Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
15 visualizzazioni403 pagine

Flavio Giuseppe. Storia Della Guerra Giudaica. Vol. I

Il documento descrive un libro di pubblico dominio, digitalizzato da Google per renderlo accessibile online. Esso contiene commenti e annotazioni storiche, rappresentando un patrimonio culturale importante. Google invita gli utenti a utilizzare il materiale in modo legale e personale, evitando usi commerciali e query automatizzate.

Caricato da

bigtoni10
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
15 visualizzazioni403 pagine

Flavio Giuseppe. Storia Della Guerra Giudaica. Vol. I

Il documento descrive un libro di pubblico dominio, digitalizzato da Google per renderlo accessibile online. Esso contiene commenti e annotazioni storiche, rappresentando un patrimonio culturale importante. Google invita gli utenti a utilizzare il materiale in modo legale e personale, evitando usi commerciali e query automatizzate.

Caricato da

bigtoni10
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 403

Informazioni su questo libro

Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è
un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.

Linee guide per l’utilizzo

Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l’utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:

+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Non
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.

Informazioni su Google Ricerca Libri

La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell’intero testo di questo libro da http://books.google.com
te
Stnt-Pautusstraat, 2

UNIVERSITEITSBIBLIOTHEEK GENT
Sffli

900000007079
COLLANA

DEGLI

ANTICHI STORICI GRECI

VOLGARIZZATI.
/r-
({'^ìUJj

STORIA
DELLA GUERRA GIUDAICA
Hftff
D I

GIUSEPPE FLAVIO
TRADOTTA DAL GRECO E ILLUSTRATA COM NOTE

dall' abate

FRANCESCO ANGIOLINI
PIACEHTIMO

TOMO PRIMO

MILANO
DALLA TIPOGRAFIA De' FRATELLI SONZOGNO

t822
\w*fc

. i
JYat/io. Tomo VI.
DELLA STORIA

DELLA

GUERRA GIUDAICA
OSSIA

DELLA DISTRUZIONE DE' GIUDEI

LIBRO PRIMO.

PROEMIO.

1 Xoiche della guerra accesasi tra' Giudei e i Roma


ni , guerra la più famosa non pure dell' età nostra, ma
forse di quante s' udirono raccontare insorte tra città e
città o tra nazione e nazione, altri, che non si trovano
presenti al fatto, ma da poco fondate relazioni e discor
di raccolserne le notizie , ne scrivono da ingannati , ed
altri che vi furon presenti o per adulare i Human! o
6 DELLA GUERRA GIUDAICA

per odio contro i Giudei coprono la verità delle cose ,


e sono gli scritti loro quando un' accusa , quando una
lode , non mai una storia esatta , io Giuseppe figliuol
di Mattia , ebreo di stirpe, di nascita gerosolimitano, e
di condizion sacerdote , io che ho guerreggiato in per
sona contro a' Romani , e fui di necessità agli ultimi av
venimenti presente , mi sono proposto , recato nel greco
idioma quello, che nel paterno io già scrissi pe' Barba
ri (i) delle superiori provincie, di farne una storia a pro
di coloro , che vivon soggetti all' impero romano.
II. Or , quando s' attaccò questa guerra cosi , come
ho detto, famosa, gli affari domestici de' Romani an la
vano male , e lo spirito de' Giudei sedizioso ed amante
di novità avvennesi allora in tempi assai torbidi , ben
però di valore provvisti e di forze ; talché per le orri
bili turbolenze , che sconvolgevano allora ogni cosa ,
questi speravano di conquistare , e quelli temevan di
perdere l' Oriente. Mercecché i Giudei lusingavansi, che
quanto havvi di nostra gente di là dall. Eufrate corre-
rebbono loro in ajuto ; e a' Romani davano assai che
fare i Galli vicini & i Celti , che non lasciavangli in
pace ; senzaché da ogni parte , morto Nerone , bollivan
tumulti , e parecchi per tale occasione aspiravano a do
minare , e i soldati per isperanza di qualche guadagno
bramavano mutazione. Cosa pertanto sconvenevole m' é
paruto, che la verità in affari di tal rilievo qua e là di
scorrere si lasciasse all' incerta , e che mentre i Parti ,
i Babilonesi , gli Arabi più rimoti , la nostra nazione di
là dall' Eufrate , e gli Adiabeni , mercé della mia dili
genza , sapevano paratamente , ond' ebbe principio la
L1B. I. PROEMIO 7

guerra , per mezzo a quali accidenti andò oltre, e a che


termine riuscì, i Greci poi e que' tra' Romani, che non
militarono , siccome non leggevano , che adulazioni o
menzogne , cosi ne restassero totalmente all'oscuro.
III. Eppure a scritti di simil fatta s'ardisce dar nome
di storie , quando , oltre al non avere una parte in sé ,
che sia sana , parmi altresì , che non dian nel segno ,
conciossiaché mentre vogliono sublimare i Romani , ab
bassano sempre e avviliscono , quanto spetta a' Giudei ;
e non veggono, come mai esser puote, ch'altri compaja
grande per aver vinto un dappoco. V ha di più , che
non pongono mente né alla lunga guerra , che si fu
questa , né alle molte truppe romane , che vi si fiacca
rono intorno , né alla grandezza de' capitani , a' cui lar
ghi sudori sparsi sotto Gerusalemme , quando la loro
impresa (2) si minuisca , si toglie , come a me pare ,
ogni gloria.
IV. Non é però , che col mio contrappormi a coloro,
i quali la parte esaltano de' Romani , io intenda d' am
plificare la nostra. No : io vado minutamente sponendo
i fatti dell' una parte e dell' altra , e se ai fatti aggiun
go parole del mio , ciò é per concedere qualche sfogo
all' animo disturbato e dolente per le calamità della pa
tria. Che poi sia vero , che una domestica sedizione la
distrusse , e malgrado ancor de' Romani , i tiranni fu
rono de' Giudei , che si trassero dentro il Tempio santa
di Dio le destre e il fuoco nimico , n' é testimonio lo
stesso Tito Cesare , che mandòlla in fondo ; il quaJe
sentiva pietà del popolo, perché sostenuto da sediziosi ;
e spesse fiate differì a bella posta di prendere la città ,
8 DELLA GUERRA GIUDAICA

e mandò in lungo l' assedio , per ravvedimento di chi


n' era autore. Che taluno ne ascriva a difetto , quanto
piagnendo le calamità della" patria diciamo in tuon ri
sentito contro i tiranni e le lor ruberie , dch perdoni
questa violazione di storiche leggi al dolore. Perciocché
d' infra quante città fur soggette a' Romani , la nostra
sola e pervenne al più alto della felicità, e indi preci
pitò nel più basso delle miserie. Tutte pertanto le di
savventure , che a memoria d' uomo accadettero , a pa-
ragon delle incolte a' Giudei , mi sembra che restino
loro al di sotto ; con questo di soprappiù , che chi
n' ebbe la colpa non fu straniero ; onde impossibile mi
pareva frenare i lamenti. Che se avrò a giudice una
persona , che sia alla pietà insensibile , ebbene questi
attribuisca i fatti alla storia, e allo storico le querele.
V. Io per altro ben a ragione vorrei sgridare i più
eloquenti fra' Greci , i quali in mezzo ad avvenimenti
dell' età loro sì grandi , che se confrontinsi colle guerre
de' tempi andati , queste pajono picciolissime , fanno da
giudici maltrattando coloro , che studianvi intorno , cui,
s' essi avanzano in eloquenza , non pareggiano in buon
volere, eglino poi si rivolgono a scrivere degli Assiri e
de' Medi, come se gli scrittori antichi trattato ne aves
sero men che bene. Eppure altrettanto son loro al di
sotto in valore , quanto lo son neh' idea. Conciossiaché
ognun di quelli presero a scrivere delle cose de' tempi
loro , ove l' essersi forse trovati presenti ai fatti rende-
vane più accertata la sposizione, e il mentire a persone,
che ben sapevano tutto , era cosa vituperosa. D' altra
parte il mettere in luce materie pria non sapute , e il
UB. I. PROEMIO 9
raccomandare alla posterità gli avvenimenti dell' età pro
pria é cosa degna d' approvazione e di lode. Quegli poi
si può dire industrioso , che non I' ordine e 'l divisa
mente degli altrui scritti travolge , ma col dir cose nuo
ve compone egli ancora del suo un corpo di storia. Io
cerio con grandi spese e fatiche , benché straniero , ho
a' Greci tutto insieme ed a' Barbari conservata la ricor
danza d'illustri imprese; mentre all'opposito que' del
paese, se trattisi di guadagni e di liti, aprono tosto la
bocca ed hanno sciolta la lingua, se di storia, dove bi
sogna dire la verità , e con mólta fatica raccoglierne la
materia, son muti, e lasciano a gente più debole e igno
rante l'incarico di narrare le geste de' capitani. Sia dun
que da noi pregiata la verità della storia , poiché dai
Greci non é curata.
VI. Ora il farsi da' primi tempi ad esporre, che fos
sero i Giudei, come uscissero dell'Egitto, per quanto
paese aggirassonsi pellegrinando , quali terre poi occu
passero , e come fossero portati altrove, io l'ho creduta
per ora un' impresa fuor di proposito , e forse ancora
disutile. Mercecché e i parecchi Giudei compilarono esat
tamente prima di me le storie de' padri loro , e alcuni
Greci rendendole nel lor paterno linguaggio non anda
rono troppo errati dal vero. Quindi ove e gli scrittori
di quelle e i profeti nostri finirono , di là io darò co-
minciamento alla mia ; in cui , quanto s' apparterrà alla
guerra fatta a' miei tempi , sporròllo più stesamente e
colla possibile accuratezza; quanto poi é avvenuto nelle
età andate , lo scorrerò brevemente.
VII. Dirò dunque , come Antioco chiamato Epifane ,
IO DELLA GUERRA GIUDAICA

presa per forza Gerusalemme e tenutala tre anni e sei


mesi, cacciato ne fu da' figliuoli d'Asamoneo. Indi come
i discendenti di questi venuti tra loro a contesa del re
gno tirarono nella lite i Romani e Pompeo ; poi come
Erode figliuol d'Antipatro col soccorso di Sosio distrusse
il loro principato, e come il popolo, morto Erode, tu
multuò , essendo imperadore Augusto , e governando il
paese Quintilio Varo; e infine come l'anno duodecimo
di Nerone scoppiò la guerra, coli' accaduto sotto il go
verno di Cestio , e con quanti luoghi sul primo bollir
della guerra corser coli' armi i Giudei.
Vili. Qui descriverò , com' essi fortificarono le città
convicine; e come Nerone, dopo le rotte avute da Ce-
stio , temendo danni maggiori affidò a Vespasiano l'in
carico della guerra ; e come questi col suo figliuol pri
mogenito entrò in Giudea, e quante truppe romane seco
vi trasse, e quante confederate furon disfatte per tutta
la Galilea. Indi , come le sue città parte furono onni
namente e a viva forza distrutte, parte avute a patti.
Qui tratterò e della buona ordinanza, in che vanno nel
guerreggiare le armate romane, e della disciplina, in che
si mantengon le truppe : parlerò inoltre della grandezza
e delle qualità d'ambedue le Galilee, porrò i confini
della Giudea , e v' aggiugnerò del paese le produzioni
più proprie , i laghi, e le fonti , e ciò, che ai prigioni
fatti in qualsivoglia città intravenne di doloroso, e tutto
con esattezza trarrò da quanto io stesso vidi o soffersi ;
1ué fia ch' io taccia pur una delle sciagure a me incolte,
se non per altro , per ciò almeno , ch'io debbo parlare
a gente , che u' é troppo bene informata.
DB. I. PROEMIO I 1

IX. Poscia, come prendendo oggimai le cose de' Giu


dei trista piega , muore Nerone , e Vespasiano già in
cammino verso Gerusalemme ri é richiamato , perché
s' addossi l' impero : qui dirò i prodigj avvenuti per
animarvelo , e le rivoluzioni, che accaddero in Roma,
e corn' egli fu mal suo grado acclamato dalla milizia
imperadore. Indi , come , partito lui verso Egitto per
l' aruministrazion dell'impero, furono da sedizioni scon
volti i Giudei ; e come levaronsi di que' tempi sopra il
lor capo i tiranni , colle discordie , che nacquero tra
costoro.
X. Dopo questo narrerò, come Tito partitosi dall'Egit
to venne per la seconda volta in Giudea ; e in che
modo e dove. e quante truppe raccolse; e come la città,
lui presente, fu travagliata da sedizioni, e quanti assalti
ei diede, e quanti argini innalzò, dove si dirà del tri
plice giro di mura, della loro dimensione, della fortezza
della città , e dello stato del luogo (3) sagro e del Tem
pio. Con quelta occasione porterassi la lor misura, e
quella ancor dell'altare, il tutto con esattezza ; e riferi-
rannosi alcune usanze de' giorni festivi, e le setie puri
ficazioni, e i ministerj de' sacerdoti, colle lor vestimenta
e con quelle del sommo Pontefice : indi qual fosse il
luogo più santo del Tempio, senza celare od aggiugnere
cosa alcuna oltre a quelle , che ognun già vide.
XI. Farò parola eziandio della crudeltà de' tiranni con
tro i lor nazionali , e della benignità de' Romani verso
persone straniere; e quante fiate Tito desideroso di ve
der salva la città ed il Tempio invitò alla pace i sedi
ziosi, ben conoscendo il miserabile stato e doloroso del
12 DELLA GUERRA GIUDÀICA

popolo, e in quanti mali con loro strazio avevali preci


pitati la guerra , in quanti la sedizione , e in quanti la
fame. Non ommetterò le sventure de' rifuggiti , e i sup-
plizj de' prigionieri : dirò inoltre, come il Tempio contro
il volere di Cesare fu bruciato , e quanto di sacri arredi
fosse sottratto all'incendio: poi la- presa della città tutta
quanta , e i segni e i prodigj , che precedetterle , e la
prigionia de' tiranni , e la moltitudine de' cattivi , e la
sorte , che a ciascuno di loro toccò. ludi , come i Ro
mani lanciaronsi sopra gli avanzi di quella guerra , e
abbatterono da' fondamenti i luoghi più forti , e Tito ,
scorso tutto il paese , rimiselo in pace , con finalmente
il ritorno di lui in Italia e 'l trionfo.
XII. Tutte coteste cose in grazia di chi ama più pre
sto la verità che il diletto ho racchiuse scrivendole in
sette libri, senza dare occasione a chi già le sapesse e
fosse intervenuto alla guerra , di richiami o d' accuse.
Darò adunque a tal narrazione cominciamento , donde
V ho dato a' capitoli.

Capitolo Primo.

Presa di Gerusalemme e disertamente del Tempio sotto


il re Antioco. Geste di Mattatia e di Giuda Mac
cabei. Morte di Giuda.

I. Nata (4) fra' più possenti Giudei una sedizione nel


tempo, che Antioco nomato Epifane avea quistioiie de. la
Celesina con Tolommeo VI ( e i Giudei litigavano della
maggioranza , perché ciascuno de' prmcipali sdegnava di
iiB. i. cxr. i. i3
9tar soggetto a suoi pari ) Giasone un de' pontefici riu
scitone vincitore cacciò di città i figl uoli di Tobia , i
quali rifuggitisi presso Antioco gli supplicarono , che
volesse dietro alle loro tracce entrare in Giudea. Il re,
che già da buon tempo innanzi ne avea formato il di
segno , vi si condusse ; e spintosi con grand' oste in
Giudea prese a viva forza Gerusalemme, e disertò una
moltitudine assai numerosa di partigiani di Tolommeo ; e
data a' soldati la facoltà di rubare senza ritegno, egli stes
so spogliò il Tempio, e per tre anni e sei mesi inter
ruppe l' usanza continua de' sagrifizj quotidiani. Intanto
il pontefice Onia (5) ricoveratosi presso di Tolommeo ot
tenne da lui nel governo d'Eliopoli un luogo, ove fab
bricò una picciola città somigliante a Gerusalemme , e
\m tempio altresì non diverso. Ma di questo ragioneremo
e suo luogo altra volta.
II. Antioco però non fu pago né della presa non
isperata che fece della città , né del sacco , che diedele,
né del sangue , che in si gran copia vi sparse ; ma per
lo stemperato uomo , ch' ei fu , e per la ricordanza di
quanto sofferto avea nell' assedio costrinse i Giudei, che,
violate le patrie leggi, incirconcisi tenessero i lor bam
bini , e sagrificassero porci sull' ara , nel che tuttiquanti
gli si opponevano, e però uccidevansi i più riguardevoli
personaggi. Apelle poscia spedito da Antioco per guar
diano delle fortezze, avendo alla sua crudeltà naturale
congiunte l'empie commissioni del re non v'ebbe eccesso
di ribaldaggine , a cui non giugnesse , straziando a un
per uno gli uomini più rispettabili, e a tutti rinnovando
ogni giorno il tristo spettacolo della città presa una volta
|^ DELLA GUERRA GIUDAICA

finché le soverchie sue prepotenze attizzarono alla ven


detta i miseri oppressi.
IH, Mattatia adunque nipote d' Asamoneo , sacerdote ,
e nativo del borgo chiamato Modin, armata la sua do
mestica soldatesca, perciocché avea cinque figliuoli, uc
cide A pelle col ferro ; indi temendo la moltitudine delle
guardie si ritirò alle montagne; ove adunatiglisi intorno
molti del popolo fece cuore, e discese, e venuto alle
roani co' generali d' Antioco li disfece , e cacci olii della
Giudea. Da questa felice impresa salito a grande poten
za , e mercé il trarre , che aveva fatto di mano a stra
nieri la sua nazione , innalzato per comun voto al reg
gimento de' suoi viene a morte , e a Giuda suo figliuolo
primogenito lascia l'impero.
IV. Questi, poiché prevedeva , che Antioco non ta
cerebbe , fe' leva di truppe dalla nazione , e strinse il
primo amistà co' Romani , e con una memorabile rotta
mandò disfatto Epifane entrato per la seconda volta in
Giudea. Galdo di questa vittoria gettòssi sopra il presidio
della città , che non era per anco di là sterminato , ed
esclusolo dal più alto della città , la qual parte chiamasi
Aera (6) , risospinse i soldati verso il più basso : il per
ché divenuto padrone del Tempio lo ripurgò tuttoquanto,
il ricinse di mura , e fatto pel ministero nuovo vasella-
roento forninne il Tempio , guardando i primi come im
brattati ; e innalzò un nuovo altare , e die a sagrifizj
comiiiciamento. Appena furono alla città ridonate le sue
sagre funzioni , che Antioco si morì. Suo erede nel
regno e nell' odio contro i Giudei fu il figliuolo An
tioco (j).
LIB. I. CAF. I. l5

V. Egli adunque fatta una leva di cento mila fanti ,


di cinquemila cavalli o in quel torno , e d' ottanta ele
fanti entra nella Giudea dalla banda delle montagne; e
prende issofatto la picciola città di Betsura ; ma presso
al luogo detto Betzacaria, là dove il passaggio é angu
sto assai , gli si fa incontro Giuda colle sue forze ; e
primaché s affrontassero le due armate , Eleazaro suo
fratello , veduto un altissimo elefante con una gran
torre indosso fornito a oro , e credendosi ch' ivi entro
fosse Antioco; si spiccò per buon tratto da' suoi, e sma
gliate le ordinanze nimiche pervenne fin dove trovavasi
¥ elefante ; ma non poté giugner quello , cui egli cre
deva il re , attesa la troppa altezza del luogo ; e però
ferendo nel ventre la bestia tirollasi addosso , e rimasevi
sotto schiacciato e morto , senz' altro aver fatto , che
tentare una grande impresa , posposto all' amor della
gloria quel della vita. Intanto il reggitor della bestia era
uomo privato, e ancorché fosse stato Antioco, nient' al
tro avrebbe ottenuto col suo coraggio , che l' onore di
aver per la sola speranza d' una memorabile impresa
affrontata la morte. Questo però servì di pronostico a
suo fratello dell'esito della giornata. Perciocché resistet
tero bensì i Giudei con valore e per lungo tempo, ma
i regj superiori nel numero e favoriti della fortuna ri
mangono loro al di sopra ; onde Giuda , caduti molti
de' suoi , col restante ricogliesi nella provincia (8) Gof-
nitica. E Antioco passato a Gerusalemme , e sopratte
nutosi colà pochi giorni per difetto di vittuaglia parti ,
lasciatovi di presidio quanto credette bastante al bisogno,
- e il rimanente seco il condusse a svernar nella Siria.
t6 DELLA GUERRA GIUDAICA

VI. Dilungatosi il re, non istette Giuda quieto: ma


aggiuntisi a lui parecchi de' suoi nazionali , e riuniti
quanti camparono salvi dalla battaglia , presso il borgo
Adasa s' affronta coi generali di Demetrio (9) ; e dopo
fatte grandi prodezze ed uccisi molti nimici alla fine fu
morto (io). Indi a pochi giorni Giovanni fratello di
lui , per insidie tesegli da persone , che favoreggiaron»
il morto Antipco , pose fine a' suoi giorni.

Capitolo II.

Di donata , Simone , e Giovanni Ircano


successori di Giuda.

I. Succeduto a lui Gionata suo fratello , in tutto ciò


che spettava ai suoi popolani e alla sua persona, andava
assai cauto , e volle coli' amistà de' Romani assodare il
suo impero. Indi strinse alleanza col giovine Antioco (11).
Questo però non gli valse a farlo sicuro. Conciossiaché
il tiranno Trifone , tutore bensì del giovine Antioco ,
ma inteso a tradirlo e però a torgli prima dal fianco
gli amici, mentr' egli veniva con poco seguito a visitare
Antioco in Tolomaide, insidiosamente gli mette le mani
addosso , e incatenatolo move l' armi contro i Giudei.
Ma disfatto da Simone fratel di Gionata, per la rabbia,
che senti da tal rotta , tolse di vita il prigione.
II. Simone poi adoprando valorosamente s' impadro
nisce di Gazara, di Gioppe, e di Giamnia città confi
nanti. Spiantò ancora da' fondamenti la cittadella (*) ,
avendone soggiogato il presidio. Indi collegasi con An
LIB. I. CAP. II. 17

tioco (12) contro Trifone, cui prima d'uscir Sopra i


Medi teneva in Dora assediato. Ma benché gli prestasse
l'opera sua in levar del mondo Trifone, pur non mise
alcun freno all' animo ingordo del re , il quale indi a
poco mandò il suo general Cendcbeo con grand' oste e
con ordine , che mettesse a fuoco e Camma la Giudea
tutta , e facesse schiavo Simone. Ma questi , benché già
vecchio, pure si portò in quella guerra più che da gio
vine. Egli infatti spedisce innanzi i figliuoli insieme coi
più gagliardi, ed esso con una parte della sua gente lo
assale dall' altra banda. Messi inoltre per le montagne
qua e là molti aguati della sua gente occupò tutti i
passi; e dopo l' illustre. vittoria , che n'ebbe, fu creato
pontefice ; e tolse alla dominazione de' Macedoni dopo
censettantanni i Giudei.
IH. Ma egli pure fini i suoi giorni tradito a tavola
da Tolommeo suo genero , il quale , chiusane la con
sorte e due figli in prigione , mandò , chi uccidesse
Giovanni , ch' era il terzo , e soprannomavasi ancora
Ircano. Ma il garzone accortosi della loro venuta rico-
veróssi in Gerusalemme fidandosi molto nel popolo
mercé le felici imprese del padre , che ricordavano , e
la ribaldaggine di Tolommeo, che abborrivauo. Tentò
ancor Tolommeo d' entrare per l' altra porta ; ma" re
spinto ne fu dalla plebe, che avea tostamente ricclto ,
Ircano ; ond' esso si ritirò di presente in una fortezza
di là da Gerico , nominata Dagone. Rivestito adunque
Ircano del pontificato paterno, dopo aver fatto a Dio
sagrifizio , uscì frettoloso contro di Tolommeo per sal
vare la madre e i fratelli.
FtArm, 1. VI. Detia Q. G. t. I, 2
18 BEILA GUERRA GIUDAICA

IV. Appressatosi alla fortezza, tuttoché fosse in offni


altra cosa superiore al nimico , pur si lasciò vincere a
una compassion troppo giusta. Perciocché Tolommeo ,
quando vedevasi in qualche stretta , menava sopra le
mura la madre e i figliuoli ti' lrcano , e straziandoli
pubblicamente minacciava di precipitameli , se tantosto
non si partiva. A tal vista lo sdegno d' lrcano davasi
vinto alla compassione e al timore. La madre però niente
abbattuta né da-li o strazi né dalle minacce d' una morte
vicina , stendeva le mani verso il figliuolo , e pregavalo,
che per pietà dell' indegno suo stato non lasciasse im
punita cotanta ribalderia ; che più cara sarebbele del
l'immortalità stessa la morte datale da Tolommeo, quando
costui pagasse la pena del suo scelerato procedere con
tro la loro famiglia. Ora Giovanni , quando poneva
mente all' ardir della madre , e ne udiva le suppliche ,
si sentiva animato all' assalto ; ma , quando la rimirava
battuta e straziata , smarriva il coraggio , e nient' altro
, sentiva , che la pietà. Andato perciò in lungo l' assedio
venne alla fine quell' anno festivo , ch' ogni sette anni
solennizzasi da' Giudei egualmente , che il settimo gior
no. Liberato così Tolommeo dall' assedio uccide i fratelli
colla madre ancor di Giovanni , e ricovera presso Ze
none chiamato Cotila , ch' era tiranno di Filadelfia.
V. Antioco intanto sdegnato per ciò , ch' ebbe a so
stenere da Simone , entrò colle truppe in Giudea , e
postosi a campo presso Gerusalemme vi strigne lrcano
d' assedio ; ma egli aperto il sepolcro di Davidde , re
d' infra gli altri ricchissimo, e cavatine più di tre mila
talenti in moneta , con trecento di questi , che diede
LIB. I. CAP. II. ig

ad Antioco, Io persuase a levare l' assedio; e fu egli il


primo de' Giudei , che del suo mantenesse soldatesca
straniera.
VI. Egli però, quando Autioeo colla sua spedizione
contro a'-, Medi gli diede agio di vendicarsi , egli tosto
gettòssi sopra le città della Siria , pensando , com' éra
in fatti , di ritrovarle sprovviste della milizia più valo
rosa. Prese egli adunque Medaba e Semega colle vicine,
e Sichem e Garizim; oltre a queste soggiogò la inizio»
de' Cutei , cbe abitavauo d' intorno a un tempio simile
a quello di Gerusalemme. Sottomise ancora moh' altre
città non picciole dell' Idumea , e con esse Adora e
Marissa.
VII. Innohratosi fino a Samaria colà , dove ora é
Sebaste città fabbricata da Erode il grande , condussevi
una trincea tutto intorno, e deputò i figliuoli Aristobolo
e Antigono a soprantendere a quell' assedio. Ora i gio
vani non si dando mai posa condussero gli assediati a
tal carestia , che mangiavano i cibi ancora più inusitati;
ond' essi chiamarono in loro ajuto Antioco detto Cizi-
ceno , il quale , esauditili prontamente , fu dalla getite
d' Aristobolo rotto, e da' due fratelli inseguito nella sua
fuga fino a Scitopoli ; i giovafii poi ritornati, a Samaria
rispinsero i cittadini a chiudersi entro le mura di nuo
vo, indi presa la città atterraronla affatto, e fecipn pri
gioni gli abitatori. Or mentre a così lieto fine riuscivano
ì loro disegni , non perciò allentarono il loro ardore ,
ma spintisi oltre con tutta lor gente fino a Scitopoli
corsero questa città, e diedono il guasto a tutto il paese
intra il monte Carmelo.
20 DELLA GUERRA GIUDAICA

Vili. Dopo i prosperi avvenimenti così di Giovanni j


come de' figli l' invidia levò in suo danno a sedizione. ì
paesani ; e molti usciti contro di lui non si tolsero giù
dall'impresa finché precipitatisi in una guerra aperta.
non fur disfatti. Menò poi Giovanni il restante della sua
vita felicemente; e amministrato pel corso di trentun (i3)
anni interi i\ governo con gran prudenza , pon fine ai
suoi giorni , lasciati cinque figliuoli dopo di sé. Uomo
veracemente beato, e che non permise si desse per colpa
sua niuna accusa alla fortuna. In somma egli solo unì
in sé medesimo tre gran pregi , il capitanato della na
zione , il pontificato , e lo spirito di profezia. Percioc
ché Iddio conversava seco lui di maniera , che non ci
aveva cosa avvenire , che non sapesse. Certo egli dei
due maggiori suoi figli antivide e predisse , che non
durerebbono lunga pezza signori del principato; dei
quali degno é ben , che si narri l' esito doloroso in
quanto ei dicaddero dalla paterna felicità.

Capitolo III,

Aristobolo cigne il primo corona , e uccisi madre


e fratello muore dopo un solo anno di regno.

I. Dopo la morte del padre, Aristobolo primogenito,


\olto in regno il suo principato , cigne il primo corona
dopo quattrocento ottantun anni e tre mesi, dacché ri
tornato fu il popolo nella patria sciolto dal giogo babi
lonese. Tra' suoi fratelli il secondo genito Antigono, cui
pareva che amasse , fu da lui pareggiato ip, onore a sé
LIE. I. CAP. Iii» 31
stesso , mentre teneva gli altri prigioni , e con essi an
cora la madre venuta seco a contesa intorno all' autorità
del comando; poiché Giovanni aveva lasciato a lei ogai
cosa : e a tanto giunse di crudeltà , che lasciòlla morii'
di fame in prigione.
II. Ma portò ben egli la pena di tal misfatto della
persona d' Antigono suo fratello , cui egli avea caro , e
fece consorte del regno ; mercecché uccise anche lui
per delitti, che apposergli maliziosamente cortigiani ri
baldi. Veramente Aristobolo da principio non die cre
denza a' lor detti , tra perché amava il fratello , e per
ché ascriveva la maggior parte di ciòj che s' andava di
cendo , ad invidia. Ma essendo Antigono dalla guerra
venuto con nobil treno alla festa , in cui per antica
usanza s' innalzano a onor di Dio padiglioni , avvenne ,
che di que' giorni Aristobolo si trovava infermo, e An
tigono sul terminar della festa rendessi del Tempio con
militare accompagnamento, abbigliato quanto poté il me
glio, per ivi fare più lunga orazione per suo fratello. Pre
sentatisi in questo i rei cortigiani dinanzi al re gli nar
rarono la militar pompa e l'alterigia d'Antigono maggiore
di quello , che stesse bene in privato ; ed aggiunsero ,
che veniva con grossa armata per torlo del mondo ;
giacché non bastavagli il solo onore , che dall' altrui
regno venivagli , quando era in sua mano d' impadro
nirsene.
IH. A queste costì , quasi direi mal suo grado , die
fede Aristobolo , e provvedendo ad un ora medesima ,
che e i sospetti suoi non venissero in luce , e la sua
persona fosse contro ogni caso sicura , collocò le sue
S2 DELLA GCERRA GIUDAICA

guardie in un luogo bujo sotterra ( egli intanto giacer


vasi nella fortezza a que' tempi chiamata Bari , poscia
per cambiamento di -nome Antonia ) , con ordine , che
non toccassero Antigono , se veniva a lui disarmato ,
ma, se coli' armi, stendesserlo morto a terra; indi spedi
al fratello persone, che l' avvertissero a venir disarmato.
Qui la regina tracciò maliziosamente cogl' insidiatori una
frode : ciò fu indurre i messi a tacere le commissioni
del re , e in lor vece dire ad Antigono, che il fratello
avendo sentito , ch' egli erasi in Galilea provveduto di
armi vaghissime e d1 un militar fornimento assai bello ,
né l' infermità consentendogli d' esaminarne ogni parte ,
or eli' esso stava per novamente partire, forte bramava
mirarlo coli' armi indosso.
IV. Ciò udito Antigono , poiché l' amor del fratello
toglievagli ogni reo sospetto dal cuore, mosse alla volta
di lui coli' armi, credendosi di doverne fare una mostra.
Giunto al passo tenebroso , che Torre chiamavasi di
Stratone , ucciso fu dalle guardie , e die chiaro a co
noscere , che la calunnia estingue ogni amore di beni-
voglienza e di natura , e non avvi affetto d' animo cosi
forte , che tengasi immobile contro all' invidia.
V. E qui ben é degno, che ammirisi Giuda , il quale
esseo di nazione mai non errò né mentì nel predire
l' avvenire. Questi , poiché veduto gli venne Antigono ,
che passava per mezzo al Tempio ( e stavangli a fianco
parecchi de' suoi discepoli ) , ahi ! disse « quanto per .
» me fora meglio , ch' io più non vivessi , dappoiché
» prima di me é morta la verità, e una mia predizione
» é andata tallita. Ecco , vive Antigono , ch' oggi do
I.1T5. I. C.AF. HI. ?..'•

* veva morire ; e il luogo al suo fin destinato era la


» Torre (i4) di Stratone, .lontana di qua ben secento
» stadj , e già sono volte quattr' ore del giorno , e il
» tempo presente esclude la mia profezia. » Cosi disse
il buon vecchio , e malinconico se ne stava e pensoso ,
quand' ecco fra pochi momenti gli vien riferito , che
Antigono era stato ucciso in luogo sotterra , che Torre
anch' esso diceVasi di Stratone, come la Cesarea a mare;
il che aveva assai disturbato il profeta.
VI. Intanto ad Aristobolo il pentimento del mal com
messo fece aggravare l'infermità, e il lungo pensare al
l' assassinamento commesso , oltreché gli teneva l' ani
mo sempre in rivolta , l andava ogni giorno più disfa
cendo , finché lacerategli dall' eccessivo dolore le viscere
vomitò molto sangue. Or mentre un de' servi deputati
ad assisterlo portava altrove quel sangue , avvenne per
provvidenza divina , che sdrucciolò ivi appunto , ove
Antigono fu tradito , e versò il sangue dell' uccisore sco
pra le macchie ancora visibili di quel dell' ucciso. Quan
ti lo videro , misero tosto uno strido , come se a bella
posta avesse colà il servo versato quel sangue. Perve
nute agli orecchi del re queste grida , ne domandò la
cagione , e non s' attentando persona di palesargliela ,
tanto più egli instava per desìo di saperla. Finalmente
costrettivi dalle minacce scopersero la verità , ed egli
con pregni gli occhi di lagrime e con alto gemito rac
cogliendo , quanto poté di forze , disse « no , non do-
« vevano già stare nascoste al grand' occhio divino le
» mie nefatidità: ecco ben presto la pena del fratrici-
» dio. E fino a quando , o mdegno mio corpo , terrai
2.4 BELLA GUERRA GIUDAICA

» queir anima , ch' é dovuta al fratello e alla madre t


» E fino a quando io medesimo verserò a stilla a stilla il
» mio sangue ? Ah ! se l' abbia pur tutto , né più il
» cielp si rida de' funerali , che loro fanno le mie vi-
» scere ». Così detto morì di presente dopo un &ol anno
di regno.

Capitolo IV.

Geste d' Alessandro Gianneo in ventisett' anni


di regno.

I. La moglie allora d' Aristobolo , liberati i fratelli di


lui , costituisce re Alessandro parutole e per l' età e
per la moderazione degli spinti miglior degli altri. Egli
adunque salito al trono fe' uccidere l' uno de' fratelli ,
perché agognava lo scettro ; e l' altro , che si piaceva di
vivere fuor degli strepiti , fu da lui onorato.
II. Ebbe egli occasione di combattere con Tolommeo
soprannomato Laturo , che avevagli presa la città d' A-
sochi. Uccise molti nemici ; la vittoria però dichiaròssi
per Tolommeo; ma dappoiché per l' infestazione di Cleo
patra sua madre si ricondusse in Egitto , Alessandro per
via d' assedio s' impadronisce di Gadara , e d' Amatun-
te , ch' era il maggiore castello , che avessevi lungo il
Giordano , e dove si custodivano le masserizie più pre
ziose di Teodoro figliuolo di Zenone ; il quale venuto
gli addosso improvviso ricupera col bagaglio del re tutto
il suo , e mette a morte da diecimila Giudei. Ma
Alessandro riebbesi da tal rotta , e voltosi alle marem
LIS. I. CAP. IV. a!>

me occupa Rafia, Gaza, ed Antedone, quella, che poi


dai re Brode cognominata fu Agrippiade.
HI. Dopo la presa di questa ci ita leveglisi a sedizione
in un giorno solenne il popolo de' Giudei assai fa
cile a romoreggiare ne' dì d' allegria , e per quanto pa
reva , non così agevolmente avrebbe da se eansate le
loro insidie , se non gli fossero corse in ajuto le truppe
straniere , tutti della Pisidia e Cilicia ; perciocché non
ammetteva al suo soldo que' della Siria per l' inge
nita loro nimicizia colla nazione giudea. Uccisi adun
que oltre a seimila ribelli , si volse contro l' Arabia , e
domatala con esso i Galaaditi e i Moabiti , e aggravatili
di tributo ritornò in Amatunte ; e trovato il castello senza
difesa , perché le sue felici avventure avevano in Teo
doro messo spavento , lo diroccò.
IV. Indi affrontatosi con Oboda re dell' Arabia, che
s'era posto in aguato presso Gaula (i5), e dato nel
laccio perdette tutta sua gente , che fu sospinta in un
profondo vallone e stritolata dalla moltitudine de' cam
melli. Rifuggitosi egli pertanto a Gerusalemme colla
grandezza di quel sinistro attizzò a sollrvarglisi contro
il popolo, che già l' odiava. Ma anco allora ne uscì vin
citore , e nelle zuffe scambievoli , con che per sei anni
continui s' attaccarono , egli non mise a morte meno di
cinquantamila Giudei. iNon però era lieto di sua vitto
ria ; giacché indeboliva il suo regno; laonde, poste giù
l' armi , tentò di comporsi per via di ragioni co' suddi
ti , ed essi ebbero molto più in odio il suo pentimento
e la mutabilità delle sue maniere; il perché deman
dandogli esso , che far dovesse per addolcirli , che muoja
26 DELLA GUERRA GICfiAICA

risposero ; perciocché con persona , che fe' tanto male ,


appena farà che racconcinsi dopo la sua morte. Al
medesimo tempo invitarono Demetrio chiamato Eueero ;
il quale retidutosi facilmente per isperanza di cose mag
giori alle loro proposte venne colle sue truppe , e i Giu
dei si congiunsero cogli alleati vicino a Sichem.
V. Agli uni e agli altri va incontro Alessandro con
mille cavalli e seimila (16) soldanieri. Eranvi ancora i
Giudei suoi benevoli in numero quasi di ventimila. Dal
la banda nimica i cavalli eran tremila , e quarantamila
i pedoni. Ora, anziché si venisse alle mani, i re d'am
be le parti tentarono per araldi di trarre ognun dalla
sua i soldati dell' inimico ; Demetrio quelli , che aveva
a suo soldo Alessandro , e Alessandro i Giudei , che
stavano con Demetrio , sperando che cangerebbono sen
timento : ma dappoiché né deposero il loro sdegno i
Giudei , ué i Greci fallirono della loro fede vennero
finalmente a deciderne colla battaglia. Vinse Demetrio ,
benché i soldanieri d' Alessandro facessero prove di
gran gagliardìa e valore. Pur la giornata riuscì a un fine
non aspettato da entrambi ; perciocché né a Demetrio
si tenner cosianti tutti coloro , che lo avevano chiamato ;
e tocchi di compassione per la traversia d' Alessandro
si unirono a lui, che già erasi ricoverato tra le monta
gne , sei mila Giudei. A questa rivolta non resse De
metrio , ma avvisando , che oggimai Alessandro avea
tante forze da novamente provarsi con lui , e che la
nazione tutta correrebbe sotto le sue bandiere, si ritirò.
VI. La gente però , che rimase dopo la partenza degli
alleati , non per questo depóse i rancori; ma fu in con
1IB. I. CAP. IY. 2^

tinua guerra con Alessandro , finché , disertatine assais-


simi , n' ebbe cacciati i restanti nella città di Betome ,
abbattuta la quale menònneli tutti prigioni in Gerusa
lemme. L' eccessiva sua collora poi lo trasse ad essere
crudele fino all' empietà ; perciocché messi in croce forse
ottocento di que' prigioni nel mezzo della città sfavali ,
mentre colle sue concubine mangiava e beveva, mirando.
Tanto fu poi lo spavento , ch' entrò nel popolo , che
de' sediziosi la notte appresso fuggirono dalla Giudea
tuttaquanta ottomila e colla morte sol d'Alessandro ebbe
termine il loro esiglio. Finalmente , data con tali mezzi
la pace al regno , depose l' armi.
-VII. Fu una nuova fonte per lui d'imbarazzi Antioco
nominato Dioniso , fratel (17) di Demetrio e l' ultimo
de'Seleucidi. Conciossiaché Alessandro per timore di lui,
che già erasi incamiuato contro degli Arabi , tutto tagliò
per lo lungo con una fossa profonda lo spazio , che -é
tra i monti d' Antipatride e le maremme di Gioppe.
Lungo la fossa fabbricò un alto muro , sopra del quale
erse torri di legno , volendo serrare le troppo agevoli
entrate nelle sue terre. Ma non ottenne per questo di
tenere lungi Antioco ; perciocché , abbruciate le torri
ed empiuta la fossa , condusse per colà le sue truppe ;
e riserbatasi ad altro tempo la vendetta di chi gli avea
posto quell' impedimento , andò ritto contro degli A-
rabi ; il cui re dando addietro verso i luoghi più ac
conci per far battaglia , indi volta improvviso la fronte
alla cavalleria in numero di diecimila persone si getta
sopra la gente d' Antioco ancora scomposta ; quindi ap
piccata una forte mischia, fino a tanto che Antioco dura
a8 DELLA GUERRA GIUDAICA

vivo, il suo esercito fe' resistenza , benché senza triegna


tagliati a pezzi dagli Arabi : ma non così tosto cadde
egli morto , dappoiché per soccorrere a que' fra' suoi ,
che perdevano , s' esponeva ad ogni pericolo , tutti dau
volta , e la maggior parte di loro quali nel campo quali
fuggendo restarono morti ; il rimanente ricoveratisi al
borgo di Cana per la mancanza del bisognevole , salvo
alcuni pochi , perirono tutti miseramente.
Vili. Dopo ciò i Damasceni per l' odio , in che ave
vano Tolommeo figliuolo di Menneo, invitano Areta, e
lo fanno re della Celesiria. Ancora questo entra armato
nella Giudea, e vinto in un fatto d'arme Alessandro si
ritirò a patti. Alessandro poi , presa Pella , si volse- di
nuovo a Gerasa trattovi dalle ricchezze di Teodoro , a
cui egli aspirava : e cinto d' un triplice muro il presi
dio , a forza d' armi ha il castello in sua mano. Indi
abbatte Gaulana , Seleucia , e la Valle chiamata d' An
tioco ; poi occupato il forte castello di Gamala , e tol
tane per non pochi delitti a Demetrio la signoria , spesi
tre anni in questa spedizione , ritorna in Giudea. Liete
accoglienze gli fe' la nazione in grazia della sua prospe
rità , e il terminar della guerra fu per lui il principio
della sua malattia. Travagliato adunque da febbri quar
tane si diede a credere , che si getterebbe di dosso quel
male, 'quando badasse di nuovo allo stato, il perché
Uscito fuor di stagione in campo, e obbligando il suo
corpo , oltre a quanto ne sostenessero le forze , a tra
vagli , non resse più innanzi , e morissi in mezzo alle
rivoluzioni e a' tumulti dopo ventisett' anni di regno.
LIB. I. CAP. V. »9

Capitolo V.

Regna nove anni Alessandra ,


ed hanno i Farisei il maneggio di tutto.

I. Lascia il regno in retaggio alla moglie Alessandra,


persuaso, che a questa singolarmente presterebbono ub
bidienza i Giudei , perché le sue dolci maniere troppo
lontane dalle crudeli di lui , e il suo contrapporsi alle
trasgressioni della legge conciliato le avevano l' amore
del popolo : né fallite gli andarono le sue speranze ;
conciossiaché ottenne la donna il regno mediante il con
cetto , che si godeva di pia. In fatti conosceva ella ot
timamente l' indole della nazione , e dalle cariche depo
neva coloro , che violavano le sagre leggi. Due figliuoli
ella avea da Alessandro; il primogenito Iremo, siccome
maggiore d'età e d'un indole più rimessa di quello,
che le sollecitudini e i pensieri d' uno stato portassero ,
dichiara sommo Pontefice ; e Aristobolo il secondoge
nito , per lo caldo uomo ch' egli era , il ritenne in con
dizione privata.
II. Fannolesi a fianco per aver parte nella suprema
autorità i Farisei, setta giudaica, che hanno voce d'es
sere più religiosi degli altri e interpreti saputissimi della
legge. A questi forse più del bisogno die orecchio Ales
sandra , siccome donna pia e timorata ; ed essi a poco
a poco fattosi largo neh' animo della buona regina ,
erano oggimai divenuti gli amministratori d' ogni cosa ;
essi esigliavano e richiamavano , scioglievano e impri
3o DELLA GUERRA GIUDAICA

gionavano chi lor piaceva; in somma i vantaggi del re


gno eran tutti per loro, lo spendìo e le noje per Ales
sandra. Eppure eli' era donna da cose maggiori ; e però
sempre intesa a moltiplicar le sue truppe accrebbele il
doppio, e la soldatesca straniera, che procacciò, non fu
poca; onde non sol teneva in dovere la nazione propria,
ma formidabile era ancor divenuta a' principi forestieri.
Ella adunque comandava ad altrui, e a lei comandavano
i Farisei.
III. Laonde costoro tolgon di vita Diogene uomo dei
più riguardevoli, amico già d' Alessandro, apponendogli,
che da Alessandro si crucifissero gli ottocento per suo
consiglio. Spignevano ancora Alessandra a levare dal
mondo tutti quegli altri, che avevano contro loro attiz
zato Alessandro ; ed avendola , mercé la sua religione ,
arrendevole a' lor voleri , mettevano a morte , chi lor
piaceva ; laonde i più cospicui fra quelli , che si vede
vano in rischio , ricorsero ad Aristobolo , il quale per
suade alla madre , che voglia risparmiare persone di
tauto affare; che s'ella non li crede innocenti, proveg
ga , che votino la città ; ond' essi , avuta in sicuro la
vita , si sparpagliarono per lo regno. Alessandra poi ,
fatte uscir le sue truppe contro Damasco , a titolo che
Tolommeo travagliava continuamente quella città , le
riebbe senza veruna impresa, che le segnalasse; ond' essa
stuzzicò con regali , e con patti a ciò fare Tigrane re
dell' Armenia , che stava a campo intorno a Tolomaide,
e assediavaci Cleopatra ; ma egli prima del tempo le-
vossi frettolosamente di là per gli scombugli , che nac
quero nel suo regno dal correre , che Lucullo avea
fatto l' Armenia,
UB. I. CAP. V. 3I
IV. In questo infermata Alessandra, il minor suo
figliuolo Aristobolo, colto il tempo, co' suoi famigliari,
che ne avea molti e tutti pel naturale lor fuoco di lui
amantissimi, s'impadronisce di tutte le fortezze del re
gno; e co' denari, che ci trovò, fatta leva di soldatesca
dichiara sé stesso re. Dopo ciò tocca dalle querele d' Ir
cano la madre , chiude prigioni nel forte Antonia la
moglie e i figliuoli d' Aristobolo; ed era questo un ca
stello situato alla banda settentrionale del Tempio , e
detto una volta, come già scrissi, Bari, poi sotto l'im
pero d' Antonio appellato con questa denominazione ,
siccome da Augusto e da Agrippa altre due città, can
giato il primo lor nome, si dissero (18) Augusta e
Agrippiade. Ma anziché Alessandra punisse Aristobolo
dell'escludere, che avea fatto dal regno il fratello, morì
dopo avere nov' anni amministrato il governo.

Capitolo VI.

Cacciato dal regno Ircano erede d'Alessandra, regna


Aristobolo. Di nuovo il medesimo Ircano , menj
d'Antipatro, é rimesso da Areta. In fine per dif
ferenze scambievoli insorte tra due fratelli, Pompeo
ri é trascelto arbitro,

I. L'universale erede fu veramente Ircano, perché la


madre ancor viva nelle sue mani aveva lasciato il regno.
Aristobolo però lo avanzava in potere e in coraggio.
Venuti essi adunque coli' armi alla decisione di tutto
l'affare vicino a Gerico , > più parte , abbandonato
3a DELLA GUERRA GIUDAICA

Ircano , passarono ad Aristobolo ; onde il pover uomo


con que' , che restarongli , s affrettò di ricoverare in
Antonia , e quivi recati in suo potere i pegni di sua
sicurezza , ch' eran la moglie e i figliuoli d' Aristobolo,
anziché s'innoltrasse il male a non essere più riparabile,
si racconciarono a questi patti , che il regno avesselo
Arisiobolo , e Ircano , cedutolo , tutti gli altri onori
godesse , che convenivansi ad un fratello del re. Sotto
tai . condizioni pattoviron la pace nel Tempio, e alla
presenza di tutto il popolo circostante abbracciatisi scam
bievolmente cangiarono abitazione; e Aristobolo si ritirò
nella regia , e nella casa d' Aristobolo Ircano.
II. L' improvviso regnar d' Aristobolo mise timore ,
siccome negli altri nimici suoi , così particolarmente in
Antipatro da gran tempo veduto da lui con mal occhio.
Era Antipatro per ischiatta idumeo, e per nobiltà d'an
tenati, per ricchezze , e possanza d' ogni genere un dei
primi fra' suoi. Questi ad un' ora medesima persuadeva
ad Ircano , che ricorrendo ad Areta signor dell1 Arabia
ricuperasse il suo regno , ad Areta , che desse ricetto
ad Ircano e 'l ritornasse nel regno ; e col molto dir
male che fece delle qualità d' Aristobolo , e bene d' Ir
cano , il confortava a ricoglierlo : e considerasse , che a
un signore di regno sì illustre , com' era il suo , bene
stava porger la destra agli oppressi ; e I' oppresso era
Ircano , che privo vedevasi di quel regno , che all' età
sua si doveva. Disposti gli animi d' ambedue , di notte
tempo dileguasi con Ircano dalla città, e con una fuga
precipitosa perviene salvo in Petra metropoli dell' Am
bia. Quivi presentato ad Areta Ircano , dopo molti di
LIB. I. CÀP. VI. 33
scorsi e regali motti , con cui l' addolcisce , alla fine lo
persuade a dargli un' armala bastevole da ritornarlo sul
trono. Questa tra di cavalleria e fanteria comprendeva
cinquantamila persone , alle quali Àrisiobolo non poté
far resistenza ; perciocché alla prima affrontata abban
donato da' suoi si ricoglie in Gerusalemme , donde
l' avrebbono preso per forza , se Scauro general de' Ro
mani levatosi in quel frangente non avesse sciolto l' as
sedio. Egli fu dalt' Armenia spedito in Siria da Pompeo
Magno , che facea guerra a Tigrane. Venuto egli in
Damasco pigliata testé da Metello e da Loltio , condotti
seco ancor questi , poiché ebbe udito lo stalo della
Giudea , ne prese la via , <*me se andasse a un sicuro
guadagno.
III. Entrato che fu nel paese , ecco gli si presentano
ambasciatori dell' un fratello e dell' altro , che il pregano
a nome di ciascheduno , che voglia soccorrerli. Ma più,
che non la giustizia , valsero appo lui i trecento talenti,
che gli regalò Àrisiobolo. Perciocché dopo tale presente
Scauro mandò intimando ad Ircano e agli Arabi sotto
pena d'incorrere nello sdegno di Pompeo e de'Romani,
che levasser l' assedio. Spaventato Areta dalla Giudea
ritiròssi iu Filadelfia , e Scauro di nuovo a Damasco.
Aristobolo uon fu pago di non essere stato preso , ma
con seco tutte le sue forze si die a inseguire i nimici , e
attaccatili a Papirone , luogo di questo nome , ne uc-«
cide oltre a seimila , tra' quali ancora Falione fratel di
Antipatro.
IV. Ircano ed Antipatro vedutisi senza l' appoggio
degli Arabi trasferirono negli avversarj loro speranze ;
Flavio, t- VI. Detta G. G. t. I. 3
34 DEIXA GUERRA GIUDAICA
e poiché Pompeo aggiratosi per la Siria fu entrato iri
Damasco , ricorrono a lui ; e senza presenti valendosi
solo delle ragioni, che avean prodotte ad Àrela , gli
supplicavano, che abbominasse la soperchieria d'Ariste—
bolo , e rimettesse colui nel regno , che per costumi e
per età n' era più meritevole. Aristobolo però non ri
mase addietro , ben confidando nell' animo già guada
gnato di Scauro ; e presentòssi egli pure , abbigliato ,
quanto meglio gli fu possibile , alla reale. Ma paratagli
0osa indegna umiliarsi ad altrui , e insoffribile procac
ciare vantaggi per una via disdicevole al suo stato , si
allontanò da Diospoli.
V. Punto da questo tratto Pompeo, al che s'aggiun
sero le molte suppliche de' fautori d' Ircano , andò sopra
Aristobolo con le truppe romane e con molti confede
rati di Siria. Oltrepassate Pella e Scitopoli venne in
Corea (19), donde le terre cominciano de' Giudei , per
chi sale dalle provincie entro terra , avendo sentito ,
che Aristobolo s' era chiuso co' suoi in Alessandrio ,
castello assai bene guernito e posto sopra la cima d'un
monte. Quivi gli mandò ingiugnendo , che scendesse di
là; e perché a lui parve questa un'intima troppo im
periosa , aveva in animo di volere anzi esporsi ad ogni
pericolo , che ubbidire ; ma considerava , che il popolo
era in timore , e gli amici ponevangli innanzi agli occhi
il poter de' Romani , a cui non aveva forze da contrap
porsi. Mosso da queste ragioni scende a Pompeo ; e
dopo aver molto detto in prova del suo regnar giusta
mente; si ricondusse nella fortezza; indi al provocarlo,
che fece il fratello, calò di nuovo, e tenuto ragiona-
L1B. I. CAP. VI. 35

mento de' suoi diritti , non gliel contendendo Pompeo ,


si parti. Stava egli in mezzo tra la speranza e 'l timore,
e discendeva per impetrar da Pompeo , che gli consen
tisse , quanto bramava, e risaliva al castello, perché non
sembrasse , ch' egli anzi tempo si desse per vinto. Ora ,
poiché gli ebbe ingiunto Pompeo di sgombrar .\ le for
tezze, e siccome avevano i castellani l'intima, di non
ubbidire , che alle tettere scritte da lui medesimo , cosi
V asirigneva a scrivere a ciascheduno , che le cedessero ,
Aristobolo fece bensì i voleri di lui ; ma pieno di mal
talento si ritirò in Gerusalemme, e si mise in concio
per muover guerra a Pompeo.
VI. Ma questi , che non gli die tempo di prepararsi,
gli tenne dietro subitamente ; e giunse lena al suo corso
la morte di Mitridate portatagli a Gerico, ov'ha il ter
reno più fertile della Giudea , e in gran copia proven
gono palme e balsamo ; il quale , quand' altri taglia con
pietre aguzze il ceppo degli alberi , si raccoglie dalle
lagrime , che schizzano dalla ferita ; e postosi a campo
per una notte in quel luogo, sul far del giorno tirò alla
volta di Gerusalemme. Atterrito a questa venuta Aristo-
bolo gli uscì supplichevole incontro; e col promettergli
gran denajo e col rimettere la città e sé medesimo alla
sua mercé placa l' animo di Pompeo inasprito. Non gli
furono però attese tali promesse ; perciocché i favoreg
giatori d' Aristobolo non vollero accogliere neppure in
eittà Gabinio colà spedito per la riscossione del denajo.
36 DELIA GUERRA GIUDAICA

Capitolo VII.

Pompeo , avuta in potere Gerusalemme , s' impadro


nisce del Tempio , ed entra nel Santo de' Santi.
Si racconta inoltre , quanto egli fece in Giudea.

I. Sdegnato perciò Pompeo tenne prigione Aristobolo;


e incamminatosi verso la città andava considerando , da
qual parte potrebbe batterla ; poiché vedea la fortezza
pressoché inespugnabile delle mura , e 'l vallone otti
mamente guernito , e in maniera , che presa ancor la
città , saria ouesto un secondo ricovero pe' ni mici.
II. Ora , mentr' egli sta lungamente pensando , che
far gli convenga, nasce in que' d'entro tumulto, chie
dendo i fautori d'Aristobolo , che si faccia guerra e sia
il re liberato , e que' del partito d' Ircano , che s'apran
le porte a Pompeo. In tal sentimento fece entrar molti
il timore al vedere il buon ordine delle truppe romane.
.Vinta perciò la fazion d' Aristobolo si ricolse nel Tem
pio , e tagliato il ponte , che lo congiugne colla città ,
s' accinsero a far fino all' ultimo resistenza. Avendo
frattanto gli altri accolti in città i Romani , e conse
gnata nelle lor mani la reggia, Pompeo mandò a rice
verne l' arrendimento Pisone uno de' suoi capitani con
soldatesca. Questi ripartito per la città il presidio , poi-
ehé non v' ebbe persona de' rifuggiti nel Tempio , che
s' inducesse a discendere a qualche trattato , dispose i
luoghi d' intorno per l' oppugnazione , avendo pronti a
dargli consiglio e soccorso i favoreggiatori d'Ircano.
LIB. I. CAI>. vii. 3y
III. Andava intanto Pompeo riempiendo dal lato set
tentrionale la fossa e tutto il vallone , recandone la ma
teria i soldati. Difficile impresa per altro ella era ve
nirne a capo , tra per l' immensa profondità di quel
luogo , e perché rispignevangli a più potere dall' -alto i
Giudei ; né avrebbe avuto mai fine il travagliar de' Ro
mani , se Pompeo osservando , che i Giudei a ogni set
timo dì per motivo di religione tenevan lungi le mani
da tutti i lavori , non avesse a que' di riserbato l' alza
mento del terrapieno , con ordine a' suoi di non attac
care verunaf mischia ; poiché i Giudei solamente per la
persona si mettono anche nel giorno del Sabbato in
sulle difese. Riempiuto oggimai il vallone , sovrappose
al terrapieno alte torri , e accostate le macchine , che
condusse da Tiro , cominciò a tormentare le mura ; e
i frombatori ne allontanavano, chi poteva opporsi ai
Romani. Da questa banda però le torri (2*) d'eccellente
grandezza e bellezza resistettono lungamente.
IV. Quivi , travagliando assai i Romani , fra l' altre
cose , che Pompeo ammirò ne' Giudei , fu la loro co
stanza , singolarmente nel non trasandare 'la religione ,
benché si trovassero in mezzo ai dardi nimici. Perciocché,
quasi fosse profonda pace in Gerusalemme , facevansi a
onor di Dio i sagrifizj , le lustrazioni , e tutto accura
tamente ciò , che al servigio divino s'apparteneva. Anzi
neppur quando era preso il Tempio , quantunque scan
nati ogni giorno presso all' altare , non ommettevano le
osservanee legali. . Al terzo mese adunque di tale asse
dio, appena allor giunti ad abbattere solo una torre
«altaron nel Tempio. Il primo però , che si ardisse di
38 DELLA GUERRA^ GIUDAICA

valicar la muraglia , fu il figliuolo di Siila Cornelio


fausto; e appresso, due centurioni cioé Furio e Fabio»,
-a. ciasemio de' quali teneva dietro la sua -compagnia ; e
•chiusi da ogni lato i Giudei , gli uccidevano parte in.
atto di ricoverare nel Tempio , e parte in atto di fare
qualche leggiera resistenza.
-• Y: Colà molti de' sacerdoti , benché vedessero colle
spade ignude correre gi' inimici lor contro , pure senza
scomporsi proseguirono i loro uffìzj ; laonde sagrificando
-e incensando venivano uccisi, e mostravano di far men
caso della lor vita , che del servigio divino. Moltissimi
altresì eran tolti del mondo da' nazionali della fazione
-contraria , e innumerabili si gettavano di per sé stessi
da' precipizj ; o taluni a quello universale sconvolgimento
impazzati misero il fuoco a quanto avevaci intorno
•alle mura , e bruciaronsi. Di Giudei pertanto restaronci
•morti dodicimila , di Romani assai pochi gli uccisi , e
molti più i feriti.
VI. Niente però dolse tanto in quella disgrazia ai
Giudei , quanto il Santuario prima invisibile e allora
esposto ad occhi stranieri. Mercecché trapassato Pompeo .
co' suoi fino a quel luogo del Tempio , ove al solo
pontefice si consente di penetrare , osservò quanto era
4à entro-, e candeliere, e lucerne, e mensa, e caraffe,
e turibili , tutto d' oro , e la dovizia d' aromati colà
ammucchiati , e il sagro denajo alla somma di duemila
talenti. Non per questo ei toccò niuna cosa di queste ,
o niun sagro arredo ; anzi un giorno dopo la presa del
Tempio ingiunse a' Santesi , che lo ripurgassero , e se
condo il costume facesservi i sagrifizj : indi creato pon-
iiB. i. cap. vn. 39
tefice Ircano , perché d' infra gli altri suoi meriti e avea
prestata prontissimamente l' opera sua nell' assedio , ed
avea da Aristobolo ribellata una buona parte di terraz
zani disposti già a favoreggiarlo. Quindi, come a buon
capitano si conveniva, si guadagnò il popolo coli' amore
più presto , che col timore. Tra' prigioni restò compreso
anche il suocero d' Aristobolo , ch' era suo zio altresì.
E a quanti ebbero in quella guerra più colpa , mozzò
la testa ; Fausto poi e seco lui gli altri , che avevano
adoperato valorosamente , Pompeo con gran premj ri-
compensòlli ; indi impose .al paese e a Gerusalemme un
tributo.
VII. Spogliata poi la nazione di quante città conqui
state avea nella Siria , le soggettò al governatore ro
mano , ch' era colà di que' tempi , e determinò a cia
scuna i proprj confini. Oltre a ciò rifa Gadara da' Giudei
atterrata , in grazia d' un suo liberto di nascita Gada?-
rese , e Demetrio di nome. Sottrasse alla suggezion dei
Giudei quelle città entro terra , ch' essi non avevano
ancor distrutte , ciò sono Ippo , Scitopoli , Pella , Sa
maria, e Marissa , e con queste Azoto, Giamnia, Are-
tusa , e al par d'esse le marittime Gaza, Gioppe, Dora,
e quella , che Torre fu detta già di Stratone , e poscia
da Erode il grande in altra maniera rifabbricata con
edifizj sontuosissimi cangiò il suo nome in quello di
Cesarea; le quali tutte restituite a'ior cittadini alla pro
vincia le assegnò della Siria. Data poi questa colla Giu
dea , e quaut' altro v' ha dall'Egitto all'Eufrate, a Scauro
da governare con due legioni , esso per la Cilicia s' in
camminò verso Roma , menandoci seco prigione Aristo
4o DELLA GUERRA GIUDÀICA
bolo colla prole. Egli avea due figliuole e due figli J
uno di questi , che aveva nome Alessandro , mentr' era
in viaggio fuggigli , e il più giovine , ch' era Antigono ,
n' andò a Roma colle sorelle.

Capitolo Vili.

Alessandro figliuol d' Aristobolo fuggito di mano a


Pompeo fa guerra ad Ircano , e vinto da Gabinio
rende a lui le fortezze. Fuggito poscia di Roma
Aristobolo raduna eserciti, e disfatto da' Romani
é condotto a Roma. Altre cose si narrano di Ga
binio , di Crasso e di Cassio.

- I. In questo Scauro gettatosi nell' Arabia non si poté


accostare a Petra per l' inaccessibile luogo , che era :
egli pertanto guastava i contorni di Pella ; sebbene gli
andaron qui pure le cose a traverso; perciocché fu l'e
sercito travagliato da fame. Ircano però gli porse ajuto
mandandogli il bisognevole per Antipatro , il quale sic
come amico d' Areta, così fu spedito da Scauro, perché
con denari 1' arabo ne comperasse la pace. In fatti egli
si contentò di pagare trecento talenti , e a tai condi
zioni Scauro ritirò dall' Arabia il suo esercito.
II. Il fuggito poi dalle mani di Pompeo, cioé Ales
sandro figliuolo d' Aristobolo , radunata col tempo una
grossa mano di gente , dava che fare ad Ircano , e in
festava con iscorrerie la Giudea ; e pareva che stesse
omai per abbatterlo ; giacché accostatosi a Gerusalemme
già osava di riimalzar la muraglia abbattuta testé da
LIB. I. CÀF. ViII. 4(
Pompeo : se non che Gabinio (20) spedito a Scauro
successor nella Siria, siccome in molt' altri incontri por-
tóssi generosamente , così condusse il suo esercito contro
Alessandro; il quale atterrito a questa venuta accrebbe
di numero la sua gente , talché i pedoni furono dieci
mila , e millecinquecento i cavalli. Indi rinforzò i luoghi
più opportuni , ciò sono Alessandrio , Ircanio , e Ma-
cherunte verso le montagne d' Arabia.
III. Gabinio intanto , spedito innanzi con una parte
delle sue truppe M. Antonio, col grosso poi dell' arir.ta
gli venne dietro egli stesso. Aggiuntisi a' capitani di M.
Antonio i compagni più bravi d' Antipatro e l'altre
schiere giudee condotte da Malico e Pitolao marciarono
contro Alessandro; e mdi a poco giunse Gabinio col
nerbo della sua gente. Or Alessandro reggere non po
tendo alle forze unite degl' inimici si ritirò , e arrivato
omai presso a Gerusalemme é costretto a fare giornata;
e perduti nella battaglia seimila de' suoi , metà morti ,
e metà fatti prigioni , fugge co' rimanenti ad Alessandrio.
IV. Gabinio venuto sotto Alessandrio , poiché colà
trovò molti accampati , studiòssi coli' impromettere per-
donanza delle colpe passate di trarli a sé prima di ve
nire alle mani. Ma non trovando in coloro nessuna
buona disposizione ne uccise molti , e i restanti rin
chiuseli nella foriezza. In questa battaglia si fe' sommo
onore M. Antonio , il quale benché dappertutto si fosse
mostrato uom valoroso , pur , come qui , mai non ave-
vaio fatto altrove. Gabinio adunque , lasciata gente colà,
ch' espugnasse il castello , partì , e recò a miglior forma
le città non guastate; e rifabbricò le distrutte. Quindi
4» DELLA GUEftKA GIUDAICA

si cominciarono per ordin suo a popolare Scitopoli ,


Samaria , Antedone , Apollonia , Giamuia , e Rafia , e
Maiissa , e Adora , e Gaimla , e Azoto , e moli' altre
città , concorrendo in ciascuna d' esse assai di buon
grado gli abitatoti..
V. Dopo questi provvedimenti tornato ad Alessan
dro , lo strinse vie maggiormente ; di modo che di
sperato Alessandro de' fatti suoi lo manda per suo
araldo pregando , che gli rimetta il passato , e conse-
gr, ^li le fortezze , che gli restavano ancora , Ircanio e
Macherunte ; e alla fine gli rende eziandio Alessandrio ;
tutte le quali fortezze a sommossa della madre d' Ales
sandro spiantò , affinché non servissero novamente di
stimolo ad altra guerra. Quivi ella poi si trovava per
addolcire l' animo di Gabinio , sollecita de' prigioni ,
ch' erano in Roma , del marito cioé e degli altri figliuoli.
Dopo questo Gabinio, menato Ircano in Gerusalemme,
e a lui addossata la cura del Tempio , affida il restante
della Repubblica al reggimento degli Ottimati ; quindi
riparli la nazion tuttaquanta in cinque adunanze; l' una
assegnòlla a Gerusalemme , l' altra a Gadara : alcuni
convocar si dovevano in Amatunte , toccò il quarto
luogo a Gerico , e pel quinto fu destinata Seffori città
della Galilea. In. questa maniera sottratti con loro sod
disfazione i Giudei al dominio d' un uomo solo si res
sero per lo innanzi aristocraticamente.
VI. Ma non andò guari tempo , che Aristobolo fug
gito da Roma cominciò nuovi torbidi a suscitare fra
loro , adunando da capo molti Giudei parte desiderosi
di cangiamento , e parte suoi antichi favoreggiatori. E
L1B. I. CAP. ViII. 4^
prima di tutto occupato Alessandrio tentava di ristorarlo;
ma avvedutosi della spedizione , che aveva Gabinio già
intrapresa contro di lui sotto la condotta de' capitani
Sisenna , Antonio , e Servilio ritrassesl a Macherunte ;
e sgravatosi dell' inutil gente , che aveva , trasse con
seco soltanto gli armati , ch' erano forse ottomila per
sone , tra le quali trovavasi ancor Pitolao , che men-
tr' era luogotenente in Gerusalemme , con mille uomini
rifuggissi appo lui. I Romani gli tennero dietro , e at
taccata la mischia , que' d' Aristobolo lunga pezza so
stennero l' urto nimico con gran valore ; ma oppressi
alla fin da' Romani vi caddero cinquemila persone , e
due mila in circa ricolsonsi sopra un poggio ; e il ri
manente migliajo insieme con Aristobolo per mezzo le
schiere romane ricoverarono a Macherunte ; ove il re
avendo la prima sera piantate fra le rovine le tende
sperava di potere adunare altre forze , mentre per al
cun poco si dava triegua alla guerra , e intanto forti
ficava , ma con istenti , il castello. Ma venutigli addosso
i Romani , dopo una resistenza maggiore delle sue
forze , che fu di due giorni , é preso , e insiem con
Antigono suo figliuolo , che una col padre s' era invo
lato da Roma , vien tratto prigione innanzi a Gabinio ,
e da Gabinio spedito di nuovo a Roma. Il Senato per
tanto rinchiuse bensì in carcere il padre , ma riman-
dònne in Giudea i figliuoli mercé d'una lettera di Ga
binio , che dichiarava , aver egli promesso questo alla
moglie d' Aristobolo in guiderdone delle rendute fortezze.
VII. Ora (21) , mentre Gabinio stava per andar so
pra i Parti , fu alla sua spedizione d' ostacolo Tolom
44 DELLA GUERRA GIUDAICA
meo , cui egli , lasciato l' Eufrate (2 2) , ricondusse in
Egitto , e fugli del bisognevole a tale impresa provve
duto da Ircauo ed Antipatro , perciocché Antipatro vi
condusse e denari ed armi e vittuaglie e rinforzo di
gente ; e persuase i Giudei di colà , che guardavano le
frontiere verso Pelusio , a consentire il passaggio a Ga-
binio. Ora siccome tutta la Siria , partito Gabinio, s'in
torbidò , così Alessandro figliuol d' Aristobolo fece di
nuovo ribellare i Giudei. Raccolta adunque grand' oste
gli venne talento d' uccidere , quanti Romani ci avea
nel paese ; la qual cosa temendo Gabinio , che già dal
l' Egitto per tai romori s' era frettolosamente colà ri
condotto , per mezzo d' Antipatro , che mandò avanti ,
fece riconoscenti parecchi de' sediziosi ; pure si tennero
con Alessandro da trentamila persone , ed esso deside
rava la guerra ; e però esce tosto in campo. Vennero
adunque i Giudei incontro a' nimici , e con essi affron
tatisi al monte Itabirio (23) restaronci morti in diecimi
la , e il restante fuggendo sciarrossi qua e là. Gabinio
poscia venuto in Gerusalemme ordinò il governo giusta
il piacere d'Antipatro. Di qua partitosi doma coll'armi i
Nabatei, e Mitridate ed Orsane, ch' eran fuggiti da' Parti,
segretamente li mandò liberi , e fe' spargere tra soldati ,
che s' eran sottratti di là colla fuga.
Vili. Frattanto Crasso venuto successore di Gabinio
imprende a governare la Siria. Costui in risguardo della
spedizione contro ai Parti , siccome rubò quant' altro oro
aveva nel Tempio di Gerusalemme , così levònne i due
mila talenti , da cui si era astenuto Pompeo. Ma , va
licato l' Eufrate , ci perì egli» stesso e tutto il suo eser
LIB. I. CAr. YIH. 45
cito ; delle quali cose non é questo il tempo di ragio
nare.
IX. I Parti poi, che tentarono, morto Crasso, di
passare nella Siria , furono rispinti da Cassio ricovera
tosi nella provincia ; la quale posciaché egli ebbe occu
pata , venne con celerità in Giudea ; e presa Tarichea
fa prigioni circa tremila Giudei ; anzi uccide ancor Pi-
tolao , che aveva adunati i ribelli fautori d' Aristobolo.
Fu di quella uccisione Antipatro il consigliere. A questo
intanto dall' Araba moglie, che prese, ( ed era d' una il
lustre famiglia di quelle contrade e nomavasi Cipro ) na
scono successivamente i quattro figliuoli , Fasaelo , Erode
che fu poi re , Giuseppe , Ferora , e la figliuola Sa-
lome. Ora siccome egli si cattivava gli animi dei piti
potenti signori , che fossero dappertutto , cosi e molto
più guadagnòssi quello del re degli Arabi attesa l' af
finità , che passava tra loro ; e fin da quando prese a
far guerra con Aristobolo , dipositò presso lui i suoi fi
gliuoli. Ora Cassio, avendo costretto Alessandro secondo
i già fatti accordi a star cheto , ritornò all' Eufrate per
impedirne ai parti il passaggio.; delle quali cose abba
stanza é scritto da altri.
/g bBixa guerra giudaica.

Capitolo IX.

rArìstobolo dagli amici di Pompeo é ucciso ; e da Sci


pione il figliuolo di lui Alessandro. Antipatro , morto
Pompeo, tiene da Cesare, e soccorrendo Mitridate
adopera valorosamente.

I. Cesare intanto , essendo Pompeo e il Senato fuggiti


di là dall' Ionio , impadronitosi non solo di Roma , ma
d' ogni cosa trae di prigione Aristobolo ; e dategli due
legioni lo mandò in Siria sollecitamente , sperando per
mezzo di lui di recare con facilità alla sua ubbidienza
questa e il paese della Giudea. Ma l' invidia precorse e
al buon voler d' Aristobolo e alle speranze di Cesare ;
perciocché con veleno tolto di vita da' Pompeiani penò
lungo tempo ad aver sepoltura nel paese natio ; e il suo
cadavere si giacea conservato nel mele , finché Antonio
spedìllo ai Giudei , perché fosse riposto neh' arche de re.
Fu levato del mondo eziandìo suo figliuolo Ales
sandro , a cui fece mozzare la testa Scipione in Antiochia
per ordine di Pompeo, e per un'accusa che gli fu data
in giudizio del male , che fatto aveva a Romani. Ai
fratelli di lui die ricetto Tolommeo figliuol di Menneo ,
signor della Calcide appie del Libano, e mandò in A-
scalona per essi Filippione suo figlio , il quale staccato
Antigono colle sorelle dal fianco della lor madre con-
dusseli tutti a suo padre : e intanto invaghito della se
conda la prende per moglie , e dopo ciò per risguardo
di questa medesima é ucciso dal padre. Conciossiaché
LIB. I. CAP. IX. 4?
Tolommeo , morto il figlio , mena Alessandra , e mercé
di tai nozze si die dei fratelli di lei più pensiero.
III. Antipatro poi dopo la morte di Pompeo, can
giata bandiera , prese a servir Cesare ; e perciocché Mi
tridate di Pergamo con quell' oste , che menava contro
l' Egitto , tenuto lungi dalle foci del Nilo vicino a Pe~
lusio soprattenevasi in Ascalona , egli e persuase a por
gergli ajuto gli Arabi , di cui era ospite , e venne in
persona traendo seco circa tremila soldati giudei. Spinse
ancora i più possenti signori della Siria a soccorrerlo ,
e tra gli abitatori del Libano (a4) Tolommeo , Giam-
blico , e (a 5) Tolommeo ; pel cui mezzo le città di
quei luoghi prontamente intrapresero la guerra. Mitridate
per lo rinforzo avuto da Antipatro fatto già cuore mosse
verso Pelusio , e perciocché impedito gli fu il passaggio ,
si mise ad assediare la città. Segnalòssi infra gli altri
ancora nell' oppugnarla Antipatro ; mercecché abbattuta
egli la porzione del muro , ch' era dalla sua parte , fu
il primo , che insieme co' suoi pose piede in città*
IV. Pelusio adunque fu preso ; ma mentre andavano
essi più oltre , ecco sono di nuovo impediti da quei
Giudei egiziani , che la provincia abitavano detta d' O*
nia. Qui Antipatro li persuase non pure a non con
trapporsi , ma a fornirlo ancora del bisognevole per l'ar
mata ; laonde neppure i cittadini di Memfi vennero più
alle mani , e spontaneamente rendettonsi a Mitridate.
Egli poi , circuito già il Delta (26) , venne a battaglia
co rimanenti Egiziani nel luogo , che accampamento
appellasi de' Giudei; e dal rischio, in che si trovò com
battendo egli e tutto il destro corno , lo trasse Ami
48 CELLA. GUERRA GIUDAICA
patro , che aggiròglisi intorno lungo la sponda del fiume,
perciocchè dopo rotti col corno sinistro, a cui presedeva ,
i nemici suoi , avventatosi sopra quelli , che inseguivano
Mitridate , ne uccise molti , e di tanto incalzò i rima
nenti , che prese perfino al loro campo. Soli ottanta
perdette de' suoi , e Mitridate nel calore della fuga ot
tocento. Esso adunque fuor d'ogni sua speranza vedu
tosi salvo fu presso Cesare un sincerissimo testimonio
delle prodezze di Antipatro.
V. Cesare allora tra colle lodi e colle speranze ag
giunse lena al valentuomo , perchè si esponesse ai pe
ricoli per amor suo ; in mezzo a quali divenuto un
guerriero arditissimo , nelle molte ferite , che aveva in
pressochè tutto il corpo, i contrassegni portava del suo
valore. Indi Cesare, ordinati gli affari in Egitto, poichè
fu tornalo in Siria , onoròllo della cittadinanza romana
e dell' esenzione da' tributi ; e per altri onori e ami
chevoli trattamenti , che fecegli , lo rendette appo molti
degno d' invidia. Oltre a questo in grazia di lui con
fermò il pontificato ad Ircano.
L1B. I. CAP. X. 49

Capitolo X.

Cesare costituisce Antipatro procuratore della Giudea.


Antipatro fa capitano di Gerusalemme Fasaelo , e
governatore di Galilea Erode; il quale indi a poco
viene citato in giudizio e assoluto. A sesto Cesare
ucciso insidiosamente da Basso succede Marco.

I. In questo medesimo tempo anche Antigono fi


gliuolo d' Aristobolo presentatosi a Cesare fu senza vo
lerlo autor per Antipatro d' un maggiore ingrandimento.
Perciocché , dove sol conveniva , che si lagnasse appo
lui del veleno , con che parea fosse morto suo padre
per la nimicizia sua con Pompeo , e riprendesse la cru
deltà di Scipione usata al fratello, né per ottenere pietà
frammischiasse al suo dire affetti d' invidia , egli oltre a
questo trascorse ad incaricare Ircano ed Antipatro , che
niquitosissimamente avessero da tutte le patrie contrade
cacciato lui co' fratelli, ed essi intanto colla loro insolenza
forte aggravassero la nazione ; e che il soccorso manda
togli nell' Egitto non venne da bene , che a lui voles
sero , ma dal timore che davano loro le differenze pas
sate , e dal desiderio , ch' egli ponesse in obblìo l' ami
cizia , ch' ebbero già con Pompeo.
II. A queste cose Antipatro, gettata da se la veste,
mostrò il gran numero delle ferite che aveva , né biso
gna vagli , disse, in prova del suo amore per Cesare al
cuno discorso ; alto gridare abbastanza , tacendo lui , il
suo corpo. Stupirsi ben egli dell' arditezza d' Antigono ,
Flavio t. VI. Detla G.G. t. I. 4
5o DELLA GUERRA GIUDAICA

il quale figliuolo d' un nimico e fuggitìo de' Romani ,


e per retaggio venutogli da suo padre turbolento egli
stesso e sedizioso abbia tentato di dare accuse ad altrui
dinanzi l' imperadore de' Romani , e studisi di avere
qualche bene, quando dovrebbesi contentare , ch' ei vive.
Bramar egli d' avere al presente il maneggio de' pub
blici affari non tanto per lo disagio , in cui trovasi ,,
quanto per potere con quello in mano mettere i Giudei
in rivolta , e valersi delle sue facoltà , contro chi le
darebbe.
III. Udite Cesare queste cose , dichiarò Ircano più
meritevole che non altri del pontificato, e ad Antipatico
lasciò in balìa di prendersi quell' autorità , che più pia-
cerebbegli. Ma egli all' arbitrio di chi l' onorava avendo
rimessa la misura de' suoi onori é creato da Cesare
procuratore della Giudea tuttaquanta, e oltre a questo
ottiene di rialzare le mura abbattute dj Gerusalemme.
Queste onoranze Cesare con una sua lettera ordinò ,
che scolpite si conservassero nel Campidoglio , per mo
numento a' posteri e della sua giustizia e de' meriti del
valentuomo.
IV. Antipatro adunque , accompagnato Cesare fuori
della Siria , si ricondusse in Giudea ; e prima d' ogni
altra cosa rifabbricò della patria le mura atterrate già da
Pompeo , e aggiratosi per lo paese acchetò i tumulti ,
che qua e là insorgevano , o per via di minacce , o per
via di consigli , avvertendoli , che , quando tenessero da
Ircano , vivrebbono felici e quieti , e godrebbono delle
loro facoltà e della pace comune ; dove , se si lascias
sero trarre alle fredde speranze, di chi per privato ia
LIB. I. CAP. X. 5t
teresse volea novità , e in se troverebbono anzi uà pa
drone che un curatore , e anzi un tiranno che un re
in Ircano , e ne' Romani ed in Cesare in luogo di ca
pitani e d' amici avrebbono una gente nimica ; che non
sofférrebbono iu pace, che fosse deposto dal trono colui,
ch' essi stessi ci avevano collocato. Con queste ragioni
rimise egli solo in buono stato il paese , veggendo , che
Ircano era un uomo dappoco e incapace di regno. Co
stituisce egli poi capitano di Gerusalemme e del di
stretto il suo primogenito Fasaelo ; ed Erode minore
di lui e assai giovane mandòllo con eguale dignità in
Galilea.
V. Or questi uomo attivo naturalmente trovò ben
presto materia pel suo coraggio. Coneiossiaehé avvenu
tosi in Ezechia capo di malandrini , che con una ma
snada numerosissima andava infestando i confini della
Siria , arrestòllo ed uccise lui con parecchi assassini ; la
quale impresa felice riuscì graditissima ai Siri ; ed il
nome di Erode tra i canti udivasi per le ville e per le
città , come d' autore di pace , e di salvatore de' loro
averi. Per questo fatto egli venne ancora a noii/.ia di
Sesto Cesare, ch' era congiunto di Cesare il Grande ,
e governava la Siria. Fasaelo altresì in veggendo il fra»
tello cosi glorioso n' ebbe una emulazione lodevole , e
obbligavasi ognora più i cittadini di Gerusalemme , sic
come quegli, che avendo la città in sua mano non però
abusava del suo potere in danno di chicchessia. Quindi
Autipatro ed era onorato dalla nazione non altrimenti ,
che re , e rispettavamo tutti , come il signore d' ogni
cosa. Con tutto questo egli punto non dipartissi dalla
sua benivoglienza e lealtà verso Ircano.
5a DELLA GUERRA GIUDAICA

VI. Ma ella é pur cosa impossibile l' andar salvo nelle


prosperità dall' invidia. Ad Ircano già internamente co-
ceva la gloria de' giovani , e molto più gli pesavano i
prosperi avvenimenti di Erode. Oltre a questo i mes
saggi , che dall' una banda e dall' altra tentavano, d' avan
zarsi scambievolmente con nuove gloriose di ciascheduno,
e molti cortigiani invidiosi, a cui l'accortezza o dei
giovani ovvero d' Antipatro dava qualche ombra, l' ina-
sprivan dicendo , ch' egli , cedutane ogni cosa ad An
tipatro e a' suoi figliuoli , sfavasene colle mani in mano,
e col solo nome di re privo d' ogni autorità. E fino a "
quando durerà in questo errore di volere allevarsi dei
re in suo danno ? No , essi più non infingono di avere
l'amministrazione degli . affari ; se ne mostrano aperta
mente , cacciatone lui , padroni. Di fatto Erode , senza
pure un suo ordine o una riga di suo pugno , aveva
tolta a tante persone la vita ; il quale , quando pur non
sia re ma ancora privato, dee comparire in giudizio per
renderne conto a lui stesso e alle patrie leggi , le quali
divietano si dia morte a persona, che non sia giudicata.
VII. Questi detti a poco a poco accendevano Ircano,
il quale dato finalmente nelle furie citò Erode al suo
tribunale. Egli tra pei conforti del padre e per la fi
danza , che davagli l' operato fin qui , si mise in cam
mino , dopo ch' ebbe assicurata con guemigione la Ga
lilea. Veniva egli adunque con una forte mano di gente
intorno a se , di maniera però , che né il troppo se
guito lo mostrasse voglioso di perdere Ircano , né il
poco gettasselo sprovveduto in mano all' invidia. Ma
Sesto Cesare temendo , che il giovane colto in mezzo
LIB. I. CAP. X. 53
de' suoi nimici non incorresse in qualche disavven
tura , mandò . espressamente intimando ad Ircano , che
lo assolvesse dall'accusa già datagli d' omicidio; ed egli,
che già di per se v' inclinava , siccome quegli , a cui
era caro Erode , il rimanda assoluto.
Vili. Ma Erode credendosi salvo a dispetto del re y
si ricolse iu Damasco appo Sesto ; fermo di non volere
più oltre ubbidire , se mai lo chiamassero altra (lata.
Intanto i malevoli attizzavano Ircano dicendo, eh' Erode
si era partito di là pieno d' ira , e stava disposto ad u-
scire contro di lui. Dando credenza il re a tali cose
non sapeva , che si fare , perché vedeva , che il suo ni
mico era dappiù di lui. Ma , dappoiché Sesto Cesare lo
creò presidente della Celesiria e Samaria , non solo per
lo buon animo della nazione verso di lui , ma perché
formidabile era il suo potere cadde Ircano nell' ultima
disperazione , e già rgià lo aspettava sopra di se col-
l' esercito.
IX. Né andò oltre al vero il suo pensamento. Con-
ciossiaché Erode sdegnato per la . sentenza a se minac
ciata , fatto leva di gente , condussela a Gerusalemme
con animo di rovinare Ircano ; e lo avrta senza fallo
eseguito , se il padre insieme e il fratello venutigli in
contro non ne avessero rintuzzata la collera , pregan
dolo , che dovesse la sua vendetta esser paga sol di mi
nacce e terrori , e al re perdonasse , mercé del quale
esso era venuto a sì alto stato ; che se la citazione iu
giudizio lo aveva offeso, ben doveva sapergli grado al
trettanto d' essere stato prosciolto , e non all' opposito ,
degli affronti volere soddisfazione , e della ricevuta sa
$4 BELLA fiUERHA GIUDAICA
Iute mostrarsi ingrato. Se poi si voglia por mente , che
le avventure moltiplici della guerra sono governate da
Dio , alla moltitudine (27) delle sue truppe prevarrà
l' ingiustizia della sua causa , laonde non dovere egli
sperare bene affatto della vittoria, avendo a combattere
con un re, con un suo compagno, e con un larghissimo
benefattore , non mai stravagante , se non in quanto per
colpa di rei consiglieri sembrava , ch' ora facessegli ag
gravio. Piegossi Erode a tai detti , avvisando bastare alle
sue presenti speranze l' aver mostrato alla nazione ciò ,
che poteva.
X. In questo levaronsi a gran romore presso Apamea
i Romani , e s' accese infra loro guerra civile , perocché
Cecilio Basso pel suo amore a Pompeo ucciso avea Sesto
Cesare a tradimento e usurpatane la soldatesca , e gli
altri capitani di Cesare in vendetta di tale uccisione
erano venuti con tutte le forze alle mani con (28) Basso ;
a- quali e pe' meriti dell' ucciso e in risguardo del Ce
sare ancora vivo, ambedue suoi amici, Antipatro pe' fi
gliuoli mandò soccorso. Ma mentreché si tirava in lungo
la guerra , ecco giunge d' Italia Murco (29) successore
di Sesto Cesare.
LIB. I. CAP. XI. 55

Capitolo XI.

