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Bravo, Marcelo-Cristianismo e Religioni

Il documento esplora la questione della certezza della fede cristiana in relazione al dialogo interreligioso, sostenendo che la ricerca di unità e concordia tra le religioni è un segno di credibilità della verità. L'autore riflette sulla necessità di un approccio teologico che vada oltre il sincretismo e le limitazioni della teologia tradizionale, proponendo un dialogo che rispetti le singolarità delle diverse tradizioni religiose. Infine, si evidenzia l'importanza del rapporto tra cristianesimo e religioni come una delle sfide principali della modernità nel contesto attuale.
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Bravo, Marcelo-Cristianismo e Religioni

Il documento esplora la questione della certezza della fede cristiana in relazione al dialogo interreligioso, sostenendo che la ricerca di unità e concordia tra le religioni è un segno di credibilità della verità. L'autore riflette sulla necessità di un approccio teologico che vada oltre il sincretismo e le limitazioni della teologia tradizionale, proponendo un dialogo che rispetti le singolarità delle diverse tradizioni religiose. Infine, si evidenzia l'importanza del rapporto tra cristianesimo e religioni come una delle sfide principali della modernità nel contesto attuale.
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Marcelo Bravo Pereira, LC

Cristianesimo
e ioni
Contesto, metodo e riflessione teologica
Biblioteca Fides el Ratio

La domanda di fondo che percorre il testo è se


è possibile o no avere la certezza della propria
fede senza che ciò implichi una violenza al di­
verso. Non dovremmo piuttosto celebrare insie­
Sala di Lettura
Marcelo Bravo Pereira, LC
me il valore del trascendente nel mondo, senza
discutere su quale sia la religione che possiede
la verità? o non sarebbe opportuno ridurre il
problema della salvezza a quello del benessere
spirituale e materiale su questa terra?
L’autore tenta di dare risposta a tali questioni
sostenendo la ricerca dell'unità religiosa e del­
Cristianesimo
la concordia riguardo i valori trascendenti deve
essere per cristiani un segno di credibilità della
verità, che non si possiede ma che possiede. In e Religioni
fin dei conti ogni tentativo di dimostrare con la
forza o con la pura persuasione umana di essere
la vera religione porterà a contraddire la stessa
Contesto, metodo e riflessione teologica
verità di cui il cristiano è portatore.

IFPRESS
Copyright © 2018 by IF Press srl

IF Press srl - Roma, Italy


[email protected] - www.if-press.com

ISBN 978-88-6788-154-3
A MODO DI GIUSTIFICAZIONE BIOGRAFICA

Le riflessioni che seguono ebbero il proprio inizio molti anni


fa. Cominciai a interessarmi delle tradizioni orientali quando a
dodici anni circa, mio padre mi iscrisse in palestra per impa­
rare la veneranda tradizione giapponese del judo. Esso non si
presentava solo come uno sport olimpionico bensì come uno
stile di vita, che combinava alcune perle della saggezza orien­
tale di stampo buddhista con il background cristiano nel qua­
le ero nato. Non era un’iniziazione molto profonda. Non ci si
poteva aspettare molto da una palestra di judo situata in un
quartiere popolare di una capitale sudamericana. Ma l’interes­
se per l’oriente, per la ricerca dell’equilibrio, per il cammino
soave (ecco il significato della parola judo) partirono da lì. Jigo-
ro Kano, fondatore del judo, seppe riassumere in una tecnica
di combattimento e di difesa tutta la profondità della cultura
buddhista, rendendola comprensibile perfino ad un adolescen­
te apprendista di sensei di un sobborgo di Santiago.
Più avanti, quel giovane judoka entrò in una congregazio­
ne per diventare sacerdote e religioso. Dopo il primo anno di
noviziato ricevetti in dono l’enciclica di Giovanni Paolo II,
Redemptoris Missio, appena pubblicata. Il giovane novizio di­
vorò il volumetto, edito in spagnolo dalle Paoline, che ancora
oggi conservo, pieno di segnalazioni e sottolineature a matita.
A quel tempo non sapevo che sarei andato a finire tra i libri,
con un futuro accademico che mi avrebbe portato a fare una
tesina di baccalaureato in teologia sul libro di Jacques Dupuis,
Cristianesimo e religioni, né che avrei completato i miei studi
teologici con la tesi di dottorato sul tema del metodo teologico

3
Cristianesimo e religioni

applicato alla comprensione storica delle religioni, seguendo le


tracce teologiche e pastorali di Jean Daniélou.
All’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum si aprì, intorno
al 2000, un programma di studio in Chiesa, ecumenismo e reli­
gioni, il cui direttore e ideatore £u il prof. Joan-Andreu Rocha
Scarpetta, specialista catalano nel dialogo interreligioso. Dal
2008 collaborai al master con alcune conferenze riguardo l’in­
duismo, il buddhismo e i movimenti religiosi di matrice gnosti­
ca. Merito di quel corso fu il tentativo, non solo di presentare le
varie tradizioni religiose, ma anche di fare uno studio compara­
tivo intorno a temi quali la salvezza, la concezione della storia
e dell’escatologia, la sacramentalità, ecc.
Via via che approfondivo gli argomenti sul pluralismo re­
ligioso, mi sono accorto ben presto di un problema di fondo
nei teologi che proponevano un cambiamento radicale di pa­
radigma nella comprensione delle religioni da una prospettiva
cristiana. Da una parte, diventava evidente che la soluzione
della teologia tradizionale non riusciva a rendere ragione fino
in fondo della problematica e quindi era necessario cercare
nuove strade. Dall’altra, i problemi di Knitter, Hick, Panikkar,
e altri, non riguardavano tanto il “sincretismo” - problema tra
l’altro molto presente a livello popolare - bensì avevano a che
vedere con il loro approccio teologico. Detto in modo sinteti­
co: mi sembrava che i loro problemi non si trovassero davanti
- il pericolo del sincretismo nell’incontro con le altre religioni
-, bensì dietro di loro, nei presupposti filosofici e metodologici
studiati nei grandi centri teologici europei. Non credo di essere
troppo azzardato se affermo che nella teologia del pluralismo
religioso il problema non è tanto l'india, bensì la Germania. Vale
a dire, il background filosofico del novecento tedesco, per cui
assumendone i presupposti filosofici, svuotavano ancora una
volta il problema. Infatti, la concezione heideggeriana di verità

4
A modo di giustificazione biografica

e l’approccio storicista alla realtà umana, non sembrano essere


validi per capire il mistero delle religioni non cristiane sul pia­
no salvifico perché, di fatto, non permettono di risolvere molto
in quanto si preclude una conclusione definitiva e valida al di
fuori del contesto storico. In questa filosofia il soggetto resta
rinchiuso nelle proprie rappresentazioni mentali e nel proprio
“mondo”. La loro soluzione divenne una “non ricerca” della
soluzione, che si compiace di accontentare tutti perché nessu­
no può uscire dalla propria tradizione.
Ma non è questa l’unica via percorribile. Tra la salvezza
solo per l’appartenenza alla Chiesa, e chi propone che tutte le
vie conducono al mistero ci deve essere una via media. Orbene,
se esista o meno una terza via nello studio delle religioni, non
è lo scopo del presente manuale. Non si troveranno molte in­
tuizioni nuove o grandi scoperte. In fin dei conti, si tratta solo
di un modesto lavoro raccolta di dati, motivato dal mio grande
amore verso la Chiesa e pieno di ammirazione per le religioni
non cristiane.

Roma, 22 maggio 2018


INTRODUZIONE GENERALE

Alla soglia del terzo millennio - e fino al 2005 circa - c’è stato
un autentico boom di pubblicazioni sul rapporto tra cristia­
nesimo e religioni. Gli scritti di Daniélou e di de Lubac, di
von Balthasar e di Rahner, con la loro teoria inclusivista del
compimento, erano stati, nella seconda metà del secolo XX, un
primo passo di riflessione, senz’altro valido, ma insufficiente
per intraprendere un vero dialogo interreligioso che rispettasse
la singolarità delle altre religioni e il pluralismo de facto che
era ormai considerato come un dato assodato. Dalla fine degli
anni Ottanta e fino al duemila qualcosa era cambiato. Il più
importante teologo di questo periodo, in ambito cattolico - al
confine tra inclusivismo e accoglienza della pluralità -, è stato
senza dubbio P. Jacques Dupuis, un uomo di dialogo che ten­
tava di armonizzare le esigenze di unicità e universalità della
redenzione di Cristo, Figlio eterno del Padre, con la possibilità
di raggiungere Dio per altre vie “a solo Dio note”.
Vie note solo a Dio. Questa espressione del Concilio Va­
ticano II apriva una nuova era nella “teologia della salvezza
dei non cristiani”. C’erano, dunque, delle altre “vie” oltre alla
via ordinaria di salvezza, tramite il battesimo e la confessione
della fede. La visione pessimista della “massa dannata” veniva
radicalmente ridimensionata. C’erano vie di salvezza per i non
cristiani, anche se queste vie erano conosciute solo a Dio.
Era ovvio che qualunque teologo di professione - e di vo­
cazione - sarebbe rimasto “positivamente” insoddisfatto di
fronte a questa affermazione conciliare. “Positivamente” nel
senso che ogni scienza nasce come frutto di una insoddisfazio­
ne davanti a una realtà che si presenta come misteriosa. E vero:

7
Cristianesimo e religioni

le vie sono note solo a Dio, ma, non sarebbe possibile avere
qualche scorcio di luce se facessimo alla rivelazione divina le
domande giuste?
Certo, l’insoddisfazione ha spinto tanti a continuare la ri­
flessione sulla Scrittura e la Tradizione, seguendo lo schema
classico dell’auditus fidei - intellectus fidei. Ma neanche quel­
lo bastava. Per molti, era necessario andare oltre; rivedere il
metodo di accostamento alla Rivelazione e ridimensionare le
fonti, intaccando così il bastione sicuro della teologia tradizio­
nale. Superare il metodo classico di fare teologia, servirsi delle
scienze ausiliarie - come si diceva allora -, partire dal contesto,
cercare nuovi loci theologici... Guardare oltre Aristotele, e ol­
tre San Tommaso - oltre il Gesù dei Vangeli! -. Se la nozione
scolastica di verità, più aristotelica che biblica - a dire di alcuni
- non era in grado di far progredire la conoscenza del miste­
ro, era auspicabile riflettere a partire da altri criteri e da altre
basi filosofiche. Ecco che la nozione di verità heideggeriana e
l’ingresso della filosofia ermeneutica in teologia sembravano
costituirsi come una nouvelle dge de la théologie, titolo pro­
grammatico di un’opera di Claude Geffré.
L’entusiasmo per i nuovi metodi portò alcuni teologi cat­
tolici a spingersi fino ai limiti dell’ortodossia ufficiale. Se tra i
teologi protestanti ormai si era passato il Rubicone - espressio­
ne cara a P. Knitter - perché non spingersi oltre? Il passaggio
da un pluralismo de facto a un pluralismo de iure significò in
qualche modo relativizzare delle verità e dei principi saldi della
fede cristiana. L’universalità di Cristo, unico salvatore - articu-
lus stantis et cadentis ecclesiae, per usare un’espressione presta­
ta da un altro contesto - fu messa in discussione, relativizzata.
La congregazione per la dottrina della fede dovette intervenire.
Il primo a subire censure fu lo stesso Jacques Dupuis, forse il
più interessante e profondo teologo del pluralismo religioso.

8
Introduzione generale

C’è chi pensò a un castigo esemplare, un capro espiatorio. Si


scrissero dei libri e articoli per difendere l’ortodossia - o al­
meno la sincerità teologica - del gesuita belga, spacciato come
eretico da alcuni1.
Poi Dominus Iesus ebbe l’incarico di ricordare quali erano
i binari entro i quali si poteva parlare di una teologia cattolica
del pluralismo religioso. Unicità e universalità della mediazio­
ne di Cristo, unicità del disegno di salvezza del Verbo e dello
Spirito Santo, universalità della mediazione della Chiesa... Da
allora in avanti, qualunque proposta teologica sul rapporto tra
cristianesimo e religioni dovrà tenere conto di queste verità.
Dopo Dominus Iesus, sembrò che la teologia del pluralismo
religioso avesse perso un po’ l’impeto dei decenni precedenti.
Fu costretta a una pausa di riflessione. I volumi scritti dal 2005
circa fino ad oggi si limitano a ripetere la storia della vicenda e
le varie proposte, sintetizzate in tre grandi correnti: esclusivi­
smo, inclusivismo, pluralismo12.
Le pubblicazioni degli ultimi anni si sono incentrate so­
prattutto sul comparativismo oppure sui problemi di indole
sociale: la pace, la costruzione di una civiltà umana, la difesa
della vita, l’ecologia. Qua e là ci sono stati alcuni autori che
hanno fatto delle proposte, ma non hanno raggiunto i livelli dei
teologi degli anni Ottanta e Novanta3.
1 Cf. J. Dupuis, Perché non sono eretico. Teologia del pluralismo reli­
gioso: le accuse, la mia difesa, volume preparato da W.R. Burrows, EMI,
Bologna 2014.
2 II presente studio si colloca in questa linea compilatoria.
3 L’articolo di Wasim Salman, «Per un pluralismo inclusivo e una te­
ologia postmoderna del dialogo», RT 26 (2015), 7-26, ne è un esempio.
Quasi tutti gli autori riportati appartenenti alla “teologia postmoderna del
dialogo” si collocano nei quindici anni che vanno dal 1990 fino al 2005. La
stessa cosa si può dire dell’articolo di Calogero Caltagirone, «Il Salva­
tore e le vie di salvezza, configurazione del tema nell’attuale teologia delle
religioni», RT26 (2015), 27-95. Il libro di Marcello Di Torà, Teologia del-

9
Cristianesimo e religioni

Non siamo sicuri se i tempi siano maturi per riproporre il


problema del rapporto tra cristianesimo e religioni in ordine
alla salvezza, la teologia non progredisce in modo lineare bensì
secondo gli impulsi dello Spirito che soffia dove vuole. In ogni
caso, crediamo che il tempo è sempre opportuno per tentare di
entrare nel mistero della Volontà salvifica di Dio e vedere che
passa.

le religioni, linee storiche e sistematiche, Dario Flaccovio editore, Palermo


2014, è più aggiornato, ma non varia riguardo agli articoli precedenti. La
sua parte storica si ferma al 2000, anno della pubblicazione della Dominus
Iesus.

10
CRISTIANESIMO E RELIGIONI:
ATTUALITÀ E CONTESTO STORICO-CULTURALE

Il problema del rapporto tra cristianesimo e religioni è stato


considerato il tema teologico del periodo di passaggio tra il
ventesimo e il ventunesimo secolo. Nonostante negli ultimi
anni sembra che l’interesse sia diminuito, esso resta sempre di
primaria importanza. Scrive M. di Torà:
E ormai un dato acquisito che essa rappresenta oggi - in­
sieme alla bioetica, alla riflessione sull’identità della propria
esperienza cristiana sullo sfondo del contesto multireligioso,
nonché alla ricerca del cosiddetto «Gesù storico» - una delle
più grandi sfide che la modernità pone, all’inizio del terzo
millennio, alla comunità dei credenti. A dimostrarlo è la va­
stissima letteratura, la cui produzione «ha conosciuto [...]
una sorta di esplosione negli ultimi decenni, segnatamente a
partire dal Vaticano II»1.

Sono ormai d’obbligo gli incontri tra il Santo Padre e i rap­


presentanti delle altre religioni e i continui richiami al dialo­
go nei documenti pontifici. Papa Francesco nella Laudato Sii,
scrisse riguardo al nostro tema al punto V, alla fine del quinto
capitolo (“Le religioni nel dialogo con le scienze”). L’esorta­
zione apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI dedica i
numeri dal 117 al 120 alla “Parola di Dio e dialogo interreli­
gioso”.
La Chiesa riconosce - ci insegna l’esortazione - come parte
essenziale dell’annuncio della Parola l’incontro, il dialogo e1
1 M. di Torà, «La teologia delle religioni. Bilanci e prospettive alla
luce della Dominus Iesus», Sapienza 58 (2005), 4-5.

11
Cristianesimo e religioni

la collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, in


particolare con le persone appartenenti alle diverse tradizioni
religiose dell’umanità, evitando forme di sincretismo e di re­
lativismo e seguendo le linee indicate dalla Dichiarazione del
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, sviluppate dal Magistero
successivo dei Sommi Pontefici.

Uno dei motivi che giustifica l’attenzione prestata alle re­


ligioni è il rapporto tra “dialogo e annuncio”. Se le religioni
sono portatrici di elementi di grazia e di verità, quale sarebbe
il senso della missione? Varrebbe la pena evangelizzare in un
contesto di pluralismo religioso, non solo di fatto, ma anche de
iure'? Tenteremo di dare una risposta lungo queste pagine. Per
il momento ci limitiamo a constatare il fatto e a rilevare alcune
delle cause di questo interesse.

Motivi storico-sociali
Un primo motivo storico che ha fatto emergere il problema
del rapporto tra cristianesimo e religioni è la decolonizzazione
e la progressiva presa di coscienza culturale dei popoli non oc­
cidentali. La decolonizzazione di una buona parte dell’Africa
e dell’Asia accadde negli anni Settanta. Da allora i nuovi stati
nazionali stanno ancora tentando di definirsi culturalmente e
politicamente, non sempre con successo. In questo processo
di riappropriazione delle proprie radici bisogna includere le
proprie tradizioni religiose, lasciate in silenzio di fronte al fe­
nomeno di cristianizzazione e rinate con vigore nel presente.
Non dobbiamo dimenticare, d’altra parte, che il colonia­
lismo dei paesi occidentali si servì sovente del cristianesimo
come strumento di dominazione culturale. Con il sorgere delle
giovani nazioni anche il patrimonio religioso di questi popoli

12
Cristianesimo e religioni: attualità e contesto storico-culturale

prese nuovo vigore, tante volte però come contrapposizione


alla religione cristiana imposta dalle potenze occidentali.
Un altro motivo è stato la globalizzazione e la ricerca dell’u­
nità del genere umano, che si è accentuata nelle ultime decadi.
Siamo ormai in un contesto di “villaggio globale”, dove l’infor­
mazione arriva fino agli angoli più sperduti della terra. Questa
globalizzazione, che si è incrementata con le nuove tecnologie
dell’informazione e che con internet raggiunge ormai ogni an­
golo della terra.
Questo processo di incontro culturale è cominciato più di
un secolo fa. In ambito religioso, il World Parliament of Reli­
gions (Chicago, 11-27 settembre 1893) che radunò esponenti
di ben 16 tradizioni religiose, segnò un punto di svolta nel cam­
mino della ricerca della concordia tra le religioni23.
Questi eventi hanno segnato un cambiamento epocale con
la conseguente crisi della coscienza occidentali. Con la Seconda

2 “The solemn charge which the Parliament preaches to all true believ­
ers is a return to the primitive unity of the world... The results may be far off,
but they are certain” (John Henry Barrows, 1893), citato in https://parlia-
mentofreligions.org/parliament/chicago-1893 [2/10/2016].
H primo parlamento delle religioni fu organizzato dalla Chiesa presbi­
teriana e dalla Chiesa Cattolica degli Stati Uniti con l’approvazione di Le­
one XIII. Partecipò anche Società teosofica (di Henry S. Olcott e Helena
Blavatski). Cento anni dopo, nel 1993, se ne è tenuto un altro a Chicago. Poi
altri tre sono stati organizzati a Città del Capo (1999), Barcellona (2004),
Melbourne (2009) e a Salt Lake city (2015). Le intenzioni degli organizza­
tori era quello di avviare un “pacifico scambio di idee e di sentimenti; una
lezione di tolleranza; importanza di un’intesa tra le differenti religioni. Ma
tra gli organizzatori, sia presbiteriani che cattolici, era presente anche un’al­
tra intenzione, nata dalla visione delle battaglie dei militanti europei per la
laicità: quella di insistere sul patrimonio religioso dell’umanità, mostrando
come l’irreligiosità e il materialismo fossero contrari alle idee fondamentali
dell’uomo” (J. Ries, 1 cristiani e le religioni.452).
3 Cf. G. Rota, «Per una teologia cristiana delle religioni», Teologia, 26
(2001), 259.

13
Cristianesimo e religioni

guerra mondiale crolla il progetto di fare della “Ragione posi­


tiva” - la scienza come tecnica, innalzata al fondamento del sa­
pere - il principio e il fondamento della verità, anche di quella
teologica. Si passa da una ragione “assoluta” a una relativizza-
zione della ragione che porta a una decomposizione dell’unità
intellettuale. Esiste la globalizzazione che cerca un tipo di unità
pratica, ma a livello intellettuale stiamo andando non verso l’u­
nità ma verso un amalgama di cosmovisioni. L’unica cosa in cui
siamo veramente d’accordo è che il luogo originario della ve­
rità diventa l’esperienza del singolo e questa è sempre mediata
dal contesto storico. E dunque impossibile uscire dalla storicità
per approdare ad una verità universalmente riconosciuta.

Il cristianesimo debole
Senza una nozione forte di verità a livello culturale, cade
anche la coscienza di una rivelazione oggettiva. Da qui sorgono
una serie di conseguenze che viviamo oggigiorno: in molti am­
bienti sembra che si stia perdendo la motivazione fondamen­
tale della catechesi, che viene ridotta ad una occasione per fare
“esperienze” di condivisione e non più un tempo per acquisire
i contenuti fondamentali della fede. La conclusione alla quale
si arriva è la fragilità della fede, ad una specie di cristianoliqui-
dità\ cristiani senza le basi elementari della dottrina cristiana,
che aderiscono ad una “fede liquida”, fondata sul primato del
sentimento, nell’accettazione dell’eresia del benessere, nella
confusione tra la vita di grazia e la salute emotiva e psicologi­
ca. In questo contesto di debolezza della coscienza cristiana, il
New Age - o il suo erede solipsista chiamato “next age” - offre
una soluzione succedanea alla sete religiosa dell’uomo. Il New

14
Cristianesimo e religioni: attualità e contesto storico-culturale

Age, infatti, è una forma religiosa che rinuncia definitivamente


alla ragione4.
Il cristianesimo si affievolisce proprio perché perde il suo
carattere di verità oggettiva sulla vocazione fondamentale
dell’uomo all’incontro con Dio. Il relativismo religioso diventa
il dogma della cultura occidentale postcristiana. Esso è consi­
derato come la maggiore sfida del cristianesimo dei nostri tem­
pi. Il concetto di religione che ha l’uomo di oggi è caratteriz­
zato dal simbolismo e dallo spiritualismo5, tralasciando come
irrilevante la questione della verità. Questo relativismo consi­
dera secondarie le differenze, tante volte essenziali, tra le reli­
gioni perché privilegia solo l’esperienza interiore. Sono i dogmi
a dividerci - dicono - mentre l’esperienza profonda è quella
che ci unisce. Si afferma, per dare un esempio, che Gesù Cristo
è il volto dell’Assoluto che guarda verso Occidente, mentre Al­
lah è il volto di questo stesso assoluto che guarda verso i popoli
mediorientali, come Krishna lo è per i popoli dell’india.
Oggi in molti - afferma Papa Benedetto XVI - sono dell’i­
dea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel
dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace. In que­
sto modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto
che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima
realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume for­
me differenti a seconda delle differenti culture, ma esprime
comunque una medesima realtà. La questione della verità,
quella che in origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui
viene messa tra parentesi. Si presuppone che l’autentica ve­
rità su Dio, in ultima analisi, sia irraggiungibile e che tutt’al
più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con

4 Cf. M. Bravo Pereira, «Gesù Cristo, portatore dell’acqua viva»,


Sacerdos (it) 41 (2004), 19-25.
5 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il Cristianesimo e le religio­
ni del mondo, CantagaUi 2003,21 e 121.

15
Cristianesimo e religioni

una varietà di simboli. Questa rinuncia alla verità sembra ra­


gionevole e utile alla pace fra le religioni nel mondo6.

Una posizione come quella che segnala Benedetto XVI sa­


rebbe “letale” per la fede cristiana: “Infatti, la fede perde il suo
carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli
in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano
all’inaccessibile mistero del divino”7.

Il sorgere delle teologie contestuali e delle cosiddette teologie del


terzo mondo

In queste teologie, come aveva suggerito Jon Sobrino - ed


è stato segnalato dalla Congregazione per la dottrina della fede
-, si abbandonano le fonti tradizionali della rivelazione in favo­
re di altre fonti o luoghi teologici: “la situazione di oppressione
dei popoli”, la “religiosità dei popoli non cristiani”, ecc.8, tra­
scurando quanto afferma la tradizione teologica della Chiesa:
“il luogo teologico fondamentale può esser solo la Fede della
Chiesa; in essa trova la giusta collocazione epistemologica qua­
lunque altro luogo teologico”9.

6 Messaggio del Papa emerito Benedetto XVI per l’intitolazione


dell’Aula Magna ristrutturata della Pontificia Università Urbaniana 21 ot­
tobre 2014, in http://iscrizioni.urbaniana.edu/Urbaniana/News/Benedet-
toXVI_Ita.html [23/09/2016].
7 Messaggio del Papa emerito Benedetto XVI...
8 Congregazione perla dottrina della fede, Notificazione sulle ope­
re del P. Jon Sobrino, s.j. (2006) in http://www.vatican.va/roman_curia/con-
gregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20061126_notification-
sobrino_it.html [23/09/2016].
9 Ibid.

16
Cristianesimo e religioni: attualità e contesto storico-culturale

Crisi della verità e sincretismo religioso

Nella teologia delle religioni il problema della relativizza-


zione della verità è largamente discusso1011 . Per alcuni l’affer­
mazione della verità in materia religiosa facilmente porta alla
violenza che può compromettere la libertà di coscienza. L’im­
pressione preponderante dell’uomo di oggi - afferma Ratzin­
ger - è che tutte le religioni, nonostante la policromia di forme
e di strutture, credono e sono, alla fine, la stessa cosa. Sono solo
le religioni stesse a non rendersene conto11. E quanto accade
con la parabola dell’elefante e i ciechi: ogni cieco tocca una
parte dell’elefante - che non vede -, ed entra in conflitto con
gli altri ciechi che hanno toccato altre parti dello stesso elefan­
te, che neanche loro hanno visto12. Afferma Ratzinger:
Per gli uomini di oggi, la disputa sulle religioni è analoga a
quella dei ciechi dalla nascita. Davanti ai segreti del divino
noi saremmo come nati ciechi. Per il pensiero contempora­
neo, il cristianesimo non offre affatto maggiori certezze ri­
spetto alle altre: al contrario, con la sua pretesa di verità,
sembra ostinarsi nel non vedere il limite che segna ogni no­
stra conoscenza del divino, caratterizzata da un fanatismo
10 Cf. M. di Torà, «La teologia delle religioni. Bilanci e prospettive alla
luce di Dominus Iesus», Sapientia 58 (2005), 8. (3-51).
11 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..20.
12 Così ce la racconta il Card. Ratzinger: “Un giorno, un re nel nord
dell’india riunì tutti i ciechi della città. Poi fece passare davanti a essi un ele­
fante. Lasciò che alcuni ne toccassero la testa, dicendo loro che si trattava di
un elefante. Altri riuscirono a toccarne l’orecchio o la zanna, la proboscide,
la zampa, il sedere, i peli della coda. Dopodiché il re chiese a ciascuno come
fosse un elefante. E, a seconda della parte che essi avevano toccato, rispo­
sero: come una cesta intrecciata... come un vaso... come un vomere... come
un deposito... come un pilastro... come un mortaio... come una scopa.
Poi - continua la parabola - si misero a discutere gridando: «L’elefante
è così; no, è così», si gettarono l’uno sull’altro e fecero a pugni, mentre il re
si divertiva”. Fede, verità, tolleranza..., 170 e ss.

17
Cristianesimo e religioni

decisamente privo di senso, incorreggibile nel confondere la


parte di cui si è avuta esperienza personale con il tutto13.

Questa crisi di verità non riguarda solo la coscienza “laica”,


essa è una crisi del cristianesimo stesso. Infatti, a causa della
stretta relazione tra verità e fede cristiana, ogni crisi di verità
comporta anche una crisi di cristianesimo14.
Riguardo al sincretismo religioso, è un fatto che nelle reli­
gioni si è dato da sempre un doppio movimento. Da una parte
si ha la volontà di conservare le proprie tradizioni più genuine;
dall’altra, esiste la costante tendenza ad impadronirsi di ele­
menti delle altre tradizioni religiose circostanti. Nelle religioni
esiste tutta una storia di interscambi, di traduzioni, di acco­
modamenti... di sincretismo. Accadde tra Grecia e Roma, ma
anche tra il buddhismo e il confucianesimo, tra l’induismo e
l’islam (i sikh, per esempio). Il buddhismo lamaista tibetano è
un mix di saggezza buddhista e tradizioni religiose tibetane, di
sciamanesimo tradizionale e di equilibrio meditativo. In molti
luoghi le divinità sono interscambiabili. Questa, che è la norma
nell’ambito della storia comparata delle religioni, per il cristia­
nesimo è un’autentica sfida. Il cristianesimo si deve incarnare
nelle tradizioni culturali e religiose dei popoli dove si svilup­
pa, ma senza perdere mai la sua essenza. La sfida è quella di
evitare gli estremismi: quello di imporre, nell’evangelizzazione,
il proprio modo culturale di vivere la fede cristiana; e quello
di accondiscendere ad un sincretismo irenico che dà tutto per

13 Ibid.
14 A questo riguardo raccomandiamo il celebre libro di J. Daniélou,
Scandalosa verità (Arkeios, Roma 1994). Esso è una coraggiosa difesa della
verità e della dignità dell’intelligenza umana di fronte allo scetticismo con­
temporaneo. Si legge a pagina 9: “non dobbiamo meravigliarci se la verità è
sempre oggetto d’odio da parte degli uni e di sdegno da parte degli altri. Ma
sotto tanti attacchi, violenti o sottili, il senso della verità finisce con l’essere
ferito nell’anima stessa di coloro che la professano”.

18
Cristianesimo e religioni: attualità e contesto storico-culturale

buono a forza di voler conservar ciò che in ogni cultura vi è di


valido.
Ultima causa, che giustificherebbe la considerazione sul
rapporto tra il cristianesimo e le religioni, viene dal Magistero
stesso e in particolare dalla dichiarazione Nostra aetate del Va­
ticano II, riguardo al rapporto tra il cristianesimo e le altre re­
ligioni. L’influsso del Concilio è decisivo nella sua apertura alle
tradizioni religiose non cristiane, che possono salvarsi - come
si legge nel decreto Ad gentes - “attraverso vie che Lui solo
conosce”15. Nostra aetate è preceduta da alcune affermazioni
della Lumen Gentium che vale la pena riportare sin dall’inizio
del nostro percorso:
Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il
Vangelo, anch’essi in vari modi sono ordinati al popolo di
Dio. In primo luogo, quel popolo al quale furono dati i te­
stamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la
carne (cf. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della
elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di
Dio sono irrevocabili (cf. Rm 11,28-29). Ma il disegno di sal­
vezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e
tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di
avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, mi­
sericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio
non è neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto
nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita
e il respiro e ogni cosa (cf. At 1,7,25-26), e come Salvatore
vuole che tutti gli uomini si salvino (cf. 1 Tm 2,4). Infatti,
quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua
Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto
della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di
lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono
conseguire la salvezza eterna (Lumen Gentium, 16).

15 Ad Gentes, 7.

19
LA VERITÀ DEL CRISTIANESIMO

La rivelazione come punto dipartenza della riflessione teologica

Ogni teologo che pretenda di restare fedele alla tradizione


teologica della Chiesa, in fedeltà al dato rivelato e al Magiste­
ro ecclesiastico deve tener presente tre principi fondamentali.
Quando il teologo vuole approfondire un tema teologico deve
seguire un metodo specifico, ma qualunque sia il metodo, que­
sti principi devono essere rispettati. Secondo Daniélou, san
Tommaso d’Aquino può essere considerato il modello del teo­
logo cristiano, proprio perché nella sua riflessione teologica è
mosso da questi tre principi1.
Il primo principio è il riconoscimento della capacità dell’in­
telletto umano di arrivare alla verità. Senza questa consapevo­
lezza, la teologia non sarà altro che un’analisi del comparire del
divino alla coscienza, senza arrivare mai a una verità oggettiva
riguardo Dio e il suo disegno di salvezza. Non è che bisogna af­
fermare che possiamo conoscere “tutto” su Dio, né tanto meno
ridurre Dio a un oggetto alla portata del nostro intelletto. Dio
non è oggetto di studio, è il Soggetto per antonomasia. Dio è
sempre trascendente e inconoscibile, ma ciò non toglie che ab­
biamo delle conoscenze su Dio che hanno un valore universale
proprio perché corrispondono a ciò che Dio veramente è. Se
il Concilio Lateranense IV ci avvertì che la dissomiglianza tra
il Creatore e la creatura è infinitamente maggiore della somi-1

1 C£. J. Daniélou, «Unité et pluralité de la pensée chrétienne», Etu­


des, 1 (1962), 11.

20
r
La verità del cristianesimo

glianza, ciò non toglie che quel poco che possiamo conoscere
di Dio su questa terra abbia un barlume di verità.
Il secondo principio considera la rivelazione come criterio
ultimo per vagliare ogni “ipotesi” teologica. La Rivelazione,
trasmessa in “modo piscatorio” ha a che vedere con la fede
dei semplici, la quale non deve adeguarsi alle conclusioni dei
dotti - teologi, biblisti, storici, esegeti - ma sono i dotti a dover
rivedere costantemente le proprie conclusioni alla luce di que­
sta fede trasmessa e accolta. La Rivelazione è il punto fermo,
è il criterio di verifica, il fondamento che sostiene ogni sapere
teologico. Qualora ci fosse una contraddizione tra una conclu­
sione teologica e una scoperta dell’esegesi scientifica, il criterio
ultimo non sarà né la teologia né l’esegesi, ma il dato rivelato, la
fede trasmessa e creduta dalla Chiesa e nella Chiesa.
Il terzo principio possiamo chiamarlo “principio della plu­
ralità”. Vale a dire il ricorso a tutte le possibilità dell’intelletto
umano nella comprensione della verità rivelata. San Tomma­
so D’Aquino, contrariamente alla tendenza teologica del suo
tempo, favorì l’introduzione di Aristotele e l’autonomia della
ragione in teologia, ma si servì anche dei filosofi arabi ed ebrei,
senza escludere i neoplatonici né i Padri della Chiesa. Tutto
ciò che poteva aiutarlo nella comprensione della fede è stato
assunto in modo critico ma anche in modo libero.
Per quanto riguarda la teologia delle religioni ci sono due
verità rivelate irrinunciabili. Si potrebbe riflettere sul modo
di capire il significato di queste due verità, ma non possono
essere cancellate o annullate: “Dio vuole che tutti gli uomini
si salvino” (1 Tim 2,4)2 e “chi sarà battezzato sarà salvo”3.
2 Deve essere fermamente creduto come verità di fede cattolica che la
volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta e compiuta una vol­
ta per sempre nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio
di Dio (Dominus lesus, 14).
3 Innanzitutto, deve essere fermamente creduto che la «Chiesa pelle-

21
Cristianesimo e religioni

Due affermazioni che guidano la lettura di tutta la storia della


salvezza: la Volontà salvifica universale di Dio e la necessità
di Cristo e della Chiesa in ordine alla salvezza4. Tutte e due
le verità hanno un’origine nella Sacra Scrittura. Appartengo­
no alla Rivelazione. Tutte e due sono ampiamente confermate
dalla Tradizione. La sfida teologica è quella di stabilire come si
potrebbero conciliare queste due verità, senza annullare una in
favore dell’altra.
Ciò significa che tutte le possibili “ipotesi” teologiche che
si possono proporre devono essere in accordo con queste due
affermazioni tratte dalla Rivelazione e confermate dal Magiste­
ro. Misconoscere una per rivendicare l’altra sarebbe tradire la
complessità del messaggio rivelato. Sarebbe una mutilazione
del Vangelo.
Il Magistero della Chiesa, da parte sua, in quanto deputato
alla corretta interpretazione e alla difesa del depositum fidei,
non ha come missione primaria quella di offrire una risposta
teologica definitiva a questa problematica. Non bisogna con­
fondere il Magistero con la teologia. Il Magistero deve testimo­
niare la fede che ha ricevuto in deposito, spiegarla ai fedeli e
difenderla dagli attacchi che possono insorgere. J. Ratzinger a
questo proposito afferma:
Il Magistero ecclesiale protegge la fede dei semplici, di co­
loro che non scrivono libri, che non parlano in televisione e
non possono scrivere editoriali nei giornali. Questo è il suo
compito democratico: deve dare voce a quelli che non hanno
voce5.
grinante è necessaria alla salvezza (Dominus Iesus, n. 20).
4 Cf. Redemptoris Missio, n. 9.
5 J. Ratzinger, in A. Tornelli, «Il dissenso, la fede dei semplici e il
neo-clericalismo», la Stampa digitale del 27 febbraio 2012, http://www.la-
stampa.it/2012/04/27/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/il-dissenso-
la-fede-dei-semplici-e-il-neoclericalismo-leSouNHYY4aZLsBRxpcH4H/

22
La verità del cristianesimo

Gli interventi recenti del Magistero in materia di dialogo


interreligioso non hanno avuto come fine solamente reprimere
o limitare la riflessione teologica, bensì quello di offrire con
chiarezza i binari entro i quali si può portare avanti con succes­
so questa riflessione.
Questi limiti sono chiaramente contenuti nella dichiarazio­
ne Dominus Iesus:
a. Pienezza e carattere definitivo della rivelazione di Gesù
Cristo (nn. 5-8).
b. Unità indissolubile tra “l’economia del Logos e l’econo­
mia dello Spirito Santo” (9-12).
c. Unità e universalità del mistero salvifico di Cristo (13-
15).
d. Unità e unicità della Chiesa (16-17).
È necessario considerare la trascendenza e le conseguenze
che possono derivare da una soluzione che non rispetti pie­
namente la verità di fede, soprattutto per quanto riguarda la
missio adgentes. Non dimentichiamo che la Chiesa ha ricevuto
la missione di testimoniare la Buona Novella di Cristo a tutte le
nazioni. L’impulso missionario che ha caratterizzato la Chiesa
potrebbe essere compromesso se non si offrono delle soluzioni
adeguate al problema della salvezza dei non cristiani.
Prima di buttarsi nella mischia del dibattito sarebbe op­
portuno fare uno studio delle religioni in quanto tali per non
partire da una “massa indifferenziata” di religioni considerate
solo sotto il profilo della possibilità della salvezza6. Il termine
“religione” è polivalente. Misconoscere la sterminata varietà di
forme religiose potrebbe portare ad una specie di “imperiali­
smo religioso”, vale a dire, considerare tutte le religioni allo

pagina.html [2/10/20161.
6 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza, 15.

23
Cristianesimo e religioni

stesso modo, prendendo come criterio di misura la nozione di


“religione” che si è forgiata in occidente7.
Da una prospettiva cristiana il primo problema da affron­
tare è quale valore assegnare alle religioni in quanto tali. Per P.
Rossano il problema è
se questi complessi socio-dottrinali che sono le religioni pos­
sano considerarsi un mezzo legittimo di rapporto con Dio, e
siano perciò provvidenzialmente disposti da Lui, ed efficaci
a promuovere la salvezza dei loro seguaci8.
In altre parole, la questione è se le religioni entrino dentro
il piano salvifico di Dio come complemento “legittimo” all’al­
leanza fatta con il popolo eletto, e contenuto nelle Sacre Scrit­
ture.
Ma per arrivare a questo problema sono necessari alcuni
passi previ. La commissione teologica internazionale trattò il
tema in un documento del 30 settembre 1996. Secondo questo
documento, per poter avviare a una riflessione cristiana sulle
religioni, il cristiano davanti alle altre religioni deve:
- Comprendere se stesso (natura e missione del cristiane­
simo e della Chiesa).
- Studiare la funzione delle religioni all’interno della tota­
lità della storia della salvezza.
- Esaminare e confrontare con la fede cattolica le diverse
religioni storiche9.

7 Non dimentichiamo che gli stessi nomi buddhismo, induismo, sono


state attribuiti dagli etnologi occidentali a questi universi religiosi ben di­
versi del nostro concetto di religione.
8 P. Rossano, «Le religioni non cristiane nella storia della salvezza»,
La Scuola cattolica (suppl. Bibliog.), 93 (1965), 131.
9 Cf. Commissione teologica internazionale, Christianismus et reli-
giones, 30 settembre 1996, in Enchiridion Vaticanum, Dehoniane, Bologna
1999. Vol. XV, 582-681.

24
La verità del cristianesimo

La pretesa di assolutezza del cristianesimo

Nelle pagine che seguono tentiamo di rispondere, in par­


te, al primo compito assegnato dalla Commissione Teologica
Internazionale. Per quanto riguarda il rapporto con le altre
religioni l’autocomprensione della fede cristiana come verità
assoluta è di somma importanza.
La trama storica dell’umanità è intessuta di religione. La
fenomenologia della religione ci ha mostrato l’universalità del
fenomeno religioso, dando le interpretazioni più svariate. Ha
riflettuto su quale sia il posto della dimensione religiosa nella
vita dell’individuo e della società. La dimensione religiosa ha
l’estensione dell’umanità stessa. Di fronte aWhomo religiosus,
l’uomo irreligioso o l’ateo speculativo - quello che ha appro­
fondito le ragioni dell’ateismo, non il semplice indifferente in
materia religiosa - è una minoranza talmente insignificante che
è irrilevante dal punto di vista statistico, anche se molto più
influente dal punto di vista culturale. L’ateismo contempora­
neo non è che un minuscolo scoglio in un oceano immenso di
religiosità più o meno consapevole e più o meno vaga.
Il cristianesimo nasce in un universo popolato dalle divini­
tà. Ancora di più, nel cristianesimo stesso ci sono tanti elementi
presi dal contesto religioso che lo ha circondato. Non solo dal­
la religiosità ebraica, ma anche dei popoli che entrano lungo
i secoli nel seno della cristianità. Alle volte potrebbe risulta­
re difficile distinguere una processione devozionale cristiana
da una induista! Le virtù religiose di un pellegrino sono più o
meno le stesse, sia che vada a Gerusalemme, sia che vada alla
Mecca o a Vanarasi.
L’azione di Abramo che fa un sacrificio dopo l’incontro con
quel Dio misterioso che gli parla, può servire da icona di quan­
to stiamo dicendo (cf. Gen 12,1.7). Lui riconosce in quella voce
un Dio totalmente diverso dagli idoli della sua nazione, un Dio

25
Cristianesimo e religioni

personale e libero, ma la sua risposta - costruire un altare -


non gli fu chiesta da Dio, fu una sua iniziativa religiosa, che
rispondeva a una sensibilità determinata entro i limiti della sua
religiosità medio-orientale.
Effettivamente, messe sullo stesso piano, il cristianesimo si
colloca come una tra le tante religioni istituzionali dell’umani­
tà. Nonostante ciò, come ha scritto J. Ratzinger, la fede cristia­
na già sin dalle sue origini trovò la sua posizione nella storia
delle religioni. Il cristianesimo vede in Cristo l’unica salvezza
reale e quindi definitiva10. Sin dall’inizio il cristianesimo rifiutò
di collocarsi “accanto” alle altre religioni. Concepì se stesso
come qualcosa di nuovo e di diverso.
Se definiamo la “religione” come lo sforzo per entrare “in
relazione” (religatio) con Dio, il cristianesimo sostiene che solo
la religione del Verbo Incarnato realizza in modo completo, e
perciò definitivo, questa relazione.

a. Radici bibliche della assolutezza della rivelazione cristiana

Il “peccato originale” della religione mosaica

Con questa espressione - il peccato originale della religione


mosaica - ci stiamo riferendo a J. Assmann il quale afferma che
con la religione mosaica si è operato un cambiamento radicale
nella storia delle religioni. Secondo lui, prima dell’avvento di
Mosè la distinzione tra vero e falso nelle religioni non esisteva,
non vi erano religioni o degli dei veri o falsi. Le distinzioni
all’interno delle religioni si riferivano ai concetti di puro-impu-
ro oppure sacro-profano. Ratzinger sintetizza così il pensiero
di J. Assmann:

10 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 17.

