Gal ManRecuperoArch
Gal ManRecuperoArch
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INDICE
ANALISI DELLO STATO di FATTO
0. Premesse
0.1. Limiti
0.2. Metodo di lavoro
0.3. Ipotesi di lavoro
0.4. Motivazioni
0.5. Conseguenze
0.6. Opportunità
0.7. Mappatura ambiti territoriali e tipologie
INQUADRAMENTO GENERALE
Art. 1 Ambito e contenuto delle norme
Art. 2 Elaborati allegati alla normativa
Art. 3 Adeguamento degli strumenti urbanistici
Art. 4 Ambito territoriale
Art. 5 Interventi di restauro e di valorizzazione
Art. 6 Elaborati del progetto di restauro e valorizzazione
Art. 7 Modifiche volumetriche
CAPITOLO 1
Art. 8. Tetti e coperture
Art. 8.1. Edifici con tetto a travi orizzontali (e relativa copertura)
Art 8.1.1. Modifiche e integrazioni
Art. 8.2. Edifici con tetto a correnti (e relativa copertura)
Art. 8.2.1. Modifiche e integrazioni
Art. 8.3. Edifici con tetto a travi puntoni tiranti (e relativa copertura)
Art. 8.3.1. Modifiche e integrazioni
Art. 8.4. Camini, gronde, abbaini
CAPITOLO 2
Art. 9. Muri, recinzioni, sistemi di chiusura esterna, solai
Art. 9.1. Costruzione del muro di pietra
Art. 9.1.1. Recinzioni di pietra
Art. 9.1.2. Muri di contenimento terreno
Art. 9.1.3. Chiusure esterne di pietra
Art. 9.2. Recinzioni di legno
Art. 9.2.1. Chiusure esterne di legno
Art. 9.3. Recinzioni e chiusure esterne di laterizio
Art. 9.4. Intonaci
Art. 9.5. Finiture superficiali e tinteggiature
Art. 9.6. Solai
Art. 9.7. Balconi di pietra e di legno
Art. 9.8. Scale esterne di pietra e di legno
CAPITOLO 3
Art. 10. Aperture e decori
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Art. 10.1. Aperture nelle chiusure esterne di pietra e di laterizio
Art. 10.1.1. Archi e colonne di pietra
Art. 10.1.2. Contorni megalitici
Art. 10.1.3. Contorni di pietra sottile
Art. 10.1.4. Contorni a collarino
Art. 10.1.5. Contorni a graffito
Art. 10.1.6. Contorni dipinti
Art. 10.2. Pilastri di legno
Art. 10.3. Aperture nelle chiusure esterne di legno
Art. 10.4. Porte
Art. 10.5. Finestre
Art. 10.6. Vetrine negozi
Art. 10.7. Insegne e scritte
CAPITOLO 4
Art. 11. Collegamenti
Art 11.1. Percorsi interni (via, piazze, arredi urbani)
Art. 11.2. Percorsi esterni
Art. 11.3. Illuminazione all’interno dei nuclei abitati
Art. 11.4. Illuminazione percorsi esterni ai nuclei abitati
Art. 11.5 Parcheggi
Art 11.6. Ponti di pietra e di legno
CAPITOLO 5
Art. 12. Restauro filologico
Art. 12.1. Tetti e coperture
Art. 12.2. Sistemi di chiusura esterna
Art. 12.3. Solai
CAPITOLO 6
Art. 13. Problematiche attuali
Art. 13.1. Problematiche igienico sanitarie
Art. 13.2. Problematiche di riqualificazione energetica
Art. 13.3. Risorse energetiche rinnovabili
Art. 13.4 Problematiche statiche
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ANALISI DELLO STATO di FATTO
0. PREMESSE
In tutto il territorio del Gal Ossola, che riguarda località abitate da quote
attorno ai 2/300 m s.l.m (zone lacustri: Lago Maggiore, Lago d’Orta), fino a
quote attorno ai 1700 m (località alpine: Macugnaga, Veglia, Devero,
Formazza), e quindi molto differenti tra di loro, esistono numerosi centri
storici ed edifici isolati le cui caratteristiche costruttivo architettoniche
rappresentano un elemento specifico e distintivo della zona, testimonianza di
un modo particolare di organizzare il territorio ed il paesaggio e di utilizzare le
risorse dell’ambiente.
Le considerazioni che seguono e che saranno sviluppate nei capitoli
successivi, si riferiscono non tanto alla eccellenza di innumerevoli prodotti
artistici, diffusi nelle zone GAL come in tutta l’Italia, reperti archeologici,
monumenti, castelli, palazzi, ville, edifici per il culto, parchi, quanto a quel
tessuto di costruzioni e manufatti edili, il patrimonio locale, detto anche
patrimonio diffuso, che costituisce l’ambiente organizzato nei secoli passati
per le necessità umane. Necessità definite dimorare, (vedi “Costruire sulle
Alpi” e “Costruire con la pietra”) cioè vivere il territorio nel significato più
completo: abitare, produrre i beni necessari (con il pascolo, con l’allevamento,
con la coltivazione), lavorare (con gli spazi e le strutture necessarie), facilitare
le relazioni tra le persone (centri comunitari, centri abitati, collegamenti).
L’ipotesi è quindi definire gli strumenti per ottenere il recupero e la
salvaguardia degli antichi centri abitati, lavorando sugli edifici e le relative
pertinenze, e del paesaggio, lavorando su muri di contenimento e
terrazzamenti, recinzioni, strade, ponti, e su ogni tipo di manufatto più o meno
isolato (fontana, lavatoio, mulino, forno, stalla, fienile, cappella, oratorio,
chiesa, torre, casa forte, castello). L’obiettivo è recuperare, fin dove è
possibile, la qualità di un paesaggio che, nella forma complessiva di
costruzioni e natura, era risultato di millenni di interventi dell’uomo, un
capolavoro di eccezionale valore, unico per qualità diffusa e varietà in tutto il
territorio italiano, e con specifiche caratteristiche nel territorio del G.A.L.
V.C.O., ma che ha subito gravi degradazioni per gli sconsiderati interventi
dell’ultimo mezzo secolo.
