Dispense - Teologia Pastorale - Frdispense - Teologia Pastorale - Italien
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TEOLOGIA PASTORALE
Bibliografia: Documenti forniti dal professore e un capitolo a scelta dal libro di PAOLO ASOLAN ,
Perché Dio entra nel mondo .
Radice biblica: Nel NT non troviamo una risposta esplicita su cosa la chiesa debba fare qui e ora,
ma questa risposta si delinea nel corso della narrazione. Già nella struttura quadrupla del Vangelo
troviamo l'interesse pastorale in quanto c'è un riferimento al destinatario che non è indifferente, ma
preciso e costitutivo: il destinatario è un elemento a partire dal quale il Vangelo prende forma. Nella
diversificazione dei testi fondamentali comprendiamo quindi la distinzione dei destinatari:
l'interesse pastorale è la ragione di questa differenziazione.
Il Vangelo di Giovanni si presenta come un processo in cui possono essere assunte diverse
posizioni.
L’episodio dei diaconi è paradigmatico come il libro degli Atti è paradigmatico per la teologia
pastorale. C'è un'intenzione apologetica per difendere la missione di Paolo verso i pagani, nel
capitolo VI degli Atti c'è un metodo implicito ma molto chiaro di teologia pastorale: il contesto è
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che le vedove di lingua greca vengono trascurate nella distribuzione del cibo perché non hanno un
uomo che le protegga legalmente. Gli apostoli si riunirono e si resero conto che non era bene per
loro trascurare la missione di annunciare il Vangelo per prendersi cura della mensa, e allora
stabilirono un criterio, cioè la scelta di alcuni giovani come Stefano e Filippo per occuparsene, da
cui la nascita dei diaconi. Gli apostoli non si trovarono di fronte a un problema teologico nel creare
un ministero: avrebbero potuto risolvere il problema in termini puramente organizzativi, ovvero
sfamare le donne . Il problema pastorale, però, non è solo quello del fare le cose, perché dentro il
problema pratico e materiale c'è un'altra questione, che è teologica e che chiede: qual è la natura del
ministero degli apostoli? Cosa disse loro Gesù di fare? Predicare, e se il servizio lo impedisce,
allora la predicazione deve prevalere, ma poiché c'è bisogno di persone che servano, allora devono
essere scelti sette uomini. Per la teologia pastorale (quelle questioni che si manifestano nella vita
concreta della Chiesa) è importante arrivare a comprendere ciò che il Signore chiede che venga
fatto tramite l'uomo in quel momento. L'istituzione del ministero in questo caso va nella direzione
dell'intenzione di Gesù e si inserisce nel contesto complessivo del ministero dell'annuncio e della
formazione della comunità cristiana quando sorge una domanda davanti alla quale dobbiamo
fermarci e comprendere bene che cosa siamo chiamati a fare , discernere che cosa, attraverso azioni
concrete e pratiche, il Signore ci chiama a fare.
Il secondo episodio riguarda la questione della circoncisione: la circoncisione è l'ingresso nel
popolo d'Israele e l'osservanza della legge di Mosè; questa questione viene portata al consiglio degli
apostoli che discernono nello Spirito Santo. Non è semplicemente una questione se tagliare o meno
il prepuzio, ma c'è una questione teologica: cosa salva, la legge di Mosè o la salvezza di Cristo? Se
l'economia della salvezza ha previsto prima la legge e poi Cristo, allora per alcuni è necessario
seguire questa via, ma il concilio fa una distinzione tra coloro che provengono da Israele e coloro
che non lo fanno, dicendo a questi ultimi che non è necessario farlo. Per risolvere il problema, gli
apostoli avrebbero potuto semplicemente accettare la circoncisione, senza comprendere la novità di
Cristo. La teologia pastorale affronta e riconosce il problema, non lo risolve come si è sempre fatto,
poiché il problema pone il cristiano di fronte a un problema nuovo (= tappa di valutazione che già
avviene nella fede e sulla quale si focalizza un criterio di azione; tale criterio è dato dall'incontro tra
i dati della fede e il contesto), si prende una decisione e infine si attua.
Nel NT troviamo il ministero di Paolo (il primo scritto nel NT è in realtà 1 Tess.). Nella lettera ai
Tessalonicesi, Paolo incoraggia i cristiani a lavorare perché, nell'attesa del Signore, si rifiutano di
farlo. Nella lettera ai Corinzi, Paolo rimprovera il modo in cui celebrano l'Ultima Cena: alcuni si
ubriacano, altri mangiano prima. Tutte le lettere di Paolo sono strutturate con una proclamazione di
fede seguita da implicazioni pratiche, che si ritrovano nel mistero crudo che fa vivere in modo
diverso (fede cruda - fede vissuta). Ci sono dunque questioni pastorali che riguardano la vita della
comunità e che sono occasione per dire e annunciare il Vangelo. Un piccolo gruppo di lettere
paoline, perché indirizzate ai pastori Timoteo e Tito, sono dette "pastorali" (G. Agamben: tempo
messianico: i due interrogativi nei quali possiamo incontrare il Signore sono adesso e nella nostra
morte). Paolo scrive a questi pastori mentre sono ormai in una vita comunitaria stabile, la
distinzione tra vescovi, presbiteri e diaconi non è ancora molto chiara, tuttavia qui inizia un filone
che sarà felice tra i padri dove Paolo teorizza che con i giovani, i neofiti e le vedove bisogna avere
un certo comportamento, la cura pastorale non può essere uguale per tutti ma il destinatario deve
essere ben considerato. Ci sono inni cristologici in cui vediamo queste distinzioni: le indicazioni di
Paolo sono giustificate sulla base della sua comprensione di Cristo.
Nell'Apocalisse ci sono diversi settenari, tra cui le sette lettere indirizzate alle sette chiese dell'Asia
Minore, dove sembra che Giovanni abbia lavorato. Queste lettere sono indirizzate agli angeli che
erano il vescovo della chiesa nella sua funzione di supervisione e guardia; Si tratterebbe quindi di
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lettere pastorali. Queste lettere hanno questa struttura: un resoconto sulla situazione di questa
Chiesa, l'espressione di un giudizio, una dichiarazione di fede punteggiata dall'affermazione "chi ha
orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese", lo Spirito parla dunque alle Chiese e le invita a
discernere sulla comunità, sulla Chiesa. Questi dati scritturali sono molto importanti.
Focus ecclesiastico: nel primo periodo dopo gli apostoli, la teologia pastorale è legata alla questione
della sopravvivenza delle comunità cristiane, che porta a una domanda teologica: chi è Dio, chi
adoriamo? I martiri risposero con lo spargimento di sangue. L' elemento della libertà di culto,
tollerato dai Romani, implicava una diversa visione del mondo. I padri apologisti hanno difeso per
primi la legittimità del cristianesimo, che non è né una superstizione da condannare né un atto
empio, bensì un atto ragionevole (cfr. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Il Dio dei filosofi, Il
cristianesimo ha dialogato con la filosofia più che con la religione). L'azione delle comunità
cristiane sollevava un interrogativo sul modo di vivere, che suscitava interrogativi e interessava la
riflessione del tempo. Soltanto con la fine delle persecuzioni, quando Costantino vinse a Ponte
Milvio, egli ottenne il trionfo, non sacrificando agli dei, perché la vittoria gli era stata data dal Dio
in croce che aveva sognato. I Padri avevano la caratteristica di commentare spesso (cfr Agostino) le
Scritture a partire dagli interrogativi che la gente si poneva: il posto della teologia non era dunque la
speculazione in sé, ma ciò che poneva la domanda pastorale a partire dalla quale il vescovo
costruiva la sua catechesi.
