Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
30 visualizzazioni77 pagine

Griffin - Modernismo e Fascismo (Estratti) - 2

Il libro esplora il legame tra modernismo e fascismo, presentando il concetto di 'modernismo fascista' come un paradosso che riflette l'aspirazione a una rinascita culturale e politica sotto i regimi di Mussolini e Hitler. L'autore sostiene che il fascismo non è intrinsecamente antimoderno, ma rappresenta un'alternativa al modernismo, cercando di trasformare la società attraverso una nuova ideologia. Attraverso un'analisi approfondita, il testo mira a ridefinire il modernismo e il fascismo, offrendo spunti per future ricerche su questi temi complessi.

Caricato da

paolocolty
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
30 visualizzazioni77 pagine

Griffin - Modernismo e Fascismo (Estratti) - 2

Il libro esplora il legame tra modernismo e fascismo, presentando il concetto di 'modernismo fascista' come un paradosso che riflette l'aspirazione a una rinascita culturale e politica sotto i regimi di Mussolini e Hitler. L'autore sostiene che il fascismo non è intrinsecamente antimoderno, ma rappresenta un'alternativa al modernismo, cercando di trasformare la società attraverso una nuova ideologia. Attraverso un'analisi approfondita, il testo mira a ridefinire il modernismo e il fascismo, offrendo spunti per future ricerche su questi temi complessi.

Caricato da

paolocolty
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 77

Roger GriYn

Modernismo e fascismo Il
progetto di rinascita sotto Mussolini e

Hitler Tomo I

Traduzione di
Emanuela Mascolo
Indice

11 Nota per il lettore italiano

13 Ringraziamenti

15 Introduzione

Parte I
Il senso di un inizio nel Modernismo

35 Capitolo I
I paradossi del “Modernismo fascista”
1.1. La rivolta contro il mondo moderno, 36 – 1.2.
Fascismo e modernismo: “aporia” o paradosso?, 40 –
1.3. Strategie per risolvere le aporie del modernismo
fascista, 43 – 1.4. Il complicato “antimodernismo” del
nazismo, 49 – 1.5. Un’“interpretazione sinottica” del
modernismo fascista?, 59 – 1.6. L’eVetto babele nel
mondo accademico, 62 – 1.7. La crisi metodologica
degli studi umanistici, 64 – 1.8. “Gli studi umanistici
riflessivi” e l’itinerario di questo libro, 67 – 1.9. Julius
Evola rivisitato, 71.

77 CapitoloII
Le due modalità del modernismo
2.1. L’aspetto “dialogico” del modernismo, 77 – 2.2. Il
malesse re della modernità, 80 – 2.3. Modernità come
“decadenza”, 89 – 2.4. Un tipo ideale di modernismo,
97 – 2.5. La rivolta mo dernista di Nietzsche, 103 –
2.6. Il modernismo epifanico, 108 – 2.7. Le membrane
porose dei modernismi, 115 – 2.8. Esplorando il
modernismo del fascismo, 118.

125 Capitolo III


Un’archeologia del modernismo
3.1. I rituali della modernità, 126 – 3.2. Una teoria
“primordialista” del modernismo, 129 – 3.3. La
necessità di una “sacra volta”, 132 –

7
8 Indice

3.4. L’erosione del nostro “cielo protettivo”, 135 – 3.5.


La ricerca della trascendenza, 141 – 3.6. Il terrore del
cronos, 144 – 3.7. Terror Management Theory (TMT),
151 – 3.8. La temporalizzazione rivisitata, 156 – 3.9.
La nascita del modernismo estetico, 160 – 3.10. Tre
casi studio nel modernismo culturale, 163 – 3.11. La
dinamica primordiale dei movimenti modernisti, 169.

175 Capitolo IV
Una definizione primordialista del modernismo
4.1. Il mito della transizione, 175 – 4.2. Il rito di
passaggio, 179 – 4.3. Il movimento di rivitalizzazione,
182 – 4.4. Il modernismo programmatico rivisitato, 187
– 4.5. La modernità e il liminoi de, 191 – 4.6. Una
definizione primordialista del modernismo, 199 – 4.7.
Al di là della “decadenza dei valori”, 205 – 4.8. La
ricerca della trascendenza nell’arte moderna, 211 –
4.9. Un modernista esamina il modernismo, 220.

225 Capitolo V
Il modernismo sociale in pace e in guerra
(1880–1918)
5.1. Maestri del passato, 225 – 5.2. Il modernismo
sociale occul tista, 229 – 5.3. Il “cultic milieu” della
modernità, 233 – 5.4. Il modernismo sociale di destra,
237 – 5.5. La politica moderni sta del corpo, 244 –
5.6. “Narrative di cambiamento” scienti ste, 253 – 5.7.
Ombre di avvertimento, 262 – 5.8. 1914: l’inizio di un
inizio, 266.

277 Capitolo VI
L’ascesa del modernismo politico
(1848–1945)
6.1. Creatio ex profundis, 277 – 6.2. L’homo faber
come moderni sta prometeico, 283 – 6.3. Il socialismo
dionisiaco, 288 – 6.4. Il marxismo come modernismo,
296 – 6.5. Il modernismo del nazionalismo organico,
302 – 6.6. La reazione del futuro, 307 – 6.7. Il
fascismo come modernismo politico, 309 – 6.8. I
regimi fascisti come “stati giardinieri”, 316 – 6.9. Il
modernismo politico e lo sguardo della Gorgone, 320.
Introduzione

Aufbruch

« Dunque sai quale è la tua meta », osservò. « Sì »,


risposi. « Te l’ho detto. Via–di–qua; ecco la mia meta ». «
Non hai provviste con te », disse. « Non ne ho bisogno »,
risposi. « Il viaggio è così lungo che dovrò morir di fame
se non trovo nulla per via. Nessuna provvista mi può
salvare. Per fortuna è un viaggio veramente straordinario
». Franz Kafka, Der Aufbruch [Un nuovo inizio] (1922)1

Il senso della fine [. . .] non è diminuito; è una particolarità


di quello che chiamiamo modernismo, così come
l’utopismo apocalittico è una particolarità della rivoluzione
politica.
Frank Kermode, Il senso della fine (1967)2

Domani è diventato oggi: la sensazione che il mondo stia


finendo ha aperto la strada al senso di un nuovo inizio.
Ora l’obiettivo finale si erge chiaramente nel campo visivo
che si sta aprendo davanti a noi
1. P. Raabe (a cura di), Franz Kafka. Sämtliche Erzählungen,
Fischer, Frankfurt 1975, p. 321. Questa storia, parte del suo Nachlass,
le opere pubblicate postume, in tedesco è nota con il titolo Der
Aufbruch e solitamente in inglese è tradotta come My Destination, “La
mia meta” (a volte come Sudden Departure, “Partenza improvvisa”).
Tuttavia, l’idoneità del titolo che propongo qui è avvalorata da quanto
suggerisce un sito di traduzioni a proposito dell’espressione
Begeisterung für Aufbruch che, in contesti manageriali, viene tradotta
come “entusiasmo per dei nuovi inizi”: il traduttore, Mats Wiman,
aVerma che « Aufbruch non si riferisce a cose specifiche come
l’innovazione, la riforma o la riorganizzazione: è una questione di
attitudine mentale o di tratti caratteriali, ovvero essere
favorevole/positivo/entusiasta nell’iniziare in modo nuovo o
nell’accettare nuove sfide». www.proz.com (consultato il 11/01/06).
Enfasi mia. [N.d.T.: in italiano il titolo è La partenza e appare in F.
Kafka, Racconti, A. Mondadori, Milano 1990, p. 454]
2. F. Kermode, The Sense of an Ending. Studies in the Theory of
Fiction, Oxford University Press, New York 1967, trad. it. Il senso della
fine: studi sulla teoria del romanzo,a cura di R. Zuppet, G.
Montefoschi, Rizzoli, Milano 1972, p. 87.

13
14 Introduzione

e tutta la fede nei miracoli adesso viene guidata dalla


trasformazione attiva del presente.
Julius Petersen, La brama del Terzo Reich (1934)3

Nuovi orizzonti

Questo libro è un tentativo di esplorare il profondo


legame esistente tra il modernismo e il fascismo.
Questi due concetti sono ancora ampiamente
considerati antitetici e ossimorici se combinati
nell’espressione “modernismo fascista”, specialmen
te nel contesto dei regimi di Mussolini e Hitler.
Tuttavia, la seconda parte di questo libro li
presenterà come esempi note voli dello “stato
modernista”. Il leitmotif del libro è il fatto che
l’elemento chiave della genesi, della psicologia,
dell’ideologia, delle politiche e della prassi del
fascismo è stato il “senso di un inizio”, il sentire di
trovarsi sulla soglia di un nuovo mondo. È uno stato
di aspettativa inebriante, che è la gemella dialettica
dell’ossessione per il finire di un’epoca esplorata
quarant’an ni fa dallo storico letterario inglese Frank
Kermode nel testo fondamentale sul modernismo, Il
senso della fine. Mentre la sua attenzione era
concentrata sul significato del “tempo apocalit tico”
come topos centrale dell’immaginazione modernista,
il tema di questo libro è il modo in cui la convinzione
per cui la trascendenza può essere raggiunta tramite
una trasformazione culturale, sociale e politica lascia
il suo marchio sull’ideologia, le politiche e la pratica
del Fascismo e del Nazismo.
L’origine del progetto si trova in un passaggio
scritto una quindicina di anni fa in The Nature of
Fascism (“La natura del Fascismo”), in cui ho offerto
agli storici e agli scienziati politici

3. J. Petersen, Die Sehnsucht nach dem Dritten Reich in


deutscher Sage und Di chtung, Metzlersche Verlagsbuchhandlung,
Stuttgart 1934, p. 1., cit. in J. Hermand, Old Dreams of a New Reich:
Volkish Utopias and National Socialism, Indiana University Press,
Bloomington 1992, p. 163. Il libro di Hermand è fondamentale per
capire la potente dimensione arcaicizzante e mitica dell’ideologia
nazista, molto spesso respinta in quanto “nostalgica” o antimoderna,
ma che, come si discuterà, è una componente tanto futurista quanto
integrale del modernismo nazista.
Introduzione 15

una definizione più utile di quelle attualmente


disponibili per indagare questioni quali il legame del
Fascismo italiano con la Spagna di Franco, la
Germania di Hitler, la Guardia di Ferro rumena o le
prospettive del ritorno post–bellico del fascismo con
vecchie o nuove forme. In una sezione ho espresso
chia ramente quali sono le implicazioni del vedere
nel mito della rinascita (il mito della “palingenesi”) non
solo la componente chiave per definire il fascismo,
ma l’elemento che, nelle condi zioni estreme
dell’Europa fra le due guerre, poteva dotare le
varianti del nazionalismo e del razzismo di uno
straordinario potere espressivo e distruttivo. Si
afferma che, lungi dall’esse re intrinsecamente
antimoderno, il fascismo rigetta solo « gli elementi
presumibilmente degenerativi dell’età moderna » e
che la sua « spinta verso un nuovo tipo di società »
significa che « esso rappresenta un modernismo
alternativo e non un suo rifiuto »4.
Per smontare questa asserzione criptica, il mio
piano origina le di creare un piccolo volume sulla
cultura fascista, analizzando i movimenti “di
successo” e falliti, tanto interbellici che post bellici
(come Terza Posizione e la Nuova Destra europea),
si è rivelato un’utopia. È stato, invece, necessario
dedicare una considerevole attenzione alla
riconcettualizzazione del “mo dernismo” (Prima
parte) e limitare il mio complesso impegno verso il
conseguente tipo ideale dei regimi di Mussolini e Hi
tler (Seconda parte), entrambi scelti per le profonde
diVerenze nella loro concezione di una nuova cultura
nazionale e perché unici nell’oVrire esempi non solo
delle aspirazioni utopiche del fascismo come
progetto rivoluzionario ma anche della sua prassi
come regime. L’obiettivo è quello di gettare nuova
luce non solo sul fascismo, ma anche sulla natura
della modernità e del modernismo, in modo da
fornire le basi per un lavoro futuro, soprattutto da
parte di altri specialisti il cui lavoro incide su alcuni dei
tanti aspetti di questo vasto argomento che qui sono
stati necessariamente omessi o trascurati.

4. R. Griffin, The Nature of Fascism, Pinter, London 1991, p. 47.


Enfasi mia.
16 Introduzione
In maniera abbastanza assurda, mi è guizzata in
mente un’immagine “kitsch” il giorno in cui, dopo
mesi di pianifica zione, richieste di concessioni e
proposte abbozzate, mi sono finalmente imbarcato
nella “realizzazione” di questa impresa attraverso la
lanterna magica dello schermo del computer. Si
trattava di Leonardo Di Caprio e Kate Winslet
appollaiati in maniera precaria sulla prua del Titanic.
Stavano in cima a una struttura alta quanto un
grattacielo, con una potente brezza che gli arruVava i
capelli, entrambi rapiti dalla sciocca sensazio ne di
attraversare faticosamente una sottile linea bianca
nella vastità grigio–blu dell’Atlantico. Siamo portati a
credere che sentano con ogni fibra del loro essere
che stanno vivendo nell’a vanguardia di tempo e
spazio, arrendendosi alla sensazione in parte
metafisica, in parte erotica di assorbire con ogni
boccata d’aria un assaggio delle libertà e delle
possibilità illimitate e del divenire padroni del loro
destino comune.
I futuri amanti si trovano sulla soglia di un
inimmaginabile Tempo Nuovo, correndo a capofitto
verso il Nuovo Mondo, un’America che è più mito
utopistico che realtà geografica. L’in tensità emotiva
della scena, evidenziata dalla canzone d’amore
irlandese strappalacrime che accompagna i titoli di
coda, deriva dal divario tragico–ironico tra il “campo
visivo” della giovane coppia, esaltante ma
drasticamente scorciato, e la consapevo lezza dello
spettatore che un destino orrendo li attende proprio
oltre l’orizzonte. Eppure, ci sono altri modi per
interpretare questo evento.
Quando la vera nave aVondò il 15 aprile 1912 per
i cristiani evangelici fu una reazione impulsiva
interpretare il disastro come un segno dell’arroganza
dell’uomo moderno e alcuni artisti dell’epoca
istintivamente gli diedero un valore più apo calittico.
Anche un secolo dopo si è ancora tentati di vedere
l’aVondamento tanto come un presagio
dell’imminente destino della civiltà occidentale,
quanto come un incauto viaggio inau gurale troppo
veloce verso due decenni di guerre catastrofiche,
dittature e uccisioni di massa, che hanno mostrato in
maniera così spietata il mito del progresso illimitato
sul quale veniva
Introduzione 17

costruita la civiltà liberal–capitalistico–imperialistica


durante la belle époque5. Senza alcun dubbio, altri
strati cosmici del simbo lismo contribuiscono al
fascino perenne che emana dal destino del
transatlantico. Nel contesto attuale, però, il fatto che
la mia psiche abbia strappato questa scena da un
film che trasforma sfacciatamente un disastro storico
in un melodramma holly woodiano suggerisce due
letture alternative, entrambe rilevanti per i prossimi
dodici capitoli.
La prima potrebbe essere l’ammissione
subliminale per cui stabilire di ripensare al legame tra
modernismo e fascismo è “un’avventura ad alto
rischio”, non ultimo perché comporta la costruzione di
qualcosa che un tempo era un prodotto standard della
ricerca accademica, ma che è ora guardato con
notevole sospetto, ovvero una “grande narrazione” di
un argomento va sto e intrinsecamente multivalente.
Ritornerò su questo aspetto del libro a breve. Ciò che
più conta è che il momento estatico sulla prua del
Titanic può essere visto come un tableau vivant per il
modo particolare in cui gli esseri umani possono
vivere il tempo “in maniera mitica” in quanto ricco di
esaltante poten ziale per il rinnovo e la purificazione.
Oltre al senso personale del “salpare” che ha
caratterizzato la composizione di questa prefazione,
un importante significato sottinteso di questo stu dio
è l’impatto catastrofico che questa esperienza di
tempo può avere sulla storia moderna una volta che
essa viene traslata dal campo dei legami personali e
della poesia alle aspirazioni politiche e sociali per
costruire una nuova società.
È questo stato d’animo che ha aiutato a
convincere i rivo luzionari dell’Assemblea Nazionale
francese che non stavano solo cambiando il regime
politico e sociale della Francia, ma stavano
rigenerando la storia, creando un nuovo tipo di “uo

5. Il significato metaforico dell’aVondamento del Titanic e


dell’enorme impatto che ebbe sulle persone di allora in quanto simbolo
della fragilità del “progresso” occidentale viene citato molto spesso nel
libro di S. Kern, The Culture of Time and Space 1880–1918, Harvard
University Press, Cambridge (MA) 2003. Com’è noto, Bob Dylan
utilizzò l’immagine del Titanic come metafora della civiltà moderna
nella canzone Desolation Row nell’album Highway 61 Revisited (1965).
18 Introduzione

mo” e facendo ripartire nuovamente il tempo6. È la


condizione mentale che ha portato Friedrich
Nietzsche a credere che i suoi libri erano “dinamite”
intellettuale, creando un varco nei muri di roccia
oppressivi che intrappolavano i suoi contemporanei in
quella fase dell’evoluzione culturale e aprendo così
un portale in un tipo completamente nuovo di storia
umana, basato su una “trasvalutazione di tutti i
valori”7. È un momento di maggiore consapevolezza
catturata nel Manifesto del Futurismo, quando Filippo
Marinetti, dieci anni prima di diventare un membro del
primo Fascio, aVermava di stare “sul promontorio
estremo dei secoli” e annunciava la morte di “Tempo
e Spazio”. Uno dei simboli poetici che, infatti, oVriva
per la nuova consapevolezza erano « i piroscafi
avventurosi che fiutano l’orizzonte »8.
In questo libro si sosterrà che — almeno per gli
attivisti più impegnati e idealisti — nel periodo
interbellico il fascismo fu il veicolo per la
realizzazione del senso inebriante, non dello svol
gersi della storia guardandola impotenti, ma del “fare
la storia” veramente, davanti a un nuovo orizzonte e
a un nuovo cielo. Si gnificò l’evasione dell’irretimento
delle parole e dei pensieri nelle azioni e l’utilizzo del
potere della creatività umana non per pro durre arte
fine a se stessa, ma per creare una cultura nuova in
un atto totale di creazione, di poesis. Ai suoi credenti
più appassionati il fascismo promise di marcare
letteralmente un’epoca.