Il programma rientra quindi esattamente nello “Studio per la realizzazione
degli interventi di restauro e di valorizzazione sul patrimonio locale” (PLS del
GAL LAGHI E MONTI DEL VERBANO CUSIO OSSOLA misura 323,
Azione 3, operazione 3a -secondo trattino) ma costituisce anche il presupposto
per la “Valorizzazione dell’architettura tradizionale, tutela del paesaggio
antropizzato e costruito” del progetto INTERREG (Id 27462783).
Lo studio si propone di rendere agevoli, secondo gli standard attuali
(condizioni igienico sanitarie, controllo termico, corretto utilizzo risorse
energetiche, facilità di manutenzione, dotazione di servizi e attrezzature
tecnologiche), le antiche abitazioni senza alterarne anzi, dove necessario,
recuperandone la qualità architettonico ambientale e le caratteristiche
specifiche, in una parola rispettando e valorizzando l’identità locale. Con
restauro e valorizzazione si intende ciò che Luigi Zanzi a pagina 99 di
“CulturALP, il sistema culturale alpino: una sfida per l’Europa” Villa Vigoni,
2005, raccomanda: “promuovere il ripopolamento”. Cioè non incentivare un
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recupero fine a se stesso, ma rivitalizzare, anche attraverso la
riorganizzazione delle connessioni tecnologiche (vedi capitolo 4), territori
sottoutilizzati o abbandonati, incrementare possibilità d’uso non solo
turistiche in senso ludico/sportivo (parco giochi o palestra della pianura
vedi “Costruire sulle Alpi”, pagina 239), ma indirizzate ad un utilizzo delle
risorse culturali ed ambientali specifiche del luogo, sviluppare competenze
e capacità professionali ed esecutive di progettisti, costruttori, specialisti di
tetti, muri, intonaci, carpentieri, artigiani della pietra e del legno, falegnami,
pittori, restauratori. Di frequente alla richiesta dei committenti di restaurare,
recuperare o rifare, con modalità “tradizionali”, tetti di beola, balconi di pietra,
muri di pietra a secco, capriate di legno, solai di legno, intonaci di calce,
graffiti, dipinti, il progettista e l’impresa rispondono: non si può fare. Invece
dovrebbero rispondere: non lo so fare!
0.1. LIMITI
Le norme che seguono riguardano, come indicato sopra, interventi di
restauro e valorizzazione sul patrimonio locale, cioè su edifici e manufatti che
caratterizzano l’identità locale, costruiti in epoche precedenti la seconda guerra
mondiale. Lo “sprawl” (termine inglese usato dagli urbanisti per indicare
l’edilizia distribuita in modo diffuso e disordinato sul territorio) che invade e
devasta gli spazi intorno ai vecchi centri, non fa parte di questo lavoro, quindi
non si può pensare si possa integralmente ricostruire la qualità complessiva del
paesaggio originario. Le norme costituiscono un primo passo, limitato ma
utile, soprattutto se verrà efficacemente integrato dal programma
INTERREG e se sarà seguito da ulteriori programmi di recupero del
contesto paesaggistico.
Negli interventi progettuali che si pongono tra tradizione ed innovazione,
non si può far conto che l’incarico sia affidato a progettisti di grande qualità, in
grado di produrre, in ogni caso, un risultato di valore. La necessità di
restaurare, recuperare, valorizzare le caratteristiche costruttivo/architettoniche
che identificano una località impone l’organizzazione di normative e criteri di
progettazione ed esecuzione che, utilizzate da un normale serio professionista,
producano esiti che non stravolgano la natura, la storia, le caratteristiche
dell’edificio, del nucleo edificato o del paesaggio originario. Necessità che
impone limiti alla libertà progettuale, perché definisce modalità esecutive
nell’utilizzo di materiali e tecnologie, ma non limita la creatività del
progettista, creatività che anzi, per definizione, si esprime nella capacità
di operare in un ambito linguistico definito.
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Tutto questo vale in modo anche più articolato e complesso procedendo a nord
verso la val Formazza, o a monte fino a Macugnaga. E’ quindi necessario
trovare altri modi di individuare gruppi omogenei, come si vedrà di seguito,
ma lo schema in sette zone non è inutile, perché consente la collocazione
territoriale di alcune soluzioni prevalenti, facilitando l’individuazione delle
modalità di intervento.
0.4. MOTIVAZIONI
Il risalto che viene attribuito, nell’ipotesi di lavoro illustrata nel paragrafo
precedente, alla struttura del tetto quasi più che al sistema murario, in
connessione con la copertura (beole spesse, beole sottili, coppi, marsigliesi,
scandole di legno, paglia), e con il sistema di posa delle stesse (appoggiate,
con staffe di sostegno, con chiodo, e altre) è dovuto al fatto, in genere poco
considerato, che le caratteristiche che identificano l’edificio e la qualità
architettonica che lo contraddistinguono non sono dovute solo al
materiale usato, ma soprattutto alle conseguenze che la scelta tra le
soluzioni tecnologiche possibili del tetto ha sulla dimensione e sulla forma
complessiva. Inoltre, soprattutto nelle zone alpine e nei gruppi di edifici
concentrati, la pendenza, la dimensione, i materiali e i dettagli delle coperture
sono un elemento essenziale ad una immagine equilibrata ed armonica del
paesaggio e qualsiasi intervento che non tenga conto di una omogeneità
costruttiva può contribuire a degradarla o addirittura a distruggerla.
0.5. CONSEGUENZE
Tra le numerose conseguenze di quanto indicato in 1.4. ce ne sono alcune
che è necessario mettere in risalto e che riguardano soprattutto (ma non solo) il
sistema tecnico più particolare dell’Ossola (diffuso in un’ampia parte del
territorio ed anche in Svizzera nel Sopraceneri) degli edifici con il tetto a
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capriata puntoni tiranti e beole spesse. Prima conseguenza: non è ammissibile
che le beole appoggiate siano sostituite da beole inchiodate o sostenute da
staffe, sia pure di spessore uguale alle precedenti. Seconda conseguenza: non è
ammissibile che sia modificato il sistema strutturale del tetto, per esempio
sostituendo le travi con una soletta di calcestruzzo, o integrandolo con una
trave di colmo, sia pur mantenendo la copertura di beole. In ambedue i casi,
come si spiegherà dettagliatamente più avanti, si tratta di una intollerabile
degradazione della qualità architettonica, che distrugge la logica
costruttiva di un sistema nato da due millenni di esperienza, e rappresenta
un caso unico in Europa e forse nel mondo. Lo stesso discorso vale per gli
edifici costruiti a blinde, o Blockbau, dove il sistema costruttivo va conservato
nella sua integrità di sistema di chiusura portante.