Questioni storiche: San Martino di Tours, prima di Gregorio Magno, fu l'esempio della fase di
transizione tra il cristianesimo, che non era ancora religione di Stato, e il martirio, e la via aperta più
tardi da Benedetto come inculturazione del Vangelo attraverso vie diverse. Martino strutturò la vita
dei sacerdoti in comune. Il prototipo di questi monaci che divennero vescovi esercitando la cura
pastorale è Gregorio, che imparò come un pastore dovrebbe comportarsi riconoscendo e affrontando
i problemi; Meditò per qualche tempo sul libro di Giobbe e sulla fragilità della natura umana e su
ciò che accade nella fede. Gregorio non ebbe mai una visione, tutto ciò che capì proveniva
dall'ascolto delle Scritture. Gregorio si prende cura quotidianamente e meticolosamente della
Chiesa di Roma, soprattutto durante la peste; egli trae dalle visioni di Ezechiele una visione
"escatologica" per ravvivare la fede dei Romani, facendo loro intravedere il compito della Chiesa e
dell'umanità nel disegno di Dio che non verrà mai meno. Scrivendo al vescovo di Ravenna
Giovanni, parla della regola pastorale: l'azione del pastore deve misurarsi con il destinatario, con
una tipizzazione varia che potrebbe però portare a una categorizzazione del destinatario per rendere
efficace l'azione pastorale. Gregorio rispose interpretando le Scritture allegoricamente. Il successo
del governo pastorale è dovuto anche al fatto che non vi fu ulteriore riflessione su di esso e che
nella riforma generale dell'impero di Carlo Magno, che istituì le scuole capitolari, il governo
episcopale di Gregorio rimase immutato e continuò a produrre effetti al di là del contesto in cui
nacque e dei problemi che incontrò. L'efficacia del ministero episcopale, secondo Gregorio, non
dipende dalla forza fisica, dalla salute o da altri prerequisiti umani, ma da un uomo cosciente e
consapevole della legge che corrisponde alla volontà di Dio. Nel periodo intermedio tra Gregorio e
Laterano IV si afferma la Christianitas : l'Europa si ritrova con la fede cattolica come elemento
unificante e regolatore, garante dell'unità del Medioevo. A quel tempo, i sacerdoti non avevano
bisogno di essere formati all'inculturazione e alla missione del Vangelo; a loro veniva chiesto di
amministrare i sacramenti che la popolazione non poteva altrimenti ricevere. Questa concentrazione
sacramentale senza attenzione alla fede e la negligenza nella predicazione fecero della fine del
Medioevo un periodo veramente complesso e delicato. Si poteva anche comprendere, da fattori
sociologici, che la Chiesa stava vivendo un periodo davvero delicato: la vita stessa di san Francesco
e di san Domenico non era un prodotto pastorale, ma una vera ispirazione dello Spirito. Francesco
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scienza che non presuppone Dio e non descrive l'uomo come una creatura creata da Lui? Esistono
quindi teologie pastorali che si rifanno a Tommaso e danno una serie di precetti pastorali, e altre
teologie pastorali che si interessano al fenomeno sociale e cercano di comprendere qual è il
contributo della Chiesa alla buona crescita della società, alla sua pace e al suo buon funzionamento.
Esiste quindi una parte della sociologia (riflessa da una parte della teologia pastorale) che si occupa
della giustificazione della religione come valore assoluto che aiuta gli individui a obbedire alle leggi
dello Stato e all'ethos condiviso. L'interesse di questa parte della teologia pastorale è però sempre
strumentale a qualcos'altro e non a rispondere direttamente alla questione della teologia pastorale,
relativizzando così il dato cristologico.
9. La cura pastorale dell'insieme (ambiente) HILTNER è il capostipite di tutta una corrente di
PASTORALCOUNSELING (cura delle anime), cioè della cura pastorale di una singola persona che
ha bisogno di essere aiutata nel suo problema specifico. Si sta sviluppando negli Stati Uniti e si
avvale del contributo delle scienze umane (psicologia, sociologia, ecc.). Il pensiero di Hiltner
aderisce a questa corrente, che distingue le materie teologiche in quelle che riguardano la logica e
quelle che riguardano l'azione. Il lavoro pastorale non è solo un insieme di cose da fare, ma vive del
fatto di fede riguardante la cosa creduta, presentando anche una specializzazione che punta
sull'aspetto soggettivo e individuale. Il limite di questa teologia pastorale è però che non si occupa
dell'individuo ma del soggetto plurale.
Un secondo fatto che si verifica in questo periodo è la RIVOLUZIONE INDUSTRIALE, che
provoca anch'essa un notevole sconvolgimento antropologico, provocando la fine del mondo
contadino e primario. La possibilità di produrre su scala industriale portò alla concentrazione delle
forze umane nell'arco di 14 ore, attivando la mobilità territoriale e facendo sì che le persone non
vivessero più in campagna ma in città (fen: urbanistica). Questo sradicamento e questa serie di
fenomeni (tra cui l'autorità: in una società contadina/patriarcale, il potere era dato al capofamiglia,
ma quando inizia il lavoro fuori casa e la vita del capofamiglia dipende anche dal datore di lavoro,
chi è colui che esercita il potere? È dentro o fuori casa? Queste domande portano a uno
sconvolgimento della struttura sociale con evidenti ingiustizie sociali). Tutto ciò porta al crollo della
civiltà parrocchiale per quanto riguarda la questione della teologia pastorale: le parrocchie si
svuotano perché non ci vive più nessuno. Curiosamente, questo brano non ha dato luogo a
riflessioni pastorali nella formazione seminaristica. Nel 1848 MARX intercettò questo malessere e
pubblicò il Manifesto in cui criticava l'ideologia. Papa Leone XIII pubblica nel 1891 l'enciclica
RERUM NOVARUM, dando inizio a una tappa del magistero sociale che il Papa assume in forma
complementare: la questione è così urgente che non può non trovare risposta. Ovviamente questa
enciclica fu criticata da quanti sostenevano che l'interesse teologico non riguardava i problemi dei
lavoratori. Ma per la prima volta, in questa struttura venuta dall'alto, era necessario rappresentare
anche la parte inferiore della società. Ciò ha iniziato a decostruire la forma classica della teologia
pastorale, che doveva rapportarsi alle persone in un modo diverso. Resta dibattuta la questione della
dottrina sociale della Chiesa, che non è solo una questione di morale ma anche di teologia pastorale
(cfr teologia della liberazione; Giovanni Paolo II).