6. Questo aspetto “mitico” della Rivoluzione francese è stato


brillantemente esaminato in questi libri: L. Hunt, Politics, Culture, and
Class in the French Revolution, California University Press, Berkeley
1984; M. Ozouf, L’Homme régénéré. Essai sur la Révolution française,
Gallimard, Paris 1989.
7. Il contesto di questa autocaratterizzazione è il seguente: «
Conosco la mia sorte. Un giorno al mio nome sarà legato il ricordo di
qualcosa di gigantesco — di una crisi come mai ce ne furono sulla
terra, del più profondo conflitto di coscienza, di una decisione evocata
contro tutto ciò che fino ad allora si era creduto, voluto, santificato. Io
non sono un uomo, io sono dinamite » (F. Nietzsche, Ecce Homo,
“Why I am Destiny, EcceHomo, Vintage, New York 1967, p. 326, trad. it.
Come si diventa ciò che si è. Ecce homo e altri scritti autobiografici, a
cura di C. Buttazzi, Feltrinelli, Milano 2014, p. 255).
8. F. Marinetti, “The Founding Manifesto of Futurism”, in U.
Apollonio, Futurist Manifestos, Thames and Hudson, London 1973,
trad. it. “Manifesto del Futurismo” in Futurismo, a cura di G. Mazzotta,
Milano 1970, p. 48.
Introduzione 19

In conclusione, i due movimenti che riuscirono a


mettersi al comando di un potere politico non
riuscirono, in maniera catastrofica, a realizzare la
trasformazione permanente della società che
desideravano, figurarsi portare una profonda tra
sformazione nella Storia stessa. La Terza Roma di
Mussolini durò solo vent’anni in confronto ai 500 anni
dell’Impero Ro mano, mentre il Reich che Hitler
voleva che durasse per un intero millennio andò in
rovina dopo appena dodici anni. L’As se che crearono
portò in maniera diretta o indiretta alla morte di milioni
di persone, lasciando alla fine le loro nazioni sotto le
macerie di promesse infrante e sogni distrutti.
Eppure, le loro ambizioni, i loro insuccessi e i loro
crimini contro l’uma nità restano incomprensibili se
non viene dato il giusto peso al ruolo giocato nel
mobilitare le truppe, sia militari che civili, causando
consapevolmente un’esperienza rivoluzionaria al li
mite della storia che avrebbe dinamicamente
cambiato il suo corso, liberato dai vincoli del tempo
“normale” e della moralità “convenzionale”.

La ricerca di una “visione d’insieme più ampia”

Come suggeriscono le allusioni a Nietzsche e


Marinetti, la premessa di questa indagine è che le
“visioni del mondo” (Welt anschauung) che
condizionarono le politiche delle due diverse dittature
fasciste costituite nell’Europa interbellica furono en
trambe profondamente legate al modernismo
intellettuale e artistico, ma in modi che sfidavano le
equazioni semplicistiche o le formule riduzionistiche.
Nonostante più di mezzo seco lo di duraturi sforzi
accademici e innumerevoli pubblicazioni che hanno
una rilevanza diretta su questo argomento, molte
questioni basilari riguardanti come gli stati creati da
Mussolini e Hitler “si adattassero” alla modernità non
sono ancora state risolte, con grande soddisfazione
da parte di molti esperti del campo.
20 Introduzione

Lo scopo di questo libro è quello di fornire una


nuova strut tura analitica entro cui risolverli in
maniera soddisfacente. Ep pure, ironicamente, uno
dei fattori che minacciano la credibilità di questo
tentativo di ottenere una stretta sinottica sull’argo
mento è che il tipo di “visione d’insieme” richiesto è
per lo più diventato un tabù nei circoli accademici, e
in alcuni am bienti è associato proprio al
“totalitarismo” che i vari regimi fascisti hanno
rappresentato nel loro sforzo di rifare la società e la
storia a loro immagine9. Per quanto tale associazione
possa essere dubbia, rimane il paradosso per cui dal
1945 la sconcer tante proliferazione di erudizione, di
bibliografie secondarie e di prospettive teoretiche su
ogni aspetto possibile della realtà sociale, passata e
presente, in ogni branca degli studi umanistici non ha
portato ad alcuna spiegazione esaustiva. Al
contrario, in ogni disciplina ha iniziato a prevalere
uno stato di crescente imbarazzo per l’impossibilità di
realizzare delle interpretazioni definitive. Tutto questo,
insieme alla “svolta culturale” innescata dal
postmodernismo e dal poststrutturalismo, ha dato
origine alla delegittimazione di tutti i resoconti della
realtà oVerti dalle prime generazioni di esperti che
implicano il riduzionismo, l’essenzialismo o le
“narrative totalizzanti”. Di conseguenza, persino le
opere che ostentano un profondo sapere nel loro
sforzo di dare una panoramica di un argomento
vasto, come Le origini del totalitarismo di Hannah
Arendt (pubblicato per la prima volta nel 1951) o La
società aperta e i suoi nemici di Karl Popper (1945),
ora sembrano appartenere a un’epoca diversa.
In questo contesto, questa missione di ripensare
le dina miche sociopsicologiche e gli scopi del
“modernismo”, un termine ampiamente contestato, e
poi di esplorare la rilevanza della sua ridefinizione
per i due regimi, di cui si suppone che la prassi —
sebbene anche questa supposizione sia controver
sa nel caso del Terzo Reich — sia di incarnare la
visione del
9. Questa associazione viene fatta, in particolare, dal teorico
postmodernista Jean–François Lyotard. Si veda R. Dasenbrock,
Slouching toward Berlin: Life in a Postfascist Culture, in R. Golsan (a
cura di), Fascism’s Return, University of Nebraska Press, Lincoln 1998,
pp. 247–50.
Introduzione 21

mondo del “fascismo”, altro termine molto


problematico, va contro il buon senso dello Zeitgeist
accademico prevalente. Se non è proprio incauta, è
sicuramente ciò che in tedesco si defi nisce come
unzeitgemäß — “prematura” o “non moderna” —
termine usato da Nietzsche per descrivere una serie
di saggi che, come lui sapeva, discordavano con lo
spirito dell’epoca10.
Ciò nonostante, chiariamo subito che questo
lavoro, sebbe ne sia indubbiamente speculativo nel
suo sforzo di sincretizzare varie aree degli studi
umanistici in una struttura interpretativa
omnicomprensiva, non ha nessuna delle pretese
totalizzanti della “meta–narrativa”. L’interpretazione
omnicomprensiva che oVre attira l’attenzione sulla
propria costruzione e sulla natura contestata dei suoi
fondamenti teorici, come un palaz zo modernista
espone di proposito gli ascensori, le strutture di
supporto e i tubi che forniscono la corrente e
l’impianto idraulico. Si basa sul presupposto per cui
non solo negli studi umanistici c’è spazio sia per gli
“scaricatori di porto” che per gli “spaccalegna”11, ma
anche che sono tutti indispensabili per ogni campo
della ricerca specialista. È con questo spirito che il
pioniere della ricostruzione della vita quotidiana
durante il Terzo Reich, Detlef Peukert, scrisse: «
L’esperienza quotidiana non corrisponde in modo
esatto alle grandi ipotesi analitiche o sistematiche.
Allo stesso tempo, se l’esperienza deve essere
capita del tutto, non può neanche fare a meno
dell’interpretazione sinottica »12. Mi sembra proprio
evidente che la costante dia lettica tra i tentativi di
sintetizzare la conoscenza “in maniera

10. F. Nietzsche, Unzeitgemäße Betrachtungen, pubblicato come


Unmodern Obser vations, Yale University Press, New Haven (CT) 1990,
trad. it. Considerazioni inattuali, Einaudi, Torino 1981.
11. Jack Hexter rese popolare questa distinzione nella sua critica a
Raymond Carr in On Historians, Harvard University Press, Cambridge
(MA) 1979, pp. 241–2. Nella nota 2 a piè di pagina si cita l’eccellente
introduzione di R. Etlin a Art, Culture, and Media under the Third Reich,
University of Chicago Press, Chicago 2002, che presenta il suo saggio
sulla “logica” del pensiero nazista come un atto deliberato di “ottusità”.
12. D. Peukert, Inside Nazi Germany, Penguin, Harmondsworth
1982, p. 245. Enfasi mia.
22 Introduzione

nomotetica” nella visione d’insieme — sebbene non


sia unica — identificando modelli ampi nel fenomeno
e la ricerca che si concentra sulla comprensione
degli aspetti particolari della realtà “in maniera
idiografica”, garantisca il progresso verso una
conoscenza e una comprensione maggiori.

Il fascismo come prodotto del modernismo

È quindi in una maniera antitotalizzante e


antiessenzialista della narrazione accademica che
questo libro esplora l’“interpretazio ne sinottica” del
legame intimo ma complesso tra il moderni smo e i
regimi di Mussolini e di Hitler. Non sarà espressa
come “un’ipotesi”, che implica criteri di testabilità e
falsificazione, poiché, come fa notare Karl Popper,
“gli approcci storici” o “i punti di vista” non possono
essere testati. Egli aggiunge in ma niera misurata
che « non possono essere confutati, e pertanto delle
conferme apparenti non hanno valore ». Per la “tesi”
che caratterizza questo libro adotteremo il termine
che lo studioso propone per « un punto di vista
selettivo o fulcro d’interes se storico, [se] non può
essere formulato come una ipotesi sperimentale »:
vale a dire “un’interpretazione storica”13.
Al centro della nostra interpretazione storica
sinottica giace la proposizione per cui, non solo l’Italia
fascista e la Germania nazista erano entrambe
manifestazioni concrete di un’ideolo gia politica
generica e di una prassi che è stata denominata
“fascismo”, ma il fascismo stesso può essere
considerato una variante politica del modernismo.
Questo strano genere di progetto rivoluzionario per
la trasformazione della società, si sosterrà, poteva
emergere solo nei primi decenni del XX secolo, in una
società pervasa di meta–narrative moderniste di
rinnovo culturale che davano forma a una moltitudine
di attività, inizia

13. K. Popper, The Poverty of Historicism (1957), Routledge and


Kegan Paul, London 1974, trad. it. Miseria dello storicismo, a cura di
C. Montaleone, Feltrinelli, Milano 2005, p. 133.
Introduzione 23

tive e movimenti “sul campo”. Nelle sue varie


trasformazioni il fascismo si assunse la
responsabilità non solo di cambiare il sistema dello
stato, ma anche di purificare una civiltà di de
cadenza e di promuovere l’emergere di una nuova
razza di essere umani definiti in termini non di
categorie universali ma di categorie nazionali e
razziali essenzialmente fittizie. I suoi at tivisti
iniziarono il loro compito nello spirito iconoclastico
della “distruzione creativa” legittimata non dalla
volontà divina, dalla ragione, dalle leggi della natura o
dalla teoria socio–economica, ma dalla credenza per
cui la storia stessa si trovava a un punto di svolta e
poteva essere lanciata verso un nuovo corso attraver
so l’intervento umano che avrebbe salvato la nazione
e salvato l’Occidente dal collasso imminente.
Mentre il torpore notturno della ragione produce
solo mo stri immaginari, le azioni estreme che i
“sognatori del giorno” del fascismo erano preparati a
compiere per realizzare le loro fantasie di una nuova
epoca trovarono espressione in edifici di pietra, in
invenzioni tecnologiche in acciaio e nella carne e
nella mente dei futuri “nuovi uomini” pronti a esigere
il “sa crificio” — specialmente il sacrificio dell’“altro”
— richiesto dal processo di rigenerazione. In questo
contesto la poesia di uno degli artisti esposti alla
tempesta della modernità, William Butler Yeats,
acquisisce una qualità chiaroveggente. Composta
quando si sentiva contemporaneamente attirato e
disgustato dal desiderio apocalittico di una “nuova
alba” che si diVondeva attraverso la società europea
all’indomani della Prima guerra mondiale, una sua
sezione in particolare lascia presagire gli orrori della
seconda. Avendo, come è noto, evocato l’anarchia
della storia contemporanea dove “le cose cadono a
pezzi” e “il centro non riesce a tener duro”, l’autore
dà sfogo alla sua speranza mescolata a paura, molto
caratteristica dell’imaginaire modernista:

Surely some revelation is at hand;


Surely the Second Coming is at hand.
The Second Coming! Hardly are those words out
24 Introduzione

When a vast image out of the Spiritus Mundi


Troubles my sight: somewhere in sands of the desert
A shape with lion body and the head of a man,
A gaze blank and pitiless as the sun,
Is moving its slow thighs, while all around it
Reel shadows of the indignant desert birds.
The darkness drops again; but now I know
That twenty centuries of stony sleep
Were vexed to nightmare by a rocking cradle,
And what rough beast, its hour come round at last,
Slouches towards Bethlehem to be born?14

Questi versi hanno una certa rilevanza


nell’importante di stinzione fatta da Frank Kermode in
Il senso della fine. Egli sot tolinea la diVerenza tra le
finzioni poetiche, usate dagli artisti per illuminare o
articolare aspetti elusivi della realtà contem poranea,
e i miti politicizzati, che vengono incorporati nella
motivazione ideologica per tentare di progettare delle
trasfor mazioni radicali di quella realtà. Per illustrare
questa distinzione cita Yeats, la mole della cui poesia
visionaria è confinata “al si curo” nel regno della
finzione apocalittica; tuttavia, quando l’animale
politico che era in lui sopraVaceva l’artista, sgusciava
oltre i confini invisibili nel regno del mito politico, o
piuttosto metapolitico. Questo ci aiuta a spiegare
perché il pioniere del Ritorno Celtico « si entusiasmò
anche per il fascismo italiano e appoggiò il
movimento fascista irlandese »: le Blueshirts. Si
potrebbe aggiungere come prova della sua apertura
sia verso le finzioni rese scientifiche sia verso i miti
politicizzati che nel 1937 si unì alla British Eugenics
Society, un fatto di notevole impor

14. W.B. Yeats, The Second Coming (1921) in The Collected


Poems of W. B. Yeats, Macmillan, London 1982, p. 211. (Di certo è
vicina una rivelazione;/ Di certo il Secondo Avvento si avvicina./ Il
Secondo Avvento! Riesco a pronunciare a malapena queste parole/
Quando dallo Spiritus Mundi sorge un’enorme immagine/ Che turba la
vista: da qualche parte nella sabbia del deserto/ Un essere con il corpo
di leone e la testa di un uomo,/ Con uno sguardo vacuo e spietato
come il sole,/ muove lentamente le cosce, mentre tutt’intorno/ Vorticano
le ombre degli adirati uccelli del deserto./ Di nuovo cala il buio, ma ora
so/ che venti secoli di un sonno di pietra/ Vennero tormentati come in un
incubo da una culla dondolante./ E quale bestia rude, giunto infine il suo
tempo,/ striscia verso Betlemme per nascere?).
Introduzione 25
tanza alla luce della concezione del modernismo
esplorata in questo libro.
Kermode definisce Yeats un ottimo esempio « di
quel rap porto tra la prima letteratura modernista e
autoritarismo che molto spesso ci si limita soltanto a
notare senza spiegare: le teorie totalitarie della
forma, incontrate o riflesse dal totalitarismo politico
»15. Quarant’anni dopo, la correlazione potrà essere
stata notata in maniera più ampia dal punto di vista
accademico, ma sia le spiegazioni che,
principalmente, le strutture interpre tative sinottiche
necessarie a dar loro un senso scarseggiano ancora.
Lo scopo di questo libro è quello di aiutare a rettificare
la situazione. Si cerca di chiarire il rapporto tra il
modernismo poetico e quello politico, ai quali
alludeva Kermode nel 1965, ma che, in quanto
professore di inglese, non riteneva di dover esplorare
molto a fondo.
Al contrario, la mia spedizione nel campo
dell’“apocalisse moderno” intende deliberatamente
scavare la relazione esisten te a un livello ideologico
e psicologico tra due aree di realtà che per lungo
tempo sono state aVrontate da dipartimenti di stinti
degli studi umanistici. Da un lato, il ruolo giocato nel
modernismo letterario e culturale dalle finzioni
“apocalittiche” riguardanti la decadenza del mondo
contemporaneo, il senso della transizione e della crisi
permanenti e il bisogno di rinno vamento. Dall’altro,
ciò che corrisponde a tali finzioni nelle ideologie dei
moderni movimenti sociali e politici determinati a
guarire la società dalla presunta corruzione e dalla
decadenza.
Probabilmente questi miti hanno un ruolo centrale
in ogni forma di ideologia politica, di sinistra o di
destra16, che propone il radicale rinnovo
socio–politico da uno stato di decadenza,

15. F. Kermode, Il senso della fine, p. 95. Enfasi mia.


16. Ovviamente, ci sono delle profonde aYnità tra il comunismo e il
naziona lismo, essendo delle ideologie totalitarie. Inoltre, in pratica il
comunista illustra le correnti potentemente alimentate del
nazionalismo e dell’etnocentrismo che gli fornirono degli elementi di
parentela con il fascismo che contraddicevano la teoria marxista.
Quindi, la polarizzazione tra sinistra e destra in questo passaggio ha
solo lo scopo di semplificare le cose.
26 Introduzione

non solo come un espediente retorico, ma in uno


spirito ge nuinamente rivoluzionario destinato al
cambiamento peren ne e al miglioramento della
società. Comunque, questo libro si concentra
esclusivamente sui progetti di pulizia e rinascita
nazionali, sociali, razziali o culturali incorporati nel
termine “fascismo” e a cui viene data un’espressione
concreta nei regimi di Mussolini e Hitler. Erano miti
che generavano politiche e azioni ideate per dare
luogo a una redenzione collettiva, a una nuova
comunità nazionale, a una nuova società, a un
nuovo uomo. Il loro scopo era la rinascita, una
“palingenesi” non cau sata da un’azione sovrumana
ma progettata attraverso il potere dello stato
moderno17.
Se si riesce ad arrivare a una conclusione
convincente — seb bene non sia, ovviamente,
definitiva — Modernismo e fascismo dovrebbe
essere complementare alla serie di lezioni pioneristi
che di Kermode sul “senso di una fine” nella
letteratura idealista moderna. OVre un resoconto dei
complessi legami che que st’attitudine letteraria
aveva con il forte senso di inaugurare una nuova
epoca espressa nei modi visionari generati dal
fascismo nella prima metà del XX secolo. Questo
“senso di un inizio” politicizzato, storicizzato, sarà a
sua volta legato implicitamente a dei finali di un tipo
del tutto diverso da quello che preoccu pava
Kermode. Sono i finali dolorosamente non
romanzeschi e non leggendari, la distruzione delle
speranze, delle vite e dei corpi che, soprattutto nel
XX secolo, alcune correnti del modernismo sociale e
politico — usate come basi della politica statale —
hanno inflitto con una straordinaria spietatezza fisica
e psicologica su intere categorie della vita umana
nella ricerca

17. “Palingenesi” e l’aggettivo corrispondente, “palingenetico”, sono


termini che implicano una rinascita, una nuova nascita, una
rigenerazione. In inglese veniva considerata una parola arcaica, usata
principalmente in contesti religiosi e biologici, sebbene nell’ultimo
decennio sia diventato un termine frequente nell’analisi politica (ed è
spesso usata nelle traduzioni delle opere dello storico italiano Emilio
Gentile, che ritiene che sia un termine di analisi fondamentale del
discorso politico, dato che implica la fantasia utopica caratteristica dei
rivoluzionari politici e sociali che stanno inaugurando un’epoca
totalmente nuova).
Introduzione 27

di una rigenerazione della storia e dell’inaugurazione


di una nuova epoca.