0.6. OPPORTUNITÀ
Le modalità intervento indicate consentono di agire nel restauro e nella
valorizzazione con criteri chiari e precisi. Il restauro non può che utilizzare le
tecniche costruttive esistenti aggiornate da integrazioni tecnologiche, come
verrà illustrato più avanti. La valorizzazione può richiedere anche modifiche o
ampliamenti, limitati o consistenti, per adeguamento sanitario,
funzionale/distribuivo o altro (naturalmente se gli strumenti urbanistici lo
consentono). La valorizzazione effettuata non solo con materiali, dettagli
costruttivi e colori dell’edificio o del manufatto originale, ma
utilizzandone con scrupolosa attenzione le modalità costruttivo
tecnologiche, porta di necessità ad un esito che si inserisce in modo
coerente ed armonico nel paesaggio, contribuendo in modo significativo al
recupero ed alla riqualificazione.
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0.7 MAPPATURA AMBITI TERRITORIALI E TIPOLOGIE
ZONE DI LOCALIZZAZIONE PREVALENTE *
* la divisione in sette zone "tipologiche" è FORMAZZA ALPE CROVEO MONTECRESTESE DOMODOSSOLA ORNAVASSO MADONNA_
indicativa; le soluzioni riferite ad ogni zona MACUGNAGA VEGLIA DEVERO (valle) MERGOZZO (parte) DIVEDRO MERGOZZO (parte) DEL SASSO
sono le prevalenti come numero o più DEVERO ANTIGORIO (parte) ANTIGORIO (parte) QUARNA AROLA
significative come caratteristiche. ANZASCA (parte) BOGNANCO CÉSARA
Tecniche costruttive indicate come tipiche di una zona ANTRONA NONIO
possono essere, in modo limitato o sporadica, ANZASCA (parte)
presenti in altre, anche distanti. VALSTRONA
VIGEZZO
CANNOBINA
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Art. 3 Adeguamento degli strumenti urbanistici comunali
Le presenti norme sono recepite dai Comuni come parte integrante del
regolamento edilizio con delibera di Consiglio Comunale.
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gronde, balconi, ecc). Ne consegue che gli ampliamenti degli edifici, dove
concesso dal PRG, oltre ad essere di entità limitata, non possono stravolgerne
la logica costruttivo/strutturale. Il metodo che consente modifiche/ampliamenti
coerenti prende come riferimento principale il tipo di struttura del tetto e, nelle
costruzioni di legno, delle chiusure portanti, con le relative possibilità di
estensione:
1) edifici con tetto con travi orizzontali: limitato ampliamento parallelo
all'andamento delle travi;
2) edifici con tetto a correnti - con aggiunta di campate: allungamento
dell'edificio; con sostituzione dei correnti, limitato allargamento;
3) edifici con tetto a puntoni e tiranti – con aggiunta di capriate: allungamento
dell'edificio; con sostituzione delle capriate: limitato allargamento;
4) edifici costruiti con Blockbau ( blinde o castello): non sono possibili
ampliamenti;
5) per gli edifici alterati, o con gravi dissesti statici comprovati da un
dettagliato rilievo del degrado e da perizia redatta da un professionista esperto
in materia di consolidamento strutturale, o crollati, faranno testo foto d'epoca o
stampe che ne permettano la ricostruzione sia volumetrica che di dettaglio. In
questi casi si farà particolare attenzione ai rapporti dimensionali con altri
edifici simili conservati ed alla coerenza dell'inserimento ambientale;
6) i corpi aggiunti se tecnologicamente coerenti (tetto, muri, aperture) con
l’edificio vanno conservati. Se sono difformi (superfetazioni), possono essere
recuperati nella volumetria complessiva con i criteri delle norme.
Il patrimonio edilizio rurale diffuso sul territorio presenta spesso altezze
nette di piano non conformi alla normativa igienico sanitaria esistente. Per tutti
gli edifici del patrimonio locale si applica il Decreto del Ministero della
Sanità del 09.06.99, integrato dalla D.G.R. 01.08.03 n.20-10187 per edifici
residenziali, che consente il mantenimento di misure minime dell'altezza
inferiori per interventi edilizi su edifici esistenti meritevoli di conservazione e
recupero.
Edifici, box auto, tettoie, magazzini, ed ogni altro tipo di manufatto che
non possa essere facilmente recuperato, ma che, per totale estraneità formale,
costruttiva, tecnologica dal contesto richieda, per il recupero dell’identità
paesaggistica, una completa (o quasi completa) demolizione, può essere
demolito e ricostruito, purché rispetti i criteri tecnologici indicati negli articoli
che seguono. I Comuni potranno incentivare la demolizione e ricostruzione di
edifici o anche di parti di edifici (coperture, recinzioni e altro) concedendo con
le modalità che riterranno più opportune (in luogo o in un’altra area
costruibile) un incremento volumetrico.
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CAPITOLO 1
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genere sono localizzate dove i carichi propri e accidentali sono minori (zone
lacustri e quote più basse).
