delle sanzioni previste
dalla legge nei confronti dei singoli magistrati giudicati responsabili di comportamenti contrari ai doveri
d’ufficio. La procedura può scaturire su richiesta del ministri della giustizia o del procuratore generale presso
la Corte di cassazione.
Per assicurare l’autonomia e l’indipendenza delle giurisdizioni speciali sono stati istituiti:
- il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa;
- il consiglio di presidenza della Corte dei Conti;
- il consiglio della magistratura militare.
7. I PRINCIPI COSTITUZIONALI DEL PROCESSO
I principi costituzionali in tema di processo tendono a raggiungere due finalità: da un lato, la tutela delle
situazioni giuridiche soggettive dei cittadini; dall’altro, il perseguimento dei responsabili dei comportamenti
delittuosi, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali.
I principali diritti costituzionali sono:
○ diritto di azione e gratuito patrocinato: tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed
interessi legittimi al tempo stesso garantisce ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione. Questo è il fondamento del gratuito patrocinio, che consiste nell’assistenza legale a carico
dello Stato per coloro che non possono permettersela.
○ diritto di difesa: la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
○ giudice naturale: il cittadino a diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori
in relazione a un fatto già verificatosi.
○ giusto processo: ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a
giudice terzo e imparziale, il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione
della prova. Il giusto processo si concretizza nella parità delle armi.
○ ragionevole durata: la legge deve assicurare la ragionevole durata dei procedimenti giudiziari, affinché
procedimenti troppo lunghi non si trasformino in una denegata giustizia.
○ obbligo di motivazione: la motivazione dei provvedimenti permette di controllare il ragionamento
giuridico che sta alla base della decisione e dunque di contestarla al giudice di secondo grado (con
impugnazione). A ulteriore garanzia è prevista la possibilità di ricorso in Cassazione, ma solo per motivi di
legittimità.
○ tra gli altri principi menzioniamo: irretroattività della legge, responsabilità penale personale,
presunzione di non colpevolezza.
8. LA RESPONSABILITA’ DEI MAGISTRATI
Il problema della responsabilità dei magistrati è assai antico. Il nostro ordinamento prevede infatti diverse
forme di responsabilità dei magistrati:
○ responsabilità disciplinare: essa riguarda la condotta professionale e le eventuali violazioni dei doveri
derivanti dal loro ufficio. Titolari dell’azione disciplinare sono il ministro della giustizia e il procuratore
generale presso la Corte di cassazione, competente a giudicare è il Csm. In relazione alla responsabilità
disciplinare la legge ha stabilito che “l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa
rilevanza”. Il Csm ha anche il potere di trasferire un magistrato per incompatibilità ambientale: “per qualsiasi
causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede occupata, svolgere le loro funzioni con
indipendenza e imparzialità.
○ responsabilità giuridica: i magistrati sono responsabili penalmente di ogni reato che commettono
nell’esercizio delle loro funzioni.
○ responsabilità civile: la legge stabilisce che “chiunque abbia subito un danno ingiusto per effetto di un
comportamento, di un atto o provvedimento, posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave
nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato per ottenere il
risarcimento dei danni. Lo stato di potrà poi rivalere sul magistrato. Non possono essere causa di
responsabilità civile l’interpretazione di norme di diritto e la valutazione del fatto e delle prove.
○ responsabilità politica: l’unica forma di responsabilità in senso lato politica a cui i magistrati possono
essere sottoposti è la responsabilità politica diffusa, cioè il potere di critica riconosciuta all’opinione pubblica
in relazione alla condotta di chi ricopre pubbliche funzioni.
9. LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
La Costituzione consente al legislatore ordinario non solo di vietare l’iscrizione formale ad un partito, ma
anche di precludere ai magistrati l’organico schieramento con una delle parti politiche in gioco. L’estraneità
del magistrato alla politica dei partito mira a salvaguardare l’indipendente esercizio delle sue funzioni e
rafforza la garanzia della loro soggezione solo alla legge.
CAP. XV – LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
Le forma fondamentali di garanzia della costituzione sono:
- il procedimento di revisione costituzionale: ha la funzione di garantire la rigidità della costituzione;
- la giustizia costituzionale: ha la funzione di garantire la supremazia della costituzione. Essa assicura il
rispetto delle sue norme, attraverso la risoluzione in forma giurisdizionale delle controversie relative alla
legittimità costituzionale degli atti legislativi o relative alle attribuzioni degli organi e soggetti costituzionali.
All’inizio del XX secolo scoppiò una polemica tra due grandi costituzionalisti tedeschi circa chi dovesse
essere il custode della Costituzione:
- secondo Kelsen, il custode doveva essere una corte costituzionale;
- secondo Schmitt, il custode doveva essere il capo dello stato.
Dopo la 2gm, molte costituzioni recepirono il modello del controllo giurisdizionale di costituzionalità e
istituirono tribunali costituzionali. I principali ambiti in cui opera la giustizia costituzionale sono:
- il controllo di costituzionalità degli atti legislativi sia sotto il profilo formale (conformità di
procedimento) sia sotto il profilo sostanziale (conformità al dettato di norme costituzionali);
- il sindacato sulle controversie tra i diversi organi e soggetti costituzionali relative alle loro
competenze costituzionali;
- la tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.
Esistono diversi sistemi di controllo giurisdizionale di costituzionalità:
- nel sistema diffuso il controllo di costituzionalità è affidato a tutti gli organi giudiziari. Essi, in caso di
contrasto con la Costituzione, disapplicano la legge, con efficacia limitata al caso in esame. Es: USA.
- nel sistema accentrato il controllo di costituzionalità è affidato ad un unico tribunale costituzionale,
istituito ad hoc. Esso elimina dall’ordinamento le norme incompatibili con la costituzione.
I modi di attivazione della giurisdizione costituzionale si distinguono in:
- controllo preventivo e controllo successivo, a seconda che la pronuncia avvenga prima dell’entrata in
vigore dell’atto la cui legittimità costituzionale è in discussione (Fr) o che avvenga dopo la sua entrata (It).
- controllo in via diretta (via d’azione) o controllo in via indiretta (via incidentale), a seconda che sia
consentito, ai soggetti legittimati a farlo, di impugnare direttamente oppure indirettamente (solo a certe
condizioni) gi atti che si assumono contrastanti con la costituzione.
Il Italia la costituente ha introdotto un modello di giustizia costituzionale sia accentrato (istituzione Corte
costituzionale) sia diffuso, tutti i giudici possono attivare lo scrutinio di costituzionalità. Esso inoltre
combina sia l’accesso diretto che indiretto. Per questo di definisce un modello misto.
2. LA CORTE COSTITUZIONALE: COMPOSIZIONE E FUNZIONI
L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale sono disciplinate solo in parte dalla
Costituzione, molte disposizioni sono contenute:
- in alcune importanti leggi costituzionali;
- in disposizioni legislative ordinarie;
- in fonti regolamentari interne adottate dalla Corte costituzionale.
La Corte costituzionale è composta da 15 giudici che sono nominati:
- 1/3 dal presidente della Repubblica;
- 1/3 dal Parlamento in seduta comune;
- 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative.
I giudici costituzionali sono scelti fra i magistrati delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i
professori ordinari di università in discipline giuridiche e gli avvocati con anzianità professionale di almeno
20 anni. I giudici di nomina parlamentare sono eletti con una maggioranza di 2/3 per le prime votazione poi
dei 3/5 dei componenti.
Il mandato dei giudici costituzionali nomina 9 anni, esso non sono rieleggibili. Il presidente della Corte è
eletto dai suoi componenti per 3 anni ed è rieleggibile. Quando allo status di giudice costituzionale, il
relativo ufficio è incompatibile con la carica di parlamentare, consigliere regionale, ecc..
Funzioni: la Corte costituzionale è competente a giudicare:
- sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge
dello stato e delle leggi delle regioni;
- sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e i conflitti tra Stato e regioni;
- sulla accuse promosse dal Parlamento contro il presidente della Repubblica in caso di alto
tradimento o attentato alla Costituzione;
- sull’ammissibilità del referendum abrogativo.
Metodo di lavoro: il metodi di lavoro della Corte costituzionale è improntato al principio di collegialità. Le
decisioni devono essere adottate a maggioranza assoluta, fermo il quorum strutturale di 11 giudici. Le
adunanze si tendono in udienza pubblica, salvo eccezionali motivi legati ad esempio a sicurezza
istituzionale, serenità dei lavori, ecc.. per i quali il presidente può disporre le porte chiuse.
Il presidente nomina, nella fase iniziale dell’esame, un giudice relatore per l’istruzione e la relazione della
causa. Successivamente avvenuta la votazione, viene nominato un giudice redattore del provvedimento: il
testo se approvato, viene sottoscritto dal presidente e dallo stesso redattore.
3. IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE: L’OGGETTO DI PARAMETRO
Oggetto di controllo di legittimità sono:
- le leggi ordinarie dello Stato;
- gli atti aventi forza di legge dello Stato;
- le leggi regionali e le leggi delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Parametro di giudizio sono, in primo grado, le norme costituzionali; in secondo luogo le norme diverse dalla
Costituzione cui la costituzione fa rinvio. Nel nostro sistema sono sottoposti al controllo della Corte
costituzionale esclusivamente gli atti normativi primati. La Costituzione esclude dalla cognizione della Corte
sia le fonti fatti, sia gli atti normativi secondari. Ciò non impediste che gli atti secondari possano essere
giudicati dalla Corte costituzionale, ma sono nell’ambito di una diversa competenza e a fini diversi.
Leggi costituzionali e di revisione costituzionale: oggetto di controllo sono anche le leggi di rango
costituzionale. Esse sono verificate sia dal punto di vista formale che sostanziale, in ogni caso devono essere
coerenti con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
Leggi ordinarie dello Stato, leggi regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano: esse
possono essere impugnate davanti alla Corte costituzionale sia in relazione alla forma e al procedimento sia
in relazione al loro contenuto.
Atti dello Stato aventi forza di legge, decreti legge: la possibilità di giudizio è solitamente successiva alla
conversione del decreto.
Atti dello Stato aventi forza di legge, decreti legislativi: il decreto legislativo è sindacabile anche per la
violazione dei limiti posti dalla legge di delegazione. Le leggi di delegazione rientrano nella categoria delle
norma (parametro) imposte tra la Costituzione e l’atto legislativo oggetto di controllo.
Statuti regionali ordinari: la Corte può essere chiamata a sindacare la legittimità costituzionale degli statuti
delle regioni ordinarie.
4. I VIZI SINDACABILI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
Un atto normativo per essere costituzionalmente legittimo deve essere oltre che esistente (individuato o
individuabile), valido cioè conforme alle norme che ne disciplinano la forma, il procedimento e il contenuto.
Si può parlare di illegittimità costituzionale con riferimento a:
- vizi formali: attengono all’atto in quanto tale, e si hanno quando un atto legislativo non rispetta le
regole che ne disciplinano il procedimento di formazione o la forma di pubblicazione;
- vizi sostanziali: attengono al contenuto dell’atto normativo. Incostituzionalità per vizio sostanziale:
▪ quando il suo contenuto lede la disciplina desumibile da una o più norme costituzionali
discriminazione dei cittadini in base al sesso);
▪ quando il suo oggetto non rispetto l’ambito materiale di competenza assegnato all’atto legislativo
dalle norme costituzionali (legge dello stato che disciplina un ambito regionale).
La giurisprudenza include tra i vizi che possono dar luogo a illegittimità costituzionale anche il vizio di
irragionevolezza della legge.
5. L’ACCESSO AL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
Vi sono due modi di accesso al giudizio di legittimità costituzionale:
- l’accesso diretto “in via d’azione” da parte dello Stato contro leggi regionali e delle regioni
attraverso leggi o atti aventi forza di legge dello Stato;
- l’accesso indiretto “in via incidentale” che si ha quando la questione di legittimità costituzionale di
una legge sorge nel corso di un giudizio.
Tali possibilità:
- permettono alla Corte di giudicare solo sulla questione di legittimità costituzionale;
- limita i ricorsi diretti a soggetti istituzionali qualificati, quali Stato e regioni;
- non prevede il ricorso diretto da parte di ciascun cittadino.
6. I GIUDIZI SULLE LEGGI: IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE
Il giudizio in via incidentale si ha quando la questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata nel
corso di un procedimento davanti a un’autorità giurisdizionale. Il controllo della Corte costituzionale
presuppone quindi l’esistenza di un giudizio, chiamato giudizio principale.
È necessario individuare in primo luogo il giudice a quo. Cioè gli organi che possono promuovere la
questione di legittimità costituzionale. Tale possibilità è estesa, oltre che ai giudici ordinari e amministrativi,
anche ad altri organi dotati di funzioni giudicanti, quali ad esempio la sezione disciplinare del Csm, Corte dei
conti, commissione tributaria.
