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I Cambiamenti Dovuti Alle Nuove Conquiste e Le Riforme Dei Fratelli Gracchi

Il documento analizza l'organizzazione e le conseguenze della conquista delle province romane, evidenziando il potere assoluto dei proconsoli e propretori, la corruzione tra i pubblicani e l'impatto economico sui piccoli proprietari terrieri. Viene descritta la crisi della piccola proprietà e l'emergere del latifondo, con l'uso massiccio di schiavi, e le tensioni sociali che ne derivano, culminando in conflitti interni e guerre servili. Infine, si discutono le riforme agrarie dei Gracchi come tentativo di risolvere le disuguaglianze sociali e politiche.

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I Cambiamenti Dovuti Alle Nuove Conquiste e Le Riforme Dei Fratelli Gracchi

Il documento analizza l'organizzazione e le conseguenze della conquista delle province romane, evidenziando il potere assoluto dei proconsoli e propretori, la corruzione tra i pubblicani e l'impatto economico sui piccoli proprietari terrieri. Viene descritta la crisi della piccola proprietà e l'emergere del latifondo, con l'uso massiccio di schiavi, e le tensioni sociali che ne derivano, culminando in conflitti interni e guerre servili. Infine, si discutono le riforme agrarie dei Gracchi come tentativo di risolvere le disuguaglianze sociali e politiche.

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Le conseguenze della conquista delle province – organizzazione del nuovo territorio conquistato.

Prof.ssa Gandolfo
Potere dei proconsoli e dei propretori -> 1) poteri civili, 2) militari e 3)
giudiziari.
Il loro potere è assoluto, in quanto la loro magistratura non era collegiale
-> ciò significa che non devono condividere le decisioni (rispetto ai
consoli, che erano sempre due).

Lo strapotere dei proconsoli e dei propretori favorì casi di frequente


corruzione.

Il Senato interviene provando a istituire un tribunale, i cui risultati


furono comunque molto scarsi.

In carica solo un anno, anche se talvolta la carica era rinnovata per uno o
due anni.
Sudditi delle province romane -> sottoposti al pagamento di TASSE -> la tassazione
variava da provincia a provincia, perché i Romani preferiscono adattarsi alle tradizioni
locali.

Le tasse consistevano:
- in una quantità fissa di denaro, che andava versata a Roma (stipendium);
- in una percentuale sul raccolto (che variava ogni anno in base al racconto effettivo).
Le tasse potevano essere la conseguenza del:
- consumo di certi prodotti;
- utilizzo di particolari servizi (pedaggi).

Le altre fonti di entrate per Roma:


- lo sfruttamento dei boschi;
- l’affitto che veniva pagato per ottenere un lotto, una porzione di ager publicus, il
terreno appartenente allo Stato.
QUALI SONO I COMPITI DI ROMA NELLE PROVINCE?
- riscuotere le tasse;
- provvedere ai rifornimenti di materiali e vettovaglie per gli eserciti lontani;
- seguire la realizzazione di opere pubbliche;
- promuovere la costruzione di importanti infrastrutture, come ponti, strade, porti
ecc... per far partecipare le province alla rete di scambi e favorire il loro sviluppo
economico;
- promuovere la nascita di fabbriche di armi, corazze, vestiario militare, ceramiche e
tessuti.

Nelle province Roma CONFISCAVA I TERRITORI che poi AFFITTAVA ai cittadini romani.
Ovviamente dietro pagamento di un tributo.

CHI RISCUOTE LE TASSE A ROMA? Per riscuotere le tasse, Roma si serviva di PRIVATI
CITTADINI a cui lo Stato romano APPALTAVA la raccolta dei tributi: in pratica Roma
affidava a questi cittadini, che chiameremo PUBBLICANI, il compito di riscuotere le
tasse in cambio di una somma di denaro. Il risultato fu che la corruzione e il malaffare
si diffusero enormemente.
Essi si distinguevano in pubblicani pecuarii, aratores, decumani a seconda che l’appalto riguardasse i
pascoli, le terre arabili o la tassa (decima) sul grano.

PERCHE’ DILAGA LA CORRUZIONE?


