Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
19 visualizzazioni20 pagine

La Grande Emigrazione Italiana in Argentina Un Peculiare Modello Di Accoglienza

L'emigrazione italiana in Argentina ha visto oltre 3 milioni di italiani trasferirsi nel paese dal XIX secolo, contribuendo significativamente alla sua crescita economica e sociale. La Costituzione argentina ha accolto positivamente i migranti, favorendo la loro integrazione e il loro apporto alla modernizzazione del paese. Nonostante le difficoltà iniziali, gli italiani hanno svolto ruoli chiave in vari settori, dalla agricoltura all'industria, creando legami culturali duraturi.

Caricato da

Patito Yt
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
19 visualizzazioni20 pagine

La Grande Emigrazione Italiana in Argentina Un Peculiare Modello Di Accoglienza

L'emigrazione italiana in Argentina ha visto oltre 3 milioni di italiani trasferirsi nel paese dal XIX secolo, contribuendo significativamente alla sua crescita economica e sociale. La Costituzione argentina ha accolto positivamente i migranti, favorendo la loro integrazione e il loro apporto alla modernizzazione del paese. Nonostante le difficoltà iniziali, gli italiani hanno svolto ruoli chiave in vari settori, dalla agricoltura all'industria, creando legami culturali duraturi.

Caricato da

Patito Yt
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 20

La grande emigración italiana en Argentina: un peculiar

modelo de acogida
istitutoeuroarabo.it /DM/la-grande-emigrazione-italiana-in-argentina-un-peculiare-modello-di-accoglienza/

Comité de Redacción 1 de septiembre de 2021

di Raffaele Callia, María Marta Farfán y


Franco Pittau

Accoglienza, gli italiani e loro apporto:


l'eccezionalità del caso argentino

L'Argentina si colloca tra le destinazioni


preferite dell'emigrazione italiana, tenuto
conto che dalla metà dell'Ottocento ad oggi
oltre 3 millones di italianoni si sono recati in
quel Paese [1] . Tuttora vi risiede la più
consistente colllettività italiana (sono di poco Partenze per le Americhe (primi Novecento)
inferiori a 1 millón i cittadini iscritti all'AIRE),
alla quale si aggiunge un elevato numero di oriundi (circa 20 millones, secondo alcune
stime) [2] . Sin dal loro arrivo gli italiani si fragrance gradatamente su tutto il territorio

1/20
argentino, mostrandosi operosi tanto nelle campagne quanto nelle città. Al tiempo que se
insertan nei vari ambiti de la sociedad argentina y pervennero progresivamente a una
integración ben riuscita, anche se gli inizi furono duri e problematici.

Una característica del caso argentino va riferita alla consideración positiva che la
Costituzione dell'Argentina ebbe dell'apporto dei migranti, riscontrabile con una cierta
analogia anche in altri Paesi latinoamericani (come ad ejemplo in Brasile e in Perù). Sulla
politica migratoria – che conobbe anche fasi meno aperte rispetto a quella iniziale, per poi
pervenire a una sintesi più serena – sono numerosi gli studi, sia in Italia che in Argentina.
Cuando el Centro de Estudios Migratorios Latinoamericanos (CEMLA), fundado por los
Misioneros Scalabriniani en Buenos Aires, se incorporó a un archivo electrónico y los datos
de la llegada de los inmigrantes al puerto de Buenos Aires, es posible que se dispongan de
nuevos elementos de conocimiento sobre una sola persona sbarcate, entre sus luoghi di
nascita, sulle date di llegada e sulle navi utilizzate per il trasferimento dai vari Paesi di
provenienza.

Presso il CEMLA di Buenos Aires, a fines de abril y principios de mayo de 2008, si svolsero
i lavori di approfondimento sulle migrazioni riguardanti l'Argentina e gli altri Paesi
dell'America Latina, promossi dal Centro studi e ricerche Idos, con il patrocinio della Caritas
Italiana e della Fondazione Migrantes. La iniciativa coincide con una trentina de
arrozadores italianos y otros estudios latinoamericanos. Alcuni di loro, peraltro, la mattina
del 3 maggio ebbero l'opportunità di incontrare in episcopio l'allora arcivescovo di Buenos
Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, destinato nel 2013 a diventare Papa Francesco
[3] .

Este breve saggio, prendendo lo spunto dalle varie ricerche condotte sul tema, si sofferma
sulle diverso fasi di oltre un secolo e mezzo di flussi migratori italiani, fino alle vicende
dell'attuale collettività italiana, per poi chiudere con una riflessione sugli aspetti peculiari del
modello d'accoglienza praticato in Argentina. La gran apertura inicial verso gli italiani ebbe
un correspettivo nell'apporto straordinario da essi fornito nella crescita di quel Paese. Terra
promessa è una pubblicazione di Paola Cecchini che si sofferma su este aspetto, dopo
aver raccolto testimonianze dirette di vario tipo sui marchigiani, mettendo in evidenza
diversi aspetti riguardanti anche gli italiani che emigrarono da altre regioni della peneola [4]
.

Gli italiani furono catturati dai sogni di fortuna


propagandati dalle Compagnie di
navigazione, proposti con Accenti idilliaci
dagli agenti e dai subagenti di emigrazione,
riscuotendo prevalentemente l'attenzione
della popolazione rurale. Come racconta
un'ampia letteratura sul tema, arricchitasi da
una prolifica produzione di ricerche in ambito
regionale, queste persone intrapresero un
viaggio avventuroso e fortemente disagiato
verso un Paese sconosciuto e sconfinato, Migrantes italianos por la Argentina en el
costretti ad accettare condizioni di transatlántico Odba

2/20
inserimento spesso non rispondenti a quelle
promesse. Non tutti ebbero la forza di resistere e molti di essi o si trasferirono in città o
rimpatriarono. La mayor parte de las rimas en el puesto riuscì con gran sacrificio para
realizar el propio proyecto migratorio, contribuyendo a la formación de la Argentina como
país moderno, destinado a lasciarsi oramai alle spalle il passato coloniale.

Maria Immacolata Macioti, riflettendo sul


complemento che le statistiche trovano nelle
testimonianze autobiografiche, riassume con
queste parole l’impressionante galleria di
memorie riportate da Paola Cecchini nel citato
volume: «I protagonisti sono agricoltori (i più
numerosi), vitivinicoltori, ortolani e giardinieri, e
poi ancora pescatori e marinai, artigiani,
lavoratori edili e della ferrovia. E poi politici,
avventurieri, artisti. E ancora letterati e uomini di
scienza». Non è esagerato parlare di un loro
enorme impegno: la colonizzazione dei campi
incolti, la fondazione di città, il supporto alla
nascita delle industrie, il protagonismo nelle
nuove professioni. Il tutto si svolse con un
legame ai valori tradizionali di appartenenza: attaccamento al lavoro, alla famiglia e ai valori
religiosi. Oltre agli apprezzamenti, nei loro confronti non mancarono neppure i problemi. La
loro presenza fu numerosa e all’inizio del XX secolo quella giovane nazione si basò, come
si vedrà nei paragrafi seguenti, sull’intreccio delle peculiarità locali – in particolare quelle
relative ai discendenti dei coloni – con quelle degli immigrati europei: l’apporto degli italiani,
anche in ragione della loro consistenza, fu quello più incisivo.

Attuando un confronto tra quell’esperienza storica e l’attuale panorama migratorio mondiale


si riscontra che la povertà e la limitazione delle libertà continuano a essere un potente
fattore di espulsione, mentre nei Paesi di immigrazione ad attirare non sono più le terre
incolte ma altri elementi, non ultimo la situazione demografica deficitaria. Rimangono
immutate nella sostanza le problematiche riguardanti il superamento di atteggiamenti di
paura e di chiusura nei confronti dell’immigrazione, con le conseguenti difficoltà sul piano
dell’integrazione. La nostra convinzione è che le riflessioni sui problemi di allora possano
aiutare a orientarci anche nell’attuale situazione migratoria.

Uno sguardo d’insieme sui flussi

Prima di procedere a un commento delle singole fasi storiche è opportuno presentare un


prospetto riassuntivo dei flussi di massa degli italiani in Argentina, iniziati dopo l’Unità
d’Italia (1861). Tra il 1871 e il 1900 si recarono in Argentina più di 800 mila italiani: una
media di quasi 9 mila persone l’anno nel primo decennio, 39 mila nel secondo e quasi 37
mila nel terzo. Tra il 1901 e il 1910 sbarcarono in Argentina oltre 734 mila italiani e quello fu
il decennio con la più alta intensità migratoria. Nel decennio successivo, inclusivo del
periodo bellico (1915-1918), gli espatri furono più che dimezzati (circa 315 mila), ma subito
dopo la fine del primo conflitto mondiale continuarono a essere intensi. Nei due decenni

3/20
successivi, in cui peraltro si impiantò il regime
fascista, emigrarono complessivamente più di
600 mila persone: una media di 53 mila l’anno
nel primo decennio e di 8 mila l’anno nel
periodo dal 1931 al 1940.

