VANNI ROVIGHI, Sofia. Introduzione A Tommaso D'aquino OCR
VANNI ROVIGHI, Sofia. Introduzione A Tommaso D'aquino OCR
TOMMASO D'AQUINO
DI
EDITORI LATERZA
TOMMASO D'AQUINO
1
Chartularium Universitatis Parisiensis, a cura di H.
Denifle e A. Chatelain, vol. I, Paris 1889, n. 20.
2
T . LECCISOTTI, II Dottore Angélico a Montecassino,
«Rivista dí filosofia neoscolastica», 1940, pp. 519-47.
7
un potente feudatario, e i d'Aquino potevano spe-
rare che un loro rampollo ne díventasse abate. Ma
Ie continue guerre fra papa e imperatore ridussero in
quegli anni Tabbazia in uno stato di desolazione, sl
da indurre i parenti di Tommaso a toglierlo di 11,
probabilmente nel 1239, e a mandarlo a proseguire
gli studi a Napoli, nelPUniversità recentemente fon-
data da Federico II. Federico II era amante delia
cultura e aperto alle nuove correnti, che venivano
allora dalle recenti traduzioni dei libri naturales e
delia Metafísica di Aristotele. Chiamò alia sua corte
Michele Scotto che vi soggiornò probabilmente dal
1227 al, 1235 e che a Toledo aveva già tradotto
dall'arabo molti libri naturales di Aristotele; fra que-
sti il De coelo e il De anima, nonché la Metafísica
(dieci libri). Aila corte di Federico, Michele Scotto
tradusse i commenti di Averroè ad Aristotele, ed è
probabile che queste traduzioni circolassero all'Uni-
versità di Napoli negli anni (1239-44) nei quali la
frequento Tommaso d'Aquino. Sappiamo che egli vi
studio le « arti », e che vi ebbe maestri, Martinus
«in grammaticalibus et logicalibus» e Petrus de
Hibernia « in naturalibus » \ Pietro dlrlanda è stato
identificato con una certa sicurezza da Cl. Baeumker
e da M. Grabmann come autore di commenti su
4
alcuni libri naturales di Aristotele ; Martino è forse
Martino di Dacia, autore di opere di lógica e di
5
grammatica speculativa .
A Napoli Tommaso conobbe POrdine dei Frati
Predicatori recentemente fondato da san Domenico.
Gli ordini mendicanti erano una novità nelle strut-
3
GUGLIELMO DI Tocco, Hystoria beati Tkomae, n. 6.
4
M . GRABMANN, Magister Petrus de Hibernia, der Ju-
gendlehrer des hl. Thomas von Aquin, in Mittelalterliches
Geistesleben, I, München 1926, pp. 249-65.
5
MARTINI DE DACIA Opera, a cura di H. Roos, Copen-
hagen 1961.
8
6
ture ecclesiali: il P. Chenu ne ha sottolineato con
vigore il significa to anche per la cultura: mentre le
abbazie benedettine erano legate aireconomia feu-
dale, i conventi dei nuovi Ordini ne sono svinco-
lati; il loro centro d'azione non è nelle campagne,
ma nelle città, e délia città il centro intellettuale
è l'Università, « fondazione tipica nella quale l'eman-
cipazione intellettuale si inseriva nelPemancipazione
sociale. San Domenico, al quale il senso acuto dei
bisogni délia cristianità faceva capire le aspirazîoni
dei suo tempo, aveva subito mandato i suoi primi
discepoli a frequentare le scuole [...]. L'Università
1
sarà il semenzaio in cui si trecluteranno i frati » .
Cosï avvenne anche a Napoli, e fra coloro che furono
attratti alla nuova forma di vita religiosa fu il gio-
vane Tommaso.
Ma il suo ingresso nelPOrdine domenicano, nel
1244, non piacque affatto alla madre e ai fratelli (il
padre era già morto), e si capisce: i nuovi Ordini
non promettevano nulla di simile ad un abbaziato
benedettino, erano un'avventura. Si può pensare per
analogia ad una famiglia borghese di cinquant'anni
fa, che avrebbe visto di buon occhio un figlio avviato
ad una carriera che poteva portarlo a diventare car-
dinale, ma sarebbe stata spaventata a vederlo entrare
fra i « Petits frères » del P. de Foucauld. E poiché
i familiari seppero che Tommaso era già in viaggio
verso il Nord insieme con altri novizi domenicani
e col Maestro generale delPOrdine, mandarono due
dei suoi fratelli, armati, a tagliargli la strada ad
Acquapendente e a riportarlo con la forza al castello
di Roccasecca, dove rimase probabilmente alcuni me-
6
Introduction à l'étude de St. Thomas d'Aquin, Paris
1950, pp. 34 sgg. Ma dello stesso au tore si veda anche
Moines, Clercs, Laïcs. Au carrefour de la vie évangélique} in
La théologie au XIIe siècle, Paris 1957, pp. 225-51; Saint
Thomas d'Aquin et la théologie, Paris 1959, pp. 11 sgg.
7
Introduction cit., pp. 35-6.
9
si, mentre i familiari cercavano « con ogni mez-
8
zo » di dissuaderlo dal suo proposito. Su questi
mezzi si è sbizzarrita la fantasia dei primi biografi:
ci sarebbe stata anche una bella tentatrice, cacciata
da Tommaso con la minaccia di un tizzone infuo-
cato. Quello che sappiamo è che quei mezzi furono
inefficaci e che Tommaso ritornò in convento a Na-
poli, donde ripartï, probabilmente nel 1245, alla volta
9
di Parigi o di Colonia . Dal 1248 al 1252 egli fu
discepolo di Alberto Magno a Colonia; lo asseri-
scono non solo gli antichi biografi, ma è provato da
quando A. Pelzer scoprl in un manoscritto la repor-
10
tatio di un corso di Alberto Magno sulPEtica
11
nicomachea redatta da Tommaso d'Aquino . Anche
su questo discepolato i primi biografi hanno scritto
i loro fioretti: per il suo atteggiamento silenzioso
Tommaso sarebbe stato chiamato il bue muto, ma
una volta, sollecitato dal maestro, avrebbe dato tale
prova di sapienza da stupire tutti e da far esclamare
ad Alberto: « questi, che noi chiamiamo bue muto,
muggirà cosi forte da farsi sentire nel mondo inte-
12
ro » . Probabilmente il dato di fatto che s ta sotto
8
Cosi le Vitae Fratrum, cit. da V. J. BOURKE, Aquinas'
Search of Wisdom, Milwaukee 1965, p. 37.
9
A. Walz ritiene che Tommaso sia andato direttamente
da Napoli a Colonia (cfr. WALZ-NOVARINA, Saint Thomas
d'Aquin, Louvain 1962, pp. 62 sgg.). V. J. BOURKE, op. cit.,
p. 41, ritiene che egli sia stato prima a Parigi, e le osserva-
zioni del Bourke mi sembrano persuasive. Solo nel 1248 in-
fatti fu eretto a Colonia lo studium generate dei Predicatori
e fu affidato alia direzione di Alberto Magno. Ora se Alberto
Magno risiedette, come sembra, a Parigi fino al 1248, non si
vede il motivo per cui Tommaso dovesse andare a Colonia
prima del 1248.
10
Reportatio è la redazione fatta da uno scolaro delle
lezioni di un maestro: corrisponde, all'ingrosso, a quelle che
noi chiamiamo dispense.
11
A . PELZER, Le cours inédit d'Albert le Grand sur la
Morale à Nicomaque, in Etudes d'histoire littéraire sur la
scolastique médiévale, Louvain-Paris 1964.
12
GUGLIELMO DI Tocco, Hystoria cit., n. 13.
i
10
questo fioretto è il temperamento riservato e tran-
quillo di Tommaso che non faceva pensare alla sua
futura fama. Qualcosa di simile sappiamo di Hegel,
che i compagni di Tubinga chiamavano « il vecchio »
e del quale allora non sospettavano la grandezza.
Certo il discepolato da Alberto Magno ebbe una
notevole importanza per la formazione culturale di
Tommaso. Alberto era infatti non solo uomo di va-
stíssima cultura e di interessi molteplici che andavano
dalla filosofia naturale alla mistica, ma anche uomo
aperto aile nuove fonti che le recenti traduzioni dal
greco, dall'arabo e dalTebraico mettevano a dispo-
sizione dei latini. L'opéra che meglio caratterizza
questo suo atteggiamento è la parafrasi aristotélica:
i suoi commenti ad Aristotele non sono infatti veri
e propri commenti al testo, ossia trascrizioni del
testo stesso, spiegazioni e discussioni sul medesimo,
come erano quelli di Averroè e saranno quelli di
Tommaso; ma sono parafrasi del testo aristotélico,
come era la grande enciclopédia di Avicenna. Non
solo: Alberto, come dice egli stesso nel proemio alia*
parafrasi delia Física, si propone di integrare Aristo-
tele con quello che hanno detto i suoi « seguaci »,
che sono Avicenna, Alfarabi, Avencebrol, Maimo-
n i d e « Il nostro modo in quest'opera sarà quello
di seguire Tordine e le teorie di Aristotele, e di dire
tutto quello che mi parra necessário per spiegare e
dimostrare la sua dottrina, senza citare il testo. Farò
anche delle digressioni, per chiarire i dubbi che
13
Avicenna (Ibn Sina, 980-1037) filosofo e medico arabo,.
autore, tra Taltro, di una grande enciclopédia filosofica, al-
cune parti delia quale furono tradotte in latino nella seconda
metà del secolo XII; Avencebrol o Avicebron (Ibn Gabirol),
filosofo ebreo di Spagna (1020-70 circa) la cui opera princi-
pale, Fons vitae, scritta in arabo, fu tradotta in latino da
Domênico Gundisalvi o Gundissalinus nella seconda metà del
sec. XII. Maimonide, filosofo ebreo, nato a Cordova nèl
1135 morto al Cairo nel 1204, autore tra 1'altro delia Guida
dei dubbiosi (Dux perpiexorum) scritta originariamente in
arabo, tradotta in latino nei primi decenni del sec. XIII.
11
possano sorgere, e supplire a ciò che, non essendo
stato detto da Aristotele, può dar luogo a oscuri-
I4
tà » . L'intento delia parafrasi è quello di rendere
accessibile ai suoi confratelli la scientia naturalis di
Aristotele; Alberto infatti è persuaso che questa im-
15
missione del nuovo sapere sia utile alla cultura
Cristiana; non condivide l'atteggiamento sospettoso
di altri coi quali se la prende violentemente. Sono
spesso cita te certe sue invettive: « Alcuni ignoranti
vogliono combattere in tutti i modi lo studio delia
filosofia, e specialmente ira i Predicatori, dove nes-
suno resiste loro. Sono corne animali bruti che im-
16
precano contro quello che ignorano » . « Dico que-
sto per certi pigri che cercano conforto alla loro
pigrizia andando a caccia di errori negli scritti altrui.
E poiché dormono nella loro pigrizia, per non sem-
brare i soli a dormire, cercano di attribuire macchie
agli eletti. Tali furono coloro che uccisero Socrate,
esiliarono Platone da Atene e, con le loro macchi-
17
nazioni, costrinsero anche Aristotele ad andarsene » .
Che la fisica e la metafísica di Aristotele sem-
brassero dificilmente conciliabili con una visione
cristiana del mondo si capisce molto bene, e si ca-
pisce che nel 1210 e nel 1215 ne fosse stata proi-
18
bita la « lettura » nelPUniversità di Parigi ; ma
negli anni nei quali Tommaso ascoltava le lezioni
di Alberto Magno si era in parte già compiuta e in
parte si stava compiendo 1'opera di assimilazione del-
Paristotelismo da parte del pensiero cristiano. Assi-
milazione che, tuttavia, aveva diverse forme e gradi:
più cauta e sospettosa da parte di alcuni, più fidu-
14
Liber primus Pbysicorum, in Alberti Magni Opera
omnia, a cura di Borgnet, vol. III, Parisiis 1890, pp. 1-2.
15
Nuovo per i latini allora, anche se antico.
16
In Epistolas B. Dionisii Areop. VII, 2.
17
In oc to libros Politicorum Ar is tot élis, 1. VIII, cap. 6,
fine, in Opera cit., vol. VIII, Parisiis 1891, pp. 803-4.
18
M . GRABMANN, I àivieti ecclesiastici di Aristotele sotto
Innocenzo III e Gregorio IX, in « Miscellanea Historiae Pon-
tificiae », V, Roma 1941.
•I
12
ciosa da parte di altri. Tra i primi sono, in genere,
i Francescani, ma anche alcuni Domenicani, come del
resto accenna la frase sopra citata di Alberto, che
rimprovera ai Predicatori di non resistere a chi deni-
19
gra la « filosofia » , tra i secondi è in primo luogo
Alberto Magno. Per gli uni e per gli altri Taiuto
airassimilazione è ofíerto da coloro che Alberto chia-
ma i « seguaci » di Aristotele, cioè dai suoi interpreti
arabi ed ebrei: Avicenna in primo luogo, Avence-
brol e Maimonide. Costoro avevano infatti già avuto
— e risolto — il problema di conciliare un pensiero
cosî poco religioso come quello di Aristotele con una
visione che, musulmana o ebraica che fosse, aveva
molti punti in comune col cristianesimo: monotei-
smo, concezione di Dio come personale e provvidente,
immortalità personale dell'uomo. Sul piano filosofico,
poi, quegli au tori rappresentavano una sintesi di ari-
stotelismo e neoplatonismo, erano interpreti neopla-
20
tonici di Aristotele . II neoplatonismo « nuovo »,
che passava per aristotelismo, aveva notevoli punti
comuni col neoplatonismo « vecchio » che era già
21
penetrato da secoli nella cultura Cristiana .
Si discute sul valore che ha la parafrasi aristo-
télica per farci conoscere il pensiero personale di
Alberto: alcune frasi, infatti, sembrano fare inten-
dere che egli volesse solo riferire le dottrine altrui;
19
Per ciò che riguarda la penetrazione delTaristotelismo
nel mondo latino si veda F . V A N STEENBERGHEN, La philoso-
phie au XIIIe siècle, Louvain-Patis 1966, che riprende, rias-
sume e aggiorna quanto già esposto in altre opere dell'Autore,
special men te nel II capitolo del secondo volume del Siger
de Brabant.
20
Certi testi, poi, come il De causist che erano attri-
buiti ad Aristotele, erano schiettamente neoplatonici: il De
causis è un complesso di proposizioni estratte dalla Elemen-
tal io theologica di Proclo.
21
Adopero i termini * neoplatonismo nuovo ' e ' neoplato-
nismo vecchio * per analogia con quelli di lógica nova e lógica
vetus cioè nel senso di conosciuto prima e conosciuto dopo,
e intendo per neoplatonismo vecchio quello di Agostino, di
Boezio, dello Pseudo-Dionigi Areopagita.
13
ma nelle digressioni egli espone il suo pensiero per-
sonale e per talune dottrine, che sono state studiate
specificamente, risulta che il pensiero esposto nella
parafrasi è lo s tes so di quello esposto nelle opere
22
personali . Certo egli distingue nettamente ciò a cui
23
può arrivare la filosofia da ciò che è oggetto di fede ,
ma non ritiene possibile, come riterranno invece gli
averroisti, che una dottrina rivelata contraddica il
risultato della speculazione filosofica e che la fede sia
una pura opzione, priva di ogni praeambuium razio-
24
nale .
Ho detto sopra che Tessere stato scolaro di Al-
berto Magno ha avuto una grande importanza per la
formazione culturale di Tommaso, non solo perché
il discepolo poteva fruire delPimmensa erudizione
del maestro, ma anche perché poteva imparare dal
maestro Patteggiamento di apertura alle "nuove cor-
renti. È vero che la parafrasi di Alberto è probabil-
mente posteriore agli anni 1248-52, ma già nelle
opere scritte durante il soggiorno parigino, la Summa
22
Ch. J. H A N S E N , Zur Frage der anfangslosen und zeit-
lichen Schöpfung bei Albert dem Grossent in Studia Alber-
tina (Miscellanea Geyer), Münster 1952, « Beiträge », Supple-
mentband IV, pp. 167-88.
23
Nel commento alle Senteme, opera degli anni in-
torno al 1245, I, dist. III, art. 3, Alberto indica le difïerenze
fra la conoscenza filosofica di Dio e quella che si ha per fede.
Le difïerenze sono « almeno cinque»: 1) la prima è che
nella conoscenza filosofica si procede con la sola ragione (pro-
cessus naturalis suBest rationi) mentre nella fede si va oltre
la ragione; 2) la filosofia parte da premesse che debbono
essere per se nota, ossia immediatamente evidenti, mentre
nella fede c'è un lumen infusum che rifluisce sulla ragione da
un orientamento délia volontà; 3) la filosofia parte dall'espe-
rienza delle cose create, mentre la fede parte da Dio stesso;
4) la ragione non ci dice che cosa sia Dio {quid sit)t la
fede, entro certi limiti, ce Io dice; 5) la filosofia è un procedi-
mento puramente teoretico, mentre Ia fede è « nell'intelletto
affettivo ».
24
B . N A R D I , La posizione di Alberto Magno di fronte
ali'averroismo, in Studi di filosofia medievale, Roma 1960,
pp. 119-50.
14
de creaturis e il Com ment o alle S entente, Alberto
aveva manifestato la sua vasta erudizione e la sua
larghezza di spirito. Per ciò che riguarda il conte-
nuto, la dottrina, pur senza formulare giudizi che
esigerebbero studi approfonditi, possiamo rilevare che
Alberto è sopra tutto rivolto a trasmettere una quan-
tité di nuove conoscenze, è come un immenso fiume
che convoglia tanto materiale, ma non sempre elabora
25
una sintesi personale ; sente inoltre maggiormente
Tinflusso delle componenti neoplatoniche delle nuove
fonti, specialmente di Avicenna, anche per ragioni
26
cronologiche , ma non solo per queste. Anche più
tardi, infatti, quando furono note altre fonti, quando
si afferme» la dottrina di Tommaso, si sviluppò in
Germania, con Ulrico di Strasburgo, Teodorico di
Freiberg e altri, una scuola albertista, ben diversa
da quella tomistica, fortemente neoplatonica, che
esercitò un notevole influsso su Eckhart e anche su
Niccolò Cusano.
Alberto, che si era reso conto del valore del suo
discepolo, lo mandò a Parigi quando, nel 1252, il
Maestro generale dell'Ordine gli chiese un giovane
baccelliere da awiare alia carriera accademica in
quella Università. 11 baccelliere corrisponde un po*
ali Assistente o alPaggregato nelle nostre Università:
era un docente che insegnava sotto la responsabilità
di un magister: che per Tommaso fu frate Elia di
15
Provenza (Brunet). Il baccelliere doveva legere, os-
sia commentare la Bibbia e poi le Sentenze di Pier
Lombardo.
Si ammette comunemente che Tommaso abbia
insegnato dal 1252 al 1254 come baccalaureus biblicus
e dal 1254 al 1256 come baccalaureus sententiarius.
La « lettura » biblica del baccelliere doveva avere
carattere istituzionale, diversamente da quella mono-
gráfica del magister. non c'è quindi da stupirsi che
non ci siano rimaste opere che riflettano l'insegna-
27
mento di Tommaso come baccalaureus biblicus . Per
questa mancanza di documenti (e di testimonianze
precise) Bourke mette in dubbio che Tommaso abbia
commentato la Bibbia nei due primi anni delTinse-
gnamento parigino. È certo invece che egli commente*
le Sentenze di Pier Lombardo dal 1254 al 1256.
Frutto di questo insegnamento è il monumentale
Scriptum in libros quattuor Sententiarum,
Le Sentenze di Pier Lombardo sono Tespressione
più fortunata di un genere letterario molto diffuso
nel secolo XII. I più remoti antecedentî di questo
28
genere, dice il De Ghellinck , sono le compilazioni
di Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Beda, Alcuino; ma,
a diííerenza di queste opere che abbracciano tutto
il sapere, le Sententiae sono limitate al campo teolo-
gico. Originariamente sono raccolte di tesi teologiche
{sententiae) desunte dai Padri, poi queste tesi sono
raggruppate sistematicamente in modo da èsporre
tutta la dottrina cattolica. « Enunciati di questioni
e soluzioni isolate si sono a poco a poco raggrup-
pati, poi si sono accresciuti di nuovi elementi in una
specie di conglomerato, dove il caso più che un prin-
cipio di ordine ha avuto la parte preponderante; poi
i raggruppamenti sono stati ordinati secondo uno
schéma più razionale, mescolandosi a commenti ed a
27
CHENU,Introduction cit., p. 208.
28
Le mouvement tbêologique au XIIe siècle, 2a ed.
Bruges-Paris 1948, p. 114.
16
ragionamenti dialettici, e infine queste esposizioni
parziali sono state amalgamate in una esposizione
29
sintética di tutta la teologia » ,
Uno dei primi maestri di questo genere letterario
fu Anselmo di Laon (morto nel 1117), dalla cui scuo-
la uscirono numerose raccolte di Sentenze; altre sono
delia scuola di Abelardo, altre delia scuola di Gil-
berto Porretano. Quelle che ebbero maggior fortuna
furono quelle di Pier Lombardo, anche perché Tau-
tore poté trarre profitto da opere di autentico va-
lore come quelle di Abelardo e di Ugo di S. Vittore,
fece un moderato uso delia dialettica, ma aífermò
che, nelle cose di fede, la ragione deve cedere il passo
alTautorità. Nonostante la sua scarsa originalità « que-
sto moderato, questo tradizionalista, questo timido,
questo indeciso, questo plagiario — a voler essere
severi — è in fondo un progressista [...]. Si rende
conto delle nuove esigenze intellettuali suscitate dal-
30
Timmenso sviluppo délia dialettica » . La sua opera
diventò cosi testo di scuola. Sembra che il primo ad
usaria come testo sia stato Alessandro di Haies, al
quale risale la divisione del testo in distinctiones.
Lo Scriptum di Tommaso sulle Sentenze non è un
commento in senso proprio, ma un insieme di que-
stioni, a loro volta suddivise in articoli, ognuno dei
quali tratta un problema particolare secondo la téc-
nica delia quaestio medievale.
Nello Scriptum sulle Sentenze Tommaso rivela
già la sua concezione personale. Non mi sembra
infatti che ci siano mutamenti profondi nell'evolu-
zione del pensiero tomistico, almeno per ciò che
riguarda la filosofia, anche se ci sono accentuazioni
diverse e progresso nella conoscenza delle fonti. Al-
cuni punti caratteristici délia dottrina di Tommaso
29
D E GHELLINCK, Le mouvement théologique cit., p. 164.
30
D E GHELLINCK, voce Pierre Lombard in Dictionnaire
de Théologie catholique, XII (1935), col. 1985.
17
31
sono già presenti : 1'esistenza di Dio non è imme-
32
diatamente evidente (né vale Targomento del
Proslogion) ma deve essere dimostrata partendo
dalPesperienza, e più precisamente dalTesperienza
33
delle cose sensibili . Sono punti, questi, sui quali
Bonaventura era di opposta o p i n i o n e N e l l a di-
stinctio VIII, la questione I di Bonaventura è
Utrum veritas sit proprietas divini esse, il primo
35
articolo di Tommaso è: Utrum esse proprie dica-
tur de Deo e, nel rispondere affermativamente, Tom-
maso dice che in Dio si identificano essenza ed
essere, tesi che rimarrà nelle opere posteriori, ed
alia quale corrisponde Tal tra, che in ogni creatura
36
si distinguono Tessenza e Tessere . Tommaso dice
esplicitamente di assumere questa teoria da Avicenna,
mentre rifiuta la teoria di Avencebrol (accettata da
molti suoi contemporanei, ivi compreso Bonaventura)
secondo la quale tutte le creature, anche quelle pura-
mente spirituali, come gli angeli e le anime umane,
37
sarebbero composte di materia e forma .
Si può rilevare nello Scriptum, come nelle altre
opere di questi anni, un maggiore influsso di Avi-
cenna. Nelle dimostrazioni deiresistenza di Dio è
38
citato in primo luogo un argomento di Avicenna ,
mentre più tardi Targomento del moto verrà in pri-
31
Cfr. M. D. C H E N U , Introduction cit., p. 234. Chenu,
che è teologo, dà come esempi dottrine teologiche; noi indi-
cheremo qualche dottrina filosofica.
32
I Sent., dist. III, q. 1, art. 2.
33
Ivi, art. 3.
34
Cfr. di SAN BONAVENTURA I Sent., dist. VIII, pars 1,
art. 1, q . - 2 (l'esistenza di Dio è immediatamente evidente).
35
La quaestio di san Bonaventura corrisponde z\Yarti-
colo di san Tommaso, poiché san Bonaventura divide le
« distinzioni » in articoli e gli articoli in questioni, mentre
san Tommaso divide le questioni in articoli.
36
I Sent., dist. VIII, q. 5, art. 1.
37
I Sent, dist. VIII, q. 5, art. 2; II Sent., dist. III,
q. 1, art. I.
38
I Sent., dist. III, q. 1, art. 2.
i
18
39
mo luogo; anche per la dottrina delPanima la
dipendenza da Avicenna è più accentuata.
Nel 1256 Tommaso divenne magistery ossia pro-
fessore a pieno titolo e tenne la prolusione (prin-
cipium) De commendatione sacrae scripturae. Le le-
zioni, come del resto quelle del baccelliere, erano
tenute nel convento dei Domenicani, in rue St.
Jacques, ma avevano valore di lezioni universitarie:
l'università medievale infatti non è un edifício, ma
una comunità: universitas magistrorum ed scolarium
Parisiensium, e fra i magis tri erano entrati, dal tem-
po dello sciopero universitário del 1229, i Domeni-
cani, con Rolando da Cremona; nel 1230, poi, un
prete secolare, già magister dell'università, entrò nel-
î'Ordine domenicano e conservo la sua cattedra; i
domenicani ebbero cosl due cattedre nella Facoltà di
teologia delTuniversità di Parigi. Qualcosa di ana-
logo era accaduto per i Francescani quando Alessan-
dro di Hales, già magister, era entrato nell'Ordine
francescano. Ora il fatto di avere nella corporazione
dei professori certi membri legati con voto di obbe-
dienza ad un'altra istituzione — il loro Ordine —
non poteva piacere ai maestri del clero secolare, tanto
più che, secondo quanto ammetteva lo stesso capo
40
dei secolari, Guglielmo di Saint Amour , le loro
lezioni incontravano grande favore tra gli studenti.
Ne nacque una lotta fra i secolari e i frati, condotta
non solo con le armi delia polemica letteraria, ma
certo anche con queste. Guglielmo di St. Amour mos-
se nel 1255 una violenta accusa contro i frati col
De periculis novissimorum temporumy Tommaso ri-
spose col Contra impugnantes Dei culturn et reli-
gionem: gli uni e gli al tri si appellavano al papa,
il quale (era Alessandro IV) con la bolla Quasi
lignum vitae del 4 aprile 1255 prese posizione in
39
II Sent., dist. XVII, q. 2, art. 1; ivi, dist. XIX,
q. 1, art. 1.
40
V . J . BOURKE, op. cit., p. 56.
19
favore dei frati, ma incontrò resistenza presso i
secolari che non intendevano accogliere i frati nel
collegio dei magistri, tanto che, dopo moite altre
condanne di Guglielmo di St. Amour, nell'ottobre
del 1256 dové ancora ordinäre alla facoltà di teologia
di ricevere « in societatem scolasticam et ad Univer-
sitatem Parisiensem » i frati Predicatori e Minori
(francescani) e nominatamente Tommaso d'Aquino e
Bonaventura « et expresse doctores ipsos reciperent
41
ut magistros » . Tommaso dové dunque essere ac-
colto ufficialmente fra i magistri solo alla fine del
1256.
Questo suo primo magistero parigino durò fino
al 1259 e fu assai fecondo: fra gli scritti più note-
voli ricorderemo, il commento (in forma di quae-
stiones) al De Trinitate di Boezio, le Quaestiones
disputatae de verit ate, buona parte delle Quaestiones
quodlibetales. Secondo la maggior parte degli stu-
diosi Tommaso cominciò anche in questi anni la
42
Summa contra Gentiles .
Vanno sotto il titolo generale di opuscula gli
scritti monografici, e sono aggregati ad essi nelle
edizioni delle opere anche i commenti ad opere rela-
tivamente brevi, come quello al De Trinitate di
Boezio, e al De causis.
Le quaestiones disputatae sono espressione di una
forma tipica delPinsegnamento medievale. Il magi-
ster doveva infatti svolgere due attività didattiche:
legere, ossia commentare o la Bibbia o un testo
particolarmente autorevole (oggi diremmo: un clás-
sico) e disputare, ossia discutere e risolvere problemi
di particolare interesse o per il loro significato o per
41
Chartularium XJniversitatis Parisiensis I, n. 293, p. 339.
La lettera Quasi lignum vitae è pubblicata sotto il n. 247.
Fra il n. 247 e il n. 293 sono pubblicati molti altri docu-
ment papali contro Guglielmo di St. Amour.
42
È di parere diverso solo P . MARC, nella sua Intro•
ductio alla Summa contra Gentiles, Torino 1967, che la
ritiene posteriore al 1268.
20
la loro attualità. Le dispute erano di due tipi: ordi-
narie e quodlibetali; le prime erano tenute regolar-
mente durante Tanno scolastico, con la partecipa-
zione del solo personale scolastico (magister, baccel-
lieri, studenti) e si potrebbero paragonare ai nostri
seminari; le seconde erano tenute due volte Panno,
in Avvento e in Quaresima, con la partecipazione
anche di persone estranee all'università, ognuna delle
quali (a quolibet) poteva porre problemi su qualun-
que argomento (de quolibet), e si capisce che li
ponessero sugli argomenti più scottanti in quel mo-
mento. Le quaestiones quodlibetales giovano quindi
spesso a farci conoscere quali fossero i problemi più
dibattuti in un determinato momento, ma, almeno
per quel che ri guarda Tommaso, sono anche meno
approfondite, meno ricche culturalmente e teoretica-
mente delle quaestiones disputatae ordinarie. La di-
sputa è sostenuta fra opponentes e respondentes. Il
respond ens ufficiale, per dir cosi, è generalmente un
baccelliere, non il magister. Talora quest'ultimo ade-
risce alla soluzione del respondens, altre volte dà egli
stesso una propria risposta; ma è sempre il magister
quello che dà la risposta definitiva o determinatio. La
stesura délia quaestio era opera del magister e poteva
esser compiuta anche dopo un certo tempo.
Le Quaestiones disputatae de veritate sono ven-
tinove, suddivise in 253 articoli, e abbracciano una
vasta gamma di argomenti: solo la prima tratta pro-
priamente delia verità e si potrebbe pensare che il
titolo fosse venu to alla raccolta da quello délia prima
questione, come accade anche oggi per certi libri
di saggi. Le prime venti questioni hanno tutte un
riferimento alla conoscenza, sia divina sia umana; le
questioni XXI-XXIX hanno invece come fuoco il con-
cetto di volontà e di bene. Si è discusso se sia la
questione o Tarticolo quello che rappresenta Pargo-
mento di una disputatio\ A. Dondaine, presidente
delia Commissione per l'edizione critica delle opere
di Tommaso, filologo espertissimo che ci ha dato tra
21
l'altro una mirabile ricostruzione del modo in cui
43
Tommaso dettava le sue opere , afferma che ogni
quaestio corrisponde a una sola disputation ma il
Bourke osserva che non è facile ammettere che, per
esempio, i diciassette articoli delia questione VIII
{De cognitione angelorum) fossero tutti discussi e
risolti in una seduta. D'altra parte Popinione del
P. Chenu, secondo la quale in ogni seduta sarebbe
stato discusso un solo articolo, fa salire vertiginosa-
mente il numero delle dispute: Tommaso avrebbe
dovu to ten ere una disput atio ogni due o al m ass imo
tre giorni, il che mal si accorda con la disposi-
zione delPUniversità secondo la quale tutte le altre
lezioni dovevano tacere quando c'era una disputa.