26
La verità del cristianesimo

Gli dei delle religioni politeiste sarebbero stati in un rap­


porto di equivalenza funzionale tra loro e sarebbero dun­
que stati interscambiabili gli uni con gli altri. Le religioni
avrebbero avuto la funzione di strumento di traducibilità in­
terculturale. “Le divinità erano intemazionali, perché erano
cosmiche [...] nessuno metteva in discussione la realtà degli
dei stranieri e la legittimità di forme di venerazione stranie­
re. Il concetto di una “religione non vera” era totalmente
estraneo ai politeismi antichi”. Con l’introduzione della
fede-in-un-Dio-unico accade dunque qualcosa di nuovo, di
sconvolgente: questo nuovo tipo di religione sarebbe per sua
natura un’“antireligione”, che emargina tutto quello che la
precede come “paganesimo”, e non il mezzo di una tradu­
cibilità interculturale, bensì di uno straniamento intercultu­
rale. Solo a questo punto si sarebbe costituito il concetto di
“idolatria” come il supremo dei peccati: “Nell’immagine del
vitello d’oro, del “peccato originale” dell’iconoclastia mo­
noteistica [...] è espresso il potenziale di odio e di violenza,
che si è sempre tradotto in atto nella storia delle religioni
monoteistiche” n.

Ovviamente non possiamo accettare la posizione di As-


smann e non è qui il luogo per articolare una critica, per questo
rimandiamo al testo di Ratzinger. Ciononostante, Assmann ci
dice qualcosa di significativo: la fede mosaica ha a che vedere
con la verità. Essa si propone come verità e perciò universal­
mente riconosciuta come verità.
Lo stesso J. Assmann, in un libro più recente fa una distin­
zione tra monoteismo “inclusivo” e monoteismo “esclusivo”11 12.
Il primo sarebbe riconducibile all’espressione “tutti gli dei
sono uno”, mentre il secondo si afferma con “nessun dio al

11 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 224 e ss.


12 J. Assmann, Religione totale. Origini e forme dell’inasprimento puri­
tano, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2017.

27
Cristianesimo e religioni

di fuori di Dio”. La religione ebraica, e con esso i monoteismi


cristiano e islamico, sarebbe alla base del monoteismo esclusi­
vo. Il Dio “esclusivo”, a dire di Assmann, sarebbe geloso, “che
non sopporta accanto a sé altri dei”. Il Dio della Bibbia appa­
re come il “dio della verità” che svuota il valore di ogni altra
espressione religiosa.
Non è intenzione di Assmann dimostrare quale sia il fonda­
mento del “salto culturale” della religione di Mosè. Lui si ferma
solo all’analisi delle forme religiose e alle cause del linguaggio
della violenza proprio delle religioni monoteiste. La comparsa
di questo “Dio geloso” nella Bibbia è per lui solo un fenome­
no letterario. Orbene, se Dio “veramente” si è manifestato a
Israele, se il “vero Dio” ha intrapreso un dialogo storico reale
con una comunità umana, allora si capirebbe come mai Israele
concepì la propria religione come l’unica. Questa singolarità
che lo stesso Assmann riconosce costantemente alla religione
mosaica non è solo un epifenomeno culturale. Ha una causa
storica che cambia decisivamente la vita: la divina conversatio.
La volontà salvifica di Dio di entrare in dialogo con l’uomo tra­
mite un popolo al quale lungo i secoli svelerà progressivamente
il suo volto, fino al culmine in Cristo, dove si rispecchia il vero
mistero di Dio.

Abramo e il sorgere di un nuovo rapporto con Dio

Da un’altra prospettiva, ma complementare a quella di


Assmann, si colloca Mircea Eliade, che nel suo libro II mito
dell’eterno ritorno, spiega l’assoluta singolarità dell’esperienza
religiosa di Abramo che apre a una nuova era nella storia delle
religioni13. Eliade vede infatti le divinità cananee quali dei ar­
chetipici, garanti della stabilità di un ciclo eterno. Per l’uomo

13Cf. M. Eliade, Il mito dell'eterno ritorno, Boria, Torino 19752, 141 e


ss.

28
La verità del cristianesimo

della religione primitiva, le sofferenze e le catastrofi della vita


rientrano come realtà normali all’interno dell’eterno divenire
ciclico della cosmogonia. “Così accadde in passato - pensa la
religione cosmica -, così conviene che accada adesso, e così
sarà in futuro”. Questo è lo schema di comprensione dell’uni­
verso religioso. La sofferenza e la precarietà della vita hanno
il suo posto nel grande ciclo della creazione, conservazione e
dissoluzione dell’universo.
Lo storico delle religioni rumeno analizza il passo del sacri­
ficio di Abramo, perché è proprio lì che lui troverà la singola­
rità della fede d’Israele. Dal punto di vista della storia compa­
rata delle religioni, l’atto di sacrificare il primogenito vi rientra
senza grande difficoltà. Abramo doveva realizzare il rito del
sacrificio del primogenito, così come era prescritto nell’univer­
so religioso cananeo. Da lì si capisce che il primogenito degli
ebrei veniva riscattato, sacrificando un animale in sostituzio­
ne. Orbene, il motivo per il quale Abramo compie il sacrifi­
cio del primogenito non risponde alla logica del mito cananeo.
Abramo non adempie ad un rituale prestabilito. Se porta il suo
amato figlio all’olocausto è per obbedienza a un Dio che non
si presenta più come un essere simbolico e archetipico, bensì
reale e libero, e perciò misterioso e incomprensibile. Incom-
prensibile fino a sembrare assurdo! Abramo crede che dietro
al divenire del tempo esiste una Libertà assoluta e obbedisce a
questa libertà, anche se gli costerà l’amore del figlio. Questo at­
teggiamento fondamentale, che non si riscontra in altri contesti
religiosi, riceve il nome di fede:
Abramo - scrive M. Eliade - non capisce perché gli è richie­
sto questo sacrificio e tuttavia lo compie poiché glielo chiede
il Signore. Con questo atto, in apparenza assurdo, Abramo
fonda una nuova esperienza religiosa, la fede. Le altre (tutto
il mondo orientale) continuano a muoversi in un’economia

29
Cristianesimo e religioni

del sacro che verrà superata da Abramo e dai suoi successo­


ri14.

Questa esperienza porta alla considerazione dell’azione re­


ale e non mitica di Dio nella storia. “Il Dio che si rivela nello
spazio e nel tempo - ci insegna H. Bùrkle - rimane libero e
sovrano rispetto ai vincoli storici, cui si sottomette per libera
scelta”15.

Il Dio biblico è il Dio vivo che interviene nella storia

Questa è la conclusione alla quale si approda: Dio non è


una divinità archetipica al di fuori della storia. Di fatto, nel­
la religione naturale un atteggiamento elementare àéH’homo
religiosus è la fuga mundi, la fuga dal divenire temporale che
va inesorabilmente verso la dissoluzione. Grazie al rito l’uo­
mo esce dal tempo cronologico ed entra nella dimensione del
tempo sacro, tempo ciclico, sempre uguale a se stesso, eterno
presente mitico.
La religione biblica, per contro, concepisce la realtà sacra
senz’altro come un Dio personale, trascendente, perfetto, ma
che ha la caratteristica di entrare nella storia per attirare gli uo­
mini verso di sé. Per la religione giudeo-cristiana la creazione è
il primo atto libero di Dio nella storia, e dà origine alla storia.
La Bibbia è una testimonianza di eventi unici e irrepetibili per­
ché, appunto, storici.
Questi interventi divini partono con la creazione stessa.
Sappiamo che, a differenza delle divinità cosmogoniche caldee,
il Dio della Bibbia non aveva bisogno di creare. Dio è asso­
lutamente autosufficiente e felice in se stesso. Ciononostante,
volle comunicare la sua bontà “verso l’esterno” con la crea­

14 M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Boria, Torino 19752, 143.


15 H. Burkle, L’uomo alla ricerca di Dio. La domanda delle religioni,
Jaca Book, Milano 2000,27.

30
La verità del cristianesimo

zione, non propter bonitatem sibi communicandam, sed prop­


ter bonitatem in alios diffundendam. Dio crea liberamente per
comunicare la sua bontà e far partecipare le creature della sua
assoluta felicità.
Poi con i patriarchi si vede come Dio va conducendo la
storia verso un futuro, secondo la promessa. Con la chiama­
ta di Abramo (cf. Gen 12) comincia la rivelazione della storia
della salvezza. A differenza delle divinità cananee dei popoli
circostanti, il Deus absconditus che gli parla è un Dio vivente
che chiede ad Abramo di sbarazzarsi di tutto ciò che è tradizio­
nale, di tutto ciò che appartiene alla sua cultura religiosa, e di
mettersi in cammino verso un’esperienza religiosa singolare. È
l’abiura degli dei stranieri: “dei di legno e di pietra” (Dt 28,36)
per fondamentarsi nel Dio vivente.
Così tutta la storia da Abramo, passando per i profeti, i
sapienti d’Israele, ecc., è una storia dove il protagonista è un
Dio nascosto che manifesta progressivamente il suo piano di
salvezza.

La Bibbia è il racconto di fatti che manifestano la natura del


Dio vivente

Lo abbiamo anticipato già. La Bibbia diviene così il rac­


conto dei fatti storici che hanno Dio come autore. La novità
della Sacra Scrittura non si trova tanto nella “sapienza” che
manifesta, neanche nella presenza dip^W^rw (modelli) di con­
dotta virtuosa, come potrebbe essere il caso dell’epica greca16.
Nei grandi poemi omerici si raccontano le gesta degli eroi e
degli anti-eroi con il fine di insegnare al greco come ci si deve
16 Per l’interpretazione classica dei miti, cf. R. Ries, I cristiani e le reli­
gioni..., 96-100. A p. 99 si legge che per Plotino “l’immagine è come uno
specchio nel quale viene a riflettersi il modello stesso. U mito è un’immagi­
ne. A tale titolo, dunque, riflette la verità senza essere lui stesso la verità. Per
raggiungere la verità, bisogna superare il mito, ossia bisogna interpretarlo”.

31
Cristianesimo e religioni

comportare nel rapporto con le divinità e con gli uomini. I


personaggi sono modelli di comportamento, rappresentazioni
simboliche di vizi e di virtù atemporali. Nella Bibbia non si
propongono modelli esemplari. Romano Guardini lo eviden­
zia, e J. Ratzinger lo ribadisce: i personaggi della Bibbia non
sono di per sé esemplari: “noi non siamo grandi geni religiosi,
siamo soltanto testimoni della parola”17. Nella Bibbia ciò che è
essenziale non è ciò che fa l’uomo: è Dio che si racconta nella
storia.
Questa singolarità e questa differenza con le altre religioni
si trova nel fatto che - come afferma Ratzinger - il Dio della
Bibbia non è contemplato, come sarebbe accaduto ai grandi
mistici orientali, ma sperimentato come Colui che agisce rima­
nendo nascosto, al buio. Non è l’uomo che ascende per con­
templarlo, ma è Dio che cerca l’uomo in mezzo al mondo. La
Rivelazione biblica non consiste nel trovare una verità, ma nel­
lo scoprire l’azione di Dio stesso che dà forma alla storia18.
Perciò è necessario riuscire ad andare dai racconti biblici ai
fatti che sono narrati. La narrazione può essere studiata con i
metodi esegetico-critici. Il metodo che studia questi mirabilia
Dei è la tipologia biblica e l’interpretazione tipologica dei sensi
della Scrittura19. L’essenza di questo metodo parte dalla con­
sapevolezza che esiste un filo conduttore che ricorre in tutta
la storia della fede e del culto20. Questo filo conduttore porta
verso l’evento cristologico, verso l’incarnazione del Verbo. Se
gli eventi narrati nell’Antico Testamento sono storici - almeno
quelli riconosciuti come tali —, allora essi sono unici, accaddero
una volta sola {semel). Ciononostante, avendo Dio come autore

17 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 40.


18 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 40-41.
19 J. Daniélou, Les figures du Christ dans l’Ancien Testament (Sacra-
mentum futuri), Beauchesne, Paris 1950, cf. Summa Theologica, I, q.l. a. 10.
20 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 100.

32
La verità del cristianesimo

e Signore della storia, questi eventi singolari, sono misteriosa­


mente collegati tra di loro in modo tale che si può osservare
in essi una continuità e una direzione. Così, per esempio, la
traversata del Mar Rosso è in collegamento con il battesimo di
Gesù, con la sua morte e risurrezione e si riaggancia al battesi­
mo cristiano.
Ciò che ci interessa qui è che Israele arriva a conoscere chi
è Dio non tanto, né esclusivamente, attraverso un processo di
approfondimento filosofico-sapienziale, ma grazie a una rifles­
sione sulla propria storia. In questo modo, per fare un esem­
pio, Israele arrivò alla nozione di creatio ex nihilo-. Dio, che dal
ventre morto di una donna sterile (Sara) e da un uomo anziano
e ormai impotente (Abramo) fece sorgere una stirpe, è quello
stesso Dio che si creò un popolo dal nulla, da un ammasso di
tribù votate allo sterminio, quello stesso Dio creò tutto da ciò
che non era, dal nulla. E in questo modo che arriva a scoprire
nel divenire opaco dell’esistenza un piano di salvezza, un dise­
gno e, quindi, una Volontà salvifica.
Accade una cosa simile con la formulazione del mistero Tri­
nitario. Sappiamo che questo termine “Trinità” non compare
nella Sacra Scrittura. Il cristiano arrivò a esprimerla come frut­
to della riflessione sulla vita e sul mistero di Gesù Cristo. Come
scrisse J. Daniélou, il cristianesimo arrivò alla conoscenza della
Trinità Santissima grazie alla riflessione su tre dati di fatto: l’on­
nipresenza del Padre nell’Antico Testamento, la rivelazione del
Figlio nel Nuovo Testamento e la santificazione della Chiesa
che rivela la presenza del Paraclito21. E Ratzinger troverà nel
cristianesimo primitivo questa stessa dinamica nella difesa del­
la propria fede trinitaria di fronte alle eresie. Infatti, di fronte a
proposte che dissolvevano il mistero cristiano, la Chiesa si ag­

21 J. Daniélou, Miti pagani, mistero cristiano, Arkeios, Roma 1995,


135-151.

33
Cristianesimo e religioni

grappò alla testimonianza evangelica, al mistero della preghie­


ra di Gesù, dove compare “il Trinitario”22, non come simbolo
arcano, ma come realtà rivelata.

b. Il carattere assoluto della rivelazione di Gesù Cristo nel Nuo­


vo 'Testamento

Dai Vangeli si evince che Gesù Cristo aveva una chiara con­
sapevolezza della sua missione e della sua natura divina. Am­
mettere delle ignoranze nella coscienza divina di Cristo sareb­
be compromettere tutta la sua missione e sarebbe in contrasto
con il Vangelo stesso. Le presunte ignoranze di Gesù devono
essere capite alla luce dell’insieme del Vangelo e non viceversa.
Tutto il Nuovo Testamento porta alla conclusione che la
rivelazione del mistero di Dio trova il suo apice nella persona
e nei fatti di Cristo. Lui è il Verbo della vita, è Colui che con­
templa il volto del Padre e che, per questo, ce Lo ha rivelato.
Chi vede Cristo vede il Padre. E un dato di fatto: l’assolutezza
del cristianesimo è fondato sull’assolutezza di Gesù Cristo. Il
cristianesimo è Gesù stesso.
Questo carattere assoluto ha il suo fondamento proprio
nella relazione unica di Gesù Cristo con il mistero insondabile
della divinità. Cristo non è un profeta nel senso di uno che
parla o scrive a nome di un altro. Non è un grande genio reli­
gioso, come potremmo dire di Buddha, di Maometto o dello
stesso San Francesco D’Assisi; non scrisse le proprie intuizio­
ni mistiche rispetto alla trascendenza e non fece un catalogo
di comportamento etico con il fine di raggiungere la serenità
dell’anima. Lui è per natura Dio vero da Dio vero. Lui è uguale
al Padre. Per essersi dichiarato Figlio di Dio, e solo per questo,

22 Cf. J. Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo..., 32-33.

34
La verità del cristianesimo

fu condannato a morte dai sommi sacerdoti, perché “tu, che sei


uomo, ti fai Dio” (Gf 10,33).
L’assolutezza del mistero di Cristo ci porta alla considera­
zione del carattere assoluto del cristianesimo in quanto prolun­
gamento della sua azione nella storia. Ci sono alcuni testi del
Nuovo Testamento che fanno riferimento esplicito all’assolu­
tezza del cristianesimo in ordine alla salvezza:
- “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate
dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, inse­
gnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mon­
do” (Àfr28,18-20).
- “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gf 1,18).
- “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre
se non per mezzo di me” (Gv 14,6).
- “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome
dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che
possiamo essere salvati”. {Atti 4,12).
- “per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto provie­
ne e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in
virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per
lui” (1 Co 8,6).
- [Dio] “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino
alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e
uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo
Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tim
2,4-6).
Il cristianesimo primitivo continuò questa scia riguardo
all’assolutezza del cristianesimo. Uno è Dio, uno il mediatore
tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo, quindi il Verbo Incarnato.

35
Cristianesimo e religioni

Per questo divenne naturale affermare che doveva esserci una


sola Chiesa che fosse il luogo proprio della manifestazione di
Cristo e del culto ragionevole a Dio.
Punto culminante di questa consapevolezza della unicità
e universalità della salvezza in Cristo, fu la formulazione del
cosiddetto assioma ecclesiologico fondamentale che compare
già con Origene in Oriente, e san Cipriano in Occidente: extra
Ecclesiam nulla salus.
Conosciamo il contesto di questa affermazione, di cui avre­
mo modo di parlare: coloro che hanno partecipato ai beni della
Chiesa e si allontanano da essa, si allontanano anche dalla fonte
della salvezza23. Non può, infatti, avere Dio come Padre chi
non ha la Chiesa come Madre. Si vede chiaramente che nei
primi secoli l’assioma non si riferiva a coloro che ignoravano
assolutamente il messaggio di Cristo, ma a coloro che essen­
do nella Chiesa, si sentivano poi tentati di abbandonarla. Per
loro non c’è salvezza al di fuori della Chiesa. L’extra ecclesiam
non aveva inizialmente un valore universale. Comunque sia,
questo assioma è stato interpretato dal Magistero posteriore
e dalla tradizione teologica, a partire da Fulgenzio di Ruspe,
come un’affermazione dell’assoluta necessità di Cristo e della
Chiesa per la salvezza. Si legga per esempio il seguente passo di
Cantate 'Domino (4 de febbraio de 1442):
La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessu­
no di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i
pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potran­
no raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno,
preparato per il diavolo e per i suoi angeli (M/ 25,41), se
prima della morte non saranno stati ad essa riuniti; crede
tanto importante l’unità del corpo della chiesa che, solo a
quelli che in essa perseverano, i sacramenti della chiesa pro­

23 cf. J. A. Sayés, Cristianismo y religiones..., 52-55.

36
La verità del cristianesimo

cureranno la salvezza, e i digiuni, le altre opere di pietà e


gli esercizi della milizia cristiana ottengono il premio eterno:
nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se aves­
se versato il sangue per il nome di Cristo può essere salvo,
se non rimane nel grembo e nell’unità della chiesa cattolica.

c. Il Cristianesimo primitivo e il suo rapporto con la verità

D cristianesimo nasce in un contesto giudaico24. Gesù ri­


conosce di dover andare alla ricerca delle pecore perdute del­
la casa d’Israele (cf. Mt 15,24) e ai discepoli comandò di non
andare fra i pagani né di entrare nelle città dei samaritani (cf.
Mt 10,5). I primi decenni della predicazione apostolica post
pasquale furono interamente dedicati ai giudei. Paolo stesso
predicava nelle sinagoghe della diaspora, anche se - curiosa­
mente o provvidenzialmente - destava più attenzione e sim­
patia tra i pagani che tra i giudei. Sembra però che all’inizio
dell’espansione cristiana tutto girasse attorno alle promesse
fatte ad Israele con il fine di risvegliare il messianismo spiritua­
le. Infatti, all’inizio non risultava facile distinguere i cristiani
dall’universo israelitico da dove erano sorti. Per i pagani - i
romani, per esempio - i discepoli di Cristo erano considerati
tutt’al più come una setta giudaica, ma la stessa considerazione
l’avrebbero avuta nei confronti dei nazorei o nazareni le altre
sette giudaiche del primo secolo25.

24 J. Daniélou, nella sua trilogia sulla teologia delle origini cristiane


prima di Nicea manifesta la complessità del processo di inculturazione del
cristianesimo dal contesto prettamente giudaico a quello ellenistico. Qui
semplifichiamo la spiegazione. Cf. La teologia del giudeo-cristianesimo,
Dehoniane, Bologna 2016, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Deho-
niane, Bologna 1975, Le origini del cristianesimo latino, Dehoniane, Bolo­
gna 1991.
25 J. Gnilka tenta di stabilire il significato di nazoreo o nazareno tra i
contemporanei degli apostoli. Cf. J. Gnilka, I nazareni e il Corano, Paideia,

37
Cristianesimo e religioni

I discepoli di Cristo considerarono il loro passaggio alla fede


come uno sviluppo della fede iniziale, come la pienezza della
religione di Israele, come adempimento delle promesse mes­
sianiche. Anche se erano pienamente consapevoli di formare
una comunità particolare26, non sentirono immediatamente il
bisogno di separarsi dal tronco giudaico, né di rifiutare la legge
ebraica o la circoncisione. Gli Atti degli Apostoli ci raccontano
che ad Antiochia i fedeli - che fino a quel momento venivano
chiamati appunto “fedeli”, “discepoli” o semplicemente “cre­
denti” - cominciano ad essere riconosciuti come “cristiani” (cf.
At 11,26).
II motivo storico è piuttosto chiaro: ad Antiochia i cristiani
non provenivano solo dalle comunità giudaiche bensì anche
dai gentili di cultura greca. In quella città non erano più rico­
nosciuti come una setta ebraica ma come qualcosa di originale.
I cristiani, man mano si diffondevano per le provincie romane
si dissociarono da questa origine semitica per entrare totalmen­
te nella cultura greca. Da lì è partito - non senza problemi e
rotture - un fecondo processo di incontro, dialogo e incultura-
zione della fede nel mondo greco-romano, periodo che impe­
gnò i cristiani per i primi 150 anni. L’abolizione dei divieti ali­
mentari e della circoncisione separò definitivamente i cristiani
dagli ebrei. Con questa abolizione si aprì di fatto la porta all’u-
niversalizzazione della fede27. Infine, la caduta di Gerusalemme
nel settanta e poi l’espulsione dalla città santa di tutti gli ebrei,
sotto Adriano imperatore, consumò per sempre il divario esi­
stente tra le due fedi: una legata alla razza, alla circoncisione e
alla giustificazione per la legge, l’altra legata alla circoncisione
del cuore, alla fede in Gesù Cristo e alla comunità spirituale,

Brescia 2012,40-50.
26 Cf. J. Daniélou, La Chiesa dei primi tempi, Lindau, Torino 2017,24.
27 cf. J. Ries, I cristiani e le religioni, Queriniana, Brescia 1992, 18.

38
La verità del cristianesimo

la Chiesa. Tutti e due, cristiani ed ebrei si rifacevano alle stes­


se Scritture e allo stesso Dio. Ma il cristianesimo considerò se
stesso come il compimento delle promesse dell’Antico Testa­
mento, come il vero Israele spirituale di fronte all’ Israele della
carne. Soprattutto concepì se stesso come un’azione divina che
spalancava i muri di divisione aprendosi a tutti gli uomini, sen­
za distinzione di razza, cultura o sesso.
Questo processo di sintesi culturale era già in atto nel mon­
do ebraico. Nella stessa Sacra Scrittura si possono apprezzare
questi tentativi, non sempre facili, di tradurre la fede tradizio­
nale d’Israele nel linguaggio e nella cultura greca. Basti pensare
al libro della Sapienza, da una parte, e alla tenace resistenza dei
Maccabei, dall’altra. La stessa traduzione greca della Bibbia (la
Bibbia dei Settanta) non può essere considerata solo come una
traslitterazione, bensì come una serie di tradizioni bibliche esi­
stenti in se stesse e destinate ai credenti di cultura greca28. Fi­
lone Alessandrino, contemporaneo di Gesù, applicò alla Sacra
Scrittura le categorie filosofiche del platonismo medio facendo
una mediazione tra la sophia veterotestamentaria e il logos gre­
co come ragione creatrice29.
Una cosa è certa: il cristianesimo entrò nel mondo delle
religioni e delle culture con la consapevolezza di aver ricevuto
un mandato universale. Il comando del Signore fu quello di
evangelizzare navxa ra s9vq, tutti i popoli, battezzandoli nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mi 28,19). Il
punto di partenza dell’universalismo cristiano - scrisse Ratzin­
ger - non fu il desiderio di potere, bensì la certezza di aver
ricevuto una fede salvifica alla quale tutti gli uomini potessero

28 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 95. Cf.J. Daniélou, «Le


christianisme et le monde gréco-romain»..., 949.
29 Cf. F. Dunzl, Breve storia del dogma trinitario, Queriniana, Brescia
2007,20.

39
Cristianesimo e religioni

aspirare e che attendono nel più profondo dei loro cuori30. E J.


Daniélou scrive:
Il passaggio della religione di Cristo dal mondo giudaico,
all’interno del quale è apparsa, al mondo pagano è la grande
rivoluzione che riempie il primo e secondo secolo. Questa
rivoluzione fu la conseguenza normale della natura stessa del
messaggio cristiano, il quale non è più l’espressione religiosa
di una cultura, come fu il caso delle grandi religioni pagane,
ma neanche l’elezione da parte di Dio di un popolo in vista
di una missione storica, come fu il caso del giudaismo, bensì
la proclamazione dell’evento escatologico a tutta l’umanità31.

d. Rincontro del cristianesimo primitivo con la cultura greco­


romana

I primi tentativi di incontro culturale con il mondo greco


non ebbero molto successo. Basta vedere il fallimento del di­
scorso di Paolo all’Areopago (cf. At 17, 22-34). Sembra che
San Paolo dopo questa esperienza di superficialità da parte dei
greci (“tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non
avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare”),
si allontanò da questo modo di predicare. Possiamo scorgere
il suo stato d’animo all’inizio della lettera ai Corinzi: “Poiché,
infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua
sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare
i credenti con la stoltezza della predicazione” (iCo 1,21). La
pazzia di Dio è più grande dell’intelligenza dei sapienti.
Nonostante ciò, si apprezza nello stesso Paolo lo sforzo
di traduzione della fede ricevuta in un contesto ebraico per
renderla comprensibile al mondo pagano. Si veda per esempio

30 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 57.


31 J. Daniélou, «Le christianisme et le monde gréco-romain», in Dic-
tionnaire de spiritualità, 1969, 947.

40
La verità del cristianesimo

l’uso del termine mysterion per riferirsi ai sacramenti cristiani


o alla vita di Cristo32; o del termine synergeia per riferirsi alla
cooperazione dell’uomo con Dio, termine stoico per parlare
dell’affinità dello spirito con la sua Causa universale (cf. lCo
3, 9)33.
Di fatto questo incontro andò incrementandosi man mano
che arrivavano i nuovi convertiti dal paganesimo. E quindi an­
che lo sforzo di traduzione si rendeva più necessario. Più pres­
sante ancora era il bisogno di definire ciò che era specifico della
nuova fede. Il cristiano proveniva dall’universo giudaico, non si
identificava però con esso. In primo luogo, perché riconosceva
in Cristo l’adempimento delle promesse messianiche, mentre
Israele oscillava tra una non ben definita speranza religiosa e le
concezioni puramente politiche di questa liberazione. Inoltre,
il cristiano vedeva in Cristo un evento di valore universale. Con
la venuta del Redentore si distruggevano le barriere che sepa­
ravano gli uomini in giudei e gentili. La salvezza veniva offerta
a tutti, senza bisogno di rinunciare alla propria cultura, senza
dover arrivare al vero Dio tramite l’osservanza della legge mo-
saica e della la circoncisione.
La problematica andava in due direzioni. In primo luo­
go, c’era la fatica di spiegare ai gentili il significato dell’opera
redentrice di Cristo. Ai cristiani venuti dall’ebraismo bastava
dimostrare che in Cristo si adempivano le promesse dell’An-
tico Testamento. Con i cristiani gentili, per contro, bisognava
trovare una base comune che servisse per iniziare un dialogo
di salvezza.
D’altra parte, c’era l’opera dei primi cristiani venuti dal
mondo pagano - per esempio San Giustino e Clemente Ales­

32 Cf. J. Daniélou, Le mystère du salut des nations, E. du Seuil, Paris


1948, 49.
33 Cf. J. Daniélou, La Chiesa degli apostoli, Arkeios, Roma 1991,106.

41
Cristianesimo e religioni

sandrino. Per loro la problematica era inversa: come capire la


nuova fede partendo dalle categorie culturali e religiose greche
e come vivere la nuova fede senza rinunciare al proprio stile
culturale greco o romano34.
Avvenne - come abbiamo già detto - che rapidamente la
nuova fede in Cristo si stacco dalle tradizioni religiose, prima
ebraiche e poi pagane, e si presentò di fronte al mondo greco
come una filosofia, come la vera philosophia. Giustino - scrive
J. Daniélou - “rappresenta un tipo nuovo di cristiano: è il filo­
sofo che, convertitosi, conserva le proprie abitudini di pensiero
e il proprio stile di vita”35. Questa trasformazione non significò
un rifiuto delle proprie origini semitiche, ma piuttosto un’in­
tegrazione e un arricchimento. Il Dio geloso con l’amore per
la sua creatura diede al “Nous” della filosofia una concretezza
e una vicinanza all’uomo che non era deducibile dalla filoso­
fia greca. D’altra parte, la filosofia diede alla comprensione del
Dio cristiano le strutture intellettuali che lo resero universale,
al di là dei confini di razza o di cultura.
La religione greca infatti - popolata da dei, semidei, eroi,
ecc. - aveva la caratteristica di insistere nella relazione tra le
diverse sfere della realtà. Le loro divinità entravano in contatto
con gli uomini e si mescolavano con loro ma possedevano tutti
i vizi e le debolezze degli uomini. Si potrebbe affermare che
queste divinità corrispondevano abbastanza bene al processo
di alienazione descritto da Feuerbach: la proiezione alienante
della natura umana senza i limiti della contingenza insita alla
stessa natura {homo hominiDeus).

34 Scrive J. Daniélou {La Chiesa dei primi tempi..., 151): “Giustino,


Atenagora, l’autore dell’epistola a Diogneto appartengono all’ellenismo, per
origini, cultura, modo di vivere. Ritengono di non avervi affatto rinunciato
diventando cristiani, ma al contrario di averne ritrovato il pieno significa-
to .
35 J. Daniélou, La Chiesa dei primi tempi..., 146.

42
La verità del cristianesimo

Per contro, la filosofia greca era giunta alle vette più alte
della riflessione su Dio. Il Dio dei filosofi era il nous, noesis no-
eseos, il pensiero che pensa se stesso e in esso trova la massima
felicità36, lo pneuma, lo spirito libero, la Ratio. Era quindi un
Dio assoluto, unico, immobile, perfetto, eterno, ecc. Il proble­
ma era che questo Dio non entrava assolutamente in rappor­
to con gli uomini. Il primo motore muove come causa finale,
per attrazione, e non come causa efficiente. Aristotele riteneva
inconcepibile che Dio pensasse a cose inferiori a sé. Dio non
pensa all’uomo, non esiste provvidenza.
Il cristianesimo entra in questo universo filosofico-religioso
con la sua visione giudaica della divinità. Il Dio degli ebrei è, un
essere assoluto, unico e perfetto. Si è manifestato, però, come
un Dio geloso della sua creatura; geloso fino al punto di entra­
re nella storia facendosi Lui stesso uomo. La stessa esperienza
della gelosia di Dio verso il suo popolo divenne fondamentale
per la concezione di un Dio uno. Lui è percepito come l’unico
non in quanto il pensiero logico porta verso l’unità di Dio, ma
alla stregua dello Sposo che non accetta che la sua Sposa abbia
altri amori, altri dei all’infuori di Lui. Da questa prospettiva, il
cristianesimo servì da catalizzatore di due tendenze fondamen­
tali del pensiero: quella logico-astratta dell’ellenismo e quella
storico-esistenziale del giudaismo. Il Dio cristiano è Xlpsum
Esse per se subsistens, ma è anche il Dio vicino, il Dio geloso, il
Dio che ha eros, amore appassionato per la sua creatura fino al
punto di farsi uomo. “Dio ha tanto amato al mondo da dare il
suo Figlio” (Gv 3,16): in questa frase si sintetizza il mistero del
Dio cristiano.
La potenza divina che Aristotele - scrive Benedetto XVI -,
al culmine della filosofia greca, cercò di cogliere mediante la
riflessione, è sì per ogni essere oggetto del desiderio e dell’a­
36 La metafisica, libro A 7,1072 b 13-30.

43
Cristianesimo e religioni

more - come realtà amata questa divinità muove il mondo -,


ma essa stessa non ha bisogno di niente e non ama, soltanto
viene amata. L’unico Dio in cui Israele crede, invece, ama
personalmente. Il suo amore inoltre è un amore elettivo: tra
tutti i popoli Egli sceglie Israele e lo ama - con lo scopo però
di guarire, proprio in tal modo, l’intera umanità. Egli ama,
e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come
eros, che tuttavia è anche e totalmente agape37.

e. La vera philosophia e la religio secundum rationem38

Quando un greco si accostava a un cristiano e domandava


“qual è il dio in cui credete?” I cristiani rispondevano: “A nes­
suno di essi”...
Il cristianesimo - scrive J. Ratzinger - non adora nessuno de­
gli dei che pregate voi, ma venera invece quell’Unico e solo
che voi non pregate: quell’Altissimo di cui parlano anche i
vostri filosofi. Così facendo, la chiesa primitiva buttava deci­
samente nella spazzatura l’intero cosmo delle antiche religio­
ni, considerandole un ammasso di imbrogli e di belle ma in­
consistenti fole, e spiegando la sua propria fede così: quando
noi parliamo di Dio, non intendiamo e non veneriamo nulla
di tutto questo; adoriamo invece unicamente l’Essere stes­
so, quello che i filosofi hanno intravisto come il fondamento

37 Benedetto XVI, Deus caritas est, 9.


38 Cf. M. Naro, «Il cristianesimo e le religioni. Spunti per ripensar la
questione della “vera religione”» in Id., La teologia delle religioni. Oltre
l’istanza apologetica, Città nuova, 2013, 9-30. Soprattutto a p. 22: “Para­
dossalmente [...] un grande pensatore cristiano dei primi secoli, Agostino
d’Ippona, affermerà con forza che il cristianesimo è «la» vera religione:
l’unica vera religione. Così come è vera philosophia-, l’unica vera conoscenza
capace di conoscere Dio secondo la sua più intima verità, cioè come il Dio
di Gesù Cristo”.

44
La verità del cristianesimo

d’ogni essere, come il Dio imperante su tutte le potenze: solo


questo è il nostro Dio39.

L. Rodrìguez Dupla lo spiega così:


La fede cristiana non si presentò come un mito in più, come
simbolo o riflesso frammentario di una realtà troppo grande
da essere raggiunta dall’uomo, e neanche ebbe la pretesa di
essere uno strumento al servizio della stabilità politica, bensì
entrò in scena come religione filosofica, illuminata40.

Il cristianesimo si presentò quindi come la vera filosofia op­


pure come la religione secondo la ragione. Ratzinger afferma
che la fede cristiana, nei primi secoli, andò a cercare di pre­
ferenza i propri antenati storici nell’iHuminismo; cioè, in quel
movimento della ragione che si contrapponeva a quella religio­
ne che tendeva al ritualismo41.
La vera filosofia, la vera sapienza42e quindi la vera prassi.
Così vide il cristianesimo San Giustino. Quando fu interrogato
dal proconsole, egli raccontò la sua storia di ricerca della verità.
Lui la cercò, prima nel platonismo, poi nello stoicismo e nell’a-
ristotelismo... Finalmente approdò alla fede cristiana - “Ho
tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera
dottrina”. Il cristianesimo quindi entra nella grande tradizione
di coloro che hanno cercato la verità. “L’atto di fede - scrive
Ratzinger - include sostanzialmente la convinzione che il fon­
damento significativo, il ‘Logos’ sul quale ci collochiamo è pro­
prio in quanto senso del reale la stessa verità”43. E aggiunge H.

39 J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia


1996", 99-100.
40 L. Rodrìguez Dupla, «E1 Contexto filosòfico y cultural de la decla­
ration Dominus Iesus», Salmanticensis, 48 (2001), 437.
41 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 85.
42 C£. H. Burkle, Duomo alla ricerca diDio..., 54.
43 J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo..., 43.

45
Cristianesimo e religioni

Biirkle: “i cristiani sono i veri filosofi perché cercano il divino


immettendolo nella loro esistenza quanto hanno conosciuto”44.
E così che i padri apologisti vedono negli antichi filosofi
dei precursori della venuta di Cristo in modo analogo ai pro­
feti dell’Antico Testamento. Socrate fu istruito dal Logos tanto
come Isaia, e morendo entrambi per la verità, essi diedero te­
stimonianza della Verità che era Cristo45.
D’altra parte, il cristianesimo è visto come la religione se­
condo la ragione. Benedetto XVI mise in rilievo questo aspetto
della fede nel suo celebre “Discorso di Ratisbona” del 2006.
Imporre la fede con la spada è qualcosa che Dio non può vole­
re né comandare, per il semplice fatto che va contro la ragione.
Chi volesse, quindi, condurre qualcuno verso la fede deve ser­
virsi dei mezzi della persuasione e senza far ricorso alla violen­
za. Deve cioè seguire la dinamica della ragione umana che si
sente obbligata solo a causa della forza interna degli argomen­
ti. Il cristianesimo, dalle sue origini ebbe la consapevolezza di
essere la religione del Logos incarnato. Fece quindi una scom­
messa fondamentale per la razionalità, per la metafisica, per la
fiducia nelle capacità intellettuali della mente umana in ordine
alla verità.
Lo spirito greco diede alla fede cristiana delle strutture
concettuali; queste però, furono accettate e assunte solo dopo
un lungo lavoro di purificazione e di tentennamenti. In questo
processo la filosofia pagana fu sottomessa a una trasformazione
radicale, dovette passare per un processo di morte e di trasfigu­
razione. Così come veniva dagli autori pagani, la filosofia non
era adeguata ad esprimere il mistero cristiano - per esempio,
il mistero della natura divina e delle due nature nell’unica per­

44 H. Burkle, Duomo alla ricerca di Dio..., 55.


45 C£. J. Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Dehonia-
ne, Bologna 1975. Soprattutto i capitoli II e III.

46
La verità del cristianesimo

sona del Verbo46. Non si deve dire, però, che la verità di fede
sono “razionali”. La verità cristiana - ci insegna L. Rodriguez
Dupla - non è deducibile come un teorema a partire da pre­
messe puramente razionali, né il dio dei filosofi è il Dio dei
cristiani47. Il cristianesimo ellenico non ritagliò la fede secondo
la misura di Platone, ma stirò Platone per renderlo adatto al mi­
stero cristiano.
Questa adesione alla filosofia, adesione a una dimensione
meta religiosa, diede al cristianesimo il suo volto interculturale.
Se oggi il cristianesimo viene visto come la religione dell’occi­
dente, sappiamo per contro che, dalle sue origini la nuova fede
fu concepita come una religione alla quale tutti i popoli poteva­
no accedere, mantenendo le ricchezze che erano loro proprie.
Effettivamente, la religione cristiana si mise dalla parte del
Dio dei filosofi. Come affermò Ratzinger, fu nella filosofia che
i Padri trovarono la preistoria della Chiesa48. Essi diedero però
a questo Dio un significato nuovo: tirandolo fuori dal terreno
del puramente accademico, il cristianesimo trasformò profon­
damente il Dio filosofico. Il “Dio concetto”, capito come puro
pensare, non solo come pensiero di pensiero, “eterna geome­
tria del mondo”, ma agape, potenza di amore creatore.

46 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 91.


48 L’ R°dr!guez Dupla, «E1 Contexto filosòfico y cultural...», 475.
48 “I Padri della Chiesa hanno visto la preistoria della Chiesa non’nelle
religioni ma nella filosofia. Loro erano convinti che ‘semina verbi’, ‘logos
spermatikos’ non erano le religioni ma il movimento della ragione comin­
ciato con Socrate, che non si accontentava della tradizione ma sorpassava le
tradizioni per trovare ciò che è vero, e trovarlo con la forza della ragione”
q. Ratzinger, Colloquio a due fra Joseph Ratzinger e lo storico Ernesto Galli
della Loggia su “storia, politica e religione”, ottobre 2004, in https://it.zenit
Wjimdes/j^ [18\06\2018]).

47
Cristianesimo e religioni

f. Cristo come unico salvatore in quanto “Emmanuel”: solo Dio


può varcare la trascendenza e farsi conoscere dall’uomo

Un’ultima considerazione. La concezione di un Dio tra­


scendente è presente nelle grandi tradizioni religiose. Infatti,
la separazione tra sacro e profano è la separazione tra la realtà
terrena e la realtà celeste, cioè tra le cose che sono familiari
all’uomo e la trascendenza di Dio.
Deum nemo vidit umquam. Dieu, personne ne l’a jamais vu
è il titolo di un libro di Maurice Bellet, citando San Giovanni
(1,18). In tutte le religioni è possibile confermare la verità di
questo asserto. Nell’induismo il Brahman è presentato come
quello che va al di là di ciò che è conosciuto e al di là di ciò
che non si può conoscere49. Il buddismo va oltre. Afferma in­
fatti che della trascendenza non si può affermare nemmeno se
esista. Il nirvana infatti non ha a che vedere in primis con la
trascendenza bensì con l’estinzione del desiderio.
Questa intuizione quasi unanime della religione è dovuta al
fatto che l’uomo si trova sempre “in situazione”, senza possibi­
lità di astrarsi dal proprio contesto storico-culturale e geogra­
fico. La sua conoscenza è limitata alle cose di questo mondo e
sempre all’interno di un contesto determinato e determinante;
e le cose di questo mondo sono però sempre caduche e limita­
te. L’uomo ha un desiderio naturale di vedere Dio, ma l’acces­
so al Deus absconditus è assolutamente interdetto alle capacità
intellettuali e mistiche dell’uomo.
Accade con Dio ciò che, in modo analogo, si esperisce nei
rapporti interpersonali. Posso conoscere qualcosa della per­
sona partendo dalle sue manifestazioni esterne, dal modo di

49 “L’occhio non vi giunge, non vi giunge la parola e neppure il pensie­


ro. Non sappiamo, non conosciamo in qual modo possa essere insegnato.
Esso è diverso da ciò che è conosciuto e anche da ciò che è ignoto” (Kena
Upanisad, 1,3).