Erode è creato procuratore di tutta la Siria. Malico


uccide Antipatro con veleno. I tribuni s inducono
a tor di vita Malico.

I. A questo tempo s' apprese inaspettatamente gran


guerra d' infra i Romani , perché Cassio e Bruto insi
diosamente tolsero del mondo Cesare dopo tenuto tre
anni e sei mesi l' Impero (io). Nato da questa uccisione
grandissimo movimento, e divisisi in più fazioni i po
tenti , ognuno volgeva le sue speranze , dove parevagli
più vantaggioso. Cassio pertanto rendesi in Siria per
occupare l' esercito , ch' era intorno ad Apamea. Quivi
racconciati insieme Basso e Murco , e tra se le legioni
dell' uno e dell'altro libera dall' assedio Apamea, e preso
egli a condurre l' esercito si aggirava per le città rac
cogliendo i tributi , ed esigendone più , che le forze di
quelle dar non potevangli.
IL Quindi avendo egli imposti anche ai Giudei set
tecento talenti , Antipatro per timore delle minacce di
Cassio ripartì il carico di riscuotere denajo ai suoi figli,
e perché si eseguisse sollecitamente, a parecchi altri
più adatti al bisogno , tra' quali ebbe Malico uno dei
suoi avversarj :, tanto strignevalo la necessità. Primo a
raddolcir Cassio fu Erode, il quale dalla Galilea gli recò"
la sua parte , ch' erano cento talenti , e per questo ebbe
luogo tra' suoi amici più cari. Quindi Cassio recando il
tardare , che facevano gli altri , a loro colpa si adirò
56 DELLA GUERRA GIUDAICA

colle stesse citià. Però recate iti servitù Gofna ed Em—


maus e due altre di minor conto partissi eoa intendi
mento ancora d' uccider Malico , perché non aveva ac
celerata la riscossione ; ma si oppose Antipatro alla ro
vina di costui e d' altre città , ammansando col presto
dono di cento talenti I' ira di Cassio.
III. Non però Malico , dilungato che si fu Cassio ,
serbò memoria del beneficio d' Antipatro ; anzi contro
la vita di chi l' aveva salvato più volte, ordì una trama
per torsi prestaraente dinanzi l' ostacolo , ch' egli po
neva alle sue iniquità. Ora Antipatro concepilto timore
della possanza e tristizia del reo uomo , passa il Gior
dano per adunarvi milizia , che il difendesse contro le
insidie altrui. Scoperto Malico colla sua sfacciatezza ag
gira i figliuoli d' Antipatro. Perciocché ammaliati con
molte discolpe e giuramenti Fasaelo custode di Gerusa
lemme , ed Erode generale delle armi gi' induce a vo
lere intramettersi per lui di pace appo il padre. Di nuovo
adunque lo salva Antipatro coli' impetrarne che fece la
vita da Murco allora governatore della Siria , il quale
aveva già risoluto di uccidere Malico per le novità , a
che aspirava.
IV. Rotta poi guerra tra Cassio e Bruto dall' una
banda , e il giovane Cesare e Antonio dall' altra , Cassio
e Bruto , levato esercito dalla Siria , poiché videro aver
conferito gran parte al loro bene Erode , crearonlo per
quel tempo procuratore di tuttaquanta la Siria , lascia
togli un buon corpo di fanti e cavalli. Compiuta che
fosse la guerra , permisegli Cassio di farlo re ancora
della Giudea. Ma per Antipatro la potenza e le spe
LIB. I. CÀP. XI. 5j
mnze del figlio furono sventuratamente cagione di sua
rovina. Perciocché Malico intimoritone con denari in
duce un de' regj coppieri a dare il veleno ad Antipatro;
il quale divenuto bersaglio della tristezza di Malico si
morì nel banchetto , uomo certo di molto cuore nel
maneggiare gli affari., e benemerito d' aver racquistato
e mantenuto il regno ad Ircano.
V. Ora Malico ben vedendo , che il popolo stava
adirato con lui pel sospetto in che avevalo d' avvelena
tore , lo andava placando col negare questo fatto : e in
tanto coli' adunar soldatesca accresceva ognor più le sue
forze ; poiché prevedeva , ch' Erode non se ne passe
rebbe tacitamente ; il quale in fatti ci venne indi a poco
per vendicare suo padre. Ma avendogli suo fratello Fa-
saelo dato per consiglio , che non ne pigliasse scoperta
vendetta, perciocché moverebbe tra il popolo sedizione,
accettò le discolpe di Malico per allora , e disse , che
deponeva ogni sospetto de' fatti suoi ; e intanto con ma
gnifica pompa celebrò i funerali a suo padre.
VI. Indi passato in Samaria sconvolta da sedizioni
pacificò la città ; poscia in occasione d' una festa tornò
a Gerusalemme con soldatesca , ed Ircano a sommossa
di Malico , che ne temea la venuta , gli mandò dinun-
ziando , che in mezzo a quei del paese già purificati
non introducesse persone straniere. Ma egli ridendosi del
pretesto ad un tempo e di chi comandavagli , vi entra
di notte. Malico per la seconda fiata venuto a lui fa
ceva de' piagnistei sulla morte d' Antipatro; all'opposto
Erode copri il suo sdegno , benché gran fatica durasse
a frenarlo ; e lagnòssi per lettere dell' uccisione del padre
58 DELLA GUERRA GIUDAICA

a Cassio , il quale per altri motivi eziandio non potea


veder Malico , onde gli dà per risposta , che si vendichi
pure dell' ucciditore del padre , e segretamente ai suoi
tribuni ordinò, che dessero in cosa sì giusta ajuto ad
Erode.
VII. Or , dappoiché per la presa , che fece Cassio
di Laodicea , concorsero a lui da ogni parte i signori
di più alto affare portandogli chi presenti e chi corone ,
Erode assegnò questo tempo alla sua vendetta. Malico
avutone qualche sentore, mentr'era in Tiro, consigliòssi
di far dileguar nascostamente il figliuolo ostaggio appo
i Tirj , ed egli stesso s'allestì di fuggire alla volta della
Giudea. Anzi la disperazione , in cui era di se mede
simo , lo animò a meditare cose maggiori. Perciocché
allora, mentre Cassio distratto trovasi nella guerra con
tro d' Antonio , gli entrò in speranza di ribellare ai
Romani la sua nazione, e disfatto con poco stento Ir-
cano mettersi in trono egli stesso.
Vili. Ma il destino (3i) ridevasi di cotali speranze.
Di fatto Erode antivedendone le intenzioni , lui invitò
ed Ircano a una cena. Indi chiamato uno de' servi, che
stavagli innanzi , lo mandò fuori sotto pretesto, che ap
prestasse la cena , ma realmente perché avvertisse i tri
buni , che uscissero all' appostamento ; ed essi ben ri
cordando le commissioni di Cassio uscirono co' pugnali
sul lido fuori di città ; dove attorniato Malico , dopo
molte ferite batteronlo morto a terra. Ircano a prima
giunta svenuto per lo spavento cadde al suolo , e ria
vutosi con gran pena domandò Erode, chi avesse tolta
la vita a Malico ; e rispostogli da uno de' tribuni , che
m. i. cap. xi. 59
le commissioni di Cassio « Cassio adunque , egli disse r
» salva me e la patria mia , ucciso colui , che tradiva
i> ambedue ». Se poi queste cose dicesse Ircano da
senno , ovver per timore , che gli facesse approvar
queir azione , é incerto. Erode intanto si vendicò in tal
guisa di Malico.

Capitolo XII.

Fasaelo vince Felice , ed Erode disfà Antigono. 1


Giudei accusano Erode e Fasaelo , che sono asso
luti da Antonio e creati tetrarchi.

I. Ma partitosi Cassio di Siria , Gerusalemme fu di


nuovo in rivolta , perché Felice si levò coli' esercito
contro di Fasaelo , e voles nel fratello punire la colpa
d' Erode in dar morte a Malico. Erode allora trovavasi
presso Fabio governator di Damasco , e una infermità
rattenevalo , che non potesse , come voleva , ajutarlo.
Intanto di per se Fasaelo , vinto Felice , trattò Ircano
da sconoscente e pel soccorso che diede a Felice , e
perché non curò , che il fratello di Malico s' impadro
nisse delle fortezze , avendone egli occupate già molte ,
e la meglio guernita di tutte , cioé Massada.
II. A lui però niente valse questo contro la forza di
Erode , il quale guarito appena ricupera ogni cosa , e
a lui medesimo, perché supplichevole , permette d' uscir
di Massada. Cacciò ancora dalla Galilea Marione tiranno
de' Tiij , che prese ci avea tre fortezze. I Tirj poi fatti
schiavi li rimandò tutti salvi , e parecchi altresì con
60 DELLA GUERRA GIUDAICA

presenti , volendo con ciò guadagnare alla sua persona


l' amore , e al tiranno l' odio della città. Questo Ma-
rione , avuta da Cassio la signoria, teneva infestata colle
sue prepotenze tutta la Siria ; e per la nimistà con
Erode faceva spalla ad Antigono figliuol di Aristobolo ,
e molto più in risguardo di Fabio , che Antigono tirò
a se con denari , e al presente favoreggiatore lo aveva
del suo ritorno (3a). Somministrava poi ogni cosa ad
Antigono Tolommeo suo cognato.
III. Contro di questi postosi a campo Erode sulle
porte della Giudea li vinse in battaglia , e messo in
volta Antigono tornò in Gerusalemme ben accolto da
tutti per la felice sua impresa ; perciocché anche quelli ,
appo i quali era in uggia , si volsero a favorirlo per la
nuova parentela stretta da lui con Ircano ; mercecché
alla prima egli aveva menata una donna del suo paese
di non oscura prosapia , che avea nome Doride ; allora
col prendere la nipote d' Ircano Mariamme , ch' era fi
gliuola d' Alessandro figliuol d' Aristobolo divien parente
del re.
IV. Ma dappoiché , morto Cassio vicino a Filippi ,
ebber presa Cesare la via dell' Italia (33) e Antonio
quella dell' Asia , tra le ambascerie , che ad Antonio
spedite furo in Bitinia dall' altre città , ci vennero an
cora i grandi giudei , per accusare a lui Fasaelo ed
Erode , che a marcia forza volevano governare , e in
tanto ad Ircano non rimanea d' onorevole , che il sol
nome. A tali querele trovandosi Erode presente , e cat
tivatosi con non pochi regali il cuore d' Antonio a tanto
il condusse , che a' suoi ulutici e' non die neppur
campo di favellare ; e così per allora furono licenziati.
LIB. I. CkT. XII. 6t
V. Di nuovo cento persone de' principali giudei ven
nero in Dafne presso Antiochia a trovare Antonio schiavo
già dell' amore di Cleopatra. Questi sotto la scorta dei
più possenti fra loro e per dignità e per eloquenza ac
cusarono i due fratelli. Rispose loro in difesa Messala ,
presente Ircano in grazia della sua parentela ; ed Anto
nio , udite ambe le parti , interrogò Ircano , qual delle
due fosse più a proposito per governare ; ed avendo
esso a chicchessia preferito Erode co' suoi , lieto Anto
nio , perché era stato ospite del loro padre ( siccome
accolto amorevolmente da Antipatro , quando passò con
Gabinio in Giudea) , crea i due fratelli tetrarchi (34),
mettendo in lor mano il governo tutto della Giudea.
VI. Ma portandolo gli ambasciadori di mala voglia ,
Antonio arrestatine quindici li rinchiuse in prigione , e
stava ancora per condannargli alla morte ; i rimanenti
poi vituperosamente cacciò da se. Quinci fassi maggiore
il tumulto in Gerusalemme ; e però mille ambasciadori
spediron di nuovo in Tiro , ove stava Antonio con
animo di gettarsi sopra Gerusalemme. Contro costoro ,
che schiamazzavano , fe uscire il governatore de' Tiri
ordinandogli , che punisse , quanti gli dessero nelle
mani , e rassodasse i da lui costituiti tetrarchi nel loro
posto.
VII. Prima di ciò innoltratosi Erode sul lido insiem
con Ircano esortati gli avea lungamente , che non vo
lessero né rovinare se stessi, né colle loro disperate con
tese procacciare alla patria una guerra. Ma sdegnandosi
essi vie maggiormente , Antonio mandati fuora i sol
dati , molti se uccise e ne ferì molti. Non pertanto fu
62 DELLA GUERRA GIUDAICA

rono provveduti da I reati o i morti di sepoltura , e di


curagione i feriti. Con tutto questo i campati da quel
periglio Don si chetarono ; ma mettendo la città sotto
sopra irritarono tanto Antonio , che mise a morte ancor
quelli , che si teneva prigioni (3 5).

Capitolo XIII.

/ Parti , riconducendo Antigono nella Giudea fan


prigioni Ircano e Fasaclo. Fuga à° Erode , sacco di
Gerusalemme , e avventure d' Ircano e di Fasaelo.

I. Indi a due (36) anni avendo Barzafarne satrapo


della Pania con Pacoro figliuolo del re occupata la Si
ria , . Lisania (3^) già sottentrato nel regno dopo la
morte del padre , ch' era Tolommeo figliuol di Men-
neo , spigne il satrapo colla promessa di mille talenti
e di cinquecento donne a tornare nel regno Antigono ,
e spogliarne Ircano. Mosso da ciò Pacoro egli prende
la via delle coste marittime , e a Barzafarne comanda ,
che si sospinga entro terra. Fra' popoli a mare i Tirj
chiuser le porte a Pacoro , benché l' accogliessero i
Tulomaidesi e i Sidonj. Esso pertanto , ceduta una parte
della sua cavalleria a un coppiere reale , che aveva il
suo nome medesimo, gli ordinò, ch'entrasse nella Giu
dea a spiarvi lo stato degli inimici , e porgere ajuto ad
Antigono , oveché ne avesse mestiere.
II. Essi adunque , mentre mettevano a ruba il Car
melo , molti Giudei concorsi ad Antigono s' esibirono
pronti ad accompagnarlo. Antigono li mandò avanti io
rra. i. cap. mi. 65
un luogo chiamato Drimo , perché l' occupassero. Quivi
attaccata una zuffa rispinsero gi' inimici , e neh' inse
guirli trascorsero a Gerusalemme , dove ingrossati di
gente innoltraronsi fino alla reggia. Accolti da Fasaelo
e da Ircano con poderosa man di soldati, si viene alle
prese nel foro ; dove gli Erodiani messi in fuga ì ni-
mici li chiudon nel Tempio ; e ripartirono nelle abita
zioni vicine sessanta uomini , che li guardasser là en
tro ; ma la plebe levatasi contro i fratelli a romore as
salì i sessanta , e bruciòlli dentro le case. Erode sde
gnato per la morte di tante persone avventatosi sopra
il popolo molti ne uccise ; e per lo assaltar , che ogni
giorno facevansi gli uni gli altri in frotta , la strage
non aveva mai fine.
III. Ora venuta la festa , che chiamasi di Pentecoste ,
tutti i contomi del Tempio e la città tuttaquanta riem
pissi d' un popolo di contadini armati la maggior parte.
Fasaelo intanto guardava le mura , ed Erode con poca
gente la reggia ; egli lanciatosi addosso a' nimici disor
dinati verso la parte settentrionale della città ne uccide
un buon numero , e metteli tutti in volta ; e rinserrali
parte in città e parte dentro la trincéa esteriore. Allora
Antigono prega , che sia intromesso Pacoro a trattare
di pace. Fasaelo lasciatosi indurre accoglie in città e ad
albergo il Parto con cinquecento cavalli , il quale veniva
sotto pretesto di racconciare le differenze , ma in verità
per/ soccorrere Antigono. Scaltritamente pertanto con
dusse Fasaelo a sostenere un' ambasceria a Barzafarne
per concertare di pace , con tutto il molto dissuader-
nelo che faceva Erode , ed esortarlo a levarsi dinanzi
64 DELLA GUERRA GIUDAICA

quel traditore , e a non precipitar di per se negli agua


ti , ove colui l' appostava ; dappoiché i Barbari sono di
lor natura sleali. Pacoro adunque , affine che meno eì
sospettasse di lui , esso ancora uscì eoa Ircano , e la
sciati appo Erode alcuni de' suoi cavalieri detti Eleute-
ri (3*) , a' rimanenti diede ad accompagnar Fasaelo.
IV. Giunti in Galilea trovano que' del paese ,. già
ribellati e sotto l' armi. Indi presentaronsi al Satrapo
molto astutamente , e gli suggeriro , che colle benigne
accoglienze coprisse l' insidie. Egli adunque alla prima
fe' lor regali ; indi quand' erano in sul ritirarsi, ordì il
tradimento ; e ben essi s' accorsero della frode , quando
condotti si videro a un luogo marittimo , che si chia
mava Ecdippo. Perciocché quivi udirono e de' mille ta
lenti promessi da Antigono , e che la più parte delle
lor donne erano da lui - destinate ad entrare in quelle
cinquecento , ch' e' dava a' Parti , di più che la notte
erano continuamente guardati da' Barbari , i quali gli
avrebbono prima d' ora arrestati ; se non che attende
vano , che fosse preso Erode in Gerusalemme onde non
avvenisse , ch' ei risapendo il lor fine si mettesse in
guardia di se. Né questa fu solamente una voce ; ma
eglino altresì co' lor occhi vedevano non troppo da lungi
le guardie.
V. A Fasaelo però , benché Ofellio lo confortasse a
fuggire , perciocché avea udita da Saramalla il più ricco
siro , che allora ci fosse , la traccia tutta del tradimen
to , non bastò l' animo d' abbandonare Ircano ; ma ve
nuto dinanzi al satrapo gli rinfacciò le sue frodi e sin
golarmente , che per l' amor del denajo si fosse condotto
LIB. I. CAP. XIII. 65
a tal passo. Esso certo prometteva di dargli assai più ,
se il mandava salvo , che non Antigono , se il metteva
sul trono. Qui il reo Parto dopo aver con iscuse e
giuramenti cessato da se tal sospetto n' andò a Pacoro ;
e di presente que' Parti colà lasciati , che n' ebbero la
commissione , miser le mani addosso a Fasaelo ed Ir-
cano , che detestavano oltre lo spergiuro altre cose e la
loro infedeltà.
VI. Intanto il coppiere spedito perciò macchinava di
prendere ancora Erode , tirandolo frodolentemente fuor
. delle mura , come se avesse commissioni per lui. Ma
egli fin dapprincipio mirando i Barbari con sospetto ,
e allora appunto avendo sentito ch' erano date nelle
man de' nimici le lettere , che gli portavano il tradi
mento per lor commesso , non volle uscire , contutto
gliene adducesse Pacoro un motivo assai ragionevole ,
cioé ch' egli andasse incontro a chi gli recava le lettere;
che non era vero altrimenti , che fossero state inter-
cette dagl' inimici , né già recavano nuova di tradimen
to ; ma del quanto operato avea Fasaelo. Egli però
aveva per buona sorte udito d' altronde del fratello già
arrestato , e gli era venuta innanzi (38) Mariamme fi
gliuola d' Ircano , donna , quanto niun' altra mai , acu
tissima , scongiurandolo a non partire , né a mettere la,
sua vita in mano di Barbari , che apertamente omai gli
tramavano la rovina.
i VII. Or mentre stava Pacoro co' suoi ripensando al
come venire a capo furtivamente de' loro insidiosi dise
gni , giacché l' operare scopertamente non era possibile
con un uomo cotanto accorto, Erode colle persone più
Flavio, t. VI. Detta G. G. t. /., • 5
66 DELLA GUERRA GIUDAICA

care , colto il buon tempo , di notte senza saputa de*


gi' inimici. ritiròssi nell' Idumea. Penetratolo i Parti gli
tennero dietro , ad egli fatto proseguire il cammino alla
madre , alla sorella , alla donzella promessagli sposa con
esso la madre sua , e al minor suo fratello , esso co' servi
assai francamente tenea lungi i Barbari ; e in tutti gli
assalti , che loro diede , uccisine molti al castello arrivò
di Massada.
Vili. Ma più dolorosi , che non i Parti furono nella
sua fuga per lui i Giudei , che infestarono continua
mente , e di presso a Gerusalemme a sessanta stadj
inseguironlo lungo tempo schierati in giusta ordinanza.
Quivi Erode, domatili pienamente, e messine a morte
assai , fabbricò poscia in memoria di questa lieta avven
tura una terra adornata d' una sontuosissima reggia con
entrovi una fortissima cittadella , e dal suo nome chiamòlla
Erodio. Ora mentr' egli stava tuttor fuggendo , gli si
aggiugnevano di continuo molte persone : e giunto a
Tressa dell' Idumea gli venne incontro Giuseppe suo
fratello , e gli die per consiglio che si scaricasse d' una
gran parte del seguito suo ; perciocché tanta gente che
ri numero oltrepassava di novemila non capirebbe in
Massada. Persuaso Erode sparse per l' Idumea le per
sone gravose e disutili , cui forni prima di viatico , e
ritenuti presso di se oltre i suoi più congiunti gli uo
mini più gagliardi ricogliesi salvo nella fortezza ; e quivi
lasciate alle donne ottocento persone di guardia con
tutto il bisognevole per sostenere un assedio egli tirò
verso Petra d'Arabia.
IX. Intanto i Parti messisi in Gerusalemme a rubare
1IB. I. CÀP. XIII. 67
cacciavansi nelle case di chi fuggiva , e ancor nella reg
gia , intatti però lasciando gli averi d' Ircano , i quali
non erano più di trecento talenti. Capitarono loro alle
mani anche quelli degli altri (3g) , ma non quanti spe-
ravan che fossero. Perciocché Erode antivedendo da lungi
la poca fede de' Barbari , avea provveduto , che il me
glio delle sue masserizie fosse recato nell' Idumea ; e
feciono similmente ciascuno de' suoi congiunti. Ora i
Parti dopo il saccheggio a tanto innoltraronsi di bal
danza , che d' una implacabile guerra riempirono tutto
il paese , e abbatterono da' fondamenti la città di Ma-
rissa , e non pure misero in trono Antigono , ma gli
diedero Fasaelo ed Ircano prigioni , perché straziasseli
a suo talento ; ed egli ad Ircano , che gli era caduto
supplichevole a piede , schiantò coi denti gli orecchi ;
onde in avvenire , se mai le cose mutassero faccia ,
racquistar non potesse il pontificato ; perciocché questa
carica non può darsi , che a' sani della persona.
X. Antigono però rimase al di sotto con Fasaelo , il
quale animosamente il prevenne con battere il capo in
un sasso , perché non aveva né ferro né mani in balia.
Egli adunque mostrando se stesso vero fratel d'Erode ed
Ircano un uomo dappoco , muore coraggiosissimamente
facendo una fine conforme alla scorsa sua vita. Ma u*»
torno a questo corre altra voce , ed é , ch' egli si riebbe
dal colpo , e che il medico a lui mandato da. Antigono
col pretesto , che lo curasse , gli empì la ferita d' em-
piastri attoscati , e l' uccise. Comunque ciò sia , il prin-»
cipio fu per lui (4o) onorevole. Dicesi finalmente , che
«gli prima ancor di spirare , udito da certa donnicciuo-»
68 DELLA GUERRA GIUDAICA

la , ch' era fuggito Erode di mano al nimico « or,


» disse , muojo contento , perché lascio al mondo, chi
» saprà vendicarmi de' miei nimici ».
XI. Così egli muore , e i Parti , tuttoché andasse
fallita lor la speranza d' aver le donne , che più vole
vano , a favore però d' Antigono mettono in sesto le
cose di Gerusalemme , e ne menano in patria Ircano
prigione.

Capitolo XIV.

Erode escluso cF Arabia si volge a Roma;


ove, mercé di Cesare e Antonio vien fatto re.

L Intanto Erode con maggior fretta viaggiava verso


l' Arabia , come se fosse ancor vivo il fratello , solleci
tandosi d' ottenere dal re denajo , col qual solo sperava
di muovere a bene di Fasaelo l' avarizia de' Barbari.
Perciocché ripensava seco medesimo , che se I arabo
fosse stato dimentico dell' amicizia paterna e non avesse
avuto il coraggio di fargliene un dono , ne avrebbe
almeno in prestanza la somma per lo riscatto col dar
gliene in pegno il figliuolo del riscattato : e a questo
effetto menava seco il nipote in età di sett' anni ; ed
era pronto a sborsare trecento talenti , premessavi la
mediazione de' Tirj. Ma il destino (40 prevenne le sue
premure , e morto Fasaelo tornò in vano il fratellevole
amor d' Erode. Anzi neppur presso gli Arabi trovò ami
cizia costante. Perciocché Malco re loro mandatogli sol
lecitamente un messo gi' ingiunse , che votasse il paese ,
LIB. I. CÀP. XIV. 69
iidducendo in iscusa , che i Parti gli aveano intimato di
cacciar dall' Arabia Erode ; benché la vera cagione di
tal procedere fosse la voglia di non pagare que' debiti ,
ch'esso avea con Antipatro , e il gravargli di rendere
in ricompensa de' suoi regali alcun guiderdone a' fi
gliuoli di lui bisognosi. Di questa mdegna spilorceria
aveva per consiglieri persone , -che amavano al par di
lui , si smarrissero i depositi fatti appo loro da Antipa
tro ; erano questi i più possenti baroni del regno.
II. Erode adunque , scoperti gli Arabi suoi nimici
per quel medesimo ,. onde sperava che fossergli amici
più stretti , e data a' messi quella risposta , che sugge-
rigli il dolore , si volse all' Egitto ; e alla prima sera si
ferma in un tempio villereccio per adunare i lasciati
qua e là. Il dì appresso appena fu giunto a Rinocolu-
ra (4a) , gli é data la nuova , che é morto il fratello.
Quivi sfogata, quanto poté , la sua doglia, come pri
ma calmòssi l' affanno , andò oltre. Allor , benché tardi,
F arabo riconosciutosi spedì prestamente persone , che
richiamasser l' offeso. Ma Erode avanzandoli nell' andare
pervenne a Pelusio : dove da que' nocchieri ottener non
potendo il passaggio ricorse a" governatori, i quali avendo
risguardo al famoso e grand' uomo , ch' egli era , lo ac
compagnano in Alessandria. Erode entrato in città fu ac
colto magnificamente da Cleopatra, perché sperava di af
fidare alla sua condotta le imprese , che avea divisate. Ma
egli rigettate le suppliche della regina , senza timore del
mir tempestoso , né de'tumulti d'Italia navigò verso Roma.
III. Sorpreso da gran fortuna presso a Parafila e fatto
getto di pressoché tutta la roba sua a gran pena afferrò
JO DELLA GUERRA GIUDAICA

salvo a Rodi assai malmenata dalla guerra cassiana. Quivi


accolto da' due suoi amici Tolommeo e Sappinio , ben
ché fosse povero di denajo , pur mette iu concio un
gran (4*) galeone nel quale co' suoi amici approdato a
Brindisi , e di là trasferitosi a Roma , la prima visita
destinòlla ad Antonio mercé l' amicizia , ch' era passata
tra lui e suo padre , e gli narra le disavventure sue
proprie e della famiglia ; e come lasciati in una for
tezza i suoi più cari esposti a un assedio per mezzo le
tempeste venuto era supplichevole a lui.
IV. Antonio a tal cangiamento fu tocco da compas
sione , e per la memoria , che conservava delle ospitali
accoglienze a lui fatte da Antipatro , e soprattutto pe'
meriti di chi gli era presente determinò allora allora di
costituir re de' Giudei quel che prima egli stesso aveva
creato tetrarca. A ciò fare lo spinse non meno la sua
inclinazion per Erode , che la sua avversion per Anti
gono ; conciossiaché Io tenesse per un cervel turbolento
e nimico de' Romani. Anzi trovò in Cesare maggior
prontezza , che non aveva egli stesso , perché tornavan-
gli alla memoria le militari fatiche da Antipatro soste
nute in Egitto col padre suo (43), e l'ospitalità e le
cortesie che gli usò , e vedeva nel tempo medesimo il
valent' uomo , ch' era Erode. Raccolse pertanto il Se
nato , dove (44) Messala e dopo lui Atratino , condotto
Erode alla presenza de' senatori , fecero ricordanza dei
meriti di suo padre , e della benivoglienza di lui me
desimo verso i Romani , mostrando insieme , che Anti
gono n' era nimico , non solo perché più presto, che non
conveniva , aveva eccitati tumulti , ma perché anche allora
LIB. I. CAP. XIV. yt

«vea ricevuto da' Parti (45) il regno senza curar de' Ro


mani. Commosso a tali cose il Senato , dappoiché An
tonio venuto in mezzo disse , che fora spediente ancor
per la guerra contro de' Parti , ch' Erode regnasse , tutti
d' accordo* gli danno il voto. Sciolto il Senato , Antonio
e Cesare con in mezzo Erode uscirono. Accompagna-
ronlo i consoli e gli altri magistrati al sagrifizio , e al
registrar che farebbesi in Campidoglio il decreto. Al primo
giorno del regno d' Erode Antonio gli die banchetto.

Capitolo XV.

Antigono assedia i rinchiusi in Massada. Erode tor


nato da Roma li libera , e tosto incamminatosi a
Gerusalemme vi trova corrotto dal denajo Silone.

I. In questo intervallo di tempo Antigono stette asse


diando i rinchiusi in Massada , i quali quanto abbon
davano del rimanente per vivere , tanto erano stremi
d' acqua. 11 perché Giuseppe fratello d' Erode con du-
gento de' suoi meditava fuggirsi appo gli Arabi avendo
udito , che Malico era dolente del fallo commesso con
tro d' Erode ; e avrebbe certo abbandonato il castello ,
se non avveniva , che la notte medesima della sua par
tenza cadde una pioggia dirotta ; il perché riempiutesi
le cisterne d' acqua , non ebbe mestieri più della fuga ,
ma tosto fecero una sortita sopra gli Antigoniani ; é
parte azzuffatisi scopertamente , e postisi parte ad aguato
ne uccisono in quantità. Non però ogni impresa andò
loro bene, ma qualche Cata ancor essi tornavano colle
peggiori.
na DELLA GUERItA GIUDAICI

II. In questa Ventidio general de' Romani mandato


perché dalla Siria cacciasse i Parti , entrò dopo loro in
Giudea , sotto titolo di dar soccorso a Giuseppe , ma
in sostanza per trar denari da Antigono. Attendatosi
adunque vicinissimo a Gerusalemme , eome -fu ben ri
pieno d' argento , si ritirò colla parte maggiore delle
sue forze , e lasciòvvene un corpo in compagnia di Si-
Ione , affineché il levameli tuttiquanti non desse troppo
chiaro a conoscere la guadagneria. Quindi Antigono
sperando , che i Parti verrebbouo in suo soccorso catti-
vòssi frattauto Silone in maniera , che .ostacolo non in
terporrebbe alle sue speranze.
III. Ma Erode già dall' Italia dato fondo a Tolomai-
de , e quivi fatta uua buona leva di truppe nazionali
insieme e straniere , per mezzo la Galilea marciò con
tro Antigono coli' ajuto di Ventidio e Silone , cui Del-
lio spedito da Antonio persuase , che accompagnassono
Erode. Ora Ventidio dal canto suo componeva nella
città i tumulti levatisi, per cagione de' Parti ; e Silone
fermatosi nella Giudea- fu corrotto da Antigono con da-
nari. Non per questo Erode era scarzo di forze ; anzi
quanto più s' innoltrava , tanto più gli crescevan le
truppe ; e salvo alcuni pochi , la Galilea tuttaquanta fu
sua. Sfavagli però innanzi agli occhi 1' oggetto più ne
cessario , cioé Massada , e prima di tutto la liberazione
de' suoi domestici dall' assedio. Ma gli facea ostacolo
Gioppe; conciossiaché era uopo di prendere prima que
sta , siccome nimica , per non lasciare andando verso
Gerusalemme dopo le spalle una fortezza a' nimici. A
lui si congiunse di buon grado Silone , trovato un pre
LIB. I. CIP. XV. 73
testo , che giustificasse tal cangiamento , e poiché i Giu
dei caricaronlo a tergo , Erode uscito contro di questi
con poca gente li mette in volta ben presto , e salva
Silone , che penava a difendersi. - .:
IV. Indi presa Gio.ppe si volse a Massada per met
tere i suoi domestici in libertà. Quivi de' paesani altri
univansi a lui in grazia del padre suo , di cui furono
amici , altri trattivi dalla fama di lui medesimo, ed al
tri per"ricompensa de' benefizj ricevuti da entrambi ;- ma
la più parte1 allettati dalla speranza, che dava loro un
uomo , che sicuramente sarebbe re : e già gli si era
raccolta intorno una poderosissima armata. Or mentre-
che s' innoltrava , Antigono gli tendeva insidie mettendo
aguato di sua gente ne' luoghi più adatti ; dove però
poco o niente danneggiava il nimico. Erode adunque
riavuti agevolmente i suoi da Massada , e con essi il
castello di Ressn prese il cammino di Gerusalemme.
Unissi con lui l' esercito di Silone , e molti della cit
tà (46) spaventati da tanta sua possa. '- < .!
V. Posto egli il suo campo dal lato occidentale della
città , le sentinelle di quella banda saettavano e ferivano
i suoi ; ed altri sortendo a schiere .tentavano le ordi
nanze nimiche. Ora Erode prima d' ogni altra cosa vol
le , che si bandisse d' intorno alle mura , - ch' egli era
colà pel bene del popolo e per la salute della città ,
che non sarebbesi vendicato neppur degli aperti nemi
ci , e a' più implacabili avrebbe dato il perdono. Ma
dappoiché i partigiani d' Antigono con opposti schia
mazzi non consentivano né che il bando s' udisse , né
eh' altri cangiasse proponimento (47) , Erode , ciò che
J4 DELLA GUERRA GIUDAICA

sol rimanevagli , die licenza a' suoi , che battessero i


difensori della muraglia ; e in poca d' ora gli ebbero
tutti co' dardi fatti allontanar dalle torri.
VI. Qui finalmente Silone si die a conoscere per
uom venduto. Mercecché subornati parecchi della sua
gente a gridare , che scarse erano le vittuaglie , e a
chieder denajo per vivere , e la grazia d' esser condotti
a svernare in luoghi migliori dacché i contorni della
città eran tutti diserti per lo spogliarli , che già fatto
avevano d' ogni cosa gli Antigoniani, egli cominciava a
muovere il campo e tentava di ritirarsi. Ma Erode pre
sentatosi a' capitani sudditi di Silone e a tutto insieme
il suo esercito li pregava , che nol volessero abbando
nare , spedito ch' egli era poc' anzi da Antonio , da
Cesare , e dal Senato ; egli avrebbe in quel giorno
medesimo soddisfatto alle loro necessità. Dopo questa
preghiera egli stesso andato tosto in persona per le
campagne tanta dovizia recò loro di viveri , che a' pre
testi di Silone tagliò ogui strada ; e provvedendo , che
ne' dì susseguenti lor non fallisse il bisognevole scrisse
a que' di Samaria , città tutta sua , che trasportassero
in Gerico frumento , vino , olio , e bestiame. Risaputa
Antigono questa cosa mandò persone qua e là con or
dine , che rattenessero ed appostassero i conduttori del
grano. Essi ubbidirono , e gran moltitudine armata sì
radunò sotto Gerico ; e si posero tra le montagne , per
di là riconoscerne i portatori. Erode intanto non istava
ozioso , ma tolte con seco ben dieci bande , cinque
romane , e cinque giudee con entro i tramescolativi
soldanieri e oltre a ciò qualche poco di cavalleria per-»
tIB. I. CÀP. XV. ^5
viene a Gerico ; e non trova anima nata nella città , ma
sol cinquecento persone , che con esso le mogli e fa
miglie s' erano rifuggiti sull' alte cime delle montagne ,
a cui egli benché fatti schiavi ridona la libertà. Intanto
i Romani gettatisi dentro rubarono il rimanente della
città , e trovaroncì piene le case d' ogni fatta di masse
rizie. II re adunque lasciata in Gerico guernigione die
volta , e ripartì la milizia romana a svernare nelle città
a lui rendutesi dell' Idumea , Galilea , e Samacitide. An
che Antigono dalla guadagneria di Silone ottenne di
dar ricetto a una parte delle truppe romane in Lidda
per meritarsi la grazia d' Antonio.

Capitoio XVI.

Erode piglia Sejforim , e soUomette i ladroni rinta


nati nelle spelonche. Sdegnato con Machera lo
torna in sua grazia , e se ne va ad Antonio che
facea guerra a quelli di Samosata.

I. Ora i Romani sciolti dal carico della milizia nuo


tavano nell' abbondanza. Erode però non istava ozioso ;
ma con duemila fanti e quattrocento cavalli teneva in
dover l' Idumea , mandatovi suo fratello Giuseppe , per
ché non nascesse novità a favore d' Antigono. Egli in
tanto fatti passare in Samaria la madre e quant' altri
domestici tratti avea da Massada , e messili colà in si
curo partì per sottomettere il rimanente della Galilea ,
e cacciarne le guernigioni d' Antigono.
IL Giunto a Sefforùn per mezzo una neve foltissima ,
76 DELLA GUERRA GIUDAICA

senza contrasto s' impadronisce della città , perché il


presidio anzi. il suo arrivo fuggissi. Quivi ristorata la
gente sua da' travagli della vernata ( ed eravi grande
abbondanza di vittuaglie ) , andò contro i ladroni , che
si vivevano nelle spelonche ; i quali correndo una buona
parte della provincia malmenavano i terrazzani non men
di quello , che fatto avrebbe una guerra. -Spedite egli
adunque innanzi tre compagnie, di pedoni ed una di
cavalleria alla terra d' Arbela , ci venne in persona dopo
quaranta giorni col resto delle sue forze. Non ne temet
tero però la venuta i nimici, ma uscirongli incontro
coli' armi in mano , siccome gente ch' eli', era esperta
nel mestier della guerra , e ardita quanto il sono i la
droni. Venuti pertanto alle mani col destro lor corno
mettono in volta il sinistro d' Erode. Ma Erode spicca
tosi velocemente dalla parte destra , ov' egli era , eoa
un giro d' intorno fu in soccorso de' suoi , e rimessili
dalla fuga , a cui s'eran dati , in campo , e caricati i
nimici , che gi' inseguivano , ne represse l' ardore , fin
ché non potendo essi più reggere all' urto , che lor ve
niva di fronte , piegarono.
III. Quindi egli gi' incalzò uccidendo fino al Giorda
no ; e messane a fil di spada una parte ben grande , i
restanti si sparpagliarono di là dal fiume , onde la Ga
lilea tutta fu scevera da timori , se non in quanto n' e-
ran rimasti alcuni intanati nelle spelonche , e per ca
giona loro facea mestieri ferm.ircisi ancora. Laonde pri
mieramente egli diede un premio a' soldati de' lor tra
vagli , e furono cencinquàntà dramme d' argento per
ciascheduno; e a' capitani ne mandò molte più in que'
' X.IB.-I. CAP. XVI. _ .. 77
luoghi, ove stavan svernando. A Ferora poi suo fratelto
minore scrisse , che lor provvedesse di piazza libera , e
ristorasse Alessandrio : ed egli pensò all' una cosa ed
all' altra. ' ,
IV. A questi tempi trovavasi Antonio in Atene ; e
Ventidio chiamò alla guerra contro de' Parti Silone ed
Erode , avvertendolo però , che prima componesse gli
affari della Giudea. Erode , mandato volentieri Silone a
Ventidio , mosse contro coloro , che stavano nelle spe
lonche. Queste spelonche in mezzo a straripevoli balze
non erano da nessuna banda accessibili , né avevano al
tra strada , che angusti viottoli e tortuosi. Lo scoglio ,
che stava lor dirimpetto , scendeva in profondissime
valli , sopra le. quali esso alzavasi a piombo , in ma
niera , che il re buona pezza stette dubbioso per l' a-
spro luogo , che quello era , dell' esito dell' impresa , e
finalmente appigliòssi a un partito di sommo rischio.
Questo fu di collare entro a casse i più forti , e po
sargli alle bocche delle spelonche ; ond' essi scannavano
i malandrini colle famiglie , e dove aveva ., chi lor re
sistesse , gettavano il fuoco. Ciò non ostante volendo
Erode salvarne alcuno sonò a raccolta. Niun però v' eb
be , che spontaneamente gli si rendesse , e molti di
quelli , che, furonci tratti a forza , amarono meglio mo
rir , che servire. Quivi anche tra vecchi ebbe uno , pa
dre di sette figliuoli , il quale , mentre i figliuoli insiem
colla madre pregavanlo , che lor Sconsentisse d' uscire
sotto. la data fede , gli uccise in questa maniera. Ordi
nò , che n' uscissero l' un dopo l' altro ; egli intanto si
pose alla bocca , e qua! de' figliuoli innoltravasi , egli
78 DELLA GUERRA GIUDAICA

scannava. Veggendo Erode dall' alto questo spettacolo


tocco sentissi di compassione , e sporse al vecchio la
destra pregandolo , che risparmiasse i figliuoli. Ma egli
niente piegandosi a tai parole, anzi dicendo villania ad
Erode come ad uomo di poco cuore , dietro a' figliuoli
uccide eziandio la moglie , e gettatine dal precipizio i
cadaveri di là finalmente precipitòssi ancor esso.
V. Così Erode diserta quelle spelonche e con esse i
suoi abitanti. Lasciatavi poi quella parte d' esercito , che
credette bastevole contro le sedizioni sotto il comando
di Tolommeo , ritornò a Samaria , menando di là sopra
Antigono tremila fanti e secento cavalli. Allora que' ,
ch' eran soliti d' intorbidare la Galilea , preso ardite
dalla sua lontananza uccidono Tolommeo capitano , a
cui vennero addosso improvviso , e mettono a ruba ii
paese ricoverandosi poscia in luoghi paludosi e difficili
da scoprire. Udita Erode questa rivoluzione . vi corse
tosto in ajuto , e uccisa una gran moltitudine di sedi
ziosi , liberò dall' assedio tutti i presidj , e in pena di
tal cangiamento impose a' nimici la multa di cento
talenti. '
VI. Intanto, disfatti già i Parti , e tolto di vita Pa-
coro , Ventidio per ordin d' Antonio manda ad Erode
in soccorso contro d' Antigono mille cavalli , e due le
gioni. Il lor capitanio Machera fu da Antigono suppli
cato per lettera , che lui volesse ajutare ; in questa e'
faceva gran lamenti della prepotenza d' Erode e del
torto fatto al regno , e promettevagli per guiderdone
denari. Machera , che a vile non avea , chi mandava
per lui , d' altra parte più vantaggio gli dava Erode
LIB. I. CÀP. XVI. ^g

non si condusse no al tradimento , ma infingendosi di


essergli amico andò a esplorare lo stato d' Antigono ,
con tutto il richiamamelo che fe' Erode. Ma Antigono ,
prevedute le sue intenzioni, gli chiuse la città in fac
cia , e lo allontanò dalle mura , come nimico , intanto—
che vergognatosi di tal tratto Machera ricoverò presso
Erode in Emmaus , e sdegnato per cosi infelice suc
cesso metteva a morte quanti Giudei capitavano in suo
potere senza risguardo neppure degli Erodiani , trattan
doli tutti indifferentemente , come Antigoniani.
VII. Stomacato di tal procedere Erode sentissi so
spinto a punire Machera , come un nimico ; frenato
però il suo sdegno ricorse ad Antonio per querelarsi a
lui delle soperchierie di Machera. Ma costui tornandosi
nella mente la serie de' suoi misfatti tien dietro issofatto
ad Erode , e a forza di molte suppliche ne racquista
la grazia. Erode però non sospese la sua andata ad An
tonio ; ma risaputo , ch' egli con poderosa oste faceva
guerra a Samosata forte città sull' Eufrate tanto più af-
frettòssi , avvisando questo essere il tempo opportuno da
fare mostra del suo valore e da piacer piucché mai ad
Antonio. Ora la sua venuta pose fine all' assedio ; e mise
egli a morte Barbari in quantità , e fece grande botti
no ; laonde e Antonio pieno già d' alta stima del suo
valore in quell' occasione ammiròllo singolarmente , e
gli accrebbe siccome gli altri onori , così le sparanze ,
che aveva del regno , e it re Antioco fu costretto di
rendere Samosata.
8o DELLA GUERRA GIUDAICA
,''-: : - : . . • . . > "T!
Capitolo XVII.
-. - *
'Morte di Giuseppe prenunziata ad Erode da un so
gno. Come Erode fu ben due volte salvo prodigio
samente. Taglia la testa a Pappo uccisore di suo
fratello , e la manda a Ferora. Indi a poco asse
dia Gerusalemme , e sposa Mariamme.

I. In questo ebbero gli affari d' Erode in Giudea uno


storpio. Lasciato aveva in mano a suo fratello Giuseppe
l'amministrazione di tutto con ordine , che non mo
vesse contro d' Antigono prima del suo ritorno ; per
ché Machera da ciò , che avea fatto sinora , non era
un alleato da fidarsene. Ora Giuseppe appena ebbe
udito , che suo fratello era già lontanissimo , trascurati
i suoi ordini , andò con cinque coorti mandategli da
Machera a Gerico ; e ci andava per rubarne il frumento
già per la state innoltrata maturo. Ma per insidie tese
gli da' nimici fra le montagne e in luoghi aspri , men
tre battagliando faceva gran valentie , fu morto ,- e i
Romani tutti , quanti erano , ci perdetter la vita. Mer-
cecché le coorti venivano testé dalla Siria reclutatevi
poco dianzi , né V' era misto neppure un soldato di
quelli , che chiamansi veterani , i quali potessero dar
soccorso a gente inesperta nell' armi.
i II. Antigono però non fu pago di tal vittoria , ma
tanto si lasciò trasportare al suo sdegno , che fece tristo
governo perfin del cadavere di Giuseppe. Perciocché
impadronitosi egli de corpi uccisi gli taglia la testa ,
IH). I. CAP. XVII. 8t
con tutto la profferta di ben cinquanta talenti fattagli
da Ferora per riscattarlo. Ora gli affari della Galilea
dopo la vittoria d' Antigono vestirono così nuove sem
bianze , che i partigiani d' Antigono conducendo al lago-
i favoreggiatori d' Erode ve gli affogavano. Avvennero
gran cangiamenti ancora nell' Idumea , dove Machera
rifece un castello , che nominavasi Getta. Queste cose
però non erano ancor pervenute all' orecchio d' Erode.
Conciossiaché dopo la presa di Samosata Antonio , af
fidata a Sosio la Siria e impostogli , che sostenesse
Erode contro d' Antigono si rendette in Egitto , e So
sio mandate innanzi nella Giudea due legioni in soc
corso d' Erode , esso poi immediate teneva lor dietro
col rimanente.
III. Pure Erode, menti' era in Dafne presso Antio
chia , da' sogni evidenti riseppe la morte di suo fratello ,
e sbalordito balzava dal letto , quando gli giunsero le
novelle della sciagura. Egli adunque dato un breve
sfogo al dolore , e differitone ad altro tempo il corrotto
uscì addosso a' nimici ; e accelerato fuor di misura il
cammino , come fu al Libano , ivi rinforzò le sue truppa
con ottocento abitanti di quelle contrade e con una le
gione romana di soprappiù , che raccolse ; colle quali
non indugiato un sol giorno entrò in Galilea , e venu
tigli incontro i nimici li risospinge colà , donde s' eran
partiti ; e tosto si mise a batterne la fortezza ; ma prima
di prenderla fu da un crudissimo temporale costretto ad
accamparsi nelle terre vicine. Indi però a pochi giorni ,
siccome per ordin d' Antonio gli si aggiunse una se-
Flavio, t. VI. Detta G. G, t. 1. S
82 DELLA GUERRA GIUDAICA

conda legione , così i nimici temendone la possanza ,


nel cuor della notte abbandonarono la fortezza.
IV. E già frettoloso avea presa la via di Gerico, per
vendicarsi issofatto degli uccisori di suo fratello. Colà
avvennegli un caso, sto per dir, prodigioso, onde l'es
sere uscito per gran miracolo sano e salvo acquistògli il
concetto d' uomo carissimo a Dio. Molti Signori de' più
cospicui avevano quella sera cenato con lai. Dopo man
giare > partiti che furono tutti , cadde improvviso la
stanza. Ora egli avvisando esser questo un pregio dei
pericoli tutto insieme e della salvezza , che neìla guerra
futura doveva incontrare , sul far del giorno mosse l' e-
sercito. Quivi seimila nimici in circa scesi dalle monta
gne spilluzzicavan le prime file, non però s'attentavano
troppo di venir co' Romani alle prese , ma paghi eran
sol di colpirli da lungi co' sassi e dardi , da cui rima-
serne assai feriti , tra' quali lo stesso Erode spintosi
troppo innanzi restò da una freccia colpito nel fianco.
Antigono poi volendo parer dappiù non sol pel corag
gio , ma per la moltitudine ancora de' suoi spedisce
contro Samaria con una parie d' esercito certo Pappo
suo confidente , e per premio di questa mossa s' aveaa
proposto Machera. Erode intanto , corse le terre nimi-
che , pigliò cinque borghi ; e messine a morte duemila
abitanti e bruciatene le abitazioni si ricondusse al suo
campo. Stava egli attendato vicino al borgo chiamato
Cana : e ogni giorno parte da Gerico istessa , parte
d' altronde crescevagli notabilmente il seguito de' Giudei
condotti altri dall' odio , in che avevan Antigono , altri
dalle chiare imprese d' Erode istesso. Molti però ci fur
LIB. I. CAP. XVII. 83
tratti da una irragionevole cupidigia di cambiamento.
Egli adunque cercava ogni via di venire alle mani , e i
Soldati di Pappo né dal numero de' ni mici né dall'im
peto loro atterriti uscirono allegramente a scontrarli.
Pertanto attaccata la mischia , dall' altre parti si ristette
un tantino ; ma Erode per la memoria dell' assassinato.
fratello più arditamente adoperando per giugnere a ga-
stigarne gli autori , in poca d' ora ebbe rotti i rumici ,
che stavangli a fronte ; indi di mano in mano gettan
dosi sopra gli altri non ancora battuti li cacciò tutti-
quanti in fuga. Grande era il macello , che ne faceva ,
meutr' essi rispinti venivano nella terra, ond' erano usci
ti , ed egli incalzavagli a tergo, e uccidevano in quantità.
Entra infin nella terra dietro a' nemici , ed ogni casa
fu in potere di gente armata ; i tetti più alti eran pieni
di difensori , e poiché que' di fuori fur vinti , atterrando
le porte caccionne que' dentro ; de' quali la maggior
parte seppellì sotto a' tetti , che fe' rovinar loro in capo,
e quelli , che salvi camparono dalle ruine , le spado
incontravano de' soldati ; e a tanto crebbe il popolo
degli uccisi , che a' vincitori stessi chiudevano il passo.
A tal disfatta non ressero gi' inimici ; ma que' molti
di loro , che s' erano colà raccolti , vista la quantità
degli uccisi entro il borgo , si cacciaro qua e là a fug
gire ; e issofatto Erode animato dalla vittoria sarebbe ito
contro Gerusalemme , se un temporale orrendissimo non
glielo avesse impedito. Questo interruppe a lui il corso
perfetto della sua impresa , e sospese ad Antigono la
Sconfitta , poiché aveva già in animo d' abbandonar la
città.
)
84 DELLA GUERRA GIUDAICA

V. Erode intanto siili' annottare data agli amici già


stanchi licenza di ristorar la persona , egli altresì cosi
caldo com'era della battaglia andava,' come son usi i
soldati , a lavarsi ; però tenevagli dietro un sol fante ,
e anziché entrasse nel bagno , gli corre incontro pas
sando un nimico coli' armi in mano , e dietro a lui un
secondo , e un terzo e più altri appresso. Questi eran
dal campo fuggiti armati nel bagno ; e fino allora vi
stettero spauraii e nascosi ; ma poiché venne loro ve
duto il re , abbattuti dallo spavento e tremanti passa
rono benché inerme , e iuviaronsi verso l' uscita. Ora ,
conciossiaché per ventura non eraci altra persona , che
lor mettesse le mani addosso , Erode fu pago di non
averne incontrato alcun male , onde quelli fuggiron
tutti. Il dì apprèsso , mozzata la testa a Pappo generale
d' Antigono , eh' era stato ucciso sul campo , la manda
a Ferora suo fratello in vendetta dell' altro loro fratello
ammazzato ; perciocché fu costui l' uccisor di Giuseppe.
Dato giù il cattivo tempo mosse alla volta di Gerusa
lemme , e condotto P esercito fin sotto alle mura ( e
volgeva i omai il terz' anno dacché fu creato re in Ro
ma ) s' accampa rimpetto al Tempio , da quella parte
cioé , dov' era espugnabile , e donde innanzi avea presa
Pompeo la città.
VI, Assegnati alle truppe i lor ministerj , e ripartiti
loro i sobborghi innalza tre terrapieni (48) , sopra dei
quali ordina , che s' ergan torri ; e affidata la sopran-
tendenza di que' lavori agli amici suoi più valenti egli
andò a Samaria per isposar la figliuola d' Alessandro
figliuol d' Aristobolo già promessagli , come dicemmo ,
iiB. i. càp. xvii. 85
e fé' servir d' intermezzo all' assedio le nozze ; che niun
pensiero oggimai si prendea de' nimici. Celebrate le
nozze tornò a Gerusalemme con forze maggiori ; giacché
gli si era aggiunto con numerosissima oste di fanti e
cavalli anche Sosio , il quale mandatola innanzi per en
tro terra aveva tenuta la strada della Fenicia. Raccolte
tutte insieme le forze , che comprendevano undici le
gioni e seimila cavalli oltre i confederati venutigli dalla
Siria , che non formavano picciol corpo , si mettono a
campo vicino al muro settentrionale della città , appog
giati , Erode ai decreti del Senato , che avevanlo fatto
re , e Sosio ad Antonio , che aveva spedito lui e le
truppe in soccorso ad Erode.

Capitolo XVIII.

Erode con Sosio pigliano a viva forza Gerusalemme.


Ciò che v ebbe a soffrire Antigono, avarizia di
Cleopatra.

I. Quindi la moltitudine de' Giudei , ch' eran dentro


alla città, in varie forme si scompigliarono; perciocché
la più debol parte fra loro ristrettasi intorno al Tem
pio andava chiamando felice e piucché uomo chiunque
morrebbe in quel tempo , e i più arditi gettavansi in
frotta a rubare in ogni maniera , e davano particolar
mente il sacco a' contorni della città , poiché non era
rimasto più di che vivere né agli uomini , né a' ca
valli. Il meglio ordinato però della soldatesca s' erano a
sostenere l' assedio allestiti , e lungi tenevano dalle mura
86 DELIA euERRÀ GIUDAICA
i lavoratori de' terrapieni. Benché però con edifìzj op
ponessero sempre a' nimici qualche novello ostacolo ,
pure in nient' altro cosi gli avanzavano , come in far
mine.
H. Ma Erode alle ruberie contrappose gli agnati , con
cui frenava le incursioni nimiche , e alla penuria dei
viveri il trasportarne colà da lopiani paesi. Della bra
vura poi de' soldati nimici tuttoché non lasciassero
prova d" ardire intentata , fu al di sopra mercé la peri
zia delle truppe romane. Quindi essi non attaccavano a
fronte scoperta e con certo rischio di morie i Romani;
ma per vie sotterranee in mezzo alle mine comparivano
loro innanzi improvviso , e anziché niuna parte del muro
crollasse , lo rinforzavano con un nuovo riparo. Insom
ma , a dir breve , né per fatiche di mano non si stan
cavano né per trovati d' ingegno , fermi eh' essi erano
di resistere fino agli estremi. In fatti, benché fossero
circondati da tante forze, pure durarono cinque mesi
l'assedio fini he parecchi de' più valenti soldati d' Erode
sormontate arditamente le mura lanciaronsi nella città ,
dietro a' quali vennero i centurioni di Sosio. Prima di
tutto occuparono le vicinanze del Tempio ; e divisesi in
ogni parte le truppe il macello fu indicibile , mentre i
Romani eran pieni di rabbia per lo stentato assedio che
quello fu , e i Giudei partigiani d' Erode cercavano di
non lasciar sopra terra anima di nimico. Quindi cade
vano uccise d' ogni fatta persone , affollati l' un sopra
l' altro e nelle vie e nelle case , e nel Tempio , in cui
rituggivansi. Non s' avea compassione né a vecchi né a
deboli donne , e non ostante il mandar che il re fece
(
i
I
LIB. I. CAP. xvifi. 87
intorno ordinando e pregando , che usasser pietà , un
non v' ebbe , che ritraesse la destra ; ma quasi infu
riarono.
III. Qui anche Antigono non più ricordando né la
passata né la presente fortuna scende giù dalla rocca,
e si lascia cader ginocchioni appiedi di Sosio ; il quale
niente compassionando cotale* mutazione indiscretamente
schernìllo , e chiamòllo Antigona. Contuttoquesto non
consentì , che u' andasse al par d' una femmina esente
da guardia ; ma fu custodito in catene. Erode intanto
dopo aver domi i nimici studiavasi di domare eziandio i
suoi alleati stranieri. Perciocché la moltitudine forestiera
spignevasi oltre per curiosità di vedere il Tempio e le
sante cose , che v' erano dentro. Ma Erode ne li ri
trasse parte con minacce, e taluni ancora colle armi,
più d' ogni sconfitta dolorosa parendogli la vittoria ,
quando venisse loro veduta cosa , che non fosse lecito
di mirare. Ottenne ancora oggimai l' impedire il sacco
della città , rimostrando in efficace maniera a Sosio ,
che se i Romani votavano la città di persone e d' a-
veri , lo lascerebbono re d' un diserto ; e che pel sangue
di tanti e tai cittadini picciolo prezzo stimava l im
pero di tutto il mondo. Al che rispondendo egli ^
che il sacco era premio dovuto agli stenti durati dalla
milizia neh' assedio , ripigliò Erode , ch' esso darebbe del
suo a ciascuno la convenevole mercede. Così ricompe
rati gli avanzi della patria attese la sua promessa. Per
ciocché regalò splendidamente ciascun soldato , e a pro
porzione del loro merito i capitani , e con magnificenza
regale ancora Sosio , talché non v' ebbe persona , che
88 DELLA GUERRA GIUDAICA

indi partisse con desìo di denari. Sosio poi , consagrata


a Dio una corona d' oro , usci di Gerusalemme me
nando Antigono incatenato ad Antonio ; e mentr' esso
proseguì fino all'ultimo giorno desiderando per una
fredda lusinga di vivere , trovò in sua vece una s'cure ,
premio ben degno della sua codardìa.
IV. Erode poi ripartitala cittadinanza , que' che se
guito avevano le sue parti , rendeltesi ancor più amici
coli' onorarli , e mise a morte gli Antigoniani ; e perché
gli era fallita omai la moneta , rivolto , quanto trovavasi
avere d' arredi in denari', mandógli ad Antonio e a chi
era con lui. Ma uon per questo si ricattò egli affatto
da ogni molestia, che Antonio guasto già dall' amore
di Cleopatra andava in tutti gi' incontri a seconda della
passione. Cleopatra adunque dopo sterminata la stia fa
miglia sino a non lasciare del suo sangue persona in
vita , rivolse la micidiale sua rabbia per l' avvenire contro
gente straniera ; e apponendo a' più riguardevoli per
sonaggi fra' Siri menzogneri delitti presso ad Antonio
lo spinse a torli del mondo, onde in tal modo agevol
mente usurparsi le facoltà di ciascuno. / Indi stendendo
più ancora la sua avarìzia sopra i Giudei e gli Arabi sot
tomano si adoprava , che i re dell' una nazione e del
l' altra Erode e Malco fossero uccisi ; e Antouio piega
tosi a tutto , fuorché a ordinarlo , benché cosa indegna
stimasse dar morte a persone dabbene e a' re così grandi
pure gli escluse dalla sua confidenza; e smembrata una
buona parte delle loro terre , e tra queste il palmeto di
Gerico , dove nasce il balsamo , gliene fece un dono r
con esso le città tutte di qua dall' Eleutero , salvo Tir»
e Sidone.
liB. i. cap. xviii. 3g
V. Ottenuta la , signorìa di tai luoghi , e accompa
gnato all' Eufrate Antonio , che rnovea contro i Parti ,
per Apamea e Damasco venne in Giudea ; dove Erode
a forza di gran donativi addolcisce l' animo esacerbato
di lei ; e con dugento talenti annovali toglie ad affato
le terre staccate già dal suo regno (4<))- ludi P accom
pagna fino a Pelusio colle più ossequiose maniere del
mondo. Di lì a breve tempo comparve Antonio venuto
da' Parti , che seco menava prigioiìe Artabaze figliuolo
di Tigrane per farne a Cleopatra un presente. In fatti
fu a lei regalato il Parto insieme con denari e con tutto
il bottino.

Capitolo XIX.

Antonio spinto da Cleopatra spedisce Erode contro


degli Arabi. Esso dopo molte riprese vince alla
fine. Grande tremuoto , che allora avvenne.

I. All' accendersi poi che fece la guerra azziaca, Erode


s' era già allestito per trovarcisi insieme con Antonio ,
siccome e libero oggimai da ogni altro disturbo in Giu
dea , e divenuto signore d'Ircania, terra occupata dalla
sorella d' Antigono. Ma Cleopatra maliziosamente l' e-
scluse dal correre con Antonio i perigli medesimi. Per
ciocché la rea femmina , come dicemmo , volendo pur
cogliere quei due re ne' suoi lacci persuade Antonio ,
che addossi ad Erode la guerra contro gli Arabi, perché,
o vinceva , ed essa allora dell' Arabia , o perdeva , e
sarebbe allora divenuta signora della Giudea , _g avrìa
90 DELLA GUERRA GIUDAICA

disertato l'uà de' due re colle forze dell' altro. Ma questo


consiglio tornò vantaggioso ad Erode. Perciocché pegno-
rati (5o) primieramente i nimici , poi adunata una grossa
cavalleria la spedì sopra loro vicino a Diospoli, e li
vinse , benché facessero resistenza gagliarda. Dopo tal
rotta gran movimento si fece tra gli Àrabi , e raccol
tisi a Canata (5i) della Celesiria un popolo immenso
di loro attendevano colà i Giudei. Quivi giunto Erode
colle sue truppe studiava di reggere quella guerra eoa
più cautela , e ordinò , che d' intorno al campo tiras
sero un muro ; e le sue genti però non l' udirono , ma
dalla prima vittoria imbaldanziti marciarono contro gli
Arabi ; e alla prima affrontata voltigli in fuga si misero
ad inseguirli ; ma in quella caccia furono a Erode tese
insidie da Atenione uno dei capitani di Cleopatra sta
togli sempre nimico , il quale mandò fuori i terrazzani
di Canata. In fatti a questa sortita ripigliato coraggio
gli Arabi tornano in campo, e azzuffatosi il nerbo della
lor gente in luoghi sassosi e disagevoli rompono gli E^
rodiani , e ne fauno orribile macello. Quei che campa
rono dalla battaglia ricolsonsi nella terra d' Ormiza , ove
gli Arabi circondato il campo lo presero insieme colle
persone.
IT. Indi a brev' ora comparve (32) Erode a soccor
rerli , tardi al bisogno. Colpa di questa disfatta fu l' o-
stinazione de' capitani ; perciocché se non si fosse alla
cieca attaccata la mischia , neppure Atenione avrebbe
avuto agio di porre aguati. Ne pagò non pertanto gli
Arabi novamente infestando con iscorrerie continue le
loro terre , sicché più volte li ricambiò della sola vittoria ,
che avevano riportata.
liB. 1. càp. xix. 91
III. Or mentre si vendicava de' suoi nimici , un' altra
disavventura da superior mano l'incolse l'anno settimo
del suo regno , quando presso Azzio bolliva vietna»-
giormente la guerra. Perciocché suli' aprirsi di prima
vera scossasi per tremuoto la terra disertò una moltitu
dme di bestiami infinita con trenta tnigliaja d' uomini
appresso : la milizia però non sofforseue danno ; per
ciocché stava accampata a scoperto. In quest' occasione
mise negli Arabi maggior coraggio la fi»ma , la quale alle
triste novelle suol sempre far qualche giunta peggiore,
come se fosse andata a soqquadro la Giudea tutta. Pen
sandosi adunque d' ire a pigliare un paese senz' anima ,
che ci abitasse, entrarono in esso scannati prima gli am-
basciadori , che avevano loro spediti i Giudei. A questa
improvvisa venuta essendosi la nazione atterrita , ed a-
veudu alla grandezza delle sciagure succedentisi l' una
all' altra perduto il cuore , Erode adunatala a parlamento
si studiò d' animarla a resistere , così dicendo.
IV. « Stravagantissimo pare a me il timore , che vi
» assale al presente. Sgomentire alle percosse del cielo
» fu ragionevole : ma fare altrettanto a un assalto di
» uomini , é da persone di poco cuore. Io per me
» tanto san lungi dal paventare i nimici dopo il tre-
» muoio , che son d' avviso avere con ciò Iddio dato
« agli Arabi un esca per dargli a pagare quel fio , che
» a noi debbono ; perciocché son venuti per la fidanza
» che hanno non tanto nell' armi e nel valor proprio ,
» quanto nelle sciagure a noi accadute ; e fallace si é
» quella speranza , che non dalla propria virtude , ma
» pende dalle altrui traversìe. Né si può dire, che al
9* DELLA GUERRA GIUDAICA
» mondo le disavventure o le prosperità sien durevoli ,.
» ma ognun vede , che la fortuna si cangia vicende-
» volmente ora in buona , ora in rea ; e ben voi ne
» avete in prova domestici esempli : noi nella prima
» battaglia vittoriosi restammo poi vinti dagl' inimici ;
» e per conseguenza ora vinti resteranno coloro , che
» si persuadono di riuscir vincitori ; perciocché la so-
» verchia fidanza é malavveduta , e il timore é maestro
» di provvidenza : laonde io almeno dalle vostre paure
» traggo motivo di confidare ; perché , siccome allora
» quando imbaldanziste più del bisogno e usciste , mal
» mio grado , contro i nimici . le insidie di Atenione
» ebbero comodamente l' effetto loro , cosi al presente
» la vostra lentezza , e lo sbigottimento , che dimostrate ,
» mi dà promessa d' una sicura vittoria. Egli é però
» vero , che sol fino a un tal segno é buona questa di-
» sposizione , e che ai fatti convien richiamare il co-
» raggio in petto, e far capire a' ribaldi nimici , che la
n virtù de' Giudei non fi a che si abbatta né per umana
» disgrazia né per flagello celeste , fin che abbiali vita,
» né alcun di noi sosterrà di veder signor de' suoi beni
» un Arabo , cui poco mancò che più volte non facesse
» prigione. Né i movimenti disturbinvi delle cose inani-
» mate ; né vi cada neh" animo , che il tremuoto pas-
">> sato sia un segno d' altra disgrazia avvenire. Naturali
» sono i malori degli elementi , né nuocono agli uomini
a più di quello , che nocciano a se medesimi. Si puote
» bensì concedere , che alla pestilenza , alla fame, ai
» tremuoti , preceda qualche segno ; dove essi (53)
» stessi, quando succedono, non hanno altro seco, che
LIB. I. CAP. XIX. g3
» il gran male che sono. E in vero ci può egli dare
» danno maggiore la perdita eziandio della guerra , che
» non ci diede il tremuoto ? Ria che dico io ? Segno
» evidentissimo di sconfitta per gi' inimici non casuale
» De d' altronde venuto si é l' aver essi contro le leggi
» di tutto il mondo uccisi barbaramente i nostri legati,
» e offerte a Dio tali vittime pel felice esito della guerra.
}> Ma non sottrarransi no essi al grand' occhio né al-
» l' invincibil destra di lui. Pagheranno sì , pagheranno
» ben tosto la pena al patrio nostro coraggio , quando
» noi velocemente sorgiamo a punirli della fede tra-
» dita. Ora via , levisi ognuno in difesa non della mo
li glie , non dei figliuoli , non della patria pericolante ,
» ma degli uccisi legati. Questi meglio che noi viventi ,
» condurranno la guerra. Io stesso , quando abbia voi
» ubbidienti, entrerò nel cimento il primo; e siate pur
» certi, che invincibile é la vostra fortezza , quando non
u la guastiate con precipitosi partiti.
V. Cosi incorato l' esercito , come lo vide pronto a
ogni impresa, si fece a Dio sagrifizio , e dopo questo
passò il Giordano colle sue truppe. Indi postosi a campo
d' intorno a Filadelfia vicino ai nimici andava con essi
a (54) cagion del castello , che tramezzava l' un campo e
l'altro, scaramucciando con animo di attaccare quanto-
prima la mischia ; giacché per ventura anche gli Arati
avevano mandati innanzi alcuni dei loro , perché occu
passero quel castello. Ma questi furono in poca d' ora
rispinti da regj , i quali s' impadronirono di quel luogo
eminente. Egli poi ogni giorno traendo fuori le truppe
in ordinanza mettevale di battaglia , e invitava gli Arabi
I

DELLA GUERIU GIUDAICA


a un fatto d' arme. Or perciocchè non usciva persona j
che tutti compresi erano da spavento , e veggenti tutti ,
Eltemo loro generale era intirizzito dalla paura , fattosi
egli innanzi prese a schiantare la loro trincèa ; e in tal
modo costretti escono disordinati a battaglia , e misti
fanti e cavalli , per moltitudine vantaggiavano veramente
i Giudei , ma in cora-ggio stavano loro al di sotto , av*
vegnachè la diiperazione di potere vincere li rendesse
ancora malarditi ; laonde , finchè resistettero , non fu
molta la strage ; ma , poichè ebber volte le spalle , assai
per mano dei Giudei ed assai da se medesimi calpestati
perirono. Alla fine in quella fuga ne caddero cinque
mila , e i restami corsero affollatamente a rinchiudersi
nelle trincèe. Circondatigli intorno Erode già gli asse
diava ; e vicini a cadere per forza d' armi in man del
nimico n' ebbero una spinta ancor più sollecita dalla sete
lor cagionata per la penuria dell' acque. Erode però non
fece caso delle loro ambascerìe, e profferendo essi a
proprio riscatto cinquecento talenti gli strinse assai più :
ma bruciati iu fin dalla sete uscirono a molti insieme ,
e rendettonsi spontaneamente in man dei Giudei; sicchè
in cinque giorni ne furono incatenati da quattromila , e
nel sesto il rimanente dell' oste per disperazione uscì in
campo a combaìtere , dove azzuffatosi Erode con loro
ne uccide di nuovo da settemila. Con tale sconfitta ven
dicatosi dell' Arabia , e spento l' ardire degli Arabi gua
dagnò tanto, che fu da quella nazione trascelto a suo
protettore eziandio.
LIB. I. CAP. xx. g5

Capitolo XX.

Erode per orcìin di Cesare proseguendo a regnare gli


fa sontuosi regali. Augusto il rimerita con una parte
del regno toltogli da Cleopatra e colle terre dì
Zenodoro , che aggiunse alle sue.

I. Ma poco appresso Io sopraggiunse un pensiero af


fannoso de' casi suoi atteso la sua amistà eoa Antonio
già vinto da Cesare ad Azzio. Pure egli davasi più ti
more- di quello , che in fatti ne sofferisse ; conciossiaché
Cesare non credesse mai vinto Antonio , ' finché Erode
teneva con lui. Il re non pertanto si consigliò d'ovviare
i pericoli , e approdato a Rodi , ove Cesare dimorava ,
a lui si presenta senza diadema in capo , con abito e
portamento da privato (55) , ma con cuore da re. Non
iscemata per tanto di nulla la verità così disse dinanzi
a lui.
IL « Io, o Cesare, fatto re de' Giudei per Antonio
» confesso d' essere stato mai sempre utile re ad Au-
» tonio , ne rimarròmmi di dire ancor questo , che
» avresti assolutamente provate ancor tu le mie armi ,
» se gli Arabi non me lo avessero impedito. Ciò non
» ostante, per quanto lo consentirono le mie forze, a
» lui ho mandato e milizia e quantità assai grande di
» viveri, anzi neppure dopo la rotta ad Azzio ho ab-
» bandouato il benefattore. Ottimo consigliere io gli
» fui , giacché più non era utile confederato , e gli dissi
•» una sola esser la via da raddirizzare il rovinoso suo
§6 DELLA GUERRA GIUDAICA

» stato , la morte di Cleopatra ; cui quando avesse tolta


» del mondo , io gli prometteva e denari e mura per
» sicurezza e milizia e la mia persona ad essergli nella
» guerra , che a te farebbe , compagno. Ma in verità ,
» che T affetto per Cleopatra , e Dio , che a te fe' dono
» delia vittoria, gli turaron gli orecchi. Io fui vinto
» insiem con Antonio , e colla fortuna di lui io deposi
» il diadema. A te però io ne venni, affidando alla
» virtù la speranza di mia salvezza , e lusingandomi ,
» che si guarderebbe , di che qualità , non di che per-
» sona io sia stato amico ».
HI. A questo Cesare « vivi pur , disse , e regna ora
» più sicuramente che innanzi, e ben se' degno di
» regger molti , , tu che se' un amico tanto leale. Vedi
» adunque di conservarti fedele nel prospero stato ezian-
» «io, giacché altissime son le speranze , ch'io ho con-
» cepute del tuo valore. Ha fatto gran senno Antonio
» a seguire i consigli di Cleopatra piuttosto, che i tuoi;
» che dalla mattezza di lui abbiam guadagnata la tua
» persona. Anzi tu, se non erro, cominci co'benefizj;
» poiché Q. Didio mi scrive , che tu l' hai sovvenuto
» contro de' gladiatori. Ora dunque io ti raffermo eoa
» un decreto in sul trono ; e mi studierò in avvenire
» di farti del bene , perché non abbi a cercare d' An-
» tonio ».
IV. Con queste cortesi maniere trattato il re , e po
stogli in capo il diadema registrò in un decreto la do
nazione , e in esso disse molte e gran cose in lode del
valentuomo ; il quale addolcitolo con regali gli chiese
in grazia Alessandro un degli amici d' Antonio. Ma qui
LI8. I. CAP. XX. g
prevalse lo sdegno di Cesare, che di molti e gravi de
litti incaricò la persona , per cui pregava ; onde riget-
tònne l' inchiesta. Dopo questo , nel viaggio , che Ce
sare facea per la Siria verso l' Egitto , Erode accoltolo
con apparato veramente regale allor per la prima volta
e gli cavalcò a fianco , mentre a Tolomaide rassegnava
il suo esercito , e mise tavola a lui e agli amici , dopo
i quali al rimanente ancor dell' esercito somministrò il
bisognevole per mangiare. Provvide ancora , che negli
asciutti paesi , per cui viaggerebbono fino a Pelusio ,
avessero acqua a dovizia , e simile nel ritorno : né vi
fu ora , in cui alle truppe mancasse niente del neces
sario. Quindi e Cesare istesso e i soldati furon d' av
viso , che il regno d' Erode a proporzione di ciò , che
avea fatto , fosse minore assai del bisogno. Però arri
vato in Egitto , morti già Cleopatra ed Antonio , non
pur gli accrebbe d' una gran giunta tutti gli onori, che
aveva , ma ancora il regno , dandogli così il paese ra
pitogli da Cleopatra , come al di fuori Gabara , Ippo ,
e Samaria. Oltre, a questo nelle provincie marittime
Gaza , Antedone , e Gioppe, e la. Torre di Stratone.
Donògli altresì per la guardia di sua persona i quattro
cento soldati Galli , i quali prima servivano in tale uf
fizio Cleopatra. Ma niente spinse cotanto Cesare a re
galarlo , quanto il grand' animo di chi riceveva. Quindi
dopo il prim' anno della seconda Azziade (56) aggiugne
al suo regno il paese chiamato Tracone, e la Batanea
confinante e l' Auranitide per tal motivo. Zenodoro ,
che aveva ad affitto le facoltà di Lisauia, non rifinava
mai di spedire ladroni di Traconitide sopra i Dama-
FhAVto.t. VI. Detla G.G.t.I. •}
q8 DELLA GUFRBA GIUDAICA
sceni , onde questi rivoltisi a Vairone governatore della
Siria pregaronlo che significasse a Cesare questa loro
sventura. Cesare avuta di ciò contezza rescrisse , che si
ripurgasse il paese da que' ladronecci. Varrone adunque
uscito fuor coli' esercito , e sterminò di colà gli assas
sini , e privò Zenodoro di quelle terre , cui finalmente
Cesare , perché non fossero più in avvenire un rigetto
di ladri contro Damasco , cedette ad Erode. Creò! lo
poi anche procuratore di tutta la Siria tornato indi a
dieci anni nella provincia, sicché non potevano gli altri
procuratori far nulla senza il consenso di lui. Morto
poi Zenodoro soggettò a lui tutte ancora le terre , che
tramezzavano la Traconitide e la Galilea. Ma quello ,
che per Erode rilevò maggiormente , si fu , che Cesare
non avea dopo Agrippa persona di lui più cara , e si
mile Agrippa dopo Cesare. Quindi e salì al più alto
della prosperità , e conceputi spiriti più generosi rivolse
il più delle grandi sue idee a mostrare la sua pietà.

Capitolo XXI.

Città ristorate e fondate di pianta da Erode. Altre


fabbriche da lui fatte. Sua beneficenza mostrata
ancora alle nazioni straniere e sua grande pro
sperità.