I pubblicani non partecipavano all’assegnazione degli appalti per amore della patria. Essi stipulavano
con il Senato Romano dei contratti pubblici per vari fini: riscossione delle imposte di varia natura,
gestione delle forniture militari all'Esercito romano, il controllo e il finanziamento dei progetti di
costruzione degli edifici pubblici.
Spesso, inoltre, i pubblicani traevano arbitrariamente vantaggio dall'indeterminatezza con cui
venivano stabilite le tasse.
Essi volevano realizzare lauti guadagni e potevano raggiungere questo scopo solamente a danno dello
Stato romano e dei cittadini. Essi riservavano a proprio profitto quanto veniva introitato in più della
somma contrattata.
Essi furono sempre considerati con disprezzo. Ricorda che nella lingua italiana, la parola «pubblicano»
riveste un duplice significato: indica chi si occupava della riscossione delle imposte nell’antica Roma, ma
anche per estensione una persona avida di potere. Praticavano spesso l’usura, fornendo quindi prestiti
con tassi di interesse considerati illegali.

Mentre alcuni gruppi sociali si arricchiscono, altri si impoveriscono e cadono in rovina.


Tra questi ultimi ci sono i PICCOLI PROPRIETARI TERRIERI.
I PICCOLI PROPRIETARI TERRIERI costituivano il nerbo dell’esercito. Essi, per andare a
combattere, avevano abbandonato i loro campi per mesi, se non addirittura per anni
e, al loro ritorno, li avevano trovati incolti e spesso devastati. Molti di essi si
indebitarono e altri furono penalizzati dalla concorrenza -> dalla Sicilia, granaio
dell’impero romano, giungeva grano a buon mercato, che causò l’abbassamento dei
prezzi.
I piccoli proprietari terreni non possedevano i mezzi per trasformare le vecchie colture
in nuove, come, ad esempio, in uliveti e vigneti (assai richiesti in quel periodo) e
furono costretti a vendere, a prezzi stracciati, i loro campi ai GRANDI PROPRIETARI
TERRIERI.
Entrò in crisi la piccola proprietà e si affermò il LATIFONDO, dal latino latus, ampio, e
fundus, proprietà terriera.
Per condurre un latifondo era necessario un gran numero di lavoratori. Le guerre
avevano assicurato un’abbondante disponibilità di SCHIAVI. Il mercato degli schiavi più
importante si trovava nell’isola di Delo, dove ogni giorno ne venivano venduti 10000.
Essi non avevano diritti e potevano essere sfruttati duramente, senza ricevere un
salario.
LA CONDIZIONE DEGLI SCHIAVI
Gli schiavi, considerati degli oggetti da sfruttare all’esaurimento, vivevano in condizioni
disumane. Essi lavoravano anche dodici ore al giorno, godendo del nutrimento
necessario a far sì che sopravvivessero. Dormivano in locali sotterranei, bui e malsani,
venivano incatenati e duramente puniti, se provavano a ribellarsi.
Quando non erano più in grado di lavorare per l’età, la fatica o le malattie, venivano
lasciati morire senza alcuna cura.
ATTENZIONE: Il numero degli schiavi costretti a lavorare in queste condizioni nei
latifondi rappresentava, perciò, per i proprietari e per lo Stato un costante e pericoloso
focolaio di ribellione.
Nel 135 a.C. si ribellarono gli schiavi presenti in Sicilia. Due anni dopo, nel 133 a.C.
quelli di Macedonia e dell’Asia Minore. Tutte queste ribellioni furono represse nel
sangue.
Tra gli schiavi è doveroso anche ricordare gli SCHIAVI PRIVILEGIATI, che vantavano
migliori condizioni di vita: erano impiegati come domestici, aiutavano i padroni nelle
attività commerciali. Spesso erano schiavi intellettuali, che provenivano dalla Grecia e
venivano impiegati come pedagoghi, cioè maestri privati. La loro cultura li rendeva
degni di rispetto. Spesso venivano liberati dopo alcuni anni di servizio.
Gli schiavi emancipati dalla schiavitù diventavano LIBERTI e acquisivano i diritti di un
cittadino romano.

