Francesca Corrias
Corsi e ricorsi di un genere letterario:
la novella in editoria*
È la novella il genere più felice, oggigiorno nella nostra
letteratura, non solo perché i giornali la favoriscono,
compensando decorosamente gli autori, e perché alla
borghesia industriale piace in letteratura ciò che si ingoia
in un fiato, senza lunga attenzione e senza continuità di
giorni, piace dunque o l’articolo o la commedia o il bre-
ve racconto (Giuseppe Antonio Borgese, La vita e il li-
bro, Bocca, Torino 1913, p. 213).
Dunque il racconto si troverebbe non in un posto, in un
punto della topografia letteraria, ma lungo una strada, è
sempre in divenire, è in fuga da sé diretto a sé, ma da sé
non fugge e a sé non perviene (Giorgio Manganelli, Il
rumore sottile della prosa, Adelphi, Milano 1994, p. 35).
La riscoperta di un genere
Nell’ultimo scorcio del XVII secolo il modello della novella boccac-
ciana, di lunga tradizione e alterna fortuna, appare definitivamente esau-
rito. L’Ottocento porrà in essere una sostanziale rifondazione, un vero e
proprio «processo di restaurazione di un genere dopo che nel sistema gli
è spettato per alquanto tempo il segno 0 (zero)»1, in forza di un profon-
do rinnovamento dei suoi aspetti – tematici, strutturali e stilistici – ot-
* Il presente lavoro è stato prodotto durante la frequenza del corso di dottorato in
Studi filologici e letterari dell’Università degli Studi di Cagliari, a.a. 2012-2013 - XXVIII
ciclo, con il supporto di una borsa di studio finanziata con le risorse del P.O.R. SAR-
DEGNA F.S.E. 2007-2013.
1 C. Maria, Principi della comunicazione letteraria. Introduzione alla semiotica della
letteratura, Bompiani, Milano 1976, p. 158.
90 Francesca Corrias
tenuto anche grazie alle suggestioni della narrativa europea e attraverso
un nuovo ed inedito rapporto dialettico con il romanzo2. Si può assu-
mere il 1860 come data convenzionale ed indicativa per collocare sull’as-
se cronologico la novella nella sua più recente incarnazione 3, sebbene sia
chiaro che assumendola si escludono esperienze novellistiche importanti
come, ad esempio, la novella romantica o “rusticale”. Si tratta di una da-
ta negli studi letterari che assomma in sé varie nascite e ri-nascite – il de-
collo della moderna industria editoriale su base capitalistica, l’incremen-
to del giornalismo e la rinascita della forma breve – la concomitanza del-
le quali non può essere interpretata sotto l’ottica di una fortuita coinci-
denza4. I tre fenomeni rimandano a una serie di concause che ne hanno
attivato il processo di sviluppo; tali coincidenze contribuiscono a rende-
re valida l’ipotesi che si debbano considerare come interrelati e stretta-
mente dipendenti, per lo meno nella loro fase incipiente.
La crescente alfabetizzazione – dovuta alle politiche scolastiche risor-
gimentali, poi estese a tutta la penisola a seguito dell’unità – fece sì che
in Italia si costituisse rapidamente una domanda di lettura. Accanto al-
l’esigenza di testi scolastici, nacque il bisogno di svago e di informazione
da parte di una borghesia cittadina che si stava in quel mentre afferman-
do nel tessuto sociale italiano. Di fatto, nella seconda metà dell’Ottocen-
to il concetto di popolo si allargò fino a coincidere con quello di pubbli-
co. Il costituirsi di una domanda da soddisfare incentivò la produzione
dell’industria editoriale e giornalistica e, nel contempo, fece emergere
2 E. Malato, La nascita della novella italiana: un’alternativa letteraria borghese alla
tradizione cortese, in AA.VV., La novella italiana. Atti del Convegno di Caprarola. 19-
24 settembre 1988, Salerno Editrice, Roma 1989, p. 44.
3 P. De Meijer, La forma breve del narrare, in Letteratura italiana, diretta da A.
Asor Rosa, vol. III, t. II, Einaudi, Torino 1984, pp. 782-89.
4 Per un approfondimento maggiore in merito allo sviluppo dell’editoria e del
giornalismo, questioni fondamentali per la disamina del genere novella, ma che non
verranno trattate in questa sede, tra le molteplici letture possibili, si rimanda a A. Ca-
dioli, Letterati editori. L’industria culturale come progetto, Net, Milano 2003; Id., Storia
dell’editoria italiana dall’Unità ad oggi. Un profilo introduttivo, Editrice Bibliografica,
Milano 2004; D. Forgacs, L’industrializzazione della cultura italiana (-), il Mu-
lino, Bologna 2000; N. Tranfaglia, V. Albertina, Storia degli editori italiani, Laterza, Ro-
ma-Bari 2007; G. Turi (a cura di), Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, Giunti,
Firenze 1997; A. Abruzzese, I. Panico, Giornale e giornalismo, in Letteratura italiana. Pro-
duzione e consumo, vol. II, diretta da A. Asor Rosa, Einaudi, Torino 1983, pp. 775-806;
A. Briganti, Intellettuali e cultura tra Ottocento e Novecento. Nascita e storia della terza
pagina, Liviana, Padova 1972; G. Ricuperati, I giornalisti italiani dalle origini all’Unità,
in Storia di Italia. Intellettuali e potere, Annali 4, Einaudi, Torino 1981, pp. 1084-132.