Requisiti: la Corte costituzionale richiede due requisiti:
- requisito soggettivo, ossia l’esistenza di un giudice, incardinato nell’organizzazione della
magistratura ordinaria o amministrativa;
- requisito oggettivo, ossia l’esistenza di un giudizio in senso tecnico.
Chi solleva la questione: la questione di legittimità può essere sollevata:
- sollevata su istanza di una delle parti del giudizio;
- sollevata d’ufficio da parte dello stesso giudice.
Le parti e il giudice devono precisare i termini e i motivi della questione di costituzionalità individuando:
- le disposizioni della legge che si ritengono viziate;
- le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate.
Condizioni di rilevanza: il giudice a quo deve accertare preliminarmente l’esistenza di due condizioni di
ammissibilità:
- la rilevanza: la questione è rilevante quando ha ad oggetto una disposizione di legge la cui
applicazione è necessaria per definire il giudizio in corso;
- la questione deve essere non manifestamente infondata: ossia ragionevolmente seria e non
pretestuosa.
La presenza di tali condizioni ha carattere indisponibile, se ricorrono il giudice deve (non può) adire alla
Corte. Se il giudice non riscontra l’esistenza delle due condizioni di ammissibilità, respinge con ordinanza
motivata l’eccezione di illegittimità costituzionale per irrilevanza o per manifesta infondatezza.
Il giudice a quo deve svolgere ogni tentativo diretta a verificare se il dubbio di legittimità possa essere
superato per via interpretativa (obbliga di operare interpretazione conforme alla Costituzione).
In presenza dei suddetti elementi il giudice a quo deve sospendere il giudizio in corso.
Deciso il rinvio alla Corte, il giudice a quo provvede a notificare l’ordinanza sia alle parti in causa sia al
pubblico ministero. L’ordinanza con il quale il giudice a quo ha disposto l’invio degli atti alla Corte è
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La pubblicazione serve a far sì che tutti gli operatori del
diritto siano messi al corrente dell’istaurarsi del giudizio di legittimità.
7. I GIUDIZI SULLE LEGGI: IL GIUDIZIO IN VIA D’AZIONE
Il giudizio in via d’azione si apre direttamente mediante:
- Ricorso dello Stato contro leggi regionali che eccedano la competenza della regione
- Ricorso della regione contro leggi e atte aventi forza di legge dello Stato o contro
leggi di altre regioni che ledano la sua sfera di competenza.
L’articolo 127 della Costituzione sottolinea alcuni caratteri del giudizio in via d’azione che lo
rendono diverso rispetto al ricorso in via incidentale, in particolare, il giudizio in via d’azione ha
carattere di procedimento astratto, nel senso che le disposizioni impugnate vengono valutate sotto
il profilo del proprio contenuto prescrittivo a prescindere dalla loro concreta applicazione,(il ricorso,
come atto introduttivo del giudizio deve essere motivato in modo da evidenziare con chiarezza la
questione e lo specifico interesse sotteso).
Il ricorso in via d’azione è disponibile, essendo il giudizio di costituzionalità in questa ipotesi un
giudizio di parti: i soggetti coinvolti possono, non devono fare uso del potere di ricorrere
direttamente alla Corte (potendo risolvere i contrasti insorti con accordi politici).
Fino alla riforma del titolo V della Costituzione (e quindi anche dell’art. 127), c’era un’importante
differenza fra ricorso statale contro una legge regionale e quello regionale contro una legge
statale: il primo aveva carattere preventivo e il secondo aveva carattere successivo. Oggi
entrambe hanno carattere successivo, nel senso che riguardano disposizioni già in vigore ed
entrambi possono essere promossi entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge statale o
regionale.
La titolarità del ricorso è presentata dal presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei
ministri e del presidente della giunta, previa delibera della giunta regionale, indicando l’oggetto e il
parametro.
Quando è promossa questione di legittimità costituzionale in via d’azione, la Corte costituzionale
fissa l’udienza entro 90 giorni. Se la Corte ritiene che l’esecuzione dell’atto impugnato possa
comportare un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento della Repubblica, o il
rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, può sospenderne l’efficacia, in
attesa del giudizio.
Sotto il profilo sostanziale del ricorso, lo Stato può impugnare leggi regionali per qualsiasi vizio di
legittimità costituzionale, invocando qualsiasi parametro costituzionale, invece, le regioni possono
impugnare leggi dello stato o di un’altra regione solo nell’ipotesi di invasione della competenza ad
esse assegnata da norme della Costituzione o da norme legislative interposte, come decreti di
attuazione degli statuti speciali o decreti concernenti il trasferimento di funzioni statali.
8. I GIUDIZI SULLE LEGGI: TIPOLOGIA DELLE SENTENZE
8.1 La Classificazione delle Decisioni in Generale
Il giudizio di costituzionalità sulle leggi, nel caso sia di ricorso in via incidentale sia di ricorso in via
d’azione si chiude con una decisione della Corte costituzionale.
Le decisioni hanno una forma tipica:
- La sentenza, quando la Corte giudica in via definitiva
- L’ordinanza, in tutti gli altri casi (es: i provvedimenti interlocutori, cioè quando la Corte
restituisce gli atti al giudice a quo perché meglio motivi l’ordinanza di rimessione, decisioni
assunte senza entrare nel merito della questione per mancanza di uno dei requisiti
necessari (ordinanze di manifesta inammissibilità), o quando la Corte dichiara la manifesta
infondatezza della questione senza bisogno di verifiche approfondite (concludendo il
giudizio con una ordinanza di manifesta infondatezza)).
Sia le sentenze sia le ordinanze sono incluse in una comune numerazione progressiva annuale.
Mentre le ordinanze sono succintamente motivate, le sentenze hanno una struttura tipica in cui si
distinguono:
a. La motivazione del fatto, cioè l’esposizione dei fatti della causa
b. La motivazione in diritto, cioè le ragioni che giustificano la decisione adottata
c. Il dispositivo, cioè la soluzione della controversia costituzionale
Le decisioni della Corte a seconda del contenuto, possono distinguersi in decisioni processuali
e decisioni di merito: nelle decisioni processuali si lascia impregiudicata la questione di
costituzionalità (essa riguarda pronunce di inammissibilità per difetto di rilevanza o per carenza di
giurisdizione del giudice a quo), mentre nelle decisioni di merito la Corte entra nel merito della
questione di legittimità e la risolve (con una pronuncia di fondatezza o infondatezza).
Le sentenze di merito della Corte possono essere classificate secondo più criteri:
- Secondo l’esito del giudizio che può essere di accoglimento o di rigetto della questione di
costituzionalità. Questo esito può essere raggiunto seguendo diversi percorsi
interpretativi che consentono di trarre da una medesima disposizione più di una norma.
- In base alla tecnica di incisione applicata dalla Corte rispetto alle disposizioni sottoposte
a controllo
8.2 In base all’esito del giudizio: le Sentenze di Accoglimento e le Sentenze di Rigetto
La principale distinzione delle decisioni di merito è tra sentenze di accoglimento e sentenze di
rigetto.
Come sappiamo, il giudizio della Corte è un giudizio comparativo, nel quale vengono messe a
confronto le norme di legge che si assumono viziate (oggetto di controllo) e le norme
costituzionali che si assumono violate (parametro di controllo). Ad esso viene applicato il
principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato; quindi, la decisione deve essere
contenuta nei limiti dell’impugnazione. C’è un’eccezione prevista dall’art. 27: le sentenze della
Corte possono dichiarare l’illegittimità consequenziale, oltre che delle norme impugnate, di altre
norme non indicate nell’ordinanza di remissione o nel ricorso diretto, la cui invalidità deriva come
conseguenza della decisione di accoglimento della questione proposta. Ad esempio, quando è
stata ritenuta incostituzionale la norma sulle quote donna da inserire nelle liste elettorali per
l’elezione dei consigli comunali, la Corte ha eliminato in via consequenziale anche analoghe
disposizione contenute nelle leggi per
l’elezione dei consigli regionali e per
l’elezione delle Camere.
8.3 In base al percorso seguito: le Sentenze Interpretative
Una seconda classificazione delle decisioni di merito si fonda sulla distinzione tra disposizione e
norma e si parla di sentenze interpretative: sono quelle in cui il rigetto (interpretative di rigetto) o
l’accoglimento della questione (interpretative di accoglimento) dipende da quale norma, fra le
diverse possibili, la Corte ricava dal testo sottoposto al suo esame.
- Sentenza interpretativa di accoglimento.
Corte costituzionale giudica fondata la questione e dichiara l’illegittimità costituzionale della
disposizione impugnata (al pari di una
semplice sentenza di accoglimento) ma
in quanto tra le norme (X, Y e Z) che la
disposizione è suscettibile di esprimere
venga dato rilievo ad una di esse
- Sentenza interpretativa di rigetto
La Corte ritiene non fondata la questione
di legittimità (al pari di una semplice
sentenza di rigetto), ma in quanto dalla disposizione impugnata si desuma la norma A e
non la norma B, ossia una norma che elimina il dubbio di costituzionalità.
In sintesi: entrambe implicano una duplice possibilità di decisione, da una stessa disposizione si
possono ricavare almeno due norme alternative, una conforme e una in contrasto con la
Costituzione. Nel caso dell’interpretativa di rigetto, la Corte salva il testo dell’atto legislativo
impugnato dando rilievo alla norma conforme alla Costituzione. Nel caso dell’interpretativa di
accoglimento il giudice ne dichiara l’illegittimità costituzionale dando rilievo alla norma contrastante
la Costituzione. Quando la sentenza interpretativa è di rigetto, l’effetto della pronuncia della Corte
dipende dal fatto che i giudici si adeguino all’interpretazione della Corte stessa, il che non è
scontato perché la pronuncia di rigetto vincola solo il giudice a quo.
8.4 In base alla tecnica di incisione: le Sentenze di Accoglimento cosiddette Manipolative
L’effetto manipolativo è da riferirsi al fatto che esse producono vere e proprie innovazioni nel
sistema normativo: la Corte non si limita a eliminare la diposizione legislativa sottoposta al suo
vaglio ma la trasforma, la adegua e la integra. Questo tipo di sentenze ha suscitato perplessità fra
gli studiosi e, soprattutto, ha causato difficoltà sia nei rapporti tra Corte e magistratura (in ordine
all’interpretazione della legge) sia nei rapporti tra Corte e Parlamento (perché la Corte è parsa
proporsi quale supplente del legislatore).
- Sentenze di accoglimento parziale o Ablative
La Corte accoglie la questione dichiarando illegittima una parte di una disposizione o uno dei
possibili significati (norme ricavabili da essa). Nel primo caso, la Corte riduce il testo di una
prescrizione normativa limitatamente a determinate parole o commi di un articolo: ad essere
manipolato è il testo della legge. Nel secondo caso, invece, siccome la disposizione è
suscettibile di più interpretazioni e se ne possono ricavare più norme, la Corte dichiara
illegittima solo una parte di queste norme:
il testo viene ridotto nel numero delle
interpretazioni possibili e la manipolazione
opera sulle norme ricavabili dal testo
eliminando una norma specifica.
- Sentenze sostitutive
Costituiscono un’ipotesi intermedia tra le
parziali e le additive in quanto la Corte
dichiara illegittima una certa norma N che
viene eliminata (come nelle parziali) e
contemporaneamente la sostituisce con
un’altra norma N’ che essa individua nella
sentenza e aggiunge al testo (come nelle
additive). Qui la Corte manipola il testo di
legge, cancellando il significato di
incostituzionale ed aggiungendone uno
nuovo, legittimo, colmando il vuoto che
altrimenti verrebbe a determinarsi
- Sentenze additive o aggiuntive
Sono quelle decisioni che dichiarano
illegittima una disposizione nella parte in
cui non prevede una certa norma la cui
esistenza è necessaria per rispettare la
Costituzione, e che viene aggiunta al testo dalla stessa Corte. La Corte colpisce le omissioni
del legislatore, dichiarando incostituzionale la disposizione imputata “nella parte in cui omette
di provvedere”. La Corte è consapevole che con le sentenze additive può invadere uno spazio
riservato al legislatore, in materia penale, vista la riserva di legge assoluta stabilita dall’art 25
Cost, ha escluso la possibilità di pronunciare decisioni di questo tipo.
- Sentenze additive di principio
Questo tipo di decisioni mitiga gli effetti delle additive semplici. La Corte vi ha fatto ricorso per
limitare il rischio di toccare le prerogative del Parlamento. Le additive di principio si limitano ad
individuare il principio generale in base al quale una certa materia va disciplinata: non
impongono una disciplina specifica, immediatamente applicabile, ma lasciano al legislatore la
possibilità di scegliere come attuare quel principio.
