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Lezione 31 Marzo - Storia Economica

La lezione analizza la crisi economica del 1929, evidenziando il ruolo delle società d'investimento e delle banche nella speculazione borsistica che ha portato a un crollo finanziario. Si discute come la crisi inizialmente borsistica si sia trasformata in una crisi economica globale, con conseguenze devastanti come la disoccupazione e l'aumento della disuguaglianza. Infine, viene introdotto il New Deal come risposta politica per rilanciare l'economia, abbandonando il dogma liberista e adottando politiche di deficit spending per stimolare la crescita.

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Lezione 31 Marzo - Storia Economica

La lezione analizza la crisi economica del 1929, evidenziando il ruolo delle società d'investimento e delle banche nella speculazione borsistica che ha portato a un crollo finanziario. Si discute come la crisi inizialmente borsistica si sia trasformata in una crisi economica globale, con conseguenze devastanti come la disoccupazione e l'aumento della disuguaglianza. Infine, viene introdotto il New Deal come risposta politica per rilanciare l'economia, abbandonando il dogma liberista e adottando politiche di deficit spending per stimolare la crescita.

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Lezione 11 - Storica economica 31/03/2025

Abbiamo discusso delle dinamiche del primo step della crisi del ‘29 (la crisi
borsistica), abbiamo sottolineato l’importanza che hanno avuto i nuovi strumenti
finanziari per favorire una grande attenzione verso le dinamiche della borsa che
vedono oggettivamente, in prima linea, da un lato le banche, gli agenti di borse e
dall’altra parte un’altra istituzione che son le società d’investimento (sono la
perfetta opera di architettura speculativa, sono società le quali non fondano nuove
imprese ma la cui attività è rivolta a vendere i titoli delle vecchie imprese  anche
qui c’è un forma di intermediazione speculativa realizzata su basi più consistenti e
son società che prendono titoli di altre imprese e li trasformano in nuovi titoli per
altre imprese, spesso sotto la loro intestazione e come tali li collocano ne mercato
borsista). Queste società sono quelle che, di fatto, segnano la separazione più forte
tra il volume delle azioni delle società che sottoscrivano i loro titoli in borsa e la
consistenza delle spese società quotate in borsa. La progressione di queste società
incredibile nel 1826 sono 160 ma l’anno dopo sono raddoppiate, sono 300, sono
titolari di numeri eccezionali, durante il ’28 ne vennero organizzate altre 186, fino al
‘29 (anno che segna il passaggio dall’euforia al panico della borsa) dove se ne fonda
una ogni giorno. Possiamo vedere quanto il ruolo importante che giocano queste
società ed ancora più importante il fatto che nascono patrociniate dalle banche, ogni
banca immagina di avere una costellazione di società d’investimento che a loro volta
quest’ultime si fanno scudo della credibilità delle banche di riferimento ma questo
crea un connubio pericoloso perché questo porterà fallimento più totale. Dall’altra
parte la sintassi della crisi finanziaria non ci offre nulla di nuovo, se andiamo a
vedere le società d’investimento che intervengono nella crisi del 2008, sono tute
società d’investimento che si appoggiano a diretta affiliazione delle banche.
Ci sono vari motivi per cui le banche preferiscono affidarsi a società d’investimento
la principale è che risulta molto più facile o muoversi nell’oscurità, perché
effettivamente c’è molto meno controllo, un esempio: quando nel 2008 si scatena la
crisi dei titoli derivati, precedentemente a Basilea sarebbero stati definiti due
accordi che avvertivano le banche di vincolare l’8% del loro patrimonio per evitare
eventuali crisi di liquidità, questo significava, in un clima di speculazione finanziaria
crescente, dover limitare molto l’attività speculativa delle banche e quindi pensano
di delegare ad hoc una società d’investimento che può manovrare una quantità
enorme di denaro che però non essendo di piena titolarità della banca non rientra in
quei budget di controllo delegato dagli accordi di Basilea. Il problema è che queste
società d’investimento veicolano in maniera determinante la quantità di risparmio
esistente in America, il dato più eclatante è che nel biennio ’27-’29 gli investimenti
reali passano a tre miliardi e mezzo di dollari a 3,2 miliardi di dollari mentre gli
investimenti mobiliari, veicolati attraverso la borsa vanno verso una dimensione