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Nel
questo approccio, basta vedere come nelle diocesi si mescolano la pastorale parrocchiale e la
pastorale ambientale (ad esempio, la pastorale scolastica, la pastorale sanitaria, la pastorale sociale,
ecc.).
Il CVII, per quanto riguarda la teologia pastorale, può essere trattato nella persona di Giovanni
XXIII. Roncalli era un seminarista bergamasco, espressione di un cattolicesimo tradizionale,
intransigente verso la modernità e il liberalismo: il sacerdote era quello descritto da Trento (cfr Pio
X), il buon cristiano era il buon cittadino. Roncalli studiò presso il Seminario Romano Maggiore,
cosa che gli consentì di acquisire nuove esperienze. Dopo essere stato ordinato sacerdote, tornò in
diocesi e divenne segretario del vescovo. Esperto di storia della Chiesa e di patristica, scrisse un
libro accademico e, lavorando a fianco del vescovo, comprese anche le difficoltà che comporta
guidare una diocesi. Durante la prima guerra mondiale venne chiamato al servizio militare e prestò
servizio come cappellano sanitario. Dopo la guerra venne inviato a Roma per dirigere le opere
missionarie: ancora una volta i suoi orizzonti si allargarono ed egli si dedicò a vicende che
riguardavano l'Europa e il mondo intero. Roncalli riconobbe qualcosa di vero nei processi innescati
dalla modernità: l'inadeguatezza delle risposte della Chiesa. Le esigenze del modernismo e della
filosofia costituivano un confronto importante e necessario che Roncalli riteneva la Chiesa dovesse
affrontare. Consacrato vescovo, fu inviato in Bulgaria e si confrontò con l'Ortodossia; ebbe anche
una grande passione ecumenica nella sua esperienza di papa. Fu poi inviato a Istanbul, dove l'Islam
era presente in un difficilissimo processo di apertura alla laicità dello Stato. Anche qui Roncalli
dimostrò di saper instaurare buoni rapporti con tutti, ricambiando sempre la gentilezza del suo
animo. Fu inviato a Parigi in nunziatura con una missione molto difficile: Charles De Gaulle voleva
destituire 48 vescovi e il compito di Roncalli fu quello di contenere la richiesta; alla fine ne furono
sospesi solo 4. Roncalli aveva imparato l'arte del temporeggiare in Oriente e questo lo aiutò ancora
di più nel suo desiderio di creare buoni rapporti! In Francia conobbe diverse realtà e fu poi inviato a
Venezia, la prestigiosa diocesi di Pio X. Anche lì l'anima di Roncalli si rivelò per quella che era:
poté muoversi molto nella sua diocesi e infondere ovunque la sua paternità. Divenne papa
nell'ottobre con il nome di Giovanni XXIII e già a gennaio annunciò di voler convocare il concilio
sinodale. La diocesi di Roma, fino ad allora considerata un semplice ufficio, cominciò a scoprire la
sua identità di diocesi. Voleva affidare a una commissione l'elaborazione di linee generali, alle quali
sarebbero poi seguiti documenti da sottoporre all'approvazione dell'assemblea. Tutti i movimenti
sorti nella Chiesa tra la CVI e la CVII, come il movimento ecumenico, il movimento biblico in
risposta al metodo storico-critico, il movimento liturgico: la Chiesa non era più una societas perfetta
quanto alla distinzione del potere, ma un mistero aiutato anche da una travagliata riscoperta dei
padri. Tutto questo potrebbe essere affrontato sia come fece Pio XII con un'innovazione
tradizionale, sia prendendo questi movimenti e, senza compartimentarli, ripensandoli tutti insieme
per quanto riguarda il rapporto della Chiesa stessa con la modernità. Giovanni XXIII decise di
seguire quest'ultima e indicò che la CVII avrebbe dovuto avere un carattere pastorale: non c'erano
eresie da rispondere, né dottrine da difendere, ma semplicemente fare dei passi avanti, riflettere sui
destinatari e comprendere come essi determinino l'agire stesso della Chiesa. Il carattere pastorale
riguarda il rapporto Chiesa-mondo, l'essenza stessa della Chiesa, una delle costituzioni del concilio
è infatti proprio la costituzione pastorale GeS (che per il professore va letta alla luce della Dei
Verbum - soprattutto del cap. 2 - e non della LG): l'azione della Chiesa verso il mondo è necessaria
perché è la forma in cui Dio si rivela e salva il mondo. Nello Schema 17, preparatorio al CVII, fu
inviato ad aggiornare la dottrina sociale che aveva visto in Giovanni Paolo XXIII un grande
pensatore. Nella stesura di questo schema, che dopo il convegno di Ariccia è diventato lo schema
13, si sono incontrate nel dibattito due prospettive laiche e costitutive della teologia cattolica:
l'incarnazionismo rappresentato dai teologi francesi e la prospettiva escatologica dei tedeschi, sotto
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le quali sorge sempre la domanda: che cosa ci salva? Alcuni hanno risposto con l'incarnazione o la
redenzione. Fondamentale per dare vita al GeS fu l'arrivo di Wojtyla, che lavorò su questo schema
integrandolo con alcune posizioni personaliste. La Costituzione fu prorogata l'8 dicembre 1965; il
documento fu concepito per esprimere l'azione della Chiesa nel mondo, con allegati che trattavano
singole questioni annotate nell'ordine del giorno del concilio, nella discussione per decidere quali
fossero i principi più importanti da affermare in riferimento alle questioni da affrontare e per
identificare quelli in riferimento ai principi. Hanno aggiunto la nota che la costituzione della Chiesa
nel mondo contemporaneo consta di due parti, ma che né la parte dottrinale (dogmatica) né quella
pastorale (la prassi è già considerata) mancano per formare un tutto unitario. Questo punto è molto
importante perché costituisce una svolta: qual è il rapporto tra teologia e prassi quando rispondiamo
alla domanda su cosa dovrebbe fare la Chiesa qui e ora? Non si può affermare un principio, ma non
lo si può neppure dedurre dalla prassi; teoria e prassi si trovano in un rapporto reciproco dialettico
asimmetrico. Il metodo induttivo è inadatto alla teologia pastorale tanto quanto il metodo deduttivo.
- Come parlare oggi di teologia pastorale? L' indicazione data da GeS ha portato a considerare
l'aspetto dottrinale e quello pastorale (dottrina e prassi) come un tutto unitario. Si riconosce un
innesto reciproco tra teoria e prassi, la parte dottrinale rinvia a quella pastorale per definirsi, e anche
la pastorale deve andare oltre ciò che il principio può affermare.
Parte sistematica : la teologia pastorale è una disciplina pratica che si occupa dell'azione, è una
teoria dell'azione, non è azione (= pastorale). La teologia pastorale studia questa azione in termini di
adeguatezza dell'oggetto, del metodo, della congruenza del metodo, dell'efficacia dello strumento,
dell'adeguatezza dei soggetti. Poiché questa è una teoria della prassi, dobbiamo chiederci quale
forma dovrebbe assumere. Di per sé, questa domanda sembra contraddittoria: fino a che punto può
spingersi una teoria della prassi? Ecco perché è importante l'osservazione di GeS secondo cui non
può esserci teoria senza prassi (= "riflettiamo su noi stessi mentre viviamo" cfr. Balthasar).