8.5 Le Cosiddette “Sentenze Monito”
Al di là delle classificazioni proposte va aggiunto che la Corte utilizza la motivazione delle sue
decisioni per una sorta di dialogo con il legislatore, nel senso che include suggerimenti più o meno
espliciti e specifiche soluzioni legislative, criteri in base ai quali elaborarle. Questi moniti non hanno
valore vincolante nei confronti del legislatore, il quale resta libero di seguirli o meno: ma
l’autorevolezza della fonte rende comunque difficili ignorarli.
9. I GIUDIZI SULLE LEGGI: GLI EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITÀ
Le sentenze di accoglimento hanno una portata generale e obiettiva (erga omnes) che incide
direttamente sul piano delle fonti del diritto.
L’art 136.1 Cost stabilisce che “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale, la norma
cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. L’art 137.3 Cost
d’altro canto, stabilisce che pertanto costituiscono res iudicata irretrattabile, non essendo
ammessa alcuna impugnazione.
L’art 136.1 sembra indicare un’efficacia solo pro-futuro delle decisioni di incostituzionalità (al pari
dell’effetto abrogativo nel rapporto fra le leggi), nel senso che essa non si applicherebbe ai fatti
sorti sulla base della legge impugnata prima della pubblicazione della sentenza della Corte.
Tuttavia; l’art 30.3 della 1.87/1953, in coerenza con la natura incidentale del ricorso, precisa che
“le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione”. Dopo la pubblicazione della sentenza di accoglimento, è fatto
quindi divieto a tutti, in primis ai giudici, di applicare la disposizione legislativa dichiarata
costituzionalmente illegittima. Ne consegue che alla sentenza di incostituzionalità vanno
riconosciuti alcuni limitati effetti retroattivi (in maniera analoga all’istituto dell’annullamento che
colpisce un atto fin dalla sua origine): essa opera nei confronti di rapporti giuridici e non vale nei
confronti di rapporti esauriti, ossia rapporti che sono definitivamente chiusi.
Si è di fronte a “rapporti esauriti”:
- Nel caso di sentenza passata in giudicato, ossia quando una controversia giudiziaria è
stata definita con una decisione che non è più soggetta ad alcun mezzo di imputazione
- Nel caso di diritti estinti per prescrizione, ossia in ragione dell’inerzia nell’esercizio di un
diritto protrattasi per il tempo stabilito dalla legge
- Nel caso di decadenza dall’esercizio di un potere che, ai sensi della legislazione vigente,
non può più essere fatto valere.
In tutti questi casi l’ordinamento tutela prima di ogni altro il valore della certezza del diritto
connesso ai fenomeni del giudicato, della prescrizione e della decadenza. Ma il principio di
intangibilità del giudicato è derogato nell’ipotesi di sentenze penali di condanna, anche se
irrevocabili. Allorché sia stata pronunciata una sentenza di questo tipo sulla base di una legge
dichiarata in seguito costituzionalmente illegittima, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. In
questo caso il principio della certezza del diritto cede di fronte al superiore principio del favor
libertatis, che tutela la persona condannata in applicazione di una norma incostituzionale
(ancorché dichiarata tale dopo che la sentenza era passata in giudicato).
A differenza di quanto è previsto in altri ordinamenti, non è consentito alla Corte costituzionale di
disporre in ordine agli effetti nel tempo (sia per il passato sia per il futuro) delle proprie decisioni.
Ma nella prassi si hanno taluni casi in cui la Corte cerca di limitare o diluire gli effetti nel tempo di
una decisione di incostituzionalità.
10. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE: TIPOLOGIA
La Corte costituzionale giudica altresì sui “conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quello
tra lo Stato e le regioni e tra le regioni”. Sul piano soggettivo, i conflitti possono classificarsi in due
categorie:
- Conflitti tra poteri dello Stato, ossia poteri appartenenti al medesimo soggetto (lo Stato),
definiti come conflitti interorganici (con formula vecchia perché non in grado di
ricomprendere (ad esempio) i conflitti di cui siano parte i comitati referendari)
- Conflitti tra Stato e regioni o fra regioni, ossia fra soggetti costituzionali diversi e dotati di
personalità giuridica distinta, definiti conflitti intersoggettivi.
Sul piano oggettivo, il giudizio della Corte costituzionale concerne già la legittimità costituzionale di
un atto legislativo come nel giudizio sulle leggi, bensì, la delimitazione della sfera di attribuzioni
costituzionalmente spettante agli organi e ai soggetti costituzionali.
Ogni tipo di conflitto da luogo a un giudizio di parti (cioè un giudizio che si instaura, e si mantiene
fino a decisione, per esclusiva iniziativa di parte). Esso può avere per oggetto:
- La titolarità di una competenza che ciascun organo o soggetto in conflitto rivendica come
propria (vindicatio potestatis)
- L’illegittimo esercizio di una competenza da parte di un organo o soggetto cui consegue la
menomazione della sfera di attribuzione di altro organo o soggetto (cattivo uso del
potere).
La Corte costituzionale risolve il conflitto stabilendo, nel primo caso, a chi spetta la titolarità della
competenza, nel secondo caso, come essa deve essere esercitata. Il riparto delle competenze
può essere violato da qualsiasi fatto o atto posto in essere da un organo o da un soggetto
costituzionale, sia commissivo (facere) sia omissivo (non facere). Quando è stato emanato un atto
formale viziaro da incompetenza, la Corte lo annulla contestualmente alla dichiarazione sulla
titolarità o sul modo di esercizio delle attribuzioni in contestazione.
In ogni caso il conflitto presuppone un atto, un comportamento, una dichiarazione, un’omissione di
un organo o di un soggetto dai quali possa conseguire una lesione in concreto alle attribuzioni di
un altro organo o soggetto, sicché la parte lesa, per poter attivare il giudizio della Corte deve avere
interesse a ricorrere, ossia l’interesse ad ottenere una pronuncia nel merito di una controversia
attuale. La sussistenza dell’interesse ad agire è infatti condizione necessaria e sufficiente a
conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza e dell’attualità non potendo la
Corte essere adita a scopo meramente consultivo, per pronunciarsi, su stratte formulazioni di
ipotesi. A questo fine è necessario che il ricorrente alleghi i fatti costitutivi e le ragioni del conflitto.
Sono inammissibili conflitti ipotetici o virtuali, che ricorrono quando non sono sorte in concreto
contestazioni relative alla delimitazione di attribuzioni costituzionalmente garantite. In quanto
giudizi di parti, i conflitti di attribuzioni si estinguono per effetto della rinunzia al ricorso da parte del
ricorrente accettata da parte del resistente.
11. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE: TRA POTERI DELLO STATO
L’art 37 della 1. 87/1953 stabilisce che il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte
costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei
poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari
poteri da norme costituzionali, aggiungendo che restano ferme le norme vigenti per le questioni
giurisdizione. In questo modo la legge distingue conflitti costituzionali, che prima del 48 non erano
sottoposti alla cognizione di alcun giudice, dai conflitti che attengono alla determinazione della
giurisdizione ordinaria e delle giurisdizioni speciali, i quali sono regolati dalle sezioni unite della
Corte di cassazione.
A loro volta è possibile distinguere i conflitti tra poteri da altri conflitti di competenza tra organi
all’interno dello stesso potere: i primi riguardano organi costituzionali superiorem non
recognoscentes, e per tale ragione sono affidati al giudizio della Corte costituzionale quale organo
di garanzia super partes, i secondi, invece, sono quelli la cui risoluzione è affidata ad organi
appartenenti al medesimo potere, non importa se è in posizione di parità o di superiorità
gerarchica.
Nei conflitti tra poteri dello Stato, a differenza dei conflitti intersoggettivi, le parti del conflitto sono
non predestinate. La determinazione è affidata alla Corte costituzionale. Essa deve stabilire in via
preliminare (giudizio preventivo di ammissibilità del conflitto) se esiste “materia del conflitto”,
individuando quali sono i poteri dello stato (profilo soggettivo) e quali sono le attribuzioni la cui
tutela può essere invocata innanzi al giudice costituzionale (profilo soggettivo)
Sotto il profilo soggettivo, non è sufficiente far riferimento alla teoria della separazione dei poteri
e individuare le parti del conflitto nei tradizionali poteri legislativo, esecutivo, giudiziario. In questo
modo, dai conflitti sarebbero esclusi tutti quegli organi dello Stato che non sono titolari di
attribuzioni costituzionali non riconducibili a nessuno dei tre poteri (es: presidente della repubblica
e corte costituzionale stessa); sarebbero anche esclusi i conflitti relativi alla tutela di attribuzioni
costituzionalmente rilevanti di soggetti diversi dagli organi dello Stato apparato (es: il comitato
promotore di referendum abrogativo). A questo riguardo diventa decisivo il criterio fissato dalla
legge: i poteri sono gli organi competenti a dichiarare in via definitiva la volontà dei poteri cui
appartengono, ossia gli organi costituzionali che, all’interno di un determinato potere, sono abilitati
a produrre decisioni autonome e indipendenti, tali da impegnare l’intero potere cui appartengono.
- All’interno del potere legislativo, decisioni impegnative dell’intero potere possono essere
prese sia dalla Camera dei deputati sia dal Senato della Repubblica; ma anche dalle
commissioni in sede deliberante, abilitate ad approvare in via definitiva testi di legge,
nonché da commissioni parlamentari d’inchiesta e dalla commissione parlamentare per
l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
- Nell’ambito del potere esecutivo, stante la struttura gerarchica dell’amministrazione
pubblica, il ruolo di vertice spetta al governo nella sua interezza in quanto organo titolare
dell’indirizzo politico e amministrativo, in virtù del rapporto fiduciario con il Parlamento.
Organo competente a manifestare in via definitiva la volontà dell’esecutivo è il presidente
del Consiglio dei ministri, cui spetta dirigere la politica generale del governo della quale è
responsabile, nonché il solo ministro della giustizia in relazione alle competenze afferenti al
proprio dicastero e alla titolarità dell’azione disciplinare contro i magistrati. Gli altri ministri
non sono legittimati ad essere parte di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,
salvo il caso in cui la responsabilità individuale per gli atti dei rispettivi dicasteri sia fatta
valore dalle camere con mozione di sfiducia individuale che non coinvolga l’indirizzo politico
dell’intero governo.
- Più complessa è la questione nel caso del potere giurisdizionale, non solo perché in
questo ambito possono venire in considerazione accanto ai giudici ordinari i giudici speciali,
ma anche perché l’ordine giudiziario non è strutturato gerarchicamente. La Corte
costituzionale ha accolto una nozione ampia di potere giurisdizionale, includendovi ad
esempio la Corte dei conti nell’esercizio della funzione di giurisdizione contabile, e come
potere diffuso, sicché ogni giudice che, nell’esercizio della funzione giurisdizionale
pronuncia sentenze che possono diventare definitive può con ciò impegnare l’intero potere
cui appartiene, configurandosi come un organo-potere legittimato al conflitto.
Poteri dello Stato sono altresì quegli organi, non riconducibili ai tre poteri tradizionali, che, in
quanto dotati di attribuzioni costituzionali proprie sono qualificati come “poteri organo”: il
presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. La Corte ha individuato ulteriori figure
soggettive cui l’ordinamento conferisca la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche
costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statuali
in senso proprio, con riferimento, in particolare, agli elettori firmatari di una richiesta di referendum
abrogativo ex art. 75 Cost. istituzionalmente rappresentati dal comitato promotore.
Sotto il profilo oggettivo, i conflitti tra poteri riguardano attribuzioni determinate da norme
costituzionali. Questo significa che non qualsiasi attribuzione può essere tutelata innanzi alla
Corte, ma solamente attribuzioni costituzionalmente rilevanti: perché espressamente previste in
disposizioni costituzionali, o perché, pur non contemplate da norme formalmente costituzionali
(leggi ordinarie o anche norme consuetudinarie), sono tali da integrare e sviluppare il quadro
organizzativo della Costituzione (si dice che il conflitto debba avere comunque tono costituzionale).
Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato può sorgere con riferimento a qualsiasi atto, a
differenza dei conflitti intersoggettivi. Superando un orientamento restrittivo, la Corte costituzionale
ha ammesso anche il conflitto tra poteri per atti legislativi. Ciò non significa trasformare il conflitto
tra poteri in un sindacato di legittimità costituzionale, dato che la Corte tiene sempre nettamente
distinta la giurisdizione costituzionale sulla legittimità delle leggi (il cui ambito è determinato dagli
atti da giudicare) dalla giurisdizione costituzionale sui conflitti (il cui ambito è determinato dalla
natura degli organi o dei soggetti che confliggono e delle competenze che difendono). Secondo la
Corte, infatti, esiste la possibilità di sollevare conflitto tra poteri in relazione all’adozione di un atto
legislativo tutte le volte in cui lo strumento del conflitto costituisce, rispetto al giudizio di legittimità,
un mezzo di tutela più immediato ed efficace, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali.