Dopo la Seconda guerra mondiale si ebbe


una ripresa, con una media di circa 54 mila
espatri all’anno fino al 1950, cui seguì una
forte riduzione con una media di 20 mila
espatriati all’anno fino al 1960, per poi cedere Braccianti italiani in Argentina
il passo a poche migliaia lungo il corso della
seconda metà del Novecento e dei primi anni del 2000. Nel complesso, dall’Unità d’Italia al
secondo decennio del XXI secolo, sono partiti verso l’Argentina oltre 3 milioni di italiani,
come si evince dalla tabella e dal grafico seguenti. Pertanto, tale Paese, insieme agli Stati
Uniti d’America, al Brasile e alla Germania in Europa, rappresenta la meta più ricorrente
nella storia dell’emigrazione italiana.

Espatriati italiani (lavoratori e non) in Argentina. Anni 1871-201o

1871-1880 1881-1890 1891-1900 1901-1910 1911-1920 1921-1930 1931-1940 1941-1950

43.039 391.503 367.220 734.597 315.515 537.751 80.753 274.523

1951-1960 1961-1970 1971-1980 1981-1990 1991-2000 2001-2010

209.545 10.979 7.875 8.478 18.477 15.298

Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS, Elaborazioni su dati Istat, Serie storiche espatriati per alcuni Paesi
di destinazione. Anni 1869-2014.
N.B. Per il periodo 2000-2019 si è fatto riferimento ai dati AIRE, caratterizzati da maggiori
disaggregazioni.
I pionieri dell’emigrazione nel XIX secolo,
nel solco della Costituzione federale del
1853 [5]

Nel XIX secolo arrivarono in Argentina gli


esuli politici, espulsi nel corso dei moti
risorgimentali. La successiva ondata,
destinata ad aumentare nel tempo, fu quella
dei migranti per lavoro. Questo Paese
immenso (circa 9 volte l’Italia) e poco In partenza per l’Argentina
popolato (meno di 2 milioni di residenti a metà
del XIX secolo, a fronte degli oltre 20 milioni dell’Italia) non esitò a incoraggiare la venuta
dei migranti europei, interessato ad affidare loro le terre incolte per aumentare la

4/20
produzione agricola. Peraltro, il territorio si ampliò dopo la Guerra de la Triple Alianza (o
guerra del Paraguay), finita nel 1870 con l’annessione di alcune aree della regione di
Misiones e del territorio del Chaco.

La propaganda, condotta anche nei più remoti villaggi italiani, era imperniata sulla
possibilità di fare fortuna e ciò indusse molti a vendere il poco che possedevano, e
all’occorrenza anche a indebitarsi, per pagare la traversata in nave. Nel commercio fluviale
del Rio de la Plata i genovesi furono i primi e principali protagonisti nella navigazione, attivi
nel commercio al dettaglio e nella cantieristica. Poi giunsero i piemontesi, i lombardi, i
veneti, i friulani, i trentini e di seguito gli immigrati da altre regioni italiane. In quel periodo
l’Argentina spalancava le porte alla modernità confidando anche sull’apporto dei nuovi
arrivati, e l’apertura al mondo dell’immigrazione contrassegnò in modo decisivo quel
periodo. Si può ritenere che, a differenza dell’accoglienza riservata agli italiani nell’America
del Nord (specialmente se originari delle regioni meridionali), in Argentina in quella fase
storica sia stato assunto in qualche modo un “pregiudizio positivo”.

Un percorso singolare di diversi italiani fu quello dei protagonisti nella fondazione delle città.
Si trattava, talvolta, di piccoli imprenditori operanti nell’indotto delle costruzioni ferroviarie,
che ebbero l’intelligenza di precedere piuttosto che seguire la costruzione dei binari,
acquistando in anticipo i terreni che sarebbero stati adatti alle future stazioni e ai paesi che
sarebbero nati intoro a esse. Per questo, alcuni di loro sono ricordati come veri e propri
“fondatori di città” [6]. Dell’attivismo degli italiani di quel tempo, fortemente legato alle
tradizioni agricole e culinarie, restano tuttora diverse tracce. Citiamo, ad esempio, la città di
Colonia Caroya, nella Provincia di Córdoba, che ogni anno diviene la capitale del “Friuli nel
mondo”, con le sue feste tipiche. La provincia di Río Negro (a Nord della Patagonia) ospita
invece Villa Regina, dove coloni italiani trasformarono il deserto in frutteti, vigneti,
piantagioni di foraggi, granturco e ortaggi. I vitigni del Piemonte furono portati nei pendii
della Cordigliera delle Ande, dove trovarono un habitat simile a quello piemontese.

Dopo l’indipendenza dalla Spagna, ottenuta nel 1810, l’Argentina con la Costituzione del 1°
maggio 1853 divenne uno Stato federale aperto al lavoro degli immigrati europei,
precedendo così il Brasile, che continuava ad avvalersi del lavoro degli schiavi (fino alla sua
completa soppressione approvata nel 1888). L’articolo 25 della Costituzione del 1853
prevedeva che il governo federale incoraggiasse l’immigrazione europea, non restringendo,
limitando o gravando con alcuna imposta l’ingresso nel territorio argentino degli stranieri
che avessero l’obiettivo di «coltivare la terra, migliorare le industrie, introdurre e insegnare
le scienze e le arti» [7]. Ne scaturì un’articolata politica attiva di misure compensative e
dispensative volte a incoraggiare l’arrivo e l’integrazione degli immigrati europei.

Già dal 1853 le compagnie incaricate della colonizzazione concedevano prestiti ai coloni
per far fronte alle spese relative all’insediamento e all’avvio dei lavori [8]. Il governo federale
istituì la Comision de Inmigración, finalizzata a incrementare soprattutto la popolazione
rurale; inoltre, nel 1870, nella Provincia di Buenos Aires, iniziarono ad essere varate
disposizioni per assegnare gratuitamente a giovani coppie degli appezzamenti di terreno
per costruirvi una casa e dare inizio alle coltivazioni. Nel 1878, in applicazione di una legge
federale, furono assegnati agli immigrati dei terreni demaniali a prezzi moderati. Un’altra
legge federale, varata nel 1882, concesse gratuitamente lotti di venticinque ettari a nuclei

5/20
familiari. Tuttavia, va anche rilevato che il governo argentino (con una sola eccezione nel
1890) non seguì la strategia adottata da quello brasiliano, il quale, al fine di procurarsi la
manodopera agricola necessaria, anticipava la somma necessaria al pagamento del
biglietto di viaggio transoceanico.

In questa prima fase pionieristica si diede vita a un


imponente flusso di lavoratori agricoli che coinvolse
specialmente i contadini e i piccoli proprietari terrieri
italiani, motivati non solo a sottrarsi alla miseria
(obbiettivo sostanzialmente raggiunto) ma anche, in
qualche misura, a “fare fortuna”: meta, questa,
decisamente più impegnativa per la maggior parte
di essi. Comunque si rivelasse la realtà rispetto ai
progetti delle singole persone, la presenza italiana,
in continuo aumento, rispose pienamente alle
direttive del governo argentino.

Tra le nazioni del continente latino-americano


l’Argentina si concepì come quella a maggiore
impronta europea, considerata questa una
categoria identitaria della nuova Repubblica. È
quanto si deduce dal pensiero dello scrittore e diplomatico argentino Juan Bautista Alberdi
(1810-1884), il quale fu l’ispiratore della Costituzione argentina del 1853, in particolare con
la sua opera edita l’anno prima e intitolata Bases y puntos de partida para la organización
política de la República Argentina. In linea con questo orientamento fu anche Domingo
Faustino Sarmiento Albarracín (1811-1888), che fu presidente della Repubblica argentina
dal 1868 al 1874 e continuò a essere un influente uomo politico anche dopo la fine di
questo incarico. L’apertura agli immigrati europei fu considerata un fattore di rinnovamento
non solo sul piano produttivo ma anche a livello culturale, sociale e politico. Buenos Aires,
la capitale, fu chiamata a proporsi come modello di questa inedita stagione identitaria. La
nuova classe dirigente riteneva che la “debole” cultura della popolazione originaria dovesse
essere compensata con l’apporto identitario portato dagli immigrati provenienti dall’Europa.