Aufbruch

A questo punto dovrebbe essere chiaro che questo


progetto è conoscitivo ed “euristico” nel vero e proprio
senso della parola. Si ipotizza il bisogno di tentativi
regolari per evadere dalle strut ture concettuali
costituite, in modo da scoprire orizzonti nuovi entro i
quali “rivisitare” anche gli episodi della storia moderna
esaminati in maniera più ampia e documentati in
maniera più ossessiva. Si tratta di uno stato d’animo
avventuroso associato in tedesco al termine
“Aufbruch” con le sue connotazioni di “sciogliere”,
“evadere” e “forzare”, letteralmente; una parola che
può riferirsi sia alla fine di una riunione quando “si
scio glie”, sia all’“irruzione” o all’iniziare di colpo una
nuova fase o situazione, sia una “nuova partenza”. Si
tratta del termine usato da Kafka come titolo del
racconto inedito citato nell’epigrafe di questa
Introduzione.
Allo stesso tempo, Aufbruch può riferirsi allo stato
di aspet tativa indotto dalla certezza intuitiva che
un’intera fase della storia sta cedendo il posto a una
nuova. Questo significato sa rà cruciale per le nostre
indagini gemelle sul modernismo e sul fascismo. Il
fondamento di questo libro è che i due regimi fascisti
dell’Europa interbellica non possono essere
compresi senza tenere in considerazione la diVusa
convinzione secondo cui i disordini della storia
contemporanea sono stati le convul sioni mortali del
mondo moderno sotto l’egida della ragione
dell’Illuminismo e del capitalismo liberale. Tuttavia
non si è trattato di una “disperazione culturale”.
All’indomani della Pri ma guerra mondiale non solo le
avanguardie, ma milioni di “persone comuni”
sentivano di essere testimoni degli spasmi della
nascita di un mondo nuovo, sotto un regime
ideologico e politico la cui natura doveva ancora
essere decisa. Ciò che lo storico culturale Siegfried
Kracauer ha aVermato sullo “stato
28 Introduzione

d’animo” della Germania nei primi anni della


Repubblica di Weimar ha una forte risonanza in tutto
il mondo europeizzato, dove l’esperienza del degrado
e il bisogno di trasformazione erano particolarmente
intensi. Come dice lui stesso, era uno stato d’animo
che

nel miglior modo può essere definito con la parola


Aufbruch. Nel l’ampio senso che si dava allora a quel
termine, Aufbruch voleva dire distacco dal mondo in
frantumi di ieri per un domani eretto sulle fondamenta di
concetti rivoluzionari [. . .] Improvvisamente la gente
aVerrava il significato della pittura d’avanguardia e si
ritrovava in chimerici drammi che predicavano all’umanità
suicida il vange lo di una nuova era di fratellanza. [. . .]
credevano nel socialismo internazionale, nel pacifismo,
nel collettivismo, nella supremazia ari stocratica, nelle
comunità religiose o nella resurrezione nazionale e
proponevano spesso come dottrine nuove di zecca
miscugli confusi di questi ideali eterogenei18.

Un presupposto importante di questo libro è che lo


stato di Aufbruch qui descritto deve essere visto
come un componente caratterizzante di una forma
particolare di modernismo, di un senso di rottura
verso nuovi inizi non più vissuti dalle élite culturali o
limitate al regno dell’arte e del pensiero. La prima
parte, “Il senso di un inizio nel Modernismo”,
dimostrerà che anche prima che la Prima guerra
mondiale lo rivelasse con il potente impeto populista
e rivoluzionario, si stava manifestan do l’impulso
verso una nuova visione e una nuova epoca con
intensità crescente in tutta la società europea, non
solo nella sfera dell’estetica delle avanguardie ma nei
settori della specu lazione intellettuale e culturale
sulla possibilità di trovare delle nuove fondamenta per
il significato o la realtà, per i movimenti sociali, per le
iniziative popolari per apportare un rinnovato senso
di appartenenza, comunità e salute, così come le
politiche rivoluzionarie sia di sinistra che di destra.
Quest’analisi tenterà

18. S. Kracauer, From Caligari to Hitler. A Psychological History of


the German Film (1947), Princeton University Press, Princeton (NJ)
1970, trad. it. Da Caligari a Hitler: una storia psicologica del cinema
tedesco, a cura di L. Quaresima, Lindau, Torino 2001, pp. 85–6.
Introduzione 29
di stabilire le forze premoderne, ideologiche
“primordiali” e so ciologiche che accelerano i desideri
modernisti estremamente eterogenei per l’Aufbruch e
di mostrare come sono state scatena te da una crisi
percepita non solo nella società contemporanea, ma
nell’esperienza della storia e del tempo stesso. Sulla
base di questa caratterizzazione del modernismo
come forza culturale, sociale e politica frutto di una
modernità occidentale in una profonda crisi strutturale
soggettiva e (dopo il 1914) oggettiva, la seconda
parte, “Lo stato modernista del fascismo”, considererà
gli aspetti dei regimi Fascista e Nazista chiariti dal
resoconto sul modernismo oVerto nella prima parte.
Si tratta di un viaggio in cui si incrociano le
frontiere tradi zionali tra le varie discipline, in cui a
volte si giustappongono o si sincretizzano aree
separate della conoscenza specialistica e della teoria
accademica. Verso la fine del libro molti aspetti del
legame del Fascismo e del Nazismo con la
modernità, percepi to ancora come una fuga da o un
assalto al mondo moderno, sembreranno, in maniera
inquietante, espressioni “naturali” della modernità
occidentale a un determinato punto della sua
evoluzione. Si comprenderà anche meglio perché
alcuni de gli atti più “barbarici” della storia moderna
furono perpetrati da attivisti che sentivano di essere
all’avanguardia, pionieri di una nuova era spinta non
dal nichilismo o dalla crudeltà, ma dall’idealismo
visionario, da un nuovissimo credo basato sulla
redenzione, la purificazione e il rinnovamento.
L’elaborazione della struttura concettuale di cui
abbiamo avuto bisogno per esplorare il modernismo
del fascismo ha richiesto una parte a sé stante.
Sebbene abbia, si spera, un inte resse intrinseco in
quanto contribuisce alla concettualizzazione del
modernismo e della modernità, i sei capitoli a essa
dedicati nella seconda parte sono concepiti
soprattutto come un’elabo rata struttura analitica con
la quale esplorare le trasformazioni peculiari della
modernità contenute nei regimi guidati da Mus solini
e Hitler. La prova del nove del valore del libro sarà
data da quanto le politiche e gli atti di questi regimi
nelle varie sfere della società diverranno più
comprensibili, più giustificabili da
30 Modernismo e fascismo

un punto di vista storico, dato che il dibattito si


svolge senza “normalizzarli” da un punto di vista
morale e senza razionaliz zarli o senza sminuire i
crimini che hanno commesso contro l’umanità per
inseguire i loro sogni.
Dati questi obiettIvi, l’attenzione di questa
introduzione ora dovrebbe decisamente allontanarsi
dallo stato di Aufbruch con nesso alla pericolosa
natura di tutto ciò che si intraprende in un contesto
accademico e dovrebbe dedicarsi al senso di un
nuovo inizio coltivato dal fascismo stesso sia in
quanto “movimento” sia in quanto “regime”. In termini
cinematografici le immagini dei successi
hollywoodiani che evocano il Romantico e illu sorio
“nuovo inizio” sentito con tanto ardore dalla
sfortunata coppia sulla prua del Titanic adesso
possono dissolversi in quel le fasciste. La sequenza
potrebbe iniziare con la scena finale di Camicia Nera
(1933) di Giovacchino Forzano, che mostra Mus
solini mentre inaugura la bonifica delle Paludi
Pontine, dove presto sarebbe sorta una nuova città,
simbolo dei programmi modernizzanti e modernisti
per la bonifica di tutta l’Italia. Si potrebbe passare con
una dissolvenza alla Vecchia Guardia (1935) di
Alessandro Blasetti, in cui le Camicie Nere partono
per la Marcia su Roma, il primo passo verso una
Nuova Italia, che a sua volta potrebbe fondersi con le
scene finali di Hitlerjunge Quex, quando i ranghi
serrati della Gioventù hitleriana con una bandiera
marciano eroicamente nella nuova Germania in cui
verrà riscattato il sommo sacrificio di uno dei loro
compagni durante la guerra contro il Bolscevismo.
La scena conclusiva potrebbe essere costituita dai
primi fo togrammi de Il trionfo della volontà (v. Fig.
1), con le famose immagini di Hitler che scende dalle
nuvole come un dio del cielo moderno per atterrare a
Nuremberg, dove presiederà al Congresso del Partito
del 1934. Seguono queste sinistre parole:

5 settembre 1934, venti anni dopo lo scoppio della guerra


mondiale, sedici anni dall’inizio della nostra soVerenza,
diciannove mesi do po l’inizio della rinascita della
Germania, Adolf Hitler volò verso Norimberga per
rivedere la folla dei suoi fedeli sostenitori.
Capitolo I

I paradossi del “Modernismo fascista”

Si dimostra, infatti, che il radicalismo modernista nell’arte


— rot tura delle pseudotradizioni e rinnovamento della
comprensione delle componenti artistiche — comporta la
creazione di finzioni che possono rivelarsi pericolose per
gli atteggiamenti che suscitano nei confronti della realtà.
Frank Kermode, L’Apocalisse Moderna (1967)1

Il Modernismo non appare tanto come la negazione del


progetto realista e come una negazione della storia,
quanto come un’anticipa zione di una nuova forma di
realtà storica, una realtà che includeva, tra i presunti
aspetti inimmaginabili, impensabili e indicibili, il fe
nomeno dell’Hitlerismo, della Soluzione Finale, della
guerra totale, del contagio nucleare, dell’inedia di massa
e del suicidio ecologico.
Hayden White, Historical Emplotment and the
Problem of Truth (1992)2

Il motto del Primo Manifesto Futurista del 1909 — “La


Guerra è la sola igiene del mondo” — portò subito [. . .]
alla zona docce di Auschwitz–Birkenau.
Paul Virilio, Art and Fear (2003)3

1. F. Kermode, The Sense of an Ending. Studies in the Theory of


Fiction, Oxford University Press, New York 1967, trad. it. Il senso della
fine: studi sulla teoria del romanzo,a cura di R. Zuppet, G.
Montefoschi, Rizzoli, Milano 1972, p. 97.
2. H. White, “Historical Emplotment and the Problem of Truth”, in S.
Fried l‰nder (a cura di), Probing the Limits of Representation. Nazism
and the Final Solution, Harvard University Press, Cambridge (MA)
1992, pp. 52–3.
3. P. Virilio, Art and Fear, Continuum, London 2003, pp. 29–30. 33

34 Modernismo e fascismo

1.1. La rivolta contro il mondo moderno

Il 2 febbraio 1938 un certo K. Weisthor inviò al


Reichsführer Heinrich Himmler il suo rapporto su una
conferenza presentata nei circoli delle SS intitolata
“La restaurazione dell’Ovest sulla base dell’originale
spirito ariano”, esprimendo i suoi dubbi su alcuni suoi
aspetti. Tuttavia, appoggiava in maniera entusiasta la
tesi centrale, cioè che « i portatori dell’eredità ariana
nella no stra Europa ariana devono considerare
l’aspetto Spirituale, vale a dire il concepimento Solare
» cruciale per la concretizzazione dell’“Idea Imperiale
Ariana”. Questo perché « il problema, di per sé, è la
manifestazione visibile dell’Eternità o del ciclo eter no,
che può essere dominato e guidato solo con l’aiuto
della forza dello Spirito »4.
Di fatto, K. Weisthor era Karl Wiligut, detto anche
“il Ra sputin di Himmler”,5 membro dell’“Ufficio
Centrale per la Razza e le Colonie” e capo del
“Dipartimento della Preistoria e di Storia Antica”.
Prima della sua caduta in disgrazia, che avvenne più
tardi in quello stesso anno, esercitò una consi
derevole influenza sui credo esoterici, sulla liturgia e
sulla dotazione simbolica che Himmler concepì per
le SS e ci fu lui alla base della decisione di convertire
il castello di Wewel sburg del XVII secolo nel suo
quartier generale cerimoniale. L’oratore era il barone
Julius Evola, autore di Rivolta contro il

4. Questo passaggio è stato preso dal sito Report to Himmler on


Julius Evola al link thompkins_cariou.tripod.com (consultato il
15/11/05). Il testo deriva dal Weisthor–Wiligut Dossier di Renato del
Ponte, Arthos, 4.7–8 (2000), pp. 241–65.
5. Si veda H. Lange, Weisthor — Karl Maria Wiligut — Himmlers
Rasputin und seine Erben, Arun–Verlag, Engerda 1998. Per altre
informazioni su Wiligut in inglese si veda il capitolo “Karl Maria Wiligut.
The Private Magus of Heinrich Himmler” in N. Goodrick–Clarke, The
Occult Roots of Nazism, Aquarian Press, Wellingborough,
Northamptonshire (UK) 1985, che contiene anche un breve riferimento
alle conferenze di Evola alle SS (p. 190). Per il complicato rapporto
della scienza ortodossa e “alternativa” nei progetti intrapresi
dall’Ahnenerbe di Himmler si veda H. Pringle, The Master Plan:
Himmler’s Scholars and the Holocaust, Viking, New York 2006.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 35

mondo moderno, che venne pubblicato in Germania


nel 19356. Basandosi sull’intensa ricerca da lui
condotta negli anni venti sulle tradizioni occultiste e
mistiche del mondo, adesso tenta va di convincere il
suo pubblico appositamente invitato del fatto che la
vitalità di una civiltà era determinata dal grado con cui
essa seguiva i precetti della “Tradizione” perenne.
Avendo trascurato i suoi precetti per oltre due
millenni, l’Ovest stava raggiungendo il nadir del suo
ciclo di decadimento culturale e il climax di ciò che
nella cosmologia indù viene chiamato Kali Yuga,
l’“Era Oscura” della dissolutezza. Di conseguenza,
ora l’Ovest si trovava sulla soglia di un nuovo Krita
Yuga, l’“Era della Purezza”, ma solo a patto che i capi
del fascismo e del nazismo riconoscessero la
dimensione metafisica della loro missione, vale a dire
portare a termine una rivoluzione materiale e
spirituale totale contro il mondo putrescente del la
modernità incarnata dal materialismo,
dall’individualismo, dall’egualitarismo, dalla perdita di
gerarchie e dall’erosione dei valori più nobili.
Tornato in Italia, il barone cominciò a incoraggiare
i capi del Fascismo a essere consapevoli della
somma missione di rigenerare l’intero mondo
moderno con due vaste esposizioni di teoria razziale
basate sui princìpi “Tradizionalisti”, Sintesi di dottrina
della razza e Indirizzi per un’educazione razziale,
entram be pubblicate nel 1941. Queste
sottolineavano come l’“Uomo Nuovo” ariano dovesse
basarsi sulla combinazione di corpo, testa e anima, e
soprattutto non sulle qualità biologiche o gene tiche,
come aVermavano gli eugenisti nazisti, andando così
a tradire l’influenza dannosa del materialismo
moderno e della scienza materialistica del
Darwinismo7. Nella fattispecie, Evola non ebbe
un’influenza percepibile sulle correnti principali del
nazismo o del Fascismo, che, almeno da un punto di
vista eso