44
L'opinione dello Chenu è a mio avviso fondata
sul carattere delParticolo tomistico, che è veramente
quello in cui è enucleato il problema, come aveva
osservato A. Masnovo in un capitolo della sua Intro-
45
duzione alla Somma teologica di S. Tommaso ;
potrebbe quindi darsi che nella disputa, abbracciante
tutto il materiale di una quaestio, come dice il Don-
daine, fosse Tommaso stesso, nella determination a
distinguere i diversi problemi nei diversi articoli; e
nella redazione, che poteva seguire anche dopo un
certo tempo ed era fatta con calma, a tavolino, o
piuttosto nello scriptorium, egli seguisse Pordine
logico dei problemi cos! come li aveva enucleati. La
tesi dello Chenu esprimerebbe quindi la logica della
disputa, per dir cosl, quella del Dondaine la sua.
s tori a.
43
Secrétaires de Saint Thomas, Roma 1956.
44
Poi ritrattata nella traduzione tedesca della sua Intro-
duction {Das Werk des hl. Thomas von Aquin, Heidelberg:
und Graz 1960) come apprendo dalla recensione di I. Biffi
in « La Scuola Cattolica », 1964, Suppl. bibl. n. 2, pp. 260-1.
45 a
Torino 1918 (2 ed., Brescia 1945, pp. 31-7). Masnovo-
parla dell'articolo nella Somma teologica, ma ciò che egli
dice vale, Sé pure la parte storica vi è più abbondante, anche
per le quaestiones disputatae.
22
Nelle Quaestiones disputatae de veritate rilevi amo
un certo prevalere di influssi avicenniani e agosti-
niani, pur nella maturità e nel carattere personale
già raggiunti dalla trattazione. Quando parlo di in-
46
flussi avicenniani e agostiniani penso, per esempio,
alia famosa frase che sta ail'inizio della prima que-
stione: « Illud quod intellectus concipit quasi notis-
simum et in quod conceptiones omnes resolvit est
ens, ut Avicenna dicit in principio Metaphysicae
suae ». Una affermazione certo sempre fondamentale
in Tommaso, ma altrove non cosl esplicitamente rife-
rita ad Avicenna e presentata piuttosto come evi-
dente. Penso alPaccentuazione che ha, in certi pro-
blemi, il tema delia riflessione (noi diremmo della
autocoscienza) sia nel famoso _articolo__9 della que-
stione I, dove^sT dice che là conoscenza della ve-
rità suppone una riflessione delPintelletto su di
47
sé , sia a proppsito^deljibero^arbitrio nella que-
stione XXIV, articolo 2, dove si dice che l'esser
padroni del proprio giudizio è una caratteristica del-
la ragione « che riflette sul suo atto ». Ora la tesi
che il libero arbitrio è fondato sulla ragione resta
anche nelle opere della maturità — ed è essenziale
alla dottrina tomistica sulla libertà — ma nella Sum-
ma theologiae si insiste sulla caratteristica della ra-
gione di conoscere il bene in universale più che
sulla capacità di riflettere.
Ho accennato solo a qualche esempio per osser-
46
Agostino e Avicenna sono entrambi neoplatonici, pur
nella profonda divers ità del loro temperamento filosofico.
47
« unde secundum hoc cognoscit veritatem intellectus
quod supra se ipsum reflectitur ». Le auctoritates alle quali si
rifà qui Tommaso sono il De causis, e Avicenna — fonti neo-
platoniche. Nella Summa theologiae I, q. 16, art. 2 non com-
pare né il motivo della riflessione né sono citate quelle
auctoritates. Ho detto « famoso » l'articolo nono della prima
Quaes tio de veritate, perché ha fatto versare fiumi di in-
chiostro ai tomisti, specie in tempi nei quali si cercavano
motivi « idealistici » o gnoseologistici in san Tommaso; oggi
costuma invece il cercarvi motivi heideggeriani o hegeliani.
23
vare che gli elementi fondamentali della concezione
tomistica sono già presenti, ma, vorrei dire, con una
orchestrazione più vicina ad Avicenna di quella che
sarà Torchestrazione futura.
Avicenna è pure molto presente nel De ente et
essentia, límpido riassunto della metafísica tomistica,
ma osserveremo a suo tempo come Tommaso, a dif-
ferenza di quello che avverrà per Duns Scoto, non
ne ricavi nessun « realismo » nel problema degli
universali: Tuniversale è foggiato daU'intelletto, e
qui Tommaso cita volentieri Averroè: intellect us est
qui facit universalitatem in rebus, sia pure avver-
tendo che in questo è d'accordo anche Avicenna.
Già chiaramente delineata è nel commento al De
Trinitate di Boezio la dottrina della conoscenza che
rimarrà nelle opere della maturità. Tommaso, a dif-
ferenza del suo maestro Alberto, evita la polemica,
specie quando si tratta di nomi particolarmente auto-
revoli, come quelli di Boezio e di sant'Agostino,
ma non per questo rinuncia ad esporre il suo pen-
siero personale: lo fa interpretando a suo modo le
auctoritates. Qui, trovandosi di fronte ad una teoria
neoplatonica come quella di Boezio, che ammette
chiaramente due modi di conoscenza: uno dal basso,
per dir ocosl, e uno dalPalto, per intuizione delPin-
telligibile, Tommaso dà una interpretazione che ro-
vescia la concezione boeziana. Boezio, dopo aver
ripreso da Aristotele la tríplice distinzione del sa-
pere teoretico in física (naturalis), matematica e teo-
logia (metafísica) la commenta platonicamente cosi:
« In naturalibus igitur rationabiliter, in mathema-
ticis disciplinaliter, in divinis intellectualiter versari
oportebit neque deduci ad im^ginationes, sed potius
48
ipsam inspicere formam » . Tommaso con la mas-
48
Expositio super librum Boethii De Trinitate, cap. 2,
a cura di B. Decker, Leiden 1955, p. 157. La citazione di
Tommaso si ferma qui, ma il testo boeziano proseguiva:
« sed potius ipsam inspicere formam quae vere forma neque
imago est et quae esse ipsum est et ex qua esse est » (a cura
di Stewart-Rand, p. 8).
c
sima disinvoltura afferma che questo è il termine
della metafísica, ma è un termine al quale arriviamo
solo argomentando (altro che inspicerel) dalle cose
sensibili, perché anche i primi principi, fondati sulle
nozioni di ente, di uno e altrettali sono da noi cono-
sciuti perché Tintelletto agente astrae queste nozioni
dalle immagini sensibili (pbantasmata). Secondo lui
Boezio voleva dire solo che Dio è oltre ogni imma-
49
gine sensibile .
25
via Pautore stesso, nel primo e nel secondo capitolo
del primo libro, connette strettamente Pesposizione
della verità e la confutazione dell'errore: « Com-
pete al medesimo soggetto il perseguire uno dei con-
trari e combattere Paltro [...]. Perciò, come è pro-
prio del sapiente meditare la verità, specialmente sul
primo principio, ed esporla ad altri, cosi gli è pro-
prio il combattere Perrore contrario » (cap. 1); « il
nostro proposito è quello di manifestare la verità
professa ta dalla fede cattolica, eliminando gli errori
che le sono contrarii » (cap. 2). Circa lo scopo mis-
sionário, ammesso da taluni, nega to da altri, ci sem-
brano felici le considerazioni del P. Chenu:
26
•7
una minaccia militate violenta, ma come una civiltà su-
periore e più ricca; Tingresso di Aristotele, d'altra parte,
apre ai cristiani, grazie allTslam, una visione scientifica
dell'universo, diversa dalle espressioni immaginative della
Bibbia [...]. L'opéra è ben più di un manuale per i mis-
sionari come farebbe supporte Taneddoto di Pietro Mar-
sili, e si presenta come la difesa dell'intero corpo della
dottrina Cristiana di fronte alla concezione
52
scientifica
gteco-araba, ormai nota airOccidente .
27
Tommaso afferma che bisogna partire dalle verità
accessibili alla ragione perché, nelPesporre e giusti-
ficare la dottrina Cristiana discutendo con gli eretici,
si può assumere come presupposto tutta la Bibbia,
con gli ebrei si può assumere PAntico Testamento,
ma coi musulmani e coi pagani non si può assumere
come presupposto se non ciò che è comune a tutti
gli uomini: la ragione. « Perciò è necessário ricor-
rere alia ragione, alia quale tutti devono assentire ».
Ma aggiunge subito: « Quae [sc. ratio] tamen in
56
rebus divinis deficiens est » .
28
dai tempi di Innocenzo IV (1245), era annessa alla
58
corte pontifícia, ma nelle scuole delPOrdine . II
fatto tuttavia che egli si trovasse sempre o quasi
sempre nella città dove aveva sede il papa indica
uno stretto rapporto di Tommaso con i pontefici. In
questo periodo Tommaso, che aveva il titolo di « pre-
dicatore generale » delPOrdine domenicano, partecipò
anche ai « capitoli » provinciali che si tenevano ogni
anno. Oltre a ciò doveva rispondere a problemi che
gli venivano posti o da prlncipi o da superiori del-
POrdine. Nascono cosi degli opuscula, come il De
regimine principum ad regem Cypri (probabilmente
nel 1265-66) che però rimase incompiuto e fu com-
pletato (dal cap. 4 del II libro in avanti) da Tolomeo
di Lucca, il Contra errores graecorum, scritto su ri-
chiesta di papa Urbano IV, ed altri scritti d'occa-
sione. Anche più tardi Tommaso dové attendere a que-
sto tipo di scritti in risposta a quesiti che gli veni-
vano posti: ricordiamo ad esempio nel 1271 la rispo-
sta alle quarantadue domande del maestro generale
delPOrdine Giovanni da Vercelli (Responsio ad fra-
trem Joannem Vercellensem de articulis XLII) che
riguardano in buona parte il rapporto fra gli angeli
e i moti celesti, e la analoga Deciaratio triginta sex
quaestionum ,ad lectorem. Venetum sulle quali ab-
59
biamo gli studi del Destrez e dello Chenu .
Nonostante queste varie occupazioni Tommaso
svolse nel decennio italiano una notevole attività di
scrittore, aiutato anche dal fatto di avere a sua dispo-
58
WALZ-NOVARINA, op. cit., p. 119.
59
J . DESTREZ, La
lettre de saint Thomas d'Aquin [...]
au lecteur de Venise d'après la tradition manuscrite, in Mé-
langes Mandonnet, I , 1930, pp. 103-89; M. D . C H E N U , Les
réponses de S. Thomas et de Kilwardhy à la consultation de
Jean de Ver ceil, ivi, pp. 191-222. Giovanni da Vercelli con-
sulté su quei problemi Tommaso, Kilbwardby e Alberto
Magno. La risposta di Alberto Magno è edita da J. A. WEI-
SHEIPL, The Problemata determinata XLÏII ascribed to Al-
bertus Magnus (1271), «Mediaeval Studies», XXII, 1960,
pp. 303-54. CFR. V . J. BOURKE, op. cit., pp. 147-55.
»
29
sizione, oltre ad un socius, ossia un confratello che
fungeva da assistente e da segretario, anche altri se-
60
gretari ai quali dettava . Durante il primo soggiorno
parigino ebbe probabilmente come socius Raimondo
Severi, dal 1259 alla morte ebbe socius Reginaldo
da Piperno, amico fedelissimo al quale dedico alcuni
scritti, fra i quali il Compendium theologiae.
In Italia Tommaso porto a termine la Summa
contra Gentiles, scrisse (1265-67) le Quaestiones
disputatae de potentia (un complesso notevole di
dieci questioni che si riferiscono più o meno direita-
mente alla potenza di Dio) e, negli ultimi anni, la
prima parte della Summa theologiae.
Sulla struttura, o sul « piano » della Summa
61
theologiae hanno discusso e discutono gli studiosi .
L'avvio alla discussione, in tempi recenti, è stato
dato nel 1939 da un luminoso articolo del P. Chenu,
che ha poi riesposto il suo pensiero in opere succes-
sive e che trova consenziente chi scrive. Secondo
Chenu il piano della Summa è suggerito dallo sche-
ma platonico delPemanazione e del ri torno: « poi-
ché la teologia è la scienza di Dio, tutte le cose
saranno studiate nella loro relazione con Dio, sia
nella loro produzione sia nella loro finalità: exitus
62
et reditus » . Tommaso stesso dice, alPinizio del-
1'opera: « Poiché lo scopo principale di quest a sacra
dottrina [la teologia] è di comunicare la conoscenza
di Dio, e non solo per quel che Dio è in sé, ma
anche in quanto è principio e fine della realtà, e
specialmente della creatura razionale, proponendoci
di esporre quest a dottrina prima tratteremo di Dio,
in secondo luogo del cammino della creatura razio-
60
Cfr. la ricostruzione dello scriptorium di san Tom-
maso in A. DONDAINE, Secrétaires de Saint Thomas, cit.,
pp. 10-1.
61
Ne dà una eccellente rassegna I . B I F F I , Un bilancio
delle recenti discussioni sul piano della « Summa theologiae »
di S. Tommaso y «La Scuola Cattolica», 91 (1963).
62
Introduction cit., p. 261.
30
i*
nale verso Dio, in terzo luogo di Cristo il quale, in
quanto uomo, è per noi la via che ci porta a Dio »
(I, q. 2, proemio). Cosi sono dis tinte le tre parti
della Summa; nella prima Dio sarà considerato come
principio di ogni realtà, nella seconda come fine.
Chenu stesso osserva che lo schema platonico o
neoplatonico di nçóoôoç ed émaTQoqpií è « aperto alla
.storia», a quella che oggi si chiama storia della
63
salvezza, ossia a ciò che dice la Bibbia . Certo questa
sintesi di platonismo e teologia aveva già illustri
antecedenti: basterebbe pensare a Scoto Eriugena e
ad altri più vicini a Tommaso (Ugo di S. Vittore,
Pier Lombardo) ricordati da Chenu. Il pio scandalo
64
di alcuni studiosi di fronte al fatto che Tommaso
tratti di Cristo solo alia fine suppone, fra l'altro, la
dimenticanza che anche Agostino, dopo il lungo pere-
grinare nella ricerca di Dio, in quella ricerca nella
quale tanto lo aiutarono i neoplatonid insegnandogli
qual è il fine della vita umana (il quo eundum est)
non trovò la via (il qua eundum est) se non dopo
aver accettato che Verb um caro factum est, frase che
non aveva trovato nei libri platonicorum, nonos tante
Pinterpretazione concordistica che allora ne dava
65
Pambiente culturale Cristiano .
Ognuna delle tre parti della Summa si divide in
trattati (non indicati nelle suddivisioni), ogni trat-
tato in questioni ed îfe ogni questione in articoli.
Come abbiamo detto accennando alia struttura delle
63
Cosa non certo strana per un tomista, il quale non
ritiene che la rivelazione biblica sia qualcosa di totalmente
estraneo alia ragione umana, quasi che Dio, parlando alTuomo,
si rifiutasse di rivolgersi alia sua ragione, e, d'altra parte,
ritiene che la ragione umana sia aperta ad accettare la rive-
lazione.
64
Si possono trovare citati nel Bilancio cit., di I. BifíL
65
Confessioni VII, capp. 20 e 21. Per il modo in cui
Agostino « legge » i libri platonicorum, ivi, cap. 9. L'atten-
zione a questi punti delle Confessioni, e il paragone fra il
Cristo via di sant'Agostino e il Cristo via di san Tommaso mi
fu richiamata dalle lezioni di A. Masnovo.
31
quaestiones disputatae, è l'articolo quello in cui è
circoscrittõ e posto un problema; ora, se si guarda
esteriormente, Particolo risulta costituito di quattro
parti: una serie di obiezioni (introdotte da un Vide-
tur quod), la posizione della tesi dell'autore (intro-
66
dotta dal Sed contra) , la giustificazione di questa
tesi (Respondeo) e la soluzione delle obiezioni (Ad
primum, secundum, ecc.). Andando però un po' più
a fondo si vede, come osserva il Masnovo, che esso
consta di due parti: una storica ed una teoretica;
obiezioni e Sed contra rappresentano la storia, quel-
lo che è stato detto da altri sul problema, danno lo
status quaestionisy Respondeo e soluzione delle obie-
zioni rappresentano il contributo personale delPau-
tore, anche se naturalmente, Tautore, cioè Tommaso,
si giova di pensieri già esposti da altri per risolvere
il problema.
Tommaso nel Prologo presenta la Summa come
una esposizione della dottrina cattolica diretta ai
principianti. Chenu osserva: « Le questioni dispu-
täte erano il libro dei maestri, la Somma è il libro
dello scolaro. Certo vi è qui Peffetto delPillusione
comune ai professori sulla capacità degli alunni,
67
anche universitari » . Direi che, illuso o no, un pro-
fessore cerca di insegnare agli alunni ciò che ritiene
essenziale, cerca di ridurre i problemi al nocciolo,
cerca di sfrondarli delle questioni marginali — ed
• è appunto quello che Tommaso fa nella Summa.
Abbiamo parlato prima delle opere più impo-
nenti del periodo italiano, ma dobbiamo ricordare
inoltre le Quaestiones disputatae de spiritualibus
68
creaturis e de anima .
66
Neirarticolo delle Quaestiones disputatae anche il sed
contra è corredato da una serie di argomenti, e si capisce,
poiché le qq. dd. rispecchiano una discussione.
67
Introduction cit., p. 255.
68
Che sono degli anni 1268-69 secondo G . VERBEKE,
Thêmistius et le commentaire de S. Thomas au Traité de
l'âme d'Ar is tote, in T H Ê M I S T I U S , Commentaire sur le traité
de l'âme d'Aristote, Louvain-Paris 1957, pp. xxxiv-xxxv.
32
Alla corte pontifícia si trovava in quegli anni
Guglielmo di Mo erb eke, un domenicano fiammingo
che aveva trascorso alcuni anni nelPOriente greco, a
Tebe e a Nicea, e vi aveva impar ato la lingua.
M. Grabmann cita queste parole di Umberto di
Romans, Maestro generale delPOrdine negli anni in
cui Guglielmo di Moerbeke era in Oriente.
33
I
I
34
sente un uomo di singolare valore per fronteggiare
le difficoltà della situazione accademica parigina. In-
fatti i maestri secolari, capeggiati ora da Nicola di
Lisieux e Gerardo di Abbeville, erano tornati alPat-
tacco contro i frati e, seconda difficoltà, Tinsegna-
mento aristotélico nella Facoltà delle Arti aveva dato
luogo ad una corrente che sembrava minacciare 1'or-
todossia cattolica: quella che si chiama comunemente
averroismo latino; la reazione dei teologi, poi, a que-
sto entusiasmo per le dottrine di Aristotele minac-
ciava di coinvolgere anche quei dottori che, come
Alberto Magno e Tommaso, si erano dimostrati aper-
ti ( troppo aperti a giudizio dei conservatori ) alie
nuove dottrine. Questi, forse, i tre motivi che indus-
75
sero a richiamare Tommaso d'Aquino a Parigi .
Sulla opposizione di una corrente di teologi c'è
un episodio che deve essere occorso nel 1270. In
una disputa sulla questione scottante della pluralità
o unità delle forme sostanziali nell'uomo, Tommaso
d'Aquino si trovò contro la maggior parte dei teologi,
e fra questi il francescano Giovanni Peckham. Que-
sto il fatto sul quale le fonti sono d'accordo, ma poi
cominciano le divergenze: infatti in una lettera del
1285 Peckham dice che, mentre tutti combattevano
le tesi di Tommaso sull'unità della forma, egli solo
difese Tommaso « prout salva veritate potuimus »,
ossia non difese la tesi tomistica, che riteneva errata,
ma difese 1'uomo, finché questi sottomise al giudizio
del vescovo e degli altri maestri le sue opinioni. Bar-
tolomeo da Capua invece nel processo di canoniz-
zazione di Tommaso dice « di aver udito da molti
frati predicatori (domenicani) degni di fede » che in
quella famosa disputa Tommaso non abbandonò il
suo atteggiamento umile (non già la sua tesi) seb-
bene Peckham lo esasperasse « verbis ampullosis et
76
tumidis » .
75
V. J. BOURKE, op. cit., p. 159.
76
Registrum Bpistolarum fr. J. Peckham, a cura di Ch. T.
35
Anche il secondo magistero parigino fu assai
fecondo di opere. Ricordiamo le principali: la seconda
parte della Summa theologiae, le Quaestiones dispu-
tatae de maîo e de virtutibus in communi e le prime
sei Quaestiones quodlibetales; fra gli opuscula il De
unitate intellectus in polemica con gli averroisti, il
De aeternit ate mundi che, nel modo discreto us a to
solitamente da Tommaso quando esprime un'opi-
nione non condivis a dalla maggioranza dei teologi
contemporanei, è una polemica contro i teologi con-
servatori a proposito della possibilita di dimostrare
che il mondo ha avuto inizio. A Parigi Tommaso
scrisse o condusse a termine alcuni commenti ad
Aristotele particolarmente importanti. G. Verbeke
prova con buoni argomenti che il commento al primo
libro De anima è la reportatio di lezioni tenute in
Italia da Tommaso nell'ultimo periodo della sua
dimora là (1268) mentre il secondo e il terzo libro
sono stati redatti direitamente da Tommaso a Pa-
77
rigi ; il commento alla Metafísica deve essere stato
redatto in un tempo abbastanza lungo, come attesta
78
l'uso di traduzioni diverse , e terminato durante il
secondo magistero parigino (o forse addirittura a
Napoli).
36
Dopo il secondo triennio di magistero parigino
Tommaso fu di nuovo chiamato in Italia, a Napoli,
questa volta, come r eggen te degli studi nello Studium
generale dell'Ordine, for se non senza la sollecitazione
di Carlo d'Angiô, che desiderava avere un maestro
famoso nella città dove era la sua corte. A Napoli
79
Tommaso scrisse commenti alla Bibbia , al De causis,
e prosegul nella terza parte la redazione della Summa
theologiae. Ma non poté terminaria. La sua salute
declinava, e dal dicembre 1273 non scrisse più. Al
fedele amico e segretario Reginaldo da Piperno, che
lo esortava a scrivere e a terminare l'opéra, disse,
secondo la testimonianza di Bartolomeo da Capua:
« Raynalde, non possum, quia omnia quae scripsi
videntur michi palee » e, dietro le insistenze di Regi-
naldo, avrebbe ripetuto: « videntur michi palee re-
80
spectu eorum que vidi et revelata sunt michi » . An-
che per chi voglia attribuire una parte di questa
testimonianza al senso medievale del miracoloso resta,
con un sigillo di autenticità, il senso della pochezza
e quasi della vanità della propria opera che un uomo
profondamente religioso, come era certo Tommaso
d'Aquino, doveva provare di fronte al mistero delia
morte e alia Speranza di un incontro con Dio.
Nonostante la sua malferma salute, Tommaso ebbe
rordine dal papa Gregorio X di partecipare al Con-
cilio di Lione, indetto per il 1274, e alPinizio di
quelPanno si mise in viaggio. Un viaggio faticoso,
che dové essere presto interrotto. Bartolomeo da
Capua riferisce che a Teano Tommaso inciampò in
79
Una parte del commento alie lettere di san Paolo {Rom.
e l Cor. 7, 10) sarebbe stata redatta direttamente da Tom-
maso a Napoli, il resto sarebbe s tato integrato con reporta-
tiones di lezioni tenute da Tommaso durante il primo ma-
gistero italiano (1261-64) redatte da Reginaldo da Piperno.
CFR. M . GRABMANN, Die Werke des hl. Thomas von Aquin,
«Beiträge», XII, 1-2, 1949, pp. 266-72.
80
Processus canonizaiionis LXXIX, in Thomae Aq. vitae
fontes praecipuae, cit., p. 319.
/
37
un albero caduto lungo la strada e batté la testa,
ma prosegul il viaggio; dové però fermarsi amma-
lato nel castello di Maenza, nella diocesi di Terracina.
Poiché la malattia non accennava a pas s are, egli chie-
se di essere trasportato nella vicina abbazia cister-
cense di Fossanova, dove morï il 7 marzo 1274,
forse non ancora dnquantenne.
38
non gli impediva di sentire Famicizia — come atte-
sta la lunga consuetudine con Reginaldo da Piperno
e alcuni episodi riferiti dai biografi o dai testimony
al processo. Il fatto stesso che nelPultimo anno della
sua vita, quando era già famoso, Reginaldo potesse
permettersi di esortarlo a scrivere, di chiedergli per-
che giudicasse « paglia » quello che aveva scritto, di
83
dirgli: « Vedrai che ti faranno cardinale » , le ripe-
tute afíermazioni di Guglielmo di Tocco sul fatto
84
che solo a Reginaldo egli confidasse certe cose
indicano un rapporte di profonda amicizia fra i due.
Al « figlio caríssimo Reginaldo » è dedicato il Com-
pendium theologiae (I, cap. 1).
Se pochi, forse uno solo, Reginaldo, furono gli
amici in senso stretto di Tommaso, cordiale doveva
essere con molti: a Parigi doveva di tanto in tanto
fare passeggiate nei dintorni coi suoi studenti, poi-
ché ad una di queste si riferisce Pepisodio narrato
da Guglielmo di Tocco: mentre tornavano a Parigi,
gli studenti gli dissero scherzando: « Maestro, vedete
che bella città è Parigi? Vorreste esserne il signore?
[...]. Ed egli rispose: preferirei avere le Omelie di
san Giovanni Crisostomo sul Vangelo di san Matteo.
Se infatti fosse mia questa città, le cure del governo
mi impedirebbero la contemplazione delle cose divine
85
e mi toglierebbero la consolazione dello spirito » .
II suo senso religioso, più ancora che dal molto
che ne dicono i biografi, è attestato dai suoi scritti.
Prescindiamo dalle preghiere per PUfficio del Corpus
Domini, perché non sappíamo fino a che punto siano
sue e fino a che punto siano adattamento di preghiere
tato a mensa dal re di Francia, Luigi IX, perché gli era venuto
in mente un argomento contro i Manichei (Hystoria cit.,
cap. 44).
83
Processus canonizai ionis LXXVII I e LXXXIX (testi-
monianza di Bartolomeo da Capua), in Thomae Aq. vitae fon-
tes praecipuae, cit., pp. 317-9.
84
Hystoria cit., capp. 31 e 32.
85
Ivi, cap. 43.
39
già esistenti. È piuttosto il senso del mistero, del
limite della conoscenza umana, il presentimento di
una immensa zona di realtà e di verità che sfugge
all'intelligenza umana e verso la quale tuttavia è
diretta una segreta aspirazione delTuomo, quello che
rivela l'atteggiamento religioso di Tommaso a chi
legga i suoi scritti, e non le riduzioni a « tesi » e a
sillogismi della sua dottrina. Non è qui il luogo di
una ricerca su questo pun to; indicheremo solo fug-
gevolmente come esempi di questo atteggiamento il
tentandum est solvere riferito aile obiezioni contro
rimmortalità desanima umana (Contra Gent., II,
cap. 81) che esprime le difficoltà della ragione quando
si avvicina aile verità che più incidono sul significato
della vita umana, e, sopra tutto, il cap. 48 del terzo
libro Contra Gentiles, nel quale si afferma che la
suprema felicita dell'uomo è oltre questa vita, capi-
tolo che, pur nella veste raziocinante, ha un sapore
quasi pascaliano, con quella osservazione finale sul-
l'angustia sofïerta b dai praeclara ingénia dei filosofi
che non avevano a sostenerli la fede in una rivela-
zione. E si potrebbero moltiplicare gli esempi.
40
gersi a tü'tti?) deve_ prendere lemosse da ciò c h e i a
ragione umana può_scQprjre, pexcEI£3^_xagione quél-
la che accomuna tutti gli uomini. L'uomo è uomo
per la ragione, secondo lommaso, « intellectus et
a a
ratio est potissime hominis natura » {Summa, I II ®,
1
q. 31, art. 7) anche se la ragione non è tutto Puomo
(potissime, non tota). Anche per il credente, del
resto, che, pur partendo da ciò che Dio ha rivelato,
vuol cercare di averne una certa intelligenza, l'eser-
cizio della ragione è necessário, perche il dono divino
della grazia non distrugge la sua natura, ma la eleva:
« Cum igitur gratia non tollat naturam sed perfi-
ciat, oportet quod naturalis ratio subserviat fideí
sicut naturalis inclinatio voluntatis obsequitur chari-
tati » {Summa, I, q. 1, art. 8). Si capisce quindi
che il teologo Tommaso d'Aquino dedicasse intere
trattazioni a problemi filosofici (come sono certi
opuscula e certe quaestiones disputatae) e una parte
notevole della sua attività a commentare Aristotele,
e proprio negli ultimi anni della sua vita, in piena
maturità. Uno scritto che ci presenta in breve Pin-
quadratura metafísica del pensiero di Tommaso è
Yopusculum De ente et essentia scritto fra il
1254 e il 1256. È un'opera giovanile, ma le idee
che vi sono contenute rimarranno definitivamente
nelPopera di Tommaso; pensiamo quindi che sia utile
cominciare di qui Pesposizione del suo pensiero.
Yopusculum è dedicato ad fratres so cios} a confra-
telli che studiavano mentre egli era baccelliere; , se
mi fosse permesso un paragone direi che è la spie-
gazione che un assistente fa agli studenti sul signi-
1
Citerò da qui in avanti la Sum ma theologiae con Sum-
ma. II numero romano si riferisce alla pars (prima, prima se-
cundae, secunda secundae), poi vengono il numero della
quaestio e quello dell'articolo. Citerò poi il De ente et essen-
tia dall'edizione ROLAND-GOSSELIN (Le « De ente et essentia »
de S. Thomas d'Aquint « Bibliothèque thomiste », VIII, Paris
1926) indicando oltre al numero del capitolo anche la pa-
gina e le righe.
ficato e il valore di termini venuti di moda, correnti
negli scritti e nelle lezioni di molti, ma usati in
signifïcati diversi e tali da generare confusione: tali
erano allora i termini * ens ' ed ' essentia messi in
circolazione specialmente dalla traduzione della Meta-
física di Avicenna, come potrebbero essere oggi, per
4
esempio, struttura ' o * alienazione E poiché è
difficile spiegare il significato di termini come que-
sti senza esporre anche una concezione della realtà,
sotto la spiegazione di quei termini si svolgono le
linee della metafísica tomistica.