Anche se questa immigrazione produsse dei risultati molto positivi, per il Paese e per i
diretti protagonisti, non mancarono gli aspetti di tragica durezza: l’isolamento, la fatica nella
coltivazione dei terreni, le dure condizioni di vita in abitazioni improvvisate, l’impegno
supplementare per la costruzione delle strade, gli scarsi ricavi a seguito della concorrenza
dei prodotti provenienti dal Canada, dall’Australia e dalla Russia e, non ultimo, il rapporto
conflittuale con la popolazione nativa. Di fronte a queste difficoltà molti abbandonarono la
campagna per trasferirsi in città, mentre altri rimpatriarono. Non mancarono i pregiudizi
degli argentini, soliti affermare con ironia che nella mitica Pampa ai gauchos si erano
sostituiti i gringos. Ancora oggi, nell’immaginario collettivo, è rimasto vivo il sostanziale
antagonismo fra le due concezioni di vita.

Dall’inizio del secolo XX alla prima guerra mondiale

6/20
All’inizio del Novecento l’Argentina si affermò
come il primo sbocco latinoamericano per i
migranti italiani, mantenendo tale posizione
fino alla Seconda guerra mondiale; in
particolare, il porto di Buenos Aires accolse
circa i tre quarti dei flussi diretti in Sud
America. Contribuì a rendere preferibile la
meta argentina anche la rigida decisione del
governo italiano nei confronti delle migrazioni
sovvenzionate verso il Brasile. Infatti, con il
Cortile in Argentina a Buenos Aires, panettieri
decreto del 1901, dovuto all’iniziativa del italiani
ministro degli esteri Giulio Prinetti, si proibì
questa forma di espatrio, che costringeva gli interessati a restare alle dipendenze dei
proprietari delle fazendas (abituati a trattare i lavoratori come schiavi) fino all’estinzione
delle somme anticipate e ad accettare condizioni di lavoro al limite della sopportazione. Un
altro fattore di pregiudizio per la meta brasiliana fu la depressione del commercio del caffè,
settore che conobbe una grave crisi nel 1906, con conseguente diminuzione della
produzione e della relativa domanda di manodopera [9].

Con i popoli nativi, in particolare con quelli del Sud dell’Argentina, spinti sempre più verso le
terre a ridosso delle Ande, i militari e i gauchos furono durissimi. Durante la violenta e
controversa Conquista del desierto, condotta dal generale – poi divenuto presidente – Julio
Argentino Roca, con le popolazioni indigene ebbero scontri anche gli stessi coloni venuti a
occupare le loro terre.

Gli italiani si stabilirono in prevalenza nelle zone litoranee di Buenos Aires, a Santa Fe, a
Sud di Córdoba e nella provincia di Entre Ríos. Negli anni seguenti alcune catene
migratorie (molte di esse a carattere regionale) spostarono la propria meta verso le
province interne, fino a giungere nelle zone più periferiche. Grazie alla capacità di operare
nel settore agricolo in condizioni proibitive, i coloni italiani riuscirono a trasformare le terre
loro affidate, rendendole fertili. I coloni migliorarono le tecniche di coltivazione,
aumentarono la base produttiva e introdussero la viticoltura. Peraltro, non pochi furono gli
italiani che si distinsero in ambito letterario, nelle libere professioni e nelle arti. Nel 1895,
come emerge dal censimento nazionale, su un totale di 407.503 proprietari agricoli più di un
quarto erano di nazionalità straniera e tra i poderi gestiti dagli immigrati più della metà
(62.975) avevano un titolare italiano.

L’apporto dei lavoratori italiani fu notevole anche nel settore industriale. All’inizio del XX
secolo, infatti, in Argentina andava sviluppandosi l’industria e ciò indusse molti italiani a
lasciare le colonie per trasferirsi in città, dove si recò anche una buona parte dei nuovi
arrivati dall’Italia, trovandovi l’opportunità sia di lavorare in fabbrica che di esercitarvi diversi
altri mestieri legati all’indotto. L’edilizia era un settore che attirava moltissimo gli italiani, i
quali speravano in un celere passaggio da muratori a piccoli imprenditori. Era forte e
motivata la loro soddisfazione per i livelli salariali praticati, che in effetti in quel periodo

7/20
erano tra quelli più elevati al mondo. Nel frattempo, per gli italiani che continuavano ad
arrivare diventò meno agevole realizzare l’auspicata progressione dei pionieri, sintetizzata
nella formula: “Primo anno agricoltore, secondo affittuario, terzo proprietario” [10].

Poiché l’afflusso dall’Italia si mantenne costante fino alla fine del XIX secolo, già gli italiani
erano distribuiti pressoché in tutto il Paese e perfino nelle località più remote, ma i flussi
continuarono con intensità anche nel primo Novecento e si interruppero solo alla vigilia
della Prima guerra mondiale. La popolazione immigrata italiana raggiunse la massima
incidenza sul totale della popolazione argentina nel 1895, con il 12,5%. Fino al 1890
prevalsero le partenze dalle regioni settentrionali, come il Piemonte e la Lombardia (nella
misura dei quattro quinti del totale), mentre i meridionali aumentarono nettamente la loro
presenza nei primi anni del nuovo secolo, giungendo in particolare dalla Calabria e dalla
Campania.

Nel periodo più critico del loro inserimento fu


molto significativa la dimensione solidaristica.
Risale al periodo a cavallo dei secoli XIX e
XX la creazione di società di mutuo soccorso,
scuole, ospedali, camere di commercio,
strutture associative, centri socio-culturali e
testate giornalistiche, che furono di grande
sostegno alla coesione comunitaria. Nel
1886, a Buenos Aires, quello della Boca era
un barrio popolato per metà da italiani, che vi
crearono una molteplicità di strutture, dalle
scuole alle società di mutuo soccorso. Italiani in Argentina (ph. Luca De Marchi)
L’immigrato italiano, appena arrivato, trovava
rifugio in questa “Piccola Italia”, integrandosi nel gruppo che riproduceva i valori e i
comportamenti importati dalla patria. A Buenos Aires gli immigrati trovarono alloggio nella
zona del porto, in palazzi trasformatisi in abitazioni: i conventillos, edifici su due piani, con
cortile interno dove si trovavano i servizi in comune. I conventillos della capitale diventarono
veri e propri centri di riproduzione della cultura italiana e nei quartieri italiani le strade
assunsero ben presto la funzione della tradizionale piazza del paese, con un patrimonio
culturale sospeso tra identità vecchie e nuove.

La maggior parte degli italiani arrivava dalla penisola con un progetto migratorio
temporaneo, che per molti diventò invece definitivo, anche se furono numerosi i rimpatri,
specialmente negli anni a cavallo tra i due secoli. I ritorni erano considerati dal governo
argentino (e così anche dagli altri governi dei Paesi latinoamericani) un fallimento rispetto
alle loro politiche. Invece, dal punto di vista dei singoli migranti, i ritorni potevano essere il
segno del raggiungimento degli obiettivi prefissati, con l’estinzione degli eventuali debiti,
l’invio delle rimesse e un ulteriore risparmio da utilizzare al momento della partenza. In
questa prima fase pionieristica furono vicini agli emigrati i sacerdoti italiani, sia quelli
appartenenti ai tradizionali ordini religiosi, sia quelli provenienti dai nuovi istituti, come i
salesiani fondati da San Giovanni Bosco e gli scalabriniani, la cui origine fu dovuta al
vescovo di Piacenza mons. Giovanni Battista Scalabrini [11].

8/20
Già dagli anni ’90 del XIX secolo l’aumentata richiesta delle terre coltivabili aveva fatto
lievitare i prezzi degli affitti e degli acquisti, riducendo di conseguenza la capacità di
risparmio dei lavoratori agricoli e determinando condizioni di grave sfruttamento. Nel 1890
una crisi economica importante colpì anche l’Argentina, coinvolgendo gli stessi emigrati
italiani. La situazione diventò ancor più problematica in coincidenza con la perdita dei
raccolti di mais del 1911 e il drastico ribasso del prezzo del grano. Nel 1912, l’episodio
conosciuto come il “Grido di Alcorta” (dalla località situata nella provincia di Santa Fe, che
divenne epicentro della protesta) si trasformò in un importante sciopero durato circa tre
mesi e promosso anche da italiani, fra cui spicca il nome dell’avvocato Francisco Netri [12].
Lo sciopero fu in grado di rendere evidente il profondo malessere esistente tra i mezzadri
delle campagne e determinò la nascita della Federazione Agraria Argentina (FAA), che si
diffuse progressivamente in tutto il Paese. Fu un evidente segnale di una coscienza
sindacale e politica che maturava all’interno delle classi dirigenti locali, molte delle quali
composte da emigrati italiani formatisi nelle associazioni e nelle società di mutuo soccorso
e determinati a incidere sul futuro dell’Argentina.