6. J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Hoepli, Milano 1934.


7. Gli aspetti razzisti e filo–nazisti del pensiero di Evola sono stati
aVrontati da F. Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito.
Julius Evola, l’antisemitismo e il nazionalsocialismo (1930–1945),
Bollati Boringhieri, Torino 2001.
36 Modernismo e fascismo

terico, si mossero uniformemente lungo canali


ideologici ben lontani dai mondi confusi del razzismo
occultista sognato dagli “ariosofisti”8 e dai
“Tradizionalisti”9.
Non fu il razzismo estremamente idiosincratico di
Evo la, bensì il suo virulento attacco contro ciò che
lui, dopo il 1945, riteneva un’Europa democratica e
comunista sempre più senz’anima a fare di lui il guru
di una nuova generazione di intellettuali dell’estrema
destra postbellica che cercavano una “visione del
mondo” a tal punto da far sì che Giorgio Almiran te, il
leader del Movimento Sociale Italiano neofascista,
facesse riferimento a lui come “il nostro Marcuse, solo
migliore”10. Ciò nonostante, il suo coinvolgimento nel
fascismo interbellico sembra confermare
ampiamente ciò che spesso è stato inteso come il
suo antimodernismo fondamentalmente reazionario
e radicale, il suo interesse nel rifugiarsi da una
modernità sentita psicologicamente minacciosa.
Eppure, un decennio prima che Evola si dedicasse
allo studio dell’“idealismo magico” e inizias se a
valutare la possibilità che emergesse una nuova élite
di “guerrieri–preti” per rigenerare l’Ovest decadente,
era stato un membro attivo dell’avanguardia fiorentina
prebellica associata ai giornali culturali « Leonardo »
e « Lacerba », riviste culturali che, come vedremo nel
Capitolo 7, ebbero un ruolo significa tivo nella genesi
del Fascismo. Sebbene per un certo periodo venisse
associato al pittore futurista Giacomo Balla, rimase
lon tano dall’entusiasmo interventista di questi
ambienti, attirato più dal culto prussiano della
disciplina che dalla decadenza di

8. Per l’impatto materiale che l’occultismo ebbe sul nazismo, si veda


Goodrick– Clarke, The Occult Roots of National Socialism, un’indagine
erudita che, in manie ra indiretta, nega le illusioni new age secondo cui
il NSDAP fosse “veramente” un’organizzazione esoterica.
9. Si veda M. Sedgwick, Against the Modern World. Traditionalism
and the Secret Intellectual History of the Twentieth Century, Oxford
University Press, Oxford 2004. 10. Si veda J. Evola, “Il mito Marcuse”,
Gli uomini e le rovine, Volpe, Roma 1967, pp. 263–9. Per altre
informazioni sul contesto del commento di Almirante si veda R. Griffin,
Revolts against the Modern World. The blend of literary and historical
fantasy in the Italian New Right, « Literature and History », vol. XI, n. 1
(primavera 1985), pp. 101–24. Anche al link
www.rosenoire.org(consultato il 15/05/06).
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 37

Gran Bretagna e Francia. Quando riemerge


nuovamente nell’a vanguardia italiana, lo fa come uno
dei maggiori rappresentanti italiani del Dadaismo (v.
Fig. 2), un movimento artistico gene ralmente ritenuto
essenzialmente incompatibile con qualsiasi forma di
impegno politico, specialmente con le forme estreme
del nazionalismo e del razzismo11.
Per complicare ulteriormente la questione
dell’antimoder nismo e del rapporto di Evola con il
fascismo, la traduzione tedesca di La rivolta contro il
mondo moderno venne accolta in maniera entusiasta
da nientemeno che Gottfried Benn, uno dei maggiori
poeti espressionisti della Germania. Negli anni venti
Benn aveva attinto alla sua esperienza professionale
di medico e patologo per inventare delle inquietanti
metafore biologiche per un flusso ininterrotto di versi
allucinatori che esprimeva no la sua ossessione per
la degradazione fisica e psicologica. La sua
campagna contro la progressiva “cerebralizzazione
del mondo”, che, a quanto diceva, lo stava privando
dell’energia primordiale, portò alla sua conversione
entusiasta al “vitali smo” del nazionalsocialismo e
Benn usò la sua elezione nel 1932 a una delle
istituzioni culturali più venerande della Ger mania,
l’Accademia prussiana delle Arti (fondata nel 1696),
per varare la sua visione della missione del Terzo
Reich, cioè far avvenire la rivoluzione culturale e
antropologica necessaria per salvare la nazione dalla
dissolutezza12. Fu anche uno dei soste nitori più in
vista della campagna per far includere le opere di
colleghi espressionisti e nazionalisti quali Ernst
Barlach ed Emil Nolde nel canone nazista dell’“arte
ariana”. Questo pe riodo armonioso fu
scortesemente interrotto nel maggio del 1936,
quando un articolo nel giornale delle SS, « Das
schwarze

11. Sul Dadaismo di Evola si veda J. Schnapp, “Bad Dada (Evola)”,


in L. Dic kerman e M.S. Witkovsky (a cura di), The Dada Seminars,
CASVA seminar papers 1, National Gallery of Art, Washington 2005,
pp. 30–55.
12. Per esempio nei saggi “Kunst und Staat”, in D. Wellerhoff (a
cura di), Gottfried Benn. Gesammelte Werke in acht Bänden, Limes,
Wiesbaden 1968, vol. III, pp. 603–13; “Der neue Staat und die
Intellektuellen” (1933), in D. WellerhoV, Gottfried Benn, vol. IV, pp.
1004–13.
38 Modernismo e fascismo

Korps », attaccò una sua antologia poetica per


“widernatürli che Schweinereien” (“oscenità
innaturali”), segnando in questo modo la sua
imminente caduta in disgrazia. Dopo essere stato
escluso dalla Camera degli scrittori del Reich, nel
1938 Benn si ritirò in un’“emigrazione interiore”, fino a
che, dopo la guerra, per lui non fu sicuro rilanciare la
sua carriera come un’autorità sull’Espressionismo. Da
quel momento, nelle biografie uYciali la sua passione
per la trasformazione nazista della storia del mondo,
una volta tanto eloquente, è stata descritta in modo
convenientemente eufemistico o è stata ritoccata.

1.2. Fascismo e modernismo: “aporia” o


paradosso?

Sulla base di questi due esempi, il lavoro di rendere


compren sibile il legame tra il modernismo e il
fascismo “nel suo com plesso” è tutt’altro che
trasparente. Le carriere di Evola e Benn ci
permettono, infatti, di fare delle deduzioni
contraddittorie. Quando discutono di fenomeni
generati dalla modernità che sono anomali o che
sfuggono a spiegazioni semplici, gli intel lettuali
continentali tendono a usare, in particolare, il termi
ne “aporia”. Letteralmente significa “impossibile
passare” o “cul–de–sac” ed era usato nella filosofia
greca in riferimento al dilemma intellettuale o
impasse che può insorgere nel tentati vo di
condensare in definizioni precise o categorie logiche
un aspetto elusivo della realtà fenomenica. Dato che
il fascismo è ancora ampiamente associato alle forze
di reazione e alla fuga dal “mondo moderno”, il suo
legame con la modernità può facilmente dare
l’impressione di essere pieno di aporia.
Facciamo un esempio con l’Italia di Mussolini: un
regime concentrato sulla distruzione delle forze
“progressive” del socia lismo e sul rinnovamento
dell’eredità romana dell’Italia come riuscì ad attirare
la collaborazione attiva di così tanti illustri artisti,
architetti, progettisti e tecnocrati moderni? Cosa
portò Mussolini — che inizialmente fu un attivista e
un intellettuale socialista prolifico, sebbene durante i
suoi anni da duce fosse
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 39

ampiamente considerato un megalomane senza un


briciolo di impegno ideologico genuino a capo di un
regime reazionario — ad arrendersi all’esplicita
campagna per il risveglio nazionale combattuta nella
pagine de « La Voce » dai massimi artisti e
intellettuali fiorentini, tutti ferventi modernisti, durante
il de cennio che precedette la Prima guerra
mondiale13? Cosa spinse Filippo Marinetti14, il
fondatore di una delle forme più radi cali del
modernismo estetico, a considerare lo stile peculiare
del nazionalismo di Mussolini come veicolo per la sua
guerra futurista contro la decadenza del
“passatismo”? Perché degli illustri esponenti della
cultura italiana quali Gabriele D’Annun zio, Giuseppe
Prezzolini e Giovanni Papini riuscirono a tradire ciò
che è spesso ritenuta la lealtà naturale
dell’avanguardia nei confronti della “vera” rivoluzione
della sinistra per promuovere la “pseudo rivoluzione”
proposta dalla destra?
Le contraddizioni non finiscono qui. Come è stato
possibile che lo stesso regime potesse ospitare la
gara di arte moderna di Giuseppe Bottai per il Premio
Bergamo e contemporaneamen te sponsorizzare
alcuni degli esperimenti più ambiti sulla pro
gettazione urbanistica e i palazzi cittadini modernisti,
mentre promuoveva anche la pittura “ultra–ruralista”
del movimento dello Strapaese? Fu così che,
chiaramente in opposizione a Bot tai, il “gerarca”
pro–nazifascismo Roberto Farinacci organizzò il
Premio Cremona per l’arte non–modernista. Come
riusciva a lanciare iniziative per rivitalizzare le usanze
e le tradizioni lo cali come la sagra15, a promuovere il
ritorno a tradizioni rurali estremamente mitizzate
esaltate nel film Terra Madre (1931) di Alessandro
Blasetti, a fare enormi sforzi per instillare in tutta la
popolazione un senso di timore reverenziale nei
confronti

13. W. Adamson, Avant–Garde Florence: From Modernism to


Fascism, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1993.
14. Si veda G. Berghaus, Futurism and Politics. Between Anarchist
Rebellion and Fascist Reaction, 1909–1944, Berghahn, Oxford 1996.
15. La sagra è una festa locale usata per festeggiare una specialità
locale, come le patate o le acciughe. Per i regionalismi fascisti si veda
S. Cavazza, Piccole Patrie. Feste popolari tra regione e nazione
durante il fascismo, il Mulino, Bologna 1997.
40 Modernismo e fascismo
della gloria della Roma di un tempo, a ripristinare
con cura i tesori della ricca eredità medioevale,
rinascimentale ed ec clesiastica del paese per
promuovere l’orgoglio nazionale e il turismo
nazionale e straniero, mentre nello stesso tempo co
struiva autostrade, bonificava le paludi, elettrificava le
ferrovie e trasformava gli aviatori italiani in eroi
nazionali e, dopo il volo transatlantico per Chicago di
Italo Balbo, internazionali?
L’impresa epica di Balbo fornisce un esempio del
rappor to anomalo del Fascismo con la modernità. Il
30 giugno 1933 lasciò l’Italia con uno squadrone di
ventiquattro idrovolanti Savoia–Marchetti SM.55X
costruiti con tecnologie aviatorie all’avanguardia. Sei
settimane dopo atterrò sul Lago Michi gan vicino
all’area dell’esposizione universale di Chicago, A
Century of Progress (Un secolo di progresso), una
mostra molto famosa che nonostante, o forse proprio
per, i terribili effetti sociali della Grande Depressione,
attrasse circa trentanove milioni di visitatori da tutto il
mondo. Tuttavia, per celebrare questa impresa, che
negli USA provocò scene entusiaste di pubblica
acclamazione, Mussolini ordinò che venisse manda
ta a Chicago una colonna di 1700 anni estratta da un
portico vicino al porto di Ostia Antica, l’antico porto di
Roma. La colonna venne puntualmente eretta
davanti al padiglione ita liano: un monumento antico
schierato per celebrare il trionfo della modernità.
Queste lampanti contraddizioni vengono suggerite
anche dal contrasto tra l’uso coraggioso e
ultra–moderno che Giusep pe Terragni fa del design
razionalista della Casa del Fascio, aper ta con molte
cerimonie a Como nel 1936, e il palazzo disegnato da
Vittorio Morpurgo — un ebreo intensamente
pro–fascismo a cui poi venne impedito di entrare nel
suo stesso palazzo — ed eretto in tutta fretta per
ridurre i costi per ospitare l’Ara Pacis (v. Fig. 3–5).
Questo monumento romano massicciamente restau
rato, costruito da Cesare Augusto, assunse
un’importanza cen trale nelle celebrazioni bimillenari
della nascita dell’imperatore allestite con un’enorme
spesa statale per consacrare Mussolini come
l’incarnazione moderna delle qualità cesaree. (C’è
una
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 41

certa ironia nel fatto che un fregio di svastiche


destrorse, e quin di non naziste, corra intorno a
questo “altare della pace” che venne mostrato a
Hitler durante la sua visita di stato a Roma nel
maggio del 1938, un’ironia che sembra essere
sfuggita al Führer)16. Mescolando l’uso modernista
della costruzione in acciaio e vetro con il
“radicamento” diVuso nel neoclassicismo spogliato
del monumentalismo nazista, la struttura di Morpur go
avrebbe senza dubbio fatto sentire a casa il Führer
più del palazzo di Terragni.

1.3. Strategie per risolvere le aporie del


modernismo fasci sta

Sulla base di tali esempi ha poco senso tentare di


leggere qual siasi tipo di schema coerente nel
rapporto del Fascismo con il modernismo che ha
spesso generato delle curiose idiosincra sie. Per
esempio, il Foro Mussolini, il nuovissimo stadio della
capitale aperto nel 1928, venne costruito con uno
stile classico modernizzato e venne abbellito con
statue classiche. Sfoggiava anche un mosaico
rappresentante non delle scene della mitolo gia
romana ma, creando ciò che uno storico d’arte ha
descritto come una “bizzarra dicotomia”17, degli
squadristi campanilisti che partivano con un camion,
presumibilmente per attaccare il quartier generale dei
comunisti o per partecipare alla Marcia su Roma. Il
camion era simile a quello usato come protagonista
del BL15, un enorme esperimento all’aperto in un
teatro di mas sa allestito a Firenze nella primavera del
1934 che rielaborava la nascita del Fascismo dalla
guerra di trincea della Prima guerra mondiale e dalla
lotta (la vedevano così i fascisti) delle Camicie Nere
per sedare il comunismo e la sovversione del biennio
ros

16. Si parla delle svastiche sull’Ara Pacis sul sito dedicato alla
svastica gestito dall’organizzazione americana neonazista Stormfont
al link www.stormfront.org (consultato il 27/10/06).
17. D. Crowley, Nationalist Modernisms, in C. Wilk (a cura di),
Modernism 1914–1939. Designing a New World, V&A Publications,
London 2006, p. 351.
42 Modernismo e fascismo

so, dal 1919 al 1920. Questi manufatti e questi


eventi culturali erano esempi di un “kitsch” totalitario
o c’era qualcosa di più profondo sotto?
Basandosi su questi esempi, è comprensibile il
fatto che mol ti storici del Fascismo abbiano
considerato la sua arte come marginale rispetto al
regime, dato che la mancanza di un’esteti ca coerente
confermava l’immagine di una dittatura personale in
cui lo spettacolo, la retorica e l’illusione di una
rivoluzione permanente erano più importanti delle
significative trasforma zioni della società italiana. Da
questo punto di vista, hanno appoggiato il generico
giudizio che Norberto Bobbio, un egre gio intellettuale
antifascista, diede una volta in un’intervista con «
L’Espresso »: « Dove c’era cultura, non c’era il
Fascismo; dove c’era il Fascismo, non c’era cultura.
Non c’è mai stata una cultura fascista »18. Con una
tale premessa, l’obiettivo di stabilire un’aYnità
coerente tra il modernismo e il Fascismo è inutile,
dato che sono fenomeni essenzialmente
incompatibili: l’uno genuinamente creativo e
innovativo, l’altro un’azione ela borata per
mascherare una risposta reazionaria alle sfide della
modernità.
Durante la serie di documentari del 2006, Marvels
of the Modern Age (Meraviglie dell’età moderna), lo
storico architet tonico britannico Dan Cruickshank
portò i telespettatori in un tour guidato dello
“straordinario edificio” che lo scrittore e intellettuale
fascista italo–tedesco Curzio Malaparte (Kurt
Suckert) aveva costruito sulla cima di un promontorio
acci dentato su un tratto isolato del litorale di Capri
proprio prima dello scoppio della Seconda guerra
mondiale (v. Fig. 6). Cruick shank deve aver
confermato i pregiudizi della maggior parte dei
telespettatori istruiti quando nel suo commento
aVermò che questa « eccentrica ma brillante »
asserzione, tanto personale quanto sociale, « sfidava
i tempi » dato che incarnava « il moder nismo in
maniera sfrenata e isolata ». Dopotutto, continuava,

18. Un commento fatto in un’intervista con « L’Espresso » il 26


dicembre 1982, citata in R. Bosworth, The Italian Dictatorship, Arnold,
London 1998, p. 155.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 43

« Mussolini, come Hitler, aveva soppresso il


modernismo », e tuttavia « inspiegabilmente questo
edificio gli sfuggì »19. Vista la professione di
Cruickshank, è ancora più inspiega bile il fatto che
non abbia menzionato il ruolo decisivo avuto
dall’architetto Adalberto Libera nell’ideazione di Casa
Mala parte. Libera fu uno dei modernisti architettonici
più visionari d’Europa e la sua carriera fiorì durante il
Fascismo e, senza la guerra, sarebbe stata coronata
dalla costruzione dell’arco au dacemente modernista
da lui progettato per dominare la vasta area dell’EUR
’42, l’Esposizione Universale di Roma pianificata per il
1942. Questo arco è stato scelto per lo splendido
poster che abbellisce la copertina di questo libro e
dopo la guerra venne realizzato a ottomila chilometri
di distanza come Gateway Arch di St Louis, che è
raYgurato sulla quarta di copertina. Di fatto, tutto il
lavoro che Libera fece per il regime fu una
celebrazione trionfalistica dello spirito del regime
proiettato verso il futuro e, come tale, costituì
un’eloquente contestazione di qualunque teoria che
aVermava che Mussolini aveva una profonda ostilità
contro il modernismo estetico. In accordo con questa
interpre tazione fraintesa, nel suo documentario
Cruickshank dedica un’intera sequenza
all’illustrazione della sinergia produttiva tra il
modernismo architettonico e la progettazione dello
stato bolscevico nei quindici anni successivi alla
rivoluzione. L’eVetto è solo quello di raVorzare ancora
di più il pregiudizio per cui, mentre il modernismo e il
socialismo vanno di pari passo, il modernismo e il
fascismo sono come l’olio e l’acqua, o forse come
uno di quegli incontri surreali che André Breton
parago na a un ombrello e a una macchina per cucire
aYancati su un tavolo operatorio.
Se si cerca un più profondo fondamento logico
intellettuale per spiegare le politiche artistiche
apparentemente irrazionali