Per quanto riguarda la relazione teoria-pratica, osserviamo alcuni schemi:
1. Il modello deduttivo afferma sostanzialmente che nel rapporto tra teoria e prassi, la teoria
conta di più, mentre la pratica sarà semplicemente una conseguenza dell'applicazione. Ad
esempio, se vogliamo dire come deve agire la Chiesa, dobbiamo fare una teoria dell'azione:
poniamo obiettivi, regole, indicazioni, valutiamo il problema e la realtà stessa del soggetto
che deve agire, e diamo un decreto finale che però rischia di essere totalmente slegato
dall'azione del soggetto che agisce. Non esiste un passaggio diretto tra teoria e prassi, perché
la prassi ha già in sé una teoria e una vita che non possono essere presupposte e dalle quali
deve essere insegnata. La vita sarà sempre così: nessuna teoria può abbracciare tutto ciò che
accade nella vita, perché la teoria stessa deve sintetizzare il fenomeno generale e non il
particolare, ma nella vita bisogna tener conto anche del particolare. Avendo compreso la
realtà creata dello Spirito Santo, potremo dire che essa supera ogni teoria: non c'è mai una
corrispondenza diretta (ad esempio, nel diritto canonico ci sono molte teorie non previste dal
canone perché la realtà supera la teoria del canone che, per natura, non può prevedere tutto.
Su questo, capiremo l'importanza dell'affermazione di Gv sulla verità come persona e non
come teoria).
2. Il modello induttivo , invece, parte dall'esperienza concreta da cui si deve ricavare la legge
appropriata all'azione. Questo metodo a volte si fonde con la teologia dei segni dei tempi e
talvolta giunge persino a giustificare cose che certamente non sono la volontà di Dio. La
teoria deve essere derivata, in senso molto marxista (= teorie di emancipazione, di
progresso), dalla pratica, misurando quindi la teoria in base alla sua efficacia. Ma il
cristianesimo in questo discorso di efficienza può incontrare delle difficoltà: la Chiesa non
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È attraverso l'azione della Chiesa che avviene la salvezza, che non è l'effetto auspicabile dell'azione
pastorale, ma ciò che avviene al suo interno (cfr GS 22: con l'incarnazione, Dio si è unito in qualche
modo ad ogni uomo). La caratteristica principale del lavoro pastorale è il suo carattere
sacramentale: è attraverso i gesti umani che avviene la salvezza. Se l'azione della Chiesa non ha
questa finalità, allora non è più pastorale.
Metodo di discernimento : un metodo adeguato per fare tutto questo non è deduttivo perché
trascurerebbe il lato umano, induttivo trascurerebbe il lato divino e quindi deve tener conto di
entrambi e deve essere un metodo di discernimento: riconoscere in ciò che avviene nella vita della
Chiesa l'azione di Dio che opera la salvezza. Questo metodo è adeguato e garantisce la coerenza del
dato umano e lo illumina e lo comprende nella ricerca di Dio e dello Spirito Santo, in ciò che
avviene con un criterio di discernimento che permette proprio di comprendere ciò che viene da Dio
e ciò che non viene da Lui. Questo metodo cerca di aderire alla realtà concreta e alla vita della
comunità che ci è affidata come compito di sguardo sulla realtà che ci fonda.
Come è strutturato questo metodo ? In dimensioni (= come appare questa cosa) e in passaggi: per
quanto riguarda la domanda su cosa dovrebbe fare la Chiesa qui e ora, la risposta deve avere almeno
tre dimensioni (se ne manca una, non è teologia pastorale!)
Il primo è quello kairologico (= da kairos , qualcosa accade in modo che se lo si prende sul serio, la
vita cambia completamente; a differenza di chronos, che riguarda il passare del tempo. Kairos è
l'azione di Dio nella storia, nello spazio-tempo, attraverso cui Dio viene a fare qualcosa attraverso
cui la vita non sarà mai più la stessa. Dio, attraverso questo, chiede all'uomo di collaborare, di dire
di sì, e in questo senso parliamo di una chiamata, di una convocazione: prima di questo l'uomo si
sente chiamato. Per rispondere alla domanda, dobbiamo porci di fronte a una situazione molto
concreta di fronte alla quale dobbiamo riconoscere in cosa consiste il kairos di Dio. La teologia
pastorale riflette quindi sempre a partire da una situazione molto concreta! Dobbiamo distinguere
tra futurum e adventus nella lettura della realtà: futurum è il tempo che si presenta a noi come lo
spazio in cui proietto ciò che penso di dover fare e ciò che comprendo, adventus invece è l'attesa di
qualcuno che viene: il Signore viene incontro a noi, dobbiamo quindi leggere il fenomeno nella
prospettiva della sua presenza. Non siamo noi a dover risparmiare tempo, ma a doverlo cogliere
nella presenza di Cristo! ).
La seconda è quella operativa (= un'azione pastorale si chiede sempre cosa deve fare, la teologia
pastorale ha il compito di progettare cosa deve essere fatto e non si ferma alle diagnosi. Bisogna
sempre proporre un progetto su come fare/affrontare una certa situazione. Se manca questa
dimensione operativa e pratica, non si può parlare di teologia pastorale. Non bisogna ridursi a ciò
che esiste, ma adattarlo, o addirittura modificarlo. A questa dimensione appartiene anche la
determinazione di risorse, strumenti, soggetti, ecc.).
La terza è la criteriologia (= la differenza tra principio e criterio è che il primo è assoluto, dissolto
da, non dipende dalla situazione ma è sempre valido; il criterio, invece, è il coefficiente pratico che
cerca di capire come concretizzare un dato di fede, è sempre elaborato a partire dall'incontro del
dato di fede con la realtà e non è mai dato una volta per tutte. Di conseguenza, possono esserci
diverse soluzioni pastorali in diversi contesti che tuttavia rendono pratica la fede qui e ora). Anche
questi metodi prevedono tre fasi:
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Se l'azione pastorale è umano-divina, ciò significa che nell'azione concreta della Chiesa si deve
riconoscere che è agito il Signore. Come possiamo farlo e come chiamiamo il fatto che Dio è Padre
e Creatore? Cosa significa che l'azione pastorale deve essere creativa e collaborativa nella scrittura?