Dall’inizio del XX secolo e fino allo scoppio


della Prima guerra mondiale fu molto elevata
sia la media annuale degli espatri sia –
seppure in misura inferiore – quella dei
rimpatri, interessando in particolare
l’Argentina e gli Stati Uniti. Secondo i dati
censuari del 1914, su una popolazione di
circa 8 milioni di residenti, quelli nati in Italia
erano 942 mila: circa un decimo di tutti i
residenti (la metà di essi a Buenos Aires) e
circa un terzo dell’intera popolazione
Associazione marchigiana Santa Fè, Grido di
straniera. A questo proposito va precisato che Alcorta
i figli degli italiani nati in Argentina
diventavano argentini fin dalla nascita per effetto dello ius soli. Come è comprensibile, i
ritorni aumentarono nell’imminenza del conflitto mondiale. Gli italiani continuarono ad avere
un’alta incidenza sul totale della popolazione residente, mentre in seguito conobbero una
costante diminuzione.

Alcuni aspetti peculiari durante il periodo fascista

Sui flussi migratori nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale influirono, da una
parte, le politiche restrittive adottate da diversi Paesi, come avvenne negli Stati Uniti e
anche in Brasile e, dall’altra, le limitazioni all’esodo imposte dal regime fascista in Italia, che
furono mitigate solo dopo la crisi economica mondiale del 1929. Tuttavia, l’approdo degli
italiani in Argentina, anche se non fu segnato dai ritmi elevati di una volta, fu comunque più
agevole rispetto ad altre mete, perché questo Paese preferì non imporre limitazioni con la
previsione di quote, limitandosi al controllo dei migranti al loro arrivo riguardo alla regolarità
dei documenti e alla sussistenza dei requisiti per l’ammissione. Peraltro, va segnalato che,

9/20
contrariamente all’orientamento assunto dai Paesi di tradizione anglosassone (in particolare
Stati Uniti e Australia), in Argentina ai migranti del Centro-Nord Europa furono preferiti quelli
dei Paesi meridionali.

Nel periodo fascista si registrarono in Argentina anche gli arrivi degli oppositori politici al
regime e, dopo le leggi razziali del 1938, s’incrementò anche l’esodo degli ebrei. Come
avvenne all’interno di altre collettività italiane all’estero, anche in Argentina vi furono
contrapposizioni tra i simpatizzanti del fascismo e i suoi oppositori, molti dei quali giunti nel
Nuovo mondo come veri e propri antifascisti in esilio. Tra i fattori di espulsione di quegli
anni, dunque, alle strettezze economiche si affiancò anche il bisogno di abbandonare un
Paese soggiogato al fascismo, con il suo corollario fatto di violenze squadriste, di
limitazione della libertà e di annientamento della democrazia [13].

In quel periodo il 70% degli italiani sbarcati in Argentina si dichiarò disposto a essere
ospitato nelle strutture messe a disposizione dal governo: questa prima ospitalità, infatti,
era concepita come un’opportunità e non come un obbligo; tra il 1931 e il 1940, invece, la
percentuale di quelli che si avvalsero dell’ospitalità pubblica scese al 13% e nel periodo
1941-1950 diminuì ancora fino a raggiungere il 9%.

L’atteggiamento di chiusura agli inizi del


XX secolo e la criminalizzazione degli
immigrati

A cavallo tra il XIX e il XX secolo e, grosso


modo, fino al 1940, in opposizione
all’orientamento precedente si diffusero teorie
xenofobe sugli immigrati: quello che un tempo
era l’apporto di civiltà riferito agli operai e ai
contadini europei venne attribuito quasi
esclusivamente alla borghesia argentina. Italiani in Argentina (ph. Luca de Marchi)

Furono numerosi gli autori che cominciarono


a parlare dell’immigrazione con toni diversi da quelli assunti durante l’epopea dei pionieri e
alcuni sentirono persino il bisogno di dare un’interpretazione restrittiva dell’articolo 25 della
Costituzione federale del 1853. Fra essi spiccò, senza dubbio, un importante uomo politico,
nonché giurista e accademico: Miguel Cané (1851-1905). Egli rappresentò una figura
chiave di questo cambiamento radicale di rotta. Fu scrittore prolifico, parlamentare e
ministro, giornalista e un classico esponente dell’élite porteña di fine Ottocento. A lui si
deve, nel 1902, l’approvazione della ley n. 4.144 de Residencia de Extranjeros (conosciuta,
appunto come “Legge Cané” e rimasta in vigore fino alla fine degli anni ‘50), attraverso cui il
potere esecutivo argentino veniva autorizzato, all’occorrenza, a impedire l’ingresso degli
stranieri e a espellere coloro la cui condotta avrebbe potuto compromettere la sicurezza
nazionale o perturbare l’ordine pubblico, anche senza un processo preventivo.

Come recita il titolo evocativo di un saggio di Francesco Rotondo [14], in quel passaggio
chiave della storia novecentesca argentina si verificò un cambiamento sostanziale delle
politiche migratorie, le quali passarono dall’aperturismo fortemente voluto dalla generazione
di Juan Bautista Alberdi all’approccio securitario della “difesa sociale”. Se dunque nella

10/20
seconda metà dell’Ottocento si era insistito sulla dicotomia
tra civiltà (legata all’immigrazione europea) e barbarie
(rozzezza degli indigeni e dei neri), nei primi anni del
Novecento le barbarie furono riferite agli immigrati di
estrazione operaia e la civiltà alla borghesia argentina. Ne
scaturì una violenta polemica contro gli immigrati e ben
presto cominciò a essere stigmatizzata una certa loro
tendenza alla devianza. Un caso che fece enorme
scalpore fu quello di Cayetano Santos Godino (1896-
1944), nato a Buenos Aires da genitori calabresi.
Cresciuto con seri problemi fisici e mentali, vittima di
violenze familiari, si rese protagonista di efferati atti
criminali a danno di altri minori, fino a diventare un vero e
proprio serial killer. Ritenuto malato di mente, fu rinchiuso
nel 1913 in un manicomio criminale per poi essere
Miguel Canè
condannato in seguito all’ergastolo.

Quella vicenda e altri fatti criminali, che videro protagonisti


degli immigrati italiani, provocarono un grande dibattito
nell’opinione pubblica argentina e non si tardò, anche nel
Sud America, ad essere accolto il nuovo verbo positivista
lombrosiano. Ne è un esempio quanto scrisse il giurista
Cornelio Moyano Gacitúa (1858-1911), che di Cesare
Lombroso apprezzava le teorie antropologiche al fine di
elaborare dei postulati nell’ambito del positivismo penale:
«La scienza ci insegna che insieme col
carattere intraprendente, intelligente, libero, inventivo e
artistico degli italiani c’è il residuo della sua alta criminalità di
sangue» [15].

Fu così che acquistò sempre più credito lo stereotipo


riguardante gli italiani, bravi lavoratori ma tendenzialmente
criminali. Si trattava di una netta inversione di tendenza
rispetto al secolo precedente, con un chiaro discredito della “classe inferiore degli
immigrati” giustificato da presunte motivazioni criminologiche. Agli immigrati, anzitutto agli
italiani (che erano i più numerosi), fu addebitata la tendenza alla delittuosità e non più un
ruolo innovativo. Questa diffidenza andava incrementandosi in un contesto sociale in cui i
migranti continuavano a crescere a un tasso più elevato rispetto agli argentini. Le
argomentazioni basate sulla differenza delle razze, riprendendo l’impostazione che in
quell’epoca era sostenuta in Italia dal governo fascista, furono completate con propositi di
strategie eugenetiche paradossalmente rivolte contro gli stessi emigrati italiani.