19. D. Cruickshank, Marvels of the Modern Age, serie di


documentari in quattro parti, prima parte, al quarantaduesimo minuto
circa. Apparso per la prima volta su BBC 2 il 9 maggio 2006,
21.00–22.00. In associazione con l’esposizione Modernism: Designing
a New World 1914–1939 tenuta al Victoria and Albert Museum a
Londra nella primavera del 2006.
44 Modernismo e fascismo
del regime di Mussolini e il considerevole
investimento delle risorse in progetti culturali, alcuni
di concezione sfacciatamente modernista, allora
bisogna passare a un approccio molto più sofisticato.
Tale approccio è emerso dalla lunga tradizione di
rimpolpare la teoria scheletrica abbozzata nell’ormai
famoso saggio trasmesso da una delle vittime del
fascismo, Walter Benjamin. In pratica aVerma che,
per proteggere il sistema capitalista dalla rivoluzione
socialista, il regime si imbarcò cini camente nella
completa “estetizzazione della politica” e nella
manipolazione del simbolismo culturale per
apportare la na zionalizzazione pervasiva della vita
intellettuale, accademica e artistica. Di conseguenza,
sia con Mussolini che con Hitler, la cultura venne
utilizzata come uno strumento di ingegneria sociale e
l’estetica statale come una forma di anestetico politi
co. Il loro eVetto combinato doveva depoliticizzare e
privare del potere le masse generando i segni
esteriori della rivoluzio ne culturale e quindi sociale,
ma senza la sostanza. In questo modo, anche nei
casi in cui il Fascismo tollerò, o sposò perfi no, il
modernismo, fu solo per fini cinici, reazionari e,
quindi, antimodernisti20.
Una variante aVascinante di questo tema è la
monografia di Igor Golomstock, estremamente
accademica e notevolmen te illustrata, che espone la
sua teoria riguardo alla “Legge del Totalitarismo”.
Secondo questa teoria, per quanto cruciale nel creare
l’ethos del dinamismo e della trasformazione
necessario per stabilire un nuovo regime totalitario,
anche di tipo comuni sta, l’impatto dell’avanguardia
diminuisce velocemente quando il potere è ben saldo
nelle mani della nuova élite al governo, che subito
inizia a opprimere i modernisti accondiscendenti
20. Walter Benjamin varò questa prolifica scuola di interpretazione
con il famoso saggio del 1937, The Work of Art in the Age of
Mechanical Reproduction. Si veda R. Berman, “The Aestheticization of
Politics: Walter Benjamin on Fascism and the Avant–Garde”, in R.
Berman, Modern Culture and Critical Theory: Art, Politics, and the
Legacy of the Frankfurt School, University of Wisconsin Press,
Madison 1989, pp. 27–41.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 45

non appena non servono più21. Un altro approccio


del tutto esplicativo viene proposto dal veterano della
teoria culturale radicale, Paul Virilio, che aVerma,
come mostra l’epigrafe di questo capitolo, di
percepire una discendenza diretta tra il Fu turismo e
Auschwitz. Questo rapporto viene ipotizzato in base a
un nesso latente che lega il crudele sperimentalismo
evidente in alcune varianti del modernismo — in
particolare quelle che chiaramente riducono il corpo
umano a un oggetto da manipo lare per gli scopi
immorali del piacere estetico — agli episodi di
omicidio di massa, tortura di stato e crudeltà
sistematica che imbrattano la storia moderna
dell’Europa. Ci tiene a sottolinea re che tali atrocità
non sono state commesse solo dai regimi fascisti,
comunisti e nazionalisti, ma che avvengono anche
nelle cosiddette democrazie “liberali”.
Quando nel 1998 duecento corpi umani plastinati
vennero mostrati nell’esposizione “The World of
Bodies” allestita al museo di Mannheim di Tecnologia
e Lavoro, Virilio rimase profondamente colpito dal
breve brano fornito dal loro “creato re”, Günter von
Hagens: « Si tratta di rompere l’ultimo tabù ». Virilio
commentò: « Non ci vorrà molto prima di essere
costret ti a riconoscere che gli espressionisti tedeschi
che esigevano l’omicidio non erano gli unici artisti
dell’avanguardia. Lo erano parimenti persone come
Ilse Koch ». E continua:

La donna che chiamavano “la cagna di Buchenwald” in


realtà ebbe delle aspirazioni estetiche abbastanza simili a
quelle del buon dottor von Hagens, dato che scuoiava i
tatuaggi dei detenuti per trasformare la loro pelle in
oggetti di art brut e in paralumi.22

Con tali commenti, Virilio rinnega la supposizione


per cui una forma artistica davvero all’avanguardia
come il Futurismo non possa avere una genuina
aYnità con un regime fascista. Al contrario, la
completa estetizzazione della realtà, che, a quanto

21. I. Golomstock, Totalitarian Art in the Soviet Union, the Third


Reich, Fascist Italy and the People’s Republic of China, HarperCollins,
London 1990. 22. P. Virilio, Art and Fear, pp. 41–2.
46 Modernismo e fascismo

si dice, veniva sostenuta dai modernisti, viene vista


sia come un sintomo che come qualcosa che
contribuisce al fallimento della compassione e
dell’erosione della pietà — la pitié è un concetto
chiave nella visione del mondo viriliana — che rende
gli stati moderni capaci di un insieme di crimini contro
l’umanità per il “bene delle persone”.
Tale ragionamento echeggia in lontananza
l’accusa degli anni trenta di George Lukács contro
l’Espressionismo che stava prepa rando il terreno al
nazismo attraverso un’orgia di irrazionalismo.
Tuttavia, nel caso in cui questa fresca variante
pre–postmoderna del marxismo sembri una linea di
indagine produttiva per risol vere alcune delle tante
aporie del rapporto del modernismo con il fascismo,
bisognerebbe ricordare che la posizione di Lukács
provocò un violento dissenso da parte dei compagni
marxisti, in particolare Ernst Bloch e Walter
Benjamin. All’insegna di Bertolt Brecht e dello
specialista del montaggio antifascista Hermut Her
zfelde (anche detto John Heartfield), questi
difendevano l’arte sperimentale proprio per la sua
capacità di sovvertire la tradizione realista “borghese”
nata dall’umanesimo classico attraverso cui in tempi
moderni il capitalismo era stato tanto mistificato e
legitti mato. Fu solo quando venne sufficientemente
defamiliarizzato ed esposto all’impegno critico che il
sistema sociale e politico poté essere ripensato in
un’ottica progressista23.
In breve, quando cerchiamo di ottenere un’opinione
esperta sul complicato rapporto del Fascismo con il
modernismo, non troviamo un coro armonico ma una
cacofonia. Persino un’o pera dal promettente titolo
Fascist Modernism (Modernismo fascista) non ci
porta molto lontano, nonostante il sofisticato
apparato culturale postmodernista e la sostenuta
vivacità anali tica. L’autore, Andrew Hewitt, procede
nella riduzione di tutto l’argomento, che inizialmente
abbracciava anche tutta la storia del nazismo, a poco
più di un singolo caso di studio empiri co, il
Futurismo di Marinetti (casualmente lo stesso
esempio

23. F. Jameson (a cura di), Aesthetics and Politics: The Key Texts
of the Classic Debate within German Marxism. Adorno, Benjamin,
Bloch, Brecht, Lukács, Verso, New York 1977.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 47

che Benjamin citava nel suo saggio rivoluzionario).


In più, lo analizza sulla base della natura
fondamentalmente reazionaria della risposta del
fascismo alla modernità. Ci viene garantito che la
sua « estetizzazione della politica » venne « segnata
fin dal principio dalla costruzione borghese della
sfera pubblica » e quindi da una parte integrante del
« libidinoso progetto di autodistruzione del
capitalismo »24. Non c’è alcun modernismo genuino,
né una rivoluzione.

1.4. Il complicato “antimodernismo” del nazismo

L’impressione per cui le spedizioni accademiche


verso il cuo re di tenebra della modernità generino
continuamente nuovi dilemmi nel contesto degli studi
fascisti viene confermata quan do si segue l’allusione
di Virilio e Lukács all’Espressionismo, la principale
forma assunta dal modernismo estetico all’inizio del
XX secolo in Germania. Il primo problema da
aVrontare è la grave mancanza di un accordo
accademico sull’inclusione del Terzo Reich
nell’ambito di uno studio su « modernismo e
fascismo ». Per prima cosa, la Nuova Germania di
Hitler presentava così tante aree in cui le politiche
nazionali, e soprat tutto il modo di eseguirle, erano in
contrasto con il regime di Mussolini che vari
accademici di rilievo — in particolare Renzo de
Felice, Zeev Sternhell e A. James Gregor — si sono
rifiutati categoricamente di classificare le sue
credenziali co me una manifestazione di fascismo
generico. È una posizione con cui concordano
tacitamente i molti storici tedeschi (non marxisti) del
Terzo Reich convinti che l’impiego di qualsiasi
termine generico — con la parziale eccezione di
totalitarismo — smorzi la sua « unicità », tradendo
verosimilmente un intento relativizzante e quindi
apologetico.

24. A. Hewitt, Fascist Modernism: Aesthetics, Politics, and the


Avant–Garde, Stanford University Press, Stanford (CA) 1993, p. 17.
48 Modernismo e fascismo
Per esempio, Renzo de Felice aVerma che i due
regimi crearono degli habitat totalmente diversi per la
modernità, asse rendo che il Fascismo puntava alla
creazione di « un nuovo tipo di uomo » e « voleva
realizzare la trasformazione della società e
dell’individuo in una direzione che nel passato non
era mai stata tentata o realizzata ». Al contrario, « il
Nazismo desiderava una restaurazione dei valori e
non la creazione di nuovi valori. L’idea della
creazione di un nuovo tipo di uomo non è un’idea
nazista »25. A prima vista, la violenta campagna del
Terzo Reich contro il modernismo estetico, che dopo
il 1936 assunse la fe rocia di una caccia alle streghe
in piena regola, sembrerebbe confermare tutto
questo. I crimini del genocidio, a cui le sue po litiche
culturali sono indelebilmente associate, rendono
ancora più diYcile concepire che il Nazismo abbia
accolto qualcosa di genuinamente modernista, un
termine che tende ancora ad avere delle connotazioni
progressiste e liberatorie.
Questi presupposti sulla relazione contrastante
del Nazi smo e del Fascismo con la modernità
aiutano a spiegare la storia contrastante del modo in
cui sono stati “segnati” fin dal la Seconda guerra
mondiale. Nel 1982, cinquant’anni dopo la Mostra
della Rivoluzione fascista tenutasi a Roma, una delle
cerimonie di maggior successo nella propaganda del
regime nella storia, a Milano veniva rappresentato
Anni trenta. Arte e cultura in Italia. Come suggerisce
il titolo addolcito, l’impatto cumulativo di ciò che
veniva mostrato era essenzialmente una
celebrazione non solo della tumultuosa creatività,
della vitalità e dell’innovazione della società e della
cultura italiana (fascista?) all’epoca di Mussolini, ma
della sua onnipresente modernità, in particolare della
sua storia appassionata con il modernismo nella
pittura, nell’architettura, nella fotografia, nella
tecnologia e nel design26.

25. M. Ledeen, Fascism. An Informal Introduction to its Theory and


Practice, Transaction Books, New Brunswick (NJ) 1976, pp. 55–7.
Enfasi mia. 26. L’ethos vitalistico della mostra è stato ben immortalato
nel suo catalogo: A. Pansera (a cura di), Anni Trenta. Arte e Cultura in
Italia, Mazotta, Milano 1981.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 49

Anche sessant’anni dopo la disfatta del Terzo


Reich sarebbe stato impensabile organizzare una
mostra simile, chiamata laco nicamente Anni trenta.
Arte e cultura in Germania, senza provoca re accuse
da parte dei revisionisti, e gli organizzatori avrebbero
dovuto fare molta attenzione per evitare di essere
accusati di una tentata “normalizzazione” furtiva del
Nazismo, utilizzando le esposizioni e le annotazioni
del catalogo per sottolineare la modernità della vita
durante il regime senza richiamare l’atten zione sui
relativi orrori commessi nei confronti degli esclusi
dalla nuova “comunità nazionale”. Ciò che viene
impresso nella memoria collettiva è, invece, la
denigrazione nazista del mo dernismo estetico nella
Mostra di arte degenerata, organizzata a Monaco nel
1937 (in termini di visitatori uYciali è ancora la
mostra di arte moderna di maggior “successo” al
mondo che sia mai stata allestita). Questa mostruosa
“antimostra” viene spontaneamente associata agli
altri atti rituali di iconoclastia del regime, come il rogo
dei libri “decadenti” presieduto da Goebbels il 10
maggio 1933 oppure l’ordine di bruciare nella
caserma centrale dei vigili del fuoco di Berlino mille
dipinti e almeno quattromila acquerelli, disposizione
impartita il 20 marzo 1939 dalla Commissione
dell’arte degenerata. L’immagine essenzialmente
nichilistica della politica culturale nazista viene
confermata anche dal fatto che, mentre non venne
organizzata nessuna mostra esauriente sull’arte e
l’architettura approvate dallo stato, il pubblico ebbe la
possibilità di vedere l’arte moder nista da esso
condannata durante l’esposizione Arte degenerata: il
destino dell’avanguardia nella Germania nazista
allestita nel 1993 al Los Angeles County Museum of
Art. (Le gravi distorsioni nella nostra comprensione
della cultura nazista dovute alla de cisione della
politica uYciale di entrambi i lati dell’Atlantico di
seppellire la maggior parte dei dipinti in depositi
inaccessibili verranno discusse a tempo debito.)
Tali eventi rafforzano l’immagine di un regime
determinato a chiudersi ermeticamente al mondo
moderno, creando un’anti cultura che sfida l’analisi
convenzionale. Per esempio, la premessa all’indagine
di Peter Adam sull’“arte del Terzo Reich” è che:
50 Modernismo e fascismo

È diYcile, complessa e controversa. Che abbia la forma


delle belle arti, dell’architettura, della letteratura per il
cinema o della musica, non può essere considerata come
l’arte di altri periodi. Deve essere vista come
l’espressione artistica di un’ideologia barbarica. L’arte del
Terzo Reich può essere guardata solo attraverso lo
sguardo di Auschwitz.27

Secondo la struttura concettuale che dà forma


all’indagine di Adam, quindi, i nazisti erano
pienamente decisi a negare il Lebensraum (lo spazio
vitale) dell’arte moderna e a rimpiazzarlo con il kitsch
28
propagandistico per poter esprimere tramite
eufemismi le atrocità da commettere durante la
creazione dello stato razziale. Il rapporto tra il regime
e il modernismo, quindi, richiama il vandalismo, la
persecuzione e il culturicidio, un corollario diretto
dell’arte delle sue politiche eugeniche e delle
campagne di genocidio a cui portarono. Eppure,
come accade con il Fascismo, le tristi, ma non
sempre brutali, realtà della storia culturale del
nazismo si oppongono alle allettanti for mule
semplicistiche. È sicuramente vero che, quando
Hitler tenne un discorso sull’arte al settimo Congresso
del Partito nel settembre 1935 — lo stesso congresso
in cui vennero emanate le note Leggi razziali di
Norimberga –, attaccò i difensori del Dadaismo, del
Cubismo e del Futurismo « sulla base del fatto che
quelle eVusioni sono esempi di forme primitive
d’espressio ne », ricordando loro « lo scopo dell’arte
», ovvero « lottare per vincere i sintomi della
degenerazione guidando l’immagina zione verso ciò
che è buono e bello esternamente »29. Tuttavia,
quando Hitler pronunciò queste parole, il poeta
ultramoder nista Gottfried Benn si stava ancora
godendo i privilegi di un membro d’élite
dell’Accademia prussiana delle arti. E sicu ramente
potrebbe non essere una coincidenza il fatto che il

27. P. Adam, The Arts of the Third Reich, Harry N. Abrams, New
York 1992, p. 9. 28. Sul presunto nesso tra il kitsch dell’arte nazista e il
genocidio commesso dallo stato nazista si veda S. Friedlaender,
Reflections of Nazism. An Essay on Kitsch and Death , Harper & Row,
New York 1984.
29. A. Hitler, Liberty, Art, Nationhood. Three Addresses by Adolf
Hitler (pubblicati in inglese), M. Müller & Son, Berlin 1935, p. 45.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 51

Führer abbia significativamente omesso dalla sua


lista nera de gli “ismi” degenerati l’Espressionismo, le
cui credenziali ariane — come vedremo nel Capitolo
9 — erano ancora al centro di un’aspra disputa tra i
nazisti devoti. EVettivamente, anche dopo che
l’anatema venne definitivamente lanciato in maniera
uYciale sugli espressionisti pro–nazismo come Ernst
Barlach e Emil Nolde nel luglio 1937, elementi di
modernismo estetico continuarono a sopravvivere in
un modo stupefacente e stra namente durante il
regime hitleriano fiorì il design industriale modernista
per i beni di consumo durevoli.
Quindi il fatto che Wassili Luckhardt, che nel 1920
aveva pro gettato un enorme Monumento al lavoro di
cristallo che incarnava il modernismo architettonico
nella sua forma più utopistica, nel 1934 avesse
proposto una struttura di vetro simile a diamanti per il
Deutsche Arbeiterfront (DAF o Fronte tedesco del
lavoro) non è un’aporia ma un paradosso che sarà
pian piano risolto nel corso di questo libro. Oltretutto,
fu solo nel 1938 che Mies van der Rohe,
l’incarnazione del modernismo architettonico
rappresentato dal grattacielo americano, si sentì in
trappola a tal punto da sentirsi costretto a emigrare
dal Terzo Reich negli USA. In precedenza aveva
cercato l’appoggio del regime in ma niera
intraprendente e aveva partecipato alla competizione
per la costruzione della nuova Reichsbank del
regime30, nonostante la sua posizione eccezionale
nella scuola Bauhaus dell’estrema sinistra che i
nazisti si aVrettarono a chiudere subito dopo esser si
appropriati del potere, uno dei primi colpi simbolici
sferrati nella guerra contro il “bolscevismo culturale”.
(Quest’azione estremamente simbolica non impedì a
Walter Gropius, il fon datore della Bauhaus, di
presentare dei progetti sia per il DAF che per la
nuova Reichsbank di Berlino. V. Fig. 7.)
Per trattare le numerose aporie del tipo presente
nella storia del Terzo Reich gli accademici ricorrono
all’eufemismo o alla