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nella classe intellettuale la coscienza che anche la letteratura stava diven-
tando un prodotto di consumo. È, in certo senso, l’esito estremo del
processo avviato dalla nascita della stampa, del graduale mutamento del-
la condizione del letterato in quanto l’atto stesso di stampare un libro,
imprimendogli un carattere di ne varietur, concorreva a delineare (sep-
pur non ancora in senso giuridico) il concetto di proprietà letteraria.
Ora chi dice proprietà, come lucidamente osserva Robert Escarpit, «dice
transazione commerciale, offerta, domanda, investimento, profitto»5. Per
ciò l’attività letteraria andò lentamente intrecciandosi a questioni econo-
miche e dal XVIII secolo lo scrittore cominciò ad acquistare uno statuto
più o meno apertamente salariale nei confronti dell’imprenditore indu-
striale che è l’editore. Progressivamente la responsabilità della produzio-
ne passò dall’artista al finanziatore, trasformando il lettore, l’ascoltatore,
lo spettatore in clienti e facendo del pubblico un mercato6. Il letterato,
ormai coinvolto nel processo di professionalizzazione del lavoro intellet-
tuale, trova come primo canal di sbocco professionale l’attività giornali-
stica. Infatti, nel secondo Ottocento, fu il giornalismo a soddisfare per
primo la domanda di lettura dedicando appositi spazi alla divulgazione
e promozione delle letteratura contemporanea, poiché l’industria edito-
riale, sebbene in via di sviluppo, era tuttavia ancora cauta, rivolta al pas-
sato e maggiormente incline alla riedizione dei classici, dei saggi eruditi
e della narrativa d’oltralpe, ma guardava ancora con diffidenza alla gio-
vane letteratura della nuova Italia7. Lo spazio che i giornali dedicarono
alla letteratura non fu visto da tutti gli addetti al settore letterario come
un’opportunità, spesso per alcuni rappresentò una chiara invasione di
campo in grado di danneggiare la letteratura:
[…] Finalmente verso il ’60 la letteratura comincia ad essere pagata, e da
prima ciò parve quasi un’onta. Ora sottostà alle leggi delle altre industrie,
ed è dai capitalisti, come le altre industrie, sfruttata. […] fenomeno paral-
lelo alla produzione letteraria è il Giornalismo; esso ha come quella seguito
la modificazione economica delle industrie. […] Dopo il periodo patriot-
tico in cui il giornale si scriveva da uno in un caffè e si stampava gratis nel-
la tipografia di un correligionario […]. E il giornalismo danneggia tantis-
simo la letteratura per il modo con cui i giornali sono scritti e per il nume-
5 Id., L’artista e il suo pubblico, in, Letteratura italiana. Produzione e consumo, cit.,
p. 8.
6 Ivi, p. 9.
7 Briganti, Intellettuali e cultura tra Ottocento e Novecento, cit., p. 16.
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ro dei lettori che distrae dalle opere letterarie più costose e più difficili da
intendersi. Dato il numero dei lettori restato ai letterati, dati i guadagni
che vogliono gli editori, data la bassa concorrenza della prosa giornalistica,
la letteratura che ora è in Italia, è molta e molto buona e, soprattutto, è re-
galata al pubblico8.
Ovviamente ci fu anche chi, come Gabriele d’Annunzio, seppe guar-
dare alla domanda di lettura che il giornalismo soddisfaceva nei termini
di un fasto presagio utile a mistificare la paventata crisi della letteratura
annunciata da molti intellettuali alla fine dell’Ottocento:
L’Europa è inondata di letteratura amena. Il commercio della prosa narra-
tiva non era mai giunto a tal grado di attività. L’appetito sentimentale della
moltitudine non era mai giunto ad un così rapido consumo di alimenti let-
terari. Gli stessi giornali politici quotidiani, i quali appunto si rivolgono al-
la grande maggioranza, debbono quasi sempre l’aumento o la diminuzione
della loro fortuna alla qualità dei romanzi pubblicati nelle loro appendici
che di giorno in giorno divengono più larghe o più numerose; mentre i li-
brai si affannano a saccheggiare quanti più libri di novelle romantiche e na-
turalistiche sono comparsi in Francia negli ultimi anni, a stampare quanti
bozzetti trovano nelle ingiallite collezioni di quegli innumerevoli giornalu-
coli che sostenevano le logomachie tra veristi e gli idealisti del tempo re-
moto, a rinfrescar perfino qualche fungo dissecato dell’antica fungaia som-
marughiana. Avendo notato il fenomeno volgare, ne traggo per conseguen-
za che la letteratura contro ogni profezia funebre è destinata nel prossimo
avvenire a uno straordinario sviluppo […]9.
Si assiste dunque al proliferare di riviste e quotidiani, non necessa-
riamente letterari, che chiedevano e offrivano di tutto, dalla poesia, al
romanzo d’appendice, alla novella, e fu soprattutto quest’ultima, per la
sua brevità e la sua più agevole ricezione anche da parte di un pubblico
profano, ad imporsi come il prodotto letterario più richiesto dalla stam-
pa periodica10.
18 U. Ojetti, Alla scoperta dei letterati, Tipografia L’arte della stampa, Firenze 1946,
p. 289.
19 Ivi, pp. 350-53.
10 Per maggiore approfondimento sull’impulso che l’industria editoriale e la stam-
pa periodica diedero alla produzione novellistica si vedano: G. Tellini, La tela di fumo.
Saggio su Tozzi novelliere, Nistri-Lischi, Pisa 1972, p. 21; G. Cerina, L. Mulas (a cura
di), Modi e strutture della comunicazione narrativa. Il racconto breve da Dossi a Pirandel-
lo, Paravia, Torino 1979, pp. 8-13.