Questi aspetti peculiari sono stati studiati da Eugenia Scarzanella, storica delle istituzioni
dell’America Latina, che, con un ampio supporto di dati e documentazione giudiziaria, ha
esaminato l’intero periodo tra gli inizi del Novecento e lo scoppio della Seconda guerra
mondiale. L’analisi del rapporto tra criminalità e immigrazione pone in luce l’esistenza di

11/20
non pochi pregiudizi e luoghi comuni. In questo contesto vanno lette le strategie operative
che, al fine di diminuire nella popolazione l’incidenza della criminalità e di incrementare una
presunta “razza più pura”, invitavano le donne argentine a fare più figli [16]. A partire dalla
fine degli anni ’50, dopo la Seconda guerra mondiale e la brusca diminuzione degli arrivi
dall’Europa, è stato possibile pervenire a una sintesi più equilibrata in merito alla funzione
dell’immigrazione italiana nella formazione dell’attuale Argentina.

Il periodo successivo alla Seconda guerra


mondiale

Dopo la Seconda guerra mondiale i flussi


migratori furono assoggettati a specifiche
regolamentazioni, sia nei Paesi di partenza
sia in quelli di arrivo, mentre in Argentina
l’orientamento fu diverso perché nel Paese
persisteva una forte richiesta di manodopera
straniera, specialmente per sostenere lo
sviluppo dell’area industriale di Buenos Aires. Manifestazioni a Plaza de Mai
Molti italiani, quindi, preferirono quella meta e
il governo, al loro arrivo, assicurò loro il primo alloggio in albergo.

L’attrazione del polo argentino continuò a durare almeno fino alla crisi del 1952. Nel corso
di quegli anni il CIME, il Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee, la cui idea
primigenia fu formulata a Bruxelles nel novembre del 1951 in occasione di una conferenza
convocata su iniziativa degli Stati Uniti e del Belgio, si fece carico dell’assistenza degli
italiani interessati a emigrare per lavoro o per ricongiungimenti oltreoceano [17]. Negli anni
successivi lo sbocco argentino perse l’importanza avuta in precedenza a causa della
problematica situazione economica e politica del Paese e anche perché gli italiani, almeno
fino agli anni ’70, privilegiarono i Paesi europei godendo peraltro degli effetti di un
conquistato benessere nel decennio del cosiddetto boom economico.

Per sette anni, dal marzo del 1976 al dicembre del 1983, in Argentina si instaurò una
dittatura militare, che con il triste fenomeno dei desaparecidos coinvolse direttamente
anche la collettività italiana. Il cosiddetto Proceso de reorganización nacionál, così
denominato dalla Junta militar capeggiata da Videla, Viola, Galtieri e Nicolaides, portò alla
“guerra contro la sovversione”, che venne combattuta contro un “nemico interno” portatore
di ideologie ritenute sediziose, fra cui il marxismo e il peronismo. L’estensione e le crudeltà
della repressione dei presunti o effettivi oppositori e la violazione sistematica dei diritti
umani furono gli aspetti caratterizzanti del Proceso, attraverso cui alla fine fu combattuta
una vera e propria “guerra sporca” (guerra sucia) contro qualunque forma di dissidenza non
solo sotto il profilo politico e sindacale ma anche culturale, accademico e perfino religioso. Il
ripristino della democrazia nel 1983, dopo il fallimento del Proceso e la sconfitta nella
guerra delle Falkland/Malvinas un anno prima, posero fine solo simbolicamente a quella
dolorosissima pagina di storia argentina, considerando le molte famiglie, fra cui quelle di
origine italiana, che ancora oggi sono alla ricerca dei propri desaparecidos [18].

12/20
Come ebbe a scrivere lo scrittore argentino Ernesto Sabato, anch’egli figlio di immigrati
italiani, fondatore e primo presidente della Comisión Nacional sobre la Desaparición de
Personas (CONADEP), «il più terribile dramma che in tutta la sua storia soffrì la Nazione
durante il periodo in cui ci fu la dittatura militare iniziata nel marzo del 1976 servirà a farci
capire che unicamente la democrazia è in grado di preservare un popolo da un simile
orrore; che solo essa può mantenere e salvare i sacri ed essenziali diritti dell’essere
umano. Solo così potremo essere sicuri che mai più nella nostra patria si ripeteranno fatti
che ci hanno reso tragicamente famosi nel mondo civilizzato» [19].

In quella terribile vicenda non mancarono di risuonare tanti cognomi italiani, sia tra le vittime
sia tra i carnefici. Un quadro recente è stato tracciato da alcuni studi pubblicati a seguito di
diverse sentenze emesse dai tribunali italiani negli ultimi anni, fra cui la sentenza della
Corte d’Assise di Roma del 17 gennaio 2017, n. 31.709, depositata il 10 aprile 2017 [20],
con cui sono state pronunciate otto condanne all’ergastolo nei confronti dei responsabili
delle morti di numerosi cittadini italiani oppositori al regime della dittatura militare e
annoverabili fra i desaparecidos [21].

Nei lustri seguenti, al ritorno della democrazia, l’Argentina conobbe altre crisi economiche,
la più importante delle quali fu quella tra la fine degli anni ’90 e i primi anni duemila,
culminata con le immagini della povertà estrema dei cartoneros di Buenos Aires e delle
proteste dei piqueteros e dei cacerolazos. Col tempo quella che veniva definita la “Svizzera
latinoamericana” ha finito per cedere a un impressionante indebitamento estero, alle
nazionalizzazioni di interi settori strategici, alla “dollarizzazione” che ha fatto seguito a uno
sconsiderato piano di convertibilità monetaria, nonché a una generale impunità nei confronti
di numerosi esponenti politici e militari compromessi con la dittatura [22]. Quando le
conseguenze sociali di questa fase critica avrebbero potuto considerarsi attenuate, ma
certamente non superate a causa delle loro radici profonde, sopravvenne nel 2008 la crisi
economica mondiale, mentre da ultimo si sono fatti sentire gli effetti devastanti anche sotto
il profilo sociale ed economico della pandemia da Covid-19.

Fatta eccezione per i pochi anni del secondo dopoguerra, l’Argentina non è stata più
considerata dagli italiani una meta così attrattiva come nel passato, mentre questo Paese
ha continuato ad attirare flussi migratori da diversi Stati latinoamericani, in particolare
Bolivia, Paraguay e Perù. Al giorno d’oggi, peraltro, non sono pochi gli italo-argentini
interessati all’acquisizione della cittadinanza italiana iure sanguinis, potendo così fruire –
come cittadini europei – della libera circolazione negli Stati membri dell’Unione Europea.
Pare che i pochi arrivati in Italia, la terra dei loro antenati, non siano stati contenti
dell’accoglienza ricevuta, rilevando un divario tra l’apertura argentina del passato e l’attuale
diffidenza degli italiani nei confronti degli immigrati (anche se di origine italiana).

Comunque sia, il flusso migratorio dall’Italia verso l’Argentina non si è mai esaurito del tutto
e, stando ai dati AIRE prima richiamati, sono emigrati 10 mila italiani l’anno nel primo
decennio del Duemila e circa 6 mila l’anno nel secondo decennio.

La collettività italiana in Argentina nei primi decenni del 2000

13/20
La fase attuale della collettività italiana in Argentina,
costituita per lo più da italo-argentini, appare idealmente in
bilico tra il peso della memoria del passato e la prospettiva
di una nuova stagione migratoria, in cui convive anche il
desiderio di emigrare in Europa. Ancora oggi il dato
quantitativo continua a pesare in modo significativo. Di fatti,
quella presente in Argentina è la collettività più numerosa al
mondo, con circa 860 mila membri che, alla fine del 2019,
hanno conservato (o acquisito) la cittadinanza italiana. Circa
un quarto di essi si è insediato nell’area di Buenos Aires.
Tra gli iscritti all’AIRE nel 2019, circa 266 mila lo sono per
espatrio, 529 mila per nascita sul posto e 41 mila per
acquisizione della cittadinanza. Questi dati attestano che la
collettività italiana residente in Argentina ha raggiunto
l’attuale consistenza facendo perno in particolare sulla
nascita in loco.

Si è già rilevato come i pionieri arrivarono inizialmente dalle regioni settentrionali dell’Italia,
ai quali si aggiunsero in un secondo momento quelli del Sud: sono un esempio di questa
eterogeneità di provenienze Papa Francesco (i genitori, originari della provincia di Asti, si
imbarcarono per l’Argentina alla fine degli anni ’20) e Astor Piazzolla (1921-1992),
musicista divenuto famoso a livello mondiale per il suo approccio innovativo al tango, i cui
ascendenti erano originari di Trani, in Puglia [23]. Attualmente, secondo i dati AIRE, poco
più di un terzo degli italiani fa riferimento alle regioni settentrionali (il 21,3% a quelle del
Nord-Ovest e il 15,1% a quelle del Nord-Est); la quota di pertinenza delle regioni del Centro
Italia è del 19,2%, mentre il Meridione si avvicina a quasi la metà del totale degli iscritti
all’AIRE (32,9% alle regioni meridionali e quasi l’11,5% alle Isole).