30. Il design considerevolmente modernista dell’ampliamento alto


otto piani che Mies propose (l’opera fu tra i sei progetti finali premiati,
nessuno dei quali venne poi costruito) è stato riprodotto nel articolo
online Modernismo: quanto era brutto? al link pc.blogspot.com
(consultato il 30/11/06).
52 Modernismo e fascismo

negazione. La biografia online di van der Rohe


pubblicata in occasione dell’esposizione del
2001–2002 al MOMA, “Mies a Berlino”, riassume le
circostanze della sua emigrazione negli Stati Uniti
con la laconica frase « Verso la metà degli anni trenta
l’architetto si rese conto di avere poche prospettive
con il regi me nazista, sempre più oppressivo »31.
Sebbene ci si soVermi sul rapporto di van der Rohe
con i membri di sinistra della Bau haus e sull’eredità
della sua carriera di architetto modernista nei
paesaggi urbani di New York e Chicago, nel
documentario televisivo del 2006 di Dan
Cruickshank, Marvels of the Modern Age, si scelse
molto semplicemente di ignorare del tutto la diY cile
questione della sua prolungata cospirazione
socialista con il regime hitleriano prima del suo esilio
volontario32. Tuttavia, in un articolo successivo di
Tom DyckhoV si parla di questo “problema
irrilevante” in un modo piuttosto diverso:

AVamato di lavoro, Mies tentò di ingraziarsi il nuovo


patrono dello stato, potente e ricco, firmando una
petizione per sostenere Hitler durante il referendum
dell’agosto 1934 e aderendo al Reichskul turkammer di
Goebbels, un’alternativa progressista al ministero di
Rosenberg, che chiedeva del “sangue fresco” e nuove
forme per dare “espressione a quest’epoca”. Mies venne
selezionato per la costruzione della nuova Reichsbank
statale con un design particolar mente moderno e astratto
e Goebbels lo spinse persino a progettare l’esposizione
“Deutsches Volk, Deutsche Arbeit”. Le cose stavano
migliorando.33

31. “Mies’s life” al link www.moma.org (pagina web del Museum of


Modern Art, New York) (consultato il 13/12/05).
32. Il documentario televisivo di Cruickshank non fa riferimento agli
elementi di continuità tra la Bauhaus e il design nazista o al forte
interesse mostrato dai fascisti francesi per Le Corbusier e allo stretto
legame che questo rappresentante ugualmente iconico del
modernismo architettonico ha avuto con il regime di Vichy. Per fortuna
questi temi sono stati ampiamente trattati da Mark AntliV nel capitolo
“La Cité française: George Valois, Le Corbusier, and Fascist Theories of
Urbanism” in M. Antliff e M. Affron (a cura di), Fascist Visions: Art and
Ideology in France and Italy, Princeton University Press, Princeton (NJ)
1997. Si veda anche M. Antliff, Avant–Garde Fascism. The
Mobilization of Myth, Art and Culture in France, 1909–1939, Duke
University Press, Durham (NC) 2007.
33. T. Dyckhoff, Mies and the Nazis, Guardian, 30 novembre 2002. Si
veda
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 53

L’immagine del Reichsminister per l’istruzione


pubblica e per la propaganda, Joseph Goebbels, che
incoraggia Mies van der Rohe a concorrere per i
progetti prestigiosi del regime ci spinge a “rivisitare” il
tema della famosa jihad del Nazismo contro il
modernismo.
Un esempio ancora più lampante delle continue
incon gruenze dei rapporti del Nazismo con la
modernità occiden tale è dato dal debole di Joseph
Goebbels per il Jazz, ufficial mente bollato come il
simbolo della “musica degenerata”. Questa fisima
spiega un momento degno di nota della serata del 15
febbraio 1938, quando insieme a Hermann Goering
andò dietro le quinte del teatro Scala a Berlino per
congratu larsi con Jack Hylton, il capobanda inglese
acclamato a livello internazionale, il cui tour stava
battendo i record in tutti i botteghini della Germania
in quella primavera. (A quanto sembra, Hitler aveva
partecipato al concerto ma era tornato subito a casa.)
Non ci fu alcun lapsus da parte di Goebbels in quanto
l’evento era stato preventivamente “ripulito”. I suoi
stessi censori avevano eliminato uno spettacolo su
Shirley Temple di Maureen Potter ritenendolo “troppo
americano” e si erano assicurati che tra i membri
dell’orchestra non ci fossero ebrei34. Inoltre,
ufficialmente il patronato di Goebbels non sosteneva
il Jazz (classificato come “decadente”), bensì lo
Swing (che era “un riaffermarsi della vita”): tra poco
se ne parlerà meglio. Ciò nonostante, qualunque
fosse la vernice ufficiale da usare per l’occasione, il
breve incontro alla Scala andò ideologicamente in
controtendenza rispetto all’adula zione che Jack
Hylton aveva ricevuto in precedenza nei circoli
modernisti molto distanti dal nazismo: ne è un
esempio l’invi

arts.guardian.co.uk (consultato il 29/09/06).


34. L’aneddoto è stato raccontato da Maureen Potter durante un
programma sulla storia del Jazz intitolato “Painting the Clouds with
Sunshine” andato in onda su BBC Radio 4 il 12 novembre 2005,
10.30–11.00. Per la “storia” completa del difficile e intricato rapporto tra
il Jazz e il Nazismo, che riflette il rapporto paradossale del nazismo
con il modernismo artistico nel suo insieme, si veda M. Kater, Different
Drummers, Oxford University Press, Oxford 1982.
54 Modernismo e fascismo

to di Igor Stravinsky nel 1931 a collaborare con lui


nell’opera comica Mavra.
La presenza quasi surreale di Goebbels nel
camerino di Hyl ton può essere vista da una
prospettiva diversa dopo aver letto il suo romanzo
semi–autobiografico, Michael: diario di un destino
tedesco (1926), un’opera di stampo indubbiamente
espressioni sta sia per lo stile che per la struttura. In
un passo si racconta la visita di una mostra di pittura
moderna in cui, tra tutta la robaccia esposta,
spiccava una “stella” solitaria: Vincent van Gogh. I
suoi dipinti spinsero l’alter ego di Goebbels a riflettere
sulla natura della modernità, che descrive come «
una nuova percezione del mondo »:

L’uomo moderno è necessariamente un cercatore di dio,


forse un uomo–Cristo. La vita di van Gogh racconta
molto di più della sua opera. Egli raccoglie nella propria
persona tutti gli elementi im portanti: è un insegnate,
predicatore, fanatico, profeta — è folle. In fondo, siamo
tutti dei folli quando abbiamo un’idea in testa. [. . .] Al
Tedesco moderno non si addice tanto la saggezza e la
spiritualità, quanto piuttosto il nuovo principio, che è fatto
di risveglio senza esitazioni, di sacrificio di sé e
devozione verso il popolo.35

Una dichiarazione del genere mette in discussione


i precon cetti particolarmente consolidati sull’ostilità
del nazismo verso la modernità, il che rende
“evidente” che l’austera geometria rettilinea e lo
spoglio neoclassicismo della Haus der deutschen
Kunst (Casa dell’arte tedesca) di Paul Troost a
Monaco rappre sentano il desiderio nazista di
rifugiarsi in un passato idealizzato. Tale supposizione
sembra avvalorata dallo scopo dichiarato del la
costruzione, ovvero mostrare i prodotti artistici
“organici” della continua rinascita sociale e politica
della nazione. La nuo va collezione avrebbe illustrato
il flusso continuo di dipinti e sculture “sani” che
colmavano spontaneamente le ampie lacune
nell’eredità nazionale dovute agli spietati tagli e alle
tat

35. J. Goebbels, Michae. Ein deutsches Schicksal, Franz Eher


Press, Munich 1931, trad. it. Michael: diario di un destino tedesco, a
cura di M. Mainardi, Thule Italia, Roma 2012, p. 107–8.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 55

tiche incendiarie che i nazisti avevano usato per la


missione autoimposta di purificare la Germania dalla
decadenza cultu rale. Eppure la prolungata
convivenza di Gottfried Benn, Emil Nolde e van der
Rohe con il regime, per non parlare dell’entu siasmo
di Goebbels per Van Gogh, suggerisce che anche
queste dimostrazioni semiotiche apparentemente
indiscutibili dell’an timodernismo viscerale del
regime, come la galleria d’arte tedesca di Troost,
potrebbero meritare di essere riesaminate.
Rivalutare il legame del modernismo con il
fascismo non è solo riconoscere come il modernismo
estetico sia fiorito con Mussolini o di come abbia
mantenuto dei proseliti entusiasti con Hitler. Significa
creare una “lente” attraverso cui osservare la cultura
fascista e nazista completamente diversa da quella
oVerta da Norberto Bobbio o Peter Adam, una che per
lo meno renda possibile contemplare la possibilità che
nella produzione culturale del regime fosse coinvolta
qualcosa di più della “pro paganda totalitaria”. Si
consideri, ad esempio, il discorso fatto da Hitler il 17
luglio 1937 alla cerimonia di apertura della Casa
dell’arte tedesca. In esso aVermava che la
costruzione di Troo st sarebbe stata « un punto di
svolta, avrebbe messo fine alla caotica e
raVazzonata architettura del passato », il simbolo
dello sforzo dello Stato per gettare « le basi per uno
sviluppo nuovo e imponente dell’arte tedesca »36. Il
discorso non lascia alcun dubbio sullo scopo della
nuova galleria d’arte: mostrare del l’arte che rifiutava
lo sperimentalismo dell’estetica modernista per
celebrare i “valori eterni”. Tuttavia, una volta
considerata la possibilità che la costruzione
rappresentasse veramente per Hitler un “nuovo
inizio”, un’Aufbruch per una nuova era, al cuni
passaggi del catalogo pubblicato per ricordare
l’occasione assumono un nuovo significato, per
esempio il vantarsi del fatto che la struttura
incorporasse il riscaldamento centraliz zato a gas più
recente, un sistema di aria condizionata e un

36. Il discorso di Hitler per l’apertura della Casa dell’arte tedesca, 17


luglio 1937, estratto da R. de Roussy de Sales (a cura di), Adolf Hitler.
My New Order, Angus and Robertson, London 1942, pp. 335–6.
56 Modernismo e fascismo
moderno rifugio antiaereo. Se si pensa in maniera
tradizionale, si è portati a ignorare gli elementi
moderni di palazzi quali la Casa dell’arte tedesca, la
Casa del Fascio a Como o la co struzione completa
di nuove città come Sabaudia in zone delle Paludi
Pontine in cui un tempo c’era la malaria: li si conside
ra solo sintomi del cinismo fascista nella
manipolazione della cultura. Tutti gli elementi di
indiscutibile modernizzazione vengono ignorati in
quanto servono unicamente a realizzare un’idea
fondamentalmente reazionaria e regressiva del
futuro, un « antimodernismo utopistico »37.
L’osservazione di questa problematica dalla
prospettiva che si sta qui delineando almeno ci invita
a considerare la possibilità per cui, in modi notevol
mente diversi, sia i fascisti che i nazisti non stessero
rifiutando la modernità, ma stessero usando il
patrimonio edilizio per gettare le basi per una
modernità alternativa. Stavano cercando, quindi, di
realizzare un modernismo alternativo.
È questa, perlomeno, la prospettiva data da Hitler
stesso nella conclusione del suo discorso, anche se
ovviamente evita ogni riferimento alla “modernità” o al
“modernismo”, due ter mini pieni di connotazioni
decadenti. Racconta al suo pubblico che, sebbene
all’arte spettino dei compiti nuovi e importanti —
un’aVermazione che sarebbe stata appoggiata in
maniera entusiasta da molti modernisti all’inizio del
XXI secolo — « non è l’arte a creare nuove epoche ».
Queste nascono solo quando la vita di intere
popolazioni assume forme nuove e va alla ricerca di
un’espressione nuova38. In un discorso del genere il
rifiuto nazista del modernismo artistico è chiaramente
legato a ciò che Frank Kermode chiama la “creazione
delle invenzioni” di cui si ha bisogno per “creare del
nuovo”. È anche in sintonia con ciò che Hayden White
chiama « l’anticipazione di una nuova forma di realtà
storica » e annuncia una variante del modernismo in
un senso totalizzante che trascende il campo dell’arte
“pura”.

37. H. A. Turner, “Fascism and Modernization”, in H. A. Turner (a


cura di), Reappraisals of Fascism, Franklin Watts, New York 1976, p.
131.
38. de Sales (a cura di), Adolf Hitler. My New Order, pp. 335–6.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 57

1.5. Un’“interpretazione sinottica” del


modernismo fasci sta?

Il discorso di Hitler nel luglio 1938 annunciava il


compito da lui stabilito per l’arte tedesca: mostrare e
ispirare il processo di rinascita nazionale, la sua
ripresa trionfale dagli anni di de cadenza di Weimar
che avevano preceduto il Terzo Reich. Per fortuna il
compito che mi sono prefissato in questo libro è
considerevolmente meno epocale e consiste nello
stabilire una nuova struttura concettuale entro la
quale studiare il rapporto del modernismo con il
fascismo: una struttura che possa essere utile agli
storici nei vari settori che hanno un impatto sulle
dinamiche della storia moderna, soprattutto nelle sue
manife stazioni più estreme, assolutamente
irrazionali o distruttive. Il suo scopo è di risolvere non
solo le tensioni e l’ambivalenza che si incontrano
costantemente nella storia della cultura fasci sta ma
anche i palesi paradossi continuamente generati
dagli studiosi dell’argomento, come l’insistenza di
Henry Turner sull’“utopismo antimoderno” del
fascismo e lo studio di JeVrey Herf sul “modernismo
reazionario” che presumibilmente si ebbe quando gli
irriducibili conservatori nazisti abbracciarono
incondizionatamente la tecnocrazia moderna.
Il bisogno di maggiore chiarezza e rigore
concettuali in que sto settore viene sottolineato da
una brillante raccolta di saggi accademici scritti per il
catalogo della mostra “Modernism– Designing a New
World 1914–1939” (Modernismo–Disegnando un
nuovo mondo 1914–1939) allestita al Victoria and
Albert Museum a Londra nel 2006. Come suggerisce
il sottotitolo, il catalogo segna una rottura radicale
con gran parte delle ope re precedenti: gli undici
saggi, nel loro insieme, sviluppano un quadro
importante della spinta del modernismo estetico
verso l’Aufbruch storica, del suo desiderio di
controllare il po tere dell’arte e del design per fornire
una nuova visione a un mondo moderno che ha un
urgente bisogno di rinnovarsi dal punto di vista
sociale e metapolitico. Eppure, allo stesso tempo,
portano avanti quella confusione tassonomica che ha
spinto
58 Modernismo e fascismo

Dan Cruickshank a ritenere Casa Malaparte a Capri


di spirito profondamente non–fascista, mentre essa
venne resa possibile proprio dalla cesura che, agli
occhi di chi si era sinceramente convertito alla nuova
era, il Fascismo attuò nei confronti della storia
italiana durante il liberalismo.
Perciò, mentre il saggio di Christina Lodder,
“Searching for Utopia” (Alla ricerca dell’utopia),
evidenzia da un lato il ruolo centrale che il
modernismo ha avuto nei giorni pio neristici della
Rivoluzione russa, dall’altro sorvola sulla col
laborazione di Le Corbusier con il fascismo
francese39. In maniera simile, il capitolo di David
Crowley sui “moderni smi nazionali” fa solo una
brevissima allusione al rapporto tumultuoso ma
prolungato del Futurismo con il Fascismo40, senza
tentare di identificare la matrice ideologica sottostante
che ha permesso a forti correnti del modernismo
artistico e architettonico di prosperare durante il
regime fascista in sieme ad altre apparentemente più
“reazionarie”. A prima vista la sezione sul Nazismo
sembrerebbe più promettente dato che, una volta
tanto, gli ostinati tentativi di van der Rohe per
ottenere l’appoggio del Terzo Reich sono
documentati senza ritoccare i dati storici e la vasta
adozione dei princìpi di design della Bauhaus
nell’ambito dei beni di consumo e della tecnologia
nazisti è pienamente riconosciuta. Tuttavia, Crowley
rivela un’insicurezza considerevole sulla “struttura
analitica” appropriata per spiegare la presenza di
queste “biz zarre dicotomie” in un regime tristemente
noto per i suoi atti barbarici pianificati contro il
modernismo e l’umanità. È felice di descrivere la
controversa questione della modernità del Nazismo
come una “che ha messo alla prova gli storici”,
appellandosi ai lettori ansiosi di esplorare più a fondo
sia la teoria del “modernismo reazionario” di Jeffrey
Herf che la teoria molto più radicale del nazismo
come “una versione

39. C. Lodder, “Searching for Utopia”, in C.Wilk, Modernism


1914–1939, pp. 23–70.
40. D. Crowley, “Nationalist Modernisms”, p. 352.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 59

totalitaria del moderno” di Peter Fritzsche, senza


tentare di risolvere i loro considerevoli attriti41.
Con questo libro si vuole superare la condizione
inaccettabi le degli studi modernisti che incidono sul
fascismo nel modo illustrato nel catalogo della
mostra — che per altri versi rap presenta
chiaramente lo “stato dell’arte” in questo settore di
storia culturale — dando ciò che nell’Introduzione,
seguendo Detlef Peukert, abbiamo indicato come
un’« interpretazione storica sinottica » del rapporto
tra il modernismo e il fascismo. Utilizzando la
letteratura secondaria esistente, costruiremo il tipo
ideale di entrambi gli “ismi” che, quando applicato
all’Italia fascista e alla Germania nazista, mostrerà
una profonda paren tela strutturale tra i due, una
parentela che dissolve i paradossi e i silenzi
imbarazzanti che sorgono quando si immagina che le
culture dell’Italia fascista e della Germania nazista
fossero fondamentalmente antimoderne o
antimoderniste. Si tenterà di dimostrare, invece, che
per ragioni storiche comprensibili esisteva un’aYnità
elettiva tra entrambi i fenomeni per cui, come dice
Marcel Proust in Alla ricerca del tempo perduto, «
ogni “sebbene” è un “perché” incompreso ». Per
esempio, è proprio perché il fascismo è stato un
fenomeno intrinsecamente mo dernista che ha potuto
ospitare alcune forme del modernismo estetico tanto
in accordo con la causa rivoluzionaria che sta va
portando avanti e contemporaneamente
condannarne altre in quanto decadenti, oltre ad
impartire una dinamica modernista a delle forme di
produzione culturale normalmente associate a una
“reazione” retrograda e alla nostalgia per gli idilli del
passato. Alla luce di quanto segue, un regime che
celebra il passato in nome del futuro, o in cui gli
occultisti si mescolano ogni giorno con gli ingegneri e
gli scienziati alla ricerca della rigenerazione razziale,
diventa totalmente compatibile con il modernismo, a
prescindere da quanto veementemente rifiuti le
particolari trasformazioni della modernità presentate
come progressive dall’umanesimo liberale o
“illuminato”.