I caratteri dell’azione ecclesiale (Padre, Figlio e Spirito Santo): la questione su cui si fonda la
natura teologica della pastorale è che il Signore è sempre presente nel tempo (= adventus ) e agisce
in esso, il nostro compito è proprio quello di collaborare con Lui. La lettera che Giovanni Paolo II
scrisse al termine del Giubileo, Novo Millennio Ineunte , è un testamento spirituale e ci invita a
riconoscere l’opera della grazia nella Chiesa: dobbiamo vedere l’azione della grazia nella Chiesa,
tutte le azioni devono essere in obbedienza alla volontà di Dio. Questo non deve essere dato per
scontato o scontato, ma tangibile, deve essere visto. I discorsi più santi, senza cadere nel moralismo,
devono essere tangibili, evidenti anche se siamo peccatori, perché nessun peccato è di ostacolo alla
Grazia di Dio. Questa questione dell'adventus si riferisce ad una coscienza spirituale che deve
essere sia corporea che spirituale, che deve passare attraverso la mediazione del corpo (= socialità,
presenza nel mondo, azione). A partire da questa ipotesi stabiliamo in quali tappe la teologia
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Ci sono tre fasi o passaggi sempre presenti nel processo:
1. Analisi e valutazione : a differenza del metodo "vedere-giudicare-agire", l'analisi deve essere
un'intenzione teologica fin dall'inizio, deve essere chiaro qual è la precomprensione guida. Non bisogna
separare queste due questioni: la visione umana implica già a priori una categorizzazione. Non diamo mai
uno sguardo che non implichi un giudizio e anche la comprensione delle possibilità di valutazione che
portiamo con noi. Quando ci troviamo di fronte a un problema, non dovremmo cercare subito la situazione,
ma prima capire cosa sta succedendo, cosa c'è di speciale;
2 . Decisione e pianificazione : dopo aver analizzato e valutato, devi decidere! La decisione deve essere
presa da una sola persona. Chi esercita il processo decisionale e ha questa autorità deve decidere per la
propria vita e per quella del suo popolo; la decisione che prende non deve affermare il proprio punto di vista,
ma servire la vita di qualcun altro. Questa decisione deve essere ovviamente condivisa, vissuta nel disegno
dello Spirito Santo, è il momento in cui la ragione pratica informa la libertà, e per diventare ecclesialmente
condivisa, la decisione deve estendersi in un progetto: persone da coinvolgere, tempi in cui deve realizzarsi,
fini da raggiungere, ecc.
3. Attivazione e verifica : Infine, veniamo al dunque: l'azione della Chiesa comporta sforzo e sacrificio. Ho
bisogno di un controllo per vedere come procede il progetto, per vedere se funziona o se è un fallimento.
Non abbiamo la mentalità della verifica. L'audit serve a comprendere il raggiungimento degli obiettivi e a
valutare gli obiettivi raggiunti (sono aumentati la fede, la speranza e la carità?). Essendo l'azione pastorale
un'azione umano-divina (principio dell'Incarnazione), è importante capire cosa deve essere verificato.
Nell'agire di una comunità cristiana deve essere possibile percepire la presenza e l'azione del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo.
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pastorale deve articolarsi come risposta pastorale. Non bisogna fuggire dal problema, ma è
importante analizzarlo bene e delimitare il campo d'azione nel suo contesto e nei suoi protagonisti.
Questo, come abbiamo detto, deve essere fatto già in una prospettiva teologica, con le categorie
della fede e dal punto di vista di Dio. Tutte queste analisi devono trasformarsi in decisioni e
progetti: dobbiamo stabilire a cosa vogliamo impegnare la nostra volontà. Il criterio di decisione
deve essere sempre evangelico e teologico. Chi deve prendere la decisione è l'autorità e deve farlo
con il criterio che unisce la Chiesa e deve essere responsabile e in accordo con quanto Gesù stesso
ha insegnato e predicato.
Affinché questa decisione diventi un processo che cambia le pratiche, è necessario estenderla a un
progetto pastorale:
1. il progetto = diverso dal “piano”, a differenza degli orientamenti è più “incarnato” deve avere
chiaramente - determinare - un soggetto/comunità chiamato ad agire: può esserci un progetto
pastorale diocesano, un progetto parrocchiale, ecc. Ciò presuppone che si tratti di una comunità,
certamente, ma il lavoro del progetto pastorale crea anche questo soggetto perché riunisce diverse
realtà in una sola e indivisa. Il consiglio pastorale è il luogo dedicato al discernimento spirituale ed
è molto simile a un ritiro perché su certe cose è necessario avere una consapevolezza di fede che
nasce dalla preghiera, dall'ascolto, dal silenzio di fronte a una situazione proposta che esige
un'azione concreta. Al consiglio pastorale devono partecipare non solo i gruppi organizzati della
parrocchia, ma anche i cristiani che praticano il loro battesimo in modo ordinario, affinché la
parrocchia non viva come un parlamento in cui i diversi gruppi impongono i loro sentimenti e il
loro progetto. È importante valorizzare il principio della libertà di ascolto reciproco all'interno del
consiglio, contro una realtà autoreferenziale. La prima cosa che stabilisce un progetto è la
determinazione degli obiettivi, che realisticamente non dovrebbero superare i 2/3. Il progetto
pastorale non può comprendere tutto. Il progetto deve indicare chi fa cosa e con quali mezzi, pur
rimanendo rispettoso delle soggettività nell'aderenza all'obiettivo in un cerchio di vita. Il progetto
deve anche comprendere cosa si vuole fare e stabilire con quali mezzi farlo, ma deve anche essere
finanziato con denaro secondo il Vangelo, valutando anche le risorse e la loro provenienza (la
riforma di Trento, ad esempio, ha funzionato perché il Concilio l'ha finanziata dando al parroco e
alla parrocchia denaro sufficiente per vivere). Un progetto ha bisogno anche di una tempistica: è
necessario stabilire in quale arco di tempo è possibile realizzarlo. La velocità del cambiamento è
tale che non possiamo pensare a progetti pastorali troppo ampi nel tempo.
2. Il progetto è diverso dagli orientamenti = ad esempio, la Chiesa italiana si impegna ogni 10 anni
su un tema, negli anni '80 ad esempio era sulla comunione e la libertà. In rapporto all'andamento
delle cose e alla situazione in cui viviamo, individuiamo un'istanza, cioè un punto su cui ritornano
molti problemi, e proprio lì deve orientarsi l'azione pastorale e interessarsi a questo problema tanto
urgente. Le linee guida sono molto generiche, indicazioni che devono andare bene per tutti, per la
Chiesa universale, e non rispondono tanto a ciò che si deve fare ora. Tuttavia, non è generico, cioè
nasce da analisi e valutazione: nasce per rispondere a un bisogno.
3. Anche la profezia è diversa dalla programmazione: è molto più scandita a progetto e utilizza
tempi che corrispondono ai momenti salienti del calendario liturgico. Ci sono periodi con
caratteristiche diverse in cui i progetti tendono ad adattarsi in modo diverso. La pianificazione è
dunque un'organizzazione/calendario del tempo che consente, in virtù della corresponsabilità, a tutti
di sapere come è organizzata la parrocchia non solo per le questioni ordinarie, ma anche per gli
eventi più importanti. Possiamo parlare sia di una pianificazione molto generale che di una
pianificazione più specifica.