Il numero complessivo degli oriundi, come ricordato in apertura, è di circa 20 milioni.


Quando si pensa a loro si è soliti citare uomini dello sport, come l’asso automobilistico Juan
Manuel Fangio (1911-1995) o il grande calciatore Omar Sivori (1935-2005) e diversi altri.
Ma non mancano gli italiani d’Argentina che si distinsero nel mondo della cultura e dell’arte,
fra cui il grande sociologo Gino Germani (1911-1979). Il giovane Germani, messo in carcere
nel 1930 per aver distribuito volantini contro il regime fascista, nel 1934 si trasferì con la
madre a Buenos Aires, ottenendo in seguito una cattedra presso il Colegio libre de estudios
superiores che ricoprì effettivamente solo dal 1955, per via della sua avversione al regime
di Juan Domingo Perón. Dopo il colpo di stato militare del 1966 Germani si trasferì negli
Stati Uniti, dove fu docente all’Università di Harvard fino al 1976, continuandovi
l’insegnamento anche quando ritornò in Italia, dove fu titolare della cattedra di sociologia
presso l’Università Federico II di Napoli. Fine studioso della modernizzazione e della
secolarizzazione, fu definito «il sociologo del mutamento e dell’integrazione sociale».

Tra i figli dei primi emigrati genovesi bisogna menzionare Manuel Belgrano (1770-1820). Il
padre, un commerciante originario di Oneglia (Liguria), nel 1754 si recò a Buenos Aires,
dove si sposò con María Josefa González Casero, divenendo ben presto un criollo,
attributo comune a buona parte di quella classe dirigente che fu protagonista del processo

14/20
di emancipazione delle province sudamericane dalla corona spagnola. Suo figlio Manuel,
nato a Buenos Aires nel 1770, si integrò perfettamente nella società coloniale e potendo
contare sulle risorse familiari riuscì a compiere gli studi universitari in Spagna, dove fece
sue le idee illuministiche che circolavano nell’Europa di quel periodo. Tornato in Argentina,
Manuel Belgrano divenne un generale importante e un politico illustre. Nel 1810 partecipò
alla deposizione del viceré, nel 1812 ideò la bandiera argentina e nel 1816 fu attivo al
congresso di Tucumán, ove i rappresentanti delle Province Unite del Rio de la Plata
ratificarono la dichiarazione d’indipendenza dalla dominazione spagnola. Come ricordato,
con la Costituzione del 1853 sarebbe stato superato l’iniziale indirizzo centralista e il nome
scelto per il Paese sarebbe stato “Argentina”. Ancora oggi esiste unlegame particolare tra la
figura di Manuel Belgrano e l’Italia. Nello stesso mese in cui si tengono le celebrazioni in
Argentina per il giorno della bandiera, nel centro di Costa d’Oneglia, in piazza del duomo si
celebrano la figura e le gesta del patriota argentino di padre italiano. Inoltre, nell’ambito dei
buoni rapporti italo-argentini, nell’ottobre del 1995 si è stabilito che ogni anno il 3 giugno,
giorno della nascita di Belgrano, in Argentina si celebri el día del inmigrante italiano, il
“giorno dell’immigrato italiano” [24].

Come già accennato in precedenza, da alcuni anni un certo numero di italo-argentini arriva
in Italia munito della documentazione necessaria per acquisire la cittadinanza italiana iure
sanguinis [25], ovvero per discendenza italiana, da presentare nel Comune italiano, per
ovviare alle lunghe attese che caratterizzano i Consolati italiani che non riescono a smaltire
l’elevato numero di domande. È frequente il caso di oriundi che, ottenuta in Italia la
cittadinanza, rimangono in Italia o si recano poi in Spagna, Paese del quale sentono
maggiormente l’attrazione anche per via della lingua.

È interessante ricordare che nel 1992, a Buenos Aires, il CEMLA e l’ARCI intervistarono
509 giovani argentini di ascendenza italiana, potenzialmente interessati a emigrare in
Italia [26]. Di questi, il 17,8% parlava un dialetto delle aree di provenienza degli avi; il 25,5%
aveva appreso l’italiano da entrambi i genitori; il 73% sapeva di avere dei parenti in Italia; il
32% manteneva una corrispondenza con i propri parenti o li aveva visitati; il 36,3% aveva la
cittadinanza italiana mentre il 55,5% era intenzionato a emigrare. Oltre a un generico
interesse per l’Italia, da questi dati si rileva un’attenuazione del legame per quanto riguarda
la lingua e la cultura. Anche alla luce di ciò l’italianità è un concetto sul quale conviene
soffermarsi.

Sull’italianità della collettività italo-


argentina

È avvincente la riflessione con la quale Alicia


Bernasconi e Mario Santillo aprirono il
convegno svoltosi nel 2008 a Buenos Aires
sul tema America Latina-Italia. Vecchi e nuovi
migranti, già richiamato in apertura. Secondo
questi autori «i discendenti degli italiani in
Argentina, salvo alcune eccezioni, non
presentano segni marcati di identificazione
con la cultura italiana – se con questa si

15/20
intende la conoscenza della lingua, la partecipazione alle associazioni o lo stretto contatto
con i parenti italiani. L’onnipresenza della cultura italiana nel contesto sociale del paese
spiegherebbe l’assenza di questi segni. Il passaporto italiano rappresenterebbe dunque
l’accesso all’Europa o a qualsiasi Paese del mondo».

In Argentina altre collettività di immigrati conservano la loro lingua, trasmessa loro dai
pionieri dell’emigrazione, mentre i protagonisti della “grande emigrazione” italiana parlavano
i loro dialetti. Anche i frequenti matrimoni degli italiani con gli autoctoni hanno avuto il loro
peso al riguardo. Non va dimenticato che la linea politica argentina, preoccupata di
un’ampia diffusione dell’italiano tra una collettività così numerosa, vi ravvisò un pericolo e si
adoperò per prevenire un ulteriore diffusione. Al giorno d’oggi questa lingua è meno diffusa
delle altre lingue europee presso le scuole superiori. Di certo, una maggiore diffusione della
lingua italiana sarebbe stato un efficace veicolo dell’italianità (per conoscere meglio storia,
bellezze, letteratura e prodotti dell’Italia). A Buenos Aires vi sono 15 scuole italiane ma la
percentuale degli iscritti è bassa; pertanto, non è agevole fare della lingua italiana l’unico
criterio di italianità.

Secondo Galbiani e Gianfranceschi, e così anche per altri studiosi, «l’italianità in Argentina
risulta difficile da definire, perché è riuscita a distribuirsi nel tempo in tutta la società
inafferrabile e onnipresente»[27]. Pertanto, bisogna cercare di individuare anche indicatori
di tipo nuovo dell’italianità. I protagonisti della “grande emigrazione” trasmisero ai figli la
propria “italianità” (il ricordo della terra lasciata, il dialetto, la gastronomia, le tradizioni, la
pratica religiosa, l’etica, i valori comportamentali, la tenacia per l’integrazione in loco senza
dimenticare le origini, ecc.). Con le terze generazioni questo patrimonio è diventato meno
forte in ambito familiare ma si è sedimentato maggiormente, esercitando una certa
influenza nei vari ambiti del Paese di accoglienza. I pionieri mantennero i contatti con l’Italia
con l’invio delle rimesse e il racconto delle sue bellezze nei contatti con gli autoctoni. Per i
loro discendenti le cose sono diverse. Anche se l’Italia rimane sullo sfondo come un grande
Paese, ne vedono la presenza incarnata nella nuova patria e di questa “italianità diffusa”
sono anche orgogliosi.

Il rapporto con l’Italia persiste, anche se su nuove basi, e naturalmente può essere
rafforzato. Questa vasta area di attenzione, in Argentina come in altri Paesi del mondo, è
funzionale al ruolo socio-economico che l’Italia è chiamata a svolgere a livello globale: tali
implicazioni non sempre vengono avvertite o quanto meno incrementate con azioni di
supporto. Tanto basta per concludere che l’emigrazione non è una questione confinata nel
passato e che anche “l’italianità” non è venuta meno con i pionieri: tuttavia, bisogna
interrogarsi criticamente su una certa retorica della presenza italiana nel mondo,
sull’associazionismo tradizionale, sul ruolo delle regioni, sull’inclusione dell’italianità nei vari
aspetti della politica estera [28].