48
La verità del cristianesimo

comportarsi, dall’espressione del volto, ma l’intimità profonda


dell’anima non la posso scoprire, resta per me un mistero. Pos­
so scorgere l’intimità di una persona solo se essa decide di ri­
velarmela. E per fare ciò deve “parlare”, deve “raccontarsi”...
Si deve “rivelare”.
E quanto noi crediamo che accadde con Gesù Cristo, Ver­
bo eterno nel quale si riflette in modo perfetto il mistero divino
- In Lui abita la pienezza della divinità corporalmente (Co/
2,9). Con le nostre forze intellettuali arriviamo al massimo a
scorgere l’esteriore di Dio, l’orlo del suo mantello, le sue spalle.
Arriviamo a lui per via di causalità, come motore immobile e
come causa prima di tutto. La grandezza dell’uomo sta nel suo
slancio metafisico, ma proprio lì si evince il limite radicale del
suo essere “l’ultima delle intelligenze”. Solo Dio può varcare
l’abisso della sua trascendenza e venire incontro all’uomo.
Per questo motivo Cristo è l’Emmanuele, il Dio-con-noi.
Nessun altro mediatore umano può varcare la trascendenza.
Nessun genio religioso può penetrare il mistero della vita in­
tima di Dio. Solo Dio può parlarci di Dio. Solo Dio si può
“raccontare”.
La fede cristiana afferma questo fatto: Kaì ó Xóyoq oàpÉ;
ÈyévETO Kaì ÈOKqvcooEV èv qplv (Gv 1,14). Il Logos che era EÌq
tòv kóXttov toù Trarpoq... ÈKEivoq È^riyriaaTo. ... ipse enarravit.
Ci fece l'esegesi narrativa del Padre e del suo mistero.

49
L’AUTOCOMPRENSIONE PROGRESSIVA
DEL CRISTIANESIMO COME L’UNICA RELIGIONE
FINO ALL’INCONTRO CON LE RELIGIONI NEL SEC.
XVIE LA DOTTRINA DELLA FEDE IMPLICITA

L’autocomprensione del cristianesimo come la religio secundum


rationem, e come la Parola definitiva di Dio rivolta all’uomo
nasce, come abbiamo visto, dai primordi stessi dell’esperienza
cristiana. Sin dall’inizio il cristianesimo non si percepisce né
come una religio né come una pura philosophia mondana, bensì
come la religio vera, o meglio ancora, come la religio veritatis.
Col passare dei secoli il cristianesimo si estese fino ai con­
fini dell’impero Romano. Prima e dopo il cosiddetto trionfo
del cristianesimo sotto l’imperatore Costantino, il cristianesi­
mo cominciò a organizzarsi e a penetrare nella cultura greco­
romana.
La fede cristiana forgiò la cultura occidentale servendo
da catalizzatore degli svariati popoli che entravano a far parte
della civitas romana, che divenne presto la civitas christiana,
la cristianità. La confusione tra le due chiavi, tra i due pote­
ri, temporale e celeste fu inevitabile. Giungendo agli estremi
dell’impero Romano, i cristiani pensarono di essere giunti fino
ai confini della terra, adempiendo così il mandato di Cristo
di andare ad evangelizzare fino ai confini della terra (cf. M?
28,19). Come scrisse G. Rota, si poteva dare per scontato che il
Vangelo era giunto ai confini della terra “e che non ci fosse più
nessuno che senza colpa non avesse sentito parlare di Cristo” \

1 Cf. G. Rota, «Per una teologia cristiana delle religioni...», 267.

50
Idautocomprensione progressiva del cristianesimo come l’unica religione

Ovviamente erano giunti solo ai limiti del mondo fino ad allora


conosciuto.
La presenza del popolo giudaico all’interno di questa civi-
tas christiana che si stava sviluppando, e poi il sorgere dell’i­
slam - ritenuto nel sec. IX un’eresia giudeo-cristiana - divise
l’universo religioso in tre gruppi:
- Il popolo d’Israele, che rifiutando di riconoscere in Gesù
Cristo il Messia promesso era caduto nell’empietà e nel­
la perfidia. La sua sopravvivenza storica era considerata
come legata alla missione di essere, secondo Agostino,
testes iniquitatis et veritatis nostraé2.
- Il musulmano infedele, e per un po’ di tempo considera­
to un’eresia cristiana;
- e i cristiani, uniti sotto la stessa fede ma divisi cultural­
mente tra Occidente e Oriente. A questi ultimi, si ag­
giungono gli eretici i quali, in ordine alla salvezza, corro­
no comunque il rischio della condanna eterna.
La conclusione era che ormai Yorbis terrarum era stato già
evangelizzato e che, davanti al Vangelo, c’erano solo tre possi­
bili prese di posizione: fede, empietà e infedeltà.
Riguardo alla situazione degli uomini prima dell’avvento
di Cristo, questi si trovavano in una situazione di preparazione
all’avvento del Redentore, praeparatio evangelica. I profeti fu­
rono i precursori e annunciatori di Cristo. Gli ebrei vivevano
ancora in questo regime di Antica alleanza, colpevoli di non
accogliere il loro proprio Messia. I gentili, per contro, avevano
i loro filosofi e saggi che, senza essere allo stesso livello dei pro­
feti, servivano da precursori della venuta del Cristo. Una volta
avvenuta l’incarnazione, il mondo antico scompare, è caduco
e destinato alla dissoluzione. I Padri della Chiesa scrissero del­
2 Tractatus adversus Judaeos, 15, in J. Ries, 1 cristiani e le religioni...,
287.

51
Cristianesimo e religioni

la saggezza dell’Oriente, rifletterono sulla figura dei Re Magi,


dell’angelo delle nazioni e dei santi pagani dell’Antico Testa­
mento, facendo vedere come tutti i popoli si trovavano di fron­
te al cristianesimo in atteggiamento di attesa3. Così, Clemente
Alessandrino affermò che Dio ha comunicato alle nazioni una
certa sapienza attraverso gli angeli, sapienza che, essendo la
vera filosofia, Cristo è venuto a restaurare4.
Con la scoperta delle nuove terre dell’estremo Oriente e
con la scoperta dell’America si presenta il problema della sal­
vezza dei non cristiani in una nuova fase5. Masse stermina­
te di uomini vivevano sotto il regime cristiano - quindi dopo
l’incarnazione - ma non partecipavano alla luce e ai benefici
del Vangelo e questa situazione non era attribuibile alla loro
infedeltà, ma ad una ignoranza assolutamente invincibile. Il
fatto era che essi non confessavano Cristo come Redentore e
non usufruivano dei sacramenti cristiani. E tutto questo senza
colpa e senza ostinazione da parte loro, come sarebbe stato il
caso degli ebrei e dei maomettani. Non erano colpevoli di chiu­
sura di fronte al Vangelo perché semplicemente il Vangelo non
era giunto a loro. Sembravano vivere assolutamente al margine
della storia della salvezza.
Prima dell’era delle scoperte nel secolo XIII, San Tommaso
d’Aquino si era posto il problema di coloro che senza colpa
non aderivano al Vangelo. Lui scrisse infatti della necessità del­
la Chiesa per la salvezza e della fede implicita. La sua soluzione
è sintetizzata nel seguente paragrafo della Somma-.

} Cf. J. Daniélou, Gli angeli e la loro missione, Gribaudi, Milano


1998,1 santi pagani dell’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 20153.
4 Cf.J. Daniélou, La Chiesa dei primi tempi..., 208.
5 G. Rota parla perfino di uno shock nella coscienza cristiana che co­
mincierebbe a domandarsi sulla salvezza dei pagani (Per una teologia cris­
tiana delle religioni..., 268).

52
Jdautocomprensione progressiva del cristianesimo come l’unica religione

Tuttavia, anche se alcuni si salvarono senza codeste rivela­


zioni, non si salvarono senza la fede nel Mediatore. Perché,
anche se non ne ebbero una fede esplicita, ebbero però una
fede implicita nella divina provvidenza, credendo che Dio
sarebbe stato il redentore degli uomini nel modo che a lui
sarebbe piaciuto, e secondo la rivelazione da lui fatta a quei
pochi sapienti che erano nella verità6.

La caratteristica essenziale della fede è credere in un solo


Dio creatore e provvidente - senza la fede però è impossibile
essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli
esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano (cf. EbA 1,6).
Chi crede che Dio è provvidente, crede che Dio interviene nel­
la storia in favore dei suoi figli. Orbene, il fatto centrale e cul­
mine dell’azione di Dio è l’incarnazione del Verbo. In questo
modo, chi accetta la provvidenza divina accetta implicitamente
la redenzione del Cristo. Poi Dio darà la grazia della salvezza
a chi non ponga ostacolo, secondo l’assioma scolastico facienti
quod est in se Deus non denegai gratiam.
Questa riflessione di san Tommaso ha valore per le religio­
ni esistenti prima di Cristo. Dopo l’avvento del Redentore oc­
corre però la fede esplicita. Non bisogna dimenticare che San
Tommaso, da buon medioevale, visse con la convinzione che
tutte le nazioni avevano già ricevuto l’annunzio. Quindi per lui
restavano fermi i tre possibili atteggiamenti di fronte al vange­
lo: fede, empietà e infedeltà.
Riguardo alla risposta degli uomini di fronte all’annuncio,
San Tommaso parla di due tipi di incredulità7. C’è l’increduli­

6 Summa Theologiae, II-II, q.2, a.7, ad 3.


7 “Si possono riscontrare due tipi di incredulità. Primo, un’incredulità
di pura negazione: e così chiameremo uno infedele, o incredulo, per il solo
fatto che non ha la fede. Secondo, un’incredulità di contrarietà alla fede:
cioè per il fatto che uno resiste alla predicazione della fede, o la disprez­
za [...] E in questo si ha la perfetta nozione di incredulità. Ed è così che

53
Cristianesimo e religioni

tà di chi non ha mai sentito parlare della fede, e quella di coloro


che si ostinano contro la fede previamente ascoltata. Nel pri­
mo caso l’infedeltà non sarebbe colpevole, e perciò, nessuno
si condannerebbe per questo, ma solo per i propri peccati. La
soluzione non è molto soddisfacente per noi che facciamo teo­
logia dopo il Vaticano II, ma c’è qualche elemento che ci può
servire per trovare delle risposte al problema di “come” e “se”
si salvano coloro che, senza colpa, non entrano nella Chiesa:
infatti è possibile scorgere in San Tommaso la possibilità di
una infedeltà assolutamente incolpevole, nonostante lui stesso
neghi la salvezza a ebrei, eretici e maomettani8.

l’incredulità è peccato”. “Se invece si prende l’incredulità come pura nega­


zione, quale si trova in coloro che mai seppero nulla della fede, allora essa
non ha ragione di peccato, ma piuttosto di castigo, poiché tale ignoranza
delle cose divine deriva dal peccato dei nostri progenitori. E quelli che sono
increduli in questo senso si dannano per gli altri peccati, che non possono
essere rimessi senza la fede: ma non si dannano per il peccato di increduli­
tà” (Summa Theologiae, II-II, q. 10, al).
8 “Abbiamo detto qui sopra che nell’incredulità si possono conside­
rare due cose. Primo, il suo rapporto (diretto) con la virtù della fede. E da
questo lato pecca più gravemente chi si oppone alla fede già abbracciata,
che colui il quale si oppone alla fede non ancora accettata: come si pecca
più gravemente non stando alle promesse, che non adempiendo ciò che
mai si era promesso. E da questo lato l’incredulità degli eretici, che hanno
professato la fede evangelica e poi le si oppongono distruggendola, peccano
più gravemente degli Ebrei, i quali non hanno mai accettato la fede evange­
lica. Questi però, avendola ricevuta in modo figurale nel vecchio Testamen­
to, la distruggono con le loro false interpretazioni; perciò anche la loro in­
credulità è un peccato più grave dell’incredulità dei pagani, i quali in nessun
modo hanno ricevuto la fede evangelica. - La seconda cosa da considerare
nell’incredulità è la perversione dei dogmi riguardanti la fede. E da questo
lato, l’incredulità dei pagani è più grave di quella degli Ebrei, e quella degli
Ebrei è più grave di quella degli eretici; poiché i pagani negano più dogmi
degli Ebrei, e gli Ebrei più degli eretici; a esclusione, forse dei Manichei, i
quali errano più dei pagani nelle cose di fede. - Però tra i due tipi di gravità
il primo prevale sul secondo rispetto alla colpa. Infatti l’incredulità, come

54
Eautocomprensione progressiva del cristianesimo come l’unica religione

Per quanto riguarda il battesimo, unica porta esplicita per


entrare nella Chiesa e quindi nella salvezza, San Tommaso apre
la porta al battesimo di desiderio*9.
Le tesi di San Tommaso sono state accettate come dottrina
comune del cattolicesimo fino al secolo XX. Le religioni, essen­
do costruzioni puramente umane, non avrebbero alcun valore
salvifico. Chi si salva è per la fedeltà alla voce di Dio che parla
nella coscienza. Le religioni non sono mezzi di salvezza.
La scoperta del Nuovo Mondo modificò radicalmente la
visione della salvezza al di fuori dei confini visibili della Chiesa.
Come avevamo già anticipato, la cristianità si trovò all’improv­
viso di fronte a popoli interi non avevano avuto nessun con­
tatto con la verità cristiana. Francisco de Vitoria (1492-1546),
della scuola di Salamanca, seguì sostanzialmente la dottrina di
San Tommaso a questo riguardo:

sopra abbiamo detto, è colpevole più per la sua opposizione alla fede, che
per l’ignoranza delle verità di fede: la quale ha piuttosto l’aspetto di pena,
come sopra abbiamo detto. Perciò, assolutamente parlando, la peggiore in­
credulità è quella degli eretici” {Summa Theologiae, II-II, q. 10, a.6).
9 “L’effetto di un sacramento [...] può essere ottenuto da uno che
riceve il sacramento col desiderio, senza riceverlo di fatto. Perciò come al­
cuni ricevono il battesimo di desiderio, per la brama del battesimo prima di
essere battezzati con l’acqua, così alcuni si cibano spiritualmente dell’Eu-
carestia prima di riceverla sacramentalmente. Questo però può avvenire in
due modi. Primo, per il desiderio di ricevere il sacramento stesso: e in tal
modo si battezzano e si comunicano spiritualmente e non sacramentalmen­
te quelli che adesso desiderano di ricevere questi sacramenti dopo la loro
istituzione. Secondo, per il desiderio di riceverne la figura: l’Apostolo dice
appunto in tal senso che gli antichi Patriarchi “furono battezzati nella nube
e nel mare”, e che “mangiarono il cibo spirituale e bevvero la bevanda spi­
rituale”. Tuttavia non è inutile la comunione sacramentale; perché questa
produce l’effetto del sacramento più perfettamente del solo desiderio, come
sopra abbiamo notato a proposito del battesimo (Summa Theologiae, III,
q.80, a.l).

55
Cristianesimo e religioni

I barbari ai quali non è ancora giunta la buona nuova della


fede o della religione cristiana, si condanneranno per altri
peccati mortali o per l’idolatria, ma non per il peccato di
infedeltà, perché, come dice san Tommaso, se fanno ciò che
è in loro potere, vivendo bene secondo la legge naturale, Dio
prowederà e li illuminerà riguardo il nome di Cristo10.

II teologo spagnolo va oltre il pensiero di San Tommaso,


quando afferma che la semplice proposta o l’annuncio del Van­
gelo potrebbero non essere sufficienti per l’assenso della fede.
La sola proposta non è ancora un motivo per credere, se essa
non è accolta internamente.
Giovanni De Lugo (1583-1643), un altro teologo di Sala­
manca, fa un passo ulteriore. Lui sostiene che basterebbe la
fede implicita in Cristo in coloro che non hanno ricevuto il
messaggio evangelico. La fede implicita sarebbe sufficiente an­
che per coloro che, o non credono in Gesù o hanno una fede
eterodossa. Varrebbe quindi anche per ebrei e maomettani se,
in buona fede, rifiutassero la dottrina cristiana in virtù della
loro credenza erronea invincibilmente nella propria religione.

10 Relaciones sobre los indios y el derecho de guerra, p. 74: “los bàrbaros


a quienes aun no ha llegado la nueva de la fe o de la religion cristiana, se
condenaràn por otros pecados mortales o por la idolatria, pero no por el
pecado de infidelidad, pues corno dice santo Tomàs, si hacen lo que està de
su parte, viviendo bien segun la ley natural, Dios proveerà y los iluminarà
acerca del nombre de Cristo”.

56
IL SECOLO XX E LA TEOLOGIA DEL PLURALISMO RELIGIOSO

Il sec. XX si apre con due avvenimenti storici contrapposti. Da


una parte la fine del colonialismo e, dall’altra, il rinnovamento
missionario grazie all’opera di Pio XI e la sua Rerum Ecclesiae
(1926) e Pio XII con Evangeliipraecones (1951).
La missione è antica tanto quanto la Chiesa. Dopo la Pen­
tecoste i discepoli si spargono in tutte le direzioni, fedeli al
mandato di portare il Vangelo fino ai confini del mondo. Con
la distruzione del Tempio del 70, la comunità cristiana di Ge­
rusalemme si stabilisce a Pella, nella Transgiordania, e da lì si
espande verso Oriente. Dopo di loro, sin dai primi secoli si for­
mano delle comunità cristiane in centro dell’Asia, in India e nel
nord Africa. Con l’era delle scoperte geografiche del XVI seco­
lo esplode un nuovo impulso missionario, soprattutto grazie ai
vecchi ordini religiosi dei francescani, domenicani, mercedari,
trinitari, agostiniani e la novità dirompente dei gesuiti.
Ovviamente la missione era in parte condizionata dall’ap­
poggio del potere civile che cercava di trasmettere la fede, ma
anche di estendere il proprio influsso politico. In Spagna i re
cattolici e, poi, Filippo II - con il suo secolo d’oro spagnolo,
impregnato di cattolicesimo - si preoccuparono sinceramente
dell’invio di missionari nelle Americhe e nelle Filippine. Questa
preoccupazione missionaria venne meno con il tempo. Infatti,
le corone europee furono pian piano dominate da personaggi
illuminati e vicini alla massoneria.
Questa unione politico-religiosa permise ai missionari
di portare avanti il proprio lavoro, molte volte però significò
un ostacolo alla conversione. Il cristianesimo emergeva come
la religione dei conquistadores, degli sfruttatori, dei padroni,

57
Cristianesimo e religioni

degli encomenderos. Inoltre, inevitabilmente i missionari non


trasmettevano solo la fede, ma anche un modo culturale di vi­
verla, appunto europeo occidentale. I nativi vedevano la fede
cristiana come qualcosa di spurio alla loro cultura e sensibilità
religiosa, e quindi la conversione era considerata come un ri­
fiuto della propria cultura originaria. Diventare cristiani vole­
va dire rinnegare le proprie origini culturali; non era solo una
conversione, era un tradimento.
E significativo il fatto che governi europei laici e anticleri­
cali, dessero il loro contributo sostanziale alle missioni. J. Da-
niélou parla della tenace difesa delle missioni da parte di Aristi­
de Briand, ministro anticlericale della 3a repubblica francese.
Per lui infatti una missione di preti francesi che si chiudeva, era
una bandiera francese che smetteva di ondeggiare in un punto
dell’universo1.
La perdita delle colonie diede un duro colpo alla missione.
I movimenti nazionali che via via si fortificavano nei novelli
paesi, vedevano la religione cattolica troppo compromessa con
il potere coloniale e quindi, volendo cacciare via i governanti
e i viceré, nuocevano all’azione evangelizzatrice della Chiesa,
ostacolando o impedendo le conversioni.
D’altra parte, i papi sopra nominati, e quelli che li seguiro­
no, si dedicarono a erigere diocesi, fecero ordinare presbiteri
e vescovi nativi che fino al secolo XX restavano in mano ai ve­
scovi missionari europei, con il tentativo di stabilire le strutture
di una vita diocesana che non dipendesse dall’Occidente e che
potesse parlare la stessa lingua dei nativi. Si tentava di conver­
tire il cristianesimo in una religione radicata nella cultura.
Alcuni missionari famosi degli ultimi secoli furono Jules
Monchanin (1895-1957), il quale, insieme a Henri Le Saux

1 Cf. J. Daniélou, «L’Occident chrétien a-t-il encore un role missio-


naire?» Etudes, mai 1955, 175.

58
Il secolo XX e la teologia del pluralismo religioso

(1910-1973), fondò negli anni cinquanta un asram hindu-cri-


stiano consacrato alla contemplazione della Trinità, Vasram di
Shantivanam. Il loro tentativo fu quello di trapiantare in India
la tradizione monastica benedettina. Più tardi si unirà a questa
iniziativa Bede Griffits (1906-1993), convertito dall’anglicane­
simo, divenuto monaco benedettino, ricordato dai suoi disce­
poli come il più amato e noto guru di Shantivanam2. Su questa
scia di inculturazione molti missionari abdicarono alla propria
cultura per immedesimarsi nella cultura della missione.
Fino alla metà del secolo scorso tutta la riflessione girava
attorno alla fede implicita e alla necessità della Chiesa per la
salvezza. Questa posizione teologica riceverà l’appellativo di
“ecclesiocentrica”, pur non entrando pienamente nella classifi­
ca fatta da Schineller, e la vedremo più avanti.
Negli anni Quaranta del secolo XX comparirono saggi e
trattati sulla salvezza dei non cristiani. La spinta missionaria
dei papi del secolo - accanto alle esperienze dei missionari ap­
pena menzionati - ebbe una risposta nei “teologi-missionari”.
Essi si accostarono o avvicinarono ad una visione più positiva
delle religioni e delle culture in ordine alla salvezza.
H. De Lubac e J. Daniélou furono i primi teologi che apri­
rono la porta alla dottrina del compimento, la quale sarà piena­
mente accolta dal Magistero della Chiesa. Le religioni tendono
a Cristo e alla Chiesa come al loro compimento e alla loro pie­
nezza. La loro posizione sarà analizzata più avanti.

2 S. Calza, «L’incontro tra cristianesimo e induismo», CredereOggi


149 (settembre ottobre 2005): http://www.credereoggi.it/upload/2005/ar-
ticolol49_121.asp [18\06\2018].

59
DIVERSI APPROCCI ALLA PROBLEMATICA
DEL PLURALISMO RELIGIOSO

Mettiamo adesso a fuoco il problema. La domanda si può for­


mulare così: di cosa stiamo parlando quando riflettiamo sul
problema del cristianesimo e il suo rapporto con le altre reli­
gioni? È solo una questione di dialogo interreligioso in vista di
una migliore comprensione e di una collaborazione nella ricer­
ca della pace? Oppure il dialogo è solo un escamotage, sia per
portare verso la conversione, sia come alternativa all’annuncio,
evitando le accuse di proselitismo? Il problema si limita solo
alla salvezza di chi non confessa Gesù e non si battezza, oppure
riguarda qualcosa di più strutturale, come la volontà salvifica
universale di Dio?
Noi possiamo intravedere tre linee di riflessione, tre ap­
procci al problema del rapporto tra cristianesimo e religioni:

a. Il problema della salvezza dei non cristiani

Ai giorni nostri nessuno mette in dubbio la possibilità del­


la salvezza per gli individui appartenenti ad altre religioni che
senza loro colpa ignorano il cristianesimo come via definitiva di
salvezza. Chi è fedele alla voce di Dio nella propria coscienza
e vive secondo la sua volontà; chi scopre tracce del disegno
divino in mezzo alle tenebre di questo mondo e vive in atteg­
giamento di umiltà e gratitudine, può senz’altro raggiungere
la grazia e la misericordia di Dio. Neanche si mette in dubbio
il mistero della redenzione e della accettazione della stessa da

60
Diversi approcci alla problematica del pluralismo religioso

parte del soggetto. Dio agisce sempre, anche se queste vie sono
note solo a Lui.
La questione è quella di vedere se le proprie tradizioni re­
ligiose hanno in sé la virtù di comunicare la grazia che salva. Il
non cristiano che si salva, lo fa grazie a o nonostante la propria
religione? Le religioni sono mezzi positivi tramite i quali lo Spi­
rito Santo chiama i loro appartenenti alla salvezza? O rispon­
dono piuttosto a una concessione divina che tollera l’errore e
l’ignoranza, come tollera la zizzania in mezzo al campo di gra­
no? Sono solo manifestazioni storiche della pazienza divina che
aspetta il momento opportuno per manifestarsi?
Per il documento della Commissione teologica intemazio­
nale, Il cristianesimo e le religioni, è questo il problema fonda­
mentale del rapporto tra cristianesimo e religioni. La questione
di fondo è la seguente: le religioni sono, oppure no, mediazioni
di salvezza per i loro seguaci?1

b. La rivelazione cristiana e il suo rapporto con altre “rivelazioni”

Un altro modo di affrontare il problema è quello del con­


tenuto della fede rivelata nel cristianesimo e, eventualmente,
nelle altre religioni. Dio si è rivelato all’uomo tramite una storia
sacra. Questa storia è contenuta nella Bibbia che, per questo,
è considerata Parola di Dio. Essa ha in sé la chiave d’interpre­
tazione della storia totale. Il contenuto di questo documento
che narra i mirabilia Dei ha un carattere normativo per la fede.
Culmine della storia della Rivelazione è la manifestazione del
Figlio, il Verbo di Dio Incarnato che ci introduce nel mistero
dell’amore trinitario. Al di fuori di Lui non c’è rivelazione del
mistero di Dio.

1 Commissione Teologica internazionale, Il Cristianesimo e le reli­


gioni..., parr. 8.

61
Cristianesimo e religioni

Se questo è vero, qual è allora il valore da accordare alle


dottrine e alle rivelazioni presenti in altre tradizioni religiose?
Le profonde dottrine della saggezza orientale con le loro intu­
izioni riguardo l’esistenza e la trascendenza, bisogna scartarle
in blocco come false? Sono favole senza alcun valore di verità
riguardo al mistero di Dio? Semplici parole umane carenti di
ispirazione divina? O per contro, dobbiamo accettare che il
volto di Dio che si evince dai loro libri sacri apporta qualcosa
di positivo alla rivelazione dell’unico e vero volto di Dio?
A questo si aggiunge il fatto che lo Spirito Santo soffia dove
vuole e che ogni verità procede dal Verbo. Significa questo che
ci è lecito venerare anche il risultato di questo soffio nelle tra­
dizioni non cristiane?

c. Il problema storico dell’esistenza stessa delle religioni

Un altro modo di considerare le cose è quello di tentare di


discernere il senso teologico dell’esistenza stessa delle religio­
ni. Qual’ è il posto che occupano nel disegno salvifico di Dio?
Sappiamo per fede che in Cristo si è giunti alla pienezza della
manifestazione del Dio Trino. Fino al suo avvento tutti gli uo­
mini erravano come pecore senza pastore, ciascuno seguendo
la propria strada; ma con la risurrezione di Cristo arriva il mo­
mento in cui i veri adoratori lo adoreranno in spirito e verità.
Con Cristo arriva il nuovo eone, la nuova creazione, abbiamo
la vera gnosi del mistero divino...
Nonostante il trascorrere dei secoli però, le religioni con­
tinuano ed esistere quasi invariabili. Esse vivono alle o dietro
alle spalle del mistero. La luce è giunta a noi, ma le tenebre
continuano come se essa non fosse ancora arrivata. Venne tra i
suoi, ma i suoi non lo hanno accolto.
E se non fosse così?

62
Diversi approcci alla problematica del pluralismo religioso

E se nel mistero dell’economia salvifica le tradizioni religio­


se non cristiane avessero un posto determinato che i cristiani
solo recentemente stanno cominciando a scoprire? Sono loro
che vivono alle spalle del mistero cristiano o per contro siamo
noi cristiani che viviamo alle spalle di tutto un mistero inson­
dabile, quale l’azione positiva di Dio nelle tradizioni religiose
non cristiane?
Non ci è lecito fornire subito una risposta superficiale.
“Dai frutti li riconoscerete”, e i frutti delle religioni non sono
solo ignoranza, errore e barbarie. Una miglior conoscenza delle
stesse ci ha permesso di scoprire quanta ricchezza di sapienza
e quanto le religioni hanno contribuito all’umanizzazione della
civiltà. Non è vero che le religioni rappresentano l’umanità al
più basso stadio del suo sviluppo, come affermerebbe Comte
e i neopositivisti, bensì l’apice di una civiltà, il frutto più preli­
bato. Il grosso errore di molti cristiani del passato è stato con­
frontare il meglio del cristianesimo, con il peggio delle religio­
ni. Così è ovvio che la fede cristiana emerge assolutamente, ma
se approfondiamo ciò che le religioni hanno raggiunto di subli­
me, allora ci domanderemo se queste ricchezze non provenga­
no da un disegno positivo di Dio il quale ha permesso ad ogni
cultura di produrre delle perle di saggezza e di spiritualità che
vanno ad aggiungersi alla pienezza della Rivelazione cristiana.

63
STORIA RECENTE DELLA TEOLOGIA
E POSIZIONE DEL MAGISTERO

La storia recente potrebbe essere definita come un passaggio

Lubac, Rahner) ad una teologia del pluralismo religioso (J. Du­


puis Cl Geffré), che in alcuni autori diventa una confusa - o
feconda, a seconda del punto di vista - teologia interreligiosa
(P. Knitter, R. Panikkar).
Tra le possibili classificazioni scegliamo quella ormai classi­
ca di Schineller che nel 1976 divise la teologia in quattro para­
digmi1. Oggi, però, si tende a ridurre a tre i paradigmi: esclu­
sivismo, inclusivismo, pluralismo2.

1. I quattro paradigmi di Schineller3


Universo ecclesiocentrico, cristologia esclusiva
Esponenti di questa posizione sono Karl Barth e H. Krae­
mer. .
K. Barth intitola il paragrafo 17 della Dogmatica: la rive­
lazione divina come eliminazione della religione”. Il cristiane­
simo per lui non è una religione, bensì la condanna (Crisis') di
tutte le religioni4.

1 Cf. J. A Sayés, Cristianismoy religiones..., 17.


2 Cf. G. Rota, «Per una teologia cristiana delle religioni...», 263.
3 L’articolo di Schineller è stato rieditato nell’opera diJ. BuRGHART-W.
C. Thomson, Why the Church? N. York 1977,1-22.
4 Cf. K. Barth, Die Kirchliche Dogmatik, parr. 17. En P. Rossano, «Le
religioni non cristiane nella storia della salvezza», La scuola cattolica. Supp.
Bibliogr. 93 (1965), 132.

64
Storia recente della teologia e posizione del Magistero

La sua dialettica passa per la negazione della capacità di


raggiungere Dio con la ragione (negazione de\\’analogia entis).
Questo è dovuto, sia all’infinitudine di Dio, sia alla corruzione
dell’uomo a causa del peccato.
Questo paradigma mette l’accento nella esclusività della
salvezza di Cristo. La posizione di questi teologi si potrebbe
riassumere così: solo il cristianesimo è vero, le altre religioni
sono false; oppure, Cristo contro le religioni5. Barth arriva
perfino a contrapporre il cristianesimo e la religione in quanto
tale. Ciò che sussiste di religioso nel cristianesimo - la liturgia
e l’economia sacramentaria cattolica - è giudicato negativo dal
teologo svizzero.
Secondo la prospettiva della teologia dialettica di Barth si
devono considerare le religioni naturali come negative. Queste
sono vani tentativi di autogiustificazione. La religione cerca di
procurarsi la salvezza con le proprie forze, prolungando quindi
nell’umanità l’orgoglio manifestato nella torre di Babele. Per
questo motivo le religioni sono false e anche il cristianesimo
sarebbe falso se fosse ridotto ad una religione. Ma il cristia­
nesimo non è una religione - ne è la crisi -, il cristianesimo si
identifica con il credere in Cristo come Unico Salvatore.

Universo cristocentrico, cristologia inclusiva

La posizione ecclesiocentrica non è stata assunta dai teologi


cattolici, almeno non in modo sistematico. P. Leonard Feeney
(1897-1978), teologo gesuita americano, che adottò questa po­
sizione fu immediatamente contestato dalla Congregazione del
Sant’Uffizio (cf. più avanti). I missionari hanno considerato in
modo negativo le religioni pagane {dii gentium sunt daemonia),
ma non hanno condannato il senso religioso e hanno intravisto
in mezzo alle tenebre dei barlumi di luce, i semi del Verbo.

5 Cf. M. di Torà, «La teologia delle religioni... 18.

65
Cristianesimo e religioni

La teologia quindi si è costantemente allontanata da questa


posizione estrema. Infatti, è ovvio che la Chiesa non può essere
collocata al centro della salvezza, perché essa viene solo da Cri­
sto, deriva da Lui e dipende totalmente da Lui. La Chiesa - in
quanto istituzione, come creatura Verbi - non è il criterio per
misurare la salvezza degli altri. Il criterio non può essere altro
se non Cristo. Questa è, in sostanza la posizione cristocentrica'.
solo in Cristo c’è la salvezza unica e universale. La Chiesa è al
servizio di questa salvezza.
L’inclusivismo - spiega la Commissione teologica interna­
zionale - è la dottrina più comune tra i teologi cattolici, anche
se con differenze e sfumature tra di loro. Con questo paradig­
ma si tenta di conciliare la volontà salvifica universale di Dio
con il fatto che ogni uomo si realizza in quanto tale all’interno
di una tradizione culturale, la cui religione è la più alta espres­
sione e fondamento ultimo6.
A. Amato ha espresso sinteticamente la posizione della
Chiesa in questo modo:
Gesù Cristo è il Salvatore costitutivo di salvezza. L’eventuale
dono della salvezza fuori dal cristianesimo attinge il proprio
significato e valore dalla sua stessa essenziale dipendenza dal
mistero dell’incarnazione del Verbo, che è fonte di verità e
grazia. E pur sempre la grazia di Cristo la causa costitutiva
della salvezza di tutta l’umanità, fuori e dentro la Chiesa7.

L’inclusivismo accetta il fatto che possa esserci la salvezza


nelle religioni. Nega, però, un’autonomia salvifica che sarebbe
in contraddizione con l’unicità e universalità della salvezza di
Gesù Cristo.
All’interno di questa posizione esiste una sottodivisione
d’accordo con il ruolo che si dà alle religioni in ordine alla sal-
6 CTI, Il cristianesimo e le religioni..., n. 11.
7 A. Amato, «L’unicità della mediazione...», 22.

66
Storia recente della teologia e posizione del Magistero

vezza. Una è quella che ha come esponenti H. de Lubac, Von


Balthasar e J. Daniélou e viene chiamata teoria del compimento.
L’altra è rappresentata da K. Rahner, J. Dupuis e H. Kiing, tra
gli altri, e viene chiamata teoria della presenza di Cristo nelle
religioni.
Tutte e due le teorie affermano la centralità di Cristo in
ordine alla salvezza. Solo Cristo salva, solo Lui è il mediatore
tra il Padre e gli uomini. La differenza consiste nel modo in cui
questa salvezza arriva agli individui. La salvezza o arriva senza
la mediazione delle religioni, per cui al massimo esse sarebbe­
ro una preparazione evangelica; oppure, di contro, le religio­
ni hanno un valore di mediazione, non allo stesso livello della
Chiesa, ma effettiva e reale.
Per la teoria del compimento, il mistero di Cristo raggiunge
gli individui delle altre religioni come risposta divina alle aspi­
razioni che manifestano. Esse però non sono efficaci in ordine
alla salvezza. Questo perché le religioni sono sostanzialmente
delle iniziative umane - sotto le spinte della grazia - tramite le
quali l’uomo cerca di trascendere per giungere al mistero. Dio
considera gli sforzi e risponde con la salvezza.
Le religioni sarebbero dunque lo sforzo dello spirito uma­
no nel tentativo di stabilire una relazione con Dio, che viene
scoperto tramite l’uso della ragione che entra in rapporto con
il mondo. Questo sforzo non è solo umano, perché Dio agisce
con delle grazie nel cuore dell’uomo nel suo rapporto con il
mondo. Per questo motivo le religioni vengono chiamate “co­
smiche”, perché l’uomo e il suo “senso religioso” arriva a Dio
tramite la riflessone sul cosmo, sulla sua regolarità, sulla sua
provvidenza. Dietro a questa visione teologica c’è la riflessione
di M. Eliade riguardo all’esperienza religiosa.
Le religioni non sono quindi vie autonome o parallele di
salvezza al di fuori di Cristo. Esse sono al massimo prepara­

67
Cristianesimo e religioni

zione evangelica. Sono manifestazioni dell’alleanza che Dio ha


fatto con Noè: un’alleanza cosmica che si basa sulla regolarità
delle stagioni e sulla possibilità di arrivare a Dio tramite la ri­
flessione sulla realtà naturale.
Benché le religioni siano espressione del sentimento reli­
gioso, esse trovano il loro compimento in Cristo. Così come
l’Antico Testamento trovò il suo compimento nel Nuovo, in
modo analogo le religioni trovano in Cristo il loro compimen­
to. Questo appartiene al disegno divino che si dispiega nella
storia dell’umanità.
Infatti, per Daniélou, la persistenza delle religioni dopo
l’avvento di Cristo corrisponde ad un piano salvifico. Se le re­
ligioni sono, per il teologo francese, l’espressione più elevata
delle culture, è perché esse devono contribuire con il loro ge­
nio all’arricchimento della fede cristiana. La Chiesa, conclude
il teologo, sarà realmente cattolica quando parlerà tutte le lin­
gue e potrà comprendere il mistero di Dio da tutti i contesti
culturali e religiosi8.
Le religioni, dunque, sono delle concretizzazioni storiche
della spinta fondamentale dell’uomo verso Dio, sotto gli im­
pulsi della grazia. Rispecchiano la ricerca di salvezza insita nel
cuore dell’uomo. Ma non sono mezzi di salvezza per i loro
adepti perché si collocano al livello delle realtà e delle aspira­
zioni umane. Inoltre, il necessario riconoscimento dei valori e
delle ricchezze contenute nelle tradizioni religiose non devono
farci dimenticare che contengono anche degli errori e dei limiti
propri delle realtà umane.
Teoria della presenza di Cristo nelle religioni. Come dice il
suo nome, considera la presenza di Cristo nelle religioni stesse.
Vede in esse, quindi, delle mediazioni di Cristo. Così le religio­
ni hanno un valore positivo in ordine alla salvezza. Con questa

8 Cf. J. Daniélou, Loraison, problème politique...,87.

68
Storia recente della teologia e posizione del Magistero

visione si comincia a operare il passaggio dalla considerazione


di un pluralismo de facto a un pluralismo de iure.
Chi ha più influito su questa linea di pensiero è stato K.
Rahner con la sua dottrina dei cristiani anonimi. Esaminiamo
la spiegazione che ne offre J. A. Sayés a causa della sua sem­
plicità. K. Rahner afferma infatti che esiste una rivelazione tra­
scendentale, un esistenziale soprannaturale diverso dalla grazia
presente nei non battezzati. Questo esistenziale soprannaturale
è “l’elevazione gratuita del dinamismo trascendentale naturale
della persona umana nel senso che nell’uomo si rende capace
di orientarsi direttamente alla visione”9. L’esistenziale sopran­
naturale non è la grazia bensì la stessa capacità di orientarsi ad
essa.
Così l’ordine soprannaturale crea nell’uomo un’ordinazio­
ne, anch’essa gratuita, alla grazia e che, proprio in quanto ordi­
nazione, appartiene alla sfera cosciente e libera. È una perma­
nente disposizione indirizzata alla visione beatifica.
Infine questa esistenza soprannaturale vissuta anonima-
mente si fa tematica grazie alla predicazione evangelica. Questa
fa esplicito ciò che c’era già nel profondo dell’uomo, non per
natura, ma per grazia.
La grazia si comunica nella Chiesa. Il pagano, da parte sua,
è un qualcuno che si sta muovendo verso la salvezza divina: è
un cristiano anonimo.
Dunque - conclude Sayés -, il messaggio che arriva dal di
fuori è l’esplicitazione di ciò che siamo già da sempre per
la Grazia e che, almeno in forma atematica, sperimentiamo
nell’infinito della nostra trascendenza [...] Quando qualcu­
no, nella silenziosa onestà di ogni giorno, accetta se stesso,
ha accettato in modo implicito la Rivelazione cristiana10.

9 J. A. Sayés, Cristianismo y religiones..., 25.


10 J. A. Sayés, Cristianismoy religiones..., 28.

69
Cristianesimo e religioni

L’esperienza trascendentale di Dio (esistenziale trascen­


dentale) si concretizza categoricamente o tematicamente nelle
diverse tradizioni religiose dell’umanità. Queste sono perciò
mediazioni di questa esperienza.
Possiamo considerare Jacques Dupuis, gesuita belga, il più
importante teologo delle religioni, non solo per la profondità
della sua riflessione ma anche per l’influsso e la risonanza eccle­
siale delle sue opere. In un modo o in un altro gli altri autori del
pluralismo religioso vanno a finire al di fuori dei limiti della te­
ologia cattolica (P. Knitter, R. Panikkar). P. Dupuis, per contro,
si sforza di mantenersi nella linea di una teologia cattolica fe­
dele al dato rivelato e agli orientamenti del Magistero. Questo
sforzo lo rende particolarmente interessante e profondo, ma
allo stesso tempo può portare a problemi ben più difficilmente
evidenziabili. Infatti, la notifica emanata dalla Congregazione
per la dottrina della fede fa notare che, nonostante la volontà
di mantenersi fedele alla dottrina della Chiesa e agli insegna-
menti del Magistero, la sua teoria presenta “notevoli ambiguità
e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata, che possono
condurre il lettore a opinioni erronee o pericolose”11.
Il teologo gesuita infatti ci invita a passare da un pluralismo
religioso de facto a uno de iure. Vale a dire, a considerare le re­
ligioni stesse come vie di salvezza per i propri adepti. Questo lo
si vede già nell’Antico Testamento dove il Regno di Dio opera
al di là dei confini del popolo di Israele.11

11 Congregazione per la dottrina della fede, Notificazione a propo­


sito del libro del P. Jacques Dupuis, S.J., "Verso una teologia del pluralismo
religioso'’, del 24 novembre 2000. Mi sono servito soprattutto da un’ope­
ra posteriore: Il cristianesimo e le religioni, Queriniana, Brescia 2001. In
quest’opera p. Dupuis ha fatto una revisione del suo pensiero, chiarendo
e modificando alcuni aspetti dello stesso e affermando che sostanzialmente
lui è rimasto fedele alla dottrina tradizionale cattolica. Avremo modo di
parlare di Dupuis lungo tutta la nostra riflessione.