ill. 1
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Art. 8.2. Edifici con correnti a cavallo del colmo (ill. 2 e 3)
La struttura con travi a correnti consiste nell’appoggio di due travi (per lo
più di abete o di larice) a cavallo del colmo, che può essere un muro o una
trave appoggiata a sua volta su muri o su capriate di legno. Le due travi
vengono incernierate sul colmo (con varie modalità, vedi “Costruire sulle
Alpi” pagina 71), mentre l’appoggio sui muri d’ambito è libero di scorrere nel
senso della lunghezza. Se le travi sono lunghe e i carichi sul tetto permanenti o
accidentali lo richiedono, vengono aggiunte una o più terzere. Il peso della
copertura agisce sulla connessione delle travi sul colmo, quindi la soluzione è
adatta soprattutto con coperture leggere, scandole di legno, dove è
universalmente diffusa (zone di influenza tedesca, vedi “Costruire sulle Alpi”),
o di laterizio (coppi, marsigliesi). Per ridurre al massimo la sollecitazione della
cerniera la pendenza non deve superare i 27° circa (51%). Nell’alta Ossola
(Formazza, Macugnaga) ci sono anche tetti a cavallo con beole di copertura,
quindi per ridurre la sollecitazione sul colmo le falde sono di lunghezza
limitata (meno di tre metri). Falde più lunghe sono possibili con le scandole di
legno o con pietre sottili e molto grandi in modo da ridurre l’effetto sul peso
della sovrapposizione in tre strati di una parte della pioda (“Recupero e
conservazione edilizia storica”: pagine 189, 190 e 191). La struttura a cavallo
con copertura leggera consente la costruzione di edifici di ampie dimensioni,
in larghezza e in lunghezza, frequenti nelle Alpi orientali, ma poco diffusi
nelle zone del GAL Ossola anche per le caratteristiche geologiche del
territorio: gli edifici erano di solito insediati nelle zone più inclinate per non
sprecare terreni adatti alla coltivazione.
Nella tabella allegata sono indicate le zone dove prevalgono le strutture a
cavallo. Come si vede sono diffuse nelle zone basse, come sul lago d’Orta, e
nelle zone alte, Macugnaga e Formazza, molto meno nelle zone intermedie.
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ill. 2
ill. 3
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Art. 8.2.1. Modifiche e integrazioni
Coerente con la costruzione a correnti, nel caso di tetto a capanna, è
l’estensione longitudinale, cioè nella direzione del colmo del tetto. Il tetto
deve mantenere la simmetria frontale, come lunghezza e pendenza delle falde,
per la necessità di caricare in modo omogeneo i due correnti incernierati sul
colmo. L’estensione è possibile con chiusure esterne portanti di pietra o di
laterizio. Per i tetti a padiglione l’eventuale estensione deve interessare l’intera
copertura con congruente ampliamento della muratura. L’aggiunta di corpi
laterali o la sistemazione di superfetazioni, è accettabile se la tecnica
costruttiva è coerente, come muratura e copertura, con l’edificio originario.
Negli anni passati ad alcuni edifici sono stati aggiunti corpi con struttura del
tetto incongrua: è inopportuno che questa possibilità sia consentita oggi, per
non accentuare ancora il cacofonico disordine che i centri storici hanno subito
nell’ultimo mezzo secolo.
Con chiusure esterne portanti di legno (sistema Blockbau) estensioni sono
tecnicamente possibili solo con l’aggiunta di una “campata” di travi
orizzontali, come si vede in alcuni antichi ampliamenti. La soluzione è
inopportuna, non tanto perché richiede di smontare copertura e chiusure,
quanto perché porta ad un edificio di dimensioni e proporzioni molto diverse
dall’originario, con una incidenza sul contesto difficilmente controllabile.
Nelle norme del Piano Paesistico della Zona di Salvaguardia dell'Alpe
Devero, art.10 tabella b (applicata ad edifici con tetto puntoni tiranti ma
estendibile al tetto a correnti), sono previsti limitati ampliamenti che non
riguardano la parte in legno.
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Art. 8.3. Edifici con tetto di travi a puntoni su tiranti (ill. 4)
La struttura di travi puntoni/tiranti, a volte definita capriata semplice, estesa
a tutte le campate di sostegno della copertura è resistente ed elastica, adatta al
carico delle beole spesse. L’argomento è sviluppato in modo esauriente, anche
per quanto riguarda il restauro, nelle seguenti pubblicazioni: “Costruire sulle
Alpi”: da pagina 70 a 84; “Costruire con la pietra”: da pagina 93 a 98 e da
pagina 102 a 110; “Recupero e conservazione edilizia storica”: pagine 186 e
187). Alcune strutture di tetti nelle zone del lago d’Orta sono basate sul
principio puntoni tiranti ma hanno caratteristiche particolari, con una pendenza
dei puntoni originari (le coperture sono state in seguito modificate) dai 45°
(100%) ai 55° (147%). Le strutture originarie erano costruite per tetti di paglia
(“Recupero e conservazione edilizia storica” pagine da 194 a 199).
ill. 4
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Art. 8.3.1. Modifiche e integrazioni (ill. 5)
Non sono ammissibili interventi che alterino le caratteristiche
tecnologiche del sistema: l’inserimento di una trave di colmo impedisce il
corretto funzionamento della copertura, omogeneamente elastica, e trasforma i
puntoni in travi che agiscono solo a flessione. La flessione sotto i carichi
differenziati di neve, vento, dilatazioni e contrazioni termiche, sposta le piode,
con conseguenti infiltrazioni. Inammissibile anche l’irrigidimento, con
calcestruzzo o acciaio, della struttura, che provoca gravi danni al manto di
copertura in caso di movimenti sismici (art. 13.4.). Anche se negli edifici
antichi si rilevano alcune aggiunte con coperture a travi orizzontali (art. 8.1.) o
correnti (art. 8.2.), eventuali integrazioni o ampliamenti potranno essere
realizzate solo rispettando le caratteristiche tecnologiche della struttura e
della copertura puntoni/tiranti (art. 8.3.).
ill. 5
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Art. 8.4. Camini, torrini, gronde, abbaini (ill. 6)
La varietà delle soluzioni possibili in un territorio differenziato come il
GAL Ossola richiede un ulteriore approfondimento da sviluppare nel progetto
INTERREG, soprattutto per quello che riguarda le zone vicine ai laghi. Si
anticipano alcune indicazioni, valide in particolare per le zone delle coperture
di pietra, dove torrini, gronde e abbaini devono essere realizzati seguendo i
modelli di riferimento riportati negli allegati.