Ente ed essenza sono concetti fondamentali, per-
ché impliciti in tutti gli altri (quae primo intellectu
concipiuntur), di qui Timportanza di averli chiari,
per non cadere in errore nei giudizi su concetti più
complessi. Tommaso si propone quindi di dire 1)
che cosa significhino quei termini, 2) in che modo
si dicano ente ed essenza le diverse realtà, 3) che
rapporto abbiano con gli enti logici, in particolare
coi tre primi predicabili di cui parla Porfírio: genere,
specie, differenza specifica (Proemio).
E prima di tutto comincia dall'ente, che è il con-
creto, mentre essenza è Pastratto, perché la nostra
esperienza è di enti, di cose concrete, delle quali goi
ci chiediamo che cosa le costituisca tali (abbiamo
esperienza di uomini, per esempio, e poi ci chiediamo
che cosa costituisca Tuomo come tale, in che consi-
sta Yumanità dell'uomo, ossia quale sia la sua es-
senza). Ora Tente si può intendere in due modi
« uno modo quod dividitur per decern genera, alio
modo quod significai propositionum veritatem » (cap.
1, p. 2, 9-11). "II che vuol dire: Uente_puà_es5ere
reale o logico; quello reale è di diversi generi, ossia
ci sono diversi modi di essere realmente: è un uomo
ed è il colore della sua pelle; uomo e colore della
sua pelle sono enti, ma in diverso modo, Tuomo è
come sostanza, (in termini aristotelici), ossia come
realtà capace di esistere per sé, il colore della sua
pelle è come accidente (in termini aristotelici), ossia
42
come determinazione dell'uomo e più precisamente
come qualità. Ora Aristotele distingueva dieci di
questi modi di essere o catégorie (modi in cui Pessere
si può predicare delle diverse realtà e quindi modi
che definiscono i supremi generi délia realtà). L'ente
logico è quello della copula: si adopera infatti il Ipojco
verbo * essere ' anche per esprimere connessioni di j
concetti, che sono vere in quanto connettono corret-
tamente quei concetti, ma non esprimono Pesistenza
dei.^ concetti che^connettono. Se si dice che Paffermã^
zione è^contrãriaalla negazione o che la cecità è
nelPocchio si parla con verità, ma Yè della copula
non significa che Paffermazione esista, né che esista
la cecità. Esistono uomini affermant! ed esistono cose
intorno allé quali si possono pronunciare afferma- J i X jT
zioni, ma non_esjstono affermazioni. Esistono occhi ^ î^
privi deIIa~Toro funzione normale, ma non esiste ^ J ^ "
la cecità: la cecità è il modo in cui l'intelletto espri- ^t-^-U
me il fatto che certi occhi non vedano. Si affaccia in
questa distinzione_fra_Pente Te aie e PentjT logico un
pensiero che t orner à spessojnqûesto opusculum e in
altre opere di Tommaso7e che h opportuno sottolinea-
re: no n__t u 11 o ciò_c he_è oggetto di pensiero esiste cosi
c o m e ^ j ^ s a t ^ N õ n T b i s o g n a quindi ipostatizzare i
nostri concetti e credere che ad ogni nostro concetto ]
corrisponda una cosa; si affaccia, direi, lajsosizione
antirealisiica_ di Tommaso, nel senso in cui il ter-Uvu> ^
mine * realismo ' è preso quando si parla del pro- ^ T^u'u^
blema degli universali, nel senso in cui realismo signi-
fica affermazione che gli universali sono res.
L'ente di cui Tommaso intende parlare qui è
Pente reale, e j o l o a p r o p o s i t o di questo si può par-
lare di essenza. ÊTTignificativo che qui sia citato
AverroeT^o stesso di cui sarà piü avanti citata, coi r
consenso, Paffermazione: intellectus est qui(apfjuni-
versalitatem in rebus (cap. 4, p. 28, 10-11). Ed è
forse opportuno ricordare il primo articolo della pri-
ma Q uaestio disputata de veritate, di non molto
posteriore al De ente et essentia, nel quale, dopo la
43
2
frase già da noi citata che afferma la primordialità
del concetto di ente, implicito in ogni altro concetto,
si dice che ogni altro concetto deve dunque aggiun-
gere qualcosa alia nozione ente (Unde o porte t quod
omnes aliae conceptiones intellectus accipiantur ex
additione ad ens). Ma poiché ente è già implicito in
qualsiasi concetto, poiché ogni realtà è ente, nulla
può aggiungersi dal di fuori ali'ente, quasi gli fosse
estraneo, e ciò che diciamo aggiungersi alTente non
è se non Tesplicitarsi o 1'esprimersi di ciò che già
era implicito nella nozione di ente (secundum hoc
aliqua dicuntur ad dere supra ens, in quantum expri-
munt ipsius modum qui nomine ipsius en tis non
exprimitur). « E questo .esplicitarsi o esprimersi può
avvenire in due modi:0o cosi che il modo espresso
specifichi Tente [...] e allora si passa dalTente ai
diversi generi di ente [le catégorie] [...] o^cosl che
il modo espresso appartenga universalmente ad ogni
ente [...]. Ora non c'è nessun predicato affermativo
3
che appartenga ad ogni ente se non la sua essenza » .
L'essenza (torniamo ora al De ente et essentia) è ciò
che si esprime nella definizione, quando si dice
che cosa (quid) è un ente, perciò è detta anche
fquiddità (quiditas), o, come dice Aristotele, quod
quid erat esse xi rjv eivai) « id est hoc per quod
aliquid habet esse quid » (cap. 2, p. 322). L'essenza
è talora detta anche forma perché, nella terminologia
aristotélica, forma è Telemento determinatore della
cosa, ciò per cui una cosa è quella che è, distinta
da ogni altra, mentre la materia è Telemento indif-
ferenziato, comune. È detta anche natura, special-
mente quando è considerata come il principio del-
Tattività propria di un ente (come quando si dice
che Tattività razionale è propria della natura umana),
« sed essentia dicitur secundum quod per earn et ia
2
Cfr. p. 23.
3
I predicati che appartengono universalmente ad ogni
ente .sono i tr ascendent ali, perché trascendono (ossia sono più
ampiae^ le) catégorie.
44
ea ens habet esse»; il che vuol dire: un ente può
esistere, può aver Pessere solo in quanto è qualcosa
di determinato. Se infatti uno chiedesse: « esiste? »
senza predsare che cosa, non gli si potrebbe rispon-
dere.
Ora poiché si è detto che ci sono diversi modi
di essere, e poiché il modo di essere fondamentale è
quello della sostanza, cosi Pessenza è fondamental-
mente e propriamente delle sostanze, e secondaria-
mente degli accidenti. Tommaso considera quindi in
primo luogo le sostanze, cioè quegli enti che esistono
per sé — come ad esempio un uomo —, e ammette
senz'altro (era infatti comunemente ammesso e chia-
ro per gli uomini del suo tempo) che esistano so-
stanze semplici e composte: composte di materia e
forma le sostanze corporee, date alPesperienza sensi-
bile, semplici le sostanze spiritual], come le intelli-
genze motrici dèPciêlPdêlle quali parlavano Aristo-
tele, Avicenna, Averroè. I Cristiani del secolo XIII
concepivano gli angeli, di cui parla la tradizione
biblica, come intelligenze separate dalla corporeità.
In ogni sostanza composta (corpo) forma è Pele-
mento determinatore, quello per cui la sostanza è
una determinata sostanza (uomo, gatto, cavallo) — e
questa è la forma sostanziale\ materia è Pelemento
determinabile, Pelemento di instabilité, ossia quello
per cui una sostanza può essere distrutta e trasfor-
mata in un'altra (come il legno è distrutto dal fuoco
e trasformato in cenere). La materia è quindi Pele-
mento fpotenzjalejidentico in tutti i_çorpi; è ciò per
cui un corpo puo_ essere trasformato in un_altro
corpo; la forma è Pelemento _attuale, è ciò per cui
un corpo è in atto ed è quello che è.
Le sostanze semplici, ossia incorporee, erano rite-
nute più perfette di quelle composte (corporee), ma
quelle che noi vediamo e tocchiamo sono le sostanze
composte; da queste dunque, come quelle la cui esi-
stenza è per noi più evidente, deve cominciare Pin-
dagine. L'essenza di queste non è né la sola forma
45
né la sola materia, ma la sin tesi delle due; l'essenza
delPuomo, secondo lo stesso esempio di Tommaso,
non è l'anima sola (forma) ma l'anima e il corpo
insieme (cap. 2).
^ Ma qui sorge una difficoltà: gli aristotelici di-
j ^ cono che la materia è il principio di individuazione;
^ parrebbe dunque, se essgnza delle sostanze corporee
:
^ è il composto di materia e forma, che non si possa
definire se non Pindividuo, non per esempio l'uomo
in quanto tale.
La teoria del principio di individuazione ha una .
4
lunga storia ed è, a sommesso avviso di chi scrive,
un residuo di platonismo, oserei dire uno pseudo-
problema di origine platônica, anche in Aristotele, e
tanto più in Avicenna ed Averroè fortemente influen-
z a l dal neoplatonismo, poiché supppne_jche-Ja_Jvera
realtàsia.quella dell 'univers alç e che ci s i d e b b a
chiedere come mai l'univers aie si particolarizza. Tom-
maso, di cui pure abbiamo rilevato la tendenza anti-
realistica, non se ne sa sbarazzare, e risponde che
principio di individuazione è, non la materia in ge-
nere (quolibet modo accepta), ma la materia signata,
« et dico materiam signatam quae sub determinatis
dimensionibus consideratur » (cap. 2, p. 11, 2-3).
Alla difficoltà sopra indicata Tommaso risponde quin-
di che nella definizione_di__un universale — per esem-
pio delPuomo in quanto tale — è compresa la mate-
ria, ma non la materia signata: « nella definizione
delPuomo, infatti, non sono comprese queste ossa e
questa carne, ma carne ed ossa in. generale, che sono
la materia non signata delPuomo > r ( c a p / 2 , p. 11,
7-9), E aggiunge: « È dunque manifesto che l'es-
senza di Socrate e l'essenza delPuomo differiscono
4
Cfr. M . D . ROLAND-GOSSELIN, Le « De ente et essen-
tia » cit., pp. 59-126. Roland-Gosselin, nelPeccellente studio
che accompagna la sua edizione del De ente et essentia, dopo
aver fatto la storia del problema fino a Tommaso, conclude
che la teoria di Tommaso sintetizza quelle di Avicenna e
di Averroè.
46
solo per^esser^ljan a jde termin a t a_. finoalPindividualità
e Paîtra non determinata (non differunt nisi secun-
dum signatum et non signatum) », cosi come Pessen-
za della specie (per esempio uomo) non è altro che
1'essenza del genere (animale) ulteriormente deter-
minata; solo che la difïerenza che determina la spe-
cie rispetto al genere viene dalla forma, mentre quel-
la che determina la specie fino alPindividualità viene
dalla materia signata.
Questa osservazione dà modo a Tommaso di par-
lare dei rapporti fra genere e specie, specie e indi-
viduo, e dal suo discorso risulta chiaramente che egli
non concepisce il genere come una parte dell'ente
concreto, come una realtà distinta dalla difïerenza
specifica, né la specie come una realtà distinta dalle
note individuanti: Pindivjdua non è concepito come
il vertice di una pirâmide costituita da essenze che
vanno dalle più uni ver sali (genere) aile più difïeren-
ziate, quasi che nella massa della realtà gli individui
fossero ritagliati attraverso successivi colpi di for-
bice (le differenze), ma è concepito come Púnica
vera realtà çhejs olo_Pi nad eguatezza_del nostro intel-
letto ci. fa conoscere prima j j i ù jndeterminatamente
e che poi^cerchiamo di stringere più da_y_icino_jne-
diante aggiunte di/ima^jiqzione aíPaltra. Generi e
~specië~non sono altro che Pindïviduo conosciuto inde-
termina tamente: « Sic ergo genus significat indeter-
minate totum id quod est species » (cap. 2, p. 16,
1-2). Il genere è detto talora materia rispetto alia
forma non perché sia una parte costitutiva dell'ente
concreto, ma per Panalogia che ha con la materia
per la sua indeterminatezza (cap. 2, p. 18, 6-8); una
indeterminatezza, però, quella del genere, che è solo
della nostra conoscenza, infatti « se anche si dice
che Puomo è costituito in certo modo dalPanimale
e dal razionale, questo non vuol dire che Puomo sia
una terza realtà costituita da due realtà distinte, ma
che è una terza nozione costituita da due altre no-
zioni » (cap. 2, p. 19, 1-4). « E com: il genere [p.
47
es. animale] quando si predica della specie [uomo]
implica indistintamente nel suo significato tutto ciò
che determina tarnen te è nella specie, cosi pure la
specie [p. es. uomo] quando si predica dell'indi-
viduo t S ocra te] significa tutto quello che si trova
essenzialmente nell'individuo, sia pure in modo in-
distinto » (cap. 2, p. 20, 14-19). La conclusione
logica di questo discorso dovrebbe essere che, dun-
que, come il genere non è una realtà distinta dalla
specie, ma è solo la specie concepitaconfusamente,
cosi anche la specie non è una realtà distinta dal-
l'individuo, ma è solo l'individuo- concepito^confu-
5
samente ,' sicché non ci dovrebbe esser bisogno di
chiedersi quai è il principio di individuazione, poi-
ché nulla può esistere che_j^n^ia-JndividnQ * Verso
una concezione di questo tipo sembra orientarsi
Tommaso quando, nel capitolo terzo, si domanda
che rapporto abbia la nozione di essenza col genere,
la specie, la differenza specifica: l'essenza generica
o specifica, dice egli infatti, non è altro che l'essenza
6
individuale considerata indeterminatamente . D'altra
5
II che, per sé, non è affatto nominalismo, se per no-
minalismo si intende la negazione o la svalutazione totale dei
- /, concetti universali. Corne: infatti l'affermazione che i nostri
^ ! concetti generic!, non riflettono una parte della realtà, ma
( ci s ° l ° I a realtà confusamente concepita, non implica affatto la
negazione o la totale svalutazione dei concetti generici, ma
solo il riconoscimento (che del resto penetra tutta la filosofia
tomistica) della inadeguatezza, del carattere approssimativo
della conoscenza umana, çpsi_ il riconoscere che i nostri con-
cetti specifici riflettono la realtà individuale confusamente,
í ' cioè indeterminatamente appresa, non implica affatto la nega-
zione o la totale svalutazione dei concetti specifici. Ma ab-
' biamo poi noi concetti specifici? Vedremo che lo stesso Tom-
maso ne dubita,
6
« Et ideo relinquitur quod ratio generis vel speciei con-
veniat essentiae secundum quod significatur per modum to-
tius, ut nomine hominis vel animalis, prout implicite et
indistincte continet totum quod in individuo est»: De ente
et essentia, ed. cit., cap. 3, p. 23, 25-28.
48
parte, come abbiamo detto, egli si pone ancora il
problema del principio di individuazione. - ^
5
Vedi a m o_o r a come To mm a s o giustifichi il valo- * ^ '
u
re dei concetti universaH. L'universale esprime Pes-
senza delPindividuo (dice che cosa è questo) ma la
esprime indeterminatamente, non la esprime nella
sua individualité; dice che Socrate è un uomo, ma
non esprime il modo irripetibile in cui Socrate è
uomo. Come è dunque possibile che due termini non
identici — * Socrate ' e * uomo ' — siano legati nel
giudizio da un rapporto di identité espresso dalla
copula è?
La risposta di Tommaso è ispirata ad Avicenna,
anzi è presa quasi di peso dal quinto libro della
7
Metafísica di Avicenna . Egli distingue dunque due
modi di considerare Pessenza o natura di una cosa:
si può consideraria in quello' che significa e basta
(absolute), o j e i ' m o d o T i n cui si £ealizza. L'essenza
absolute, proprio perché prescinde dal suo modo di
realizzarsi non è né universale né particolare, né una,
!
né molteplice: è quello che è, e basta. Se ho pre- ;
sente_ Pessenza uomo come sintesi di animalité e
ragione, non so ancora se essa sia una o molteplice,
se ci sia solo un uomo o ce ne siano tanti. Se invece
considero Pessenza uomo cosi come si realizza in i l ^ *
7
Come si vede dai testi citati in nota dal Roland-
Gosselin, op. cit., pp. 24-7. Osserveremo però che Putilizza-
zione di un autore è sempre in certo modo una interpreta-
zione (almeno quando chi utilizza è un Tommaso d'Aquino
o un Duns Scoto); Duns Scoto infatti interpreta questi testi
di Avicenna in modo più « realistic© » di quello di Tommaso.
Cfr. E. G I L S O N , Avicenne et le point ' de départ de Duns
Scot, AHMA, II (1927), specialmente pp. 129-46.
49
un unico aspetto. L'essenza uorao, perciò, si realizza
come molteplice nei diversi individui, corne una_ nel
8
mio spirito chè li concepisce , ma e nel mio spirito
e nei diversi individui è presente quella essenza, quel
quid, che astrae dal modo di realizzarsi.
r
! y^-'iv Nel quarto capitolo Tommaso parla dell'essenza
lUhtlo^ delle sostanze «separate», ossia incorporee. Che
esistessero tali sostanze, come abbiamo visto, era da
tutti ammesso; quale fosse la loro natura era discusso;
che, pur essendo incorporee, fossero diverse da Dio
era pure da tutti ammesso, ebrei, musulmani, cri-
^; stiani, che avevano comune il monoteísmo; in cosa
Vl
ne differissero era discusso. La teoria più diffusa nel
mondo cristiano del secolo XIII era quella di Aven-
cebrol, secondo la quale tu t te Tensos tanze .create, quin-
dijanche gli_ angeli, sono composte di materia e forma.
Tommaso aveva già rifiutato quest a teoria f5T~dallo
Scriptum sulle Sentenze e ribadisce qui il rifiuto, che
sarà ripetuto sempre: nella Summa contra Gentiles
(II, cap. 50) nelle Quaestiones disputatae de spirt-
tualibus creaturis e de anima e nell'opuscolo De
substantiis separatis (1272). La ragione del rifiuto è
che una sostanza capace di conoscere intellettiva-
mente non può esser costituita di materia e forma,
come vedremo parlando della dottrina tomistica sul-
9
l'anima umana . Le sostanze (separate^ dunque, ossia
gli enti puramente spiritual!, \ non sono composti di
HuV
8
Sia Avicenna - che Tommaso distingùono però l'essere
intenzionale dell'oggetto (l'essenza) nello spirito dalTessere
reale dell'atto che pensa quell'oggetto; il primo è universale,
ossia predicabile di diversi enti, il secondo è un atto indi-
viduo. Ciò che è comune ai diversi ,uomini non è l'atto con
cui li penso uomini (atto che è. mio e non di un altro), ma
il pensato.
9
Nel De substantiis separatis, che (nei capp. 4-6) con-
tiene la trattazione più ampia sull'argomento, Tommaso dice
che Terrore di Avencebrol nasce daü'aver ipostatizzato una
distinzione lógica, quella fra il genere e la specie, e dall'aver
identificato il genere con la materia e la diiferenza con la
forma.
50
materia e forma, ma sono forme pure. E poiché il
principio di individuazione è la materia signata, in
tali sostanze non potranno esserci molti individui di
una medesima specie, ma ognuna di esse fa specie
a sé (cap. 4, p. 33, 29).
Ma se_le_so&tanze~separate—sono-forme-pure^-in-
rhp__Htffertftçopo da Din? Tommaso si rivolge anche
qui ad Avicenna e afferma che negli enti puramente
spirituali, ma creati, vi è composizione dijessenza)
ed [essere]
10
Verrebbe quasi fatto di tradurre: l'esistenza non è un
predica to.
11
Nel senso di esistenza, ma ho preferito tradurre con
1
essere il termine esse \
12
Ritorna quella ipostatizzazione dell'universale che ab-
biamo già rilevata. C'è, mi sembra, in Tommaso d'Aquino
una oscillazione fra questo residuo « platonico » e la tendenza
ad affermare che solo l'individuo è reale; si capisce quindi
che alcune interpretazioni del suo pensiero accentuino più
un aspetto e altre accentuino l'altro. Da notare poi che
quando parlo di residuo platonico non intendo affatto dire
che qui si esaurisca tutto il platonismo di Tommaso; altre
eredità platoniche rileveremo, specie nella dottrina dell'anima
(filtrate qui attraverso Agostino).
51
distinto dal calore non separato [cioè dal calore come
qualità di cose calde] per la sua stessa separazione. Ma
se vi è una realtà [res] che sia soltanto essere, si che
. l'essere stesso sia sussistente, un tale essere non è su-
scettibile di aggiunte che lo differenziino, perché altri-
menti non sarebbe soltanto essere, ma essere e, inoltre,
una certa forma [..,]. Onde risulta che una tale realtà
che sia il suo stesso essere non può essere che una. E
perciò è necessário che in ogni altra realtà all'infuori di
quella, altro sia il suo essere, altro la sua quiddità o
essenza [cap. 4, pp. 34, 7-32].
52
sottolineare che riprenderemo più avanti: la distin-
zione fra il puro essere nel senso di essere sussistente
(Dio) e il puro essere nel senso di essere comune ad
ogni cosa, e Paffermazione che Puomo non conosce
le essenze specifiche delle cose.
Il sesto capitolo tratta delPessenza degli acci-
denti (quomodo sit essentia in accidentibus). Uacci-
dens è la determinazione, la modificazione di una
cosa per sé esistente (sostanza), come il colore ri-
spetto al corpo colorato; quindi l'accidente non può
essere né essere concepito senza la sostanza alia quale
inerisce. L'accidente non è propriamente, ma per l'ac-
cidente una sostanza è in un certo modo (rossa o
verde, pesante o leggera). E qui si_offre un parallelo
fra Paccidente e la forma sostanziale, parallelo dal
ofM
quale risultano somiglianze e difïerenze. Come Pacci-S GlwH
dente, cosi anche la forma sostanziale non è una cosa
per sé stante, e quindi non ha una essenza completa
« poiché nella definizione della forma sostanziale si
deve porre ciò di cui essa è forma [...] e perciò nella
definizione dell'anima si deve porre il corpo, quando
la si considera da un punto di vista físico, cioè in
quanto l'anima è forma di un corpo » (cap. 6, p. 43,
14
7-14) . II che vuol dire: si definisce l'animale, si
definisce Puomo, ma non si definisce l'anima, se
non dicendo appunto che è forma di un corpo cosi
e cosi fatto. La differenza fra Paccidente e la forma
sostanziale è questa: esiste il composto (il sinolo) di
forma sostanziale e materia, ma non possono esistere
15
né forma né materia per conto loro; mentre può
esistere la sostanza senza quell'accidente determinato
14
« unde in diffinitione animae ponitur corpus a natu-
rali [seil, philosopho] qui considérât animam solum in quan-
tum est forma corporis physici ». Della dottrina sull'anima
diremo più avanti, ma direi che questa restrizione (cosl è
per il « filosofo naturale » etc.) che richiama Alberto Magno,
cade nelle opere posteriori, nelle quali anche l'anima umana,
forma subsistens, non può essere concepita se non con una
relazione al corpo.
15
Eccezion fatta, come vedremo, per l'anima umana.
53
(un corpo può trascolorare e diventare da rosso bianco
pur rimanendo corpo, un uomo può variare pen-
sieri e affetti — che sono i suoi accidenti — pur
rimanendo uomo).
54
miana, una fede che cerca Pintelligenza, per la sod-
disfazione e la gioia di colui che ricerca, dato che la
grazia non sopprime la natura, e per trovare un
1
terreno di dialogo con tutti gli uomini . Le vie per
dimostrare l'esistenza di Dio non servono a far na-
scere la fede nel cuore degli uomini: a questo ha
provveduto Dio con la rivelazione, perché solo gli
uomini che hanno agio di meditare, e sono pochi, e
questi pochi dopo lunghe ricerche, e non senza errori,
arrivano con la loro ragione a persuadersi che Dio
esiste, mentre questa verità è necessaria per tutti, e
fin dagli albori della vita, perché alla vita di tutti
2
deve dare un orientamento (Summa, I, q. 1, art. I) .
Le dimostrazioni deli'esistenza di Dio servono a giu-
stificare la fede in lui. Ucs i Stenz a _ d i D i p , infatti,
non è im mediatamente, evidente aU'intelletto né può
essere scoperta solo^con.la. riflessione sulTidea. dl Dio
come dice va Anselmo nel Proslogion, perché di Dio
non abbiamo propriamente un'idea, non sappiamo
3
quid sit, non ne conosciamo l'essenza , e quindi non
1
Cfr. supra, p. 28, quello che Tommaso dice alTinizio
della Contra Gentiles.
2
Gli altri testi sono indicati e studiati da P. SYNAVE,
La révélation des vérités divines naturelles d'après saint Tho-
mas d'Aquin, in Mélanges Mandonnet, cit., pp. 327-70, che
fa vedere la dipendenza di Tommaso da Maîmonide su que-
sto punto.
3
Questo rilievo, svolto nel corpo dell'articolo, è la vera
obiezione e riprende il punto fondamentale dell'obiezione di
Gaunilone (neque enim rem ipsam — quae Deus est —
novi ne que ex alia possum conicere simili) mentre Yad se-
cundum, rivolto direttamente contro l'argomento anselmiano
resta, a mio awiso, al livello dell'esempio dell'isola fortu-
nata o dei cento talleri, un livello assai inferiore a quello del-
Targomento anselmiano. Nella tesi che, si, Dio è il suo essere,
che la sua essenza si identifica con la sua esistenza, « Sed
quia nos non scimus de Deo quid est [haec propositio ' Deus
est'] non est nobis per se nota» è implicita la gnoseologia
tomistica, che non ammette illuminazioni dirette di Dio alio
spirito umano. Anselmo, Bonaventura (ed altri più tardi)
potevano ammettere che Tesistenza di Dio fosse una verità
immediatamente evidente, scoperta nella semplice rifïessione
55
possiamo leggere in questa essenza^queiresistenza che
con essa si identiHou Dobbiamo quindi dimostrare
llche Dio esiste partendo da_ciò che per la nostra
ïconoscenza vien prima, anchê^së^ vierí~~dopo riell'or-
ídine I,~~q7~2, art. 1)7 Fin dallo
Scriptum^suWé^Sentenze Tommaso ha detto che per
dimostrare che Dio esiste dobbiamo partire dalle
creature, e dalle creature sensibili.
i
56
ijjM/VWi vwo
I « •
Nella dist. VII del primo libro dello Scriptum
sulle Sentenze, a proposito deH'immutabilita di Dio,
compare Pargomento aristotélico per dimostrare la
esistenza di un primo motore immobile, ma occupa
5
un posto marginale , mentre è in primo piano, espo-
sto difíusamente, con tutti gli svolgimenti cosmolo-
gia della Fisica aristotélica, nella Summa contra
Gentiles (I, cap. 13). Forse questa importanza data
alia cosmologia aristotélica è dovuta a una lettura
recente della Fisica} forse alia fiducia nella sua effi-
cacia persuasiva in un momento in cui l'aristotelismo
era la filosofia alla moda, nuova; per un motivo
analogo a quello per cui oggi taluni teologi adope-
rano catégorie heideggeriane. Certo è che questa, del
moto, resta la prima et manifestior via anche nella
Summa theologiae, ma cambia radicalmente aspetto:
non più discussioni sui diversi modi in cui un corpo
può muoversi, se per azione di una delle sue parti o
del tutto, sulla possibilita che infiniti corpi si muo-
vano in un tempo finito ecc., ma la riduzione ad una
sola delle considerazioni present! nella Contra Gen-
tiles: alPanalisi del motus inteso come mutamento
o divenire in generale, passaggio dalla potenza al-
l'atto, divenire che ha luogo non solo nei moti dei
cieli, ma anche in quelli dello spirito, anche se gli
esempi sono presi dal mondo sensibile che è il primo
oggetto della nostra conoscenza. Dice infatti Tom-
maso:
5
È riferito in modo mol to breve nel Sed contra, e un
po* più difíusamente nellW tertium.
6
« Omne quod movetur ab alio movetur ». Il primo mo-
vetur ha significato intransitivo (è in moto o muta), il secondo
ha significato passivo (è mosso). Ho tradotto con due verbi
diversi (mutare e muovere) i due movetur per evitare la
57
se non è in potenza a ciò a cui termina il mutamento,
muove, invece [ossia provoca mutamento], in quanto è
in atto. Muovere, infatti, vuol dire_gdurre dalla potenza
all'atto; ora una cosa non può esser portata all'atto se
non in virtù di un ente che sia già in atto: per esempio,
ciò che è caldo in atto, come il fuoco, fa esser caldo il
legno, che è caldo in potenza, e cosi lo muta e lo altera.
Ma non Apossibileche la medesima cosajsia^insieme in
atto e in potenzasottoil médesimo. aspettQ, può esserlo
solo sotto aspettLdiyersi^ ciò che è caldo in atto non può
insieme esser caldo in potenza, ma è insieme freddo in
potenza. È impossibile dunque che, secondo il medesimo
aspetto e alio stesso modo, un ente sia origine e sog-
. getto di mutamento (movens et motum), ossia muti se
stesso; dunque tutto ciò che muta deve essere mosso da
altro [Summa, I, q. 2, art. 3].
58
8
venti che siano ragion d'essere del mutamento
non si può procedere all'infinito, perché procedere
aLPinfinito vorrebbe dire non trovar mai il perché
del mutamento. Bisogna dunque affermare Pesistenza
di un primum movens quod in nullo moveatur, cioè
di un immutabile, « E questo è colui che tutti inten-
dono per Dio ».
11
Traduco cosl diquid quod sit necesse esse, poiché
questo termine non corrisponde al nostro ente necessário, ma
al concetto di ente che non ha in sé il germe della corruzione,
come sono in una concezione aristotélica le forme pure per
sé sussistenti, ossia le intelligenze separate, le quali però (e
qui l'interpretazione è di Avicenna) non hanno da sé la ra-
gione della loro indefettibilità, ma dipendono da altro.
60
Nonostante la citazione aristotélica, questo argo-
mento è di schietta origine platônica: lo troviamo
12
anche in Agostino, nel Monologion di Anselmo .
12
Cfr. AGOSTINO, De Trinitate, 1. VIII, cap. 3; A N S E L -
MO, Monologion, • capp. 1-4.
13
Anzi inferita da un comportamento costante che, di
fatto, riesce (quod apparet ex hoc quod semper aut frequen-
ti us eodem modo operantur ut consequantur id quod est
optimum, dove Mut ha valore consecutivo).
61
lità intrínseco; hanno già il loro orologiaio dentro
di sé, se mi è permesso esprimermi cosi. Ma questo,
intrínseco alie cose della natura, è un principio non
intelligente, è una pura forza vitale (non è infatti
verosimile che nel comportamento degli organi di
una pianta o di un animale operi uno spiritello intel-
ligente), la quale raggiunge tuttavia effetti che sem-
brano preordinati, programmait E per questo la quin-
ta via risale a un ordinatore che sta all'origine della
natura delle cose.
62
l y
teologia negativa, che viene dallo pseudo-Dionigi : la
nostra conoscenza di Dio procede per successive nega-
zioni: est autem~ viä remotionis utendum praecipue
in consideration divinae substantiae (Contra Gent
I, cap. 14). « E poiché non sappiamo che cosa sia
Dio, (quid sit) ma che cosa egli non sia, [...] pos-
siamo mostrare in che modo non sia, rimuovendo
da lui ciò che non gli deve essere attribuito, per
esempio la composizione, il mutamento ecc. » (I, q.