Corsi e ricorsi di un genere letterario: la novella in editoria 93
La domanda e la produzione di novelle fu tale che nei primi anni del
Novecento nacquero addirittura delle vere e proprie riviste di genere,
specializzate nella divulgazione di novelle e diffuse in tutto il territorio
nazionale: nel 1904 a Milano si pubblica «Novella», dal 1910 con lo stes-
so titolo la rivista esce a Venezia, mentre a Palermo nel 1919 fa la sua
comparsa «La novella per tutti». La richiesta di lettura conobbe un’e-
stensione così vasta e capillare da stimolare una produzione narrativa an-
che in scrittori che non sono o non sono considerati dei narratori. Se
dunque si può affermare che non esistano degli scrittori che siano esclu-
sivamente novellieri, resta comunque difficile trovare qualcuno, a quel-
l’altezza cronologica, che non si sia mai neppure confrontato con la nar-
rativa breve 11. In poco più di quarant’anni il rinnovato genere letterario
fu tanto praticato e diffuso da mettere in ombra il suo diretto concor-
rente nella prosa: il romanzo. Ma è proprio quando nel Novecento, con-
temporaneamente all’esaurirsi della novella mimetico-espressionista fa-
cente capo alla triade Verga-Pirandello-Tozzi12, si inaugurano riviste di
genere e si promuovono iniziative editoriali di ripubblicazione di vecchie
glorie novellistiche (di cui meglio si dirà in seguito), che la novella pare
assumere i connotati di un genere non solo o non tanto letterario, ma
piuttosto editoriale.
Per illuminare meglio tale processo è fondamentale analizzare il rap-
porto dialettico – antico e sempre rinnovato – che ora si instaura tra no-
vella e romanzo, novella e racconto e, infine, tra racconto e romanzo.
Dal Duecento in avanti la novella, nella sua accezione essenziale di «nar-
razione breve, generalmente in prosa […], con personaggi umani […] e
contenuti verosimili (a differenza dalla fiaba), ma generalmente non sto-
rici (a differenza dall’aneddoto), per lo più senza finalità morali o con-
clusioni moraleggianti […]», si era sviluppata, con continuità carsica, nel
vuoto del romanzo, durante una sorta di «vacanza dei generi narrativi
prosastici di tenuta letteraria»13. Sul finire dell’ Ottocento non si può
certo parlare di vuoto o di crisi del romanzo, ma piuttosto del suo ten-
dere verso un traguardo – il romanzo-espressione di un’epoca, grande
opera d’arte – che nel mondo letterario si avverte come non compiuta-
11 De Meijer, La forma breve del narrare, cit., p. 784.
12 N. di Nunzio, Svevo e il racconto analitico del Novecento, in Narrazione breve, ci-
nema e tv. Giuseppe Dessì e altri protagonisti del Novecento, V. Pala e A. Zanda (a cura
di), Bulzoni, Roma, 2011, p. 229.
13 Segre, La novella e i generi letterari, in AA.VV., La novella italiana, cit., p. 48 e
p. 55.
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mente raggiunto. Di questa attesa è efficace testimonianza il viaggio-in-
tervista (già citato) che Ugo Ojetti realizzò nel 1894 e che raccolse nel
volume Alla scoperta dei letterati:
Dopo Alessandro Manzoni la nostra produzione letteraria è veramente ca-
duta in letargo […]. Che cosa hanno prodotto questi cinquant’anni ulti-
mi? I manzoniani e i veristi. I primi sono già morti, ed è bene lasciarli dor-
mire in santa pace; i secondi non furono che piccoli imitatori dei narratori
francesi; ma mentre questi con Emilio Zola assurgevano ad una intensità
simbolica potentissima, i nostri non facevano che novelle paesane o rusti-
cane, e fotografavano a caso gli angoli delle vie; Giovanni Verga stesso,
benché sia riuscito a dare alle sue fotografie un colore e un’ampiezza di li-
nee notevoli, non seppe creare che opere incompiute […]. Il romanzo, non
quale è stato finora inteso nella maggioranza dei romanzieri: cioè un’arte
da dilettanti, con lo scopo d ricreare una data classe, d’occupare gli ozi po-
co intellettuali delle signore e degli sfaccendati. Il teatro è la forma di let-
teratura più adatta a un si fatto scopo; e può servire anche il romanzo nelle
sue meno nobili espressioni. Ma non è di questo che io intendo discorrere.
Io accenno invece al romanzo opera d’arte. Esso racchiuderà volta a volta
anche le altre forme letterarie; il dramma, l’epopea, la lirica e la satira14.
Quasi tutti i letterati intervistati da Ojetti indicano nel romanzo la
forma dell’arte che meglio incarnerà lo spirito della modernità: nessuno
che menzioni la novella, né per analizzarne le condizioni attuali, né per
dissertare circa le aspettative future. Mentre un decennio prima, parlan-
do del romanzo nell’ottica dell’attesa, De Roberto delineava anche il
ruolo che, nel frattempo, avrebbe dovuto svolgere la novella:
La novella, seriamente fatta, artisticamente intesa, potrebbe compensarci,
per ora della mancanza del romanzo. In Francia, dove il romanzo è perve-
nuto ad un grado di sviluppo difficilmente superabile, la novella è tenuta
di poco conto, è trascurata, non è ritenuta adatta all’applicazione delle
nuove teorie artistiche. Così noi, che abbiamo un terreno non ancora adat-
to ad una grande pianta, dovremo rivolgerci, con seri propositi, alla colti-
vazione del minore arboscello, portandovi tante cure e tanto amore da ot-
tenere i migliori frutti. E questa non sarebbe la sola ricompensa delle no-
stre fatiche, poiché, quasi inconsciamente, noi verremo dissodando quel
terreno oggi quasi sterile, vi lasceremo cadere dei germi, i quali col tempo,
potrebbero trovare le condizioni favorevoli al loro sviluppo15.