Una comunità così vasta di italiani, come quella presente in Argentina, è una realtà che
deve portare a riflettere su queste prospettive. Anche il tema del mantenimento dell’idioma
italiano – lingua di cultura – va affrontato con una consapevolezza nuova, sostenendolo in
particolare nell’ambito dei curricula scolastici; in questo senso va rilevato che altri Paesi

16/20
hanno ottenuto, in Argentina, molto più di quanto abbia ottenuto l’Italia. Alla luce di questi e
di molti altri aspetti non è ozioso pretendere che sulle diverse questioni riguardanti
l’italianità maturi un atteggiamento diverso, meno nostalgico e più propositivo.

L’Argentina, un esempio di positivo


inserimento degli italiani

Al netto dei diversi aspetti problematici e


meno validi, come avviene da sempre in ogni
esperienza umana, tanto più se multiforme e
imponente, in un arco di storia assai ampio –
come nel caso delle migrazioni di massa –, la
valutazione che emerge dell’emigrazione
italiana in Argentina è nel complesso positiva, Caminito, al barri de La Boca, a Buenos Aires
(ph. Hernán Piñera de Marbella)
tanto da poter essere citata come un caso
favorevole d’integrazione, tenuto conto del
superamento delle riserve che dall’inizio del secolo scorso fino alla seconda guerra
mondiale interruppero l’orientamento aperto all’immigrazione. Com’è stato scritto nel citato
saggio di Galbiani e Gianfranceschi, in nessun luogo del continente americano «gli italiani
ci sono andati e ci sono rimasti come in Argentina. Non solo per i numeri importanti che
descrivono il fenomeno […]. È anche una questione culturale e identitaria, perché
l’Argentina è anche la nazione nella quale la cultura italiana si è maggiormente radicata, a
tal punto che l’italianità ha dapprima messo in discussione l’identità nazionale argentina,
per poi entrare a tutti gli effetti a far parte della argentinidad, dell’identificazione di ciò che è
argentino» [29].

I fattori che favorirono un’efficace integrazione degli italiani furono molteplici. Dal nostro
canto abbiamo provato a individuarne alcuni. Anzitutto un consistente fabbisogno di
manodopera da parte del mercato del lavoro locale, di pari passo con la grande disponibilità
di forza lavoro da parte delle regioni italiane, anzitutto del Nord. Ha poi inciso una
particolare consapevolezza culturale e politica della classe dirigente argentina, resa assai
evidente nella Costituzione del 1853 (e in particolare all’articolo 25), aprendosi
all’immigrazione e al suo inserimento, e supportandola a livello amministrativo e finanziario.
Ha influito anche una concezione sostanzialmente positiva dei migranti di origine italiana,
tanto da privilegiarli (soprattutto nel periodo tra le due guerre) a quelli del Centro Europa, a
fronte dell’avversione riscontrata invece in altri Paesi. Peraltro, l’inserimento degli italiani
non ha avuto limiti per quanto riguarda i settori e i livelli di responsabilità: vi fu un loro
contributo iniziale nella fase del passaggio all’indipendenza e, inoltre, sono stati diversi i
presidenti della Repubblica Argentina di origine italiana [30]. Infine, pur nel contesto di un
mutato atteggiamento nei confronti degli italiani – comunque circoscritto nel tempo – gli
argentini hanno avuto il merito di non cadere nel rischio di considerare gli atti di devianza,
compiuti da una ristretta cerchia d’italiani, come un segno distintivo dell’intera collettività. La
collettività italiana è stata valutata nel suo insieme e tale valutazione resta nel complesso
positiva.

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021


Note

17/20
[1] Per ulteriori approfondimenti, oltre alle indicazioni particolari contenute nell’articolo, citiamo alcune
voci di una bibliografia quanto mai ampia: AMBROSETTI E, STRANGIO D., Italiani in movimento,
Ripensare l’emigrazione italiana in Argentina, Edizioni Nuova Cultura, 2015: Roma, 2015; FAVERO L.,
TASSELLO, G, Cent’anni di emigrazione italiana (1876-1976); CSER, Roma, 1978; BEGNINO V.,
FRANZINA E., PEPE A. (a cura di), La riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato
nell’emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, Milano, 1994; GALLINARI L., SPAGNOLI L.,
L’emigrazione italiana in Argentina. Percezione e rappresentazione, Società Geografica Italiana Onlus,
Roma, 2011; ROSOLI G. (a cura di), Un secolo di emigrazione italiana (1876-1976), Roma, Cser, 1978;
ZILLI I., Un ponte sull’oceano. Migrazioni e rapporti economici fra Italia e Argentina dall’Unità ad oggi,
CNR-ISSM, Napoli, 2012.
[2] L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) è stata istituita con la legge n. 470 del 27 ottobre
1988. Gli oriundi sono i discendenti degli emigrati italiani espatriati Italia in possesso della cittadinanza
del paese di nascita. Lla legge consente loro anche il riconoscimento della cittadinanza italiana, sebbene
i turni per la presentazione della documentazione comportino alcuni anni di attesa causa delle enormi
difficoltà operative dei Consolati italiani all’estero, preposti alla a trattazione di queste pratiche, in
particolare in paesi come Argentina, Brasile e Uruguay.
[3] Da quella esperienza di studio e dalle relazioni presentate nelle varie sessioni di lavoro ne scaturì una
pubblicazione edita l’anno seguente: cfr. Caritas/Migrantes, America Latina-Italia. Vecchi e nuovi
migranti, Edizioni Idos, Roma 2009.
[4] Cfr. P. Cecchini, Terra promessa. Il sogno argentino, Edizioni Regione Marche, Ancona 2006, 2 voll.
Riguardo a questo saggio si suggerisce la consultazione dell’ampia recensione fattane da Maria
Immacolata Macioti nel saggio dal titolo L’emigrazione italiana in Argentina e i materiati autobiografici, in
“Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni IDOS, Roma 2009: 427-436. Cfr., inoltre, il “classico” volume di G.
Rosoli (a cura di), Identità degli italiani in Argentina. Reti Sociali, Famiglia, Lavoro, Edizioni Studium,
Roma 1993.
[5] Il periodo che va dal 1853 alla cosiddetta “batalla de Pavón” fu determinante per la conformazione
dello Stato moderno argentino, con conseguenze importanti anche sul piano delle politiche migratorie. La
letteratura, soprattutto argentina, è particolarmente nutrita. In questa sede si segnala il saggio di B.
Bosch, En la confederación argentina 1854-1851, Eudeba, Buenos Aires 1998. Sul tema specifico
dell’immigrazione italiana in questa fase della storia argentina cfr., fra gli altri, G. Frediani, Pionieri italiani
nell’agricoltura americana, con prefazione di Giuseppe Prezzolini, Pan, Milano, 1976. Un’ampia analisi di
tale saggio è stata realizzata da Stefano Petroni in Una grande epopea dimenticata (sec. XIX-XX). I
pionieri italiani nell’agricoltura americana. Riflessioni su uno studio di Giuseppe Frediani e su altre fonti,
consultabile al seguente link:
https://www.museoemigrazioneitaliana.org/assets/Uploads/Una-grande-epopea-dimenticata.pdf.
[6] Assai interessante, a questo proposito, la rassegna dei “fondatori di città” proposta nel sito della
Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana, al seguente link:
https://museo.fondazionepaolocresci.it/le-nuove-patrie/.
[7] L’art. 25 della Costituzione del 1853 recita testualmente: «El Gobierno federal fomentará la
inmigración europea; y no podrá restringir, limitar ni gravar con impuesto alguno la entrada en el territorio
argentino de los extranjeros que traigan por objeto labrar la tierra, mejorar las industrias, e introducir y
enseñar las ciencias y las artes».
[8] Successivamente si occuparono anche della concessione di mutui per l’acquisto dei lotti, della messa
a disposizione di magazzini, delle pratiche per l’esenzione delle tasse e anche del reperimento di
sacerdoti per l’assistenza religiosa; richieste in tal senso furono rivolte a mons. Giovanni Battista
Scalabrini, vescovo di Piacenza e fondatore delle Congregazioni dei missionari e delle suore di San
Carlo Borromeo (Scalabriniani).
[9] Non va dimenticato che i latifondisti, a differenza dei coloni, non erano abituati alle policolture, che
avrebbero consentito di far medglio fronte alla minore richiesta di caffè. Sull’emigrazione italiana in
Brasile cfr. F. Jorio, F. Pittau, S. Waisel dos Santos, Brasile: trenta milioni di oriundi italiani nel Paese del
meticciato, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 48, marzo 2021
(https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/brasile-trenta-milioni-di-oriundi-italiani-nel-paese-del-meticciato/).
[10] Cfr. F. Lazzari (a cura di), Migranti di ieri e di oggi, in “Quaderni del CSAL”, n. 3, luglio 2010: 28.
[11] Per un quadro sul tema dell’identità religiosa degli emigrati italiani cfr. M. Sanfilippo, Breve storia del
cattolicesimo degli emigranti, in https://www.treccani.it/enciclopedia/breve-storia-del-cattolicesimo-degli-