I. All'anno dunque del regno suo quindicesimo ri


storò tutto il Tempio, e con immenso dispendio e con
impareggiabile sontuosità ne rifece le aggiacenze sten
dendole ad uno spazio il doppio maggiore , che innanzi
iiB. i. cap. xxi. 99
non era. Ne davano chiara prova i gran portici intorno
al Tempio, e la rocca innalzatagli a tramontana, quelli
fabbricati da' fondamenti , e questa con ricchissima pro
fusione rifatta in modo , che a qualsisia reggia poteva
paragonarsi. Chiamòlla Antonia in onore d' Antonio.
Quanto é poi alla sua regale abitazione , cui fabbricò
nella parte più alta della città , le due case vastissime
e belle oltremodo , che la formavano , e a cui non an
dava del pari neppure il Tempio furono da lui chia
mate col nome di due suoi amici , l' una cioé Cesarea
e l' altra Agrippea. Ma non nelle sole case e' fu pago
di conservare la lor memoria e i lor nomi ; alle intere
città si distese l' animo suo generoso. Certo nella Sama-
ritide dopo abbellita d' un ricinto vaghissimo la città (5y)
e condottivi ad abitarla (58) seimila persone con asse
gnar loro un fertilissimo territorio , e in mezzo alle
fabbriche eretto un vastissimo tempio a Cesare e intorno
ad esso consagrato uno spazio di tre stadj e mezzo ,
Sebaste (59) chiamò la città ; e a' suoi abitanti die un
Ottima forma di leggi.
II. Oltre a ciò avendo da Cesare ricevuta in dono una
giunta d' altri paesi , egli anche in questi gli eresse un
tempio di marmo bianco presso le scaturigini del Gior
dano. Panio é il nome del luogo. Quivi certa vetta di
monte si leva a incredibile altezza ; e le sue falde s' a-
prono dentro in una ombrosa spelonca , per mezzo alla
quale un dirupato precipizio sprofondasi in un'immensa
voragine piena d' acque immobili , che a toccarne il
fondo ( colli pur altri checché gli piace ) , non v' ha
lunghezza che basti. Lungo l' esteriori radici della spe
100 DELLA GUERRA GIUDAICA

lonca zampillano fònticelle : e di qui , come avvisano


alcuni , ha sue sorgenti il Giordauo. Ma come sia ve
ramente la cosa , ne tratteremo in progresso. 1l re in
tanto anche in Gerico tra il castello di Cipro e l'antica
sua reggia innalzate altre fabbriche più sontuose e più
utili a trarne sollievo, die loro il. nome de' medesimi
suoi amici. In somma , a dir tutto in poco , non ebbe
luogo opportuno nel regno , ove Cesare non fosse ono
rato ; e poiché ebbe riempiute di templi le proprie
terre , ne stese gli onori nella provincia , e in molte
cittadi alzò statue (60) a Cesare.
III. Osservata poi lungo il mare una città, veramente
già guasta dagli anni (Torre chiamavasi di Stratone),
ma per la felice postura del luogo capevole de' suoi
grandiosi disegui , tutta rifabbricólla di bianco marmo ,
e formila d'un nobilissimo regal palazzo. Quivi fe' mo
stra , di che grand' animo naturalmente egli fosse. Per
ciocché tutto il tratto marittimo infra Dora e Gioppe ,
in mezzo alle quali giace questa città , era privo di
porto , onde chi per lo lungo dalla Fenicia navigava
verso l' Egitto , forz' era , che si gettasse nell' alto pel
minacciare , che fa il libeccio , il quale ancorché soffi
discretamente , tali alza incontro agli scogli ondate , che
ripercosse sommuovono per ispazio grandissimo il mare.
Ma il re colla spesa e colla magnificenza vinta la stessa
natura piantòvvi un porto maggior del Pireo , e ne' ri
posti suoi seni altri ricoveri per le navi molto profondi.
E benché a tutti i disegni suoi la natura del luogo si
attraversasse mai sempre , pure adoperassi con ogni
sforzo di vincerne le difficoltà in modo , che la forte
LIB. I. CAP. XXI. IOI

fabbrica , cbe quella era , malagevolmente agli urti del


mure sarebbesi risentita; tale poi erane la vaghezza, che
ostacolo alcuno pareva mai non avessene frastornato l'a
dornamento. Perciocché assegnata al porto quella vastità
che abbiam detto , seppellì in corpo al mare profondo
ben venti braccia gran pietre , le più delle quali eran
lunghe cinquanta piedi , alte nove , larghe dieci , e al
cune anche più. Riempiuta quella profondità , comin-
ciòssi già a distendere sopra l' acque un muro per lo
spazio di pie dugento ; cento de' quali si fabbricarono
per rintuzzare la forza dell'onde, e però furon detti (61)
*f*vf*<*n»t ; il restante poi sostenea quel di marmo,
che tutto intorno cerchiava il porto. Interro mpevan lo a
quando a quando torri grandissime , la maggior delle
quali e la più vistosa fu col nome del figliastro di Ce
sare detta Drusio. Frequenti eran gli archi per raccat
tarvi checché fosse in porto ; e tutto il dinanzi a quelli
era una riva di marmo in giro , largo passeggio a chi
usciva di nave. A settentrione rispondeva l' ingresso ,
conciossiaché borea fosse tra tutti i venti in quella po
stura di lungo il più dolce. Alla bocca del porto vede-
vansi quinci e quiudi tre colossi levati sopra colonne:
delle quali le poste a sinistra di chi entra in porto so-
stienle una torre ben salda , e l' altre a destra due ritte
pietre congiunte insieme , e della torre all' opposto lato
maggiori. Contigue al porto sono le case, e in lui met-
ton capo le strade della città tutte fatte a una misura
medesima : dirimpetto all' ingresso ha un tempio di Ce
sare sopra un rialto di maravigliosa vastità e bellez/.a ,
0 deatro , il colosso di Cesare niente minore di quel di
fOS DELLA GUERRA GIUDAICA

Giove in Olimpia , a cui somiglianza fu fatto, ed uguale


a Giunone argiva, the é in Roma. Al bene della pro
vincia consecrò la città , a quello di chi ci sarebbe ap
prodato il porto , e a Cesare l' onore di averla fondata ;
onde la nominò Cesarea. Anzi il resto dell' opere , che
vi fece , 1' amfiteatro , il teatro , e la piazza furono de
gne di tanto nome ; e similmente agli spettacoli cinquen-
nali , che istituì , diede il nome da Cesare ; e fu egli il
primo, che vi proponesse grandissimi premj nella cen
tesima novantesima seconda olimpiade, nella quale oc
casione non i vincitori soltanto, ma quei, che venivano
dopo loro e i terzi entravano a parte della regale ma
gnificenza.
IV. Ristorata poi anche Antedone città marittima ,
dalle guerre abbattuta . l' appellò Agrippeo : e di questo
medesimo amico suo pel gran bene , che gli voleva ,
fe' incidere il nome sopra la porta , che fabbricò egli
stesso nel Tempio.
V. Amantissimo de'suoi parenti, quant' altri mai, in
nalzò in onore del padre un avello, e fondò una città,
che piantata in una pianura amenissima del suo regno,
di fiumi ricca e di piante nominò Antipatride ; e fab
bricato vicino a Gerico uno straordinariamente vago e
forte castello, gli impose il nome materno chiamandola
Cipro. A Fasaelo poi suo fratello eresse in Gerusalem
me col suo medesimo nome una torre ; la cui figura e
grandezza e magnificenza darà in avvenire materia di
ragionare più a lungo. Intanto anche a un' altra città ,
che fondò nella valle settentrionale, a chi viene da Ge«
vico , pose il nome di Fasaelide.

w.
^*££&-rffL
LIB I. CÀP. XXt. Io3
VI. Eternata cosi la memoria de' suoi amici non tra
scurò neppur quella di se medesimo ; ma fabbricato un
castello sul dorso d'una montagna rivolta all'Arabia da
se nominòllo Erodio ; anzi a un rialto , che rappresen
tava una poppa , fatto a mano lungi da Gerusalemme
sessanta stadj die la medesima appellazione ; ma ador
nalo con maggior diligenza ; perciocché ne ricinse la
vera di torri ritonde, e tutto in giro lo sparse di regie
fabb.iche sontuosissime a segno tale , che non l' interno
sol citile case era bello e galante a vedere; ma le pareti
esteriori eziandio, le cinte, e i coperti mostravano tutto
intorno grande ricchezza. Tirò da lontani paesi con
sommo pendio vene ricchissime d' acqua (6z) , e la
fe' per lo ipazio salire di dugento gradini di marmo
bianco; perciocché la collina era molto ben alta, e tutta
fatta dall' arte. Alle fa -'.e poi d' esso colle piantò altri
palagi capevoli del reale bagaglio, e degli amici, a' quali
darebbesi colà entro ricetto 5 laonde per l' abbondanza
che avevaci d' ogni cosa , quella fortezza sembrava una
intera città , e pel suo giro ben regolato una reggia.
VII. Dopo fabbriche cosiffatte rivolse il suo grand' a-
nimo per dimostrarne gli effetti a molassimo ancora
delle straniere città. Di fatto in Tripoli e in Damasco
e in Tolomaide fabbricò scuole pubbliche di ginnastica,
e le mura in Biblo , logge e portici e templi e piazze
in Berito e in Tiro, in Sidone poi e in Damasco teatri,
in Laodicea a mare acquidotti , in Ascalona bagni e
fontane dispendiosissime. Oltre a ciò colonnati ammirabili
e per grandiosità e per lavoro ; e in qualche luogo da
lui rifatti boschi e giardini. Molte città , come se ap
IO/j DELLA GUERRA GIUDÀICA

partenessero al suo regno, ebbero da lui ancora terreni;


altrove dotò commessariati della ginnastica di rendite
annuali e continue , assegnandone il quanto , siccome
fece con que' di Coo , perché non mancasse il premio
giammai. Quanto era poi a frumento , egli sommini-
strònne a chiunque n' abbisognava ; e a' Rodiani pel ri
facimento della lor flotta donò spesse volte e in pi*
luoghi denari , e il Tempio bruciato d' Apollo Pitio a
sue spese tornò in forma miglior di prima. Or che g.ova
il qui riferire i regali fatti a' popoli della Licia e di
Samo , e la magnificenza , con che trattò tuttaLUianta.
l'Ionia ne' particolari bisogni di ciascheduno? Noi é egli
vero , che gli Ateniesi , i Lacedemoni , i Napolitani t
e i Pergameni di Misia son pieni di donativ" d' Erode?
E che la piazza degli Antiocheni di Siria tapraticabile
per lo fango fu da lui tuttoché lunga b«n venti stadj
selciata di liscio marmo , e per ricovero contro l' acque
adornata d' un portico d' egual lunghezza ? Ma queste
cose dirà taluno esser proprie d' ognun di que' popoli
solamente, che furo bonificati. Il bene però ch'egli fece
agli Elei , non che a tutta la Grecia , a tuttoquanto
quel mondo é comune, dove la fama perviene de' giuo
chi olimpici. Perciocché avvisando , che andavano per
iscarsità di denajo in rovina, e che il solo avanzo, che
rimanea dell' antica Grecia , svaniva , non pure in quel
lustro, che avvennegli di passar per colà navigando alla
volta di Roma , fu presidente de' giuochi , ma perché
non fallisse giammai la memoria della sua presidenza ,
sostituì in suo l 'osro un soccorso stabile di denari. Sa-
rebbe uu non voler mai finire lo sporre i debiti , o le
in. i. ckr. xxi. io5
gravezze , eh' egli pagò per altrui , come fece co Fa-
saeliti, co'Balaneoti, e con altre terre della Cilicia, cui
egli alleviò dalle imposte annovali, che avevano. Questo
é certo , che dal timore fu in gran parte la sua ma
gnanimità frastornata , per non incorrere nell' invidia al
trui , e perché non sembrasse col beneficar le città più
di quello , che i lor signori facevano , che avesse qual
che mira più alta.
Vili. Sortì un corpo proporzionato allo spirito, stato
mai sempre valentissimo cacciatore ; nel che fece grandi
progressi per la sua perizia nel cavalcare ; e vi fu tem
po , ch'ei prese in un giorno solo quaranta fiere: giac
ché in qtie' paesi si allievan cignali , e in maggiore ab
bondanza cervi ed asini salvatici. Fu guerriere invinci
bile. Molti pertanto negli esercizj ancora della ginnastica
ne stupiro, veggendolo dirittissimo balestratore , e arca-
dore giustissimo.
IX. Oltre poi alle doti dell' animo e della persona
incontrò favorevole ancor la fortuna ; perciocché rade
volte perdette battaglie, e delle sue perdite non egli fu
. la cagione , ma o il tradirlo , che fecero alcuni , o la
precipitazion de' soldati.
I06 CELLA. GUERRA GIUDÀICA.

Capitolo XXII.

Morte et Aristoholo e Trcano pontefici ,


e di Mariamme regina.

I. Ma la fortuna cogli scompigli domestici guastò i


prosperevoli avvenimenti di fuori; e a straziarlo cominciò
dalla moglie , cui egli amava singolarmente. Perciocché
quando videsi in trono , licenziata quella , che in con-
dizion di privato avea tolta, la quale era (63) nativa di
Gerusalemme , e Doride si chiamava , prese Mariamme
figliuola d' Alessandro figliuol d1 Aristobolo ; donde av
venne , che andò la sua casa a romore tantosto , ma
singolarmente dopo la sua venuta da Roma. Concios-
siacosa che primamente cacciasse dalla città per cagion
de' figliuoli natigli di Mariamme Antipatro avuto da
Doride con solamente licenza di rendervisi ne' dì so
lenni (64). Indi per sospetti di tradigione tolse di vita
l' avolo di sua moglie Ircano venuto a lui dalla patria ,
dove condotto l'avea prigione Barzafarne, allor quando
corse la Siria , e per pietà che sentiron di lui , glielo
avevano chiesto i suoi nazionali di là dall' Eufrate ; e
se ne avesse ascoltato il consiglio , ch' era di non pas
sare appo Erode, non sarebbe miseramente perito. Ma
1 esca , che il trasse a morte , fu il matrimonio della
nipote ; sulla fidanza del quale pel desiderio soverchio ,
che avea della patria, ci si condusse; diede poi gelosia
ad Erode la sua persona , non perché aspirasse al re
gno , ma perché a lui aspettavasi di regnare.
LIB. I. CAP. XXII. IO7
II, Ora de' cinque figliuoli , che nacquero a lui di
Mariainme , due furono femmine , e gli altri maschi ;
de' quali l' ultimo , mentre stava allevandosi in Roma ,
morì. I due altri intanto maggiori d' anni tra per la
materna lor nobiltà , e perché natigli mentre regnava ,
educò regalmente. Ma più , che non queste ragioni ,
oberava forte appo loro l' amor per Mariamme, che in
cuore ad Erode ogni giorno cresceva con sempre mag
gior veemenza fino a non sentire , checché di penoso
toccassegli in grazia di chi egli amava. Ma altrettanto
era l' odio contro lui di Mariamme , quanto era il suo
amore per lei ; e perciocché i fatti porgevanle ragione-
vol motivo di non volergli gran fatto bene , e l' essere
amata libertà di parlare , apertamente gettavagli in vol
to , quanto avea fatto all' avolo Ircano e al fratello Ari-
i stobolo ; che non avea neppur questo , benché fanciullo
ancor tenero , risparmiato , fatto da lui pontefice d'anni
diciasette , e dopo tal carica ucciso da lui medesimo
immantinente , perché allor quando vestito de' sagri ar
redi s' accostò all' altare nel di solenne , la molli udine
pianse concordemente ; onde fu il garzone spedito di
notte a Gerico ; e quivi secondo la comnùssion , che
ne avevano i Galli , affogato in una peschiera morì.
III. Perciò Mariamme e dicea villania ad Erode , e
sopra la sorella e la madre di lui scaricava rovesci di
ingiurie. Quegli però mercé il suo amore per lei non
fiatava ; ma ben gravemente ne furono punte le donne ,
e per adoprare un ingegno , che smoverebbe Erode più
fortemente , accusarono lei d' adulterio , e tra l' altre
rose , che a colorir la calunnia tracciaro t le apposero ;
I08 BELLA GHIRBA GITOAICa
eh' avea mandato il suo ritratto ad Antonio in Egitto ,
e per eccesso di rea passione mostrata se stessa lontana
ad un uomo farnetico per le donne , e possente a co-
strignerla. Questo non altrimenti che un fulmine cadu
togli in capo lo scompigliò , singolarmente perché e
l'amore il rendeva geloso , e gli ravvolgeva nell'animo
la violenta donna , ch' era Cleopatra , per cui e il re
Lisania , e l' arabo Malco non ci vivevano p.ù ; onde
misurava il suo rischio dal torre , che a lui si poteva non
tanto la moglie , quanto la vita. Avendo egli dunque a
partire lascia Mariamme in cura a Giuseppe marito di
sua sorella Salome , uom fidato e per la congiunzione
del sangue suo amico, con ordine segretissimo di le
varle la vita , quando di se altrettanto facesse Antonio.
Giuseppe non per trista intenzione , ma per desìo di
far noto alla donna l' amore del re fino a non volerla
da se disgiunta neppur dopo morte , palesa il segreto.
IV. Ed essa , allor quando Erode tornato dal suo
viaggio nel ragionar che faceva con lei giurando atte
stavate il suo affetto , e che non aveva amato mai altra
donna r veramente , rispose , cogli ordini dati a Giu-
» seppe tu ben mostrasti , qual fosse il tuo amore per
» me , ingiugnendogli che m' uccidesse ». Veduto pa
lese ciò , ch' e' credeva occulto , fu Erode per impaz
zarne , e affermando , che non avrebbe Giuseppe mani
festate le sue commissioni , se non avesse guasto l' ani
mo di Miriamme, smaniava per lo dolore, e fuor
balzando del letto andava qua e là da farnetico per la
reggia. In questo Salome sua suora , colta l' occasione
opportuna per calunniare , rinforzò i sospetti contro
lib. I. ckv. XXiI. log
Giuseppe ; ond' egli per gelosia stemperata infuriando
ordinò , ch' ambedue di presente fossero tratti a mori»;
ma alle furie sotientrò il pentimento tantosto , e data
giù la passione si ravvivò novamente l' amore. Tanto
acceso poi era il suo desiderio per lei , che ancor
morta non gli pareva vero che il fosse , e per l' af
fanno cun lei teneva discorsi , come se per ancora vi
vesse ; finchè col' tempo accertatone dal corrotto , che
per lei fecesi , ne provò un dolore pari all' affetto , con
che l' aveva amata vivendo.

CaPitolo XXIII.

Calunnie contro i figliuoli di Mariamme. Anlipatro è


loro antipasto , e sono accusati appo Cesare. Erode
si riconcilia con loro.

I. Ma i figliuoli succedettero per retaggio agli sdegni


materni , e conceputi in lor mente pensieri d' odio , mi
ravano il padre come nimico , e prima , allor quando
trovavansi in Roma agli studj , e molto più appresso ,
quando tornaro in Giudea. Cresceva intanto il mal aui-
mo loro insieme cogli anni. Giunti poscia all' età d' ac
casarsi , uno (65) menò la figliuola di Salome sua zia ,
che accusata aveva la madre loro , e l' altro (66) la fi
glia sposò d' Archelao re della Cnppadocia : e già al
lor odio accoppiavano ancor la franchezza in parlare ;
onde i calunniatori pigliarono dalla loro arditezza più
lena , e v' ebbe di tali oggimai , che più alla libera si
facevano ad avvertire il re , ch' egli era da ambi i suoi
HO DELLA GUERRA GIUDAICA

figli insidiato; e l'imparentatosi con Archelao meditava


ancor di fuggire fidato nel suocero per accusar lui suo
padre appo Cesare. Erode assordato dalle calunnie in—'
troduce in corte quasi un riparo contro i figliuoli Anti-
patro nato di Doride , e incominciagli a dare in. tutti
gli onori la precedenza.
If. Cotal cangiamento l' ebbero i due altri per insop
portabile ; e veggendo il figliuolo di madre privata in
grandire, attesa la nobiltà del lor sangue tener non sa-
pevan lo sdegno , ma ad ogni incontro molesto sfoga-
vanlo apertamente ; onde avvenne , ch' essi erano ogni
giorno più trascurati , ed Antipatro ancora per se me
desimo ben voluto , siccome colui , che scaltrissimo era
in gonfiare gli orecchi a suo padre, e andava sempre
inventando nuove calunnie contro a' fratelli , parte in
trodotte da lui medesimo nel suo ragionar con Erode , e
parte mandate spargere qua e là da persone accouce al
bisogno , finché ebbe rotta del tutto a' fratelli ogni
speme di regno. Conciòfosseché il testamento senz' alcun
fallo chiamassene lui successore. Come re adunque fu
egli spedito anche a Cesare , nella quale occasione
salvo il diadema tutti egli avea gli ornamenti e i ser
vigi da re.
III. In progresso di tempo egli ottenne altresì d' in
trodurre nel talamo di Mariamme sua madre ; e di due
armi valendosi contro i fratelli , dell' adulazione cioé e
della calunnia , dispose il re a volere anche morti t
figliuoli. Strascinatosi pertanto Erode fino a Roma Ales
sandro (fij) accusò appo Cesare di meditato veleno
contro di se. Or egli ottenuta a gran pena libertà di
LIB. I. CaP. X\IH. Iti
lagnarsi , ed essendo dinanzi a un giudice più avveduto
d' Antipatico , e più assennato d'Erode, quanto si é-
alle colpe del padre , egli prudentemente le tacque ; ma
con altrettanta gagliardia di ragioni si tolse d'addosso i
delitti appostigli ; e mostrato al pari di se innocente il
frati Ilo , che la medesima sorte correva con seco, passò
allor finalmente a dolersi delia malizia d' Antipatro , e
del disonore , che facevansi l1 uno e l' altro. Giovavagli
a sostener la sua causa coli' innocente coscienza la forza
del ragionare ; poich' egli era eloquentissimo. Finalmente
col dire , che il padre poteva ucciderli , quando oppo
nesse loro un delitto , trasse dagli occhi a tutti le la
grime ; e colpì Cesare di tal guisa , che e assolvette am
bedue delle accuse lor date , e tosto li racconciò con
Erode. Stipulóssi la riconciliazione con questi patti ,
che i figli ubbidirebbono in tutto al padre , e il piidre
lascerebbe , a cui più gli piacesse , il regno.
IV. Indi partissi da Roma Erode con perdonare in
apparenza a' figliuoli le loro colpe , ma in realtà co'
sospetti non ancora deposti dall' animo ; conciossiaché lo
seguisse Antipatro , l' unico accenditor di tal fuoco ;
non però die a conoscere apertamente il suo poco buon
animo , pel rispetto ch' egli ebbe al piacere. Ora poiché
navigando oltre i liti della Cilicia fu giunto ad Eleusa ,
Archelao accolseli tutti cortesemente a un lauto ban
chetto rendendo grazie ad Erode della salvezza del ge
nero , e congratulandosi seco lui della pace seguita ,
siccome quegli , che con sue lettere agli amici di Roma
aveva sollecitamente ajutato nella sua causa Alessandro.
Indi lo accompagna fino a Zefirio lasciatolo con un pre
sente , che montò bene a trenta talenti.
112 «IELLA GUERRA GIUDAICA

V. Entrato Erode in Gerusalemme radunò tutto il


popolo , e condotti in pubblico i-tre figliuoli prese a
discolpar la sua gita , e molte grazie rendette a Dio ,
molte a Cesare , che la scompigliata sua casa tornata
avesse in buon essere e dato a' suoi figli un bene mi
glior d' ogni regno , cioé la concordia , « la quale , ei
» disse , andrò sempre meglio strignendo. Perciocché
» Cesare ha conceduta a me la signoria del regno , e
» V arbitrio d' eleggerne il successore , ed io merita n-
» donelo con mio vantaggio questi tre miei figliuoli io
» dichiaro eredi del regno ; e prego Dio primamente ,
» che sia favorevole a questa sentenza , indi che il siate
» ancor voi. Perciocché all'uno l'età, e la chiarezza del
» sangue domanda , che diasi agli altri la successione.
» La vastità poi del regno é tale , che basta anche a
» più. Or quella unione , che Cesare ha stabilita , ed
» ha confermata il padre , voi mantenetela , non com-
» partendo ingiusti onori né disuguali , ma proporzio
ni nati all' età di ciascuno. Mercecché non ha tanta alle-
» grezza chi vedesi da altrui onorato più , che a' suoi
» anni non si compete, quanto rammarico chi é pos-
» posto. Quali poi tra parenti ed amici esser debbano
» i cotidiani compagni di ciascheduno , sarà mio pen-
» siero il determinarlo , e porròvvelli come mallevadori
» della concordia , sapendo ben io , che le risse e i
» rancori dalla tristezza provengono de' compagni , e se
» questi avvien che son buoni, conservasi l'armonia. Io
» prego intanto non pure questi miei figli , ma i capi
li tani ancor del mio esercito, che al presente rivolgano
» le speranze loro iu me solo. Perciocché non il regno.
i.ìB. i. càp. xxiri. 113
* ma gli onori del regno concedo a' figliuoli. De' van-
» taggi , che sonovi , essi godranno da dominanti ; ma
» il peso del governare egli é mio , finché piaccia a
» me di volerlo. Ponga mente ciascun di voi , qual io
a m' abbia età , maniera di vivere , e religione. No ,
» non son tanto vecchio , che abbiasi tosto a disperare
» di me, né allevata tra le delizie, che sogliono anche
» a' giovani rompere a mezzo il corso della lor vita-
a Iddio poi , noi l' abbiam venerato in maniera , che
» giova sperare una vita assai lunga. Chi onorerà i miei
» figli per rovinare la mia persona , renderanne anche
» per essi ragione ; che non per invidia , ch' io porti a
» chi é nato di me , io tronco gli onori , che lor si
» fanno, ma perché troppo bene io so, che gli ossequj
» prestati a'giovani sono un'esca per fargli arditi. Ora,
a se chi a loro si accosta farassi a pensare , che se fìa
» buono, avranne da me guiderdone , e se turbolento ,-
» gli tornerà infruttuosa anche appresso cui essi piag-
» giavano la lor tristezza , io penso che tutti favoreg-
» geran la mia parte , ch' é quella de' miei figliuoli ;
a perciocché egli é il loro vantaggio , ch' io regni , e
a che vada d' accordo con esso loro. Voi intanto , o-
» giovani valorosi , avendo presenti all' animo prima di
» tutto le sagre leggi della natura, le cui affezioni con«
» servansi presso le fiere eziandio, indi Cesare, che ne
a tornò in grazia scambievolmente , infine me stesso ,
» che di ciò , che potrei comandarvi , vi priego , deh
» siatevi costantemente fratelli. Io già vi consento la
a veste e il corredo reale : e prego Dio , che , quando
a voi siate concordi , mantengami ferino nella già pro—
FlArio, t. VI. Detta G. G. t. /., S
It4 DELLA GUERRA GIUDAICA

» ferita sentenza ». Cosi disse , e in cosi dire dato »


ciascun de' figliuoli un amorevole amplesso licenziò il
popolo ; il quale in parte pregava dal cielo alle cose
dette un esito fortunato, e in parte , coloro cioé che
bramavano cangiamento , infingevansi di non aver pure
udita una sillaba.

Capitolo XXIV.

Frodi d Antipatro e di Doride. Per cagion di Glafira


é odiato Alessandro. Perora avuto in sospetto e
Salome accusata ottengono perdonanza. Esame di
due servi cT Erode e prigionia d' Alessandro.

I. Venne però tra' fratelli insinuandosi la disseosione ,


e per vie peggiori sospetti , che avevano gli uni degli
altri, si «ìppero affatto. Alessandro e Aristobolo da una
parte , perché lor coceva il primato d' Antipatro , e
questi dall' altra , perché non poteva patire , che i suoi
fratelli stessero ancora un gradino dopo di lui. Ma egli
siccome di tempra capevole d' ogni trasformazione e sa
peva tacere a suo tempo , e nascoso teneva con molta
astutezza il suo odio contro di loro. Quegli allo incon
tro , atteso l' ingenuità del lor animo, ciò , che s' ave
vano in cuore, del pari avevano sulla lingua. Molti in^
tanto stavano loro d' intorno per aizzarli , e molli più
fra gli amici d' Antipatro s'insinuavano ingannevolmente
appo loro per espiarne ogni cosa. Quindi checché ad
Alessandro uscisse di bocca , si riportava ad Antipatro
tostamente, e da Antipatro con qualche giunta passava
liB. i. cap. xxir. n5
jtd Erode. Né le più schiette espressioni del giovane
andavano esenti da taccia; ma in quanto e' diceva, tre—
vavasi di che malignare; e se avveniva che con discreta
libertà si sfogasse , alle picciolissime cose , ch' erano
quelle, se ne aggiugnean di grandissime. Antipatro poi
—sottomano andava mandando persona, che l' inasprissero
onde la stessa menzogna avesse alcun vero sostegno , e
una delle molte sparse tra 'l vulgo provata per vera
rendesse credibili tutte l' altre. Quanti amici poi egli
aveva, od erano naturalmente gran segretieri, o per via
di regali si conducevano a non trarre a luce cosa, che
fosse occulta ; onde la vita d' Antipatro non andrebbe
errato chi la chiamasse un mistero d' iniquità. Percioc
ché o corrompendo a denari l' animo di coloro , che
usavano con Alessandro ; o con lusingherìe, colle quali
ottenne ogni cosa , penetrando pian piano nel loro
cuore, d'amici ch'erano ne facea traditori, e di chec
ché si facesse o parlasse , taciti esploratori.
II. Or egli , mentre con gran cautela tirava tutti i
fili della sua macchina , artificiosissimamente s' apriva la
strada ad Erode colle calunnie, sostenendo egli bensì il
personaggio suo di fratello, ma surrogando altri soffioni
in sua vece ; e allor quando veniva contro Alessandro
rapportato alcun che , sotto altro titolo colà traeva , e
fattosi dal lacerar la dinunzia scendeva pian piano e
freddamente a provarla , e l' animo esacerbava del re.
Tutto poi stravolgeva in maniera , che ne trasparissero
insidie , e volontà in Alessandro d' uccidere il padre ;
perciocché Antipatro non aveva mezzo migliore da far
credibili le sue calunnie del mettersi egli stessa a scu^
sare il fratello.
Il6 DELLA GUERRA GIUDAICA

III. Inasprito da questo Erode , quanto ogni giorno


andava scemando più il suo amore per li garzoni , al
trettanto lo accrescea per Antipatro. In tanto piegavansi
a favorirla^ non pochi ancora de' cortigiani , parte spon
taneamente , parte costrettivi dal comando , come fu
Tolommeo il più illustre amico del re , e i fratelli del
re e la famiglia real tuttaquanta. Perciocché ogni cosa
era Antipatro, e ciò, che feriva insanabilmente in mezzo
al cuore Alessandro , era ogni cosa la madre d' Anti
patro, consigliera in lor danno più dolorosa d'una ma
trigna, e più, che non di figliastri, nimica de' figli della
regina. Tutti adunque per le speranze dell'avvenire ser
vivano omai ad Antipatro, al che fare diede a ciascuno
la spinta il volere del re , che ingiunse a' più riguar-
devoli cortigiani di non intramettersi' né aver che fare
con' Alessandro. Né solo a que' della corte , ma agli
amici di fuori eziandio egli (68) era formidabile. Mer-
cecché non aveva mai Cesare fatto a niun re tanto
onore, quanto a lui, cioé di potere trarre di bando un
cacciato da Cesare stesso in esiglio e nativo di città non
soggetta a sua giurisdizione.
IV. I giovani intanto ignoravano i calunniosi rapporti,
che si facevan di loro , e però cadevano più incauta
mente nel laccio; conciofosseché il padre non ne ripren
desse mai niuno a fronte scoperta. Pure dalle sue fred
dezze e dall' incrudirsi , che più faceva ogni giorno a
qu.tlunque molesto incontro , a poco a poco capirono
tutto. Contr'essi stravolto Antipatro anche il zio Ferora
e la zia Salome , colla quale teneva non altrimenti che
con sua moglie continui ragionamenti , e aizzavala sem
L1B. I. CAP. XXIV. I IJ

pre più. Fomentava questa sua nimicizla Glafìra moglie


d' Alessandro , col millantar che faceva la sua nobiltà ,
e il dover essere giustamente signora di tutte le donna
reali , siccome provegnente per padre da Temeno , e
da Dario figliuol d' Istaspe per madre; e con molti
scherni trattava da ignobile tanto la sorella d' Erode
quanto la moglie ; le quali tutte non per chiarezza dì
sangue levate furono a quello stato , ma per leggiadria
di fattezze ; esse erau molte , dappoiché il tome più di
una era concesso per patria usanza a' Giudei , e il re
si piaceva di molte ; e tutte avevano per le millanterie
di Glafìra in odio Alessandro. Anzi lo stesso Aristobolo
si fe' nimica Salome, benché sua suocera, di mal talento
anche prima per le villanie dettele da Glafìra. Concios-
siaché ei gettasse continuo in volto alla moglie la sua
bassezza lagnandosi d' aver esso una donna privata ,
mentre il fratello Alessandro avea presa una moglie re
gina. Tutto questo riportò la figliuola piagnendo a Sa
lome ; e v' aggiunse , che i due fratelli Alessandro e
Aristobolo minacciavan le madri degli altri loro fratelli,
che divenuti signori del regno le caccerebbono all' ar-
colajo insiem colle schiave; e i lor figli farebbonli notaj
nelle ville , intendendo con ciò di schernire la diligente
educazion nelle lettere , che lor si dava. Al che non
tenendo Salome lo sdegno scoperse tutto ad Erode; ed
era pur troppo creduta , perché dicea contro il genero.
V. A tutte queste accoppiòssi un' altra calunnia , che
fino all' incendio fe' arder lo sdegno d' Erode. Egli udì,
che i figliuoli chiamavano tutto giorno la madre (69) ,
e co' lamenti , che del tristo suo caso mettevano , «n-,
Il8 DELLA GUERRA GIUDAICA

davan del pari le maledizioni scaricate sopra di lai.


Spesso ancora mentr' egli partiva alcune robe di Ma-
riamme tra le recenti sue moglj aver minacciato , che
in cambio delle vestimenta reali in breve ne portereb-
bono delle intessute di (70) peli. Per questo Erode ,
benché temesse delle intenzioni de' giovani , pur non
tagliò le speranze del ravvedimento ; ma chiamatigli in
nanzi a se , giacché era in sul muovere verso Roma ,
li minacciò brevemente da re , e lungamente ammonìlli
da padre, e dando loro perdono di tutto il passato, sol
che fosserO in avvenire migliori , gli esortò ad amare i
fratelli. Essi all' incontro distrussero le calunnie col di
re , ch' erano false ; e della loro discolpa mostrerebbon
co' fatti la verità. Ben dovrebbe ancor egli chiuder gli
orecchi a tante dicerie per non essere troppo in cre
derle precipitoso. No , non mancheranno ingannatori
giammai , Anche v' abbia , chi lor dia orecchio. Con
queste ragioni fattolo agevolmente capace del vero, giac
ché era"padre, si tolser di dosso il timore presente, ma
incontrare un rammarico per l'avvenire. Perciocché al
lora s'accorsero d'aver nimici Salome e Ferora lor zìi,
ambedue fastidiosi e da riceverne gravi molestie , ma
singolarmente Ferora; il quale in tuttociò, ch' attenevasi
al regno , salvo il diadema , era consorte d' Erode , e
di sue proprie rendite aveva cento talenti (71). Egli
tutte godeva l' entrate della provincia di là dal Giorda
no, per donazione fattagliene dal fratello, il quale chie
stane a Cesare la facoltà lo creò eziandio tetrarca , e
onoróllo con nozze leali dandogli la sorella della stessa
sua moglie ; morta la quale promiscgli la figliuola sua
no. i. cap. xxjr. i in
primogenita con trecento talenti di dote. Ma egli per
amor d' una schiava cansò dalle nozze regali ; del che
forte offeso Erode maritò la figliuola a (72) quello dei
suoi nipoti ; che fu poscia ucciso da' Parti. Ma non
andò guari tempo , ch' Erode perdonando al fratello la
sua debolezza calmò lo sdegno.
VI. Di lui fin da quando vivea la regina , era corsa
voce , che con veleno insidiasse alla vita d' Erode. Al
lora però tanti furono gli accusatori di queste trame,
eh' Erode benché amantissimo del fratello , pur fu co
stretto a crederle , ed a temerne. Quindi messe alla
tortura molte persone sospette , vennesi infine agli amici
di. Perora , da niun de' quali si poté trarre aperta con
fessione di tradimenti , ma solo ch' ei s' era allestito di
ricoverar se e la sua donna fra' Parti. Complice di tal
deliberazione e fuga era Costobaro marito di Salome ,
col quale avevala il re accoppiata dopo la morte del
primo ucciso , qual reo (^3) d' adulterio. Neppur Salome
fu libera dalle accuse ; perciocché il suo stesso fratello
Ferora l' incaricava di segreti trattati di nozze col pro
curatore del re degli Arabi Oboda nomato Silleo, aperto
nimico d' Erode. Ma Salome col confessar questo e
quant' altro le opponeva Ferora , ottenne il perdono , e
lo stesso Ferora fu dal re assoluto de' suoi delitti.
VII. Passò la tempesta domestica sopra Alessandro ,.
e tutta sopra il capo di lui si sospese. Eranci tre Eu
nuchi molto pregiati dal re , il che chiaramente racco-
gliesi dal ministero in che gli servivano ; perciocché era
l' uno coppiere , l' altro era scalco , e il terzo came
riere d' Erode , che lo metteva a dormire , e nella sua
120 DELLA GUERRA GIUDAICA

stanza medesima riposava. Or questi Alessandro a forza.


di gran denari condusse ad azioni ' vituperose. Riferita
la cosa al re , furon messi al tormento. Confessarono
tosto il delitto , e scoprirono oltre a ciò le pro
messe per tiarveli fatte lor da Alessandro , e la ma
niera, con che gli aveva aggirati dicendo, che non
dovevano porre oggi mai più le loro speranze in Erode
vecchio senza cervello , che si tigneva le chiome ( se
non che forse valeva, ciò a farlo credere presso gli
altri ancor giovine ) , ma a se solo rivolgere le lor
mire ; giacché egli a malgrado ancora del padre avrà
il suo regno , e non andrà guari tempo , che vendi-
cherassi de' suoi nimici , e renderà i suoi amici beati
e lieti , e lor soprattutti ; anzi nascostamente avere
Alessandro un seguito di persone potenti , e tro
varsi a secreti colloquj con lui generali d' armata e
tribuni.
Vili. Queste cose atterrirono tanto Erode , che non
ardissi pubblicar di presente cotali accuse ; ma spar
gendo qua e là notte e giorno sue spie braccheggiava
ogni fatto , ogni parola , e se alcuno cadeva in sospetto ,
era morto subitamente. La corte fu piena di atroci ri
balderie. Perciocché ognuno per odio o nimicizia pri
vate inventava calunnie , e parecchi contro de' loro av-
versarj valevansi dello sdegno sanguinoso del re. Il
perché la menzogna otteneva issofatto credenza, ed era
il gastigo veloce più dell' accusa. Quindi era accusato
colui , che avea testé accusato altrui, e veniva tratto al
patibolo con quel medesimo , ch' era stato convinto po-
canzi da lui. Perciocché il pericolo della vita accorciava
né. i. ckv. xxiv. 12!
gli esami fatti dal re. A tale poi era giunto di fastidio
saggine , che non mirava con buon occhio neppur gli
innocenti , ed era crudelissimo perfin cogli amici. Pa
recchi di loro pertanto egli escluse da corte , e cui non
aveva poter bastevole da maltrattare co' fatti , il faceva
colle parole.
IX. Alle traversie d' Alessandro s' aggiunse di nuovo
Aniipatro , il quale raccolta una man di congiunti non
v' ha calunnia , che in opera non mettesse. Tale adun
que per li costui mostruosi artiflzj entrò in corpo ad
Erode timore , che gli pareva vedersi alle spalle Ales
sandro col ferro in mano ; laonde arrestatolo improvvi
samente il fece prigione , e già si volgeva a provarne
colla tortura gli amici. I più si morivano senza aprir
bocca e dir nulla , che s' opponesse alla loro coscienza.
Altri poi da' tormenti costretti a mentire dicevano , che
egli insiem col fratello Aristobolo gli tendeva la rete , e
aspettavalo alla caccia , ove uccisolo si sarebbe fuggito a
Roma. A questi detti benché non credibili , ma dalla
necessità tratti loro impensatamente di bocca Erode pre
stava di buon grado credenza , recandosi a consolazione
dell' imprigionar , che avea fatto il figliuolo , il parere ,
che ciò fosse stato a ragione.

Capitolo XXV.

Archelao racconcia Alessandro e Ferora con Erode.

I. Or Alessandro , giacché vedeva impossibile Io spe


rar cangiamelo nel padre , determinò d' affrontarsi egli
I2a DELLA GUERRA GIUDAICA

stesso col suo pericolo : e compilato uno scritto di quat


tro volumi, tutti in vitupero de' suoi nimici , confessava
spontaneamente la tradigione , e una gran parte di loro
li dichiarava suoi complici , ma sopra tutti Ferora e
Salome ; perciocché questa averlo già , mal suo grado ,
costretto di notte tempo a seguire le ree sue voglie.
Lo scritto adunque venne alle mani d' Erode , e molte
gagliarde invettive facea contro i grandi. Allora appunto
rendettesi sollecitamente in Giudea Archelao premuroso
della salute del genero e della figliuola. Molto oppor
tuno al lor uopo fu il suo soccorso , e l' arte usata da
lui mandò in fumo le minacce del re.
II. Perciocché abboccatosi senza più con Erode , do-
v' é , interrogò ad alta voce , « dov' é il ribaldo di mio
» genero ? Chi mi dà , ch' io possa vedere quel volto
» di parricida , ch' io stesso con queste mie mani vo'
» lacerare ? Alla mia figliuola saprò ben io trovare un
» degno marito , che sebbene non ha avuta parte ne'
» rei trattati , pur l' essere stata moglie di tal persona
» la disonora. Ben io mi maraviglio , che tu oggetto
» unico delle insidie altrui soffra tanto , e che sia an-
» cora tra' vivi Alessandro. Io certo mi son partito di
» Cappadocia persuaso di trovar già punito costui , e
» con animo. d' esaminare con teco la figlia , che per
» risguardo di te e della tua dignità io ho sposata con
» lui. Or noi dobbiamo tener consulta dell' uno e del-
» l' altra. Benché tu se' un padre troppo più del biso-
» gno rimesso in punire un figliuol traditore ; cangiarti
» le veci , e succediamo allo sdegno I' uno deli' altro ».
Con una riprensione di simil fatta conduce Erode ben
LIB. I. CAP. XXV. 123
che sconvolto al suo intendimento. A lui dunque dà
a leggere la scrittura composta da Alessandro , e arre
standosi ad ogni capitolo ne faceva seco l' esame. Di
più Archelao aperse la via a un ingegnoso spediente ,
e a poco a poco trasferìnne la colpa addosso a coloro,
che si nominavano nello scritto e a Ferora. Quando
vide , che il re dava fede al suo dire ; « egli vuolsi por
» mente , soggiunse , che non sia forse il garzone da
» tanti ribaldi insidiato, anziché tu dal garzone ; per-
» ciocché non ci veggo motivo da doverlo invasare tàn-
« t' odio contro di te , quando e già gode del regno , e
» sperane la successione , se , non v' ha gente che lo
» suborna , e ne piega a trista parte l' età troppo fa-
» cile a lasciarsi condurre ad altrui. Da cotale genìa di
u persone ingannati rimangono non che i giovani , i
» vecchi altresì , e le più illustri famiglie e i regni in-
» teri andarne in rovina ».
III. Erode approvava tai sensi , e passo passo andava
calmando il suo sdegno contro Alessandro e accenden
dolo contro Ferora. Perciocché era l' unico argomento
de' quattro volumi costui , il quale avvedutosi allora ,
che il re mal sentiva de' fatti suoi , e che l' amistà di
Archelao potea tutto appo lui ; giacché un' onorata via
di salute non e' era , cercòllasi coli' arditezza. Dimenti
cato adunque Alessandro si raccomandò ad Archelao.
Questi gli disse , che non sapeva come salvarlo involto
in tanti delitti , che a evidenza Io convincevano reo di
lesa maestà , e cagione unica delle presenti disgrazie del
giovane , quand' egli non sia disposto , lasciate da banda
le astuzie e le negative , di confessare spontaneamente
\DELLA
124 GUERRA GIUDAICA

le colpe , di che lo accusano , e chiederne ad un fra-*


tello , e ad uno che l' ama , il perdono. A questi patti
egli ajuterallo in ogni modo possibile. Ferora vi si con
duce e messosi in portamento da muovere gran com
passione di se , vestito di nero e piagnente si butta a
piedi d' Erode , siccome fece più volte , chiedendogli
perdonanza , e chiamando se stesso un indegno , per
ciocché aver egli commesso , quanto venivagli opposto.
Malediceva la sua frenesia e stoltezza , colpa , diceva ,
del pazzo "«suo amore per una donna. Archelao adunque
dopo aver presentato Ferora accusatore ad un tempo e
testimonio contro se stesso prese oggimai a scusarlo , e
coli' esemplo di se medesimo a mitigare lo sdegno di
Erode. Egli stesso assai peggio trattato da un suo fra
tello avere antiposto a' diritti della vendetta quelli della
natura. Perché ne' regni , come avvien ne' gran corpi ,
qualche parte per la soverchia sua mole sempr' essere
inferma , cui non ricidere senza pietà , ma volersi cu
rar con dolcezza. Queste e altrettali cose dicendo ebbe
Erode placato a Ferora.
IV. Archelao intanto mantenevasi inflessibilmente sde
gnato con Alessandro dicendo, che toltagli la figliuola
dallato ne la menerebbe con seco , finché trasse Erode
a pregarlo a favore del giovane , che volesse di nuovo
dargli la figlia ; perciocché troppo grave gli era il per
mettergli , che faceva Archelao , di sposarla a chicche-
altro ei volesse, tranne Alessandro; e importavagli som
mamente di conservare al figliuolo i diritti matrimoniali.
Dicendo pertanto il re , che da lui riconesceria come
in dono il figliuolo , s' ei non rompesse le nozze già
LIB. I. GAP. XXV. Ia5
annodate , poiché ed avevano già figliuoli , e molto dal
giovine era amata la moglie , la quale restando farebbe
porre in dimenticanza le colpe andate, e partendo ro
vinerebbe senza riparo ogni cosa ; perciocché un ardire
distratto da affetti domestici é sempre meno gagliardo ,
Archelao finalmente si piega , e ritorna in sua grazia e
a quella del padre il garzone. Erode però soggiunse ,
che assolutamente spedir dovevalo a Roma per ivi ab
boccarsi con Cesare ; mercecché aver egli per lettera
manifestata a lui ogni cosa.
V. Così l'ingegnoso artifizio d'Archelao , che gli die
salvo il genero , ebbe fine. Riconciliate le parti si spe
sero alcuni giorni in conviti ed in feste; e mentre stava
Archelao per andarsene , Erode donògli settanta talenti ,
un trono d' oro tempestato di gemme , alcuni eunuchi
e una donna , che si nomava Pannichide , e a' suoi
cortigiani fe' quegli onori , che al grado di ciascheduno
sì richiedeva. -E simile tutti i congiunti d' Erode per
ordine , che lor ne diede , presentarono splendidamente
Archelao. Fu egli poi e da Erode e da' grandi accom
pagnato fino ad Antiochia.

Cap itolo XXVI.

Euricle accusa calunniosamente ifigliuoli di Mariam-


me. Niente può in lor favore Evarato Coo , che li
difende.

I. Indi a non molto capitò un uomo in Giudea , che


poté assai più , chjs non le ingegnose pratiche d'Arche
126 DELLA GUERRA GIUDAICA

lao. Costui non solo guastò ad Alessandro là pace acqui


statagli già da Archelao , ma fu cagione dell' ultima sua
rovina. Era Spartano di patria , e nomavasi Euricle ,
uomo così perduto dietro al denajo , che per averne
aspirava ad un regno : giacché non poteva la Grecia
più sostenere la sua prodigalità. Or egli fatti ad Erode
splendidi donativi , esca opportuna per ciò , a che egli
mirava , e avutine, di presente due tanti , niun conto
faceva d' un puro. dono , se coli' altrui sangue non com-
peravasi il regno. Si fa egli adunque d' attorno al re
con adulatrici e scaltrite parole e con lodi menzognere
di lui. Penetrato ben presto l' umore d' Erode , col dire
e operar che faceva ogni cosa a genio di lui divenne
un de' più intimi suoi confidenti ; con ciò fosse che
Erode e i suoi cortigiani attesa la patria (^4) » ond' era
Euricle , agli altri tutti di buon grado antiponevano lo
Spartano.
II. Costui pertanto, compreso il debole della famiglia,
le differenze , per cui rompevansi insieme i fratelli , e
le disposizioni , che il padre nutriva per ciascheduno ,
benché prevenuto con ospitali accoglienze da Antipatro,
pur con infinite dimostrazioni d' amicizia ingannava A-
lessandro , spacciandosi bugiardamente per vecchio amico
ancor d'Archelao : il perché , quasi uomo di fé provata,
fu da lui bene accolto. Indi direttamente passò a gua
dagnarsi la grazia del suo fratello Aiistobolo. Così tra
visatosi in tutte le forme un personaggio rappresentava
con questo , un altro con quello ; ma era in modo
particolare servo venduto d' Antipatro , e traditor d' A-
lessandro , pugueudo quello , perché primogenito , come
UB. I. CAP. XXVI. 13^

pur é , non si curi d' aver persone , che insidiano alle


sue speranze , e il secondo , perché di regina figliuolo
e marito pur di regina sofferi , che succeda nel regno
un figliuolo di donna privata , e ciò colla sponda for
tissima d'Archelao. I suoi consigli erano in molta con
siderazione appo il giovine , mercé l' amicizia , ch' egli
fingeva con Archelao. Il perché non temendo di nulla
Alessandro dolevasi a lui di checché gli spiacesse in
Antipatro , e aggiunse , ch' Erode dopo uccisa la madre
loro non era più maraviglia , se privava essi pure del
regno di lei. Qui Euricle facea sembiante d' avergliene
compassione e pietà ; e intanto adescato a dire il mede
simo ancora Aristobolo , e impegnatigli entrambi in que
rele contro del padre correva ad Antipatro per «sco
prirgli ogni cosa. V aggiugneva da quel bugiardo , che
egli era , trame già quasi orditegli da' fratelli , e tanto
solo lontane , quanto non gli cacciavano ancora in seno
un pugnale.
IH. Perciò meritato con una somma grossissima di
denari divenne panegirista d' Antipatro presso il padre.
Finalmente venduta l' opera sua a ottenere la morte di
Aristobolo e d' Alessandro se ne fa accusatore appo
Erode ; e venutogli innanzi disse , che in guiderdone
de' benefizj , che n' ha ricevuti , e vuol dargli salute , e
dell' ospitalità usatagli sino allora rimeritarlo col ben
della vita. Essere già un gran pezzo , che si teneva
contro di lui affilata la spada , e la man d' Alessandro
distesa : averne egli la sollecita esecuzion frastornata col
fingersi cospirato all' impresa. Perciocché aver detto A-
lessandro, ch'Erode non era pago d' aver regnato nel
128 DELLA GUERRA GIUDAICA
regno altrui , e assassinata la madre loro d' averne di-ì
lapidati i dominj , se ancora non s' intrudeva per suc~
cessore un bastardo , mettendo in mano a quel malnato
d' Antipatro l' avito lor regno. Vendicherebbe ben egli
l' ombre d' Ircano e Mariamme ; perciocché a un tal
padre ragion non vuole , che senza sangue ei succeda.
I motivi , che ve lo spronano ognidì , esser molti , tal
ché oggimai non si puote più aprir bocca , che da lui
non si ascriva a sua villania. Perciocché se avvien che
si faccia della nobiltà di chicchessia ricordanza esser egli
senza ragione schernevolmente punto dal padre con dire,
che il solo nobile si é Alessandro , e che a' suoi occhi
il padre é di nascita disonorata : nelle cacce poi , s egli
tace , offende , se loda , si sente dar del bugiardo : io
tutti gl'incontri trovare il padre con seco implacabile e
sol per Antipatro condiscendente. Per le quali cose ei
sarebbe già volentieri ancor morto , se riuscite a buon
fine non fossero le sue trame. Quando poi l' abbia uc
ciso, aver egli , ove mettersi in salvo , primieramente
Archelao , che gli é suocero; presso al quale ricovre-
rebbe senza difficoltà; indi Cesare fino ad ora male
informato del proceder d' Erode. No , non gli si presen
terebbe dinanzi , come una volta , pien di spavento per
la presenza del padre, né ci parlerebbe soltanto de' fatti
suoi. Primo a pubblicarsi sarebbe il misero stato della
nazione , e il gravarla che fassi d' imposte fin presso a
fiaccarcisi sotto , poi in che piaceri e in che azioni
scialacquinsi que' denari , che son procacciati col sangue
altrui ; indi gli arricchiti col nostro chi siano ; e in
grazia di chi recate città in servaggio. Qui volgerebbe
LIB. I. CAP. XXVI. I29
il suo dire all' avo e alla madre , e trarrebbe a luce
tutte F odiose piagbe del regno , per cui non verrebbe
no condannato per parricida.
IV. Mentre diceva Euricle cosi mostruose menzogne
contro Alessandro , stemperatamente lodava Antipatro ,
come il solo , che amasse da vero il padre , e però il
solo ostacolo fino ad ora , che avesser trovato le trame
altrui. Erode , che non avea per ancora dimenticati bene
i primi disgusti , s' inaspra d' uu' ira insanabile , e An
tipatro, colto di nuovo il tempo , per altri accusator dei
fratelli mandagli sottomano dicendo , che avevano di
nascosto tenuto trattato con Giocondo e Tiranno già
capitani della reale cavalleria , ma ora per certi disgusti
spogliati del loro grado. Del che Erode accoratosi a
dismisura fe' di presente mettere alla tortura i meschini;
ma essi non confessarono niente di ciò , di che erano
calunniati. Intanto fu colà in mezzo recata una lettera
d' Alessandro diretta a un castellano d' Erode , in cui
confortavalo a dare ricetto nel suo castello a lui e ad
Aristobolo suo fratello , quando avessero ucciso il padre,
e consentisse lor di valersi dell' armi e d' ogn' altra co
modità , che da lui dipendesse. Questa diceva Ales
sandro essere una frode di Diofanto notajo del re , uo
mo ardito e abilissimo a contraffare ogni mano. In fitti
dopo falsificati più volte gli altrui caratteri finalmente
per questo mesticr medesimo fu giustiziato. Intanto Ero
de , disaminato il castellan co' tormenti non ritrasse nep-
pur da lui una voce di ciò , che venivagli apposto. Ciò
nulla ostante , tuttoché insussistenti trovasse le accuse ,
volle che fosser guardati i figliuoli , sebbene liberi per
Flavio, t. VI- Detta G. G. t. I. 9
l3o DELLA GUERRA GltfDAtCA
ancora ; mentre la peste della famiglia e il macchinatore
di tutta la frode odiosissima Euricle , oltre il titolo di
salvatore e benefattore , n' ha in regalo cinquanta talenti.
Costui , anzichè il prevenisse la fama a mostrarlo chi
era , passato in Cappadocia smugne ancora Archelao ,
ardito che fu di dirgli , che avea messo pace tra Erode
e Alessandro. Di là rendutosì nella Grecia , abusò si
milmente delle sue male acquistate sostanze; finchè ac
cusato due volte a Cesare d'aver riempiuta di sedizioni
l' Acaja , e d' impoverir le città fu cacciato in esiglio.
Così fu raggiunto ancor egli dalle pene dovutegli per
Aristobolo ed Alessandro.
V. Ma qui ben si vuole rimpetto allo spartano Eu
ricle porre Evarato Coo. Perciocchè questi amicissimo ,
s'altri ven'ebbe mai, d'Alessandro, colà trovatosi ap
punto a' tempi d' Euricle, al re che interrogòllo intorno
alle accuse , che loro dava costui , con giuramento af
fermò di mai non avere da' giovani udito niente di que
sto. Ma ciò non valse punto a' meschini presso d' un
uomo , come allora era Erode , prontissimo a dare orec
chio soltanto a triste novelle , e avente caro chiunque
credea come lui, e si rammaricava con lui.
tIB. I. CÀP. xxvn. - t3t

Capitolo XXVII.

Erode con facoltà avuta da Cesare accusa in Berito


i suoi figli; i quali senza esser citati in giudìzio
son condannati , e indi a poco spediti a Sebaste e
strozzati.

I. Concorre a incrudirne la spietatezza contro a' fi


gliuoli Salome ancora. Perché volendo Aristobolo in
volgere nel suo periglio costei , che gli era suocera a
un, tempo e zia , le manda dicendo , che pensi a salvare
sé stessa; averla già il re sentenziata a morire per lo
delitto già appostole altra fiata , cioé , che per desiderio
di maritarsi a Silleo , di soppiatto scoprisse ad un uo
mo , com'era quegli } nimico gli arcani del re. Questo
si fu quasi F ultimo turbine procelloso , che affondò i
gio-vani naufraganti. Perciocché corsa innanzi ad Erode
Salome gli narra l' avviso mandatone dar da Aristobolo,
e quegli senz' altri processi mette ambedue i figliuoli in
catene, e divideli l' un dall' altro. Indi spedisce a Cesare
prestamente Volunnio maestro di campo, e Olimpo suo
amico con seco in iscritto le relazioni del fatto. Giunti
a Roma consegnaron le lettere ricevute dal re ; e Ce
sare , benché fortemente dolessegli de' garzoni , pur non
credette doversi privare il padre della podestà sopra i
figli. Rispondegli adunque , che lascia tutto in sua mano,
aggiugnendo però , che farà saviamente ; se innanzi al
comune consesso e de' propri congiunti e de' reggitori
della provincia metta ad esame le trame orditegli : e se
t.in DELLA GUERRA GIUDAICA
veramente sera rei , gli uccida ; che se avessero meditata
soltanto una fuga , puniscali con dolcezza.
IL Piace ad Erode il consiglio , e venuto in Betito ,
colà appunto ove Cesare aveva ordinato , adunò l'assem
blea. Presedettero a quel consesso i governatori , a cui
Cesare n' avea scritto , e furono Saturnino e Pedanio
co' suoi legati , e con essi Volunnio procuratore. Dopo
questi i parenti e gli amici del re e Salome e Ferora ,
dietro a' quali i grandi di tutta la Siria , salvo il re
Archelao , perciocché , come suocero d' Alessandro , E-
rode il tenea per sospetto. I figliuoli però non volle si
presentassero all' assemblea , e con troppo avvedimento;
perciocché ben sapeva , che ancor solamente veduti mo-
verebbono ogni cuore a pietà ; che se poi oltre a questo
si desse lor campo di ragionare , non fallirebbe , che
Alessandro con poco stento non isventasse le accuse ;
ma essi tenevansi sotto guardia in Piatane borgo dei
Sidonj ; e il re levatosi in piede forte arringò contro
loro , come se fossero presenti. Or quanto si é alle
trame orditegli , assai deboli fur le sue accuse , come
di chi non ha prove che bastino a dimostrarlo ; di
villanie sì e di scherni e d'ingiurie e d' offese alla sua
persona più dure a inghiottire ancor della morte pro-
dussene in quell'adunanza a migliaja. Indi poiché non
aveva , chi gli opponesse , dopo aver deplorata la sua
condizione, che ancor vincendo sarebbe egli il vinto per
una ahi troppo amara vittoria contro i figliuoli, prese
a interrogare a un per uno gli astanti del loro parere.
III. Il primo fu Saturnino , il quale disse , ch' egli
bensì condannava i garzoni , ma non alla morte ; che
liB. i. cap. xxvm i33
fion era dovere , ch' esso alla presenza di tre suoi fi
gliuoli sottoscrivesse l' eecidio di que' d' altrui. Del me*
desimo sentimento con lui sono i due legati , cui di
chiararono di seguire altri pochi. Ma Volunnio fu au
tore della sentenza severa ; onde dopo lui tutti a morte
vogliono condannati i garzoni , quali per adulazione ,
quali per odio , in che avevano Erode , niuno per ab
bonimento al delitto. Stava intanto sospesa la Siria tutta
e la Giudea in espettazion di che fine avrebbe cotal
tragedia ; nessuno però si pensava , ch' Erode dovesse
tanto essere disumanato da voler morti i figli. Ma egli
strascinòllisi a Tiro , e di là traghettatigli a Cesarea
andava pensando al modo di torre i garzoni del mondo.
IV. In questo un vecchio soldato del re nominato
Tirone , che aveva un figliuolo famigliare ed amico assai
d' Alessandro , ed amava egli stesso in suo cuore i gar
zoni , per la doglia eccessiva , che ne senti , die in fre
nesia : e alla prima aggirandosi qua e là gridava, essere
calpestata oggimai la giustizia ; spenta la verità , scom
pigliati i diritti della natura , pieno d' iniquità tutto il
mondo , e quant' altro può suggerire il dolore ad un
uomo, che non teme di morte. Finalmente arditosi an
cora di comparire dinanzi al re « ben tu , disse , mi
» sembri l'uomo il più mal capitato del mondo, che a
» danno de' tuoi più cari segui il consiglio de' più ri-
» baldi. Tu a Ferora e Salome . persone da te con-
» dannate le tante volte a morire , tu credi in pregiu-
» dizio de' tuoi stessi figliuoli ; e non vedi , ch' essi nel
» torti, che fan dallato i legittimi successori, ti lascian
a col solo Antipatro per avere nella tua persona un re
J 34 DELLA CUERRA GIUDAICA

» da agevolmente mettersi sotto a' piedi ? Deli guarda


» almeno t che presso a' soldati odiosa anche per lui
» non riesca per avventura la morte de' suoi fratelli.
» Mercecché, non che v'abbia persona, cui non istringa
» pietà de' garzoni, anzi parecchi de' capitani a fronte
» scoperta se ne mostrano di mal talento; e in così
» dire nominò i malcontenti : » allora il re senz' in
dugio fece arrestare costoro , e lui , e con lui suo fi
gliuolo. In quella un barbiere di corte, che si diceva
Trifone , non so da che mal demonio invasato , Uscì
fuora , e palesando sé stesso « me pure , disse , costui
» di Tirone m' indusse a volerti , mentre ti servo , uc-
» cidere col rasojo; e gran regali promisemi a nome
» d' Alessandro ». Udite Erode tai cose esaminò a'tor-
menti Tirone , il figliuolo, e 'l barbiere; e poiché gli uni
negavano, e l'altro non dicea niente più del già detto,
Erode ordinò, che stirassero con più forza Tirone; ma
il figlio mosso a pietà di lui promise al re di scoprirgli
ogni cosa , quando facessegli grazia del padre; onde, al
lentato il martoro, egli disse, che il padre a persuasion
d'Alessandro voleva tor lui di vita. Il che altri sosten
gono ch' egli fingesse per trarre di pena il padre , altri
dicono che sia vero. Checchessia di ciò , Erode , accu
sati a pieno popolo i capitani e Tirone , armò contro
loro la plebe ; laonde ivi medesimo a forza di legni e
sassi sono insiem col barbiere stritolati ed uccisi.
V. Mandati poscia i figliuoli a Sebaste , città non
troppo lontana da Cesarea , quivi volle che fossero stran
golati. Compiuti senza dimora i suoi ordini ingiunse ,
che i lor cadaveri di colà si recassero nel castel d' A
ufi. i. cap. xxvri. i35
lessandrio , per ivi essere seppelliti coli' avo loro ma
terno Alessandro (7 5). Così finiro Alessandro e Ari
stobolo.

Capitolo XXVIII.

antipatro odioso a tutti. I figliuoli degli uccisi pro


messi dal re a sue parenti. Altre nozze macchina
Antipatro . Mogli e figliuoli cT Erode.

I. Ma contro Antipatro, che non aveva più chi met-


lessegli in dubbio la successione nel regno , si leva dì
mezzo alla nazion e un odio importabile , sapendo tutti
assai bene , costui colle sue menzogne aver le calunnie
intrecciate contro a' fratelli. Intanto s' andava a lui rav
volgendo per l'animo un non leggiere timore al veder,
che la prole degli assassinati fratelli veniva crescendo.
Perciocché ad Alessandro nati erano di Clafira due figli,
TIgrane e Alessandro: Aristobolo poi avea avuto da Be
renice figliuola di Salome tre maschi, Erode, Agrippa, e
Aristobolo, e due femmine Erodiade (76) e Mariamme.
Or quanto é a Glafira, Erode, tolto di vita Alessandro,
la rimandò in Cappad ocia colla sua dote ; e Berenice
moglie già d' Aristobolo maritòlla ad un zio materno di
Antipatro ; e maneggiò queste nozze Antipatro stesso
rappattumatosi con Salome , cui non avea troppo amica.
Si legò artifiziosamente ancor l' animo di Perora con
doni ed altri servigj che fecegli , e quel degli amici di
Cesare col gran denaj o , che mandò presentar loro in
Roma. Anzi la corte di Saturnino in Siria era tutta
t36 DELLA GUERRA GIUDAICA
impinzata di suoi regali. La sua profusione peri$ era"
odiata , siccome non per grand' animo , che a ben fare
altrui lo spignesse, ma per paura faceva questi scialacqui.
II. Avveniva pertanto, che chi riceveva, non diveniva
perciò niente più suo amico , e più s' inasprivano a^ni—
ratearlo coloro, cui non avea presentati. Intanto erano i
suoi donativi ogni giorno più larghi , giacché vedeva ,
ch' Erode , oltre a quanto e' sarebbesi mai creduto ,
pensier si prendea de' pupilli , e dava già tutto insieme
mostre di pentimento sopra la morte de' due lor padri
uccisi, in grazia de' quali aveva pietà della prole da lor
venuta. Perciocché radunati un dì Erode i congiunti e
gli amici, e condotti alla loro presenza i fanciulli, cogli
occhi pregni di lagrime , « a me , disse , un' invidiosa
» fortuna ha rapidi padri di questi innocenti, e questi,
» non che la natura, a me raccomandali la compassione
» della loro orfanezza. Ora m' adoprerò , tuttoché padre
» sia stato sventuratissimo, di mostrarmi avo almeno più
» dolce, e di lasciarli dopo di me in cura alle persone
» più care , ch' io m' abbia. La tua figliuola dunque ,
» o Ferora , sia sposa promessa al primogenito d' Ales-
» Sandro , onde necessariamente tu n' abbi cura , e al
» tuo figliuolo , o Antipatro , la figliuola (77) , si ma
il riterà d' Aristobolo ( così tu padre sarai dell' orfana )
» e la sorella di lei (78) sarà del mio Erode nipote
» per madre (79) d' un sommo Pontefice. Chi dunque
» mi ama , abbia questo per mio volere , cui persona ,
» che vogliami bene , non fia che ricida. Priego poi
» Dio , che coteste nozze egli stringale a pro del mio
» regno e de' miei discendenti, e questi fanciulli riguardi
LIB. 1. GAP. XXVIII. l3j
» con occhi più sereni , che non i lor padri ». Cosi
dicendo pianse tutto insieme e le destre accoppiò dei
garzoni. Indi abbracciati ciascun di loro cortesemente
licenziò l' assemblea.
HI. Un crudo gelo ricercò tosto l' ossa ad Antipatro,
e tutti gli astanti s' avvidero dell' interno cordoglio , che
lo rodeva. Perciocché dall'onore fatto a' pupilli scorgeva
la sua rovina ancor presso il padre , e il novello peri
colo , a cui andrebbono le sue speranze , se oltre Ar
chelao avessero i . figliuoli d' Alessandro presto a soccor
rergli ancor Ferora , ch' era tetrarca. In questo andava
tra se medesimo ripensando all' odio , in che avevasi la
sua persona , e alla pietà , che sentivasi de' pupilli dalla
nazione ; indi quanta fosse ne' Giudei la premura pei
vivi, e quanta ancor la memoria degli assassinati fratelli
per colpa sua. Conchiuse egli adunque, che si doveano
per ogni modo rompere le sponsalizie, e perciocché a
introdursi con maliziosi artifizj davagli da temere l'umor
del padre intrattabile e nel sospettare precipitoso, ebbe
ardire di presentargli e supplicargli in persona , che
non volesse privarlo di quegli onori , di che lo avea
fatto degno , né a lui il sol nome di re , e darne ad
altri il potere. No, non avrebbe egli già la total signoria
dello stato, quando oltre l'avo Archelao avesse il figliuol
d'Alessandro Ferora eziandio per sostegno. Volesse egli
adunque , giacché la famiglia reale era assai numerosa ,
cangiare gli sponsali/.j.
IV. Erode infatti avea nove mogli , e da sette gli
erano nati figliuoli. Esso Antipatro da Doride , Erode
da Mariamme figliuola del sommo Pontefice, Autipa ed
1 38 DELLA GUERRA GIUDAICA

Archelao da Maltace samaritana e eoa essi la figlia.


Olimpiade presa da suo nipote Giuseppe (80). Da Cleo
patra di Gerusalemme Erode e Filippo ; e da Pallade
Fasaelo. Ebbe egli eziandio altre figlie , Rossane cioé ,
e Salome, la prima da Fedra, e dà Elpide la seconda.
L' altre due mogli rimasero senza figliuoli , e furono la
cugina e la nipote. Oltre poi a' già detti avea due so
relle d'Aristobolo e d'Alessandro nategli di Mariamme.
V. Ora , poiché la sua casa contava tante persone ,
Antipatico lo pregava , che si mutassero le sponsalizie.
Ma funne il re sdegnato assaissimo , ben da ciò com
prendendo, di che fatta pensieri ei nutrisse in risguardo
degli orfani , e tosto gli cadde nell' animo il dubbio ,
non forse i meschini già uccisi fossero stati il bersaglio
delle calunnie d' Antipairo. Allora adunque dopo una
lunga risposta tutta collera e sdegno cacciòllo da se
lontano; ma entratogli novamente nell'animo colle solite
lusingherìe il ridusse a ciò, ch'ei voleva; e ad Antipatro
stesso maritò la figliuola d' Aristobolo , e in luogo di
questa a suo figlio quella die di Ferora. Di qui ciascuno
potrà comprendere , quanta forza appo Erode avessero
le lusinghe d' Antipatro , quando Salome in simili cir
costanze nulla poté ottenere. Conciossiache a questa con
tutto l' essergli di sorella , e le molte suppliche , che
per mezzo di Giulia moglie di Cesare gli fe' porgere
per isposare Silleo , giurò , che la guarderebbe come
nimica , se una volta non si cessasse da tal premura.
Finalmente a suo malgrado accasolla con certo Alesse
suo amico, e delle figliuole di lei l'una col figlio d'A-
lesse, e col zio materno d' Antipatro l'altra. Le figliuole
tre. i. cap. xxvm. i3g
poi di Mariamme furono date la prima ad Antipatie»
figliuolo di sua sorella , e la seconda a un figliuolo di
Fasaelo fratello suo.
i

Capitolo XXIX.

antipatro diviene insofferìbile. È mandato a Roma


col testamento a* Erode. Ferora per non abbando
nare la moglie abbandona il fratello : sua morte.

I. Recise Antipatro le speranze a' pupilli, e concertate


le nozze a misura de' suoi vantaggi considerava già come
in porto sicuro le sue speranze, e alla tristezza accop
piata la presunzione noti era più tollerabile. Mercecché
non potendo schifare l'odio d'ogni persona coli' essere
altrui di terrore procacciava a se sicurezza. Spalleggia-
valo ancor Ferora, che in lui mirava indubitatamente il
re avvenire. In questo stante le donne reali formarono
una cospirazione, che diede moto alle ultime turbolenze.
Perciocché la moglie di Ferora con esso la madre e la
sorella (5*) presa in lor compagnia la madre d' Antipatro
insolentivano a più non posso in corte ; e fu ardita la
prima di fare oltraggio alle due figliuole d'Erode (81),
il quale per questo motivo singolarmente l' aveva cac
ciata da corte. Odiate adunque da lui andavano guada
gnando le altre al loro partito. Sola alla loro combric
cola s opponeva Salome, e rappresentava al re cosiffatta
adunanza come dannevole a' suoi interessi.
II. Or quelle , risaputa l' accusa e il disgusto che
avevane Erode, rimasonsi dalle pubbliche raunanze e
<4& DELLA GUERRA GIUDAICA.

dimostrazion d' amicizia ; anzi per lo contrario , quan-»


d' erano udite dal re , fingevansi ancora scambievolmente
discordi ; e con esse Antipatro andava del pari, facendo
in pubblico triste accoglienze a Ferora. Segretamente in
tanto adunavasi la brigata , facevansi cene notturne , e
la costanza di tutti rendea più ferma la loro unione.
Niente ignorava Salome , di quanto seguiva , e ogni
cosa diceva ad Erode. Egli ardeva di sdegno , e singo
larmente contro la moglie di Ferora , più che non
l'altre accusata a lui da Salome. Chiamati pertanto a
consiglio gli amici e i parenti tra l' altre accuse moltissi
me , che die alla donna , rammentò eziandio l' ingiuria
fatta alle sue figliuole , e il denajo somministrato a' Fa
risei per voltarglieli contro , e il costrignere , che avea
fatto con veleni alla mano Ferora ad essere suo nemico.
Finalmente rivolse il suo dire a Ferora , e scegliesse V uno
de' due o lui per fratello , o la schiava per moglie. Al
che rispondendo egli , che la vita lascerebbe più presto ,
che non la moglie , giacché non sapeva Erode più , che
si fare , passò ad Antipatro , a cui intimògli , non trat
tasse più da indi innanzi né con Ferora , né colla mo
glie di lui , né con altra persona che a lei s' attenesse.
III. Antipatro scopertamente non violò il comando ;
ma di nascosto passava le notti in consulte con loro.
Temendo però il razzolar di Salome ottiene , mediante
gli amici suoi in Italia , d' esser mandato a Roma. Con-
ciossiaché avendo essi scritto , che a tempo e luogo sa
rebbe stato mestiere spedire Antipatro a Cesare , Erode
senza frapporre indugio lo vi mandò fornito d' un ricco
seguito , e d'un, immenso denajo , e del testamento ,
LIB. I. CIP. XXIX. t4<
che seco portava. In esso chiamavasi successore nel re
gno Antipatro , e d' Antipatro Erode natogli di Ma-
l.iamme figliuola del gran Sacerdote. Navigò anche a
Roma Silleo l'arabo senza far caso de' comandamenti di
Cesare , per disputar con Antipatro di ciò stesso , per
cui poc' anzi (82) avea contrastato con Niccolò (83). Esso
aveva altresì una lite non picciola con Areta (84) suo
re ; perciocché gli avea Silleo uccisi parecchi amici , e
tra questi Soemo il cittadin più possente , che fosse in
Petra. Indi ammollito con gran denari Fabato ammini
stratore di Cesare si giovava dell' opera sua in danno
d' Erode. Ma Erode con una somma molto maggiore , e
tolse di fianco a Silleo Fabato , e per mezzo di lui
esigeva , quanto avea Cesare comandato. Ora Silleo , ol
tre al non avergliene dato un soldo , accusava ancora Fa
bato appo Cesare , che fosse amministratore non de' suoi
beni , ma di quelli d' Erode. Dal che mosso a sdegno
Fabato , ch' era per anco in grandissimo pregio appo
Erode rivela a lui i più arcani trattati dell' arabo ; e
dice al re che Silleo con denari avea pervertito Corinto
soldato della sua guardia , e però vuolsi avergli ben
l' occhio addosso. Il re ne segue il consiglio ; percioc
ché era bene Corinto cresciuto in corte , ma traeva sua
origine dall' Arabia. Tosto adunque arresta non lui so
lamente , ma due altri Arabi ritrovati con lui , F uno
amico di Silleo , e l' altro principe d' una tribù. Messi
alla tortura confessarono d' avere a forza di grandi som
me indotto Corinto ad uccidere Erode. Costoro pertanto
disaminati ancora da Saturnino governator della Siria
furo 11 mandati a Roma-
t/{4 DELLA GUERRA GIUDAICA

IV. Ma Erode stava sempre attorno a Ferora spi—


gnendolo ad abbandonare la moglie ; e benché avesse
molte cagioni d' odiarla, non gli si presentava maniera,
onde poter vendicarsene , finché non reggendo più allo
sdegno cacciòssi lontano con lei ancora il fratello. Fe
rora rammaricato per tale ingiuria ritirasi nella sua te
trarchia con giuramento , che il termine del suo esigi io
sarebbe la morte d' Erode , né mai più tornerebbegli
innanzi , finché vivesse. Quindi neppure allor , che il
fratello era infermo , tuttoché di continuo mandasse per
lui , che volevagli in quegli estremi della sua vita la
sciare non so che commissioni , comparve giammai.
Erode però fuor d' ogni speranza guarì. Indi a poco
cadde malato Ferora , ed Erode fu ben con lui più
discreto , perché e venne a trovarlo , e cordialissima
mente servìllo; ma la forza del male lo vinse , e di l1
a pochi giorni mori Ferora ; cui benché Erode avesse
fino agli ultimi momenti della sua vita amato , pur
corse voce aver egli ucciso anche lui con veleno. Esso
certo fattone trasportare il cadavere a Gerusalemme in
timò alla nazione tuttaquanta grande corrotto , e ono-
ròllo di sontuosissimi funerali. Ecco a qual fine poi
giunse uno degli uccisori d' Alessandro e Aristobolo,
tIB. I. CA*. TÌXX. t43

Capitolo XXX.

Mentre Erode mette ad esame la morte di Ferora ,


scopre che Antipatro ha preparato a lui stesso il
veleno. Doride e Marìamme trovate tra i complici
sono cacciate , ed Erode figliuolo dell' ultima escluso
dal testamento.

I. Or la vendetta cominciatasi colla morte di Ferora


passò a scaricarsi in capo all' autore stesso , vo' dire
Antipatro. Perciocché non so quali liberti del morto
Ferora recatisi in portamento lugubre dinanzi al re lo
avvisarono , che suo fratello era stato tolto dal mondo
per via di veleno : che sua moglie gli aveva recato non,
sapean che , ma condito in istrana maniera , e appena
mangiatolo cadde infermo ; che due giorni innanzi la
madre e la sorella di lei avean introdotta in casa una
femminuccia d' Arabia , vecchia maliarda , perché ma
nipolasse una malìa per Ferora , ed essa gli aveva in
quel cambio dato un veleno mortale a instigazion di
Silleo , a cui era nota.
H. Sconvolto Erode da più sospetti mise fantesche e
liberte a' tormenti , ed una fra queste nel vivo de' suoi
dolori andava gridando , Iddio reggitore della terra e
del cielo dia la mala ventura alla madre d' Antipatro ,
ch' é cagione de' nostri mali. Avuto in man questo
capo il re si sospinse piti oltre in cerca del vero : e la
donna scoperse sì l' amicizia , che avea la madre d'An-
tipatro con Ferora e le donne di lui , sì i segreti lor
1 44 DELLA GUERRA GIUDAICA

conciliaboli , e come Ferora ed Antipatro ritornando


«la corte con quelle passavano fra le tazze tutta la
notte , senza mai consentire , che servo o fantesca vi si
trovasse presente. Una dunque delle liberte confessò
queste cose. Erode allora chiamò ad esame le schiave
l' una separatamente dall'altra ; e tutte a una voce s' u-
niro a ridire le cose già dette , e che quindi per con
venzione già pattuitane Antipatro in Roma , e Ferora
sarebbesi ritirato di là dal Giordano ; perciocché spesse
Volte aver detto fra loro , ch' Erode dopo Alessandro e
Aristobolo si sarebbe gettato sopra di loro e delle lor
donne ; che dopo Mariamme e i figliuoli indi natigli
non avrebbe più risparmiato persona ; onde esser me
glio fuggire più lontanissimo , che ognun potesse , da
quella bestia. Spesse fiate lagnandosi avere Antipatro
detto alla madre , ch' esso aveva oggimai il pel bianco ,
e il padre intanto metteva ogni giorno un tallo sul
vecchio , e forse morrebbe egli prima , che fosse re
daddovero ; che se morisse una volta suo padre ( ed oh
facesselo il cielo ) , e' godrebbe in un colpo tutto il
piacere della successione; or germogliare i capi dell'I
dra ne' figliuoli d' Aristobolo e d' Alessandro ; e il pa
dre aver tolta a lui la speranza ancora , che aveva pe'
suoi figliuoli, giacché non veruno di questi , quand'egli
ancora morisse , ma aver chiamato .successore Erode fi-
gliuol di Mariamme ; e per questo almeno avergli la
vecchiaja tolto il cervello , se pensa , che il testamento
aver debba il suo effetto ; egli si provvederà , che non
resti viva persona della sua discendenza ; che se non
v' ebbe mai padre nimico cosi de' figliuoli , come fu
LUI. I. CAP. XXX. i45
Erode , molto meno saravvi , chi odj al par di lui i
fratelli. la fatti avergli esso dati poc' anzi cento talenti ,
perché non trattasse più con Ferora. Al che avendogli
detto la madre , e che gli abbiam fatto di male ? An-
tipatro aver soggiunto , volesse il cielo , che ci rapisse
sol quanto abbiamo , e ci lasciasse alrnen vivere ignudi ;
ma impossibile cosa ella é il cansarsi da bestia cosi san
guinosa , sotto la quale non lice essere amico aperta
mente d' altrui ; di soppiatto però insieme noi ci tro
viamo ; e fia lecito apertamente , quand' egli avvenga,
che noi abbiamo coraggio da uomini in petto , e man
pronte all' opera. Così dicevano l' esaminate , aggiu-
gnendo altresì , che Ferora pensato avea di fuggirsene
seco loro in Petra.
III. Erode die fede a quanto colà si disse , mercé la
notizia de' cento talenti , de' quali avea fatto parola col
solo Antipatro. Ora il suo sdegno scoppiò primamente
in capo alla madre d' Antipatro ; che spogliata di tutto
il corredo , onde avevala Erode fornita , ed era il val
sente di molti talenti alla fine la caccia da se ; e tolte
giù da' tormenti le donne di Ferora , che ricevette iu
sua grazia , il «jvolse in loro ornamento. Ma il ti
more tenevalo fuor di se, e precipitavalo in tutti i so
spetti , per cui traeva molti innocenti alla tortura per
dubbio , che non rimauesse indietro qualche colpevole.
In questo il pensiero lo porta ad Antipatro samaritano
procuratore d' Antipatro suo figliuolo ; e col tormen
tarlo ne trasse , che Antipatro aveva fatto venir dall' E-
gitto un veleno , che a lui desse morte , per mezzo
d' Antifilo un de' suoi confidenti , che da costui l' avea
Flavio, t. FI. Detta G. G. t. I. «•
1 46 BELLA GUERRA GIUDAICA
ricevuto Teudione zio d' Antipatro, e l' avea «(disegnato
a Ferora ; al quale avea Antipatro data incombenza di
uccidere Erode , mentr' egli trovavàsi in Roma lontano
da ogni sospetto ; e che Analmente Ferora aveva ri
posto il veleno presso sua moglie.
IV. 1l re mandò per costei , e le ingiunse , che ini
quello stante recassegli ciò , che avea ricevuto. Ella uscì ,
come per andare a pigliarlo , e si gettò capovolta dal
tetto per isfuggire gli esami , e i rei trattamenti , che
avrebbele fatti il re. Ma , come pare , la provvidenza
di Dio , che puuito voleva Antipatro , fattala non col
capo cadere , ma in altra guisa tennela in vita. Portata
dinanzi al re , e per opera sua rinvenuta , giacché in
tronata le aveva la testa lo stramazzone , all' inchiesta ,
ch' esso le fece , per qual motivo erasi precipitata dal
l' alto , con giuramento , che se diceva la verità , an
drebbe esente da ogni gastigo , se no , struggerebbele
sì fra tormenti il corpo , che non ne avanzerebbe pur
brano per lo sepolcro , la donna taciutasi per un po
co , a che , disse , « mi tengo io più chiusi in cuore
» gli arcani , or che Ferora non vive più ? Per salvar
*» forse Antipatro, che ha disertati noi tutti? Ascolta ,
» o re, e ascolti con teco Iddio , testimonio non pos-
» sibile ad ingannare ; ch' io dico il vero. Quando tu
» lagrimoso sedevi a fianco del moribondo Ferora , egli
» allora chiamatami , ahi quanto , disse , ho pensato si-
» nistramente dell' animo del fratello inverso di me ,
» odiando chi tanto mi amava , e macchinando la mor
ii te, a chi tanto si affanna per me tuttoché ancor
» vivo. Ma io intanto porto la pena ( e ben mi sta )
LIB. I. CAP. XXX. 1 47
» dell' empio mio fallo ; tu poi quel veleno , che avuto
» da Antipatro in danno di lui conservi presso di te ,
» qua mei reca , e sotto a'miei ocelli distruggilo , onde
» io non abbia a meco portar colaggiù una coscienza ,
» che mi martorii. Ubbidii a' suoi voleri , e recatolo ne
» consumai, lui veggente, la maggior parte ; e per me
» ne ritenni un tantino contro ogni caso avvenire ; e
» per lo timore , che aveva di te ». Cosi dicendo trae
fuori un bossolo , in cui si chiudea un pochissimo che
di veleno.
V. Il re allora volse gli esami sopra la madre e il
fratello d' Antifilo ; e confessaro , che Antifilo avea re
cato quel bossolo dall' Egitto , e aggiunsero aver egli
avuto il veleno da un suo fratello medico in Alessan
dria. L' ombre. intanto d' Alessandro e Aristobolo s' ag-
giravan per tutto la reggia , ne cercavan ogn' angolo ,
traevano a luce le cose occulte , e strascinavano a' tri
bunali le più credute e meno sospette persone. Quindi
si trova fra' complici del tradimento ancor la figliuola
del gran Sacerdote Mariamme ; e palesaronlo i suoi fra
telli posti al tormento. Il re punì l' attentato materno
anche sopra il figliuolo ; e dal testamento cassò tosto il
nome d' Erode nato di lei , e dichiarato già success
gore d' Antipatro,
«48 della guerra GIUDAICA

Capitolo XXXI.

Batillo accusa Antlpatro. Egli non lo sapendo ritorna


da Roma. Erode gf intima di comparire in giudizio.