Successivamente la Corte ha esteso il conflitto tra i poteri a tutti gli atti legislativi, stabilendo che
giudizio di legittimità e conflitto tra poteri costituiscono mezzi concorrenti di tutela: il primo con
valore generale, il secondo come mezzo di tutela residuale attivabile quando non sussista altra
possibilità.
Il giudizio innanzi alla Corte costituzionale si divide in due fasi:
1. Il giudizio preliminare sull’ammissibilità del conflitto, che si apre su ricorso dell’organo
interessato senza termine di decadenza, ed è diretto ad accertare in camera di consiglio e
senza contraddittorio, se prima facie (ossia attraverso una sommaria deliberazione)
sussiste materia di conflitto sotto i profili soggettivo e oggettivo; l’ordinanza che dichiara
ammissibile il conflitto, tuttavia, non precostituisce il giudizio nel merito, ne preclude che la
Corte possa ribaltare anche questa valutazione di ammissibilità; con la stessa ordinanza la
Corte dispone la notificazione agli organi interessati la cui costituzione in giudizio è
condizione di procedibilità nel merito
2. Il giudizio nel merito, che si svolge tra le parti prefigurate dall’ordinanza di ammissibilità;
la Corte, previa nuova valutazione di ammissibilità, risolve il conflitto dichiarando il potere al
quale spettano le attribuzioni contestate e, dove sia stato emanato un atto, lo annulla con
sentenza.
12. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI E TRA REGIONI
Se la regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo
Stato ovvero ad altra regione, lo Stato o la regione rispettivamente interessata possono proporre
ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza. Allo stesso modo il ricorso può
essere proposto dalla regione la cui sfera di competenza sia invasa da un atto dello Stato.
A differenza dei conflitti interorganici, nei conflitti intersoggettivi il giudizio è tra parti determinate, lo
Stato e le regioni. Essi hanno ad oggetto la definizione delle rispettive sfere di attribuzione lese in
concreto da un atto invasivo, che il ricorrente interessato impugna o per vindicatio potestatis o per
cattivo uso del potere.
Anche in questo caso lo Stato e le regioni possono ricorrere per la tutela di attribuzioni
costituzionalmente rilevanti, stabilite non solamente da norme costituzionali, ma anche dagli statuti
regionali, dai decreti legislativi di attribuzione degli statuti delle regioni speciali, nonché dai decreti
legislativi di trasferimento delle funzioni dello Stato alle regioni.
I conflitti intersoggettivi non possono insorgere sulla base di atti legislativi, in quanto in relazione a
tali atti sia lo Stato sia la regione hanno a disposizione il distinto strumento del ricorso di legittimità
costituzionale in via principale, ricorso in relazione al quale sono previsti un oggetto diverso e una
decisione avente contenuto, natura ed efficacia differenti. Al di fuori degli atti legislativi, qualsiasi
atto è idoneo a determinare materia di conflitto purché sia tale da comportare una lesione in
concreto di attribuzioni costituzionalmente rilevanti: atti politici, regolamenti, atti amministrativi,
dichiarazioni, comunicazioni, sentenze, note.
Il procedimento non prevede un previo giudizio di ammissibilità, ma si apre con la presentazione
del ricorso (cui sono legittimati, per lo Stato, il presidente del Consiglio, e per la regione il
presidente della giunta regionale), entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla
notificazione, pubblicazione o conoscenza dell’atto invasivo. Il ricorso deve indicare come sorge il
conflitto di attribuzione e specificare l’atto dal quale sarebbe stata invasa la competenza, nonché le
disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono violate e può contenere
anche la richiesta di sospensiva dell’atto stesso, qualora ricorrano il fumus boni iuris (espressione
con cui si indica che vi è almeno la verosimiglianza del diritto ancorché la sua esistenza debba
ancora essere accertata) e il periculum in mora (espressione che indica il rischio che i tempi del
procedimento possano rendere vana la decisione se non si interviene a titolo appunto cautelare).
La Corte decide con ordinanza sulla richiesta di sospensiva, con sentenza sul merito della
controversia, eventualmente annullando l’atto invasivo
13. IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE (RINVIO)
Proprio per la sua posizione nell’ordinamento costituzionale italiano in funzione di garanzia del
sistema complessivamente considerato, alla Corte è attribuita la delicatissima funzione di giudicare
delle accuse mosse dal Parlamento in seduta comune al presidente della Repubblica. Il
procedimento è descritto nel capitolo 10. Va ricordata la composizione integrata dalla Corte nel
giudizio successivo all’accusa parlamentare: questa integrazione potrebbe in astratto permettere
che la decisione finale sia presa dai membri laici, se tutti concordi tra loro, anche contro l’opinione
dei giudici costituzionali, quasi a garantire comunque la prevalenza di un giudizio “politico”.
14. IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM ABROGATIVO (RINVIO)
La 1. Cost 11 marzo 1953 stabilisce che “spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste
di referendum abrogativo presentata a norma dell’art 75 Cost. siano ammissibili”.
Il procedimento referendario è descritto nel capitolo 8. Qui ci limitiamo a ricordare che il compito
della Corte costituzionale, diversamente dall’ufficio centrale per il referendum presso la Corte di
cassazione non è quello di giudicare la conformità alla legge del procedimento referendario, ma di
accertare che la richiesta non incorra in uno dei limiti di ammissibilità stabiliti dalla Costituzione e
dalla giurisprudenza della Corte. Va aggiunto che la Corte ritiene distinto il giudizio di ammissibilità
dei referendum dal giudizio di legittimità delle leggi, escludendo che in sede di controllo di
ammissibilità “possono venire in rilievo profili di incostituzionalità sia della legge oggetto di
referendum sia della normativa di risulta”.
CAPITOLO XVI: L’ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE
1. OGNI ORDINAMENTO È SEMPRE IN TRASFORMAZIONE
Qualsiasi ordinamento è in continua, costante trasformazione: come tutti i fenomeni sociali,
l’ordinamento giuridico è espressione della società, e cambia col cambiare della società. La
società italiana sia in epoca monarchica sia ancor di più in epoca repubblicana ha conosciuto
cambiamenti enormi, essi non potevano non riflettersi sul suo ordinamento giuridico e sulla sua
costituzione.
Il mutare della società influisce nel tempo anche sull’ordinamento costituzionale, con o senza
adeguamento formale del testo della costituzione. Ciò dipende anche dal modo in cui il testo scritto
è formulato, più o meno elastico, cioè più o meno suscettibile di ampie interpretazioni e dunque,
capace di adattarsi al successivo, inevitabile mutamento della società e dei principi e valori in essa
prevalenti. Quando, per la troppa limitata elasticità del testo o per la profondità dei mutamenti
intervenuti, la capacità della costituzione scritta di perseguire la sua funzione si esaurisce, è allora
che si pone un’esigenza di modificazione della costituzione. Tale modificazione può riguardare
aspetti non essenziali dell’ordinamento costituzionale o che comunque non coinvolgono i principi e
i valori di fondo, in tal caso di procede a una semplice, più o meno incisiva revisione
costituzionale, essa può invece coinvolgere le basi stesse e le scelte fondanti dell’ordinamento,
ed allora si deve parlare di un vero e proprio mutamento della costituzione (che può avvenire in
dorma pacifica secondo procedure legali, ovvero anche a seguito di eventi traumatici, eversivi
dell’ordine precedente, dunque in senso tecnico rivoluzionari).
Perciò si procede ad una sorta di periodica manutenzione dell’ordinamento nel suo complesso e
del testo costituzionale scritto, in modo da adeguare le parti superate rispetto al mutamento
sociale, proprio per meglio perseguire i valori che ad entrambi sono sottesi, è difficile che si ponga
un’esigenza di mutamento radicale; diversamente, ordinamenti e carte costituzionali poco elastici,
sempre meno in sintonia con la società che cambia, rischiano di essere considerati come superati
e di andare incontro a mutamenti improvvisi e radicali.
2. ALLE ORIGINI DELL’ORDINAMENTO ITALIANO: LO STATUTO ALBERTINO
Sotto il profilo formale, vari elementi militano a favore della tesi della continuità e della costituzione
del Regno d’Italia per incorporazione nel Regno di Sardegna di una serie di ordinamenti statuali
prima indipendenti: lo statuto e le leggi furono estesi a tutto il territorio man mano acquisito; il re
non assunse il titolo di primo re d’Italia, ma mantenne il nome di Vittorio Emanuele II.
Sotto il profilo sostanziale, è invece vero che popolo e territorio risultarono ovviamente diversi da
quelli che avevano caratterizzato il Regno di Sardegna. Tuttavia, l’estensione all’Italia intera delle
leggi sarde rispecchiò il predominio delle forze politiche e sociali raccolte intorno alla monarchia, le
quali poco concessero ai progetti politico-istituzionali delle élites di ispirazione democratico-liberale
più avanzate: per cui di fatto dati formali e dati sociologici coincidono nell’indicare che si trattò del
poderoso ingrandimento e trasformazione del Regno di Sardegna che riuscì a farsi Regno d’Italia.
L’Italia unita ebbe così nello Statuto che re Carlo Alberto aveva concesso il 4 marzo 1848, la sua
prima carta fondamentale. Esso fu elaborato da un consiglio di conferenza nel quale quasi tutti i 17
componenti erano in realtà riluttanti, al pari del loro sovrano, grandi erano i timori verso la scelta
per la monarchia rappresentativa, ed essa fu compiuta, e la costituzione concessa, solo per timore
del peggio, dopo che Ferdinando II aveva dato la costituzione del Regno delle Due Sicilie.
Il 48 fu una grande e spettacolare rivoluzione europea che si propagò rapida in quasi tutto il
continente senza che esistesse neppur la parvenza dei mezzi di comunicazione che conosciamo.
Date le caratteristiche del Regno di Sardegna, l’influenza della cultura politico-istituzionale
francese era forte; infatti, la prima legge elettorale fu elaborata sull’esempio francese del sistema
uninominale a doppio turno, lo stesso regolamento della Camera dei deputati fu la trascrizione di
quello dell’Assemblea nazionale dell’epoca.
Lo Statuto intese delineare una monarchia costituzionale nella quale il potere esecutivo fosse
saldamente in mano al re “al re solo appartiene il potere esecutivo”, “il re nomina e revoca i
ministri”, il potere legislativo fosse condiviso dal re e da due Camere, una rappresentativa (Camera
dei deputati) e una di nomina regia vitalizia non ereditaria (Senato del Regno), e anche la giustizia
emanasse dal re e fosse amministrata “in suo nome”. Gli artt. Da 24 a 32 trattavano dei diritti e dei
doveri dei cittadini: eguaglianza davanti alla legge, tassazione proporzionale per tutti e solo per
legge, libertà individuale e divieto di arresto se non nei casi previsti dalla legge, inviolabilità del
domicilio; libertà di stampa ma facoltà di reprimerne gli abusi, inviolabilità della proprietà, salvo
esproprio mediante giusta indennità in nome nell’interesse pubblico, garanzia di inviolabilità del
debito pubblico, libertà di riunione pacifica e disarmata ma non in luoghi pubblici o aperti al
pubblico. Per quanto poi la politica dei governi liberali si uniformasse per decenni al principio
cavouriano “libera Chiesa in libero Stato”, l’art 1 fortemente voluto dal re, proclamava il
cattolicesimo “religione di stato” e garantiva agli “altri culti” solo “tolleranza”.
Lo Statuto è stato per lo più considerato una costituzione flessibile perché non era previsto un
meccanismo di modificazione aggravato né alcuna forma esplicita di controllo della conformità
della legge rispetto ad esso, per cui non vi sarebbero stati strumenti per impedire che la
legislazione successiva vi derogasse. Questa dottrina viene contestata dal fatto che l’art. 81
abrogava espressamente ogni legge ad esso contraria (chiara affermazione di superiorità della
fonte statutaria rispetto alla legge) e ritengono che lo Statuto fosse alle origini una costituzione
rigida diventata flessibile nella prassi. Ciò sarebbe avvenuto in realtà dopo l’avvento del fascismo,
perché fino ad allora la giurisprudenza attesta che i tribunali ritennero più volte lo Statuto rigido e
non flessibile, tanto da decidere per l’inapplicabilità della legge ad esso non conforme.