14 Ojetti, Alla scoperta dei letterati, cit., pp. 154-60.
15 F. de Roberto, Novelle, in Arabeschi, Giannotta, Catania 1883, p. 149.
Corsi e ricorsi di un genere letterario: la novella in editoria 95
Sulla linea Capuana-Verga-De Roberto la novella, in quanto genere
letterario, trovava legittimazione estetica nel preparare il terreno per la
prosa più complessa del romanzo.
Appare chiaro che la distanza tra romanzo e novella non si basi dun-
que solo sulla minore lunghezza della prima sul secondo, ma sul fatto che
il romanzo tenda alla raffigurazione di tranche de vie, mentre la novella
si focalizza «su un tratto significativo di una storia»16; per cui il discrimi-
ne basato sulla brevitas perde il suo tratto distintivo e la brevità diventa
una logica conseguenza derivante dalla diversa essenza dei due generi in
prosa. Ma nel giro di una dozzina d’anni il rapporto fra le due forme
muta. Nel Novecento la crisi delle macrostrutture del romanzo porta alla
costruzione di strutture narrative maggiormente orientate verso il fram-
mento, la porzione di racconto. Il processo di «degerarchizzazione»17 dei
generi messo in atto dalle sperimentazioni novecentesche farà sì che il
rapporto romanzo-novella venga mutato di segno a favore di quest’ulti-
ma. Proprio il prevalere della forma breve sulla forma romanzesca darà
vita al romanzo a cornice, il quale finirà per “liquidare” lo stesso roman-
zo18. A decretare la vittoria della forma breve non sarà però la novella,
bensì il “racconto”. Non si vuole fare ora della mera tassonomia, quanto
piuttosto avanzare l’ipotesi che esista uno scarto concreto tra novella e
racconto, tale da farne due generi letterari distinti, la cui definizione di-
pende appunto dalla diversa idea di romanzo. Con la messa in crisi della
macrostruttura si perde l’originaria opposizione tranche de vie vs episo-
dio significativo che differenziava la novella dal romanzo e resta invece
l’opposizione incentrata sulla maggiore o minore lunghezza della prosa
(narrazione lunga vs narrazione breve). Si ipotizza che proprio la focaliz-
zazione sulla brevità abbia fatto prevalere il termine racconto – che ci
pare più vicino all’iperonimo di narratio brevis – il quale è infatti, un de-
verbativo dell’atto generico del raccontare, a discapito di novella, sostan-
tivo che ha generato il verbo corradicale 19. La novella è una realtà per la
16 Guglielmi, Esiti novecenteschi della novella italiana, in La novella italiana, cit.,
p. 607.
17 Id., La prosa italiana del Novecento. Tra romanzo e racconto, Einaudi, Torino
1998, p. 21.
18 Argiolas, Narrazione breve, raccolta a cornice e liquidazione del romanzo, in Nar-
rativa breve, cinema e tv, cit., pp. 281-92.
19 Sulla differenza tra novella e racconto e in particolare sul momento preciso in
cui la prima cede il posto al secondo si veda: di Nunzio, Svevo e il racconto analitico del
Novecento, in Narrazione breve, cinema e tv, cit., pp. 225-35.
96 Francesca Corrias
quale si genera un verbo apposito. Il novellare, non si riferisce ad una ge-
nerica azione di eloquio, ma subito ci rimanda ad una tradizione ben co-
dificata e consolidata che era stata, a tutti gli effetti, la risposta italiana al
problema del racconto nei secoli che vanno dal XIII al XVI20. Il raccon-
to, invece, «schiude il campo del narrare al puro scorrere dell’esistere»21 a
quella tranche de vie che era stata ad appannaggio esclusivo del romanzo.
Il ruolo dell’editoria nella comunicazione letteraria
Nel 1883 De Roberto aveva deplorato, con finezza e ironia critica, la
produzione narrativa dilagante sotto il nome di «novella sperimentale»
nei «giornalucoli letterari che ripullulano da un capo all’altro della peni-
sola»22.Trent’anni dopo Mario Mariani, direttore nel 1919 di «Novella»
a Milano, farà valutazioni e pronostici letterari da giornalista di mestiere,
guardando ai costumi e ai consumi:
La novella sembra a noi il componimento letterario che si imporrà nei
prossimi anni e che gli scrittori dovrebbero di molto curare. Il romanzo era
il componimento letterario del focolare e dei lunghi riposi. Il nostro tempo
è troppo nervoso; il nostro tempo è troppo affaccendato per permettere la
sbadigliante lettura dei lunghissimi romanzi. il componimento breve con-
ciso con il suo succo, con una sua morale, con una sua trovata, è il compo-
nimento letterario del nostro tempo, è quello che si può leggere anche in
tram23.
La moderna impresa editoriale, con le sue politiche finalizzate a met-
tere in contatto la domanda dei lettori con la produzione degli autori, è
ormai diventata il canale della comunicazione letteraria24. E sulla comu-
nicazione letteraria, se non addirittura sui canoni letterari, è destinata ad
incidere sempre più attivamente, stabilendo – con il preciso obiettivo di
20 Asor Rosa, La narrativa italiana nel Seicento, in Letteratura italiana, cit., p. 721.
21 E. Siciliano, Premessa, in Racconti italiani del Novecento, I Meridiani Mondado-
ri, Milano 1997, p. XII.