1. Oltre a ciò Batillo ancora concorse a scoprire la


verità , e fu F ultima prova a convincer per vere le
(.rame d' Antipatro , di cui era liberto. Esso veniva con
seco un altro tossico , ed era composto di velen d' aspidi
e di bave d' altri serpenti ; onde , se il primo veleno
non bastava all' intento, di questo Ferora e sua moglie
s' armassero contro il re ; e per giunta del suo ardir
contro il padre produsse una lettera lavorata da Anti-
patro per la rovina de' suoi fratelli Arcbelao e Filippo
figliuoli del re , eli' educavansi in Roma fanciulli sì , ma
di spiriti assai generosi. Questi , che facean ombra alle
sue speranze , studiandosi Antipatro di levarsi dinanzi ,
egli finge contr' essi lettere a nome degli amici di Ro
ma , e gli amici di Roma trae con denari a scrivere ,
che i garzoni bestemmiavano spesso il padre , e a chiare
vori piagnevan la sorte d' Aiistobolo , e d'Alessandro ,
e avevano forte a male la lor chiamata : poiché già il
padre li richiamava , e ciò era , clic dava assai che
pensare ad Autipatro. Ancor prima della sua dipartenza,
quando trovavasi nella Giudea , comperava da Roma di
tali letiere contro i fratelli , e perché non cadesse so
spetto sopra di lui , andando sovente dal padre pren
deva a difenderli dille accuse or menzogne dicendole ,
di chi scriveva , ora colpe di gioventù.
LÌB. I. CAP. XXXf. t^Q

II. La prova poi , che poteva dare contro di lui il


tanto ed immenso denajo speso da lui a pagar gli scrit
tori contro i fratelli , s' ingegnò di confonderla col com
perar ch' egli fece al tempo medesimo robe di gran
valore , e tappeti vaghissimi , e bicchieri d' argento e
d' oro , e più altri arredi, perché tra 'l moltissimo speso
a tal fine si nascondessero le mercedi de' traditori. In
somma a dugento talenti montò la spesa da lui dinun-
ziata , e fornìgliene il più forte pretesto la causa contro
a Sìlleo.
III. Or mentre le sue magagne tutte allora più lievi
restavano dalla maggiore coperte quando e tutti gli esami
ad alta voce chiamavanlo parricida, e le lettere ultima
mente ancor fraticida , pure non v' ebbe persona delle
tante che andavano a Roma , la quale gli desse parte
delle avventure della Giudea , benché tra 'l convincerlo
reo e 'l suo ritornare da Roma andassero sette mesi.
Tanto era l' odio in che tutti l' avevano ; se non che
forse l' ombre degli uccisi fratelli turaron la bocca anco
a quelli , che avrebber voluto fargliene motto. Egli
adunque scrive la lieta nuova , che partirà quanto prima
da Roma , e che Cesare gli avea data onorevol licenza.
Il re impaziente d'aver nelle mani l'insidiatore, e, te
mendo , che forse antisaputolo non se ne guardasse ,
s' infinse ancor egli nella sua lettera pieno dì tenerezza
per lui , e confortavalo a venir prestamente ; che il suo
affrettare farebbegli por giù eziandio i disgusti , che re
cati gli avea sua madre ; giacché Antipatro non igno
rava lo scacciamento di lei. Prima però di questa avea
in Taranto ricevuta una lettera , che la morte portava-'
t5o DELLA GUERRA GIUDÀICA
gli di Ferora , e ne fece un gran piagnere ; il che fu
da parecchi , siccome si trattava d' un zio , commen
dato ; ma s' io non erro , quello scompiglio , che ne
mostrò , fu per lo andargli , che quindi facea fallito il
suo tradimento , e fu dolore di chi piagnea non Fero
ra , ma in lui un ministro. Gli era anche entrato nel—
l' animo qualche timore , sopra quanto trovavasi già di
compiuto , onde mai non seguisse , che fosse scoperto
il veleno.
IV. Ma ricevuta allora appunto la lettera , che ah-
biam detta dal padre in Cilicia , accelerò la sua gita.
Preso terra a Celenderi indovinandogli già il suo animo
di per se l' avvenire , le disavventure materne gli die
dero qualche pensiero. Quindi gli amici più accorti gli
suggerivano a non trovarsi prima col padre , che non
sapesse di certo il perché ei l' avesse cacciata ; temer
ossi forte , che non dovesse egli pure andar dietro per
giunta alle accuse di lei. Ma altri meno avveduti , e più
impazienti di rivedere la patria , che premurosi del bene
d' Antipatro lo consigliavano ad affrettare auche per
ciò , che la sua ritardanza non desse al padre occasione
di reo sospetto , e troppo agio a' calunniatori ; giacché,
se or si é fatto contro di lui movimento , egli é stato
certo nella sua lontananza; che, lui presente, non si
sarebbero arditi a tanto. Assurda cosa poi essere per
incerti sospetti rinunziare a un bene infallibile a se
guirne , e non ricondur piucché in fretta se stesso al
padre , e riceverne il regno j che appoggiato a lui solo
fortunpggiava.
V. A questo parere ei s' appiglia , perciocché il cielo
LIB. I. CAP. XXXI. t5t
Ve lo traeva ; e passando oltre dà fondo nel porto Se-
Inisto di Cesarea. Quivi trovòssi incontro , cosa per lui
stranissima , una gran solitudine , poiché tutti il fuggi
vano , e niuno osava d' approssimargli si , mentre tutti
1' odiavan del pari , che prima , ma l' odio allora aveva
libertà di prodursi , e molti s' erano colla volontà alie
nati da lui per timore del re , essendo la città tutta
quanta già piena di male voci dei fatti d' Antipatro ,
benché egli solo ignorasse ciò , che correva di se. Di
fatti, siccome persona non fu accompagnata con. più
splendore di lui , allor quando partì per Roma , cosi a
nessuno non furon mai fatte accoglienze peggiori ; . ed
egli già sospettava delle rivoluzioni domestiche ; con
tutto ciò astutamente fingeva , e sebben dentro morivasi
di paura , sfòrzavasi però di mostrare in viso franchezza.
Non v' era più luogo a fuggire , né scampo da' circo
stanti perigli. Nulla però di sicuro neppure in quel luogo
gli fu riportato da casa sua, attese le minacce fatte
correr dal re. Quindi restavagli una più lieta speranza,
che per ventura o non fosse venuto in campo ancor
nulla , o se pur l' era , l' avrebbe sventato colla sfac
ciatezza e coli' arte , uniche vie , che restavangli , di
salute.
VI. Guernitosi dunque di tal difesa , entrò nella reg
gia senza gli amici fino in sul primo vestibolo vergo
gnosamente rispinti. Trovavasi per ventura là entro Varo
governator della Siria. Vien egli adunque dinanzi al pa
dre , e fatto forza col suo ardire a se stesso gli si av
vicina , come per abbracciarlo. Quand' egli colle mani
distese verso di lui e col capo chino « ancor questo,
t5a DELLA GUERRA GIUDAICA

» gridò, bene sta in un parricida, volermi abbracciare


» con tanti delitti sulla coscienza. Va al diavolo , fior
» di ribaldo , né mi toccare , finché non ti sii rinetto
» de' tuoi misfatti. Io ti assegno un tribunale ed ut»
» giudice opportunamente veDUto , che é Varo. Or va,
» e pensa a prender qui domane le tue discolpe. Sì , io
» do ancor tempo a' tuoi artifizj ». A questi detti An-
tipatro non sapendo per lo sbalordimento , da cui fìi
preso , che si rispondere , andò. Trassero allora a nar
rargli tutte le prove avutesi contro di lui e la madre
e la moglie , e allor finalmente tornato in se stesso
pensò daddovero al come scolparsi.

Capitolo XXXII.

Antipatro accusato dinanzi a Varo e con manifestis


sime prove convinto. Erode ne differisce il supplizio
fino a ricoverata la sua salute , e intanto rifa il
testamento.

I. Il dì appresso raduna il re a consiglio i parenti e


gli amici , e vi chiama ancora gli amici d' Antipatro.
Egli insieme con Varo presiede al congresso, e coman
da, che traggano innanzi tutti gli accusatori, tra' quali
introdotti furono alcuni servi eziandio della madre d'An-
tìpatro, arrestati non avea molto, i quali recavau sue
lettere al figlio di tal tenore. « Poiché tuo padre ha
» scoperto ogni cosa , guarda di non venire a lui , se
» da Cesare non ottieni qualche gagliardo soccorso ».
Introdotti insieme cogli altri costoro, vien dentro Anti
li*, i. cap. xxxn. i5Ì
patro , il quale lasciatosi cader bocconi a' piedi del pa
dre « ti supplico, disse, o padre, che non giudichi di
» me anzi tempo, ma vogli prestare un orecchio disap-
» passionato alle mie discolpe , ch' io mostreròmmi in-
» noceute, se sì ti piace ».
II. Ma il padre impostogli ad alta voce silenzio , ri
voltosi a Varo disse: « che ancor tu, o Varo, ed ogni
» altro giudice incorrotto sia per sentenziare Antipatro
» degno di morte, io ne son più che certo. Ma temo,
» che te pur mova a sdegno la mia condizione , e me
» pur creda degno di tutte le traversìe dopo aver ge-
» nerati figliuoli di questa fatta. Ah no; ch'anzi perciò
» stesso mi si dee compassione in vedere , che verso per-
» sone così niquitose io fui padre tanto amorevole. Per-
» ciocché , quanto é a' primi , dopo creatili ancor gio-
» vinetti miei successori , e oltre l' educazione lor data
v» in Roma rendutili amici di Cesare, e oggetti d'invidia
» all' altre corone , in loro io scopersi due traditori , e
» morirono ; ma più per vantaggio d'Antipatro, al quale
» siccome ancor giovine e mio successore io cercava
» singolarmente di procacciar sicurezza ; ma la malnata
» bestia , ch' egli é , troppo pieno di mia pazienza fu
» stanco de' fatti miei : gli parve troppo lunga omai la
» mia vita , e da non più tollerarsi la mia vecchiaja ,
» né volle salire in trono , se non per mezzo d' un
» parricidio: e ben a ragione, perch'io col richiamarlo
» che fei dalla villa, ove l'avea rilegato, e col cacciare
» da me i figliuoli della regina mei dichiarai successore
» nel regno. Sì , io ti confesso , o Varo , la mia stot—
» tezza. Io provocai io medesimo contro di me quei
t54 DELLA GUERRA GIUDAICA
» figliuoli, col troncare, ch'io feci, le giuste lóro spe-
» ranze, in grazia d'Antipatro. In fatti ho io mai bene—
» ficati altrettanto quelli, quanto costui? Costui, ch'io
» feci vivendo ancora depositario , sto per dire , della
a mia autorità , e a chiare note nel testamento lasciai
» successore al mio regno , e d' una rendita particolare
i> fornii di cinquanta talenti , ed ho provveduto del mio
» a dovizia , e ultimamente nel suo viaggio a Roma
» accompagnai con trecento talenti , e a Cesare racco-
a mandai, come l'unico in tutta la famiglia reale, che
a avesse salvata la vita al padre ? Eppure furon mai
» quelli tanto empj e ingrati , come il fu Antipatro ?
» O si é mai contro loro prodotta tal prova , quale si
a é quella, che mostra costui traditore? Ma il parricida
» ha avuto l'ardire , sì, d'aprir bocca, e colle maligne
a sue arti novamente lusingasi di coprire la verità?
» Varo , a te sta il guardarti ; ch' io per me ben co-
a nosco la bestia , e da quest' ora antiveggo le palliate
» ragioni , ebe produrrà, e i finti gemiti, che metterà.
» Questi é colui , che già tempo mi consigliava di pren-
» dermi guardia d'Alessandro, finch' era vivo, e di non
» affidare ad ognuno la mia persona. Questi ch'entrava
» perfin nel mio letto , e tutto intorno cercava , se niun
» m'insidiasse. Questi il mio custode nel sonno, il sol—
» lievo ne' miei pensieri , la consolazion nella perdita
» degli uccisi figliuoli , il bilanciator dell' affetto , ebe
» mi portavano i vivi , il mio scudo , la mia difesa.
» Quando ricordomi , o Varo , paratamente delle sue
» astutezze e finzioni , mi pare incredibile , ch' io sia
» vivo , e maraviglio, come fuggito io mi sia dalle mani
LIb. I. CAP. XXXir. 1 55
» d'un traditor si coperto. Ma perciocchè qualche trista
» fortuna mi va disertando la casa, e sempre sollevami
» contro i più cari , io piagnerò il mio gravoso destino,
» e sulla mia solitudine sospirerò da me solo. No, non
» fia mai , che mi scappi di mano pur uno , ch' abhia
» sete del sangue mio , avvegnachè sopra lutti i miei
a figli si dilatasse l'accusa ». Mentre cosi diceva, la con-
fusion degli affelti gl' interruppe il parlare; e a Niccolò
un de' suoi confidenti ingiunse , che ne recasse le prove.
III. In quel mentre Antipatro alzato il capo, cosi co
me stava prosteso a' piedi del padre , cominciò a scia
mare. « Tu , padre , sì tu producesti le mie difese,
v Cotne io parricida , cui tu confessi d' aver mai scm-
» pre tenuto per tuo custode? Tu dai nome di ribal-
» daggitie e di finzione alla mia pietà. Come adunque
» se in ciò fingitore , fui poscia nel resto così mente-
» catto , che non pensai malagevole cosa essere , che
s si tenga nascosto agli occhi degli uomini un ma
il chinatore di tanta scelleratezza, a quelli poi del su-
» premo giudice, che tutto vede ed è dappertutto, im-
» possibile ? Forse ignorava la fin de' fratelli , cui Dio
>. punì in quel modo , che ognuno sa , de' lor tristi
» consigli contro di te? E qual fu quella cosa che sol-
» levòmmi contro di te? Speranza di regno? Ma io già
» regnava. Sospetto d' esserti in odio ? Ma non era io
» amato ? Qualch' altro timore di te ? Ma il conservare
» la tua persona rendeva la mia formidabile agli altri.
» Scarsità di denari ? Ma a chi mai era lecito di lar-
» ghPggiar più, che a me? Ah s' io fossi stato l'anima
» più disperata del mondo , e se un cuore m' avessi
t56 DELLA GUERRA filUDAlCA
» portato in petto da fiera indomabile , non mi sarei
» io renduto , o padre , a' tuoi benefizj ? Io , cui , come
a dicesti tu stesso, tornasti al tuo fianco, anteponesti ai
» figliuoli di tanto merito , dichiarasti durante tua vita
» signor del regno, e per innumerevoli altri favori ren-
» desti altrui invidiabile ? Me infelice ! Oh amara mia
» lontananza ! quanto agio ho io dito con essi all' in-
» vidia , e quanto tempo , a chi m insidiava ! Per te ,
» o padre, e per le tue liti m'allontanai, perché non
» avesse Silleo della tarda età tua a valersi in dispetto
» di te. Roma é testimone della mia pietà, e con essa
» il reggitore di tutta la terra Cesare , che mi chiamò
» spesse volte l' amante del padre. Eccoti, o padre , le
» sue lettere ; queste son ben più degne di fede , che
» le calunnie qui appostemi ; questi son gli argomenti ,
» di ch' io mi vaglio a mostrarti il mio amore. Ricor-
» diti , che mal volentieri io partiva , sapendo il reo
>» umore , che serpeggiava nascostamente pel regno con-
» tro di me. Ah tu , padre , senza volerlo , tu m' hai
» rovinato , sforzandomi a dare all' invidia tempo di
» calunniarmi. Viene sì viene per terre e per mari
» senza incontrar niun sinistro un parricida ; ma que-
» sto argomento per me non vai più. Sono accusato
» dinanzi a Dio , e dinanzi a te , o padre , e accusato
» io ti prego , che non dia fede ad esami altrui. Con-
» tro il mio capo si rivolgan le fiamme , per entro le
» mie viscere s' introducan le ruote , non s' abbia pietà
» de' lamenti d' un corpo fellone : se son parricida ,
» non debbo morir fuor de' tormenti ».
IV. Così gridando con omei e con lagrime eccitò a
LIE. I. CAP. XXXII. iSj
compassione di sé gli altri tutti , e Varo eziandio. Lo
sdegno però tenne Erode in mezzo agli altri immobile
al pianto ; che ben sapeva essere troppo vere le prove
contro del figlio. In questo ad un cenno , che il re
gliene fece , Niccolò premesse assai cose del malizioso
uomo , ch' era Antipatro , e spenta la compassione, che
s' era mossa di lui, indi diede cominciamento a un'ac
cusa amarissima , a sua colpa ascrivendo tutti i delitti
commessi nel regno , e particolarmente l' uccision dei
fratelli , mostrando , che s' eran morti , ciò si doveva
alle calunnie di lui ; perciocché , chi apprestato aveva
veleno al padre , come dovea tener lungi le man dai
fratelli ? Indi passato alle prove dell' anzidetto veleno ,
ne veniva per ordine recitando gi' indizj , e aggrandendo
con dolorose espressioni il rendere, che Antipatro fatto
avea fraticida Perora istesso , e corrotti i più cari , che
avesse il re, aver egli empiuta la casa tutta d'odiosi
eccessi. A queste aggiunte molt' altre cose e mostratele
ad evidenza , pon fine al suo dire.
V. Varo allora ingiunse ad Antipatro che si scolpasse,
ed egli con detto niente più , che « m' é Dio in testi-
» monio della mia innocenza » si pose a tacere. Erode
chiesto il veleno il dà bere a un de' prigioni condan
nati già nella testa; e mortone subitamente, Varo dopo
tenuto un secreto. colloquio con Erode, e scritto a Ce
sare l' avvenuto in quell' assemblea , indi a un giorno
partissi. Il re intanto mise in catene Autipatro, e spedì
a Cesare , chi l' informasse della sciagura.
VI. Dopo questo viene a notizia, che Antipatro in-<
sidiava alla vita ancor di Salome. Capitò un de' servi
t58 DELLA GUERRA GIUDAICA
d'Antifilo , che recava da Roma una lettera della fan
tesca di Giulia , che Acme avea nome. Costei scriveva
al re, che trovate ella aveva fra le scritture di Giulia
una lettera di Salome , cui per lo bene , che gli vo
leva, spedivagli furtivamente. Cotal lettera era uu com
posto di villanie atrocissime con una grave accusa con
tro del re. Questa fu Autipatro , che la finse, e che,
corrotta con oro Acme, l'indusse a spedirla ad Brode;
del che ehbesi convincente argomento da una sua lettera
stessa ad Antipatro ; perciocché la vii fante così scrive-
vagli: « ho scritto , come hai voluto, a tuo padre, e
» spedita gli ho quella lettera , ben persuasa , che il re
» non risparmierà neppur la sorella , quando abbiala
» Ietta. Or tu farai bene , se , tratta che sia a fine
» ogni cosa avrai memoria di tue promesse.
VII. Scoperta tal lettera e una con essa le trame
ordite contro Salome , cadde in pensiero al re , che le
lettere contro Alessandro ancor esse fossero una finzione.
Quinci grande oltremodo era il suo cordoglio per lo
pochissimo che vi mancò , che per colpa d' Antipatro
non uccidesse ancora Salome. Non volle adunque indu
giare più a lungo il gastigo di tutti (85) ; e già avea
l' animo volto ad Antipatro , ma una grave infermità
nel rattcnne. D'Acme però e delle sue frodi contro Sa-.
lome scrìsse una lettera a Cesare; e domandato il testa
mento cangiònne le disposizioni , e nominò Autipa (86)
suo successore , non si curando de' due più attempati
Archelao e Filippo , denigrati ancor essi da Antipatro.
Lasciò a Cesare compresi i regali in denari mille talenti,
alla moglie poi , a' figliuoli , agli amici , e liberti di lui
LIB. I. CAP. XXXII. i5g
cinquecento, o in quel torno. A tutti gli altri eziandio
ripartì molti beni che in terre e che in moneta. Ma
soprattutto magnifici furo i doni, di che onorò la sorella
Salome. Così, egli corresse il suo testamento.

Capitolo XXXIII.

E atterrata V aquila et oro. Crudeltà di Erode vicino


a morte. Tenta et uccidersi di sua mano. Ordina
che sia morto Antipatro. Indi a cinque giorni muore
ancor egli.

I. Frattanto egli ogni giorno più aggravava nella in


fermità , sopraggiuntagli addosso a infiacchirlo insieme
colla vecchiaja e malinconia ; perciocché egli era omai
presso ai settanta , e le disavventure de' suoi figliuoli gli
avevano oppresso l'animo di maniera, che neppur sano
avrebbe ammesso conforto. Una giunta alla sua malattia
era Antipatro ancor vivo , cui egli non debolmente , ma
quando fosse guarito , voleva morto davvero. Tra le sue
disgrazie entrò ancora una rivoluzion popolare. C'erano
due sofisti , in concetto di saputissimi nelle patrie leggi,
e però in sommo credito presso la nazion tuttaquanta.
Giuda figliuolo di Sarifeo chiamavasi l' uno , e l' altro
Mattia figliuolo di Margaloto. Questi nella sposizion
della legge avevano non pochi giovani per uditori , e
traevansi dietro ogni giorno un esercito di gioventù. Or
essi udendo allora , che il re tra per ismarrimento di
animo e per malattia s' andava a poco a poco strug
gendo , lasciaronsi uscir di bocca fra' lor confidenti , che
•t6o DELLA GUERRA GIUDAICA

questo appunto era il tempo adattatissimo a vendicare


l' onor di Dio , e sovvenir que' lavori , che s'erano fatti
a malgrado delle patrie lor leggi. Perciocché opporsi
alla legge l'esserci pivsso al Tempio o immagini, o volti,
o altr' opera , che il nome porti d' alcun animale ; e il
re aveva sopra là gran porta del Tempio innalzata un'a
quila d' oro , cui allor consigliavano i due sapienti, che
si togliesse di là , onorevole cosa dicendo essere , quau-
d' anche ci si corresse qualche pericolo , morir per le
patrie leggi ; che a chi moriva per tal cagione , stava
appresota una vita immortale e un sentimento perpetuo
del ben già fatto. Dove i codardi e della loro sapienza
mal pratichi, non sapendo quel che si facciati, aman di
vivere , e anziché una morte incontrata per la virtù ,
scelgon quella , che loro viene per malattia.
II. Mentre così dicevano , corse voce , che il re era
morto ; onde i giovani più francamente misero mano
al!' impresa. Di bel mezzo giorno adunque , e mentre
ancor molta gente si trovava nel Tempio , con grosse
funi collatisi giù dal tetto schiantaron di là con iscuri
quell' acquila d' oro. Il fatto fu di presente al luogote
nente del re dinunziato ; ed egli trattovi con una man
di soldati non piccola arrestò di que' giovani intorno a
quaranta , e menònnegli al re. Interrogati da lui pri
mamente , se furono arditi di demolire l'aquila d'oro,
risposer che sì : indi con che autorità , eoa quella sog
giunsero delle patrie leggi. Ma donde, ripigliò Erode,
tanta baldanza dovendo morire? Perché, ripigliarono,
dopo morte godremo di beni maggiori. A ^questo passo
il re dallo sdegno eccessivo , che il prese , renduto più
LIB. I. cap. xxxiii. 161
fòrte del male , che il travagliava , si presentò al par
lamento , e dopo un gran dire contro questi uomini co
me sacrileghi e sotto l' Ombra delle leggi macchinatori
di frodi più rilevanti , chiedeva che fosse lor dato il
gastigo degli empj. Il popolo , che temeva non forse
andasser più oltre gli esami , gli suggerì primamente ,
che i conduttor dell' impresa , indi i colti nell'atto stesso
di trarla a fine punisse , e a' restanti facesse remisaion
del lor fallo. Il re a stento vi si condusse , e coloro
che si collarono dall' alto , con esso i sofisti condannò
vivi al fuoco , e il rimanente degli arrestati diede da
ucciderli a' suoi giustizieri.
III. . Quinci un' infermità generale distesasi per tutto
il suo corpo il teneva occupato con varj dolori. Per
ciocché in lui era febbre non picciola , un pizzicore per
tutta la vita importabile, strazj continui di viscere, gon
fiagioni a' piedi , come da idropico ; di più infiamma
zione di ventre , e più sotto infradiciamento , che in
vermini degenerava. Oltre a questo un respiro difficile
ed interrotto , e un totale raggricchiamento della per
sona , talché la gente più spirituale e dabbene dicevano
questi mali venirgli tutti in vendetta de' due sofisti. Or
egli , tuttoché contrastasse ogni giorno con tanti tor
menti , pure cercava ogni mezzo per vivere , e lusinga-
vasi di guarire , e pensava a curarsi. Quindi passato il
Giordano usò i bagni caldi , che sono a Calliroe ; i
quali mettono capo nel lago detto Asfaltite , e per la
loro dolcezza son buoni da bere. Quivi paruto a' me
dici di doverne confortare le membra tutte con olio
caldo , appena calaronlo in una conca ripiena d' olio ,
Furio, t. VI. Delta G. G. t. J. H
t6a DEIXA GUERRA GIUDAICA
smarrì la vista , e come già morto, stralunò gli occhi.
Al gridare che i servi feciono aita, e' rinvenne , ma di
sperata oggimai la futura sua guarigione ingiunse , che
si ripartissero fra' soldati cinquanta dramme per ogni
capo , e più altri denari a' lor generali e agli amici.
VI. Egli intanto tornato indietro si rende in Gerico,
dove preso da una nerissima malinconia , sicché per poco
non minacciava la morte stessa , venne tant' oltre , che
meditò un' impresa bestiale. Perciocché radunati in quel
luogo, che chiamano Circo , tutti i personaggi più ri
spettabili d' ogni terra della Giudea ordinò , che ci fos
sero rinchiusi. Indi chiamati a sé la sorella Salome ed
Alesse di lei marito « io so , disse , che i Giudei fe-
» steggeran la mia morte ; posso però esser pianto per
» altre cagioni, ed averne un chiarissimo funerale,
» quando a voi piaccia di eseguire le mie commissioni.
». Questa gente , ch' ora si guarda rinchiusa , spirato
» ch' io sia , uccidetela tostamente , mediante i soldati ,
» co' quali la cignerete , affineché la Giudea tuttaquanta
» e ciascuna famiglia a suo marcio dispetto pianga per
» me ». Così egli lor commetteva , quando di Roma
gli vengon lettere de' suoi legati , per cui gli si dava
parte , che Acme per ordin di Cesare era stata uccisa ,
ed Antipatro da lui condannato alla morte. Aggiugnevan
però, che se il padre volesse punirlo sol coli' esigilo,
Cesare gliel consentiva. A queste novelle Erode si rac
consolò un tantino ; ma di nuovo , giacché lo straziava
l'inedia e una tosse convulsiva , vinto da' tanti spasimi
tentò di prevenire il destino ; e pigliata una mela chiese
altresì il coltello : poiché soleva dopo mondata da se
LIB. I. CAP. XXXIII. t63
mangiarlasi. Poi miratosi attorno , se niun poteva im
pedirlo , levò la destra, come per darsi un colpo. Ma
accorsovi Achiabo suo nipote afferrògli la mano , e il
rattenne.
V. Alzòssi allora un gran gemito per la reggia, come
se il re fosse morto , e uditolo tosto Antipatro fece
cuore , e tutto lieto pregava i custodi ( e promettevano
loro in mercede denari ) , che lo rimandassero sciolto
fuor di prigione. Ma il lor capitano non pur vi si op
pose , ma corse in fretta a dare contezza al re della
macchinazione. Erode mise una voce gagliarda più, che
la sua infermità non portava, e mandò di presente sue
guardie, che dessero morte ad Antipatro. Poi ordinato,
che si sotterrasse in Ircaiiia il cadavere, rifa il testamento
di nuovo , e chiama successore Archelao suo maggiore
figliuolo fratello d' Antipa , .ed Antipa lo fa tetrarca.
All'uccision del figliuolo sopravvissuto sol cinque giorni
sen muore dopo trentaquattr' anni , dacché , ucciso An
tigono , fu padróne assoluto del regno , e trentasette ,
dacché fu creato re da' Romani; uomo, che in ogn in
contro ebbe sempre , quant' altri mai , prosperevol for
tuna : egli in fatti per condizione uom privato si pro
cacciò il regno, e dopo tenutolo sì gran tempo il lasciò
a' proprj figli ; ma negli affari domestici fu altrettanto
sventuratissimo.
VI. Or, prima che la milizia ne risapesse la morte,
uscita fuor col marito Salome sciolse i prigioni , cui
aveva dal re incombenza d'uccidere, dicendo esso avere
cangiato pensiero e di nuovo volere , che ognuno sia
rimandato alle proprie terre. Partiti che furono , allora
l64 DELLA GUERRA GIUDAICA
manifestònne a' soldati la morte , e gli adunò a parla
mento con tutto il popolo nell' anfiteatro di Gerico.
Quivi levatosi in pie Tolomtneo , custode eziandio del
reale sigillò fa un elogio al re, e consola la moltitu
dine. Indi prende a recitare la lettera del defunto la
sciata a' soldati , in cui raccomandava lor lungamente ,
clie amassero il successore. Dopo la lettera spiegò il
testamento, e lo lesse, dove si dichiarava Filippo erede
della Traconitide e de' paesi circonvicini, Antipa, come
abbiamo già detto , tetrarca e re Archelao. A quest' ul
timo ingiunse di presentare a Cesare il suo sigillo , e
le distribuzioni del regno fermate con quello, perciocché
intendeva , che Cesare fosse padrone , di quanto egli
aveva disposto , e confermasse il suo testamento ; del
resto poi si dovesse stare alle prime sue volontà (87).
S'alzò allora concordemente un lietissimo , viva Arche
lao ; e i soldati a schiere con esso il popolo uscendo
de" loro posti gli giuraro la loro benivoglieuza , e pre-
garongli quella del cielo.
VII. Dopo questo rivolser l' animo a' funerali del re ,
né Archelao lasciò indietro cosa , che a renderli più
sontuosi si richiedesse. Per adornarne il cadavere trasse
fuori tutti gli arredi regali. La bara tutta era d' oro ,
tempestata di gemme, lo strato di porpora a più lavori,
e sopravi il corpo rinvolto in porpora ; d' intorno al
capo gli si avvolgeva il diadema (88) , colla corona di
oro sovr esso e lo scettro nella man destra. D' attorno
alla bara i figliuoli, e tutti intruppa i congiunti, dietro
a' quali le lance e la banda de' Traci , e i Tedeschi e
i Galli ordinati come a battaglia. Dietro loro veniva il
X.IB. I. CAP. XXXIII. l65

resto della milizia bene in arme, e condotta da' lor cai


pitani e tribuni. Seguivano cinquecento tra familiari e
liberti recanti profumi. Portato fu il corpo per dugento
stadj (89) Gno in Erodio , dov' ebbe secondo l' ultima
sua volontà sepoltura. Così l' attenentesi a Erode ebbe
fine.
iG6

DELLA STORIA

DELLA

GUERRA GIUDAICA
OSSIA

DELLA DISTRUZIONE DE' GIUDEI

LIBRO SECONDO.

Capitolo Primo.

Archelao per la morte d Erode dà un banchetto al


popolo. Indi levatasi a gran mmore la plebe , le
manda contro la soldatesca , e ne uccide intorno a
tremila.

I. Principio di nuovi disturbi per Archelao si fu il


dover egli rendersi in Roma necessariamente. Perciocché
pianto il padre per sette giorni , e dato al popolo un
DELLA GUERRA GIUDAICA LIB. II. CAP. I. «67

funerale banchetto sontuosissimo ( costumanza , che a


molti Giudei fu cagione d' impoverire , per lo mangiar
che si dava a un intero popolo ; né senza bisogno ;
mercecthé il lasciarlo a difetto recavasi di pietà ) ripi
glia le bianche vesti, ed entra nel Tempio accoltovi
con dimostrazioni moltiplici d' allegrezza dal popolo.
Quivi egli da un'alta aringhiera, e da un trono d'oro
trattata cortesemente la moltitudine li ringrazia sì del
l' affetto , che nel funerale del padre mostrarono , si
degli onori , che han fatti alla sua persona , quasi a re
già sicuro. Egli però rimanevasi per al presente d'eser
citarne la podestà, e d'assumerne il nome, finattanto
che Cesare dichiarato dal testamento signor di tutto
non gliene confermi la successione, e quantunque l'-eser-
cito colà in Gerico posto gli abbia il diadema in capo,
egli per or nol voleva. Ciò non ostante di questa loro
prontezza e benivoglienza saprà ben rendere alla milizia
del pari ed al popolo un pien guiderdone , quando da
chi lo puote fia raffermato sul trono. Perciocché studie-
rassi di comparire a' lor occhi in qualunque occorrenza
miglior del padre. Lieta di tali espressioni la plebe fe'
tosto prova con grandi inchieste , di che qualità animo
egli avesse. Mercecché altri gridavano , che scemasse le
imposte , altri che affatto levasse i tributi , e taluni ,
che ritornasse in libertà i prigioni; ed egli per cattivarsi
la moltitudine si - mostrò pronto a ogni cosa. Indi fatto
a Dio sagrifizio si mise a tavola cogli amici.
II. Ma verso la sera di questo medesimo giorno certi,
(e non erano pochi), che aspiravano a novitA, quando
il lutto comune sopra la morte del re fu cessato , die
l68 DELLA fiUERRA GIUDAICA
dero al proprio cominciamento, facendo di gran queri
monie sopra i puniti dal re in vendetta dell'aquila d'oro
per lor tolta via dalla porta del Tempio. Né taciturno
era il loro dolore , ma per tutto la città risonavano
chiari lamenti e compianti e lagrime manifeste, siccome
per gente, cui essi dicevano assassinata per cagion delle
patrie leggi e del Tempio : doversi , gridavano , vendi
care il lor sangue con quel di coloro, che s'eran ven
duti a' denari d'Erode; e prima d'ogni altra cosa volersi
rimuovere il gran Sacerdote creato da lui , e sceglierne
un più religioso e più puro. A queste proposizioni s' i-
nacerbò Archelao ; non però mise mano al gastigo , at
teso la fretta che avea di partire, temendo, che se ve
niva con quella moltitudine all' armi , il loro contrasto
nol trattenesse. Laonde più colle buone maniere inge-
gnavasi di comporre gli animi sollevati, che colla forza,
e per mezzo del suo generale , che vi mandò , li pre
gava a star cheti. Ma si fu questi appena innoltrato nel
Tempio , che i sediziosi , anziché proferisse parola , ne
-lo rispinsero colle sassate , e a quant' altri v' andarono
dopo lui per sedarli ( e Archelao ne mandò loro pa
recchi ) risposero sempre con disdegnose maniere , e
vedovasi apertamente, che se guadagnassero a lor favore
la moltitudine , non si terrebbero solo in parole.
III. In questo stante venuta la festa degli azzimi (Pa
squa si chiama presso i Giudei), giorno d'una quantità
assai grande di sagrifizj, mentre da tutti intorno i paesi
della provincia traeva un immenso popolo agli esercizj
di religione , i piagnitor de' sofisti stavan raccolti nel
Tempio cercando esca alla lor ribellione. Del che en
LIB. II. CÀP. I. 169
trato in qualche pensiero Archelao , anziché in tutto il
popolo s'apprendesse la rea infezione, spedisce con una
compagnia un tribuno , e spenga ancor colla forza i
principi di quel sollevamento. Ma contro a questi s' ac
cese tutta la moltitudine , che co' sassi uccise la parte
maggior de' soldati, e il tribuno ferito fuggissi con salva
a stento la vita. Indi , come se nessun male fosse avve
nuto , si volsero a' sagriQzj. Archelao però chiaramente
vedeva, che senza sangue non era oggimai più possibile
raffrenare la moltitudine ; onde le manda sopra tutto il
suo esercito, la fanteria in un corpo per la città, e per
la campagna i cavalli; che giunti loro addosso improv
viso , mentre sagrificavano , ne fanno un macello d' in
torno a tremila , e il restante del popolo sparpagliassi
per entro le vicine montagne. Ma tennero loro dietro
i banditor d' Archelao con ordine , che ciascuno si ri
tirasse in sua casa , e tutti abbandonata la festa n an
darono.

Capitolo II.

Archelao con gran moltitudine di congiunti va a


Roma. Ivi accusato da Antipatro presso Augusto
ne parte assoluto mercé di Niccolò, che il difende.

I. Egli poi colla madre e gli amici Popla , Niccolò ,


e Tolommeo prende la via del mare , lasciata a Filippo
la cura del regno e il pensiero de' suoi privati interessi.
Gli si accompagnò coi figliuoli Salome , e vennero con
essa i fratelli del re e i congiunti , in apparenza per
1^0 BELLA GUERRA GIUDAICA

ispalleg giare Archelao a ottenere la successione nel re


gno , ma in sostanza per accusarlo delle profanazioni
commesse nel Tempio.
II. S' avviene in loro presso di Cesarea Sabino pro
curatore della Siria , che andava in Giudea per tenere
sotto guardia il denajo di Erode. Ma fégli divieto d' ire
più oltre Varo , che lo raggiunse, chiamatovi da Ar
chelao , che per mezzo di Tolommeo caldamente ne Io
pregò. Sabino adunque per condiscendere a "Varo né si
die fretta per ora d' occupare le fortezze , né chiuse ad
Archelao i tesori paterni ; e promise , che a muoversi
aspetterebbe la decisione di Cesare. Intanto si fermò in
Cesarea. Ma appena de' due , che gli si opponevano ,
I' un si fu mosso verso Antiochia , e l' altro cioé Ar
chelao incamminato alla volta di Roma , senza più spin
tosi a Gerusalemme prende la regia ; e mandato pe' ca
stellani ed economi regj tentò di sapere , a che somma
montasse il denajo , e d' avere in sua mano le fortezze.
Ma i castellani non dimenticarono le commissioni di Ar
chelao , e tutte le custodirono lealmente , recandone per
ragione il risguardo che avevano più per Cesare che
per Archelao.
III. In questa nasce per Archelao una nuova opposi
zione dal lato di Antipa , che gli mette in disputa il
regno, e pretende, che più del secondo testamento abbia,
ad esser valevole il primo, in cui egli era chiamato re.
Salome e con essa molti congiunti , che navigavano in
compagnia d' Archelao , gli avevano già impromesso di
spalleggiarlo. Conduceva egli seco la madre , e To
lommeo fratello di Niccolò , parendogli , che dovesse
ira. ii. eA*, ii. 171
dar qualche peso alla sua parte il gran credito , in che
egli era stato appo Erode, il quale mai non avea d'altro
amico avuta la stima , che di lui. Il più però della sua fi
danza l'avea riposta nell' oratore Ireneo, per l' uomo della
gagliarda eloquenza , ch' egli era , mediante il quale avea
smossi fino a coloro , che persuadevanlo , attesa l' età
più avanzata e il posterior testamento, a cedere ad Ar
chelao. In Roma poi si rivolse a sostenerlo il furore di
tutti i pai-enti, i quali guardavano con mal occhio Ar
chelao. Soprattutto però ciascun d' essi bramava di reg
gersi colle proprie leggi sotto il governo d' un presidente
romano ; che se questa brama tornasse lor vana , inten
devano , che il re loro fosse Antipa. A questo ajutavali
ancor Sabino colle sue lettere , nelle quali accusava Ar
chelao , e ad Antipa dava gran lodi. Adunque la fazione
di Salome , uniti tutti in un solo volume i delitti del
l' avversario , lo diedero in mano a Cesare ; e dopo essi
Archelao gli mauda per Tolommeo i capi delle sue ra
gioni scritte di propria mano , e con essi l' anello del
padre , e i conti dell' amministrazione passata. Cesare
considerate tra se e se le ragioni d' ambe le parti , e
la grandezza del regno , e la quantità delle rendite , e
oltre a questo la numerosa famiglia , ch' era quella d' E-
rode , e letto ciò , che da Varo e Sabino de' fatti loro
sì era scritto , chiamò ad assemblea i senatori romani ,
ove fece sedere la prima volta Gajo nato d' Agrippa e
di Giulia sorella sua , e suo figliuolo adottivo , e die
alle parti campo di ragionare.
IV. Allora Antipatro figliuolo di Salome , il dicitore
più gagliardo , ch' avessero gli avversarj d' Archelao , rit
iy% BELLA GUERRA GIUDAICA

tosi in pie cominciò ad accusarlo dicendo, ch' ora a pa


role metteva a partito Archelao il suo regno; ma ai fatti
già era re da gran tempo ; ed era beffe , ch' ei si faceva
di Cesare., il voler presentemente, ch' ei l'oda ; quando
in riguardo della sua successione aspettata non ne ha la
sentenza ; se pur egli é vero , com' é verissimo , che
morto Erode e' mandò di soppiatto persone già con lui
convenute , che gli ponessero in capo il diadema , e se
dutosi in trono colle maniere proprie d' un re , cangiato
l' ordine della milizia , e promossi altri gratuitamente ai
posti maggiori , inoltre renduto il popolo pago di tutto
ciò , che potessero mai sperare da un re , e ritornata
alla loro libertà , gente per sommi delitti messa in. ca
tene dal padre , ora viene a chiedere , da chi n é pa
drone, l' ombra del regno dopo involatone di per se il
corpo, rendendo Cesare non di sustanziali cose signore,
ma sol di vocaboli. Opponevagli ancora, che il suo do
lore pel morto padre fu tutto infinto , acconciandosi egli
fra giorno il volto in portamento d' addolorato ; e im-
briacandosi poi la notte fino a gozzovigliare , onde disse
esser nato il romore del popolo per lo sdegno , che ne
sentì. Tutto il nerbo poi del suo dire rivolselo a quei
moltissimi , che assassinati furono nel Tempio , i quali
venuti per festeggiare , appie delle stesse loro vittime ri
masero barbaramente scannati , e a tanto s' ammontaron
nel Tempio i cadaveri quanto fatto non avrebbero nep
pure armi straniere venuteci addosso improvviso. Di questo
crudele suo animo certamente presago anche il padre non
lo credette neppur da tanto , che lasciargli potesse spe
ranza di regno , se non allora , che infermo peggio di
LIB. II. CAP. Ii. Ij3
animo che di corpo non era capevole d'un diritto pen
siero , né più sapeva , che si lasciasse nel secondo suo
testamento per successore; il che non può dirsi del primo
fatto da lui , quand' era vegeto della persona ? e aveva
la mente scevra d' ogni passione. Che se altri vorrà, che
più vaglia il giudizio d' un uomo già mezzo fuori dei
gangheri , sarà sempre vero , che di per se Archelao si
è renduto immeritevole di regnare colle scelleratezze
commesse in distrazione del regno. Che bestia d' uomo
sarà mai egli , avuto da Cesare il regno , se prima di
averlo ha tolto del mondo tante persone ? Dopo molte
altre cose di tal tenore Antipatro , e dopo citati moltis
simi de' congiunti a testimoniare ad una per una tutte
le aceuse a lui date pon fine al suo dire.
V. Allora alzasi Niccolò a favor d'Archelao, e quanto
si é alla stragge commessa nel Tempio , la mostrò ne
cessaria , perché gli uccisi essere stati gente nimica non
pur del regno , ma di Cesare istesso , ch' ora Io giudi
cava. Degli altri misfatti poi fece chiaro conoscere , che
gli stessi accusatori ne furono i consiglieri. Certo il se
condo testamento chiedeva che fosse valevole per ciò
singolarmente , che quivi lasciavasi in balìa di Cesare la
conferma del successore. Di fatto chi aveva tanto senno
da porre in mano al Signore dell' universo la sua auto
rità , no non era possibile , che in determinare Y erede
sgarrasse; e ben con tutto il suo senno in capo nomi
nava altresì il successore, chi ben conosceva colui, pel
cui mezzo doveva quegli succedere alla sua persona.
Così toccati ancor Niccolò tutti i punti , Archelao senza
più fattosi innanzi , ginocchione si prostra appiedi di Ce.
174 DELLA OTTERRÀ GIUDAICA
sare , il quale col molto cortesemente rizzarlo , eh' ei
fece , dichiaròllo ben meritevole del retaggio paterno ;
ma non per questo e' decise niente di certo. Indi licen
ziata per quel dì l' assemblea prese a meditar seco stesso ,
che stesse meglio di fare , o costituir successore un dei
tanti , che nominavansi da' testamenti , o dividere tra le
persone della famiglia gli stati; giacché la molta gente,
ch' essi erano , parea abbisognasse d' ajuto.

Capitolo III.

Appiccano gran battaglia i Giudei co soldati di Sabino ;


grande macello di gente in Gerusalemme.

I. Ma primaché Cesare si risolvesse a niun de' pro


posti partiti , Maltace madre d' Archelao per infermità
sopraggiuntale viene a morte. In questo mezzo capitò dalla
Siria un dispaccio di Varo , che portava i romori dei
Giudei , cui egli ben prevedendo , dopo partito Archelao,
era andato a Gerusalemme per raffrenare gi' inquieti ; ma
poiché avvisavasi troppo bene , che la nazione non era
disposta a rabbonacciarsi , lasciò in città una delle tre
legioni, che seco menate ci avea dalla Siria. Egli intanto
rendettesi in Antiochia.
II, Sopraggiunto però poco appresso Sabino die loro
occasione di ribellare. Perciocché astrigneva i castellani
a rendergli le fortezze , e troppo acerbe indagazioni fa
ceva del reale denajo , affidato non pure nella milizia
lasciata colà da Varo, ma ancor negli schiavi propri mol
tissimi , di cui bene armati valevasi per ministri di sua
LIB. II. ckr. HI. 1^5
prepotenza. Ora venuta la Pentecoste, (cosi chiamano
una solennità i Giudei, che ricorre dopo sette settimane,
e dal numero delle giornate trae il suo nome ) , non la
solita divozione convocò il popolo , ma Io sdegno. Tras-
seci dunque una moltitudine immensa dalla Galilea , dal
l' ld unica , da Gerico , e dalle contrade di là dal Gior
dano. Avanzava però tuttiquanti e in numero di per
sone e in bravura il popolo propriamente delta Giudea.
Ora rssi ripartitisi tutti in tre corpi si posero separata
mente in tre luoghi a campo , gli uni dal lato setten
trionale del Tempio , gli altri dal meridionale di verso
. il circo, e i terzi presso la reggia a ponente. Chiuse in
tal modo pertuito intorno le vie tenevano assediati i Ro
mani.
IH. Sabino atterrito alla loro moltitudine non meno
che al loro coraggio mandava continuo persone a Varo,
che lo scongiurassero a dargli ajuto ben presto ; s' egli
indugia più oltre , la legione va a fi! di spada. Egli in
tanto salito sopra un' altissima torre del forte , il quale
chia nmasi Fasaelo, nome venutole da un fratello di Erode
ucciso da' Parti , stava di colà accennando ai soldati della
legione, che s'affrontassero cogl' inimici; mentr' egli per
lo spavento non si arrischiava di scendere neppure fra i
suoi. Mossi i soldati a' suoi cenni si lanciano dentro il
Tempio, e appiccano co' Giudei una zuffa ostinata; nella
quale finché non si fece niuno a rispignerli da luogo
più alto , essi colla loro perizia sorpassavano la moltitu
dine de' combàttenti ; ma dappoiché saliti molti Giudei
sopra i portici li ferivano in capo co' dardi , assai re-
staronvi uccisi , perciocché né il difendersi contro chi li
I76 DELLA GUERRA GIUDAICA

colpiva dall' alto , né il sostenere chi seco battevasi a


corpo a corpo era agevole impresa. Travagliati adunque
per ogni parte mettono fuoco ai portici, opera per gran
dezza del pari , che per magnificenza ammirabile. Quelli
pertanto dalle nimiche fiamme subitamente assaliti in
gran parte lasciaronci dentro la vita , molti poi lancia
tisi in mezzo a' nimici perirono di lor mano, altri cad
dero precipitando dal muro al di dietro , parecchi di
sperato lo scampo col proprio ferro prevennero il fuoco.
Quelli poi , che calati giù da' muri a gran pena assa-
saliro i Romani , per lo spavento , ond' eran compresi ,
era facile cosa il pigliarli ; finché parte uccisi , e parte
dispersi qua e là dal timore , la soldatesca avventòssi
sopra il tesoro di Dio abbandonato , e rapìnne da quat
trocento talenti , raccolto poi da Sabino il restante , che
non fu involato.
IV. Ma a' Giudei la perdita degli averi non meno ,
che delle persone aggiunse coraggio a levarsi in maggior
quantità e con più forza contro i Romani , cui circondati
dentro la reggia minacciavano di trucidarli tutti quanti
erano colà entro , se quanto prima non la votassero ;
promettevano però sicurezza a Sabino, quando uscir ne
volesse colla legione. Spalleggiava i Giudei la più parte
de' regj , che si erano spontaneamente gettati dalla loro
banda. Il corpo però più valente e battaglieresco consi
stente in tremila Sebasteni sotto la condotta di Rufo e
Grato ( questi aveva soggetta la real fanteria , e Rufo
guidava la cavalleria ; l' uno e l' altro anco senza le
forze , che stavano a' loro cenni , per bravura e per
senno , che sono i cardini della guerra , degno di sti-
LIO. II. CAP. Iti. I77

ma ) , s' aggiunse ai Romani. I Giudei dunque strigne-


vano più gagliardamente a assedio le mura , tentando
ad un' ora medesima la fortezza , e gridando a que' di
Sabino , che sen' andassero , né volessero loro impedire
l'uso libero delle patrie leggi, che si godevano da gran
tempo. Veramente a Sabino ogn' ora parea mill' anni di
levarsi di là; ma le promesse parevangli degne di poca
fede; e sotto la loro clemenza sospettava, che s'ascon
desse anzi un' esca per trappolarlo: al che aggiugnendosi
la speranza d' essere sovvenuto da Varo portava pazien
temente l' assedio.

Capitolo IV,

.Ammutinamento de Veterani di Erode. Ladronecci


di Giuda. Simone e Atr&nee si usurpano il nome
di re.

I. In questo anche ne' circonvicini paesi da molte parti


nacquero sollevazioni , e il tempo opportuno , che quello
era , fece nascere in cuore a parecchi voglia di regno.
E primieramente due mila nell' Idumea de' soldati vete
rani di Erode raccoltisi bene in arme sotto un sol capo
davano che fare a' regj , coi quali faceva lor fronte da
luoghi guarnitissimi Achiabo nipote del re , che schivava
di seco loro azzuffarsi nelle pianure,
II. Frattanto in Seffori di Galilea Giuda figliuolo del
capobandito Ezechia , che die un tempo gran guasto al
paese , e fu dal re Erode fatto prigione , adunato un corpo
non dispregevol di gente, rompe le reali armerie, e ar-
FtArw, t. VI. Detta G. G. t. I. 12
1 7^ DELLA GUERRA GIUDAICA

matine bene i suoi faceva man bassa contro chiunque gli


contendeva la signorìa. Anco di là dal Giordano non so
«pai Simone un degli schiavi di corte affidato nell' av-*
venente e grande persona, ch'esso era si mette in cnpo
il diadema ; e con que' masnadieri , che avea raccolti ,
.correndo il paese abbrucia il palazzo reale di Gerico ,
e più altre abitazioni magnifiche , agevolmente trovando
di mezzo alle fiamme che involare, e avrebbe ben presto
consunta col fuoco ogni cosa un po' orrevole , se Grato
generale della real fanterìa , presi seco i balestrieri Tra
coniti col fiore de' Sebasteni . non si fosse opposto a quel
mascalzone. De' fanti adunque perirono una gran parte
in sul campo ; e allo stesso Simone ? che si fug
giva per entro una valle scoscesa Grato tagliò la via,
e mentre correva , feritolo pel traverso alla nuca lo
batté morto in taira.
IH. A fuoco e a fiamma andò ancora la reggia presso
al Giordano non lungi da Amata , colpa d1 una ribel
lione , che mosser cent' altri d' olire il Giordano. Al
lora anche un pastore fu ardito d' aspirare al regno.
Atronge si nominava costui. Incoraggivanlo a tale spe
ranza la gagliardia delle membra, e il suo animo , che
non intimidiva per morte. A tutto questo aggiugne-
vansi quattro fratelli a lui somiglianti. Ognuno d' essi
con una mano di gente armata , che avevano ricetta
da lui , lo servivano come di capitani e soprantendenti
alle scorrerie, mentr'egli siccome re attendeva agli af
fari più gravi. Allora e1 si mise in capo il diadema ,
e proseguì lungo tempo appresso a guastare coi suoi
fratelli il paese. La prima cosa , che avean proposto
LIE. II. CAP. IV. 17!)
di fare , si fu veramente d' uccidere senza risguardo e
Romani e regj ; non v' ebbe però Giudeo , che fuggisse
lor dalle mani . quando lor capitava con isperanza di
trarne guadagno. Anzi egli s' arrischiò una volta di chiu
dere in mezzo colla sua gente una compagnia di Ro
mani vicino ad Emmaus ; i quali trasportavano alla le
gione viveri ed armi. Passarono dunque a fil di spada
Ario lor centurione e quaranta de' più valorosi , e i ri
manenti . che si vedevano al rischio medesimo de' com
pagni , mercé di Grato , che trasse co' suoi Sebaste» i
a soccorrerli, furon salvi. Trattati così molte volte, du
rante la guerra, que'del paese non meno, che gli stra
nieri , tre di loro col tempo furono fatti prigioni , il
maggiore da Archelao , e i due altri , che gli venivano
dietro , da Grato e da Tolommeo , a cui diedero nelle
mani , e il quarto sotto fede rendettesi ad Archelao.
Questa si fu la fine , che fecero poi costoro ; ma in
tanto infestarono la Giudea tuttaquanta con una guerra
di ruberie.

CarnoLO V.

JraTo accheta i Giudei sediziosi ,


de quali mette in croce intorno a duemila.

I. Or Varo al ricever che fece le lettere di Sabino


e de' capitani , cominciò a temere della legion tutta
quanta, e ad allestirne frettolosamente il soccorso. Con
esso adunque le due legioni , che gli restavano , e con
le quattro bande di cavalleria, ch'eran seco, mosse alla
18o DELLA GUERRA GIUDAICA

volta di Tolomaide, con ordine, ch'ivi medesimo sas-J


sembrasser le truppe ausiliarie de' re e baroni della pro
vincia. Ebbe ancor da' Beriti passando per la loro città
mille e cinquecepto soldati. Or, come in Tolomaide gii
si presentò innanzi con tutta la moltitudine degli alleati
anco Areta l' arabo , che pel suo mal animo contro E—
rode vk trasse con una armata non picciola di cavalli e
di fanti , si mandò tostamente una poraion dell' esercito
in quella parte di Galilea , che confina con Tolomaide,
e ne die la condotta a Gajo un de' suoi confidenti ; il
quale e volse in fuga , quanti gli si feciono incontro ,
e presa Seffori die la città alle fiamme , e menonne
schiavi gli abitatori,
II. Varo poi con tutte seco le sue forze innoltratosì
presso a Samaria non diede punto molestia alla terra ,
perché trovòlla io mezzo a' romori altrui quietissima , e
si pose a campo vicino d' un borgo chiamato Aruute
posseduto da Tolommeo , e perciò saccheggiato dagli
Arabi , che infuriavano fin contro agli amici d' Erode.
Di qui passa a Samfo altra borgo assai forte, cui simil
mente misero a ruba oon quant' altre sostanze diedero
lor nelle mani. Ogni cosa era piena di fuoco e di san- .
gue , e alla rapacità degli Arabi non ci aveva persona,
che oppor si potesse. Preda fu delle fiamme ancor Em-
maus abbandonata da'suoi abitanti; e così ingiunse Varo
in vendetta del sangue d' Ario , e de' suoi colà sparso.
Di qui presentatosi a Gerusalemme , al primo vederlo
colle sue forze i Giudei colà intorno accampati si dile
guarono , e parte fuggirono per le campagne , e que' ,
che il ricolsero abitatori della città s ingegnarono di
tre. ii. càp. v. 181
gettarsi d'addosso la colpa della ribellione dicendo, non
aver essi fatto verun movimento , ma solo accolta per
camion della festa , che necessariamente il voleva, la
moltitudine , ed essere stati più presto assediati insiem
co' Romani , che aver co' ribelli fatta lor guerra. Ven
targli incontro Giuseppe cugin d' Archelao , e Grato
con Rufo traentisi dietro insiem colle truppe reali i Se-
basteni e la legione romana adorna secondo il suo pro
prio costume''; dacché Sabino senza pur sostenere la
vista di Varo era uscito sollecitamente della città verso i
il mare. Intanto Varo spedì una parte delle sue truppe
per la campagna in cerca de' capi di quel tumulto ; e
trattigliene molti innanzi, que'che parevano men rivol
tosi , tenne prigioni j e i più rei s ch' erano intorno a
duemila , sospese in croce.
IH. In questo egli fu avvisato , che nell' Idumeà si
tenevano per ancora in arme diecimila persone. Or esso
veduto , che gli Arabi non si portavano da alleati , ma
nel militare seguivano il lor capriccio , e per nimicizia
che avevano con Erode, contro il suo stesso volere mal
menavano la provincia , die loro congedo ; e sol colle
proprie legioni mosse oontro i ribelli ; i quali anziché
si venisse alle prese , per consiglio d' Achiabo rendet-
tono le lor persone. Varo , perdonata alla moltitudine
là lor colpa , spedinne a Cesare i capi , perché li met
tesse all' esame. Cesare fece grazia agli altri ; ma alcuni
congiunti del re ( perciocché seco Joro aveva degli atte-
nentisi a Erode per sangue) volle che fossero gastigati,
per aver mosse P armi contro del re. Così Varo comi
posti gli affari in Gerusalemme , e lasciataci novamente
la prima legione al presidio , tornò in Antiochia*
l82 DELLA GUERRA GIUDAICA

Capitolo VI.

/ Giudei accusano Archelao, e chieggono governato ri


romani. Sono esauditi. Cesare distribuisce a figliuoli
d! Erode gli averi paterni giusta il volere del padre.

I. Ma in Roma si preparò ad Archelao un' altra lite


ila sostenere contro i Giudei, i quali prima della ribel
lione per consentimento di Varo venuti erano ambascia-
dori per la libertà della loro nazione. Cinquanta furono
le persone perciò venute, a' quali s'aggiunsero da otto
mila di que' Giudei , ebe abitavano in Roma. Raccolti
dunque a consiglio da Cesare i principali Romani e gli
amici nel tempio d'Apollo sul Palatino, fabbrica da lui
a private sue spese eretta , e con ammirabile magniG-
cenza adornata , si presentò da una parte cogli amba-
sciadori la moltitudine de' Giudei, e dall'altra Archelao
cogli amici. I suoi congiunti in (i) gran parte né del
l'una fazione esser vollero né dell'altra; non di questa,
perché l' odio e l' invidia , che si covavano contro Ar
chelao, non pativa che comparissero a suo favore; non
di quella , perché vergognavansi d' esser veduti da Ce
sare tra gli accusatori d' un loro congiunto. Oltre a questi
comparve ancora Filippo fratel d' Archelao con buon
fine spedito sollecitamente da Varo per due cagioni , e
perché sostenesse Archelao , e perché se Cesare ripar
tisse fra i discendenti d' Erode le sue sostanze, toccasse
anche a lui qualche parte d' eredità. Or data licenza
agli accusatori di esporre i delitti di Erode si fecero
LIB. II. CAP. VI. IOÒ

primieramente dal dire , che in lui non un re , ma


aveva n provato il più crudo tiranno, di quanti avessero
mai fino allora tiranneggiata la terra. Dopo una quantità
assai grande di genie da lui uccisa, que', che rimasero,
aver tali cose e tante da lui sofferte , che a' morti in
vidiavano il loro st;ito ; perciocché non solo aver egli
straziati i corpi de' sudditi , ma le intere città eziandio.
Lui aver disformate le proprie , abbellite quelle degli
stranieri ; e a nazioni di fuori donato il sangue della
Giudea. In cambio poi dell' antica felicità e delle patrie
leggi la nazione sommersa nella miseria e nell' ultime
scelleratezze. In somma aver più sciagure patite i Giu
dei in pochi anni da Erode , che non soffersonne i lor
maggiori tornati , regnante Serse , da Babilonia in tutto
il tempo , che dalla loro liberazione andò fino allora.
Eppure a tanta meschinità essi vennero e debolezza di
spirito, che volontariamente sostennero il prolongamento
della lor servitù dolorosa; anzi prontamente acclamarono
re Archelao figliuolo d' un tal tiranno , spirato che fu
il padre , e compiansero seco la morte d' Erode , e fe
cero orazione pel successore ; il quale come se s' inge
gnasse di non parere illegittimo figlio d' Erode , diede
cominciamento al suo regno col macello di tremila cit
tadini. Tante furon le vittime, che offrì a Dio in rin
graziamento del regno ottenuto; e tanti furo i cadaveri,
di che riempi il Tempio in giorno solenne. Ben a ra
gion dunque coloro, che sopravvissero a tanti mali, han
dato una volta un' occhiata alle loro sventure , e vo
gliono , come in guerra si suole , ricevere le ferite nel
viso. Pregan pertanto i Romani , che sentan pietà degli
1 84 DELLA GUÈRRA GIUDAICA
avanzi della Giudea ; né quel , eli' or d' essa rimane ,-
gettino in braccio a persone , che adoprano barbara—
niente. Uniscano le lor terre alla Sirla , e dianle a reg
gere a' governatori romani. Cosi mostreràssi , se quelli ,
ch' or sono accusati per rivoltosi e nimici , sappiano
soggettarsi a reggitori discreti. In tal modo i Giudei
passarono a terminare con questa preghiera la loro
accusa.
IL Indi rizzatosi Nicolò sciolse prima le accuse , che
s' apponevano a' re : poscia prese a incaricar la nazione
d'intrattabile naturalmente e caparbia contro i regnanti.
Alla fine involse nelle accuse medesime que' congiunti
d' Archelao , che s' eran dati a seguire le parti degli
accusatori.
III. Cesare , udite le ragioni degli uni e degli altri ,
per ora licenziò l'assemblea. Indi a pochi giorni concede
metà del regno ad Archelao col titolo di signore (2) ,
e colla promessa di farlo ancor re , quand'egli dia prove
di meritarlo. L'altra metà riparlilla in due tetrarchie ,
e le diede a' due altri figliuoli d' Erode , l' una cioé a
Filippo, e l'altra a quell' Antipa, che disputò con Ar
chelao del regno. Ad esso dunque fu soggettato il paese
di là dal Giordano , e la Galilea , che rendevangli da
dugento talenti. La Batanea poi , la Traconitide Aura-
.nite, e alcune parti della facoltà di Zenone, e i con
torni (3) di Giamnia, che davan di rendita cento talenti,
furo assegnate a Filippo. Alla signoria poi d'Archelao
appartenevano l' Idumea , la Giudea tutta , e la Sama
ri tide , a cui rilasciata fu de' tributi la quarta parte in
premio di non avere cogli altri mossa ribellione. Le cit
LIB. II. CAP. V1. t85
tà, ch'ebbe suddite, furono la Torre di Stratone, Se
baste , Gioppe e Gerusalemme , poiché le grechesche ,
Gaza vo' dire , Gadara , ed Ippo smembrate dal regno
unìlle alla Siria. Quattrocento talenti fruttavano ad Ar
chelao i paesi a lui dati. Salome poi, oltre quanto ave-
vaie il re lasciato nel testamento , fu creata signora di
Giamnia , d' Azoto e di Fasaelide , e Cesar? le donò
la reggia eziandio d' Ascalona. Da tutto questo ella ri
traeva di rendita sessanta talenti. I suoi siati però furono
sottomessi alla signoria d' Archelao. Cosi lutti gli altri
appartenenti per sangue ad Erode ottennero, quanto egli
aveva loro lasciato nel testamento : e alle due vergini
sue figliuole Cesare oltre quello , che lor si veniva ,
donò (4) cinquecentomila dramme d'argento, e mantèlle
a' figliuoli di Ferora. Diviso il patrimonio d' Erode ,
Cesare ripartì tra' figliuoli di lui, quanto Eroce gli aveva
lasciato in dono , che alla somma montava li mille ta
lenti , tenuti per se alcuni arredi di nessun pregio per
fare onore al defunto.

Capitolo VII.

Avventure del fin1o Alessandro. Esigilo 1" Archelao ,


e morie di Glafira ; /' uno e V altra awisatine pri
ma da un sogno.

I. In questo mentre un non so qual gicvinotto, giu


deo di nascita , ma cresciuto in Sidone presso un liberto
romano (5), per la somiglianza delle fattezze infingen
dosi l' Alessandro ucciso da Erode sea venne a Roma
1 86 DELLA GUERRA GIUDAICA
sperando di starci entro nascoso felicemente. Ajulavalo
in questo un suo nazionale sperassimo nelle cose del
regno , da cui imboccato andava dicendo , che i giusti
zieri spediti ad uccider lui e Aristobolo per compassio
ne , che n' ebbero , li salvar d*lla morte sustituendo in
lor luogo persone , che li somigliavano. Con tai dicerie
incantati i Giudei di Creta , e avutone un lauto prov
vedimento passò a Melo , ove fatta una colta di lunga
mano più abbondevole per la probabilità troppo grande
degli argomenti , che produceva, condusse i suoi ospiti
a venir seco perfino a Roma. Preso terra a Pozzuoli
ebbe da' Giudei di colà d' ogni fatta presenti , e non
altrimenti che re fu accompagnato dagli amici paterni.
In somma giunse la somiglianza delle fattezze a ottenergli
tal fede , che chi aveva veduto Alessandro e il cono
scerebbe assai ben? , giurava lui esser desso. In fatti
tutto il Gkidaicismo di Roma in solamente vederlo gli
s' affollò intorno , e trasse un immenso popolo a quelle
strade , oni' era portato. Perciocchè crebbe a tanto la
frenesia de' Melj , che il si recavano entro una lettiga ,
e a proprie spese apprestavangli trattamento da re.
II. Or Cesare , che conosceva assai bene i lineamenti
d' Alessandro , perciocchè trattogli innanzi da Erode per
accusarglielo , sebbene prima ancor di vedere il valen
tuomo sapesse , quanto la somiglianza della persona po
tesse ingannare , pure volendo dar qualche fede a un
oggetto di più liete speranze spedisce Celado uno di
quelli , che conoscevano troppo bene Alessandro , eoa
ordine di menargli davanti il garzone. Ma egli al primo
vederlo ci riconobbe issofatto diversità ancora nel volto.
L1B. II. CAP. vII. 187
Avvedutosi poi del grossolano e servile , che traspariva
ila tulla la sua persona , intese chiaramente la frode.
Forte però colpillo il franco parlar di colui. Perciocchè
a chi il domandava d' Aristobolo , rispondea , ch' egli
pure era salvo , ed erasi a bella posta lascialo in Cipro
per torlo agli occhi degl' insidiatori. Mercecchè separati
era meno agevole cosa restare oppressi. Celado adunque
tiratolo solo in disparte promisegli a nome di Cesare in
guiderdone del palesar ch' e' farebbe chi indotto lo aveva
a compor tanto inganno, la vita, ed egli risposto, che
a Cesare lo scoprirebbe , lo segue al palazzo, e gli pa
lesa il giudeo , che s' era a tal furberia valuto della so
miglianza di sue fattezze. Perciocchè tanti doni avere
colui ricevuto in ciascuna città , quanti mai non avevane
avuto vivendo Alessandro. Rise Cesare a queste novelle ;
e al fìnto Alessandro per la robustezza della persona
assegnò luogo tra' rematori , e chi lo aveva sedotto ,
ordinò fosse morto. A Melj poi credette poter bastare
in gastigo della loro mattezza le spese gettate.
IH. Ora Archelao , ottenuta la signoria , e per la ri
cordanza delle passate discordie trattati aspramente non
pure i Giudei , ma i Samaritani eziandio , per un' am
basciata spedita da ambe le parti a Cesare contro di
lui , il nono anno della sua signoria egli fu rilegato in
Vienna città della Francia , e venner da Cesare incor
porati i suoi beni. Ma primachè fosse citato davanti a
Cesare , corre voce , ch' egli vedesse un sogno di questa
fatta. Parvegli di veder nove spighe granite ed alte es
sere divorate da buoi. Or egli chiamati a se gl'indovini
e alcuni Caldei domandòlli , che mai credessero voler
l88 DELLA GUERRA GIUDAICA

dire quel sogno. Mentre gli Uni una cosa e gli altri ne
dicevano un' altra , certo Simone Esseno di nascita disse ,
le spighe dinotar gli anni e i buoi le rivoluzioni dello
stato, perché coli' arare, ch' e' fan la terra, la vati
movendo e cangiando ; sicché egli regnerebbe tanti anni ,
quanti eran le spighe , e dopo sofferti moltiplici cam
biamenti di cose morrebbe. Poiché ebbe udita tale sen
tenza Archelao * non andarono cinque giorni , eh ei fu
chiamato a rendere ragione di se;
IV. Degno di qui ricordarlo m'é parso anche il so
gno di sua consorte Glafira ,• eh' era figliuola d' Arche
lao re della Cappadocia , e moglie già d' Alessandro
fratello dell' Archelao , di cui ora s' é ragionato , e fi-
gliuol del re Erode , da cui fu tolto ancora di vita ,
come scrivemmo innanzi. Morto lui , prese Giuba re
della Libia $ cui morto , poiché fu tornata alla casa pa
terna , dove traeva i vedovili suoi giorni, venne veduta
all' Etnarca Archelao , il quale ne fu tanto preso , che
licenziata in quello stante la vera sua moglie Mariamme
menò a Glafira. Ora a costei poco tempo appresso dalla
sna entrata in Giudea parve , che paratolesi innanzi
Alessandro così le dicesse. « Ben ti dovevan bastare le
1» nozze libiche ; ma tu non paga di queste di nuovo
» ti 'riconduci in mia casa per Un terzo marito , e ,
» ch é peggio , arditissima donna che se' , per pren-
» dere Un mio fratello. Ma io non lascerò impunito
» l' affronto ; e ancora a tuo marcio dispetto io ti
» riavro ». Al racconto di questo sogno ella soprav*
visse appena due giorni.
LIB. IL CAP. ViII. 189

Capitolo Vili.

La signoria d'Archelao recata a provincia.


Ribellione di Giuda galileo. Tre sette giudaiche.

I. Recata a provincia la signoria d' Archelao fu spe


dito a reggerla in qualità di procuratore certo Coponio
dell'ordine equestre presso i Romani, fornito da Cesare
di potere Ila sopra le vite de' sudditi. Nel tempo del
suo governo ceri' uom galileo , che Giuda si nominava,
mise a romore i suoi paesani , maledicendoli , perché
sofferivano di pagare tributo a' Romani , e riconoscevano
dopo Dio padroni mortali. Era costui professore d' una
setta sua propria niente alle altrui somigliante. Percioc
ché fra' Giudei ha tre scuole di sapienza ; e i Farisei
son maestri dell' una , e dell' altra i Sadducei ; la terza
poi , che par dedita più di tutti alla gravità de' costumi ,
appellasi degli Esseni , Giudei di nascita , ma più degli
altri uniti fra se per amore scambievole.
II. Questi (6) rigettano, come rea cosa, i piaceri, e
ripongono la virtù nel vivere continenti e nel non sot
tomettersi alle passioni. Quindi non si curati di nozze,
e tengono in luogo di lor congiunti gli altrui figliuoli ,
cui prendono ad allevare , mentre ancor sono arrende
voli agli ammaestramenti , e li vengon formando alla
foggia de' lor costumi. Non per questo e' distruggono il
matrimonio e con esso la propagazione del genere uma
no ; ma solo dall' intemperanza si guardano delle donne
credendo , che niuna d' esse serbi mai la sua fede ad
igo DELLA GUERRA CIUD.UCÀ
un solo. Non fan punto caso delle ricchezze , ed é am
mirabile la comunanza , che v' ha tra loro , né trove—
ràssi fra essi pur uno , che superi gli altri in averi ;
perciocché avvi legge per chi entra a professar la Ior
setta , che debba far comuni all' ordine (7) le sue su—
stanze , talché in niun d' essi non comparisca né 1' av
vilimento della miseria , né l' alterigia delle ricchezze :
indi così mescolate le facoltà di ciascuno abbian tutti ,
come altrettanti fratelli, un sol patrimonio. Stimano l'o
lio una macchia , e se altri ancor suo malgrado ne ri-
man unto , riuettasi la persona ; conciossiaché han per
cosa onorevole non curarsi d' abbellimenti , e vestire di
bianco. Gli amministratori delle comuni facoltà son creati
a voti dall' adunanza , ed hanno per indivisibile mini
stero il provvedere ciascuno a' bisogni di tutti. Non
abitano una sola città, ma in ciascuna si vengono tra
piantando a più insieme , e a' loro seguaci , che mai ci
venisser d' altronde , fan parte di quanto si trovano
avere non altrimenti , che cosa loro , e cui per innanzi
mai non conobbero, trattano al pari de' loro più intimi
confidenti. Quindi , se viaggiano , mai non portano seco
cosa del mondo : vanno sol bene in arme per difen
dersi da' malandrini. In ciascuna città si assegna dall' Or
dine un particolare procuratore pe' forastici.! , che lor
provvegga di vestimento e del bisognevole a sustentarsi.
Nel vestire e nel portamento della persona somigliano a
que' fanciulli , che stan con timore soggetti al pedante.
Non cangiano vesti né scarpe , se prima non sieno lo
gore affatto o cadenti per la vecchiaja. Fra se non
vendono né comprano cosa alcuna , ma dando questi

/
LIB. II. CAP. ViII. I9I
ciò , che ha, al compagno, che n' abbisogna , ne ha in
contraccambio ciò , che a lui torna meglio ; benché ancor
senza cambio sia lecito loro il ricevere checché vogliono
da cui che sia.
III. Singolarmente però verso Dio sono assai religiosi.
Anziché nasca il sole , non profferiscon parola , che non
sia santa , ma sol certe loro preghiere dirette a lui (8),
come in atto di supplicargli, che il faccia nascere. Po
scia da' loro sopraniendenti son ripartiti a far que' me
stieri , che oguuno sa , e dopo un lavoro continuato
con diligenza fino all' ora quinta di nuovo ragunansi in
un sol luogo , e quivi cintisi a' fianchi di pannilini si
lavano in acqua fredda. Dopo questa purificazione rac-
colgonsi nella propria casa , dove a persona d' altro in-
stituto non fu mai lecito di trovarsi. <pssi adunque pu
rificati , come in un sagro ricinto entrano nella sala , e
sedutisi con gran silenzio , il panattiere mette per or
dine innanzi a tutti il lor pane , e il cuoco reca a cia
scuno un sol piatto imbastito d' una sola vivanda. Indi
il sacerdote previene il mangiare colla preghiera , e
prima dell' orazione non lice assaggiare bricia di pane.
Finito il pranzo , di nuovo si fa orazione , e nel prin
cipio e nel fine lodano Iddio , come autore del loro
sustentamento. Indi poste giù quelle vesti , che avevano
come sagre , ritornano a' lor lavori fino alla sera. Ri
condottisi , come prima , a casa cenano in compagnia
di quegli ospiti, che per ventura ci si, trovassero. Non
disturba mai la lor casa né alzar di voce né strepito.
Nel parlare cedonsi scambievolmente con ordine il luo
go , e a que' di fuori il silenzio di que' dentro sembra
I<}3 DELLA GUERRA GIUDAICA

un non so quale mistero, che merita venerazione. Ca


gione di questo si é il continuato digiunar ch' essi fanno ,
e il misurare col puro bisogno di satollarsi il quanto
che pigliano di bevanda e di cibo. Oca benché in tutto
il resto non facciano cosa senz' ordine di chi sopranten-
de , pur n' hanno due in loro balia , ciò sono il soc
correre , e il compassionare le altrui miserie. Concios-
siacché si rimetta all' arbitrio di tutti l' ajutar chi Io
merita , quando ven' abbia mestiere , e somministrar di
che vivere a' bisognosi ; benché il donar qualche cosa
a' parenti senza saputa de' procuratori sia interdetto.
Egli sono diritti moderatori dell' ira , correggitori dello
sdegno , mantenitori della fede , e promotori della pace.
Checché essi affermino , ha più forza d' un giuramento*
Il giurare appo loro é fuggito al pari dello spergiuro ,
di cui lo credono quasi peggiore. Conciossiaché dicano
condannarsi già di per se , chi senza Dio (9) non ot
tiene d' esser creduto. Fanno grandissimi studj intorno
agli scritti degli antichi , e quelli singolarmente raccol
gono , che per lo spirito son vantaggiosi e pel corpo.
Quindi a curare le malattie vanno in cerca studiosa
mente delle radici medicinali , e delle naturali qualità
delle pietre.
IV. A chi desidera di professar la Ior setta , non si
concede subitamente l' entrar fra loro , ma pel corsa
d' un anno stia fuori , e soggettisi alla maniera loro di
vivere ; e gli danno un sarchiello , quel pannolino , che
innanzi aLbiam mentovato , e la veste bianca. Data per
questo tempo prova bastevole della sua virtù entra più
davvicino a vivere come loro , ed é latto partecipe delle
UB. II. CAP. ViII. 193
purificazioni più sqiusite ; ma non per questo ancor.
viene ammesso a convivere seco loro. Perciocché esperi
mentata la sua costanza , per altri due anni si mettono
i suoi costumi al cimento ; e quando ne paja degno , si
accetta nelF Ordine. Ma prima che sia ricevuto alla
mensa Comune cogli altri , in maniera orribile giura
loro , primieramente che onorerà Dio , poscia che sarà
giusto cogli uomini , né di suo proprio moto darà danno
a persona , né per comando altrui : che avrà sempre in
odio i malvagi , e presterà sempre ajuto alla gente dab
bene ; che serberà sempre fede a tutti , e singolarmente
a' prelati ; giacché non giugne nessuno mai allo stato di
superiore senza il divino volere ; che s' egli medesimo
sarà capo degli altri , non volgerà mai in mal uso la
sua autorità , né si distinguerà sopra i sudditi né in ve
stire né in altro più squisito abbellimento della persona;
che amerà sempre il vero , e riprenderà. i menzogneri ;
che terrà lungi le mani dal furto , e guarderà incorrotto
il cuore da rei guadagni ; che a' seguaci della medesima
setta non ne asconderà niun mistero , e pur uno non ne
paleserà a que' di fuori , eziandio se vi fosse astretto
con pena di morte. Oltre a questo giurano , che non
insogneranno a persona la loro dottrina altrimenti da
quello , che loro fu insegnata , che si asterranno da'
ladronecci , e avranno egual cura di conservare sì i li
bri della lor setta , sì i nomi degli angeli (io). Con tai
giuramenti assicuransi della fede di chi entra fra loro.
V. S' altri é colto manifestamente in delitto , lo cac-
cian dall' Ordine : e lo scacciato va per lo più a finire
imseramente. Perciocché stretto da' suoi giuramenti non
Flavio, t. Vi. DtUa G.à G. t. i., i3
ig4 DELLA GUERRA GIUDAICA
meno che dalle leggi della sua setta non può accettare
neppur quel cibo , che viengli offerto da altri. Quindi
sostentando con erbe la vita , e però struggendogli per
la fame le membra viene a morire. II perché tocchi do
venti volte da compassione avvenne , che se li ricolsero
in quegli estremi momenti in casa , stimando bastevole
a' loro falli una pena , che trasseli fin presso a morte.
VI. Nel giudicare esattissimi sono e giustissimi ; né
vengono mai a sentenza, se non si trovino radunati in
niente meno di cento ; e ciò , ch' essi hanno determi
nato , rimane immutabile. In somma venerazione appo
loro si é dopo Dio il nome del legislatore , e chi il
bestemmiasse , gastigasi colla morte. Convenevole cosa
essi stimano soggettarsi al parere de' vecchi , e de' più.
Quindi in un consesso di dieci persone non fia mai ,
ch' uno parli , se i nove nol vogliono. Si guardano al
tresì di sputare in mezzo a loro , o a man destra ; e
ne' giorni di sabbato assai più che non gli altri Giu
dei , cautamente allontanatisi da ogni faccenda. Quindi
non solo s' apprestano un giorno innanzi di che man
giar , per non avere in quel dì ad accendere neppure
il fuoco , ma non s' ardiscono né di muovere checches
sia dal suo luogo , né di deporre il superfluo peso del
ventre. E però gli altri giorni scavano col sarchiello ,
ch' é lo stromento ch' e' danno a' novizzi , una fossa
alta un piede , e copertala tutto intorno col manto ,
per non fare ingiuria alla luce divina , quivi provveg
gono alla loro necessità , poi rimettono nella fosia la
terra prima ritrattane ; e a questo fine scelgono i luo
ghi più iu disparte : contutto poi questo sgravio sia na-

/ --m
LIB. II. CAP. ViII. I9J
turale , pur hanno per invariabile costumanza il lavarsi
dopo esso , quasi rimastine immondi. A misura degli anni
che contano della lor professione van ripartiti in quat-
tr' ordini , e tanto i più freschi si tengon da meno de
gli attempati , che questi se avviene , che sieno tocchi
da quelli , si lavano , come se tocco avessero uno stra
niero. Vivono ancor lungo tempo fino a durare i più
d' essi oltre i cent' anni , e ciò atteso , come a me pa
re , il buon metodo e la semplicità del lor vitto. Non
curano le traversie , e vincono col coraggio i dolori ; e
la morte, quando sia onorata , é per loro più pregevole
dell' immortalità. Ben di che fatta spiriti essi abbiano in
petto per ogni incontro , fu prova evidente la guerra»
contro a' Romani : in cui stirati , e slogati , e abbru-
stiati , e rotti nella persona , e passati per ogni genere
di martora , affiueché o maledicessero il legislatore , O
mangiassero alcun che non usato appo loro , non che
si lasciassero mai piegare né all' uno né all' altro , ma
neppur supplicarono mai una volta a chi gli straziava ,
né mai gettaro una lagrima ; ma colla bocca ridente in
mezzo a' dolori , e in atto di chi si fa beffe de' suoi
medesimi tormentatori rendevano lieto lo spirito , come
chi il riavrebbe di nuovo. Conciossiaché tengon ferma
opinione , che i corpi son corrottibili , e la materia ,
onde sono composti , non é in lor permanente ; dove
l' anime durano sempre immortali , e venute dall' etere
sottilissimo quaggiù trovarsi ne' corpi quasi in altrettante
prigioni rinchiuse , tratteci da non so qual naturale lu
singa ; ma sciolte che sieno dagli strettoj della carne ,
come se appunto si scotesser di dosso un lungo servag*
196 DELLA GUERRA GIUDAICA
gio , allora van consolale e si lievano alto per l' aria ; e
alle buone , conformandosi alle opinioni de' Greci , as
segnano una rimota stanza di là dall'oceano , e un luogo
non molestato giammai né da pioggie , né da nevi , né
da calori , ma sempre per lo spirare d' un dolce zefiro ,
ch' esce di grembo all' oceano , fresco e ridente : alle
ree poi danno una tana oscurissima , procellosa, 'agghiac
ciata , e piena d' eterni supplizj. Sull' orme di questa
opinione medesima panni , che i Greci a' lor valentuo
mini , ch' eroi chiamano e semidei , abbiano per istanza
concesse l'isole de' beati , e all'anime ree laggiù nell'in
ferno il luogo degli empj , ove ancor favoleggiano di
non so quali colà puniti , de' Sisifi cioé , e de' Tantali ,
e degl' Issioni , e de' Tizj ; e ciò per mostrare primie
ramente , che l' anime sono immortali , indi per dare
uno stimolo alla virtù , e mettere al vizio un freno.
Mercecché i buoni vivono sempre meglio colla speranza
d' un premio ancor dopo morte ; e le passioni de' tristi
si ammorzano col timore , che li minaccia ( quand' an
che ottenessero di celar finché vivono i lor misfatti )
d' un interminabil gastigo dopo la morte. Cosi vanno
dell' anima filosofando gli Esseni , e con questo presen
tano , a chi ha gustata la lor dottrina , tal esca , ch' é
impossibile il non curarla. Ha fra loro di quelli , che
affermano d' antisapere il futuro mercé del continuo
studio , che fanno su i sagri libri , sulla santità più
squisita , e su quanto lasciarono detto i profeti ; e av
viene di rado , che tornino vane le lor predizioni.
VII. V'ha eziandio un'altra setta d' Esseni, d'accordo
bensì cogli altri nella maniera del vivere , ne' costumi ,
LIB. II. CAP. ViII. tg<7

e nella qualità delle leggi, mi discordanti da loro per


ciò, che riguarda l'opinione del matrimonio. Perciocché
avvisano , che togliendo le nozze si priva l' umana esi
stenza del suo principal requisito, che é la successione;
e se tutti così sentissero , fallirebbe molto più presto il
genere umano. Essi adunque, dopo messe a una prova
di tre anni le spose , e dopo una triplice purgazione a
sperimentarle feconde le prendono finalmente. Quando
sono incinte , le lascian sole per dimostrare , che nel
maritarsi altro fine non ebbero, che l'amor de' figliuoli.
Le lor donne si lavano con indosso una tonaca, che le
riveste: così gli uomini in sottocalzoni. Di tal fatta sono
i riti di questa setta.
Vili. Delle prime due sette que' , che ne formano
una , cioé i Farisei hanno credito d' essere accuratissimi
interpreti delle leggi , e dottrina lor cardinale si é l' a-
scrivere al fato insieme, e a Dio ogni cosa; avvegnaché
l' operar bene o no dai più il' essi é riposto in balìa
dell'uomo; all'una cosa però ed all'altra gli ajuta anche
il fato : ogni anima é incorruttibile , le sole però dei
buoni trapassano in altro corpo ; dove quelle de' tristi
sono punite con un eterno gastigo. L'altra setta, che é
quella de' Sadducei , levano onninamente di mezzo il
fato , e toltone l' operare niente di male o l' averne la
sopraintendenza mettono Dio in suo luogo ; e dicono ,
che sta in mano dell' uomo il bene ed il male , e in
sua balìa l'appigliarsi colla volontà all' uno piuttosto che
all'altro: negano la durazione dell'anima, e le pene di
colaggiù , e i premj dell' altra vita. I Farisei s' amano
scambievolmente , e mantengono la comune concordia :
I()8 DELLA GUKRItA GIUDAICA

allo incontro foreste son le maniere de' Sadducei fra di


loro, e il trattar co'Ior simili é discortese del pari, che
cogli stranieri (ti). Questo é quanto può dirsi intorno
a' filosofi della Giudea.