crescente impressionante perché passano a 27 a 87 miliardi di dollari, dunque c’è
una vera e propria forbice. Mentre diminuiscono gli investimenti reali sull’economia
reale, aumentano invece in maniera esponenziale gli investimenti nelle attività
speculative di borsa e i dati sono lavorati con i numeri indice. Una delle conseguenze
fondamentali di questa sono i suicidi, ci sono persone che ne escono distrutte da
quella attività in discesa dei titoli non avendo ormai più altre prospettive (diventa il
risultato dell’eccessiva euforia con cui si era guardata l’attività speculativa). La borsa
successivamente ha impiegato 20 anni per recuperare i valori che aveva prima della
crisi del ’29.
Quali sono gli effetti? Si è riflettuto molto sul fatto se la crisi della orsa abbia fatto
da detonatore della crisi complessiva del sistema, in realtà poi se si guardano bene
gli andamenti dell’economia reale, si scopre che già qualcosa non andava nella
economia reale, già c’era una contrazione delle dinamiche di mercato —> si riduce
la domanda dei beni sul grande mercato americano. Già qui si può notare che
mentre la borsa immaginava uno sviluppo indefinibile dell’attività reale, in realtà
l’attività reale si stava bloccando ma e lenti borsistiche non riescono a leggere
quest’andamento, questa inversione del ciclo economico e continua quasi per
inerzia a corre verso il basso. Gli elementi della crisi borsistica, in ogni caso, sono
non determinati per quello che poi sarà il nocciolo della crisi di quegli anni, cioè la
capacità di produzione non trova più riscontro nella capacità di crescere. Ciò
nonostante, possiamo ritenere la crisi della borsa come un malessere che ha
incominciato a corrodere la base dell’economia reale. Gli effetti della crisi sono
immediatamente di natura finanziaria, crollo die valori dei titoli e la conseguente
crisi bancaria cioè tutti quei soggetti che avveno alimentato la dimensione
monetaria favorendo una facile rincorsa al credito e che nel momento i cui la
parabola della crisi e della speculazione si inverte, non fa altro che tentare nei soldi
prestati. Quindi i debitori perdono tutto e le banche non riescono e rientrare nei
debiti.
Altro elemento da sottolineare è che quando parte una speculazione finanziare è
molto difficile che si possano valutare i rischi che questa speculazione può avere.
Alla luce di una crisi del genere, l’autorità monetaria non dovrebbe assecondare il
progressivo impoverimento, dovrebbe abbassare i costi del denaro invece,
rimanendo bloccati dalla logica del Gold Standard, immettono in maniera violenta
una politica inflazionista, ovvero si incomincia ad alzare il tasso d’interesse, dal che il
denaro circolava poco ora per nulla e così anche le attività reali falliscono le imprese
ed è così che si avvia la Grande Depressione a partire dagli anni ‘30 (si innesca una
forza recessione). Gli effetti si determinano sul piano dell’economia reale come
fallimenti industriale, crolli dei prezzi, la risposta di tipo commerciale è il
protezionismo e la tariffa americana più forte copre fino al 55% del prezzo finale di
un prodotto, il resto sono tutte politiche scellerate che fanno ripiegare su sé stesso il
mercato americano. L’effetto finale è una forte disoccupazione, ormai l’America
deve cominciare a licenziare dopo diversi fallimenti e almeno 30.000.000 di persone
sono disoccupate.
Il dato della disoccupazione fa esplodere anche un profondo processo di
diseguaglianza economica e i dati sono impressionanti: lo 0,1 per cento della
popolazione americana detiene il 42 per cento della ricchezza nazionale e il resto,
più della metà della popolazione americana, è sulla soglia dell’impoverimento.
Dunque quale potenza poteva esercitare una così ingente massa di persone per
poter sostenere la domanda dei beni manifatturiera nell’impresa americana, è molto
poca. Quello che sembra un consumo di massa riguarda, in realtà è da parte dei
segmenti medio-alti della popolazione americana. Se l’americanizzazione dei
consumi riguarda una soglia più ricca, che possono permettersi a di avere due
macchine o due lavatrici, dunque ad una grande impennata di richiesta di
produzione dei questi beni domestici, serve poi una flessione, tant’è vero a un certo
punto che si prova ad indurre i consumatori a un tasso di longevità di uso del
prodotto inventandosi la vendita a rate. Tutto questo avviene nell’America, i
passaggi sono messi in fila crisi finanziaria, bancaria e crisi economia reale la quale