22 Id., Novelle, in Arabeschi, cit., pp. 141-42.
23 Tellini, La tela di fumo, cit., p. 21.
24 Cfr. Escarpit, L’artista e il suo pubblico, cit., p. 12: «Con l’industrializzazione del-
la cultura italiana entra in gioco il problema della dimensione, ovvero la grandezza
dell’ambiente sociale in cui il prodotto artistico viene diffuso, che inizia ad acquisire i
connotati della grande dimensione per cui l’artista non è più in rapporto diretto con il
suo pubblico, ma lo è solo attraverso l’imprenditore di diffusione (editore)».
Corsi e ricorsi di un genere letterario: la novella in editoria 97
incontrare il gusto del pubblico – quali generi pubblicare, quali autori e
in quale ordine nelle collane, quanto spazio dare, in termini di pagine,
a ciascun testo, quando ristampare un’opera, contribuendo così a modi-
ficare i due concetti capitali di spazio e tempo nel momento della pro-
duzione/fruizione di un testo letterario.
La novella risulta essere il migliore osservatorio per focalizzare in
quale misura il canale incida nel sistema letteratura in quanto fu proprio
l’editoria a decretare le condizioni della sua rinascita. Quando nella se-
conda metà del XIX secolo si verificò il passaggio da una cultura di ancien
régime tipografico a una moderna, le cui evidenze si possono leggere nel-
l’allargamento del pubblico, trasformarsi, apparire e sparire dei generi,
nella modificazione dei rapporti tra produttori e fruitori e nel diverso
funzionamento generale del modello culturale, si aprì una stagione let-
teraria nella quale emersero generi «polarizzati intorno ad una funzione
di ricerca/appropriazione» che è possibile analizzare secondo le loro «po-
larità funzionali», che individuano destinatari e modi di fruizione25. Per
polarità funzionali si intendono i bisogni relativi a soggetti sociali, sod-
disfatti della cultura attraverso la produzione di testi con l’elaborazione
e la trasformazione di codici26. Appare chiaro dunque che la novella sia
da considerarsi un genere polarizzato, (ri)sorto ed incentivato dall’incal-
zante domanda di lettura della borghesia cittadina, richiesta che raggiun-
ge il suo acme all’imporsi, sul panorama editoriale nazionale, del modello
milanese orientato alla produzione per il consumo27. Il nuovo trend che
il canale impone alla letteratura ovviamente influisce sulla classe degli in-
tellettuali, per cui sono costretti a specializzarsi, a differenziarsi, a perdere
la propria unità ed in fine ad integrarsi nel sistema produttivo che si arti-
colava in due settori fondamentali orientati verso i due mercati nazionali
della carta stampata: il mercato dell’informazione (riviste e periodici) e
il mercato del libro. «Il messaggio letterario verrà sempre più fruito nel
contesto e nello sfondo del sistema informativo»28; sulla base dell’alleanza
fra editoria e informazione nasce un sistema integrato che rende possibile
«la trasmigrazione dei generi dal circuito librario a quello giornalistico e
viceversa»29, permettendo agli editori di giocare su due tavoli, fino alla so-
25 Ragone, La letteratura e il consumo: un profilo dei generi e dei modelli nell’editoria
italiana (-), in Letteratura italiana. Produzione e consumo, cit., pp. 687-90.
26 Ivi, p. 692.
27 Ivi, p. 705.
28 Ivi, p. 713.
29 Ivi, p. 716.
98 Francesca Corrias
vrapposizione dei due sistemi, di avere così una maggior presa sul merca-
to e di garantirsi un più longevo successo. L’invasione di campo della let-
teratura nel giornalismo con il successivo reintegro dei prodotti letterario-
giornalistici in volumi 30 potenziò il rapporto fra testo letterario e contesto.
Dunque, l’habitus di pubblicare novelle in supporti considerati effimeri,
quali appunto il giornale o le riviste, finì per attribuir anche al prodotto
letterario, che per sua vocazione nasce con l’ambizione di sfidare lo scor-
rere del tempo, la caducità tipica dell’articolo informativo, accelerando il
tempo di produzione e fruizione letteraria. Si produssero centinaia di no-
velle ogni giorno e in un giorno vennero fruite per poi finire in una sorta
di limbo, in uno spazio di oblio, in attesa che un’operazione editoriale le
raccogliesse in volume e le restituisse all’atemporalità della letteratura. Nei
letterati si consolidò la chiara coscienza che la cultura si sviluppava in un
processo senza soste, mediante un circuito di produzione e consumo, in
cui l’informazione si configura come il nuovo centro mentre il libro ten-
deva a ridursi o a produzione tecnico accademica, o a raccolta di articoli
giornalistici o romanzi d’appendice, o a antologie scolastiche. Una pic-
colissima fetta di mercato era destinata alla produzione «letteraria alta»31.
Le «novelle editoriali»: dal carteggio di Mario Puccini
con Verga e De Roberto 32
Il carteggio di Mario Puccini33 con Verga e De Roberto, circoscrivi-
bile fra il 1907 e il 1925, non solo ci dà un chiaro esempio dei mezzi at-
30 Come si sa, la maggior parte degli autori di novelle – Capuana, Verga, Tozzi,
Pirandello, solo per citare i maggiori – le pubblicarono su rivista prima di dare vita a
delle raccolte organiche.