Alcune soluzioni su “L’architettura montana” pagine da 145 a 156. In valle
Vigezzo esistono numerose altre forme, vedi per esempio “Costruire sulle
Alpi” pagina 78, che possono essere usate negli edifici più importanti. Gronde
di pietra con aggetti inferiori (di solito a nord) e gronde di legno per aggetti di
copertura balconate, con trave aggiunta su capriate come disegno di dettaglio
su “Costruire sulle Alpi” pagina 72. Abbaini: alcune soluzioni su
“L’architettura montana” figure 111, 224, 225, 226, 227, 228, 242 e 236.
ill. 6
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CAPITOLO 2
ill. 7
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Art. 9.1.1. Recinzioni di pietra (ill. 8)
Nella costruzione di recinzioni di pietra attenersi a una delle tre soluzioni
illustrate nel presente articolo:
a) muro con copertine;
b) muro con pietre posate di coltello;
c) recinzione di pietra 'a schegge'
I muri di recinzione possono essere costruiti come art. 9.1. con la
sovrapposizione di grandi copertine sporgenti e a becco di civetta o con un
corso di pietre posate di traverso a coltello (“Costruire con la pietra”, pagina
56 n°4/30 e 4/32). L’eventuale malta non deve essere visibile all’esterno. Una
soluzione particolare di grande qualità paesaggistica è quella definita “a
schegge” cioè con grandi lastre a spacco di 4-6 cm di spessore, conficcate nel
terreno in verticale (“L’architettura montana” figura 196).
Le tre soluzioni, adatte a tutto il territorio, dovrebbero sostituire tutte
le altre, compreso certe recinzioni di ferro realizzate in epoche recenti con
improbabili fantasiose volute. Muri di pietra sono diffusi in tutto il territorio
del GAL, con alcune differenze riguardanti la dimensione dei conci di pietra,
che nelle zone dei laghi frequentemente sono a scaglie piccole.
ill. 8
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costruzione avveniva posizionando le pietre più regolari sui due lati, interno ed
esterno, legandoli ogni tanto con pietre più grandi. In questo modo il muro
delle zone del GAL Ossola ha un notevole contenuto di spazi liberi, “aria
ferma”, che ne migliorano le caratteristiche di controllo termico. I valori di
trasmittanza assegnati ai muri di pietra dalle tabelle andranno corretti in
occasione del successivo studio INTERREG. Nelle abitazioni veniva poi
intonacata con malta di calce la superficie interna e, soprattutto dal XVIII
secolo in avanti, anche la superficie esterna (art. 9.4.). La struttura muraria,
posizionata sul terreno con pietre più grosse ma senza fondazioni, e non
irrigidita da leganti cementizi, conserva l’elasticità necessaria ad assorbire
limitate sollecitazioni sismiche, pericolose soprattutto per la copertura.
In ogni tipo di intervento (restauro, ristrutturazioni) i muri di pietra a
vista non vanno intonacati. L’eventuale stilatura dei giunti con malta di calce
va fatta in profondità per lasciare completamente a vista ogni singola pietra.
L’ombra che si forma fra le pietre è un elemento essenziale dell’identità
formale delle costruzioni, soprattutto nell’Ossola superiore. Nelle zone o negli
edifici dove in già origine la stilatura copriva parzialmente le pietre, restaurare
con la stessa modalità.
ill. 9
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ill. 10
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Art. 9.2. Recinzioni di legno (ill. 11)
Le soluzioni adatte sono moltissime (“Costruire sulle Alpi” pagina 127
n°19/12), alcune pregevoli per semplicità di costruzione e facilità di
sostituzione dei legni. Da adottare per la recinzione di campi coltivabili e
prati per il pascolo, potrebbero essere usate con un ottimo esito
paesaggistico anche per la recinzione di pertinenze delle abitazioni, orti o
giardini. Soluzione particolarmente opportuna in alcune zone, per
esempio dove edifici rurali vengono recuperati ad abitazione.
ill. 11
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Art. 9.2.1. Chiusure esterne di legno (ill. 12)
Nelle zone Walser (Macugnaga e Formazza) e nelle zone di influenza dei
Goms (Alpe Devero) le chiusure esterne portanti sono costruite con la tecnica
definita Blockbau o a blinde o a castello (“Costruire sulle Alpi”, pagina 61
capitolo La casa di legno). In val Formazza alla fine del settecento, per
prevenire il diffondersi di incendi, alcuni edifici sono stati rivestiti di pietra,
intonacati e dipinti. In ogni caso tutte le chiusure di legno sono da
restaurare in modo filologico.
ill. 12
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Art. 9.3. Recinzioni e chiusure esterne di laterizio
Le recinzioni e le chiusure esterne di laterizio (o anche di CLS) sono diffuse
su tutto il territorio, ma appartengono ad epoche recenti (soprattutto dopo gli
anni 50 del 900). Originariamente il laterizio veniva usato solo nelle zone più a
sud, intorno ai laghi. Gli edifici erano in genere intonacati, il laterizio quindi
non è quasi mai a vista. Alcuni edifici fine ottocento e inizio novecento sono
decorati con graffiti (art. 10.1.5) o dipinti (art. 10.1.6.).
Nei centri storici il laterizio (e il CLS) particolarmente nelle recinzioni,
anche se intonacato, costituisce un elemento di discontinuità da
correggere con criteri omogenei località per località. Per esempio:
stabilire un comune sistema di copertine di pietra (squadrate, a becco di
civetta, a toro, o altro).
Nelle valli, alle quote più elevate, promuovere l’eliminazione delle
recinzioni di ferro sostituendole gradualmente con pietra (9.1.1.) o legno
(9.2.).
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Art. 9.5. Finiture superficiali e tinteggiature
Molto diffusa era la finitura delle superfici intonacate con tinteggi a base di
calce. Negli interventi di restauro e di valorizzazione le scelte cromatiche sono
subordinate all'indagine stratigrafica, indispensabile per risalire alla più
probabile tinta originale. La stratigrafia può essere fatta a ponteggi ultimati,
durante la fase di risanamento degli intonaci e di pulitura delle facciate. Il
direttore lavori dovrà rilevare le tinte originali, spesso coperte da strati di
materiale organico recente inadatto all'intonaco di calce, e predisporre le
campionature di colore. L'ufficio tecnico comunale può chiedere che venga
depositato il materiale fotografico relativo.