È possibile verificare (TEMA DI VERIFICA) gli effetti della cura pastorale? Alcuni criteri sono
stati e sono tuttora utilizzati come indicatori (= le statistiche sull'appartenenza alla comunità
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cattolica, ad esempio, si basano soprattutto sulla partecipazione alla Messa, sulla condivisione della
morale sessuale, ecc.), ma un criterio oggettivo/quantitativo è certamente quello del raggiungimento
degli obiettivi dei progetti pastorali, che aiuta anche a dare unità all'azione della comunità. Esistono
però anche criteri qualitativi di verifica, il cui raggiungimento non è interessante né dal punto di
vista numerico né da quello materiale dell'azione, ma per capire se quanto viene fatto è pastorale
(cfr. Harnold) oppure no e contribuisce quindi alla salvezza dell'uomo come azione umano-divina.
Perciò è necessario verificare in quello che facciamo non solo se la parte organizzativa umana ha
funzionato, ma anche se Dio era presente oppure no. Se dunque ci sono azioni proprie del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo, i quali, naturalmente, non agiscono in modo frazionario e separato.
A questo punto ci interessa innanzitutto capire qual è la forma sostanziale dell'azione della Chiesa.
Agape!
Dal capitolo Ministerium de trinitate (=capitolo del libro Perché Dio entra nel mondo di padre
Asolan) possiamo porci la domanda: in base a cosa possiamo ipotizzare una verifica pastorale? Per
effettuare un controllo, abbiamo sempre bisogno di un parametro rispetto al quale effettuare il
controllo: il parametro quantitativo può dire qualcosa in modo fenomenale, ma non ci dice molto sul
come, quindi un parametro qualitativo è più interessante. Il tema delle caratteristiche dell’azione
ecclesiale deve servire a verificare se l’azione pastorale è umano-divina e se in essa sono presenti le
caratteristiche dell’azione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questa distinzione non
consiste ovviamente nel fatto che Dio agisca separandosi in Padre, Figlio e Spirito, ma è una
distinzione che ci è propria e che ci aiuta a capire di cosa stiamo parlando: nel concreto della vita,
vediamo l'opera di Dio come unitaria, le tre Persone partecipano di un'unica sostanza e di un unico
fine di azione, anche se resta chiaro che è il Figlio ad incarnarsi, e non il Padre o lo Spirito Santo.
Anche nella vita pastorale non c'è una netta distinzione nell'agire delle persone della Trinità, ed è
per questo che è importante riferire alla Scrittura l'agire proprio delle tre persone, affinché ciò che
vuole fare il Padre, lo facciano il Figlio e lo Spirito, trovi la sua concretizzazione nella vita pastorale
della Chiesa.
Qual è la coerenza e la radice ultima (= il professor Lanza parla di «ontologia» quando afferma che
l’anima dell’azione ecclesiale deve essere sempre l’agape, la carità) dell’opera pastorale per la quale
la Chiesa deve fare qualcosa? Quando la Chiesa (= intesa come comunità cristiana) dice o fa
qualcosa, la reazione che abbiamo a quella cosa fa emergere anche l'idea che abbiamo di ciò di cui
la Chiesa dovrebbe riflettere/interessarsi. Se mancano i dati della fede, qualsiasi interpretazione sarà
accettata, per questo è importante ricordare il ruolo delle proprie precomprensioni nell'atto del
vedere, dell'analizzare e del giudicare. Ma qual è la radice teologica di questa azione della Chiesa?
Cominciamo dalle caratteristiche che dipendono dal radicamento trinitario della Chiesa: essa esiste
perché ha ricevuto da Gesù un mandato a partire dal quale è edificata e obbedisce a una missione
che non dipende da essa, ma le è stata data e riguarda ciò che i discepoli hanno visto e conosciuto di
Gesù. La Chiesa fa subito esperienza di sé, è evidente a livello biblico che il passaggio da ciò che
erano i discepoli prima della risurrezione e della Pentecoste a ciò che erano dopo riguarda non solo
la comprensione di sé stessi, ma anche una efficacia operativa che prima non avevano: infatti,
quando Gesù era ancora vivo per salvare loro la vita, essi fuggirono; al contrario, quando Gesù era
già morto, commisero il martirio per dire che era vivo! Fu l'azione dello Spirito Santo a creare la
comunità rabbinica dei Dodici missionari. Gli apostoli ricevettero da sé stessi e dalla Chiesa la
consapevolezza di una realtà che non apparteneva loro, ma che si sviluppava sotto l'azione di un
altro, lo Spirito, che anticipava concretamente la missione e faceva loro comprendere in cosa
consisteva, aprendo porte e cammini che non avevano mai immaginato. Il caso emblematico è
quello di Antiochia, dove esisteva una comunità che riconosceva Gesù come Signore e che non era
governata secondo le norme rabbiniche, ma in modo innovativo. Incuriositi, i discepoli inviarono
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Barnaba il quale, vedendo ciò che stava accadendo, si rallegrò e tornò dai dodici e chiamò Paolo
che fu ammesso alla missione per un atto intelligente di Barnaba il quale capì che si stava
realizzando l'incontro tra l'attesa di Israele e il compimento dello Spirito Santo e che Paolo stesso
aveva compiuto questo cammino e poteva comprenderlo perfettamente. Questa origine del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo fa sì che la ragione dell'esistenza della Chiesa dipenda da Dio, cioè
da un mistero di amore e di carità che chiamano AGAPE : San Tommaso, definendo
grossolanamente il mistero di Dio, dice che la vita delle persone divine consiste in relazioni
sussistenti: cioè la persona esiste nella misura in cui esiste una relazione e questo spiega anche i
nomi, il Padre che genera il Figlio, la sua vita consiste nel fatto che donandosi genera il Figlio, il
dono di sé che la persona fa è agape. Le persone divine non sono persone che esistono come
soggetti in sé e poi entrano in relazione, ma lo sono nella misura in cui sono in relazione. La verità
profonda della vita della Chiesa è dunque questa agape come realtà personale dinamica e profonda.
Il primo motivo per cui la Chiesa compie certe azioni è il principio di GRATITUDINE, che
rimanda proprio all'agape e alla misteriosa realtà dell'azione ecclesiale: l'azione della Chiesa
manifesta una vita che vivifica e ha salvato il mondo, ma che non è di questo mondo e che è in
relazione con la Trinità. Questo riferimento alla Trinità è così importante che spiega perché la
liturgia è l'azione pastorale più importante, perché unisce l'azione di Dio e l'azione dell'uomo in
comunione con Lui, è l'attualità dell'evento. Dio agisce, ed è ascoltandolo e prestandogli attenzione
che l'uomo può rendere testimonianza dell'alleanza e della salvezza da Lui operata. Non possiamo
progettare l'azione pastorale senza conoscere Dio, ciò che fa e chi è, così come si è rivelato in Gesù
Cristo come amore gratuito e totalmente disinteressato fino all'ultima goccia, in cui il dono di sé
non è un modo di agire, ma l'essenza fondamentale del proprio essere. Questa gratuità deve
manifestarsi nell’azione della Chiesa. La gratificazione andrebbe esercitata innanzitutto e
soprattutto nei confronti di chi non è in grado di ricambiare.