70
Storia recente della teologia e posizione del Magistero

Per spiegare come le religioni sono vie di salvezza ricorre


ad una doppia distinzione. La prima è la distinzione tra l’eco­
nomia del Verbo Incarnato e l’economia dello Spirito Santo.
Mentre la prima sarebbe riservata ai cristiani, la seconda, a cau­
sa dell’azione dello Spirito Santo che soffia dove vuole, sarebbe
alla base della salvezza tramite le tradizioni religiose dei popoli.
Questa ispirazione raggiunge i testi delle altre religioni. Questi
libri sacri sarebbero veicoli di un’esperienza di Dio. Ogni espe­
rienza di Dio viene dallo Spirito Santo. Dunque, sono ispirati
da Lui.
La seconda distinzione si basa sulla convinzione che il Ver­
bo Incarnato (Xóyoc; évcrapKoc;) non limita l’azione del Verbo
senza la sua incarnazione storica (Xóyoc; acrapKoc;). La conclu­
sione è più o meno la stessa. Il Logos non è vincolato in modo
definitivo a Cristo. Questo perché, secondo J. Dupuis, nessuna
mediazione umana è capace di esaurire il mistero divino.
Dalla prospettiva cristologica, J. Dupuis afferma con chia­
rezza la necessità di Cristo: ogni salvezza è cristiana o passa
tramite Cristo. Lui è il sacramento primordiale dell’incontro
con Dio. Chi si salva, è perché si è incontrato personalmente
con il mistero, anche se la sua esperienza eristica poteva restare
implicita. Esiste dunque una distinzione tra una esperienza im­
plicita del mistero di Cristo e una scoperta esplicita di Esso in
Gesù di Nazareth12. Per J. Dupuis la prima cosa è condizione
necessaria per la salvezza mentre la seconda un privilegio del
cristiano.
Rispetto alla Chiesa, J. Dupuis considera che non è essa a
stabilire il criterio di salvezza dei non cristiani, ma Cristo. Le
religioni non si possono collocare alla pari della Chiesa, per­
ché essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza, ma si può
a buon diritto considerarli delle mediazioni di natura diversa.

12 C£. J. A. Sayés, Cristianismo y religiones..., 33.

71
Cristianesimo e religioni

Nella Chiesa si trova in pienezza ciò che nelle religioni si trova


realmente ma in modo parziale.
Allora la domanda è: la salvezza di Gesù Cristo, arriva agli
individui senza la mediazione delle religioni (come vie di sal­
vezza), o per contro esse sono mezzi positivi di salvezza per i
loro adepti? P. Dupuis risponde affermativamente:
La mediazione completa del mistero di Cristo raggiunge
solo i cristiani, membri della chiesa sacramento, dalla quale
ricevono la parola e la cui economia sacramentale condivi­
dono. Le altre religioni possono contenere e significare, in
qualche modo, la presenza di Dio agli esseri umani in Gesù
Cristo? Dio si fa presente ad essi nella pratica stessa delle
loro religioni? E necessario ammettere che è così. La loro
pratica religiosa è infatti la realtà che da espressione alla loro
esperienza di Dio e del mistero di Cristo. E l’elemento visi­
bile, il segno, il sacramento di tale esperienza. Questa pratica
esprime, sostiene, regge e contiene - per così dire - il loro
incontro con Gesù Cristo13.

Universo teocentrico, cristologia normativa

Questo terzo paradigma abbandona definitivamente il cri-


stocentrismo inclusivista. Sarà un deciso passo del Rubicone.
Infatti, per i teologi che seguono questo paradigma, Cristo non
può essere considerato come punto di partenza di un dialogo
con le altre religioni in quanto loro non accettano Cristo come
Unico Salvatore. Da questo momento in poi lo sforzo teologico
si concentrerà nel cercare il “minimo comune denominatore”
per dialogare e non tanto la “comprensione teologico-cristiana
delle religioni, del posto che occupano nel disegno di salvez­
za”. Allora siccome Cristo non è “universale”, tutto sarà incen­
trato su Dio.
13 Cristianesimo e religioni, 351.

72
Storia recente della teologia e posizione del Magistero

La posizione pluralista afferma che il pluralismo religioso


deve entrare de iure nel disegno salvifico di Dio. Le religio­
ni sarebbero vie di salvezza complementari al cristianesimo.
Cristo occuperebbe una posizione privilegiata e normativa,
ma non essenziale né esclusiva14. In altre parole, per i teologi
dell’universo teocentrico-cristocentrismo normativo Gesù Cristo
è senz’altro la rivelazione piena, definitiva e perciò normati­
va per tutti i popoli, ma non sarebbe la causa costitutiva della
grazia che salva, soprattutto al di fuori dei confini della Chie­
sa. Questo fa sì che le altre tradizioni religiose possano essere
anche vie di salvezza, autonome e complementari rispetto al
mistero di Cristo15.
In questo paradigma si parla già di una teologia del plura­
lismo religioso in senso stretto e non più di una pura teologia
delle religioni. Si sostituisce l’unica mediazione di Cristo e il
suo carattere di Salvatore unico e costitutivo con una posizione
di modello normativo di salvezza. Non essendo Cristo costitu­
tivo, comunque può essere considerato normativo. Si ricono­
sce in Cristo un modello che serve come criterio di compara­
zione tra le religioni. Cristo è un modello talvolta sublime di
mediazione salvifica ma non escludente di altri mediatori. Lui
è il paradigma per tutti i mediatori, ma non è V unico nome nel
quale possiamo essere salvati.
Alla base di questo paradigma ci sono una serie di premes­
se filosofico-critiche che provengono dall’agnosticismo kantia­
no che considera non possibile una conoscenza trascendente
di Dio. Infatti, noi conosciamo solamente le sue manifestazioni
nelle molteplici esperienze religiose16. Tutte le religioni sono

14 Cf. J. Ratzinger,Fede, verità, tolleranza...,52.


15 Cf. G. Rota, «Per una teologia cristiana delle religioni..265.
16 Cf. M. di Torà, «La teologia delle religioni...19-20.

73
Cristianesimo e religioni

altrettante manifestazioni legittime di una realtà inconoscibile,


noumenica.
Gli autori che più o meno hanno seguito questo paradigma
sono Hans Kung, E. Troeltsch e P. Tillich17.

Universo teocentrico, cristologia non normativa

In questo paradigma si perde ogni riferimento a Cristo e lo


stesso riferimento a Dio diventa nebuloso, dal momento che
non tutte le religioni accettano l’esistenza di un Dio personale.
Detto sinteticamente, in questo paradigma Cristo si colloca ac­
canto alle religioni.
La tesi chiave del pluralismo religioso si può formulare così:
le diverse religioni storiche non rappresentano semplicemente
la ricerca del divino da parte dell’uomo, bensì le multiformi
manifestazioni della divinità18. Fondamentalmente questa è la
posizione di John Hick (anglicano) e Paul Knitter (cattolico).
A. Amato sintetizza il passaggio del Rubicone di P. Knitter
in tre postulati fondamentali e quattro postulati teologici:
- I tre postulati fondamentali:
- L’accettazione della relatività. Nessuno possiede tutta la
verità.
— Ammissione del pluralismo come unica via per rispettare
il mistero ineffabile di Dio.
- Necessità di promuovere insieme la giustizia mondiale.
Ogni religione è chiamata ad apportare del suo.
I quattro postulati teologici:
- La distinzione tra il Logos universale e Cristo.
- Distinzione tra l’economia salvifica di Cristo e quella del­
lo Spirito Santo.

17 Cf. Cristianismo y religiones..., 37.


18 Cf. M. di Torà, «La teologia delle religioni..21.

74
Storia recente della teologia e posizione del Magistero

- Riconoscere la parzialità della rivelazione cristiana e ne­


cessità di completarla con quella delle altre religioni.
- Negazione della Chiesa come sacramento universale di
salvezza.
Se P. Knitter postula la necessità di attraversare il Rubicone
dell’inclusivismo, J. Hick propone una “rivoluzione coperni­
cana” nella cristologia; un passaggio da una prospettiva cristo­
centrica ad una teocentrica. L’unico centro che abbraccia tutte
le religioni, incluso il cristianesimo, è Dio, da lì il teocentrismo.
Inoltre, chiede un abbandono deciso della pretesa di verità da
parte delle religioni, in particolare del cristianesimo. Il valore
di tutte le religioni consiste nel promuovere il Regno, la salvez­
za e il benessere dell’umanità.
Ancora di più, essendo Dio stesso un concetto problema­
tico e confuso, si mette al centro una realtà ultima, l’assoluto.
P. Knitter, da parte sua, basa tutto sul “regnocentrismo”: tutte
le religioni dovrebbero impegnarsi in favore della liberazione
umana e del suo benessere spirituale. Gesù stesso era regno­
centrico, la sua predicazione era tutta indirizzata all’istaurazio-
ne del Regno. Poi, in un secondo momento diventerà cristo­
centrica.
J. Hick parte da una posizione filosofica di tipo kantiano.
Non possiamo arrivare alla realtà ultima in se stessa. Possiamo
unicamente vederla nel suo apparire tramite delle “lenti” che
sono il nostro modo di conoscere e percepire19. Nel parlare di
Dio, J. Hick fa una distinzione tra il Reale-in-sé (l’assoluto) e
il modo in cui il Reale è sperimentato dalle diverse tradizioni
culturali. Questa assoluta trascendenza del Reale suscita una
pluralità di risposte religiose nell’umanità.
In questo modo, l’identificazione di una figura storica -
Gesù di Nazareth - con la realtà ultima e assoluta altro non è
19 C£.J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 123.

75
Cristianesimo e religioni

che un mito. Gesù non è altro che uno dei tanti geni religio­
si, perché la realtà assoluta non si può rendere presente nella
storia. Gesù diventa una metafora che rappresenta simbolica-
mente l’ideale della vita umana vissuta nella fedeltà a Dio e
nell’amore per il prossimo.
In J. Hick il relativismo religioso e la filosofia postmetafisi­
ca dell’Occidente si armonizza con la teologia negativa dell’A­
sia - il divino non può entrare nel mondo delle apparenze -.
Cosa resta della religione per Hick? Per lui la religione è il
passare dalla self-centredness alla reality-centredness-. una esi­
stenza che si progetta al di fuori del proprio io verso il Tu del
prossimo20. Il criterio, dunque, per distinguere la vera religione
dalla superstizione è di natura morale, basato sull’ideale etico
dell’amore e della compassione che le religioni condividono21.

20 Cf. J. Ratzinger, Fede, verità, tolleranza..., 127.


21 Cf. L. RodrIguez Dupla, «E1 contexto filosòfico y cultural...», 481.

76
ALCUNI AUTORI CATTOLICI RILEVANTI
DELLA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI

Paul Knitter (1939)

P. Knitter è un teologo americano, a tredici anni entrò nel


seminario minore della Società del Verbo Divino. Knitter ve­
drà questa prima tappa della sua “odissea dialogica” come un
periodo di esclusivismo cristiano1. La sua seconda tappa sarà
inclusivista e coinciderà con i suoi studi di licenza in teologia
all’università Gregoriana di Roma dove entra in contatto con il
pensiero di Karl Rahner e la sua dottrina sui cristiani anonimi.
Consegue la laurea in teologia nel 1966, nello stesso anno del­
la sua ordinazione sacerdotale. Poi si trasferisce in Germania
e, nel 1972 ottiene il dottorato all’università di Marburgo con
una tesi intitolata “Verso una teologia protestante delle reli­
gioni”. In quel periodo entra in contatto con H. Kùng e con
J. Hick, sarà la tappa pluralista della sua odissea intellettuale.
Lascia il sacerdozio nel 1975 e contrae matrimonio. Fu docen­
te alla Xavier University di Cincinnati e all’Union Theological
Seminary, a New York.
Le sue opere più importanti tradotte in italiano sono Nes­
sun altro nome? Un esame critico degli atteggiamenti cristiani
verso le religioni mondiali, Una terra, molte religioni. Dialogo
interreligioso e responsabilità globale, e Senza Buddha non po­
trei essere cristiano.

1 Cf. P. Knitter, Una terra, molte religioni..., 19-36.

77
Cristianesimo e religioni

Per il teologo americano, l’uomo occidentale odierno ha


raggiunto una coscienza della relatività di ogni cultura e della
necessità di accettare il pluralismo come unica via alla convi­
venza. Quindi nella riflessione sulle religioni, dobbiamo par­
tire da questo dato culturale2. Il cristiano non può ignorare
ciò che accade attorno a sé né le conseguenze che può avere
per le proprie convinzioni l’incontro con persone che hanno
raggiunto la salvezza per altre vie e non solo quella cristiana.
L’incontro con l’altro è un invito a conoscere il significato delle
credenze altrui per il nostro proprio modo di vivere la fede.
L’invito è, dunque, quello di passare da un inclusivismo che
possiamo ritenere ancora “esclusivo”, a un “pluralismo uniti­
vo” delle religioni. Questo pluralismo unitivo, che diviene non
solo possibile ma necessario, è dovuto - secondo Knitter - a
tre fattori o motivi: filosofici (la visione processuale-relazionale
della realtà), sociopsicologici (l’identità personale attraverso la
cittadinanza mondiale) e politico-economici (il bisogno di un
nuovo ordine internazionale).
Se di fronte alla proposta pluralista unitiva, i cristiani po­
trebbero sentire un entusiasmo iniziale, quando devono poi
confrontarsi con punti essenziali della propria fede, comincia­
no a emergere i pericoli. Il principale di essi riguarda la figura
di Cristo come unica via di salvezza. Per i cristiani, appunto,
non c’è un altro nome nel quale gli uomini possono essere
salvati. Solo reinterpretando questa verità si può giungere al
pluralismo unitivo... Ecco il passo del Rubicone in teologia.
Knitter presenta il problema in questi termini:
Non si può affrontare seriamente la questione dell’unicità del
cristianesimo senza affrontare quella più delicata dell’unicità
di Cristo. Gesù è l’unico rivelatore, la rivelazione definiti­
va di Dio? È l’unico Salvatore, l’unica incarnazione? Queste

2 Cf. P. Knitter, Nessun altro nome..., 14-23.

78
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

sono le domande che, per la loro delicatezza e ‘sconvenien­


za’, assillano la coscienza di molti cristiani. Ancora una volta,
possiamo sperare nuove risposte che non offendano il conte­
nuto della tradizione e dell’identità cristiana?3

Per rispondere al problema, il teologo americano dà per


scontata la consapevolezza teologica che tra il messaggio di
Gesù e il messaggio del Nuovo Testamento c’è stata una evo­
luzione, non necessariamente nella direzione della continuità
tra i due momenti. Gesù, predicatore del Regno di Dio, era
teocentrico e regnocentrico4. Lui non avrebbe avuto mai la
pretesa di essere Figlio di Dio - al meno Knitter non trova dati
sufficienti per affermarlo -, anche se aveva una chiara coscien­
za di svolgere un ruolo determinante nell’avvento del Regno di
Dio5. Gesù si presentava come predicatore escatologico, voce
che parla nel deserto. Per contro gli scritti del Nuovo Testa­
mento, opera dei suoi discepoli, sono già chiaramente cristo­
centrici. Non negano che Gesù abbia messo sempre al centro
il Padre ma essi annunziano Gesù come il Signore, il Figlio
di Dio, il Salvatore dell’umanità. Il risultato di questo cambia­
mento è che l’annunziatore, per opera dei suoi discepoli, è di­
venuto l’annunzio.
I titoli attribuiti a Gesù nel Nuovo Testamento, hanno la
loro origine nell’esperienza salvifica delle prime comunità cri­
stiane. Incontrando Gesù, essi hanno esperimentato un fascino
tale da trasformare la loro vita. Per esprimere questa esperien­
za, essi hanno elaborato diverse interpretazioni di Gesù. Que­
sto spiega le molteplici cristologie all’interno dei testi neote­

3 P. Knitter, Nessun altro nome..., 46.


4 Cf. P. Knitter, Nessun altro nome..., 131.
5 “Dalla testimonianza del Nuovo Testamento non sappiamo se egli
abbia preteso di essere il Figlio di Dio o se abbia avuto una qualche consa­
pevolezza della propria figliolanza divina” (ibid., 132).

79
Cristianesimo e religioni

stamentari. Ogni cristologia è un tentativo di comunicare una


esperienza. Il messaggio evangelico è costituito da una cristo­
logia “fin dai suoi primi inizi diversa, evolutiva e frutto di un
dialogo”6.
I titoli cristologici allora, non esprimono quello che Gesù
è, ma quello che Gesù significa per i suoi discepoli. “Non sono
definizioni ma interpretazioni che cercano di chiarire chi Gesù
era per i suoi primi seguaci”7. I titoli non possono esprimere,
dunque, neanche se presi tutti insieme, quanto Gesù significa
per i suoi discepoli8. Quindi nessuna immagine neotestamen­
taria andrebbe assolutizzata. Il Nuovo Testamento lascia aper­
ta la possibilità di nuove interpretazioni, anche partendo da
contesti diversi da quello cristiano tradizionale. Bisogna solo
rispettare il fatto che Gesù era teocentrico e non cristocentrico.
Quali sono stati i fattori che hanno spinto i primi cristiani
a interpretare la loro esperienza di Gesù in termini assoluti?9
- La cultura classica con la mancanza del senso della stori­
cità. La verità, se era vera, doveva essere tale per tutti in
modo assoluto. La loro esperienza di Gesù quindi, essen­
do per loro valida e autentica, era vincolante per tutti.
- La mentalità escatologica, propria della cultura ebraica.
Per loro era naturale considerare Gesù come Yeschaton
della storia, come il salvatore ultimo e definitivo.
- La necessità di sopravvivere. Per mantenere e rafforzare
la propria identità e coesione di fronte alle persecuzioni.
In conclusione: il linguaggio esclusivo con cui le primitive
comunità cristiane proclamarono la loro fede in Gesù, non è
un linguaggio filosofico e scientifico (normato dalla realtà), ma

6 P. Knitter, Nessun altro nome..., 140.


7 P. Knitter, Nessun altro nome.146.
8 Cf. P. Knitter, Nessun altro nome..., 148.
9 Cf. P. Knitter, Nessun altro nome..., 151-154.

80
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

un linguaggio religioso e confessionale (ispirato dall’amore)1011


.
I cristiani d’oggi possono legittimamente continuare a confes­
sare Gesù come il loro Salvatore, ma senza pretendere che sia
l’unico e il definitivo.

Kaimon Panikkar (1918-2010)

Per José Luis Meza - che scrisse la sua tesi dottorale su


questo autore - il pensiero di Panikkar non è il risultato di
una mera speculazione11. Esso si è costruito man mano che
attraversava le diverse fedi alle quali si sentiva esistenzialmente
collegato: cristianesimo, induismo e buddhismo. Figlio di un
industriale nobile del Kerala (India) e di madre artista catala­
na, Raimon Panikkar (o Raimundo Pàniker Alemany) nacque
a Barcellona nel 1918. Viene ordinato sacerdote nel 1946 su
richiesta di José Escrivà de Balaguer. Muore a Tavertet, Cata­
logna nel 2010.
Nella parabola intellettuale di Panikkar si possono eviden­
ziare tre tappe. La prima tappa è segnata dagli studi di fisica,
chimica e filosofia compiuti tra il 1930 e il 1960. La sua preoc­
cupazione fondamentale è il dialogo tra scienza e fede. Duran­
te quegli anni sviluppa una visione teologica della scienza che
lui chiama “teofisica”, ovvero una scienza del Dio della fisica:
visione di Dio creatore del mondo oppure del mondo come
costitutivo e “ontonomicamentereligato” a Dio.
La seconda tappa va dal 1954 e fino al 1966. Questo perio­
do coincide con il suo trasferimento in India. La sua preoccu­
pazione fondamentale sarà il dialogo con le religioni e, in parti­
colare, con l’induismo e il buddhismo. L’incontro con i teologi

10 Cf. P. Knitter, Nessun altro nome..., 154-157.


11 J. L. Meza, «Panikkar - un pionero de la teologia del pluralismo
religioso», TheologicaXaveriana,58, 165 (2008), 183-200.

81
1
Cristianesimo e religioni

indù gli farà riconsiderare la sua visione dell’esclusivismo del


cristianesimo, postridentino e pre-Vaticano IL Panikkar sco­
prirà in questo periodo l’importanza dell’esperienza personale
in teologia: “por lo tanto, lo que me aconteció fue que empecé
a ser mas yo mismo, que empecé a ser cristiano por el hecho de
ser mas hindu”n. Da questo periodo è la sua tesi dottorale in
teologia 11 Cristo sconosciuto dell’induismo^.
Infine la terza tappa, fino alla sua morte nel 2010, è carat­
terizzata dalla preoccupazione per la situazione attuale della
società occidentale. Nei suoi scritti si trovano diversi neolo­
gismi ed espressioni proverbiali: dialogo dialogale, pistema, il
carattere tempiterno della vita e l’intuizione cosmoteandrica.
Per quanto riguarda il suo pensiero partiamo dall’eviden-
ziare lo scopo della sua ricerca: esso è mettere in dialogo le
diverse religioni con il fine di arrivare ad un’unità che non vada
contro la diversità. Panikkar è convinto che in tutte le espe­
rienze religiose, se sono autentiche, viene percepito lo stesso
principio trascendente o realtà religiosa fondamentale, che su­
pera quanto possa esprimere qualsiasi religione. Questa è stata
l’esperienza che fece con il Cristo sconosciuto dell’induismo.
Tale presenza vivente di Cristo non si avvera solo nella vita per­
sonale e soggettiva dell’induista, sincero e religioso, ma anche
nell’induismo come fenomeno religioso12 14.
13
Da questo segue che, per iniziare un dialogo sincero, le
religioni devono rinunciare alla pretesa di possedere la veri­
tà assoluta o la norma suprema e definiva. Bisogna passare da
un dialogo dialettico a un dialogo dialogale. Questa regola vale,
in primo luogo, per il cristianesimo e il suo concetto di veri­
12 R Panikkar, «La vocación humana es fondamentalmente religiosa»,
Anthropos53-54 (1985), 20.
13 R Panikkar, Il Cristo sconosciuto dell’induismo, Jaca Book, Milano
2008.
14 Cf. J. Dupuis, Verso una teologia..., 200.

82
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

tà. Se si vuole iniziare il dialogo interreligioso con onestà, è


necessario rinunciare alla cristologia tradizionale che presen­
ta Cristo come Salvatore definitivo e universale deH’umanità,
o piuttosto, riconoscere che Cristo non si trova solo alla fine
del percorso - come nella teoria del compimento - ma anche
all’origine, come vero ispiratore delle religioni, in particolare
dell’induismo15. Ciò significa che Cristo non appartiene al cri­
stianesimo, “sono il cristianesimo e l’induismo che appartengo­
no a Cristo, benché in due maniere diverse”16. Cristianesimo e
induismo vanno nella stessa direzione. Per questo motivo, per
Panikkar, l’induismo ha un posto determinato nell’economia
cristiana della salvezza.
La nuova cristologia che risulta dovrebbe riconsiderare la
propria visione cristiana di Cristo, processo iniziato con la di­
stinzione tra il Gesù storico e il Cristo della fede. Per Panikkar,
Cristo sarebbe “il simbolo universale della realtà cosmo tean­
drica”, il simbolo dell’unità dinamica fra Dio, l’uomo e il co­
smo. In quanto simbolo - quello del Cristo mistero -, esso non
è esclusivo e può avere altri nomi (Rama, Krishna, Isvara, ecc.).
J. Dupuis spiega il pensiero di Panikkar in questi termini:
Che cosa rappresenta, dunque, Cristo? Panikkar spiega che
egli è per lui il simbolo più potente - ma non un simbolo
limitato al Gesù storico - della realtà pienamente umana,
divina e cosmica cui dà il nome di Mistero17.

Se il Padre è il silenzio creatore e origine invisibile di tutto,


il Cristo mistero sarebbe il suo Logos o la sua comunicazio­
ne esterna. Nel Logos, o Cristo universale, tutta la realtà (Dio,
mondo e uomo) sarebbe unita dinamicamente. Invece Gesù,
il personaggio storico, sarebbe una delle incarnazioni possibili
15 R Panikkar, Il Cristo sconosciuto..., 10.
16 R Panikkar, Il Cristo sconosciuto..., 59.
17 J. Dupuis, Verso una teologia..., 202-203.

83
Cristianesimo e religioni

del Cristo universale. Il Cristo universale, proprio perché è la


realtà cosmoteandrica, non può essere identificato con nessuna
figura storica, neppure con Gesù di Nazareth. Questo però non
deve indurre al relativismo religioso. Tutte le figure storiche del
Cristo universale sono necessarie e vere, giacché il Cristo uni­
versale può essere sperimentato dall’uomo solo se assume una
forma storica particolare.
Panikkar fa una distinzione tra fede e credenza. La fede
sarebbe l’esperienza religiosa fondamentale; la credenza, per
contro, riguarda la concreta espressione di questa esperienza,
che cambia da religione a religione, e nella stessa religione lun­
go la storia.
Per poter intraprendere un dialogo dialogale - che entri
nell’esperienza profonda dell’altro - è necessario avere chiara
questa distinzione. La fede è sempre trascendente, indicibile e
aperta, mentre la credenza è “una concretizzazione intellettua­
le, emozionale e culturale all’interno di strutture relative a una
tradizione particolare, la quale richiede lealtà”18.
Il contenuto della fede - chiamato da Panikkar il Mistero
- è, nel commento di J. Dupuis, “la relazione vissuta con una
trascendenza che si impadronisce dell’essere umano”19. L’og­
getto della fede è la “Realtà cosmoteandrica”, comune a tutte
le religioni. Le credenze riguardano i vari miti tramite i quali la
fede assume un’espressione concreta. Se è necessario nel dialo­
go interreligioso mettere tra parentesi le varie credenze, non è
possibile prescindere dalla fede. Essa appunto ci accumuna. La
credenza, per contro, è necessaria per incarnare la fede:
La fede non può essere ridotta allo stesso piano della creden­
za, ma essa ha sempre bisogno di una credenza per essere
fede. Una credenza che non contiene un costante riferimen­

18 R. Panikkar, Il dialogo intrareligioso...,76.


19 J. Dupuis, Verso una teologia..., 203.

84
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

to a un aldilà che la trascende e, in certo senso, l’annienta,


non è credenza ma fanatismo. La fede trova la sua espressio­
ne nella credenza, ed è tramite alla credenza che gli uomini
normalmente arrivano alla fede20.

In conclusione: è legittimo per il cristiano credere e confes­


sare che Gesù è il Cristo. Lui non può, però, pretendere che il
Cristo universale si renda visibile e sperimentabile unicamente
in Gesù, perché la figura storica di Gesù appartiene al livello
delle credenze che variano a seconda delle religioni. Deve ri­
conoscere che in tutte le altre religioni, in un certo senso, si
riesce a toccare il Cristo universale, il Nome che è al disopra di
ogni altro nome, anche se poi lo inserirà in una credenza par­
ticolare. Quindi il cristiano non può più affermare che Cristo
Gesù sia l’unico Salvatore, neppure la norma con cui valutare
l’efficacia salvifica delle religioni non cristiane. Deve dialoga­
re con i credenti delle altre esperienze religiose per arricchirsi
mutuamente.

Jacques Dupuis (1923-2004)

P. Jacques Dupuis, sacerdote della Compagnia di Gesù,


nacque in Belgio nel 1923. Nel 1948 arrivò in India dove ri­
mase fino al 1984 e dove insegnò per 25 anni la cristologia. Per
dodici anni fu direttore della Vidyajyoti Journal of Theological
Reflection e teologo consultore della Conferenza episcopale
asiatica. Dal 1985 a 1998 fu professore di cristologia all’Uni-
versità Gregoriana di Roma. Dal 1985 al 2003 fu direttore della
rivista Gregorianum. In quanto teologo consultore del Pontifi­
cio consiglio per il dialogo interreligioso, fu uno dei curatori

20 R. Pankkar, Il dialogo intrareligioso..., 86.

85
Cristianesimo e religioni

del documento Dialogo e annuncio (19 maggio 1991). Morì a


Roma nel 200421.
Alcune delle sue proposte le abbiamo anticipate. Qui ag­
giungiamo altre tematiche affrontate dal teologo gesuita, tratti
dal suo ultimo libro Cristianesimo e religioni.

Cristo e la Chiesa

Il primo passo che propone J. Dupuis è la separazione di


Cristo dalla Chiesa. Questa unione ha reso impossibile, durante
quasi due millenni, una riflessione profonda sulla salvezza nelle
altre religioni. Le altre religioni sono state confrontate con la
Chiesa, come se essa fosse il centro e la fonte della salvezza e
non Cristo. Questo schema “religioni versus Chiesa” non è più
valido, perché non riesce a risolvere i problemi. Anzi li crea.
Perfino il Vaticano II risente di questa impostazione quando
vede negli elementi buoni o positivi delle altre religioni solo ciò
che si trova in pienezza nella Chiesa cattolica22. Il teologo bel­
ga propone piuttosto che, sia la Chiesa, sia le altre religioni si
confrontino con Cristo. Essendo la Chiesa un mistero derivato
e totalmente relativo a Cristo, non può essere il criterio della
salvezza degli “altri”23.

La portata della rivelazione storica di Gesù Cristo

Abbiamo già visto come Cristo è separato dalla Chiesa.


Adesso vorrei mettere in evidenza una doppia distinzione che
fa J. Dupuis, che parte dalla separazione tra il Gesù della storia
e il Cristo della fede.

21 Per più informazioni, «G. Zambon, In ricordo di p. Jacques Du­


puis», Rivista di Teologia 46 (2005), 123-125.
22 Cf. Cristianesimo e religioni, Queriniana, Brescia 2000, 93.
23 Cf. Cristianesimo e religioni..., 155.

86
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

In primo luogo, Gesù Cristo è diverso da ciò che il Nuovo


Testamento ci dice di lui. Una cosa è che Gesù sia la pienezza
della rivelazione e un’altra, ben diversa, è la trasmissione del
messaggio di Gesù, così come compare nel Nuovo Testamento.
J. Dupuis trova il passo di Gv 21,25 quale conferma di questa
affermazione: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da
Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mon­
do stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero
scrivere”; il che vale a dire che l’azione di Gesù Cristo sorpassa
ciò che di lui ci hanno detto i Vangeli24. Gesù, quale rivelatore
del Padre, continua a rivelare, non più tramite la sua parola
contenuta nella Scrittura, ma tramite altri mezzi. Appunto, le
altre religioni.
La seconda distinzione riguarda il rapporto tra il Verbo In­
carnato e il Verbo Eterno. Questa distinzione ha come conse­
guenza altre due affermazioni:
1. In quanto Verbo Eterno, Egli supera le circostanze sto­
rico-spaziali dell’evento Cristo. Cristo è il Verbo, ma in quanto
Verbo Eterno non è legato alla sua umanità. Lui può agire pre­
scindendo della sua condizione di uomo.
Ma è da ricordare che l’evento Cristo, per quanto presente
inclusivamente, non esaurisce tuttavia il potere del Verbo di
Dio che si è fatto carne in Gesù Cristo. L’azione illuminatrice
e la potenza salvifica del Verbo sono universali, estese a tutti
i tempi e a tutte le persone [...] Come fece prima dell’incar­
nazione, il Verbo continua tuttora a seminare i suoi semi in
mezzo ai popoli e nelle tradizioni religiose: verità e grazia
sono presenti in esse mediante la sua attività25.

A questo proposito giustamente conferma Giovanni Rota:

24 Cristianesimo e religioni...,249.
25 Cristianesimo e religioni..353-354

87
Cristianesimo e religioni

Egli differenzia il Logos eterno (asarkos) dal Logos Incar­


nato (ensarkos), mantenendo un’azione distinta del Logos
asarkos anche dopo l’incarnazione, e valorizza la presenza
universale dello Spirito di Dio e la sua azione complementa­
re a quella del Logos: l’evento Cristo è quindi il sacramento
universale della volontà salvifica di Dio, non ne è però la sola
espressione possibile; perciò la sua unicità è “relazionale”,
ossia va intesa “in relazione con tutte le altre manifestazioni
divine all’umanità in un’unica storia della salvezza”26.

2. In quanto uomo, la coscienza di Cristo non può esaurire


il mistero di Dio. La sua rivelazione infatti non è quantitativa
ma qualitativa. Qualitativa perché Lui in quanto Figlio di Dio è
la rivelazione del Padre. Non è quantitativa in quanto non può
esprimere tutto quanto questo mistero significa.
Neppure la coscienza umana del Figlio di Dio fatto uomo
può esaurire il mistero divino nella sua totalità. È dunque una
fallacia sostenere che, siccome la persona che parla è persona
divina, le sue parole contengono la totalità del mistero divino,
nonostante le limitatezze innate della sua natura umana27.
J. Dupuis conclude quest’argomentazione rifiutando la
possibilità di applicare a questo caso la communicatio idioma-
tum.

Sulla rivelazione

La rivelazione per J. Dupuis è essenzialmente l’autocomu-


nicazione progressiva di Dio all’uomo. Questa è caratterizzata
dall’unità e dalla continuità, dal momento della creazione fino
alla consumazione escatologica. Questa autocomunicazione
non appartiene, quindi, solo alla Rivelazione biblica. Non è
esclusiva di essa. Dio si comunica a tutti gli uomini dall’origine

26 G. Rota, op. cit. p. 264.


27 Cristianesimo e religioni. ..,251.

88
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

del mondo, e le religioni, in genere, servono da ponte per que­


sta autocomunicazione di Dio.
La storia della salvezza, universalmente presente, deve per
tanto, assumere forma concreta nella storia delle persone.
Questo accade nella storia delle religioni in generale, e in
particolare nelle religioni storiche dell’umanità. Queste pos­
sono, dunque, fungere da mediazione storica dell’esperien­
za soprannaturale di Dio come rivelazione divina, e perciò
‘provocano’ positivamente la salvezza. Esse possono per tan­
to essere considerate come volute da Dio, in quanto danno
forma concreta all’offerta divina di grazia universalmente
presente ed operante nella storia umana. Nelle tradizioni re­
ligiose del mondo assume una prima forma concreta l’offerta
di Dio alle persone nella rivelazione salvezza28.

Per J. Dupuis non c’è, quindi, un’unica rivelazione in senso


stretto; non esiste un’unica storia della salvezza. La rivelazione
biblica sarebbe al massimo il typos delle altre, il paradigma di
ciò che Dio fa per portare la salvezza a tutti gli uomini di tutte
le culture. La storia del popolo eletto che esce dall’Egitto, fa
l’alleanza, vaga per il deserto, cade nell’ idolatria, sarebbe il
modello di tutti i popoli che camminano guidati da quel dialo­
go salvifico di Dio con l’uomo.
Da questa concezione di rivelazione, J. Dupuis trae alcune
conclusioni. Ne enuncio due:
La prima conclusione è che esiste, senz’altro, una lettura
cristiana dei Vangeli, ma il cristianesimo non ne ha l’interpreta­
zione esclusiva. Esiste anche una lettura più ampia, destinata a
tutti gli uomini, a prescindere dalla loro religione. Le beatitudi­
ni, per esempio, non sono state scritte solo per i cristiani. Sono
piuttosto patrimonio di tutta l’umanità29. Gli insegnamenti

28 Cristianesimo e religioni..., 197.


29 Cristianesimo e religioni..., 93.

89
Cristianesimo e religioni

contenuti nel Nuovo Testamento sono riflessi di una realtà più


ampia e anteriore al cristianesimo.
La seconda conclusione riguarda la storia della salvezza: si
avverte nella riflessione di Dupuis una concezione non chiara
di rivelazione e soprattutto si avverte l’assenza della nozione di
peccato. J. Dupuis identifica la storia della salvezza con la sto­
ria del mondo: la storia della salvezza è coestensiva alla storia
del mondo. Afferma testualmente J. Dupuis:
Essa consiste nella stessa storia umana e del mondo, vista
con gli occhi della fede come un dialogo di salvezza che Dio
ha liberamente intrapreso con l’umanità sin dalla creazione
e che egli persegue sino al compimento del Regno n&W’escha-
tonyò.

Il teologo belga considera quindi illegittima una separazio­


ne tra rivelazione naturale e rivelazione soprannaturale. Il fatto
che Dio comincia a intervenire nella storia con la vocazione di
Abramo (cf. Gn 12,1) sarebbe una mutilazione insostenibile
perché, secondo lui, Dio comincia a rivelarsi e a salvare già
dalla creazione del mondo.

Regno di Dio, Chiesa e religioni

Questo è il titolo del capitolo ottavo di Cristianesimo e re­


ligioni. Bisogna fare due considerazioni: 1° la distinzione tra
il Regno di Dio e la Chiesa e, 2° le conclusioni essenziali della
considerazione della Chiesa come sacramento.
J. Dupuis considera illegittimo identificare la Chiesa con il
Regno di Dio. La Chiesa non si identifica con il Regno, ma è al
servizio del Regno. Il regno di Dio è una “realtà” più ampia che
include anche le altre religioni. Ciò vuol dire che la Chiesa e le

30 Cristianesimo e religioni..195.

90
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

altre religioni si trovano in una situazione di parità rispetto al


Regno di Dio. Il teologo belga da un peso magisteriale a questa
conclusione servendosi di alcuni passi della Redemptoris Mis-
stoi\
Cos’è il Regno per J. Dupuis? Lo stesso, secondo lui, che si
abbozza nella Redemptoris Missio. L’enciclica però non preten­
de di dire tutto sul Regno. Per J. Dupuis il Regno sembra com­
parire solo come una realtà sociologica. Le caratteristiche di
questo Regno coincidono con le virtù, la lotta per la giustizia, la
cura per i poveri, la salvaguarda di astratti valori religiosi, ecc.
32 Scrive J. Dupuis:
La cooperazione nella costruzione del Regno di Dio si esten­
de inoltre alle differenti dimensioni che lo caratterizzano,
che possiamo chiamare ‘orizzontale’ e verticale’. I cristiani
e gli altri credenti costruiscono insieme il Regno di Dio ogni
volta che aderiscono di comune accordo alla causa dei diritti
umani, ogni volta che lavorano per la liberazione integrale
di ogni singola persona umana [...] Essi costruiscono inoltre
il Regno di Dio promuovendo i valori religiosi e spirituali.
Nella costruzione del Regno le due dimensioni, umana e re-

31 J. Dupuis dimentica di citare i numeri 17 e 18 della stessa enciclica:


“[...] Inoltre, il regno, quale essi lo intendono, finisce con l’emarginare o
sottovalutare la chiesa, per reazione a un supposto «ecclesiocentrismo» del
passato e perché considerano la chiesa stessa solo un segno, non privo pe­
raltro di ambiguità. 18. Ora, non è questo il regno di Dio, quale conosciamo
dalla rivelazione: esso non può essere disgiunto né da Cristo né dalla chie­
sa....”
32 Basterebbe continuare a leggere l’enciclica per renderci conto della
“selezione” del testo che fa J. Dupuis: “Il regno di Dio non è un concetto,
una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi
tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine
del Dio invisibile”. Redemptoris Missio n. 18.

91
Cristianesimo e religioni

ligiosa sono inseparabili, la prima è in realtà il segno della


seconda33.

La Chiesa: sacramento del Regno di Dio

Per J. Dupuis la considerazione sulla Chiesa come sacra­


mento del Regno sembra essere decisiva per capire come si sal­
vano coloro che non appartengono formalmente ad essa3435 . La
sua riflessione, anche se parte dall’affermazione del Concilio,
si riallaccia piuttosto all’applicazione della teoria sacramentale
alle relazioni tra la Chiesa e il mondo elaborata da Rahner nel
suo articolo Chiesa e mondo55.
In sintesi, l’argomentazione è la seguente: nella teologia sa­
cramentale si fa la distinzione tra sacramentum tantum, res et
sacramentum, res tantum. La Chiesa, nel suo aspetto istituzio­
nale, è il sacramento (sacramentum tantum}, l’appartenenza al
Regno di Cristo è la realtà di grazia significata {res tantum}. La
res et sacramentum, secondo questo schema, “è il rapporto che
si stabilisce fra i membri della comunità ecclesiale e la chiesa,
in virtù del quale i primi partecipano alla realtà del Regno at­
traverso la loro appartenenza alla chiesa come suoi membri”.
L’applicazione alla realtà che ci interessa è la seguente: come
una persona può pervenire alla grazia senza la mediazione della
realtà intermedia, così entrano nel Regno di Dio anche coloro
che appartengono ad altre religioni senza appartenere al Cor­
po della Chiesa. La Chiesa, conclude J. Dupuis, continua ad
essere il segno efficace, voluto da Dio, ma è al servizio di quel
Regno che è presente anche nelle altre religioni. Vale a dire, la
condizione privilegiata della Chiesa di fronte al Regno di Dio

33 Cristianesimo e religioni.,., 376.


34 Le linee che seguono sono una sintesi delle pagine 396-402 di Cri­
stianesimo e religioni.
35 In Id. Sacramentum mundi, vol. Il (citato dal P. Dupuis, p. 396).

92
Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni

non impedisce la possibilità dell’appartenenza al Regno al di


fuori di essa. Quelli che stanno al di fuori, continua il teologo
belga, non sono incorporati alla Chiesa, ma ordinati ad essa.
La Chiesa non ha il possesso esclusivo del Regno, ma è piut­
tosto l’umile serva di esso. Essa, in definitiva, non possiede la
salvezza (non è sacramento di se stessa), ma rivelatrice di quella
salvezza che Dio realizza nella storia.
La riflessione di J. Dupuis va più in là. La funzione della
Chiesa, quindi, non è quella di mediare, in senso stretto. La
sua funzione è di servizio, d’intercessione e di annuncio. La
Chiesa diventa così sacramento dell’azione di Dio nel mondo.
Per questo motivo, insieme a Rahner, Schillebeeckx e altri, J.
Dupuis trasforma l’assioma fondamentale extra Ecclesiali nul­
la salus in extra mundum nulla salus.

93
LA RIFLESSIONE DEL MAGISTERO

Prima del Vaticano II

Per quanto riguarda il rapporto con le altre religioni, il Ma­


gistero è passato da posizioni fortemente critiche e restrittive
ad atteggiamenti di avvicinamento e di simpatia. Forse non
esiste un altro tema teologico che abbia subito un’evoluzione
così radicale. Per farsi un’idea di questo cambiamento baste­
rebbe solo dare uno sguardo veloce al Magistero degli ultimi
150 anni, da Pio IX a Giovanni Paolo II.
Nel Sillabo (1860), documento che seguì all’enciclica di Pio
IX, Quanta cura, ci sono delle affermazioni molto forti riguar­
do alle tematiche del relativismo e del valore salvifico delle altre
religioni. E necessario però inquadrare queste affermazioni nel
loro contesto polemico di condanna di teorie panteiste, natu-
raliste e razionaliste. Le affermazioni che vengono condannate
sono le seguenti:
V. La rivelazione divina è imperfetta, e perciò soggetta a pro­
gresso continuo e indefinito, corrispondente al progresso
della ragione umana.
XV. Ciascun uomo è libero di abbracciare e professare quel­
la religione, che sulla scorta del lume della ragione avrà re­
putato essere vera.
XVI. Gli uomini, nell’esercizio di qualsivoglia religione, pos­
sono trovare la via dell’eterna salute, e conseguire l’eterna
salute.
XVII. Almeno hassi a bene sperare della eterna salvezza di
tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.