Capitolo IX.

Morta di Salome. Città fondate da Erode e Filippo.


Novità fatte da Pilato. Prigionia a" Agrippa sotto
Tiberio. Gajo lo libera e fallo re. Esiglio dt Erode
Antipa.

I. Recata a provincia la signoria d' Archelao , i due


che rimanevano Filippo ed Erode (12) detto Antipa go
vernavano le lor tetrarchie. Mercecché sul morire Sa
lome nominò de' suoi stati e di Giamnia e de' palmeti
di Fasaelide erede Giulia moglie d'Augusto. Passato (*)
poscia in man di Tiberio figliuolo di Giulia l' impero
romano dopo la morte d' Augusto , che il tenne cin-
quantasett'anni sei mesi e due giorni, Filippo ed Erode,
che si mantennero nella loro tetrarchia, fondarono quegli
alle scaturigini del Giordano in Paneade una città , cui
nominò Cesarea, e nella bassa Gaulanitide un'altra detta
Giuliade , Erode poi Tiberiade nella Galilea , e di là
dal Giordano un'altra, ch'ebbe il suo nome da Giulia.
IL In questa Pilato spedito procuratore in Giudea
da Tiberio fa entrare di notte tempo in Gerusalemme
coperte l'effigie di Cesare, che son dette insegne. Que
ste , venuto (i3) il giorno , misero a gran romore i
Giudei; perciocché i più vicini a tal vista raccapriccia-

^
Lia. il. c..iP. ix. iyn
; orisi , come vedessero calpestate le loro leggi ; dacché
non vogliono , che nelle loro città s' innalzi pure una
statua. Ai lamenti de' cittadini trasse dalla campagna un
popolo di persone ; e corsi tutti dinanzi a Pilato , che
allora trovavasi in Cesarea , supplicarongli , che levasse
da Gerusalemme le insegne > e intatte Ior mantenesse le
patrie leggi. Mostrandosi duro Pilato alle loro preghiere,
gli si prostraron bocconi davanti, e per cinque giorni e
altrettante notti durarono immobilmente in quell'atto. Il
di appresso Pilato sedutosi a tribunale nel circo grande,
chiamato a se il popolo, quasi volesse dar loro qualche
risposta ; fa cenno a' soldati , che giusta il concerto già
fattone chiudano intorno colle loro armi i Giudei. Ser
ratasi loro addosso in tre file V armata , i Giudei a
quello spettacolo non preveduto rimasero senza voce; e
affermando Pilato , che passerebbegli a fil di spada , se
non accettavano l' effigie di Cesare, fe' cenno a' soldati,
che sguainassero il ferro. Allora i Giudei, quasi fossero
tutti d'accordo, gettaronsi a terra , e porto.il collo,
gridavano d' esser pronti a piuttosto volere la morte ,
che trasgredire la legge. Stupito a tanta fermezza di
religione Pilato ingiugne , che tolgansi da Gerusalemme
le insegne.
III. Dopo questo egli mosse un altro tumulto col-
l' impiegare che fece il sagro tesoro, cui chiaman Cor~
bona 04)» in fabbriche d'acquidotti; e traevano l'acque
da quattrocento stadj lontano. Qui il popolo si esacerbò,
e trovandosi a Gerusalemme Pilato , affollaronsi con
.-schiamazzi intorno al suo tribunale. Ma egli, che aveva
saputo innanzi il romoreggiare che ne facevano, permU
200 DELLA GUERRA GJtWAICA

schiò tra la folla del popolo ascosi sott' abito comunale


soldati bene in arme , e avvisatili , che si guardassero
d'adoperare la spada, ma sol co' bastoni ferissero i gri
datori, ne die loro il segno dal tribunale. Bastonati f
Giudei , buona parte morirono sotto i colpi , e buona
parte , mentre fuggivano , calpestati gli uni dagli altri.
Dalla disgraziata condizion degli uccisi atterrita la mol
titudine non fiatò più oltre.
IV. In questo mentre comparisce accusatore d' Erode
il tetrarca dinanzi a Tiberio Agrippa figliuolo dell' Ari-
stobolo sentenziato a morte da Erode suo padre. Ma
non ascoltate le sue querele, Agrippa rimasto in Roma,
tra gli altri gran personaggi , di cui procacciòssi il fa
vore , ebbe ancor Gajo figliuol di Germanico , allora
privato. Or mentre un giorno I' avea seco a cena dopo
moltissime cortesie d' ogni fatta , con che il trattenne ,
alla fine levate le mani al cielo pregò a chiare note ,
che quanto prima gli fosse dato , morto Tiberio , di
veder lui signor della terra. Un de' suoi servi lo riferì
a Tiberio, il quale sdegnatone manda chiudere Agrippa
in prigione , e lo tenne con suo gran danno fra' ceppi
sei mesi fino a quel tempo , ch' egli morì , il che av
venne ( 1 5) dopo ventidue anni sei mesi e tre giorni ,
dacché regnava.
V. Creato Cesare Gajo e libera dalla prigione Agrip
pa , e lo costituisce re della tetrarchia di Filippo gii
allora passato di questa vita. L'entrar che fe' Agrippa al
possesso del regno mosse ad invidia l'animo d'Erode il
tetrarca. Gli stimoli più gagliardi a concepire speranze
di regno venivangli dalla moglie Erodiade (16), che gli
LIB. II. CAP. IX. 201

era continuo a fianco rimproverandogli la sua infingar-


dia , e dicendogli , che per non volere la briga di na
vigar fino a Cesare si privava d' una maggior signoria.
E in vero chi ha d'uom privato fattore Agrippa, come
lui di tetrarra, ch'egli é, non leverà al medesimo onore?
Mosso Erode da queste ragioni sen venne a Gajo , dal
quale in gastigo della sua avarizia é mandato esule "nella
Spagna ; perciocché gli fu alle spalle per accusarlo A-
grippa, a cui Gajo aggiunse la tetrarchia ancora di E-
rode. Erode, poi seguitato ancor dalla moglie pon fine
a' suoi giorni in Ispagna (17).

Capitolo X.

Gajo vuole , che pongasi la sua statua nel Tempio.


Come in ciò si portasse Petronio.

I. Ma Gajo Cesare tanto abusò della sua fortuna ,


che credevasi un Dio , e voleva altresì , che gli dessero
questo nome , e privò la sua patria de' più riguardevoli
personaggi. Stese la sua empietà ancor sopra i Giudei.
Spedì pertanto con un esercito a Gerusalemme Petronio,
perché le sue statue ponga nel Tempio , con ordine ,
«e i Giudei non le accettano , di ammazzare chi gli si
oppone, e di fare schiavi tutto il restante della nazione.
Ma Dio ben si prese egli cura delle sue leggi. Petronio
adunque con due legioni e con molti alleati venutigli
dalla Siria mosse d' Antiochia alla volta della Giudea. I
Giudei parte non davano fede ancora alle voci , che si
erano sparse di guerra, e quelli, che le credevano, non
aOU DELLA GUERRA GIUDAICA

vedevan possibile la resistenza. Ma ben presto entrò ir*.


cuore a tutti il timore. Perciocché giunto omai il nimico
esercito a Tolomaide , città a" confini della Galilea fab
bricata sul lito del mare presso il Gran Campo , ed è
all'intorno difesa da' monti , a levante discosta sessanta
stadj da que', che appartengono alla Galilea, a mezzodì
dal Carmelo centoventi stadj lontana ; e a settentrione
dalla più alta montagna di que' contorni da' terrazzani
chiamata Scala de' Tirj , e le é cento stadj da lungi. A
due stadj poi dalla città corre un fiume di meschinis-
simo letto , che ha nome Beleo , alle cui sponde si vede
il sepolcro di Mennone , presso il quale é uno spazio
di cento cubiti degno d'ammirazione. Egli é circolare e
profondo , e un' arena produce , che é vetro ; e appena
le molte navi, che approdanvi, n'han votato quel luogo,
n'é pieno di nuovo, ricacciandovi dentro i venti, come
se il facessero a bella posta , la bianca sabbia , che é di
fuori , e la miniera issofatto la cangia tutta in vetro ;
quello però, che a me sembra più degno di maraviglia
si é , che quel vetro , che spandesi fuor delle sponde
del luogo, convertesi novamente in sabbia comune. Di
tal fatta natura sortì questo luogo.
IL Ora i Giudei una colle mogli e i figliuoli raccol
tisi nella pianura vicina a Tolomaide supplicarono cal
damente a Petronio prima per le lor patrie leggi , poi
per le stesse lor vite , ed egli alla moltitudine de' sup
plicanti e alla forza delle preghiere rendutosi lascia l'e
sercito insieme e le statue in Tolomaide. Indi entrato
egli solo nella Galilea , e chiamato il popolo e tutti i
primarj signori in Tiberiade , cominciò a por loro di-

V
liB. ii. cap. x. ao3
Danzi agli occhi il poter de' Romani , e le minacce di
Cesare; poi discese a mostrare, ch'era irragionevole la
lor domanda. Perciocché, mentre le nazioni suddite tut-
tequante a fianco di quelle degli altri lor dei innalza-
-vano.. nelle città le statue ancora di Cesare , il contrap
porsi , x:he soli essi facevano a questo , era quasi un
dichiararsi ribelli , e far onta al lor principe. Al che
opponendo quelli la legge e la patria usanza , e come
non era lor lecito non pur nel Tempio , ma in nessun
luogo profano della provincia ergere simulacro , non
che d' uomo , ma neppure di Dio, Petronio appigliatosi
alle medesime lor ragioni , « ebben , disse , anch' io ,
» dover vuole , che guardi le leggi del mio padrone ,
» che se in grazia vostra le trasgredisco, e'mene andrà
» giustamente la vita, e a voi farà guerra non già Pe-
» tronio , ma chi mandòllo ; perciocché io pure , non
» men che voi , son costretto a ubbidire ».
III. Qui tutta la moltitudine prese a gridare, che per
la legge sosterrebbero volentieri ogni danno. Petronio
allora , quietatone lo schiamazzo « voi dunque ripigliò,
» siete pronti a far guerra con Cesare »? I Giudei gli
risposero , che per Cesare e pel Popolo romano due
volte ogni giorno offerivano sagrifizj; ma, s'egli intende
di collocare fra loro le sue statue , e' conviengli prima
scannare tutti i Giudei , quanti sono ; ed essi medesimi
insiem colle donne e figliuoli daran prontamente il collo
alla scure. A tai sentimenti fu Petronio compreso da
pietà tutto insieme e da maraviglia , veggeudo e l' insu
perabile religione di quella gente , e il fianco animo ,
ch' essi mostravano incontro alla morte. Quindi per al
204 DELLA GUERRA GIUDAICA
presente senza diffinir nulla si licenziò l' assemblea. Nei
dì seguenti or da solo asolo co'grandi, or in pubblico
ragionando con tutto il popolo radunato , quando pre—
gavali , quando gli consigliava , e le più volte li minac
ciava aggrandendo e il poter de' Romani , e le furie eli
Gajo , e la stretta , a che era per questo egli stesso.
Ma perciocché non cedevano a niun cimento , e scor—
gea, che le terre correvan pericolo di non essere semi
nate , avendo la loro gente nella stagione appunto del
seminare passati in ozio cinquanta giorni , finalmente
adunatisi disse , « e' conviene , ch' io pur m' esponga a
a qualche pericolo. Conciossiaché o col divino ajuto io
» ottengo di muover Cesare, e volentieri sarò salvo con
» voi, o egli dà nelle furie, e sarò pronto per sì bella
» cagione a sagrificar la mia vita ; » e in così dire li
cenziò il popolo , che gli diede mille benedizioni.
IV. Petronio adunque con esso l' esercito da Tolo-
maide si ricondusse in Antiochia , e di là scrisse tosto
a Cesare e la sua entrata in Giudea , e le suppliche
della nazione , talché se non intendeva insieme colle
persone di disertare ancor la provincia , dovevasi neces
sariamente permettere, ch'essi ubbidissero alla lor legge,
e dimenticare il comandamento lor fatto. A questa let
tera Gajo rispose in maniera assai alterata, minacciando
a Petronio la morte in pena del tardo esecutor ch' era
stato de' suoi voleri. Ma -i portatori di questa lettera av
venne, che per fortuna di mare spesero nel viaggio tre
mesi , e gli altri , che gli recavan la morte di Gajo ,
ebbero prosperevole navigazione. Quindi a Petronio
giunsero ventisette dì prima le lettere intorno a Gajo ,
che le dannevoli alia sua persona.
LIB. II. CÀP. XI. / 205

Capitolo XI.

Delt impero di Claudio } e del regno d? Agrippa.


Morte cC Agrippa e <T Erode , e lor figli.

I. Tolto dopo tre anni e otto mesi d'impero insidio


samente Gajo di vita , da quelle truppe , che in Roma
allor si trovavano , fu portato Claudio sul trono. Ma il
Senato ad istanza de' consoli Senzio Saturnino e Pom
ponio secondo , data a guardar la città a tre coorti , che
tenevansi alla loro ubbidienza , si raccolse nel Campi
doglio , e atteso il disumanato uom, che fu Gajo, stava
sul decretare , che si dovesse far fronte a Claudio col-
l' armi, perciocché reggerebbonsi ad Aristocrazia, come
avevano fatto già tempo, o affiderebbono a' voti comuni
la scelta del più degnol all' impero. Ora avvenne nel
tempo 'medesimo , che ad Agrippa trovantesi in Roma
mandò per consiglio il Senato, e Claudio anch' egli dal
campo per averne giovamento al suo uopo. Ma Agrippa
avvisando , che questi per forze omai era Cesare , ne
viene a Claudio , il quale lo manda ambasciadore al
Senato > perché gli palesi le sue intenzioni; ch'egli pri
mieramente era stato contro sua voglia rapito dalla mi
lizia , é che ne volea la ragione ch' egli non si curasse
del loro affetto, né sicuro stimava ancora il suo stato;
perciocché anche il nome d'imperadore era cosa rischie-
vole per chi il portava : indi , ch' egli governerebbe da
principe affettuoso , non da tiranno ; a lui bastava l' o-
nore del titolo } nella risoluzióne poi degli affari si ri
206 DELLA GUERRA GIUDAICA

metterebbe ogni volta al parere di tutti; perché quan—


d' anche non fosse d' indole naturalmente discreta , la
morte di Gajo gli era un ammaestramento assai forte eli
moderazione.
II. Agrippa riferì questi sensi; e il Senato affidandosi
nelle truppe e nella buona sua causa rispose, che spon
taneamente non soggettavasi a servitù. Claudio, udite le
intenzioni del Senato gli rimandò per Agrippa dicendo ,
che non sofferrebbe mai di tradire, chi aveva giurata a
lui fedeltà , e che , mal suo grado , farebbe guerra , a
chi meno l'avria voluto; doversi adunque assegnar prima
il campo della battaglia fuor di città ; giacché empia
cosa sarebbe per gli stravolti loro consigli lordare di
sangue cittadinesco le patrie mura ed i templi. Agrippa
riportò a' senatori cotai sentimenti.
III. In questo mezzo un soldato di quelli, che tenevan
da' padri , tratto fuori il pugnale , « commilitoni gridò,
» quale affronto ci spigne a voler morti i nostri fra-
» telli , e a correre addosso a' nostri congiunti , che
» son con Claudio ? e ciò , mentre abbiamo un impe-
\ » radore, a cui non può apporsi veruna taccia, e tanti
» doveri ci stringono a quelli , contro de' quali noi siam
» per muovere colmarmi in mano ». Così dicendo, per
mezzo il Senato uscì fuori, traendosi dietro tutta la
soldatesca. Allora i patrizj veggendosi abbandonati temet
tero fortemente ; e però , siccome il resister più oltre
non parea loro sicuro , s' incamminarono dietro a'soldati
alla volta di Claudio. Uscirono loro incontro presso
alle mura con in mano le spade ignude coloro , che
più del dovere imbaldanzivano per la presente fortuna;
UB. II. Ca». XI. 207
e sarebbero stati in qualche pericolo i primi , anziché
Cesare s'avvedesse del furor de' soldati , se Agrippa ve
nutogli innanzi sollecitamente non gli scopriva il peri
coloso fatto, che quello era , e che non frenando egli
l' impeto degl' infuriati contro i patrizj , perduti quelli ,
per cui é onorevole il dominare , sarebbe signor d' un
diserto. Udite Claudio tal cose ammorza il cieco ardore
della milizia, ed accoglie il Senato nel campo, onde,
dopo usategli gran cortesie , esce tosto con esso per
offerire sagrifizj a Dio in ringraziamento dell' impero
ottenuto.
IV. Immediate dipoi fece un dono ad Agrippa di
tutto il regno paterno , colla giunta di soprappiù delle
terre da Augusto donate ad Erode, e sono la Traconi-
tide e l' Auranite , e oltre a ciò gli stati , che si chia
mavano di Lisania. Pubblicò poi al popolo questo dono
con un decreto , e a' consoli impose , che incisa la sua
donazione sopra tavole di bronzo la riponessero nel cam
pidoglio. Donò eziandio a.H Erode fratello e genero in
sieme d' A grippa , perché marito di Berenice (18) , il
regno di Calcide.
V. Colaron ben tosto in seno ad Agrippa da sì gran
regno grandi ricchezze , né egli in cose da nulla spen
deva il denajo ; conciossiaché cominciasse a tirare d' in
torno a Gerusalemme un tal muro , che , se he fosse
venuto a capo , avrebbe a' Romani renduto l' assedio di
impossibile riuscita ; ma prima che l' opera s' innal
zasse (19) , il prevenne la morte (20) dopo tre anni di
regno e altrettanti , in cui ebbe le tetrarchie. Lascia
dopo di sé tre figliuole avute da Cipro , ciò son Bere
208 DELLA GUERRA GIUDAICA

nice, Mariamme e Drusilla , e un figliuolo dalla me


desima moglie nomato Agrippa , il quale , perché era
d' età tenerissima affatto , Claudio tornati que' regni a
condizion di provincia , mandaci Cuspio Fado procura
tóre , e appresso Tiberio Alessandro ; i quali lasciando
intatte le patrie usanze mantennero in pace i Giudei.
Dopo ciò viene a morte anche il re della Galcide Ero
de , lasciato di Berenice nipote sua due figliuoli Bere-
xiiciano ed Ircano , e di Mariamme prima sua moglie
Aristobolo. Morlgli ancora un altro fratello in condi
zione privata detto Aristobolo, che lasciò una figlia di
nome Giotape. Ora questi , come ho già detto , furono
figli d' Aristobolo figliuol del re Erode , a cui nacquero
di Mariamme Aristobolo ed Alessandro , cui il padre
uccise. La discendenza poi d' Alessandro regnò nell'Ar
menia maggiore.

Capitolo XII.

'Molte turbolenze sotto Cumano sedate da Quadrato.


Felice procuratore della Giudea. Agrippa dal regno
di Calcide é trasferito a un Maggiore.

I. Morto Erode , che regnò nella Calcide , Claudio


negli stati del zio mette Agrippa figliuolo d' Agrippa ;
e del rimanente della provincia riceve dalle man d' A-
lessandro il governo Cumano, sotto del quale e inco
minciarono le turbolenze , e novamente si fe' de'Giudei
gran macello. Mercecché radunatasi per la festa degli
azzimi in Gerusalemme la moltitudine, e stando una
un. II. cap. xii. 209
coorte romana dinanzi al portico del Tempio ( sempre
nelle solennità gente armata facea la guardia , perché
il popolo radunato non si levasse a romore ) un non so
chi de' soldati trattosi il manto , e chinatosi immodesta
mente si volse col diretano a' Giudei , e pronunziò
contro loro la voce rispondente a quel suo portamento.
Del qual fatto la moltitudine si chiamò forte offesa , é
gridarono tutti a Cumano , che gastigasse il soldato :
anzi la gioventù meno cauta degli altri , e il corpo
naturalmente più rivoltoso della nazione corsero all' ar
mi , e dato di piglio a' sassi già cominciavano a lapidare
i soldati. Cumano temendo, non si rovesciasse sopra di
lui il furore del popolo, chiamò un più grosso corpo
di soldatesca. Sparsi questi qua e là per li portici, un,
timor gagliardissimo entrò in petto a7 Giudei , i quali
via spariti dal Tempio si rifuggirono nella città. Or
tanto fu neh' uscire l' impeto delle persone , che s' in
calzavano insieme , che calpestati gli uni dagli altri ed
infranti ne perirono oltre a diecimila ; onde la festa per
la nazion tutta si volse in pianto , e per ciascuna fami
glia in lamento.
II. Segui immediate questa disgrazia un tumulto di
malandrini. Nella pubblica via presso a Betoron avven
tatisi i malandrini sopra il bagaglio di Stefano servo dì
Cesare , che passava di là , sei rubarono. Cumano man
data in quelle contrade sua gente, ordinò che gli fosser
condotti in catene que' delle terre vicine , perché non
avevano inseguiti e pigliati i ladri. In tale occasione un
soldato, venutagli in una di quelle terre alle mani la
sagra legge , stracciò il volume e gettòllo alle fiamme.
Flavio, t. VI. Detta G. G. t. 1. *4
aio DELLA GUERRA GIUDAICA

I Giudei niente meno, che se a fuoco andato fosse tatto


il paese , si scompigliarono , e quasi da una macchina
tratti dalla lor religione in un solo gridar giustizia, tutti
volarono a Cesarea innanzi a Cumano supplicandogli ,
che non lasciasse impunito un tal uomo , che aveva ol
traggiato cotanto Dio e la sua legge. Cumano avvedu
tosi , che il popolo , se non gli si desse soddisfazione ,
non avrebbe mai pace , ingiugne , che gli si tragga di
nanzi il soldato , e che in mezzo a chi ne chiedeva la
morte si meni al supplizio. Cosi i Giudei se ne andaron
contenti.
III. Altra lite s' accese tra' Galilei e Samaritani. Per
ciocché verso il borgo chiamato Ginea , eh' é situato nel
gran campo samaritano (21), mentre parecchi Giudei
sono inviati per celebrare la solennità , un di lor ga-
lileo viene ucciso. A questo fatto trassero dalla Galilea
moltissimi già apparecchiati a combattere co' Samaritani.
Ma i principali fra loro ricorsi a Cumano pregaronlo ,
che passato in Galilea , anziché il male divenisse insa
nabile , gastigasse gli autori di quell' assassinamento. Cu
mano però , antiposti alle loro preghiere gli affari , che
avea tra le mani, rimandò i supplichevoli non esauditi.
Pervenuto a Gerusalemme il risentimento di quell' omi
cidio , andò tutta a romore la gente , e dimenticata la
festa , uscirono senza guida e senza pur uno de' loro
capitani , che li reggesse sopra Samaria. Erano capo
rioni del ladronesco e tumultuario loro furore cerio
Eleazaro figliuol di Dineo, e Alessandro; i quali getta
tisi sopra i popoli confinanti alla signoria d' Acrabatene
ed ucciserne le persone senza riguardo ad età , e man-
LI». II. CAP. XII. 21 !

daremo a fuoco e fiamma le terre. Cumano levatosi da


Cesarea con un' ala di cavalleria , che dicevasi de' Se-
basteni , uscì per soccorrere agl'infelici, e de' compagni
d' Eleazaro molti prese , ed uccise moltissimi. Al resto
poi della gente , che l' armi portava contro a' Samari
tani , uscirono incontro frettolosamente i reggitor del
comune di Gerusalemme vestiti di facco , e sparsi di
cenere il capo , e pregavangli a torsi giù dall' impresa ,
né per vendicarsi de' Samaritani provocassero a' danni di
Gerusalemme i Romani. Abbiati pietà della patria , del
Tempio , de'loro pargoletti , e delle loro mogli , e non
mettano a repentaglio ogni cosa in grazia d'un sol ga-
lileo. Mossi a queste parole i Giudei si rimasero dal
l' impresa. Molti però si volsero a' ladronecci per l' im
punità , in che vivevano i malandrini ; e per tutto il
paese sentivansi ruberie e prepotenze de' più temerarj.
IV. Anche i principali Samaritani presentatisi in Tiro
ad Ummidio Quadrato governator della Siria , chiede
vano soddisfazione , di chi avea saccheggiate le loro
terre. Ma trovatisi quivi presenti anche i più rinomati
Giudei , e con loro il pontefice Gionata figliuol d' Anano
dicevano , che i primi a eccitar lo scompiglio furono i
Samaritani coli' omicidio per loro commesso, e Cumano
era in colpa , di quanto poi succedette , col suo non
volere puniti gli autori di quel misfatto. Quadrato per
ora sospese per ambe le parti la sua sentenza, dicendo,
che , quando fosse venuto in persona in que' luoghi di
saminerebbe paratamente ogni cosa. Indi rendutosi in
Cesarea condannò alla croce que' tutti, che presi furono
da Cumano. Passato nella città di Lidda ascoltò i Sa
SII DELIA GUERRA GIUDAICA

maritani , e mandato per diciotto Giudei , cui conobbe


esser complici della mischia passata, mozzò loro la test».
Spedi poi a Cesare due altri de' più possenti fra loro
coq esso i pontefici (22) Gionata ed Anania , e il fi—
gliuol di quest'ultimo Anano, e parecchi altri de' più
accreditati Giudei , similmente adoprando co' più illustri
Samaritani. Dinunziò parimenti a Cumano , e a Celere
suo tribuno , che navigassero a Roma per quivi rendere
a Claudio ragione dell' avvenuto. Compite queste fac
cende da Lidda sali a Gerusalemme, dove trovato il
popolo in alto di celebrare senza tumulti la festa degli
azzimi , tornò in Antiochia.
V. Frattanto Cesare in Roma., uditi Cumano e i
Samaritani ( inlervenneci ancora Agrippa, adoperantesi
caldamente a favor de' Giudei , poiché a sostenere Cu
mano s'erano presentati parecchi di grande affare) con
dannò i Samaritani , e sentenziònne alla morte i tre più
possenti : a Cumano decretò in pena l' esiglio , e a
Celere , che ricondotto prigione in Gerusalemme si desse
in mano a' Giudei a farne strazio, poi strascinato per
la città finalmente fosse decapitato. Dopo questa sen
tenza manda procuratore in Giudea Felice fratello di
Pillante (2 3) , perché altresì governasse la Galilea , la
Samaritide, e di là dal Giordauo.
VI. Da Calcide poi trasferisce A grippa ad un regno
maggiore con dargli la tetrarchia di Filippo , contenente
la Batanea , la Traconitide , e la Gaulanite , colla giunta
per soprappiù degli stati di Lisania , e della provincia
già governata da Varo. Claudio poi, dopo tredici anni,
otto mesi , e venti giorno d' impero finisce di vivere (a4)
I.TTi. II. CAP. XII. 2t3

con lasciarne erede Nerone cui per le astuzie della mo


glie Agrippina adottòssi (2 5) per successo? nell' impevo
tuttoché avesse di Messalina sua prima moglie un legit
timo figlio detto Britannico , e una figliuola nomata
Ottavia; cui egli sposò a Nerone. Di Petina (26) altresì
gli era nata Antonia.

Capitolo XIII.

Nerone aggiugne al regno etAgrippa quattro città. Il


resto della Giudea é sottoposto a Felice. Rivolu
zioni prodotte da' sicarj , da' maghi , e dal falso
profeta egiziano. Contesa tra Giudei e Sirj in Ce
sarea.

I. Or quanto Nerone per la soverchia felicità e ric


chezza fatto insolente abusasse di sua fortuna , e in che
modo uccidesse il fratello , moglie e poscia la madre ,
da' quali la sua crudeltà fe' tragitto a' più stretti parenti,
e come alla fine per un parossismo di frenesia comparve
ancor sulla scena , e in teatro , giacché nojoso sarebbe
ad ognuno il ripeterlo , passeròllo sotto silenzio ; e in
quella vece mi volgerò all' avvenuto a' suoi tempi ai
Giudei. Egli adunque ad Aristobolo figliuol d'Erode (27)
concede in regno l' Armenia minore : e agti stati di
Agrippa aggiugne quattro città co' loro distretti, ciò sono
Abila e Giuliade di là dal Giordano , Tarichea e Ti-
beriade in Galilea. Del resto poscia delia Giudea deputò
procuratore Felice. Questi , avuto vivo in potere il ca-
pobandÙQ Eleazaro, che per vent'anui continui avea
3l4 DELLA GUERRA GIUDAICA

dato il guasto alla provincia , e con lui parecchi altri


suoi compagni , mandògli a Roma. De' ladroni poi e dì
quelli , che furono colti in consorteria seco loro , fu
senza numero la moltitudine, ch' egli condannò alla croce.
II. Nettato in tal modo il paese , un' altra razza di
malandrini si generò in seno a Gerusalemme, e si chìa-
inavau sìcarj , i quali a di chiaro ammazzavan ne' luo
ghi anche più popolosi della città le persone ; e singo
larmente ne' di solenni , ne' quali mischiandosi tra la
folla , e portando sotto le vesti nascose hrevi spadette ,
con esse ferivano i lor nemici : e , quand' eran caduti ,
gli ucciditori entravano insieme cogli altri a piagnerne
la sventura ; laonde pel buono aspetto , che avevano ,
non potevansi in niuna guisa scoprire. Ora il primo as
sassinato da que' ribaldi fu il pontefice Gionata. Dopo
lui ne cadevano per ior mano assai ogni giorno ; e più
doloroso del male stesso riusciva il timore, aspettandosi
ciascheduno , come avvien nelle guerre , ad ogni istante
la morte. Costoro adocchiavan da lunge i nimici ; né
altri potea confidarsi omai più negli amici , che stavangli
a fianco ; perciocché anche in mezzo a' sospetti e al/e
guardie veniva ucciso. Tanto velocemente adopravano i
traditori e con tal arte sapevansi ricoprire.
III. A questi s' aggiunse un altra combriccola di ma
scalzoni di man più pura, ma di consigli più perniciosi,
che niente meno degli scherani guastarono il buono
stato della città. Uomini ciurmadori e impostori , che
sotto titolo d' ispirazion celestiale tentando novità e can
giamenti inducevano a farneticare la plebe , e seco ti-
ravanla in luoghi diserti accertandola , che Dio quivi
1IB. II. CAP. XIII. li 5

avrebbe loro mostrati segni di libertà. Contro costoro


Felice , poiché per entro ci traspariva un principio di
ribellione , mandati cavalli e fanti uccisene in quantità.
IV. Ma guasto troppo peggior del passato fece dei
Giudei un falso profeta egiziano. Venuto in paese un
uomo , ch' era in realtà un ciurmadore , ma credere si
faceva un profeta , raccoglie d' intorno a sé di gente
malavveduta da trentamila persone ; che dopo più giri
condottele dal deserto al monte, cui dicono degli Ulivi,
di colà allesiivasi per passare a Gerusalemme e forzarla
alla resa , indi avuto in potere il presidio romano ed il
popolo farlavi da tiranno mercé dell' ajuto , che preste-
rebbongli i bravi , che accompagnar lo dovevano in
quell' impresa. Ma ne rompe a tempo i disegni Felice
uscitogli incontro coli' oste romana, e trassevi ad ajutarlo
anche il popolo , sicché appiccata la mischia , l'egiziano
con pochi altri fuggl , moltissimi de' suoi compagni pe
rirono , o fur presi vivi, e il rimanente di quella ca
naglia sbarattatosi andaron ciascuno a intanarsi nei pro-
prj paesi. -
V. Messo riparo anche a questo, siccome ad un corpo
malsano intravviene , un' altra parte di nuovo infermò.
Perciocché assembratisi insieme incantatori e masnadieri
tiravano a ribellare molte persone , e istigavangli a voler
libertà , minacciando di morte coloro , che i comanda
menti facessero de' Romani , e dicendo che spogliereb,-
bono a viva forza de' proprj averi chi spontaneamente
volesse servire. Ripartendosi in fatti per lo paese in più
squadre , rubavano i palagi de' grandi , uccidevano loro
stessi, e abbruciava» le terre, fino a trovarsi la Giudea
it6 DELLA GUERRA GIUDAICA

tutta ripiena del lor disperato furore ; e cotale infestan


done veniva crescendo ogni giorno.
VI. Bolliva intanto un altro scompiglio in Cesarea
pel tumulto , che insorse tra' Siri e Giudei , che colà
abitavano misti insieme. Gli uni volevano , che la città
fosse cosa loro , affermando essere stato giudeo il suo
fondatore, che fu il re Erode. Gli altri accordavan bensì
al suo autore f essere di giudeo , ma dicevano , che la
città era cosa de' Greci : che non ci avrebbe no innal
zate statue ne' templi , dovendola fabbricar per Giudei.
Questa contesa innoltravasi fino all'armi, e ogni giorno
da ambe le parti venivano i più animosi a battaglia.
Conciossiaché né i Giudei più attempati potevano raf
frenare gli spiriti rivoltosi de' lor nazionali ; e a' Greci
pareva cosa da vergognarsene lo star di sotto a Giudei.
Questi li vantaggiavano in gagliardia di persona e in
ricchezza : ma i Greci erauo superiori mercé dell' ajuto,
che avevano da' soldati ; giacché il più delle truppe ro
mane in quelle contrade eran leve di Siria. Veramente
i governatori ingegnavansi di sedare il tumulto , e pi
gliando sempre i più maneschi dall' una parte e dall' al
tra punivanli colle sferzate e colla prigione: non però
la disgrazia degli arrestati metteva freno o timore ai ri
masti , anzi vie più s' accendevano a ribellione ; ed es
sendo una volta. i Giudei vincitori, Felice venuto nel
foro con minacciose parole ingiunse loro di ritirarsi.
Essi non ubbidiscono , e Felice , mandata lor sopra la
soldatesca , ne uccide assai , e le sostanze di questi av
venne , che andarono a ruba. Ora , poiché ostinata si
manteneva la sedizione , Felice trascelti dall' una banda
. LIB. II. CaP. XIII. 217
e dall'altra i più riguardevoli , li mandò ambasciadori a
Nerone, perché innanzi a lui esponessero le loro ragioni.

Capitolo XIV.

A Felice succede Festo , e a Festo Albino , e ad


Albino Floro , che colla sua crudeltà sforza a pi
gliar F armi i Giudei.

I. Succeduto (2*) Festo nel grado di procuratore a


Felice non lasciò in pace coloro , che più infestavano
la provincia. Quindi pigliò assaissimi masnadieri , e ne
distrusse non pochi. Ma non così Albino successore di
Festo amministrò il suo governo. Anzi non v' ha sorta
d' iniquità , ch' egli dimenticasse. Quindi non pur nelle
cause civili saccheggiava e rubava ciascuno in particolare,
e con imposte opprimeva la nazion tutta, ma e gi' im
prigionati per ladronecci o da' loro comuni o da' pro
curatori passali mercé del denajo tornavagli a' lor con
giunti , e sol chi non dava , lasciavasi come ribaldo
marcir fra' ceppi. Allora si, che l'ardire de' novatori in
Gerusalemme prese fiato ; e i grandi coli' oro acchiappa
vano Albino , ond' egli desse lor libertà di sturbare la
quiete comune. Quelli pertanto fra' popolani , che nbn,
sapevano stare in pace , gettavansi a favorire i consorti
d' Albino , e però qualsivoglia tristo uomo con a fianco
Una mano di bravi compariva in pubblico tra la sua
gente , come un capo di malandrini farebbe , o un ti
ranno , e de suoi birri valevasi per ispogliare la gente
dabbene. Avveniva pertanto , che gli spogliati , dove
21 8 DELLA GUERRA GIUDAICA

sarebbonsi risentiti , tacevano ; e i non ancor tocchi per


Jo timore di correr con quelli la sorte medesima face—
vansi ad adulare eziandio , chi era degno di punizione.
In somma la pubblica libertà andò a fondo, e di molti
era il tiranneggiare, e allor cominciòssi a gettare i semi
per la città del futuro disertamento.
IL Or, tuttoché Albino fosse uomo di tal qualità ,
pur comparve più, che benissimo a paragone di Gessio
Floro, che venne a succedergli nel governo. Quegli al-
meuo nel più delle sue tristezze cercò di nascondersi ,
e andò riservato ; ma Gessio portò in trionfo il suo reo
procedere colla nazione; e quasi fosse colà spedito per
far da carnefice con persone già condannate , non vi
ebbe genere di ruberia ne di prepotenza , ch' egli om-
mettessé. Crudelissimo negli incontri compassionevoli , e
nelle azioni vituperose svergognatissimo ; né alcuno mai
in più grandi menzogne involse la verità , né fantasticò
per misfare maniere più frodolenti. Leggier cosa pare-
vagli l' ingrassare a costo sol de' privati ; spogliava le
città tuttequante , e gi' interi popoli impoveriva , e vi
mancò solo , che non bandisse per la provincia libertà
a chicchessia di rubare , sol che una parte toccasse an
che a lui della preda. Colpa pertanto della sua avarizia
fu il disertarsi di tutto il paese , e il fuggire di molti
nelle altrui terre, abbandonate le proprie.
III. Or fino a tanto che Cestio Gallo governando la
sua provincia si tenne entro a' confini della Siria , non.
v' ebbe persona , che osasse spedirgli neppur un' amba
sceria contro Floro. Ma appena egli venne per la cor
rente festa degli azzimi in Gerusalemme , ecco affollar
LIB. II. CAP. XIV; 219

glisi mtorno un popolo di niente meno , che tre millioni


di persone, e supplicargli, che a pietà si movesse delle
sventure della nazione , e in così dire chiamavano Floro
a gran voci la peste della provincia. Ma egli, che v'era
presente , e a fianco stava di Cestio , volgeva in argo
mento da ridere le lor voci. Cestio però , calmato l' ar
dore del popolo , e fattolo certo , che in avvenire per
opera sua Floro li tratterebbe più dolcemente, tornò in
Antiochia. Floro lo accompagnò fino a Cesarea ingan
nandolo con menzogne , e intanto già nel suo animo
macchinava di trar la nazione a una guerra, colla qual
sola vedeva poter coprire le sue iniquità ; mercecché ,
durando la pace , aspettavasi innanzi a Cesare accusa
tori i Giudei ; dove , condotta per lui al suo termine
U ribellione , col maggior male , che saria quello , stor-
rebbe lo sguardo altrui dai minori , ch' erano i suoi.
Egli adunque , perché la nazione perdesse pur la pa
zienza , andava ogni giorno accrescendo le lor miserie.
IV. In questo stante intervenne eziandio , che i Greci
di Cesarea ottenuto innanzi a Nerone colla vittoria della
lor causa il dominio della città , ne recarono la sentenza
in iscritto , e di qui ebbe cominciamento la guerra l'anno
duodecimo di Nerone e diciassettesimo del regno d' A-
grippa nel mese Artemisio (28). Alla farragine però dei
gran mali , ch' indi provennero , non rispose con pro
porzione il motivo , onde nacque. Perciocché i Giudei
cesariesi avendo la loro sinagoga vicina ad un luogo ,
che apparteneva ad un Greco di Cesarea , spesse volte
tentarono di acquistare quel luogo col profferirgliene un
prezzo di lunga mano maggiore , che non meritava. Ma
220 BELLA GUERRA. GIUDAICA

perciocché il padrone oltre il non curarne le inchieste }


in dispetto di loro fabbricò intorno a quel luogo , una
giunta facendovi di botteghe , e quindi lor non rimase
che uno strettissimo e miserabile passaggio , alla prima
i più caldi fra' giovini fattisi innanzi impedirongli il fab
bricare : ma rispinta da Floro la lor violenza , i più
ricchi Giudei e con essi Giovanni di professione gabel
liere non sapendo più che si fare , con otto talenti d' ar
gento alla mano si volgono a pregar Floro , che metta al
l' opera impedimento ; ed egli sol per avere il denajo
obbligatosi ad ogni cosa , poiché gli fu nelle mani , esce
di Cesarea e va a Sebaste, lasciando la briglia sul collo
alla sedizione , quasi avesse con ciò venduta a' Giudei
l' impunità di venire alle armi.
V. Il dì vegnente giorno di sabbato , mentre stavano
i Giudei radunati nella sinagoga , certo cervello torbido
di Cesarea capovolse un orcio , e postolo sull' ingresso
del luogo , dov' eran essi , prese a immolarci sopra vo
latili. Questo fatto a' Giudei seppe agrissimo fuor di
modo , veggendo con ciò oltraggiate le loro leggi , e
violato quel luogo. Quindi le persone fra loro d' animo
più composto e pacifico diffinirono , che si dovesse di
nuovo ricorrere alla giustizia ; ma la parte più rivoltosa
e per lo bollore degli anni più altiera s' accese a voler
battaglia ; e già s' erano i sediziosi di Cesarea messi in
concio di battagliare , mercecche avevano a bella posta
mandato innanzi il sagrificatore ; e incontanente fu at
taccata la mischia. Ma entratovi in mezzo Giocondo colà
generale di cavalleria a tal fine , perché s' opponesse ai
tumulti , leva l' orcio di là , ed ingegnasi d' acchetare il
L1B. II. CAP. XIV. 231

romore ; ma , poiché sopraffatto rimase dall' insolenza


dei Cesariesi , i Giudei , tolte seco le leggi , si riiiraro
a Narbata , paese di lor ragione appellato così , e ses
santa stadj discosto da Cesarea. Intanto dodici di più
polso, ch'erano con Giovanni, venuti dinanzi a Floro
in Sebaste dolevansi a lui del finora accaduto , e sup-
plicavangli di soccorso , tornandogli rispettosamente a
memoria gli otto talenti. Ma egli messe le mani addosso
a' meschini li fece prigioni incolpandoli d' aver portate
le leggi fuori di Cesarea.
VI. Qursto fatto sentissi in Gerusalemme assai male;
pur fino ad ora si tenne a freno lo sdegno. Ma Floro,
come schiavo per ciò vendutosi va soffiando nel fuoco ,
e mandati suoi uomini al sagro tesoro , ne trae dicias
sette talenti , fingendo, che Cesare abbisognasse di tanto.
A tal colpo il popolo tostamente si scompigliò , e corsi
in gran numero al Tempio in tuono da essere uditi in
vocavano il nome di Cesare , e supplicavanlo, che li de
liberasse una volta dal reo tiranno di Floro ; intanto al
cuni de' malcontenti aggiravansi intorno con un canestro
accattando pane per lui , quasi uomo necessitoso e pez
zente. Ma queste cose non che raffreddassero il suo amore
per l' oro , anzi vie più il provocarono a farne raccolta.
In vece adunque di rendersi in Cesarea , cosa allora ne
cessarissima , e spegnervi il fuoco , ch' indi già comin
ciava ad accendersi della guerra , e le occasioni rimuo
vere del tumulto , del che avea ricevuta ancor la mer
cede , con un esercito di cavalli e di fanti si spinse con
tro Gerusalemme per venire coli' armi de' romani a capo
de' suoi disegni , e colla paura e colle minacce incate-:
itì-1 DELLA GUERRA GIUDAICA

nare la città. Ora il popolo consigliandosi di placarne


lo sdegno usci incontro ai soldati con lieti viva, e già
s' era disposto a ricevere Floro cortesemente. Ma egli
mandato innanzi con cinquanta «avalli il centurione Ca
pitone intimò loro: diano addietro, né di chi hanno
tanto vituperosamente svillaneggiato piglinsi giuoco colle
presenti accoglienze: se son di cuor franco ed intrepido,
ora é il tempo di morderlo , mentr' é presente ; né alle
parole soltanto , ma in faccia ancor delle armi si mo
strino quegli amanti , che già furono , di libertà. Atter
rita con tal ditiuuzia la moltitudine , al primo muoverle
incontro i cavalli del seguito di Capitone si sbarattò ,
anziché niun saluto facesse a Floro , né alla milizia il
solito complimento , e ricoltisi nelle lor case vegliarono
tutta notte impauriti e confusi.
VII. Floro intanto ricovera nella regia. Il dì vegnente
piantato davanti a lor tribunale s' asside ; e furongli tosto
a fianco i pontefici , i grandi , e tutto il meglio della città.
A questi Floro intimò, che gli dessero nelle mani , quanti
detto gli avevano villanìa , aggiugnendo , che se non trae-
vangli innanzi i rei , la vendetta cadrebbe sopra il loro
capo ; essi all' incontro affermavano il popolo in gene
rale nodrire sentimenti di pace , e pregavanlo di per
dono , per chi era tropp' oltre trascorso in parole ; con-
ciossiaché in moltitudine così grande non dover essere
maraviglia , che alcuni sien più sfacciati degli altri , e
colpa dell' età , men prudenti ; né il divisare i colpevoli
dai non tali essere cosa oggimai più possibile ; mentre
ognuno é pentito , e nega ciò , donde teme qualche di
sastro : provvegga egli piuttosto al pacifico stato della na»
liB. ii. cap. xiv. sa3
2.1011C , e pensi a mantener le città alla divozione de' Pio-
mani , e in risguardo de' molti innocenti faccia anche
grazia a que' pochi colpevoli , che vi sono , anziché per
alcuni pochi ribaldi mettere sottosopra tante persone dab
bene. A .questi detti inasprito vie maggiormente grida
a soldati , mettano a ruba la piazza detta alta , ed uc
cidano , quanti dan loro nelle mani. Quella canaglia per
avidità della preda , che ne trarrebbono , abbracciato il
comando del generale , non pur saccheggiarono il luogo,
ove furon mandati , ma dentro gettandosi a tutte le case
ne scannavano gli abitanti. Quindi una fuga universale
per tutte le strade , un sanguinoso macello , di chi era
preso , e taute sorti di ruberie , che non se ne om-
mise pure una sola. Oltre a ciò arrestate molte persone
di qualche affare condusseile a Floro , ed egli dopo
straziatele co' flagelli le mandò a pendere sulla croce.
Or tutto il numero de' periti in quel giorno , compre
sovi donne e bambini ( giacché non furono risparmiati
neppure i pargoli ) montò intorno ai tremila e secento.
Quello però che più grave fece parer la sventura , si fu
il nuovo genere di crudeltà ne' Romani. Mercecché ciò,
a che prima non si era ardito persona , osò allora di
commettere Floro , cioé flagellare dinanzi al suo tribu
nale gente dell'ordine equestre , e inchiodarla poi sulla
croce ; che , s' era giudeo il lor sangue , il grado però,
che li rivestiva, era tutto romano.

/
2^4 DELLA GUERRA GIUDAICA

Capitolo XV.

Berenice indarno supplica a Floro , che perdoni ai


Giudei. Come spentasi la sedizione Floro la riac
cende.

I. Verso questa stagione trovavasi il re Agrippa in


cammino per Alessandria , ove andava a congratularsi
con Alessandro dell' affidare , che avea fatto Nerone al
suo reggimento l' Egitto datogli da governare. Intanto
Berenice di lui sorella , ch' era in Gerusalemme , e coi
suoi occhi vedeva le ribalderie de' soldati, sentivane gran
dolore, e più volte per suoi tribuni e sue guardie man
dava pregando Floro , che omai desistesse dal sangue.
Ma colui né alla moltitudine degli uccisi mirando , né
alla qualità della nobil donna, che lo prega va,, ma solo
al vantaggio , che dal rubare venivagli , non degnò di
ascoltarla. Anzi il furor de' soldati imbestialì perfin contro
la stessa regina ; onde non pur , lei veggente , strazia
vano ed uccidevano gi' infelici presi da loro , ma avreb
bero ancora tolta a lei stessa la vita , se non si fosse
sollecitamente ricoverata dentro la reggia ; dove passò
vegliando tutta la notte guardata da' suoi , e sempre in
timore , che non l' entrassero in casa i soldati.
II. Ella trovavasi allora in Gerusalemme , venuta di
lontano a sciogliere un voto a Dio : perciocché costu
manza , di chi fu travagliato da malattia o da qualche
altro sinistro accidente , si é passar trenta giorni in ora
zione prima di rendere il sagrifizio che debbono a Dio ,
LIB. II. CAP. XV. 225

e astenersi dal vino , e tosarsi i capelli. Alle quali cose


soddisfacendo allor Berenice scalza nel piede si pre
sentò supplichevole al tribunale di Floro , e oltre il niun
rispetto , che s' ebbe alla sua persona , ci corse pericolo
la sua vita. Intravvennero queste cose il sedicesimo di
d' Artemisio. Il dì appresso la moltitudine addolorata
concorse nell' alta piazza , e con istemperati schiamazzi
piagnea gi' infelici già uccisi ; ma le lor voci erano per
lo più offensive di Floro, laonde impauritane la nobiltà
e i pontefici si stracciaron le vesti, e pigliandoli ad uno ad
uno pregavanli a rimanersene , né per giunta ai mali già
sostenuti volessero accendere irreparabilmente lo sdegno
di Floro. Il popolo ne rimase ben presto capacitato tra
per rispetto delle persone , che lo ammonivano , e per
isperanza , che Floro non adoprerebbe più, nulla in lor
danno.
III. Ma a lui dolse forte , che fosse spenta la sedi
zione , e però con intendimento di riaccenderla chiama
a se i pontefici co' personaggi di più alto affare, e dice,
che l' unico segno di non pensare più il popolo a no
vità , sarebbe l' uscir essi incontro a' soldati , che allora
tornavano da Cesarea , ch' erano due coorti. Ora intanto
che quelli chiamavano a parlamento la plebe , Floro
mandò significando a' centurioni delle coorti, che ai sud
diti loro intimassero di neppur rendere a' Giudei il sa
luto ; e dove niente dicessero contro la sua persona, va
lersi delle loro armi. I pontefici adunque raccolti i cit
tadini nel Tempio , li confortavano ad ire incontro ai
Romani , e a voler anzi fare a' soldati cortesi accoglienze,
che tirarsi sul capo un malanno , che non ammettesse
Flavio, t. VI. Detta G. G. t. I. i5
226 DELLA GUERRA GIUDAICA
compenso. A queste insinuazioni chiudevano i rivoltosi
gli orecchi , e il popolo per lo dolore, che davagJi la
memoria de' trucidati , piegava dietro a' più animosi. Al
lora tutti i sacerdoti, tutti i ministri di Dio fuori traendo
il sagro vasellamento , e con esso l'arredo , in cui sole
vano esercitare il lor ministero , e dietro ad essi i so
natori e i cantori cogli strumenti prostrandosi innanzi
al popolo scongiuravamo a volere salvo il loro sagro ar
redo , e a non invitare allo spoglio de' divini tesori i Ro
mani. Ridersi in quell' occasione i pontefici stessi col
capo sparso di cenere, e colle vesti squarciate sul petto
andar qua e là supplicando per nome ciascuno de' no
bili , e tutta insieme la moltitudine , che per un legge
rissimo fallo non abbandonassero in man di gente la
patria , che non voleva altro più che distruggerla. E va
lesse la verità ; qual vantaggio portava a' soldati il sa
luto , che avrebbono da' Giudei , o qual riparo al pas
sato il loro non muoversi presentemente ? Che se , come
pur si costuma , accogliessero con maniere cortesi gli
omai vicini soldati, a Floro torrebbono ogni pretesto di
guerra , e in mercede per se ne avrebbono salva la pa
tria , e le loro persone in sicuro per l' avvenire. D' al
tra parte il darsi a seguire alcuni pochi cervelli inquieti ,
dove sarebbe mestieri , che il gran popolo, ch' essi sono
forzassero quegli ancora ad unirsi con seco , era segno
di troppo grande stoltezza.
IV. Ammollila con queste ragioni la moltitudine tras
sero nel medesimo tempo a più savj consiglj qua! con
minacce e quai per vergogna di lor medesimi i sedi
ziosi, ludi schieratisi quietamente e in buona ordinanza
LIB. II. CAP. XV. 227
andavano incontro a' soldati, cui saiutarono , quando gli
cbber vicini. Ma non avendone in contraccambio risposta,
cominciarono i malcontenti ad alzare le voci contro di
Floro. Questo fu il segno loro dato a gettarsi sopra i
Giudei. Issofatto adunque i soldati chiusigli in mezzo
presero a bastonarli , e dietro a' fugg tivi cacciandosi
co' destrieri li calpestavano. Molti ne caddero sotto i
colpi de' Romani , ma assai più per l' urtarsi , che fa
cevano scambievolmente. Terribile fu l' affollarsi del
popolo intorno alle porte , e mentre ognuno si studia
di prevenire il compagno , e ritardavasi a tutti la fuga,
e i caduti perivano miseramente. Perciocché soffocati ed
infranti dalla calca moltissima , che camminava loro so
pra , restavanne stritolati , e conci in maniera, che nep-
pur da' congiunti venutici per seppellirli se ne potò ri
conoscere pure un solo. Entravano tutto insieme ancora
i soldati nel bastonar che facevano alla disperata chi
dava loro nelle mani, e per la porta chiamata Bezeta (29)
spignevano a tutta forza la calca strignendola ad innol-
trarsi , e tentando d'impadronirsi del Tempio e della
fortezza nomata Antonia : al che aspirando anche Floro
condusse fuor della reggia que', che aveva seco , e cercò
ogni via di passare nella fortezza : ma i suoi sforzi an-
darongli veramente falliti. Perciocché il popolo , voltata
faccia, arrestònne il grand' empito , e parecchi intanto
saliti sopra le case ferivano di là i Romani. Essi adun
que e dall' alto malmenati co' dardi , e non più in furza
da romper la calca , ond' erano fitte le strade , si riti-
raron nel campo vicino alla reggia.
. y. I sediziosi però temendo , che Floro con nuova
228 DELLA GUERRA GIUDAICA

sortita potesse impadronirsi del Tempio , mediante la


torre Antonia , salirono tostamente colà , e tagliarono ì
portici , che dal Tempio continuavansi alla torre già
detta. Questo colpo assiderò l'avarizia di Floro. Per
ciocché spasimando per li tesori di Dio bramava di
passar nel!' Antonia ; ma poiché gli fur rotti i portici iu
feccia , egli appiccònne la voglia all' arpione ; e mandato
per li pontefici e per gli anziani fe' lor sapere , ch' egli
partiva dalla città ; loro però lascerebbe quel tanto di
guernigione , che lor fosse a grado. Quelli promessogli,
ch' ogni cosa sarebbe sicara né piegherebbono a novità,
purché loro lasciasse una sola coorte , quando non fosse
quella , che aveva testé combattuto ; perciocché il popolo
non poterla patire a cagione de' danni , ch'erangliene
provenuti, Floro cambiata, come chiedevano la coorte,
col resto delle sue truppe tornò a Cesarea.

Capitolo XVI.

Cestio manda Napolitano tribuno a spiare gli anda


menti de Giudei. Agrìppa tien lor parlamento per
distornarli dal muover guerra a' Romani.

I. Or esso arpicando col suo cervello a trovare nuova


cagion di guerra scrive a Cestio accusando bugiarda
mente di ribellione i Giudei , a' quali dà carico d' aver
essi cominciata la mischia , facendogli autori di ciò , che
patirono. Ma non si tacquero no i principali Gerosoli
mitani ; anzi ed essi e con essi ancor Berenice scrisse a
Cestio tutte le ribaldaggini > che avea Floro commesse
LIB. II. CkV. XVI. 229
nella città. Cestio , lette le accuse d' ambe le parti, udì
sopra ciò «l consiglio de' suoi capitani , alcuni de' quali
eran d' avviso , che Cestio andar vi dovesse in persona
colla milizia , ed o punirebbene la ribellione , se e' era ,
o raffermerebbe nel lor dovere i Giudei , se tenevansi
ancor fedeli. Ma egli fu di parere , che prima di ciò si
mandasse colà un de' suoi confidenti a spiar Io stato
delle cose ; e dovrebbe rapportar lealmente , di che fatta
si avessero intenzioni i Giudei. Spedisce pertanto un dei
tribuni chiamato Napolitano, il quale abbattutosi per
ventura di presso a Giamnia in Agrippa tornato già
d' Alessandria manifestògli , da chi e perché egli era
mandato. Quivi aucor si trovaro i pontefici de' Giudei
colla nobiltà e col Senato in atto di fare solenne rice
vimento al re Agrippa. Compiuti i lor doveri con lui ,
presero a deplorare le lor miserie , e far conoscere la
spietatezza di Floro ; del che sebbene il re Agrippa
sentisse molto dolore , pure da scaltro uomo ed accorto
rovesciò il suo sdegno sopra i Giudei , che in suo cuore
compassionava , affiu d' abbassarne il soverchio rigoglio ,
e col far comparire , che fossero degnamente al lor me
rito stati trattati , distorli dalla vendetta. Or que' Giu
dei , per le scelte persone che erano , e pel desiderio ,
che in grazia di lor ricchezze avevano della pace , ben
s' avvidero dell' amorevole riprension , ch' era quella
del re.
II. Frattanto il popolo di Gerusalemme a sessanta
stadj dalla città fe' le sue accoglienze ad Agrippa e a
Napolitano. Proruppero allora in gran pianti le mogli
de' trucidati fattesi innanzi , e al piagner di queste datosi
b3o DELLA GUERRA GIUDAICA

tutto il popolo a metter guai supplicava il te Agrippa j


che l' ajutasse ; e a Napolitano gridando narravano il da
patire, che diede lor Floro, ed entrati in città mostravano
a lui e ad Agrippa la piazza diserta e le case spogliate.
Indi per mezzo d' Agrippa suggeriscono a Napolitano ,
che con seco un sol servo si faccia a girar la città tutta
intorno fino a Siloe , onde sia testimonio cogli occhi
proprj , che i Giudei ubbidienti ad ogu' altro romano
del solo Floro sono nimici per l' eccessivamente crudele
uomo , che é stato con essi. Napolitano in quella sua
visita avuta prova bastevole della loro moderazione sali
al Tempio ; dove chiamato il popolo a parlamento , e
lodatolo assai della ferma sua fede verso i Romani , ed
assai confortatolo a mantenersi in pace , dopo adorati ,
per quanto a lui era lecito (3o) , i luoghi santi di Dio }
tornò a Cestio.
IH. Aliora tutto il popolo de' Giudei voltosi al re e
a' pontefici chiede , che mandisi contro a Floro un' am
basceria a Nerone , né col silenzio dopo un sì grande
macello consentasi , che prenda piede ir sospetto della
lor ribellione ; mercecché , se non sono essi i primi a
scoprire , chi cominciò a dare all' armi , ne saran essi
creduti gli autori : e ben chiaramente mostravano , che
nol porterebbero in pace , s' altri tentasse di frastornare
l' ambasceria. Ma ad Agrippa e il nominare per isquit-
tino accusatori di Floro pareva un fatto soverchio odio
so , e il veder senza muoversi i Giudei già in procinto
di romper guerra niente vantaggioso sembrayagli a' suoi
interessi. Il perché convocato il popolo nella loggia , e
posta in luogo eminente la sorella Berenice , cioé nel
1IB. II. CAP. XVI. 23 1
palagio degli Asamonei , ch' era a cavaliere alla loggia
verso il di là della parte superiore di Gerusalemme , ove
un ponte giugneva la loggia al Tempio, cosi parlò (3i).
« IV. S' io scorgessi , che tutti voi siete già risoluti
» di rompere co' Romani ,• e non anzi che la più sana
» parte e più intera del popolo é ferma di stare in
» pace , né io vi sarei comparso dinanzi, né avuto avrei
» tanto cuore da consigliarvi ; perciocché quando quelli ,
» che ascoltano , tutti d' accordo corrono al peggio ,
» checché si ragioni del convenevole a farsi , tutto é
» soverchio : ma poiché altri muove l' età inesperta dei
» mali , che incontratisi in una guerra , altri una male
» fondata speranza di libertà , altri in fine una , ch' io
» dirò meglio , avarizia , e il vantaggio , che dall' andar
» sottosopra ogni cosa acquisterebbono sopra i più de
liboli, affine che e questi ritornino a miglior senno,
» e dello sconsigliato pensare d' alcuni non abbiano i
» buoni a provare le ree conseguenze , io ho creduto
» mio debito di scoprire a voi tutti adunati in un
» luogo solo quel , che a me pare più utile presente-
» mente. Né , se dirò cose , che ad altri non piaccia
lino , vi sia persona , che romoreggi. Anche dopo le
»mie ammonizioni coloro , che insanabilmente son toc-
» chi da spirito sedizioso , potran persistere ne' senti
timenti di prima : dove il mio dire fia indarno per
»quegli ancora , che volontieri m' ascoltano , quando
» da tutti ugualmente non si stia con silenzio. »
V. « Ben io so , che molti, con espressioni da scena
» ingrandiscono e le avanie de' procuratori , e i pregi ,
» ond' esaltano la libertà. Ma io prima di farmi a disa
a32 DELLA GUERRA GIUDAICA
» minare , olii siate voi , e chi quelli , contro cui me—
» ditate di muover l' armi , sgropperò innanzi il nodo
» di que' pretesti , sopra cui v' appoggiate. Se voi in-.
» tendete di punire chi vi maltratta , a che tanto lodare
» la libertà ? che se importabile giogo a voi pare la
» servitù , soverchio é il lagnarvi , che fate , de' reggi-
» tori ; perciocché o ingiusti essi sieno o discreti, sem-
» pr é del pari vituperosa la servitù. Considerate voi
» dunque al lume d' una anche sola delle anzidette ra—
» gioni , quanto leggiere motivo per dare di piglio al-
» l' armi fla il vostro. Or per venire primieramente ai
» falli , di chi vi governa irritar non si vogliono , ma
» servire le signorie. Or quando per piccioli mancamenti
» voi fate grandi querele , altro questo non é , che ti—
» rarvi in capo lo sdegno de' querelati, i quali , lasciato
» da banda il nuocervi che facevano con riserbo e na-
» scostamente , vi rubano a viso scoperto. Non v' ha
» cosa , che scemi tanto le ingiurie , quanto il portarle,
» e il silenzio de' miseri oppressi é un rimprovero a chi
» gli opprime. Ma via , si diano per insopportabilmente
» molesti i ministri de' Romani ; noi sono già essi an-
» cora tutti i Romani , non lo é già Cesare , contro i
» quali voi intendete di romper guerra. Perciocché chi
* a voi viene per lor commissione , non é colpa loro ,
» se é ribaldo , né chi si giace fin là a ponente può
» aver sotto gli occhi que' di levante , né di colà é si
» facile l' udir prestamente , quanto di qua succede.
» Ben dunque saria cosa strana , per colpa d' un solo
» a molti , per un motivo da nulla far guerra ad no-
» mini del sì grande affare , eh' e' sono , né per ancor
tra. ii. cxp. xvi. a33
» del soggetto informati di nostre querele. Al che vuolsi
» aggiugnere , che le nostre doglianze atnmettono age-
» voi mente riparo. Non durerà poi il medesimo gover-
» natore in eterno , e ben ne giova sperare successori
» più discreti ; dove una guerra , quando é intrapresa ,
» né l' abbandonarla senza discapito é facil cosa , né il
» sostenerla. Certo , non é questo il tempo di nodrir
» desiderj di libertà , quando prima dovevasi fare ogni
» sforzo per non perderla affatto. Ahi ! troppo grave a
» provarla riesce la servitù ; e ben giusti son que' con-
» irasti , che fannosi per non soggettarlesi pure una
» volta : ma chi si trova nell' altrui mani , e poscia ne
» scatta , egli é più presto uno schiavo caparbio , che
» un amatore di libertà. Allor dunque volevasi far di
» tutto per non accettare i Romani , quando a signo-
» reggiar nel paese venne Pompeo : eppure i nostri
» maggiori , e i re stessi , che di ricchezze , di corag-
» gio , e di forze erano alquanto meglio forniti , che
» voi non siete , non poteron far argine neppure a una
» parte ben picciola della possanza romana. E voi , che
» riceveste in retaggio la suggezione , e tanto siete al
» di sotto de' primi , che si sottomisero , resisterete a
» tutto quanto l' impero romano ? Eppur gli Ateniesi ,
» quegli Ateniesi , che l' alterissimo Serse , che navi-
» gava per terra e viaggiava in sul mare , e non capiva
» ne' vasti seni del pelago , e un' armata traevasi dietro
» più vasta di tutta Europa , iuseguironlo fuggitivo so-
» pra un sol legno , e vicino alla picciola Salamina
» sbaragliarono l Asia così possente , ora servono ai
» Romani , e alla città reina già della Grecia dan legge
234 DELLA GUERRA GIUDAICA
» le disposizioni venute d' Italia. Cosi gli Spartani dopo
» le Termopile e le Platee e un Agesilao , che l' Asia
» voltò sottosopra , amano d' ubbidire a' medesimi do-
» minanti. Così i Macedoni , a cui si volge ancora pel
» capo Filippo , cui veggono insieme con Alessandro
» promettere a loro I' impero del mondo , si portano
» iti pace cosi gran cangiamento , e a quelli s' inchina
ti no , verso i quali si spiegò la fortuna. Così cent' altre
a nazioni fornite di ben più forti ragioni , che voi , a
» difendere la lor libertà , si sottomettono. E voi sarete
» que' soli , che sdegnano di servire a chi vive soggetta
» tutta la terra? Ma in che. eserciti vi confidate voi , in
» che armi ? Dove sono le flotte a interchiudere i mari
a romani ? Dove i tesori bastevoli a tanta impresa? Cre-
» dete voi forse d' avere a far con Egizj o con Arabi ?
a Quando fia mai , che portiate intorno lo sguardo sopra
» l'impero romano? Quando, che misuriate la vostra
» meschinità? Non é egli vero, che le vostr' armi sovente
a furono vinte dalle nazion confinanti, e il valore di quelli
» corse invincibile il nostro mondo ? Ma che dico io il
» nostro mondo? Cercarono altri paesi oltre a questo. No,
a non furono paghi né di tutto quanto l' Eufrate a le-
» vante , né a tramontana dell' Istro , né a mezzodì di
» quel tutto di Libia , che fino alle terre disabitate poté
» scoprirsi , né di Cadita (3 a) a ponente, ma andarono
» in cerca d' un altro mondo di là dall' oceano , e pe-
» netrato coli' armi fino tra i prima non mai conosciuti
» Britanni. E che ? Siete voi forse più ricchi de' Galli ,
a robusti più de' Germani , più accorti de' Greci , più
» numerosi di tutti i popoli della terra ? quale fidanza
I
LIB. II. CAP. XVt. -235
» vi leva contro a' Romani ? Ma , dura cosa é il ser-
» vire , dirà taluno. Quauto più dura ella seppe a'
a Greci , i quali tuttoché credansi d' avanzare in no-
» biltà quante genti vivonci sotto il sole , e posseggano
» sì gran paese , pure ubbidiscono a sei fasci romani ;
» e ad altrettanti ancora i Macedoni , che più ragione-
a volmente di voi dovrebbono desiderare la libertà. Che
a fanno le cinquecento città dell' Asia ? Non adorano
a esse sfornite di guernigioni un solo governatore e i
» fasci consolari ? Che giova qui mentovare e gli Enio-
» chi , e i Colobi , e la nazione de' Tauri , e quelle
a del Bosforo , e le genti d' intorno al Ponto e alla
» Meotide , genti , che prima neppur conoscevano pro-
» prio signore ? Stan pur esse soggette presentemente a
t> tremila soldati , e quaranta lunghe navi conservano in
» pace un mare impraticabile per addiètro e salvatico ?
a Quante cose potrebbono dire per la lor libertà la
a Bitinia , la Cappadocia , i popoli della Pamfilia , que'
a della Licia e della Cilicia ? Eppure senz' armi pagan
a tributo. Che potrebbono i Traci , i quali signori
» d' una provincia , che in largo cinque , e sette gior-
a nate si stende in lungo , più montagnosa e più forte
» assai della vostra , e col suo ghiaccio durissimo ritar-
a dante gi' impeti ostili vivono sottomessi a non più di
» duemila soldati , che stannovi in guernigione. Quelli
a poi , che lor vengono dietro , cioé gi' Illirici abitanti
a in sull' Istro e per li paesi , che trovansi fino alla
» Dalmazia , non ubbidiscono essi a due sole legioni
a romane , e con queste rispingono gli urti de' Daci ?
» E i Dalmati stessi , che tanto fecero per la loro li-

^
236 DELLA GUERRA GIUDAICA
» berta , e perciò sol sempre vinti ; perché raccolte
» novelle forze tornassero a ribellare , oggi non trag-
» gono essi i lor giorni in pace sotto una sola legion
» di Romani ? Cbe se v' ha nessuno , cui forti motivi
» debban sospignere a ribellarsi , e' certamente sareb—
» bono i Galli , cui fornì la natura di sì gagliarde di-
» fese , dell' Alpi a levante , a settentrione del Reno , a
» mezzo giorno de' Pirenei , e dell' oceano a ponente.
» Eppure , benché rinchiusi iti trincee di tal fatta ,
» benché numerosi fino a trecento cinque popolazioni ,
» benché scaturire si veggano , sto per dire , in casa
» le sorgenti della felicità , e ne riversino i beni per
» tutto quasi la terra , si degnano non pertanto d' esser
» la rendita de' Romani , e di cercare appo loro la
» propria felicità: e lo soffrono , non per viltà di cuore
» né per difetto di spiriti men generosi , quando per
» ottant' anni continui durarono difendendo coli' armi
» la lor libertà , ma perché dal potere non men fur
» sorpresi , che dalla fortuna de' Romani , la quale a
» pro loro faceva più , che non l' armi ; ond' essi li
» servono sotto mille e dugento soldati , de' quali per
» poco non son più le città , che posseggono. Neppure
» alla Spagna l' oro , che vi si coltiva al par delle bia-
» de , fu tanto da sostenere una guerra intrapresa a
» difendere la libertà , né loro punto giovò la sì grande
» distanza di terra e di mare , che parteli da' Romani ,
» né le tribù intiere de' Lusitani , né il genio guerresco
» de' Cantabri , né il vicino oceano , i cui movimenti
» atterriscono i popoli di que' contorni ; anzi spinte
» l' armi fin oltre l' Erculee colonne , e per mezzo alle
tIB. II. CAP. XVI. 237
» nubi varcate le cime de' Pirenei soggiogare- ancor
» questi i Romani ; e a così bellicose nazioni e tanto
» rimote bastò di presidio una sola legione ? Chi é di
» voi , che non abbia udito parlare del numero dei
» Germani ? Che quanto si é alla gagliardi;! e vastità
» de' lor corpi , testimonj ne sono più volte i vostri
» occhi , avendo i Romani di tal nazione schiavi per
» tutto. Or questi tuttoché abitanti un immenso tratto
» di terre , tuttoché d' un coraggio più grande ancora
» della persona , tuttoché d' un animo disprezzator
o della morte e nella rabbia più d' ogni fiera indomabile
» stemperato , pur guardano il Reno , come il confin
» della loro ferocia , e da otto legioni romane domati
» servono quella parte di loro , che furon presi ; e
» tutto quant1 é il restante di lor nazione raccomanda
» alla fuga la sua salute. Or fatevi un poco a dare
» un' occhiata al muro ancor de' Britanni , voi che
» nelle mura di Gerusalemme appoggiate la vostra fi-
» danza. Avevano da ogni lato in loro difesa l' oceano ,
» abitavano un' isola niente minore del nostro mondo ;
» eppure i Romani colà sopra navi sospintisi la reca-
» rono sotto il lor giogo , e al presente di quattro sole
» legioni sta a guardia isola così sterminata. Ma che
» giova parlar più a lungo , quando anco i Parti gente
» bellicosissima , capi di tante nazioni , e tutto intorno
» assiepati da sì gran forze mandano ostaggi a' Roma-
si ni , e ognun può vedere in Italia sotto sembianze di
» pace viverci schiava la prima nobiltà dell'oriente. Ora
» in quel tempo medesimo , che le nazioni pressoché
» tutte del mondo adorano l'armi romane , voi soli
a38 DELIA GUERRA GIUDAICA
» vorrete guerra con esse , senza por mente al cornei
» finissero i Cartaginesi , i quali con tutto il da lor
» decantato si grande Annibale e la nobiltà derivata lor
» da Fenicj sotto la destra pericolarono di Scipione ?
» Non i Cirenei Lacedemonj d' origine , non i Mar-
» ninridi nazione stendentesi fino alle più arse solitudi-
» ni , non le Sirti , che .mettono anche al solo parlarne
» spavento , né i Nasamom , né i Mauri , né il popolo
» immenso de' Numidi poterono contrastare al romano
» valore. Cosi quella terza parte del mondo, le cui na-
» zioni sarebbe difficile impresa il pur noverare , che
» ha per confini quinci l' oceano Atlantico e le co
ti lonne d' Ercole , quindi il mar rosso , che sostenta e
» mantiene l' innumerabil nazione, che son gli Etiopi,
» soggiogaronla tutta quanta. Oltre poi l' annovale tri-
» buto di biade , che a tutta Roma danno mangiare
» per otto mesi , a cent' altre imposte vanno soggetti ;
» e alle necessità dell' impero contribuiscono prontamente
» dena jo, non si credendo punto, come voi , aggravati
» da lor comandi , benché una sola legione soggiorni
» fra loro. Ma chi ne costrigne a trar sì da lungi le
» prove della potenza romana ? Ve le somministri il vi-
» cino Egitto , il quale stendentesi fino all' Etiopia e al*
» l' Arabia felice e porto ch' egli é dell' Indie , con
» sette milioni e cinquecentomila abitanti , oltre quei di
» Alessandria , il cui numero si può dal tributo , che
» paga ogni capo d' uomo , conghielturare abbastanza ,
» nò non isdegna la signoria de' Romani , benché a
» ribellare abbia uno stimolo così grande , com' é Ales-
» sandria , per la popolosa e ricca città , ch' ella
LIE. II. CÀP. XVI. a3f)
» e oltre a questo assai vasta , cioé trenta stadj in lun-»
» go , e in largo nulla meno di dieci. Aggiugnete ,
» ch' ei rende più ai Romani in uu mese , che voi
>» non fate col tributo d' un anno , e oltre il denajo
» provvede a Roma di viveri per quattro mesi : che é
» da ogni parte difeso , o da diserti inaccessibili , o da
» mari che non han porti , o da fiumi , o da paludi ;
» eppur niente di tutto questo valse a resistere alla re—
» mana fortuna ; e due legioni disposte per la città in-
» frenano il grande Egitto, e con lui gli alti spiriti
» de' Macedoni. Da che piagge adunque disabitate e so-
» linghe trarrete voi alleati per questa guerra , giacché
» i popoli sparsi pel mondo abitato son tutti Romani ?
» Quando non fossevi per ventura persona , che di là
» dall' Eufrate stendesse le sue speranze , e si lusingas
si se , che i suoi nazionali fino dall' Adiabene venissero
» con soccorsi. Ma né per ragioni da nulla s' invilup-
» peranno mai quelli in una guerra così rilevante , né
» quando fossero i malconsigliati da farlo, il Parto non
» consentirallo giammai. Conciossiaché troppo prema a
» lui l' amistà de' Romani , e crederebbe di rompere i
» patti , se alcun de' suoi sudditi contro Ior si levasse.
» Rimane adunque per unico scampo l' ajuto , che può
» sperarsi da Dio. Ma questo é già apertamente a favor
» de' Romani ; perocché fora impossibile , che un im-
» pero si grande senza la man di Dio stesse in piedi.
» Avvertite altresì, che la puiùtà della vostra religione,
» quand' anche aveste a far con nimici da vincergli
» agevolmente , mal potrebbesi mantenere , e costretti a
» non curar quello stesso , onde principalmente sperate
24o DELLA GUERRA GIUDAICA
» da Dio soccorso , lo vi rendete più presto nimico t
» che se voi guardate la legge del sabbato, né ad im-
» presa veruna mettete mano in quel giorno , agevol-
» mente sarete vinti , come già i nostri maggiori lo
» furono da Pompeo , che a strignere vie più l'assedio
>> di questi giorni particolarmente si valse, in cui oziosi
» si stavano gli assediati. Che se guerreggiando trasgre-
» dite la legge , io non veggo , per qual motivo fac-
» ciate la guerra , unica vostra premura essendo , che
» non si annulli pur uno de' patrii riti. E con che lin-
» gua invocherete voi a difendervi Iddio, voi che spon-
» taneamente ne trascurate il servigio ? Or chiunque si
» accigne a una guerra , esso il fa agli ajuti appoggiato
» o divini od umani. Quando poi la soverchia ostina»
» zione gli esclude entrambi , gli autor della guerra si
» gettano in braccio a una manifesta rovina. Chi dun-
» que vi toglie , che di man propria non iscanniate fi-
» gliuoli e mogli , e questa città bellissima diate alle
» fiamme ? Imperciocché infuriando cosi alla disperata
» vi risparmiente almen la vergogna d' una sconfitta.
» Savio avviso , miei cari , savio avviso egli é pure ,
» finché il legno é in porto , antiveder la fortuna av-
» venire né dal porto buttarsi fra le tempeste. Percioc-
» che a chi é colto improvviso da traversie , riman , se
» non altro , per suo conforto l' altrui compassione.
» Dove , chi corre incontro a un già preveduto peri-
» colo , ne ha di vantaggio le beffe altrui. Se non che
» forse alcuno si crede , che il guerreggiare non sarà
» contro a' patti , e i Romani vincendo ne tratteranno
» con discrezione , e non anzi per dare un esempio ad
LIB. II. CAP. xvI. a4 1
altre nazioni , abbruceranno la Santa Città , e tutta
la nostra gente diserteranno : giacchè non accade
sperare , che , dove tutti o riconoscono per lor si
gnori i Romani , o ne stanno in timore , possano i
sopravvissuti al comune sterminio trovare un ricovero
alla lor fuga. Il pericolo poi non sarà no di que' soli ,
che qui si trovano , ma di quanti eziandio sono sparsi
per le straniere città. Mercecchè non ci ha popolo nella
terra, ove una parte non sia de' nostri. Allora i ni mici
sotto il pretesto del guerreggiare , che voi farete , li
taglieran tutti quanti a pezzi , e per colpa di pochi
mal consigliati correrà ogni strada sangue giudeo ; e
tanto macello , quand' esso avvenga , sarà perdonato',
a chi funne l' autore ; che se non avviene , dch ri
flettete , da che ingrato cuore egli sia muover guerra
a persone tanto cortesi. Ah vi stringa pietà , se non
delle mogli e de' figli , almeno di questa metropoli e
delle sagre sue mura. Perdonate al Tempio , serba
tevi co' sagri luoghi intatta la legge. Non risparmieran-
noli no questa volta i Romani , quand' abbiangli in lor
potere , giacchè del rispetto , con che li trattaron
già tempo , or n' han guiderdone sì indegno. Io per
me chiamo i vostri Santi Luoghi e i Santi Angeli di
Dio in testimonio , che di quanto potea riuscirvi gio
vevole , nulla ho sottratto alla vostra considerazione.
"Voi dunque , se a convenevol partito v' appiglierete ,
una con meco godrete della pace comune : ma quando
mai a una cieca passione portar vi lasciaste , perico
lerete , ma senza di me. »
VI. Questi suoi detti accompagnò colle sue e colle
Flavio, t. VI. Della G. G. t. I. 16
342 della guerra giudaica
lagrime di Berenice , e questo pianto ammorzò in gran
parte il furor de' Giudei. Quindi gridavano non co' Ro
mani voler la guerra , ma sol con Floro pel reo trat
tarli , che aveva fatto. Al- che rispose il re Agrippa ,
« ma il vostro é un procedere, da chi ha rotto già coi
» Romani; perciocché voi avete e (33) negato 'l tributo
» a Cesare , e tagliati i portici dell' Antonia. Solo allor
» cesserete da voi i sospetti di ribellione , quando e i
» portici uniate di nuovo , e paghiate il tributo ; che
» poi finalmente né la fortezza é di Floro , né a prò
» di Floro avete a sborsare il denajo ».

Capitolo XVII.

/ Giudei danno cominciamento alla guerra


contro i Romani. Si parla di Manaemo.

