Autobiografia di s.
Ignazio di Loyola, 5-9
[5] (A Ignazio di Loyola) Fu incisa la carne e l’osso sporgente fu segato.
Perché la gamba non rimanesse più corta, i medici adottarono vari rimedi:
applicarono vari unguenti e la tennero continuamente in trazione; furono
giorni e giorni di martirio. Ma nostro Signore gli ridava salute; andò
migliorando a tal punto che si trovò completamente ristabilito. Solo che non
poteva reggersi bene sulla gamba e doveva per forza stare a letto. Poiché
era un appassionato lettore di quei libri mondani e frivoli, comunemente
chiamati romanzi di cavalleria, sentendosi ormai in forze ne chiese qualcuno
per passare il tempo. Ma di quelli che era solito leggere, in quella casa non
se ne trovarono. Così gli diedero una Vita Christi e un libro di Vite di santi in
volgare.
[6] Percorrendo più volte quelle pagine restava preso da ciò che vi si
narrava. Ma quando smetteva di leggere talora si soffermava a pensare alle
cose che aveva letto, altre volte ritornava ai pensieri del mondo che prima
gli erano abituali. Tra le molte vanità che gli si presentavano alla mente, un
pensiero dominava il suo animo a tal punto che ne restava subito assorbito,
indugiandovi come trasognato per due, tre o quattro ore: andava
escogitando cosa potesse fare in servizio di una certa dama, di quali mezzi
servirsi per raggiungere la città dove risiedeva; pensava le frasi cortesi, le
parole che le avrebbe rivolto; sognava i fatti d’arme che avrebbe compiuto
a suo servizio. In questi sogni restava così rapito che non badava
all’impossibilità dell’impresa: perché quella dama non era una nobile
qualunque; non era una contessa o una duchessa; il suo rango era ben più
elevato di questi.
[7] Ma nostro Signore lo assisteva e operava in lui. A questi pensieri ne
succedevano altri, suggeriti dalle cose che leggeva. Così leggendo la vita
del nostro Signore e dei santi si soffermava a pensare e a riflettere tra sé: “E
se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco o san Domenico?”. In
questo modo passava in rassegna molte iniziative che trovava buone, e
sempre proponeva a sé stesso imprese difficili e grandi; e mentre se le
avesse proposto gli sarebbe sembrato di trovare dentro di sé le energie per
poterle attuare con facilità. Tutto il suo ragionare era un ripetere a sé stesso:
san Domenico ha fatto questo, devo farlo anch’io; san Francesco ha fatto
questo, devo farlo anch’io. Anche queste riflessioni lo tenevano occupato
molto tempo. Ma quando lo distraevano altre cose, riaffioravano i pensieri
di mondo già ricordati, e pure in essi indugiava molto. L’alternarsi di pensieri
così diversi durò a lungo. Si trattasse di quelle gesta mondane che sognava
di compiere, o di queste altre a servizio di Dio che gli si presentavano
all’immaginazione, si tratteneva sempre sul pensiero ricorrente fino a tanto
che, per stanchezza, lo abbandonava e si applicava ad altro.
[8] C’era però una differenza: pensando alle cose del mondo provava molto
piacere, ma quando, per stanchezza, le abbandonava si sentiva vuoto e
deluso. Invece, andare a Gerusalemme a piedi nudi, non cibarsi che di erbe,
praticare tutte le austerità che aveva conosciute abituali ai santi, erano
pensieri che non solo lo consolavano mentre vi si soffermava, ma anche
dopo averli abbandonati, lo lasciavano soddisfatto e pieno di gioia. Allora
non vi prestava attenzione e non si fermava a valutare questa differenza.
Finché una volta gli si aprirono un poco gli occhi; meravigliato di quella
diversità cominciò a riflettervi: dall’esperienza aveva dedotto che alcuni
pensieri lo lasciavano triste, altri allegro; e a poco a poco imparò a
conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui: uno del demonio,
l’altro di Dio. Questa fu la prima riflessione che egli fece sulle cose di Dio. In
seguito, quando si applicò agli Esercizi, proprio di qui cominciò a prendere
luce sull’argomento della diversità degli spiriti.
[9] Con tutta la luce ricavata da questa esperienza si mise a riflettere più
seriamente sulla vita passata e sentì un grande bisogno di farne penitenza.
Allora gli rinasceva il desiderio di imitare i santi, senza dar peso ad altro che
a ripromettersi, con la grazia di Dio, di fare lui pure come essi avevano fatto.
Ma la cosa che prima di tutte desiderava fare, appena fosse guarito, era di
andare a Gerusalemme, come si è detto sopra, imponendosi quelle grandi
austerità e digiuni a cui sempre aspira un animo generoso e innamorato di
Dio.