94
r
La riflessione del Magistero

XVIII. Il protestantismo non è altro che una forma diversa


della medesima vera religione cristiana, nella quale egual­
mente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.
In sintesi, ciò che si condanna è, per prima cosa, il fatto che
possa darsi un progresso nella divina rivelazione. Le posizioni
pluraliste contemporanee affermano che la rivelazione di Cri­
sto, essendo storica, non potrebbe essere definitiva e che deve
essere completata con quanto di buono e santo si trova nelle
altre religioni. Inoltre, sembra che il Sillabo condanni la libertà
di coscienza, ma soprattutto, sembra eliminare la possibilità di
trovare la salvezza in altre religioni.
Il Sillabo fu una reazione agli autori che anticiparono il mo­
dernismo e a coloro che riducevano la religione al sentimento.
Schleiermacher approfondì, contro Kant, il valore del senti­
mento e la rilevanza dell’esperienza religiosa. Per lui questo
sentimento è patrimonio di tutta l’umanità a prescindere dalla
religione. In fondo alla religione, secondo lui, c’era il sentimen­
to di dipendenza. J. Dorè spiega che per Schleiermacher:
la fede non ha il suo posto né nel pensiero né nel volere, né
nella conoscenza teorica (deismo) né nella ragione pratica
(kantismo); ma nella sensibilità, nello slancio che vi nasce e
la porta verso l’infinito. “La religione è l’intuizione dell’uni­
verso, ecco il mio solo discorso”1.

Questa dottrina, valida in molti aspetti, fu applicata indi­


scriminatamente alla religione cattolica e ai Vangeli. Per Ritschl
il Vangelo sarà la somma delle esperienze religiose, senza altro
scopo che quello di provocare in noi le stesse esperienze. Con
Loisy la fede è ridotta ad una percezione intuitiva e sperimen­
tale, sempre in evoluzione, dei nostri rapporti con Dio.

1 J. Dorè, «Schleiermacher Friedrich», en P. Poupard (dir.), Grande dizio­


nario delle religioni, Cittadella, Assisi - Piemme, Casale Monferrato 1988,1908.

95
Cristianesimo e religioni

Queste affermazioni furono condannate ulteriormente dal


decreto Lamentabili del Santo Uffìzio (1907), dove si ammette
che la Rivelazione è ricevuta “nell’uomo” ma non può essere
ricondotta a una attività puramente umana e naturale. Nell’En­
ciclica Pascendi di Pio X si accusavano queste dottrine affer­
mando che il modernismo innalza l’esperienza, ma disprezza le
formule. In fondo si cade nell’agnosticismo.
Qualche decennio dopo, Pio XII scrisse Mystici Corporis
(1943) per rivalutare alcuni punti fondamentali sulla Chiesa in
quanto Corpo Mistico di Cristo. Per quanto riguarda gli ap­
partenenti alle altre religioni, l’enciclica afferma che coloro che
non appartengono alla Chiesa sono ordinati ad Essa tramite un
anelito e un desiderio non consapevole (cf. D.S. 3821).
Nel 1949, il Santo Uffìzio inviò una lettera all’arcivescovo
di Boston per chiarire alcuni punti nella controversia con il P.
Leonard Feeney che insegnava posizioni fortemente ecclesio-
centriche. Nella lettera si legge:
Nella sua infinita misericordia, Iddio ha voluto che, trattan­
dosi di mezzi di salvezza ordinati al fine ultimo dell’uomo
non per necessità intrinseca ma solo per divina istituzione, si
possa egualmente ottenere il loro effetto salutare, in alcune
circostanze, allorché questi mezzi sono soltanto oggetto di
desiderio o di voto2.

La lettera fa una distinzione tra necessitas praecepti - neces­


sità dell’appartenenza alla Chiesa per la salvezza - e la intrin­
seca necessitas che sarebbe la necessità dei mezzi indispensabili
per la salvezza. L’unico “mezzo” assolutamente indispensabile
è la mediazione del Verbo incarnato. Solo Cristo è necessario
con necessità intrinseca. La Chiesa è un “aiuto generale in or­
dine alla salvezza”. In caso di ignoranza invincibile basterebbe
2 In F. Spadafora, Fuori la Chiesa non c’è salvezza, Krinon, Caltaniset­
ta 1988, 25.

96
La riflessione del Magistero

il desiderio implicito di appartenere alla Chiesa. Comunque,


da parte del soggetto, la fede, nel senso di Eb 11,6, è sempre
necessaria con necessità intrinseca3.
Evangelii praecones, enciclica di Pio XII, si presenta come
momento culmine della riflessione del Magistero, prima del
Vaticano II. Questa enciclica non è molto conosciuta, ma ci
interessa per osservare in modo sintetico la visione della Chie­
sa prima del Concilio Vaticano II e perché ebbe un notevole
influsso sui teologi della teoria del compimento, e su Daniélou,
in particolare. Pubblicata il 2 giugno 1951, a 25 anni dalla Re­
rum Ecclesiae di Pio XI, questa enciclica constata i progressi
in materia di evangelizzazione e di istituzionalizzazione della
Chiesa in terra di missione4 e offre dei concreti criteri di azio­
ne missionaria.
3 Cf. CTI, parr. 66: “La lettera distingue tra la necessità dell’appar­
tenenza alla Chiesa per la salvezza {‘necessitas praecepti') e la necessità dei
mezzi indispensabili per la salvezza {‘intrinseca necessitasi. Riguardo a tali
mezzi, la Chiesa è un aiuto generale per la salvezza (Denz 3867-3869): nel
caso di un’ignoranza invincibile, basta il desiderio implicito di appartenere
alla Chiesa, e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira
a conformare la sua volontà a quella di Dio (Denz 3870). La fede però, nel
senso di Eb 11,6, e l’amore sono sempre necessari con necessità intrinseca
(Denz 3872)”.
4 L’enciclica mette in evidenza i successi della spinta missionaria dei
papi precedenti: “Così, per esempio, nella Cina e in alcune parti dell’Africa
è stata eretta la gerarchia ecclesiastica, secondo le norme dei sacri canoni;
sono stati celebrati tre concili plenari di grandissima importanza, il primo in
Indocina nell’anno 1934, il secondo in Australia nel 1937, il terzo in India
nel 1950. Sono cresciuti molto in numero e importanza i seminari minori
per l’insegnamento delle prime discipline; e i seminaristi dei seminari mag­
giori, che venticinque anni fa erano soltanto 1770, ascendono al presente
a 4300; inoltre sono stati fondati molti seminari regionali. A Roma, presso
il Collegio Urbano, è stato eretto 1’«Institution missionale»-, pure a Roma e
altrove sono state istituite facoltà e cattedre di missionologia. Parimenti è
sorto, sempre in quest’alma città, il Collegio di San Pietro, dove i sacerdoti
indigeni ricevono una più profonda e completa formazione nello studio,

97
Cristianesimo e religioni

Per noi è rilevante soprattutto il n. 12 sul rispetto per ciò


che di buono è presente nella civiltà e nei costumi dei diversi
popoli.
Il texto parte da una costatazione, che, secondo il Papa, è
una norma costante della Chiesa: il Vangelo non deve soffocare
quello che vi è di buono, onesto e bello nell’indole e nella tra­
dizione dei vari popoli che abbracciano la Fede. La Chiesa non
avrebbe la missione di distruggere, ma di portare a compimen­
to. Scrive il Papa: “Non si tratta di abbattere una selva lussu­
reggiante, bensì come chi innesta nuovi sani virgulti sui vecchi
ceppi affinché possano a loro tempo produrre e maturare frutti
più squisiti e delicati”. E quanto fece la Chiesa riguardo al po­
polo ebraico. La stessa cosa è capitato con le nazioni dove il
cristianesimo si è sviluppato.
La Chiesa per esempio non rifiutò mai il pensiero dei popo­
li pagani. Portò avanti con questo pensiero tre azioni:

nella virtù, nell’apostolato. Sono poi state fondate due università; i collegi di
cultura inedia o superiore da circa 1.600 sono saliti a più di 5.000; le scuole
elementari e le medie sono state quasi raddoppiate e altrettanto si può dire
dei dispensari, degli ospedali per la cura di ogni genere di malati, di infer­
mi, non esclusi i lebbrosi. A tutto ciò bisogna aggiungere ancora l’Unione
missionaria del clero che in questi anni ha avuto un grande incremento; è
stata fondata l’Agenzia Fides, che ha come scopo la ricerca, l’esame e la
divulgazione di notizie di carattere religioso; quasi dappertutto è in aumen­
to e si diffonde largamente la stampa missionaria; sono stati celebrati vari
Congressi missionari, tra i quali è da ricordare in particolar modo quello
tenuto in Roma nello scorso anno santo, che ha chiaramente documentato
l’estensione abbracciata dalle attività missionarie; e recentemente è stato
celebrato il congresso eucaristico di Rumasi, nella Costa d’Oro in Africa,
davvero straordinario per il concorso di gente e per la profonda pietà; infine
è stata da Noi stabilita una giornata particolare da celebrarsi ogni anno, allo
scopo di promuovere con preghiere e offerte la Pontificia Opera della Santa
Infanzia. Da ciò risulta chiaro che le iniziative di apostolato hanno opportu­
namente corrisposto, con metodi nuovi e più adatti, alle mutate condizioni
e alle accresciute necessità dei nostri tempi (EP. 1).

98
La riflessione del Magistero

- Lo purificò da ogni scoria di errore.


- Lo portò a compimento.
- Lo perfezionò con la sapienza cristiana.
Per quanto riguarda le abitudini e le antiche istituzioni dei
popoli, la Chiesa non li soppresse, anzi le consacrò; per esem­
pio, le feste pagane furono trasformate nel significato e nel rito.
Finalmente, una parola sul rapporto tra Vangelo e cultura
occidentale: il missionario è apostolo di Gesù Cristo. Egli non
ha il compito di trapiantare la civiltà specificamente europea
nelle terre di missione, bensì di rendere quei popoli, che van­
tano talora culture millenarie, pronti e atti ad accogliere e ad
assimilare gli elementi di vita e di costume cristiano, che fa­
cilmente e naturalmente si accordano con ogni sana civiltà e
conferiscono a questa la piena capacità e forza di assicurare e
garantire la dignità e la felicità umana. I cattolici indigeni deb­
bono essere veramente membri della famiglia di Dio e cittadini
del suo regno (cf. E/2,19), senza però cessare di rimanere cit­
tadini anche della loro patria terrena5.

Il Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II segnò una svolta decisiva sul tema


del rapporto tra cristianesimo e religioni. Mai prima di allora
un documento del Magistero aveva parlato così positivamen­
te delle religioni in se stesse. Oltre al decreto Nostra Aetate,
riferimenti alle altre religioni si trovano in diversi documenti
conciliari.

5 Evangelii praecones.n. 12.

99
Cristianesimo e religioni

Lumen Gentium n.16

Lumen Gentium n.16 parla dei vari gradi di appartenenza


al popolo di Dio. Oltre ai fratelli separati - che vi appartengo­
no in virtù del battesimo e della confessione della Trinità -, ci
sono coloro che non hanno ancora ricevuto il Vangelo e sono
anche ordinati in vario modo al popolo di Dio. In primo luogo,
si trova il popolo dell’Antica Alleanza. Di essi Lumen Gentium
parla in questi termini'.
[...] quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le pro­
messe e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cf. Rm 9,4-
5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei
padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili
(cf. Rw 11,28-29).

In secondo luogo, si trovano principalmente i musulmani,


ma non solo. Essi riconoscono il Creatore e hanno ricevuto la
fede di Abramo. E da notare l’espressione che adopera il Con­
cilio. Esso afferma che “il disegno di salvezza” abbraccia pure
questa categoria di credenti. Cosa intende dire il Concilio con
“abbracciare” ? Esiste forse un segreto disegno di salvezza che
arriva non solo ai cristiani - e agli ebrei - ma anche ai musul­
mani?
Il termine “disegno di salvezza” è ancora più notevole se si
compara con l’espressione “Dio non è neppure lontano” quan­
do si riferisce a coloro che “cercano il Dio ignoto nelle ombre
e sotto le immagini”. Essi sono legati al Creatore nel contesto
della natura, non solo in quanto ogni essere dipende da Lui:
“poiché egli dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa (cf. At
1,7,25-26)”, ma anche in virtù della Volontà salvifica universale
di Dio: “come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cf.
1 Tm 2,4)”.

100
La riflessione del Magistero

La salvezza eterna per loro è possibile in quanto, nonostan­


te ignorino il Vangelo e la Chiesa, lo cercano con sincerità e
si sforzano, non senza la grazia, di compiere la volontà divina
- volontà di salvezza per tutti. E nella coscienza che si rende
manifesto il volere divino. Quindi la salvezza per coloro che
non conoscono il Vangelo è accessibile tramite lo sforzo e la
fedeltà alla coscienza: sforzo e fedeltà che li porta a condurre
una vita retta.
Questo paragrafo non chiarisce di quale grazia si tratta. Se
ci collochiamo nel contesto della teologia tradizionale dobbia­
mo affermare che non si può trattare della grazia santificante
perché essa si acquisisce con il battesimo. Possiamo però ri­
durre la grazia che salva coloro che non conoscono il Vangelo
a una semplice “grazia attuale”?
Gli ultimi due paragrafi del numero 16 si riferiscono alla
dottrina della praeparatio evangelica e al bisogno di evangeliz­
zazione. La Chiesa ritiene che tutto ciò che è buono e vero si
costituisce come preparazione al Vangelo. Non si dice esplici­
tamente, ma possiamo affermare che la preparazione al Van­
gelo appartiene al disegno salvifico di Dio per i non cristiani.
Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e per questo motivo
ha preparato le strade, grazie all’azione dello Spirito Santo, af­
finché coloro che sono nelle condizioni descritte dalla Lumen
Gentium possano, in modo misterioso ma reale, avvicinarsi al
mistero di Cristo.
Suscita l’attenzione il fatto che il motivo per il quale il Vati­
cano Il spinge all’evangelizzazione sia la reale minaccia dell’er­
rore davanti al pericolo di scambiare la verità divina per la
menzogna del demonio:
Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno
errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità
divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che

101
Cristianesimo e religioni

il Creatore (cf. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo


senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione
finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e
la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore
che dice: «Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Afe 16,15),
mette ogni cura nell’incoraggiare e sostenere le missioni.

Sarebbe forse necessario aggiungere motivi più profondi.


Certo, seguendo il Vaticano I, si afferma che l’uomo con il lume
naturale della ragione può arrivare ad affermare l’esistenza di
Dio e alcuni dei suoi attributi generali e che in questa ricerca
la maggior parte può sbagliare. Ma la buona novella di Cristo
va oltre la conoscenza naturale di Dio. La Rivelazione cristiana
ci introduce nel mistero della vita intima della Trinità e ci ren­
de divinae naturae consortes. L’evangelizzazione ha lo scopo di
estendere a tutti gli uomini le investigabiles divitias Christi (Ef
3, 8) la qual cosa è infinitamente di più di un rimedio contro
l’errore.

Ad Gentes n.3 e Gaudium et Spes n.22

Ad Gentes è un decreto conciliare che riflette sull’attività


. Il punto di partenza della missione
missionaria della Chiesa6*il

6 “Questo piano universale di Dio per la salvezza del genere umano


non si attua soltanto in una maniera per così dire segreta nell’animo degli
uomini, o mediante quelle iniziative anche religiose, con cui essi variamente
cercano Dio, nello sforzo di raggiungerlo magari a tastoni e di trovarlo,
quantunque egli non sia lontano da ciascuno di noi (cf. Ai 17,27): tali ini­
ziative infatti devono essere illuminate e raddrizzate, anche se per benigna
disposizione della divina Provvidenza possono costituire in qualche caso un
avviamento pedagogicamente valido verso il vero Dio o una preparazione
al Vangelo. Ma Dio, al fine di stabilire la pace, cioè la comunione con sé, e
di realizzare tra gli uomini stessi - che sono peccatori - una unione fraterna,
decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana, inviando
il suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo
gli uomini dal potere delle tenebre e del demonio ed in lui riconciliare a sé

102
La riflessione del Magistero

è la consapevolezza della Chiesa di essere “sacramento uni­


versale di salvezza”7. La missione della Chiesa si fonda sulla
missione del Figlio, Verbo Eterno inviato dal Padre e dallo Spi­
rito Santo. L’origine della missione è l’amore “fontale” di Dio
Padre e ha come fine la chiamata alla salvezza, non solo indivi­
dualmente, ma in quanto membri di una comunione: come un
popolo nel quale i figli dispersi possono essere radunati.
Qui si inserisce il paragrafo terzo del decreto. Esso parte
dall’affermazione dell’esistenza di un piano universale di sal­
vezza. Dio infatti vuole che tutti gli uomini si salvino. In que­
sto piano entrano, sia l’azione “segreta nel cuore dell’uomo”,
sia quelle iniziative religiose - appunto le religioni - tramite
le quali gli uomini “cercano Dio”. Esse possono essere un av­
viamento pedagogico valido verso il Vangelo anche se devono
essere illuminate e corrette.
Si vede in questo numero che la prospettiva è sempre la
teologia del compimento. Le religioni sono un avviamento pe­
dagogico che, talvolta, portano verso il Vangelo, ma hanno in
loro stesse dei limiti, propri di chi cerca “a tentoni”. L’evange­
lizzazione deve compiere un’operazione di purificazione dalle
scorie, di illuminazione e di guida verso il loro compimento
nella comunità che Dio ha stabilito per radunare tutti i popoli,
quindi la Chiesa. La volontà salvifica universale si compie, in
ultima analisi, nell’incarnazione del Verbo.
Gaudium et Spes al numero 22 apre la porta alla salvezza
nelle religioni:

Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uo­


mo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo

il mondo. Colui dunque, per opera del quale aveva creato anche l’universo
Dio lo costituì erede di tutte quante le cose, per restaurare tutto in lui.
7 Ad Gentes, 1. Cf. Lumen Gentium, 1.

103
Cristianesimo e religioni

ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire


associati, nel modo che Dio conosce, al Mistero Pasquale.

Abbiamo in queste poche parole una sorta di argomento di


necessità. La tradizione cristiana ha sempre rifiutato una “pre­
destinazione” alla condanna. Se Dio ha creato l’uomo, ogni
uomo, è per salvarlo. E se questo uomo ha come vocazione
ultima la comunione con Dio, allora è necessario affermare che
ogni uomo, a prescindere dalla sua appartenenza visibile e for­
male alla Chiesa sacramento, ha a disposizione i mezzi neces­
sari per raggiungere questa salvezza, non senza la Chiesa, ma
de facto, ignorando la sua misteriosa mediazione. Il modo con
cui Dio concede la salvezza a chi non conosce il Vangelo resta
un mistero che solo Dio conosce. La domanda teologica, però,
sarà quella di scorgere se la Rivelazione divina non offra qual­
che spunto per chiarire un po’ di più il mistero della volontà
salvifica universale.

Dichiarazione Nostra Aetate (1965)


Il documento più rilevante dal punto di vista del dialogo
interreligioso e della comprensione cristiana delle religioni è la
dichiarazione Nostra Aetate. Il contesto della dichiarazione è
quello di evidenziare ciò che tra le religioni può favorire l’unio­
ne8. Per questo motivo la dichiarazione non è una esposizione
completa del rapporto tra cristianesimo e religioni. È piuttosto
una proposta per cercare ciò che unisce tutti i popoli.
D’accordo con questa dichiarazione l’unità tra i popoli e
culture si trova nell’origine e nel fine che per tutti è Dio. Lui
ha un disegno salvifico che ha come meta l’unità del genere

8 Nostra Aetate. 1: “Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità


tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto
ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro
comune destino”.

104
La riflessione del Magistero

umano nella città Santa. Per Nostra Aetate le religioni si costi­


tuiscono come un fattore di unità del genere umano e non più
di divisione proprio perché nelle religioni gli uomini cercano di
rispondere ai “reconditi enigmi della condizione umana”. La
prospettiva della dichiarazione è fortemente filosofica. Le reli­
gioni tentano di dare risposta al problema della natura dell’uo­
mo, al senso e al fine della vita, al significato e l’origine del do­
lore, ecc. Soprattutto le religioni rendono presente nel mondo
secolare e tecnico l’enigma e il mistero che circonda l’essere
umano. Le religioni hanno in comune la preoccupazione per
ciò che trascende il puro dato secolare9.
La coscienza religiosa si muove attraverso queste proble­
matiche grazie a un modo di percepire il reale che è suo pro­
prio: il senso religioso. Per Nostra aetate, esso è “una certa per­
cezione di quella forza misteriosa presente nelle cose e negli
avvenimenti della vita umana”. Le religioni sono un tentativo
di risposta a questa percezione di fronte alla realtà.
Dopo l’introduzione, la dichiarazione passa in rassegna alle
varie religioni, ma in senso inverso a Lumen Gentium, 16, pro­
prio perché la prospettiva è diversa. Lumen Gentium partiva
dai gradi di appartenenza alla Chiesa, Nostra aetate, dal senso
religioso.
Rispetto all’induismo, al buddismo e alle altre religioni la
dichiarazione afferma che “la Chiesa cattolica nulla rigetta di
quanto è vero e santo in queste religioni”. Questi elementi di
verità e santità “riflettono un raggio di quella verità che illu­
mina tutti gli uomini”. Per questo motivo l’atteggiamento dei
cristiani deve essere di “sincero rispetto”, anche se esse tante
volte differiranno dalla fede cristiana10.

9 Cf. Nostra Aetate. 1.


10 Nostra Aetate, 2.

105
Cristianesimo e religioni

È paradossale che la dichiarazione dica, per un verso, che ci


sono dottrine e pratiche che riflettono, alle volte, un raggio del­
la verità, e per un altro verso, affermi che esse possono differire
da quanto la Chiesa professa. Se veramente sono considerati
elementi “veri” e “santi”, perché non potrebbero essere assun­
ti come “verità” e “santità” dal cristianesimo stesso? Questi
elementi di “verità” e di “santità” sono solo barlumi di quanto
si trova già nella Chiesa, oppure sono novità che possono arric­
chire la comprensione della fede cristiana?
Comunque sia, la dichiarazione riafferma l’obbligo di an­
nunciare la salvezza in Cristo “Via, Verità e Vita”. Ciò non sa­
rebbe in contradizione con l’invito che rivolge ai cristiani di
“riconoscere, conservare e promuovere i beni spirituali e mo­
rali presenti nelle religioni”, con prudenza, cercando il dialogo
e la collaborazione e, soprattutto testimoniando la verità del
vangelo con la propria vita e la propria fede.

Giovanni Paolo II e Redemptoris Missio (1990)

Giovanni Paolo II pubblica la sua enciclica missionaria il


7 dicembre 1990. Punto di partenza delle sue riflessioni è la
constatazione della vastità del lavoro ancora da compiere: “La
missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa, è ancora
ben lontana dal suo compimento” (cf. RM 1). La missione è
espressa in Mt 28,19-20: “Andate dunque e fate discepoli tutti
i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho
comandato”.
L’impulso missionario risponde a questo comando del Si­
gnore che la Chiesa - secondo il racconto matteano - ricevette
la mattina della Risurrezione. Questo appartiene all’intima na­
tura della vita cristiana. Non risponde, quindi, a motivazioni

106
La riflessione del Magistero

puramente circostanziali o storiche, né quantomeno di ordine


politico o di dominio (cf. RM 1).
Il Concilio Vaticano II ha stimolato fortemente la missione.
Essa non riguarda solo i sacerdoti e le religiose missionarie ma
tutti i cristiani. Frutto del Concilio è l’aver preso consapevo­
lezza di questa universalizzazione della vocazione missionaria.
Giovanni Paolo II, però, constata una perdita dello sprone
missionario e dell’entusiasmo apostolico nelle ultime decadi.
Questo dato è preoccupante: “Nella storia della Chiesa, infatti,
la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la
sua diminuzione è segno di una crisi di fede” (RM 2).
Per questo motivo il Papa scrive Redemptoris Missio. Lui
è consapevole che la missione rinnova la Chiesa stessa. Una
fede che non diventa missione, perde sapore e finisce per cade­
re nella routine delle formule senza profondità né spiritualità.
Quindi per rinnovare la Chiesa, bisogna stimolare una rinno­
vata coscienza missionaria. Ma non solo...
Ciò che ancor più mi spinge a proclamare l’urgenza dell’e­
vangelizzazione missionaria - scrive il Papa - è che essa co­
stituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a cia­
scun uomo e all’intera umanità nel mondo odierno, il quale
conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il
senso delle realtà ultime e della stessa esistenza (RM 2)

Infine, tra i motivi che il Papa annota, c’è anche il bisogno


di dissipare dubbi e ambiguità sulla missione ad gentes.
I punti fondamentali ruotano intorno alle seguenti verità:
- Gesù Cristo, unico salvatore.
- La Chiesa in rapporto alla salvezza.
- La necessità della missione.
- Il regno di Dio e il rapporto con la Chiesa.
- Lo Spirito Santo, protagonista della missione.

107
Cristianesimo e religioni

Gesù Cristo, unico salvatore

Per l’enciclica, lo scopo fondamentale della Chiesa è quello


d’indirizzare lo sguardo dell’uomo verso il mistero di Cristo.
La missione della Chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo. Ogni
altro compito storico deve essere una conseguenza di questa
missione di rendere presente Cristo in mezzo al mondo, perché
Lui è l’unico salvatore. L’universalità della salvezza in Cristo
è affermata in tutto il Nuovo Testamento: non c’è salvezza se
non in Cristo. La caratteristica della fede cristiana è la fede in
un solo Dio e in un solo Signore, inviato da Dio. Lui è l’unico
mediatore. Scrive il Papa:
Questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fonda­
mentale per cui la chiesa è per sua natura missionaria. Essa
non può non proclamare il Vangelo, cioè la pienezza della
verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso (RM
5).

Per quanto riguarda le altre “mediazioni”, l’enciclica non le


esclude, ma non possono essere scollegate dal mistero di Cri­
sto:
Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e
ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamen­
te da quella di Cristo e non possono essere intese come pa­
rallele e complementari CRM 5).

Non ci sono, allora, mediazioni alternative a Cristo, e non


è possibile separare il Verbo Eterno dall’uomo Gesù Cristo.
Questa separazione è stata introdotta per postulare una dop­
pia economia di salvezza, una in Gesù, Verbo Incarnato che
riguarderebbe i cristiani, e un’altra economia più estesa, del
Verbo Eterno che illumina ogni uomo. Non è possibile però in­
trodurre una separazione tra il Verbo e Gesù Cristo. La Chiesa

108
La riflessione del Magistero

confessa Gesù come “il Cristo, il Figlio del Dio vivo”. Questa
singolarità di Gesù, il Cristo nato da donna, Figlio di Dio, gli
dà un significato assoluto e universale, “per cui, mentre è nella
storia, è il centro e il fine della stessa storia” (RM 6).
L’uomo risponde alla salvezza in Gesù Cristo con la fede.
Essa è una proposta alla libertà dell’uomo. L’annuncio non
attenta contro la libertà, rispetta la coscienza. Pertanto, deve
essere proposta perché è un diritto dei popoli conoscere il con­
tenuto della predicazione.

La Chiesa è segno e strumento di salvezza

La Chiesa è la prima a trarre profitto dalla salvezza perché


Cristo vive in essa e tramite essa adempie la sua missione nella
storia. La Chiesa è, come scrive de Lubac: le Christ répandue
et communiqué.
La mediazione della Chiesa in ordine alla salvezza è una
verità derivata dall’unica mediazione di Cristo. Questa verità
può essere formulata così:
- Dio ha costituito in Cristo un unico Mediatore.
- La Chiesa stessa è stata costituita quale sacramento uni­
versale di salvezza.
Grazie a questa mediazione di Cristo e della Chiesa, la sal­
vezza è offerta a tutti gli uomini. Giovanni Paolo II riprende
l’argomentazione di Gaudium et Spes, n. 22: se questa salvezza
è destinata a tutti gli uomini, deve essere a disposizione di tutti.
Quindi, per coloro che non hanno avuto la possibilità di cono­
scere la Chiesa,
la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che,
pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li in­
troduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adegua­
to alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia

109
Cristianesimo e religioni

proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunica­


ta dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere
alla salvezza con la sua libera collaborazione (RM 10).

Non esiste quindi salvezza al di fuori di Cristo. Da questa


verità fondamentale sorge il bisogno di evangelizzare. Di con­
seguenza la missione è una necessità intrinseca alla fede: “noi
non possiamo fare a meno di parlare”. Ma questa parola che
deve essere trasmessa, non può fare violenza all’uomo e alla sua
dignità. La convinzione del cristiano è che il Vangelo risponde
alle esigenze e alle aspirazioni del cuore umano. Perciò la Chie­
sa non può smettere di proclamare “che Gesù è venuto a rive­
lare il volto di Dio e a meritare con la croce e la risurrezione, la
salvezza per tutti gli uomini” (RM 11).
Di fronte alla domanda “perché la missione?”, Giovanni
Paolo II ci insegna che la risposta che dovremo dare ci indiche­
rà il livello della nostra fede. Anzi, per il Papa la missione è una
questione di fede. Perché noi crediamo che aprirsi all’amore di
Dio manifestato in Cristo è la vera liberazione dell’uomo.

Il Regno di Dio

Giovanni Paolo II avverte un incremento della secolarizza­


zione della salvezza - così come si può avvertire nella nozione
di salvezza da parte di P. Knitter - e una visione riduttiva del
cristianesimo quale mera arte del buon vivere. Ad ogni bat­
tezzato però deve restare chiaro il significato autenticamente
cristiano della salvezza: “La salvezza consiste nel credere e ac­
cogliere il mistero del Padre e del suo amore che si manifesta e
si dona in Gesù mediante lo Spirito” (RM 12).
Questa salvezza si opera nel mistero del Corpo Mistico di
Cristo, cioè la Chiesa. E nella Chiesa che si rende presente il
mistero del Regno di Dio. Sembra però che non ci sia un’iden­
tificazione stretta tra queste due realtà. La Chiesa è al servizio

110
La riflessione del Magistero

del Regno... oppure è nella Chiesa che il Regno si rende pre­


sente, reale anche se misteriosamente?
I teologi del pluralismo religioso distinguono sovente le
due realtà. Distinzione che potrebbe indurre a una separazio­
ne. Per questo motivo, Giovanni Paolo II dedica un capitolo
della sua enciclica a definire il rapporto che intercorre tra Chie­
sa e Regno di Dio.
Se lo scopo della missione di Cristo è la proclamazione e
l’instaurazione del Regno di Dio, Giovanni Paolo II afferma l’i­
dentità del messaggio con il messaggero; cioè, Cristo annuncia
il Regno, Regno che si identifica con la sua persona: in Cristo il
Regno di Dio si rende presente.
Questo Regno è destinato a tutti gli uomini, la natura del
Regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con
Dio (cf. RM 15). Ciò significa che lavorare per il Regno è ri­
conoscere e favorire il dinamismo divino, presente nella storia
umana. Giovanni Paolo II avverte che oggi si parla molto del
Regno, ma in un senso puramente antropocentrico, nel senso
di liberazione socioeconomica, politica e culturale.
La Chiesa, davanti al Regno, sarebbe per alcuni una realtà
secondaria, al servizio di Esso, ma non il luogo privilegiato, il
“milieu divine", per dirla in un altro modo. Secondo il Papa,
certi teologi del pluralismo religioso considerano questo ser­
vizio come avente due dimensioni: promuovere i “valori del
Regno” (pace, giustizia, libertà, fraternità) e promuovere il dia­
logo tra i popoli, culture e religioni con la finalità di un arric­
chimento reciproco.
Queste dottrine sottendono la figura di Cristo, privilegian­
do il mistero della creazione, che si riflette nella diversità di
culture e religioni, lasciando da parte il mistero della Reden­
zione.
Cristianesimo e religioni

Di fronte a queste dottrine che sminuiscono il ruolo di Cri­


sto e della Chiesa, il Papa riafferma la dottrina tradizionale del­
la teologia cattolica:
- Il Regno di Dio non può essere separato né da Cristo, né
dalla Chiesa.
- Cristo non solo ha annunciato il Regno, ma in Lui il Regno
stesso si è reso presente ed è arrivato alla sua pienezza:
- “Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un
programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi
tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di
Nazareth, immagine del Dio invisibile” (RM 18)
- Se la Chiesa è al servizio del Regno, il Regno non può es­
sere separato dalla Chiesa. Essa ha rispetto al Regno un
ruolo specifico e necessario, perché Cristo la ha dotato
della pienezza dei beni e mezzi di salvezza.
- “La Chiesa è sacramento di salvezza per tutta l’umanità,
e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano
il messaggio” (RM 20).

Lo Spirito Santo, protagonista della missione

Il Papa affronta anche la proposta di separare l’azione di


Gesù Cristo da quella dello Spirito Santo. La missione dello
Spirito Santo consiste nel portare tutti gli uomini alla cono­
scenza di Cristo. “E lo Spirito che spinge ad andare sempre
oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle bar­
riere etniche e religiose, per una missione veramente universa­
le” (RM25).
L’azione dello Spirito è universale, senza limiti di spazio né
di tempo. Per Giovanni Paolo II è lo Spirito Santo a parlare
nell’intimo della coscienza:

112
La riflessione del Magistero

Lo Spirito, dunque, è all’origine stessa della domanda esi­


stenziale e religiosa dell’uomo, la quale nasce non soltanto
da situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo
essere (RM 28).

In questo numero dell’enciclica alcuni teologi del plurali­


smo religioso hanno trovato la giustificazione per delle inter­
pretazioni pluralistiche dell’azione dello Spirito: “La presenza
e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la
società e la storia, i popoli, le culture, le religioni” (RM 28).
Tutto ciò che opera lo Spirito negli uomini e nella storia dei
popoli, così come nelle culture e religioni hanno un ruolo di
preparazione evangelica... Ma la dottrina resta la stessa: l’azio­
ne dello Spirito non può assolutamente essere separata né da
Cristo né dalla Chiesa.
Il Papa conclude la sua riflessione facendo accenno alla
missione di discernimento spirituale proprio del Magistero
della Chiesa: “Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con
stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla Chiesa, alla
quale Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta
intera” (RM 29).

Altri interventi di Giovanni Paolo II

Catechesi di Giovanni Paolo II del 9 settembre 1998

La catechesi del 9 settembre 1998 parte dalla considera­


zione della ricerca di Dio da parte dell’uomo religioso. Si dà
una valorizzazione del senso religioso come luogo dell’azione
segreta dello Spirito. La sua riflessione prende come base Re­
demptoris missio, n. 28, Adgentes, n.3 e Gaudium et spes, n.22,
però, come vedremo immediatamente, porta con sé alcuni ele­
menti di novità.

113
Cristianesimo e religioni

Intanto si riconosce l’origine divina della ricerca di Dio. È


10 Spirito Santo che si trova alla base di ogni ricerca di Dio da
parte dello spirito umano. La ricerca indirizzata alla verità e al
bene è suscitata dallo Spirito.
Da questa “apertura primordiale nei confronti di Dio” sor­
gono le religioni. Questa affermazione fa rientrare la volontà
salvifica di Dio nell’origine della questione religiosa, che arriva
non solo all’individuo che cerca Dio, ma anche ai fondatori
religiosi. Il papa infatti afferma:
Non di rado, alla loro origine troviamo dei fondatori che
hanno realizzato, con l’aiuto dello Spirito di Dio, una più
profonda esperienza religiosa. Trasmessa agli altri, tale espe­
rienza ha preso forma nelle dottrine, nei riti e nei precetti
delle varie religioni.

Ciò vale pure per l’espressione più propriamente religiosa,


vale a dire, la preghiera. Il Papa riafferma che ogni autentica
preghiera è suscitata dallo Spirito, perché l’uomo ha una “co­
stituiva apertura” all’azione “con cui Dio lo sollecita a trascen­
dersi”.
Quindi c’è una presenza misteriosa dello Spirito nella pre­
ghiera dell’individuo, ma anche nelle religioni che veicolano le
esperienze. Il papa ritorna su Redemptoris missio, n. 28:
La presenza e l’attività dello Spirito, infatti - come ho scrit­
to nella Lettera enciclica Redemptoris missio - non toccano
solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture,
le religioni.

Se c’è una presenza dello Spirito nella preghiera personale


e comunitaria, mediata da un contesto religioso, quella “pre­
senza” dovrà avere a che fare con il mistero della salvezza con
11 quale Dio attira tutti a sé. Ma, se Dio agisce nel cuore dell’in­

114
La riflessione del Magistero

dividuo e nella società, nella storia, nei popoli... e soprattutto


nelle religioni, come esse giungono alla salvezza?
Normalmente - scrive il Papa - è attraverso la pratica di ciò
che è buono nelle loro proprie tradizioni religiose e seguendo i
dettami della loro coscienza, che i membri delle altre religioni
rispondono positivamente all’invito di Dio e ricevono la sal­
vezza in Gesù Cristo, anche se non lo riconoscono come il loro
Salvatore.
“Attraverso la pratica di ciò che è buono nelle proprie tra­
dizioni religiose”. Questa espressione farebbe reinterpretare
il rapporto stabilito tra Cristo e le religioni: se nel paradigma
esclusivista Cristo è “contro” le religioni, e in quello inclusivi-
sta le religioni vanno “verso” Cristo, con la riflessione del Papa
siamo a un Cristo “attraverso” le religioni. Ovviamente non
tutto nella religione sarebbe mediazione della salvezza, ma solo
“ciò che è buono” e santo.
Questo perché, come afferma il Papa, seguendo il Vaticano
II, Cristo muore per tutti, quindi la vocazione di ogni uomo è
divina. Lo Spirito Santo, che è alla base dell’azione salvifica al
di fuori della Chiesa, dà a tutti la possibilità di entrare, in modo
misterioso, in contatto con il Mistero Pasquale.
Come è possibile la salvezza? Il Papa ci offre due vie com­
plementari che, sempre salvaguardando il mistero, consen­
tirebbero agli appartenenti ad altre religioni di giungere alla
salvezza. Li presentiamo in modo schematico. La salvezza è
possibile:
1. Grazie a una serie di disposizioni interne del soggetto:
- l’adesione intima e sincera alla Verità (il maiuscolo è del
testo),
- il dono generoso di sé al prossimo,
- la ricerca dell’Assoluto suscitata dallo Spirito di Dio.

115
Cristianesimo e religioni

2. E perché un raggio della Sapienza divina si manifesta


tramite l’attuazione di precetti e pratiche conformi alla
legge morale e all’autentico senso religioso.
Proprio in forza della presenza e dell’azione dello Spirito,
gli elementi di bene all’interno delle diverse religioni dispon­
gono misteriosamente i cuori ad accogliere la Rivelazione piena
di Dio in Cristo.
Per i motivi e le riflessioni prima esposti, Giovanni Paolo
II, spiega quale deve essere l’atteggiamento della Chiesa verso
le altre religioni. In primo luogo, ci deve essere un atteggia­
mento di sincero rispetto, profonda simpatia e cordiale colla­
borazione. Se nelle religioni ci sono “semi del Verbo” e “gemiti
dello Spirito”, è doveroso per il cristiano aprirsi a un dialogo
salvifico per accogliere e fare propri questi semi e questi gemiti.
Questo atteggiamento positivo verso le religioni non ci
deve indurre a dimenticare l’unicità e universalità della salvez­
za di Gesù Cristo. Lui è l’unico mediatore e salvatore del ge­
nere umano. Per questo motivo resta sempre valida la tensione
missionaria che obbedisce al comando del Signore di andare,
ammaestrare e battezzare tutti gli uomini nel nome della San­
tissima Trinità.
Infine il Papa si ricollega ad un suo discorso precedente
per riaffermare che il dialogo non si oppone assolutamente alla
missione, ma la prepara. Dialogo e annuncio sono due dimen­
sioni complementari della missione della Chiesa di rendere
presente ed esplicito il Verbo che illumina ogni uomo:
In questo senso, lungi dall’opporsi all’annuncio del Vangelo,
esso lo prepara, in attesa dei tempi disposti dalla misericor­
dia del Signore. “Attraverso il dialogo facciamo in modo che
Dio sia presente in mezzo a noi: poiché mentre ci apriamo
l’un l’altro nel dialogo, ci apriamo anche a Dio” (Discorso ai

116
r
La riflessione del Magistero

membri delle altre religioni, Madras, 5 febbraio 1986, n. 4:


Insegnamenti IX/1, 1986, pp. 322s.).

Catechesi di Giovanni Paolo II del 29 novembre 2000

Il titolo di questa catechesi è “Fede, Speranza e Carità nel­


la prospettiva del dialogo interreligioso”. Il Papa commenta il
brano di Apocalisse 7,4.9-10. Nel testo giovanneo si parla di
quei 144 mila che sono stati segnati con il sigillo, e poi di una
“moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, razza, popolo e lingua”. Essi gridavano: “la salvezza
appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”. Que­
sto testo ispira Giovanni Paolo II a fare un accenno al dialogo
interreligioso.
Questa moltitudine è la schiera dei giusti appartenenti alle
nazioni che hanno ottenuto la “purificazione mediante il sangue
dell’Agnello”. Il Papa osserva che essi sono giunti al traguardo
“dopo aver percorso la strada erta e faticosa dell’esistenza ter­
rena” e che tutti “partecipano della stessa fonte di salvezza che
Dio ha effuso sull’umanità”. La salvezza si estende ai “giusti
tra le nazioni”, non al di fuori della storia - vissuta all’interno
del contesto della propria religione - ma nell’esistenza stessa.
Questa salvezza non si dà neppure al di fuori dell’unica fonte
stabilita da Dio, vale a dire, tramite l’Agnello, il Verbo incarna­
to, morto e risorto.
Dopo questa osservazione iniziale, il Papa continua la sua
riflessione facendo riferimento alle varie alleanze che Dio ha
stabilito con l’umanità per salvarla11: alleanza con Noè (cf. Gn

11 Un po’ più avanti ci presenterà le quattro alleanze d’accordo con


Sant’Ireneo: “Sant’Ireneo ricorda a tal proposito che quattro sono le allean­
ze stabilite da Dio con l’umanità: in Adamo, in Noè, in Mosè e in Gesù Cri­
sto (cfr Adversus haereses, 3,11,8). Idealmente protese, le prime tre, verso la
pienezza di Cristo, esse scandiscono il dialogo di Dio con le sue creature, un

117
Cristianesimo e religioni

9,8-17) e con Abramo (cf. Gn 12,3). La prima alleanza mani­


festa l’universalità della “manifestazione divina e della risposta
umana nella fede”. La seconda, tramite un popolo grazie al
quale “saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Queste
due alleanze hanno in sé il germe dell’universalità, dell’esten­
sione a tutti i popoli e a tutte le culture, ma sono segnate dalla
provvisorietà: esse sono in cammino “verso la città santa”.
Papa Giovanni Paolo II ricollega il testo dell’Apocalisse a
Isaia e a Malachia; anche se il Papa non lo afferma, nei testi bi­
blici si accenna al fatto che tutte le nazioni sono invitati ad ac­
cogliere la salvezza di Dio, pur mantenendo la loro diversità. In
Isaia 19,23.25 non si dice che l’Egitto e l’Assiria diventeranno
parte del popolo eletto, ma chiamerà l’egiziano “mio popolo”,
e l’assiro, “opera delle mie mani”, mentre Israele continuerà ad
essere “mia eredità”.
Riguardo al testo di Malachia, il Papa lo colloca nel conte­
sto dell’adorazione che sale dall’umanità intera e si dirige ver­
so Dio, e finisce con una domanda alla quale lo stesso profeta
dà una risposta: “Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre?
Forse non ci ha creati un unico Dio?” (Mi 2,10). E conclude il
Papa:
Una certa forma di fede si apre dunque nell’invocazione a
Dio, anche quando il suo volto è “ignoto” (cf. At Y1,23). Tut­
ta l’umanità tende verso l’autentica adorazione di Dio e la
comunione fraterna degli uomini sotto l’azione dello “Spiri­
to di verità operante oltre i confini visibili del corpo mistico”
di Cristo (Redemptor hominis, n.6).