La villa romana era un’azienda agricola in cui lavoravano migliaia di schiavi. Essa
comprendeva due parti: l’area destinata alla produzione agricola, l’altra alla residenza
del proprietario. La vita della villa impegnava una molteplicità di lavoratori. Gli stessi
amministratori e sorveglianti erano schiavi di condizione più elevata.
Il padrone della villa passava quasi tutto il suo tempo nella grande città, attratto dal
lusso o dall’ambizione politica. Quando ritornava alla villa occupava gli edifici più
lussuosi e poco si curava della gestione delle campagne.
Per contrastare la corruzione ed evitare che il senato diventasse un covo di affaristi approfittando
delle nuove ricchezze acquisite da Roma, un tribuno della plebe fece approvare nel 218 a.C. una
legge cautelativa:

chi ricopriva cariche politiche doveva dimostrare di possedere solo terre e di non essere
coinvolto in altri affari.
Tutti gli affari finirono nelle mani dei cittadini più ricchi, che però erano esclusi dal senato e dalla
carriera politica, cioè i cavalieri: coloro che prestavano servizio militare nella cavalleria, perché
avevano sufficiente denaro per pagarsi l’armatura e il cavallo.

FRATTURA TRA
Aristocrazia senatoria , che mantenevano il controllo del potere Cavalieri/equites/pubblicani che acquisivano sempre più peso nel
politico controllo della ricchezza
• possiedono vasti terreni • non possono possedere terre
• non possono commerciare • si impadroniscono dei bottini di guerra
• non possono partecipare in qualità di pubblicano ad un appalto • possono commerciare
• hanno accesso alla carriera politica • riscuotono le tasse in terre lontane
• si occupano dei lavori pubblici,
• si occupano dell’approvvigionamento dell’esercito
• non hanno accesso alla carriera politica
LA CONCESSIONE DI AGER PUBLICUS AD ARISTOCRATICI E CAVALIERI
Lo Stato romano si impegnò a dare in concessione agli aristocratici e ai cavalieri i
territori ottenuti durante le campagne militari (gli agri publici) con il permesso di farli
fruttare fino alla loro morte.
La concessione prevedeva, però, LA RESTITUZIONE di quei territori, costituenti l’ager
publicus, ma in realtà questo non avvenne. I latifondisti allora cominciarono a
considerare di loro proprietà anche l’ager publicus. Aristocratici e cavalieri dunque
diedero vita a immensi possedimenti in cui PROPRIETA’ PRIVATA E PROPRIETA’
PUBBLICA si confondevano. Nessuno si impegnò seriamente per poter evitare tutto
ciò.
I piccoli proprietari terrieri non trovavano lavoro nei latifondi, dove invece erano
presenti gli schiavi.
Aumentò, così, il numero dei contadini senza terra, disoccupati, che si riversarono
nelle città alla ricerca di nuove occupazioni e che andarono a ingrossare le file dei
proletari (cioè di coloro che erano in possesso della sola prole).
Poiché si diventava soldati in base ai beni posseduti, l’aumento dei disoccupati portò
alla drastica riduzione dei combattenti in armi.
La divisione della società in patrizi e plebei dei secoli precedenti aveva perso la sua
importanza.
La nobilitas costituita da patrizi e plebei arricchiti costituiva la nuova classe dirigente di
Roma e controllava il Senato. Nobili erano considerati coloro che vantavano tra gli avi
la presenza, almeno, di un console.
Gli homines novi erano coloro che, pur non provenendo dalla nobiltà, erano arrivati ad
ottenere delle cariche pubbliche.

L’atteggiamento dei nobili verso gli homines novi era di solito caratterizzato da
disprezzo e da senso di superiorità.