31 Ivi, p. 756.
32 Tutte le lettere a cui si fa riferimento sono contenute in G. Traina, «Voce piccola
la mia, ma forse non vana». Il carteggio inedito di Mario Puccini con Verga e De Roberto,
estratto da «Annali della Fondazione Verga», 9, Catania 1992, pp. 7-88.
33 (Senigallia 1887-Roma 1957). Noto nel panorama letterario italiano soprattutto
come autore di romanzi, novelle ed elzeviri, fu intellettuale proteiforme di cui, in questa
sede, ci interessa particolarmente l’attività di editore in proprio e di promotore della
cultura italiana su giornali e riviste. Volti, questi due, meno studiati di Puccini e attual-
mente oggetto della mia ricerca per la tesi di dottorato. Su Mario Puccini si veda: F. De
Nicola, L’alibi dell’ambiguità. Puccini uno scrittore fra le due guerre, Bastogi, Foggia
1980; gli atti dei due convegni Omaggio a Mario Puccini, a cura di S. Anselmi, Argalia,
Urbino, 1967 e Mario Puccini. Due giornate di studio e testimonianze (Senigallia, 28-29
aprile 1985), a cura di A. Antonietti, Comune di Senigallia 1987.
Corsi e ricorsi di un genere letterario: la novella in editoria 99
traverso i quali il mercato editoriale entrava in contatto con i produttori
di cultura, ma fornisce un esempio di come funzionasse il sistema inte-
grato precedentemente analizzato e in che senso si potrebbe iniziare a
pensare alla novella, nelle sue sopravvivenze novecentesche, nei termini
di un genere editoriale anche quando questa è il frutto di illustri penne
quali quelle di Verga e De Roberto34.
Il primo contatto tra Puccini e Verga risale alla lettera che il venten-
ne Mario inviò all’illustre catanese per omaggiarlo del suo esordio lette-
rario: un volumetto di novelle, due delle quali fedeli al modello verghia-
no delle Rusticane 35. I due mantennero i contatti fino alla morte del Ver-
ga; interessanti ai fini del nostro articolo sono le lettere degli anni ’20.
In quel frangente Puccini era stato nominato dalla casa editrice Urbis di
Roma quale direttore di una collana di novelle intitolata «I migliori no-
vellieri del mondo», dunque, non appena ricevuto l’incarico, egli con-
tatta il Verga per avere l’autorizzazione di pubblicare alcune sue novelle
nella collana:
Per fortuna mi è stata offerta in questo mese la direzione di una collezione
di novelle, alla quale voglio dare un carattere moderno e di grande serietà.
[…] Il primo fascicolo (o meglio volume) se Lei non ha nulla in contrario,
vorrei che contenesse cinque o sei novelle Sue: precedute da un mio profilo
incisivo e robusto. Poiché penso che ella non ne abbia di inedite, sceglierò
tra quelle cadute in prescrizione: correggendo si intende le bozze con gran-
de attenzione: e, ripeto, facendole precedere da un mio profilo succoso e
degno. […] Inutile aggiungere che, se ella avesse invece alcune novelle ine-
dite, o anche edite, ma corrette e di Sua proprietà, io Le farei dare quella
somma che a Lei sembrasse opportuna dall’editore36.
Le trattative continuano in una lettera successiva:
Per questa mia collezione, ho parlato con Prezzolini per avere l’autorizza-
zione a stampare 6 novelle delle Rusticane nella bellissima nuova edizione
corretta. Il volume ha una mia prefazione entusiastica e una bibliografia
34 Mi riservo di dire meglio e molto di più – anche grazie al supporto di materiali
inediti – in futuro, quando saranno maturati i miei studi sulle lettere di numerosi au-
tori del Novecento a Mario Puccini conservate presso l’Archivio Contemporaneo Ales-
sandro Bonsanti di Firenze.
35 Puccini, Novelle semplici, Casa Edit. Della Gioventù di G. Fossataro, Napoli
1907.
36 Puccini a Verga, Chianciano, 20/VIII/1920, in Traina, «Voce piccola la mia, ma
forse non vana», cit., p. 34.
100 Francesca Corrias
completa e un ritratto. […] Ella è il primo della collezione. Spero non ab-
bia nulla in contrario. Dopo di Lei usciranno Meredith, Tolstoj, Duhamel,
e altri grandi37.
Il volume uscì nel 1921 con il titolo Cos’è il Re, corredato dalla pre-
fazione di Puccini. Il testo, come si legge nella nota di Traina, contene-
va la seguente avvertenza: «Le novelle contenute in questo volume sono
tolte dalle Novelle Rusticane – edizione riveduta e corretta e pubblicata
dalla “VOCE” Soc. An. Editrice - Roma38». Le opere scelte furono Cos’è
il Re, Il Mistero, Gli orfani, La roba, Storia dell’asino di San Giuseppe, Di
là del mare e Malaria. Non ci è pervenuta alcuna lettera in cui Puccini
prende accordi con Verga in merito alla scelta, la qualcosa ci autorizza a
pensare che il volume si debba ad un’autonoma iniziativa editoriale e sia
il frutto della personale scelta di Puccini fra quelle «novelle cadute in
prescrizione».
Talvolta le novelle possono essere utilizzate, sfruttando proprio il lo-
ro essere testi autonomi in se stessi, per fare pagine in un volume. A tal
proposito si veda una lettera in cui Puccini prende accordi con Verga
per la traduzione in spagnolo delle Rusticane: «Castillo39 dice che le Ru-
sticane non formano un volume dei Suoi. Io vi aggiungerei tre o quattro
novelle di Cavalleria Rusticana. Che dice lei?»40.