Un secondo aspetto, altrettanto importante alla luce di questo fondamento agapico, ci porta a dire
che una seconda importante azione pastorale della Chiesa non è a livello dell'azione ma a livello
della relazione tra le persone, della CURA DELLE RELAZIONI. La prima cosa è la qualità delle
relazioni tra i cristiani, questa è la prima azione pastorale! L’amicizia, la convivialità, il genuino
interesse per la vita degli altri sono aspetti fondamentali nella circolazione di vita che descrive la
Chiesa. Al di fuori di questo tipo di relazione non è possibile alcuna attività pastorale. La qualità
delle relazioni è fondamentale, e ne consegue che esse si fondano sulle relazioni familiari: di
sponsalità, di paternità e di maternità necessarie per comprendere il Vangelo. In questo
comprendiamo anche la successione: il Padre dà la vita generando con la creazione, il Figlio genera
redimendo con la sua morte, e lo Spirito rigenera continuamente la comunità. Prima di capire cosa
fare, dobbiamo chiederci chi siamo e che tipo di relazione abbiamo.
Le missioni proprie di ogni persona seguono il trinomio: Padre Creatore, Figlio Redentore e Spirito
Santificatore (anche se in alcuni passi del Vangelo l'azione della Trinità non è specificata in questo
modo). Chiediamoci allora in che modo il Padre è stato presente nell'opera pastorale svolta.
Tuttavia, affinché la salvezza si compia, la volontà dell'essere umano deve sempre corrispondere
alla Grazia di Dio.
CREAZIONE: Che cos'è la creazione? Secondo una teoria della modernità, quanto più progrediva
la conoscenza scientifica, tanto meno spazio c'era per la religione, il che in un certo senso influenzò
anche la profezia della secolarizzazione. In realtà, invece, la modernità è diventata pluralizzante,
cioè ha ampliato le spiegazioni religiose presentando la religione come un'offerta culturale multipla,
senza eliminare il significato religioso. R. Otto è stato il primo a inaugurare il filone
dell'antropologia culturale affermando che il sacro precede il fenomeno culturale: questa anteriorità
è la traccia viva della creazione che l'uomo stesso deve comprendere e deve quindi dare unità ai
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fenomeni che regolano la sua vita. La modernità non elimina quindi la domanda che l'uomo si pone
(cfr Agostino: Sono diventato una grande domanda per me stesso). La profezia della scomparsa del
sacro è stata così smentita e l'agitazione dell'uomo alla ricerca di Dio ha il carattere di un dramma.
Tuttavia, questa è una domanda che può generare una risposta, non un dubbio che può dubitare di se
stesso. L'essere umano vivente è la prova della creazione di Dio: se il significato religioso precede
l'elaborazione culturale, allora la domanda su Dio precede ogni cultura, o meglio è il fondamento da
cui ogni cultura ha inizio; Se eliminiamo la questione su Dio o sulla verità, avremo una cultura che
non sarà in grado di fornire significato. La democrazia stessa, che vive di presupposti che non può
darsi da sola, ad esempio: perché le leggi devono essere rispettate, in base a cosa? non può ignorare
questa domanda. Il fondamento della teologia pastorale è quindi la questione su Dio. Cosa significa
allora che l'uomo è una creatura? Dal punto di vista pastorale, il tema eziologico della creazione si
ritrova nella Genesi, dove sono presenti due racconti della creazione: i racconti vanno quindi
interpretati in chiave liturgico/sacerdotale, quella della creazione con il sabato come punto
culminante, che presenta l'uomo come vertice della creazione ma anche ordinata al sabato, alla
comunione con Dio. E poi c'è l'altro racconto in cui emerge il tema della benedizione: Dio dona
all'uomo due benedizioni, una riguardante la cura del giardino e quindi il lavoro dell'uomo e una
seconda sulla coppia umana (crescere e moltiplicarsi), al termine della creazione Dio benedice e
affida all'uomo due missioni: una riguardante il lavoro e la cura del mondo e una riguardante la
coppia chiamata a moltiplicarsi, è la vocazione fondamentale dell'essere umano creato da Dio a sua
immagine e somiglianza e costituisce anche la base di tutte le relazioni interumane. Queste due
domande non appartengono ai cristiani, ma all'uomo in quanto tale: una comunità cristiana non può
considerare la pastorale sociale e familiare come due attività pastorali tra le altre, perché esse sono
strutturanti e fondamentali, e non possono mancare pena la disobbedienza alla parola di Dio. Ispirati
dal Padre, possiamo parlare di quattro criteri: originalità (= non intesa come stranezza, cioè
desiderio eccessivo di essere diversi dagli altri), creatività (= in nessuna situazione pastorale si può
dire che non c'è niente da fare, perché l'opera di Dio anche dal nulla può far nascere una vita nuova;
saper mettere vita dove c'è morte, come la pastorale della riconciliazione), corporeità (la pastorale
non può non ricordare che l'essere umano è spirito-incarnato, il dato corporeo è assolutamente
rilevante e ha anche le sue esigenze, pastorale della salute e del tempo libero) e vulnerabilità (= la
creazione è stata subito caratterizzata da una ferita del peccato e non bisogna essere ingenui: ci sono
realtà esposte e condizionate dal limite, la vulnerabilità spiega anche la misericordia con cui il
Signore guarisce le nostre vite, una pastorale incapace di abbracciare ciò che è vulnerabile e ferito è
problematica: Gesù, all'inizio del suo ministero pubblico, si è infatti allineato con i peccatori pur
essendo senza peccato, una comunità cristiana in cui non si riconoscono i propri peccati ostacola
fortemente l'azione pastorale. Se una persona ferita e vulnerabile non si sente accettata per quella
che è, avrà difficoltà a entrare in contatto con Dio.)
L'uomo è una creatura, il che rimanda a quattro caratteristiche fondamentali: corporeità, originalità,
creatività e vulnerabilità . Cosa significa che l'azione della Chiesa deve avere il carattere della
creatività ? La creazione è un'istanza che porta ordine e significato al mondo: la realtà è ordinata e il
logos ordinante è anche quello che la fa esistere. In un certo senso si tratta di cercare Dio o meglio Cristo
in tutte le cose dove il concetto di creatività si oppone al nichilismo. Creatività significa che l'azione
ecclesiale è capace di partire anche dove non c'è nulla che la preceda (dire che una situazione è grave e
che non si può fare più nulla è un'affermazione che è un peccato di fede contro Dio creatore, perché il
nostro Padre crea dal nulla). Originalità significa che ogni azione pastorale non è concepita come una
replica di qualcos'altro (un'azione svolta in una città non può diventare un sussidio stampato per tutte le
altre città). Siamo chiamati a creare sempre qualcosa di nuovo e originale che porti la nostra impronta, la
nostra sensibilità, la nostra capacità. Dire "creazione" significa anche che Dio crea e si prende cura anche
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dei dati corporei dell'uomo. La salvezza cristiana non è indipendente da ciò che accade ed è il corpo. Il
Padre non ha creato il corpo perché morisse o si ammalasse, ma perché attraverso il corpo si
manifestassero le specificità dell'uomo. L'azione pastorale deve interessarsi di tutto ciò che concerne il
corpo umano (quindi la salute, la vita sessuale, il matrimonio), ma anche di tutto ciò che concerne il
lavoro, la cura del mondo. È un compito inscritto nell’azione creatrice di Dio che ha chiamato gli uomini
a collaborare all’opera da Lui creata. Pastoralmente parlando, ciò significa che le questioni relative alla
dottrina sociale della Chiesa (società, lavoro, economia, cultura, educazione) fanno parte della pastorale
ordinaria della Chiesa, della comunità cristiana. In questo contesto si pone la questione della
vulnerabilità . Uno dei cinque assi di riflessione che la Chiesa italiana ha tracciato su se stessa durante
l’ultimo convegno di Verona ha riguardato la fragilità. La vulnerabilità è legata alla corporeità: esiste una
vulnerabilità fisica e una vulnerabilità dell'anima che potremmo chiamare vulnerabilità psichica o
psicologica. Ad esempio, negli uffici parrocchiali si rivolgono i più deboli (gli anziani soli, i poveri e le
persone in cerca di aiuto). Questo, vissuto a volte con fastidio, è un grande segno perché è proprio
un’azione ecclesiale che risponde all’azione del Padre che si prende cura della fragilità delle persone. Ma
se l’azione della Chiesa si limita al sostegno nelle situazioni difficili, c’è qualcosa che non va, anche
perché il sostegno è legato a Gesù, all’annuncio del Vangelo e a un cammino di fede. Guai se la
parrocchia non attraesse più queste persone.