III, proemio). Nella Contra Gentiles questa « rimo-
zione » parte dal concetto di immutabile: poiché il f
mutamento implica la potenzialità, in Dio, che è im-
mutabile, non può esserci potenza, Dio è atto puro
(Contra Gent., I, cap. 16). E poiché ogni composi- 5/
zione esige che, fra i componenti, ci sia almeno un
elemento Potenziale (altrimenti ci sarebbe solo acco-
stamento di enti in atto, non composizione), da Dio
va .esçlusa ogni composizione : di parti quantitative,
di materia e forma, di sostanza e accidente, di essenza
e note individuanti, di essenza ed essere (Contra
Gent., I, capp. 17-25; Summa, I, q. 3). Dio è
dunque, come abbiamo già visto nel De ente et
essentiat Ipsum esse subistens, ossia la pienezza del-
Pessere, la totale attualità delPessere. Tommaso ve-
deva in questa caratterizzazione di Dio Pespressione
intelligibile delia « sublime verità » rivelata da Dio
a Mosè, in risposta alia domanda: « se gli Israeli ti
mi chiederanno qual è il nome di lui, che cosa dirò
loro? » — risposta che nella traduzione latina vul-
gata suona cosi: Dominus respondit: Ego sum qui
sum. Sic dices filiis Israel: Qui est misit me ad vos
(Exod., III, 13-14) E Tommaso commenta: « cosî
Dio mostro che il suo nome proprio è Colui che è »
(Contra Gent., I, cap. 22).
Ma Tommaso vuol evitare la confusione fra PEs-
sere divino e Pessere comune a tutte le cose, vuol
evitare la conclusione panteistica alla quale era arri-
vato Amalrico di Bena, che cioè Dio sia Y esse for-
mate omnium, Pessere per cui (formalmente, cioè
63
come da principio intrínseco, costitutivo) sono tutte
le cose. La confusione fra l'essere comune a tutte le
cose e YIpsum esse subsistens nasce dalPafferma-
zione che l'uno e 1'altro sono puro essere, essere
senz'altra aggiunta; ma, osserya_Tommasoa_ Ia_jji5e-
renza è che l'essere comune è solo un concetto, è
solo pensato senz'altra aggiunta, mentre TTpsum
esse subsistens è senz'altra aggiunta (Contra Gent.,
I, cap. 26; Summa, I, q. 3, art. 4, ad primum),
perché è già in sé ogni attualità e quindi ogni perfe-
zione (Summa, I, q. 4 e 6).
Finora Tommaso ha dimostrato l'esistenza di un
immutabile, necessário ecc. come causa del mondo
dell'esperienza e ha cercato di determinarne la natura
via remotionis\ poi si dom anda se possiamo dire
aiïermativamente qualcosa di esso, e si trova di fron-
FT A/', RRVL^ te la teoria di jvlosè Maimonide il quale ritiene che
i nostri concetti non dicano nulla di positivo in
VJ Dio, ma seryano_solo ad indiçare la differenza fra
O
Dio e certi oggetti di esperienza, o piuttosto ad
indicare l'assoluta, alterità e t r ascend en z a di Dio
r^spetto_aL,mqndo: dire che Dio è intelligente vor-
rebbe dire soltanto che Dio non è come gli animali
bruti; o, al più, vorrebbe dire che Dio opera come
se fosse intelligente. I « nomi » che diamo a Dio
l-W/oa
sarebbero quindi puramente equivoci rispetto a quel-
li che diamo alle creature: il_suono sarebbe il mede-
simo, J 1 significato _totalmente diyerso^Di^_questo
O
parere-sono_anche coloro^secondo i 'quali affermare
della natura divina un attribute vuol dire solo che
egli è causa di quell'attributo nelle cose: Dio è buo-
no vorrebbe dire: Dio è causa della bontà delle cose.
li P Ma, obietta Tommaso, perché allora non attribuire
a Dio tutto ciò che si trova nel mondo dell'esperienza,
poiché di tutto egli è causa? Perché non dire che Dio
è corpo perché è causa dei corpi? (Summa, I, q.^13,
art. 2). Contro la tesi di Maimonide, che il signifi-
H cato delle nostre proposizioni intorno a Dio sia pura-
mente negativo, Tommaso obietta che il significato
64
di una negazione si fonda sempre su quello di una
affermazione, sicché « se l'intelletto umano non cono-
scesse affermativamente qualcosa di Dio, non potreb-
be negare qualcosa di lui » (Q. d. De po ten tia, VII,
1
art. 5). E allora diremo che i nomi che attribuiamo a p
Dio sono univoci (synonima), ossia esprimono esat- fifl'Hu
tamente il medesimo concetto rispetto a Dio e rispet-lia» / ' ^
to alle creature? Come si concilia la tesi che pos-
siamo affermare qualcosa di Dio con la tesi che noi
conosciamo Dio solo via remotionis, dicendo che
cosa egli non è? Tommaso riconosce che il problema
è difficile (Q. d. De potentia, VII, art. 6), più dif-
ficile che per gli agnostici come Maimonide, e dà
una soluzione che è (come sono spesso le soluzioni
tomistiche) un invito a non negare nessun dato del
problema anche se per noi non è facile conciliarli.
« I nomi che noi diamo a Dio lo significano cosi
come lo conosce il nostro intelletto, e il nostro intel-
letto che risale a Dio dalle creature, lo conosce cosi
come le creature lo rappresentano » (Summa, I, q. 13,
art. 2), cosi come ne portano la similitudine {De pot.,
VII, art. 5). Le perfezioni che nel mondo delPespe-
rienza sono separate e molteplici, in Dio sono unite
et simpliciter (Summa, I, q. 13, art. 5) e si identi-
ficano col suo essere (Q. d. De Veritate, II, art. 11).
I « nomi » che noi diamo a Dio gli competono per
ciò che significano, ma non nel modo in cui sono
significati da noi (Summa, I, q. 13, art. 3). Espri-
miamo dunque positivamente ciò che è comune a
Dio e aile creature, ma quando vogliamo esprimere
ciò che gli è proprio dobbiamo procedere per nega-
zione. La nostra è dunque una conoscenza di Dio per
analogia.
Il tema delPanalogia è uno di quelli che sono
stati più discussi e studiati dai tomisti e non pos-
siamo certo soffermarci su di esso; diremo solo che
Panalogia esprime il carattere imperfetto, approssi-
mato, chiaro-scuro, è stato detto, della nostra cono-
scenza: si sa qualcosa di Dio, altrimenti non se ne
65
parierebbe, neppure per negarlo; ma il nostro sapere
di lui è un non-sapere: Dio è il Deus absconditus,
come ci è nascosta la struttura profonda delle cose,
che pure è la loro essenza. E si capisce che ci sia chi
accentua di più il carattere di sapere e chi accentua
di più quello di non-sapere, anche fra gli interpreti
15
di Tommaso .
66
1?
ligente, poiché è causa di un mondo finalizzato . Per
eminent iam si conclude che Dio è intelligente per-
ché Tîïïtelligenzaè u £ j m r i b u t o che segue la perfe-
zioneTcleirente. Dalla conoscenza divina dobbiamo
però escludere tutto ciò che implica imperfezione,
potenzialità e concludere che Pintelligenza divina si
identifica col suo stesso essere ed è sempre in atto
(Summa, I, q. 14, art. 4). L'oggetto immediato e
adeguato di una tale intellezione può essere solo Dio
stesso (art. 2), ma in sé Dio conosce anche ogni
altra realtà, poiché di ogni altra realtà è causa effi-
ciente (art. 5) e consapevole (art. 8). Si vede dun-
que che la dottrina tomistica sulPintelligenza divina
è connessa con moite tesi che non si trovano certo
in Aristotele, tutte legate, aLconcetto. di-creazione,
e quindi è molto diversa dalla concezione aristotélica
del motore immobile come pensiero del pensiero
(MetaphXII, cap. 7, 10-72 b). Il motore immo-
bile di Aristotele infatti non è causa efficiente del
mondo, e quindi non conosce alia a se, il Dio di
Tommaso è creatore intelligente e libero, créa come
créa un artista (art. 8) con la differenza che Partista
umano presuppone una materia e la trasforma sol-
tanto, mentre Dio non presuppone nulla, ed è causa
di tutto Pessere. La dimostrazione di questa tesi è
fondata sul concetto di Dio come Ipsum esse subsi-
stens, che è uno solo perché è la totalità delPessere.
Tutto ciò che non è Dio non è dunque Pessere, ma
lo ha, lo riceve, ne partecipa, e non può riceverlo se
non da chi è Pessere (Summa, I, q. 44, art. 1;
Contra Gent., II, cap. 15, 4° argom.; Q. d. De
potentia, III, art. 5), cioè da Dio. E poiché Dio è
67
intelligenza, come abbiamo visto, Dio sa ogni pos-
sibile partecipazione o similitudine del^suo essere
(Summa, I, q. 14, art. 5) e fa essere quelle che
vuole. "
II concetto di volontà è legato a quello di intel-
ligenza, in questo modo: ogni_ente ha un proprio
d i n ami s mo, tendea ma ntenersi nelPessere ; ora negl i
enti_ intelligent questo dinamismo è__consapeyole :
l'ente intelligente non solo tende a conservarsi nel-
Pessere, ma vuole essere; la suprema intelligenza è
quindi anche suprema volontà (Summa, I, q. 19,
art. 1; Contra Gent., I, cap. 72). E per la volontà
divina valgono considerazioni analoghe a quelle fatte
per l'intelletto: oggetto immediato della volontà
divina è Dio stesso; Dio, vuolg—.altr^ cose perché
partecipino della sua bontà, e. _il__suo_yol_ere le_ fa
ssere
Ç - l i ^ l/KMi L ^ i ' l u
3. La creazione.
18
Fin dallo Scriptum sulle Sentenze (II, dist. I, q. 1,
art. 2) Tommaso è persuaso che la creazione sia non soltanto
una verità di fede, ma una verità dimostrabile razionalmente:
« Respondeo quod creationem esse non tantum fides tenet,
sed etiam ratio demonstrat », ma solo nella dist. 37 del me-
desimo libro Targomento fondamentale della dimostrazione è
quello che diventa dominante nelle opere posteriori e che
abbiamo ricordato nel testo.
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i.R XI ,68 . \ u1 , H
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11
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dapprima cercarono la spiegazione. Pensarono quindi
che tutti i mutamenti fossero accidentali, fossero
cioè modificazioni di un'unica sostanza (acqua, aria
ecc.). Più tardi si resero conto della difïerenza fra
le mutazioni accidentali e quelle sostanziali e cerca-
rono la causa di queste ultime in qualcosa che fosse
fuori della materia (odio e amore secondo Empe-
docle, intelletto secondo Anassagora). Tuttavia si
domandavano sempre ragione solo del sorgere delle
cose, non del loro essere, e perciò presupponevano
sempre che una materia soggiacesse a tutti i muta-
menti. Più^avanti^ altri filosofi, « come Platone, Ari-
stotele e i loro seguaci, pervennero alia considera-
zione delPessere in quanto tale, e perciò essi soli
posero Pesistenza di una causa universale, dalla qua-
le procedesse tutto il resto, come risulta da quello
che dice Agostino nel libro VlII del De civitate
Dei. E in questa affermazione si accordano con la
fede cattolica » (De potentia, q. I l l , art. 5). Ma nella
Summa theologiae la sua opinione su Platone e
Aristotele è diversa: « Entrambi, dice Tommaso, con-
siderarono la realtà sotto un aspetto particolare, o
in quanto è questo ente, o in quanto è il tale ente,
e cosl assegnarono cause particolari aile cose. Altri
poi (et ulterius aliquï) si elevarono alla considera-
zione delPente in quanto ente, e considerarono la
causa delle cose non in quanto sono queste cose, o
le tali cose, ma in quanto sono enti. Ora ciò che^ç
cansa_rlp11e ms*» in quanto enti deve essere causa _[... ]
4L tutto ciò che appartiens in qualunquemodo al „loro
Çsserej>, e quindi anche della materia (Summa, I,
q. 44, art. 2). Tommaso non dice chi siano quegli
aliqui che vennero dopo Platone e Aristotele: pro-
babilmente pensa ai neoplatonici, ma del neoplato-
nismo pagano Tommaso, a differenza di Agostino,
non conosce nulla direttamente: di qui Pindetermi-
natezza della citazione.
Tuttavia i filosofi hanno mescolato degli errori
alia loro dottrina sulla creazione: Aristotele, Avi-
69
cenna e Averroè parlano di creazione ab aeterno, il
19
De causis ammette la creazione per intermediari ,
ammette cioè che le prime sostanze create ne creino
poi altre, e cosl è anche nella teoria di Avicenna.
Queste teorie si fondano sul principio che « da un
I essere semplice non può immediatamente procedere
che un solo ente », principio che a sua volta si fonda
^ sulla concezione delPatto creativo come attività neces-
- ~ saria, sulla tesi che le cose procedano da Dio per
una necessita della natura divina. « Nai—invece_am-
mettiamcL che-Je cose procedano da Dio pe£_un atto
consapevole e libero [per moãüm~scientiae etintél-
lectùs'] e, se si intende cosl la creazione, nulla
impedisce che da un primo essere uno e semplice
proceda immediatamente una molteplicità di enti »
(De potentia, III, art. 4). Dio non vuole necessa-
riamente il mondo, ma lo créa liberamente (Summa,
I, q. 19, art. 3; Contra Gent.y I, cap. 81; De po-
tentia, III, art. 15). Se infatti qualcosa di diverso
da Dio fosse necessariamente, Dio non sarebbe più
la perfezione, la totalità delPessere, ma avrebbe biso-
20
gna di questo altro .
Questo è il punto in cui Tommaso diverge net-
tamente dalle filosofie di Avicenna e di Averroè (e
delPantichità pagana): le cose rîon derivano da Dio
per un processo naturaléTnecessario, ma per un atto
di liberta.
Nel concetto tomistico di creazione Gilson ha
giustamente ed efficacemente sottolineato Paspetto
per cui Dio è considerato come fonte d e l i v e r * , di
19
Si veda su questo punto A. MASNOVO, Da Guglielmo
d'Auvergne a S. Tommaso d'Aquino, Milano 1945, vol. III,
capp. 1-2. Tommaso combatté la teoria della creazione per
intermediari in II Sent., d. 18, q. 2, art. 2; Summa, I, q. 45,
art. 5; De Potentia, q. III, art. 4.
20
« Unde cum bonitas Dei sit perfecta, et esse possit
sine aliis, cum nihil ei perfectionis ex aliis accrescat, sequitur
quod alia a se eum velle non sit necessarium absolute », I,
q. 19, art. 3. Cfr. III Contra Gent., cap. 97: « Sic igitur
quod Deus suam bonitatem amet... ».
70
tutto Pessere, mentre la filosofia greca concepisce
Dio come ciò che dà forma al mondo, che foggia
una materia preesistente, e quindi non dà Pessere,
21
ma solo un certo modo di essere . Ritengo sia
necessário sottolineare, e forse ancora più di quel-
22
Paspetto , Paffermazione che Dio créa consapevol-
mente e liberamente. Questo infatti mi sembra il
presupposto di una concezione religiosa della realtà
— o almeno di quella concezione religiosa che è
comune aile tre grandi religioni presenti nella cultura
medievale: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Se
Dio è fonte di tutto Pessere, nulla sfugge alla sua
azione, neppure Pultima determinazione individuale;
ma solo se (ogni realtà; in tanto esiste in quanto è
da lui conosciuta e voluta si può dire che ogni cosa,
ogni momento della realtà, Ifeajun significa to ^e, vorrei
dire, una vocazione. Questo è il senso della teoria
che attribuisce alPente in tutta la sua ampiezza (e
23
quindi oltre le catégorie, trascendendo le catégorie )
le proprietà vero e buono. Se infatti torniamo a
quel primo articolo della prima questione De veritate
nel quale si dice che Pente è ciò che Pintelletto
21
L'esprit de la philosophie médiévale, Paris 1932, cap.
III. Nelle ultime edizioni de Le thomisme (Paris 1922,
19656) sembra che questo concetto non sia afferrato piena-
mente se non da Tommaso, fra tutti i teologi cristiani (cap.
II: Les théologies de l'essence, cap. VI: La théologie na-
turelle de saint Thomas d'Aquin). Chi scrive confessa la
propria incapacità a capire la singolarità di un concetto di
essere che sarebbe proprio solo di uomini eccezionali (Tom-
maso e alcuni, pochissimi, suoi interpreti; anzi ognuno di
questi ritiene di essere l'unico che lo ha capito), mentre
dovrebbe trattarsi di un concetto comune a tutti gli uomini
poiché sta alla base di ogni altro concetto e discorso.
22
Poiché forse il concetto di Dio come fonte di tutto
l'essere c'è anche in Plotino, come afferma K . KREMER, Die
neuplatonische Seinsphilosophie und ihre Wirkung auf Tho-
mas von Aquin, Leiden 1966.
23
Di qui il termine transcendens, che negli scolastici
posteriori diventerà poi transcendentalis per indicare queste
proprietà.
71
apprende implicitamente in ogni oggetto, troviamo
che il testo prosegue:
72
tano una similitudine delle idee che sono nella mente
divina [Summa, I, q. 16, art. 1].
73
murmurantes. Il motivo per cui Tommaso non accetta
gli argomenti correnti per dimostrare che il mondo
ha avuto inizio è « per evitare che la fede cattolica
appaia fondata su ragionamenti non validi anziché
sul solidissimo insegnamento divino » (Contra Gent.,
II, cap. 38).
25
II passo della Summa citato alla nota 20 (I, q. 19,
art. 3) continua cosi: « e t tarnen necessarium est ex suppo-
74
analogicamente, c'è un aspetto comune fra Dio e
ciò che da lui dipende: l'essere; ora un contraddit-
torio è un non-essere, e quindi non può essere voluto
26
da Dio . La posizione di Tommaso è quindi media
27
fra quella di Abelardo , che sarà poi ripresa da Leib-
niz, e quella di Cartesio, secondo la quale Dio po-
trebbe volere anche il contraddittorio. Contro la tesi
che Dio deve volere il meglio si che il mondo attuale
è il migliore dei mondi possibili, Tommaso osserva
che non si può parlare di « meglio » di fronte a Dio,
poiché ogni bene finito è infinitamente distante da
quel bene infinito che è único oggetto adeguato della
28
volontà divina, e che è Dio stesso .
Ma, posto che Dio voglia una cosa, egli la vuole
coi caratteri propri della natura che le ha dato: non
T
c è antagonismo fra natura e volontà divina, goiche
ía natura .delle cose è, espressione della jyolonta di-
vina: « Deus qui est institutor naturae non sub trahit
rebus" id quod est proprium naturis earum » (Contra
Gent., II, cap. 555).
sitione. Supposito enim quod velit, non potest non velle, quia
non potest voluntas eius mutari ».
26
« Rursus, quia potentiae activae obiectum et efïectus
est ens factum, nulla autem potentia operationem habet ubi
deficit ratio sui obiecti [...] oportet quod Deus dicatur non
posse quicquid est contra rationem entis in quantum est ens
[...]. Primo quidem contra rationem entis est quod entis
rationem tollit. Tollitur autem ratio entis per suum op-
positum [,..]. Oppositum autem entis est non ens. Hoc igitur
Deus. non potest, ut faciat unum et idem esse et non esse:
quod est contradictoria esse simul »: II Contra Cent., cap. 25.
Si potrebbe obiettare che qui Tommaso parla di potenza
divina e di facere, non del volere, ma si badi che il fare di
Dio si identifica col suo volere.
27
Theologia Christiana, V, 42 sgg. (Corpus Christianorum,
Continuatio mediaevalis, XII, pp. 3 6 6 sgg.). Cfr. A . MASNO-
vo, Da Guglielmo d'Auvergne a S. 'Tommaso d'Aquino, cit.,
vol. II, ppt> 49, 117 sgg.
28
« divina bonitas est finis improportionabiliter exce-
dens res creatas »: Summa, I, q. 25, art. 5. Cfr. anche III
Contra Gent", cap. 97, specialmente il capoverso « Sic igitur
quod Deus suam bonitatem amet, hoc necessarium est».
15
Cosi si escludono due errori opposti: quello di coloro
che credono che tutte le cose seguano la semplice volontà
[divina], senza ragione — errore che è proprio di certi
teologi musulmani, come attesta Mosè Maimonide —
per i quali non vi è differenza che il fuoco scaldi o raf-
freddi, se non perché Dio vuole cosi; e quello di coloro
che dicono che Pordine delle cause stabilito dalla divina
provvidenza è un ordine necessário [Contra Gent., III,
cap. 97].
29
Al modo di vedere di questi teologi Tommaso
vede connesso quello di coloro — e sono ancora teo-
logi musulmani, seguaci di al-Ash'ari (873-936) —
che negano alle creature ogni efficacia causale, si che,
per esempio, non il fuoco scalda, ma Dio produce il
calore quando è presente il fuoco (Contra Gent., III,
cap. 69). Questa opinione svuota la natura di ogni
forza e valore, toglie alle cose il loro spessore onto-
logico e_ lejriduce a semplici schermrdelPunicaazione
divina. Per questo Tommaso associa a quëstcTmodo
di vedere tutte le filosofie che hanno in qualche modo
svalutato la natura: dalla concezione umbratile della
natura propria di Platone a quelle di Avencebrol e
di Avicenna. Avencebrol infatti vedeva in ogni azio-
ne delle cose create solo Pespressione della volontà
30
divina . Per ciò che riguarda Avicenna, Tommaso
si riferisce alia teoria secondo la quale la decima
intelligenza, che è la vera reggitrice del mondo sublu-
nare, dà essa le forme sostanziali aile cose (Pespres-
sione dator form arum è tipicamente avicenniana). Il
29
Cfr. E . G I L S O N , Pourquoi saint Thomas cit., pp. 8 sgg.
30
« Propter has igitur rationes [le ha riferite prima]
ponit Avicebron, in libro Fontis vitae (II, 9; III, 44, 45)
quod nullum corpus est activum; sed virtus substantiae spi-
ritualis, pertransiens per corpora, agit actiones quae per cor-
pora fieri videntur»: III Contra Gent., cap. 69. Gilson
(Pourquoi saint Thomas cit., p. 28) rileva che Tommaso
riprende quasi ad verbum le espressioni della traduzione la*
tina di Avencebrol. Tale traduzione, compiuta da Gundissa-
lino, fu edita da Baeumker nei «Beiträge», I, 2-4, Münster
1895.
76
s
che vuol dire che nei processi naturali non sono
gli agenti corporei quelli che generano le nuove forme
sostanziali (e quindi producono la nuova sostanza che
sorge) ma è l'intelligenza agente quella che dà la nuo-
va forma che gli agenti naturali avevano solo preparato
31
la materia a ricevere . Per Tommaso invece sono-le
creature_che_operanq, sia_j)ure _sostenute nell'essere
e nelToperare^ da. Dio, e producono nuovi enti tra r
s fo r m a ndq_la ma t e ria. Egli interpreta quindi a suo
modo la dottrina agostiniana delle rationes semi-
nales, quella dottrina (derivata dagli Stoici) secondo
la quale Dio ha dato fin dalPorigine alla materia la
virtualità di svilupparsi e di dar luogo ai diversi
corpi. Come nel seme di un albero sono presenti
invisibilmente tutte le parti che si svilupperanno
successivamente, cosi furono presenti virtualmente
(potentialiter at que causaliter) nella materia fin dal-
Pinizio tutti i diversi corpi. Tommaso non nega le
rationes seminales, come in genere non nega lá^tesi
che si fondano sulPautorità di Agostino, ma le inter-
preta come Je capacita di agire che seguono la natura
stessa delle cose create, come « il principio attivo e
passivo della generazione delle cose viventi » e di
ogni altro ente della natura (Summa, I, q. 115,
art. 2), mentre si rifiuta di interpretarle come forme
incomplete preesistenti nella materia secundum quam-
dam quasi inchoationem (II Sent., dist. 18, q. 1,
art. 2). E alPobiezione che un corpo non può pro-
durre la forma sostanziale di un altro, poiché ammet-
tere questo sarebbe quasi attribuirgli una capacita
creativa, risponde che nelle generazioni dei corpi non
si créa una nuova forma, poiché ciò che esiste è il
composto, non la forma per sé, « Poiché il sorgere
è la via al Pes s ere (cum enim aliquid fiat ut sit),
ǰtt}Ç_la forma non è ente quasi che essa abbia
Pessere, ma perché per la forma ha Pessere il com-
31
AVICENNA,Metaphysica, I X , 6, citato da GILSON,
Pourquoi saint Thomas cit., p. 39, nota 2.
77
posto, cosi non sorge propriamente la forma, ma la
forma comincia ad essere quando il composto (il
corpo) passa dalla potenza all'atto, e Patto è la for-
ma » (Contra Gent., III, cap. 69).
Alla svalutazione platónica del mondo corporeo
Tommaso contrappone una affermazione della realtà
e del valore della natura creata in genere e della
natura corporea in ispecie: il mondo corporeo ha
per lui un suo proprio spessore ontologico. Questa
visione, che non avrei paura a chiamare nautralistica
si riflette poi nella concezione tomistica delPuomo e
nelPetica.
4. Il maie.
5. Il hello.
79
l'essere di tutti gli esistenti. Tommaso, nel com-
mento, dice che la bellezza è partecipazione della
32
Causa prima quae omnia pulchra facit e che « non
vi è nulla che non partecipi del bene e del bello,
poiché ogni cosa è bella e buona secondo la pro-
33
pria forma » . Gli studiosi di Tommaso si sono
chiesti se egli ponga o no il bello fra i predicati
trascendentali dell'essere, ed hanno risposto diver-
samente: per il no M. De Munnynck, per il sz, tra
gli altri, J. Maritain. Le diverse opinioni sono rife-
rite e discusse nel pregevole studio di Umberto Eco,
II problema estetico in Tommaso d'Aquino, al quale
rimandiamo. Tommaso stesso è molto laconico sul
bello. I punti fondamentali della sua dottrina (espo-
sta quasi incidentalmente, in testi assai brevi) ci sem-
br ano questi: il bello si distingue dal bene perché,
mentre bene. è_çiò che è oggetto di tendenza (appe-
titus)y bello è ciò la cui conoscenza suscita piacere.
34
Cosi nel Commento alio pseudo-Dionigi , cosi nella
Summa theologiae, dove si dice:
35
Il bello e il bene si identificano nel soggetto per-
ché si fondano sulla medesima realtà, cioè sulla forma,
e per questo ciò che è buono è lodato come bello. Ma
dièeriscono secondo l'aspetto sotto cui si considerano [sed
36
ratione dijferunt] 9 perché il bene si riferisce propria-
mente alla tendenza [appetitus] : è bene infatti ciò a cui
ogni cosa tende, e perciò il bene si présenta come fine
[habet rationem finis], poiché la tendenza è in certo modo
un movimento verso la cosa. Il bello invece si riferisce
alla facoltà conoscitiva: belle, infatti, si dicono le cose
che, vedute, piacciono [Summa, I, q. 5, art. 4, ad pri-
mum].
32
In librum Beati Dionysii De divinis nominibus expo*
sitio, a cura di C. Pera, Torino 1950, lectio V, n. 337.
33
Ivi, n. 355.
34
Ivi, n. 356.
35
Nel soggetto di questi predicati, cioè nella realtà.
36
II termine ratio è uno dei più polisensi e dei piîi
difficili da tradurre: metto quindi il termine latino fra pa-
rentesi per sottoporre la mia traduzione al giudizio del lettore.
80
In un altro passo della Summa theologiae Tom-
maso precisa:
I
J
I
•í
37
Come ritiene invece U. Eco, II problema estetico in
2
Tommaso d'Aquino, Milano 1970 , pp. 83 sgg.
38
In librum Beati Dionysii cit., lectio V, n. 339.
81
iv. l'uomo
82
/
il cristianesimo afferma che Puomo risorgerà alla fine
del mondo, cioè quando la volontà di Dio avrà posto
un termine alla storia umana. Come concepire la con-
tinuità fra la vita terrena, interrotta dalla morte, e
la vita dei risorti? Ad intelligere questa fede nella
resurrezione ben si prestava la dottrina sull'anima
affermatasi nel mondo greco con Platone. La
questo principio animatore inteso fino ad allora più
o meno materialisticamente, è concepito da Platone
come una realtà di natura diversa dai corpi, affine
al mondo delle idee, preesistenteal corpo e im mor-
tale. Basta pensare al Fedone. La concezione platô-
nica dell'anima è accettata generalmente dai Padri,
in particolare da Agostino che su questo tema è il
maestro indiscusso del medioevo latino. Alla morte
dell'uomo muore propriamente solo il corpo, ma
resta l'anima, che è una sostanza indipendente dal
corpo, anche se fatta per unirsi con questo. La
definizione agostiniana dell'anima è infatti: substantia
quaedam rationis particeps regendo corpori accom-
modai a (De quantitate animaey XIII, 22). L'anima
continuerà a vivere dopo la morte del corpo e lo
riprenderà poi alla resurrezione.
La conoscenza del De anima di Aristotele portò
un terremoto in questa concezione, e lo avrebbe por-
tato anche maggiore se, prima ancora del De anima,
non fosse stata conosciuta l'interpretazione che ne
dava Avicenna nel suo De anima o Uber sextus
1
naturalium. Avicenna infatti insegnò ai medievali
come si poteva essere (o credere di essere) aristo-
telici e credenti nell'immortalità personale. E lo inse-
1
L'aver letto un discreto numero di testi del sec. XIII
suirimmortalità desanima mi induce a dire: a tutti i medie-
vali del sec. XIII, non meno a Tommaso che ai Francescani,
anche se Tommaso modifico il più possibile in senso aristo-
télico la dottrina di Avicenna. Della parte più importante del
De anima di Avicenna (pars IV e V) abbiamo l'eccellente
edizione critica di S. Van Riet, con introduzione di G. Ver-
beke.
83
%
gnò inserendo una concezione neoplatonica dell'uomo
nella cornice aristotélica, adoperando termini aristo-
2
telici per esprimere una concezione platônica . II
De anima di Aristotele, infatti, definiva l'anima come
forma o entelechia del corpo (nella traduzione latina:
actus primus corporis physici potentia vitam habentis
— De anima, II, 412 a, 27-28), il che voleva dire
che faceva dell'anima il principio determinatore e
specificatore del corpo, non una sostanza distinta da
esso. A un'anima cosi concepita era un po' difficile
attribuire una vita indipendente dal corpo, e infatti
il De anima contiene per gran parte una biologia
filosofica e una fenomenologia della sensibilità, non
una dottrina sulFanima paragonabile a quella del
Fedone. Ma in alcuni capitoli del terzo libro, dal
quarto all'ottavo, si parla di quella parte delllanima
che conosce e riflette (qpQovel), lasciando in sospeso
se essa sia separabile o no, e, per spiegare la cono-
scenza, si distinguono un jntelletto,attiyo e un intel-
letto passivo (nadriTixóç). Il primo sta agli oggetti
come la luce ai colori, è separato, impassibile, non
mescolato alla materia, immortale ed eterno, il se-
condo è corruttibile (De anima, III, 430 a, 10 sgg.).