Probabilmente la ragione per cui si è considerato flessibile lo Statuto sta nel fatto che il fascismo
non esitò a imporre per legge istituzioni con esso del tutto incompatibili senza che l’ordinamento
reagisse (né il re né i tribunali) neppur dandosi la pena di modificare lo Statuto, o meglio non
ritenendo conveniente farlo per non sfidare frontalmente la corona.
3. L’EVOLUZIONE DELL’ORDINAMENTO STATUTARIO
La storia delle istituzioni statutarie si può dividere in 2 fasi:
1. Fino all’avvento del regime fascista.
Ancor prima che venisse esteso al Regno d’Italia, lo Statuto du interpretato conformemente al
progressivo affermarsi delle responsabilità degli esecutivi nei confronti delle assemblee
rappresentative, in altre parole si passò quasi subito dalla monarchia costituzionale alla
monarchia parlamentare, presentando queste caratteristiche:
o La rappresentanza rimase a lungo ristrettissima e ancora alle elezioni della Camera
del 1909 gli elettori erano solo l’8,3% dei cittadini; dunque, il regime liberale
assunse caratteri democratici con molta lentezza; il suffragio universale fu introdotto
solo nel 1912 e allargato nel 1919 (non alle donne)
o Le latenti tendenze dualiste implicite dello Statuto (che lasciava al re un ruolo
d’indirizzo politico accanto al parlamento) continuarono periodicamente a tornare
alla luce nelle fasi critiche della vita dello Stato, quando per emergenze interne o
esterne la corona riassunse nelle proprie mani il potere esecutivo. In particolare, il
re sempre ebbe l’ultima parola nelle nomine militari, nella nomina dei ministri della
guerra, della marina, degli esteri e sempre concorse alle scelte di politica estera
militare. Queste tendenze dualiste furono anche rispecchiate da posizioni culturali e
politiche fautrici di una restaurazione della monarchia costituzionale all’insegna del
“ritorniamo allo statuto”
o Il Senato del Regno non assunse mai un ruolo autonomo, di organo di equilibrio fra
re e Camera o di contraltare della Camera, il governo si appropriò subito della
primizia in materia di proposte di nomina di nuovi senatori e, grazie alle infornate
(periodiche immissioni di senatori scelti fra i notabili di fiducia), fu in grado di
controllarlo, sicché si affermò la consuetudine per la quale “il Senato non fa crisi”
o Il governo, nel complesso si rafforzò ma in misura relativa e non potendo, in
assenza dei partiti, contare su una salda maggioranza politica, fece largo uso (come
in altri paesi del resto) dei suoi poteri amministrativi per condizionare le elezioni e
consolidare così il proprio consenso, cercò anche di legiferare con propri decreti
(senza concorso parlamentare) ma con alterno successo, il presidente del Consiglio
fu sempre costretto a impiegare larga parte del suo tempo ad assicurarsi il sostegno
parlamentare necessario e questo raramente fu scontato ed anzi spesso fu
condizionato da pratiche trasformiste (il trasformismo è la tendenza del singolo
parlamentare a passare dall’opposizione alla maggioranza in cambio di qualche
beneficio per sé o per il suo collegio elettorale)
o La magistratura godette di un’indipendenza relativa; i magistrati dell’accusa
dipendevano dal governo, i giudici (ma non quelli delle preture, che avevano doppia
funzione requirente e giudicante) erano tutelati ed inamovibili solo dopo 3 anni e
l’inamovibilità in ogni caso era non della sede ma dall’ufficio (ciò vuol dire che, a
parità di grado e funzioni potevano essere trasferiti dal ministro)
o Le libertà dei cittadini conobbero una certa tutela ma furono gravemente limitate in
occasione del frequente ricorso agli stati d’assedio, inoltre per molto tempo,
all’indomani dell’Unità, tutto l’ex Regno di Napoli (cioè tutto il sud e la Sicilia) fu
sottoposto, di fatto e di diritto, alla legge marziale e a regime militare
o Dopo l’avvento al trono di Vittorio Emanuele III, il blando riformismo guidato da
Giolitti si tradusse in una progressiva apertura ai ceti più disagiati e in una
legislazione sociale che teneva conto anche delle esigenze di questi, dall’altra parte
le masse popolari avevano cominciato ad organizzarsi in partiti politici strutturati,
repubblicani e socialisti, mentre i cattolici tornarono progressivamente alla
partecipazione politica
o Nell’ultima parte dell’800 si affermò, anche esso mutato dalla Francia, un regime di
tutela giurisdizionale del cittadino a fronte degli atti della pubblica amministrazione
con l’istituzione di apposite sezioni del Consiglio di stato, il che dette vita al
sistema a doppia giurisdizione che è rimasto quasi fino ai giorni nostri
2. Dopo l’avvento del regime fascista
Secondo molti furono gli sconvolgimenti determinati dalla Prima guerra mondiale, anche nei paesi
che l’avevano vinta, a mettere in crisi le non robuste democrazie liberali europee. Molte di queste
cedettero una dopo l’altra alla tentazione di dare risposta alla travolgente domanda, spesso
condotta con agitazioni violente, di lavoro, di prestazioni e di servizi dei ceti popolari, di sicurezza e
di ordine dei ceti medi, ricorrendo a metodi statalisti e autoritari. In diversi paesi europei la
democrazia parlamentare crollò, in Italia il disegno autoritario del fascismo si manifestò ancor
prima con la marcia su Roma, la decisione del re di non emanare decreto di stato d’assedio, al fine
di fra fronte all’eversione fascista, e la nomina di Benito Mussolini a presidente del Consiglio. Il
governo Mussolini ottenne la fiducia della Camera e buona parte dei liberali e dei popolari.
In Italia il regime parlamentare entrò in crisi prima di altrove, non fu conseguenza dell’introduzione
della legge elettorale proporzionale nel 1919, ma del fatto che le forze politiche in quell’occasione
entrarono alla camera non furono capaci di esprimere una maggioranza in grado di guidare il
paese e fronteggiare efficacemente i problemi lasciati dalla guerra. La classe dirigente liberale da
sola non poteva più farcela, le altre forze politiche non volevano e non potevano aiutarla e del
resto erano divise proprio all’interno.
Seguì così una fase pseudo-parlamentare nel corso della quale il governo Mussolini non governò
in modo troppo diverso da quelli che l’avevano preceduto ma i segnali di un’evoluzione verso la
dittatura ci furono subito tutti. Mussolini teorizzò la costituzione di uno “stato nuovo” e non esitò a
minacciare le istituzioni parlamentari che gli votarono la fiducia, fu istituita la milizia volontaria per
la sicurezza nazionale (milizia fascista), anche se essa fu presentata come un tentativo di
irreggimentare le “squadracce” con l’aiuto delle quali il Partito nazionale fascista era andato al
potere e fu limitata la libertà di stampa.
Dopo il delitto Matteotti e dopo l’abbandono della Camera da parte della gran parte
dell’opposizione, Mussolini decise di sfidare l’opinione pubblica con un famoso discorso con quale
si assunse la responsabilità politica di quanto era avvenuto e dece intendere che non sarebbe
tornato indietro, anzi sarebbe andando avanti fino a costituire un vero e proprio regime, e poteva
farlo perché grazie alla legge elettorale del 1923 (legge acerbo) aveva oltre il 70% dei seggi alla
Camera, eseguendo dopo:
o Una legge che rafforzava notevolmente il ruolo del presidente del Consiglio, il quale
diventava il vero e proprio “capo del governo” e soprattutto sopprimeva
espressamente il rapporto fiduciario governo-parlamentare che si era instaurato in
via consuetudinaria
o La riduzione degli enti locali ed enti autarchici con vertice di nomina prefettizia, il
podestà
o L’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato
o Lo scioglimento dei partiti politici e di molte associazioni inclusa la massoneria
o La carta del lavoro e le leggi corporative che vietavano sciopero e serrata,
istituivano i giudici del lavoro e imponevano contratti validi erga omnes stipulati da
sindacati riconosciuti dallo Stato, il tutto con il fine di superare la lotta di classe
o La “costituzionalizzazione” del Gran consiglio del fascismo, cioè l’attribuzione di
funzioni statali a un organo di partito: diventava l’unico organo deputato a proporre il
nome del presidente del Consiglio al re in vista della formazione del governo,
sostituendo in questo la Camera
o Una nuova legge elettorale che affidava la scelta dei membri della Camera al Gran
consiglio, in una lista unica che gli elettori potevano solo approvare
o Instaurazione attraverso i Patti Lateranensi di un regime di rapporti con la chiesa
cattolica su base concordataria, riconoscendo ad essa una serie di privilegi grazie ai
quali il regime potè annunciare la conciliazione fra Stato e Chiesa
o Nuovi codici di pubblica sicurezza penale e di procedura penale, il codice rosso
poneva al primo posto i reati conto la personalità dello stato a conferma
dell’impostazione statolatra che caratterizzò il fascismo
o Le leggi razziali che discriminarono pesantemente, isolandoli e privandoli dei loro
diritti, i cittadini di origine ebraica, in contraddizione con l’art 24 dello Statuto
o La soppressione della Camera dei deputati sostituita da una Camera dei fasci e
delle corporazioni.
Come si vede, vincolato il re alla scelta di un capo del governo indicato dal partito unico,
soppresso ogni pluralismo politico e sindacale, profondamente violata l’uguaglianza dei cittadini,
soppressa la rappresentanza parlamentare, affidata la sicurezza interna a un tribunale speciale,
dello Statuto Albertino rimase poco. Tutto ciò senza che, fino al 25 luglio 1943, il re facesse il
minimo gesto per esercitare quei poteri che pure avrebbe potuto invocare: fu proprio questo
atteggiamento a rendere impossibile, caduto il fascismo e liberato il paese, la reviviscenza di quel
testo costituzionale.
4. DALLA CADUTA DEL FASCISMO AL REFERENDUM DEL 2 GIUGNO 1946
Il 25 luglio 1943 il Gran consiglio del fascismo, approvando l’ordine del giorno proposto da Dino
Grandi sfiduciò di fatto il capo del governo e del partito, Benito Mussolini, facendo appello al re
perché riassumesse la “suprema iniziativa di decisione”, cioè le prerogative che lo Statuto del
Regno all’art 5 gli riconosceva, Mussolini venne arrestato e presidente del Consiglio fu nominato
un militare il generale Badoglio secondo la prassi dei momenti di emergenza dell’Italia monarchica,
successivamente seguirono:
- La firma dell’armistizio di Cassibile (3 settembre 1943) ma fu reso pubblico solo 5 giorni
dopo
- Lungo armistizio che indicava più in dettaglio ciò che il governo italiano avrebbe dovuto fare
per “ripulire” l’ordinamento dalle peggiori vestiglia del fascismo
- Fuga del re e del governo da Roma verso il sud, conclusa a brindisi
- Nascita a nord della repubblica sociale italiana, con a capi Mussolini, prima liberato poi
sostenuto dai tedeschi.
Soppressi gli istituti che avevano caratterizzato il regime fascista, soppresso lo stesso partito
nazionale fascista e restaurate condizioni minime di pluralismo politico, subito si profilò il contrasto
che sarebbe durato fino all’abolizione della monarchia, fra corona e forze politiche antifasciste del
Comitato di liberazione nazionale, ogni decisione imponeva di scegliere fra soluzioni che
avrebbero marcato una continuità, ovvero una rottura rispetto all’ordinamento statutario. La
trasformazione dello Stato avrebbe dovuto essere affidata agli organi statutari oppure ad
un’apposita assemblea costituente, quella costituente che a quasi cent’anni dal Risorgimento le
circostanze storiche rendevano finalmente possibile?
Il contrasto trovò parziale superamento con il compromesso istituzionale a seguito del quale
Vittorio Emanuele III rinunciò all’esercizio dei suoi poteri affidandoli al principe ereditario Umberto e
fu decisa la convocazione di un’assemblea costituente cui affidare anche la scelta fra monarchia
e repubblica. Circa un anno dopo, nell’aprile 1945 fu istituita un’assemblea indirettamente
rappresentativa, la Consulta nazionale, col compito di fornire pareri al governo, con particolare
riferimento alla legge per l’elezione della Costituente. Nel 1945 fu esteso alle donne il diritto di
voto, per la prima volta nella storia costituzionale italiana il suffragio divenne realmente universale.
Nel marzo 1946, la scelta di due anni prima fu però messa in discussione e riveduta e si decise
che a scegliere fra monarchia e repubblica sarebbe stato il corpo elettorale. Così volevano i
monarchici e anche partiti come la Dc, repubblicana nella sua dirigenza, ma con un elettorato
diviso, si parlò così di seconda costituzione provvisoria, la quale, fra l’altro, prevedeva
espressamente la responsabilità politica del governo davanti alla futura Assemblea costituente. Ma
il governo manteneva il potere legislativo, salvo la materia costituzionale, le leggi elettorali e
l’approvazione dei trattati internazionali, cioè equivaleva a rinviare ogni prospettiva di riforme
radicali.