18/20
emigranti_%28Cristiani-d%27Italia%29/.
[12] Sulla vicenda, fra gli altri, scrisse anche l’italo-argentino Torcuato S. Di Tella, nel contesto di un
saggio dal titolo Italiani in Argentina. Gli ultimi duecento anni, e consultabile al seguente link:
https://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/1627/di_tella_it.pdf.
[13] Va ricordato che dopo la Seconda guerra mondiale si rifugiarono in Argentina anche molti italiani
compromessi con il regime fascista.
[14] Cfr. F. Rotondo, Italiani d’Argentina. Dall’accoglienza alla “difesa sociale” (1853-1910), in “Historia et
ius”, n. 12/2017: http://www.historiaetius.eu/uploads/5/9/4/8/5948821/rotondo_12.pdf.
[15] Citazione tratta da G.A. Stella, Negri, froci, giudei & co. L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli, Milano
2009.
[16] Cfr. E. Scarzanella, Italiani malagente. Immigrazione, criminalità, razzismo in Argentina, 1890-1940,
Franco Angeli, Milano 1999.
[17] Cfr. Cime, Il Comitato intergovernativo per le migrazioni europee (C.I.M.E.). La sua struttura e le
sue attività, Ginevra 1958. Il testo è integralmente consultabile al seguente link: https://www.cser.it/wp-
content/uploads/2021/03/CIME-strutture-e-attivita%CC%80-1958.pdf.
[18] La vicenda rappresenta ancora oggi una “ferita aperta” nella coscienza collettiva argentina e non
solo. Infatti, sono ancora molti i nodi da sciogliere non solo sotto il profilo storiografico ma anche
giudiziario. Un punto di partenza conoscitivo irrinunciabile è rappresentato dall’Informe de la Comisión
Nacional sobre la Desaparición de Personas, dal titolo “Nunca mas”, Eudeba, Buenos Aires 1984. Molto
interessanti sono le testimonianze sul periodo della dittatura pubblicate da un giornalista e da un
diplomatico: I. Moretti, I figli di Plaza de Mayo, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2002; E. Calamai,
Niente asilo politico. Diario di un console nell’Argentina dei desaparecidos, Editori Riuniti, Milano 2003.
[19] Informe de la Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas, op. cit.: 11.
[20] La sentenza è stata pubblicata e commentata dalla Rivista online Diritto penale contemporaneo, al
seguente link: https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/5685-nunca-ms-la-corte-dassise-di-roma-
condanna-i-vertici-dei-regimi-dittatoriali-dellamerica-latina-per.
[21] Si stima che gli italiani scomparsi furono attorno a un migliaio tra i circa 30.000 desaparecidos
complessivi. Per approfondire questa triste pagina cfr. M. Rosti, La forza della memoria nel caso dei
desaparecidos argentini, in “Culture”, Annali del Dipartimento di Lingue e culture contemporanee
dell’Università degli Studi di Milano, 2005-2006:.149-169. Della stessa autrice si veda inoltre il saggio dal
titolo L’Italia e i desaparecidos argentini d’origine italiana, in “Algo más sobre los Italianos en la
Argentina”, Báez Ediciones, Córdoba 2008: 251-273.
[22] Cfr. R. Callia, C. Mancosu, Ida y vuelta (andata e ritorno): gli italiani in Argentina oggi, in Fondazione
Migrantes, “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni Idos, Roma 2007: 338.
[23] Un altro musicista proveniente dal Sud, esattamente da Crotone (in Calabria), fu Vincenzo
Francesco Scaramuzza (1885-1968), pianista, compositore e didatta. Tra i suoi allievi più famosi a livello
mondiale vi è la grande pianista argentina María Martha Argerich.
[24] Cfr.
https://ambbuenosaires.esteri.it/ambasciata_buenosaires/es/ambasciata/news/dall_ambasciata/argentin
a-giorno-dell-immigrante.html
[25] Cfr. M.M. Farfan, Immigrazione e cittadinanza: legislazione e prospettive di riforma, in
“Immigrazione, accoglienza, integrazione, cittadinanza: una mappa ragionata”, Rivisidem,a, n. 3,
settembre-dicembre 2006; IDEM, , La cittadinanza italiana: dati, legislazione e prospettive di riforma; in
Fondazione Migrantes, “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni Idos, Roma 2007: 237-246.
[26] Cfr. L. Favero, C. Cacopardo, M. Santillo, Quelli che verranno ancora, in J.L. Rhi Sausi, M.A. García,
“Gli argentini in Italia: una comunità di immigrati nel paese degli avi”, Biblioteca universale Synergon,
Bologna, 1992; Sul tema si rinvia anche a: G. Bramuglia, M. Santillo, Un ritorno rinviato: discendenti di
italiani in Argentina cercano la via del ritorno in Europa, in Rivista “Altreitalie”, n. 24, gennaio-giugno
2002 (consultabile al seguente link:
https://www.altreitalie.it/Pubblicazioni/Rivista/Numeri_Arretrati/N_24/Saggi/
Un_Retorno_Postergado_Los_Descendientes_De_Italianos_En_Argentina_Buscan_El_Camino_De_Re
greso_A_Europa.kl).

19/20
[27] A. Galbiani, L. Gianfranceschi, Italiani dell'Argentina: come e perché siamo andati e siamo rimasti
nella “terra argentea”, 2020; consultabile al link https://www.amistades.info/post/italiani-dell-argentina-
come-e-perch%C3%A9-siamo-andati-e-siamo-rimasti-nella-terra-argentea .
[28] Tali tematiche sono state sviluppate en R. Callia, A. Aledda, L'associazionismo italiano nel mondo:
nodi e prospettive , en “Rapporto Italiani nel Mondo”, Edizioni Idos, Roma 2008: 269-279; Idos, Gli
italiani all'estero,, Collettività storiche e nuove mobilità, “Affari Sociali Internazionali, n. 1-4/2020, Roma.
dicembre 2020.
[29] A. Galbiani, L. Gianfranceschi, Italiani dell'Argentina… , op. cit.
[30] L'ultimo in ordine di tempo è stato Mauricio Macri, dal 2015 al 2019. Suo padre, Francesco, era un
imprenditore italiano (nato a Roma nel 1930) naturalizzato argentino.

_____________________________________________________________

Raffaele Callia, responsable del Servizio Studi y Ricerche della Delegazione regionale Caritas
Sardegna. Dopo laurea in Scienze Politiche ha compiuto studi di specializzazione in Scienze Sociali in
Argentina, dove ha effettuato una ricerca sull'emigrazione italiana nella provincia di Tucumán. Redattore
del Dossier Statistico Immigrazione , ha pubblicato diversi lavori riguardanti l'emigrazione italiana e sui
Processi di interazione degli stranieri in Italia.
María Marta Farfán, nacida en Argentina, ha ottenuto il titolo di avvocato presso l'Università di Cordoba.
Trasferitasi in Italia nel 1975, si è specializzata e in Sociologia e ricerca sociale presso l'Università di
Roma “La Sapienza”. Ha coltivato gli approfondimenti giuridici in materia di inmigrazione, emigrazione e
cittadinanza, ottenendo il riconoscimento di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. È stata
responsabile nazionale delle politiche sociali e migratorie del Patronato INAS-CISL hasta 2014.
Franco Pittau , dottore in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni '70, quando è stato
anche impegnato sul campo in Belgio e in Germania. Ideatore del Dossier Statistico Immigrazione ( il
primo anuario del genere realizzato in Italia). Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS
(Immigrazione Dossier Statistico), continúa su colaboración como presidente onorario. Es miembro del
Comité organizador del Master in Economia Diritto Intercultura presso l'università di Roma Tor Vergata e
escribe su riviste especializate en emigración e inmigración.
______________________________________________________________

20/20

Potrebbero piacerti anche