Le religioni, con i propri testi sacri si collocano nella pro­


spettiva della speranza che segretamente tende verso la pienez-

incontro di svelamento e di amore, di illuminazione e di grazia che il Figlio


raccoglie in unità, sigilla nella verità, conduce alla perfezione”.

118
La riflessione del Magistero

za della fede teologale. I libri sacri delle religioni, ci ricorda il


papa,
aprono alla speranza nella misura in cui schiudono un oriz­
zonte di comunione divina, delineano per la storia una meta
di purificazione e di salvezza, promuovono la ricerca della
verità e difendono i valori della vita, della santità e della giu­
stizia, della pace e della libertà. Con questa tensione profon­
da, che resiste anche in mezzo alle contraddizioni umane,
l’esperienza religiosa apre gli uomini al dono divino della
carità ed alle sue esigenze.
Il Papa insegna che su questo orizzonte si colloca il dialogo
interreligioso. Dialogo che diventa impegno per la giustizia, la
solidarietà e la pace; che diventa dialogo “religioso”, “nel quale
i cristiani portano la testimonianza integra della fede in Cristo,
unico Salvatore del mondo”.
E rilevante che il Papa affermi che sia necessario un dialo­
go “religioso” oltre al dialogo interreligioso. Se si tratta di un
autentico dialogo “religioso” il cristiano non dovrebbe nascon­
dere la sua esperienza di Cristo come unico Salvatore, come
Parola definitiva destinata a tutti gli uomini in quanto Verbo
Incarnato coeterno con il Padre. Si è molto insistito nel rappor­
to tra cristianesimo e religioni sul fatto che i cristiani dovreb­
bero rinunciare alla pretesa universalistica per collocarsi su un
piano di uguaglianza, chiedendo così di mutilare un aspetto es­
senziale della stessa esperienza cristiana. E vero che, come dice
il papa, per “la stessa fede” i cristiani “sono consapevoli che il
cammino verso la pienezza della verità (cf. Gv 16,13) richiede
l’umiltà dell’ascolto per cogliere e valorizzare ogni raggio di
luce, sempre frutto dello Spirito di Cristo, da qualunque parte
venga”, ma senza dimenticare o trascurare ciò che appartiene
alla natura stessa della fede cristiana che è quella di essere una
proposta destinata ad ogni uomo.

119
Cristianesimo e religioni

Di fronte a questa panoramica così estesa ci si chiede quale


valore avrebbe la missione della Chiesa. Il Papa cita Dialogo e
annuncio, n. 35:
La missione della Chiesa è quella di far crescere il Regno del
Signore nostro e del suo Cristo di cui è serva. Una parte di
questo ruolo consiste nel riconoscere che la realtà iniziale
di questo Regno si può trovare anche oltre i confini della
Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni
religiose, nella misura in cui vivono valori evangelici e riman­
gono aperti all’azione dello Spirito.

“La realtà iniziale di questo Regno si può trovare anche


oltre i confini della Chiesa”. La teologia delle religioni avrebbe
il compito, non di sminuire il valore della missione, ma di rin­
tracciare gli elementi del Regno di Dio che esistono al di fuo­
ri della Chiesa. In particolare, il papa rileva l’importanza del
dialogo con le religioni monoteistiche affinché “tutti insieme
- ebrei, cristiani, musulmani - ci scambieremo a Gerusalemme
il saluto della pace”.
Sembra che in questo ultimo paragrafo il Papa faccia un
passaggio dalla considerazione teologica della missione della
Chiesa all’auspicio di una pace “politica” e “sociale” a Geru­
salemme. Si potrebbe però dare al gesto dello scambio della
pace un valore più profondo; vale a dire, di riscoprire la pace,
proprio nella scoperta del valore di ogni religione nel piano
salvifico di Dio.

Dominus Iesus (6 agosto 2000)

La dichiarazione riafferma che la missione universale della


Chiesa nasce dal mandato di Cristo e si adempie nella storia
tramite la predicazione. Il dialogo interreligioso è una pratica
che entra nella missione ecclesiale di annunciare Cristo. Que­

120
La riflessione del Magistero

sto dialogo non sostituisce bensì accompagna la missio ad gen­


tes (DI 2).
Dominus Iesus avverte che l’annuncio missionario è nel
momento presente minacciato da correnti e teorie relativiste,
che tentano di giustificare il pluralismo religioso, non solo de
facto ma anche de iure. Si abbandonano delle verità consolidate
della fede cristiana (cf. DI 4) quali il carattere definitivo della
rivelazione di Cristo e la specificità della fede cristiana di fron­
te alle religioni. Le radici di queste affermazioni si trovano in
alcuni presupposti di natura filosofica e teologica che possiamo
solo enumerare:
- L’inafferrabilità e inesprimibilità della Verità divina. Essa
resterebbe sempre al di là delle nostre possibilità. Nean­
che la rivelazione cristiana sarebbe capace di esprimerla,
appunto perché condizionata dal contesto storico.
- L’atteggiamento relativista di fronte alla verità che sta alla
base dell’apertura ad altre forme religiose. Se la verità su
Dio è solo provvisoria e parziale, perché non completare
l’approccio cristiano con altre vie altrettanto parziali?
- La contrapposizione radicale tra la mentalità occidentale
logica e orientale simbolica...
- Il soggettivismo...
- L’impossibilità di capire e accogliere la presenza di even­
ti definitivi e escatologici nella storia.
- Lo svuotamento metafisico dell’incarnazione: essa non
sarebbe altro che un apparire di Dio nella storia.
- L’eccletticismo...

121
Cristianesimo e religioni

Pienezza e definitività della rivelazione di Gesù Cristo

Dominus Iesus parte dalla necessità di riaffermare il carat­


tere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo. Alla
domanda di Giovanni il Battista - sei tu colui che deve venire o
dobbiamo aspettare un altro? - si dà pure oggi la stessa rispo­
sta: Gesù è la pienezza della rivelazione del mistero nascosto
in Dio.
Per questo motivo si rende necessario proporre ancora una
volta il compito di proclamare il Vangelo come pienezza della
verità. Perciò, Dominus Iesus, al n. 6 presenta come contraria
alla fede la dottrina che afferma il carattere limitato, incomple­
to e imperfetto della rivelazione di Gesù Cristo. Il Vangelo non
è complementare ad altre tradizioni religiose. Le parole e gli
atti storici di Gesù hanno un valore universale proprio perché
hanno come soggetto la Persona divina del Verbo.
La risposta a questa Verità è l’obbedienza della fede. La
fede infatti comporta una doppia adesione: a Dio che si rivela,
e alla Verità rivelata da Lui. Da questa prospettiva la fede è
diversa della credenza delle altre religioni. La credenza, secon­
do Dominus Iesus, è un insieme di esperienza e pensiero, che
divengono i tesori umani di saggezza e religiosità, che l’uomo
nella sua ricerca della verità ha ideato e messo in atto nel suo
riferimento al divino e all’assoluto (cf. DI 7).
Per quanto riguarda i libri delle altre tradizioni, di fronte
all’ipotesi sul valore d’ispirazione dei loro testi sacri, si afferma
che non sono allo stesso livello delle Sacre Scritture. Questi
ricevono dal mistero di Cristo gli elementi di grazia e di verità
che vi si si trovano.

Il Logos incarnato e lo Spirito Santo nell’opera di salvezza

Dominus Iesus passa in rassegna la tesi fondamentale della


teologia contemporanea per cui Gesù di Nazareth sarebbe una

122
La riflessione del Magistero

figura storica singolare che non esaurisce il mistero ultimo di


Dio. Egli sarebbe uno dei volti che ha assunto il Logos per
comunicarsi con l’uomo. La radicale separazione tra il Gesù
della storia e il Cristo della fede è stato assunto come postulato
indiscusso dai teologi del pluralismo religioso.
Insieme alla scissione in cristologia, si accentua una scissio­
ne tra l’economia del Verbo Eterno e quella incarnata nell’uo­
mo Gesù. La prima economia sarebbe più universale e, agendo
in contemporanea con l’economia incarnata raggiungerebbe
gli appartenenti alle altre religioni.
Nel documento si riafferma il carattere unitario della figura
di Gesù, Figlio di Maria, Verbo Eterno del Padre. Non è pro­
prio della fede distruggere il mistero di Gesù Cristo, Figlio di
Dio e Figlio di Maria. Si tratta di un unico soggetto, il Verbo,
che agisce in due nature, umana e divina. Il Verbo Incarnato è
il Verbo Eterno.
Per questa singolare situazione di Gesù, vero Dio e vero
uomo, Egli è l’unico mediatore e redentore universale. La stes­
sa cosa bisogna dire riguardo alla separazione tra l’economia
del Verbo e quella dello Spirito Santo. L’Incarnazione del Ver­
bo è un evento trinitario che misteriosamente assocerebbe la
natura umana glorificata del Verbo ad ogni azione divina ad
extra.
Ciò varrebbe anche per l’azione dello Spirito Santo. Ogni
azione dello Spirito assume un ruolo di preparazione evange­
lica e non può non avere un riferimento a Cristo. Con questo
si chiude la porta ad una soluzione che porti a dividere l’eco­
nomia del Verbo da quella, più universale dello Spirito. Siamo,
dunque, davanti a un’unica economia salvifica del Dio uno e
Trino, che, dopo la glorificazione del Figlio, Verbo di Dio in
una natura umana, non agisce più se non nella sua condizione
di Sommo Sacerdote della creazione.

123
Cristianesimo e religioni

Unicità e universalità del mistero salvifico di Gesù Cristo

Ciò che vuole fare Uominus lesus non è chiudere le por­


te ad un approfondimento della teologia delle religioni. Il suo
scopo è riaffermare la fede della Chiesa, ma invita la teologia a
esplorare se e come anche le figure o gli elementi positivi delle
altre religioni entrino nel piano divino di salvezza.
Un problema che Uominus lesus lascia alla teologia è quella
di stabilire se l’unica mediazione di Cristo possa o meno susci­
tare mediazioni partecipate. La domanda, che costituisce una
sfida per i teologi, è: come si dà - se si dà - questa mediazione
in contesti non cristiani?
L’unica mediazione di Cristo non preclude altre mediazioni
- della Madonna, dei santi, dei fedeli cristiani in preghiera, ecc.
-. Non è chiaro però come i santi pagani possano essere media­
tori per i loro seguaci. Comunque sia Uominus lesus ribadisce
che ogni mediazione efficace ha valore solo in rapporto con il
mistero di Cristo.

Unicità e unità della Chiesa

La Chiesa non è una realtà puramente sociologica, non è


solamente una comunità di discepoli, bensì un mistero salvifi­
co. Per questo motivo, la sua unità non si trova nella volontà as­
sociativa dei suoi membri, ma in Cristo. L’unità e l’unicità della
Chiesa è un dogma di fede, appartiene alla volontà positiva di
Cristo che la Chiesa sia una e unica.
D’altronde, questa unità riguarda anche la storia. Infatti,
il documento ribadisce che esiste una continuità storica tra la
Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa cattolica.

124
La riflessione del Magistero

Chiesa, Regno di Dio e Regno di Cristo

La missione della Chiesa è annunciare il Regno di Dio e di


Cristo. In questo senso, la Chiesa è al servizio del Regno, ne è
segno e strumento: è chiamata ad annunciarlo e istaurarlo.
Regno di Dio, Regno di Cristo, Chiesa, sono termini il cui
significato la teologia deve chiarire. Non si può però negare o
svuotare l’intima relazione che intercorre tra queste tre realtà.
Il Regno di Dio è in sintesi la manifestazione e attuazione del
disegno divino di salvezza in tutta la sua pienezza (DI 19).

La Chiesa e le religioni in rapporto con la salvezza

Riguardo a questo tema, Dominus lesus afferma ciò che


deve essere creduto, e cioè che la Chiesa è necessaria per la
salvezza. Questo perché Cristo, Unico Salvatore, si rende pre­
sente a noi tramite il Suo Corpo che è la Chiesa. Chi non ap­
partiene formalmente alla Chiesa, attinge alla salvezza in virtù
di una grazia che, avendo un rapporto con la Chiesa, non lo
introduce formalmente in essa.
La grazia della salvezza è sempre donata tramite Cristo nel­
lo Spirito e ha un rapporto misterioso con la Chiesa.
Una cosa è chiara: sarebbe contrario alla fede considerare
la Chiesa come una via di salvezza accanto ad altre, accanto alle
altre religioni.
Prima di avviarsi alla conclusione, Dominus lesus dichiara,
facendo sue le parole del Catechismo:
La salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla
mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della
salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affida­
ta, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro.
Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la
Chiesa deve essere missionaria (CCC, 851).

125
Cristianesimo e religioni

In questo modo, la certezza della volontà salvifica universa­


le aumenta il dovere e l’urgenza di annunciare la salvezza e la
conversione a Cristo.

126
EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS

Si è affermato, a ragione, che è necessario passare da uno sche­


ma ecclesiocentrico ad uno schema cristocentrico e plurale.
Questo significa che la Chiesa non ha alcun ruolo essenziale
in ordine alla salvezza? J. Dupuis parla di mediazione della
Chiesa solo al livello della finalità e non dell’efficienza: con la
preghiera per la salvezza dei non cristiani, la Chiesa intercede
davanti a Dio per loro, ma non avrebbe un ruolo “efficace” per
la loro salvezza.
La Chiesa, infatti, in quanto “mezzo generale della salvez­
za” sembrerebbe essere piuttosto un ostacolo o una strettoia
che complica l’accesso; sarebbe più un “mezzo speciale” alla
portata di un ridotto numero di addetti, mentre la grande mag­
gioranza degli uomini non avrebbero la possibilità, né l’avran­
no mai, di entrare in essa tramite il battesimo e la confessione
di fede.
E ciononostante, la Tradizione e il Magistero - almeno fino
al Concilio Vaticano II - non hanno smesso di reinterpretare in
forma sempre più ecclesiocentrica questo assioma fondamen­
tale. Da avvertimento ai cristiani tentati di abbandonare l’arca
della salvezza, alla sua applicazione ai giudei, fino alla sorpren­
dente affermazione di Bonifacio Vili che nella bolla unam san-
ctam considera de fide la convinzione che non c’è salvezza al di
fuori dell’obbedienza al Romano Pontefice.
Bisognerà aspettare il Concilio Vaticano II, per ritornare ad
una visione più organica e più positiva della salvezza dei non
cristiani. E fino ad oggi nessun pronunciamento magisteriale
ha screditato questo principio così antico e così rigorista.

127
5
Cristianesimo e religioni

L’assioma è tutt’oggi valido. Basta solo reinterpretarlo...


Ma, come si deve interpretare l’extra Ecclesiam nell’attuale
contesto pluralista?

Contesto storico dell’assioma ecclesiologico fondamentale

Un esempio di progresso nella comprensione della rivelazione

Questo è il punto di vista di J.A. Sayés. L’assioma fonda­


mentale ha sofferto una “tale reinterpretazione, che potrebbe
essere presentato come modello di evoluzione del dogma”1.
Si potrebbe confrontare, per esempio, Lumen Gentium n. 16
con Cantate Domino (4 febbraio 1442):
La santa Chiesa romana [...] fermamente crede, profes­
sa e predica “nessuno di quelli che sono fuori dalla Chiesa
cattolica, non solo i pagani”, ma anche i giudei o gli eretici
e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma an­
dranno nel “fuoco eterno preparato per il diavolo e per i
suoi angeli” (M/ 25,41), se prima della morte non saranno
stati ad essa riuniti (DH 1351).
F. Spadafora nel 1998 si esprime ancora in questi termini:
‘fuori della Chiesa non c’è salvezza’: è questa la formula
che dai primi secoli esprime la verità rivelata: Dio ha stabi­
lito che la sua una ed unica Chiesa sia il mezzo indispensa­
bile, necessario ad ogni uomo per raggiungere la salvezza
eterna. Autentico dogma difede divina e cattolica: cioè verità
rivelata da Dio e come tale definita, proposta dal Magistero
della Chiesa ai fedeli con l’obbligo di credervi2.
Nonostante le svariate reinterpretazioni dell’assioma fon­
damentale, bisogna tenere saldo il nucleo sostanziale di esso,
1 J. A. Sayés, Cristianismo y religiones, 45.
2 E Spadafora, Fuori la Chiesa non cè salvezza, Krinon, Caltanisetta
1988,10.

128
Extra Ecclesiam nulla salus

e cioè, “la Chiesa ha un ruolo necessario nella salvezza”3.


Questa necessità è dovuta al rapporto che la Chiesa ha con il
mistero del Verbo Incarnato, unica porta di accesso al mistero
divino. Ciò che va reinterpretato e riconsiderato, non è tanto
ciò che si è creduto sulla necessità di appartenere alla Chiesa
per la salvezza, bensì il giudizio che Essa, lungo la storia, ha
formulato circa coloro che sono al di fuori.

San Cipriano di Cartagine e sant’Agostino

I Padri della Chiesa avevano una visione complessa circa


la salvezza dei pagani. Il Logos divino è luce che illumina ogni
uomo e quindi tutti sono chiamati ad accogliere il Verbo e a vi­
vere secondo il Verbo. Essi avevano fondamentalmente una vi­
sione positiva della filosofia - non quella dei loro contempora­
nei sofisti ma la antica filosofia, di cui Platone e Aristotele non
sono che eredi -, mentre il loro giudizio sulla religione è molto
più negativo. Non dobbiamo dimenticare però che la filosofia a
quel tempo non era solo un modo di pensare, ma piuttosto un
modo di raggiungere la salvezza tramite la conoscenza.
In ogni caso, si intravedono tentativi di avvicinamento: il
pensiero degli indù, l’angelo delle nazioni, ecc. Più duro era
l’atteggiamento circa gli eretici e gli scismatici.
San Cipriano usa l’espressione nel contesto dei cristiani
che, appartenendo alla Chiesa, poi decidono di abbandonarla.
“Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera
- scrive Cipriano -, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della
Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo
alle ricompense di Cristo”. E continua:
Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per
madre. Se avesse potuto salvarsi chi restò fuori dell’arca di

3 J. A. Sayés, Cristianismo y religiones, 46.

129
Cristianesimo e religioni

Noè, allora potremmo dire che si salverà chi è fuori della


Chiesa (Gw 7,1). Ecco quanto il Signore ci dice ammonen­
doci: «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie
con me, disperde» (Mt 12,30)4.
Come si avverte, il contesto è ristretto agli scismatici, che
ledono l’unità della Chiesa e non è da interpretarsi in senso
assoluto.
Sant’Agostino ha una visione positiva riguardo a coloro che
precedettero Cristo. Essi si salvano se hanno vissuto una vita
giusta e pia. E si salvano tramite Cristo, perché nessuno è sal­
vato se non tramite di Lui.
Riguardo ai suoi contemporanei, la sua convinzione è che
fuori della Chiesa non c’è salvezza (extra Ecclesiam catholicam
totum potest praeter salutem5). In linea generale la sua visione
sulla salvezza dei pagani è piuttosto pessimista. Rispetto ai giu­
dei, essi non hanno scuse perché loro hanno ascoltato il Vange­
lo e non l’hanno voluto accettare.

Significato dell’assioma ecclesiologico fondamentale

Possiamo ritenere che l’interpretazione autorevole dell’as­


sioma sia quanto scritto nella Lumen Gentium, n.16:
Tutti gli uomini che conoscono la Chiesa cattolica e
sanno che cosa significa necessità della salvezza, voluta da
Dio a mezzo del Cristo, ma non entrano nella Chiesa o non
hanno la costanza di rimanervi, non possono essere salvati.
Questo paragrafo recupera il contesto originario dell’assio­
ma, per cui non possono trovare la salvezza coloro che, co­
noscendo la natura profonda della Chiesa, la abbandonano,
oppure, sapendo che essa è la via alla salvezza preferiscono
restare al di fuori della Chiesa.
4 San Cipriano, L'unità della Chiesa cattolica, 6, 77.
5 Discorso al popolo di Cesarea, 6.

130
Extra Ecclesiam nulla salus

Quindi, come chiarì la Commissione teologica internazio­


nale (n. 65), si può parlare di necessità della Chiesa in due sen­
si. Primo, la necessità di appartenere alla Chiesa per coloro che
credono in Gesù, e, secondo, la necessità della Chiesa per la
salvezza di tutti coloro che raggiungono questa grazia. Essa,
infatti, è al servizio della salvezza, e non un ostacolo. Ed è al
servizio della salvezza in virtù dell’unione della Chiesa, Corpo
mistico, al suo Capo che è Cristo. Per questo motivo, il Conci­
lio dirà dei non cristiani che essi sono ordinati al popolo di Dio
(cf. LG n.16).
Questo ordinamento alla Chiesa è necessario per volontà
divina, per il fatto che la Chiesa rende visibile nella storia il
mistero di Cristo, grazie alla parola, la preghiera e soprattutto,
i sacramenti. La Chiesa è necessaria perché Cristo è necessario
e Lui si è voluto rendere presente tramite la Chiesa. Per questo
motivo, l’extra Ecclesiam ha valore in quanto deriva da un altro
assioma, assoluto: extra Christum nulla salus.

Sine Ecclesia nulla salus: La proposta di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II riprese l’extra Ecclesiam nella catechesi


generale del 31 maggio 1995, riformulando in modo assai ori­
ginale l’assioma fondamentale, non solo per la formula stessa
ma anche per il modo di reinterpretare tutto il rapporto tra il
cristianesimo e le religioni6.

6 Per quanto ci è stato possibile di ricercare, la frase compare nel com­


mentario al decreto Ad Gentes di Suso Brechter, nel 1969 (H. Vorgrimler-
H.S.Brechter, Commentary on the documents of Vatican II, Bums and
Oates, London 1967-1969). Secondo lui l’assioma è ancora valido ma deve
essere correttamente interpretato. Da lì che il “extra" abbia il significato
di “sine". Sine Ecclesia nulla salus, o piuttosto, Extra Christum nulla salus.
L’informazione l’abbiamo preso da S. Bullivant, The Salvation ofAtheist and
Catholic Dogmatic Theology, Oxford University Press, New York 2012, 74.

131
Cristianesimo e religioni

Il problema

Giovanni Paolo II apre la sua catechesi mettendo a fuoco il


problema che evidenzia l’impegno evangelizzatore della Chie­
sa, ossia la salvezza di coloro “che non appartengono visibil­
mente ad essa.
La cornice generale della riflessione del Papa è quella di ri­
affermare la volontà salvifica universale di Cristo. Ma è un dato
di fatto che esistono delle persone che non hanno la possibilità
di conoscere e di accettare la rivelazione evangelica ed entrare
nella Chiesa. Questa impossibilità - riconosce il Papa - sembra
essere destinata a durare lungo tempo, forse fino all’adempi­
mento finale dell’opera di evangelizzazione. Questa specie di
“frustrazione missionaria” ha accompagnato la Chiesa sin dalla
sua fondazione. Certamente è riuscita ad arrivare fino ai confini
della terra, ma gli uomini stentano ad entrare nell’arca della
Chiesa.
Il realismo missionario porta a capire che il “fallimento”
non è dovuto solo all’infedeltà dei cristiani. Per questo il Papa
si chiede se ci sia un disegno salvifico di Dio anche riguardo le
religioni non cristiane.
Questa presa di coscienza non giustifica la posizione rela­
tivistica la quale sostiene che si possa raggiungere la salvezza
mediante qualsiasi via indipendentemente da Cristo e dalla
Chiesa. Perciò è necessario riaffermare la fede della Chiesa:
la salvezza passa necessariamente per Cristo. E compito della
Chiesa e dei suoi missionari farlo conoscere e amare in ogni
tempo, luogo e cultura. Per questo resta valido l’assioma ec­
clesiologico fondamentale, ma nel suo vero senso: al di fuori di
Cristo non c’è salvezza (Extra Christum nulla salus).
L’unica via per la salvezza è Cristo. La questione è valutare
se esista un piano di salvezza “positivo” per i non cristiani. Il
Papa afferma che anche Dio ha preparato un piano si salvez-

132
Extra Ecclesiam nulla salus

za per coloro che non conoscono Cristo e non si riconoscono


come cristiani, e si fa un riferimento alle “vie solo a Dio note”
{Ad Gentes), per coloro che senza colpa ignorano il Vangelo.
Questo “senza colpa” è conosciuto solo da Dio. Orbene - in­
segna il Papa -, questa via di salvezza non è una via al di fuori
di Cristo e della Chiesa perché la volontà salvifica universale è
legata all’unica mediazione di Cristo.
Alla luce di quanto si è detto bisogna interpretare l’assioma
fondamentale.
L’assioma merita innanzitutto una spiegazione: coloro che
non ignorano che la Chiesa è stata fondata da Dio per mezzo
di Gesù Cristo, hanno l’obbligo di entrare e di perseverare in
essa per raggiungere la salvezza. Per “gli altri” la salvezza è ac­
cessibile tramite vie misteriose, senza una adesione esterna alla
Chiesa, ma sempre in relazione con essa. Il Papa la chiama una
“misteriosa relazione”. Misteriosa per i gentili, perché essi non
la conoscono. Ma ancora di più è misteriosa in se stessa perché
è legata al mistero della grazia, e in questo senso è un mistero
anche per i cristiani.
La grazia salvifica affinché sia operante esige una adesione,
una cooperazione. Questa adesione è, al meno implicitamente,
orientata a Cristo e alla Chiesa. Questo orientamento implici­
to è necessario. Si tratta della fede nel senso della lettera agli
Ebrei, 11,6.

Sine Ecclesia nulla salus

L’adesione alla Chiesa - intesa come Corpo Mistico di Cri­


sto -essendo implicita, è misteriosa: è condizione essenziale
per la salvezza. Ciò significa, continua il Papa, che le religioni
possono esercitare un influsso positivo sui fedeli, ma l’azione
decisiva è opera dello Spirito Santo. Questa grazia viene da
Cristo nello Spirito.

133
Cristianesimo e religioni

La Chiesa è indispensabile in quanto è al servizio di Cristo.


Essa - conclude il Papa - esercita una mediazione implicita
anche in rapporto a coloro che ignorano il Vangelo.

134
LE SFIDE DELLA TEOLOGIA CATTOLICA DI FRONTE ALLE
RELIGIONI NON CRISTIANE (A MODO DI SINTESI)

Proviamo adesso a esporre, in modo sintetico, quali sono


le sfide principali che ha la teologia cattolica di fronte al feno­
meno del pluralismo religioso, considerando l’evoluzione che
si è avuta nel Magistero recente e nella teologia. Queste sfide
riguardano la verità, la nozione di Rivelazione, le religioni nel
disegno di salvezza, il problema cristologico e pneumatologico
e la funzione di mediazione della Chiesa.

Il problema della verità

La questione della verità in sé e della verità riguardo l’aldi­


là, continua ad essere un punto di partenza per ogni teologia
delle religioni. Come abbiamo detto, il cristianesimo si è sem­
pre presentato come la religio vera e ha sviluppato il trattato
De vera religione. Questo aspetto appartiene alla natura stessa
dell’adesione di fede, la quale non è solo un atto del sentimento
ma soprattutto dell’intelligenza, obbedienza ad un Dio che var­
ca l’abisso della trascendenza per manifestare la sua vita intima.
Oggi, da molti teologi, il problema della verità viene consi­
derato come irrilevante o di secondo ordine. Bisogna superare
la deriva relativista e scettica della teologia contemporanea, ciò
non significa uniformarsi alle risposte ormai insoddisfacenti
della teologia tradizionale. I problemi sono reali e aspettano
una risposta teologica. Per contro, le soluzioni non sempre si
sono adeguate al significato della fede ecclesiale, molte di esse
vanno scartate perché portano ad uno svuotamento della fede.
Cristianesimo e religioni

Altre soluzioni sono da considerare perché portano con sé de­


gli spunti che potrebbero aiutare ad approfondire il tema.
L’affermazione della verità è condizione indispensabile per
il dialogo, anzi, il pluralismo “di fatto” dovrebbe essere uno
stimolo alla ricerca della verità. Non tutte le affermazioni in
materia religiosa sono ugualmente vere o ugualmente false. Bi­
sogna riflettere, non solo sul sentimento religioso, ma anche
sulla verità delle affermazioni religiose, il non farlo sarebbe ri­
fiutare la razionalità e un rinunciare a pensare.
Infine, sembra sussistere tra i teologi del pluralismo religio­
so una separazione tra il bisogno di salvezza e la necessità di co­
noscere la verità. Quello che conta è sentirsi salvato, sapersi re­
dento, anche se non si sa chi è il Salvatore, qual è la Sua natura
e il Suo rapporto con Dio, fonte di ogni salvezza. Ricordiamo
qui il passo di Giovanni 9, 1-41: la guarigione del cieco nato.
Gesù chiese al cieco “tu credi nel Figlio dell’uomo?” Il cieco
rispose “e chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Il cieco fece
l’esperienza della salvezza sin dal momento della sua guarigio­
ne, ma il cammino di redenzione non si fermò a quell’esperien­
za ma al momento in cui Gesù si rivela come Salvatore. Così,
esperienza di redenzione e conoscenza della verità sono due
momenti della stessa redenzione operata da Cristo. Non mi in­
teressa sapere solamente che Gesù è il mio Salvatore personale.
Voglio pure riconoscere in Lui, il Verbo Eterno Incarnato che
ci porta alla conoscenza della verità tutta intera.

La rivelazione cristiana e le “rivelazioni” non cristiane

Alcuni teologi sostengono la tesi della struttura comune a


tutte le forme religiose. La Rivelazione cristiana non sarebbe
unica e qualitativamente diversa dalle altre religioni, ma sareb­
be una tra le tante. La diversità tra le religioni sarebbe dovuta

136
Le sfide della teologia cattolica di fronte alle religioni non cristiane

ai diversi contesti socioculturali dove sorgono e ai diversi modi


concettuali di accostarsi al mistero. Siamo dei ciechi nati che
tentiamo di comprendere l’elefante.
La domanda della teologia delle religioni riguarda il valore
di rivelazione delle altre religioni. Sono esse “Parola di Dio”
come lo è la rivelazione cristiana?
Fondamentalmente la risposta dei teologi del pluralismo
religioso è: ogni rivelazione è “parola di Dio” per coloro che
aderiscono a una forma religiosa particolare. Così, Cristo è uni­
co rivelatore per i cristiani, ma questa unicità non è assoluta
bensì valida solo per i cristiani. L’errore del cristianesimo sa­
rebbe voler imporre la propria rivelazione come l’unica verità
da credere, scartando le altre “rivelazioni” come false.
In questa posizione c’è qualche aspetto di verità. Infatti, il
cristiano ha la certezza che in Gesù Dio ha rivelato la sua vita
intima e che non esiste altra rivelazione di Dio al di fuori dell’u­
manità del Verbo, ma questa certezza appartiene all’ambito
della fede. E una certezza di fede, che non può essere dimo­
strata né quantomeno imposta. I motivi, poi, per perseverare
nella propria fede hanno valore all’interno della dinamica stes­
sa della fede. Per questo motivo il cristiano non può imporre
la propria fede, la può solo proporre, con il logos, mostrando
come essa non vada contro la ragione, né contro il senso reli­
gioso fondamentale, e con la vita, essendo coerente con lo stile
di vita del risorto.

Le religioni nel disegno di salvezza

Un problema che è emerso pure dai documenti pontifici ri­


guarda il “disegno di salvezza” di Dio e il posto che in esso oc­
cupano le religioni. La teologia del pluralismo religioso cerca il

137
Cristianesimo e religioni

significato della pluralità delle religioni all’interno del disegno


salvifico di Dio.
Come afferma la 'Lumen Gentium n. 9, Dio “volle santi­
ficare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun
legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo
riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità”. La
Chiesa ha il compito di rappresentare sacramentalmente la
continuità del mistero di Cristo nella storia fino alla parusia.
Ma coloro che non appartengono visibilmente alla Chiesa non
sono rimasti abbandonati al di fuori del piano di Dio. Anche i
non cristiani possono essere inclusi nell’unico piano salvifico di
Dio per tutta l’umanità.
La domanda che ci poniamo è sul ruolo delle religioni in
ordine alla salvezza dei loro addetti. L’unica mediazione salvi­
fica di Cristo giunge ai fedeli non cristiani “accanto” alle loro
religioni? “a dispetto” delle loro credenze? o “all’interno” o
“per mezzo” delle loro tradizioni religiose?

Il problema cristologico e pneumatologico

Un problema non risolto riguarda la figura di Gesù di


Nazareth e il suo rapporto con il mistero del Verbo Eterno. I
teologi del pluralismo religioso si domandano: come può una
figura storica essere il rivelatore unico e definitivo del mistero
di Dio?
In Gesù di Nazareth, il Verbo Eterno volle restringersi en­
tro i parametri storici e linguistici concreti del popolo d’Israe­
le. Egli, essendo Dio da Dio e Luce da Luce, parla agli uomini
con un linguaggio umano dei misteri nascosti in Dio. Così fa­
cendo sembra aver limitato il mistero a una forma linguistica e
culturale che escluderebbe necessariamente altri modi di com­
prendere e fare esperienza del divino. Come allora conciliare la

138
r
Le sfide della teologia cattolica difronte alle religioni non cristiane

relatività del linguaggio umano con l’universalità della salvezza


che raggiunge gli uomini, non come isole individuali ma come
comunità storiche?
I teologi del pluralismo intendono risolvere il problema cri­
stologico in due modi. Il primo modo è incentrato sulla distin­
zione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede.
Al primo, il Gesù della storia, apparterrebbe un’economia
che raggiunge i suoi seguaci, che si sono alimentati delle for­
me culturali prese dalla Bibbia e dal contesto Europeo. Questo
Gesù della storia non sarebbe però il “Gesù storico”, ma il
Gesù mediato dalle forme culturali dell’occidente, incentrato
sulla verità logica del cristianesimo e dell’importanza data ap­
punto al dato storico comprovabile. Il Gesù che viene fuori
dopo una ricerca storica sarebbe comunque irrilevante, dal
momento che i dati che abbiamo di Gesù sono scarsi e insuf­
ficienti per ricostruire il profilo esatto del rabbi di Nazareth.
Al secondo, il Cristo della fede, che ingloba i seguaci di
altre religioni, corrisponderebbe una forma destoricizzata del­
la fede ecclesiale. Il Verbo eterno di Dio, che non può essere
espresso da nessuna cultura e che trascende la storia, si mani­
festa - restando comunque nascosto - secondo i tratti culturali
di ogni popolo. Questo non è “il Cristo della fede” perché esso
sarebbe comunque già una mediazione storica e culturale del
mistero.
II secondo modo di risolvere il problema cristologico ri­
guarda la distinzione tra l’azione del Verbo e quella dello Spi­
rito Santo. L’economia del Verbo riguarda la sua incarnazione
storica e si prolunga nei sacramenti della Chiesa e nella pre­
dicazione. L’economia dello Spirito che parla ad ogni uomo
sarebbe più estesa e universale.

139
Cristianesimo e religioni

La Chiesa e il suo rapporto con la salvezza

L’ultima sfida ha a che vedere con il rapporto tra salvezza


e Chiesa.
In primo luogo, la teologia deve rivedere la continuità sto­
rica tra Cristo e la Chiesa. I teologi del pluralismo religioso
ritengono come un dato dimostrato il fatto che ci sia una di­
scontinuità tra il Gesù della storia e la Chiesa. Gesù, predicato­
re escatologico dell’avvento del Regno era teocentrico, mentre
la Chiesa propone una fede cristocentrica. Il Gesù della storia
non avrebbe avuto l’intenzione di fondare una Chiesa, ma essa
è sorta dalle contingenze culturali e dal bisogno di organizza­
zione, per sistemare e dare gerarchia ad un movimento cari­
smatico e non istituzionalizzato. La Chiesa, in fin dei conti, ha
senz’altro un’importanza, ma a condizione di servire il Regno e
non di servire a se stessa.
Di fronte a questa visione della Chiesa, il Magistero eccle­
siale ha sempre affermato la continuità teologale tra Cristo e
la Chiesa, e le scoperte letterarie recenti hanno confermato la
continuità storica tra il tempo di Gesù e il tempo della Chie­
sa. Essa si inserisce nel mistero stesso di redenzione che viene
dalla Trinità, prende forma nella vita, passione, morte e risur­
rezione di Gesù e si perpetua nella storia tramite i sacramenti
e la predicazione.
Nonostante la Chiesa possa essere correttamente definita
come società, essa appartiene al mistero di salvezza. Essa è Cri­
sto stesso sparso e comunicato, Corpo mistico di Cristo e nuo­
vo popolo creato dal Sangue dell’Agnello.
Per quanto riguarda il Regno di Dio, esso ha una portata
molto vasta. Esso si estende ai confini dell’universo, e tocca
ogni uomo che ascolta nella propria coscienza la voce dello
Spirito. Ma il Regno di Dio è sempre unito a Cristo e alla Chie­
sa, che ne è segno e strumento.

140
QUALE METODO PERLA TEOLOGIA
DEL PLURALISMO RELIGIOSO?

Per poter capire la teologia del pluralismo religioso non basta


andare alle conclusioni a cui sono arrivati i teologi del plurali­
smo religioso, le quali ci potranno sembrare più o meno con­
vincenti, più o meno audaci o pericolose; è necessario andare ai
loro presupposti metodologici. Abbiamo visto come alla base
della proposta di J. Hick - teologo presbiteriano - vi sia l’in­
flusso dell’agnosticismo kantiano, ma una teologia che si basi
sull’agnosticismo non può reggersi. Se questa è la situazione di
un teologo presbiteriano come Hick, quali sarebbero le basi
metodologiche dei teologi cattolici? Possiamo dirlo in sintesi:
la teologia cattolica del pluralismo religioso prende le mosse
dalla “Nouvelle àge hermeneutique de la theologie” e ciò si vede
chiaramente in due teologi che studieremo di seguito: Cl. Gef­
fré e J. Dupuis. Ma prima soffermarci su di loro analizziamo i
presupposti filosofici che descrive P. Knitter e che stanno alla
base del cambiamento di paradigma che lui propone.

Paul Knitter e la visione processuale-relazionale della realtà

La coscienza pluralista, o meglio, il passo del Rubicone


pluralista e il cambiamento di paradigma teologico hanno un
fondamento nella realtà del cambiamento insito nella natura
stessa. Per il teologo americano “il mondo e ogni cosa presente
in esso sono in evoluzione o coinvolte in un processo. L’espres­

141
Cristianesimo e religioni

sione chiave è che noi non siamo in uno stato di essere, bensì in
uno stato, o meglio, in un processo di divenire”1
Questo trasforma radicalmente la visione medioevale della
creazione che, secondo il nostro autore, era considerata una
realtà stabile, che proveniva dalla mano di Dio come “un pro­
dotto finito, stabile e gerarchicamente ordinato”2. Tale visio­
ne mutò radicalmente a causa di vari eventi storici a diversi
livelli: la Rivoluzione francese e la rivoluzione industriale che
trasformò lo status medievale; la trasformazione del concetto
di natura immutabile ad opera di Darwin e di Einstein. “Fu la
nuova fisica a suggerire ai filosofi di esaminare meglio il modo
di essere delle cose: se ogni cosa è un divenire più che un esse­
re, il divenire si verifica attraverso V interrelazione”. [...] “Noi
siamo le nostre relazioni”3.
Noi siamo le nostre relazioni. Ci definiamo non tanto a
partire dal nostro essere immutabile, ma dal nostro divenire
e dai legami che stabiliamo con gli altri: “è piuttosto il nostro
essere in relazione - come ci relazioniamo e colui o ciò con cui
abbiamo rapporti - a fare di noi degli individui. Noi siamo ‘di­
venienti’, ma ‘divenienti con’. Eliminate il ‘con’, e noi cessiamo
di esistere”4
Da lì sorge un nuovo concetto di pluralismo che non an­
nulla le differenze, ma le fa esistere nella tensione reciproca: “I
molti sono chiamati ad essere uno, ma un uno che non divora
i molti. I molti diventano uno precisamente rimanendo i molti,
l’uno è costituito da ognuno dei molti, che porta il suo distinto
contributo agli altri e così a un tutto più grande”5. “Il movi­
mento non va perciò nella direzione di un essere-uno assoluto
1 P. Knitter, Nessun altro Nome, Queriniana, Brescia 1991,24.
2 Nessun altro Nome..., 25.
3 Nessun altro Nome...,26.
4 Nessun altro Nome...,21.
5 Nessun altro Nome...,21.

142
r
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

o monistico, ma verso quello che possiamo chiamare ‘plurali­


smo unitivo’: una pluralità costituente una unità”6
Come si applica questa filosofia del processo alle religioni?
in primo luogo P. Knitter constata la realtà del pluralismo:
Le religioni del mondo si trovano poste le une di fronte
alle altre come mai prima d’ora e stanno sperimentando un
nuovo sentimento dell’identità e dello scopo dell’esistenza
perché anch’esse - in maniera simile agli atomi, agli uomini
e alle culture - stanno muovendosi verso un’unità più perva-
siva attraverso migliori relazioni reciproche7.

Questa esperienza di pluralità nell’unità e di unità nella


pluralità viene chiamata pluralismo unitivo. Esso è una “nuo­
va concezione dell’unità religiosa” (il corsivo è dell’autore), la
quale non va confusa con il mito di una ‘religione mondiale’.
Non è un sincretismo che attenua le differenze e neanche un
imperialismo: una religione che assorbe le altre: “Il pluralismo
unitivo è, piuttosto, una unità in cui ogni religione, pur per­
dendo qualcosa del suo individualismo (del suo ego separato),
intensifica la sua personalità (la sua autoconsapevolezza attra­
verso l’essere in relazione)”8
L’unicità di ogni religione si svilupperà e diventerà più pro­
fonda stabilendo un rapporto di mutua interdipendenza con le
altre religioni.