è all'opera, questo ha delle conseguenze: con lo Spirito, tutto ciò che Gesù ha fatto e detto si
compie. Il deposito della fede non è solo un insieme di cose da sapere, perché si fonda sulla vita e
ha sempre una relazione con essa. Proprio perché la rivelazione si compie attraverso atti e parole,
l'azione del Figlio nella Chiesa è sempre al servizio della verità e della carità (= da intendersi come
il fatto che la vita della comunità cristiana consiste in una qualità di relazioni dove la realtà delle
relazioni è un dono di sé. La carità non riguarda solo i bisognosi, anche se il diaconato fa
risplendere la bellezza della vita. La carità o diaconato rompe la logica mercantile del dare e del fare
ed è costitutiva della Chiesa: dare la vita perché l'altro sia restituito alla vita riportando l'uomo a ciò
che è nel progetto di Dio, in comunione con Lui liberandolo dai suoi peccati. Il servizio del
diaconato struttura una comunità religiosa: vivere in modo che la vita dell'altro sia trasformata
dall'incontro con noi. Dobbiamo arrivare a sentire la vita dell'altro come nostra. Il servizio della
carità ha tre dimensioni: profetica (= comunicativa) e escatologico. Il servizio della verità, chiamato
evangelizzazione, è un processo che non si conclude mai, perché tutto ciò che viene dallo Spirito di
Dio non è mai donato una volta per tutte (cfr Concilio di Trento). Pensare che non abbiamo bisogno
di essere evangelizzati è un grosso problema, perché l'evangelizzazione significa l'incarnazione in
noi della parola di Dio. Questa mano di verità tesa verso di noi ha tre dimensioni (che non sono fasi
di introduzione e di approfondimento della fede) e che ci ricordano l'essenziale della fede: se prima
c'era una preparazione evangelica che strutturava la vita quotidiana del mondo e della famiglia, oggi
dobbiamo veramente entrare nella prospettiva di un'evangelizzazione necessaria al servizio della
carità animata dalla speranza cristiana, che è certezza della vittoria già riportata da Cristo.
LO SPIRITO: Agostino nel De Trinitate si interroga sul nome specifico dello Spirito Santo in
relazione al Padre e al Figlio, e riflettendo su questo ritiene che si possa considerare lo Spirito
proprio come la comunione tra il Padre e il Figlio. Il luogo specifico dello Spirito è dunque sempre
la comunione, e la Chiesa, secondo la CVII, è caratterizzata dall'opera di comunione dello Spirito.
Lo Spirito è la vita della Chiesa ed è anche il cuore della Chiesa, così come il cuore ha due
movimenti: la sistole (contrazione e raccolta del sangue) e la diastole (espansione e invio), così la
Chiesa ha la comunione ad intra o edificazione e missione, senza uno di questi due movimenti il
corpo muore. La missione non è dunque un'esigenza dei tempi di scristianizzazione, ma è insita
nella vita della Chiesa, che non può che tendere all'animazione della vita cristiana. Per diventare
uno in Cristo, la vita dello Spirito Santo tende sempre alla missione. Lo Spirito Santo agisce sempre
per edificare la Chiesa nell'unità e inviarla in missione, rendendola il luogo attraverso il quale la vita
di Dio passa nell'umanità ed entra nel mondo. È importante perciò curare insieme l’unità e la
giustizia ed esercitare sempre il discernimento in questi due ambiti: una pastorale che divide
naturalmente non è buona ed è esplicito che essa non viene dallo Spirito Santo.
Una comunità cristiana che concepisce la missione anche come attività da svolgere in mezzo a tutti
gli altri non proviene propriamente dallo Spirito Santo. Ogni azione della Chiesa presuppone la fede
e mira sempre alla missione. La missione struttura la Chiesa: la Chiesa non fa la missione, ma è la
missione (cfr Evangeli Gaudium). Lo Spirito Santo agisce sui credenti con una funzione
illuminante, insegnando loro a incarnare i tratti tipici di Cristo, facendo emergere la vita e la mente
di Cristo in ogni situazione e a trovare modi per rispondere a Cristo in modo creativo. Lo Spirito dà
anche forza, fa partecipare alla sua capacità creativa, questa è la vera vita della Chiesa. Lo spirito
esercita una pressione, uno stimolo efficace affinché il fedele possa leggere i tratti stessi di Cristo.
Inviata nei cuori, essa può plasmare all'istante le virtù e i tratti del Figlio di Dio.
In cosa consiste lo Spirito Santo? Quali sono le sue caratteristiche? Il carisma è un dono gratuito
che lo Spirito Santo infonde nella vita della Chiesa. La Chiesa ha istituzioni come dono dello
Spirito. La radice delle istituzioni è essa stessa un'effusione dello Spirito. Il carisma è l'azione
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pastorale non pianificata che si realizza e che viene chiamata "santità", ma è tutto ciò che offre alla
Chiesa per la sua unità e missione. Tutti i carismi, a partire da Paolo, sono sottoposti all'autorità e la
loro verità è ciò che genera la carità. Paolo era ben consapevole che il discorso sullo Spirito non
poteva essere disgiunto dalla libertà: (cfr 2 Cor) il Signore è Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore
c'è libertà, senza di Lui non c'è né amore né servizio. Non dobbiamo imparare a fare lavoro
pastorale, ma avere la libertà delle persone che non si inginocchiano, che non hanno complessi di
inferiorità, perché siamo stati liberati per rimanere liberi. La libertà non è libertinismo, la libertà
cristiana generativa è la precondizione affinché lo Spirito Santo agisca e porti quel rinnovamento
che tutti auspichiamo e che non vediamo così spesso.
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