Di diverso tenore è il carteggio Puccini-De Roberto (1916-1925); se
nei confronti di Verga Puccini ha sempre tenuto un atteggiamento da
discepolo reverente (come del resto esigeva anche il ruolo del maestro
venerando assunto da Verga), con De Roberto, invece, instaura un rap-
porto più amichevole, anzi, talvolta è proprio quest’ultimo – che nutre
una certa diffidenza nei confronti degli editori e si è ormai tristemente
37 Puccini a Verga, Roma, 21/X/1920, ivi, p. 38.
38 Ivi, p. 34.
39 José Ruiz-Castillo era all’epoca proprietario della casa editrice Biblioteca Nueva
di Madrid. Mario Puccini vi era entrato in contatto grazie alla sua amicizia con Miguel
de Unamuno e alla sua collaborazione alla rivista «La Pluma» di Azaña e Rivas-Cherif.
Negli anni ’20 Puccini era molto attivo sul fronte della promozione della cultura italia-
na all’estero, specialmente in Spagna. Aveva frequenti contatti con Ruiz-Castillo al fine
di pubblicare alcuni testi della nostra letteratura contemporanea in traduzione presso la
sua casa editrice, fra i quali le opere del Verga e di De Roberto. Su Ruiz-Castillo si veda
R. Sánchez García, José Ruiz-Castillo, editor de la Edad de Plata (-), «Castilla
27», 2002, p. 123-40.
40 Puccini a Verga, Roma 18/12/1920, in Traina, «Voce piccola la mia, ma forse non
vana», cit., p. 42.
Corsi e ricorsi di un genere letterario: la novella in editoria 101
rassegnato all’oblio della critica e del pubblico – a sembrare quasi stupito
dell’attenzione che il marchigiano gli dedica.
La prima lettera che prenderemo in considerazione è datata 31 luglio
1919. De Roberto scrive a Puccini, che gli aveva chiesto una novella per
una rivista, per avere maggiori informazioni al riguardo41:
Gentilissimo Puccini,
ricevo quassù con qualche ritardo la sua del ’15 con il cortese invito, del
quale mi affretto a ringraziarla; ma mi permetta anche di dirle quale è la
pubblicazione per la quale ella chiede una mia pagina. È un giornale lette-
rario, o una rivista? Di quanto spazio potrei quindi disporre? Ella accenna
anche alla larghezza del compenso; ma io debbo pregarla di voler precisare.
Oggi un articolo letterario nei giornali politici mi è pagato 150 lire, uno
studio da rivista o una novella, 300. Può la sua amministrazione corrispon-
dere eguali compensi?42
Il problema dello spazio continua ad assillare De Roberto anche nel-
le lettere successive:
Gentilissimo Puccini,
Eccole lo scritto per la Sua pubblicazione. Non so se lo riterrà adatto come
genere e come misura. Nel caso non Le andasse, favorisca di restituirmelo
subito. Piacendole, mi faccia mandare dall’Amministrazione duecento lire
e dalla tipografia, a suo tempo, la bozza di stampa43.
Gentilissimo Puccini,
[…] Circa la novella, sono d’accordo con Lei che bisogna darla tutta in
una volta. Veda se Lei riesce, adoperando un carattere minuto. Io calcolo
che quelle cartelle contengano la materia di cinque colonne di formato
quotidiano, nel corpo col quale i quotidiani sono composti; con un corpo
più piccolo, si potrebbe restare dentro le quattro colonne. Ma la cosa di-
pende anche dal formato che avrà il Suo foglio. Veda dunque Lei, e mi
informi; e se non Le riuscisse di risolvere, Le rinnovo la preghiera di man-
darmi subito il manoscritto senza offrirlo a nessuno44.
41 Probabilmente si trattava del supplemento settimanale del quotidiano milanese
«La Sera», del quale il marchigiano diresse la terza pagina dalla fine del 1918 agli inizi
del 1920; sappiamo poi da una nota di Dario Puccini a Due lettere inedite di Pirandello
pubblicate su «Strumenti critici», VII, n. 2, 1992, pp. 245-51, che il settimanale non fece
in tempo ad uscire prima della fine della collaborazione di Puccini con «La Sera».
42 Traina, «Voce piccola la mia, ma forse non vana», cit., pp. 26-27.
43 Ivi, pp. 27-28, 26/VIII/1919.
44 Ivi, p. 28, 4/IX/1919.
102 Francesca Corrias
Caro Signor Puccini,
[…] Nella lettera che mi scrisse dopo aver ricevuto la novella, mi disse che
questa era troppo lunga, che probabilmente non sarebbe potuta andare nel
Suo foglio, e che in tal caso Ella pensava di passarla ad altri. Io le risposi
immediatamente a Falconara pregandola di vedere al più resto se faceva per
Lei, e in caso contrario di non darla a nessuno, anzi di restituirmela. […]
Se e quando il formato del suo foglio sarà deciso, anzi quando esso sarà ap-
parso, Ella avrà ancora piacere di pubblicare un mio scritto, non mancherò
di mandarle qualche altra cosa di proporzioni convenienti45.
Pare proprio che sia difficile per De Roberto adattarsi ai ristretti spa-
zi dedicati dall’editoria alle novelle, così anche quando Puccini lo con-
tatta per la collana della Urbis il problema dell’eccessiva lunghezza delle
novelle fa la sua ricomparsa nel carteggio. Partiamo prima dalla proposta
di Puccini, che come già era avvenuto col Verga non esita a chiedere an-
che a De Roberto novelle edite:
Illustre Sig. De Roberto,
mi darà Ella cinque novelle brevi, tra le sue più belle per questa collezione?