6 Nessun altro Nome...,28.


7 Nessun altro Nome...,28.
8 Nessun altro Nome...,29.

143
Cristianesimo e religioni

La proposta di P. Knitter: rinnovo della teologia, passaggio ad


una teologia globale

Il “nuovo modello di verità relazionale”9 richiede un cam­


biamento nell’insegnamento della teologia. P. Knitter lo riba­
disce fermamente: “c’è urgente bisogno di un nuovo metodo
per una teologia ‘globale’ o ‘mondiale’”10. Secondo lui non è
più possibile ‘studiare’ o ‘fare’ teologia partendo solo da una
tradizione religiosa. Il non farlo comporterebbe rimanere fuori
dal mondo pluralistico attuale. “Oggi non possiamo cercare la
verità, non possiamo conoscere realmente noi stessi o la nostra
religione, se non conosciamo gli altri”.
Certamente non tutti possiamo conoscere tutto delle reli­
gioni, ma il teologo cristiano deve conoscere “qualcosa di ciò
che le più importanti religioni mondiali hanno sperimentato
e hanno detto circa la natura della realtà ultima, il fenomeno
dell’esperienza religiosa, la costituzione del sé, il problema del­
la condizione umana, la soluzione di tale problema, il valore di
questo mondo e dell’azione svolta in esso”11.
Questo però non è abbastanza per P. Knitter. “Non coglia­
mo un elemento religioso decisivo solo conoscendolo; occorre
anche sentirlo”. Bisogna praticare il passing over dal sapere te­
orico all’esperienza:
I teologi cristiani devono partecipare immaginativa­
mente alla fede delle altre religioni: «la fede può essere te­
ologizzata solo dall’interno»” (cit. W. C. Smith)12. Così i
teologi cristiani, “arricchiti da quanto hanno imparato nei
loro tentativi di apertura ad altre fedi ‘tornano’ al loro com-

9
Nessun altro Nome...,,236.
10 Nessun altro Nome...,,237.
11 Nessun altro Nome...,,238.
12 Nessun altro Nome...,,239.

144
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

pito. Che può significare tutto ciò per la teologia cristiana,


per la comprensione del messaggio di Gesù Cristo?13

Come applicare questo “modello di teologia globale”. Il caso della


teologia sistematica globale

P. Knitter fa una proposta che abbraccia anche la teologia


fondamentale e la pastorale ma, per quanto riguarda il metodo,
ci fermiamo alle sue proposte riguardo alla teologia sistemati­
ca. Per lui la funzione della teologia sistematica è interpretare
la tradizione a seconda del cambiamento del contesto storico:
La funzione della teologia sistematica è quella di interpretare
la tradizione nel contesto mutevole della storia”. [...] “Il teo­
logo sistematico, dopo ‘esser passato’ ad altre dottrine o miti
religiosi che sono analoghi o omologhi (al servizio di fun­
zioni esistenziali simili) alle credenze cristiane, può ritornare
a queste ultime e vederle in maniera diversa, può rendersi
conto dei loro limiti. Esempi di simili credenze correiabili:
Brahma e Jahve, karma e storicità, Isvara e Cristo, avatara e
incarnazione, anatman (non Sé) e il nuovo Sé, reincarnazio­
ne e purgatorio”14

Non basta però la semplice comparazione. La teologia si­


stematica dovrebbe non solo comprendere meglio il cristiane­
simo tramite l’approfondimento delle altre religioni, ma anche
comprendere e presentare “le credenze cristiane in una ma­
niera tale che esse risultino non solo internamente intelligibili
e coerenti, ma anche, almeno fino a un certo punto, dotate di
senso e vere per persone di altre fedi!”15

13 Nessun altro Nome..., 242.


14 Nessun altro Nome..., 245.
15 Nessun altro Nome..., 246.

145
Cristianesimo e religioni

Si riprende quindi il problema dell’universalità della veri­


tà cristiana, ma in un contesto relativista. Per Knitter esiste la
persuasione che, se una “rivendicazione cognitiva” è vera per
i cristiani, dovrebbe essere vera anche per le altre religioni. A
questo punto si rifà sempre a W.C. Smith: “Nessuna afferma­
zione relativa alla fede cristiana è valida, se in linea di principio
essa non può esser condivisa da un non cristiano...” E citando
Panikkar, aggiunge: “Non voler rimanere attaccati ad alcuna
posizione che non può essere sottoposta all’analisi e alla critica
di altri...” In fondo si tratterebbe di accomodare o reinterpre­
tare le verità cristiane alla luce dell’esperienza delle altre reli­
gioni e arrivare così ad una verità condivisa, valida per tutti.

Il passaggio ad una teologia ermeneutica e contestuale: ]. Dupuis


e Cl. Geffré

J. Dupuis e Cl. Geffré si sono occupati del problema del


metodo applicato alla teologia del pluralismo religioso. Essi
hanno il merito di presentare il problema del pluralismo reli­
gioso nella sua complessità, senza offrire facili soluzioni. Non
pretendono di sapere il perché delle diverse vie di salvezza,
ma di interpretare “un pluralismo apparentemente insupera­
bile alla luce di quel che noi sappiamo della volontà universale
di salvezza di Dio”16, e di mantenere unite le due verità che
guidano la ricerca teologica: la Volontà salvifica universale di
Dio e l’unica mediazione di Cristo in ordine alla salvezza17.

16 Cl. Geffré, «H mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto


di Dio», en M. Crociata (ed.), Teologia delle religioni..., 220.
17 Cl. Geffré, « La vérité du christianisme à Page du pluralisme reli-
gieux », Angelicum, 74 (1997), 173 : «Nous sommes settlement invités à
lenir tout à la pois que ‘Dieu veut que tous les homtnes soient sauvés et par-
viennent à la connaissance de la vérité’ et que le Christ est Tunique médiateur
entre Dieu et les homtnes’ ».

146
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

Entrambe i teologi sono consapevoli della difficoltà del tema e


non pretendono di dire l’ultima parola. Essi riconoscono inol­
tre che le risposte offerte fino ad oggi sono state insufficienti e
tentano di approfondire maggiormente il significato delle reli­
gioni come vie di salvezza per i non cristiani.
Questi teologi considerano positivamente l’apertura del
Concilio Vaticano II al riconoscimento del valore delle reli­
gioni, ma ritengono che il Concilio abbia evitato di offrire un
giudizio teologico su di esse e di considerarle come vie di sal­
vezza18. Il Concilio provocò l’apertura di un cammino ancora
lungo da percorrere. Così si esprime Cl. Geffré:
Da più di trent’anni, dunque - lui sta scrivendo nel 2003 -,
la teologia delle religioni si è profondamente evoluta. Essa
tende sempre di più a diventare una teologia del pluralismo
religioso che si interroga sul significato della pluralità delle
tradizioni religiose in seno all’unico disegno divino. Ma que­
sto è ancora troppo poco. Nel prolungamento di una tale
dislocazione teologica, pare che il nuovo paradigma del plu­
ralismo religioso ci inviti a riflettere su quella che potrebbe
essere una vera e propria teologia interreligiosa, oppure una
teologia dialogica19.

Dieci anni dopo questo testo - nel 2013 -, Cl. Geffé si la­
mentava della lentezza della teologia di fronte al problema del
pluralismo religioso: “Adesso, quaranta anni dopo il Concilio,
occorre constatare che la teologia cattolica stenta molto a pren­

18 Cf. Cl. Geffré, «Il mistero del pluralismo religioso nell’unico pro­
getto di Dio», in M. Crociata (ed.), Teologia delle religioni..219. In ogni
caso, lo stesso Concilio avrebbe come matrice di comprensione teologica la
dottrina del compimento, proposta da Daniélou, de Lubac e Rahner, tra gli
altri (cf. Ibid. 218).
19 Cl. Geffré, «Verso una nuova teologia delle religioni», en R. Gibel-
lini (ed.) Prospettive teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 2003,
368.

147
Cristianesimo e religioni

dere veramente sul serio le implicazioni specificamente teologi­


che di questo nuovo atteggiamento della Chiesa”20.
Si rende necessario un salto di qualità: passare da una mar­
ginale “teologia del genitivo”, di carattere meramente settoria­
le, ad un’autentica teologia interreligiosa. Il motivo di questa
proposta epocale sembra ovvio: se oltre alla rivelazione biblica,
Dio, tramite il Suo Verbo e lo Spirito Santo, ha sparso ovunque
i suoi semi di verità, è conveniente affermare che le religioni
non cristiane avrebbero potuto essere le depositarie di questi
semi, fino al punto che, per poter capire il piano globale della
salvezza divina, sarebbe necessario ricorrere a quanto Dio ha
rivelato ai gentili attraverso le loro proprie tradizioni religio­
se21.
Questo risulta più evidente se si considera la rivelazione di
Gesù Cristo dalla prospettiva della kenosi che significò l’incar­
nazione; ciò vale a dire che è lo stesso Verbo Eterno di Dio che
si esprime in un linguaggio particolare e in un contesto storico
determinato, e proprio per questo, incapace di esprimere l’infi­
nito mistero dell’Assoluto. Così si esprime J. Dupuis:
Il faut, done, prendre au sérieux la présence et faction uni-
verselle du Verbe de Dieu à travers l’histoire humaine, qui
déborde de part et d’autre l'événement Jésus-Christ. Idaction
salvatrice du Verbe de Dieu riest ni restreinte ni limitée par

20 Cl. Geffré, «Il mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto


di Dio», in M. Crociata (ed.), Teologia delle religioni..., 217.
21 Cf. J. Dupuis, «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», Rivista
di Teologia, 40 (1999), 673. 684: “Si intende soltanto riconoscere che taluni
aspetti del mistero divino possono essere messi in evidenza nelle scritture
non bibliche più di quanto non lo siano in quelle bibliche, le quali conser­
vano comunque la loro trascendenza”. E 687: “Per dirlo ancora una volta:
possono essere rinvenibili nei libri sacri di altre religioni taluni aspetti del
mistero divino messi meno in evidenza nella rivelazione cristiana. Il dialogo
interreligioso non sarà dunque a senso unico”.

148
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

l’humanité, mente glorifiée, de Jesus2223. [...] Il y a plus de


vérité et de grace divine à l'oeuvre dans l’histoire globale des
interventions de Dieu en faveur du genre humain qu'il ne s’en
trouve dans la seule tradition chrétienne2i.

Il teologo belga fa riferimento alla complementarietà e alla


mutua convergenza tra Rivelazione di Dio in Cristo e la rivela­
zione nelle altre tradizioni religiose. Questa complementarietà
dovrebbe essere non solo unidirezionale, ma anche reciproca:
le religioni si arricchiscono venendo in contatto con il cristia­
nesimo, ma anche la Rivelazione cristiana si completa a contat­
to con le tradizioni religiose non cristiane24.
Si potrebbe andare oltre. Siccome nessuna religione può
pretendere di avere il “monopolio” della verità su Dio, il plu­
ralismo, considerato finalmente da una prospettiva positiva,
aiuterebbe a manifestare meglio la multiforme ricchezza del
mistero di Dio:
Se fosse necessario assegnare un fondamento teologico
al pluralismo religioso, ci potremo riferire all’unità-diversi-
tà della famiglia umana nell’unico piano di Dio e alla pre­
senza nascosta del mistero di Cristo nelle diverse tradizioni
religiose dell’umanità25.

22 J. Dupuis, « Vers une théologie chrétienne du pluralisme religieux »


en J. Dupuis - Cl. Geffré, «Vers une théologie du pluralisme religieux. À
l’occasion du 200e numéro de la collection ‘Cogitatio fidei’», La vie spiri­
tuale, 151 (1997), 577.
23 J. Dupuis, « Vers une théologie... », 578.
24 Cf. J. Dupuis, in J. Dupuis - Cl. Geffré, « Vers une théologie... »,
579.
25 Cl. Geffré, « Le pluralisme religieux comme question théolo-
gique », en J. Dupuis - Cl. Geffré, «Vers une théologie du pluralisme reli­
gieux. À l’occasion du 200e numéro de la collection ‘Cogitatio fidei’», La vie
spirituelle, 151 (1997), 583.

149
Cristianesimo e religioni

Pertanto questi teologi si augurano che nel dialogo inter­


religioso, il teologo cristiano, rispettando l’originalità di ogni
esperienza religiosa, ottenga una migliore intelligenza del mi­
stero cristiano e stimoli per la ricerca di una verità più alta e
più comprensiva della verità particolare di ogni tradizione re­
ligiosa26.
Ma questo sarebbe possibile? Sarebbe legittimo allargare
l’orizzonte teologico fino a questi limiti? Tanto Dupuis quanto
Geffré pensano che non solo sarebbe legittimo, ma anche do­
veroso. Anzi, sarebbe in piena consonanza con la singolarità
del cristianesimo: “Io credo - ci insegna Cl. Geffré - che una
teologia interreligiosa debba poter essere fedele alla singolarità
cristiana pur sforzandosi di rispettare l’originalità di ciascuna
religione”27. Per questo motivo si deve progredire nella ricerca
di un fondamento teologico valido per passare dal pluralismo
de facto all’assunzione piena del pluralismo de iure1*. Questo
fondamento teologico che aprirebbe l’accesso al pluralismo ha
un nome: si tratta del passaggio dalla ragione metafisica alla
ragione ermeneutica.

La teologia del pluralismo religioso: orizzonte ermeneutico della


teologia del secolo XXI

Per i teologi del pluralismo religioso questo è il tema fonda­


mentale della teologia e non solo. Alla luce di questa situazione
storica - appunto di pluralismo - sarebbe necessario reinter­
pretare tutta la dogmatica. Così si esprime Cl. Geffré:
26 Cf. Cl. Geffré, « Le pluralisme religieux et l’indifférentisme, ou
le vrai défi de la theologie chrétienne », Revue théologique de Louvain, 31
(2000), 25.
27 Cl. Geffré, «Verso una nuova...», 369.
28 Cf. Cl. Geffré, en J. Dupuis - Cl. Geffré, «Vers une theologie...»,
582.

150
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

Non c’è da stupirsi, dunque, se la teologia delle religioni è


diventata uno dei capitoli più vivi e più travagliati della te­
ologia contemporanea. Si sarebbe tentati di dire che, come
l’ateismo ha potuto essere l’orizzonte in funzione del quale la
teologia della seconda metà del secolo XX reinterpretava le
grandi verità della fede cristiana, così il pluralismo religioso
tende a diventare l’orizzonte della teologia del XXI secolo
e ci invita a rivisitare i grandi capitoli di tutta la dogmatica
cristiana29.

La teologia delle religioni sarebbe qualcosa di più pro­


fondo di un tema teologico marginale - una teologia del ge­
nitivo come abbiamo già detto - accanto ad altri temi margi­
nali. J. Dupuis arriva ad affermare che siamo di fronte a un
nuovo modo di fare teologia in una “situazione di pluralismo
religioso”30 Più che essere un ramo della teologia che riflette
su un oggetto particolare, le religioni - in modo analogo alla
teologia ecologica che riflette sull’ambiente - sarebbe di con­
tro quasi una nuova teologia fondamentale. Lo abbiamo già
detto: se Dio ha sparso i semi del Suo Verbo in tutti i contesti
religiosi, perché negare la “carta di cittadinanza” teologica alle
tradizioni religiose non cristiane? Se Cristo, a causa della lo­
gica dell’incarnazione, non abbraccia tutto il mistero di Dio
- essendo comunque Lui stesso il Dio che si abbassa - perché
non interrogare teologicamente coloro che sono arrivati a Dio
“tramite” - e non solo “nonostante” - il proprio contesto re­
ligioso non cristiano? Sarebbe piuttosto necessario aprire uno
spazio, accanto alla Bibbia e alla Tradizione cristiana, alle tra­
dizioni religiose dell’umanità per completare ciò che, a causa
della contestualizzazione storico-linguistica della rivelazione al
popolo d’Israele, non è incluso nella Sacra Scrittura. A questo
29 Cl. Geffré, «Verso una nuova teologia...», 353.
30 J. Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Que-
riniana, Brescia 19982,30.
Cristianesimo e religioni

si riferisce J. Dupuis quando ci invita ad allargare l’orizzonte


del discorso teologico, cioè, a fare la stessa cosa che, in un dato
momento, fece la teologia della liberazione:
Il suo punto di partenza è una prassi di dialogo interreligio­
so, sulla base della quale essa va in cerca di un’interpreta­
zione cristiana della realtà religiosa plurale che la circonda.
Anch’essa si presenta come un nuovo modo di fare teologia.
In realtà, questa teologia non guarda alla prassi del dialogo
interreligioso semplicemente come ad una condizione ne­
cessaria, ad una premessa, o anche ad un primo passo del
proprio operato; essa conserva un atteggiamento dialogico
in ogni stadio della sua riflessione: è riflessione teologica sul
dialogo e nel dialogo31.

“Teologia sul dialogo e nel dialogo”, vale a dire una teo­


logia che non si limita solo ad approfondire le proprie fonti
della Rivelazione per conoscere meglio il mistero divino, ma fa
anche ricorso - come a fonti proprie - ai documenti religiosi
extrabiblici.

Il metodo teologico

Una delle parole chiave della post-modernità è “plurali­


smo”: pluralità di cosmovisioni, di punti di vista... rifiuto del
pensiero uniforme, pluralismo culturale, politico, religioso e
teologico.
J. Dupuis, in un articolo del 1992, riconosce che di fatto
esiste, come mai prima nella Chiesa, una situazione di fatto di
pluralismo teologico32. Il pluralismo è esistito da sempre nel­
la Chiesa: pluralità di scuole teologiche, ecc., ma la situazio­

31 Cf. J. Dupuis, Verso una teologia..30.


32 J. Dupuis, « Méthode théologique et theologies locales : adaptation,
inculturation, contextualisation », Seminarium, 32 (1992) /l, 61-74.

152
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

ne attuale è assolutamente inedita. Non solo è un pluralismo


più esteso ma qualitativamente nuovo. Si parla oggi di teologie
specifiche - teologia delle realtà terrestri, teologia politica, te­
ologia della speranza - ma anche di teologie locali con delle
specificità proprie e di “teologie” al plurale: teologie latino­
americane, afroamericane, teologie asiatiche33.
Questa situazione di pluralismo è determinata, in buona
parte, dal metodo teologico che si adopera. Nel passato recen­
te, nella controversia antimodernista, si è andato a configurare
uno schema rigido di riflessione teologica3435 , per cui ogni esplo­
razione al di fuori dei margini stretti del metodo scolastico era
vista con sospetto. Il metodo scolastico considerava gli articoli
di fede come base certa ed evidente sulla quale la ragione scien­
tifica avrebbe dovuto stabilire, tramite il ragionamento dedut­
tivo, le conclusioni che derivavano dai fondamenti (fides quae-
rens conclusiones)i5. Il metodo scolastico passava, per tanto, da
premesse certe a conclusioni necessarie, senza lasciare molto
spazio ad un pluralismo fatto da approcci diversi.
Quando alcuni teologi due decadi prima del Concilio co­
minciarono a proporre un’apertura metodologica in teologia,
la reazione non si fece attendere. La Nouvelle Théologie fu
duramente criticata, accusata di neo-modernismo e di aver di­
sprezzato il metodo e la dottrina di San Tommaso, il cui me­
todo teologico era considerato fino a quel momento « l’état
vraiment scientifique de la pensée chrétienne » e « la synthèse
definitive »36.

33 Cf. J. Dupuis, « Méthode théologique et... », 60.


34 Cf. P. Coda-N. Reali, «Statuto e Metodo della teologia» en G. Ca-
nobbio-P. Coda (edd.), La teologia del XX secolo. Un bilancio. Vol. I, Città
Nuova, Roma 2003,15-17.
35 Cf. M. Flick-Z. Alszeghy, iCómo se hace la teologia?, Paulinas,
Madrid 1976,34.
36 Cf. L’articolo che scrisero i gesuiti di Lyon-Fourvière a proposito

153
Cristianesimo e religioni

Dopo il Concilio si è passati ad una situazione totalmente


nuova, ad un contesto di pluralismo ampio nel quale il più delle
volte risulta difficile muoversi37, a diversi strade, diverse mete
che vedono l’oggetto da diverse angolature. Questa nuova si­
tuazione è senz’altro un arricchimento teologico anche se sem­
bra che ciò che si sta trasformando nel lavoro teologico attuale
non è più il punto di vista oppure il metodo, bensì l’oggetto
stesso della teologia. Qual è l’oggetto della teologia? Non è più
pacifica la risposta. Se prendiamo la definizione tradizionale
di teologia, essa è la scienza che studia Dio alla luce di quanto
Lui ha rivelato38.1 trattati teologici hanno l’impronta di questa
definizione: de Deo uno et trino, de Deo creante et elevante, de
Deo legislatore, ecc. Per San Tommaso, l’oggetto formale non
sarebbe altro se non Deus sub ratione Dei39. J. H. Nicolas, per
esempio insegna che il soggetto - secondo la terminologia sco­

delle accuse del P. Labourdette («La théologie et ses sources», Recherches


de sciences religieuses, 33 (1946) 385-401).
37 Basti pensare al modo come i teologi trattano temi analoghi come
p.e. la cristologia, nel quale gli accostamenti sono molto diversi.
38 Cf. R. Latourelle, Teologia, scienza della salvezza, Cittadella, Assisi
19927, 11: “Nel senso oggettivo, [teologia] significa la scienza che ha Dio
come oggetto”. 15: “La teologia soprannaturale, o teologia propriamente
detta, è la scienza di Dio, ma partendo dalla Rivelazione”. Per la questio­
ne tra teologia e storia della salvezza, p. 32: “Due eccessi minacciano la
teologia: o ridurre la teologia alla storia della salvezza e rinunciare così a
penetrare il mistero intimo di Dio, oppure costruire una pura teologia senza
riferimento alla storia, col rischio di dimenticare che Dio si rivela in un’e­
conomia [...] la teologia è riflessione su Dio manifestato in Gesù Cristo. Il
suo oggetto è Dio conosciuto attraverso la storia della salvezza”.
39 Summ. Theol. I, q.l, a.7. : “Omnia autem pertractantur in sacra doc-
trina sub ratione Dei, vel quia sunt ipse deus; vel quia habent ordinem ad
Deum, ut ad principium et finem. Unde sequitur quod deus vere sit subiectum
huius scientiae. Quod etiam manifestum fit ex principiis huius scientiae, quae
sunt articuli fidei, quae est de Deo, idem autem est subiectum principiorum et
totius scientiae, cum tota scientia virtute contineatur in principiis”.

154
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

lastica - « c’est Dieu en son mystère, en sa difference et en son


intimité... »40. M. Naro, riferendosi esplicitamente alla teologia
delle religioni, è della stessa opinione:
La teologia non ha mai il suo oggetto peculiare al di fuori di
sé: essa si definisce, già a livello terminologico, in forza del
suo oggetto, che è Dio. La teologia è tale non perché ha per
oggetto qualcosa o qualcuno che non sia Dio, ma perché si
costruisce come discorso su Dio: teologia appunto. Più pre­
cisamente, perché tenta di elaborare un discorso sul Dio di
Gesù Cristo41.

G. Pozzo afferma, da parte sua, che la vita e la dottrina del­


la fede della Chiesa riferita alla Rivelazione di Dio Uno e Trino
è l’oggetto della teologia. La domanda che guida il teologo,
in quanto membro della comunità di fedeli, è: “cosa significa,
come può interpretarsi e farsi comprensibile la dottrina della
Rivelazione di Dio in Cristo attestata dalla fede e predicata dal­
la Chiesa”42.

40 H. J. Nicolas, Synthèse dogmatique, Ed. Universitaires, Fribourg


19913, 4. In una nota a piè di pagina, Nicolas fa notare che Geffré, circa la
natura e i metodi della teologia, si trova in una posizione antitetica “à notre
‘idee de la théologie’ exposé iti”.
41 M. Naro, «Il metodo teologico e la teologia delle religioni», en M.
Crociata (ed.), Teologia delle religioni, le questioni del metodo.16.
42 G. Pozzo, «Mètodo», en R. Latourelle, R. Fisichella, S. Pié-Ni-
not, Dicdonario de teologia fundamental, San Pablo, Madrid 1992, 913. Si
veda anche P. Coda, «Il ruolo della ragione nei diversi modelli teologici:
verso un modello ermeneutico di teologia?», en I. Sanna, Il sapere teologico
e Usuo metodo, EDB, Bologna 1993, 114. Per P. Coda, la teologia è fonda­
mentalmente, anche se non esclusivamente, “«parlare su Dio» a partire dal
«parlare di Dio» nella rivelazione che egli fa di sé...”. Dello stesso parere è
J. Morales che definisce l’oggetto della teologia (Initiation a la teologia,
Rialp, Madrid 20013, 52): “La teologia trata de Dios y le considera ya en
si mismo, es decir, en su esencia, atributos y Personas divinas del Padre, el
Hijo y el Espiritu Santo, ya corno principio y fin de todas las cosas, y estudia

155
Cristianesimo e religioni

R. Fisichella dice chiaramente che fondamento e centro


della teologia è la Rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Il suo
obiettivo particolare è l’intelligenza critica del contenuto della
fede affinché la vita credente possa essere pienamente signifi­
cativa43.
Altri, per contro, considerano che l’oggetto di studio della
teologia è, in primo luogo, la storia della salvezza e dentro di
essa, Dio44. Questo oggetto si potrebbe capire come un tenta­
tivo di interpretare il momento storico concreto alla luce della
Rivelazione contenuta in un testo biblico, per trovare un senso
cristiano a questa storia45. Non è Dio, bensì la storia, come
luogo delle manifestazioni divine, oggetto primario della rifles­
sione teologica.
Secondo Cl. Geffré, l’oggetto della teologia non è né una
parola originaria, della quale il senso non sarebbe se non una
eco, né un evento storico nella sua fatticità. L’oggetto della te­
ologia: “è un testo come atto d’interpretazione storica e come
nuova strutturazione del mondo”46. Dio resterebbe sempre “al
di là” del testo e non potrebbe, a causa della sua stessa natura
trascendente, essere oggetto di studio.
E rilevante questa diversità di “oggetti formali” per la teo­
logia? E la stessa cosa dire Deus sub ratione Dei e “storia del­

entonces las criaturas, los actos humanos, las normas que rigen la conducta
humana, la grada divina y las virtudes”.
43 R. Fisichella, «Teologia», en R. Latourelle-R. Fisichella-S. Pié
Ninot, Diccionario de teologia fundamental, San Pablo, Madrid 1992,1411.
44 Cf. M. D. Chenu, Prefazio al libro di Cl. Geffré, Un nouvel àge
de la théologie, Cerf, Paris 1972, 9 : “Lobjet de la théologie est l’histoire du
salut, et, dedans cette histoire, Dieu, - le Dieu de Jesus Christ - et non l’acte
pur d’Aristote, ou le Dieu des Lumières et de Joseph II”.
45 Cf. J. Dupuis, Verso una teologia..., 25.
46 Cl. Geffré, Le christianisme au risque de l’interprétation, Cerf,
Paris 1983,57.

156
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

la salvezza”?47* SiIn che senso il metodo ha modificato l’oggetto


stesso di studio? Se così fosse si potrebbe pensare che esista
non solo una diversità di approcci, ma anche un’autentica rot­
tura e dissoluzione dell’oggetto teologico. In fin dei conti non
riusciamo a capirci perché in fondo non stiamo parlando della
stessa “cosa”. Il pluralismo teologico forse non è dovuto alla
diversità di approcci, bensì alla diversità di oggetti. E chiaro
che le “Teologie del terzo mondo” o le “Teologie delle realtà
sociali” non sono diverse perché partono da punti di vista di­
versi, ma forse perché si occupano di temi e oggetti che non
hanno rapporto - almeno immediato - tra di loro.
Alla base di questa rottura dell’unità fondamentale della
teologia, con la dissoluzione dell’oggetto di studio, si trova la
frammentazione del pensiero filosofico, conseguente alla crisi
dei «grandi racconti ideologici» {grands récits). Nozioni quali
verità, realtà, obiettività, soggetto, storia, ecc., sono radicalmen­
te evolute e il loro influsso si fa sentire nella teologia. Si vede
come la filosofia non è solo ancilla theologiae bensì supporto
stabile - o sabbie mobili - sulle quali si può costruire, o meno,
la riflessione teologica. Una concezione filosofica riduttiva può
trasformare tutta la nostra visione della Rivelazione. Nell’zwteZ-
lectus fidei la fides è tanto importante quanto l’intellectus.

47 J.-G. Ascencio {Risplenda su di noi il tuo volto. Introduzione alla


teologia, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2005 , 35), offre
una distinzione importante per capire la diversità, se non la confusione,
tra oggetto, metodo e punto di partenza della teologia: “conviene non con­
fondere l’«oggetto» della teologia col «punto di partenza» e il «punto di
vista» della stessa. Mentre la teologia classica si incentrava prevalentemente
nell’oggetto, la teologia moderna, senza dimenticare ciò, si è interessata an­
che di determinare il punto di partenza più utile per elaborare la teologia”.
Si potrebbe inserire tutto il paragrafo (Loggetto della teologia: variabilità
delle formulazioni}, perché fino ad oggi non abbiamo trovato altri manuali
che si accostino al tema con tanta chiarezza e semplicità.

157
Cristianesimo e religioni

Questa trasformazione filosofica è stata definita come il


passaggio dalla ragione metafisica alla ragione ermeneutica. Cl.
Geffré ci spiega questo passaggio:
Sarebbe perlomeno strano che si fosse dovuto attendere la
modernità per assistere all’ingresso dell’ermeneutica in teo­
logia. Pur essendo evidente che l’ermeneutica come metodo
di lettura dei testi è fin dalle origini coestensiva alla teologia
cristiana, va tuttavia chiarito immediatamente che la «svol­
ta ermeneutica» della teologia non avrebbe senso se non la
si considerasse in rapporto ad un preciso sviluppo della ra­
gione filosofica che, caratterizzandosi come decisa presa di
distanza sia dall’ontologia classica che dalle filosofie del sog­
getto, si configura come il tentativo di considerare l’essere
in quanto realtà linguistica. Si tratta allora di interrogarsi sul
destino della ragione teologica nell’«epoca della ragione er­
meneutica»: questo è il proposito da cui muove questa breve
relazione sul mio modo di utilizzare l’ermeneutica nell’am­
bito della teologia48.

La svolta filosofica si costituisce essenzialmente come il


passaggio dalla comprensione metafisica della realtà alla sua
considerazione ermeneutica. La ragione teologica diviene com­
prensione storica
Per secoli la ragione teologica è stata identificata con la
ragione speculativa nel senso aristotelico della conoscen­
za teorica. Oggi alla ragione teologica viene consentito di
identificarsi con un comprendere storico, inteso al modo di
Heidegger e Gadamer. Si tratterà dunque di focalizzare le
conseguenze derivanti alla teologia dal suo costituirsi non
come comprensione metafisica della realtà, bensì come com­
prensione storica di essa49.48
49
48 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione», Filosofia e teologia, 1
(1995), 21. Il sottolineato è nostro.
49 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione»..., 22.

158
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

Il metodo teologico secondo J. Dupuis

J. Dupuis analizza il metodo teologico per lo studio delle


religioni non cristiane in vari articoli e scritti senza variazio­
ni sostanziali50. In ogni caso il teologo belga parte dall’analisi
delle cause del pluralismo teologico con il tentativo di trac­
ciare una storia del metodo teologico. Per lui, la definizione
anselmiana della teologia come fides quaerens intellectum resta
tutt’ora valida. La frase però è suscettibile di interpretazioni
diverse e può dare origine a metodi teologici contrastanti51.
D’accordo con il teologo belga, il metodo che dominava la
teologia prima del Concilio era il metodo dogmatico. Questo si
intendeva come un metodo deduttivo, che partiva da enunciati
dogmatici formulati dalla Chiesa per poi comprovarli serven­
dosi di citazioni della Scrittura "appositamente scelte con un
processo che si potrebbe definire di «retroiezione»”5253 .
I limiti di questo metodo sono evidenti. In primo luogo,
J. Dupuis gli rimprovera l’astrazione. Più si deduce partendo
da principi astratti, più si rischia di deviare dall’esperienza.
Inoltre, questo metodo non lascia spazio ad alcuna pluralità di
teologie; trovano spazio solo le scuole teologiche che si rifanno
alla Scolastica. Infine, la Sacra Scrittura, è usata quasi esclusi­
vamente come appoggio agli enunciati conciliari55.
Astrattezza, uniformità e omogeneità teologica, poca at­
tenzione alla Sacra Scrittura anima theologiae... Questi limiti
servirono da stimolo ai teologi nella ricerca di nuove vie, che
grazie al Concilio divennero finalmente transitabili.
50 J. Dupuis, Gesù Cristo incontro alle religioni, Citadella, Assisi 1989,9-
16. Id., Verso una teologia cristiana delpluralismo religioso, Queriniana, Bre­
scia 19982,23-32. Id., « Méthode théologique et...», 61-74.
51 Cf. «Méthode théologique et... », 62.
52 Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana,
Brescia 19982.
53 Cf. «Méthode théologique et... », 62.

159
Cristianesimo e religioni

Dopo il Concilio è stato dunque possibile abbandonare de­


finitivamente questo metodo per privilegiare il cosiddetto “me­
todo genetico”, il quale, partendo dai dati rivelati cerca di sco­
prire come sono stati capiti e interpretati dalla Chiesa lungo la
storia, servendosi della riflessione dei Padri, dei Concili e delle
scuole teologiche che si sono formate lungo la storia. J. Dupuis
afferma che lo stesso Concilio privilegiò questo metodo, in
concreto, nel suo decreto Optatam totius, sulla formazione del
clero54, fl metodo genetico sarebbe quello che al giorno d’oggi
hanno seguito le principali facoltà teologiche e ha significato
un contributo rilevante per il rinnovamento teologico. Orbene
- secondo J. Dupuis -, nonostante il metodo genetico abbia
il vantaggio di ispirare un ritorno alle fonti bibliche e ai Santi
Padri, questo metodo non è esente da limiti, perché rischia di
offrire una concezione troppo lineare dello sviluppo dottrinale
e della pluralità reale e irriducibile del dato biblico in se stesso.
In fin dei conti, neanche il metodo genetico fa giustizia alla
pluralità55.

54 Optatam totius, 16. En Acta Synodalia Sacrosanti Concilii Oecu-


menici Vaticani II, Vol. IV, pars V, 593. Vale la pena riprodurre il paragrafo
principale: “Theologia dogmatica ita disponatur ut ipsa themata biblica pri-
mum proponantur; quid Patres Ecclesiae Orientis et Occidentis ad singulas
Revelationis veritates fideliter transmittendas et enucleandas contulerint
necnon ulterior dogmatis historia -considerata quoque ipsius relatione ad
generalem Ecclesiae historiam- alumnis aperiatur; deinde ad mysteria salu-
tis integre quantum fieri potest illustrando, ea ope speculationis, S. Thoma
magistro, intimius penetrare eorumque nexum perspicere alumni addiscant;
eademque semper in actionibus liturgicis et universa Ecclesiae vita praesentia
et operantia agnoscere doceantur; atque humanorum problematum solutiones
sub Revelationis luce quaerere, eius aeternas veritates mutabili rerum huma-
narum condicioni applicare easque modo coaevis hominibus accommodato
communicare discant”.
55 Cf. «Méthode théologique et... », 63.

160
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

Se il metodo precedente era astratto, deduttivo, omogeneo


e poco fondato sulla Bibbia, il metodo genetico manca di senso
storico e di apertura alla pluralità di interpretazioni. Il difetto
di questi due metodi è, in fin dei conti, il fatto di essere comun­
que deduttivo e di non lasciare spazio ad una pluralità di teolo­
gie. Sia che si parta da delle definizioni dogmatiche astratte, sia
che si parta dai dati biblici e dalla loro interpretazione patristi­
ca, il metodo genetico e quello dogmatico procedono da prin­
cipi generali e presumibilmente evidenti (alla luce della fede)
per arrivare a delle conclusioni non evidenti o implicitamente
presenti in questi principi, ma ugualmente necessarie, median­
te un processo argomentativo razionale di deduzione logica:
“il loro campo di azione - conclude il teologo - consiste nel
partire da dei principi generali per arrivare a delle applicazio­
ni concrete provocati dai problemi recenti”56. Inoltre, proprio
per il fatto di essere strettamente deduttivi, chiuderebbero la
porta al pluralismo delle teologie contestuali, quali le “teologie
delle realtà terrestri” oppure le “teologie del Terzo mondo”57.
Una volta scartati, o almeno ridimensionati, questi due me­
todi - uno preconciliare e l’altro postconciliare - J. Dupuis ci
parla del cambio metodologico portato avanti da alcuni teo­
logi, ma già presente nel Concilio, con la introduzione di un
metodo inverso, di tipo induttivo58. Questo metodo, in sintesi,
mette come punto di partenza, non più il dato rivelato, oppure
il Dio della Rivelazione, bensì la situazione concreta, la realtà
vissuta nel presente per trovare, in un secondo momento, la
luce del messaggio rivelato e della riflessione teologica, e così
dare una “soluzione cristiana” a questi problemi. L’oggetto
teologico sarebbe la storia e il suo “senso cristiano”. Questo

56 «Méthode théologique et...», 63.


57 Cf. J. Dupuis, «Méthode théologique et...», 61.
58 «Verso una teologia...», 24.

161
Cristianesimo e religioni

metodo sarebbe ispirato alla Costituzione Pastorale Gaudium


et Spes. Si tratterebbe di imparare a leggere i “segni dei tempi”
che consentirebbero al teologo di conoscere le aspirazioni at­
tuali dell’umanità59. In questa matrice metodologica, induttiva,
contestuale e storica, si inserirebbe la teologia delle religioni60.
J. Dupuis chiama “teologia ermeneutica” questo modo
induttivo di fare teologia. Una teologia contestuale - nozione
che va al di là del semplice adattamento o della “inculturazio-
ne” - che parte dalla realtà storica, dal contesto nel quale vive
la Chiesa, e interpreta la realtà che ci circonda alla luce della
Rivelazione. E quanto fece, secondo J. Dupuis, la costituzione
pastorale Gaudium et Spes, del Vaticano II. In questo consiste
la contestualizzazione e l’ermeneutica61.
59 Sarebbe possibile tentare di fare una classifica “scolastica” della pro­
posta di J. Dupuis:
- Situazione storica concreta: oggetto formale quod.
- L’esperienza cristiana fondazionale (Scrittura e Tradizione): oggetto
formale quo.
- La “soluzione cristiana” alla situazione: le conclusioni.
Tutto questo rafforzerebbe la nostra affermazione inziale: siamo davan­
ti non solo ad un cambiamento di metodo teologico bensì ad una trasfor­
mazione dell’oggetto stesso della teologia. Del Deus sub ratione deitatis alla
historia sub ratione experientiae christianae.
60 La storia che ci ha tracciato J. Dupuis non è carente d’interesse.
Ciononostante, ci si potrebbe domandare se necessariamente questi metodi
devono essere escludenti. Forse bisognerebbe aggiungere nella situazione
attuale la trasformazione della nozione di verità, la situazione di relativi­
smo in atto nella società occidentale e la trasformazione di questa società
che chiamiamo “civiltà tecnologica”, “tecnoliquidità”. Tutto ciò, secondo il
nostro autore, bisognerebbe illuminarlo alla luce del messaggio evangelico
e della riflessione teologica. Ma, non è proprio questo ciò che si è fatto
lungo la storia ad opera dei teologi? La teologia non esiste come un blocco
unitario. Esiste la teologia orientale e occidentale; esiste la riflessione degli
apologisti, dei Padri; la teologia monastica medievale e la sintesi sistematica
della Scolastica e di San Tommaso D’Aquino.
61 Cf. «Méthode théologique et...», 69. Non si può negare che il Con-

162
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

J. Dupuis segue Cl. Geffré nella sua definizione di teologia


ermeneutica come un nuovo atto di interpretazione dell’evento
di Gesù Cristo, in base ad una correlazione critica tra l’espe­
rienza cristiana, della quale rende testimonianza la Tradizione
e l’esperienza umana contemporanea. Questa interpretazione
si baserebbe, d’accordo con la lettura che Dupuis fa del suo
collega, sulla circolarità tra lettura dei testi che testimoniano
l’esperienza cristiana originaria e l’esperienza concreta del let­
tore con temporaneo.
La teologia ermeneutica consiste per lui - e per Cl. Gef­
fré - in un costante e progressivo andirivieni tra l’esperienza
contestuale del presente e la testimonianza dell’esperienza fon­
datrice, memoria della tradizione. A questo si riferisce l’autore
con il termine “circolo ermeneutico”62. D’accordo con Du­
puis, questa circolarità non si darebbe tra due membri, bensì
tra tre membri: il testo (il dato di fede o la memoria cristiana),
il contesto e l’interprete (il teologo all’interno della comunità
ecclesiale)63.
Testo e contesto. Il testo non si definisce per Dupuis solo
come il testo sacro, in particolare il Nuovo Testamento. Te­
sto, o dato di fede, sarebbe piuttosto la “memoria cristiana” e
includerebbe la tradizione oggettiva, vale a dire, la Scrittura,
la Tradizione e il Magistero che sono le diverse “letture” e in­
terpretazioni fatte dalla tradizione ecclesiastica. Il contesto, da
parte sua, cambierebbe a seconda della situazione nella quale si

cilio adotto una prospettiva induttiva in Gaudium et Spes; una costituzione,


tra l’altro, non dogmatica bensì pastorale. Orbene, il Concilio non ha pri­
vilegiato solamente, né in modo esclusivo, questa dimensione valida della
teologia. Non bisogna dimenticare che oltre alla costituzione pastorale, il
Concilio emanò altre Costituzioni di forte valore dogmatico ove il metodo
induttivo trova uno spazio più modesto.
62 Cf. «Méthode théologique et...», 70.
63 Cf. «Méthode théologique et...», 70.