In che rapporto sta questo intelletto con .l'anima
che è forma del corpo? Poiché il testo aristotélico
è abbastanza oscuro, fin dall'antichità fiorirono inter-
pretazioni diverse di questo passo. Tra le più note
ricordiamo quella di Alessandro d'Afrodisia (III sec.
d. C.) che identifico l'intelletto attivo con una sostan-
za separata, anzi con Dio stesso, dalla quale è illu-
minato il nostro intelletto passivo, che risulta dalla
combinazione degli elementi del nostro corpo ed è
quindi mortale. Temistio (IV sec. d. C.) afferma che
l'intelletto attivo è parte dell'anima umana, ma non
si capisce bene se egli ritenga che vi sia un intelletto
2
Cfr. G . VERBEKE, Le « De anima » d'Avicenne. Une
conception spiritualiste de l'homme, in AVICENNA L A T I N U S ,
Liber De anima seu Sextus de naturalibus, Louvain-Leiden
1968, IV-V.
84
3
attivo per ogni singolo uomo o un solo intelletto
attivo per tutti gli uomini. Se passiamo dai greci agli
arabi sentiamo Avicenna affermare che nell'uomo vi
è una sostanza "cHe^apprende gli oggetti intelligibili
ricevendoli in sé (De anima, V, cap. 2), possiamo
quindi identificare questa sostanza con l'intelletto in
potenza del quale parla Aristotele; solo che Avicenna
lo interpretá come una sostanza, che è nell'uomo,
ma è incorporéa e indipendente dal corpo (il che è
molto platonico) e dimostra questa indipendenza del
principio intellettivo dal corpo basandosi su certi i
caratteri dell'oggetto intelligibile e sulla capacita che
l'intelletto ha di conoscere se stesso. L'oggetto intel-j
ligibile è indivisibile, è astratto « a quantitate desi-
gnata et ab ubi et a situ » (ivi, p. 89), ha una infi-
nità Potenziale (poiché l'universale è predicabile di
infiniti individui). La conoscenza di sé esclude che Z.
l'attività intellettiva si compia mediante un organo
corporeo, poiché questo farebbe da schermo fra l'atto
di intendere e l'oggetto inteso (ivi, pp. 93 sgg.).
Avicenna conclude che l'anima umana, in quanto
capace di conoscenza intellettiva, non è « impressa
nel corpo né ha l'essere mediante il corpo », ma è
lega ta al corpo da una affectio che la porta ad aver
cura del corpo ed a governarlo (ivi, p. 101). Siamo
molto vicini alla psicologia agostiniana, il che si spie-
ga poiché la fonte è la medesima: la filosofia neopla-
tonica. Ma il De anima di Avicenna si presentava
come una parafrasi aristotélica: si capisce quindi che
i latini del secolo XIII se ne servissero per assimilare
Aristotele. Avicenna non si limita ad affermare l'indi-
pendenza dell'anima razionale dal corpo: afferma che
essa ha avuto inizio per creazione: è stata creata
alio stesso momento del corpo, di quel corpo che
3
Cosl lo interpreta Tommaso nel De unitate intellectus,
giovandosene nella polemica contro Averroè. Cfr. G. VER-
BERE, Thêmistius et le « De unitate intellectus » de saint
Thomas, in T H É M I S T I U S , Commentaire cit., pp. XXXIX-LXII.
85
deve governare (De anima, V, cap. 3), sicché ogni
singolo uomo ha la sua anima la quale però non
muore alla morte del corpo (cap. 4).
L'intelletto umano che è in potenza ad intendere
e che, abbiamo visto, è proprio di ogni singolo uomo,
non passa all'atto — cioè non conosce effettiva-
mente — se non per opera di una causa che possieda
già in atto quel conoscere al quale il nostro intelletto
4
è in potenza ; tale causaèrintelligenza^agente, una
in t ell igenz a sepa rata, unica per_ tuttalaspeci eju ma n a,
che illumina le nostre singole anime.
Le immagini sensibili non fanno che preparare il
nostro intelletto umano a ricevere le nozioni univer-
sali, astratte dalle condizioni materiali (cap. 5). L'in-
telligenza agente è la medesima decima intelligenza
che presiede al mondo sublunare ed è « datrice di
5
forme » sia alia materia sia alla nostra intelligenza.
7
* Ad un commentatore che non parafrasasse Ari-
stotele, ma ne analizzasse il testo período per
periodo, come Averroé, una simile interpretazione
non doveva sembrare plausibile. Averroè mantiene
tuttavia, contro Alessandro d'Afrodisia, una inter-
pretazione spiritualistica delPattività intellettiva uma-
na, a costo però di spersonalizzarla. II torto di Ales-
sandro di Afrodisia è stato, secondo Averroè, quello
di ritenere che la definizione aristotélica dell'anima
come atto primo del corpo sia applicable univoca-
mente (cioè nel medesimo significato) all'anima vege-
tativa, sensitiva -e intellettiva; essa si applica invece
solo equivocamente all'anima intellettiva. E più pre-
cisamente l'intelletto in potenza, che Averroè chiama
materiale perché è in potenza a tutte le nozioni intel-
6
ligibili , ma è materiale come lucus a non lucendo,
4
Questa è una applicazione del principio aristotélico
omne quod movetur ab alio movetur.
5
Cfr. supra, p. 76.
6
Quello che Tommaso chiama intelletto possibile. Da
qui in avanti useremo questo termine per indicare quello che
la traduzione latina di Averroè chiama intelletto materiale.
86
poiché è assolutamente incorporeo e indipendente dal
1
corpo (neque corpus neque virtus in corpore) , non
è forma del corpo umano, ma è una sostanza sepa-
rata, unica per tutta la specie umana. Si noti la diffe-
renza fondamentale che c'era, per un Cristiano (e
anche per un credente musulmano) fra le due dottrine
di Avicenna e di Averroè: affermare Pesistenza di un
único intelletto agente, come Avicenna, voleva dire
ammettere che unico e separato è il principio che
illumina le nostre menti; affermare che unico e sepa-
rato è l'intelletto possibile voleva dire che unico e
separato è il principio per cui l'uomo è soggetto
conoscente. L'individuo umano, con la sua forma
sostanziale che è un'anima sensitiva, non è che un
animale più perfetto degli altri che, nell'atto di
conoscere intellettivamente, è per cosl dire toccato
dall'intelletto possibile separato (vedremo come), uni-
co spirituale e immortale, mentre l'individuo umano
muore per tutto se stesso. Si capisce quindi che
Cristiani ortodossi potessero seguire la teoria di Avi-
8
cenna , mentre l'accettare per vera la teoria di Aver-
roè portava fuori dell'ortodossia Essa fu tuttavia
7
AVERROIS CORDUBENSIS, Commentarium magnum in
Ar is tot élis De anima, a cura di F. S. Crawford, Cambridge
(Mass.) 1953, 1. I l l , comm. IV, rr. 8-9, il che ricorre spesso
nei comm. IV e V.
8
Con una modifica: quella di identificare l'intelletto
agente separato con Dio. E ci furono seguaci di questa dot-
trina: Guglielmo d'Auvergne, forse Ruggero Bacone, almeno
in un periodo della sua vita, e altri. E. Gilson ha chiamáto
agostinismo avicennizzante questa storia che identificava l'in-
telletto agente di Avicenna col Dio illuminante di Agostino
(Pourquoi saint Thomas cit., pp. 80-111).
9
Ho detto: l'accettare per vera, perché è dubbio se
quelli che si chiamano averroisti latini, come Sigieri di Bra-
bante, e sono cristiani, ritengano vera la teoria di Averroè,
o la ritengano solo l'esatta interpretazione di Aristotele, che
per loro impersona la filosofia. È dubbio cioè se gli aver-
roisti latini seguano una dottrina eterodossa, rifiutando la
rivelazione cristiana, o siano cattolid credenti, ma fideisti, e
ritengano che la ragione porterebbe alle conclusioni di Aver-
roè, ma si affidano alla rivelazione anche contro le conclu-
sioni della « filosofia ». Bruno Nardi seguiva questa seconda
87
seguita da un gruppo di maestri della Facoltà delle
Arti, il più noto dei quali è Sigieri di Brabante. Si
formò quindi nell'Università di Parigi, fra il 1265 e
10
il 1270, una corrente averroistica , contro la quale
polemizzarono vivacemente i teologi, anche perché,
a quanto pare, mentre i dotti discutevano i problemi
filosofici, la gente che li conosceva solo per sentito
dire ne traeva subito conclusioni spicciole, come quel
soldato di cui riferisce Guglielmo di Tocco nella sua
Hystoria beati Tbomae (n. 19), il quale, interrogato
se volesse far penitenza dei suoi peccati, rispose: se
è salva l'anima di san Pietro mi salverò anch'io,
visto che siamo tutt'uno.
Polemizzarono i teologi, ho detto: Bonaventura
e altri francescani non meno di Tommaso, anche se
con stile diverso: uno stile più teologico, con la
segnalazione degli errori contro la fede ai quali por-
tava Paverroismo, da parte di Bonaventura, specie
nelle Collat ion es in Hexaemeron, uno stile più filo-
interpretazione deiraverroismo. F. Van Steenberghen distin-
gue Taristotelismo radicale di Sigieri di Brabante dall'aver-
roismo del sec. XIV, che ha il suo più noto rappresentante
in Giovanni di Jandun e solo in questo secondo momento
deiraverroismo vede una consapevole eterodossia. Cfr. T.
GREGORY, Discussioni sulla « doppia verità», «Cultura e
Scuola », 1962, pp. 99-106. Certo non è facile determinare
precisamente cosa fosse l'averroismo del secolo XIII, perché
molti scritti averroistici furono distrutti ed è difficile rico-
struire una dottrina da tesi enumerate nelle condanne di
allora. Le 219 tesi _condannate a Parigi nel 1277 compren-
dono tesi tipicamente averroistiche e tesi che potremmo chia-
mare radicalmente naturalistiche, specie per ciò che riguarda
•Ja morale. Sarebbe un po' come se uno dovesse ricostruire la
teoria di Freud da Eros e civiltà di Marcuse o dai vari scritti
.che parlano vagamente di psicanalisi e delle sue pretese con-
seguenze etiche.
10
F . V A N STEENBERGHEN, Siger de Brabant d'après ses
oeuvres inédites. II: Siger dans l'histoire de Varistotelisme,
Loûyain 1931-42, ritiene più esatta la denominazione aristo-
telismo eterodosso o radicale. Si veda anche dello stesso
autore, La philosophie au XIIIe siècle, Louvain-Paris 1966,
e gli altri scritti deirautore citati nella bibliografia di questo
volume.
88
sofico da parte di Tommaso, sia nella Contra Genti-
les sia, e specialmente, nel De unitate intellectus,
dove egli cerca di dimostrare che la teoria di Averroè
è errata non solo sul piano teoretico, ma anche su
quello delPesegesi aristotélica, valendosi delle inter-
pretazioni di altri commentatori e specialmente di
Temistio. E qui si vede un'altra difïerenza fonda-
mentale fra Tommaso e Bonaventura nella polemica
antiaverroistica intorno al 1270: per Bonaventura
l'averroismo è la lógica conseguenza della dottrina
di Aristotele, per Tommaso è una errata interpreta-
zione di Aristotele. Chi dei due avesse ragione sul
piano esegetico non so, e forse su questo piano sarei
più vicina a Bonaventura, ma è da rilevare che men-
tre Tommaso, in questo fedele discepolo di Alberto
Magno, intende valorizzare la « nuova » filosofia,
Bonaventura ne indica solo le insidie e si richiama
n
a Platone .
Certo la conoscenza del De anima di Aristotele
poneva ai cristiani del secolo XIII questo problema:
è possibile pensare aristotelicamente, cioè come forma
sostanziale del corpo, l'anima di cui parla il Vangelo,
l'anima che si salverà o si perdera in eterno, l'anima
che Agostino ha insegnato a concepire come una
sostanza spirituale? Più o meno tutti si posero que-
sto problema nel secolo XIII, Alberto Magno non
meno di Bonaventura, anche se non tutti diedero la
medesima risposta.-È il problema che troviamo formu-
lato da Tommaso nel primo articolo della Q. d. De
anima: Utrum anima humana possit esse forma et
hoc aliquid: se l'anima possa essere insieme forma
del corpo e sostanza per sé sussistente. Tutti i teo-
logi del secolo XIII rispondono affermativamente,
ma diverse sono le giustificazioni: sî, perché l'anima
umana è a sua volta composta di materia e forma ed
11
Sulla crisi determinata dalla conoscenza di Aristotele
nel secolo XIII si veda T. GREGORY, Filosofia e teologia nella
crisi del XIII secolo, « Belfagor », XIX, 1964, 1.
89
eleva un corpo, che ha già una sua forma subordi-
nata, ad essere suo corpo, corpo umano — risponde
Bonaventura e la maggior parte dei teologi france-
scani —. Tommaso non accetta questa risposta:
l'anima umana è secondo lui pura forma (non com-
posta di materia e forma), ma forma sussistente, pur
essendo única forma delPuomo.
Fermiamoci ora un momento su ciascuna di que-
ste affermazioni.
L'anima umana è forma sussistente (e in questo
senso hoc aliquid) cioè ha Pessere in proprio, per
dir cosi, non partecipa soltanto dell'essere del singolo,
come le altre forme dei corpi. In un albero (e cosi
in ogni ente infraumano) chi esiste è l'albero, non
la sua forma sostanziale, la quale esiste in quanto
esiste l'albero di cui è forma; nell'uomo invece esiste
l'anima. E questo Paspetto platonico dell'antropolo-
gia tomistica. Per giustificarlo Tommaso riprende
una affermazione di Aristotele: nel primo libro De
anima (403 a, 10-12) Aristotele dice infatti: « Se vi
è una attività o una passione che sia propria del-
l'anima, potrà l'anima stessa essere separata. Se invece
non ha nessuna attività che le sia propria, non sarà
separabile ». L'enunciazione di Aristotele è una enun-
ciazione ipotetica; per trarne un argomento in favore
dell'indipendenza dell'anima bisognava farla seguire
da una minore che dicesse: ora vi è una attività
propria dell'anima sola — e questa minore in Ari-
stotele non c'è.. « Separata » è secondo Aristotele
l'attività intellettiva, ma di chi è propria taie atti-
vità? delPuomo singolo o di un intelletto unico,
come pensava Averroè? La minore, come abbiamo
visto, JTommaso Ja trovava in Avicenna: « I I prin-
cipio intellettuale che si chiamaspirito{mens) o intel-
letto ha una attività alla quale il corpo non parte-
cipa. Ora non può operare per sé se non ciò che
sussiste per sé [...]. Dunque 1'anima umana, che si
chiama anche intelletto o spirito, è qualcosa di incor-
poreo e di sussistente » (Summa, I, q. 75, art. 2). Fin
I
C)0 ^
!
>A !> i ivfJ l t f t i ^ i X ßÀ s^ C^ '^ (AU-
I.VDU l
dallo Scriptum sulle Sentenze (II Sent., dist. 19,
q. 1, art. 1) Tommaso aveva argomentato cosl ed
aveva indicato tre tipi di attività alle quali non può
partecipare il corpo: la conoscenza di tutti i c o r p i / Z l í ^ ^
la conoscenza per concetti universal^ Pautocoscienza, /\,./ /
fermandosi specialmente su questa terza attività e
citando esplicitamente Avicenna come fonte. Abbia-
mo visto prima che anche sulla conoscenza per con-
12
cetti universali faceva leva Avicenna . Sulla capacità
di conoscere tutti i corpi, invece, insisteva Averroè
per dimostrare Pincorporeità dell'in teilet to
Se l'anima umana è forma subsistens, cioè ha
Pessere per sé, indipendentemente dal corpo, essa
sarà anche immortale (Summa, I, q. 75, art. 6; Con-
tra Gent., II, capp. 55 e 79). L'argomento principale
per giustificare questa affermazione è desunto da
Avicenna, sia pure con una notevole semplificazione
delPaggrovigliato discorso avicenniano (De anima,
V, cap. 4) e suona cosi: una cosa può corrompersi
o per sua natura (per je) o perché dipende da una
realtà corruttibile (per accidens); è corruttibile per
sua natura il corpo, composto di materia e forma,
perché può trasformarsi in un altro corpo, di diversa
specie (come il legno che brucia, per esempio), è
corruttibile per. accidens la forma non sussistente
(come è quella di un albero) o l'accidente. Quando
l'albero brucia, vengdho meno la forma sostanziale
12
Autocoscienza e conoscenza per concetti universali
sono addotte come prove delia indipendenza dal corpo anche
nel cap. 49 del II libro Contra Gentiles che riassume in
buona parte gli argomenti di Avicenna nel II capitolo della
parte V De anima.
13
Commentarium magnum in De anima, III, comm. IV.
L'argomentazione si fonda su una psico-fisiologia secondo la
quale Pesser _determinato. _ ad una. specifica _ forma corporea im-_
pedir ebbe di riceverele altre forme. Anche se questa consi-
derazione^che oïtre tutto confonde il ricevere fisicamente col
ricevere intenzionalmente) ci sembra la meno persuasiva, essa
dové invece sembrare convincente a Tommaso che la adduce
per prima nella Summa theologiae.
91
dell'albero e il colore del suo tronco, non perché
muoiano la forma e il colore, ma perché sia la forma
sostanziale delPalbero come il suo colore non pos-
sono esistere se non come modi di essere dell'albero.
Ora l'anima umana in quanto forma non può corrom-
persi per se, poiché la forma è principio dell'essere
(esse autem per se convertit formae, quae est actus),
e in quanto sussistente non può venir meno per
accidensy quindi è per sua natura incorruttibile (Sum-
ma, I, q. 75, art. 6). E poiché ha una natura incor-
ruttibile perché cosi l'ha creata Dio, neppure Dio le
toglierà la vita. A questo proposito Tommaso scrive
la frase che abbiamo già ricordata: Deus, qui est
institutor naturae, non subtrahit rebus id quod est
proprium naturis ear um (Contra Gent., II, cap. 55).
Anche Averroè aveva affermato la spiritualità e
l'immortalità dell'intelletto possibile, ma si trattava
di un intelletto unico e separato; Tommaso invece
vuol dimostrare la spiritualità e l'immortalhà del-
l'anima di ogni uomo, quindi, dopo aver detto che
l'anima "umana è una forma sussistente, afferma che
tale anima, proprio quella che è principio di attività
intellettiva (la mens, come l'ha chiamata prima con
termine agostiniano) è forma del corpo. La_forma,
i n fatti, . è_Jl_principio d e te r m i natore dell 'essenza di
una cosa, è c i ò per cut una cosa è quella che è, e
quindi è anche ciò per cui un a cosa ha la propria
attività^ ora Vinteiii gere, il conoscere intellettivo, è
attività dell'uomo, quindi il principio intellettivo è
ciò per cui l'uomo è uomo, è la sua forma sostan-
ziale. L'obiezione platónica a questa argomentazione
potrebbe essere questa: l'uomo è uomo per l'anima,
anzi l'uomo è l'anima — ego animus, diceva Ago-
stino — un'anima che, poi, va a governare un corpo.
92
Ma la prima ipotesi non regge, perché è il medesimo
uomo quello che ha coscienza e di conoscere intellettiva-
mente e di sentire; ora il sentire implica il corpo [ipse
idem homo est qui percipit se et intelligere et sentire:
sentire autem non est sine corpore]; e perciò il corpo fa
parte dell'uomo [Summa, I, q. 76, art. 1 ] ,
14
Subiectum nel senso di soggetto di attributi, ossia
sostanza.
15
Ho cercato di stare il più vicino possibile alla tradu-
zione latina del testo di Averroè; in termini più accessibili
oggi potremmo tradurre: il sentire si attua corne rapporto in-
tenzionale ad un oggetto e corne modificazione reale del
senziente.
16
In termini husserliani tradurremmo: il concetto si
attua come noema e come noesi. Per Averroè si attua corne
noema nella cosa, come noesi neU'intelletto.
93
golo individuo umano. Cosi 1'individuo umano di ven-
ta partecipe déll'intelligenza, per continuationem in-
tellecti, perché a lui si unisce Yintellectum (non
Y intellectus, si badi, ma Yintellectum, l'inteso, il
17
noema) che è astratto dall'immagine che è in lui .
A questa teoria Tommaso obietta che se l'intel-
letto possibile si unisce ai singoli uomini nell'atto
conoscitivo per continuationem intellecti, l'uomo in-
dividuo, che fornisce all'intelletto separato l'imma-
gine, sarebbe conosciuto e non conoscente (Contra
Gent., II, cap. 59). Averroè aveva ricordato la pro-
porzione aristotélica: l'intelletto sta al senso come
il senso sta alla cosa, e Tommaso osserva che, come
la cosa è sentita, e non senziente, cosi chi fornisce
all'intelletto l'immagine sensibile è conosciuto, non
conoscente (De unit, intellectus, cap. I l l , par. 66).
Ma se Averroè si trovava in difficoltà a spiegare
come l'uomo singolo conosca intellettivamente, Tom-
maso si trovava in difficoltà a conciliare due tesi in
apparenza contraddittorie: l'anima umana è sussi-
stente, l'anima umana è forma del corpo. E tanto
più contraddittorie in quanto egli afferma (tesi che
desto scandalo) che l'anima, la mens, è l'unica forma
dell'uomo. Che la mens fosse l'unica anima, che non
ci fossero nell'uomo tre anime (vegetativa, sensitiva,
intellettiva) era comunemente ammesso dai teologi
del secolo XIII, ma tutti (salvo, credo, Alberto
Magno) ammettevano che l'anima intellettiva si unis-
se a un corpo già formato, che nell'uomo ci fossero,
1S
precisamente, anima e corpo . Tommaso afferma
invece che l'anima intellettiva è l'unica forma sostan-
ziale nell'uomo, il che voleva dire che l'anima intel-
lettiva non è solo il principio per cui l'uomo conosce
intellettivamente, ma è anche ciò per cui l'uomo ha
17
Comm. magnum in De anima, III, comm. 5, righe
379-394 e 501-527.
18
Si veda in proposito R. ZAVALLONI, Richard de Me-
diavilla et la controverse sur la pluralité des formes, Lou-
vain 1951.
94
un determinate) colore degli occhi; voleva dire sotto-
lineare al massimo Punità dell'uomo in tutti i suoi
aspetti. Tommaso ritiene che questa sia la conclu-
sione logica della tesi che l'anima è atto primo,
forma sostanziale del corpo. La forma sostanziale è
infatti quella che dà l'essere simpliciter, fa che una
cosa sia, sia un ente determinato; ora se l'anima
intellettiva si unisse a un corpo già formato, ossia
già esistente come corpo cosl e cosl determinato,
essa potrebbe modificare quel corpo, dargli un nuovo
aspetto, ma non potrebbe farlo essere, e quindi non
sarebbe più forma sostanziale (Summa, I, q. 76,
art. 4). Tommaso ritiene che l'aver portato a questa
estrema conclusione la teoria dell'anima-forma aiuti a
risolvere il contrasto fra il concetto dell'anima-so-
stanza e quello delPanima-forma, anziehe renderlo
più acuto. Non ci sono infatti nell'uomo due esseri:
quello dell'anima e quello del corpo, poiché il corpo
ha l'essere dall'anima. L'anima, forma sussistente,
comunica il suo essere al corpo (Summa, I, q. 76,
art. 1, ad quintum) anzi fa essere il corpo, facit
ipsum [corpus] actu esse (Contra Gent., II, cap. 69;
cfr. De anima, art. 1, ad primum\ art. 9). « È neces-
sário dire che per la forma sostanziale, che è la
forma umana, questo individuo ha non solo di essere
uomo, ma di essere animale, di essere vivo, di esser
corpo, di esser sostanza, di esser qualcosa » (Q. d.
De spiritualibus creaturis, art. 3). Fu questa la teoria
che scandalizzò i teologi conservatori, suscito una
burrascosa discussione con Giovanni Peckham a
Parigi, e fu poi condannata a Oxford nel 1277 da
R. Kilwardby e nel 1286 da Giovanni Peckham,
divenuto arcivescovo di Oxford.
Le obiezioni a questa teoria erano sia di carattere
teologico sia di carattere filosofico; queste ultime si
riassumevano nel rimprovero di legare eccessivamente
l'anima al corpo. Ma la teoria dell'anima come unica
forma dell'uomo aveva il vantaggio di eliminare
molti pseudoproblemi dalla psicologia filosofica, pro-
95
blemi che aduggiarono anche la filosofia moderna
dopo Cartesio, e cioè tutti quelli che si pongono sul
come Y anima si unisca al corpo. Tali problemi sup-
pongono infatti la concezione desanima e del corpo
come due sostanze che in qualche modo debbono
pur unirsi nell'uomo, mentre per Tommaso l'uomo
è una sostanza, di cui l'anima è la forma, ossia il
principio determinatore. II problema sara caso mai
quello di dimostrare che la forma sostanziale del-
1'uomo è una forma sut generis, capace di sussistere
anche indipendentemente dal corpo. Abbiamo accen-
nato a come Tommaso, giovandosi specialmente di
Avicenna, dimostri che l'anima umana è una forma
subsistens; egli si rende però conto della difficoltà
di tale dimostrazione quando afferma che, per cono-
scere la natura dell'anima (e quindi anche il suo
carattere di forma subsistens), occorre una ricerca
paziente e sottile (diîigens et subtilis inquisitio,
19
Summa, I, q. 87, art. I) , quando riconosce la
difficoltà di pensare una vita dell'anima separata dal
corpo (Contra Gent., II, c. 81). Per questo è tanto
necessaria la Rivelazione.
Tommaso tuttavia cerca di chiarire la polarità
di questi due aspetti dell'anima — forma e sostan-
za — ricorrendo alla distinzione fra l'essenza del-
l'anima e le sue facoltà o potenze. Ogni ente infatti
che non sia atto puro, che non sia già attività per
la sua stessa essenza, ha in sé una complessità, una
struttura, direi una articolazione che spiega la mol-
teplicità e il progresso della sua attività (Summa, I,
q. 54, art. 1; q. 77, art. 1; Q. d. De spirit. créât.,
19
Che il soggetto conoscente sia corporeo è un dato:
« percipit se intelligere et sentire, sentire autem non est sine
corpore »; che certi caratteri della conoscenza dimostrino che
nelî'uomo c'è un elemento indipendente del corpo va ditno-
strato; la naturalità dell'uomo è un dato, la sua spiritualità
è un dimostrato. Siamo in una posizione notevolmente di-
versa da quella di Agostino e addirittura antitetica a quella
cartesiana.
96
art. 11 ; De anima, art. 12). Tommaso chiama potenze
o facoltà queste qualità diverse dei soggetti operand,
e quindi anche delFuomo. Le facoltà di un soggetto,
e quindi anche dell'uomo, sono espressione di ciò
che definisce la sua essenza, ossia della sua forma
sostanziale. Ora ljanima umana,j:he è_fonna ctel cor-
po, moite facoltà che operano solo neLcorgo,
mediante organi corporei, ma poiché non si esau-
risce nel suo "a t tu are la materia^ e costituire il corpo
(non est forma in materia corporate im mersa vel ab
ea totaliter comprehensa, Summa, I, q. 76, art. 1,
ad quartum) può avere una facoltà, l'intelletto, con
la quale opera indipenden temente dal corpo.
97
cazione spirituale in virtù della quale nell'organo di senso
ci sia la presenza intenzionale della forma sensibile [per
quam intentio formae sensibilis fiat in organo sensus];
altrimenti, se per la sensazione bastasse la sola modi-
ficazione física, tutti i corpi naturali sentirebbero quando
fossero modificati [Summa, I, q. 78, art. 3].
i
98
mente con l'intelletto) se non è determinato a cono-
scere da qualcosa di esteriore (esteriore non in senso
spaziale, ma nel senso di altro da sé). Se volessimo
adoperare una terminologia cartesiana, per distin-
guere appunto la dottrina tomistica da quella di
Cartesio, diremmo: per Tommaso l'anima non pensa
sempre; pensa quando qualcos'altro la determina a
pensare. Tommaso afferma infatti che solo Dio, atto
puro, è pensiero attuale di tutto l'essere; l'intelletto
di una forma pura (l'angelo) è si pensiero attuale,
ma limitato; l'intelletto umano, facoltà di una forma
che è sussistente ma attua una materia — infimo
nell'ordine delle intelligenze — è per sé capacità di
conoscere, non conoscere in atto, e conosce attual-
mente solo quando è determinato da un oggetto
(Sumrna, I, q. 79, art. 1).
Da quale oggetto? È ancora la natura dell'uomo
che ce lo suggerisce, poiché l'oggetto è proporzionato
alia facoltà conoscitiva. Ora vi sono facoltà cono-
scitive che sono atto di un organo corporeo — come
la vista è atto dell'occhio — e sono quelle che chia-
miamo sensi; vi sono facoltà conoscitive che sono
proprie di intelligenze affatto separate dal corpo (gli
angeli) e vi è una facoltà conoscitiva, come è il nostro
intelletto, che non è atto di un organo corporeo, ma
è tuttavia facoltà di un'anima che è forma del corpo:
è la facoltà, emergente dalle condizioni della corpo-
reità, di un'anima che è insieme forma del corpo e
forma sussistente. Ad una tale*facoltà corrisponde
come oggetto il mondo corporeo, ma consider ato
attraverso concetti universali, considera to astratta-
mente. II termine ' astratto * astrattamente \ ha per
Tommaso d'Aquino un significato ben diverso da
quello nostro usuale, di derivazione hegeliana; per
Tommaso considerare astrattamente vuol dire consi-
derare con distacco, prescindendo dalle condizioni
che fanno dell'oggetto considerato un questo, che
mi prende hic et nunc.
99
20
È proprio dell'intelletto umano conoscere la forma
che esiste, si, individualmente nella materia corporea,
ma consideraria non cosi come è in tale materia.
21
Ora
conoscere ciò che è nella materia individuale , ma non
cosi come è in tale materia, vuol dire astrarre la forma
dalla materia individuale, che è rappresentata dall'imma-
22
gine [phantastna] ; e perciò si deve concludere che il
nostro intelletto conosce le cose materiali per astrazione
dalle immagini sensibili, e mediante le cose materiali
cosi considerate perviene ad una certa conoscenza delle
realtà immateriali \_Summa> I, q. 85, art. 1].
101
quale è astratta la species, e cosi ha una certa cono-
scenza dei singolare». II che vuol dire: Tintelletto
umano non conosce 1'individuo nella sua individua-
lità, ma ha coscienza che quello di cui si forma una
nozione universale (indeterminaia) è quello stesso che
gli è sensibilmente presente, o gli è presente nella
sua immagine. Ciò che Tintelletto conosce e intende
conoscere è Tindividuo (conosciamo cose e non con-
cetti, Summa, I, q. 85, art. 2), ma non arriva a cono-
scerlo nella sua individualità: sa per esempio che
gli uomini esistenti, che vede, incontra, conosce dalla
storia, sono razionali, e dice: — questo di cui ho
una immagine, diretta o indiretta, è razionale (e ha
tanti altri predicati, ma sempre universali) — ma
non sa fino in fondo, ossia fino airindividualità, che
25
cosa sia quest^omo .