Il 2 giugno 1946 i cittadini votarono a un tempo per il referendum istituzionale e per eleggere la
Costituente in base a una legge elettorale proporzionale assai simile a quella con la quale era
stata eletta la Camera dei deputati nel 1919. Sull’esito del voto vi du qualche contestazione a
causa soprattutto della cattiva formulazione dell’art.2 del d.lgs 98/1946, però, anche contando i voti
non validi (schede bianche e nulle), la repubblica avrebbe prevalso. Dopo un breve braccio di ferro
culminato in un polemico messaggio di Umberto II e in una dura risposta del governo de Gasperi, il
14 giugno, il re partì dall’aeroporto di Ciampino lasciando per sempre l’Italia. Il successivo 18
giugno la Corte di cassazione proclamò l’esito definito del referendum.
L’assemblea costituente si insediò il 25 giugno e tre giorni dopo elesse Enrico De Nicola capo
provvisorio dello Stato.
5. LA COSTITUENTE E LA COSTITUZIONE DEL 1948
La Costituente affidò a un’apposita Commissione per la Costituzione composta di 75 membri scelti
la redazione di un testo base, questa elesse come presidente Meuccio Ruini e si divise in 3
sottocommissioni:
- per i “diritti e doveri dei cittadini”
- per “l’ordinamento costituzionale della repubblica” (a sua volta divisa in 2 sezioni: “sul
potere esecutivo” e sul “potere giuridico”)
- per i “diritti e doveri economico-sociali”
Ai fini del coordinamento formale del testo, ma anche per risolvere in sede ristretta questioni
delicate, fu costituito un comitato di redazione di 18 costituenti, i quali concorsero da posizione di
maggiore responsabilità, anche politica, alla redazione del testo che l’Assemblea avrebbe
approvato.
Il testo base fu presentato in Assemblea nel gennaio 1947 e discusso per nove mesi nel corso di
170 sedute; furono presentati 1663 emendamenti (in media, 12 ad articolo) e di questi ne furono
accolti 292, quasi un terzo dei quali in materia di ordinamento regionale, uno dei temi più
accesamente discussi (insieme all’assetto del Parlamento, ai rapporti con la Chiesa cattolica e al
divorzio, ai diritti economico-sociali). L’approvazione finale avvenne il 22 dicembre 1947 con 453
voti a favore contro 62 contro.
Aver lasciato al governo l’attività legislativa ordinaria permise alla Costituente di concentrarsi sul
suo compito prioritario, ma favorì la continuità dell’ordinamento giuridico considerato nel suo
complesso. Di ciò fu in qualche modo manifestazione la rinuncia preannunciata epurazione (cioè
l’allontanamento dal pubblico impiego di coloro che si erano compromessi con il fascismo),
scelta che i partiti giudicarono impraticabile anche perché ormai in concorrenza fra loro alla ricerca
di legittimazione e di consensi. Così non si impose né la ricostruzione dello stato prefascista che
avrebbero voluto i liberali, né il profondo rinnovamento economico, sociale e istituzionale voluto dal
Partito d’azione e dai riformatori più radicali. Si puntava a una democrazia fondata sui partiti di
massa obbligati a trovare un’intesa fra loro non tanto su riforme da fare subito, quanto su quelle da
fare nel futuro, quindi la costituzione fu così espressione di una rivoluzione mancata e promessa di
una rivoluzione futura. In effetti, la carta costituzionale che entrò in vigore il 1º gennaio 1948 risultò
comunque innovativa, anche se non sul punto cruciale dell’organizzazione dei poteri e della forma
di governo. La Costituzione:
- conteneva non solo norme organizzative e procedurali, ma anche una tavola di valori e di
principi che si trova riassunta nei “principi fondamentali”
- conteneva una formulazione ricca e articolata dei diritti e dei doveri dei cittadini, inclusi
quelli economico-sociali, che risalta nel raffronto con gli scarni articoli dello Statuto
- prevedeva istituti che permettevano il diretto esercizio della sovranità da parte del popolo
mediante il referendum
- prevedeva il controllo di costituzionalità delle leggi e un organo da esso specificamente
deputato, la Corte costituzionale
- prevedeva l’istituzione delle regioni a statuto ordinario e speciale, rompendo così la
struttura accentrata dell’ordinamento, e riconosceva ampio spazio alle autonomie territoriali
- garantiva attraverso l’istituzione di un organo, il Consiglio superiore della magistratura, a
composizione mista, sostanzialmente nuovo nel panorama del costituzionalismo
contemporaneo, l’indipendenza della magistratura
Invece per altri aspetti le soluzioni parvero subito, e si dimostrarono poi, modeste e deludenti:
a. si tornò di fatto al governo parlamentare prefascista, privo di efficaci istituti di
razionalizzazione, perciò, integralmente affidati alla capacità del sistema partitico di
interpretarlo adeguatamente
b. si delineò in forme ambigue la figura del presidente della Repubblica, indirettamente
rappresentativo
c. si finì con lo scegliere un bicameralismo fatto di due camere di estrazione assai simile e
con le stesse funzioni, compreso, caso unico al mondo, il rapporto fiduciario col governo
Va sottolineato che, a differenza di istituti già presenti nell’ordinamento statutario non avrebbero
potuto vedere la luce senza successivi adempimenti da parte del legislatore. La Costituente, infine,
confermò la Camera e introdusse il Senato, leggi elettorali basate su formule proporzionali.
6. LE FASI DELLA STORIA COSTITUZIONALE REPUBBLICANA
Anche la storia costituzionale repubblicana può essere studiata solo incrociando aspetti
istituzionali e legislativi, vicende politiche e sociali, contesto internazionale. Si possono riconoscere
4 fasi:
1. Una prima fase fu caratterizzata dalla questione dell’attuazione della Costituzione con
riferimento sia alla sua parte organizzativa sia alle sue norme in materia di diritti e libertà.
Durò circa un ventennio (1948-1968) e fu segnata della prima dal centrismo degasperiano,
poi dal centro-sinistra. Il primo si fondò sull'alleanza di una Dc molto forte con i partiti laici
minori di centro-destra e di centro-sinistra (Pli, Pri e Psdi). Il centrismo fu la coalizione di
governo della prima legislatura (fino al 1953) e sul piano istituzionale si contraddistinse per
una grande lentezza nell'attuazione degli istituti previsti dalla Costituzione, al punto che
l'opposizione parlò di ostruzionismo della maggioranza. Solo nel corso della seconda
legislatura fu possibile attivare la Corte costituzionale. Non era questione da poco: il ritardo
fece sì che si affermassero interpretazioni della Costituzione conservatrici e talvolta
restrittive delle libertà dei cittadini (in relazione, ad es., alla libertà di riunione, alla libertà
religiosa, alla libertà dell'arte e di espressione: si pensi che certi spettacoli venivano proibiti
e la propaganda religiosa di confessioni diverse dalla cattolica ostacolata). Sul piano
internazionale il centrismo corrispose col periodo più acuto della guerra fredda (tra Stati
Uniti e i loro alleati, da una parte; Unione Sovietica e i suoi dall’altra). Esso tramontò col
fallimento della legge elettorale con premio di maggioranza nel 1953: questa prevedeva
l'attribuzione del 65% dei seggi alla Camera alla coalizione con la maggioranza assoluta
dei voti; ciò avrebbe permesso alla Dc di governare da posizioni di maggior forza, perché
meno condizionata dagli alleati. A quelle elezioni, anche per le strenue resistenze suscitate
(si parlò di legge truffa), il premio non scattò, la Dc decisé, allora, di orientarsi per una
cauta e progressiva apertura verso i socialisti che si trattava di staccare dal Pci per
«allargare la base democratica» del paese. Così nacquero dal 1963 in poi le coalizioni di
centro-sinistra (Dc alleata anche col Psi, partito di media dimensione, più grande degli altri
alleati minori messi insieme). La stessa elezione di Giovanni Gronchi alla presidenza della
Repubblica (1955) fu iniziale espressione di questa strategia; anche grazie al suo stimolo fu
avviato il disgelo costituzionale: furono nominati i giudici della Corte (che cominciò ad
operare con una decisione in materia di libertà di manifestazione del pensiero, sent.
1/1956); fu istituito il Csm (1958); anni dopo, furono istituite le regioni (1968-1970) e furono
disciplinati i referendum (1970); fu introdotto lo statuto dei lavoratori (1970). Intanto era
stato firmato il Trattato di Roma ed era nata la Comunità economica europea (1957).
2. Una seconda fase fu caratterizzata da una prima crisi politico-istituzionale che mostrò la
sostanziale incapacità del sistema politico di farvi fronte efficacemente e in tempi adeguati.
Durò oltre un decennio (1968-1979). II risveglio della società italiana coincise con un
fenomeno che si manifestò in tutto l'Occidente, innescato dalla rivolta studentesca nei
campus in America e poi nelle università europee; in alcuni paesi, Francia, Germania e
soprattutto Italia, si combinò con le aspettative del mondo operaio; si chiedeva la riforma e
la modernizzazione di istituzioni, scuole e università. In Italia i governi retti dalle coalizioni di
centro-sinistra incontrarono crescenti difficoltà ad agire con l'energia e l'incisività che
sarebbe stata necessaria, paralizzati dai dissensi interni fra progressisti e conservatori; così
alla contestazione operaia e studentesca non si riuscì a dare risposta, il che favorì la
crescita della protesta la quale assunse forme di violenza che divenne endemica.
Parallelamente negli stessi anni si verificavano gravi fenomeni di terrorismo stragista non
senza connivenze di uomini di apparati deviati dello Stato (forse persuasi di tutelare così la
collocazione internazionale dell'Italia). Fu la strategia della tensione, come venne chiamata,
che fomentò ancor di più la contestazione giovanile e di frange operaie nelle quali
trovarono spazio vere e proprie organizzazioni terroristiche che non esitarono a far ricorso
all'assassinio politico (fra queste le brigate rosse). Il sistema politico reagì con i governi di
solidarietà nazionale con inclusione nella maggioranza del Partito comunista (1976-1979).
Tutto ciò culminò nel rapimento e nell'uccisione di uno dei maggiori leader della
Democrazia cristiana, Aldo Moro (1978). Sul piano istituzionale il periodo fu segnato dalla
centralità del Parlamento, di cui simbolo furono i regolamenti parlamentari del 1971: le
assemblee rappresentative divennero il luogo istituzionale dove tutte le forze politiche,
anche quelle che, per ragioni internazionali, non venivano associate al governo, potevano
concorrere a determinare l'indirizzo politico e, in certa misura, partecipare al potere (ne
derivò il consociativismo, caratterizzato dalla confusione fra maggioranza e opposizione al
quale primo ad opporsi fu il piccolo ma agguerrito gruppo del Partito radicale).
3. Una terza fase fu caratterizzata dal tentativo di aggiornare ed adeguare le istituzioni, con
aggiustamenti che non mettessero però in discussione né le basi dell'ordinamento né il
ruolo delle principali forze politiche. Essa durò a sua volta poco più di un decennio (1979-
1991). Dopo le elezioni anticipate del 1979, Dc e Pci non poterono proseguire la loro
stentata collaborazione, anche perché i rapporti internazionali stavano peggiorando; si varò
una formula di governo diversa dalle precedenti, incentrata sulla coalizione di pentapartito
fra Dc, Psi e partiti laici minori (escludendo i comunisti oltre che, a destra, I'Msi). Il
pentapartito fu contraddistinto per vari anni (1981-1987) dal fatto che, a simboleggiare
equilibri politici in qualche misura nuovi, la presidenza del Consiglio venne affidata a statisti
non democristiani (il leader del Pri Gio-' vanni Spadolini, partito che ebbe percentuali
sempre sotto il 5%; il leader del Psi Bettino Craxi, partito con percentuali mai oltre il 14%,
quando la Dc non era mai scesa sotto il 33%): un'evidente anomalia che nella situazione
italiana rispondeva a una sua razionalità. Nell'impossibilità politica (non giuridica) di una
vera e propria alternativa di governo, si realizzava l'alternanza possibile all'interno della
maggioranza. In effetti i governi del pentapartito condussero una strategia di riforme interne
al sistema costituzionale, dando vita a una stagione di riformismo quale mai si era vista, per
quanto destinata a rivelarsi tardiva. Fu rivisto il Concordato con la Chiesa (1984); furono
riformati i regolamenti delle Camere per dare più forza al governo in Parlamento e fu
ridimensionato drasticamente il voto segreto (1983-1988); fu varato il nuovo ordinamento
della presidenza del Consiglio (1988); furono rinnovate le procedure di bilancio (1988); fu
varato il primo ordinamento repubblicano delle autonomie locali (1990); fu disciplinato con
legge generale il procedimento amministrativo (1990); fu riformato il codice di procedura
penale (1989); fu varata la prima legislazione antitrust (1990); si ratificò il duopolio del
sistema radiotelevisivo diviso fra Rai e il gruppo privato Mediaset, con la legge Mammi
(1990). Tutto ciò però non bastò ad evitare la crisi, anche perché la finanza pubblica stava
andando fuori controllo per l'eccesso di spesa. Fu così necessario far salire l'imposizione
fiscale dal 30 ad oltre il 40% del prodotto interno lordo in soli dieci anni, con le inevitabili
reazioni dei ceti colpiti.