I. A queste ragioni il popolo si piegò , e con esso il


re e Berenice saliti al Tempio diedero all' edificazione
de' portici cominciamento. Intanto ripartitisi per le terre
della provincia i capi del popolo cogli anziani misero
mano alla riscossion de' tributi ; e s' ebbero tra pochi
giorni raccolti quaranta talenti , il bisognevole alla pas
sata mancanza. Così Agrippa spense la guerra , che al
lor minacciava d' accendersi.
II. Indi studióssi d' indurre il popolo a suggettarsi a
Floro, fino a tanto che Cesare li provvedesse d'un suc
cessore. A questo passo infuriati oltremodo maledissero
il re, e bandironlo dalla città; anzi v'ebbe de' sediziosi,
che osarono d' inseguirlo co' sassi. Allora Agrippa avvi
1IB. II. CÀI». XVII. '2 43

sando per insanabile la frenesia de' ribelli , e dolente


dello stranarlo che avevan fatto, dopo spediti i capi del
popolo una co' grandi a Floro in Cesarea , perché dal
lor numero egli scegliesse, chi avea dal paese a riscuo
tere le gravezze , ricolsesi nel suo regno.
III. lu questa alcuni di coloro , che somministravan
più esca alla guerra , collegatisi insieme assalirono una
fortezza detta Massada, e occupatala furtivamente misero
a fil di spada la guernigione romana, e gliene sostitui
rono un' altra della, lor gente. Anohe nel Tempio in
quell' ora medesima Eleazaro figliuol d' Anania il pon
tefice , giovinastro arditissimo , capitano allora della mi
lizia persuade i ministri del santuario a non accettare
né offerte né vittime di persone straniere. Questo fa
ciò , che diede le mosse alla guerra contro i Romani ;
con ciò fosse che rigettassero il sacrifizio per loro (34)
offerto da Cesare, e con tutto il molto scongiurarli che
fecero così i pontefici come le più qualificate persone ,
che non lasciassero il rito solito adoperarsi per la salute
de' principi , non si rendettono , imbaldanziti assaissimo
per la moltitudine, che gli spalleggiava, ch'era il nerbo
e il fior de' ribelli, e singolarmente perché tenean l'oc
chio rivolto in Eleazaro lor capitano.
IV. Raccoltisi adunque i grandi si uniro a' pontefici ,
e con essi i più nobili Farisei , come in caso già di
sperato , tennero della somma di tutti gli affari seria
consultazione : e paruto loro , che si dovesse con un
parlamento tentare gli animi de1 ribelli , innanzi aila
porta di bronzo, che all'interior parte del Tempio ap
partiene ed é volta a levante , radunano i cittadini ; e
2/{4 BELLA GUERRA GIUDAICA

primieramente lagnatisi forte fieli' ardimentosa le* ribel


lione, e del suscitar, che facevano contro la patria co
tanta guerra , indi vennero a dimostrare gi' insussistenti
pretesti , ch' erano i loro ; dicendo , aver colle offerte
degli stranieri fornito il Tempio in gran parte i loro
antenati, che sempre accettavano i doni de' popoli fore
stieri; e non che mai rifiutassero sagrifizj di chicchessia
(empia cosa oltremodo), ma lor medesimi averne d' in
torno al Tempio appese le offerte , che ci vedevano e
ci si tenevano già da tant' anni. Or essi al presente ,
che a proprj danni attizzavano *f armi romane, e tenta
vano ogni via di aver guerra da loro ," introdurre una
nuova foggia di culto , e a grave lor rischio condannar
la città a crederla gli altri un' empia , se presso a' soli
Giudei né possa sagrificar lo straniero né adorar Dio.
Che se contra un solo privato altri pubblicasse una
legge di simil fatta , egli se ne dorrebbe come d' un
tratto di scortesia : or qui aversi in dispetto i Romani ,
e Cesare co ll' escluderli t che si fa, dalla propria alleanza.
Doversi adunque temere , che in pena del loro rigettare
le vittime da offerirsi per quelli non sia loro interdetto
il sagrificare eziandio per se stessi , e la città non sìa
esclusa dall'alleanza col!' impero, quand'essi però tornati
prestamente in cervello non restituissero , a chi l' avean
tolto , l' onor delle vittime , e anziché ne giugnesse agli
orecchi degli adpntati la fama, dell'onta non ristorassonli
pienamente. E in così dire chiamarono sacerdoti spertis-
simi nelle patrie leggi a certificarli, che tutti i loro an
tenati accettavan le vittime offerte dagli stranieri. Ma
nessuno de' novatori pose mente a' lor detti ; anzi nep-
tIB. II. CÀP. XVII. 245
pure i ministri del santuario rendettonsi, maturando cosi
la rivoluzione , che li portava alla guerra.
V. I grandi adunque vergendo, che il racquetar quel
tumulto non era impresa di facile riuscita per loro , e
che il danno dell'armi romane incorrebbe prima d'ogni
altro le lor persone , sì s' allestirono a dilungare da se
i sospetti ; e però ordinarono due ambasciate , una a.
Floro, ond'era capo Simone figliuol d'Anania, e l'altra
ad Agrippa , in cui sostenevan le prime parti Saulo ,.
Antipa , e Costobaro , tutti e tre attenentisi a lui per
sangue. Per esse pregavano l'uno e l'altro, che si ren^
dessero con buone forze nella città, e tagliassero alla'
sedizione la strada , anziché si facesse indomabile. Fuv
per Floro questa disavventura una lieta novella, e come
colui , ch' era fermo d' accender guerra , non disse in
risposta a' legati pure una sillaba. Ma Agrippa sollecito
egualmente del ben de' ribelli , e di quello , della na
zione , contro cui si moveva la guerra , e bramoso d^
conservare a' Romani i Giudei , e a' Giudei il Tempio
colla città dominante, e accorto abbastanza a conoscere,
che neppure a lui fora niente giovevole quel tumulto ,
mandò alla difesa del popolo tra d'Auraniti, di Batanei,
e di Traconiti tremila soldati a cavallo sotto il capitano
di cavalleria Dario , e il generale Filippo figliuol di
Giacimo.
VI. Alla presenza di questo soccorso i grandi con
esso i pontefici e quel tutto del popolo , che voleva la
pace , fatto buon cuore s' impadroniscono del più alto
della città ; giacché la parte inferiore ed il Tempio era
in man de' ribelli. Fionde pertanto e dardi eran l'arme,
2^6 BELLA GUERRA GIUDAICA

di che si valevano incessantemente ; e continuo era il


volar delle frecce dall' una banda e dall' altra. V. ebbe
ancor tempo , in cui uscendo schieratamente batteroiisì
davvicino , mostrandosi superiori d' ardire i ribelli , e i
Begj di maestria. Or gli sforzi di questi eran volti sin
golarmente a impossessarsi del Tempio , e cacciarne i
profanatori. All' incontro i ribelli fautor d' Eleazaro s* a-
doperavano in aggiugnere a ciò, che tenevano, la parte
superiore della città. Sette giorni continui durò il ma
cello da ambe le parti; né niuna cedette un palmo del
campo da se occupato. Il dì appresso correndo la festa
della Siloforia (35), in cui tutti costumano di recar le
ene all'altare perché non manchi giammai esca al fuoco,
che sempre conservasi acceso , i ribelli esclusero dalla
celebrità i lor nimici. Intanto accolti fra loro molti sicarj
(così chiamavansi i malandrini, portanti nascoso in seno
il pugnale), che s'erano sparsi tra'l popolo disarmato,
s'accinsono con più ardire all'impresa: e i Regj furono
sopraffatti da! numero e dall'ardimento, e incalzati foi>
/osamente dovettero abbandonare l'alta città; onde quelli
recatala in lor potere mandarono a fuoco e fiamma la
casa d' Anania il pontefice co' palagi d' Agrippa e di
Berenice. Dopo ciò portarono il fuoco contro l'archivio,
volendo , ch' andassero in cenere gli stromenti de' cre
ditori , e impedire la riscossione de' crediti , affine d'ag-
giugnere al lor partito la moltitudine de' debitori , e
dare sicurtà a' poveri di levarsi in danno de' ricchi. Po
stisi per ciò a fuggire i soprau tendenti ali' archivio, essi
\i misero il fuoco. Cavate le penne maestre alla città ,
si rivolsero contro- a' nemici. Ma i grandi e i pontefici ,
LIB. II. CAP. xvii. 247
parte appiattatisi entro le fogne colà si tenevano ascosi ,-
e parte insieme oo'Regj ricoveratisi entro la reggia posta
più alto serraronne prestamente le porte , tra i quali
trovavasi Anania il pontefice, Ezechia suo fratello, e gli
ambasciadori andati gii ad Agrippa. Quindi coloro pa
ghi per al presente dell' ottenuta vittoria e del diserta-,
mento fatto col fuoco non mosser più oltre.
VII. Il giorno appresso, ch'era il quindicesimo dì di
Loo (36), sì spinsero contro Antonia, e dopo due giorni
d'assedio presero la guernigione, l'uccisero, ed abbru
ciarono la fortezza. Indi passaro alla reggia, ove s'erano,
rifuggiti i Regj , e divisa in quattro corpi la loro gente
tentarono di pigliarne le mura d'assalto; ma que'd' en
tro , avvegnaché non bastasse l'animo a niun di loro di
far sortita pe' troppi, ch'erano gli assedianti, pur ripar
titisi su per li bastioni e le torri ferivano gli assalitori,
e cadevano morti appie delle mura un gran numero di
malandrini. Non s' intermetteva il combattere né di né
Dotte , sperando dall' una parte i ribelli di poter trarre
alla disperazione que' dentro colla mancanza de' viveri ,•
e dall' altra que' dentro altrettanto degli assedianti colla
stanchezza.
VIII. In questa certo Manaemo figliuol di Giuda so-
prannomato Galileo filosofo terribilissimo (37), che ai
tempi già di Cirenio rimproverò a' Giudei il lor sotto
mettersi dopo Dio a' Romani , con parecchi di grande
affare volò a Massada ; ove apertasi l' armeria del re
Erode ne forni, oltre a' suoi popolani, altri ancora, che,
erano malandrini, e di questi valendosi per guardacorpo
si ricondusse non altrimenti che un re in Gerusalemme;
B^8 .. DELLA GUERRA. GIUDAICA

dove creato general de' ribelli ordinava l'assedio. Eravi


scarsità di difizj , e il cavar sotto alle mura in palese
non era possibile pel saettar , che facevano d' alto i
nimici. Cominciata pertanto ben dal lungi la mina
condusserla sotto una torre, cui puntellarono; indi messo
il fuoco in que'legni, che le facevano da puntelli, usci
rono. Consunti dal fuoco i sostegni , rovinò improvviso
la torre; ma issofatto comparve da più indentro un'altra
muraglia innalzatavi di rincontro. Perciocché gli asse
diati , avuto sentore della lor frode , e ciò per ventura
dal traballar della torre al cavarsi , che le si faceva al
di sotto , fabbricaronsi incontanente un secondo riparo.
A questa non aspettata veduta i ribelli, che già si cre
devano d'aver vinto, rimasero stupiditi. Ciò non ostante
que' dentro mandarono richiedendo Manaemo e i capo-
rion de' ribelli, che sotto la fede loro potessero uscire;
il che a' soli Regj e paesani permesso , questi n'anda
rono altrove ; e i Romani lasciati soli smarrirono forte ;
perciocché né cotanta moltitudine di nimici poteva rom
persi a viva forza , e il domandare mercé parea loro
ima taccia da vergognarsene ; senza che non credevano
fosse loro per accordarsi. Laonde abbandonato , perché
troppo facile ad esser preso , il campo , si ricolsono
entro le torri reali nomata l'una Cavaliera (38), l'altra
Fasaelo , e Mariamme la terza. Intanto la gente di Ma
naemo colà avventatasi , ond' era fuggita la soldatesca
nimica, e quanti di loro, che non sollecitarono la par
tenza , poterono aver nelle mani , gli uccisero , e rubato
il bagaglio misero fuoco nel campo. Tutto questo si fece
nel sesto dì di Gorpieo (3 9).
LIB. II. CAP. XVII. • • 249

IX. Il giorno di poi il pontefice Anania , che tene-


vasi ascoso dentro i condotti del palagio reale, fu preso,
e da' malandrini tolto di vita una con Ezechia suo fra
tello ; e i ribelli , circondate le torri , tenevanci buona
guardia , perché anima di soldato non ne fuggisse. Ora
il distruggimento di luoghi assai bene guerniti e la
morte del pontefice Anania , attizzò Manaemo a incru
delire ; il quale credendosi di non aver nel governo ri
vali era un insopportabil tiranno. Ma gli si levarono
contro i favoreggiatori d' Eleazaro , e considerato fra
loro, che gente sottrattasi per amore di libertà alla sug-
gezion de' Romani non era dicevol cosa , che la gettas
sero in grazia d' un lor popolano , e si umiliassero ad
un padrone , poniamo che non violento , pur sempre
dammen di loro ; e se pur era mestiere , che un solo
fosse capo di tutti , ad ogn' altro star meglio che a lui
questo uffizio , s' accordano in un sentimento , e lo as
salgono presso al Tempio, dov' egli veniva per adorar.
Dio , atteggiato di grande alterigia , vestito d' un real
manto, e con dietrogli armati i suoi partigiani. Appena
gli Eleazariani si furon mossi contro di lui, e il restante
del popolo per eccesso di sdegno dato di piglio- a' sassi
lapidava il mal uomo , pensando , che morto lui spe-
gnerebbesi tutta la sedizione. I Manaemiti dopo legger
resistenza avvedutisi dell'infuriare di tutto il popolo con
tro di loro , fuggironsi , dove meglio, poté venir fatto a
ciascuno ; laonde si fece strage di qùe' , che rimasero ,
e molte ricerche di que' , che s' ascosero. Alcuni pochi
di questi s' erano messi in salvo col ricoverare furtiva
mente iu Massada , tra i quali fu Eleazaro figliuol di
25o DELLA GUERRA GIUDAICA
Giairo pareute «li Manaemo, il quale ne' tempi avvenire
governò tirannescamente in Massada. Indi pigliato vivo
lo stesso Manaemo nel luogo chiamato Ofla , ove s' era
ricolto e vi stava nascosto vilmente , Io trassero alla ve
duta di tutti , e dopo fattone molto strazio gli tolsero
finalmente la vita. Cosi pure trattarono i caporioni sog
getti a lui, e il principale stromento del tirannesco go
verno Assalomo.
X. Ora il popolo , come dissi , a questo avea dato
mano, sperando con ciò in tutto il corpo di sediziosi
qualche ravvedimento. Ma essi non per voglia di spegner
la guerra uccisero Manaemo, ma per farla con più
franchigia. Di fatto scongiurati dal popolo a grande
istanza , che rallentassero alquanto l' assedio a' Piomani ,
tanto più duramente lo rinforzarono , finché non po
tendosi più tenere que' di. Metilio , capitano colà de'Rc—
mani , mandarono chiedendo agli Eleazariani sotto fede
giurata le sole vite : del resto daran loro in mano armi,
e checché altro si trovano avere. Quegli , accettata in
men ch' io nol dico la supplica , spedirono a loro Go-
rione figliuolo di Nicomede , Anania di Sadduco , e
Giuda figliuolo di Gionata , perché desser loro la mano,
e facessero i debiti giuramenti. Eseguita ogni cosa Me
tilio condusse fuori i soldati. Ora finché questi furono
sotto F armi , niun de' ribelli né molestòlli , né die sen
tore di tradimento : ma dappoiché giusta i patti ebber
tutti deposto lo scudo e la spada , e senza sospetto di
male alcuno si ritiravano , furono loro addosso gli elea
zariani , e chiusili da ogni parte facevanne strage , men
te' essi né difendevansi , ué supplicavano , ma solo a
LIB. II. CAP. XVII. a5i
gran voci ricordavano i patti e i giuramenti. Così fu
rono trucidati tutti barbaramente , salvo Metilio , al qual
solo mercé delle suppliche , che lor porse , e delle pro
messe , che fece , di professare fin colla circoncisione il
giudaismo, donaron la vita.
XI. Questo sinistro per li Romani fu di leggier con
seguenza ; mercecché i perduti rispetto alle truppe infi
nite , che avevano , eran pochi ; ma per li Giudei parve
fosse il .principio del loro sterminio ; ond' essi veggendo
irremediabili oggiraai i motivi d'avere una guerra, e la
città imbrattata da tanto misfatto, per cui era beh ra
gionevole paventare l' indegnazione divina , eziandio se
da' Romani non fosse a temerne vendetta , tutti pubbli
camente ne dimostravano gran dolore , e la città era
piena di malinconia. Tutte poi le persone dabbene n'e
rano in grave scompiglio , quasi esse avessero della colpa
de' sediziosi a pagare il fio : giacché il farsi di quella
strage era caduto in giorno di Sabbato, giorno in cui
per rispetto alle cose sante sospendono ogni lavoro.

Capitolo XVIII.

Disavventure e stragi de' Giudei dappertutto.


Mossa di Cestio contro di loro.

I. Nel medesimo giorno e momento , quasi per un


tratto di provvidenza divina , i Cesariesi tagliarono a
pezzi i Giudei , che abitavano fra di loro ; sicché in
quel punto medesimo ne fur morti da ventimila , e di
.Giudei restò vota. Cesarea tuttaquanta. Perciocché i sai
i5..>. DELLA «JERRA GIUDAICA

vatisi colla fuga Floro arrestòlli , e condusse prigioni ai


lavori dell' arsenale. Alla strage di Cesarea la nazion
tuttaquanta s'imbestialì, e ripartita in più corpi si die
dero a saccheggiare le terre de' Siri e le città confi
nanti , che furono Filadelfia, Sebonite, Gerasa, Pella
e Scitopoli : poscia gettatisi sopra Gadara ed Ippo, e la
Gaulanitide , dove abbattendo , dove bruciando , passa
rono sopra Cedasa de' Tiri , e Tolomaide , e Gaba , e
Cesarea. Neppur Sebaste poté tenersi al furioso lor imi
peto , né Ascalona ; ma guastate ancor queste col fuoco
spiantaro Antedone e Gaza : e molte eran lei terre at-
tenentisi alle predette città , che andarono per tal guerra
a ruba , e infinito era il sangue , che si facea dei pri
gioni.
IL Né punto minore fu il numero de' Giudei truci
dati da' Siri ; anzi essi pure scannavano tutti quelli , che
colsero nelle loro città, non per odio soltanto, come
prima avean fatto , ma per antivenire eziandio il peri
colo , che a lor medesimi sovrastava. Terribile fu lo
scombuglio , che. comprese tutta la Siria , ed ogni città
andava divisa in due eserciti ; e la salute dell' uno pen
deva dal vincere della mano i contrarj. Quindi passa—
vansi i giorni tra 'l Sangue , e peggio le notti nello spa
vento , che - vi si aggiugneva. Conciossiaché volendo
ognuno levarsi dinanzi i Giudei , avevano ancor per so
spetti i Giudaizzanti ; e il dubitar che facevasi d' ogni
persona benché ritraesse altrui\dair uccidere alla cieca ,
pur de' misti (4©) facea , che si stesse in timore , come
di gente affatto straniera. Stimolava all' uccision de' ne
mici coloro eziandio , che avean credito prima di man-;
LIB. H; CÀP. XVIII. 253
suetissimi , il desio d' arricchire ; perciocché si rapivano
sicuramente le facoltà degli uccisi , e come da un campo
di battaglia trasportavano alle loro case le spoglie dei
trucidati, e colui vantaggiava più in istima appo gli altri,
che più procacciavane , perché oppressore di più gente.
Quindi era spettacolo non più strano vedere le città
piene di corpi insepolti, e gittati qua e là insieme coi
bambini i morti vecchi alla rinfusa , e le donne senza
i ripari d' abiti all' onestà , e per tutta la provincia mi
serie inenarrabili , e peggior de' misfatti commessi il pas
saggio a quelli , che minacciavansi in avvenire.
III. Finora i Giudei non ebbero a fare, che con per- ,
sone straniere ; ma inoltratisi fino a Scitopoli vi trovaro
i Giudei di colà lor nemici ; perciocché incorporatisi
colle schiere de' Scitopoliti, e alla propria lor sicurezza
posposta la consaguinità stavano per attaccarsi co' lor na
zionali. Ma la stessa loro soverchia prontezza fu riputata
sospetta. Temendo adunque i Scitopoliti non forse di
notte potessero occupar la città , e con grave lor danno
difèndere la ribellione de' nazionali fecero loro l' intima ,
che, se volevano dare un pegno sicuro d' aver conformi
con seco i voleri , e mostrare di che fede essi fossero
cogli stranieri , passassero insiem colle famiglie nel bosco.
Ubbidirono essi senza sospetto ; e i Scitopoliti non fe
cero per due giorni verun movimento con animo d' af
fidargli ingannevolmente. Aspettata la terza notte taglia-
ronli tutti a pezzi , mentre o di se non prendevano
guardia veruna , o dormivano : il lor numero oltrepas
sava i tredicimila : indi si sparsero al sacco di quanto
avevano tutti insieme.
a54 DELLA GUERRA GIUDAICA
IV. Degno di farne qui ricordanza egli é ancora il
tristo fin di Simone figliuolo di certo Saulo di non igno
bile condizione, il quale per robustezza di forze e per
grande coraggio famoso di quella e di questo abusava a
danno de' nazionali. Ora costui venendo ogni giorno in
vicinanza a Scitopoli uccideva molti Giudei, cbe abitavano
ne' suoi contorni , e cacciatili spesse volte in fuga egli
solo piegava le schiere , ove più gli piaceva. Ma ben
lo incoglie un gastigo degno del civii sangue, che sparse.
Perciocché allor quando i Scitopoliti, chiusi in mezzo i
Giudei là nel bosco , passavanli colle frecce , egli tratta
fuori la spada non si rivolse no contro alcun de'nimici,
poiché ben vedeva l'inespugnabile moltitudine , eh' era n
essi, ma alzata in tuon doloroso la voce, « degnamente,
» disse , a' miei meriti io son trattato , o Scitopoliti da
» voi, perché con tanto sangue civile, che sparsi, v'ho
» fatto fede , di che buon animo io fossi inverso di
» voi. Io pertanto , che ben a ragione ho provato
» infedel lo straniero , e le più enormi empietà ho
» commesse contro de' miei , muojo , come un in-
» fame , di propria mano ; che per me é un disonore
» finire per man nimica; questo medesimo colpo , ria—
>• grazio il cielo , che mentre é una pena condegna
» del mio misfare, acquisterammi ancor nome di prode
» onde niun de'nimici non vantisi della mia morte,
» né m'insulti caduto ». Cosi detto, con uno sguardo
tra compassionevole e furibondo dà intorno un' occhiata
alla sua famiglia. Egli aveva moglie , figliuoli , ed am
bedue i genitori in età già grave. Or egli prima d'ogni
altro tirato a sé per la bianca chioma il padre lo passa

\
LIB. II. CAP. XVIII. 255
da banda a banda col ferro , appresso la madre niente
restìa , indi la moglie , e i figliuoli , quasi correnti
ognuno incontro alla spada , e affrettantisi di prevenire
i nimici. Trucidata la sua famiglia e' montò in maniera
d' esser veduto sopra i cadaveri, e alzata la destra sì ,
che agli sguardi d' ogQuno fosse palese, tutta s'immerse
mortalmente nel petto la spada , giovine e per la ga-
gliardia delle membra e per l' intrepidezza dell' animo
degno di compassione : ma riuscito ad un fine propor
zionato a quella fede , onde volle servire gente straniera.
V. Dopo il macello seguito in Scitopoli, tutte l'altre
città si levarono ognuna contro a' Giudei , che abitavano
tra le sue mura; e duemila e cinquecento ne uccisono
gli Ascaloniti , e i Tolomaidesi duemila oltre ai non
pochi , che fer prigioni. Così i Tirj ue assassinarono
parecchi , ma la più parte tenevanli sotto buona guardia
in catene. GÌ Ippeni per egual modo e i Gadaresi tol-
ser del mondo i più arditi , e tennero ben guardati i
più da temerne. Altrettanto, adoperarono le rimanenti
città della Siria , secondo che ognuno odiava o temeva
i Giudei.
VI. Solo gli Antiocheni, i Sidonj , e que'd' Apamea
perdonarono a' Giudei loro concittadini , e non patì loro
il cuore d'ucciderne né imprigionarne veruno, forse
perché le popolose città , die quelle erano , non si da-
van pensiero , di checché si potessero fare Uimuhuarnlo
i Giudei , o perché, com' io il credo più vero, sentii uno
compassione di genie , che non vedevano macchinar
novità. I Geraseni altresì né insolentirono punto contro
que' che vivevan fra loro , e quanti vollero audar via
di colà , accompaguarouti sino a' confini.
»56 DELLA GUERRA GIUDAICA
VII. Anche dentro il regno tf Agrippa Ievòssi contro»
a' Giudei una grave persecuzione. Conciossiaché ito egli
in Antiochia per abboccarsi con Cestio Gallo lasciato
aveva amministratore del regno un de'suoi favoriti chia
mato Noaro (4i) parente del re Soetno. Vennero intanto
da Batanea settanta persone in tutto , fiore di nobiltà
e di senno in quelle contrade a chiedergli soldatesca ,
onde , se per ventura nascesse infra loro qualche scom
piglio , avere una guardia bastevole ad arrestare gi' in
quieti. Ma Noaro , spediti di notte tempo sopra di loro
alcuni della milizia del re , uccideli tutti quanti , ( at
tentato da lui commesso senza il consentimento d' A-
grippa), e per la sua stemperata avarizia non dubi
tando di trattar empiamente i suoi nazionali guastò tutto
il regno e prosegui le sue barbare scelleratezze contro
la nazione, fino a tanto che Agrippa informatone, seb-
ben per rispetto a Soemo non s' arrischiasse di ucci
derlo, pur lo cassò dall'uffizio. .
Vili. Intanto i ribelli occupato il forte, che chiamasi
Cipro , situato un po' sopra a Gerico , tagliarono a
pezzi il presidio , e spianarono tutti i ripari. Verso il
tempo medesimo anche i molti Giudei , che abitavano
|n Macherunte spignevano la guernigione romana a votar
la fortezza, e lasciarla in lor mano. Quelli temendo di
non doverne per forza rimaner privi patteggiarono con
essi, che se ne andrebbono sotto la fede loro, e avu
tine pegni da sicurarsene rendono la fortezza , da' Ma-
cherunzj poi custodita con buona guardia.
• IX. In Alessandria poi avevano sempre avuto che dire
insieme i terrazzani e i Giudei , fin da quando Alessan
J.IB. II. CAP. XVIII. 9.57
'dro giovatosi della somma loro prontezza contro gli
Egizj , per meritameli privilegiòlli , che trasferire potes
sero l' abitazione nella città , e ci stessono alle medesime
condizioni de' Greci. Durò questo loro privilegio, anche
a' tempi de' successori , i quali anzi assegnarono loro un
luogo appartato , ove avrebbono stanza più pura , per
lo meno mischiarsi , ch' ivi farebbono con istranièri ; e
permisero, che si chiamassero Macedoni. Impadronitisi
dell'Egitto i Romani, né Cesare "il primo ne niun dopo
lui consentirono, che a' Giudei menomati fosser gli onori
concessi loro da Alessandro. Quindi mai non avevano
fine le loro risse co' Greci , e al punirne , che ogni
giorno facevano i governatori un buon numero da ambe
le parti , il romore cresceva vie più.
X. Fmalmente , allor quando anche altrove s' era in*
torbidato ogni cosa, gli animi colà divamparono a dis
misura. Frattanto avvenne, che mentre gli Alessandrini
adunavansi a parlamento per certa loro ambasciata, che
stavano per mandare a Nerone , concorsero nell'anfiteatro
misti co' Greci gran numero di Giudei. Vedutili gli
avversarj di presente gridarono , ecco i nimici e le spie;
indi d' un salto furono loro colle mani addosso. Tutti
gli altri pertanto , che si fuggirono , furono morti : e
arrestatine soli tre strascinavanli seco per abbruciarli
vivi. Ma tutto il giudaicismo si mosse a difenderli; e
cominciarono dal ferire co' sassi i Greci. : poi dato di
piglio a fiaccole si diClarono verso l' anfiteatro (4^) ,
minacciando , che brucerebbonvi dentro il popolo intero;
e l'avrebbero senza fallo mandato ad effetto, se non
ne frenava lo sdegno Tiberio Alessandro governatore
FMViu, t. FI, Detta G. G. (. /, 17
»58 DELLA GUERRA GIUDÀICA

della città. Egli però a tornargli in cervello non valsesi


a prima giunta dell'armi , ma innanzi per mezzo di
personaggi cospicui mandò pregandoli, che si queta s—
sero , né provocare volessero, a' loro danni i soldati ro
mani. Ma i rivoltosi schernendo cotai preghiera male
dicevano Tiberio , e Tiberio accortosi , che senza un
grande fi igeilo mai non sarebbe , che si rau indiassero i
novatori , manda lor sopra le due romane legioni , che
erano nella città , e cqn esse cinquemila soldati , che a
sorte colà si trovaro, venutici fin dalla Libia a sterminio
de' Giudei ; e die loro licenza non pur d' uccidere , ma
di rubarne gli avevi e bruciarne le abitazioni. Essi adun
que incamminatisi precipitosamente a quel luogo , che
chiamano Delta , pve abitavano unitamente i Giudei ,
eseguirono le commissioni, m,a costarono loro sangue.
Perciocché assembratisi in un sol corpo i Giudei , e
posti alla fronte i meglio in arme fra loro fecero per
assai del tempo grandissima resistenza: ma non sì tosto
piegarono , e senza ritegno furono trucidati. Se ne fa
ceva in tutte le guise macello cosi de'presi nel campo,
come de' ricacciati dentro le case. Anche a queste ap
piccarono il fuoco i Romani dopo, rubatone quanto vi
era. Né de' bambini sentivan pietà, né rispetto, de' vec
chi , ma col micidial ferro correvano sovr' ogni età ,
sicché tutto il luogo era inondato di sangue, e si fe'
un mucchio di cinquantamila cadaveri. Né pi sarebbe
rimasto neppure l' avanzo , se questi non si volgevano a
supplicare. N' ebbe compassione Alessandro ; e ingiunse
a'Romani che si ritirassero, e incontanente siccome av
vezzi a ubbidire , posero col suo cenno fine alla strage:
LIB. II. CAP. XVIII. 25 9

ma il popolazzo d' Alessandria per l' odio suo straboc


chevole contro a' Giudei malagevolmente si poté richia
mare , e da' cadaveri si divelse a fatica. Questo fu il
tristo caso , che seguì in Alessandria.
XI. Or questo non parve a Cestio più tempo da
starsi cheto , quando i Giudei dappertutto s erano di
chiarati nimici. Quindi levata d' Antiochia la legione
dodeeima , ch' era al giusto suo, numero , e dalle altre
città duemila soldati da ciascheduna , tutti fior di mi
lizia , e con questi sei coorti di fanteria , e quattro ale
di cavalleria , a cui i soccorsi s' aggiunsono , che gli
mandaro i re , ciò furono duemila cavalli e tremila fanti
d' Antioco , tutti balestrato!-! , e d' Agrippa altrettanto in
pedoni, e un miglia jo meo di cavalli ( seguivale ancor
Soemo con seco tremila persone, la terza parte caval
leria e la maggiore balestratori ) s'incamminò primamente
alla volta di Tolomaide. -Venne eziandio dalle città ad
unirsi con lui una numerosissima leva di truppe ausi
liarie , le quali benché nel mestiere dell' armi dammeno
fossero de' soldati , pur la franchezza dell' animo e l'odio
contro i Giudei contrappcsava , qualunque difetto fosse
in lor di sapere. Ci si trovò in persona lo stesso Agrip
pa , che a Cestio serviva di scorta nel viaggio , e iti
checché altro tornasse meglio all' impresa. Ora Cestio
con una parte delle sue truppe, che spiccò dal restante,
si gettò sopra Zàbulon (43) città forte di Galilea, chia
mata degli uomini, la quale divide le terre di Tolo
maide da quelle della nazione. Trovatala affatto vota di
gente, dappoiché i cittadini s'erano ricoverati sulle mon
tagne , ma fornitissima d' ogni bene , la die in preda ai
a6o della GUERRA GIUDAICA
soldati ; e la città tuttoché adornata di fabbriche belle
mirabilmente , e pari a quante si veggono in Tiro , irx
bidone, e in Berito, pure abbruciòlla. Indi corso il di-r
stretto , e rubatone quanto gli die nelle mani , e oltre
a ciò messo il fuoco nelle terre d' intorno si rendé in.
Tolouaaide. Ma , perciocché i Siri , e i più d' essi
Beritj continuavano ancora le ruberie , i Giudei , fatta
cuore , giacché saputo avevano , che lontano era Cestio,
avventaronsi improwisamente addosso a' rimasti , e ne
uccisero da duemila,
XII. Cestio intanto partitosi da Tolomaide passa a
Cesarea , e di là manda oltre una parte d' esercito sopra
Gioppe con ordine, che se viene lor fatto di pigliar la
città , la guardino ; che se antiveggono qualche sortita
de' cittadini > aspettino fino a venuto lui col restante
delle sue forze. I soldati adunque incamminatisi verso
Gioppe altri per la via di terra , altri per quella del
mare , serratala quinci e quindi agevolmente la recano
in lor potere ; e non dato agio agli abitatori , non che
di mettersi in concio di venire a battaglia , ma neppur
di fuggire , lanciatisi addosso gli uccisero tuttiquanti ton
esso le Ipr. famiglie; e la città, dopo messala a sacco,
la djero alle fiamme. Ottomila e quattrocento tu il nu
mero de' trucidati. Per egual modo spedì nella signo
ria (44) Narbatena confinante con Cesarea un buon
corpo di cavalleria, ctye die il guasto a} paese, e uccise
,una quantità assai grande di paesani , e ne rubò le so
stanze e ne bruciò le castella. Inoltre mandò Cestio in
Galilea Gallo capitano della legion dodicesima con quante
forze gli parvero bastevoli a soggiogarne la gente. M,a
LlB. ii. CÀP. XVIII. 261

Ssffori città la più forte di Galilea lo accoglie tra le


sue mura eoa lieti viva , e all' esempio del bea consi
gliato proceder di questa l'altre città stettero chete;
onde quanto avevaci di sediziosi e malviventi fuggirono
alla montagna posta nel cuore della Galilea ; che sorge
rimpetto a Seffori, e si chiama Asamone. In caccia di
costoro condusse Gallo le truppe. Or Gno a tanto che
furon essi in luogo più alto , rispignevano agevolmente
i Romani appressanti verso loro , e ne uccisero da
dugento, ma dappoiché a forza di giri e rigiri ebbero
guadagnate le cime , rimasero di presente disfatti , ué
inermi, com'erano, tener si poterono a fronte di gente
armata , né colla fuga sottrarsi a' cavalli ; talché pochi
assai si salvarono coli' appiattarsi in luoghi scoscesi , e
oltre a duemila restaronvi uccisi.

Capitolo XIX.

Imprese di Cesilo contro i Giudei. Come postosi ad


assediare Gerusalemme improvvisamente ne parte^
Ciò , che nel suo ritorno ebbe a soffrir da' Giudei;

I. Or Gallo , poiché in Galilea non iscotse verun


movimento, tornò coli' esercito a Cesarea , donde Cestio
con tutta l'oste levatosi entrò in quel d' Antipatride ; e
udito , che in certa torre nomata Afeca stava rinchiuso
Un corpo non dispregevole di Giudei , mandò innanzi
gente, che si attaccasse con loro; ma lo spavento, che
i Giudei n' ebbero , prima ancor di venire alle mani
sbandòlli , onde entrati i Romani nel campo , quando
5.(52 DELL* 6UERJU GIUDÀICA

non c'era più anima, dieder quello alle fiamme, e con


quello le terre circonvicine. Da Antipatride Cestio in—
uoltratosi a Lidda trova la città vota d' abitatori ; con—-
ciossiaché per la festa de' tabernacoli tutto il popolo era
concorso a Gerusalemme : però uccisine cinquanta , che
gli si pararon dinanzi , e incenerita la terra passò oltre ,
e salito per la via di Betoron ponsi a campo in ceno
paese chiamato Gabao , a cinquanta stadj da Gerusa
lemme. Allora i Giudei avvedutisi , che la guerra s' av
vicinava alla metropoli , interrotta la solennità diero al
l' armi , e per la molta gente , eli' essi erano , assai bal
danzosi disordinatamente e con ischiamazzi corsero affa
battaglia , senza prendersi niuna briga del di festivo ,
che allor correva ; dacché il sabbato presso loro era ia
somma venerazione. Ma quel furore, che tolse loro dal
l' animo ogni pensier di pietà , li fece pur vincitori nel
fatto d' arme (45). Con tant' empito adunque precipita
rono sopra i Romani , che rupperne l' ordinanze , e si
spinsero in mezzo a loro uccidendo; e se a quella parte
d' esercito , che durò salda al suo posto , non fossero
accorsi in ajuto con un giro fattole intorno i cavalli, e
quel più di fanti , ch' erano men maltrattati , tutte le
forze di Cestio sarebbero pericolate. Cinquecento e quin«
dici furo i Romani , che vi perdetter la vita , quattro
cento di fanteria , e il restante di cavalleria. De' Giudei
non morirono che ventidue.
II. Segnalaronsi iu prove di gran valore singolarmente
i figliuoli di Monobazo re d' Adiabene , Monobazo cioé
e Cenedeo : dopo i quali fu Negro Peraita (46), e Sila
babilonese, che dal re Agrippa, sotto il qual militava.
LIB. II. CAP. XIX. &63

Spassato era a' Giudei. Da fronte adunque respinti i Giu


dei si tornavano alla città : e da tergo , nel rivenir che
facevano a Betoron i Romani , Simone figliuol di Giora
assalitili forte li pizzicò alla coda , e rubati assai carri
seco li trasse in città. Or ne' tre giorni > che Cestio si
Fermò nel paese , i Giudei occupate le altezze guarda
vano attentamente i passaggi, e davano chiaro a vedere,
che se i Romani comiut iassero a far viaggio, essi certo
non istarebbono colle mani in mano. Qui pertanto scor
gendo Agrippa non essere fuor di pericolo lo stato dei
Romani per l'infinita moltitudine di nimici, che intorno
occupava le montagne, pensò con un parlamento tentare
gli animi de' Giudei , ed o Condurrebbeli tutti a porre
giù l'armi, o staccherebbe dal Ganco degli ostinati quei
tutti , che non semivan coti loro.
IH. Spedì adunque due personaggi de' più óonosciùti
e chiari , che avesseci fra di loro , e furono Borceo é
Febo con impromessa di buona amistà dalla banda di
Cestio, e da quella de' Romani d'un certo perdono dei
falli fiuor commessi , quand' eglino ^ poste giù l' armi ^
passassero a loro. Ma i ribelli temendo non furse il po
polo per isperanza di sicurtà si rendesse ad Agrippa ,
presero il rovinoso partito d' assassinare gli ambasciadori :
e però , anziché aprisse bocca , uccisono Febo : ma non
Borceo , il quale ferito se ne guarentì colla fuga. Quei
poi del popolo , che se ne mostraroa crucciati , a forza
di bastonate e sassate furono da lor risospinti in città.
IV. Allor Cestio veggendo , che questa intestina di*
scordia una via opportuna gli apriva a un assalto, mosse
tutto il suo esercito contro di loro, e voltigli in fuga
y.64 bELLA GUERRA GIUDAICA

inseguìlll fino a Gerusalemme. ludi messo campo nel


luogo chiamato Scopo (4?) , a sette stadj dalla città ,
per tre giorni interi s astemie dal molestarla , speranclo
forse in que' dentro qualche ravvedimento , e intanto
mandò nelle terre d' intorno parecchi soldati a rubarne
il frumento. Al quarto giorno , ch' era il trentesimo di
Iperbereteo (48), schierato in buona ordinanza l'esercito
lo condusse contro la città. Sopra il popolo adunque
stavano con aperti gli occhi i ribelli , i quali però spa
ventati in vedere il buon ordine de' Romani , abbando
nare le parti esterne della città , e si ristrinsono nella
più interna e nel Tempio. Cestio innoltratosi abbrucia
il luogo appellato Bezeta , e la città nuova (49) > e la
piazza detta de' legnami. Poscia venuto contro I' alta
città già ponevasi a campo rimpetto al palazzo reale; e
se avesse voluto , in quel punto medesimo a viva forza
gettarsi dentro le mura , la città dì presente caduta sa-
rebbegli in mano, e la guerra felicemente da se fornita:
ma tanto il legato Tirannio Prisco , quanto la maggior
parte de' generali di cavalleria corrotti con denajo da
Floro il ritrassero dall'impresa, e per questa cagione la
guerra andò tanto in lungo, ei Giudei furo involti mi
seramente in irreparabili disavventure.
V. In questo mentre parecchi de' più rispettabili
popolani persuasi da Anano figliuol di Gionata invita
vano Cestio a venire , che gli aprirebbon le porte : ma
egli tra per isdegno e per la poca credenza , che loro
dava , non ne curando gi' inviti tirò in lungo l' affare ,
finché i ribelli avvedutisi del tradimento cacciarono lungi
dal muro Auano co' suoi, e perseguitandoli colle sassate
• MB. II. CAP. XIX. ft(J.J

costrinsongli a ricoverarsi nelle lor case: essi poi ripar


titisi su per le torri ferivan chiunque provavasi di tentar
la muraglia. Cinque dì interi vi si adoperarono intorno
i Romani ; ma sempre indarno quanto al potercisi ap
prossimare. All' altro dì presi Cestio con seco un buon
numero de' più bravi con esso i balestratoti assale dal
lato settentrionale il Tempio. I Giudei li tenevano lungi
dal portico , e più volte rispinsero gli accostatisi alla
muraglia ; ma finalmente dui troppo saettar de' nimici
sturbati si ritirarono : allora i Romani , ch' erano nelle
prime file, appoggiati contro del muro gli scudi, e con
tro di questi le file seguenti i loro , e così le altre
di mano in mano formarono quella, che appo loro si
chiama testuggine , contro la quale scagliandosi i dardi
caggiono invano. Quindi i soldati senza lor danno sca
vavano la muraglia da piede, e già s'allestivano ad ap
piccare il fuoco alla porta del Tempio. Grande fu lo
spavento , ch' entrò ne' ribelli ; e molti già s' involavano
dalla città , come stesse per cader di presente in man
de' nimici. All' incontro il popolo s' incoraggiva a tav
vista , e quanto più i ribaldi si dilungavano , tanto più
s' accostava alle porte per ispalancafle , ed accogliere
Cestio, come un benefattore, il quale se ancora un tan-
J tino durava all' assedio , la città senz' indugio era sua ;
ma se non erro , fu Dio , che per colpa di que' felloni
sdegnando fino a' suoi luoghi santi impedì, che la guerra
terminasse in quel giorno.
VI. Cestio adunque non avvedutosi né della dispera
zione degli assediati, né del buon volere del popolo ri- .
chiamò improvviso le truppe, e pentitosi non per rotta,
ì66 DELLA GUERRA G1UDAÌCA
in che fosse messo , del suo sperare , disavvedutamente^
e senza ragione partissi dalla città. Alla volta inaspetta ta9
eh' ei diede , pigliato animo i masnadieri usciron cor
rendo sopra la retroguardia, e tra di cavalieri e di fanti
ne uccisero assai. Cestio adunque per or soprattiensi
nel campo a Scopo. L' altro di poi col marciare , che
fé' più óltre, invitò a dargli dietro con più calore i ni
nnici , i quali incalzandolo prima alle spalle uccidevano
i deretani , poi spintisi sulla strada dall' altra parte li
saettavan da fianco. Ora ué la retroguardia s' ardiva di
volger la fronte contro chi la feriva alle spalle , cre
dendosi avere a tergo un popolo senza numero di ni
nnici , né coraggio avevano , che bastasse a rispignere ,
chi li caricava da' trinchi , tra perché essi erano aggra
vati dall' armi e in timore di smagliar l' ordinanze , e
perché vedevano grande agilità e prontezza di correre
ne' Giudei : sicché loro avvenne di patir molto senza
dare alcun danno a' nimici. Però infestati in tutto il
cammino e sbrancati dal grosso dell' oste cadevan tra
via, finché, dopo molti uccisi tra' quali ebbe Prisco ge
nerale della sesta legione, e Longino tribuno , ed Emilio
Giocondo prefetto di un' ala di cavalieri , a fatica per
vennero al primo lor campo di Gabao colla perdita ah
tresì di non poco bagaglio. Quivi Cestio sostenne due
giorni incerto e dubbioso, che far dovesse. Ma al terzo
giorno vergendo cresciuti d' assai i nimici , e di GiuJei
pieni tutti i contorni s'avvide, che il più indugiare tor
nerebbe in suo danno , e quando pur si fermasse ,
avrebbe a contendere con più nimici. Perché dunque
più spedita riuscisse la fuga , ordinò , che togliessero
tIB. II. CAP. XIX. 267

dall' esercito ogn' imbarazzo. Uccisi pertanto i muli e i


giumenti, salvo que' tanti, che trasportavano il saettame
e le macchine, cose avute da loro care per lo bisogno,
che aver ne potrebbero, ma singolarmente perché teme
vano, che a' Giudei non venissero in mano per proprio
danno , spinse l' armata alla volta di Betoron. Ora i
Giudei nel largo delle pianure li tormentavano meno ;
ma al ringorgare , che in qualche angusta discesa face
vano, ecco i Giudei parte anticersi impedirne loro l'u
scita , parte sospignere verso il basso la retroguardia ,
mentre il grosso della lor gente allargatosi alla gola di
quel passaggio copriva l' esercito di saette. Quivi se i
fanti altresì non sapevano come riparar se medesimi ,
molto peggiore era il rischio della cavalleria ; concios-
siaché saettati , com' erano , mal potevauo in ordinanza
proseguire il cammino , e l' andar contro a' unnici era
loro impedito dall'erte scoscese. Dall' un lato poi e dal
l'altro ci aveva dirupamenti e burroni, onde lo sdruc
ciolare e il precipitarvi dentro era tuttuno ; e però non
avevano pronto né luogo, dove fuggire, ué modo, come
difendersi: ma per la mancanza di buon partito si vol
sero a guai e sospiri da disperati; a cui rispondeva con
eco amara il confortar che facevausi scambievolmente i
Giudei e gli schiamazzi , che mettevano , d' allegrezza
misti e di sdegno. Per poco in somma non ispogliarono
Cestio di quante forze avea seco; se non che li soprap
prese la notte, in cui i Romani si ricoverarono entro a
Betoron , e i Giudei , occupati i posti d' intorno , ne
custodivano ogni uscita. Disperato allor Cestio di conti
nuare il cammino scopertamente pensò d'involarsi di la
268 DEI LA GUERRA GItIDACA
colla fuga, e trascelti da quattrocento de' più coraggiosi
soldati diputògli a guardare i fortini del campo con or
dine , che montativi sopra colà piantassero le bandiere,
che usavano le sentinelle negli alloggiamenti. Esso in
tanto col rimanente de' suoi cheto cheto avanzò trenta
stadj di viaggio. Sul far del giorno i Giudei accortisi f
ch' eran vote le tende nimiche , corsero addosso a quei
quattrocento , che avevanli tratti in inganno , e mortili
prestamente si misero dietro a Cesiio ; ma egli e non
poca strada avea guadagnata la notte , e col venire del
giorno sollecitò con più fuga il cammino, talchè i sol
dati per lo spavento e timore , ch' entrò loro in corpo,
lasciarmi tra via e falconi e mangani e il rimanente dei
loro ordigni , de' quali i Giudei , in cui mano vennero
allora , si valsero poscia in danno di chi ve gli aveva
lasciati. Or essi nelì' inseguire i Romani pervennero fino
ad Antipatride ; indi , poichè non giugnevanli mai , nel
dar volta che fecero, preser seco le macchine, spoglia
rono i morti, ne menaron la preda rimastavi, e tra lieti
canti si ricondussero alla metropoli, con perduti pochis
simi affatto de' loro , ed uccisi tra di Romani e confe
derati quattromila pedoni, e trecentottanta cavalli. Tutto
questo intravvenne l'ottavo dì di novembre (5o) all' anno
dodecimo dell' impero di Nerone.
un. n. cap. xx. a6g

Capitolo XX.

Cestio manda ambasciadori a Nerone. 1 Damasceni


passano a fil di spada i Giudei , che vivevan tra
loro. I Gerosolimitani , inseguito Cestio , tornano
in città , e messala bene in concio per la difesa
creano assai capitani , Irà quali lo scrittore di que*
sta storia. Si dicono alcune cose dell' amministra-
zion di Giuseppe.

I. Dopo la disavventura di Cestio parecchi de' prin


cipali Giudei , quasi già per fortuna dovesse affondarsi
la nave , spelagavano dalla città. Costobaro adunque e
Saulo fratelli con esso Filippo figliuolo di Giacimo ,
tempo fa capitano delle truppe d' Agrippa , involatisi
dalla città rifuggironsi presso a Cestio. Quanto si é poi
ad Antipa una con essi assediato dentro il reale palagio,
come non curatosi di fuggire venne poi da'ribelli tolto
di vita , il diremo a suo luogo. Ora Cestio al pregarlo
che fecero Saulo co' suoi li mandò in Acaja a Nerone ,
perché l' informassero della lor fuga , e tutta In colpa
. di quella rovesciassero addosso a Floro. Perciocché collo
sdegno , che accenderebbegli in petto contro di lui ,
sperava di menomare il suo rischio.
II. In questo i Damasceni, udita la rotta de' Romani,
siudiaronsi di trucidar que'Giudei, che vivevan fra loro;
e siccome tenevanli (già era gran tempo) rinchiusi den
tro il ginnasio, e ciò per sospetto de' fatti loro, sembrava
agevolissimo terminare l' impresa : temevan però le lor
270 DELLA GUERRA CIUDUCA

donne, tuttequante, salvo alcune poche, guadagnate alla


religion de'Giudei. Grandissimo però fu lo studio,, che
posero nel far si , che non ne trapelasse loro notizia-
Intanto avventatisi sopra i Giudei , perché in luogo ri
stretto pe' diecimila , eh' essi erano., e tutti inermi , in
un' ora sola li trucidarono tutti sicuramente.
III. Or quelli , che messo avevano Cestio in rotta ,
poiché fur tornati a Gerusalemme, trassero al lor partito
que' tutti , che ancora romoreggiavano (5i), usando con
altri la forza , le ragioni con altri ; e raccoltisi insieme
nel Tempio crearono assai generali d'armata. Al reggi
mento adunque di quanto aveva in città , e in partico/ar
modo alla guardia delle sue mura furono diputati Giu
seppe 6gliuoIo di Gorione , e il pontefice Anauo. Per
ciocché ad Eleazaro figliuol di Simone, tuttoché in suo
potere avesse la preda tolta a' Romani , e il denajo ra
pito a Cestio oltre assai delle pubbliche casse , pur nei
bisogni presenti non diedero niuna soprantendenza, per
ché scorgevano in lui un umor da tiranno , e ne' suoi
partigiani un procedere da scarafaldoni. Benché per altro
non andò guari tempo, che parte il bisogno di dena/o,
parte gl'incantesimi d'Eleazaro ebbon per modo aggirato
il popolo , che in ogni cosa stava a' suoi cenni. Altri
generali trascelsero per l'Idumea, e furono Gesù "figliuol
di Saffa un de" pontefici, ed Eleazaro figliuol del novello
pontefice ; e a Negro governatore a quei tempi dell' I-
dumea, nativo d'olire il Giordano (5a), donde chiama-
vasi ancor Peraita , ingiunsero , che, ubbidisse a' generali
d' allora. Intanto non dimenticarono neppur l'altre pro
cacie t ma a Gerico fu spedito governatore Giuseppe
UB. IJ. CÀP. XX. 2^1

figliuol di Simone , di là dal Giordano Manasse , nella


signoria di Tamna Giovanni Esseo, a cui furo aggiunte
Lidda , e Gioppe, ed Krnmaus. Capitano della Gofnitica
ed Acrabatene fu destinato Giovanni figliuol d' Anania ,
e dell' una e dell' altra Gililea (53) Giuseppe figliuol di
Mattia (54)- Al suo governo assegnòssi per giunta ancor
Gamala la più forte tra quante città sono in quella
provincia.
IV. Or ciascheduno de' generali anzidetti reggea la
provincia a se affidata con quel più di prudenza e d'in
dustria, che aveva. Giuseppe intanto rendutosi in Galilea
volse i primi pensieri a legare a se gli animi de' paesani,
sapendo, ch'egli trarrebbe a fine con ciò di gran cose,
eziandio se parecchie altre gliene andasser fallite. Veg-
gendo poi , che sicuro mezzo da guadagnarsi l' affetto
de' grandi si era chiamargli a parte del suo potere , e
quello di tutto il popolo comandargli per lo più colla
voce de' suoi paesani e conoscenti , fatta da tutto il
corpo della nazione una scelta di settanta vecchi de' più
assennati , li costimi reggitori di tuttaquanta la Galilea ,
assegnandone sette a ciascuna città per giudici delle
cause di minor conto ; poiché gli affari più gravi e le
cause capitali stabili , che i settanta eziandio rimettes-
sonle a lui.
V. Ordinati così gli statuti cittadineschi da osservarli
gli uni cogli altri passò ad assicurargli al di fuori ; e
antiveggendo , che i Romani enlrerebbono in Galilea ,
prese a fortificare i luoghi più opportuni , Giotapata , e
Bersabee , e Selamin , e Cafarecco, e Giaffa, e Sigof,
e il monte detto Itahirio (55), e Tarichea, e Tiberiade.
272 DELLA GUERRA GIUDAICA

Dopo questi rinforzò le spelonche al lago di Genr»a—


sar (56) nella Galilea , che chiamano bassa : nel!' alta
poi la montagna , che appellasi degli Acabari , e Sef ,
e Giamtiit , e Mero. Indi nella Gaulanitide guernl Seleu-
cia , Sogane , e Gamala. A' soli cittadini di SefXorim
consenti , che di per se rinnalzasser le mura veggendo
la denarosa gente , ch' essi erano , e pronta senza biso
gno d'altrui comando alla guerra. Similmente Giovanni
figliuol di Levia per ordine di Giuseppe murò da se
solo Giscala. A tutte l' altre fortezze poi assistette egli
stesso colla mano all' opera tutto insieme , e colla voce
al comando.
VI. Dopo questo fece da tutta la Galilea una leva
d' oltre a centomila soldati di fresca età , cui veniva for
nendo dal primo all' ultimo d' armi vecchie , che qua e
là raccoglievansi. Indi avvisando seco medesimo , che la
principale origine dell' invincibil valore , eh' era quel dei
Romani , veniva dall' ubbidienza a' lor capi e dal lungo
esercizio dell' armi , e benché d' un metodico ammaestra
mento dalla presente necessità non voluto egli avesse
deposto il pensiero , pure veggendo , che il bene ubbi
dire dalla moltitudine risultava de' capitani , parti stret
tamente l' esercito alla Romana , e creò molti capi. Indi
prese a differenziare i soldati , e gli uni sottometteva al
comando de' capodieci, gli altri a' centurioni , poi a'
tribuni , e tutti questi ai capitani x che presedevano a'
battaglioni più grossi. Poscia veniva loro insegnando e
il come passarsi scambievolmente parola , qua' fossero
della tromba gl'inviti e i richiami, quale de' corni l'ur
tare e il girarsi , e come da' lati più forti passar dove»
LIB. II. CAP. xx. zyì
Vano a' men resistenti , e in mezzo al pericolo sostenere
gli stanchi. Oltre a ciò ponea loro dinanzi agli occhi ,
checché far potesse a renderli d" animo coraggioso , e
di corpo sofferente a' travagli. Disponevali però in parti-
colar modo alla guerra col narrar , che faceva loro parte
per parte la disciplina delle romane milizie , e come
avranno a combatter con gente , la quale tra pel valore
delle sue braccia e per l' intrepidezza del suo coraggio
avea sottomessa pressoché tutta la terra.
VII. Aggiunse , che del loro ben ordinato procedere
nella guerra prima ancor di combattere per lui sarebbe
una prova , se si guardassero dalle usate superchierie ,
da' furti , da' ladronecci , dalle rapine , e dall' ingannare
i lor nazionali , e dal credere proprio vantaggio il danno
de' più attenentisi a loro. Perciocché governarsi ottima
mente da' que' generali le guerre, i cui soldati si por
tano seco una diritta coscienza ; dove coloro , ch' hanno
un cuor guasto , non gli uomini solamente ; che ven
gono seco a battaglia , ma proveranno nimico ancor
Dio. Più altri ricordi di simil fatta andava loro ripetendo
ogni giorno : e intanto aveva di soldatesca già in pronto
per guerreggiare sessantamila fanti , e dugencinquanta
cavalli : oltre a questi , ne' quali poneva la sua mag
giore fidanza , da quattro mila e cinquecento soldapieri.
A guardia poi della sua persona teneva secento soldati
tutti fior di bravura.
Vili. Al sostentamento della milizia , salvo la stipen
diata , provvedevano le città di leggieri , perciocché
ognuna d' esse de' reclutati metà ne spediva al campo ,
e il resto appo se riteneva , perché servissero aprocac-
Fiaviq , t. FI.. Detta G. G. t. I. 18
2^4 DBIXA GUERRA GIUDAICA
ciar di che vìvere a quelli ; onde dall' una parte rima
nevano destinati quali all' armi , quali ai lavori , e dal
l' altra , a chi somministrava le vittuaglie , rendevano gli
armati in mercede la sicurezza.

Ci* itolo XXI.

Si parla di Giovan da Giscala. Giuseppe si contrap


pone alle insiede di lui , e rimette molte città ri
bellate.

I. Mentre Giuseppe cosi governava la Galilea , gli si


leva incontro un insidiatore , natio di Giscala , Ggliuot
di Levia , e nomato Giovanni : uomo niquitosissimo ,
che nelle frodi non avea pari fra i nobili , e superava
nelle ribalderie tutti quanti. Egli fu povero dapprinci
pio , e neHa miseria trovò lungo tempo un ostacolo atta
sua malizia. Pronto a mentire , scaltro in render credi
bili le sue menzogne , valentia riputava la frode , e di
questa valevasi contro a' più cari , simulatore d' un cuor
ben fatto, e dove sperasse guadagno sanguinosissimo. Sem-
pre coli' animo volto a gran cose , e coli' atto a trarre
da vili misfatti alimento alle sue speranze. Perciocché fu
dapprima ladro coperto e però solo , iudi trovò al suo
ardire compagni, pochi a principio, ma coli' andare del
tempo moltiplicati ognor più. Suo pensiero poi era non
accettare persona da facilmente cadergli in man del nimi
co ; ma i meglio in essere trasceglieva e per gagliardia di
persona , e per intrepidezza di spirito , e per esperienza
in cose di guerra ; finché in somma egli ebbe d'intorno
liB. ii. cap. xxi. ìj5
a se radunata una mano di quattrocento uomini , i più.
di loro fuorusciti di Tiro e delle terre del suo distret
to , co' quali metteva a bottino la Galilea tutta , e della
parte maggior della gente , che per l' espettazion della
guerra vicina stava sospesa , ficeva strazio. Or mentre
già ravvolgeva per l' animo Un generalato , e aspirava a
cose maggiori , trovò nella scarsità del denajo Un intoppo*
Ma dappoi , che s' avvide a Giuseppe piacere assai là
sua efficacia neh" operare , primieramente Io induce a
rimettere nelle sue mani il rifacimento delle patrie mu
ra , nel qtial lavoro assai fu il guadagno , che fece alle
spese de' ricchi. Poi congegnata tra se certa sua sottilis
sima baratteria , siccome tutti i Giudei della Siria guar-
davansi d' usar olio , che dalle man non venisse de' na
zionali , domandò di spedirne loro a' confini ; tì coti
uno (5^) scudo tirio , che Val quattro dramme ateniesi,
avendone quattro buone orcie , al prezzo medesimo ne
vendeva una mezza. Ora poiché fertilissima é d' olio la
Galilea , e quell' anno ne diede assai col molto man
darne , che a' bisognosi ei faceva (e il faceva egli solo),
immenso fu il denaro , che ne raccolse ; del quale ben
presto si valse a' danni di chi procacciato gliene aveva
il vantaggio.
IL Figuratosi adunque , che se si levasse dinanzi Giu
seppe , egli governerebbe la Galilea ordinò a malandrini
suoi sudditi , che si dessero con più valore alle ruberie ,
onde ai romori , che da più parti si leverebbono nel
paese , o verrebbegli fatto d' uccidere in qualche scon
tro, se mai movesse a soccorrergli, il generale da lui
perciò appostato , o se questi non curasse de' malaudri
8^6 DELLA GUERRA GIUDAICA

ni , accuserebbelo a' paesani. Indi facea correr voce eli


assai lontano , che finalmente Giuseppe avria messo in
poter de' Romani ogni cosa , e in più altre forme dì
tal tenore ghiribizzava il come poter rovinare cjuel
pover uomo.
III. Verso tal tempo avvenne, che certi giovani della
terra de' Dabaritti , di quelli cioé , che facevano nel
gran campo la sentinella, appostando Tolommeo procu
ratore d' Agrippa e di Berenice rapirongli quanto baga
glio traeva seco, ed eranci non poche vesti preziose, assai
Vasellame d' argento , e secento (58) dobble. Né potendo
ottenere , che stesse occulta la ruberia , tutto recarono
in Taricliea a Giuseppe ; il quale sgridatili della vio
lenza usata a' regj ministri , depone tutto il portatogli in
casa d' Enea , il signor più potente che fosseci in Tari-
chea , con animo di rispedire alla prima occasione ogni
cosa a' padroni ; il che lo espose a un gravissimo ri
schio. Mercecthé i rubatori, tra perché lor coceva di
non aver delle cose portate avuto neppure un 6lo , e
perché antividero la intenzion di Giuseppe , che stava
per fare delle loro fatiche una grazia ai re , nel cuor
della notte corsero per le lor terre , e dipinservi, come
un traditore , Giuseppe. Riempirono di romore anche
le città convicine per modo, che sulf aggiornare furono
sotto l' arme contro «li lui centomila persone , e tutto
il gran popolo , ch' era quello , raccoltosi dentro il circo
presso di Tarichea , schiamazzava sdegnosamente ; e gri
davano altri , che seppellissero sotto i sassi , altri , che
bruciassero il traditore. Istigavano la più parte Giovanni ,
e con esso certo Gesù figliuolo di Saffa (59) a quel
tIB. II. CIP. "XXI. 377
tempo governator di Tiberiade. Ora gli amici e il guar
dacorpo di Giuseppe a tanto furore atterriti tutti si di
leguarono , salvo quattro ; ed egli , che si dormiva , al
lora appunto rizzòssi , che gli si presentava già il fuoco
alla casa ; e pregato dai quattro a fuggirsene , egli non,
che si smarrisse o alla solitudine , in che si vedeva , o
al gran numero delle persone , che gli erano addosso ,•
ma balza fuori colla veste stracciata in sul petto , colle
chiome sparse di cenere , colle mani dietro alle spalle ,
e con appesa al collo (60) la spada. Il quale spettacolo
mosse a pietà le discrete persone , e singolarmente !
Taricheati. La gente però di campagna , e quanti delle
terre vicine avevano a dispiacere la sua persona , male
dicevano , e domandavano , che desse fuor di presente
il denaro del pubblico , e confessasse i suoi concertati
traditoreschi ; conciossiaché dal portamento , in che era ,
tenevau per certo , ch' egli , non che fosse per negar
nulla di quanto lo sospettavano reo, anzi avesse fatto
quel tutto , che a mettere a compassione in altrui sì
poteva per ottenerne perdono. Ma quel suo svilimento
era tutto lavoro d' ingegno ; onde artatamente cercando
di rompere fra di loro gli animi malcontenti de' fatti
suoi promise di confessar tutto ciò , che movevagli a
sdegno. Indi concessogli di parlare , « io, disse , questi
» denari né aveva in animo di rimandarli ad Agrippa ,
» né di convertirli in vantaggio mio : perciocché non
» credetti mai o mio amico un vostro nimico , o pro
» mio una cosa , che danneggiasse il comune. Ma , poi-
» che io vedeva dall' una parte la vostra città , o Tari-
i) cimati , più che non l' altre , bisognosa d' assicura
Rj8 DELLA GUEMIA GIUDAICA

» mento e scarsa dell' opportuno denaro per rifabbricarne


» le mura , e dall' altra temeva lo spasimar , che fa—
» rebbono il popolo Tiberiese e l' altre città , d' aver
» parte ne' beni rapiti , io mi proposi di ritenerli taci—
» tamente per cignere voi di mura. Se ciò non v' aggra
di da , ebbene io do fuori , quanto recarommi , e lascio a
» chi vuole il rapirlosi. Che se male non ho provvisto
» al vostro bisogno , punite il benefattore. » A questi
suoi detti i Tarìcheati risposero con applausi : ma per
Y opposito i Tiberiesi cogli altri uscivano in maledizioni
e minacce. AHor questi e quelli lasciato da una banda
Giuseppe vennero tra se stessi a parole ; ed egli facendo
omai cuore per la speranza che aveva ne suoi fautori
( ed erano i Taricheati da quarantamila ) cominciò «
ragionare a tutta la moltitudine con più franchezza ; e
dopo un lungo rimprovero della loro sconsiderazione
disse , che del presente denajo a buon conto varrebbesi
a murar Tarichea , porrebbe però in istato di sicurezza
ancor l' altre città ; che mestieri mai non avrebbono di
denari , quando s' unissero di conserto contro di quelli ,
onde convien procacciarli , non si sdegnassero contro
chi li procaccia. Qui tutta l' altra moltitudine degl' in
gannati benché alla rotta , si dipartiva : ma duemila di
Joro coli' armi indosso si spinsero contro Giuseppe , e
poiché s' era a tempo ricoverato in casa , gli si serra
rono attorno colle minacce. Contro di questi Giuseppe
mette in opera un nuovo ingegno. Salito egli sul tetto ,
e colla destra acchetatone il romorio , disse di non sa
pere , che si volessero : le confuse lor grida togliergli ,
che li possa udire > egli certo fata , checché piaccia loro
LIB. II. CAP. XXI. 2^Q

Ai comandare , sol che senza strepito mandino colà en


tro da lui , chi seco ne tratti. A tale proposta i capo
rali con esso i reggitori del comune entrarongli in casa ;
ed esso tiratili nella parte più rimota di quella , e chiuso
lor dietra l' ingresso frustolli tanto , finché tuttiquanti
mostraron le viscere ignude. In questo la moltitudine
se ne stette ivi intorno , credendosi , che gli entrati per
dessero si gran tempo per sostenere le lor pretensioni.
Giuseppe alla fine , spalancate improvviso le porte , ri
mandò i valentuomini così lordi di sangue ; e tale con
questo fatto mise spavento nell' animo de' minacciante ,
che gettate via l' armi si diero a fuggire.
IV. Per questo fatto Giovanni s' accese di vie mag
giore invidia, e ordì nuovo laccio contro Giuseppe.
Fintosi dunque infermo supplicò a Giuseppe per lette
ra , che per curarsi consentir gli dovesse d' usare dei
bagni caldi di Tiberiade ; a Giuseppe , che per ancora
nol sospettava di frodolento , scrive a' governatori della
città, che a Giovanni provveggan d' albergo e di quanto
gli fa mestieri , del che dopo avere goduto due giorni ,
si diede a condurre ciò , per cui v' era : ed altri aggi
rando con frodi , altri con denari guastando li persua
deva , che ribellassero da Giuseppe. Ma risaputolo Sila ,
a cui stava per ordine di Giuseppe affidata la guardia
della città , gli scrive tutto il trattato. Giuseppe , avuta
la lettera , col viaggio sforzato di tutta notte fu a vista
di Tiberiade sul far dell' alba. Tutto il popolo adunque
venne a scontrarlo ; e Giovanni benché sospettasse cotal
venuta esser solo per lui , pure spedito in sua vece un
de' suoi confidenti s' infinse malato , e gli fe' dire , che
a80 DELLA GUERRA GIUDAICA.

il letto, a cui era obbligato , toglievaglì di soddisfare


a' doveri del suo rispetto. Ma mentre Giuseppe chiamati
nel circo i Tiberiesi studiavasi di espor loro quanto per
lettera gli fu riferito, Giovanni spedì sottomano per
sone armate con ordine d' ammazzarlo. Costoro già sguai-
navan le spade ; ma il popolo , antivedutane l' intenzio
ne , si die a gridare. Rivoltosi a tale strido Giuseppe ,
e veduto il ferro appressatogli già alla gola , d'un salto
fu sulla riva del lago (6i) ; perciocché stava parlamen
tando col popolo da un' eminenza di ben sei cubiti ; e
balzato sopra un battello , ch' ivi era in porto , con
solo due guardie cercava ricovero verso il mezzo del
lago. Intanto la sua soldatesca , dato subitamente di pi
glio all' armi, andavano sopra i traditori. Qui Giuseppe
temendo , non forse accesasi per invidia d' alcuni poeti
una guerra civile mettesse tutta la città a soqquadro ,
manda dicendo a' suoi , che provveggano solamente al
loro scampo , né uccidano persona , né riprendan alcun
de' rei. Ubbidienti all' intima i soldati quietarono affatto.
I paesani poi de' contorni , udito del tradimento e di
chi funne autor* , già si levavano contro Giovanni ; ma
egli ben presto scappò a salvarsi in Giscala sua patria.
V. Traevano intanto a Giuseppe . dalle loro città i
Galilei, e cresciuti a molte migliaja gridavano esser colà
venuti pel pubblico traditore Giovanni : brucerebbono
una con lui la città eziandio, che gli dava ricetto. Giu
seppe rispose, che ben sapeva lor grado dell'amor che
mostravano a lui , iria ne frenò l' impeto , amando me
glio sottomettere colle savie maniere i nimici, che dargli
a morte,. Indi Giuseppe , nominati a un per uno quei
liB. ii. cap. xxi. a8i
tutti , die s' erano da ciascuna città uniti a ribellar con
Giovanni , giacché ogni popolo prontamente scopriva i
suoi , e fatto per trombettieri bandire , che se dentro
cinque giorni non abbandonavano la fazion di Giovanni,
le loro sostanze a ruba, e le case colle famiglie andreb-
bono a fuoco e Gamma , glien ebbe issofatto spiccati
dal fianco tremila.
VI. Con quegli adunque , che a lui rimasero , e fu
rono intorno a duemila tutti Siri banditi, Giovanni dalle
insidie scoperte ristrinsesi novamente alle occulte. Mandò
egli adunque furtivi messi in Gerusalemme , e per lor
mezzo apponeva a Giuseppe l'aver fatto leva di troppa
gente, aggiugnendo , che se nol vincevano della mano,
se lo attendessero quantoprima tiranno nella metropoli.
Prevedeva già il popolo queste accuse , e però 'non ne
fece alcun caso. Ma i grandi mossi da invidia e alcuni
fra' reggitori mandarono di soppiatto denari a Giovanni,
perché assoldasse milizia, con cui far guerra a Giuseppe:
anzi tra loro fermarono di richiamarlo eziandio dal go
verno; ma non credendo bastevole per tal uopo un solo
decreto , spediro duemila e cinquecento uomini armati ,
e con essi quattro de' più nobili cittadini , Gioazaro fi-
gliuol del Giurista, Anania figliuol di Sadduco, Simone,
e Gionata (62) figliuol di Giuda , tutti e quattro valen
tissimi dicitori , perché rivoltassono la benivoglienza dei
popoli verso Giuseppe in contrario; che s' egli sponta
neamente rendevasi , consentissergli pure di dir sue ra
gioni ; se poi a marcia forza volesse restare , trattassero
da nimico.
-VII. Aveva già dalle lettere de' suoi amici inteso Giù
a8a DELIA GUERRA GIUDAICA
seppe la mossa dell' oste ; ma per lo segreto trattato 9
che ne tennero i suoi nimici , non gliene palesavano la
ragione; il perché, senza egli punto antivederlo, quatti-o
città di presente si diedero in mano de' suoi avversari
colà capitati , e furono Seffori , Gamala , e Giscala , e
Tiberiade. Ma subitamente Giuseppe senz'armi le ritornò
al dovere , e avuti nelle sue mani per via d' ingegno i
quattro caporioni li rispedì a Gerusalemme ; contro dei
quali non fu leggiero lo sdegno del popolo , che gli
avrebbe in quel primo impeto insieme co' mondatori
uccisi , se colla fuga non se ne fossero guarentiti per
tempo. Giovanni intanto per lo timore , che avea di
Giuseppe , tenevasi ben guardato dentro le mura di
Giscala.
Vili. Indi a pochi giorni da capo ribellò Tiberiade ,
avendo que' dentro invitato il re Agrippa ; e in. luogo
di lui, che al giorno tra loro già appuntato non venne,
essendo comparsi quel giorno alcuni pochi cavalli ro
mani , diedero il bando a Giuseppe. La lor ribellione
gli fu di presente portata, mentre trovavasi in Tarichea;
ma perciocché spedita avea per foraggio tutta la solda
tesca. , né così solo poteva gettarsi sopra i ribelli , né
volea differire temendo , che , mentr' egli indugiava , i
Eegj nol prevenissero coli' entrare in città ; molto più ,
che nel giorno vegnente impedito dal sabbato non po
teva far nulla. Pensò egli adunque di cogliere con un
inganno i ribelli. Ordinato pertanto , che si chiudesser
le porte di Tarichea, perché non ne uscisse anzi tempo
persona a fare avveduti del suo disegno coloro, contro
cui si volgeva , indi ammassati tutti i battelli , ch' erano
LIB. II. CAP. XXI. 283
per lo lago , e se ne trovaro dugentotrenta con sopravi
uientepiù di quattro barcaiuoli per ciascheduno , solle
citamente gli spigne contro di Tiberiade ; e fermatili
tanto lungi dalla città , che non fosse agevole il ben
vederli, ordinò, che le vote barchette si tenessero bene
alla larga , egli intanto eoo seco delle sue guardie sol
sette ed inermi fecesi alquanto ver la città , perché lo
vedessero. Adocchiatolo dalle mure i nimici , che ave
vano ancor sulla lingua le maledizioni scagliate contro
di lui , e per la sorpresa , che quella fu , creduto , che
fossero pieni di gente armata tutti i battelli gettaron via
l' armi , e in supplichevole atto recandosi colle mani
pregavanlo , che volesse risparmiar la città. Giuseppe
dopo lor fatte molte minacce e rimproveri, perché pri
mamente intrapresa co' Romani la guerra struggevano in
cittadinesche fazioni anzi tempo le loro forze , e face
vano la più cara cosa del mondo a' nimici , poscia cer
cavano d' assassinare chi provvedeva alla lor sicurezza ,
né vergognavansi di serrare la Ipr città , a chi gliela
aveva murata, soggiunse, che accetterebbe persone, che
gli scolpassero , e pel cui mezzo potesse tornar la città
in buono stato. Scesero a lui di presente dieci, ch'erano
i più autorevoli fra' Tiberiesi , cui egli accolti in una
sola barchetta mandòlli condur lontanissimo ; poscia co
manda , che vengano cinquanta altri , i più nobili del
Senato , come se ancor quelli gli bisognassero per non
so quali prove : indi inventando nuove ragioni chiama-
vane altri e poi altri , quasi a motivo dell' alleanza. In
tanto a' piloti delle barche già piene ingiunse , che senza
indugio tragittassero a Tarichea , e colà rinchiudessero
a84 DELLA GUERRA GIUDAICA
quella gente in prigione , finché avuto nelle sue mani
tutto il Senato , ch' eran secento persone , e intorno a
duemila del popolo , gli die a condurre su' legni a TE*a-
richea. Ma gridando i rimasti , che l' autor massimo del
tumulto era certo Clito , e pregandolo , che sopra luì
scaricasse il suo sdegno , Giuseppe , che aveva fermato
già seco stesso di non uccider persona , ingiunse a uno
della sua guardia nomato Levia , n' andasse e mozzasse
le mani a Clito; ma temendo egli d'entrar così solo in
mezzo a uno stuol di nimici negò d' ubbidirgli. Allor
Clito veggendo Giuseppe sul suo battello di mal umore,
e in procinto d' uscire egli stesso per gastigare la sua
persona , gli supplicò d' in sul lido , che almen gli la
sciasse una mano: consentitogli da Giuseppe con questo,
ch' esso medesimo si mozzasse l' altra da se , egli tratto
fuor colla destra il coltello si tagliò la sinistra. Tanta
paura gli aveva messa Giuseppe in persona.
IX. Allor finalmente con voti battelli e . con sette
guardie condotto il popolo a suggettarglisi ebbe di nuovo
a' suoi cenni Tiberiade. Indi a pochi giorni , presa Gi-
scala , che s' era con que' di Sefforim ribellata , diella
da saccheggiare a' soldati; poi fatto un mucchio di tutta
la preda divisela fra' popolari , come già fece co'Sefforiù
e Tiberiesi ; perciocché sottomessi ancor quelli , intese
col saccomanno di ritornarli in cervello , e colla resti-
tuzion degli averi comperònne di nuovo la benivoglienza.
MB. II. CAP. XXII. 285

Capitolo XXII.

/ Giudei s' allestiscono per la guerra.


Simone figliuol di Giora si dà alle ruberie.

I. Gli scombugli della Galilea s'erano finalmente po


sati ; e que' del paese liberi da' civili tumulti si volsero
a fare gli apprestamenti opportuni contro a' Romani.
Frattanto in Gerusalemme ed Anano il pontefice e quei
tutti fra' grandi , che non avevan buon animo verso i
Romani , fabbricavan le mura e assai macchine batta
glieresche ; e per tutto la città lavoravansi dardi e ar-
madure. La gioventù poi era tutta in continui ma poco
ordinati esercizj di guerra , e ogni cosa era piena di
strepito e di tumulto. Profonda malinconia ne sentivano
i buoni , e molti antivedendo le disgrazie avvenire pia
gnevano amaramente. Gli augurj a chi amava la pace ,
parevan tristi , mentre gli autor della guerra gi' interpe-
travano , come loro andava a' versi, e lo stato della città
prima del sopraggiugnervi de' Romani era come di chi
stava per rovinare. Certamente Anano pensava da senno
di ritirare a poco a poco la mano degli apparati guer
reschi , e rivolgere a cure più vantaggiose i ribelli e la
frenesia di coloro , che fur chiamati Zelanti : ma ren
dere si dovette alla forza ; e coli' andare del tempo che
fine egli avesse , poscia il diremo.
II. Frattanto nella signoria Acrabatena Simone figliuol
di Giora , adunati molti amatori di cose nuove , si die
alle ruberie , e non pure le case disertava de' ricchi ,
286 DELLA GUERRA GIUDAICA LIE. II. CAP. XXII.

ma ne maltrattava ancor le persone; e già si scorgeva «-*


evidenza , che da si lontano e' facevasi per poi già di—
scendere a tiranneggiare. Mandata a domarlo da Anano
e da' reggitori una truppa , egli con tutti i suoi , clxe
avea seco, si rifuggl in Massada presso que' malandrini ,
e colà dimorando fino ad uccisi Anano e gli altri nimica
metteva a sacco l' Idumea , talché i capi della nazione
epinti dal numero de'trucidati e dalle continue ruberie,
che seguivano , ammassarono soldatesca , e alla guardia
tenevanla delle loro terre. Tale era lo stato , in che si
trovavan le cose della Giudea.
a87

DELLA STORIA

DELLA

GUERRA GIUDAICA

OSSIA

DELLA DISTRUZIONE DE' GIUDEI

LIBRO TERZO.

CaPitolo Primo.

Vespasiano è mandato in Siria da Nerone >


perchè faccia guerra a' Giudei.

o r quando a Nerone furon portate le nuove de' tristi


avvenimenti della Giudea , nell' interno lo soprapprese ,
com' era ben ragionevole , maraviglia e timore : ma nel
sembiante mostrava alterigia e anche sdegno , dicendo ,
28S DELLA GUERRA GIUDAICA

che l'avvenuto volea recarsi piuttosto a milensaggine dei


generale romano, che non a valor de'nimici. Quantun
que però avvisasse convenirglisi per la maestà dell* im
pero spregiare fastosamente le traversie, e far mostra di
un animo superiore ad ogni sinistro , pur dal pensiero ,
in che n'era, dava a conoscere lo scompiglio del cuore.
Pensando egli adunque a chi potesse affidare l' oriente
sconvolto , perché e punisse la ribellion de' Giudei , e
antivenisse l' apprendersi , che già faceva tra le nazioni
circonvicine il reo morbo,. non trova altro, che sia me
glio adatto al bisogno e più in forze da sostenere il peso
di tanta guerra, che Vespasiano (r), uomo fin dal/a sua
giovinezza invecchiato fra l' armi , che aveva a' Romani
prima tornato pacifico l'occidente messo già da' Tedeschi
in rivolta , poi conquistata coli' armi la non ancora ben
nota Brettagna , onde avea procacciato anco a C/audio
padre di lui (a) senza spargervi stilla di sudor proprio
un trionfo. Considerate prima ben bene coteste cose ,
indi posto mente alla ferma età e pari sperienza del
valentuomo, oltre all'essere i suoi figliuoli e un ostag
gio della fede, e pe' verdi lor anni la man diritta della
prudenza paterna , e fors' anche perché preordinava già
Iddio l'andamento di tutto l'affare, spedisce il prode
uomo col carico di governare gli eserciti della Siria ,
dopo fattegli mercé dell' urgente caso , che quello era ,
assai cirimonie e lusinghe , quante suole spremerne ia
necessità. Egli adunque da Acaja , ov' era insiem con
Nerone , mandò in Alessandria Tito suo figlio , perché
ne levasse la quinta legione e la decima , mentr' esso
passato l' Ellesponto per la. via di terra entra in Siria ,
LIB. III. CAP. I. 289
«ve tutte ammassò le milizie romane, e con esse molte
alleate da' re confinanti.

Capitolo II.

Gran macello dì Giudei in Ascolana.


J^espàsiano viene a Tolomaide.

I. Ora i Giudei , dopo la sconfitta di Cestio , per le


non aspettate prosperità imbaldanziti non potevano più
rattenere l' animo loro impaziente; e quasi aizzati dalla
fortuna stendevano a più ampli confini la guerra. Fatto
adunque subitamente un sol corpo di tutto il nerbo
delle lor truppe avventaronsi sopra Ascalona , antica
città, da Gerusalemme distante cinquecento venti stadj ,
perpetuamente in odio a' Giudei , e però creduta allora
la più vicina alle prime lor correrie, Conducevauo quel-
l' impresa tre valent' uomini, per valore e per senno da
non avervene altri pari, e furono Negro il peraita, Sila
il babilonese , e Giovanni l' esseo. Ascalona era bensì
fortemente murata; ma di soccorsi trovavasi presso che
senza ; mercecché la guardavano una coorte di fanteria
e un'ala sola di cavalleria sotto il reggimento d'Antonio.
Quegli adunque, poiché la rabbia faceva lor con gran
furia divorare il cammino , così come venuti da poco
lungi , così presentaronsi alla città. Antonio , che non
ignorava prima ancor che seguisse la loro incursione ,
aveva già tratta fuori la cavalleria , e non ismarritosi
né per la moltitudine né per l'ardir de' nimici ne rice
vette le prime cariche francamente, e rispinse il cacciarsi
FlJ.no, t. VI. Detia G. G. t. I. 19
ago DEIXA GUERRA GIUDAICA
ch' essi facevano contro alle mura. Pertanto i Gìude-i ^
siccome inesperti contro gente sperimentata nell' acmi ,
fanteria contro cavalleria , disordinati contro a bene fra.
se medesimi stretti e stivati, vestiti d'arme alla leggera
contro a fornitine di tutto punto, scorti più dallo sde
gno che dal consiglio , affrontati con una milizia ubbi
diente e tutta moventesi a' cenni del capitano con faci
lità sono rotti; perciocché non si furono così tosto sma
gliate le prime file, che da cavalli son messi in volta ,
e avvenendosi nell'altre lor file di dietro, che si spin
gevano con gran forza contro le mura , divengono vi
cendevolmente nimici , fino a tanto che tutti fendutisi
all' urto della cavalleria qua e là sbarattaronsi per la
campagna ampia assai e tutta acconcia per li cavalli ; il
che essendo di grande ajuto a' Romani cagionò una
strage grandissima ne' Giudei: mercecché sopraggiuntine
i fuggitivi arrestavanli , e tagliando a innumerabili il
corso , a che si lasciavano rovinosamente portare , met-
tevangli a morte: altri poi si serravano intorno ad altri,
oveché si volgessero , e qua e là trabalzandoli colle
frecce passavanli di leggieri. Quindi a' Giudei il pro
prio lor numero per la disperazione , in che erano ^
pareva una solitudine' dove i Piomani per le felici loro
avventure, benché fosser pochi a una guerra , pur si
credevano troppi più del bisogno; e mentre gli uni tra
per vergogna della rapida fuga, che saria quella, e per
isperanza di cangiamento- cozzano colla loro sfortuna,
e gli altri ne' prosperi lor successi non si dan per istan-
chi , la battaglia si prolungò fino a sera ; e restarono
morti di Giudei dieci mila persone e due de' lor gene?
LIB. III. CAI'. II. agi
ralì Giovanni e Sila: i rimanenti poi quasi tutti feriti
con Negro l' unico generale , che sopravvisse , corsono
a ricoverarsi dentro una città assai piccola dell' Idumca,
detta S illis. Alcuni pochi ancor de' Romani in questa
giornata rimasero feriti.
IL A tanta disavventura però non cagliarono punto i
Giudei; anzi il dolore, che ne sentirono, -vie più de-
stònne l' ardire ; e non si spaventando a' cadaveri , che
pur a?ean tra piedi , lasciavansi dalle passate prosperità
adescare a una nuova sconfitta. Dunque non posatisi
neppur quanto a saldar le ferite si richiedeva, con tutte
le loro forze perciò raccolte più sdegnosamente e in più
numero assai, che non prima, tornavano già ad Asca-
Iona. Teneva lor dietro colla medesima inesperienza e
cogli altri disavvantaggi , che avevano nel guerreggiare ,
ancor la fortuna di prima. Conciossiaché appostati nel
lor passare da Antonio caddero d' improvviso nel lac
cio , e da' cavalli , anziché si schierassono per la batta
glia, chiusi da ogni parte ci perdetter la vita altri otto
mila, o in quel torno: i restanti cacciaronsi tutti a fug
gire , e con essi ancor Negro , il quaje nell'atto mede
simo , che fuggiva , fece di gran valentie. Ora incalzati
alle spalle dagl' inimici ricolgonsi tutti insieme dentro
una torre assai forte del borgo nomato Bezedel. Gli An-
toniani e per non perdere il tempo dietro una torre
difficile ad espugnare e per non lasciar vivo il capo e
il sostegno più fermo degl' inimici , cacciano fuoco per
sotto al muro ; e mentre bruciava la torre , i Romani
partono festanti , quasi con essa perito fosse anche Ne
gro; ma egli dalla torre gettatosi con un salto verso
agi DELLA GUERRA GIUDAICA
una spelonca occultissima della fortezza ivi entro salva
la vita; e indi a tre giorni, mentre con pianti ne an
davano in traccia per seppellirlo , si fa sentire dal cupo
suo nascondiglio : donde comparso alla vista di tutti
riempi d' una gioja non. isperata l' animo di ciascb.edu-*
no , quasi l' avesse la provvidenza di Dio riservato ad
essere nelle contingenze avvenire lor condottiere. -
IH. Or Vespasiano partitosi colle sue truppe da An
tiochia , ( ch' é per grandezza e per altri suoi pregi la
metropoli della Siria , ed ottiene senza contrusto il terzo
posto fra quante città son nel mondo soggette a' Ro
mani , dove trovò il re Agrippa , che ne aspettava eoa
tutta la sua armata l' arrivo ) s' incamminò alla volta di
Tolomaide t e in vicinanza a questa città gli si fanno
incontro i Galilei abitatori di Sefforim , soli fra quanti
erano colà intorno amanti di pace ; i quali e solleciti
della propria salvezza e delle forze romane ben consa
pevoli , prima ancora di Vespasiano avevano a Cestio
Gallo obbligata la fede loro , e da lui ricevutane in
pegno la destra (3) , e accettato un presidio. Allora per
tanto fatte accoglienze cortesissime al generale promi-
sergli la fedele opera loro in ajuto contro de' nazionali.
Indi all' inchiesta , che gliene fecero , il generale per lor
sicurezza tanto dà loro d' armati a cavallo e pedoni ,
quanto se mai facessero movimento i Giudei, crede ba
stevole a sostenerne gli assalti ; con ciò fosse che non
leggiere sembrasse il rischio di Sefforim di cader nella
prossima guerra in man de'nimici, perla città, ch'essa
era , delle più grandi che fossero in Galilea , piantata
in un luogo fortissimo, e da servir di frontiera alta
nazion tuttaquanta.
LIB. HI. CAP. III. 293

Capitolo III.