E poiché Tintelletto procede dal confuso al di-
stinto, anche la conoscenza delle differenze specifiche
26
ci sfugge per lo piü . Ci avviciniamo ad essa col
giudizio e il ragionamento. Col giudizio (componere
et dividere) infatti aggiungiamo via via nuove note
alPoggetto prima concepito confusamente, e cosi lo
25
Due sono dunque i motivi per i quali Tommaso nega
che il nostro intelletto conosca Tindividuo: uno, che po-
tremmo chiamare fenomenologico, è che il nostro intelletto
è imperfetto, procede dal confuso al distinto, quindi dal piü
universale aí meno universale, senza_esaurire mai tutta J[a
ricchezza dell^ndividuo; Taltro è il resíduo della~~cõncezióne
greca (platônica e~aristotelica) delia matéria come realtà inin-
telligibile, conceziòne in contrasto con quella biblica di Dio
creatore di tutto Tessere, sl che non c h nulla che sia in sé
totalmente inintelligibile. Dio conosce infatti Tindividuo per-
che è causa anche delia matéria.
26
Fin dal De ente et essentia Tommaso afferma che
« nelle cose sensibili ci sono ignote le differenze essenziali, e
perciò le indichiamo attraverso le differenze accidentali che
da quelle derivano, come indichiamo la causa attraverso
fetto: per esempio diciamo che 1'esser bipede è differenza
dell'uomo » (cap. 5, a cura di Roland-Gosselin, p. 40, 6-10).
II Roland-Gosselin cita in nota altri quattordici testi tomistici
nei quali torna la rnedesima affermazione. E se ne potrebbero
citare altri: per es. In Anal. Post.t lib. I, lectio 4, n. 43 bis.
102
determiniamo. Ma Tommaso è molto piü ottimista
di Galileo sulla possibilita per Puomo di conoscere
le essenze specifiche, e talora sembra che il giudizio
serva non per approssimarci sempre meno imperfei-
tamente alPessenza delle cose, ma per aggiungere
determinazioni accidentali ad una essenza che co-
nosciamo già. Per esempio, dopo aver sentito che
l'intelletto umano «poiché passa dalla potenza al-
l'atto [...] non afferra subito alia prima appren-
sione un concetto perfetto delia cosa, ma prima
apprende qualcosa (aliquid) delia cosa stessa » (Sum-
ma, I, q. 85, art. 5), ci aspetteremmo che il discorso
proseguisse dicendo che si passa dal piü al meno ge-
nerico, e inveçe il testo prosegue cosi: « per esempio,
apprende prima Pessenza delia cosa, che è il primo
e proprio oggetto delPintelletto, e poi conosce le pro-
prietà, gli accidenti e i rapporti che derivano dalPes-
senza (letteralmente: che circondano Pessenza: cir-
cumstantes essentiam rei)». C'è indubbiamente in
Tommaso d'Aquino Poscillazione fra Papplicazione
del concetto di un intelletto che deve faticosamente
approssimarsi al reale, e al quale moltissimo del reale
sfugge, e la persuasione comune alPambiente cultu-
rale in cui vive, secondo la quale Pintelletto « legge-
rebbe » immediatamente nella natura le essenze delle
27
cose .
Vediamo ora quali siano le condizioni del cono-
scere cosl descritto. Piatone affermò che Poggetto in-
telligibile esiste come tale, separato dal sensibile: co-
noscere intellettivamente è quindi per Piatone un in-
tuire le idee e un ricordare Pintuizione avuta nel
mondo intelligibile; chi invece, come Aristotele, non
accetti la teoria platónica delle idee, e ritenga che
Pintelletto umano assuma Pintelligibile dal sensibile,
27
Questa oscillazione si vede anche nel modo in cui
Tommaso spiega la tríplice divisione del sapere teoretico in
física, matematica, metafísica. Cfr. di chi scrive Vunità del
sapere secondo S. Tommaso d'Aquino, « II Pensiero», X,
1965, pp. 7-22.
103
deve ammettere che il dato sensibile, che è Tunico
nostro contatto immediato col reale, sia reso in qual-
che modo intelligibile, sia messo per dir cosi alla
portata delPintelletto. Ora secondo Aristotele, cosi
come è interpretato da Tommaso, oggetto intelligi-
bile è l'universale, e non esistono universali in rerum
natura, poiché tutto ciò che esiste è individuo; ren-
dere intelligibile — facere intelligibilia actu — vuol
dire dunque universalizzare, astrarre dalle note indi-
viduanti, e questa è la funzione deH'intelletto agente
28
(Summa, I, q. 79, art. 3) . Aristotele aveva parlato
di un intelletto attivo, al quäle spetta fare tutto;
Avicenna aveva interpretato questo intelletto attivo
come una intelligenza separata che illumina l'oggetto
sensibile, ne astrae l'aspetto intelligibile, la species,
e la offre alttntelletto possibile (cioè propriamente
conoscente) dei singoli uomini: è datore di forme in-
telligibili ai nostri intelletti; Tommaso accetta la teo-
ria di un intelletto agente che astrae Taspetto intel-
ligibile dal sensibile e cosi facit intelligibilia actu,
ma fa di questo intelletto agente una facoltà desani-
ma umana. E giustifica questa affermazione col prin-
cipio che ogni natura creata deve avere in sé le fa-
coltà che le sono necessarie per compiere le attività
che le sono proprie (Summa, I, q. 79, art. 4).
Abbiamo già detto che alcuni teologi del secolo
XIII, quelli che Gilson chiama gli agostiniani avicen-
nizzanti, identificavano Pintelletto agente separato di
Avicenna col Dio illuminante délia tradizione agosti-
niana. Altri — fra questi Bonaventura e Alberto
Magno — ammettono nelPanima umana un intelletto
agente, ma ritengono che a spiegare la conoscenza
intellettuale sia necessaria anche una speciale illumi-
nazione divina. Tommaso afferma che certo « è ne-
cessário ammettere al di sopra dell'anima intellettiva
28
NelPart. 3 si dice: « per abstractionem specierum a
conditionibus materialibus »; nell'art. 4 si dice: « abstrahere
formas a conditionibus particularibus » — e si capisce poiché,
come abbiamo detto, l'individuazione viene dalla matéria.
104
uniàna uri intellettò superiore dal quale 1'anima ri-
ceva la Cãpacità <íi intendere. Sempre, infatti, ciò che
partecipa di Ufta perfezione, ciò che è mutevole, ciò
che è imperfetto presuppone come anteriore a sé qual-
Cosa che sia tale per essenza, che sia immutabile e
perfetto. Ora Panima intellettiva umana partecipa
delia virtù intellettiva, — come si vede dal fatto che
non è intelligente per tutta se stessa, ma per una parte
di sé — e perviene alia conoscenza delia verità per
via di discorso e di movimento, argomentando. Ed
ha pure una intelligenza imperfeita, sia perché non
sa tutto, sia perché, anche nelle conoscenze che ha>
procede dalla potenza all'atto. Deve dunque esservi
una intelligenza più alta, dalla quale l'anima è soste-
nuta nelPintendere » (Summa, I, q. 79, art. 4). E
questa intelligenza più alta è Dio. Ma Dio non sosti-
tuisce FïnteHetto agente umano; Dio è. colui che dà
alPuomo J[!mt elle tto_ agente, o s siach e_d à al l'u o m q i l
potere di iüuminare il sen sibile, di render presentg
il suo aspetto intelligibileTjQuesta è la posizione che
Tommaso assume di fronte alla teoria agostiniana
deirilluminazione. Al problema infatti se Tuomo co-
nosca !e cose nelle idee divine (in rationibus aeternis)
egli risponde che se le idee divine sono intese come
Yoggetto conosciuto, Puomo non conosce le cose nelle
idee divine; se invece le idee divine sono intese come
il principio delia conoscenza, allora bisogna dire che
Tuomo conosce tutto nelle idee divine « poiché il
lume intellettuale, che è in noi, non è altro che una
similitudine partecipata délia luce increata nella quale
sono contenute le eterne idee » (Summay I, q. 84,
art. 5. Cfr. Q. d. de spirit. creaturis, art. 10). Era
questo un modo di intendere la teoria delPillumina-
zione che ne capovolgeva totalmente il significato. Se
29
ne accorse bene Bonaventura il quale, trattando il
medesimo problema nella quarta delle Quaestiones
29
Opera omnia, Ad Claras Aquas 1882-1902, vol. V,
PP- 17 sgg.
105
disputatae de scientia Chris ti osservò che, se l'in-
telletto divino fosse soltanto la causa efficiente del
nostro conoscere, Dio sarebbe detto fonte di sapienza
alio stesso titolo e nello stesso senso in cui si dice
fecondatore della terra; ossia non ci sarebbe un rap-
porto piü immediato fra Dio e il nostro conoscere
di quello che c'è fra Dio e un qualsiasi altro processo
naturale. Secondo Tommaso un rapporto piü stretto
fra il nostro conoscere e Dio c'è — anch'egli am-
mette una gerarchia nel creato — ma questo rapporto
passa, per dir cosi, per la natura del nostro spirito.
Neila Q. d. de spiritualibus creaturis (art. 10 ad octa-
vum) Tommaso precisa ulteriormente la sua posizione
di fronte alia teoria deH'illuminazione. La tesi avver-
saria è che vi è un único intelletto agente per tutti gli
uomini, e un argomento per giustificare questa tesi è
30
desunto da testi di Agostino . Tommaso, nella ri-
sposta, si propone di « scrutare piü profondamente
il pensiero di Agostino » e lo colloca storicamente.
Dopo aver parlato della teoria platónica delle idee,
nata da una radicale sfiducia nei sensi, dice:
«
UtViiUU
luogo dimostrò che, oltre ai sensi, vi è una facoltà intel-
lettiva che giudica sulla verità non in virtü di oggetti
intelligibili esistenti separatamente, ma in virtü delPin-
telletto agente che rende intelligibile Poggetto. Ma non
c'è poi una gran differenza [non multum autem refert]
fra ii dire che ci sono dati da Dio gli oggetti intelligibili
e il dire che ci è dato il lume per rendere intelligibili
gli oggetti.
107
dire in sostanza che Tuna e l'altra teoria possono es-
sere seguite da un cattolico, che non ne va di mezzo
nessuna verità di fede.
Il passo che abbiamo riferito indica un'altra dif-
ferenza fra la teoria agostiniana deirilluminazione e
la teoria tomistica: la prima spiega la conoscenza
delle verità necessarie (delle proposizioni necessarie
e universali), la seconda spiega la formazione dei
concetti universali; si pone, diremmo, a monte délia
conoscenza delle verità necessarie, poiché la propo-
sizione universale e necessaria è quella che ha corne
soggetto logico un concetto universale; proposizioni
universali sono quelle che attribuiscono un predicato
non a questo o quelPindividuo, ma a una quidditas
espressa da un concetto universale.
3. Volontà e libertà.
32
Summa I, q. 80, art. 2.
33 a ae
Summa I II , q. 8, art. 1.
108
i i bfstUkí^ijv-:
sensitiva, anche la tendenza è solo sensitiva (appé-
tit us sensitivus): è l'impulso animale alla conserva-
zione e a tutto ciò che è necessário alla conservazione
individuale (cibo) o delia specie (sesso). Dove c'è
intelligenza, come nelPuomo, vi è, oltre la tendenza
sensitiva, anche una tendenza che segue la conoscenza
intellettiva, e questa è la volontà. E come la carat-
teristica dell'intelletto è la conoscenza dell'universale,
cosi la caratteristica delia volontà è quella di ten-
dere ad un oggetto considerato sotto un aspetto uni-
versale (appetitus intellectivus etsi feratur in res quae
sunt extra animam singulares, fertur tarnen in eas se-
cundum aliquam rationem universalem: Summa, I,
q. 80, art. 2, ad secundum). II che vuol dire, in ter-
mini nostri: la volizione è motivata, cioè si vuole que-
sto perche realizza (o ci pare realizzi) un certo valore,
una certa ratio boni. Mentre la tendenza sensitiva è
diretta a questo singolo oggetto, la volontà tende a
un oggetto perché le si présenta come bene, sub com-
munem rationem boni (Summa, I, q. 82, art. 5).
Da questo carattere di tendenza intellettiva de-
riva la libertà del volere: radix libertatis est voluntas
a
sicut subiectum, sed sicut causa est ratio (Summa, I
ae
II , q. 17, art. 1, ad secundum). E ancora: « è ne-
cessário che Puomo sia libero, perché è razionale
(Summa, I, q. 83, art. 1). La volontà è infatti
tendenza al bene, ma al bene cosi come è conosciuto
dall'intelletto, cioè nella sua universalità, al bonum
in communi, e perciò « se è proposto alla volontà
un oggetto che sia totalmente bene, la volontà
tende ad esso necessariamente, se vuole qualcosa
[...]; ma se le è proposto un oggetto che non sia
bene sotto ogni aspetto, la volontà non è portata ad
a aô
esso necessariamente » (Summa, I II , q. 10, art.
2). Ora nessun oggetto particolare è bene sotto ogni
aspetto; c'è sempre, negli oggetti che Tesperienza ci
ofíre, un limite, un aspetto per cui sono manchevoli
rispetto all'ideale del bene, al bene totale, e secondo
109
questo aspetto possono esser considerati non-beni e
quindi non esser voluti. Nessun bene finito ha dun-
que il potere di determinare la nostra volontà. Ci si
3UÒ domandare allora come mai noi vogliamo questi
3eni finiti, chi ci determina a volerli, e qui Tommaso
riprende la teoria, vorrei dire la fenomenologia, del
terzo libro delYEiica nicomachea. Si vuole un fine
(intentio finis) — e il fine ultimo è la beatitudo, la
piena realizzazione del nostro essere —; ci si do-
manda se questo particolare oggetto, questo tipo di
condotta, sia un bene per noi, ossia ci conduca al
fine, sia un mezzo al conseguimento del fine, e per
rispondere a questa domanda si istituisce un consi-
lium (la poútaioiç di Aristotele) che è un ragionamento
nelPordine pratico, una specie di sillogismo pratico
che ha come premessa maggiore la nostra volontà di
bene, come premessa minore il riconoscimento del ca-
rattere di bene in questo particolare operabile, e
come conclusione la scelta (electio) di questo. La
scelta è una volizione, un atto di volontà che segue
a a
un giudizio (Summa, I II ®, q. 13, art. 1). E per que-
sto la libertà è detta anche libero arbitrio; perché la
volizione non è determinata né dalla natura delPog-
getto voluto né dalla natura del soggetto che vuole,
ma da un giudizio (arbitrium) che segue un confronto
fra beni e un ragionamento (De veritate, XXIV, art.
1). Ora se il giudizio (iudicium electionis) fosse total-
mente determinato dall'oggetto conosciuto, anche la
scelta sarebbe determinata, e invece Tommaso ha
detto che nessun bene finito è capace di determinare
la volontà; c'è dunque nel giudizio che determina la
aceita un^Jnflusso, un peso_de 11 yol_ontà. AlPobie-
zione, infatti che, se "due beni fossero equivalenti e
ad ugual portata, Puomo non saprebbe quale sce-
gliere, Tommaso risponde: « nulla impedisce, se sono
proposti due oggetti uguali sotto un certo aspetto,
che per uno di essi sia considerata una condizione
che lo renda preferibile (per quam emineat) e la vo-
lontà inclini verso questo piuttosto che verso Paltro »
a ae
(Summa, I II , q. 13, art. 6, ad tertium) II con-
siderare un aspetto piuttosto che l'altro è una ini-
ziativa umana, e da questa dipende il giudizio che ci
porta a scegliere.
4. L'etica e il diritto.
111
losofica e teologia rivelata non sta nel fatto che la
prima conosca alcune cose e la teologia rivelata (sacra
doctrina) alcune altre, ma nel fatto che la prima è
una conoscenza imperfetta e indeterminata delle me-
desime cose che insegna la seconda — anche la filo-
sofia parla infatti di Dio e delPanima (per riprendere
una espressione agostiniana), ma ne dice assai poco
in confronto a ciò che insegna la teologia rivelata —
cosi Tética filosofica non tratta di cose diverse da
quelle di cui parla Tética teologica (non tratta di
una perfezione umana mentre Tetica teologica par-
lerebbe di una beatitudine soprannaturale), ma tratta,
come Tetica teologica, del fine delTuomo (che non
ha due fini, ma uno); solo ne parla in modo molto
più generico e indeterminato delTetica teologica. Dice,
per esempio, che il fine supremo è la contemplazione,
ma non sa dire di quale contemplazione si tratti, tanto
che, come ho già ricordato, Tommaso, rileva il di-
sagio sofferto dai « preclari ingegni » degli antichi
filosofi, privi délia rivelazione cristiana (Contra Gent.,
III, cap. 48). Dice, come vedremo, che i supremi
valori umani sono la conoscenza délia verità e la vita
sociale, ma non dice quale contributo la fede e i doni
dello Spirito Santo diano alla conoscenza délia verità
e come la piena comunità umana si realizzi nella ca-
35
rità . D'altra parte, nella concezione tomistica, il
discorso teologico — nella teologia morale come nella
teologia spécula ti va — presuppone come praeambu-
lum un discorso razionale.
Credo dunque che, come abbiamo parlato délia
filosofia di Tommaso d'Aquino senza entrare, per
esempio, nel discorso sulla Trinità, cosi possiamo par-
lare délia sua etica senza parlare delle virtù teologali.
35
II che non esclude che il discorso sulle virtù teologali
ofïra spunti interessanti per una fenomenologia delia vita
morale. Opino che un'etica spéciale che pure intenda rima-
nere nei limiti di una riflessione razionale abbia non poco da
a a0
raccogliere dalla II II delia Summa theologiae che espone
la dottrina delle virtù.
112
Concezione finalistica del reale e libertà umana
sono i due principi che stanno a fondamento del-
l'etica di Tommaso d'Aquino. Sia nella Contra Gen-
tiles, infatti, come nella Summa theologiae la parte
dedicata alPetica comincia con Paffermazione omnia
a
agentia ne cesse est agere propter fine m, (Summa, I
ae
II , q. 1, art. 2; cfr. Contra Gent., I l l , cap. 2) che
era anche Paffermazione iniziale dell'Etica nicoma-
chea\ ma Tommaso, a differenza di Aristotele, ricon-
duce tale afïermazione alia concezione délia realtà
come dipendente, per tutto il suo essere, da un Crea-
tore intelligente e Hbero. Ogni cosa dunque ha un
fine da conseguire perché risponde a un'idea divina
che ha presieduto alla sua creazione, un'idea divina
a ae
sulla quale è modellata la sua natura (Summa, I II ,
q. 1, art. 2; Contra Gent., III, capp. 1 e 2).
L'uomo, poi, in quanto creatura razionale, è con-
sapevole délia sua finalité; quindi non è diretto ad
un fine, come la freccia in mano alParciere, ma si di-
a
rige a un fine e vi si dirige liberamente (Summa, I
ae
II , q. 1, art. 2).
Il fine ultimo delPuomo è Pattuazione di quello
che, creandolo, Dio vuole che egli sia. « Ora il fine
ultimo delPuomo, e di ogni sostanza intellettuale, si
chiama félicita o bçatitudine » (Contra Gent., cap.
25). E qui vorrei sottolineare due punti: 1) la vo-
lontà che assegna il fine delPuomo non è una volontà
che sopraggiunga a una realtà già esistente per pie-
garla qui o là, ma è la stessa volontà che fa essere
l'uomo; e occorre qui ricordare che « Deus qui est
institutor naturae non subtrahit rebus id quod est
proprium naturis earum » (Contra Gent., II, cap. 55);
2) la beatitudine, nel concetto tomistico, è un con-
cetto dedotto, non è cio che di fat to gli uomini de-
36
siderano . Un concetto dedotto dal principio che
36
Non è ricavata da quella unanimité (Einhelligkeit) che,
anche se ci fosse, non potrebbe fondare una legge veramente
universale, perché sarebbe appunto un puro fatto (zufällig),
come dice Kant (Kritik der prakt. Vernunft, § 3, Akademie
Ausgabe, p. 26).
113
i
ogni realtà ha un fine, un'idea da realizzare; quindi
anche 1'uomo deve avere un fine proprio delia sua
natura, un ideale da realizzare, e questo fine è ciò a
cui spetta il nome di felicità o beatitudine. E poiché
il concetto di beatitudine è un concetto dedotto, bi-
sogna ricavarne la natura dai caratteri essenziali del-
Fuomo e non chiedersi che cosa di fatto gli uomini
cerchino. Tommaso concluderà che la beatitudine del-
Fuomo consiste nella contemplazione, poiché carat-
tere essenziale dell'uomo è Tintelligenza (ratio est
potissime hominis natura)-, nella contemplazione dei
sommo intelligibile, Dio. Contemplazione che, data
la situazione umana, non può realizzarsi per tut ti in
modo continuato e adeguato in questa vita e quindi
avrà luogo in una vita ultra-terrena. A questo propo-
sito Tommaso fa quel rilievo piü volte ricordato sulla
insufficienza delia filosofia e P« angustia » soffer ta an-
che dai piü grandi filosofi nel cercar di determinare
il fine ultimo dell'uomo.
L'ideale umano di Tommaso d'Aquino, si dice
spesso, è ancora Pideale umano dei greci: contem-
plativo e aristocrático. Contemplativo sl (ma non dice
anche il Vangelo di san Giovanni XII, 3: «la vita
eterna è conoscere te, solo vero Dio e colui che tu
hai mandato, Gesü Cristo»?), aristocrático in un
senso certo molto diverso da quello che aveva per i
greci. Anche qui direi che Tommaso è molto piü vi-
cino al Vangelo che all'ideale greco, poiché la piü
alta contemplazione. non è secondo lui riservata ai
filosofi, ma a tutti coloro che praticano le virtü — la
gente piü umile è, di fronte alia visione beatifica,
sullo stesso piano dei sapienti, e 1'essere umile gente
aiuta forse piü delia sapienza a conquistarsi 1'eterna
beatitudine. Se mai si può parlare di ideale aristo-
crático, se ne può parlare nel senso che tutti possono
essere promossi ad essere sapienti, ad essere « i mi-
gliori »; tutti, anche i ciechi e gli storpi che vagano
mendicando per le strade — anzi questi a preferenza
di coloro che avrebbero dovuto ar ri vare per primi —
114
sono invitati al banchetto nuziale del quale parla la
parabola evangelica (Luc. XV, 16 ss,).
Si è detto sopra che la beatitudine è 1'ideale uma-
37
no , non essenzialmente il supremo piacere o gioia.
Alia domanda, infatti, se la beatitudine consista nel
piacere, Tommaso risponde negativamente (Summa,
a ae
I II , q. 2, art. 6). Ma aggiunge poi che la gioia
(delectatio) è richiesta dalla beatitudine come con-
a a
comitans (I II ®, q. 4, art. 1) e spiega questa risposta
38
dícendo che la gioia è una proprietà che segue la
beatitudine, come aver la capacita di ridere è il pro-
a a
prium accidens dell'uomo (Summa, I II ®, q. 2, art.
6) e si accompagna alia beatitudine perche è prodotta
39
dalla soddisfazione di una tendenza . Questa non
è che Tapplicazione delia teoria generale sui rapporti
fra bene e piacere. Tutte le cose sono finalizzate, sono
ordinate a conseguire la loro perfezione. « Ma la dif-
40
ferenza fra gli animali e le altre cose naturali è che
queste, quando raggiungono ciò che conviene loro na-
turalmente, non lo sentono, mentre gli animali lo sen-
tono, e da questa sensazione è prodotto un moto del-
1'anima nella tendenza sensitiva, e questo moto è il
a ae
piacere [delectatio] » (Summa, I II , q. 31, art. 1).
II piacere è dunque il senso di una perfezione rag-
giunta, di un bene conseguito, « ed ha luogo in noi
non solo nella tendenza sensitiva, che ci è comune
con le bestie, ma anche nella tendenza intellettiva,
a a0
che ci è comune con gli angeli » (Summa, I II ,
q. 31, art. 4, ad tertium). L'intensita del piacere do-
vrebbe essere dunque proporzionale alia perfezione
raggiunta se nelPuomo Tintelletto fosse intuitivo,
37
«cum beatitudo dicat quamdam ultimam perfectio-
a a6
nem»: Summa, I II , q. 3, art. 2, ad quartum.
38
Delectatio è il termine generico che si applica sia al
piacere sensibile (voluptas) sia al piacere spirituale (gaudium).
39
« E t hoc modo [seil, sicut aliquid concomitans] de-
lectatio requiritur ad beatitudinem: delectatio enim causatur
ex hoc, quod appetitus requiescit in bono adepto »: Summa,
a ae
I II , q. 4, art. 1.
40
Cioè prive di ogni forma di coscienza.
115 I
come è intuitiva la sensibilità; ma poiché « le attività
a a
dei sensi sono piü percepibili » (Summa, I II ®, q. 2,
art. 6, ad secundum), poiché «gli oggetti sensibili
sono piü noti per noi degli oggetti intelligibili », ac-
cade che il piacere sensibile sia piü forte di quello
a a
intellettuale (Summa, I II ®, q. 31, art. 5) anche se
è il senso del raggiungimento di un bene inferiore a
quello che è il bene morale delPuomo, bene che è
dato essenzialmente dall'esercizio delia virtü. Si badi
però che la sensibilità è sempre una componente es-
senziale delPuomo, anche se talora debba essere sa-
crificai a a un bene superiore. L'ideale umano, anche
41
se non sempre realizzabile in questa vita , non è
quello dei sacrifício, ma quello delParmonia fra pas-
sione sensibile e volontà morale: « alia perfezione dei
bene morale contribuisce il fat to che Puomo tenda
al bene non solo con la volontà, ma anche con la ten-
denza sensitiva » e la passione delPanima, consonante
con la tendenza al bene e consentita dalla volontà
« aggiunge qualcosa alia bontà delPazione » (Summa,
a a0
I II , q. 24, art. 3, ad primum).
La bontà morale — che non è se non la bontà
delPuomo in quanto uomo — consiste nella rispon-
denza al fine delPuomo, che è ciò che Dio ha voluto
a ae
creandolo (Summa, I II , q. 19, artt. 9 e 10); ora
Puomo, come abbiamo detto, si dirige al fine volonta-
riamente, cioè consapevolmente e liberamente, quindi
la bontà morale si realizza nella volontà: gli atti este-
riori non hanno carattere morale se non in quanto
a a8
sono volontari (Summa, I II , q. 18, art. 7). È
buona la volontà che vuole il bene — ossia ciò che
porta Puomo a realizzare il suo fine di uomo —; ma
questo non basta: « affínché la volontà sia buona si
richiede che sia volontà del bene in quanto bene, cioè
a a0
che la volontà voglia il bene per il bene » (I II ,
q. 19, art. 7, ad terHum). Occorrono dunque due
41
Anche per Teredità del peccato originate, fonte di
squilibrio neiruomo.
116
elementi perche la volontà sia buona: che 1'oggetto
voluto sia tale da condurre al fine dell'uomo e che
1'intenzione delia volontà sia diretta al medesimo fine.
42
O. Psychologie et morale aux XIIe
LOTTIN, et XIIIe
siècles, tome II, Gembloux 1948, pp. 11-67.
117
aeterna che è 1'ordine delTuniverso esistente nella
mente divina, quasi il piano dei governo divino dei
mondo: ratio gubernationis rerum in Deo existens
a a
{Summa, I II ®, q. 91, art. 1); la lex naturalis è « la
partecipazione delia legge eterna nella creatura ra-
a a
zionale » (I II ®, q. 91, art. 2), Ogni cosa porta in
sé una traccia delia lex aeterna, e quindi ne parte-
cipa, perché ogni cosa è ordinata a un fine; « ma poi-
ché la creatura razionale ne partecipa consapevol-
mente (intellectualiter) e razionalmente, la partecipa-
zione delia legge eterna nella creatura razionale si
chiama propriamente legge, poiché la legge è qual-
a ae
cosa di razionale ». (I II , q. 91, art. 2, ad tertium).
II che vuol dire che la legge naturale non è sempli-
cemente vissuta, ma è saputa; e non può essere vis-
suta se non è saputa. Ora se il concetto di lex aeterna
deriva da Agostino, il modo in cui Tommaso intende
la «partecipazione» delia mente umana alia legge
eterna è diverso da quello di Agostino, come, ab-
biamo visto, è diverso il suo concetto delia cono-
scenza intellettiva. Non conosciamo quella partecipa-
zione che è in noi delia legge eterna per una speciale
illuminazione divina, ma perché Dio ci ha dato « il
lume delia ragione naturale per discernere cosa sia
a ae
bene e cosa sia male » (I II , q. 91, art. 2). E il
discernimento si compie per via razionale, nel senso
preciso dei termine, ossia con un ragionamento. La
premessa universalissima delia ragion pratica è che
si deve fare il bene ed evitare il male; principio
tautologico — e infatti Tommaso lo paragona al
principio di non contraddizione — poiché bene è
ciò che si deve fare. Ma la tautologia presuppone
che ci sia un bene, che ci sia un faciendum et prose-
quendum. E Tommaso può presupporlo perché ha
fondato Tética sulla concezione finalística: ogni cosa,
e quindi anche Puomo, ha un fine da realizzare; il
fine delPuomo è il suo bene. II primo principio delia
ragion pratica è quindi il principio di finalità. Si
tratta ora di vedere come esso vada applicato al-
v
118
Puomo, di vedere che cosa sia bene per Puomo, e la
ragione può scoprirlo studiando ciò a cui Puomo ha
una naturale inclinazione : ut omnia ilia pertine ant
ad praecepta legis naturae quae ratio practica natu-
a a
raliter apprehendit esse bona humana (I II ® q. 94,
art. 2). Dove è da osservare: 1) che il preceito si
fonda sul bene: la legge morale (lex naturalis) coman-
da ciò che è bene, non è bene ciò che la legge
comanda; 2) il bene delPuomo si sfaccetta, per dir
cosi, in beni umani (bona humana), al plurale. E
questo perché, come spiega subito Tommaso, Puomo
è una realtà complessa: esiste come ogni altro ente,
e tende a conservarsi; è un animale, e come tale
tende a potenziare la sua vita animale, a procreare
e a propagar si; è rationale, e questa è la sua diffe-
renza specifica. Come esempio di beni ai quali Puomo
tende come razionale Tommaso suggerisce: conoscere
la verità, specialmente la suprema verità, la verità
43
intorno a Dio, e vivere in società . Potremmo quasi
tradurre: valori delia contemplazione e valori di giu-
stizia.
119
I il, jnvía^
120
e si ottunda, progredisca nell'individuo e nell'umanità;
si capisce che la coscienza possa errare, ossia che il giu-
dizio sulla bontà morale di questa determinata azione
possa non corrispondere a ciò che 1'uomo deve essere
secondo la finalità impressa nella sua natura. E tutta-
via 1'uomo deve seguire il giudizio delia sua coscienza,
anche se questo fosse erroneo, poiché la coscienza
non è altro che Pultimo passo deila ragione in campo
pratico. « Poiché la coscienza è in certo modo il
dettame delia ragione [...] il problema se sia moral-
mente cattiva la volontà che non segue la ragione
quando questa erra si identifica col problema se la
coscienza errónea obblighi ». Tommaso giudica « irra-
gionevole » Popinione di chi diceva che la coscienza
errónea non obbliga quando giudica buone azioni
oggettivamente cattive, e risponde: « Poiché 1'oggetto
delia volontà è quello proposto dalla ragione, quando
qualcosa è presentato dalla ragione come cattivo il
volerlo è un male » anche se 1'oggetto (1'azione da
compiere) fosse buono, cíoè rispondente al fine del-
1'uomo. « E la volontà sarebbe cattiva non perché
vuole qualcosa che per sé è male, ma perché vuole
qualcosa che è male indirettamente (per accidens)
in quanto è presentato come male dalla ragione. Per
esempio, il credere in Cristo è per sé un bene, ed è
necessário alla salvezza; ma la volontà non può vo-
lerlo se non sotto Paspetto propostole dalla ragione.