La finitura scelta deve essere compatibile con il supporto e quindi deve
essere di natura minerale. L’intonaco di calce, e anche l’intonaco di malta
bastarda, sono minerali che come tali mal sopportano cicli di natura organica o
di sintesi (come appunto le tinte viniliche, acriliche, siliconiche, o
acrilsilossaniche presenti per la maggiore parte oggi sul mercato). Il pH del
supporto minerale non differisce dal pH delle tinte minerali (pH 13 per la calce
e per il silicato di potassio), mentre i prodotti sintetici hanno un pH intorno a
8-8,5. I prodotti minerali hanno un invecchiamento molto lento e molto
gradevole (non trattengono lo sporco come i prodotti sintetici a
comportamento termo-plastico). Le tinte minerali si “consumano” lentamente
per erosione nel tempo, mentre le tinte sintetiche “sfogliano” molto più
facilmente. Inoltre l’adesione dei sistemi minerali è sempre di natura chimico
fisica (carbonatazione della calce con il supporto di calce, o silicizzazione del
silicato liquido di potassio con il supporto minerale), mentre i prodotti organici
resinosi hanno solamente una adesione fisica pellicolare.
27
Art. 9.6. Solai a volta di pietra o di travi di legno (ill. 13)
In genere gli edifici antichi hanno il piano più basso, interrato o seminterrato,
a volta di pietra e i piani successivi con solai di legno. Sia la struttura a volta
sia le travi di legno consentono l’elasticità necessaria (art. 8.3.1. e art. 13.4.).
E' vietata la sostituzione dei solai di legno con solette di calcestruzzo che
irrigidiscono pericolosamente il sistema.
Per conferire ai solai di legno caratteristiche di resistenza e di coibenza
termica o acustica, vedi le soluzioni in: “Recupero e conservazione
dell’edilizia storica” pagine da 42 a 51 e da 136 a 141. Per risanare i locali
interrati o seminterrati pagine da 71 a 81.
ill. 13
28
Art. 9.7. Balconi di pietra e di legno (ill. 14)
Balconi di pietra e di legno devono essere realizzati esclusivamente secondo
i riferimenti citati di seguito. In epoche recenti sono stati aggiunti più o meno a
casaccio molti balconi, di cui tra l’altro non si capisce l’utilità. Per una corretta
armonizzazione dell’effetto urbano è necessario eliminarli. In ogni caso, dove
condizioni particolari permettessero di realizzare nuovi balconi bisogna
controllarne con cura la tecnica costruttiva e la forma. Nei balconi di pietra:
qualità del materiale, spessore delle lastre, mensole di sostegno, finitura e
dettagli, parapetto.
Mensole, balconi e balconate di pietra con parapetti di ferro: molto
diffusi in tutta l’area del GAL Ossola, anche perché le pietre locali, in
particolare le beole, hanno caratteristiche di resistenza alla flessione adatte a
questi utilizzi. Un calcolo dimensionale quantitativo delle sezioni e dei carichi
dovrà essere fornito da successivi studi previsti dal programma INTERREG.
Le balconate di pietra hanno quasi sempre un parapetto di ferro con semplici
tondini verticali ribattuti su piattine orizzontali e, ogni 200 cm circa, barre
verticali quadre di irrigidimento alte 180 cm circa con piattina di collegamento
con il muro. Tra le barre verticali venivano tirati fili per esporre all’aria e
seccare granoturco ed altri prodotti agricoli. Per balconi e balconate di pietra
con parapetti di ferro vedi: “Recupero e conservazione dell’edilizia storica”
pagina 242 foto 3 e pagina 244 (N.B. i parapetti dei balconi di gran parte degli
edifici signorili del XVI-XIX secolo dell’Ossola provengono stilisticamente
dal lago d’Orta) e “L’architettura montana” pagina 128. Spesso i nuovi
parapetti di ferro sono occasione per interventi formalmente inqualificabili: è
quindi obbligatorio, dove non è possibile recuperare l’esistente, fare parapetti
solo con semplici tondini verticali come indicato sopra. Nei parapetti esistenti
invece, quando, per motivi di sicurezza, è necessario alzarne l’altezza, non
aggiungere un ulteriore corrimano, ma sollevare tutto il parapetto o intervenire
con sottili fili di acciaio tra le barre verticali come indicato sopra.
Mensole di legno o pietra e parapetti di legno: “L’architettura montana”
pagine da 116 a 119.
Mensole, ripiani e parapetti di legno: “Recupero e conservazione
dell’edilizia storica” da 246 e 247.
29
ill. 14
30
Art. 9.8.. Scale esterne di pietra e di legno (ill. 15)
Per le scale di pietra o di legno vedi “L’architettura montana” pagine da
133 a 144. Molto particolare ed interessante la soluzione dei gradini di pietra a
sbalzo, resa possibile dalle caratteristiche del materiale di cui articolo
precedente (da integrare con calcoli strutturali nel successivo studio
INTERREG). Utilizzare sempre, dove è possibile, questa soluzione. Le scale
degli edifici signorili sono di solito più rifinite, con gradini bocciardati, come
per esempio “Linee guida Premia” pagina 33.
ill. 15
31
CAPITOLO 3
32
Art. 10.1.1. Archi e colonne di pietra (ill. 16)
Le aperture ad arco con colonne di pietra sono un elemento caratterizzante
di molte costruzioni antiche sul lago d’Orta. Procedendo verso nord sono
presenti quasi ovunque, in genere in modo sparso, raramente concentrate come
nella nota frazione Colombetti di Castiglione in val Anzasca. La forma della
colonna, deve riprendere quella classica, con la parte inferiore cilindrica
(circa un terzo) e la parte superiore rastremata (in rari casi colonne
cilindriche di grossa sezione, che in genere non sono monoblocco ma in
muratura). Inaccettabili le colonne tornite con la parte centrale più larga,
tipiche dei paesi baschi! Colonne correttamente eseguite con archi a tutto sesto
o ellittico (inaccettabile l’arco fesso, cioè con il cerchio troncato senza
raccordo sulla colonna o sul muro: ne “L’architettura montana” pagina 178
definito scemo, termine filologicamente scorretto) o a sostegno di travi di
legno, possono essere efficacemente utilizzate anche nelle ristrutturazioni di
vecchie costruzioni di pietra. Non fare la colonna in “portichetti” ad angolo,
come in tante inqualificabili “villette” successive agli anni quaranta del secolo
scorso, ma inserire le arcate nella parte centrale della muratura (“Manuale
GAL” pagine 25 e 58 e ill. 16).