41. Ivi, p. 358.


60 Modernismo e fascismo

La costruzione di questa « interpretazione storica


sinottica » comporta un’indagine prolungata sulla
natura del modernismo come reazione alla
condizione della modernità occidentale, principale
argomento dei capitoli 2–4. Tuttavia in questa pri ma
fase, prima di avventurarci nella ricerca di un modo
per uscire dall’impasse del contorto rapporto del
modernismo con il fascismo, è necessario rimuovere
un’altra impasse, stavolta di natura metodologica. Il
primo ostacolo che un aspirante ri cercatore deve
superare per costruire un ampio resoconto di questa
relazione del tipo visto qui non è solo l’assoluta enor
mità dei fenomeni storici che potenzialmente
abbraccia e la natura ampiamente contestata di ogni
concetto chiave e ogni presunto legame che include,
ma la natura estremamente di scutibile
dell’ambizione di creare una struttura interpretativa
sinottica.

1.6. L’eVetto babele nel mondo accademico

Non c’è niente di eccezionale nella confusione di


particolari fenomeni compresi nei termini
“modernismo” e “fascismo” dato che molti degli “ismi”
abbracciano aree di dati empirici ben al di là della
comprensione della mente umana individuale, per
quanto entusiasta essa sia. Inoltre, ogni concetto
generico — e non solo quelli che terminano in “ismo”
— ha dato origine al proprio dibattito accademico su
quali siano le proprietà per definire il termine, sulla
linea di demarcazione che lo separa dai termini
adiacenti oppure su come si colleghi ai termini che si
sovrappongono ad esso. Di fatto uno degli elementi
caratte ristici di qualsiasi indagine accademica seria
su un fenomeno generico è il fatto che inizi con
un’ampia discussione della de finizione e della
metodologia al fine di stabilire lo scopo e la sfera
d’azione del progetto.
Pertanto l’introduzione di Malcolm Bradbury e
James Mc Farlane alla loro mirabile antologia di
saggi sui tanti aspetti del modernismo sottolinea
quanto sia stato diYcile per i critici
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 61

« trovare una data o un luogo » per il Modernismo ed


eviden zia il fatto che sia stato soggetto ad una «
estrema confusione semantica »42. Nell’introduzione
al catalogo non meno pionie ristico della mostra sul
Modernismo al Victoria and Albert Museum, che
abbiamo già citato, Christopher Wilk aVerma che «
l’ubiquità [del termine] nasconde una vaghezza
sorpren dente e un’ambiguità di significato » e ci fa
notare che anche nell’area circoscritta delle arti
visive « ha significati diversi, a volte contraddittori
»43. Esiste inevitabilmente una situazione
direttamente parallela negli studi sul fascismo in cui
gli acca demici si danno un gran da fare per stabilire
come il loro uso del termine sia in accordo o
diVerisca da quello di altri esperti, a volte riservando
un bel po’ di vetriolo a quelli con cui sono in
disaccordo44. Per quanto riguarda il modernismo,
sono state dedicate intere monografie e raccolte di
saggi alla definizione del termine45 o al ripetuto
dibattito sulla sua semantica46.
Questa non è la sede adatta per discutere delle
ragioni epi stemologiche tecniche per cui su tali
problematiche gli spe cialisti non riescono a
raggiungere un’unanimità o per cui, se realizzata,
sarebbe un’utopia con implicazioni sinistre per l’in
dagine accademica. Tuttavia, forse vale la pena far
notare che, nonostante “l’eVetto Babele” generato tra
gli esperti da ogni termine irriducibilmente polisemico
nelle scienze umane, in ogni campo di studio si
ottengono ancora dei veri progressi
42. M. Bradbury, J. McFarlane (a cura di), Modernism 1890–1930,
Penguin, Harmondsworth 1976, pp. 30–1.
43. C. Wilk, “Introduction: What was Modernism?”, in C. Wilk,
Modernism 1914– 1939, pp. 12–13.
44. Un paio di esempi : A.J. Gregor, Phoenix, Transaction, New
Brunswick (NJ) 1999; M. Mann, Fascists,Cambridge University Press,
New York 2004. 45. Per esempio: R. Paxton, The Anatomy of Fascism ,
Alfred A. Knopf, New York 2004, trad. it. Il fascismo in azione, a cura di
A. Catania, Mondadori, Milano 2005; R. Griffin con M. Feldman,
Fascism: Critical Concepts in Political Science, Routledge, London
2004, vol. I: “The Nature of Fascism”.
46. Per esempio: l’introduzione di A.J. Gregor a Interpretations of
Fascism (2a ed.), Transaction, New Brunswick (NJ) 1997; R. Griffin, W.
Loh e A. Umland (a cura di), Fascism Past and Present, East and
West. An International Debate and Concepts and Cases in the
Comparative Study of the Extreme Right, Ibidem, Stuttgart 2006.
62 Modernismo e fascismo

e non solo attraverso l’accumulo continuo di


conoscenze o “dati” attraverso la ricerca primaria. La
spinta principale è il dialogo infinito tra specialisti che
hanno strutture concettuali, ipotesi e punti di vista
contrastanti, purché il dialogo avvenga con uno
spirito accademico collaborativo. Il nocciolo di quanto
aVermava CliVord Geertz più di quaranta anni fa per
l’antropo logia sociale vale sicuramente per tutte le
discipline che hanno a che vedere con i fenomeni
umani: « L’analisi culturale è in trinsecamente
incompleta [. . .] L’antropologia, o per lo meno
l’antropologia interpretativa, è una scienza i cui
progressi sono contrassegnati più da un raYnamento
dei dibattiti che da una perfezione di consensi: quello
che migliora è la precisione con cui ci tormentiamo a
vicenda »47.
1.7. La crisi metodologica degli studi umanistici

Questo libro vessa senza dubbio molti esperti delle


varie disci pline in cui sconfina ma è stato realizzato,
per lo meno secondo le intenzioni consce dell’autore,
con il duplice intento di aYnare il dibattito e
incoraggiare in maniera più precisa la formulazio ne
delle questioni che vengono contestate. Peraltro, si
vuole anche oVrire una nuova “interpretazione
sinottica” che cambi o ridiscuta alcune delle linee di
demarcazione convenzionali tra le discipline che
hanno a che fare con il fascismo, il modernismo e il
loro legame. Tale questione è diventata
particolarmente spinosa fin dal “fin–de–siècle” del XX
secolo. Nei due decenni successivi alle missioni
culturali di Geertz per stabilire il ruolo cruciale giocato
dalla cosmologia, dal simbolismo e dal rito non solo
nella legittimazione del potere politico ma nella
costituzio ne della raison d’être dello stato, il terreno
su cui camminano gli scienziati e l’aria intellettuale
che respirano sono stati modificati

47. C. Geertz, The Interpretation of Cultures, Basic Books, New York


1973, trad. it. Interpretazione di culture, a cura di E. Bona, M. Santoro, il
Mulino, Bologna 1987, pp. 68–9. Enfasi mia.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 63

da un importante processo culturale. Noto in breve


come “cul tural turn” (CT, “svolta culturale”)48, e
alimentato almeno in parte da una tripla coalizione di
“ismi” formidabili (postmoder nismo, poststrutturalismo
e decostruzionismo), in ogni campo di ricerca si è
istallato, secondo alcuni con la cattiveria di uno
spyware, un notevole disagio metodologico. Tutti gli
aspiranti esperti si sono accorti, con gioia o
dispiacere, della soggettività che condiziona ogni
conoscenza umana, della natura costruita dei concetti
chiave usati per esplorare il mondo e, quindi, della
radicale incompiutezza e dell’arbitrarietà intrinseche
in ogni dichiarazione per formulare “verità” definitive o
per fornire la “visione d’insieme” di un qualsiasi
argomento.
Questo excursus metodologico è tipico del clima
oppres sivo della riflessività con cui ci si dedica
adesso alla ricerca accademica e che costringe gli
esperti a diventare abili nel lot tare con la loro stessa
ombra. Si tratta di un clima di dubbio e introspezione
che spesso agisce da profilattico contro tutte le
“meta–narrative” e che, nel caso in questione, mette
fortemente in discussione l’adeguatezza dell’utilizzo di
un’« interpretazione storica sinottica » del legame tra
due aree di fenomeni empirici potenzialmente vaste
come il modernismo e il fascismo. La fe rocia degli
attacchi postmoderni contro l’arroganza di un’epoca
più naif ha costretto intere discipline a “mettersi sulla
difen siva”. È per questo che un importante storico
come Richard Evans si è sentito moralmente
obbligato a scrivere un libro in difesa della sua
disciplina49, mentre un gruppo di antropologi si è
impegnato a formulare delle strategie per “ritrovare” il
loro settore50, a dispetto delle accuse secondo le quali
ora tutti gli ac

48. Sull’argomento ci sono due libri importanti: F. Jameson, The


Cultural Turn.Selected Writings on the Postmodern, 1983–1998, Verso,
London e New York 1998; V.E. Bonnel, L. Hunt (a cura di), Beyond the
Cultural Turn, University of California Press, Berkeley 1999. Si veda
anche il sito del Cultural Turn al link www.soc.ucsb.edu (consultato il
12/05/06).
49. R. Evans, In Defence of History, Granta Books, London 2000.
50. R. Fox (a cura di), Recapturing Anthropology. Working in the
Present, School of American Research Press, Santa Fe (NM) 1991.
Per un esempio più eloquente del
64 Modernismo e fascismo
cademici sono intrappolati in un “relativismo assoluto”
dovuto alla teoria poststrutturalista. Le loro opere
sono un tentativo di fuga — più Ausbruch che
Aufbruch — dall’autismo concettuale in cui « si
dissolvono i confini tra la storia e la finzione » e « la
linea di demarcazione tra la storia e la storiografia, tra
la com posizione storica e la teoria storica viene
cancellata »51. Come conseguenza si rende
impossibile comunicare al resto della società
qualunque cosa di oggettivo, definitivo o significativo.
Ora che gli eVetti del sisma metodologico del tardo
XX seco lo si sono fatti strada negli studi umanistici, si
potrebbe dedurre che per l’avvenire saranno
ammesse solo costruzioni mode ste, a prova di
terremoto, a un piano (o piuttosto senza alcun
piano). Gli edifici torreggianti di congetture, senza
contare i grand récits omnicomprensIvi, possono
apparire grotteschi e inaccettabili, così come le
soluzioni a più piani per gli alloggi economici che
hanno sfregiato il paesaggio urbano degli anni
sessanta (e per i relativi motivi). Nonostante ciò,
questo libro si basa su un’altra premessa: una via
d’uscita dall’evidente vicolo cieco che consiste
nell’insistere sul bisogno della narrazione come
mezzo per catturare o trasmettere la verità,
nonostante si sia consapevoli dei suoi difetti
intrinseci. Ciò implica uno stato paradossale della
mente da parte dello scrittore, accennato in un passo
dello straordinario romanzo modernista di Virginia
Woolf, Le onde (1931), in cui a un certo punto
Bertrand espone il dilemma del riconoscere la qualità
ingannevole di ogni storia pur comprendendo, allo
stesso tempo, che c’è bisogno delle storie per
comunicare la realtà vissuta:

Ma per farti capire, per consegnarti la mia vita, devo


raccontarti una storia — e sono tante, così tante le storie
— storie d’infanzia, storie di scuola, di amore, di
matrimonio, di morte ecc. ecc. Nessuna è vera

tono di cautela metodologica, delle rivendicazioni modeste della


disciplina e della diYdenza delle metanarrative che caratterizza
l’antropologia sociale contemporanea, mentre si ha allo stesso tempo
un’ampia panoramica della vasta gamma di fenomeni contemporanei
che abbraccia, si veda W. James, The Ceremonial Animal. A New
Portrait of Anthropology, Oxford University Press, Oxford 2003.
51. R. Evans, In Defence of History, p. 102.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 65

[. . .] E come non mi fido di quei bei progetti di vita, così


precisi, tracciati su un foglio di carta da lettere. Comincio
a desiderare un linguaggio a parte, come quello degli
innamorati, parole smozzicate, inarticolate, simili allo
scalpiccio dei piedi sul selciato.52

1.8. “Gli studi umanistici riflessivi” e l’itinerario di


questo libro

I prossimi dieci capitoli non formulano un’ipotesi


verificabile sul rapporto complementare del
modernismo con il fascismo durante i regimi di
Mussolini e Hitler; piuttosto oVrono un’in
terpretazione generale nuova di questo rapporto che
sfida, ma non può “confutare”, le supposizioni
prevalenti sulla sua natu ra. In alcuni attacchi sulle
“metanarrative” storiografiche si è insinuato che
l’epistemologia postmodernista abbia in qualche
modo respinto la possibilità di comprendere in una
maniera razionale progressiva la realtà a cui aspira il
“progetto Illumi nismo”. In altri termini, una volta
compresa correttamente, la riflessività della
cognizione umana sventa qualunque tentati vo di
produrre delle interpretazioni sinottiche ancora prima
che esse lascino la scrivania. L’assioma di questo
libro, invece, è che, una volta esaminate le
implicazioni con la conoscenza, la riflessività diventa
un principio metodologico che eVettiva mente
contribuisce in modo positivo al tentativo di apportare
un’Aufbruch nell’indagine di questioni complesse e
contestate, come la correlazione tra gli studi sul
modernismo e quelli sul fascismo. Si suggerisce una
tattica per aVrontare il problema della riflessività, una
tattica che evita di far entrare in uno sta to di
negazione — sia essa basata sull’ignoranza o sulla
sola arroganza — riguardo alla componente
soggettiva, costruita, direttamente collegata al vero e
proprio processo di acquisi zione della conoscenza.
Allo stesso tempo essa non renderà

52. V. Woolf, The Waves (1931), Penguin, London 2000, trad. it.
Romanzi, a cura di N. Fusini, Mondadori, Milano 2002, p. 1059.
66 Modernismo e fascismo

necessario fare ricorso all’espediente del “pensare in


piccolo” nel tentativo di limitare i danni.
La metodologia adottata in questo libro implica
“l’andare a letto con il nemico”, in maniera conscia e
volontaria53 (e forse anche appassionata), implica il
riconoscimento della riflessività imposta dalle
prolungate svolte culturali che ci sono state nella
storia dell’arte e nella storia intellettuale, sociale e
politica, ren dendola parte integrante della
formulazione e dell’applicazione della tesi centrale
che struttura ogni monografia di ricerca. A questo
punto, lo schema narrativo, o Gestalt, che dà forma
al la ricostruzione e all’analisi del segmento di realtà
oggetto di studio non si presenta più come la
“metanarrativa di controllo” introdotta di nascosto, a
volte perfino all’insaputa dell’autore, nell’analisi
aYnché il critico perspicace la scovi. Diventa, invece,
una metanarrativa riflessiva, consapevolmente
conoscitiva ed euristica, costruita con semplicità, che
dissolve le connotazioni subliminali sinistre del
prefisso “meta” che creano solo miti. Potrebbe anche
trattarsi, come in questo caso, di un’interpre tazione
sinottica sistematica, un grand récit completo, che
però non ha mai pretese “totalizzanti”.
Callum Brown, professore di Storia religiosa e
culturale, ha scritto un manuale di primo soccorso
utile per quegli storici che potrebbero essersi accorti
solo ora che il postmodernismo, come un tarlo, ha
silenziosamente eroso le solide fondamen ta del
“dato empirico” e dell’“oggettività” dell’analisi storica
tradizionale. Sostiene che « la maggior parte degli
storici rara mente è riflessiva come gli studiosi di
altre discipline, come l’antropologia »54 e avverte che
« quanto più l’ipotesi dello sto