Perciò, se la ragione glielo présentasse come male,
la volontà che vi aderisse lo vorrebbe come male »
a ae
(.Summa, I II , q. 19, art.
44
Si vede come 1'applicazione di questa tesi porterebbe
logicamente al riconoscimento delia libertà religiosa, ricono-
scimento venuto dopo sette secoli nella chiesa cattolica. Ma
ogni uomo segue le convinzioni diffuse nella sua época e nel
suo ambiente culturale, e lo stesso Tommaso, che riconosce
airuomo il dovere di seguire la coscienza anche quando sia
errónea, ammette poi che gli eretici « possono giustamente
essere uccisi » e che « Ia chiesa li lascia al giudizio secolare
[cioè delia autorità civile] perché li condanni a morte »
a a
(Summa, II II ®, q. 11, art. 3). Prima tuttavia di stracciarsi
121
II giudizio di coscienza è ancora nelPambito delia
conoscenza, è una conclusio cognitiva (II Sent.,
dist. XXIV, q. 2, art. 4, ad secundum), sia pure di
una conoscenza che sente l'influsso delia volontà,
l'influsso di quell'orientamento che un uomo ha dato
alia sua vita; il giudizio di coscienza è un giudizio
sulla doverosità di un'azione. Ora l'uomo può volere
contro la conclusione delia cosciénza, può volere ciò
che giudica moralmente cattivo. Come spiegare la
scelta moralmente cattiva? Tommaso non può certo
dire che essa sia cieca, poiché una volizione cieca è
una contraddizione nei termini, visto che la volontà
è tendenza razionale, e, dove la ragione fosse total-
mente ottenebrata, non ci sarebbe né bene né male
morale: ci sarebbe un'azione infra-umana, anche se
4S
compiuta da un uomo . La volizione, per essere
tale, segue dunque sempre un giudizio, ma non sem-
pre il giudizio a cui si conforma la volizione è il
giudizio di coscienza. Nonostante tutti i discorsi razio-
nali sulla doverosità di un atto, l'uomo può conclu-
dere: per me ora è bene quest o, e il questo può non
coincidere con ciò che è doveroso. Tommaso chiama
iudicium electionis quest'ultimo giudizio determinante
la volizione, e si tratta di un giudizio in cui entra
già la volontà, la volontà che dà peso a un aspetto
piuttosto che a un altro, la volontà che fissa lo
sguardo su un aspetto piuttosto che su un altro. È
il momento in cui si afferma la liberta.
122
II giudizio si realizza nel libero arbítrio, nella co-
scienza e nella sinderesi, ma in modo diverso. Al libero
arbítrio infatti compete il giudizio quasi per partecipa-
zione, poiché per sé non compete alia volontà il giudi-
care, e perciò il giudizio di scelta [ i n d i c i u m electionis]
è già dei libero arbítrio. II giudizio per sé o è universale
o è particolare: il primo appartiene alia sinderesi, il
secondo, quando resta nei limiti delia conoscenza, appar-
tiene alia coscienza. Sicché sia la coscienza come la scelta
sono conclusioni su ciò che si deve fare in particolare,
ma la coscienza è una conclusione solo conoscitiva, la
scelta è una conclusione affettiva, come sono le conclu-
sioni che riguardano Tazione, come dice Aristotele nel
sesto libro delYEtica [ I I Sent., dist. XXIV, q. 2, art. 4,
ad secundum].
123
cento volte, ma uno che, al momento desiderato, sa
suonarla; come un valente matematico non è colui
che sa a memoria uno, cento o mille teoremi,
ma è colui che sa ri solvere un problema quando gli
si presenti, cosi un uomo generoso non è colui che
ha compiuto uno, cento o mille atti di generosità,
ma colui che sa essere generoso, ossia che è pronto
a compiere un atto di generosità quando occorra.
La dottrina sulle singole virtü e vizi, svolta nella
seconda sezione delia seconda parte delia Summa
a ae
theologiae (II II ) attinge in larga parte alia tra-
dizione filosofica (Aristotele, Seneca) e teologica (spe-
cialmente Agostino, Gregorio Magno), già utilizzata
dai predecessori di Tommaso, ma contiene anche
una fenomenologia delia vita morale che meriterebbe
uno studio specifico.
Fra le virtü morali emerge la giustizia, come fra
le virtü teologali emerge la carità. La giustizia è
praeclarior inter omnes virtutes morales, sia che la
si consideri nei rapporti sociali, sia che la si consi-
a
deri nei rapporti privati di un uomo con Paltro (II
ae
II , q. 58, art. 12). II motivo per cui la giustizia
che regola i rapporti sociali è la virtü morale piü
alta, è che essa è diretta al bene comune, che è piü
alto del bene del singolo.
124
basta la legge morale (lex naturalis). Non basta per
vari motivi, che accenneremo, ma in primo luogo
perché Ia vita sociale si attua diversamente nelle
varie epoche e nei vari luoghi e la legge morale va
diversamente applicata.
Anche le leggi poste dagli uomini, si fondano
sulla lex naturalis, perché, come abbiamo detto, è
insita nella natura umana la tendenza a vivere in
società. Diversamente da Agostino che considerava lo
stato e le sue leggi solo come una necessita storica,
dipendente dal peccato originale e dalla corruzione
portata da questo nella natura umana, Tommaso, che
segue qui Aristotele, considera lo stato come una
necessita naturale, voglio dire una necessita derivante
dalla natura delPuomo in quanto uomo. Ma Ie leggi
poste da chi regge lo stato possono fondarsi in due
modi sulla legge naturale: in quanto la specificano
e in quanto la applicano a situazioni storiche deter-
46
minate. Quando, ad esempio, la legge umana proi-
bisce Tomicidio essa non fa che specificare il dovere
di rispettare gli altrí; quando invece stabilisce una
determinata pena per chi uccide, applica la legge
a a6
naturale secondo certe modalità (Summa, I II ,
46
Tradurremo lex humana con legge umana; ma si
tenga presente che si tratta di legge positiva, legge giuridica.
Osserva A . P A S SERIN D'ENTRÈVE s (Diritto naturale e distin-
xïone fra morale e diritto in S. Tommaso di A « Rivista di
filosofia neoscolastica », 29, 1937, p. 480): « è innegabile che
a esaminare la compiuta analisi tomistica dei caratteri e del
fondamento délia lex humana, si ritrovano molti, se non tutti,
quei caratteri o note che sono entrati a far parte del ba-
gaglio tradizionale delia moderna filosofia giuridica come
caratteri differenziali fra morale e diritto ». Fra questi la
coattività e Yesteriorità. L'uomo infatti che rispetta la legge
solo per paura si comporta solo esteriormente in modo con-
forme alla legge. Uno degli argomenti che Tommaso adduce
per la necessita di una lex divina è infatti che « affinché la
virtù sia perfett^, si richiede che l'uomo sia retto e negli
atti esteriori e nei motivi interni di questi. E la legge posi-
tiva umana non può frenare e ordinäre al fine gli atti interni,
ma è necessário che a ciò sovvenga la legge divina » {Summa,
a ae
I II , q. 91, art. 4).
125
q. 95 art. 2). Si potrebbero fare esempi non tomi-
stici, ma piü evidenti di questo secondo modo: per
esempio, la prescrizione di un massimo di velocità
ai veicoli è una applicazione a certe determinate
situazioni dei preceito di rispettare la vita altrui
(situazioni, queste, che non esistevano ai tempi di
Tommaso). Ora le leggi umane che dipendono dalla
legge naturale nel primo modo potrebbero esser
conosciute anche razionalmente e hanno il medesimo
valore delia legge naturale; quelle che ne dipendono
nel secondo modo non possono invece essere cono-
sciute né aver valore se non in quanto sono poste
dagli uomini.
Perché allora debbono esser promulgate positiva-
mente anche le leggi dei primo tipo? Non ci si
potrebbe affidare alla sola ragione senza prescriverle
positivamente? Perché, risponde Tommaso, la legge
naturale si impone alla coscienza, ma non ha coa-
zione esteriore; ora ci sono « dei protervi e proni ai
vizi che dificilmente si possono guidare con la per-
suasione; è quindi necessário che siano costretti con
la forza ed il timore ad evitare il male, affinché,
astenendosi almeno per questo motivo dal far male,
lascino in pace gli altri, ed essi stessi finalmente, da
questa abitudine ad evitare il male, siano condotti
a fare volontariamente quello che prima adempivano
solo per paura, e cosl diventino virtuosi » (Summa,
a ae
I II , q. 95, art. 1). La legge umana, col suo carat-
tere coercitivo, serve dunque in primo luogo alla
pace pubblica, a impedire con la coercizione quelle
azioni che renderebbero impossibile la convivenza
umana; ma ha anche una funzione educativa, perché
avvezza il riottoso ad evitare il male, finché questo
allenamento ad astenersi da certe azioni apre la via
ad una autentica vita morale.
Si è detto che la legge umana induce ad evitare
il male: non però tutto il male. Alla domanda in-
fatti se la legge umana debba combattere tutti i vizi
Tommaso risponde negativamente: « Si devono per-
126
mettere agli uomini non perfettamente virtuosi molte
cose che non sarebbero tollerabili in uomini virtuosi.
Ora la legge umana è per tutti gli uomini, la mag-
gior parte dei quali è imperfetta. E perciò la legge
umana non reprime tutti i vizi dai quali si astengono
gli uomini virtuosi, ma solo i piü gravi, dai quali è
possibile si astenga la maggior parte degli uomini, e
specialmente quelli che nuocciono agli altri e che
minacciano la conservazione delia società umana, come
a a
gli omicidi, i furti ecc. » (Summa, I II ®, q. 96,
art. 2). « E come non ha da reprimere tutti i vizi,
cosi la legge umana non ha da comandare tutti gli
atti virtuosi, ma solo quelli che sono necessari al bene
comune» (art. 3).
La legge umana, si disse, trae il suo valore morale
dalla lex naturalis; quando dunque non è in contrasto
con la legge morale obbliga moralmente (in foro
conscientiae), ossia è una colpa morale il violaria,
poiché la legge umana è condizione necessaria della
vita sociale che è un valore caratteristico delPuomo.
Ma possono darsi leggi umane (leggi positive) che si
oppongono alia legge morale, possono darsi leggi
ingiuste; in tal caso esse sono brute imposizioni di
47
forza e Puomo può, talora deve, non osservarle.
Può non osservarle quando vanno contro il bonum
humanum del Cittadino, deve non osservarle quando
a a
vanno contro il bonum divinum (I II ®, q. 96, art. 4).
Dagli esempi che Tommaso fa si vede che il bonum
humanum è il bene economico in largo senso, Yutu
lità individuale: vanno contro questo bene leggi che
giovano solo alia cupidigia e alia gloria di chi co-
manda, e non al bene comune dei cittadini, leggi
che impongono inegualmente i pesi da port are, leggi
che vanno oltre i poteri di chi le impone. Credo che
47
« L e x humanitus posita [...] si a lege naturali discor-
dai, iam non erit lex, sed legis corruptio » (Summa, I a IIa®,
q. 95, art. 2). «Iniustae leges [...] magis sunt violentiae
quam leges» (ivi, I a IIa®, q. 96, art. 4).
127
nella concezione tomistica anche imposizioni di cor-
vées, di partecipare a guerre fatte per ambizione del
principe cadano sotto questo tipo di leggi ingiuste,
aile quali Pindividuo può ribellarsi, ma può anche
subirle, per evitare scandalo o turbamento delPordine
sociale. Ma l'uomo deve ribellarsi alla legge ingiusta
quando va contro il bonum divinum. L'esempio clássico
di questo tipo di legge ingiusta è Pordine di bruciare
incenso agli idoli, ordine al quale si ribellarono i
martiri cristiani; non il solo culto religioso è però
bonum divinum: è tale tutto ciò che è comandato dalla
legge divina (mandatum divinum) e la legge divina
presuppone la legge morale. Viola dunque il bonum
divinum tutto ciò che viola la personalità morale del-
Puomo, il quale deve disobbedire ad un comando che
gli imponga di compiere azioni immorali: Tommaso fa
Pesempio delle leggi che imponevano l'idolatria, ma
noi possiamo benissimo pensare ad ogni legge che
imponga di üccidere o di denunciare un perseguitato
innocente, di testimoniare il falso ecc.
48
J. MARITAIN, DU régime temporel et de la liberté,
Paris 1933; S. THOMAS D'AQUIN, Somme théologique, Edi-
128
zione fra ' individuo e persona per conciliare questi
passi apparentemente contraddittori. II principio di
individu azione è la matéria signala quantitäte, e, come
individuo, Puomo è inserito nella catena delle gene-
razioni ed è subordinato alla società di cui fa parte;
la personalità dell'uomo invece è dovuta alla sussi-
stenza délia sua anima spirituale, e come persona
Puomo ha un fine superiore a quello délia società di
cui fa parte. Confesserò che questa specie di dicoto-
mia fra individuo e persona non mi persuade molto,
perché Tommaso afferma che l'anima umana, sussi-
stente, creata immediatamente da Dio, è individuata,
è haec vel illa} proprio perché ha da informare que-
sto o quest'altro corpo (Contra Gent., II, capp. 15
e 81; Summa, I, q. 76, art. 1, ai sextum\ art. 2
ad primum), sicché, se come individuo Puomo fosse
totalmente subordinato alla comunità politica, sarebbe
tale anche come persona.
Mi sembra piuttosto che nell'individuo umano
si possano distinguere diversi aspetti e quindi diversi
valori, e che per gli aspetti che ha comuni con tutti
i viventi e con tutti gli animali Puomo sia subordi-
nato alla comunità politica e debba sacrificare il suo
bene individuale alla comunità; mentre per l'aspetto
umano, per la ragione, Pindividuo ha da realizzare
certi valori che non possono essere sacrificati per
nessuna cosa al mondo. Tommaso ha fatto Pesempio,
parlando delia legge ingiusta, dei diritto e dei dovere
che Puomo ha di professare la religione in cui crede
anche contro ogni legge dello stato; credo che questa
considerazione si possa applicare ad ogni dovere che
Puomo riconosca in coscienza.
129
Data infatti l'esistenza di molti uomini e il fatto che
ciascuno provvede a ciò che gli è conveniente, la comu-
nità si disperderebbe in opposte direzioni se non vi fosse
qualcuno che prendesse cura di ciò che appartiene al
bene di tutti; come anche il corpo dell'uomo e di qua-
lunque animale si disgregherebbe se non vi fosse un'ener-
gia cap ace di reggere tut to il corpo, che tenda al bene
comune di tutte le membra [...]. É necessário49 dunque
che nella società vi sia un principio direttivo .
49
De regno, I, cap. 2, § 4. Opuscula, a cura di Perrier,
Paris 1949, p. 223.
50
Ivi, § 5.
130
governo quanto piü unitário è il comando tanto piü
vantaggioso è il governo, [...] cosi al contrario sara
in un governo ingiusto: cioè quanto piü il comando
51
sara unitário tanto piü sara nocivo il governo » .
Tommaso tuttavia non ammette la liceità dei tiran-
nicidio: quando siano esauriti tutti i mezzi legali per
deporre il tiranno (ricorso ad elezioni se la monarchia
è elettiva, ricorso ad un'autorità suprema se il gover-
nante non è la suprema autorità) non resta che sop-
portare Pingiustizia e accettare anche la morte se il
tiranno chiede il sacrifício di uno di quei valori
[bonum divinum) ai quali Puomo non deve mai
rinunciare.
131
affermata da Tommaso e ripetuta anche in questo
capitolo. Si capisce quindi che la posizione di Tom-
maso sia stata variamente interpretata. Alcuni, a
cominciare da Tolomeo da Lucca (il continuatore dei
De regimine principurn, lasciato incompiuto da Tom-
maso, dal cap. 3 del libro secondo alia fine) la inter-
pretarono nel senso di una rigida subordinazione dei
potere civile al potere ecclesiastico; altri, a comin-
ciare da Giovanni di Parigi (Giovanni Quidort, auto-
re di uno dei Correct oria in difesa delia dot trina di
52
Tommaso ) la interpretarono nel senso di una mag-
giore indipendenza dei potere civile, che avrebbe, si,
il dovere di ispirare cristianamente la propria atti-
vità, ma con autonomia nella scelta dei mezzi per
conseguire il bene comune.
«
52
Se ne dará un cenno nella storia della critica.
53
T. Gregory vede la «crisi del XIII secolo» nella
spaccatura fra i due momenti che Tommaso aveva cercato di
sintetizzare — momenti considerati specialmente nell'aspetto
di ragione (natura) e fede (grazia). Cfr. Filosofia e teologia
nella crisi del XIII secolo, cit.
132
critiche siano giustifícate; un símile giudizio, infatti,
implicherebbe una presa di posizione teoretica che'
esula da questa breve introduzione, alia quale spero
che una non dissimulata simpatia per Tautore studiato
non abbia tolto il suo carattere storico.
II
CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
135
1259-61 È ad Anagni.
1261-64 A Orvieto.
1265-67 A Roma.
1268 A Viterbo.
1259-68 Partecipa ai vari capitoli provinciali dell'Ordine.
Termina la Summa contra Gentiles, inizia la Summa
theologiae, scrive le Quaestiones disputatae de potentia,
commenti ad Aristotele (probabilmente ali 'Ética nicoma-
ch eay alia Física, a una parte della Metafísica, al primo
libro dei De anima), commenti alia Bibbia (fra i quali
ricordiamo la Catena aurea sui quattro Vangeli, il com-
mento al Vangelo di san Matteo, alie Lettere di san Pao-
lo), vari opuscula {De regimine Judaeorum, De regimine
principum, De rationibus fid ei contra Sar acenos, Graecos
et Armenos, Contra errores Graecorum, De articulis fidei,
De emptione et venditione).
1264 Compone (con l'uso di preghiere in parte già esistenti)
la liturgia per la festa dei Corpus Domini.
1268 Ritorna a Parigi.
1269-72 Secondo magistero parigino. Scrive, tra il 1268 e
il 1269 le Quaestiones disputatae de spiritualibus crea-
turis e De anima; nel 1270 il De unit ate intellect us, la
seconda parte della Summa theologiae, le Qq. dd. de
maio, de virtutibus in communi, le prime sei Quaestio-
nes quodlibetales, gli opuscula De perfectione vitae
spiritualis e Contra pestiferam doctrinam retrahentium
pueros a religionis ingressu in difesa dei mendicanti,
contro Nicola di Lisieux e Gerardo di Abbeville, De
aeternitate mundi contra murmurantes, la maggior parte
dei commenti ad Aristotele (al secondo e terzo libro
De anima, a una parte della Metafísica, al Perl hermeneias,
al De sensu et sensato, al De coelo et mundo^ ai Meteo-
rologica, alia Politica).
1272 È chiamato a dirigere lo Studium generale domenicano
a Napoli.
1272-73 Scrive la .terza parte (non terminata) della Summa
theologiae, il Compendium theologiae (non terminato);
commenti al Vangelo di san Giovanni, ai primí cinquan-
taquattro Salmi, forse a Isaia, a una parte delle Lettere
di san Paolo; i commenti al De causis, al De generatione
et corruptione di Aristotele. .
1273 (dicembre) La salute declina, non scrive piü.
1274 (primi mesi) Si mette in viaggio per recarsi al Con-
cilio di Lione.
1274 (7 marzo) Muore durante il viaggio, nell'abbazia ci-
stercense di Fossanova.
STORIA DELLA CRITICA
137
Haies] di santa memoria, di fr ate Bonaventura e simili
che nei loro trattati si basano sui Padri e sui filosofi,
senza criticarli, o quella nuova [novella] quasi tutta con-
traria che distrugge per quanto può e sminuisce tutto
ciò che Agostino insegna sulle verità eterne, la luce
incommutabile, le potenze dell'anima, le rationes semi-
nales presenti nella matéria e innumerevoli altre si-
2
mili? [...] .
138
Ora abbiamo visto che Tommaso non rifiuta il ter-
mine rationes sem inales, ma riconosce alie cause
seconde una autentica efficacia, e quindi dà maggior
valore alie forze naturali.
Se Tommaso si staccava in certe tesi dalla dot-
4
trina divenuta ormai tradizionale , agli occhi di mol-
ti si avvicinava troppo alie nuove interpretazioni di
Aristotele, quelle degli averroisti o aristotelici etero-
dossi, come preferisce chiamarli F. Van Steenberghen.
Contro cos toro c'era già stata nel 1270 una con-
danna dei vescovo di Parigi, Stefano Tempier, che
comprendeva tredici proposizioni; il 7 marzo dei 1277
una nuova condanna da parte dello stesso Tempier,
in 219 articoli, abbraccia un insieme molto più vasto,
di tesi, e fra queste un certo numero di tesi tomi-
stiche: quelle « relative alPunità dei mondo, alPindi-
viduazione delle sostanze spirituali e delle sostanze
corporee, alia localizzazione delle sostanze spirituali
5
e all'attività volontaria » . Non era compresa nelle
proposizioni condannate la teoria delPunicità delia
forma sostanziale nelPuomo, ma fu presto colpita,
insieme con altre, nello stesso 1277, dalla condanna
di R. Kilwardby, domenicano, arcivescovo di Can-
terbury, che aveva giurisdizione sulla Università di
Oxford, Nei 1284 Giovanni Peckham, succeduto a
Kilwardby sulla cattedra episcopale di Canterbury,
confermò la condanna dei suo predecessore e ne
aggiunse una propria nel 1286.
Negli anni fra il 1277 e il 1279 il francescano
Guglielmo de la Mare redasse un Correctorium frat ris
Thomae in 117 articoli, nei quali erano critiçate
altrettante tesi. tomistiche, e quest'opera divenne
4
Non discutiamo ora se essa sia meglio definita come
agostinismo o aristotelismo neoplatoneggiante, come vuole
F. Van Steenberghen: sarebbe un discorso troppo lungo.
e
5
F . V A N STEENBERGHEN, La philosophie au XIII siècle
cit., p. 487. Gli elenchi delle tesi condannate nel 1270 £
nel 1277 sono pubblicati nel Chartularium XJniversitatis Pari-
jiensis, I, doc. n. 432 (pp. 486-7) e doc. n. 473 (pp. 543 sgg.).
139
testo ufficiale del pensiero francescano nei riguardi
di Tommaso poiché il Capitolo generale francescano
di Strasburgo dei 1282 stabill che i ministri provin-
ciali « non permettessero che la Summa di frate Tom-
maso fosse diffusa [multiplicand se non fra i docenti
delFOrdine [lectores] notevolmente intelligent e,
anche per questi, non senza le declarations di frate
6
Guglielmo de la Mare » . Guglielmo de la Mare sot-
tolinea l'indipendenza dell'anima dal corpo, e giudica
Tommaso troppo indulgente verso il naturalismo
4
aristotélico; professa inoltre uno spiccato volonta-
rismo divino. Come os s erva F. Van Steenberghen,
sia nel Correct orium come nelle condanne di Oxford
la dottrina tomistica attaccata più vivacemente è
quella delTunicità delia forma sostanziale nelTuomo;
e^ si capisce, poiché quella dottrina instaurava una
nuova antropologia.
II Correctorium di Guglielmo de la Mare suscitò
una viva reazione da parte dei domenicani, dando
luogo a una serie di confutazioni delFopera dei fran-
cescano. I difensori delle dottrine tomistiche chiama-
rono corruptorium lo scritto di Guglielmo e gli oppo-
sero i Correctoria corruptorii. Si conoscono quattro
Correctoria che si indicano con la prima parola dei
testo: il Correctorium corruptorii « Quare », attri-
buito dal suo editore, P. Glorieux, a Riccardo Knap-
well, dal Pelster a Tommaso di Sutton, il C. c. « Cir-
ca » di Giovanni di Parigi (Quidort), il C. c. « Scien-
dum » di Roberto di Orford, il C. c. « Quaestione »
di Guglielmo di Macclesfield. Va aggiunto VApolo-1
6
Citato da F . EHRLE, Der Kampf um die Lehre des hl
Thomas von Aquin in den ersten fünfzig Jahrem nach seinem
Tode, «Zeitschrift für Kath. Theologie», 37, 1913, pp. 272-3.
F . PELSTER, Les « Declarationes » et les Questions de G. de
la Mare, «Rech, de Théol. ancienne et médiévale», III,
1931, pp. 397-411, ritiene che Tordinanza del Capitolo di
Strasburgo si riferisca non al Correctorium, ma aile Declara-
tiones da lui ritrovate e pubblicate nel 1956: Declarationes
Ma gis tri Guilelmi de la Mare O.F.M. de variis sententns
S. Thomae Aquinatis, Munster 1956.
140
geticum veritatis contra Corruptorium di Ramberto
7
de' Primadizzi . Ma le polemiche non si limitano
ai correctoria: si forma nelTOrdine domenicano (che
in vari « capitoli » ordina ai suoi membri lo studio
delle opere di frate Tommaso e li obbliga a seguirne
le dottrine) una scuola tomistica, i cui maggiori rap-
presentanti sono, in Italia, Bambologno, Romano di
Roma, Annibaldo degli Annibaldi, Ramberto de' Pri-
madizzi, Tolomeo di Lucca, Remigio de* Girolami,
Giovanni Balbi di Génova, Giovanni di Napoli, Leo-
nardo da Pistoia; in Francia e in Germania Gio-
vanni di Sterngassen, Gerardo di Sterngassen, Nicolò
di Strasburgo, Giacomo di Metz, Giovanni di Lich-
tenberg, Giovanni di Parigi, Enrico di Lubecca, Egi-
dio di Lessines, Bernardo de Trilia, Bernardo d'Au-
8
vergne, Hervaeus Natalis . Alcuni di questi, però,
come dimostra il recente studio del Kohler su Gia-
9
como di Metz non sono seguaci pedissequi di Tom-
maso, ma ne discutono le dottrine e talora assumono
una posizione indipendente. Questo si awera anche
per alcuni tomisti dei clero secolare come Goffredo
10
di Fontaines . Egidio Romano, prima discepolo di
Tommaso e sospeso dalPinsegnamento per non aver
voluto sottoscrivere la condanna dei 7 marzo 1277,
poi critico di alcune dottrine tomistiche, ne accentuò
invece altre, come la distinzione fra essenza ed essere
11
nelle creature . Non mancarono poi posizioni criti-
7
Le edizioni sono indicate nella bibliografia.
8
Si vedano gli studi di M. Grabmann, di F. J. Roensch
e di A. Vella citati nella bibliografia, nonché le pagine de-
dicate a Le thomisme nel vol. di F. V A N STEENBERGHEN, La
e
philosophie au XIII siècle cit., pp. 500-7.
9
T H . W . KOHLER, Der Begriff der Einheit [...] nach
dem Sentenzenkommentar des Iakob von Metz O. P., « Stu-
dia Anselmiana », 58, Roma 1971.
10
I Quodlibeta di Goffredo di Fontaines sono editi da
M. De Wulf, A. Pelzer, J. Hofïmans nei voll. II, III, IV e
V délia Collezione Philosophes Belges, Louvain 1904-35.
11
G. B R U N I , Le opere di Egidio Romano, Firenze 1936.
AEGIDII ROMANI, Theoremata de esse et essentia, con intro-
duzione di R. Hocedez, Louvain 1930.
141
che rispetto a Tommaso anche nell'Ordine domeni-
12
cano, come quella di Durando di san Porciano . Le
tesi piü discusse sono: la distinzione reale di essenza
ed essere nelle creature, Punicità delia forma sostan-
ziale nell'uomo, il principio di individuazione, i rap-
porti fra conoscenza intellettiva e conoscenza sensi-
bile, il primato deH'intelletto sulla volontà, la possi-
13
bilita delia creazione ab aeterno . Da parte dei mae-
stri francescani continuo la critica alle dottrine tomi-
stiche controverse; non è però esatto vedere in Duns
Scoto il critico per eccellenza di Tommaso: egli ha
infatti una posizione originale, che si scosta per certi
aspetti da Tommaso e ne critica alcune tesi, ma
critica anche Enrico di Gand, che di Tommaso è
oppositore.
11 culto di Tommaso è invece mantenuto nell'Or-
dine domenicano, nel quäle emergono alcuni inter-
preti acuti: Giovanni Capreolo (1380-1444), Tom-
maso de Vio, piü noto come Gaetano (1468-1534),
Francesco Silvestri da Ferrara, piü noto come Ferra-
riensis (1474-1528). Capreolo è autore delle Defen-
siones theologiae Divi Thomae, piü volte stam-
pate e riedite in 7 voll, dal 1900 al 1908 a
Tours dai Domenicani Paban e Pègues. Le Defen-
siones di Capreolo non sono un commento alie Sen-
tenze, ma poiché polemizzano con autori di com-
menti alie Sentenze (Duns Scoto, Aureolo ed altri)
sono divise, come le opere con le quali polemizzano,
in: distinzioni, questioni, articoli. M. Grabmann in-
siste sulPimportanza delle Defensiones di Capreolo
per la loro documentazione storica. Per ogni con-
clusiOy infatti, sono citati i testi delle varie opere
12
J. KOCH, Durandus de S. Porciano, « Beiträge », XXVI,
1 , Münster 1 9 2 7 ; M. T . BEONIO BROCCHIERI FUMAGALLI, Du-
rando di S. Porziano, Firenze 1969.
13
M. GRABMANN, Hilfsmittel des Thomasstudium dys
alter Zeit (Abbreviationes, Concordantiae, Tabdae), in Mit-
telalterliches Geistesleben, II, München 1936, p. 424.
142
i
di Tommaso che vi si riferiscono. Quando vi è diver-
genza fra lo Scriptum di Tommaso sulle Sentenze
e la Summa, Capreolo dà la preferenza a quest'ul-
tima « quia multa, quae in scrip tis dixerat iuvenis,
postea correxit in Summa, quam ultimo condidit,
sicut fecit Augustinus librum Retractationum ». Se-
condo lui, Tommaso avrebbe seguito nello Scriptum
la via « magistrorum tunc currentium », nella Summa
la via « opposita tamquam securior et dictis sancto-
rum concordior». Capreolo conosce bene le opere
(in massima parte ancora oggi inedite) dei primi
tomisti (Bernardo d'Auvergne, Giovanni di Napoli,
Pietro delia Palu); non sempre però accetta tutti i
loro argomenti. Particolarmente importante è la sua
14
polemica contro il nominalismo .
Sull'atteggiamento di fronte a Tommaso nel Rina-
scimento ha aperto le ricerche un prezioso volu-
metto di P. O. Kristeller (Le thom'tsme et la pensée
italienne de la Renaissance).