4. Una quarta fase, successiva al fallimento del tentativo del decennio precedente, fu
caratterizzata, in un contesto internazionale radicalmente modificato dal crollo del
comunismo sovietico simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino, da una seconda e più
profonda crisi politico-istituzionale e dall'avvio di una serie di trasformazioni. Si tratta della
fase inaugurata dal primo referendum sulla legislazione elettorale. del 1991. All'inizio degli
anni Novanta una serie di elementi si combinarono e suscitarono un forte movimento per il
rinnovamento della politica e delle istituzioni: di colpo venne meno l'esigenza di fare muro
contro il comunismo; la competizione all'interno dell'Unione europea mise alla frusta le
imprese; gli stessi vincoli europei svelarono l'insostenibilità del debito pubblico; la parte più
dinamica del paese prese a subire con crescente insofferenza le lentezze ed inefficienze
che attribuiva alla burocrazia romana (ed ecco i successi elettorali della Lega nord); i partiti
tradizionali si rivelarono incapaci di sottrarsi ai bizantinismi di sempre, e respinsero ogni
riforma che riducesse l'influenza di ciascuno dei gruppi dirigenti di cui era composto. Così,
perduta ogni fiducia nella capacità dei partiti di riformare le istituzioni, alcune personalità
politiche guidate da Mario Segni e seguite da numerosi cittadini tentarono l'aggiramento del
sistema partitico facendo ricorso a uno strumento ormai sperimentato per imporre quelle
riforme che Parlamento e partiti non volevano fare (a cominciare dalla riforma del sistema
elettorale): la strategia referendaria. In particolare le richieste di referendum abrogativo
miravano a intaccare l'impianto proporzionalistico delle leggi elettorali, considerato come
fondamento del sistema politico italiano e dei suoi difetti. L'impresa non risultò facile, dati i
limiti posti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che in un primo momento
considerò ammissibile nel 1991 (sent. n. 47) solo il quesito relativo a un aspetto importante
ma non cruciale della legge elettorale della Camera (la molteplicità delle preferenze). Due
anni dopo però, modificati i quesiti, si poté tenere il referendum decisivo sul maggioritario
che ebbe ad oggetto la legge elettorale del Senato (18 aprile 1993). Queste vicende
coincisero con una serie di indagini della magistratura sulla corruzione amministrativa e sul
finanziamento illecito della politica (mani pulite) che, in un paio d'anni, concorsero al crollo
del sistema partitico che si era instaurato alla fine degli anni Quaranta. Scomparvero: Dc,
Psi, Psdi e, di fatto, Pri e Pli. Si trasformarono radicalmente Pci e Msi (divenuti Pds e poi
Ds, e An). Nacquero partiti nuovi: a sinistra Rifondazione comunista; al centro Ppi e Ccd.
Dal nulla sorse in pochi mesi un partito costruito per raccogliere il voto moderato (Forza
Italia), fondato da uno dei maggiori imprenditori italiani (Silvio Berlusconi), azionista di
maggioranza delle tre maggiori reti televisive private. I referendum produssero novità sul
fronte della legislazione elettorale: elezione diretta di sindaci e presidenti di province, e poi
presidenti delle regioni; nuove formule elettorali a prevalenza maggioritaria per Camera-e
Senato. Il nuovo sistema partitico rimase frammentato ma fu indotto a competere secondo
una logica bipolare, dando vita a due coalizioni dislocate sull'asse destra-sinistra. Ciò
permise di avvicinare l'obiettivo di dare agli elettori la possibilità di scegliere da chi essere
governati, di norma, per l'intera legislatura. Furono anche riviste le norme sul finanziamento
della politica e sulle campagne elettorali. In questo stesso periodo si avviò finalmente il
risanamento della finanza pubblica, il che consentì l'ingresso dell'Italia nell'unione
economica e monetaria e il passaggio dalla lira all'euro. Anche a tal fine, dallo stato
imprenditore si cominciò a passare allo stato regolatore e per questo si moltiplicarono le
autorità amministrative indipendenti. Nel contempo fu avviata una fase di forte
decentramento dell'amministrazione centrale dello Stato, attraverso il conferimento di
funzioni amministrative ad enti locali e regioni, e vennero riordinati i ministeri. Del quadro
generale delle nostre istituzioni e delle innovazioni più recenti si parla nei paragrafi che
seguono.
7. L’ORDINAMENTO ITALIANO A SESSANT’ANNI DALLA COSTITUZIONE
L'ordinamento costituzionale dell'Italia agli inizi del terzo millennio era già profondamente diverso
da quello della fine anni Quaranta, né avrebbe potuto essere altrimenti. Provando a stilare un
bilancio complessivo delle principali modificazioni intervenute, scattando una sorta di fotografia
della situazione in essere, si possono mettere in luce i seguenti aspetti principali.
In primo luogo, la Costituzione del 1948 ha conosciuto un numero relativamente limitato di
modificazioni che hanno riguardato gli oggetti indicati poche nella tabella. Nel complesso sono
stati toccati 32 dei 139 articoli del testo; alcuni sono stati modificati più volte, e 5 sono stati
abrogati: in nessun caso si è trattato, però, di modificazioni tali da incidere sull'impianto stesso
della carta del '48. Si è avuta, in altre parole, una serie di revisioni, e non mutamenti costituzionali
(v. par. 1). Valori e principi sono rimasti quelli riassunti nella parte sui principi fondamentali; e di tutti
i primi 54 articoli, sono stati modificati solo l'art. 27 (pena di morte), l'art. 48 (voto all'estero) e l'art.
51 (parità uomo-donna). Infine, ad eccezione delle correzioni degli anni 1963-1967, tutte le altre
innovazioni si concentrano negli anni dal 1989 ad oggi (11 leggi di revisione su 14).
In secondo luogo, la Costituzione nei suoi istituti e nella sua parte organizzativa ha trovato ormai
attuazione pressoché integrale. Della ritardata attuazione si è detto: si può aggiungere che con la
riforma dell'organizzazione del governo (1999) si può considerare completata anche l'attuazione
dell'art. 95.3 Cost. Infine, richiamando quanto abbiamo trattato nei capitoli di questo libro, vanno
sottolineati questi punti essenziali:
• il prestigio della Corte costituzionale, affermatasi come organo indefettibile dell'ordinamento,
appare forte e consolidato, al di là di polemiche contingenti: essa ha saputo anche accorciare i
tempi delle sue decisioni e svolge a pieno le funzioni di garanzia della Costituzione ad essa
affidate;
• l'esecutivo e, all'interno di esso, la figura del presidente del Consiglio si sono alquanto
rafforzati, vuoi per effetto del bipolarismo indotto dalla legislazione elettorale, vuoi per i nuovi
strumenti normativi sempre più all'altezza delle esigenze di efficienza e di omogeneità del governo
democratico
• il potere normativo non di principio si è progressivamente spostato dal Parlamento al governo
vuoi per effetto dei processi di delegificazione, vuoi per il crescente ricorso alla delega legislativa;
• le assemblee rappresentative a tutti i livelli, come in quasi tutti i paesi, sono alla ricerca di una
ridefinizione del proprio ruolo: ridimensionato, o in via di ridimensionamento, il potere di vita e di
morte sui governi e circoscritto il potere normativo, sono organi ancora pletorici che faticano a
riconvertirsi
nella direzione di altre funzioni (rappresentanza, controllo);
• il presidente della Repubblica ha sostanzialmente assolto alle funzioni che la Costituzione gli
affida, ma si è trovato periodicamente indotto ad esporsi a causa delle inadeguatezze del sistema
politico, assumendo in anni recenti; una funzione di vero e proprio contropotere di bilanciamento;
• la magistratura ha pienamente affermato la propria indipendenza, ma le intollerabili lentezze
della giurisdizione (imputabili non solo, ma certo anche ad essa) ne hanno ridotto il ruolo di
garanzia dei diritti dei cittadini; inoltre, il modo come viene spesso interpretato il principio
costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale ha sollevato dubbi sull'opportunità di mantenere
i magistrati giudicanti e i magistrati dell'accusa nel quadro di una stessa carriera; di qui i tentativi di
revisione dell'ordinamento giudiziario culminati nell'approvazione della 1: 150/2005, fortemente
contrastata dalla magistratura associata, e poi ridimensionata nei suoi contenuti, destinati
probabilmente ad essere ripresi;
• l'ordinamento regionale si è largamente consolidato, senza che peraltro le regioni abbiano
potuto assumere il ruolo di interlocutori unici del governo centrale, sicché l'ordinamento italiano
resta caratterizzato (ancor di più dopo la riforma del titolo V Cost.) da un singolare assetto fondato
su un pluralismo territoriale particolarmente complesso; esso impone, per dar risposta alle
esigenze sociali, la collaborazione necessaria di una molteplicità di enti dotati di autonomia
costituzionalmente garantita (regioni, province, comuni e presto città metropolitane);
• le pubbliche amministrazioni sono sottoposte da anni a processi di trasformazione molto
incisivi che hanno riguardato anche il rapporto di pubblico impiego, le regole base del
procedimento amministrativo, l'organizzazione interna, i controlli (sempre meno orientati alla mera
verifica di legittimità formale e sempre più al controllo di gestione), il decentramento funzionale,
sicché il loro rendimento va crescendo; contemporaneamente, l'istituzione di numerose autorità
amministrative indipendenti ha sottratto compiti di garanzia e regolazione agli apparati ministeriali;
• i diritti fondamentali dei cittadini, infine, grazie alle interpretazioni della Corte costituzionale e
della magistratura e a una legislazione nel complesso sempre più aggiornata e garantista, sono
tutelati estensivamente e in misura che non è neppure paragonabile rispetto a quanto avveniva
nelle precedenti fasi della storia costituzionale italiana. Laddove ciò non basta, interviene con
puntualità il sistema della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (nel
quadro di una tutela multilivello dei diritti).
È legittimo chiedersi, allora, come mai si continua da tanti anni a parlare di una Costituzione da
riformare e di riforme istituzionali, e perché queste non arrivano mai? Quanto al primo aspetto,
tanto più dopo la trasformazione del sistema politico, un aggiornamento di diversi titoli della parte
organizzativa della Costituzione sarebbe certamente molto utile: ma mentre su ciò il consenso è
molto ampio, sul come restano notevoli dissensi. Quanto al secondo, le risposte sono molte: a) le
aspettative in termini di prestazioni e servizi da parte dei cittadini sono cresciute; b) l'evoluzione dei
fenomeni sociali è così rapida da rendere sempre più difficile farvi fronte (si pensi ai processi
migratori e ai problemi che questi pongono); c) la concorrenza dentro e fuori l'Europa richiede
efficienza e disponibilità a cooperare di soggetti pubblici e privati; d) le caratteristiche della società
opulenta si coniugano con caratteristiche individualistiche e familistiche tipiche della società
italiana, concorrendo spesso a perpetuare il rifiuto dei doveri di coesione sociale imposti dalle
autorità legittime; e) sul piano politico-istituzionale, fino ad oggi, un sistema bipolare caratterizzato
da forze politiche che stentano a riconoscersi reciproca legittimazione ha portato a
strumentalizzare qualsiasi ipotesi di innovazione istituzionale, misurandola sul metro prevalente
della convenienza immediata: senza parlare della reciproca sfiducia di fondo che permane fra
partiti di centro-destra e partiti di centro-sinistra. Per questo si attende ancora che, al di là delle
buone intenzioni di facciata, la classe dirigente politica riesca a varare in sufficiente comunione di
intenti riforme in grado di assecondare un più lineare e più equilibrato funzionamento del vero
cuore del sistema di governo, il circuito corpo elettorale-elezione dei rappresentanti-investitura
dell'esecutivo.