Si descrivono la Galilea, la Samaria e la Giudea,

I. Le Galilee, che son due, alta l'una , e l'altra chia


mata bassa, vengono chiuse intorno dalla Fenicia e dalla
Siria. Ne segna i confini a ponente Tolomaide col suo
distretto e il Carmelo , montagna un tempo de' Galilei ,
or de'Tirj , a cui giace vicino Gaba città de' cavalieri ,
così chiamata per esser ita colà ad abitarla la gente a
cavallo , cui licenziò il re Erode. A mezzogiorno hanno
la Samaritide e la città di Scitopoli fin sulle sponde del
fiume Giordano. A levante dividete il Gadarese , l' Ip-
peno , la Gaulanitide , e l' estremità degli stati d' A-
grippa (4). Da tramontana ha per termini Tiro , e il
tenere de'Tirj. Ora la Galilea detta bassa si stende in
lungo da Tiberiade (5) fino a Zàbulon , a cui giace vi
cina sul mare Tolomaide ; in largo poi si dilata da
Salot terra situata nel gran campo fino a Bersabe, che
segna ancora il principio della Galilea alta allargantesi
fino a Baca terra , che mette confine al paese de' Tirj ;
allungasi poi fino a Merot da Telia , borgo vicino al
Giordano.
. II. Ora benché per grandezza sieno sì vaste e da tante
nazioni straniere serrate all'intorno, pur ressero sempre
a ogni prova di guerra , perché fin dagli anni più te
neri avvezzi all'armi, e numerosissimi in ogni tempo
furono i Galilei , né mai o a timore n'andarOn soggetti
gli uomini , né a scarsità d' abitanti il paese , ubertoso
ìqA DELLA GUERRA GIUDAICA

ch'egli é dappertutto, abbondante di pascoli, e inart»


rato d' ogni fatta di piante , onde colla sua fertilità trae
a sé anche i meno affezionati ai lavori della terra.
Quindi é messa tutta a coltura dagli abitanti , e non
ve ne ha parte, che resti oziosa. Frequenti inoltre son
le città , e le terre in gran numero , tutte mercé 1»
dovizia del paese popolatissime per tal modo , che la
minor d' esse conta da quindicimila abitanti. In somma,
benché in grandezza si voglia anteporre alla Galilea la
Perea (6) , pur non ha dubbio , ohe in forze le si dee
mettere questa al disotto , essendo la Galilea , tutta
quant' é , coltivata , e dall' un capo all' altro fruttificante;
dove la Perea , tuttoché di gran lunga maggiore, é per
lo più montagnosa , deserta , e a recare in buon essere
frutta dimestiche più sabatica, che non converrebbe.
Anch' essa però ha il suo buono e fruttifero ; ed ha
pianure con alberi in quantità : pure il suo meglio con
siste in ulivi, in viti, e in palmeti, bagnata ch'eli' é
da torrenti, che scendono giù da monti , e da vene di
acqua perenni bastevolmente, se mai intravviene , che
dall' ardore del Sirio quelli rimangano asciutti. La sua
lunghezza pertanto é lo spazio, che da Macberunte (7)
va fino a Pella (8) ; e da Filadelfia (g) sino al Giordano
é la sua larghezza. Con Pella infatti , che testé mento
vammo , confina da tramontana , da ponente col Gior
dano , a mezzodì ha per termine la Moabitide , e a
levante l' Arabia e la Serbonitide , col Filadelfeno e con
Gerasa , che ne segnano i confini.
III. La Samaritide poi giace in mezzo tra la Giudea
e la Galilea. Perciocché dalla terra nomata Ginea posta
LIB. 111. CAP„ III. 395

dentro il Gran Campo vieti giù e finisce nella signoria


Acrabatena. Non é però di natura niente diversa dalla
Giudea , ma ambedue montagnose ed aperte , arrende
voli alla coltura , bene inarborate , e pienissime di mon-
taaeschi prodotti e dimestici. In nessun luogo però non
avvi naturalmente abbondanza d'innaffio, ma sì piut
tosto di piogge. Le lor polle d' acque son tutte dolci
per eccellenza , e dalla quantità di buon' erba avvien ,
che le gregge più assai che altrove abbondino di latte.
Certo grandissima prova di buono e dovizioso paese é.
la numerosissima popolazione deli' una e dell' altra. Con-
fin divisore di tutte e due si é Anuat terra, che ha il
nome ancor di Borceo , e pon termine alla Giudea ella
stessa da tramontana. Di verso poi mezzo dì misurata
per lungo termina in una terra, che i Giudei di colà
chiaman Jardan , e confina con quello degli Arabi : fi
nalmente per largo ella stendesi dal Giordano fin presso
a Gioppe. La città, che sia posta più nel suo mezzo ,
é Gerusalemme , e però alcuni non male chiamaronla
il cuore della provincia. Non é priva neppure delle de
lizie marittime la Giudea , sicccome quella, che stendesi
lungo il mare fino a Tolomaide.
IV. In undici marche (io) ripartesi la Giudea , tra
le quali siede come reina Gerusalemme , che soprastà
a tutto il paese ti' intorno , come il capo alle membra.
Le rimanenti dopo essa dividonsi in signorie (11). Gofua
é la seconda , e dietro a lei Acabratta , siegue Tamna ,
poi Lidda , poi Emmaus , e Pella, e l'Idumea, ed En-
gaddi , ed Erodio , e Gerico ; indi Giamnia e Gioppe
dan legge alle terre circonvicine: e olire a queste vi
296 DELIA GUERRA GIUDAICA
sono la Gamalitica e la Gaulanitide , la Batanea , e la
Traconitide , che formano anco una parte del regno di
Agrippa; le cui provincie dal Libano cominciando e
dalle scaturigini del Giordano s' allargano fino al 1 Ago
di Tiberiade , e dalla terra chiamata Aifas distendonsi
in lungo fino a Giuliade. Siri mescolatamente e Giudei
ne sono gli abitatori. Così abbiamo ragionato , quanto
più in breve per noi s'é potuto , di qnal fosse il paese
de' Giudei e de' popoli , che lor sono d'intorno.

Capitolo IV.

Giuseppe , assalita Seffòrim , é respinto,


tenuta di Tito con grandi forze a Tolomaide.

I. Ora le truppe mandate da Vespasiano in soccorso


a cittadini di Sefforim , ch' eran mille cavalli, e seimila
fanti condotti da Placido loro tribuno , attendatesi nel
gran campo dividonsi in due corpi , de' quali la fanterìa
passa in città per guardarla , e la cavallerìa soprattiensi
nelle trincée. Sortendo poi essi continuo da ambe le
parti , e correndo il paese d' intorno malmenavano assai
la gente di Giuseppe , che non movevasi, e col met
tere a sacco i distretti delle città e col rintuzzare V ar
dore de' cittadini , quando arrischiassonsi di far sortite.
Ora Giuseppe non mancò di gettarsi sopra la città , spe
rando di prenderla, giacché e^li stesso , prima del suo
ribellare da' Galilei , circondata l' aveva di mura , onde
a' Romani eziandio riuscisse inespugnabile ; ma perciò
stesso gli tornò vana la sua speranza , trovandosi meno
un. in. càp. iv. 397
in forze , clie non bisognava o per costrignere o per
condurre colle buone a renderglisi i Sembriti ; anzi vie
più accese la guerra nella provincia , e i Romani né di
né notte non desistevano con isdegno insidioso di met
tere fuoco nelle campagne ,1 di rubar quanto trovavano
nel paese , di uccidere sempre i più forti e i più de
boli trargli schiavi. Quiudi andò a fuoco e a sangue tutta
la Galilea , né vi fu danno , o disavventura , che non
provasse ; conciossiaché non avessero i perseguitati altro
ricovero , che le città da Giuseppe fornite di mura.
II. Tito frattanto da Acaja passato in Alessandria più
presto di quanto comportasse la fredda stagione , che
allora correva, ne leva le truppe , per cui era venuto ;
e con affrettato cammino fu quantoprima a Tolomaide ;
dove trovato il padre unisce alle due legioni , ch1 erano
con lui la quinta cioé e la decima le più chiare di tutte,
la quindicesima da se condotta. Seguironle poscia di
ciotto coorti ; alle quali se ne congiunsero da Cesarea
altre cinque ed un'ala di cavalleria: simile di cavalleria
altre cinque venuteci dalla Siria. Ora fra queste coorti
dieci ven' erano , che comprendevano ognuna un migliajo
di fanti ; le tredici rimanenti contavanne da secento per
ciascheduna , e i soldati a cavallo erano centoventi. For-
mòssi ancora dai re un buon corpo di truppe ausiliarie,
avendo somministrato duemila fanti balestrieri e mille ca
valli per ciascheduno Antioco, Agrippa e Soemo: Malco
poi signore arabo mille a cavallo , e cinquemila pedoni,
la maggior parte balestrieri , onde l' esercito tutto , com
prese le fanterie e cavallerie reali montava a sessanta
mila persone senza gli schiavi , i quali e assaissimi eraa
a<)8 BELLA GOERRA GIUDAICA

di nttmero , e per la sperienza acquistata nel mestiere


dell' armi separar non si debbono dal restante delia mi
lizia , siccome quelli , che in tempo di pace interveni
vano sempre agli armeggiamenti de' loro padroni, e nelle
guerre correvano con loro i pericoli medesimi ; onde né"
in esperienza né in valore cedevano a chicchesifusse ,
tranne i padroni.

Capitolo V.

Descrizione degli eserciti ed accompagnamenti romani,


e cT altre cose , per cui si dà lode a Romani.

I. E in questo punto degno é d'ammirare il provve


dimento de' Romaui , i quali s' allevano la famiglia in
maniera , che non a' bisogni sol della vita la trovano
vantaggiosa , ma ancora alle guerre. Che se ad alcuno
piacerà di por mente all' ordine tutto della disciplina
lor militare , capirà che il sì vasto impero , ch' essi hanno,
é acquisto sol di virtù , non dono di sorte. Non é la
guerra per loro il primo segno da prender l' armi , né
solo quando lo vuole il bisogno, muovon le mani te
nute oziose in pace , ma non altrimenti che nati colle
armi indosso , né danno mai tregua a' militari esercizj ,
né attendonne l' occasione. Il loro armeggiare non é punto
nulla diverso da un franco operare da senno , anzi non
passa dì , che i soldati a un per uno con tutto l' ar
dore maneggiasi , come in guerra ; ond' é , che con
lieve fatica reggono alle battaglie : perciocché né il di
sordine gli scompiglia dalle usate loro ordinanze , né il
L1B. III. CAP. V. 299
timor li stordisce , né li (iacea il travaglio ; onde segue
il restar essi ognora al di sopra di quanti non son , come
loro , sicuri e franchi. Né lungi dal vero andrìa , chi
dicesse, le loro armeggiate essere combattimenti senza
sangue , e i combattimenti armeggiate con sangue , mer-
cecché non si lasciano cogliere neppur quando i nimici
fanno correrie improvvise.
II. Se avviene , che gettinsi ovechesia in terre nimiche,
non prima attaccasi la zuffa , che fabbricati non abbiano
gli alloggiamenti ; cui non piantano alla rimpazzata , nà
senza legge , né tutti insieme , né ripartiti senz' ordine;
ma se avvien , che il terreno sia disuguale , rispianasi ;
poscia misurasi in quadrangolare figura il ricinto ; indi
vengono in quantità lavoratori e il material bisognevole
per l' edilizio. Tutto lo spazio dentro é assegnato alle
tende , e il giro di fuori ha le sembianze d' un muro ,
forniti a pari intervalli di torri ; sulle cortine dispon
gono qua e là trabocchi e bolzoni e mangani e ogni
altro ingegno da trarre , tutti in sull' atto dello sca
gliare. Aprono quattro porte, una per ciascun lato (13)
al ricinto , ampie bastevolmente all' entrarci degli ani
mali , e all' uscirne la soldatesca , se mai qualche ur
gente caso lo richiedesse. Tutto l' alloggiamento é con
buon ordine ripartito in istrade (i3), e il luogo di mezzo
si assegna alle tende de' capitani , e il lor centro al pre
torio fatto a somiglianza d' uu tempio. E come iu una
città d' improvviso fondata , v' ha destinato un cotal suo
luogo alla piazza (i/{) , il suo agli artieri; e v'ha 1
banchi (i5), dove riseggono i capitani e tribuni a ren
dere ragione , se v' ha differenza da racconciare. Questo
3oO DELLA. GUERRA GIUDAICA

ricinto non meno , che quanto comprendesi entro II suo


giro, viene fabbricato più presto, ch'altri non pensa ,
atteso i molti ed esperti lavoratori } che vi si adoprarao
intorno : che se un pressante bisogno l' esiga , si tira per
tutto intorno al di fuori un fosso alto quattro cubiti e
largo altrettanto.
III. Così difesi soggiornanvi ognuno nella sua came
ra (16) con pulitezza e quiete. Per egual modo tutte
l' altre cose vengon da loro eseguite con buon ordine e
sicurezza , come l' andare per legne , per frumento , se
occorre , e per acqua , 'cose che tutti fanno entro alle
loro camerate. Né si lascia in balìa a ciascuno il met
tersi a cena o a pranzo , allorquando gli aggrada ; ma
tutti ci vanno ad un tempo. Similmente le trombe as
segnano l' ore al dormire , al far sentinella , al destar
si; né v'ha punto nulla, che facciasi senza bando. Sui-
l' aggiornare i soldati fan capo tutti a' centurioni per
inchinarli, questi a' tribuni, e i tribuni con tutto il ri
manente de' capitani al generalissimo dell' armata ; il
quale per costumanza , che ve ne ha , dà loro il nome
e gli altri ordini da portare alla gente loro subordinata;
il che adoperando ancor nel combattere, prestamente si
volgono ad ogni parte , onde se fa mestieri , e agli as
salti s'innoltrano ed a5 richiami ritirano il piede tutti in
un punto. Quando convien diloggiare , danne segno la
tromba, e con sol tanto non v' ha persona più in ozio,
ma spiantansi di presente le tende , e ogni cosa allesti
scono per la partenza; e allora suonan da capo le trombe,
che tutto sia allestito ; e quelli caricato su' muli e giu
menti con gran lestezza il bagaglio si stanno , come in
tra. in. cap. t. 3ori
procinto d' abbandonare le mosse : e già danno fuoco
al recinto , poiché il fabbricarne ivi medesimo un altro
é cosa per loro agevole ; onde mai il già fatto non si
convertisse in vantaggio degl'inimici. Con tutto questo
ancor per la terza volta le trombe intimano la partenza
sollecitando , chi per qual che si fosse il motivo indu
giasse , affinché non resti indietro persona dalle ordi
nanze. Allora il banditore fattosi al destro fianco del
generale per tre fiate gi' interroga nella lingua volgare ,
se sono pronti alla guerra, ed essi altrettante rispondono
a vive voci ed alte, che il sono: anzi prevengono l'in
terrogatore, e pieni di spiriti marziali una colle grida
alto levan la destra : indi messisi in. via marciano quie
tamente e tutti in buon ordine , guardando oguuno ,
non altrimenti che in guerra , il suo posto.
IV. Ora i fanti vestono usbergo ed elmo , e all' un
fianco ed all' altro portan la spada , ma più lunga assai
al sinistro; giacché la destra non oltrepassa in lunghezza
una spanna. Quelli però , che guardano la persona del
generale , e sono i più scelti , portano lancia e rotel
la (17), il resto poi della truppa lanciotto e scudo (18)
ben lungo , e per giunta la sega, il corbello, la zappa,
e la scure , e poi un falcastro , un sovattolo , una ca
tena , e il viatico per tre giorni , sicché il pedone di
poco non andava del pari a' giumenti ben carichi. La
gente poi a cavallo ha dal destro (19) fianco una lunga
spada, e in mano un lancione alto assai, indi lo scudo
ripiegato sul fianco del destriere, e da' turcassi pendenti
tre giavellotti o anche più , larghi in punta, e di gran
dezza niente minore dell' aste; elmi inoltre ed usberghi
3o3 DELLA StJERBA GIUDAICA
egualmente che tutta la fanteria. Né i cavalieri assegnati
alla guardia del generale hanno armi punto diverse da
quelli , che sono nelle ali. Alla sorte poi si commette
mai sempre , qual debba delle legioni ire innanzi. T>:
tal fatta sono i viaggi , le stanze , e l' armi muhiplioi
de' Romani.
V. Nelle loro battaglie non s' opera né sconsigliata
mente né alla ventura ; ma ad ogni fatto precede sempre
il consiglio , e al partito già preso*tien dietro 1' esecu
zione. Quindi e fallano assai di rado , e se avviene ,
che fallino , ammendano agevolmente l' errore. Meglio ,
che non prosperare per sorte , stimano l" errar dopo
fattone innanzi consiglio ; perciocché le casuali venture
traggon pian piano al disavvedimento, dove la seria con
sultazione , benché talora non abbia effetto , fa la per
sona assai bene avveduta , che in avvenire più non ci
cada : senzaché de' vantaggi fortuiti non é, chi li gode,
1' autore ; ma il tristo riuscir de' consigli ha questo al-
tnen di conforto, che sonosi fatte le debite consultazioni
Or dunque i Romani coli' armeggiare che fanno nou
pure addestrano la persona , ma gli spiriti ancora dis
pongono alla fortezza. Al che fare giova eziandio il ti
more; perciocché e sonci leggi di morte appo loro non
che al disertare, ma al minimo negligeniare , che fac
ciano; e più delle leggi son formidabili i generali , che
sol co' premj , che danno a' bravi , ricattansi dal sem
brare crudeli in punire. Tale poi é l' ubbidienza loro
verso de' generali , che in tempo di pace é una cosa
assai bella a vedere , e nelle battaglie tutto l' esercito è
un corpo solo. Tanto le file si tengono ben commesse
LI». UT. CAP. V. 3o3
fra loro, tanto hanno intesi gli orecchi a' comandi, alle
insegne gli sguardi , e le mani all' opera , onde e all' a-
gire son lesti , e tardissimi a risentirsi , né vi fu caso ,
in cui bene uniti insieme o da numero fossero sopraf
fatti , o da stratagemmi , o da trista condizione di luo
ghi, o, che più é, da sinistra fortuna; perciocché hanno
forze a resisterle più gagliarde , ch' essa non é. Gente
adunque , a cui il consiglio é principio dell' operare ,
un esercito così attivo é conseguenza del consultato ,
qual maraviglia , che abbia a' confini del suo impero
l Eufrate a levante , a ponente l' Oceano , a mezzodì
il più fertile della Libia , e l' Istro e il Reno a setten
trione ? Anzi savio avviso sarebbe , di chi dicesse , il
posseduto non essere quanto i posseditori.
VI. Tutto questo io son venuto dicendo non tanto
per animo , ch' io m' avessi d' esaltare i Romani, quanto
e a conforto de' soggiogati e ad utile avviso de' nova
tori. E chi sa forse , che ancor non giovi nel fatto a
chi ama i buoni studj e non sa qual si fosse, la disci
plina militar de' Romani. Ora da capo mi farò sulla
strada , donde per tal motivo mi tolsi giù.

Capitolo VI.

Placido tenta di prender Giotapata , e ri é rispinto.


Vespasiano entra in Galilea.

I. Or Vespasiano una con Tito suo figlio, mentreché


soprastette in Tolomaide , si occupò a recare in buon
ordine le sue truppe. Placido intanto , che andava cor»
3o4 DELLA GUERRA GIUDAICA
rendo la Galilea ( nel che fare avea messi a morte dei
datigli nelle mani una quantità , ed era la parte più
debole de' Galilei e la manco fornita di cuore ) , e ve
deva che il nerbo della nazione si rifuggiva mai sempre
nelle città rinforzate già da Giuseppe , avventòssi contra
la più guernita fra quelle , cioé Giotapata , lusingandosi
che con assalirla improvviso prenderebbela di leggieri,
e con ciò in grande onore ne salirebbe egli presso dei
generali, e loro procaccerebbe vantaggio per le cose
avvenire. Conciossiaché renderebbonsi per timore Y altre
città, quando fosse presa la più gagliarda. Ma gli an
darono troppo lungi dal segno le sue speranze ; mer-
cecché subodorata i Giotapateni la sua venuta , l' accol
gono fuor di città , e rottisi d' improvviso addosso ai
Romani , in buon numero , e pronti a combattere , e
con gran cuore siccome quelli che difendevan la patria
pericolante le mogli e i figliuoli , in poca d'ora g\ì han
messi in volta ; e ferendone assai sette soli ne uccidono,
tra per la niente malcomposta ritirata , che fu la loro ,
e pel poco o nulla colpir , che facevano i dardi contro
persone da ogni banda ferrate , e perché i Giudei si
arrischiavano più di ferire da lungi , che non di bat
tersi a corpo a corpo inermi , com' erano , con armati.
Ancor de' Giudei ci restarono morti tre , e alcuni pochi
feriti. Placido adunque non si trovando in forze baste-
voli da sostenere l' assalto della città si diede a fuggire.
II, Ma Vespasiano consigliatosi d'entrar egli medesimo
in Galilea muove da Tolomaide, ordinato il marciar
de' soldati in quel modo, che-suolsi tener da' Romani.
Pose adunque nella vanguardia quegli alleati , che ar-
MB. 111. CA.P. VI. 3o5
ma ti erano alla leggiere , e i balestratori , perché fre
nassero le improvvise incursioni de' ni mici, e visitassero
con diligenza le selve sospette e tali da potercisi rin-
tanar l' inimico. Dietro loro veniva un corpo di fanti «
cavalli romani in arme; e dopo questi un dieci per
cento di tutto il resto con esso il proprio bagaglio e
le misure degli alloggiamenti. Indi i guastatori , perché
le tonuosità dirizzassero delle strade , né rispianassero
lo scabroso , e atterrasser le selve attraverso al cammino,
onde l'esercito marciando con pena non si stancasse.
Dietro a questi dispose il suo e il bagaglio de' capitani
soggetti a lui , e intorno intorno buon numero di ca
valli per sicurezza. Immediate appresso veniva egli , e
con lui il fior de' pedoni , de' cavalieri , e delle lance.
Seguivalo la cavalleria attenentesi alla sua legione ; con-
ciossiaché ciascheduna legione aveva per se assegnati
centoventi cavalli. A questi tenevano dietro i muli col
carico de' bolzoni e degli altri ordigni : indi i generali
e i capi delle coorti e i tribuni con gente scelta d.in
torno alle loro persone , poscia le insegne chiudentisi in,
mezzo 1' aquila , che tutte conduce le romane legioni ,
regina ch' ella é di tutti i volatili , e la più generosa di
ognuno ; il che pare ancora , che sia un segnale del
loro impero , e un augurio di dover vincere , quanti
assalgon coli' armi. Alle sagre insegne venivano appresso
ì trombettieri , indi il grosso della milizia largo in tutto
il suo essere sei soldati. Seguiva un centurione , che
giusta il costume invigilava sopra il buon ordine delle
truppe. Dietro a' fanti veniva la servitù tutta insieme
di ciascheduna legione con sopra muli e giumenti la
Futvio, t VI- Detta. G. G. t. t. io
V
3o6 DELLA GUERRA GIUDAICA
someria de' soldati. Dopo le legion tuttequante a vea
luogo la moltitudine, che militava per paga, e alfa coda
per sicurezza stavano molti armati a pie , e non poc/ii
a cavallo.
IH. Cosi marciando col suo esercito Vespasiano gin—
gne a' confini della Galilea, ove postosi a campo frenò
i soldati impazienti di battagliare ; facendo mostra sol
tanto della sua gente per atterrire i nemici , e con ciò
dando lor tempo di ravvedersi , se prima della battaglia,
cambiassero sentimento ; e frattanto s' allestiva all'assedio
delle fortezze. Pentimento adunque d'aver ribellato la
vista del generale fe' nascere in molti , spavento in tutti.
Di fatto coloro , che s' erano intorno a Giuseppe accam
pati non lungi da Sefforim presso alla città detta Ga
rin, poiché sentirono , che s'appressava il nimico, e a
pochissimo andrebbe il venir seco i Romani alle prese,
non che prima della battaglia, ma prima ancor di ve
dere i nimici, si fuggono alla sfilata : laonde Giuseppe
resta con pochi , e vggendo se non con forze bastevoli
ad aspettare il nimico , e i Giudei di sì povero cuore,
che se si lasciassero in lor balia , di buon grado la
maggior parte verrebbono a' patti , cominciò fin da ora
a temere dell' esito di tutta la guerra ; e per allora
pensò di ritrarsi il più lontanissimo , che si potea , dai
pericoli , e con esso i tenutisi saldi con lui si ricoglie
in Tiberiade.
/liu. ni. cap. v». 307

Capitolo VIT.

J^espasiano, pigliata Gadara, marcia contro Giotopata.


Uopo lungo assedio , e dopo f eccidio di Giaffa e
sconfitti i Samaritani la città cade in suo potere
per tradimento di un rifuggito.

I. In questo Vespasiano andato sopra Gadara al primo


assalto la prende giacché trovòlla sprovvista di difensori,
etl entratoci mette a morte tutta la gioventù, non avendo
i Romani risguardo ad età sì per l' odio , che portavano
alla nazione , si per la ricordanza de' rei trattamenti da
loro usati con Cestio. Indi mettono a fuoco non pure la
stessa città , ma tutti eziandio i borghi d' intorno e le
terricciuole , ajtre trovate totalmente diserte , ed alire
dopo fattine schiavi gli abitatori.
IL Ma intanto quella città , che Giuseppe avea scelta
per porvi iu sicuro se stesso , col suo ricovrarcisi la
riempie di timore ; perciocché i Tiberiesi avvisavano ,
ch'egli se non in caso d una totale disperazione non si
sarebbe condotto mai a fuggire ; e in risguardo almeno
di questo ei non andavano lungi da' suoi pensamenti ;
perciocché prevedeva ben egli , a che fine riuscirebbono
poi gli affari de' Giudei , e già conosceva , che l' unica
via allo scampo era per loro mutare proponimento. Egli
però , tuttoché da' Romani si promettesse perdono , pure
avrebbe anzi tolto di perder più vite , che col tradir la
«uà patria e disonorare il governo affidatogli trovar for
tuna appo quelli, a guerreggiare co' quali e' trovavasi colà
3o8 SELLA GUERRA GIUDAICI
mandato. Deliberò egli adunque di scrivere lealmente ai
reggitor del comune in Gerusalemme lo stato total delie
cose, onde né col soverchio ingrandire le forze nimiche
venisse poscia ripreso di timidezza, né col parlarne mer.
del bisogno forse già ravveduti facesseli rimbaldanzire ;
quindi , o vorrebbon la pace , e gliene rescrivessero to
stamente , o il partito vinceria della guerra , e mandas-
sergli forze da contrapporsi fondatamente a' Romani: cosi
egli scrisse, e spedì di presente/persone, ebe ne recasser
la lettera a Gerusalemme.
IH. Ma Vespasiano voglioso di prender Giotapa ta j
città in cui aveva udito essersi rifuggiti il più de'nimicf,
e senza questo essere un forte loro ridotto , manda
cavalli e fanti , perché gli appianino innanzi la strada
montagnosa ed alpestra , e se dolorosa per li pedoni ,
impraticabile pe' cavalli. In quattro giorni essi ebbero
tratto a fine il lavoro, ed aperta una larga via militare
all'esercito: e Giuseppe al quinto giorno, che nel ven-
tesimoprimo cadeva di maggio , da Tiberiade passando
in Giotapata antiviene i Romani , e riassicura gli animi
de' Giudei sbigottiti. Di questo passaggio fu Vespasiano
fatto avvisato da non so qual disertore, che lo stimolava
contro la città, colla quale sicuramente prenderebbe tutta
ancor la Giudea , quando avesse nelle sue mani Giu
seppe. Vespasiano abbrancata, come una somma ventura, <f
cotai novella , e pensandosi , che non senza consiglio
divino il più in credito di sapula fra tutti i nimici fosse
venuto a serrarsi spontaneo in prigione , spedisce tan
tosto con mille cavalli Placido e seco Ebuzio decurione,
uomo per mano egualmente ? che per consiglio de' più,

>
LIB. III. CAP. VII. 3 09
segnalati, con ordine di circondare la città da ogni parte,
onde furtivamente non s' involasse Giuseppe. Esso poi
ìndi a un giorno con seco tutte le forze seguili! , e
viaggiato fin presso a notte pervenne a Giotapata.
IV. Adunato tutto l' esercito verso il fianco setten
trionale di quella mette campo in un colle a sette stadj
dalla città , tentando di porvi il più , che fare potesse ,
in vista a' nimici per gettar ne' lor animi lo spavento 5
il qual sì davvero s'apprese subito ne'Giudei, che niuno
più s' arrischiava d' affacciarsi alle mura. Ora a' Romani
stanchi del viaggio di tutto un giorno increbbe di venir
tostamente all'assalto; onde cerchiano con doppia schiera
la città , e nel terzo giro al di fuori dispongono la ca
valleria , tutte loro chiudendo, per questo mezzo le vie
d' uscire. Ma questo stesso nel mettere che fé' i Giudei
in disperazion dello scampo , ammogli all' ardire ; per
ciocché nelle guerre non havvi cosa più battagliera della
necessiià. Dato il giorno appresso l'assalto primieramente
i Giudei fermi nel loro luogo fecero fronte a' Romani
attendati innanzi alle mura. Ora poiché Vespasiano ebbe,
fatto uscir contro questi i balestratori . i frombolieri , e
tutta la generazione de' lanciatori con ordine di ferire ,
ed egli intanto con tutta la fanteria sospignevasi verso
l'erta, laddove il muro era agevole ad espugnare, Giu
seppe temendo della città e con lui tutta la moltitudine
de' Giudei balzan fuori ; e gettatisi unitamente addosso
a'Romani e rispinserli dalle mura, e fecero molte prove
di mano e d' ardire : ma niente meno di quel che fe-
ciono, n'ebbero a sostenere; mercecché quanto in questi
poteva la disperazione , altrettanto stimolava i Romani
3 IO DELLA GUERRA GIUDAICA

la confus'one ; e questi fortificava la sperienza in cotti—


pagnia del valore, quelli l'ardire unito allo sdegno. Stati
adunque tutto il dì in battaglia disciolgonsi col venir
della notte, rimasti dalla parte de'Romani feriti moltis
simi , e tredici uccisi ; da quella poi de' Giudei vi caci—
dero diciassette morti , e secento vi restaron feriti.
V. L' altro dì appresso fatta una brava sortita s' az
zuffano co' Romani da capo, e fecero una resistenza assai
più gagliarda; tra perché le non aspettate loro prodezze
del giorno addietro gli avevano fatti più coraggiosi , e
perché ne'Romani trovarono ancor più ferocia, avendoli
la vergogna infiammati allo sdegno ; mercecché il non
aver tosto vinto credevanlo una sconfitta. Ciuque interi
giorni durarono quinci l' assalir de' Romani , quindi il
sortire de' Giotapateni , tutte battaglie murali ostinate.
Ciò non ostante né i Giudei si smarrivano alla gagliardia
de' nimici , né i Romani stancavansi per la malagevole
espugnazion , ch' era quella.
VI. È Giotapata , salvo una picciola sua parte , tutta
un dirupo , stagliata da ogn' altra sua banda in valloni
così profondi , che a chi si prova di mirare ali' ingiù ,
vien meno a tant' altezza la vista. Solo da tramontana
é accessibile , in quanto che é fabbricata attraverso alla
falda delle montagne , ch' ivi insensibilmente finisce.
Questa fu quella parte , che Giuseppe in murando la
terra chiuse d' intorno (20), perché i nimici guadagnar
non potessero l' alte vette , che staratile a cavaliere. A-
scosa poi , come eli' era , in tutto il suo giro da altri
monti riusciva affatto invisibile ; fino a tantoché altri
non arrivava alle porte. Così era guernita Giotapata.
LIB. III. CAP. VII. 3[ I

VII. Or Vespasiano volendo spuntarla a dispetto e


della natura del luogo e dell'ardir de' Giudei, determinò
ti' intraprenderne un forte assedio , e chiamati Plupi
capitani a consiglio teneva consulta sul modo di darle
F assalto. Diffinitosi , che s' alzasse un terrapieno verso
la parte accessibile della muraglia manda tutto l'esercito
per materiali; e spogliati d'alberi i monti d'intorno alla
città , con aggiunta al legname una copia immensa di
sassi, altri, a riparo delle saette scagliate d'alto per su
le trincee distesi graticci , venivano alzando sott' essi il
terrapieno, niente o pressoché niente offesi dal lanciar,
che facevasi dalle mura , ed altri schiantando i colli vi
cini recavano incessantemente lor terra; e ripartiti tutti
in tre corpi non v'era fra loro pur uno ozioso. Intanto
i Giudei dalle mura avventavano sopra i loro ripari di
grandi pietre, e d'ogni fatta di saettume, e benché non
giugnessero a trapassarli , pure il grande e spaventoso
loro fracasso impediva i lavoratori. Ma Vespasiano di
sposte in giro le macchine da scagliare , ed erano ih
tutto censessanta stromenti, ordinò che gettassero contro
ì nimici , che stavano sulle mura. Quindi a un mede
simo tempo e le catapulte sparavano lance , e fuor si
gettavano da mangani sassi di smisurata grandezza, e il
fuoco , e le frecce moltissime , che volavan per V aria ,
rendevano a Giudei inaccessibile non pur la muraglia ,
ma quanto era ampio il bratto , ove quelle giugnevano.
Perciocché gli Arabi balestratori , ch' erano assai , con
esso i saettieri e frombator tuttiquanti tiravano insiem
co' diGzj.
Vili. Ora i Giudei , benché fosse loro impedito il
3 12 DELLA GUERRA GIUDAICA

difendersi d'in sulle mura, non però stavan cheti; mai


sbucando , come i ladroni far sogliono , furtivamente?
dalla città , toglievan di dosso a' lavoratori i ripari , ^
scoperti ferivanli , e dove quelli si ritirassero , abbatte
vano il terrapieno , e insiem co' graticci bruciavano le
trincee, finché avvedutosi Vespasiano, che il danno ve
niva dall' essere ripartiti in diversi luoghi i lavori , poi
ché gi' intervalli tra gli Uni e gli altri dava campo ai
Giudei d'assalire, unisce in un corpo solo tutti i ripari;
e cosi rannodate insieme tutte le forze, i Giudei si ri
masero di ficcarsi tra loro.
IX. Già il terrapieno levavasì a buona altezza , e di
poco non uguagliava la sommità delle mura , quando
Giuseppe parutagli cosa indegna non inventare a scampo
della città qualche nuovo ingegno , chiama a se i mu
ratori , e impone , che alzino la muraglia : al che ri
spondendo , esser cosa impossibile fabbricare sotto una
grandine così folta di frecce , congegna loro di sua in
venzione questo riparo. Ordinò, che mettessero insieme
un graticcione di pali; indi fattevi stender sopra pelli di
buoi testé scorticati , affineché ripiegandosi in un seno
accógliessonvi dentro i sassi lanciati da' mangani, e ogni
altro lor saettame cadesse in vano , e il fuoco dall' u-
midità fosse spento , Io adatta a difesa de' lavoranti , i
quali sott'esso operando sicuramente di e notte tirarono
il muro all' altezza di venti cubiti qua e là rinforzato
con molte torri, con sopravi forti merli bene commessi.
X. Questo fatto in cuore a' Romani , che già si cre
devano entrati in città , produsse molto sgomento , •
parve lor da stupirne coti l'invenzion di Giuseppe j.
L1B. III. CIP. VII. 3t3
come il coraggio de' terrazzani. Ma Vespasiano alla sot
tilità dell'astuzia e all'ardir de' Giotapateni s'inacerbiva.
Conciossiachè per la nuova fabbrica ripigliato già animo
fàeean sortite sopra i Romani , e ogni di si veniva alle
prese da battaglioni anche interi, e tutto erasi in ladro»
neschi artifi/.j e rapine di checché si parasse loro alle
mani, e in incendj d'ogni altro lavoro, finché Vespasiano
distolto l'esercito dal più battagliare si risolvette di pren
dere la città con assedio, onde allo stremo la recherebbe
del bisognevole a sostentarsi; mercecché o costretti dalla
miseria verrebbongli supplichevoli a piedi , e durandola
fino all' ultimo pertinaci morrebbon di fame. Vedeva
inoltre , che assai più rimessi troverebbeli nelle zuffe ,
se dopo qualche in Ira messa tornasse lor sopra , allor
quando sarebbero stenuati ; e però diede ordine , che
tutte se ne dovesser guardare le uscite. Or gli assediati,
quanto si é a frumento e ad ogn' altra provvigione, tol
tone il sale, ne avevano una dovizia. Solo eraci scarsità
d' acqua , siccome non era fornita la città di fontane, e
i cittadini ne avevano dalle piogge a sufficienza : ma
quando la stagione piega alla state , ci piove di rado.
Essendo adunque in tal tempo appunto assediati, furono
in grande malinconia pel pensiero , che dava loro la
sete ; e stavati di mala voglia , quasi già fosse loro fal
lita l' acqua del tutto ; perché Giuseppe e veggendo la
città doviziosa d' ogni altra cosa , e di generoso animo
i cittadini , e volendo prolungare a' Romani oltre ogni
loro aspettazione l' assedio , ripartiva misuratamente a
ciascuno il quanto del bere. Or essi tal parca distribu
zione credevanla più gravosa della penuria , e il non
3i,f DELLA GUERRA GIUDAICA

averla in balia ne moveva più gagliardamente le voglie,


e non altramente, che fossero già all'estremo della sete,
si davano per {spossati. Queste loro affezioni non erano
da' Romani ignorate. Perciocché da un' opposta collina
vedevanli tutti ricogliersi sulle mura in un luogo solo ,
e colà misurare l' acqua ; dove giugnendo colle balestre
ne uccidevano assai.
XI. E già Vespasiano , poiché non andrebbe a molto
il votarsene le cisterne , sperava , che la distretta dareb—
begli la città in potere. Ma Giuseppe volendo pur rom
pere questa speranza ordina alla più parte , che inzup
pino le lor vestimenta nell' acqua , e le sospendano sopra
i merli , onde corra improvviso per tutto il muro. A tal
veduta i Romani furono soprappresi da sbigottimento e
stupore , veggendo che per ischerno gettavano via fau-
t' acqua , mentre pensavausi , che non ne avessero nep
pure il bisogno per dissetarsi; talché il generale sconfi
dato di prenderla per istretta di vettovaglia , si volse al
l' anni da capo e alla forza , cosa desiderata da' Giudei
sommamente. Conciossiaché disperati di se medesimi e
della città volean anzi morire in guerra , che patir fame
o sete. Non pertanto Giuseppe oltre a questo artifizio
ne trovò un altro ad accrescere le sue provvisioni. Per
certa straripevole spaccatura verso la parte occidentale
del vallone , e però non curata dalle sentinelle mandava
fuor gente con lettere a cui voleva de' Giudei abitanti
in campagna , e ne riceveva da loro ; e di tutto il bi
sognevole , che non era in città , per tal mezzo ebbe
abbondanza , avendo ordinato a chi entrava , che innanzi
alle sentinelle n' andassero sempre carpone , e si copris-
tIB. III. CAP. VII. 3l5
sero <H boldroni la schiena , perché a chiunque mai li
vedesse fra l' oscurità della notte , sembrassero cani ;
finché avvedutesi dell' inganno le guardie serrano tutto
intorno la spaccatura.
XII. Allora Giuseppe veggendo , che la città non ter-
rebbesi lungamente , ed accortosi , che colà la sua vita
non era sicura , cominciò a macchinare insieme co' più
potenti una fuga ; del che avuto qualche sentore il po
polo gli si affollò tutto intorno , supplicandogli , che
abbandonar non volesse persone , come loro , appoggiate
a lui solo : perciocché il suo restare dava speranza alla
città di salvezza , dacché rimanendo lui , con grand' a-
nimo ognuno in risguardo suo pugnerebbe; che se fos
sero vinti , e' sarebbe Ior di conforto. Mal convenirsi a
lui e il fuggire i nimici , e l' abbandonare gli amici , e
per fortuna di vento il gettarsi fuor di quel legno , ove
in tempo di bonaccia s' era ricoverato. Egli certo af-
fonderìa la città , non s' arrischiando più alcuno di far
fronte a' nemici , partito quello , la cui mercé si fareb-
bono cuore. Ora Giuseppe occultando il risguardo , che
aveva alla sua sicurezza , rispose , che s' egli usciva , fa-
cevalo per lor vantaggio; perciocché rimanendo né troppo
li gioverebbe, se salvi , e se vinti, inutilmente perirebbe
con loro : dove sottrattosi dall' assedio sarebbe grandis
simo il giovamento , che loro procaccerebbe ; mercecché
adunati da tutto il distretto con celerità i Galilei , con
un' altra guerra ritirerebbe di colà intorno i Romani :
non veder egli, che utile presentemente traessero dal
suo stare ivi entro rinchiuso, se non l' infiammar , eh' ei
faceva , vie più in quell' assedio i Romani a tal segno.
3 i6 DEIXA GUERRA GIUDAICA

che riputavansi giunti al colmo, se avevano la stia per


sona in potere. Dove quando n' udisser la fuga,raJ/en—
terebbono assai il lor impeto contro la città. Contatto—
questo e1 non giunse a capacitarli, anzi accese ognora"
più nel cuore del popolo il desiderio di ritenerlo. Quindi
fanciulli e vecchi e donne co' pargoletti piagnendo gli
si prostravano dinanzi , e tutti tenevansi stretti a' suoi
piedi , e singhiozzando gli supplicavano , che restasse a
correr con loro la sorte medesima , non per invidia che
avessergli della sua salvezza , come a me pare , ma per
la speranza , che avevano della propria ; giacché re
stando Giuseppe credevansi di non dover sostenere niun
danuo.
XIII. Or egli avvisando , che tutto questo , s' egli ar-
rendevasi , era un supplicarlo , se resisteva per forza ,
era un tenerlo prigione ( e molto oggimai al suo propo
nimento d' andarsene aveva tolto di nerbo la compas
sione, che il prese de'loro lamenti) e pensò di fermarsi,
ed armatosi della disperazione universale della città « ora
» é tempo , disse, di cominciare la battaglia, quando
» più speme non v' ha di salute , a chi vuol colla vitat
a comprarsi gran nome, e con qualche azione da prode
» lasciare di se memoria a' suoi tardi nipoti ; » e in così
dire si volge ai fatti ; e spintosi fuor delle mura iusiem
co' più bravi e sbaratta le sentinelle , e corre fin presso
alle tende romane; dove e stacca da' terrapieni le pelli,
con che si coprivano , e mette fuoco ai lavori. Così fece
il secondo, così il terzo giorno , e cosi proseguendo
più dì e più notti non si stancava giammai di com
battere.
LIB. III. CAP. VH. 3 17
XIV. Allor Vespasiano veggendo dalle sortite condotti
a male stato i suoi, perché e vergognavansi di dar volta
a cagion de' Giudei , e cacciatili in fuga non erano per
lo peso dell' armi lesti a inseguirli , e intanto i Giudei
operando sempre , anziché incontrassero niun sinistro ,
si ricoglievano nella città , ingiunse ai soldati , che ne
schivassero la foga , e non s' azzuffassero con persone ,
che amavano di morire; giacché non v'essere cosa più
forte d' un animo disperato ; e il loro empito si spe
gnerebbe , non altrimenti che senza legne il fuoco ,
quando non trovasse veruno intoppo. Dover poi eziandio
i Romani cercare con sicurezza perfiu la vittoria, sic
come quelli, cui non un capriccio conduce a far guerra,
ma la necessità. Quindi per lo più co' balestrieri d' A-
rabia , co' frombatori di Siria , e co' mangani rintuzzava
l ardore de' Giudei ; né in tal uopo teneva in ozio le
moli' altre macchine da lanciare ; da cui malmenati i
Giudei si tiravano indietro , ma poi sospintisi più in
dentro al lontano colpo , ch' esse facevano , serravansi
addosso ferocemente a' Romani , e non risparmiando né
vita né sangue pugnavano con successione continua degli
uni freschi agli altri già stanchi.
XV. Il perché Vespasiano dalla lunghezza del tempo
e dalle sortite accorgendosi , eh' egli era all' opposito
l'assediato, siccome i terrapieni (21) s'avvicinavano già
alle mura , così volle che s appressasse il montone. E il
montone una trave tragrande , che un albero rassomiglia
da nave , fortificato dall' un de' suoi capi con grossa la
stra di ferro effigiata a montone , onde prende ancora
il suo nome. Verso il suo mezzo é sostenuto da legni
3l8 BELLA GUERRA GIUDAICA.

impernati , come nell'ago della bilancia, in un' a 7 tra


trave ben quinci e quindi rinfiancata da pali (aa). Ti
rato indietro da molte persone ad un tempo , nel riso—
spignerlo ch' esse fanno unitamente all' innanzi , batte
col risalto del ferro le mura , né torre v'ha sì gagliarda,
né cosi ampia conina, la quale tuttoché tengasi a' prime
colpi , possa a lungo andare duraT-la costante. A questa
prova adunque venne il generale romano , impaziente
di prendere la città a viva forza , giacché l' assediarla,
era troppo nocevole , non istando mai cheti i Giudei.
Altri pertanto appressati i mangani e gli altri ingegni
da lanciare, per giugner coloro, che si provassero d'in
sui muri a impedirli , cominciarono ad avventare. Si
milmente facevansi più verso il muro i balestratori coi
frombolieri : il perché non s' attentando persona di com
parire più sulle mura , appressavano altri il montone
tutto intorno ricoperto di graticci , e d' una pelle al di
sopra per sicurezza e degli uomini e dell' ordigno. Al
primo colpo il muro ne traballò. Allora levòssi in quei
dentro uno strido altissimo , come di gente già presa.
Ora Giuseppe vedendo , che sempre battevano nel me
desimo hiogo', e che a poco andrebbe il rovinare del muro,
rende per breve tempo inutile la gagliardia della mac
china : ordinò , che celiassero sarchi pieni di paglia verso
dove vedevano urtare mai sempre il montone , onde e
tornassero indarno le spinte , e in se ricevendone i colpi
colla lor morbidezza li rintuzzassero. Questo fece per
dere molto tempo a' Romani , portando i Giudei d' ia.
sul muro i sacchi , oveché si volgessero quelli col loro
ordigno , e sottoponendoli a" colpi in maniera , che il
liB. iu. càp. vii. 3rrj
muro al replicato batterlo del montone non si risentiva;
finché i Romani , inventati essi pure certi loro lanciotti
con in capo raccomandata una falce , tagliavano i sacchi.
Cosi ritornato alla macchina il suo vigore , e oggimai
arrendendosi il muro, perché lavorato di fresco, Giu
seppe co' suoi per ultimo tentativo ricorsero al fuoco; e
acceso , quanto trovavansi avere di legne secche , divisi
iu tre corpi fanno sortita , e bruciano le macchine , i
terrapieni, e i graticci a' Romani ; i quali mal ci pote
rono trarre in ajuto, tra perché spaventati dal loro ar
dire , e perché antivenne la fiamma l' altrui soccorso ;
conciofossecosache per le asciutte materie , che quelle
erano , e soprappiù di bitume impiastrate , di pece , e
ancora dì zolfo , volò il fuoco più ratto , ch' altri mai
non avrebbe creduto , e cose , che tante fatiche cosiaro
a' Romani , esso in un batter d' occhio le divorò.
XVI. In questa occasione vi fu ancora cert' uomo
giudeo , che diede di sé tali mostre da doversene ra
gionare e far qui ricordanza. Era figliuol di Samea , si
nomava Eleazaro, ed era nativo di Saab in Galdea. Egli
levato alto un sasso di smisurata grandezza lo scagliò
dalle mura contro il montone e funne tanta la forza ,
che infranse all' ordigno la testa , cui con un salto fu
a ricogliere di mezzo a' nimici , e con molta franchezza
la si recava sul muro. Divenuto il bersaglio di tutti gli
archi nimici , e col corpo inerme esposto ai lor tiri ,
contutto fosse passato da cinque frecce , pur non si
volse mai per nessuna all' indietro: quando poi fn salito
in sul muro , e di colassù ebbe a tutti mostrata la sua
valentia , raggricchiato in sé stesso pei: le ferite ivi cadde
con in mano il montone.
320 DELLA GUERRA GIUDAICA

XVII. Dopo lui segnalaronsi i due fratelli Netlra e


Filippo da Ruma , terra pur essa di Galilea. Avventa
tomi in mezzo a' soldati della decima legione , e eoa
tant' empito e foga precipitarono addosso a' Romani, clie
ne smagliarono l' ordinanze, e misero in volta que' tutti,
sopra cui si gettaro. Dietro a questi Giuseppe e il ri
manente della milizia, dato novamente di piglio al
fuoco , incenerirono le macchine , e insiem co' lavori i
ricoveri eziandio , e messa in fuga la quinta legione e
la decima , il resto di loro affrettaronsi di coprire con
terra gli ordigni e tutto il legname. Verso la sera i Ro
mani , rimesso in piede il montone , appressarono da
capo a quella parte di muro , che da passati colpi era
stata offesa. Quivi uno de' difensori ferisce con una frec
cia di colassù Vespasiano nella pianta del piede ; leg
giera fu la ferita mercé la distanza , che levò al colpo
la forza , ma sommo fu lo scompiglio , che gettò nei
Romani ; perciocché alla vista del sangue atterrati i vi
cini corre voce per tutto , che il generale é ferito , e i
più abbandonato l' assedio con isgomento e paura affol-
laronsi intorno al lor generale. Più degli altri però era
Tito sollecito e timoroso del padre ; talché la moltitu
dine e per l' amor , che portavano al capitano , e per
l'affanno del Gglio rimase confusa. Ma con facilità tolse
il padre ogni tema al figliuolo , e all' esercito lo smar
rimento. Conciossiaché ebbe appena vinto il dolore , e
mostratosi senz' indugio a tutti , che per lui erano di
sanimati, die forza molto maggiore alla guerra contro i
Giudei. Ognuno infatti, quasi vendicatore del suo ge
nerale , voleva esporsi a' pericoli il primo , e vicende-
LIB. III. CÀP. VII. 321

volmente animandosi colle grida correvano contro le


mura.
XVIII. Ora Giuseppe co' suoi , avvegnaché l' un so
pra l' altro cadessero atterrati da' mangani e dalle ba
lestre , pure non si allontanavano mai dal muro , anzi
con fuoco , con ferro , e con sassi coloro pestavano j
che di sotto a' graticci davan d' urto al montone. Niente
però o assai poco avanzava» con ciò ; mentr' egli cade-
, vano morti incessantemente, veduti da chi non potevan
essi vedere. Mercecché ed essi dal loro fuoco medesimo
illuminati eran bersaglio visibile agi' inimici al par che
nel giorno ; e non essendo le macchine ravvisate da
lungi non era agevole cansarsi da ciò , che lanciavano.
La forza adunque delle balestre e de' mangani in un
solo colpo battevane assai morti a terra, e l'impeto delle
pietre scagliate fuor dalle macchine via si portava i
merli , e sfraccassava gli angoli delle torri ; che quanto
agli uomini , egli non v' era squadrone sì forte , che
dalla violenza e grandezza de' sassi non fosse fino all'ul
time scViiere atterrato. E quanta fosse la gagliardia de
gli ordigni , ciascuno potrà comprenderlo da ciò , che
intravvenne questa medesima notte.
XIX. Colpitone un di coloro , che stavano in sulle
mura d' intorno a Giuseppe, la pietra gli mozza di po
sta il capo, e il cranio andò non altramente che fionda
lungi tre stadj; e indi a un giorno ferita nell'utero una
donna incinta, che allora allora usciva di casa, portòlle
la creatura lontano di là mezzo stadio. Con tanta furia
veniva il sasso. Quindi il terribile delle macchine era
il lor impeto , e del saettame il fracasso. Cadevano con
Flavio, t. ri. Detta G. G. u 1. at
3a2 DELLA GUERRA GIUDAICA
gran tonfi gli uni su gli altri i morti giù dalle mura,
e fortissime snida levavano dentro le donne, a cui fa
centi eco di fuori i gemiti de' moribondi : correva san
gue tutto il ricinto dinanzi a' combattenti , e già il muro
per sopra i cadaveri potea scalarsi. Intanto più spaven
tose rendea le grida il rimbombate , che intorno face
vano le montagne , né all' udito né alla vista mancò in
quella notte cosa , che li potesse atterrire. Quindi una
p»rte grandissima di Giotapateni morirono combastendo
da valorosi , altrettanti rimaser feriti , e a gran pena
sul far del giorno dopo un incessante tormentarlo le
macchine il muro si arrendé ; e i Giudei colle persone
e coli' armi coperta la breccia vi stettero aria difesa fino
al gettare , che da' Romani si fece le macchine da tra
passo (*).
XX. E già Vespasiano in sull' albeggiare del giorno
dopo un brieve riposo dalle notturne fatiche conduceva
le truppe alla presa della città ; e volendo giù dalla
breccia cacciare i difenditori , fatti smontar da cavallo i
più prodi suoi cavalieri li distribuì in tre luoghi rispon
denti alle parti del. muro abbattute, da capo a piedi
armatissimi , e con in mano lancioni , onde , quando si
fossero i ponti accostati, essi tentassero i primi l'entra
ta. Dietro a loro dispose il fior de' pedoni. Il resto poi
della cavalleria l' attelò dirimpetto al muro per tutto il
dorso della montagna affine , che de' sottraentisi alla
rovina un' anima non gli fuggisse di mano. Dopo que
sti collocò in giro i saettatori , con ordine , che incoc
cate tenessero le saette ; e simile i frombolici e i so-
prantendenti alle macchine. Altri dovevano intanto ap
LIB. III. CÀP. VII. 323

poggiare scale alle parti ancora intatte delle muraglie ,


onde quelli, che tenterebbono d" impedirne lor la salita,
dovessero abbandonar la difesa della breccia e i restanti
oppressi da una tempesta di frecce cedessero loro l' en
trata.
XXI. Ma Giuseppe , compresene l' intenzioni , sul
muro aucor sano insiem cogli stanchi pon tutti i vec
chi , giacché non ne avrebbero a patir danno ; e tra le
rovine i più valorosi ; con però innanzi a tutti ad af
frontar primi il pericolo quelli , ch' ei trasse a sorte,
uno per ogni sei , tra' quali fu ancor esso , a cui in
giunse , che allo schiamazzo , che metterebbono le le
gioni , si turasson gli orecchi per non rimanerne atter
riti , e contro la grandine delfè^ frecce rannicchiati si
coprissero cogli scudi il capo , e un tantino si ritiras
sero , fmo ad aver gli arcadori voti i turcassi. Quando
poi i Romani butterebbono i ponti , allor vi saltassero
sopra , e co' lor proprj ordigni uscissero incontro a' ni-
mici; facesse ognuno l'ultime prove non in difesa della
patria , che avesse a salvarsi , ma in vendetta di lei
pressoché già distrutta ; tenessero innanzi allo sguardo i
vecchi fra briev' ora scannati , e i figliuoli e le mogli
tra pochissimo uccise per man de' Romani , e raccolto
il furore , a che accenderebbonli le vicine disgrazie ,
versassero tutto in capo a coloro , che ne sarebber gli
autori. Cosi egli provvide ad ambe le parti. Dalla città
intanto la turba oziosa delle femmine e de' fanciulli ap
pena ebber viste le mura tutto intorno recinte da tri
plice schiera d' armati ( giacché delle antiche sentinelle
niuna era passata a combattere) (23), e rimpetto alla
3l4 SELLA GUERRA GIUDAICA
breccia i nimici con isguainate le spade in mano, e so
pra il lor capo scintillanti per armi i monti, e le frecce
dagli archi degli Arabi pronte ad uscire , che die<fer
nell'ultime grida de' disperati, quasi le disavventure non
si tenessero più in sole minacce, ma fossero ornai pre
senti. Allora Giuseppe , affine che le donne colla pietà
dello stato loro non isnervassero l' ardir de' suoi , le
chiude in casa con minaccioso ordine di star chete , ed
egli si venne a porre innanzi alla breccia nel posto as
segnatogli dalla sorte.
XXII. Egli adunque dell'appoggiare che fecesi da
ambi i lati le scale , non diedesi verun pensiero , ma
stava solo in espitazione del quando scoccate sarebbonsi
le saette. Ora e il sonare le trombe di tutte insieme le
legioni , e l' alzarvi un acutissimo grido dalla milizia ,
e il torsi dalle saette al primo segno avventate da ogni
parte la luce al giorno , fu un punto. Ma non dimen
tichi que' di Giuseppe degli ordini da lui ricevuti , e
dallo strepito si .difeser gli orecchi , e le membra dai
colpi delle saette ; indi al primo gittarsi de' ponti vi
corsero sopra , anziché ci ponessero piede coloro, che
li dovevan passare. Quindi venuti alle prese con quanti
provavansi di salirvi fecero tutte le prove , che possano
mai volersi , di mano e d' ardire , studiandosi in quel-
I estreme sciagure di non comparire dammeno di chi
senza suo pericolo adoperava da prode contro di loro ;
talché non prima si distaccavano da' Romani , che non
fossero od uccisori od uccisi. Ma , perciocché questi per
l' una parte dal lungo difendersi e non avere, chi sot
tentrasse in lor vece contro i nemici nerdevan le forze,
L1B. III. CAP. VII. 325
B agli stanchi Romani peri' altra succedevano i freschi,
e -in un attimo dopo quelli , cui l' urtar de' nimici smo
veva dal loro luogo , si presentavano altri lor pari , i
Romani animatisi scambievolmente e strettisi in una sola
quadriglia con sopra il capo gli scudi a coprirselo for
marono di sé un muro invincibile , e con quanti essi
erano di gente armata uniti , come un sol corpo urtano
insieme i Giudei , e già stanno per mettere il piede
sulla muraglia.
XXIII. Ma Giuseppe adoprata in quelle strettezze la
necessità a consigliera , che é fertilissima di partiti quando
a stimolarla s< unisce la disperazione , ordinò , che ver
sassero in capo a' nimici cosi cogli scudi concatenantisì
olio bogliente: il che fecero a molti insieme i Giudei,
mercé dell'averlo già avuto in pronto, e rovesciaronne
da ogni parte addosso a' Romani una quantità gettan
dovi dietro fino a' pajuoli arroventiti dal caldo. Questo,
per lo bruciar che sentivansi la persona i Romani , ne
sbarattò l' ordinanza , e tra acerbi spasimi giù li capo
volgeva dal muro ; perciocché l' olio agevolissimamente
per mezzo l' armi s' insinuava da capo a piedi in tutto
il lor corpo , e non altramente che fiamma ne divorava
le carni , siccome materia , che quanto é presta natu
ralmente ad accendersi , tanto per la sua crassezza len
tamente raffredda. Né contro lo scottamento > eran ripari
bastevoli le corazze ben collegate cogli elmi. Quindi
altri saltabellando e divincolandosi per lo dolore cade
vano giù dai ponti: e i rivoltisi verso i loro che sospi-
gnevangli innanzi, facilmente eran presi da chi li feriva
al di dietro. Non però né a Romani falli il vigore nel
3 26 DELLA CUERRA GIUDAICA

tristo lor caso, né a' Giudei l'accortezza; ma quelli ben


ché vedessero il doloroso patire degli scottati, pur s'av
ventavano incontro a coloro , che gli scottavano , " rim
brottando ciascuno, chi gli era innanzi, come al suo
correre fosse d'intoppo: e i Giudei eoa un altro in
ganno ne impedirono la salita, spargendo (24) fiengreco
cotto su' tavolati , su cui sdrucciolando davano irfdietro,
né v' era niuno , che , o fuggisse , o s' iunoltrasse , po
tesse reggersi ritto su' piedi ; ma quali cadendo rove
scione su' ponti erano calpestati dagli altri , molti pre
cipitavano sul terrapieno , e i caduti venivano da'Giudei
malamente feriti ; perciocché lo smucciare i pie a' Ro
mani siccome i Giudei liberava dalla necessità di menare
le mani, cosi dava lor campo di lavorar colle frecce.
Ora poiché i soldati avevano in quell'assalto poca fof-
tuna , il generale sul far della sera suona a raccolta. I
morti da questa banda non furon pochi , ma più assai
i feriti. Da quella de' Giotapateni morirono sei persone,
e intorno a trecento recaronsi alle lor case feriti. Cadde,
questo conflitto nel ventesimo giorno di (2 5) Desio.
XXIV. Ma Vespasiano in quello che consolava V e—
sercito sull' avvenuto , accorandosi ch' era pieno di sde- '
gno , e però non conforto chiedeva ma pugna, levati a
maggiore altezza i terrapieni , e fabbricate tre torri alte
ognuna cinquanta piedi coperte tutto intorno di ferro,
perché e dal peso traesser fermezza , e salde tenessersi
contro il fuoco , sovrapposte a' terrapieni , dopo riem
piutele d' arcadori , e balestrieri, e di macchine da lan
ciare le men pesanti , o oltre a questo di valentissimi
frombatori , i quali per 1' alto luogo iu che erano e pel
LIB. IH. CAP. vii. 3»y
coprir , che facevangli i merli delle torri , non avvisati
ferivano gi' inimici da lor ben veduti sul muro ; e quelli
non potendo con facilità né causarsi dalle saette , che
lor piombavano in capo , né vendicarsi di chi non ve
devano , e d' altra parte considerando tal essere delle
torri l' altezza , che non giugnerebbevi tiro d' arco , e il
ferro , che le cigrieva d' intorno> chiudere al fuoco ogni
via d1 appiccarcisi , fuggivano dalle mura , e correvano
addosso a coloro , che di sboccare tentavano nella città.
Così resistevano i Giotapateni^ benché ogni giorno ca-
desserne morti assai , né altra via trovassero di ricam
biare con pari danno i rumici , che di tenerli con proprio
risohio lontani.
XXV. Verso questi giorni medesimi Vespasiano con
tro una città confinante a Giotapata , che appellavasi
Giaffa , vicina a sollevarsi e per la non aspettata resi
stenza de' Giotapateni imbaldanzita di troppo , spedisce
Trajano (ù*) capo della decima legione con mille cavalli
e duemila fanti. Or egli trovata la terra in istato da
non -potersi così di leggieri espugnare ( perciocché oltre
la fortezza , che aveva dalla naturai sua postura , era
ancora murata con doppio ricinto ) viene alle mani coi
cittadini usciti a riceverlo coraggiosamente , e dopo un
brieve contrasto li mette in volta. Quelli si rifuggirono
dentro al primo ricinto , e i Romani seguendoli stretta
mente alle spalle s' introdussero con loro: ma nel tentare
che fecero que'di Giaffa d'entrar nel secondo, que' den
tro chiuser le porte per la paura , che insieme con essi
non ci si cacciasse il nimico. E verameute si vide, che
Dio concedeva a' Romani le vite de' Galilei; perciocché
3.28 DELLA GUERRA CltTOAICA

anche allora die in potere a'nimici sitibondi di sangue


l' intero popolo della città escluso da' suoi medesimi po
polani ; ond' essi affollandosi tutt' insieme alle porte , e
chiamando sovente quei , ch' eranci sopra per nome re—
stavan uell' atto del supplicare scannati. In fatti siccome
il primo muro era chiuso lor da' nimici , e da' cittadini
il secondo , così trovandosi fra' due ricinti stivati e fitti
molti infilzavansi nelle proprie spade , e infiniti cade
vano per man de' Romani senza neppur quel tanto d'ar
dire , che a difendersi bisognava. Perciocché oltre lo
spavento , che in lor mettevano gi' inimici , ne abbatté
affatto gli spiriti il tradimento de' compatriotti. Insomma
morivano maledicendo non i Romani , ma sì i Giudei ,
fmoattanto che tutti in numero di dodicimila pei-irono
affatto.
XXVI. Quindi Traj ano immaginando , che la città
saria vota di combattenti , e quando pur ve ne fossero
alcuni , tenendo per certo , che la paura torrebbe loro
il tentar niuna impresa , volle riserbarne al generale la
presa , e per suoi messi mandò richiedendo Vespasiano ,
di spedir Tito suo figlio , che daria compimento alla
vittoria* Ma egli avvisandosi troppo bene , che rimar—
rebbegli ancora a durare qualche fatica , manda il fi
gliuolo con un esercito di cinquecento cavalli , e mille
pedoni ; il quale fendutosi speditamente alla città , e
ordinato l esercito pone Trajano al corno sinistro ; ed
egli reggendo il destro soprantende all' assedio. Ora al
l' appressare , che feciono da ogni parte i soldati le
scale alle mura , i Galilei , che ci stavano sopra , dopo
uu corto resistere abbandonarono il posto ; laonde sai-
LIB. III. CAP. VII. 329
tati dentro i Romani presero senz' indugio la terra , e
con que' dentro , che unironsi a contrastarli , appicca
rono una feroce battaglia. . Seco affrontavansi per le
strade gli uomini più gagliardi , e giù dalle case le
donne buttavano , checché prima veniva loro alle mani.
Fino ad intere sei ore resistettero combattendo : ma
spenta tutta la generazione battaglieresca , quello , che
vi rimase di popolo , e fuori all' aperto e dentro le
case , andò a sangue , giovani alla rinfusa e vecchi ;
laoncie del sesso maschile non ne .campò testa , salvo i
bambini , che insiem colle donne fur tratti schiavi. II
numero adunque de' messi a morte e per la città e nella
prima battaglia fu di quindicimila persone ; e gli schiavi
a due mila salirono cento e trenta. Incolse a' Galilei
questo tristo accidente il ventesimo dì di Desio.
XXVII. IVla non andarono esenti da traversie nep
pure i Samaritani. Perciocché congregatisi sulla monta
gna detta Garizim , luogo di religione per loro , pian
tarono quivi stanza , e aveva apparenza di guerra cosi
quel loro adunarsi , come l' insolentir , che facevan
tutto giorno. Né valsero a ritornargli in cervello le di
savventure de' lor vicini : anzi incontro al prosperar dei
Romani innoltravansi ciecamente appoggiati alla lor de
bolezza , e già eran coli' animo volto a romoreggiare.
Parve a Vespasiano di dover prevenirne la mossa , e ta
gliare le gambe a' lor pazzi capricci ; perciocché tutta ,
é vero , la Samaritide egli aveva mai sempre occupata
con guernigione; ma la moltitudine allora unitasi e la
cospirazione di quella gente dava assai da temere. Spe
disce intanto Cereale capitano della quinta legione con
33o DELLA GUERRA GIBDAICA

esso secento cavalli e tremila fanti. Egli però non cre


dette sicura impresa salire in sul monte e attaccare hat-
taglia , perché troppi erano colassi! i minici. Cerchiale
pertanto con tutta sua gente le fUde intorno dalla mon
tagna ivi stette alla posta di loro quel giorno intero. In
questo avvenne , che mentre non avevano acqua i Sa
maritani , allora appunto rinforzò a più doppi il caldo
della stagione ( ch' era di state, e il popolo si trovava
sfornito del bisognevole ) , talché parecchi in un solo dì
si morirono dalla sete , ed altri , a cui più , che tal
morte , piacque il servire , si rifuggirono presso i Ro
mani. Da questi fatto avvertito Cereale del fievolissimo
stato , a che eran condotti dalle miserie que' tutti , che
si tenevauo per ancora costanti , sale il monte , e attor
niati colle sue truppe i nimici prima gY invita alla pace
e confortali a voler esser salvi , promettendo loro sicu
rezza , quando ponessero giù le armi ; ma poiché non
si rendono alle sue parole, gettasi loro addosso , ed uc-
cideli tutti quanii in numero d'undicimila e secento: fatto
avvenuto il vensettcsimo di di Desio. Tali fur le disgra
zie , a che soggiacquero i Samaritani*
XXVIH. Frattanto , mentre i Giotapateni duravano
fortemente l'assedio , e fermi fuor d' ogni speranza te-
nevansi incontro a' mali , i Romani al quarantesimoset
timo giorno condotto ebbero il terrapieno più alto che
il muro ; e nel giorno medesimo si presentò a Vespa
siano un non so qual disertore, avvisandolo della poca
gente e fiacchissima , ch' era in città : disfatti dalle vi
gilie frequenti e dall' incessante combattere non avere
più vigor , che bastasse a reggere ad un assalto ; e po
L1B. HI. CAP. VII. 33 1
trebbonsi ancor pigliar con inganno , s' altri li sorpren
desse sull' ora ultima della notte , quando e i nimici ere-
devansi d' avere un sicuro respiro dalle fatiche, e il sonno
in sull' aggiornare più tenacemente si apprende nelle
stanche persone , e aggiugrieva dormirsi le sentinelle.
Però dava loro per consiglio , che li assaltassero ap
punto in quell' ora. Ma Vespasiano non si Gdava troppo
del rifuggito , perché ben sapeva e quanto lealmente si
sostenessero insieme i Giudei , e che niun caso facessero
de' supplizj. In fatti un altro di Giotapata preso i giorni
andati durò a ogni strazio della tortura ; e non potu
togli neppur colla prova del fuoco trarre i nimici di
bocca parola intorno a que' dentro fu messo in croce ,
e ridevasi della morte.
XXIX. Ciò nulla ostante la verisimiglianza facea cre
dibili i detti del traditore : e Vespasiano pensando , che
colui forse diceva vero, e dall'inganno, che quello po
teva essere , non temendo nessuna rea conseguenza^ or
dinò primamente , che il rifuggito si soprattenesse pri
gione , poscia dispose V esercito per la presa della città.
All' ora adunque assegnata s' incamminarono cheti cheti
verso le mura ; e il primo a metterci piede sopra ^ fu
Tito con un de' tribuni Domizio Sabino , che seco me
nava alcuni pochi soldati della decimaquinta legione.
Trucidate le sentinelle innoltraronsi pian piano nella
città , e dopo loro un Sesto Cereale tribuno e Placido
v'introdussero la loro gente. Occupata la rocca e aggi
randosi per la città i nimici, benché fosse omai giorno
chiaro, pure i vinti non ancor s'accorgevano della loro
rovina : perciocché la più parte trovavausi sopraffatti
\
*.?:». DELLA CBERRA GIUDAICA

dalle fatiche insieme e dal sonno, e a quelli, che ave-1


vano gli occhi aperti, una folta nebbia", che allora per
accidente s' era distesa in città , offuscava la vista : fi
nalmente entrato tutto l' esercito si destaro, ma per sol
tanto sentire i loro mali ; e solo nell' essere uccisi cre
dettero d' esser presi.
XXX. Ma i Romani per la rimembranza del quanto
patirono neH' assedio non ebbono risguardo né compas
sione a persona , ma dall' alto della città giù cacci. nido
il popolo verso il piano facevano gran macello. Quivi
eziandio a chi avea forze ancor per combattere , la ma
lagevolezza de' luoghi tolse ogni mezzo a difendersi. Per
ciocché affoltandosi in mezzo alle strade , e giù sdruc
ciolando per lo pendio rimanevano dalla furia dell'armi,
che loro dall' alto piombavano in capo , sepolti. Que
sto sospinse parecchi ancor de' più bravi , ch' erano in
torno a Giuseppe, a uccidersi di lor mano; perché veg-
gendo , che non potevano dare a morte nessun Ro
mano , antivennero il dover essi cadere per man de' Ro
mani , e raccoltisi nell' estreme parti della città ammaz-
zaronsi da se stessi. Tutte poi quelle guardie , che al
primo sentore del prendersi , che si faceva la terra, sal
vare si poterono colla fuga , racchiusisi in una delle torri
a tramontana colà si difesero per alcun poco ; ma so
verchiati in folla dagl' inimici domandarono mercé troppo
tardi, e si offersero prontamente alle spade romane,
ch' erano loro alla gola per iscannarli.
XXXI. Sarebbon potuti i Romani andar lieti di non
essere il. fine di quell' assedio costato lor sangue , se un
sol centurione , che fu Antonio , mentro appunto pren
LIB. IH. CAP. TU. 333
devasi la città , non ci avesse lasciata la vita. Mori tra
dito ; perciocché un di quelli , che rintanaronsi nelle
spelonche (e di tal fatta ve n' erano assai ) si fe' a sup-»
plicare Antonio., che gli sporgesse la destra in fede di
sicurezza e in ajuto da uscir di colà. Egli bonariamente
gli dava la mano; ma colui di laggiù prevenutone l'atto,
il ferisce coli' asta di sotto al fianco , e di presente lo
batte morto in terra. Per quel giorno adunque i Romani
furono paghi d' uccidere quella gente, che si parò loro
innanzi ; ma i giorni appresso andandone in traccia pei
nascondigli misero a morte , quanti erano in ispelonche
ed in tane , e corsero per tuttequante l' età , risparmiati
solo i bambini e le donne. Di prigioni pertanto si fe'
una, ragunata di mille e dugento persone; e i morti tra
nella presa della città e nelle passate battaglie contaronsi
fino a quarantamila. Vespasiano comanda , che spiantisi
la città, e tutte distrugge col fuoco le sue fortezze. Cosi
fu presa Giotapata l'anno tredicesimo dell'impero di Ne
rone il primo dì di Rancato (26).

Capitolo Vili.

Giuseppe tradito da una femmina ama meglio di darsi


in mano a' Romani. Come parlasse a' suoi, che nel
distoglievano , e a Vespasiano , innanzi a cui fu
condotto. Come il trattò Vespasiano.