Nei primi decenni dei secolo XVI il Gaetano
scrisse un ampio commento alia Summa theologiae;
prima ancora, durante il suo insegnamento all'Uni-
versità di Padova (1494-97), aveva scritto un com-
mento al De ente et essentia e un trattato De nomi-
num analogia e poi, durante il suo insegnamento
romano, un Commento al De anima, De conceptu
entis, oltre a molte opere teologiche. Acuto e sottile,
sembra talora rendere piü difficile il testo tomistico,
ma è indubbiamente un pensatore profondo, che
non ha paura di dare una propria interpretazione
delle dottrine di Tommaso, scostandosi qualche volta
dal maestro o almeno dalle altre interpretazioni. Per
questo, come riferisce il Grabmann, alcune parti dei
suo commento alia Summa theologiae furono espunte
14
M. GRABMANN, Johannes Capeolus [...] und seine
Stellung in der Geschichte der Thomistenschule, in Mittelal-
terliches Geistesleben, III, München 1956, spec. pp. 375-88.
143
dall'edizione Piana delle opere di Tommaso (ma
15
sono state reintegrate nelPedizione leonina) . I punti
più discussi dell'interpretazione dei Gaetano, per
quanto riguarda la filosofia, sono la dottrina dell'ana-
logia e l'immortalità delPanima. Per ciò che riguarda
la prima egli mette in primo piano l'analogia di
proporzionalità: afïermare che il concetto di ente si
applica analogicamente alla sostanza e all'accidente,
a Dio e alla creatura vuol dire afïermare che la
sostanza sta al suo essere come (ma questo corne
significa similmente) l'accidente sta al suo; che Dio
sta al suo essere come la creatura sta al suo: ossia
che a Dio compete Pessere in modo appropriato alla
sua natura. Questa concezione, insomma, avvicina
l'analogia più all'equivocità che all'univocità, in quan-
to ammette che il contenuto comune a tutti gli ana-
logati sia vago ed esiga un riferimento ai diversi
analogati per acquistare significato (il Gaetano am-
mette infatti che il concetto di essere contiene actu
implicite i suoi diversi modi). Si capisce che questo
carattere oserei dire empiristeggiante delia teoria dei
Gaetano la faccia apprezzare pochissimo ai tomisti
contemporanei che sottolineano gli aspetti platonici
e neoplatonici del pensiero di Tommaso d'Aquino.
Altro motivo, di scarsa simpatia attuale per il Gae-
tano è la sua dottrina sull'immortalità delPanima.
Nel commento alla Summa di Tommaso egli illustra
la dimostrazione tomistica, ma nel commento al De
anima di Aristotele afferma che Aristotele non dimo-
stra l'immortalità delPanima e nei Commenti alla
Letter a di s an Paolo ai Romani e all' Ecclesiaste, che
sono dell'ultimo período delia sua vita, nega che
l'immortalità delPanima possa essere dimostrata razio-
nalmente: « Sicut nescio mysterium Trinitatis, sicut
néscio animam immortalem, sicut nescio Verbum caro
«
15
Einzelgestalten aus der mittelalterlichen Dominikaner-
und thomistenschule, in Mittelalterliches Geistesleben, II, cit.,
p. 609.
144
16
factum est, et similia, quae tarnen omnia credo » .
II Gaetano influi sulla scuola di Salamanca, nella
quale emerge Francisco de Vitoria (morto nel 1546)
commentatore delia Secunda secundae della Summa
theologiae e studioso specialmente di problemi morali
17
e di filosofia del diritto , problemi resi particolar-
mente attuali dalla conquista dell'America da parte
degli Spagnoli. Fu il Vitoria a sostituire, come testo
di insegnamento la Summa di Tommaso alie Sen-
tenze di Pier Lombardo.
I Gesuiti deirUniversità di Coimbra, sotto la
guida di Pietro da Fonseca (1528-99) pubblicarono
un monumentale Cursus Conimbricenses in forma di
commento ad Aristotele utilizzando il pensiero di
18
Tommaso, pur con una certa indipendenza . A
Coimbra insegnò anche, nell'ultimo periodo della
sua attività (dopo aver insegnato ad Alcala e a Roma,
nel Collegio Romano) Francesco Suarez (1648-1717)
che cercò di fondere la dottrina tomistica con altri
apporti dei pensiero scolastico posteriore e si staccò
da alcune tesi divenute tradizionali fra i discepoli
di Tommaso: affermò che 1'intelletto umano può
conoscere il singolare corporeo, negò la distinzione
reale di essenza ed esistenza, professo una sua con-
cezione deli'analogia, si che dai tomisti ortodossi è
considerato quasi un corruttore del pensiero tomi-
stico, fau tore di quell'« essenzialismo » che sarebbe
uno snaturamento della concezione tomistica dell'es-
sere. Certo la sua dottrina è riecheggiata in molti
trattati scolastici del Seicento, trattati che a loro volta
16
'/ Citato da G. Di NAPOLI, Vimmortalità deli'anima nel
Rinascimento, Torino 1 9 6 3 , p. 2 2 4 . CFR. E . G I L S O N , Problé-
matique de l'immortalité de l'âme en Italie au début du
e
XVI siècle, AUMA, 1 9 6 1 , pp. 1 6 3 - 2 7 9 .
17
I suoi commenti sono editi a cura di V. B. de Heredia,
« Biblioteca de Teologos Espanoles », 4 voll., Salamanca 1932-
1934. _ ,,
18
Vale la pena ricordare che il Cursus Coninbricensis
era il testo filosofico seguito nel collegio de La Fleche, dove
studio Cartesio.
145
hanno avuto un influsso notevole sulla filosofia mo-
19
derna . Nel secolo XVI scoppiò anche la disputa
fra molinisti (seguaci dei gesuita Molina) e tomisti
sui rapporti fra grazia divina e libertà umana: i
domenicani, il cui maggior rappresentante è Domê-
nico Banez (1528-1604) affermavano la predetermi-
nazione física delia volontà umana da parte di Dio,
i molinisti la negavano ritenendola incompatibile con
la libertà umana. La controvérsia è di carattere teo-
logico, ma i tomisti fondavano la loro dottrina anche
filosoficamente sul principio omne quod movetur ab
alio movetur. i /;
Nel secolo XVII ricorderemo i tomisti Giovanni
di S. Tommaso (1589-1644) autore di un ampio
Cursus philosophicusy ristampato anche nel 1930-37
oltre che dei Cursus theologicus, ristampato nel
1931-53, G. B. Gonet (1616-81) Ant. Goudin (1639-
1695), R. Billuart (1685-1757), Salvatore Roselli
(morto nel 1784) autore di una Summa philosophiae
stampata a Roma dal 1777 al 1783, fedele a Tom-
20
maso e in polemica con la filosofia moderna .
146
cenza nei primi decenni dell'Ottocento, intorno al
21
canonico Vincenzo Buzzetti , maestro dei due fratelli
Ser afino e Domênico Sordi che, entrati nella Com-
pagnia di Gesü, vi diffusero l'idea di un ritorno al
pensiero di Tommaso d'Aquino. Non che tale pen-
siero fosse sconosciuto nelle scuole cattoliche (come
abbiamo accennato sopra, c'è una continuità nello
studio di Tommaso d'Aquino) ma spesso dominava
in queste scuole un certo eclettismo filosofico, mentre
il neotomismo del secolo XIX propugnava un ritorno
al « genuino » pensiero del dottore medievale. Si è
22
visto, anche da parte di cattolici, come R. Aubert ,
in un intento politico — la restaurazione dell'auto-
rità contro il liberalismo — il motivo delia rinascita
tomistica; non nego che questa possa essere una
componente di tale movimento, ma certo molti neoto-
misti ebbero un forte impegno teoretico. II ritorno
all'autentico pensiero tomistico aveva il pregio di
23
promuovere la lettura dei testi di Tommaso
— spesso dimenticati dietro i trattati e i manuali —
e, indirettamente, di risvegliare lo studio delia filo-
sofia medievale; aveva però il difetto di essere accom-
pagnato da una certa aggressività nei confronti non
solo del pensiero moderno, da Cartesio in qua, ma
anche del Rosmini (e qui l'influsso del motivo poli-
21
Se poi il Buzzetti avesse attinto la sua ammirazione
per Tommaso al Collegio Alberoni, come afferma G. F. Rossi
(La filosofia nel Collegio Alberoni e il neotomismo, Piacenza
1959) o ci fosse arrivato da sé, come affermano il Masnovo
(II neotomismo in Italia, Milano 1923) che fu un pioniere
in questi studi, e A. F E R M I , (Origine del tomismo piacentino
nel primo ottocento, Piacenza 1959), è cosa che non interessa
qui. '
22
Aspects divers du néothomisme sous le pontificai de
Leon XIII nel volume miscellaneo Aspetti delia cultura cat-
tolica nelVetà di Leone XIII, Roma 1961.
23
Nacque di qui Tedizione leonina (promossa cioè da
Leone XIII) delle opere di Tommaso, anche se i primi vo-
lumi non riuscirono all'altezza delia situázione. Oggi l'edi-
zione leonina prosegue per opera di un gruppo di ferratissimi
filologi sot to la direzione di A. Dondaine.
147
tico può es sere dificilmente negato). Studiosi come
Gaetano Sanseverino, Matteo Liberatore, Luigi Tapa-
relli d'Azeglio, Tommaso Zigliara dimostrano nei loro
scritti una acuta penetrazione del pensiero tomistico
e una notevole capacita dialettica. Gaetano Sanse-
verino (1811-65) che è al centro del tomismo napo-
letano, è autore tra l'altro di una vasta opera Philo-
sophia christiana cum antiqua et nova comparata, di
cui pubblicò cinque volumi (1862, altri due uscirono
postumi). Matteo Liberatore nelle due opere Della
conoscenza intellettuale (1857-58) e Del composto
umano (1862) rivendicò il valore delia dottrina tomi-
stica deirastrazione (specialmente in polemica col
Rosmini) e delia concezione dell'anima come forma
sostanziale dei corpo. Quest'ultima teoria, che fu un
po' la tessera di riconoscimento del neotomismo, era
stata la più dimenticata, anche nelle scuole cattoÜche,
anzi talora ritenuta insostenibile: lé si preferiva qual-
cuna delle molte dottrine che si erano affacciate
dopo Cartesio per spiegare il rapporto dell'anima
col corpo. Tommaso Zigliara, nelTopera Della luce
intellettuale e delVontologismo (1874), polemizzò
contro Pontologismo giobertiano e interpreto invece
alia luce delia gnoseologia tomistica la teoria agosti-
niana e bonaventuriana delTilluminazione. Taparelli
d'Azeglio applicò la filosofia tomistica alio studio
dei problemi etico-giuridico-politici ed è noto sopra
tutto per il Saggio teoretico sul diritto naturale
(1840-43).
In Germania ricordiamo J. Kleutgen, la cui prin-
cipale opera filosofica è Die Philosophie der Vorzeit
vertheidigt dei 1860-63.
Un centro importante di studio e di diffusione
dei pensiero tomistico fu l'Institut Supérieur de
Philosophie di Lovanio fonda to da D. Mercier. L'ini-
zio fu nel 1882 una « cattedra di alta filosofia di
Tommaso », che poi si allargò ad istituto, moltiplicò
le sue cattedre e dal 1894 ebbe come organo la
« Revue néoscolastique de philosophie » (poi « Re-
148
vue philosophique de Louvain »). L'aggettivo « alta »
non voleva indicare la supériorité delia filosofia di
Tommaso, ma il metodo di studio, rigorosamente
scientifico, fondato sui testi. La scuola di Lovanio
non ci ha dato una monografia su Tommaso d'Aqui-
no, ma ha cercato di ripensarne la dottrina con lar-
ghezza di spirito, di fronte ai problemi posti dal
pensiero moderno e contemporâneo. Notevoli per que-
sto la Critêriologie e la Psychologie del Mercier, e
forse ancora di più Les origines de la psychologie
contemporaine del 1897, nella quale si presentava
il dualismo cartesiano di anima e corpo come fonte
delle aporie e degli errori delia psicologia contempo-
rânea e si mostrava Pattualità délia dottrina tomi-
stica delPanima come forma del corpo. Alla esposi-
zione di una psicologia filosofica si affiancava poi a
Lovanio una scuola scientificamente attrezzata cÛ psi-
cologia sperimentale. L'avversario col quale polemiz-
zava (dialogando, non anatemizzando) la scuola di
Lovanio era, data Pepoca, specialmente il positivismo.
Mercier si rese pure conto che per capire il pen-
siero di Tommaso d'Aquino bisognava conoscere l'am-
biente in cui si era formato, e indirizzò il suo disce-
polo M. De Wulf allo studio delia filosofia medievale,
mandandolo a studiare a Parigi, da B. Hauréau, che
non era certo tomista né apprezzava la filosofia me-
dievale, ma era un erudito di grandissimo valore e con
la sua Histoire de la philosophie scolastique, e forse
ancora di più con la pubblicazione dei sei volumi di
Notices et extraits de quelques manuscrits de la Bi-
bliothèque Nationale ha contribuito come pochi altri
a far conoscere la filosofia medievale. De Wulf scrisse
una delle più pregevoli storie delia filosofia medievale
e diede inizio nel 1901, con Pedizione del De unit ate
formae di Egidio di Lessines, alla collezione « Les
philosophes Belges » (divenuta poi « Philosophes mé-
diévaux ») nella quale uscl, tra Paltro, in seconda
edizione il Siger de Brabant del Mandonnet e Paîtra
opera su Sigieri di F. Van Steenberghen, discepolo
149
di M. de Wulf, che ha esteso le sue ricerche a tutto
il secolo XIII, da lui chiamato « il secolo di san Tom-
maso ». Sempre a Lovanio A. Mansion, che si era
dedicato specialmente allo studio di Aristotele, con-
dusse poi pregevoli ricerche sulle traduzioni e i com-
menti latini medievali. Alla scuola di A. Mansion si
è formato G. Verbeke, che dirige il « Corpus latinum
Commentariorum in Aristotelem graecorum ».
Accanto alPInstitut Supérieur de Philosophie i
Benedettini dell'Abbazia di Mont-César, a Lovanio,
si dedicavano a studi eruditi e fondavano la rivista
« Recherches de théologie ancienne et médiévale ».
Figura eminente di questo gruppo fu Dom Odon Lot-
tin, i cui scritti principali sono raccolti negli otto vo-
e e
lumi di Psychologie et morale aux XII et XIII siè-
cles; parecchi di questi scritti sono dedicati a Tom-
maso d'Aquino.
In Germania gli studi di filosofia medievale, dopo
quelli del secolo XIX di K. Werner e A. Stöckl, pre-
sero impulso specialmente da Cl. Baeumker, inizia-
tore délia collezione « Beiträge zur Philosophie [poi:
und Theologie] des Mittelalters », diretta poi da
quell'infaticabile erudito che fu M. Grabmann, sco-
pritore ed esploratore di manoscritti medievali in
quasi tutte le biblioteche europee. I suoi principali
scritti su Tommaso d'Aquino sono indicati nella bi-
bliografia, ma tutta la sua opera di erudito ha con-
tribuito a farlo meglio conoscere. Questo prezioso
lavoro di erudizione, che ebbe come maestri principali
(ma non sono i soli) P. Mandonnet e M. Grabmann,
continua oggi specialmente da parte dei collaboratori
all'edizione leonina dell'Opera omnia. di Tommaso,
sotto la guida di A. Dondaine.
In Francia, nella collezione « Bibliothèque thomi-
ste » fondata <da P. Mandonnet furono pubblicate sia
opere di carattere filologico-storico, come le Etudes
critiques del Destrez e i lavori del Glorieux, sia opere
di interpretazione del pensiero tomistico. E. Gilson
e Théry fondarono le « Archives d'histoire doctri-
150
nale et littéraire du Moyen Age » che si pubblicano
annualmente dal 1926; E. Gilson dirige la collezione
« Etudes de philosophie médiévale » nella quale sono
uscite anche le sue opere più importanti. Da E. Gil-
son e da M. D. Chenu hanno poi preso impulso gli
studi di filosofia medievale nel Canada: a Toronto,
Ottawa, Montréal.
I domenicani francesi pubblicano la « Revue Tho-
miste » e la « Revue des sciences philosophiques et
théologiques » organo délia scuola del Saulchoir dalla
quale proviene uno dei più eminenti tomisti contem-
poranei: M. D. Chenu.
151
A Piacenza, i Padri dei Collegio Alberoni fon-
darono nel 1880 e pubblicano tuttora la rivista « Di-
vus Thomas »; un altro « Divus Thomas » si pubblica
alPUniversità Cattolica di Friburgo, diretta dai do-
menicani, mentre l'Università ecclesiastica domeni-
cana di Roma pubblica dal 1926 « Angelicum ».
Negli Stati Uniti esce dal 1939 « The Thomist »
e sono centri di studi tomistici l'Università Cattolica
di Washington, le Università St. Louis e Notre Dame.
In questo rinnovamento di studi tomistici ricor-
deremo innanzi tutto le esposizioni generali del pen-
siero di Tommaso, fra le quali è classica, e a som-
messo avviso di chi scrive sempre valida, quella del
Sertillanges nei due volumi dedicati alla filosofia teo-
retica (Saint Thomas d'Aquin, del 1910, ripubblicato
in seconda edizione col titolo La philosophie de Saint
Thomas d'Aquin nel 1940) e nel volume dedicato a
La philosophie morale de Saint Thomas d'Aquin del
1916. Una esposizione complessiva del pensiero di
Tommaso è il Thomas von Aquin di H. Meyer del
1938, mentre La synthèse thomiste di R. Garrigou-
Lagrange del 1936 è piuttosto una esposizione siste-
mática delia filosofia e delia teologia fatta da un punto
di vista tomistico.
Opera singolare e di singolare valore è Y Intro-
duction à l'étude de Saint Thomas d'Aquin (1950)
di M. D. Chenu. Non è una esposizione délia dot-
trina, ma una vera introduzione, che suggerisce i
mezzi per accostarsi ai testi tomistici e per capirli
— avendo nello sfondo, per dir cosl, e lasciando in-
travedere al lettore la dottrina. L'opéra di Tommaso
è çollocata nel suo tempo, è vista in relazione con
gli * avvenimenti politici, le forme di vita sociale, la
poesia, le arti figurative contemporanee e insieme ne
è indicato il valore sopra-storico, la possibilita di
apertura ad altre forme di cultura presenti nel mondo
di oggi. I medesimi pregi si trovano nel volumetto
dell'Autore: Saint Thomas d'Aquin et la théologie.
152
Preoccupazione costante nei neotomisti fu il con-
fronto col pensiero contemporâneo, e si capisce che
alla fine dei secolo scorso e all'inizio dei secolo XX
le opere dedicate a Tommaso d'Aquino, ma sopra
tutto le monografie di carattere teoretico ad mentem
Tbomae, trattino il problema delia conoscenza : si
moltiplicano le « Criteriológie », le « Epistemolo-
gie », le « Critiche délia conoscenza » volte a giusti-
ficare il realismo tomistico contro la filosofia di Kant
e Tidealismo; ci sono, fra queste, opere di autentico
valore, vuoi per le analisi dei testi tomistici vuoi per
l'impegno teoretico. Una utilissima esposizione dei
vari indirizzi assunti dai tomisti in rapporto al pro-
blema delia conoscenza si trova nell'ampio volume
di G. Van Riet, L'epistêmologie thomiste. Recherches
sur le problème de la connaissance dans l'école tho-
miste contemporaine (Lovanio 1946). Fra le opere
più notevoli ricordiamo quella di J. Maréchal, Le
point de départ de la métaphysique, che porta come
sottotitolo Leçons sur le développement historique
et théorique du problème de la connaissance, e il cui
V volume è dedicato a Le thomisme devant la philo-
sophie critique (Lovanio 1926). Lo sbocco di questa
teoria delia conoscenza è metafísico: l'oggettività
délia conoscenza è raggiunta nel giudizio e garantita
dall'idea dell'essere che Pintelletto umano scopre come
un riflesso o una partecipazione dei supremo Essere
che è anche supremo valore.
Carattere più analitico hanno invece le opere di
L. Noël (Notes d'epistémologie thomiste, del 1925
e Le réalisme immédiat del 1938), di G. Zamboni
(La gnoseologia di S. Tommaso d'Aquino, del 1934),
di M. D. Roland-Gosselin (Essai d'une étude critique
de la connaissance, oltre agli studi particolari indicati
nella Bibliografia). Notevoli pure gli studi di J. de
Vries, la cui opera maggiore, Denken un Sein (Frei-
burg i. B. 1937) ha avuto anche una recente tradu-
zione francese (La pensée et l'être, Lovanio 1962).
In tempi più recenti prevalgono gli studi sulla
153
metafísica, che del resto non sono mancati neppure
alla fine del secolo scorso e alPinizio di questo: basti
ricordare l'opera del Del Prado, De veritate funda-
mentali philosophiae christianae del 1899, che vede
nella distinzione reale di essenza ed essere nelle crea-
ture il principio-base delia filosofia tomistica, quello
dal quale si possono in certo modo dedurre tutte le
dottrine particolari.
La ricerca di un principio ispiratore delia filosofia
tomistica domina anche opere più vicine a noi: da
quella di G. Manser, Das Wesen des Thomismus,
del 1932, che indica nella dottrina dell'atto e délia
potenza taie principio-base, a quelle dell'Olgiati,
(L'anima di S. Tom m aso, del 1923) del Mari tain,
del Gilson, del Fabro, che insistono sulla peculiarità
del concetto di essere in Tommaso.
J. Maritain ha contribuito come pochi altri a far
conoscere e apprezzare il pensiero di Tommaso d'Aqui-
no esponendone le dottrine in tutti i campi e ripen-
sandole, quasi sempre in polemica con la filosofia mo-
derna. Il suo Distinguer pour unir ou les degrés du
savoir, del 1932 è una vera summa di filosofia tomi-
stica. Tra i suoi molti scritti ricordiamo: per l'etica
lultima parte di Science et sagesse, del 1935, e Neuf
leçons sur les notions premières de la philosophie
morale del 1951 (l'altra grande opera sulla filosofia
morale è rimasta al primo volume, di carattere sto-
a
rico), per l'estetica Art et scolastique del 1920 (2 ed.
1927). Maritain tiene sempre presenti, oltre a Tom-
maso, anche i suoi grandi commentatori, specialmente
Giovanni di San Tommaso.
L'interpretazione che E. Gilson ha dato del pen-
siero tomistico ha subito una notevole evoluzione:
nella prima edizione di Le thomisme del 1919, e nelle
Etudes de philosophie médiévale del 1921 egli ve-
deva la novità e la modernità di Tommaso d* Aquino
neU'elaborazione di una filosofia autonoma, distinta
dalla teologia; in seguito ha giudicato Tommaso es-
senzialmente come teologo che, anche nel concetto
154
fondamentale delia sua filosofia, quello di essere, di-
pende dalla Bibbia. La metafísica di Tommaso d'Aqui-
no è, secondo Gilson, « la metafísica delYEsodo », è
fondata cioè sulla interpretazione di quel passo del-
YEsodo (III, 14) in cui Dio parlando a Mosè nomina
se stesso (nella traduzione latina vulgata) qui est,
colui che è. Questa concezione è comune al pensiero
Cristiano in quanto Dio è visto come creatore, datore
di tutto 1'essere (e non solo foggiatore di una ma-
24
teria, come nel pensiero greco ) ma è caratteristica
di Tommaso in quanto Fessere è presentato come
Y actus essendi, Pesistenza attuale. Sulla peculiarità
dellVjvrere tomistico insiste C. Fabro in tutte le opere
che ha dedicato a Tommaso dal 1939 a oggi (cfr.
la Bibliografia), e con sempre maggior vigore. Nei
Fabro Pinterpretazione teoretica dei pensiero tomi-
stico si unisce al rilievo che egli dà, in sede storica,
alia componente neoplatonica dei pensiero tomistico.
Una delle caratteristiche degli studi piíi recenti de-
dicati a Tommaso d'Aquino è infatti il rilievo dato
agli aspetti neoplatonici dei suo pensiero; su questi
insiste un'opera di primo piano: La participation
dans la philosophie de S. Thomas d'Aquin di L. B.
Geiger del 1942, che distingue due forme di parte-
cipazione: per composizione e per similitudine (que-
st'ultima fondamentale), vede nella dottrina délia par-
tecipazione il centro del pensiero tomistico e ne mo-
stra le connessioni con la teoria delFastrazione e di
altre teorie che sottolineano la concezione delPuomo
come ente al confine fra^due mondi: corporeo e spi-
rituale.
A proposito dei platonismo di Tommaso diverse
sono le conclusioni degli interpreti con interessi pre-
valentemente teoretici, come il Geiger e il Fabro, da
quelle di R. J. Henle che ha condotto una ricerca
rigorosamente storica nel suo Saint Thomas and Pla-
24
Cfr. per questo L'esprit de la philosophie médiévale,
Paris 1932.
155
tonism del 1956. Senza voler stabilire se e in che
misura Tommaso possa dirsi platonico, Henle, dopo
il rilevamento di tutti i testi nei quali Tommaso no-
mina Platone o i « platonici » conclude che i giudizi
di Tommaso sui platonici sono prevalentemente cri-
tici.
Parlando dell'interpretazione del Gilson si disse
che la filosofia di Tommaso d'Aquino è secondo lui
dipendente dalla teologia; su questo punto si divi-
dono le interpretazioni: lo storico P. Mandonnet e
oggi sped a l^n en te F. Van Steenberghen (cfr. spec.
Histoire de la philosophie. Période chrétienne, e La
e
philosophie au XIII siècle) sostengono che la filo-
sofia di Tommaso d'Aquino, pur essendo la filosofia
di un teologo, è filosofia autonoma, giustificabile con
la sola ragione; altri negano che si possa trovare in
Tommaso una filosofia autonoma. Ricorderemo fra
questi ultimi A. Gauthier nella Introduction histo-
rique alla traduzione francese délia Summa contra
Gentiles, dove si dice tra l'altro: è vero che Tom-
maso distingue le verità accessibili alla ragione da
quelle inaccessibili alla ragione, ma anche a proposito
delle prime la ragione « non stabilisce per suo conto
una verità acquisita da essa e per sé: manifesta per
conto delia teologia una verità già creduta ». Anche
il libro di A. Hayen, La communication de l'être sot-
tolinea fortemente il carattere teologico delia specu-
lazione tomistica.
Fra gli studi monografici su determinate dottrine,
ricorderemo quelli sulTanalogia, che implicano una
visione globale del pensiero di Tommaso d'Aquino:
del Lyttkens (1952), del Klubertanz (1960), del Mc
Inerny (1961), del Montagnes (1963). Quest'ultimo
specialmente critica l'interpretazione del Gaetano e
il primato da lui dato alPanalogia di proporzionalità.
Il Gaetano è del resto il bersaglio di molti tomisti,
oggi: E. Gilson gli attribuisce tutte le colpe dei « to-
mismo » di scuola; anche C. Fabro è fortemente po-
lemico col Gaetano.
156
Dicemmo che in tempi nei quali la maggiore at-
tenzione era dedicata al problema delia conoscenza i
confronti erano fra il pensiero di Tommaso e quello
di Kant; oggi sono per lo piü con Heidegger e con
Hegel, come si vede, oltre che nelle opere dei Fabro,
in quelle di J. B. Lötz (per Heidegger) nei volumi
di B. Lakebrink, Hegels dialektische Ontologie und
die thomistische Analektik (1955) e di H. Beck, Der
Aktchafakter des Seins, che porta come sottotitolo:
Eine Weiterführung der Seinslehre Thomas von
Aquins aus einer Anregung durch das dialektische
Prinzip Hegels, München 1965.
Di Tommaso d'Aquino si sono occupati per lo
più autori che apprezzano il suo pensiero; dobbiamo
però ricordare due opere fortemente polemiche nei
suoi riguardi: quelle di L. Rougier e di G. Saitta.
L. Rougier (La scolastique et le thomisme, 1925)
vede nella dottrina délia distinzione reale fra essenza
ed esistenza nelle creature il punto fondamentale
delia filosofia tomistica e la ritiene insostenibile. La
scolastica in genere e il tomismo in ispecie si rivelano
dominati « dal più prodigioso pseudoproblema che
abbia mai ossessionato lo spirito umano: quello del-
Paccordo fra il razionalismo ellenico e i dogmi delle
tre grandi religioni mediterranee »: giudaismo, cristia-
nesimo, islamismo. G. Saitta (Il carattere delia filo-
sofia tomistica, 1934) vede nella filosofia tomistica
solo l'intento di giustificare la teocrazia.
Ma anche nei mondo cattolico non tutti furono e
sono tomisti, neppure dopo Penciclica Aeterni Pa tris
di Leone XIII. I francescani continuarono ad ispi-
rarsi a Bonaventura e a Duns Scoto, cercando però
in taluni casi, tipico quello dei Padri che curarono
Peccellente edizione delle Opere di Bonaventura a
Quaracchi, di minimizzare le differenze fra il pensiero
bonaventuriano e quello tomistico. I rosminiani per-
severarono, pur fra difficoltà e assurdi sospetti, nella
fedeltà al Rosmini, polemizzando talora vivacemente
coi tomisti, come fecero nei secolo scorso G. Buroni
157
(Rosmini e S. Tommaso, Torino 1878) e P. M. Ferré
nella sua voluminosa opera Degli universali secondo
la teoria rosminiana confrontata con quella di S. Tom-
maso (Casale 1880-86). Polemizzavano con i tomisti,
che interpretavano secondo loro in modo troppo ri-
stretto, troppo aristotélico, il pensiero di Tommaso,
più che con Tommaso stesso. Alcuni, cosi anche oggi
G. Muzio, affermano addirittura che quella rosmi-
niana è l'unica interpretazione esatta (oltre che vera)
di Tommaso.
In tempi più recenti Johannes Hessen (Die Wel-
tanschauung des Thomas von Aquin, 1926; Augu-
stins Metaphysik der Erkenntnis, 1931) ha contrap-
posto la concezione agostiniana, più consona a una
visione cristiana del mondo, a quella tomistica. Al-
tri, come L. Laberthonnière (specialmente Réalisme
chrétien et idéalisme grec, Paris 1904) criticarono
nella scolastica in genere e in Tommaso in ispecie una
forma di intellettualismo, inteso come esclusiva fidu-
cia nei concetti astratti dell'intelletto e nelle teorie
su di essi fondate come vie alFaccettazione delia fede,
come praeambula fidei} mentre alla fede si arriva solo
partendo dalle esigenze delTuomo concreto. Erano gli
anni dei modernismo, quando difensori troppo ze-
lanti dell'ortodossia cattolica, che essi identificavano
con l'ortodossia tomistica, esercitavano una pesante
oppressione sulla cultura dei cattolici, e voci come
quelle del Laberthonnière furono messe a tacere (be-
ninteso per chi voleva, come Laberthonnière, rima-
nere nella chiesa cattolica). Non è strano quindi che
si sia determinata e si affermi oggi una reazione a
questa specie di dispotismo, reazione spesso ugual-
mente intollerante, che coinvolge il pensiero di Tom-
maso d'Aquino nel ciarpame che occorrerebbe elimi-
nare per tornare alla purezza del pensiero cristiano. Ma
può darsi, come ho detto altrove, che lo scomparire
di un tomismo sociologico dia luogo ad un tomismo
più autentico.
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théologique,
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