8. LA COSTITUZIONE E I TENTATIVI DI RIFORMARLA
Anche negli anni ormai lontani in cui l'attenzione prevalente era verso l'attuazione della
Costituzione, vi fu chi ne proponeva la riforma: sia da prospettive contrarie al sistema democratico
sia per favorirne, al contrario, il consolidamento. Tuttavia, fino alla fine degli anni Settanta, le forze
politiche di maggioranza e il maggior partito di opposizione dell'epoca (il Partito comunista) furono
concordi nel respingere qualsiasi ipotesi di revisione. Insieme essi formavano il cosiddetto arco
costituzionale, formula che esprimeva la costituzione in senso materiale dell'epoca (nel senso
indicato nel cap. 1). Quelle forze politiche (la Dc, i suoi alleati, il Pci), con i ceti e gli ambienti sociali
che rappresentavano, consideravano la Costituzione del '48 una propria espressione: e non
avevano la minima intenzione di cambiarla.
Solo nella seconda metà degli anni Settanta, di fronte alle evidenti difficoltà di funzionamento del
sistema politico-istituzionale, culminate nella drammatica
VII legislatura (1976-1979) e simboleggiate dal rapimento e dall'assassinio di Moro, fu proprio un
partito di sinistra (il Partito socialista) a rompere l'arco costituzionale proponendo incisive riforme
costituzionali e lanciando la parola d'ordine della grande riforma. Era la fine del 1979: da allora il
tema non è più uscito dall'agenda delle forze politiche italiane. Le resistenze, per anni, furono
enormi (anche perché il riformismo istituzionale socialista era parte di una legittima strategia
politica volta a contendere la leadership ai due partiti maggiori: ma per ciò stesso era una strategia
che le altre forze contrastavano energicamente). Tuttavia, anno dopo anno l'esigenza di
modernizzare le istituzioni si fece strada. Lo dimostrano da un lato la politica delle riforme possibili
(cioè di rango sub-costituzionale o, comunque, consentite da tutti) perseguita per un decennio
dalle coalizioni pentapartitiche (1981-1991), dall'altro importanti iniziative parlamentari che si
sarebbero ripetute anche per affrontare la crisi degli anni Novanta. Le commissioni parlamentari
bicamerali costituite nell'arco di quindici anni per dar vita a una complessiva revisione della
Costituzione del 48 furono ben tre. Si veda la tabella riassuntiva.
Trent'anni di riformismo istituzionale hanno mostrato la difficoltà di procedere a una revisione
organica della carta costituzionale. In effetti, mai si sono profilati consensi sufficienti a un'impresa
del genere, nonostante che, a partire dagli anni Novanta, si sia ritenuto di accrescere le possibilità
di successo limitando l'ipotizzata revisione alla sola parte seconda: questo per venire incontro alla
preoccupazione di quanti temevano e temono che por mano alla parte relativa ai diritti dei cittadini
avrebbe potuto ridurre e non rafforzarne la tutela. E del resto sempre stata assai forte l'idea,
radicata nella coscienza collettiva per via del modo in cui la Costituzione nel 48 era stata
instaurata, che a qualsiasi revisione costituzionale si dovesse procedere solo sulla base di
consensi larghissimi, che non tagliassero fuori alcuna delle forze politiche principali (nonostante
l'art. 138 Cost. ammetta la revisione con la più piccola delle maggioranze qualificate, la metà più
uno dei componenti, sia pure dopo due votazioni conformi in ciascuna camera). Non solo: con
l'avvento di un sistema politico maggioritario è presente a tutti la necessità di evitare riforme
costituzionali partigiane destinate ad essere ribaltate da una successiva diversa maggioranza.
L'esigenza di consensi particolarmente ampi, d'altra parte, ha finito con l'attribuire a ciascuna forza
politica un virtuale potere di veto; ed ha fatto sì che spesso, come mostrano i lavori delle
commissioni bicamerali, il punto di compromesso fra forze politiche portatrici di disegni assai
distanti fra loro venisse trovato sulla base di soluzioni incoerenti e tecnicamente inadeguate.
Alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, la revisione dell'intero titolo V della Costituzione («Le
Regioni, le Province, i Comuni») fu invece approvata, con solo quattro voti oltre il quorum
funzionale, dalla sola maggioranza di centro-sinistra. Ciò provocò, per la prima volta, la richiesta di
referendum costituzionale (il voto popolare confermò la riforma). Venne a cadere cosi, tuttavia, il
veto di fatto in materia di revisione costituzionale che le forze politiche principali si erano
riconosciute l'un l'altra in precedenza.
Infatti, la maggioranza di centro-destra uscita dalle elezioni dello stesso anno si fece a sua volta
promotrice di diverse proposte di revisione costituzionale, vuoi correttive della riforma del titolo V
vuoi più ambiziosamente indirizzate a riprendere i tentativi di revisione dell'intera parte seconda
della Costituzione: seguendo ed anzi portando ad ulteriori conseguenze la strada aperta dal
centro-sinistra, la maggioranza approvò da sola, nella XIV legislatura, una complessa iniziativa di
revisione, riguardo alla quale fu subito chiesto un secondo referendum costituzionale.
Quella riforma (v. Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005) toccava quasi metà degli 80
articoli della parte Il Cost, intervenendo su quattro punti: forma di governo, bicameralismo, rapporti
Stato-autonomie, correzioni al titolo sulle garanzie costituzionali.
In particolare, avrebbe rafforzato il ruolo del presidente del Consiglio (go-verno del primo ministro,
chiamato anche premierato) e ridefinito il ruolo del presidente della Repubblica (considerato
«garante della Costituzione»); avrebbe portato a una drastica riduzione del numero dei
parlamentari (175 in meno) e una netta differenziazione fra le due Camere (con la Camera dei
deputati come sola titolare del rapporto fiduciario, mentre il Senato, definito federale, avrebbe
partecipato alla funzione legislativa in misura più limitata); sarebbero state introdotte competenze
legislative esclusive delle regioni su alcune materie (assistenza e organizzazione sanitaria;
organizzazione scolastica; polizia amministrativa regionale e locale) e restituite allo Stato alcune
delle competenze concorrenti di cui all'attuale art. 117.3 (grandi reti di trasporto, distribuzione
nazionale dell'energia e altre).
Il progetto approvato fu fortemente avversato dall'opposizione di centro-sinistra, destinata a
divenire maggioranza con le elezioni del 2006. Inoltre, essa suscitò reazioni prevalentemente
critiche anche in ambito dottrinario.
Alcuni giudicavano che il testo rafforzasse eccessivamente governo e primo ministro; altri
trovavano poco convincente la soluzione individuata per riformare il bicameralismo: infatti, con
l'intendimento di assicurare un ruolo sostanzialmente paritario al Senato, nel momento in cui lo si
voleva ancora direttamente eletto e privato del rapporto fiduciario col governo, lo si era caricato di
decisive competenze legislative che facevano temere - per converso
- un indebolimento dell'esecutivo in ordine alla sua capacità di perseguire in concreto il proprio
indirizzo politico. Sta di fatto che il voto popolare bocciò
seccamente la riforma con il 61,3% di «no» e il 38,7% di «sì».
Gli insuccessi fin qui registrati non tolgono affatto che diversi importanti istituti della parte seconda
della Costituzione giustificherebbero incisivi interventi, come del resto è stato ribadito da solenni
documenti parlamentari (in ultimo v. le mozioni approvate con larghissimi consensi al Senato il 2
dicembre 2009) e da un numero incalcolabile di dichiarazioni politiche. Qui richiamiamo in
particolare:
a. la riforma del bicameralismo paritario e indifferenziato per dare un senso all'esistenza di
due diversi rami del Parlamento. Essi si giustificano solo se diversi per funzioni e
rappresentatività; inoltre, dopo la riforma del titolo V si impone come esigenza
imprescindibile individuare al centro dell'ordinamento la sede della rappresentanza degli
interessi sub-nazionali, a partire ovviamente dalle regioni; infine, tanto più dopo la riforma
elettorale del 2005, è urgente sottrarre al Senato il rapporto fiduciario col governo;
b. una messa a punto della forma di governo in modo da integrare efficacemente la
legislazione elettorale; si tratta di dotare il presidente del Consiglio dei ministri di poteri
giuridici che ne consolidino la supremazia e le responsabilità all'interno della compagine di
governo, chiarendo nel contempo il ruolo del presidente della Repubblica (facendo del
presidente del Consiglio un vero e proprio primo ministro con potere di nomina e revoca dei
ministri, a lui si dovrebbe affidare la determinazione dell'indirizzo politico di governo e a lui
dovrebbe essere attribuito, salvo eccezioni, il potere di decidere il ricorso anticipato alle
urne); in questo quadro occorrerebbe inoltre dare un riconoscimento costituzionale al ruolo
dell'opposizione e prevedere disposizioni che disciplinino eventuali conflitti di interesse;
c. una correzione equilibrata dell'art. 117, con riferimento alle competenze legislative di Stato
e regioni, sulla base dell'esperienza di questi anni e della giurisprudenza della Corte
costituzionale, nonché delle osservazioni critiche che alle soluzioni del 2001 sono state
portate dalla dottrina e da esponenti di tutte le parti politiche.
Accanto a queste priorità, vi sarebbero poi anche altri temi che infatti erano oggetto delle proposte
delle ultime commissioni parlamentari bicamerali: le norme del titolo sulla magistratura, qualche
prudente correttivo all'organizzazione e al funzionamento della giustizia costituzionale, norme che
alla stregua di quasi tutte le altre costituzioni dei paesi dell'Unione europea disciplinino i rapporti
fra ordinamento italiano e ordinamento dell'Ue (oggi integralmente affidati alle interpretazioni
estensive dell'art. 11 Cost. assecondate dalla Corte costituzionale e al riferimento di cui all'art.
117.1).
Più difficile pensare di poter procedere a modifiche della parte prima sui diritti e doveri, che pure
meriterebbe alcuni aggiornamenti (si pensi, ad es., alla libertà di informazione e più in generale ai
«nuovi diritti»).
Nella XV legislatura, interrottasi con grande anticipo nel febbraio 2008, progetti di revisione nella
direzione indicata, pur limitati nel loro contenuto, avevano fatto qualche passo avanti nell'iter
parlamentare, sostenuti da ampi consensi (progetto Violante, dal nome del presidente della
commissione affari costituzionali della Camera).
Con l'avvento della XVI legislatura, grazie soprattutto al delinearsi di un sistema partitico assai
diverso dal passato, meno frammentato e, almeno in una prima fase, caratterizzato da una
maggioranza abbastanza omogenea e da un clima più costruttivo nei rapporti governo-
opposizione, era sembrata profilarsi una ripresa dell'impegno riformistico tale da poter sfociare in
una più o meno ampia riforma della parte seconda della Costituzione: lo stesso presidente della
Repubblica aveva più volte pronunciato auspici in tal senso. Ma poi le polemiche contingenti sono
tornate a rendere tale prospettiva difficile in un alternarsi continuo di fasi di ottimismo e fasi di
stallo.
Quanto agli strumenti eventualmente da utilizzare, sembra ormai pacifico l'abbandono di qualsiasi
procedimento speciale e il ricorso all'art. 138 Cost. così com'è. Taluno propone inoltre una modifica
dello stesso art. 138: da un lato si suggerisce di alzare il quorum necessario per la revisione,
dall'altro di sopprimere il terzo comma, consentendo di chiedere in ogni caso il referendum
confermativo.
Una revisione costituzionale potrebbe essere preceduta da un adeguamento dei regolamenti
parlamentare, in coerenza con la mutata struttura del sistema partitico (se ne parla da tempo); e
dovrebbe essere accompagnata da modifiche alla legge elettorale (i cui difetti più evidenti pochi
discutono). Per abrogarne alcune parti si è tenuto nel 2009 un referendum, fallito per mancato
raggiungimento del quorum. L'esperienza insegna però quanto sia difficile cambiare la legislazione
elettorale, tanto più quando strategie e interessi restano contrapposti. In particolare, chi vuole
consolidare l'assetto bipolare e la riduzione della frammentazione punta a limitate modifiche della
legge attuale (proporzionale con premio) oppure all'introduzione di una formula simile a quella
applicata in Spagna (proporzionale ma con circoscrizioni molto piccole e nessun recupero dei resti,
quindi con effetti maggioritari) oppure ancora al sistema maggioritario uninominale (a uno o a due
turni). Chi considera forzoso il bipolarismo italiano punta invece a un sistema di tipo tedesco
(proporzionale con sbarramento, ma senza premio). Chi anche grazie alla legge elettorale vigente
governa tende naturalmente a non volerla cambiare. Come e più di prima (spuntata ormai l'arma
del referendum po-polare), ogni prospettiva di riforma in questo campo sarà condizionata da come
si evolve il sistema politico. Lo stesso si deve dire per eventuali riforme dei regolamenti
parlamentari e, naturalmente, della Costituzione.