ill. 16
33
Art. 10.1.2. Contorni megalitici (ill. 17, 18 e 19)
Da conservare e da restaurare in modo filologico (“L’architettura
montana” pagine 97 e 98) con costruzione come su “Manuale GAL” pagina
57, da cui si comprende che il contorno ha, più che una funzione portante, una
significato simbolico di antica origine micenea.
ill. 17, 18 e 19
34
Art. 10.1.3. Contorni di pietra sottile (ill. 20)
Da conservare e restaurare in modo filologico sia nelle forme più
semplici sia nelle forme più elaborate (“Linee guida Premia” pagina 21,
“Costruire sulle Alpi” pagine 126 e 127). Nel caso di apertura di nuove finestre
tener conto delle soluzioni esistenti: in genere, ma non sempre, al piano più
basso i contorni sono squadrati (non segati ma bocciardati a grana grossa) e ai
piani superiori a forme elaborate (sempre bocciardati). Conservare, restaurare e
rifare le inferriate, in genere in luce al piano basso (“L’architettura montana”
pagina 108) e sporgenti (a museruola, cioè con tutte le sbarre murate, prima
del XVI secolo, con zanche di raccordo con la muratura o i contorni di pietra,
in epoche successive) ai piani alti. Le inferriate nuove non vanno costruite con
saldature ma forgiate e battute come le antiche (“L’architettura montana”
pagina 165 foto 492, 493 e 494).
ill. 20
35
Art. 10.1.4. Contorni a collarino (ill. 21)
Vedi “Costruire sulle Alpi” pagina 108. Da conservare e restaurare in
modo filologico (“Superfici murarie nell’edilizia storica” pagine da 96 a 101).
Nel caso di aperture di nuove finestre in edifici di pietra a vista irregolare si
può, anche per sviluppare nuove professionalità e favorire la creatività degli
artigiani, aggiungere “con discrezione” uno o più collarini valutando “con
attenzione” la soluzione formale sia del dettaglio sia dell’effetto complessivo.
ill. 21
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Art. 10.1.5. Contorni a graffito (ill. 22 e 23)
Vedi “Costruire sulle Alpi” pagina 108. Da conservare e restaurare in
modo filologico (“Superfici murarie nell’edilizia storica” in particolare
capitolo da pagina 67 a 71 e da 78 a 95). Per sviluppare nuove professionalità e
favorire la creatività degli artigiani consentire un utilizzo “moderato ed
attento” dei graffiti anche nella ristrutturazione di edifici che non ne avessero
in origine (art 9.4.).
ill. 22 e 23
37
Art. 10.1.6. Contorni dipinti (ill. 24)
Vedi “Costruire sulle Alpi” pagina 108. Da conservare e restaurare in
modo filologico (“Superfici murarie nell’edilizia storica” da pagina 375 a
396). Per sviluppare nuove professionalità e favorire la creatività degli
artigiani pittori consentire un utilizzo “attento” di dipinti anche nella
ristrutturazione di edifici che non ne avessero in origine (art. 9.5.).
ill. 24
38
Art. 10.2. Pilastri di legno (ill. 25)
Alcune costruzioni di pietra hanno un lato lungo aperto al piano superiore
(astic) con pilastri e travi di legno a vista. Probabilmente l’influenza tedesca ha
stemperato la rigorosa rigidità romanica delle zone latine dell’Ossola, dove di
solito perfino la banchina di legno (trave su cui appoggiano le capriate del
tetto) è nascosta da piccole pietre. L’astic forniva uno spazio coperto, per
seccare le granaglie e le foglie d’alloro per i letti, più ampio delle balconate e
dei timpani aperti negli edifici con il colmo orientato nord sud.
Riprendendo con rigore le modalità tecniche esecutive delle vecchie
costruzioni si possono consentire anche nelle ristrutturazioni aperture di astic
(“Manuale GAL” pagina 12).
ill. 25
39
Art. 10.3. Aperture nelle chiusure esterne di legno (ill. 26a e 26b)
La necessità di adeguarsi alle attuali norme igienico sanitarie, a parte le
deroghe ottenibili negli edifici vincolati per particolare qualità architettonica e
la possibilità di usare aerazione forzata, impone a volte l’aumento della
superficie aerante e illuminante. Limitate aperture possono essere realizzate
interessando due tronchi di legno senta tagliarli completamente (“Linee guida
Premia” pagina 83 schizzo in alto a destra), ma va curata con attenzione la
posizione della finestra nella facciata (“Piano Paesistico” e ill. 26a e 26b).
Spesso ci si può adeguare alle norme semplicemente posizionando le aperture
sul fianco degli edifici sotto alla gronda, togliendo la trave tra i tiranti
sporgenti del tetto.
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Art. 10.4. Porte (ill. 27)
Si allegano schemi di possibili soluzioni (“Costruire sulle Alpi” pagine 124,
125 e 126, “L’architettura montana” pagina 96). Evitare comunque e ovunque,
ove non preesistenti d’epoca (cioè precedenti agli anni 40 del secolo scorso),
le porte con vetri, vetrini, piccole inferriate. Per ragioni energetiche si possono
invece aggiungere ante di vetro in luce senza telaio mobile (telaio fisso di ferro
di limitato spessore). Un dettaglio corretto, valido in molti casi, “Manuale
GAL” pagina 93 in alto.
ill. 27
41
Art. 10.5. Finestre (ill. 28)
Con il pretesto della riqualificazione energetica, la finestra spesso è oggetto
di interventi che alterano in modo vistoso la qualità architettonica dell’edificio.
Premesso che di solito, negli edifici antichi, la dimensione dell’apertura è
limitata e quindi influisce sulla dispersione globale meno di quanto di solito si
crede, è opportuno in primo luogo fare i calcoli effettivi. Va tenuto conto che,
per ragioni igieniche, la finestra dovrebbe consentire un passaggio d’aria
continuo, da regolare con precisi criteri, ma è impossibile, negli edifici in
questione, risolvere il problema con una fessura regolabile nella traversa del
serramento, come si fa in edifici di nuova costruzione. Per un progetto
energetico completo i ricambi d’aria vanno realizzati con altri mezzi
(areazione proveniente da apertura apposite, areazione forzata).