I contadini nullatenenti, divenuti proletari, aumentarono la plebe. Costituirono il


principale serbatoio di clientele: come clientes sopravvivevano, cioè, grazie alla
protezione delle ricche famiglie: essi ricevevano protezione da esse e in cambio
dovevano votarne gli esponenti nelle assemblee.
Le assemblee perdevano così la funzione di espressione della volontà popolare e
venivano manovrate dagli aristocratici.
I CONFLITTI INTERNI
Verso la metà del II sec. a.C. Roma fu divisa da violenti conflitti politici e sociali. Gli schiavi si
ribellarono e diedero inizio alle cosiddette guerre servili.
Gli alleati italici, che chiameremo socii, pretendevano la cittadinanza romana e presero le armi
contro Roma nella guerra sociale.
Le istituzioni repubblicane non ressero tutti questi conflitti e Roma precipitò nella guerra civile.
Le divisioni all’interno della classe dirigente
Il sistema della repubblica escludeva i cavalieri dalla gestione del potere e gli alleati italici
dalla ripartizione dell’ager publicus oltre che dal diritto di voto. Gli alleati pagavano solo
pesanti tributi: più che alleati, erano sudditi.
Tra i cavalieri, esclusi dal potere politico, e gli alleati italici cresceva il malcontento.

Le diverse reazioni a questi aspetti generarono tensioni che divisero la classe dirigente in due
partiti in lotta: gli optimates, conservatori che facevano riferimento al Senato, si ergevano
quali difensori della tradizione e degli antichi privilegi; tra i populares, invece, si trovavano le
famiglie più progressiste dei cavalieri e dei plebei arricchiti. Essi combattevano lo strapotere
degli optimates. Erano chiamati così perché per raggiungere il loro obiettivo si appoggiavano al
popolo a cui promettevano terre o distribuzione gratuita di grano.
L’ASPETTO CULTURALE
L’espansione verso Oriente sottopose la cultura romana all’influenza della cultura
ellenica, dalla quale importò modi di vita e culti religiosi.
Questa trasformazione divise la classe dirigente romana in antielleni, come Catone il
Censore, difensore dei valori tradizionali romani, legati ai poteri politici e militari, e i
cosiddetti filoelleni, raccolti intorno al circolo degli Scipioni, sostenitori della cultura
greca.
La riforma agraria dei GRACCHI

TIBERIO GRACCO
Per scongiurare lo scontro sociale tra nobili, cavalieri, contadini rimasti senza
proprietà, proletariato urbano e schiavi, intervenne Tiberio Gracco. Eletto tribuno
della plebe nel 133 a.C. propose una riforma agraria secondo la quale:
- nessuno poteva possedere più di 500 iugeri (circa 125 ettari) di ager publicus;
-l’ager publicus recuperato doveva essere diviso in piccoli lotti da distribuire ai
contadini poveri;
-una commissione era incaricata di confiscare le terre detenute abusivamente dai
latifondisti e di distribuirle ai cittadini nullatenenti.
Per garantire l’applicazione Tiberio cercò di farsi eleggere tribuno della plebe anche
l’anno successivo, ma l’aristocrazia senatoria lo accusò di tirannide (non si era mai vista
la ricandidatura per un secondo anno di fila di un tribuno della plebe).
L’aristocrazia senatoria lo fece assassinare.
GAIO GRACCO
Gaio Gracco, fratello di Tiberio, comprese che per realizzare la riforma agraria e contrastare il
senato, era necessario un consenso allargato. Eletto tribuno 123 a.C. fece approvare due leggi:
- lex frumentaria, che prevedeva la distribuzione gratuita di grano ai cittadini poveri;
-l’altra lex attribuiva un ruolo politico ai cavalieri, come giudici, contro i governatori
sospettati di corruzione, esautorando da questa funzione i senatori. Fino a questo momento,
infatti, i governatori delle province sospettati di corruzione erano giudicati dai senatori, che
appartenevano alla loro stessa classe.
- propose infine di estendere la cittadinanza romana anche ai popoli alleati.
Con queste due ultime iniziative pensava di accrescere il suo consenso tra i cavalieri i le
popolazioni italiche. Purtroppo le proposte trovarono l’opposizione dei Romani che non
intendevano dividere con gli altri popoli i privilegi e i diritti di cui godevano.
Nel 121 a.C. Gaio fallì nella rielezione a tribuno della plebe.
Cercò di organizzare una rivolta armata, ma il senato lo dichiarò nemico pubblico. In quanto
tale poteva essere messo a morte senza processo a opera dei consoli. Per non cadere nelle
mani dei nemici si fece uccidere da uno schiavo. Il suo cadavere decapitato fu gettato nel
Tevere e tremila suoi sostenitori furono messi a morte. La riforma agraria venne abbandonata
definitivamente.

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