I. Ora i Romani , mentre cercavano di Giuseppe tra


per isdegno privato, e per la grande premura, che ave-
vane il generale , dacché l' averlo in potere a sommo
334 DELLA GUERRA GIUDAICA
vantaggio tornerebbe di tutta la guerra, mettevano sot
tosopra i cadaveri e i nascondigli segreti della città. Ma
egli nel cadere che fece testé in man de' minici la terra,
ajutato da non so ijuul man celestiale s'invola di mezzo
a loro, e gettasi con un salto in certo pozzo profondo,
che aveva dallato congiunta un' ampia caverna invisibile
e. que'di sopra. Quivi trova appiattate quaranta persone
delle più illustri col bisognevole a mantenersi, che ba
sterebbe a parecchi giorni. Fra giorno adunque e' tene—
vasi colà dentro , intantoché i nimici razzolavan per.
tutto , e di notte uscivane per trovar qualche via da
fuggirsene , e stava osservando le sentinelle. Ma percioc
ché in risguardo di lui custodivansi tutte le torri., onde
non e' era verso di farlo nascostamente , tornavasi nella
caverna. Due giorni interi visse non osservato , ma il
terzo giorno fu da una donna schiava scoperto insieme
cogli altri ; e di presente Vespasiano spedisce con sol
lecitudine due tribuni Paolino e Gallicano con ordine
di assicurare sotto la sua fede Giuseppe , e animarlo ad
uscire di là. Giunti i tribuni esortavan Giuseppe e pro-
inettevangli certo scampo^ non però lo piagarono. Per
ciocché da quel molto , che secondo ogni probabilità
avrebbe dovuto patire chi tanto avea fatto , non dalla
naturale dolcezza di chi lo pregava , trasse i motivi di
sospettare , e temette non forse allettassero per vendi
carsi ; se non che Vespasiano gli manda per giunta un
terzo tribuno, ch'era Nicànore, personaggio noto a Giu
seppe e antico suo famigliare. Appressatosi questi gli
venne mostrando e le naturalmente mansuete persone .
ch'erano verso chi avevano soggiogato la prima volta i
LIB. III. CÀP. ViII. 335
Romani , e ch' egli pel suo valore era più ammirato ,
che non odiato da' capitani , e che il generale cercava di
lui , non per trarlo al supplizio , a che per altro po-
trebbelo sottoporre senza bisogno , che gli venisse di
nanzi , ma per desìo di salvare un valeut' uomo. Aggiu-
gneva , che Vespasiano a tradirlo non si sarebbe valuto
mai d' un amico , perché un' ottima apparenza coprisse
un pessimo fatto , l' amicizia cioé una fellonia , né egli
stesso per ingannare un amico sarebbesi indotto a venire
colà. Pure Giuseppe anche dopo il parlar di Nicànore
stando in forse la soldatesca sdegnatane voleva cacciare
fuoco nella spelonca; ma tennegli il capitano per voglia
di prendere vivo Giuseppe. Ora , perciocché pur Nicà^-
nore lo pressava colle preghiere , e vennergli udite le
minacce de' soldati piene di furor militare , sovvennegli
allora de' sogni notturni , per cui prenunziògli Iddio le
future calamità de' Giudei, e l'avvenire intorno a' signori
Romani : ed egli era nell' interpretare de' sogni buono
a comprendere il senso di ciò , che dicevasi ambigua
mente da Dio, come quegli, che non ignorava de' sagri
libri le profezìe , sacerdote ch' egli, era per condizione ,
e per nascita discendente da' sacerdoti. Or esso in quel
punto ripien d' r1ìo spirito superiore , e tornatosi colla
mente all' orrende visioni de' sogni avuti , porge tacita
mente a Dio ur.a preghiera ; « e poiché , disse , a te
» piace, che rifiniscasi la nazione giudaica , che tu stesso
» creasti , e la prosperità é passata tutta a' Romani , e
» sollevasti il mio spirito a pronunziar l' avvenire , eb-
» iene io mi rendo spontaneamente a'Romani, e vivrò;
» ma tu mi sii testimonio , che a lor ne vado non tra»
» ditore , ma tuo ministro ».
336 DELLA GUERRA GIUDAICA

IL Cosi detto , già si poneva in man di Nicànore ;


ma que' Giudei , ch' eran seco laggiù appiattati , poiché
s' avvidero , che Giuseppe cedeva alle istanze di clii lo
pregava , fattiglisi tutti intorno , « deh quanto , sclama-
» rono , gemeranno le patrie leggi , e si sdegnerà Dio ,
» che infuse in cuore a' Giudei uno spirito disprezza tor
» della morte ! Tu dunque , o Giuseppe , cerchi di vi-
» vere , e ti basta l' animo di mirare con al piede un
» ceppo da schiavo il sole ? Quanto presto dimenticasti
» te stesso ? Quante persone non animasti tu stesso a
» morire per la libertà ? Ah , che falso fu il concetto
» di valoroso , falso ancor quello di accorto , che pur
» godesti , quando ti fai a sperare lo scampo da quelli
» contro de' quali così fieramente battagliasti , o se pur
» ne sei certo , vuoi esser salvo per loro mano ! Che
» se le prosperità de' Romani t'hanno sì forte abbagliato
» fino a dimenticare te stesso , a noi si conviene di
» provvedere alla patria legge; noi presteremti la destra
» e la spada ; e tu , se muori spontaneo , general dei
» Giudei , se a tuo malgrado , morrai traditore. Mentre
» così dicevano , dirizzarongli contro le spade , e tni-
» n acciava! io di passarlo fuor fuora , se si rendesse ai
» Romani ».
HI. Temendo Giuseppe le loro furie , e credendo ,
che tradirebbe le commissioni divine , se prima di pa
lesarle morisse , cominciò a filosofare con loro sopra la
morte. « E a che , disse, bramiamo cotanto, o amici,
» d'uccider noi stessi? Perché disunire cose tra se ami-
» cissime, corpo vo' dire ed anima ? Forse dirà taluno,
» eh' io ho cangiati pensieri. Sanlo pure i Romani , che
L1B. III. GAP. Vili. SZy

» onorata cosa é morire in guerra : sì , ma a legge di


» guerra , cioé per mano de' vincitori. Se dunque io
» cerco sottrarmi al ferro nimico, ben son io meritevole
» della mia spada (27) e della mia mano; che se ancor
» essi vogliono risparmiato il nimico, quanto più dirit-
ji tamente il vorremo noi di noi stessi ? Perciocché ben
>» sarebbe un fare da scempio il commettere contro di
» noi stessi quello , per cui schivare abbiam rotto con
» loro. Onorata cosa é morire per la libertà. Lo passo
» ancor io : ma nell' atto del battagliare , e per mano
» di chi vuol rapircela: al presente però 11é ci stringono
» a uiuna zuffa, nò ci tolgon di vita, ed é codardo del
» pari , chi non vuole morire , quando il dovrebbe e
» chi'l vuole, quando non lo dovrebbe. Or qual paura
» ci ritrae dall' andare a' Romani ? La morte , é vero ?
» E poi vorremo a occhi aperti incontrare quel male ,
» che sospettato poterci venir da' nemici ne fa temere ?
» No, dirà alcuno: la servitù. In fede mia , ch'or siam
» liberi daddovero. Ma almeno l' ammazzar se medesimo,
» dirà un altro , é un fatto da cuor generoso. No , cer-
» tamente s' io non m' inganno : anzi é impresa da uom,
» codardo ; ed é a mio parere vilissimo quel piloto , il
» quale per timor di tempesta , anziché il mar fortu-
» neggì , affonda il legno spontaneamente. Certo V uc-
» cidersi di man propria e all' universale natura si op-
» pone di tutti i viventi , ed é un' offesa a quel Dio ,
» che già ne creò. Non v' ha in fatti animale , che av-
» vedutamente , e da se stesso vada alla morte ; che
» legge della natura fortissima e impressa in tutti si é
» Y amor della vita. Perciò e tcniam per nimici coloro ,
. Flavio, t. FI. Detta G. G, t. I. aa
338 DELLA GUERRA GIUDAICA
» che ce la tolgono aperta nente , e chi tenta di farlo
» per via d'insidie, il puniamo. E Dio credete voi che
» non chiamisi offeso , quando l' uomo dispregia il suo
» dono? Poiché ben sapete, che l' essere ci vien da lui;
» e il non esser più é un ritornargli il suo dono. Ve-
» ramente i corpi sono mortali e di corro ttibil materia
» impastati; ma immortale é lo spirito, e una parte (a8)
» delt' Ente divino infusa ne' corpi. Or s altri smarrisce
» o governi male un deposito avuto da un uomo , é
» creduto una trista persona e infedele ; e poi s' altri
» caccia fuor del suo corpo il deposito collocato ivi en-
» tro da Dio , crederà di potersi tener nascosto all' of-
» feso ? E mentre si ha per giustissima la punizione dei
» servi , che fuggono eziandio se da padroni malvagi ,
» noi col nostro fuggire , dall' ottimo padron , che é
» Dio , penseremo di non far male ? Forse voi non sa-
» pete , che chi pon fine al suo vivere , come le leggi
» vogliono della natura , e rende il prestito ricevuto da
» Dio, allor quando a chi glielo diede piace di riaverlo,
» s'acquista una. gloria immortale, reca a stabilità la sua
» casa e famiglia , ha un' anima pura , che il pregar di
» quaggiù esaudisce dal luogo , che le toccò , il più
» santo del cielo, donde col volger de' secoli é di nuovo
» in caste membra rinchiusa ; e per l' oppdSito , quanti
» contro se stessi rivolgono furiosamente le mani , le
» loro anime son cacciate nel più tenebroso luogo di
» inferno , e Dio loro padre vendica sopra i nipoti le
» offese ricevute da' genitori? Questo fu sempre in odio
. » a Dio , e dal sapientissimo nostro legislatore é punito.
» Quindi gli uccisori di sé medesimi, per quanto a noi
liB. in. cap. viii. 33g
» s' appartiene , e' diffinironu , che insepolti lasciassersi
» fino al tramontare del sole , mentre stimaron doversi
» secondo giustizia dar sepoltura eziandio a' ninnici.
» Presso l'altre nazioni poi ordinòssi , che a questi
» cadaveri si mozzasse la destra mano , quella cioé ,
» colla quale trattarono da nimica sé stessi, avvisandosi,
a che siccome dall' anima era disgiunto il corpo , cosi
» essere pure il dovesse la man dal corpo. Bella cosa
» egli é adunque , o compagni , il pensare dirittamente,
» e alle umane disavventure non accoppiare per giunta
» l'offesa di chi n' ha creati. Se vi pare , che debbasì
» cercar lo scampo , si cerchi ; né ci sarà di vitupero
» l' esser salvi presso coloro , a cui con prodezze si
» grandi abbiam dato saggio del valor nostro ; che se
» conviene morire , si muoja , ma per le mani de' vin-
» citori. Né già son io per passare nel campo nimico
» affla di tradire me stesso ; che ben più di quanti ri-
» fuggonsi presso i nimici, folle sarei io, se dove quelli
» lo fanno per mettersi in salvo, io il facessi per ro-
» vinare non altrui, ma me stesso. Ben però io desidero
» ne' Romani la frode ; e se dopo la data fede mi • tol-
» gon la vita, morrò volentieri, per lo recare, che farò
a meco , nella slealtà de' bugiardi un conforto maggior
» di quanto recar potrebbemi una vittoria ».
IV. Più ahre cose di tal tenore diceva Giuseppe per
distornarli dall' uccision di sé stessi. Ma coloro avendo
fermati dalla disperazione gli orecchi , qual gente sa
gratasi già da gran tempo alla morte, si adirano contro
di lui; e chi qua correndo e chi là colla spada in ma
no, e svillaneggiavanlo come vigliacco , e ognun di
3ZfO BELLA GUERRA GIUDAICA

loro portavasi in modo , come se lo dovesse ferir dì


presente. Ma egli quale chiamando per nome , «juale
mirando con aria da generale , questo pigliando per
mano , a quello umiliandosi colla preghiera e con mul-
tiplici affetti suggeritigli dalla necessità distraendolo si
ebbe allontanato dal petto il ferro di tutti , non altra
mente che con fiere in serraglio volgendosi sempre a-
quello , che gli s' accostava. Ad altri poi pel rispetto ,
che ancor nell' estreme disavventure sentivano del lor
capitano , infralivan le destre , cadevano di man le spa
de , e molti sguainandogli incontro i pugnali se ne ri
tiravano spontaneamente.
V. Egli però in mezzo a cotali incertezze non mancò
di spedienti , ma tutto fidatosi nella provvidenza di Dio
mette arditamente a pericolo la sua vita ; e « Poiché^,
» disse , volete pur, che si muoja , or via , commettia-
» mo alla sorte il destino di tutti noi , e chi esce pri-
5) ma , cada per man di colui , che gli viene appresso ;
» e così passerà la fortuna sul capo di tutti : né niun
» ci sia , che muoja ferito di propria mano. Concios-
» siaché non sarebbe giustizia , che mentre escon gii
» altri del mondo, qualcuno pentitosene restasse in vita ».
Così dicendo ottenne d' esser creduto , e giusta il suo
avviso gettòssi ancor egli alla sorte comune. Pronto fu U
sortito a presentare, a chi venivagli dietro la gola, per
ché tra poco morrebbe altresì il generale; e più della
vita sapea lor caro il morir con Giuseppe. Finalmente
( o colpo si voglia dir di fortuna o tratto di Provvi
denza divina ) rimase egli sol con un altro , e non vo
lendo né alla condanna soggiacer della sorte, né, quando
LIB. III. CaP. ViII. 34t
«.ostasse l' ultimo , imbrattarsi le mani di civil sangue ,
persuade il compagno , che voglia con vicendevole giu^
lamento tenersi in vita.
YI. Scampato così dalla guerra che mossergli i Ro
mani non meno che i suoi , era condotto per man di
Nicànore a Vespasiano. I Romani traevano tutti a ve
derlo, e affollandosi intorno al lor generale strepitavano
svariatamente, chi in voci di gioja, perché lo vedevano
preso , chi in tuon di minaccia , ed altri per lo sfor
zar, che facevansi di mirarlo più davvicino. Intanto i
lontani gridavano , che si punisse il nimico ; mentre
quelli , che gli erano appresso , tornavansi alla memoria
le imprese di lui , e stupivano d' un cangiamento tal di
fortuna ; né de' capitani v' ebbe pur uno, il quale, tut
toché fosse prima di mal talento , allora in veggendolo
non si calmasse ; ma Tito più , che niun altro , mercé
del gentile suo cuore , fu preso e dalla generosità di
Giuseppe ne' casi avversi, e da compassione della fresca
età sua , e mentre sei rammentava testé in battaglia ed
, ora il vedeva iu man de' nimici , corsegli nella mente
il pensiero del quanto fosse il potere della fortuna , e
del come veloci fossero le rivolte d' una guerra , e
niente costanti le cos* umane. Il perché e fin d' allora
trasse parecchi ne' suoi medesimi sentimenti , e alla com-
passion di Giuseppe, e fu in parte sua mercé il salvar
lo , che fece il padre.
VII. Or Vespasiano , come se quanto prima l' avesse
a spedire a Nerone , died' ordine , che si guardasse con
gran diligenza. Ciò udito Giuseppe disse , che aveva un
non so che da scoprire a lui solo. Fatti partir gli altri
.->.Jm DELLA «hjerrA giudaica.
tutti salvo Tito suo figlio e due confidenti: « Tu, dìs-
» se , o Vespasiano , ti pensi d' avere in Giuseppe un
» volontario prigione ; ma sappi , ch' io a te ne vengo
» messaggiero di cose più grandi; e se non fossi spedito
» da Dio , ben le leggi io sapea de' Giudei , e qua!
» morte si convenisse ad un generale. Tu mi mandi a
» Nerone ? E che ? Forse i successor di Nerone fino a
» te dureran lungo tempo? Tu se' Cesare, o "Vespa-
» siano , e imperadore tu , e questo tuo figlio istesso.
» Tiemmi pure al presente in più strette catene, e ser-
» bami per te stesso. Tu se' padrone , o Cesare , non
» di me solo , ma della terra eziandio e del mare e di
» tutto il genere umano. Io poi chieggo in conto di
» grazia , che con più rigorosa custodia si serbi al
» supplizio la mia persona, se fo mentire ancor Dio ».
Vili. Così egli disse ; e Vespasiano a prima giunta ,
non volea dargli fede , e pensava che tutto fosse uno
scaltro infingimento di Giuseppe per guadagnarsi lo
scampo: ma a poco a poco s'indusse a credergli, per
ché sollevavalo Iddio fin d' allora all' impero , e con aV-«
tri argomenti gli prenunziava lo scettro. Anche però
à altronde comprese la veracità di Giuseppe. Perciocché
un di que' confidenti , che furono ammessi al colloquio
segreto disse , maravigliarsi ben egli , come né a quei
di Giotapata il loro sterminio, ué a sé medesimo avesse
saputo predire la prigionia, se non era questo un giuoco
per iscansare da sé la mala ventura. Ma Giuseppe ris
pose , che aveva antidetto a' Giotapateni , e ch' essi sa
rebbero al quarantesimosettimo giorno espugnati, e che
egli saiia da' .Romani pigliato vivo. Vespasiano, interro-
LIB. III. CAP. ViII. 343
gatì «lì queste cose privatamente i prigioni, trovòlle vere,
e cominciò allora a dare credenza al dettogli intorno
alla sua persona. Ma non per questo punto scemò della
guardia o de' ceppi , in che teneva Giuseppe. Donògli
però una roba , e proseguiva con altri regali pregevoli
ad onorarlo e fargli buona cera , merito in gran parte
di Tito , che in tali onori il giovava dell' opera sua.

Capitolo IX.

Espugnazione di Gioppe , e resa dì Tiberiade.

I. Al quarto dì di Panemo rendutosi in Tolomaide


Vespasiano di là muove alla volta di Cesarea a mare ,
città la più grande della Giudea e nella maggiore sua
parte abitata da' Greci. Accolsero que' terrazzani el'e-
sercito e il generale con tutte le più cortesi e gentili
maniere tra per la loro affezione verso i Romani e più
assai per quell' odio , in che avevano le persone già
vinte ; il perché domandavano tutti con ischiamazzi ,
che fosse punito Giuseppe ancora. Ma Vespasiano que
sta domanda siccome fatta da un popolo senza discer
nimento mostrò col silenzio d' avere per non udita ; e
delle sue legioni ne lasciò due a svernare in Cesarea ,
città da lui creduta a quest' uopo opportuna ; e la de
cima colla quinta mandolle a Scitopoli , per non gra
vare di tutto l'esercito Cesarea; mercecché ancor quella
aveva d'inverno un'aria di buona tempera, quanto era
di state pel caldo insoffribile, attesa la sua postura spa
ziosa e marittima.
344 DELIA GUEHHA CICDAICA
H. la questo raccoltosi tra di ribellatisi per sedizione
a' nimici , e di scampati di mezzo alle città subbissate
un buon corpo di gente, rimettono in piedi per loro
ricovero Gioppe già disertata da Cestio ; e perciocché
non potevano dal suo distretto guasto dagl' inimici tra l-
nulla , pensarono di gettarsi al mare : e fabbricati mol
tissimi legni di corso infestavano co' ladronecci le ma
rine della Fenicia, della Siria, e quelle ancor dell' Egi
to , rendendo in tal guisa a chicche si fosse impratica
bili quelle contrade. Vespasiano-. saputa la loro unione
spedisce a Gioppe fanti e cavalli i quali di notte, sic
come non eraci niuna guardia, entrano nella città. Ve
ramente quegli abitanti s'erano accorti di tal venuta, e
per timore, che n'ebbero, non s' arrischiaro di opporsi
a' Romani ; e cacciatisi dentro le navi oltre il tiro d'un
arco ivi stettero tutta notte : ma siccome Gioppe natu*-
ralmente é importuosa , ( perciocché terminante in un
lido Tonchioso , ripido in dimolta sua parte , e un po
chissimo solo appianantesi quinci e quindi verso le pun
te , che sono profondi dirupi e greppi sportanti in fuori
sul mare , ove l' orme , che ancora si mostrano de/ie
catene d' Andromeda , fanno credibile l' antica fàvola ,
che ne corre; poi l'aquilone battendo di fronte il Udo,
e contro gli scogli , che ne ricevono l' urto , rompendo
l' altissima ondata rende più malsicuro il porto , che
non un seno di mar diserto ) , così mentre qui mareg
giavano gli abitanti di Gioppe , rompesi loro addosso
sul far del giorno gagliarda fortuna di vento, cui i
marinari di que' contorni chiaman Melamborio (29), che
avventatosi sopra i legni altri ne sfracassò tra sé stessi ,
ttB. III. CAP. re. 345
ed altri contro gli scogli: molti nel pontar che facevano
contro i marosi per allargarsi ver l' alto , temendo del
pari il lido alpestre e i nimici , che v' eran sopra , ri
masero da un' ondata sospinta in aria sepolti. Non eraci
più né luogo a fuggire né scampo per chi restava, cac
ciandoli quindi dal mare la foga del vento, quinci dalla
città i Romani. Grande pertanto era il gemere nel fiac
carsi de' legni , grande lo strepito nel lor disfarsi ; e di
tutto quel popolo altri moriro affogati nell' acque , altri
impigliati tra i frantumi delle navi ; parecchi col pro
prio ferro , quasi ciò fosse men grave , uccidendo sé
stessi antivennero quel , che avria fatto il mare ; la più
parte però trabalzata dall' onde restava schiacciata sui
sassi, fino a rimanerne a gran tratto il pelago insangui
nato , e la spiaggia ripiena di morti; perciocché a' so-.
Spinti in sul lido i Romani correvano addosso, e ucci
devano. Quattro mila in somma e dugento furono i
corpi buttati alla spiaggia ; e i Romani presa senza lor,
sangue la terra spiantanla da' fondamenti. Così Gioppa
in corto spazio di tempo fu da' Romani per la seconda
volta distrutta.
III. Ma Vespasiano, affineché non ci si annidasser da
capo corsari, pianta quartiere nella fortezza, e vi lascia
la cavalleria con un poco di fanterìa , onde questa re^
stando in paese custodisse l' alloggiamento , e i cavalli
corressero le campagne d' intorno , e abbattessero le,
terricciuole e le cittadelle attenentesi a quel di Gioppej
Quelli pertanto secondo gli ordini avuti aggirandosi per
lo distretto , l'andavan guastando ogni giorno, e recan
dola tutta a diserto.
$fò DELLA GUERRA GIUDAICA

IV. Arrivata in Gerusalemme la trista nuova dell'av


venuto a Giotapata a prima giuDta la maggior parte non
la credeva , si per la grande disavventura , che sana
stata quella , e si per non esserci di ciò , che s' andava
dicendo, testimonio oculare, che il comprovasse; ( mer-
cecché neppur s' era salvato , chi ne recasse l' avviso ;
ma di per sé stessa la fama presta naturalmente, quando
si tratta di rie novelle , ne avea divulgato 1' eccidio ) :
ma non andò guari tempo, che da' vicini se ne riseppe
la verità , né a persona lasciò più luogo da dubitarne ;
anzi al realmente accaduto s' appiccavan per giunta cose
ancor non successe. In fatti si dava per morto aell' espu
gnazione del..a città eziandio Giuseppe. Questo riempi
d' un grandissimo lutto Gerusalemme , e se per quei
morti , co' quali v' era attinenza, piagnevasi nelle case e
nelle famiglie il corrotto pel generale fu pubblico ; e
mentre questi piagnevano gli ospiti/ quegli i congiunti,
gli uni gli amici , gli altri i fratelli , tutti unitamente
accordaronsi in piagnei* Giuseppe , talché né il lutto in
città ebbe fine prima del giorno trentesimo, e assai per
sone prezzolarono sonatori , che ne intonassero le la
mentazioni. Ma dappoiché il tempo scoperse iì vero , e
trovòssi , che di Giotapata tutto stava , com erasi detto ,
ma false erano le triste avventure di Giuseppe, e chia
rissi lui non che esser vivo , ma trovarsi presso i Ro
mani , ed averne da' capitani trattamento più nobile,
che a condizione di schiavo non si conviene, altrettanto
sdegno concepirono contro lui vivo , quanto fu già l'a
more, che ne mostraro credendol morto. Quindi appo
alcuni avea nome di uom vigliacco, appo altri di tradt<
lii. in. ckv. ix. 347
tore. Intanto la città era piena di mal talento, e da per
tutto seniivansi maledizioni contro di lui. Sotto il fla
gello sempre più s ostinavano , e nell' avversa fortuna
accendevansi vie maggiormente. Certo il trovare intoppi,
che alle persone di cerve! sano suol essere un'occasione
di porsi in sicuro e prendersi guardia di simili incontri,
serviva loro di stimolo ad altre sciagure , e non finiva
un malanno , se non col cominciamento d' un nuovo..
Tanto più adunque levaronsi contro i Romani, persuasi
che vendicherebbonsi in loro altresì di Giuseppe. Questi
erano gli scombugli , in che si trovavano i Gerosolimi
tani.
V. Vespasiano frattanto per visitare il regno d' A-
grippa ( ove l' aveva invitato il re stesso con intendi
mento di fare insieme delle ricchezze della sua casa
buona accoglienza al generale colle sue truppe , e per
mezzo di lui sanare le membra infermicce del regno ) ,
levatosi da Cesarea a mare passa all' altra Cesarea , che
«omavasi di Filippo. Quivi ristorando per venti giorni
T esercito , e rendendo a Dio grazie delle prosperate sue
imprese banchettava egli stesso festevolmente. Ma come
gli fu dato parte e del tentare che facea Tiberiade no«
vita, e della total ribellione di Tarichea , l'una e l'altra
appartenenti al regno d' Agrippa , fermato seco mede
simo di sterminare da ogni luogo i Giudei credette op
portuno il muovere contro di questi , e in grazia d' A-
grippa , cui ripagherebbe della cortese sua ospitalità ,
ritornargli a miglior senno le terre. Spedisce pertanto
il figliuolo Tito a Cesarea , perché di colà trasferisca
la soldatesca a Scitopoli , città la più grande della De
/
348 DELLA GUERRA .GIUDAICA
capoli , e vicina di Tiberiade. Quivi rendutosi egli an~«
cora attende l'arrivo del figlio. Indi i (moltratosi con tre
legioni s' accampa a trenta stadj da Tiberiade presso un
ostello , che bene a' novatori darebbe negli occhi. Seri—
nabris é il nome del luogo. Spedisce di là il capotliect
Valeriano con esso cinquanta cavalli a trattare di pace
co' cittadini , e invitargli a un accordo ; perciocché avea
udito , che il popolo era bramoso di pace , e veniva
scommosso da certi spiriti , che lo strascinavano ad una
guerra. Spintosi oltre Valeriano , poiché iu dappresso
alle mura smonta egli stesso e fa smontare altresì i com
pagni , perché non sembrasser venuti con animo ostile.
Ma anziché si trattasse di parlamento , eccogli addosso
con impeto e armati i più possenti fra' sediziosi. Con-
ducevagli un uomo chiamato Gesù, figliuolo di Safat ,
caporione della combriccola ladronesca. Valeriano avendo
per malsicuro attaccare battaglia senz' ordine del gene
rale, ancorché fosse certo di dover vincere , e perico
loso il combattere pochi con molti , e sprovvisti eoa
allestiti , e d' altronde atterrito all' audacia non aspettata
de' Giudei fugge a piedi , e come lui altri cinque ab
bandonare i cavalli , cui Gesù e i compagni menarono
trionfando in città , quasi presi gli avessero in giusta
battaglia, non a tradimento.
VI. Del che spaventati gli anziani del popolo , e i
più in credito d'eminenti al campo rifuggonsi de' Ro
mani , e con mezzano il re a fianco si prostrano sup
plichevoli a' piedi di Vespasiano , e non gli sdegnasse
d' un guardo , né il procedere disperato di pochi lo
-creda comune alla città tuttaquanta; perdoni ad un pò
ire. ni. ckf. ix. 349
polo , che fu sempre amico a' Romani , e punisca gli
autori della ribellione, da' quali le lor persone, che già
da gran tempo desideravano di collegarsi con lui , fino
ad ora n' erano stati con rigorosa guardia tenuti in-
dietro. A queste suppliche s'arrendé il generale, avvegna
fosse per li rapiti cavalli contro tutta la città corruc
ciato ; e fu in grazia d' Agrippa , perché nel vedeva in
grande pensiero. Ora, avendo questi ricevute dal popolo
le promesse di fedeltà, Gesù e i compagni non si cre
dendo in Tiberiade più sicuri fuggono a Tarichea : e
Vespasiano indi a un giorno spedisce innanzi Trajano con
esso la cavalleria sulla cima del monte, perché vedesse,
se il popolo tuttoquanto nodriva sensi di pace: e cono
sciuto , che i cittadini andavan d'accordo co' supplicanti,
con seco tutta l'armata s'incammina alla volta della città.
I Tiberiesi spalancangli di presente le porte, e gli escono
incontro con lieti viva , chiamandolo il lor salvatore , e
benefattore : ma poiché le aperture soverchio anguste
agl'ingressi frastenevan l'esercito, Vespasiano col taglio,
che ordinò , d' una parte di muro a mezzodì loro al
larga l' entrata. Dalle rapine però e dagli insulti fe' in
tima a tutti , che si rimanessero in grazia d' Agrippa ;
per questo medesimo perdonò alle mura , promettendo
gli esso , che in avvenire que', ch' eranci dentro , gli si
terrebbon fedeli, e in più altri modi ristorò la città a
male stato condotta da1 sediziosi.
350 CELLA GUERRA GIUDAICA

Capitolo X.

Tarichea espugnata. Descrizione del Giordano


e del lago e paese di Gennasar.

I. ludi uscitone pianta fra essa Tiberiade e Tarichea


F alloggiamento ; e ne fabbrica con più fortezza il ricinto,
perché prevedeva dover quella guerra costare gran tempo,
per lo ricogliersi , che in Tarichea avea fatto tutta la
generazione de' novatori affidati nella ^uernita città, che
essa era, e nel lago, che i paesani chiamano di Gen
nasar. Conciossiaché situata essa pure , come Tiberiade ,
appie de' monti fu da Giuseppe , dove non é bagnata
dal lago , ricinta tutta di forti mura; non però quanto
Tiberiade, cui egli rinforzò tutta intorno sul cominciare
della ribellagione con un profondervi dietro gran forze
e denari ; dove Tarichea non partecipò , che gli avanzi
della sui grandiosità. Avevano inoltre assai legni presti
in sul lago a ricoverarcisi da terraferma , se vinti , e
bene in concio, se fosse mestieri, per una battaglia
navale. Or mentre i Romani piantavano gli alloggia
menti , Gesù e i compagni niente atterriti né al grosso
numero , né all' ordinato muoversi de' nimici , corrono
loro addosso , e a prima giunta sbarattati i fabbricatori ,
e guasta una picciola parte dell' edilizio , al vedere che
univansi insieme gli armati, anziché incogliesse loro nes
sun disastro , si ritirarono verso le mura ; ma i Romani
dando loro dietro li cacciano entro le barche; ed essi
allontanatisi solo quel tanto, ch'indi potessero colle saette
LIB. III. CAP. X. 35.I
arrivare i Romani , gettarono l' ancore , e strette in
sieme , come un battaglione suol fare , le navi , pugna
vano d' in sull' acque cogl' inimici , ch' erano a terra.
II. Or Vespasiano sentendo , che nella pianura innanzi
alla città se n'era adunata una gran moltitudine, vi spe
disce il figliuolo con una mano sceltissima di secento
soldati a cavallo. Ma egli trovato il numero de' nimici
strabocchevolmente cresciuto manda dicendo al padre
fargli mestiere più gente. Esso intanto veggendo la mag
gior parte bensi de' suoi cavalieri , prima ancor che
giugnesse il rinforzo , assai bene disposta , alcuni però
dal grosso numero de' Giudei in lor cuore atterriti, po
stosi in luogo da essere udito, « Romani, disse, dup
li poiché nel principio del ragionare é pur bene tornarvi
i> a m ente la vostra stirpe , perché intendiate chi siamo
» noi e chi quelli , contro de' quali or s' ha a combat-
» tere; mercecché dalle nostre mani non c'é stata fi-
» nora nazione al mondo, che sia fuggita, e i Giudei,
» per dir qualche cosa altresì in lor lode-, sempre bat-
» tuti fino al di d'oggi pur non si stancano ancora.
» Ben biasimevole cosa sarebbe, che mentre quelli si
» tengono saldi ne' casi avversi , noi perdessimo il cuore
» nei prosperi. Veggio sì ( e in veggendolo me ne ral-
» legro ) il grand' animo , che voi mostrate in palese:
» ma temo non forse in taluno la moltitudine de' ni-
» mici ingeneri copertamente terrore. Deli si faccia di
» nuovo a considerare, chi egli sia, e con chi s'abbia
» a provare , e come i Giudei , tuttoché arditissimi e
» niente curantisi della vita , pur sono disordinati e
« dell'arti militari inesperti, e in somma da chinarsi
352 DELLA GUERRA GIUDAICA

u più propriamente col nome di ciurma , che neri di


» armata. Ma della nostra esperienza e del modo nostro
» di regolarci che giova qui far parola ? Per questo
m appunto , quando slam soli e in pace , ci usiamo al-
» l' armi , perché nelle guerre non numeriamo noi stessi
» rimpetto a' nimici. In fatto che pro del continuo es-
» sere noi sotto l' armi , quando affrontar ci dovessimo
» in pari numero con avversar) inesperti? Avvertile di
» più , che voi combattete armati con gente inerme, a
» cavallo con gente a piede , scorti da un capitano con
» gente , che non ha guida : che siffatti vantaggi fan
» crescere voi a più doppi , e al numero de' nimici
» tolgono assai di forze i loro disavvantaggi ; che con-
» duce a buon fine le imprese guerresche non la mol-
» titudine eziandio se bellicosa delle persone, ma il
» valore benché di pochi. Questi almeno si mettono
» in ordine e si difendono agevolmente ; dove le grandi
» armate più han di sconci da sé medesime , che dai
» nimici. Certo i Giudei han per guida 1' ardire e la
» temerità , tutti effetti d' un animo disperato , che
» quanto tra le felici avventure rinvigoriscano , a/tret-
» tanto si fiaccano ad ogni menomo intoppo. Ma noi
» abbiamo il valore , l' ubbidienza , e la nobiltà degli
» spiriti , che quantunque ne' prosperi avvenimenti si
» avviva , pur negli avversi non perdesi mai del tutto.
» Aggiungasi inoltre , che voi nel combattere avrete
» fine più alto , che non i Giudei. Perciocché se la
» guerra mette per loro a pericolo la libertà e la pa-
» tria , v' ha forse oggetto più grande per voi della
» gloria, e di non mostrare , dopo ottenuto l' impero
LIB. III. CAP. X. 353
-» dì ttrtto il mondo , d' avere in conto di rivali i Gin.
»• dei ? Vuolsi ancora notare , che né v' ha ragion di
» temere di grave danno mercé de' molti soccorsi , che
» verran quantoprima, e possiamo rubare per noi la
» vittoria , e dobbiamo antivenire i rinforzi, che man-
» daci il padre, perché l'impresa sia di noi soli, e più
» grande. Certo io sono d'avviso, che a questo passo
» si diffinisca del padre mio , di me , di voi , s1 egli é
» degno delle passate felici avventure , s' io sono suo
» figlio , se siete voi miei soldati ; perciocché egli sem-
» pie fu uso di vincere, ed io non sofferrei di tornargli
» vinto dinanzi ; e voi come non v' arrossite di rimaner
» perditori , avendo per duce ne' pericoli il generale ?
a Sì , ne' pericoli io vi sarò duce , e io il primo di
» tutti mi getterò fra' ni mici. Voi non m'abbandonate,
» sicuri che al mio coraggio dà lena il cielo col suo
» soccorso , e comprendete a evidenza , che alcuna cosa
» più conchiuderemo , che nou é una battaglia fuor
» delle mura (3o) ».
III. A questo parlar di Tito entra in petto a' soldati
un coraggio sovrumano , e arrivato , anziché si venisse
alle prese , Traiano con quattrocento armati a cavallo ,
n'eran dolenti, quasiché loro scemasse l'onore della vit
toria il comunicarla che farebbono con altrui. Mandò
Vespasiano anche Antonio Silone con due migliaja di
arcieri , e gi' ingiunse, che occupato il poggio rimpetto
alla città tenesse lontana la soldatesca , che saria sulle
mura. Essi adunque secondo gli ordini avuti rattennero
tutù quelli , che tentavan d' uscire in soccorso de' loro
compagni , e Tito fu il primo , che sproaó il cavallo
Flavio, t. yi. Datta fi. G. t. I. 33
ÌS.\ DELLA GUERRA GIUDAICA
incontro a' ninnici , e dietrógli i rimanenti , che con al
tissime- grida allargaronsi per quel tutto di campagna,
che occupavano gi' inimici , che perciò sembrarono molti
più. Ora i Giudei non ostante il terrore , che 1' impe
tuoso e ben regolato moversi de' Romani lor mise in
petto , pur ne sostennero l'impressione per alcun poco:
m.t feriti da' lancioni , e dall' urtar de' cavalli messi iti
volta restavano calpestati. Quindi pel grande macello ,
che da ogni parte se ne faceva , si sbarattarono , e
ognuno , con quanto aveva di gambe , difilavasi yer«o
la città. Tito frattanto essendo lor sempre addosso altri
ne uccideva alle spalle , assai ne feriva dallato , alcuni
oltrepassando trafiggeva nel viso, e molti caduti gli uni
su gli altri con un so} colpo faceva nella medesima
morte compagni. Indi s'attru versava al lor correre ver
la pitta, e ricacciatagli alla pianura, GacW essi colla lor
moltitudine vinta la prova , e sospintisi tutti insieme m
città vi &} ripararono dentro.
IV. Quivi gli accolse un tumulto di a$sai rea conse
guenza. Conciossiaché i terrazzani, che fin dapprincipio
per le private loro, fortune e per le pubbliche della cittk
ricusavan la guerra, moltp più allora il facevano dopo
Ja rotta; e i forestieri, ch'erano assai, tanto più forte
mente opponevansi loro; e per la rabbia scambievole,
che perciò concepettero , gridavasi e si romoreggiava
con poco men di calore , che se venissero all' armi.
Udìnne Tito lo strepitare , giacché non era gran fatto
lungi dalle mura ; « e questo , sclamò, questo é il tempo:
» a che indugiamo , o commilitoni ? Dio ne dà in mano
» i Giudei. Accogliete , su , la vittoria. Non udite voi
liB. ni. cap. x. 355
*» questo strepito ? Sono a rumori; i sottrattisi al nostro
» ferro. Nostra é la città , se facciamo presto. Ma alla
» prestezza si vuol congiugnere la fatica e il coraggio:
» che grande impresa appena é mai che si tragga a
» fine senza pericolo : e convien prevenire non solo il
J> pacificarsi, che per nscessità quantoprima faranno i
» nimici , ma i rinforzi ancora de' nostri , onde a vin-
» cere tanta gente si pochi e a prendere la città siamo
» soli ». Cosi dicendo d' un salto é in sella, e guidagli
al lago, per entro al quale sospintosi (3 1) entra il primo
in città , e dopo lui tutti gli altri. A tanto suo ardire
Si gettò in que', ch' erano sulle mura , uno spavento
t«»Je , che niun sostenne ué di battagliare né di con
trapporsi. Quindi Gesù col suo seguito , abbandonati i
lor posti, fuggironsi per la campagna. Quelli, che pre
sero la via del lago , s' avvennero ne' nimici , che lor
venivano incontro. Altri pertanto cadevano in sul metter
pie ne' battelli, altri nello sforzarsi di giugnere i già
partiti. Ma grande era il sangue , che si spargeva ia
città e de' forestieri non potutisi a tempo sottrarre, che
fecero resistenza , e de' terrazzani , che non ne fecero
punto ; perciocché lo sperare un accordo e 1" essere al
loro cuor consapevoli , che non avevano consigliata la
guerra, li distornava dal prender l'armi, fino a tanto
che Tito uccisi i colpevoli e avuta compassione de'ter-
lazzani die fine alla strage. Or quelli , che s' erano ri
coverati in sul lago al vedere la città espugnata si spin
sero il più lontanissimo , che poterono , da' nimici. Tito
frattanto per uno de' suoi cavalieri mandò la lieta no
vella del fatto al padre ; il quale , come ragion voleva,
356 BELLA GUERRA GIUDAICA
oltremodo allegratosi e del valore del figlio , e del!*
nobiltà dell'impresa ( conciossiaihé in gran parte sfi
brava per questa scemata la guerra) venne colà di pre
sente , e ingiunse a que', che occuparono la città , di
vegliare , che furtivamente non ne fuggisse persona , e
uccidessero chiunque mai lo tentasse. Il dì appresso
disceso ai lago ordinò, si facessero zattere per inseguire
i fuggiaschi ; le quali attesa la quantità del legname ,
che e' era e la moltituline della gente , che ci lavorò
intorno , furono in poca d' ora allestite.
V. Questo tago dal circostante paese trae nome di
Gennasar ; é largo -quaranta stadj , e lungo oltre questi
altri cento : dolce non pertanto ed ottimo a bere ; con-
ciossiaché abbia una vena d'acqua di tempera più sot
tile , che alla crassizie non confarebbesi d' una palude.
Ella é limpida in ogni sua parte , con lidi e rrna al
l' estremità , e ben composta ad attignersi : meno cruda
di quella di fiume e di fonte , più fresca però, che
l' immobilità non comporta d'un ampio lago. Quest' ac
qua tenuta a scoperto , come di notte far sogliono quei
paesani la state , non cede in freddo alla neve. V'ha
generazioni di pesci , ma di sapore e di spezie diversa
da quei d' altrove. Il Giordano lo taglia per mezzo.
VI. Ora il Giordano par, ch'abbia sue fonti a Paneo;
dove per sotto terra nascostamente trapassa dal luogo
chiamai» Tazza. Ella é sull'entrare che fassi nella Tra-
conitide, a centoventi stadj da Cesarea (32), non lungi
dalla strada battuta a man destra. Ora dalla circonfe
renza che ha in giro le fu adattato con verità il nome
di tazza, mercecché é un Iago ritondo a foggia di ruota.
ttB. III. CÀP. X. * 35^
L'acqua le sta sempre all'orlo, né mai s'abbassa, né
mai trabocca. Durò tanto tempo il non sapersi di qui
aver suoi principj il Giordano , finché fu scoperto per
op** «-h di Filippo tetrarca dei Traconiti ; perciocché
quelle paglie, ch'avea gettate ei medesimo nella tazza,
trovòlle portale a Paneo donde prima credevasi aver la
sua fonte il Giordano. La naturale beltà di Paneo fu
dalla reale magnificenza accresciuta , perché adornata
dalle ricchezze d' Agrippa. Cominciando adunque il Gior
dano scopertamente il suo corso da questa grotta divide
i [> .iduli e i fangacci del lago Semeconitico: e oltrepas
sati altri cento venti stadj dopo la città di Giuliade en
tra per mezzo al Jago di Gennasar : indi misurando un
lungo diserto si getta nel lago Asfaltite.
VII. Lunghesso Gennasar si distende un paese , che
ha il nome medesimo , per qualità e bellezza maravi-
glioso. Ivi mercé de' suoi grassi terreni non ha pianta
che neghi frutto , e tutta infatti inarboraronla gli abi
tanti. L' aria poi é così temperata a giusta misura , che
si affò eziaudio a cose fra se diverse. Certo le noci ,
pianta più ch' alU.a mai vernereccia, allignano in quan
tità prodigiosa ivi medesimo, dove le palme, che cre-
scon col caldo , e i fichi vengono , e presso loro gli
ulivi , che fatti sono per un cielo più dolce. Magnifi
cenza potrebbesi questa dire della natura , che s' é stu
diata d' unire insieme cose fra se ripugnanti , e il bea
contrastarsi che fumo tra lor le stagioni, come se tutte
fossero in gara per favorire il paese. Quindi non solo
produce in modo mirabile frutta svariate , ma ancor le
mantiene. E quanto si é alle più scelte, vo'dire le uve.
358 DELLA CUEMtA GIUDAICA
e i fleti , esso ne somministra per dieci mesi conthina-
mente. Le altre poi vi si conservano sopra durevoli tutto
l'anno. Perciocché oltre la ben temperata natura dell' a-
ì-ia ha l'innaffio da una copiosa sorgente detta da'pae-
sani Caparnaum (33) , che alcuni credettero una vena
del Nilo , perciocché ingenera un pesce somigliantissimo
al coracino, che ne'lagumi ritrovasi d'Alessandria. Tutto
il paese in lunghezza s'estende per su le rive del lago,
che ha il nome medesimo , trenta stadj , e venti in lar
go. Di tal falta é la natura di questi luoghi.
Vili. Fornite di tutto punto le zattere , Vespasiano
fattovi montar sopra quanto di forze parevagli basterebbe
contro coloro , ch' eran sul lago , le spigne innanzi. Ora
i fuggiaschi Don avevano né luogo in terra , dove poter
ripararsi , che tutto era suolo nimico , né forze pari da
tentare una pugna navale : mercecché i lor battelli sic
come piccioli e fatti per corseggiare eran deboli incontro
alle zattere , e per li pochi , che navigavano in ciascun
legno, non dava lor l' animo d'approssimarsi a' Romani,
che lor venivano addosso in gran calca. Non pertanto
facendosi intorno alle zattere , ma alla larga , e talvolta
eziandio accostandosi , ora da lungi giugnevan co' sassi i
Romani , or venendo rasente i lor legni colpivanli dav-
vicino. Ma nell' un caso e nell' altro essi ne rimanevano
più malconci. Perciocché senz' altro conchiudere con
que' lor sassi , che il romore degli uni cadenti su gli
altri, lanciandosi contro gente ben chiusa nell'armi, essi
venivano a tiro degli archi romani, e mentre ardivano
d accostarsi , anziché operassero nulla , già n' erano i
mal capitati , e con esso i battelli restavan sommersi.
MB. III. CAP. X. 3'()
Fra quelli poi , che in passando tentavano di ferire ,
assai rimanevano da lancioni raggiunti e trafitti , altri
uccisi dagl' inimici saltati dentro a' battelli col ferro in
mano , altri presi con esso i lor legni al torli che fe-
ciono in mezzo le zattere, che a più insieme correvano
loro addosso. Se degli affondati taluno mettea fuor del
l' acque la testa, colpivalo una saetta, o una zattera gli
era sopra a pigliarlo : e a coloro che per disperazione
tentavano di accostarsi nuotando verso i nimici , questi
o il capo mozzavano ovver le mani. Grande in somma
è moltiplice era la strage , che se ne faceva / finché
messi in volta si ricoverarono i rimanenti a terra difesi
intorno intorno da' lor battelli. Ma parecchi esclusine
cadeau feriti ivi dentro del lago , e parecchi anco in
terra , balzativi da' lor legni i Romani , restarono morti.
Quindi avresti veduto lordo di sangue e pien di cada
veri tutto il lago , non n essendo campata testa. Tristo,
pertanto fu Io spettacolo e insiem l' odore , che sopraf
fece il paese ; concioftosse che di fracassati battelli in-,
sieme e di corpi gonfi vedevansi pieni i lidi, e fermen
tandosi e infradiciando i cadaveri guastavan l'aria, talché
non pure a' Giudei riuscì compassionevole il tristo caso,
ma venne in odio perfino a quelli , che ne furo gli
autori. Cosi ebbe fine quella battaglia navale. Perirono
in tale occasione , compresivi i morti prima in città ,
seimila e cinquecento persone.
> IX. Vespasiano dopo la pugna si mette sul tribunale
in Tarichea a cernere da' terrazzani il popolo forestiere,
che parca stato autor della guerra ; e propose a' suoi
capitani ri partito , se questi pure dovevansi mandar
360 DELLA GUERHA GIUDAICA

salvi. Ma accordandosi tutti in dire che fora nocevole


cotal rilascio , perciocché liberati non si quieterebbono ,
gente , eh' egli erano , senza patria , e in istato ancora,
oveché riparassonsi, da sollevarci forzatamente ima guer
ra , Vespasiano , che conoscevali per indegni di libertà ,
e tali , che scamperebbono per la mala ventura di chi
gli avrebbe salvati , pensava al come torli di vita ; per
ciocché , se ivi medesimo gli uccidesse , temeva , non si
levassero i terrazzani a romore ; che non sofferrebbono
di veder tanti supplichevoli trucidati in casa loro. D'al
tra parte non avrebbe voluto mettere le mani addosso
a gente rendutaglisi sotto fede. Ma _ lo spuntaron gli
amici col dire , contro i Giudei , non potersi commet
tere empietà , e volersi l' utile anteporre al dicevole ,
quando unir non si possa l' uno coli' altro (3*j. .Accor
data lor dunque in termini equivochi sicurezza, consenti
che n andassero , ma sol per la strada , che porta a
Tiberiade. Essi prestamente credettero a ciò, che avreb»
ber voluto che fosse , e mentre coi loro averi in palese
perché stimati sicuri , prendevan la strada che fu /or
consentita , i Romani occuparonla fino a Tiberiade tut-
taquauta , perché non se ne togliesse giù niuno •, poi li
rinchiusero nella città (34) , dove sopraggiunto Vespa
siano li fa tutti entrare nel circo ; e i vecchi insiem
co' disutili , mille e dugento persone in tutto , ordinò
si levasser di vita. De' giovani poi adunato un corpo
di seimila spedigli a Nerone per la scavazione dell' I-
stmo (35): e la turba che rimaneva d'intorno a trenta
mila e quattrocento persone la vendé, salvo quelli, dì
*ìuì fece grazia ad Agrippa : mereecché gli attenentisi
1IB. III. CkV. X. 36 1
al regno di lui rilasciògli in stia mano da farne quel
tanto , che gli piacesse ; e il re li vendette ancor egli.
La ciurma poi , che restava , di Traconiti , Gaulaniti ,
Gadaresi , ed Ippeni erano il più sediziosi e fuorusciti ,
e cui la rea vita menata in pace adescava alla guerra.
Furono presi agli otto del mese Gorpieo (36).

FINE DEL TOMO PRIMO.


363

NOTE
DEL LIBRO PRIMO

(i) V col dire de'Bahilonrsi, Assai, Giudei di là dalt'Eufrate ec;


perciocché le proviacie di questi popoli uoa sot dal nostro, ma da
altri greci scrittori chiamate vengono superiori perchè orientali.
(2) D'avere abbattuta Gerusalemme si sminuisca coli' abbassare i
Giudei.
(3) Cioè delle fabbriche annesse al Tempio , ch' erano tutte sagre.
(4) Antichità Giudaiche tib. ta , cap. 6 e seguenti sino alla fine
del libro.
(5) Onia V figtio d' Ooia III pontefice legittimo , ma dalla pre
potenza di Giasone, e di Menelao escluso dal pontificato. V. Iib. 7,
e. io, § 4 di quest'opera.
(6) Arx , cittadetla. Veramente il testo applica questa denomina-
«ione di Aera alla parte inferiore della città , ma a me par tale er
rore, che ho creduto opportuno tal cangiamento.
(7) Cognominato Eupatore.
(8) In Gerusalemme, abbiamo dal lib. 12 detle Antichità, che si
ricoverò Giuda. Moli' altre picciole diversità rinverfannosi net rac
conto de' fatti da lui narrati ancora nelle Antichità; e questo si vuole
attribuire o alla scorrezione del testo o alla brevità , con cui sponc
questi avvenimenti. Io adunque le audio togliendo, per quanto »!
fiu possibile.
364 MOTE
(9) 11 testo ha A»tio£k.
(10) Nod in questa battaglia, ma in altra posteriore. Egli però le
mette tutte iu uà fascio , e dice che dopo essersi affrontato co' ge
nerati di Demetrio e date prove di gran valore ( perche la prima
Milta restò vincitore ) finalmente fu ucciso nella battaglia contro di
Bacchide. V. dell'Ani, lib. ta, e. 19. Di qui comincia it lib. i3.
(11) Soprannomato Dio, o Niceforo.
(*) Di Gerusalemme.
(13) Deuominaio comunemente Sidete , e Pio da Giuseppe.
(1 '>) Io pongo qui trentun anni , perche Giuseppe non sia discor
dante da ciò eh1 egli scrive nel lib. i/|, e. 18 , § 6; e nel lib. 20,
cap. io. § 1 dell'Ani. Per altro il numero più esano degli anni , che
governò Ircano , secondo Eusebio Dem. Rv. 8. 11 , e S. Girolamo
sopra Daniele , fu di 29 anni.
(i4) Altro luogo così chiamato, s posto sul mare Mediterraneo ,
che poi ebbe il nome di Cesarea.
(io) Città , che die il nome a una provincia di là dal Giordano
appartenente alla Galilea alta. Net tib. i3 dell' Antich. il nostro Au
tore dice , che Ohoda collocò la sua gente ad agnato nella Gaìaadi-
te , né ciò é contraddizione ; dacché tutio il paese di là dal Gior
dano alcuna volta, s' è nominato colla voce generica di Galaadite.
Di più queste due provincie Gaulanite e Galaadite son confinanti.
(\6) Io leggo 죻KirztXi'cit in luogo dell' àxraxir^'A/air del
testo; perciocché nel lib. i..ì abbiamo, che i soldati pagati furono
seimila e dugento. Per la ragione medesima i Giudei suoi benevoti
li l.i ascendere al numero quasi di ventimita; e leggo ìiruvcist in
luogo di ftvf/itt.
(17) Al lib. i3 , e. a3 questo Antioco é detto fratel di Filippo:
né male ; poiché Antioco Gripo fu padre di cinque figliuoli , che
furono Seleuco Epifane, Antioco e Filippo gemelli, e soprannome!
Filadelfi , Demetrio Eucero , e Antioco Dioniso ; che da Giuseppe t
chiamato 1' ultimo de' Seleucidi ; perché quantunque dopo lui fosse
Antioco Asiatico, pure, siccome questo fu da Pompeo spogliato det
tegno , cosi non è da lui numerato ira re Seleucidi.
(18; Ovvero Sebaste, perchè Sebasto é il nome greco d' Augusto.
(19) Città vicina al castello Alessandro, la prima, che incontrisi
appartenente alla Giudea ; da chi viene da tramontana in Giudea.
ja*; Det Tempia.
DEL LIBRO PRIMO 365
(20) Gahino non fu successore immediato di Scattro; ma tramez
zarono Marcio Filippo , e Lenitilo Marcellino , i quali però siccome
Tessero poco tempo la Siria , così non son ricordati neppur da Ap
piano trattando delle guerre Paniche.
(ai) Ved. il lib. t/}» e. it-> § 2.
(23) Ove già erasi incamminato per andar contro ai Parti.
(2^) Tabor.
(•24) ®c*cflX~cf.

(i5) TìrcXi/talat.
(26) Ved." Ani. lib. i{, e. |5. , § 1.
(2;) Cioè più potrà contro lui l'ingiustizia delta sua causa , cha
non a suo pro la muli imi! ine delle sue truppe.
(28) Ved. lib. 14 , e. 17 , § 8.
(29) Lib. 14, e. 17, n. 33. Egli e vero, che tutti i codici di
Giuseppe hanno Marco, e non Murco. Ma a questo assedio altro
Marco non trovasi, che il cognominato Crispo. Avvertasi però:
primo , che questo Crispo fu dato da Cesare stesso per compaguo
a Stazio Marco, e chiamato a questo fine dalla Bitinia. Non fu dun
que successore di Sesto Cesare, ma compagno del successore. Se
condo, tuttocio che Giuseppe narra di questo Marco, si affa assai
meglio a Stazio Murco, che a Marco Crispo. Terzo, questo Crispo
non si chiamava propriamente Marco, ma Marcio, come abbiamo
da Cicerone Phit. 2 , da Bruto nelle sue lettere a Cicerone; e d'at
tronde. Di qui s'inferisce, che si de' leggere Murco e non Marco.
(3<i) Il lesto ha sette mesi ,- ma nel lib. 14 , e. 17,58 abbiamo
che furon sei. Vuol dire, che fu ucciso, quando era già cominciato
il settimo mese oltre i tre anni det suo impero.
(3i) Parla da fariseo. V. la nota ultima del lib. 8 delle Antich.
(3a) Al regno.
(33) Cos.i ha il nostro testo, e cosi hanno pure Vellejo Patercolo,
Diou Cassio, Tito Livio nell'Epit. del lib. 125, Plut. in Antonio,
Appiano nelle guerre civili. Onde a ragion si corresse al lib. i'|,
e. 22 delle Antichità in luogo d' ea*ì r«AA(«f ». eh' ora net teslo
tri Ir*A<«?.
(34) Di questa dignità vedi la nota 4<> Je' llD- 14 dell'Amie», .
(35) I quindici nominati teale.
(36) Dalla venuta d'Antonio nell'Asia.
(37) Ossia Aniigouo s tesso , come abbiamo nelle Antich. , ovver
366 »otk
l'uno e l'altro, il che è pia probabile, a meglio accorda insiem:
1' un testo e I' altro.
(3*) Cioè liberi : perchè la più parte delt' armate paniche era
composta di gente schiava.
(38) Per meglio dire Alessandra figliuola d' Ircano , e madre di
IMariamme moglie d'Erode.
(39) Gli averi cioè d'Erode, di Fasaelo , e d'altrettali persone.
(40) Il principio cioè , onde venne tal morte , che fu di battere
spontaneamente la testa in un sasso. Principio per altro a diritta
mente pensarla , che muove da spirito di debolezza per eguat modo ,
come t'uccider se stesso per disparazione. Perciocché il darsi morte
per non venite in man d'un nimico , che facciane reo trattamente , o
per altrettale motivo , che non abbia sua origine da ispirazione di
Tina , il che avviene di rado , nasce dal non avere colui , che s'uc
cide , virtù bastante da sostener V imminente ignominia e dolore ; e
però si dà vinto a nn affetto , che si può dir disperato ; perchè gli
par quella una disgrazia" da non potersi portare in pace.
(4i) Parla nel senso de' Farisei , come abbiamo notato più volte ,
giacché professava ancor egli tat setta.
(4?) Rinocolura , Rinocurura , Rinocura , e Rinocorura nomi tutti
d' una città dett' Egitto cosi chiamate , perchè i suoi abitanti aveaa
mozzo , o simile a mozzo it naso.
(4*) Net cap. a4 det tib, i4 delle Antichità abbiamo , che sola
mente la prese a nolo.
(43) Adottivo.
(44) Vedi lib. i4, cap. 26 , § 1.
(45) Nimici del Popolo Romano.
(4(>) Di Gerusalemme.
(47) In questo luogo il testo non ha né Erode né Antigono ; a
molti piace di leggere Antigono , e ne recano in prova ciò che su
scritto nelle Antichità al tib. \!\, cap. 37. A me però piace di leg-i
gere qui e nel lib. 14 , cap. 37 delle Antichità Erode, e ne reco
in prova il buon senso e la sana intelligenza di tutto il resto. Con
sulti , chi vuole , 1' originai testo ; e ognuno vedrà , s' io ho ragione
di dir cosi. In fatti , come può dirsi , che Antigono desse licenza
a' suoi di ferire , quando 1' avevan già fatto innauzi ? Poi , da quati
torri furono allontanati gli Erodiani ? Dove si nominano mai queste
torri ? Finalmente Silone , postochè era già stato corrotto da Anti
gono e aveva finora coperto il suo tradimento , quest" era 1' poca-.
DEL LIBRO PRIMO $Rf
•ioae di levarsi la maschera , quando gli Erodiani rimasero superiori
coli1 allontanar dalle torri della muraglia il nimico. Altrimenti , se
Erode fosse qui il perditore , come il sarebbe di fatto , se leggere si
dovesse Anli^nnn in luogo d' Erode , non era ancor necessario , chat
si scoprisse Silone , giacche la sua presenza non dava alcun giova
mento ad Erode , uè alcun danno ad Antigono , a cui avea venduta
t'opera sua; e avrebbe cosi risparmiato il suo onore.
(48) Questi s'ergpvano o per empire le fosse che circondavano la
città; onde poter alle mura accostare le macchine; o per alzare il
terreno ti' intorno alle mura , se queste eran piantate sopra rialti 0
naturali o fatti a mano , come at presente veggiam nelle mura fatta
all'antica. Alzato il terreno, sovr1 esso ponevansi le macchlue ,
perche fossero at piano medesimo, che le mura piantate sopra rialti.
(4o) E con altrettanto le distaccate da quel dell' Arabia.
(5o) Perchè non pagavano a lui ciò , eh' egli doveva in Ior nome
a Cleopatra.
(5i) Cana si legge nel cap. 16 , det lib. i5.
(5.i) Andato tropp' ottre per avventura nett' inseguir qualche parta
delle truppe nimiche.
(53) Cioè pestilenze , fame, trerauoto , ec.
(54) Vedi lib. >5, cap. 8, § a.
(55) Nel lib. i5 , cap. 10 , § 1 abbiamo, che salvo il diadema
oiun altro ornamento e' depose della persona. Io penso, che sicco
me le Antichità Giudaiche sono opera posteriore alla guerra , cosi
quando trovisi contraddizione dall' un^ all'altra, né si possa per
altra via accordare, debbasi prestar più fede alla seconda opera che
alla prima ; perciocché giova credere , che nel compor la seconda ,
siccome posteriore di tempo alla prima , fosse di migliori notizie
fornito, che non quando compose la prima Ma, dirà alcuno, per
chè non ha pubblicate Giuseppe le correzioni degli errori occorsi
nell' opera della Guerra Giudaica ? E chi ci può accertare , eh' egli
non l'abbia fatto , e che i lunghi anni abbiano bensì perdonata alla
prima edizione, perchè riposta nelt' imperiai biblioteca di Tito e però
avuta forse in più pregio ? Sebbene Giuseppe per avventura avrà
inteso , che la seconda sua opera siccome più accurata e distesa
serva di tacita correzione alla prima in que' luoghi, ove n' avesse
mestiere; essendo probabile, ch' egli per non pregiudicar se mede
simo col mostrar poco esatta un' opera presentata att' imperadore e
368 NOTE
eia lui onorata , non abbia rotato pubblicarne un'espressa correzione
positiva.
(56) Spettacoli istituiti da Augusto in Nicopoli città da lui fab
bricata presso Azzio , e celebrati ogni cinque anni in memoria della
vittoria azziaca. La prima Azziade fu celebrata tre anni dopo la
vittoria. Cinqu' anni dopo la seconda,- sicché Erode già era entrato
nel quindicesimo anno del suo regno,-' poiché la vitloria azziaca
cadde nell'anno 6ettimo del suo regno. Dell' istituzione di questi
spettacoli cosi parla Svetonio. Quoque acciacco Victoria memoria
cetebratior et in posterwn essel , urbem Nicopolim upud Actium
mondidit, ludosque iliic quinquennale* inslituil. ' Svet. in Aug.
(57) Di Samaria.
(58) Perchè disertata affatto da Ircano. Vedi lib. i3 , cap. i3
delle Amichila.
(59) Cioè Augusta.
(60) K«<r»<i<a: altri vogliono, che si debbia dir templi: a me
piace piuttosto chiamarle statue ; perchè si fa presto a dir templi ,
ma non si fa cosi presto a farli.
(61) Conti' onde. V. del lib. i5 il cap. i3 delle Antichità.
(62) Cosi a me piace tradurre per più chiarezza.
(63) Ma oriunda Idumea, come abbiamo al lib. i\, cap. ai.
(64) Ecco più chiaramente in vista i motivi e dell' odio d'Anti-
patro contro Mariamme e i suoi figli , e del poco amor di Madam
ine verso d'Erode.
(65) Aristobolo ; e Berenice si chiamò la sua sposa.
(66) Alessandro ; e Olafira ebbe nome la sua. V. lib. 16 , c. 2,
§ 1 Antichità.
(67) E Aristobolo eziandio, come puossi vedere al cap. 7 del
lib. 16 delle Antichità.
(68) Erode. V
(69) Mariamme.
(70) Vale a dire cilizj in segno di povertà e di lutto.
(71) Se vuoi qualche breve contezza, di che fosse il talento ebraico.
Tedi al lib. 7, cap. 11, nota 36 delle Antichità.
(72) A Giuseppe figliuol di Giuseppe e Salome sorella d' Erode.
(73) Ma a torto. Vedi cap. 22, par. 4-
(74) E ciò per l'amistà, che passava tra gli Spartani e i Giudei.
Vedi Antica, lib. 12 , c. 5 e la nota ai.
DEL LIBRO PRIMO 369
(^5) Padre d'Aristobolo , che fu padre d' Alessandro padre di
Mariamme madre de' giovani.
(76) V. netle Antich. al lib. 17 , e. 1, nota 7.
(77) Mariamme.
(76) Erodiade nota abbastanza datt'Evangelio.
(79) Mariamme figliuola di Simone Boeto creato da Erode somma
Pontefice, col deporre che fece Gesù figliuol di Fabeto.
(80) Figliuot di Giuseppe e Salome sorella d'Erode.
(5*) Di sua moglie.
(81) Rossane forse e Salome nominate di sopra al § 4; te quali la
moglie di Ferora probabitmente svillaneggiò cou parole.
(82) V. Antich. lib. 16, e. 16 l'arringa di Niccolò a favore d'Erode.
(83) Se di questo Niccolò brami alcuna notizia, vedi ta nota 17
del lib. 7 delle Antich.
(84) Succeduto ad Oboda.
(85) Cioè d'Acme e d'Antipatro.
(86) Figliuolo di Mattace. ,
(87) Cioè, che se a Cesare non piaceva di toccar punto nulla det
Suo testamento, gli eredi dovessero soggettarsi alle disposizioni, che
in quello aveva egli fatte, prima che a Cesare si presentasse.
(88) Net suo proprio significato di fascia bianca consueta portarsi
anticamente d' intorno at capo per loro insegna da re.
(89) Nelle Antich. lib. 17 par che dicasi, questi stadj esser otto;
ma si de' colà intendere , che tutta la comitiva non andò oltre ad
accompagnarlo , che per to spazio di soli otto stadj .

NOTE DEL LIBRO SECONDO

(1) In luogo dell'oì QtXtt det testo panni di dover leggere ,}


Teluse 1 per non allontanarmi di troppo da ciò, che si legge nel-
V Antich. lib. 17 , e. tì , § 9.
(2) EJ>ùipX>!> irutiir»? , cioè fattoto signore detta nazione.
(3) Qui parmi dover seguire 1' edizione d' Inghilterra nella noia ,
che fa a questo luogo pag. 109, e leggere r«T8 irifi l»fi.)i'»>. Que-
FbAVtO, t. VI. Detta G. G. t. I. a4
3^0 MOTE
sta Giamnia peto io credo, che sia quel borgo nett'atta Galilea, di
cui fa parola il nostro autore nella sua vita. Vedi Mons. Tillemonr
inni, i , nota i j sur le vie de J. C.
(4) Cioè dugento cinquanta mila per una ; dico dramme per dir
qualche cosa.
(5) Non romano di nascita , ma romano , in quantochè stato
schiavo d' un padrone romano ; poiché i Romani non potevano es
sere schiavii
(6) Esseni.
(7) La voce Tiy/t» par , che risponda alla voce ordine , cioè
comunità di persone , che vivono sotto una regola a somigliauza dei
religiosi.
(8) Vuoisi intendere a Dio.
(9) Cioè senza chiamar Dio in testimonio di quel che dice. Que
sto divieto de' giuramenti si deve intendere, che valesse sot quando
circostanze di gran momento noi richiedessero ; perciocché allora
giuravano anch'essi, come vedrassi più sotto.
(10) Difficile cosa è il dar la ragione, perchè gli Esseni custodis
sero i nomi degli angeli : forse perchè se ne valevano o per dar loro
qualche cutto in particolare, o per invocarli sopra gì' mfermi, o
che so io.
(11) Poco assai egli parla de' Farisei , avvegnaché nelle Antichità
rimetta il lettore a quest'opera, se ne brama sapere più per disteso.
Convien dire, né si dirà male, che questo sia un di que' tratti non
pochi, che a ragion si sospettan perduti.
(12) Se brami qualche notizia del primo , ved. lib. 17 , cap. 2 ,
nota 9. Del secondo si tratta a lungo net lib. 18 delle Antica.
(*) Agli anni dell'era volgare 14.
(i3) Tutto questo passo io lo leggo , secondo che il trovo non
nel mio testo, ma presso Eusebio Stor. Eccles. tib. a, cap. 6,
ove citasi questo passo, come tolto di peso da questo luogo.
(i4) Ovvero Corbon dat verbo yy* accostarsi, it cui Dihet yw
vale offerire ; onde Corban significa offerta.
(i5) Agli anni dell'era volgare 36.
(16) La rea femmina, di cui parla l'Evangelio.
(17) Nett'Antichità lib. 18, cap. 9, $ 3 abbiamo, che it
luogo di tale esiglio fu Lione di Francia. Può essere, ch'egli colà
abbia corretto 1' errore commesso qui. Sebbene Zonara dice, eh*
DEL LIBRO SECONDO .òj I
Erode fuggi nella Spagna, e quivi passò di vita. Può dirsi ancora
con Scaligero in Arìunudvers. Euseb. , che prima fosse rilegato in
Francia, e poi per allontanarlo più dalla patria in Ispagna.
(18) Figliuola d'Agrippa. V. lib. 19, e. 5 , § 1 Antich.
(19) E senza la morte, it prevenne un divieto di Cesare. Vedi
lib. 19, cap. 7 , §1,
(20) Colle circostanze descritte negli atti degli apost. e. 12, v. 2[.
("it) Vedi lib. 20, e. 6, § 1, dov'è narrato con circostanze un
poco diverse.
(22) Mon che ambedue fossero al medesimo tempo Pontefici, ma,
come abbiamo avvertito nelle Antichità ; perchè , siccome il ponti
ficato passava or in questa or in quell' altra persona , prima che
1' autecessor fosse morto, cosi tutti quelli, che avean goduto il pon
tificato, ne ritenevano il titolo. Vedi Tillem. tom. 1, nota i5 sur
Pi. S. Jesus-Crist.
(23) Liberto di Claudio Cesare.
(24) L'anno 54 dell'era voi.
(25) L' anno 5o dell' era.
(26) Elia Petina.
(27) Dell' Erode fratel d'Agrippa , natogli da Mariarame , come
più sopra si è detto nel § uli. del cap. 11 di questo libro.
(2') Il Porcio Festo , di cui si legge negli Ani Apost. cap. 24 ,
v. 27 1 e cap. 25, v. 1 e seg.
(28) Cosi detto presso i Siro- Macedoni il nostro maggio.
(29) Da un colle vicino det medesimo nome.
(30) Perchè gentile, e però non concessogli di penetrare troppo
oltre nel Tempio.
(3i) to, se debbo parlare con ischiettezza , non veggo a che pro
posito in bocca d'Agrippa quest' orazione , che mi par tutta aggirarsi
sopra un falso supposto ; cioè che i Giudei sieuo determinati asso
lutamente di rompere co' Romani. Eppure a dalle visite fatte da
Napolitano, e dalle inchieste fatle ad Agrippa apparisce tutto il con
trario. Io credo pertanto, che in questo luogo si sia perduto alcun
pezzo di storia , in cui si sarai! Tacconiate le disposizioni più pros
sime, e le più accertate risoluzioni de' Giudei intorno al voler guerra
co' Romani.
(32) Cadice porto di mare di là dallo stretto di Gibilterra.
(33) Ecco ciò forse, che avrà mosso Agrippa a far quest'orazione;
WOTB
P avere i Giudei negata il tributo ; del che il nostro autore non du
bito punto che avrà parlato prima d' introdurre Agrippa a ragionare ;
ma per la ragione detta di sopra questa notizia non trovasi più,
dov' esser doveva.
(34) Cioè per li Romani.
(35) Cioè obblation delle legna.
(36) L'agosto de' Siro -Macedoni.
(37) Del qual Giuda vedi Autich. lib. 18 , •. I , § *,
(38) Imrtxvs.
(39) Il settembre de' 8iro-Macedoni .
(40) Cioè di giudaismo e di gentilesimo.
(4<) Altri testi lo chiamar! Varo.
(43) Gli anfiteatri allora eran fatti di legno ; nè si cominciò a la
vorarli di pietra, se non ai tempi dell' imperadore Vespasiano. Vedi
il March. Scip. Maff. nella sua Verona illustr. part. 4. l'Il. 1,
cap. 3 e 4-
(43) Appartenente alla tribù di Zàbulon : poiché la Galilea di qua
dal Giordano comprendeva le terre ancora della tribù di Zàbulon.
(44) Tfira.p%\*.
(45) Avverta il lettore, come permise qui Dio, che i Giudei, cai
voleva puniti, vincessero. Appunto perchè la vittoria colla baldanza,
che lor darebbe, avrebbe essi irreparabilmente impegnati nell'armi,
e i Romani accesi insanabilmente a votemeli gasugati. Cosi dicasi in
altri incontri di simil fatta.
(46) Cioè Transj ordanico.
(47) Cioè esploratore, berzaglio , ec.
(48) L'Ottobre dei Siro-Macedoni.
(4cj) Muove dice essere il medesimo città nuova e Bezeta. Il
Villalpando pensa che altro sia città nuova superiore , e quest' era
Bezeta, altro città nuova inferiore , e questa era vicina al Cedron.
Jppar . Urbis ac templi. Tom. 1, c. 16, benché per altro in luogo
di leggere icct) tu'» $t»$tiiré\io , e la città nuova, può leggersi col
Rolando nella sua Palestina Sagr. Tit> «*ì KiitViXn , cioè Be
zeta, che ancora chiamasi città nuova,
(50) Dio presso i Siro-Macedoni.
(51) Fabricamus , si opus erit verba: disse già Cic. nelle acca
demiche. Il fapiti |« del nostro autore non ho creduto poterlo
più espressivamente recare nel nostro linguaggio, ohe coniando la
parola per altro intelligibile di , ^maneggiare t ci' : favorire i Romani.
DEL LIBRO SECONDO 3j>3
(ài) ProTi.ncia detta grecamente Perea input*.
(53) Alta e bassa.
(54) Il nostro storico.
(55) Tabor.
(56) Genesaret.
(5?) Cosi rendo il tépiirfcx del testo, che è voce generica di
moneta.
(58) %pv<ra/; dico dobble , per dire una moneta d'oro, che fac
cia montare la somma rubata a un valor di rilievo.
(5q) Diverso dal nominato al § 3 det capo antecedente.
(6o) Per mezzo d'una tracolla.
(Gì) O mare di Tiberiade , atle cui sponde era fabbricata la
detta città.
(6a) Vedi nella sua vita il § ai , ove tra gli spediti a tal (ine non
trovasi nessun Giuda , ma bensì un Gionata . Dico cosi , perchè it
testo in questo luogo ha Giuda Jìgtiuot di donata.

NOTE DEL LIBRO TERZO.

(i) Tito Flavio Vespasiano nacque l'anno 8 di Gesù Cristo fli


buona, ma non illustre famiglia in un villaggio dei Sabini. Pel suo
valore nell'armi divenne tribuno , questore, ed edile. Entrò nella
grazia di Caligola, fu mandato nella Germania , indi nella gran Bret
tagna , e fu vittorioso. Andò in Affrica colla dignità di proconsole ,
ove si portò assai bene. Nerone seco il condusse nel suo viaggio in
Grecia : ma poscia in Roma essendosi addormentato , mentre I" im
peratore cantava suoi versi perde la sua grazia , e gli convenne na
scondersi in una piccola città. Ma 1' inverno seguente , che cadde
nell' anno 67 di G. C. , nel richiamò per mandarlo in Giudea.
(3) Di Nerone, il quale era figlio adottivo di Claudio.
(3) Nelle soleuni promesse i promettenti da ambe le parti in se
gno della tor fedeltà si toccavan la mano ; it quat uso è conosciuto
anche al presente.
(4) D' Agrippa li.
(5) Posta sut lago di Tiberiade, per cui entra e passa it Giordano.
3j4 n0TE
(G) Tutio it di là dal Giordano della voce n'.ect che vai ottre dì la.
("j) Macherunte fortezza posta sull' alto d' una montagna alla
sponda orientale del mar morto , laddove it Giordano vi perde per
entro l'acque ed il nome.
(8) Polla città situata quasi sul lito orientate det mare o sia lag»
di Tiberiade , verso colà , d' ond' esce il Giordano. Sicché tutto it
lungo della Perea e quanto v'ha dal lago di Tiberiade al mar morto.
(9) Filadelfia altrimenti Rabbat-Ammon , metropoti degli Ammo
niti alle falde occidentati de' monti di Galaat.
(10) jtAnf tsr.t'xs.
(11) T»ir»p%t*s.
(12) Cosi io interpreto sotto la scorta det Nieupoort , che nella
sez. 5 , e. 5, § 3 de' suoi riti romani ha cosi. Pance castrorurn
crani quatuor , prima pretoria , vet extraordinaria hosti apposita ;
eique opposita fuit decumana ; a tateribus duo; porta; principate!
erant dieta a principiis : cosi chiamale dalla via traversale di mezzo
detta principia, ai cui capi erano queste porte.
(ij) Cinque diritte e tre trasversali.
(i.'l) Dinanzi alle tende de' capitani e at pretorio.
(i5) E son posti nella già detta via principia. Vedi Nieup . luogo
cit. e § 1 .
(16) In quoque tentorio , it med. Nieup. tendebant decem mitite*
cttm suo decano , quod proprie contubernium dietimi est, § 2 .
(1') AxlSa. , ctypeum , scudo rotondo.
(18) ®vff«» , dalla voce 3up« , che vai porla, perchè fatto come
una porta, non quadrata, ma semilunare. Lo scudo era largo due
piedi e mezzo, lungo pressoché quattro.
(19) Perchè non impedisse it maneggiare dello scudo panato a
sinistra.
(20) La chiuse in modo , che neppur da tal parte il nimico riu
scire potesse a prendere la città verso il monte 3 dove non era da
muri difesa, ma dalla stessa montagna.
(21) Coi quali aveva per avventura riempiute le fesse intorno
alle mura.
(22) 1l lettore immagini un di quei cavalietti , che adopraDsi a
sostener palchi o armadure, ed avrà con ciò lo sttomento, che so
steneva il grau trave effigiato a montone.
DEL LIBRP TERZO 'ìjS
(*) t ponti.
(23) Onde vedevano, oltre le guardie consuete a vedersi da loro,
tant' altra gente, che circondava fuori del solito la città.
(ij) // firn greco è catdo e secco , ed ha sustanza viscosa.
Creso. 6. 52. i.
(afi; Così nominato presso i Siro-Macedoni il giugno.
(a*) Quel medesimo ch1 indi a troia' anni in circa fu imperadore.
(9.6) Mese Siro-Macedonico rispondente at luglio.
(27) Cioè d'essere ucciso dalla mia spada e dalla mia mano.
(28) Parla da Platonico $ e cosi ancora più sotto.
(29) Cioè negro aquitone.
(3o) Vuol dire , elio il vantaggio non consisterà net soltanto sba
ragliare il nimico, ma nel prendere forse ancor la città.
(3i) O a nuoto, o sopra barche, che per avventura ivi fossero.
(32) Cesarea di Filippo, o Paneade.
(33) Ch'io penso significhi vitta amena ; e it derivo datle voci
193 w7/a , Qy 1 1 che vale essere ameno .
(3*) Tristi amici.' Debole Vespasiano.
(34) In Tiberiade.
(35) Dell' Istmo di Corinto cui disegnava Nerone di tagliare ; ma
il suo disegno non ebbe effetto per cagione delle sue spese superftue.
(36) Mese Siro-Macedonico rispondente al nostro settembre .

UNE BELLE HOTE DEL PRÌMO TOMO.


-

vii

INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO TOMO

LIBRO PRIMO.

P ROEMIO Pag. 5
Càp. 1. Presa di Gerusalemme e disertamento del Tem
pio sotto il re Antioco. Geste di Mattalia e
di Giuda Maccabei. Morte di Giuda . » ta
—- II. Di Gionata, Simone, e Giovanni Ircano suc
cessori di Giuda . » 16
— III. Aristobolo cigne it primo corona, e uccisi
madre e fratello muore dopo un solo anno
di regno . . . , » a*
— IV . Geste d' Alessandro Gianneo in ventisett' anni
di regno » a4
— V. Regna nove anni Alessandra, ed hanno ì Fa
risei il maneggio di tutto » 29
— VI. Cacciato dat regno Ircano erede il' Alessan
dra , regna Aristobolo. Di nuovo il mede
simo Ircano, mercè d'Autipatro, è rimesso
da Areta. In fine per differenze scambievoli
insorte tra' due fratelli, Pompeo n è trascelto
arbitro » 3i
— VII. Pompeo, avuta in potere Gerusalemme s'im
padronisce det Tempio , ed entra nel Santo
de' Santi. Si racconta inoltre, quanto egli
fece in Giudea » 36
3j8 INDICE
Cap. Viti. Alessandro figliuol d' Aristobolo fuggito di ma
no a Pompeo fa guerra ad Ircano, e vinto
da Gabinio rende a lui le fortezze. Fuggito
poscia di Roma Aristobolo raduna eserciti ,
e disfatto da' Romani è condotto a Roma.
Altre cose si narrano di Gavinio, di Crasso
e di Cassio Pag. 4°
— IX . Aristobolo dagli amici di Pompeo è ucciso :
e da Scipione il figliuolo di lui Alessandro.
Antipatro, morto Pompeo, tiene da Cesare,
e soccorrendo Mitridate adopera vatorosa
mente n 4*>
— X. Cesare constituisce Antipatro procuratore della
Giudea. Antipatro fa capitano di Gerusa
lemme Fasaelo , e governatore di Galilea
Erode ; il quale indi a poco viene citato ira
giudizio e assoluto. A Sesto Cesare ucciso
iusidiosamente da Basso succede Murco . » ^9
— "XI. Erode e creato procuratore di tutta la Siria.
Malico uccide Antipatro con veleno. I tri
buni s' inducono a tor di vita Malico . i> 55
— XII. Fasaelo vince Felice, ed Erode disfà Anti
gono. I Giudei accusano Erode e Fasaelo,
che sono assoluti da Antonio e creati te-
trarchi n jo
— XIII. I Parti , riconducendo Antigono nella Giudea
fan prigioni Ircano e Fasaelo. Fuga d'Erode,
sacco di Gerusalemme, e avventure d'Ircano
e di Fasaelo » 6a
— XIV. Erode escluso d'Arabia si volge a Roma; ove
merce di Cesare e Antonio vien fatto re • » 68
— XV. Antigono assedia i rinchiusi in Massada. Erode
tornato da Roma li libera, e tosto incam
minatosi a Gerusalemme vi trova corrotto
dal denajo Silone » 71
— XVI. Erode piglia Sefforim , e sottomette i ladroni
rintanati nelle spelonche . Sdegnato con pta
cherà lo torna in sua grazia , e se ne va ad
INDICE 3^9
Antonio che facea guerra a quetli di Samo-
sata P"g' 3^
Cap. XVII. Morte di Giuseppe pronunziata ad Erode da un
sogno. Come Erode fu ben due volte salvo
prodigiosamente. Taglia la testa a Pappo
uccisore di suo fratello , e la manda a Fe-
rora. Indi a poco assedia Gerusatemme, e
sposa Mariamme ».; 80
— XVIII. Erode con Sosio pigliano a viva forza Geru
salemme. Ciò che v'ebbe a soffrire Antigono.
Avarizia di Cleopatra » 85
— XIX. Antonio spinto da Cleopatra spedisce Erode
contro degli Arabi. Esso dopo molte riprese
vince alla fine. Grande tremuoto, che allora
avvenne "89
— XX. Erode per ordin di Cesare proseguendo a re
gnare gli fa sonluosi regali. Augusto il ri
merita con mia parte del regno toltogli da
Cleopatra e colle terre di Zenodoro, che
aggiunse alle sue . . • . . . - . » 95
— XXI. Città ristorate e fondate di pianta da Erode.
Altre fabbriche da lui fatte. Sua beneficenza
mostrata ancora alle nazioni straniere e sua
grande prosperità » 98
— XXII. Morte d'Aristobolo e Ircano pontefici, e di
Mariamme regina > 106
— XXIII. Calunnie contro i figliuoli di Mariamme. An
tipatici è loro anteposi o, e sono accusati appo
Cesare. Erode si riconcilia con loro . . » 109
— XXIV. Frodi d' Antipatro e di Doride. Per cagion di
Glafira è odiato Alessandro. Ferora avuto in
sospetto e Salome accusata ottengono per-
donaoza. Esame di due servi d' Erode e pri
gionia di Alessandro " "4
— XXV. Archelao racconcia Alessandro e Ferora con
Erode » 131
— XXVI. Euricle accusa calunniosamente i figliuoli di
Mariamme. Niente può in lor favore Evarato
Coo, che li difende » ia5
38o INDICE
Cip. XXVII. Erode con facoltà avuta da Cesare accusa in
Berilo i suoi figli , i quati senza esser citati
in giudizio son condannati , e indi a poco
spediti a Sebaste e strozzati . . . Pag. i3i
— XXVIII. Antipatro odioso a tutti. I figliuoli degli uccisi
prom-ssi dal re a sue parenti. Altre nozze
macchina Antipatro. Mogli e figliuoli d' E-
rode » i35
— XXIX. Antipatro diviene insofferibile. E mandato a
Roma cot testamento d'Erode. Ferora per
non abbandonare la moglie abbandona il
fratello : sua morte ai!*}
— XXX. Mentre Erode mette ad esame la morte di
Ferora , scopre che Antipatro ha preparato
a lui stesso it veleno. Doride e Maria mme
trovate trai complici sono cacciate ; ed Erode
figliuolo delt'ultima escluso dal testamento » ijj
— XXXI. Battilo accusa Antipatro. Egli non Io sapendo
ritorna da Roma. Erode gl'intima di com
parire in giudizio » llfi
— XXXII. Antipatro accusato dinanzi a Varo e con ma
nifestissime prove convinto. Erode ne dif
ferisce il supplizio fino a ricoverata la sua
salute, e intanto rifa it testamento . . » i5a
— XXXIII. È atterrata l'aquila d'oro. Crudeltà di Erode
vicino a morte. Tenta d'uccidersi di sua
mano. Ordina che sia morto Antipatro.
todi a cinque giorni muore ancor egli . « i5o

LIBRO SECONDO.

6ir. I. Archelao per la morte d' Erode dà un ban


chetto al popolo. Indi levatasi a gran ro-
more la plebe, te manda contro la soldate
sca , e ne uccide intorno a tremila . . » ilio
-» II. Archelao con gran moltitudine di congiunti
va a Roma. Ivi accusato da Antipatro presso
Augusto ne parte assoluto mercè di Nicolò,
che il difenda » iflj}
INDICE 38!
Cap- III- Appiccano gran battaglia i Giudei co' soldati
di Sabino; grande macello di gente in Ge
rusalemme Pag- 17Ì
— IV. Ammutinamento de' Veterani di Erode. La
dronecci di Giuda. Simone e Atronge si
usurpano il nome di re » 177
— V. Varo accheta i Giudei sediziosi , de' quali
mette in croce intorno a duemila . . » 179
— VI. I Giudei accusano Archelao, e chieggono go
vernatori romani. Sono esauditi. Cesare di
stribuisce a1 figliuoli il. Erode gli averi pa
terni giusta il volere del padre ...» 180
— VII. Avventure del finto Alessandro. Esiglio d'Ar
chelao, e morte di Glufìra:, l'uno e 1' altra
avvisatine prima da un sogno . . . . » i85
_ Viti. La signoria d'Archelao recata a provincia.
Ribellione di Giuda galileo. Tre sette giu
daiche o 189
— IX. Morte di Salome. Città fondate da Erode e
Filippo. Movita fatte da Pilato. Prigionia di
Agrippa sotto Tiberio. Gajo lo libera e fallo
re. Esiglio d'Erode Antipa . . . . » 19S
— X. Gajo vuole, che pongasi la sua statua nel
Tempio. Come in ciò si portasse Petronio » sor
— XI. Dell'impero di Claudio, e det regno ci' A-
grippa. Morte d' -Agrippa e d'Erode, e lor
figli 1 305
— XII. Molte turbolenze sotto Cumano sedate da Qua
drato. Felice procuratore della Giudea. A-
grippa dal regno di Calcide è trasferito a
un maggiore » 208
— XIII. Nerone aggiugne al regno d' Agrippa quattro
città. Il resto della Giudea è sottoposto a
Felice. Rivoluzioni prodotte da'sicarj, dai
maghi, e dal falso profeta egiziano. Con
tesa tra Giudei e Sirj in Cesarea . ...» 2i3
— XIV. A Felice succede Festo, e a Festo Albino,
e ad Albino Floro , che colla sua crudeltà
sforza a pigliar 1' armi i Giudei ...» 217
38:» INDICE
Cap. XV. Berenice indarno supplica a Floro, che per
doni ai Giudei. Come spentasi la sedizione
Floro la riaccende P*S. 2»4
«« XVI. Cestio manda Napolitano tribuno a spiare gli
andamenti derGiudei. Agrippa tien loro par
lamento per distornarli dal muover guerra
a' Romani n 228
— XVII. I Giudei danno cominciamento alla guerra
contro i Romani. Si parla di Manaemo. ,, j\i
— XVIII. Disavventure e stragi de1 Giudei dappertutto.
Mossa di Cestio contro di loro . „ a5r
—> XIX. Imprese di Cestio coatro i Giudei. Come po
stosi ad assediare Gerusalemme improvvi
samente ne parte Ciò, che nel suo ritorno
ebbe a soffrir da' Giudei „ 261
— XX. Cestio manda ambasciadori a Nerone. I Da
masceni passano a fìl di spada i Giudei ,
che vi vi: vaii Ira loro. I Gerosolimitani, in
segnito Cestio , tornano in città , e messala
bene in concio per la difesa creano assai
capitani, tra' quali In scrittore di questa sto
ria. Si dicono alcune cose dell'amministra
zione di Giuseppe „ 269
— XXI. Si parla di Giovau da Giscala. Giuseppe si
contrappone alle insidie di tui , e rimette
molte città ribetlate ....... 27$
"« XXII. I Giudei s'allestiscono per la guerra. Simone
figliuot di Giove si dà atte ruberie . . „ a85

LIBRO TERZO.

Cap. I. Vespasiano è mandato in Siria da Nerone ,


perchè faccia guerra a' Giudei . . . Pag. 287
— II. Gran macello di Giudei in Ascalona. Vespa
siano viene a Tolomaide , 289
— III. Si descrivono la Galilea, la Samaria e la
Giudea „ ag3
— IV. Giuseppe, assalita Sefforim , è respinto. Ve-
w nuta di Tuo cou grandi forze a Tolomaide „ 296
INDICE 583
V. Descrizione degli eserciti ed accompagnamenti
romani , e d' altre cose , per cui si dà lode
a' Romani Pag. 298
VI. Placido tenta di prender Giotapala , en'è ri-
spinto. Vespasiano entra in Galilea . . „ 3o3
VII , Vespasiano , pigliata Gadara , marcia contro
Giotapata. Dopo lungo assedio, e dopo
1' eccidio di Giaffa e sconfitti i Samaritani
la città cade in suo potere per tradimento
di un rifuggilo ,, 3oj
Vili. Giuseppe tradito da una femmina ama meglio
di darsi in mano a' Romani. Come parlasse
a' suoi , che nel distoglievano , e a Vespa
siano, innanzi a cui fu condotto. Come il
trattò Vespasiano 333
IX. Espugnazione di Gioppe , e resa di Tibe-
riade 3^3
X. Tarichea espugnata. Descrizione del Giordano
e del lago e paese di Gennasar ., . . „ 35o

FINE DELL' INDICE


rrn^rn rrr
ìEiM@ eli

ut
HI
lìl
11
11 1
1 1
Llrll a
a

■I
mi]

HaPP m
XYgftJTCUtf

Potrebbero piacerti anche