Modalità di intervento non rovinose dal punto di vista della qualità
architettonica si basano soprattutto sulla necessità di mantenere ridotta la
sezione della battuta centrale del serramento. Le soluzioni sono diverse, se ne
indicano alcune: 1) trasformare l’apertura da due ad una sola anta, inserendo lo
spessore del telaio fisso interamente nelle mazzette, soluzione frequentemente
possibile proprio per la limitata dimensione delle aperture e lo spessore dei
muri: l’apertura quindi non ingombra il locale interno. La finestra, anche con
doppio o triplo vetro, apparirà esattamente uguale all’originaria; 2) restaurare
filologicamente la finestra originaria e aggiungere all’interno o all’esterno
un’anta di vetro (doppio o triplo) in luce senza telaio mobile e con telaio fisso
di ferro di limitato spessore. All’esterno questa soluzione ha il vantaggio di
proteggere il serramento antico; 3) rifare le ante con le modalità indicate sui
disegni a pagina 128 di “Costruire sulle Alpi”.
42
ill. 28
43
Art. 10.6. Vetrine negozi
Per le vetrine vanno rispettate tutte le prescrizioni riguardanti intonaco,
colore inferriate, colorazione legni, impianto elettrico, eventuale insegna,
scritte (art. 10.7), ecc. In un edificio vecchio o addirittura antico non si può
pretendere che la vetrina sia tipo supermercato: piuttosto si può fare
riferimento ad alcuni negozi in case dipinte e perfettamente restaurate del XVI
secolo a Guarda (Grigioni, CH), del XVII secolo a Mittenvald (Baviera, D),
del XVIII secolo a Holzgau (Vorarlberg, A), dove le vetrine sono inserite nei
vani delle finestre e accuratamente decorate come il resto della facciata. Non
sempre quindi è possibile realizzare delle vere e proprie vetrine e, dove
esistono già, sarà necessario in alcuni casi prevederne ridimensionamenti o
adeguamenti. I telai delle vetrine devono essere di legno oppure, se di metallo,
incassati nella muratura quindi non visibili dall’esterno. Per chiudere le vetrine
non sono accettabili le tapparelle: eventualmente realizzare una profondità tra
la superficie esterna del muro di facciata e il vetro tale che nel vano possano
essere contenute due ante laterali che risultano così scarsamente visibili,
particolarmente se tinteggiate armonicamente con i colori della facciata.
Eventuali inferriate di sicurezza vanno posizionate all’interno.
44
CAPITOLO 4
45
Art. 11.3. Illuminazione all’interno dei nuclei abitati
Premesso che non è vero che nel passato non esistevano apparecchi
illuminanti (molti secoli fa si utilizzavano bracieri nelle vie e nelle piazze e
torce o fiaccole appese alle pareti degli edifici; nell’ottocento e nei primi
decenni del novecento c’erano lampade a petrolio e a gas), l’illuminazione con
apparecchi moderni è sconsigliabile, data la perduta qualità formale di gran
parte dei prodotti del design contemporaneo, che non sempre può essere
considerato erede degno della straordinaria tradizione italiana degli anni
cinquanta/settanta del secolo scorso. Quando i nuclei abitati sono fine
ottocento o prima metà novecento si possono quindi usare elementi illuminanti
in ghisa fusa, realizzati con stampi originari, a palo, pastorale o mensola. In
ogni caso la soluzione migliore è dare luce illuminando le facciate degli
edifici, soprattutto se sono decorati, dipinti, o anche di pietra a vista, in
modo da ottenere di riflesso l’illuminazione necessaria. L’illuminazione a
led, pur avendo un elevato costo iniziale, consente di ridurre l’impatto del
corpo illuminante, e soprattutto riduce enormemente il costo di gestione. In
genere le facciate è meglio siano illuminate dal basso (a luce radente) o da
fonti luminose in alto ma a una certa distanza (cioè non a luce radente). Molto
validi, particolarmente dove ci sono scale o gradini o dove non fosse il caso di
mettere in risalto il fronte degli edifici, gli incassi a parete, posizionati a non
più di un metro di altezza, che illuminano verso il basso.
46
Art. 11.6. Ponti di pietra e di legno (ill. 29)
In tutto il territorio esistono ponti di pietra, definiti di epoca romana, in
ottime condizioni; altri costruiti in epoche più recenti (fino al XIX secolo) con
modalità simili. I ponti più antichi si caratterizzano per costruzione rigorosa e
sezioni ridotte (“Costruire con la pietra” ill.1/9 pagina 14). Ponti con le stesse
caratteristiche possono essere costruiti per percorsi pedonali, ciclabili o con
passaggio limitato di automezzi (accesso a poche abitazioni).
Per gli alpeggi e le abitazioni isolate, particolarmente se in alta montagna o
al di fuori di percorsi viabilistici asfaltati, prevedere ponti di legno anche per
uno sporadico passaggio di veicoli: il progetto richiede calcolo e certificazione
strutturale (“Piano paesistico” e ill. 30a, 30b e 30c).
ill. 29
47
CAPITOLO 5
48
Art. 12.1. Tetti e coperture (ill. 31)
Vedi capitolo 2 “Costruire con la pietra” pagina 102.
ill. 31
49
storica”, in particolare capitoli alle pagine 29, 67, 177, 181, 185, 237, 309 e
327).
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CAPITOLO 6
51
davanzali; ridurre lo spessore del cappotto esterno in modo che sia contenuto
nella sporgenza delle pietre ed integrarlo se possibile con un isolamento
interno.
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(art. 13.3.) devono raggiungere ogni edificio solo mediante tubazioni
sotterranee. I cavi privati devono entrare direttamente all’interno dell’edificio
o essere incassati nella muratura, cioè non possono essere esterni a vista.
Anche le tubazioni del gas devono entrare direttamente all’interno dell’edificio
o vanno incassate nella muratura con le modalità previste da leggi e norme di
sicurezza (inserite in un tubo dotato di sfiati) e non possono essere esterni a
vista. I contatori devono essere collocati in nicchie uniformate per ogni
località, eventualmente decorate con il logo corrispondente al Comune di cui
fanno parte. La cassetta con sportello unificato deve essere posizionata in
facciata con molta attenzione, soprattutto nel caso di edifici di pietra a vista o
decorati.
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