53. Per le persone in grado di leggere il tedesco e interessate ai


problemi meto dologici qui aVrontati, raccomando il periodico Erwägen
Wissen Ethik (Riflessione, Conoscenza, Etica), che ha come missione
la creazione di un ethos nelle scienze umane più riflessivo, sofisticato
dal punto di vista metodologico e basato sulla col laborazione, ciò che
viene detto Erwägungskultur (“cultura deliberativa”). Il sito è
iug.uni–paderborn.de (visitato il 12/05/06).
54. C. Brown, Postmodernism for Historians, Pearson Education,
London 2005, p. 134.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 67

rico è complessa, tanto più si avvicina alla dinamica,


all’am piezza e alla certezza sconvolgente della
metanarrativa »55. Un esempio dell’impatto
debilitante del postmodernismo sull’e thos
professionale usato attualmente dagli storici è il fatto
che Brown ignori la possibilità per cui delle belle
ipotesi coraggiose, omnicomprensive, estremamente
speculative (“interpretazioni storiche”) siano ancora
lecite, fintantoché vengano formulate in maniera
convincente (e non siano implicite), siano verificate
scrupolosamente — non “assodate” — tramite dei
riferimenti a una vasta gamma di fonti secondarie (e
non siano ricavate dal nulla) e siano applicate quanto
più scrupolosamente possibile all’interpretazione di
fenomeni storici concreti. Diventando riflessiva, la
metanarrativa storiografica deliberatamente non–
totalizzante può sicuramente smettere di
“sconvolgere” anche quegli storici che “si sono dati
una svolta” e si potrebbe perfi no lasciarle rioccupare
la sua funzione originale che consiste nell’essere
rivelatrice, nello stimolare un dibattito nuovo, una
ricerca nuova e una comprensione più profonda del
“come stavano eVettivamente le cose”.
La tesi esaminata in questo libro è irriducibilmente
“gros sa”. Essa afferma che una matrice
psico–culturale fondamen talmente omogenea e
uniforme non genera solo una stupe facente
proliferazione di forme eterogenee di modernismo
estetico, culturale e sociale, ma condiziona anche,
senza de terminarle, le ideologie, le politiche e la
prassi del fascismo generico. In breve, si afferma che
il fascismo può proficua mente, ma non
esclusivamente, essere analizzato come una forma
di modernismo. Se tutto va bene, anche gli storici tor
mentati dall’abisso di relativismo infinito riterranno
che la sua natura costruita sia sufficientemente
evidente, che la sua conferma empirica sia
sufficientemente rigorosa e che il suo valore euristico
sia sufficientemente forte per soddisfare la scala
epica ormai antiquata della sua metanarrativa. Per i
let tori che ancora non sono convinti della solidità
metodologica

55. Ivi, p. 149.


68 Modernismo e fascismo

di quest’opera ho creato un’appendice con ulteriori


riflessioni metodologiche.
L’immagine romantica evocata nell’Introduzione del
salpare in maniera avventurosa verso un nuovo
orizzonte di compren sione potrebbe già sembrare un
lontano ricordo di giorni più innocenti. Tuttavia,
dovrebbe apparire subito chiaro il fatto che il viaggio
epico è stato solo ritardato per un po’ per delle
ragioni tecniche, cioè per proteggere l’analisi
“totalizzante” che deriva dalle accuse di ingenuità
metodologica o di completa pazzia. Ora che abbiamo
aVrontato la questione, possiamo fi nalmente fornire
un schema più chiaro dell’itinerario. La Parte uno
(capitoli 2–4) è dedicata a un’« interpretazione
sinottica sistematica » della natura del modernismo e
sottolinea l’im portanza per il suo funzionamento di
un bisogno primordiale umano di erigere delle
elaborate difese psico–sociali contro la possibile, o
piuttosto la sicura, estinzione personale, contro la
consapevolezza per cui non solo “noi” moriremo
“tutti”, ma che “io morirò”: cosa che Lev Tolstoy ha
esplorato benis simo nel racconto La morte di Ivan
Il’iˇc (1886). Nel capitolo 5 questa teoria viene usata
per mostrare l’aYnità fondamentale che esiste tra
delle iniziative culturali e sociali apparentemente non
legate tra loro e intraprese tra il 1850 e il 1914, il cui
scopo era bandire la decadenza e rivitalizzare la
società moderna, se non globalmente almeno
localmente. Nel capitolo 6 si aVerma che un’identica
rigenerazione che riguardi l’ambito cosmolo gico e
sociale caratterizza il modernismo politico, un
termine che ingloba diverse reazioni politiche nei
confronti dell’impat to distruttivo che la
modernizzazione ha sul senso personale di
“trascendenza” e “appartenenza”, aggravato da
particolari configurazioni della crisi storica causata
dalla modernità. Ci si focalizza anche sulla principale
forma di modernismo politico che ci interessa, ossia il
fascismo, e si oVre un tipo ideale di questo termine
tanto contestato. La Parte due viene dedicata
all’applicazione dei modelli di modernità, modernismo
e fasci smo emersi per comprendere gli aspetti
dell’ideologia, delle politiche e della prassi del
Fascismo e del Nazismo.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 69

L’edificio teoretico che ne risulta può essere


concettualiz zato come una costruzione modulare
fatta di vari tipi ideali incastrati e ampiamente
elaborati: un tipo ideale di “natura umana” nel suo
scontro con la mortalità in un mondo che non ha
trascendenza “oggettiva”; un gruppo di tipi ideali
associati al “moderno”: modernizzazione e
modernismo, così come an che modernità e
postmodernità intesi come concetti d’epoca, e un tipo
ideale di fascismo. Tutti insieme questi formano il
belvedere da cui si può costruire il legame del
modernismo con il fascismo, sebbene la metafora sia
fuorviante in quanto implica una visione passiva e
non un processo dinamico di ricostruzione
interpretativa.

1.9. Julius Evola rivisitato

Se queste riflessioni metodologiche hanno dato un


cambio di direzione sconcertante alla nostra
narrazione allontanandola dalla “fattualità” del
modernismo e del fascismo, possiamo ra pidamente
riconnetterci empiricamente al nostro argomento,
fornendo allo stesso tempo un aggancio al tema che
si svilup perà nei prossimi capitoli, citando il caso di
Julius Evola. Anche se è in uno stato grezzo,
embrionale, la nostra tesi ci aiuta a trasformare in
semplici paradossi le contraddizioni altrimenti
sottintese nella transizione che lo portò dai circoli
futuristi pre bellici all’essere il principale esponente
del Dadaismo tra il 1920 e il 1923, un’importante
esperto di esoterismo a partire alla fine degli anni
venti e, nella metà degli anni trenta, il formulatore di
una propria filosofia totalizzante della storia, il
Tradizionalismo, alla pari con Il tramonto
dell’Occidente di Oswald Spengler. Nel 1941 si era
già trasformato in un nazifascista infervorato ed era
diventato un razzista “spirituale”, anche se era
ancora profon damente antisemita. Divenne il guru
del “terrorismo nero”, dell’Eurofascismo e della
Nuova Destra dell’Italia postbellica. In ogni fase della
sua vita è rimasto fedele alla ricerca di una “cura” per
la crisi della modernità.
70 Modernismo e fascismo

In questo libro si aVerma che c’è una matrice


comune dietro il modernismo nella stupefacente
eterogeneità di manifestazio ni concrete con cui gli
storici sono stati alle prese per decenni. Si aVerma
che questa matrice viene proficuamente vista come la
ricerca della trascendenza e della rigenerazione, sia
essa limi tata alla ricerca personale di eYmeri
momenti di ispirazione o estesa al punto da diventare
un movimento culturale, sociale o politico per il
rinnovamento della nazione o di tutta la civiltà
occidentale. La spinta al rinnovamento potrebbe
anche tentare di rigenerare un’intera epoca storica
sentita come “decaden te” — ma non estremamente
e inesorabilmente decadente — identificando un
portale nel tempo lineare che conduca alla possibilità
di una rinascita.
La prova che quest’interpretazione è applicabile
alla lunga e tortuosa strada percorsa da Evola
attraverso l’Europa della metà del XX secolo ci viene
data dalla sua autobiografia “spirituale”, Il cammino
del cinabro, titolo che sottintende una trasformazione
alchemica. In esso Evola spiega qual era per lui
l’importanza del movimento Dada all’indomani della
Prima guerra mondiale:

Il dadaismo non voleva essere semplicemente una nuova


tendenza dell’arte d’avanguardia. Difendeva piuttosto
una visione generale della vita in cui l’impulso verso una
liberazione assoluta con lo sconvolgimento di tutte le
categorie logiche, etiche ed estetiche si manifestava in
forme paradossali e sconcertanti.56

Dal canto suo, Evola era attratto dal Dada per il


“brivido del risveglio” instillato nella sua campagna
per imbarcarsi in « un gran lavoro distruttivo,
negativo » necessaria per “ripulire” la sporcizia della
modernità. In altre parole, è stato attirato dalla lo gica
arcaica di ciò che più avanti definiremo come
“nichilismo attivo” e “creazione distruttiva”. Spronato
da un’acuta sensazio ne dell’imminente collasso della
civiltà, cercava disperatamente l’Aufbruch in una
nuova realtà oltre quella oVerta dalla cultura e dalla
politica uYciale dell’Italia giolittiana. Quando pubblicò

56. J. Evola, Il cammino del cinabro, Vanni Scheiwiller, Milano 1972,


p. 22.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 71

Rivolta contro il mondo moderno nel 1934, si era già


convinto del fatto che il Tradizionalismo fornisse la
diagnosi più completa della decadenza del mondo
moderno. Era anche sicuro del fatto che esso
oVrisse le basi etiche e cosmologiche per il pro cesso
di rinnovamento socio–politico grazie al quale
l’avrebbe salvato dal collasso totale inaugurando la
rinascita della civiltà (europea), la sua palingenesi57.
Si trattava di « un fascismo più radicale, più
intrepido, un fascismo veramente assoluto, fatto di
forza pura, inaccessibile ad ogni compromesso »58.
Era anche profondamente “razzista”59.
Nel suo saggio sull’intensa storia di Evola con il
Dada, Jef frey Schnapp aVerma che, seppur breve,
essa « instillò quella successiva rivolta totale contro
la modernità, basata sulla di fesa dell’elitismo, del
razzismo spirituale e dell’imperialismo pagano, che
spingeva Evola, l’unico tra i teorici fascisti, ol tre la
catastrofe di Benito Mussolini e Adolf Hitler,
facendolo diventare una figura di spicco del
dopoguerra »60. Il culto del la contraddizione che
incoraggiava era « uno strumento per smantellare la
morsa della logica sull’esistenza quotidiana, per
liberarsi dall’attrazione gravitazionale della logica, per
demolire il nucleo dannoso di un mondo caduto in
disgrazia »61. Grazie a questa distruzione, però, Evola
fu anche in grado di creare una visione palingenetica
del processo mondiale che si apriva a una nuova
modernità, al di là di quella “eVettivamente
esistente”.

57. L’introduzione di Evola a La tradizione ermetica nei suoi simboli,


nella sua dot trina e nella sua “Arte regia”, Gius. Laterza & Figli, Bari
1931 porta il titolo significativo “La realtà della palingenesi”. Il testo è
stato riprodotto nel sito del Centro studi La Runa
(www.centrostudilaruna.it visitato il (13/05/06). In seguito si vedrà che
“palin genesi” (dal greco “palin”, di nuovo, e “genesis”, nascita) e il
derivato “palingenetico” sono termini fondamentali nella mia
formulazione della spinta modernista e fascista verso il rinnovamento e
la rigenerazione.
58. J. Evola, Il cammino del cinabro, p. 100.
59. Il cruento razzismo e il profondo filo–nazismo di Evola, che tanti
intellettuali della Nuova Destra europea hanno tentato di far passare
sotto silenzio, sono stati scrupolosamente documentati in Germinario,
Razza del sangue, razza dello Sprito. 60. J. Schnapp, “Bad Dada
(Evola)”, p. 36.
61. Ivi, p. 39
72 Modernismo e fascismo

Ciò venne raggiunto tramite un’orgia di eclettismo


sfrenato (Schnapp identifica un sacco di fonti saldate
insieme per forma re la visione del mondo
“tradizionalista”), producendo in tal modo una vera
metanarrativa, non indebolita dal senso accade mico
di relativismo, riflessività o dalle condizioni euristiche
di ogni teoria. È stata creata di proposito come una
fonte, non di conoscenza accademica illimitatamente
opinabile, ma di gnosis, la conoscenza visionaria che
permette, a chi ce l’ha, di “agire” sul mondo e di
raggiungere una percezione di significato e di
appartenenza al di là dell’abisso di pluralismo e
nichilismo paralizzanti.
Questo concetto epocale di conoscenza intesa
come visione, tanto importante per il modernismo per
come lo definiremo, è proprio il legame sotterraneo
tra il Dadaismo di Evola e il suo Tradizionalismo e
rende più comprensibile la sua decisio ne di dedicare
un intero saggio alla celebrazione della geniale
predizione filo–nazista di Ernst Jünger della venuta
dell’homo technologicus in Der Arbeiter (1932),
dell’emergere del nuovo tipo umano del “Lavoratore”,
anche se l’élan futuristico del tedesco potrebbe
apparire ben lontano dal mondo mentale del Tradi
zionalismo62. Viene chiarito anche l’entusiasmo
risvegliato da Rivolta contro il mondo moderno,
profondamente non espressio nista,
nell’espressionista Gottfried Benn. Nella recensione
del libro scritta nel 1935 per Die Literatur, elogiò in
modo particolare Evola per aver capito che tanto il
Fascismo quanto il Nazional Socialismo stavano
trasformando “l’assioma religioso razziale” sulla base
della società umana in realtà storica. In questo modo
stavano creando le premesse

per un nuovo legame delle nazioni con la Tradizione, per


la pro duzione della storia autentica e per una nuova
legittimazione del rapporto tra lo spirito e il potere (in
eVetti è alla luce dell’inse gnamento di Evola che spicca
chiaramente la natura epocale di questi movimenti). [. . .]
In questo modo vediamo nel nome di chi avremo

62. J. Evola, L’“operaio” nel pensiero di Ernst Jünger, Armando


Armando Editore, Roma 1960.
i. I paradossi del “Modernismo fascista” 73

vissuto: nel nome della Tradizione, della trasmissione dei


valori di mondi che hanno un’esistenza più profonda, di
cicli storici remoti, del grande Impero [Reich]. Eravamo
così e così dovremo essere.63

Quindi, dopo tutto, Virilio aveva ragione? Gli


esempi di Evola e Benn fanno sicuramente supporre
una sorta di nesso tra le forme estreme del
modernismo estetico e del fascismo, anche nella sua
trasformazione nazista più radicale, cosa che fa
temere che il Futurismo e l’Espressionismo siano
direttamente legati ad Auschwitz. Nei prossimi
capitoli si aVermerà che un tale legame esiste ma è
di un tipo obliquo, indiretto, che soddi sfa molte
manifestazioni antifasciste del modernismo estetico.
Per presentare la questione in termini più concreti è
opportuno chiudere il capitolo con l’esempio di
Giuseppe Pagano, il cui destino svela l’orribile
contraddizione che può presentare il legame tra il
modernismo e il fascismo. Pagano era uno dei
principali esponenti di una forma di modernismo
architettoni co antimonumentale e razionalista che
fiorì durante il Fascismo, il cui esempio più noto è
forse la Città Universitaria di Roma. Avendo riversato
la sua creatività nel forgiare ciò che sperava sarebbe
diventata l’estetica modernista uYciale del Fascismo,
quando Mussolini intraprese la fatale alleanza con
Hitler, Paga no si alienò sempre di più e, quando
l’armistizio del settembre 1943 portò all’occupazione
nazista di ciò che rimaneva dell’Italia fascista, si unì al
movimento partigiano. Arrestato dai repub blichini di
Mussolini in quanto capo della Brigata “Matteotti”,
Pagano fuggì dalla prigione ma venne nuovamente
arrestato, torturato e mandato al campo di
concentramento nazista di Melk. Morì nel campo di
sterminio di Mauthausen nell’aprile 1945 proprio
pochi giorni prima della sua liberazione.
Le forme di tortura ed esecuzione specifiche di
quel campo consistevano nell’usare il lavoro dei
prigionieri per produrre blocchi di granito destinati ai
vasti programmi architettonici da eseguire per la
ricostruzioni di città come Linz, Monaco, Norim

63. Enfasi mia. Il testo è stato visto al link www.y–land.net


(consultato il 20/01/06).
74 Modernismo e fascismo

berga, Weimar e Berlino, simboli del risveglio della


Germania, progetti che, come vedremo,
rappresentavano l’agghiacciante gergo del
64
modernismo culturale del Nazismo . Il luogo più
tristemente noto per la soVerenza e la morte era la
Wiener Graben o “scalinata verso l’inferno”, dove i
prigionieri erano obbligati a camminare lungo un
percorso di gradini mal ta gliati trasportando blocchi
di pietra o a gettarsi dalla cima nel cosiddetto “salto
con il paracadute”65.
Pagano fu solo uno delle migliaia di intellettuali e
artisti, modernisti e non, bollati come “degenerati” dai
canoni del Nazismo e che lavorarono fino alla morte
nel campo insieme ai tanti altri presunti nemici della
purezza della razza: zingari, omosessuali e
prigionieri di guerra russi. Furono tutti vittime del
costante tentativo del regime nazista di usare le
risorse di un intero continente per trasformare la
finzione in realtà e per gettare le basi per una nuova
epoca storica, qualunque fosse il costo umano
dell’impresa. Questa iniziativa utopica era nata dalla
forma estrema di ciò che Kermode, nella dedica al
suo capitolo, chiama la “disposizione” a “rendere
nuovo” il mondo al centro del modernismo. Il loro
destino è stato determinato dalla prontezza di nazisti
convinti a collaborare alla creazione di “nuove,
inimmaginabili forme di realtà storica” alle quali
Hayden White fa riferimento nella sua dedica,
costringendo in questo modo milioni di persone a
trasformarsi in accoliti o in vittime dell’“apocalisse
moderno” che ne seguì. Il primo passo per capire
come Pagano sia riuscito ad essere tanto un
protagonista quanto una vittima di questo apocalisse
consiste nel chiarire il primo dei concetti alla base
della nostra indagine: il modernismo.

64. Per il profondo legame tra l’« economia dei progetti per la
costruzione di edifici monumentali » del Nazismo e il sistema del
campo di concentramento si veda P. Jaskot, The Architecture of
Oppression, Routledge, London 2000.
65. Si veda il sito commemorativo al link www.remember.org
(consultato il 12/11/06).

Potrebbero piacerti anche