Anche edite, naturalmente: in volumi [?] o in riviste. Sarà compensato
onestamente e le sarà lasciata la proprietà delle novelle stesse. È una colle-
zione di grandi nomi e lei non deve mancare. Hanno aderito Albertazzi,
Panzini e altri. Verga è il primo della serie 46.
Continua le trattative in un’altra lettera, specificando quante pagine
complessive debba avere il volume: «Si tratta di non superare le 120 pa-
gine di un volume in 64mo. Cinque novelle possono dunque bastare. E
mi dica quello che vuole perché io Le faccia mandare il compenso dalla
casa editrice»47. De Roberto accetta ovviamente di esser pubblicato nella
collana pucciniana, ma da subito evidenzia la sua impossibilità di scelta
fra il materiale edito:
[…] Resta da scegliere le cinque novelle. Io ne ho pubblicato cinque volu-
mi (oltre alcuni volumetti) in ciascuno dei quali forse se ne potrebbe tro-
vare una meritevole di passare nella Collezione. Poiché Ella possiede La
Sorte e i Documenti umani, La prego vivamente di voler scegliere in code-
ste due raccolte. Non ne scelga più di due – e, naturalmente, se due non le
trovasse, me ne additti anche una sola (o nessuna?). Quando avrò la sua ri-
45 Ivi, p. 29, 27/IX/1919.
46 Ivi, p. 43, 20/12/1920.
47 Ivi, p. 48, gennaio 1921.
Corsi e ricorsi di un genere letterario: la novella in editoria 103
sposta, affiderò ad un amico di qui la scelta fra gli altri volumi. Scegliere da
me non so né posso, malato come sono di abulia e di follia del dubbio48.
Messo alle strette da Puccini poiché si dilungava eccessivamente nel-
l’operazione di cernita, De Roberto finisce per dargli delle indicazioni di
massima e per rimettere nelle mani dell’editore la scelta definitiva:
Caro Puccini,
ero già in grande imbarazzo per la scelta delle novelle: l’amichevole Sua let-
tera con la quale Ella mi diceva che bisognava far presto accrebbe a mille
doppi la mia confusione. Nessuna delle mie composizioni mi pareva degna
di rivivere nella Sua collezione; tutte avevano bisogno di essere ritoccate.
[…] Mi attenni ad altre che richiedevano meno fatica, ma qui sorse l’altra
difficoltà; quella delle proporzioni. Erano tutte troppo lunghe, tanto che
due o tre avrebbero preso tutto il volume. […] Poiché bisogna uscirne, ed
Ella aspetta, Le mando sei novelle che, ad occhio e croce mi sembrano
troppe per il suo volumetto. Veda Ella quelle che crede di mettere da parte.
Se, scegliendo, gliene avanzassero troppo poche me lo dica, ed io gliene
manderò qualche altra. Se nei due volumi che Ella possiede ne trovasse
qualcuna che non Le dispiace, o che Le dispiace meno di qualcuna di que-
ste, la includa senz’altro. […] Tra le sei troverà una che è molto lunga: La
bella morte, ma è forse la meno peggio che io abbia scritta, e la sola che mi
parrebbe meritevole di sopravvivere. […] Mi dia insomma una mano, col-
labori alla scelta: sarà un’altra prova di amicizia che non dimenticherò.
[…] Mi aiuti a comporre definitivamente il volumetto […]49.
Puccini dovette rifiutare La bella morte perché troppo lunga e chie-
dere in sostituzione un’altra «novella antica, ma brevissima»50. I due si
accordarono sul fatto che De Roberto si sarebbe impegnato a non ri-
pubblicare le novelle in un altro volume se non dopo che fossero tra-
scorsi almeno un paio di anni. Purtroppo a seguito delle liti fra i due
proprietari della casa editrice – Camillucci e Stella – questa dovette
chiudere nel 1922, senza mai pubblicare l’agognato volumetto derober-
tiano. Testimonianza della soluzione del contratto è la lettera che con-
clude l’epistolario:
La Urbis conchiuse ad un momento la propria attività; e solo ora, a distan-
za di tre anni, a me, suo creditore principale, essa trasmette legalmente i di-
48 Ivi, p. 50-51, 2/II/1921.
49 Ivi, pp. 57-58, 28/II/1921.
50 Ivi, p. 61.
104 Francesca Corrias
ritti acquisiti verso i traduttori ed autori. In effetto, o meglio, in conse-
guenza di questa cessione, io verrei dunque ad essere il proprietario anche
del suo volume, ma poiché non faccio l’editore, le propongo una rescissio-
ne di contratto, cioè il “rientro (come si dice) da parte Sua nella proprietà
dell’opera51.
Conclusioni
Per ovvie ragioni di sintesi e per l’impossibilità, al momento, di di-
sporre di tutto il materiale ancora oggetto di studio, alcune questioni –
come quella relativa alla misura delle novelle – sono state affrontate solo
parzialmente ed esclusivamente in relazione ad episodi di ri-edizione.
Questa è in realtà, una questione macroscopica sulla quale, avendo a di-
sposizione materiale, tempo e spazio, mi riservo di dire qualcosa di più
specifico. Ho voluto proporre un diverso modo di guardare alla novella
primo novecentesca, senza poter però soddisfare tutti gli spunti colti nel
corso delle mie ricerche, quindi più che fornire un punto di vista, l’arti-
colo segna una traiettoria, un possibile itinerario di ricerca.
51 Ivi, pp. 80-81, 8/V/1925.