163
Cristianesimo e religioni

trova ogni comunità. Questo contesto bisognerebbe vederlo in


tutta la sua estensione e complessità: socio-politica, economica,
culturale e religiosa64.
Resta l’interprete. Costui non sarebbe il teologo individua­
le, bensì la comunità ecclesiale alla quale il teologo appartiene
e nella quale presta servizio. Il teologo, all’interno della comu­
nità, si trova immerso in un contesto particolare che gli pone
delle domande, che lo interpella. Questo contesto diviene la
precomprensione di fede con la quale l’interprete fa la lettura
del testo. Infine, dalla lettura del testo deriveranno degli orien­
tamenti per la prassi cristiana. “Come si può vedere - conclude
J. Dupuis -, l’interazione fra testo e contesto, o fra memoria e
cultura, ha luogo nell’interprete, e cioè nella chiesa locale”65.
Sorge una domanda: qual è allora il valore oggettivo del
testo in quanto veicolo di eventi? Se il “testo” è frutto dell’e­
sperienza cristiana fondazionale e delle reinterpretazioni suc­
cessive, cosa trasmette la “memoria cristiana”? La memoria di
Gesù o la memoria dell’esperienza fondazionale dei discepoli?66
64 Cf. J. Dupuis, verso una teologia..26.
65 Cf. J. Dupuis, verso una teologia...,21.
66 Dalle riflessioni di Dupuis viene fuori una conclusione di importan­
za capitale: la teologia ermeneutica si sviluppa a livello di esperienze. L’e­
sperienza, storicamente condizionata, dei primi cristiani e l’esperienza del
cristiano contemporaneo, pure essa condizionata dal contesto storico. Si
deve allora affermare che la Rivelazione, in ultima analisi, non mi offre altro
se non l’esperienza soggettiva e storica dei discepoli di Gesù e non il volto
di Gesù stesso? Se così fosse, si capirebbe allora perché ogni generazione
avrebbe la possibilità e il diritto di reinterpretare l’esperienza cristiana d’ac­
cordo con le circostanze. La modernità ha conosciuto svariate interpreta­
zioni di Cristo: il Cristo hippie, il Cristo guerrigliero, il Cristo guru... Con
tutto questo si rischia veramente di svuotare la figura reale e oggettiva di
Cristo. È pur vero che lungo i secoli la figura di Cristo è stata colorata cul­
turalmente: il Gesù filosofo dei primi cristiani, il Cristo re, il Sacro Cuore, il
Seiior muy llagado di santa Teresa, ecc., ma queste immagini non sarebbero
interpretazioni arbitrarie del mistero di Gesù, bensì accentuazioni di ele-

164
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

Infine, J. Dupuis passa alle applicazioni per quanto riguar­


da la teologia del pluralismo religioso67. In primo luogo, con­
stata che i teologi occidentali che si sono occupati del problema
hanno adottato sostanzialmente un metodo puramente dedut­
tivo; vale a dire, sono partiti da alcune affermazioni del Nuovo
Testamento considerate chiare e dopo si sono domandati quali
sarebbero state le concessioni che la fede dogmatica avrebbe
potuto fare alle tradizioni religiose. La conclusione alla quale
si arriva è che le religioni, prese come un blocco uniforme, non
possono essere considerate se non come delle realtà umane im­
perfette e provvisorie, ombre destinate a scomparire davanti
all’evento cristiano68. E ovvio che in questa classificazione ri­
entrano fondamentalmente i teologi della cosiddetta “tendenza
Daniélou” e della dottrina teologica del “compimento ”.
Per contro, continua il teologo belga, i teologi attuali del
pluralismo si sono dedicati a difendere un metodo “rigorosa­
mente induttivo”, partendo dal dialogo tra le diverse tradizioni
e solo in un secondo momento è venuta la riflessione teologica
sulla relazione tra queste tradizioni. Hanno voluto compren­
dere dal di dentro le religioni, per poi passare a trovare un si­
gnificato alla luce della riflessione cristiana, arrivando in molti
momenti a compromettere l’essenza stessa del dato rivelato.
Con il tentativo di mediare tra la posizione meramente
deduttiva e gli eccessi dei teologi del pluralismo religioso, J.
Dupuis difende un “metodo teologico globale”, nozione che
prende in prestito da P. Knitter, che permetta la combinazione
del metodo deduttivo e del metodo induttivo. Il movimento re­
ciproco tra entrambi - afferma - bisognerebbe che assicurasse
l’incontro necessario tra il dato della fede e la realtà vivente del

menti che corrisponderebbero veramente a Gesù di Nazareth.


67 Cf. Verso una teologia..., 27-29.
68 Sarebbe questa l’interpretazione di At 17,30.

165
Cristianesimo e religioni

pluralismo religioso69, senza mettere tra parentesi la propria


fede, ma cercando l’incontro con l’altro nella sua realtà religio­
sa concreta, senza precomprensioni o conclusioni dedotte in
modo astratto o a priori.
Così come il metodo puramente deduttivo ha i suoi limiti,
un metodo puramente induttivo sarebbe anche riduttivo. Sia
per inefficacia, sia per indecisione, questo metodo potrebbe
non raggiungere lo scopo primario della teologia che è quello
di armonizzare le conclusioni teologiche con i dati della fede.
Il metodo teologico globale, per contro, raggiungerebbe il suo
scopo, prendendo sul serio il “testo”, i dati della fede, ma an­
che mettendo questi dati di fede in relazione critica con l’e­
sperienza concreta delle religioni; cioè mettendo in rapporto il
testo e il contesto, la fede e la prassi del dialogo, come le due
“fonti” che devono mettersi costantemente in equilibrio.
All’interno di questo metodo teologico globale, J. Dupuis
si domanda giustamente come sia possibile entrare nell’espe­
rienza religiosa dell’altro per raggiungere l’equilibrio tra dato
di fede e prassi del dialogo. Se la fede implica una adesione
di tutta la persona, come fare propria l’esperienza religiosa
dell’altro e così stabilire un dialogo con i suoi vissuti religiosi?70
J. Dupuis non risponde direttamente alla questione. Semplice-
mente riafferma il valore di questo metodo teologico globale
che unisce la propria fede, come adesione totale che non si
colloca mai tra parentesi e la prassi del dialogo71.

69 Cf. J. Dupuis, Verso una teologia..., 28.


70 Cf. J. Dupuis, Verso una teologia..., 29.
71 A. Rigobello, «La crisi della ragione e la sua età ermeneutica», en I.
Sanna, Il sapere teologico e il suo metodo, EDB, Bologna 1993, 46: “Se l’e­
sistenza è interpretazione, è anche apertura dialogica, duttile argomentare
nel fervore pacato del dialogo. Il pensiero «forte» rimane lontano, nel ricor­
do di tempi diversi, sopraggiunge la modestia operosa del dialogo situato in
una tradizione e aperto in ogni direzione possibile”.

166
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

Risulta interessante la proposta di J. Dupuis. Ci spinge a


tentare di capire la realtà religiosa in profondità, tentando di
penetrare nella coscienza e nelle motivazioni dell’altro, senza
cadere in facili generalizzazioni, pur fondate su qualche passo
della Scrittura. Orbene, la domanda che sorge è se questo mo­
vimento reciproco è stato presente già in tutta la storia della
teologia e se è legittimo affermare che essa non può, per la sua
stessa natura, non essere contestuale72.
Inoltre, bisognerebbe distinguere - cosa che non sembra
molto chiara in J. Dupuis - tra un atteggiamento di simpatia
(nel senso etimologico del termine), di comprensione benevola
verso le altre tradizioni, e la capacità di ascolto e fedeltà alle
proprie convinzioni di fede. A ragione J. Dupuis ci stimola a
non mettere tra parentesi la propria fede a beneficio del dialo­
go. Orbene, dialogo e fede corrispondono a due livelli diversi
non necessariamente contrapposti tra di loro. Sembra che il
problema sia piuttosto quello di fare della fede l’oggetto attor­
no al quale si sviluppa il dialogo. Qui il campo diventa minato.
La fede non entra tra le materie del dialogo, perché la fede si
basa fondamentalmente su degli eventi che si accettano grazie
alla testimonianza di coloro che hanno visto e udito (i disce­
poli e la Chiesa). Posso dialogare sull’esperienza di Dio di un
induista o di un musulmano, ma non mi è consentito dialogare
sul carattere reale o meramente simbolico della Risurrezione
di Cristo.

72 Cf. C. Fabro, 'Llavventura della teologia progressista, Rusconi, Milano


1974, 106: “la sana teologia infatti non ha mai eluso il problema ermeneu­
tico: l’hanno soddisfatto i Padri contro le eresie trinitarie e cristologiche,
i teologi del Tridentino contro le eresie sulla grazia di Lutero, Zuinglio e
Calvino, gli ultimi Pontefici contro la negazione della trascendenza, del
peccato e dell’ordine soprannaturale da parte della filosofia moderna e dei
«complici» teologi”.

167
Cristianesimo e religioni

Infine, facendo allusione alla Gaudium et Spes come mo­


dello teologico, il nostro teologo sembra confondere la dimen­
sione dogmatica della teologia con il suo carattere pastorale.
Una cosa sarebbe “comprendere la fede” e un’altra “renderla
comprensibile”. Come abbiamo già detto, il Concilio non fece
solo “ermeneutica” bensì anche “dogmatica”.

La proposta metodologica di Claude Geffré

Come abbiamo già mostrato J. Dupuis prende spunto da


Cl. Geffré per elaborare la propria proposta metodologica. In­
fatti è soprattutto Cl. Geffré ad essere riconosciuto per i suoi
costanti inviti a passare all’era ermeneutica in teologia73.
Egli parte dalla considerazione della teologia di San Tom­
maso D’Aquino. Il nostro autore ritiene che l’Aquinate abbia
assunto come punto di partenza della sua teologia la compren­
sione assiomatica della scienza in una prospettiva aristotelica.
In questo modo avrebbe preteso di mostrare come la scienza
teologica risponda ai criteri della scienza aristotelica in quan­
to anche la teologia partiva da principi evidenti - gli articoli
della fede - percepiti dalla ragione in modo immediato e da lì
procedeva deduttivamente alle conclusioni in modo certo e ne­
cessario74. Questa volontà di legittimare la fede come scienza,
73 Presentiamo le fonti che abbiamo usato per questa parte: Cl. Gef­
fré, Un Houvelle age de la théologie, Cerf, Paris 1972. Id., Le christianisme
au risque de I’interpretation, Cerf, Paris 1983; Id., « Il rischio dell’interpre­
tazione », Filosofia e teologia, 1 (1995), 21-29. Id.,« Lepluralisme religieux
et l’indifférentisme, ou le vrai défi de la théologie chrétienne », Revue théo­
logique de Louvain, 31 (2000), 3-32.
74 Bisogna prendere in considerazione che Geffré mette sullo stesso
piano San Tommaso e la manualistica scolastica posteriore. Tra l’altro, l’in­
teresse di San Tommaso non è, in primo luogo, il problema metodologico
bensì la comprensione della fede. Più oggettivo ci sembra il giudizio di P.
Coda, «Il ruolo della ragione...», 124: "San Tommaso è preoccupato, infatti,

168
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

condurrebbe ad un modello esemplare di teologia concepita


come intellectus fidei, cioè, intelligenza, approfondimento di
dati già conosciuti con certezza e perciò mai oggetto di un’a­
nalisi critica.
Questo modello di teologia entrerà in crisi nell’epoca mo­
derna, quando si abbandonerà la nozione metafisica di ordine
e si passerà necessariamente da una comprensione assiomatica
ad una comprensione empirica e storica della scienza, il cui
metodo diviene, di conseguenza, sperimentale75. E in questa
epoca che si rende necessario un “cambio di paradigma” con
l’introduzione del modello ermeneutico in teologia; ciò signi­
fica considerare la teologia come posta allo stesso livello delle
scienze umane, dato il carattere interpretativo di esse76. Il la-
da un lato di salvaguardare la trascendenza della fede rispetto alla ragione
e, dall’altro, di rivendicare uno statuto di scientificità, sia pure sui generis,
alla teologia”. Il sui generis è la chiave d’interpretazione della teologia come
scienza in San Tommaso. Per la critica che P. Coda fa a San Tommaso cf.
Ibid., 126, dove si parla dei rischi della sistemazione tomista, in particolare
“l’assunzione della ratio aristotelica e del concetto di scienza che ne con­
segue”. Scrive P. Coda: "Come noto, per Aristotele non si dà scienza e cioè
conoscenza certa e universale se non delle realtà necessarie, il che significa
escludere dalla scienza gli avvenimenti storici, che sono particolari e contin­
genti”. Gli articoli di fede saranno considerati più come principi dottrinali
che come “verità accadute”. Questo sarà il modello che andrà ad imporsi
discussione teologica posteriore. Ovviamente, ciò non va a scapito di San
Tommaso. Bisogna sempre distinguere nel “teologo” ciò che costituisce il
suo contributo fondamentale alla teologia dagli elementi circostanziali del
metodo che usa.
75 La problematica sembra essere più complessa e articolata di quanto
scrive Cl. Geffré, come se la “colpa” fosse del metodo scolastico. Per una
visione più ponderata, cf. P. Coda, «Il ruolo della ragione...», 127-129 (2.4.
La crisi del modello scolastico e l’annuncio di nuove prospettive).
76 La somiglianza tra la teologia e le scienze dello spirito radicherebbe
nel fatto che esse - a dire di P. Coda nella sua interpretazione di Dilthey
- si devono confrontare con il problema di dover “comprendere” le espe­
rienze interiori degli uomini del passato tramite le loro obiettivazioni stori-

169
Cristianesimo e religioni

voro della teologia non sarà, pertanto, dirci solo qual’è il senso
della Rivelazione (la considerazione di Dio come oggetto della
teologia), bensì dire anche il senso ultimo dell’uomo e della
storia.
Alla base del modello ermeneutico in teologia vi è l’ontolo­
gia del linguaggio del secondo Heidegger e del secondo Rico­
eur. Scrive Cl. Geffré:
Nella prospettiva di Heidegger il linguaggio, prima di essere
lo strumento della comunicazione tra gli uomini, rappresen­
ta innanzitutto un dire del mondo. Si può così affermare che
la pratica teologica coincide con un ascolto non soltanto di
ciò che è detto attraverso il linguaggio del mondo, ma anche
attraverso quel grande codice che è il testo biblico. Una teo­
logia come Parola di Dio ha come presupposto la funzione
ontofanica del linguaggio: proprio in quanto il linguaggio
ha già sempre una portata ostensiva circa l’essere del mon­
do esso può essere ripreso dal teologo come manifestazione
dell’Essere divino*77.

La teologia ermeneutica sarebbe, pertanto, interpretazione


di testi che esprimono esperienze. La teologia si sosterrebbe
su una correlazione critica tra l’esperienza cristiana primitiva
e l’esperienza storica contemporanea, come concorda anche
J. Dupuis, perché la Rivelazione - ci insegna Cl. Geffré - è
inscindibilmente messaggio e esperienza. Messaggio che sareb­
be fondamentalmente trasmissione di un’esperienza originaria
che interpella l’esperienza storica concreta.
Ebbene, per assicurare la contemporaneità del messag­
gio cristiano, è necessario discernere tra le strutture costanti

che (scritti, opere d’arte, monumenti, ecc.). Cf. P. Coda, Teo-logia, Mursia,
Roma 1997, 161.
77 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione», Filosofia e teologia,
1(1995), 23.

170
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

dell’esperienza cristiana fondamentale e quegli elementi con­


tingenti che sono frutto del mondo dell’esperienza del Nuovo
Testamento o dell’interpretazione posteriore dell’esperienza
cristiana, perché in ogni trasmissione della fede - sempre d’ac­
cordo con Cl. Geffré - si dà un’interpretazione creativa della
stessa. Dunque, nella reinterpretazione della Rivelazione nella
situazione attuale, il teologo deve portare avanti un lavoro di
discernimento, distinguendo “l’esperienza cristiana fondamen­
tale” dagli elementi contingenti che dipendono dalla situazione
storica concreta, sia del Nuovo Testamento, sia della Tradizio­
ne posteriore.
Quali sono le conseguenze dell’introduzione del modello
ermeneutico in teologia? Cl. Geffré ci presenta due conseguen­
ze: la lettura della Scrittura e la rilettura della Tradizione. Per
quanto riguarda la Scrittura, il Nostro afferma:
Il rapporto «parola-scrittura» è costitutivo di ciò che chia­
miamo kerigma primitivo. Questo messaggio ha un ruolo di
mediazione tra il Primo Testamento e quello che chiamiamo
il Nuovo Testamento. Ma a sua volta la testimonianza apo­
stolica divenuta una Scrittura funge da mediazione tra due
parole: la predicazione della prima comunità cristiana e la
predicazione della Chiesa di oggi. Contrariamente a tutti i
fondamentalismi, che hanno l’ossessione di una parola ori­
ginaria che sia Yipsissima vox del fondatore assente, siamo
messi a confronto con una moltitudine di testimonianze di­
vise sui gesti e le parole di Gesù alla luce dell’avvenimento
pasquale. H compito di una teologia cristiana è di prendere
sul serio questa relatività storica intrinseca alle Scritture ca­
noniche. Si può così affermare che alle origini del cristiane­
simo non c’è la «voce» stessa di un fondatore, ma un testo,
aggiungendo tuttavia immediatamente che la cosa di cui si

171
7
Cristianesimo e religioni

tratta nel testo non può che raggiungerci nella fede sotto l’in­
fluenza dello Spirito78.

La relatività storica intrinseca delle Scritture canoniche ci


porta necessariamente a considerare la relatività storica della
Tradizione. Continua Cl. Geffré:

Il moderno conflitto tra teologi e Magistero è spesso com­


preso come opposizione tra una lettura storica ed una let­
tura dogmatica della Scrittura. In realtà si tratta piuttosto di
due letture storiche differenti. E possibile fare una lettura
credente dei documenti storici senza cadere in una lettura
dogmatista, cioè in una lettura acritica che nella Scrittura e
nella Tradizione cerchi solo degli appoggi testuali, delle «au­
torità» per confermare una posizione già precedentemente
assunta79.

E ancora:
Una definizione dogmatica è una risposta che non può essere
compresa, se non in rapporto alla questione storica che l’ha
provocata. La parola «dogma» ha un valore quasi giuridico.
Il dogma è un decreto applicativo della legge fondamentale
che i cristiani vivono, in un preciso momento storico, che
generalmente ha il carattere della situazione di crisi. Non si
tratta certo di dimostrare che ciò che era vero ieri è divento
falso oggi. Alla luce della nostra nuova esperienza storica,
appare tuttavia opportuno risituare le varie definizioni dog­
matiche nella totalità della fede80.

78 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione», Filosofia e teologia,


1(1995), 25.
79 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione», Filosofia e teologia,
1(1995), 25.
80 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione», Filosofia e teologia,
1(1995), 26.

172
Quale metodo perla teologia del pluralismo religioso?

La prospettiva ermeneutica proposta da Cl. Geffré


non separa mai i testi dall’esperienza storica che li ha fatti
sorgere, e, in un tentativo di offrire un’interpretazione del
messaggio cristiano adeguata al presente, prende in consi­
derazione - analogamente a quanto fece J. Dupuis81 - tre
criteri che sono in rapporto tra di loro: i testi del Nuovo
Testamento, la tradizione teologica e dogmatica, e il conte­
sto attuale.
Il primo di questi criteri - scrive Cl. Geffré - è rappresentato
dai testi del Nuovo Testamento, intesi come testimonianza
dell’esperienza cristiana fondamentale. Il secondo è costi­
tuito dalla tradizione teologica o dogmatica pensata come
testimonianza delle esperienze storiche successive. L’ulti­
mo infine può essere individuato nel contenuto della nostra
esperienza storica attuale82.

L’ultimo è quello che più interessa il nostro autore: il crite­


rio della “comunicabilità” della fede, cioè, il criterio che ci per­
mette di sapere se è possibile riprodurre l’esperienza cristiana
fondamentale nelle nuove condizioni dell’esperienza storica
presente. Questa “comunicabilità ” è il consensus fidelium, la
ricezione dell’esperienza accettata da tutti i fedeli di questa
epoca.
Per quanto riguarda il nostro tema - la teologia del plura­
lismo religioso -, Cl. Geffré considera che la sfida del plurali­
smo religioso attuale è il contesto nel quale si deve sviluppare
il nuovo paradigma teologico. Questo pluralismo sarà di utilità
81 La differenza con J. Dupuis consiste nel fatto che il primo considera
che il “testo” include la tradizione dogmatica e teologica e l’interprete è
il teologo all’interno di una comunità. Cl. Geffré parla di una distinzione
tripartita, ma di contesti: il contesto originario, i contesti successivi e il con­
testo presente. Il teologo, dal suo contesto, osserverebbe i contesti che si
sono succeduti lungo la storia.
82 Cl. Geffré, «Il rischio dell’interpretazione...», 27.

173
Cristianesimo e religioni

per il futuro del pensiero cristiano nel concerto delle religioni


del mondo83.
Il primo aspetto del pluralismo - ci insegna il teologo do­
menicano - è il fatto stesso della sua esistenza. La pluralità di
credenze e di religioni è un dato quasi insuperabile: è un plu­
ralismo religioso di principio. Il problema teologico non sarà,
pertanto, domandarsi perché la pretesa di universalità della
Chiesa non si è ancora adempiuta, bensì qual è il significato
delle religioni nell’unico progetto salvifico di Dio in Gesù Cri­
sto84. La teologia ermeneutica viene qui in nostro aiuto per
superare la contraddizione tra la Volontà salvifica universale e
l’unicità della mediazione di Cristo: “una teologia ermeneutica
che prende sul serio il contenuto della nostra esperienza sto­
rica è quindi invitata a chiedersi se fosse possibile parlare di
un pluralismo religioso di principio che corrisponderebbe a un
disegno misterioso di Dio”85.
Cl. Geffré si muove in questa proposta metodologica con
due convinzioni: la possibilità di dis-assolutizzare il cristianesi­
mo, senza con ciò cadere nel relativismo o nell’indifferentismo,
e la convinzione che è possibile vivere un’adesione assoluta al
messaggio cristiano, senza con ciò compromettere il dialogo
con le altre religioni e senza pretendere di imporre, in modo
“imperialistico” - la parola è sua - la propria fede agli altri86.
Di fronte a questa visione positiva del pluralismo, bisogna
reinterpretare, per esempio, la dottrina patristica della presenza
universale del Logos che illumina tutti gli uomini. Nonostante
i Padri della Chiesa abbiano applicato questa dottrina alla filo­
sofia e non alla religione, oggi, alla luce del Concilio Vaticano II
83 Cf. Cl. Geffré, « Le pluralisme religieux et...», 14.
84 Cf. Cl. Geffré, «Il mistero del pluralismo religioso nell’unico pro­
getto di Dio», en M. Crociata (ed.), Teologia delle religioni. ..,216.
85 Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et...», 15.
86 Cf. Cl. Geffré, «Il mistero del pluralismo...», 216.

174
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

e del Magistero posteriore, sarebbe possibile parlare dei semi


di verità sparsi anche nelle religioni. Per contro, si dovrebbero
scartare o ridimensionare le testimonianze negative riguardo le
religioni, i giudizi severi dei Padri su di esse - che considera­
rono ispirate dal diavolo -, facendo capire che quei giudizi e
ponderazioni dipendevano più dal contesto storico nel quale i
Padri vissero, contesto radicalmente diverso dal nostro:
Sarebbe necessario invocare tutti i testi dei Padri della Chie­
sa che manifestano un giudizio estremamente severo sulle
religioni e i culti pagani del loro tempo, che essi credevano
ispirati dal diavolo. La nostra esperienza storica però è ra­
dicalmente diversa di quella dei Padri che, per definizione,
non potevano conoscere l’IsIam e che si fermarono a una
conoscenza molto frammentaria delle religioni orientali87.

L’orizzonte del pluralismo religioso, elevato a nuovo pa­


radigma teologico, porta necessariamente all’imperativo del
dialogo interreligioso. Questo dialogo ha una connotazione
e una finalità ben diversa dalla semplice comunicazione della
fede con il proposito di conversione, propria dell’azione mis­
sionaria che la Chiesa ha portato avanti in passato. Il dialo­
go interreligioso si dà - secondo Cl. Geffré - su un piano di
uguaglianza. Cosa vuol dire questo? A favore dell’uguaglian­
za si deve rinunciare ad affermare l’unica mediazione di Gesù
Cristo e a sostenere che il cristianesimo è l’unica religione che
rende testimonianza alla verità del mistero divino? Cl. Geffré
rinuncia a rispondere direttamente a questa domanda88. Egli

87 Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et... », 16.


88 Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et... », 18 : Ce n'estpas le lieu
tei d’ouvrir ce débat théologique. Je tiens seulement à me situer pour faire
comprendre qu'en ne transigeant pas sur l’absolu du Christ camme homme-
Dieu, je n’hésite pas à prendre mes distances vis-à-vis d'un certain christiano-
centrisme pour faire droit ainsi aux exigences du pluralisme.

175
Cristianesimo e religioni

piuttosto accenna al paradosso cristiano insito nel mistero di


Gesù Cristo come “universale concreto”. Se prendiamo sul se­
rio il paradosso cristologico della presenza di Dio nella carne
di un “uomo particolare”, potremo allora comprendere come
è possibile relativizzare il cristianesimo in quanto religione sto­
rica senza per questo relativizzare l’unica mediazione di Cristo,
unica fonte di salvezza per tutti gli uomini. Pertanto, guardan­
do al mistero di Gesù, noi confesseremo la pienezza di Dio che
abita in Lui. Il “Gesù di Nazareth”, storico e linguisticamente
condizionato, ci rinvia ad un Dio trascendente che sfugge ad
ogni identificazione89.
In questo modo lui ci invita a fare una netta distinzione tra
l’elemento storico e contingente di Gesù e la sua dimensione
eristica e divina; ciò significa per Geffré che l’identificazione
cristiana di Dio con Gesù di Nazareth non è assolutamen­
te esclusiva di fronte ad altre esperienze religiose che hanno
un’altra concezione della realtà ultima. D’accordo con la no­
stra forma umana e imperfetta di conoscere, conclude Geffré,
Gesù non è la traduzione adeguata della pienezza insondabile
di Dio90.
Sorgono a questo punto delle domande: cosa resta allora
del mistero di Dio fatto uomo in Gesù Cristo? Chi è quel Gesù
che prende coscienza del fatto che il Regno escatologico si è
fatto presente in Lui ? Stiamo parlando dello stesso Gesù della
Tradizione e del dogma, il Gesù del kerigma apostolico e del
catechismo dei Padri? Si apprezza in Cl. Geffré un netto slit­
tamento dalla questione del metodo al problema dell’oggetto.
La teologia ermeneutica che ci propone riguarda un oggetto
diverso da quello della teologia «tradizionale», ma se l’oggetto

89 Cf. Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et... », 20.


90 Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et... », 20.

176
Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?

è stato modificato, allora non stiamo più parlando di teologia


cattolica.
Dalla questione del metodo, Cl. Geffré ci porta a delle con­
siderazioni riguardo l’insegnamento della teologia partendo
dall’orizzonte del pluralismo religioso. Il nuovo paradigma er­
meneutico non solo modifica il nostro modo di “far teologia”
ma anche il modo di insegnarla. Questo insegnamento va oltre
un semplice studio comparativo delle religioni, cosa in sé stessa
utile. Non si deve dimenticare che per Cl. Geffré e per i teologi
del pluralismo religioso, la teologia delle religioni non è una
sezione della scienza teologica, ma un nuovo modo di far teo­
logia in un contesto pluralista che deve riguardare tutti i trattati
classici della teologia91.
Non si tratta allora di fare dei facili confronti, ma di elabo­
rare un’autentica integration desfois, che - secondo Cl. Geffré
- rinnoverebbe il nostro insegnamento teologico sul mistero
di Dio nel dialogo con altre modi di concepire la divinità: i
monoteismi non cristiani, le tradizioni dell’Oriente e perfino le
correnti esoteriche contemporanee. Questo dialogo ci porte­
rebbe ad andare oltre le rappresentazioni antropomorfiche di
Dio, quali, ad esempio, la distinzione tra un io creato e un Tu
divino92:
La Realtà ultima - scrive Geffré - può essere il Dio personale
della tradizione biblica, l’Assoluto trascendente dell’indui­
smo, la forza nascosta delle cose che coincide con la forza
nascosta del sé, o perfino il vuoto come nel buddhismo. E
nell’ordine della fede fondamentale (basic faith) che le re­
ligioni si rassomigliano, mentre è a livello delle credenze
(beliefs) che si distinguono e si confrontano in virtù delle
divergenze fondamentali93.
91 Cf. Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et... », 23.
92 Cf. Cl. Geffré, «Le pluralisme religieux et... », 27.
93 Cl. Geffré, « Le pluralisme religieux et... », 27-28.

177
Cristianesimo e religioni

La stessa cosa accadrebbe con le altre verità di fede cristia­


ne, che dovrebbero essere riviste alla luce delle altre tradizioni
religiose, non tanto in forma comparativa, come si è già detto,
ma trovando le analogie con il modo in cui «funzionano» le
strutture proprie di ogni religione, in particolare la nozione di
liberazione e la teologia della missione.

178
CHE COSA POSSO SPERARE? CHE COSA POSSO CREDERE?

“Che cosa posso sperare” è una delle domande essenziali della


vita secondo Kant, alla quale risponde la filosofia della religio­
ne. La parabola teoretica ed esistenziale del rapporto tra cri­
stianesimo e religioni parte dalla domanda su “chi si può salva­
re al di fuori della Chiesa”, e arriva, in molti, alla convinzione
dell’equidistanza di tutte le religioni in rapporto con il mistero
divino ed il fine ultimo dell’uomo. Numerosi teologi pluralisti
sostengono che ogni esperienza religiosa è valida per il sogget­
to concreto che vi aderisce. Non si tratta di eccletticismo o in­
differentismo, bensì di riconoscere una pluralità irriducibile a
qualunque unità imposta dall’esterno, da una verità ultramon­
dana della quale una religione riterrebbe di avere il possesso.
In questo contesto, il cristiano normale, il fedele ordinario,
si domanda quale sia il valore della propria fede. In ultima ana­
lisi tutto si riduce a “racconti” che rimandano ad esperienze
che riguardano una salvezza che è più di qua - intramondana
- che di là. Il cristiano potrebbe continuare ad invocare il “suo
Gesù” a patto di non imporlo impcrialisticamente ad altri.
Che cosa posso credere? Un credere che non sia solo “senti­
re” o sperimentare ma “sapere”. Il cristiano infatti sa che Gesù
è il Verbo di Dio Incarnato che redime tutta l’umanità. Il suo
non è solo un Personal Saviour, è Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero... La fede non è solo una scommessa
soggettiva, essa è certa e trasmette delle verità che hanno un va­
lore universale anche se misterioso. Ma al giorno d’oggi, questa
pretesa cristiana urta con uno dei valori più importanti della
società pluralista e cioè, la tolleranza. Credere in Gesù Unico

179
Cristianesimo e religioni

Salvatore dell’umanità sarebbe un atto di violenza, un’indebita


imposizione della propria “credenza” ad altri.
Ma allora, è possibile o no avere la certezza della propria
fede senza che ciò implichi una violenza al diverso? Non do­
vremmo piuttosto celebrare insieme il valore del trascendente
nel mondo, senza discutere su quale sia la religione che pos­
siede la verità? Non sarebbe opportuno ridurre il problema
della salvezza a quello del benessere spirituale e materiale su
questa terra? Non dovremmo, come i fratelli del racconto di
Boccaccio che ricevono i tre anelli del loro padre, tentare di vi­
vere i valori della Trascendenza senza dare troppa importanza
al fatto che uno dei tre abbia il vero anello del Regno? Questa
sembra essere la situazione attuale del rapporto tra cristiane­
simo e religioni: dialogare sui valori del Regno, sulla giustizia,
conoscersi vicendevolmente, fare l’esperimento del pass over,
per essere nel mondo un modello di convivenza.
Il racconto dei tre figli che ricevono ciascuno un anello dal
loro padre, finisce in modo volontaristico. Tutti e tre i fratel­
li avrebbero motivi per ritenere genuino il proprio anello, ma
alla fine nessuno ha la certezza di avere la verità. Il vero anello
esiste! Ma non posso avere la certezza di essere io, cristiano, il
padrone di esso.
A questo proposito vorrei concludere con una variante
personale al racconto, con il desiderio di mostrare come sia
possibile avere la certezza della verità - una certezza basata
pur sempre sulla testimonianza e, quindi, un atto di fede -,
senza che esso implichi un atto di violenza riguardo alle altre
religioni; e che allo stesso modo ci aiuti a capire un po’ di più
sulla vera natura della fede cristiana, una fede che deve essere
proposta e mai imposta:

180
Che cosa posso sperare? Che cosa posso credere?

Come si può pretendere di avere la verità senza che ciò im­


plichi un’imposizione o una violenza sull’altro (una variante
provvisoria del racconto di Boccaccio)

Un re virtuoso e giusto aveva tre figli. Presentendo la sua


morte si domandò a quale dei tre dare l’anello del re. Questo
anello aveva dei poteri speciali, che rendevano adatto a go­
vernare con saggezza e intelligenza chi lo possedeva. Soprat­
tutto dava al re il potere di mantenere l’unità e la concordia
tra i cittadini del regno.
Il padre amava e ammirava i suoi tre figli, i quali avevano
mostrato di avere rispetto, amore verso il padre e desiderio di
rendersi utili al regno. Tutti quindi avevano dei motivi per
meritare di possedere un tanto grande dono. Uno era il suo
primogenito - amministratore delle magnifiche ricchezze del
Regno, onesto e scrupoloso. Grazie alla sua sagacia e alla sua
intraprendenza aveva aumentato enormemente le ricchezze
del re. Un altro figlio, il terzogenito, era il suo valido con­
dottiero, comandante delle sue schiere, conquistatore di terre
e difensore del regno. Grazie a lui le frontiere del regno si
erano estese oltre misura. Il secondogenito, invece, era il suo
figlio amato, che aveva rinunciato a tutto per prendersi cura
del padre. Lui era sempre stato un prudente consigliere.
Il re temeva che alla sua morte potessero sorgere delle
contese e divisioni tra i figli. Per questo motivo, saggiamente
si fece fabbricare da un esperto orefice due copie dell’anello
talmente uguale all’originale da non potersi assolutamente
scoprire quale fosse l’anello originale. Convocò poi i tre fra­
telli e consegnò a ciascuno di essi il pregiato anello insieme
con le due copie, anch’essepregiate, pur non essendo origina­
li. Poi il re morì. Gli anelli erano esattamente uguali, ma solo
uno era l’anello del re.

181
Cristianesimo e religioni

Quello che il re temeva si avverò. I fratelli, nell’incer­


tezza su quale fosse il vero anello del potere, cominciarono a
discutere tra di loro. Il fratello maggiore riteneva di essere il
legittimo erede del vero anello in quanto primogenito e uomo
difiducia del loro padre. Non aveva dubbi che il re aveva dato
a lui l’anello. Il più piccolo invece esigeva per sé l’anello in
quanto difensore del regno e il più valido conquistatore di
nuove terre. Addirittura, si diceva disposto a prendere con la
forza gli altri due anelli per essere sicuro di avere in mano il
vero anello.
Il secondo figlio però si tenne lontano dalle discordie.
Non fece valere i propri diritti in quanto figlio amatissimo
del re e suo prudente consigliere. Ben sapeva quanto suo pa­
dre teneva all’unità e alla concordia dei fratelli. A quello so­
prattutto serviva l’anello. Preferì tacere e rientrare nel suo
palazzo. Poi chiamò suo figlio primogenito e gli disse: “questo
è il vero e unico anello del potere. Lo so, perché mio padre me
lo disse prima di morire. Adesso che lo sai, figliolo, usalo solo
per cercare l’unità e mai per creare divisione”.
Il secondogenito del re infatti sapeva, anzi, era assolu­
tamente sicuro di possedere l’unico anello del potere - suo
padre non gli avrebbe mai mentito - ma non aveva nessuna
possibilità di dimostrarlo davanti ai suoifratelli. Sarebbe sta­
to solo motivo di divisione e di guerra.
Così, tra ifigli e i nipoti- e di generazione in generazione
- si trasmise questa consapevolezza di essere i veri eredi del
re saggio, ma senza poter contare su un’altra prova se non la
parola delfiglio amato del padre.

Questa versione del racconto è assolutamente di parte. Non


poteva essere altrimenti. Ha lo scopo di presentare il mistero
della fede cristiana. Noi crediamo in Gesù Unico Salvatore e

182
Che cosa posso sperare? Che cosa posso credere?

Rivelatore del Padre perché abbiamo creduto alla testimonian­


za che la Chiesa, lungo i secoli, ha reso riguardo Gesù. Nel Suo
corpo risiede la pienezza della divinità corporalmente e la sua
vera Risurrezione ne è la testimonianza.
A questo motivum credibilitatis, che è la Risurrezione, si
aggiungono altri motivi quali il martirio, i miracoli, ma soprat­
tutto il vissuto della carità e l’amore per i nemici. La ricerca
dell’unità religiosa e della concordia riguardo i valori trascen­
denti deve essere per noi cristiani un segno di credibilità della
verità, che non possediamo ma che ci possiede. In fin dei conti
ogni tentativo di dimostrare con la forza o con la pura persua­
sione umana di essere la vera religione porterà a contraddire la
stessa verità di cui siamo portatori.
In tutto questo c’è lo Spirito della Verità, che parla nel cuo­
re di ogni uomo e all’interno delle culture e delle religioni...

183
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188
SOMMARIO

A modo di giustificazione biografica...................................................... 3


Introduzione generale................................................................................ 7
Cristianesimo e religioni: attualità e contesto storico-culturale.......... 11
Motivi storico-sociali.............................................................................. 12
Il cristianesimo debole........................................................................... 14
Il sorgere delle teologie contestuali e delle cosiddette teologie
del terzo mondo.................................................................................. 16
Crisi della verità e sincretismo religioso............................................. Y1

La verità del cristianesimo........................................................................ 20


La rivelazione come punto dipartenza della riflessione teologica.... 20
La pretesa di assolutezza del cristianesimo......................................... 25
a. Radici bibliche della assolutezza della rivelazione cristiana...... 26
b. Il carattere assoluto della rivelazione di Gesù Cristo
nel Nuovo Testamento................................................................... 34
c. Il Cristianesimo primitivo e il suo rapporto con la verità........... 37
d. Rincontro del cristianesimo primitivo con la cultura greco-romana 40
e. La vera philosophia e la religio secundum rationem................ 44
f. Cristo come unico salvatore in quanto “Emmanuel":
solo Dio può varcare la trascendenza e farsi conoscere dall'uomo 48

L’autocomprensione progressiva del cristianesimo come l’unica religione


fino all’incontro con le religioni nel sec. XVI e la dottrina della fede implicita. 50
Il secolo XX e la teologia del pluralismo religioso............................... 57
Diversi approcci alla problematica del pluralismo religioso............... 60
a. Il problema della salvezza dei non cristiani.................................... 60
b. La rivelazione cristiana e il suo rapporto con altre “rivelazioni”... 61
c. Il problema storico dell’esistenza stessa delle religioni.................. 62

Storia recente della teologia e posizione del Magistero...................... 64


1.1 quattro paradigmi di Schineller..................................................... 64
Universo ecclesiocentrico, cristologia esclusiva........................... 64

189
Cristianesimo e religioni

Universo cristocentrico, cristologia inclusiva............................... 65


Universo teocentrico, cristologia normativa................................. 72
Universo teocentrico, cristologia non normativa......................... 74

Alcuni autori cattolici rilevanti della teologia delle religioni.............. 77


P<zw/ Knitter (1939)............................................................................... 11
Raimon Panikkar (1918-2010)............................................................ 81
Jacques Dupuis....................................................................................... 85
Cristo e la Chiesa............................................................................... 86
La portata della rivelazione storica di Gesù Cristo...................... 86
Sulla rivelazione................................................................................. 88
Regno di Dio, Chiesa e religioni .................................................... 90
La Chiesa: sacramento del Regno di Dio...................................... 92

La riflessione del Magistero.................................................................... 94


Prima del 'Vaticano IL........................................................................... 94
Il Concilio Vaticano II.......................................................................... 99
Lumen Gentium nA6...................................................................... 100
Ad Gentes n.3 e Sacrosanctum Concilium n.22............................ 102
Dichiarazione Nostra Aetate (1965)............................................... 104
Giovanni Paolo II e Redemptoris Missio ( 1990).......................... 106
Gesù Cristo, unico salvatore.......................................................... 108
La Chiesa è segno e strumento di salvezza................................... 109
Il Regno di Dio................................................................................. 110
Lo Spirito Santo, protagonista della missione.............................. 112
Altri interventi di Giovanni Paolo II.................................................. 113
Catechesi di Giovanni Paolo II del 9 settembre 1998................. 113
Catechesi di Giovanni Paolo II del 29 novembre 2000............... 117
Dominus lesus (6 agosto 2000)........................................................ 120
Pienezza e definitività della rivelazione di Gesù Cristo............... 122
Il Logos incarnato e lo Spirito Santo nell’opera di salvezza....... 122
Unicità e universalità del mistero salvifico di Gesù Cristo.......... 124
Unicità e unità della Chiesa............................................................ 124
Chiesa, Regno di Dio e Regno di Cristo.............................................. 125
La Chiesa e le religioni in rapporto con la salvezza............................ 125

190
Sommario

Extra Ecclesiam nulla salus...................................................................... 127


Contesto storico dell’assioma ecclesiologico fondamentale................ 128
Un esempio di progresso nella comprensione della rivelazione.... 128
San Cipriano di Cartagine e sant’Agostino.......................................... 129
Significato dell’assioma ecclesiologico fondamentale......................... 130
Sine Ecclesia nulla salus: La proposta di Giovanni Paolo II............ 131
Il problema............................................................................................. 132
Sine Ecclesia nulla salus...................................................................... 133

Le sfide della teologia cattolica di fronte alle religioni non cristiane


(A modo di sintesi).................................................................................... 135
Il problema della verità......................................................................... 135
La rivelazione cristiana e le “rivelazioni” non cristiane..................... 136
Le religioni nel disegno di salvezza...................................................... 137
Il problema cristologico e pneumatologico........................................... 138
La Chiesa e il suo rapporto con la salvezza......................................... 140

Quale metodo per la teologia del pluralismo religioso?....................... 141


Paul Knitter e la visione processuale-relazionale della realtà............ 141
La proposta di P. Knitter: rinnovo della teologia, passaggio ad una
teologia globale.................................................................................. 144
Come applicare questo “modello di teologia globale”.
Il caso della teologia sistematica globale......................................... 145
Il passaggio ad una teologia ermeneutica e contestuale:]. Dupuis
e Cl. Geffré.......................................................................................... 146
La teologia del pluralismo religioso: orizzonte ermeneutico
della teologia del secolo XXI............................................................. 150
Il metodo teologico................................................................................ 152
Il metodo teologico secondo J. Dupuis................................................. 159
La proposta metodologica di Claude Geffré....................................... 168

Che cosa posso sperare? Che cosa posso credere?............................... 179

Bibliografia.................................................................................................. 184

191
Marcelo Bravo Pereira (Santiago del Cile 1970)
dal 2011 al 2016 è stato direttore dell'Istituto Su­
periore di Scienze Religiose collegato all'Ateneo
Pontificio Regina Apostolorwn. Laureato in filo­
sofia teoretica e Dottore in teologia dogmatica,
è professore aggregato di Teologia alla facoltà di
teologia del medesimo Ateneo. Ha pubblicato
Las rcligioncs 110 cristianws a la luz de la rcvela-
ciÒ11, APRA, Roma 201O, Pensiero filosofico su
Dio e la religione, APRA, Roma 2008 (2a ed.), La
ricerca di quello splendore, If Press, Roma 2011 e
Una libertà per amare, APRA 2017. Ha collabo­
rato con le riviste Ecclesia e Alpha Omega con
diversi articoli su temi di filosofia e teologia.

Finito di stampare nel mese di ottobre 2018


da IF Press srl (Roma, Jtaly)

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