sta già disponendo i tasselli per una crisi di sovrapproduzione.
Le scelte politiche asservite da una logica pienamente liberista non aiutano a
corrente questa tendenza al ribasso e siamo quindi alle porte della Grande
Depressione, il cui epicentro sono gli Stati Uniti ma che ben presto si propaga in
tutto il mondo. Se è vero che gli Stati Uniti, parlando prima guerra mondiale,
essendo fuori dal conflitto, di poter sviluppare una grande capacità produttiva, alla
fine del conflitto di fatto gli Stati Uniti sono titolari del 45% della produzione
manifatturiera internazionale e sono titolari del 15% delle importazioni degli altri
paesi verso gli Stati Uniti. Il gioco è che gli altri paesi potevano guardare fiduciosi
l’economia americana, e da cui acquistavano, era in qualche modo vincolato dalla
capacità degli Stati Uniti avevano allo stesso tempo di assorbire quote consistenti
dei prodotti degli altri paesi. Se gli Stati Uniti cominciano a mettere tariffe
protezioniste quest’ultime determinano un gioco al massacro perché anche gli altri
paesi le mettono, dunque il sistema degli scambi di blocca. Gli Stati Uniti può per un
certo tempo immaginare che la sua capacità produttiva sia assorbita dalla domanda
intera, ma questo mercato, dopo aver espresso il meglio di sé in termini
consumistici, non può oggettivamente andare oltre perché avrebbe bisogno di uno
sfiatatoio estero ma il quale è stato precluso.
Dopo la guerra, i prestiti statunitensi non riuscivano tanto a favorire lo sviluppo delle
attività economiche degli altri paesi usciti dalla guerra ma potevano costituire un
fondo importante per fare in modo che gli altri paesi potevano acquistare le merci
americane. Ma se i capitali americani tornano a casa e le banche, colpite dalla crisi
finanziaria, non possono più immaginare di accostare investimenti all’estero e se i
capitali si sono persi in questo scellerato gioco di rialzo dei titoli a Wall Street, i
capitali non esistono più e quindi la crisi si propaga inarrestabile anche nelle altre
latitudini mondiali. È il momento in cui nei paesi dell’America Latina si pensa che ci
sia il bisogno di non dipendere dai mercati esteri, ma di creare un sistema
economico industriale interno, quindi si pensa a un modello di sostituzione delle
importazioni.
Contemporaneamente vanno in crisi i pilastri bancari che hanno sostenuto
l’economia tedesca della seconda rivoluzione industriale: le banche miste, le famose
5 sorelle. Talmente vanno in crisi che addirittura deve intervenire lo Stato per
nazionalizzarle e lanciare un mercato un messaggio rassicurante. In Italia succede la
stessa cosa, le due banche d’investimento commerciale (Unicredit) non ce la fanno
più e chiedono allo Stato di nazionalizzarsi insieme ad altre tante industrie. In
Germania, oltre a ciò, il nazismo prende piede e quello che fa tornare l’economia è
una rincorsa per gli investimenti dell’industria alimentare. Possiamo osservare
quindi diversi casi ma tutti accumunati da una svolta epocale. Si osserva un cambio
di profilo dello stato, anche lo stato interventista diventa uno stato imprenditore e
diventa protagonista dell’attività economica in quanto tale. Questo forse è il segno
più evidente d quello che è stato indotto dalla Grande Depressione, cioè diventa il
postulato liberista per eccellenza che viene letteralmente smantellato dalle esigenze
congiunturali: cambiano le modalità, la Germania nazionalizza ma brevemente per
ripulire le 5 banche miste per poi riconsegnarle al pubblico, cambia anche l’intensità
con lui lo stato interviene ma ora è chiamato ad intervenire in ogni latitudine.
Abbiamo parlato del panorama europeo, abbiamo parlato degli stati dell’America
Latina con la sostituzione delle importazioni ma tocca tornare nel panorama
americano nel quale tutto questo avviene anche all’interno del paese, di cui è stato
l’epicentro dal ’29 fino al ’35-’36 e i dati sono assolutamente incredibili:
1. la disoccupazione passa dal 5,3% nel ‘29 al 37,9% nel 1930;
2. la produzione industriale scende del 60% nel 1932;
3. il livello di vita si è abbassato di oltre un 1/3.
Insomma, negli anni ‘30 si evidenzia che quella economia era cresciuta troppo in
fretta, facendo un unico affidamento ai mercati interni nella progressiva
saturazione. Anche negli Stati Uniti in quegli anni ci sono scelte politiche complicate
e difficili. Quello che si fa, dopo il passaggio di egemonia dai repubblicani con la
vittoria dei democratici nel ’33 che porta con sé la risposta a questi tempi difficili: il
New Deal, il quale segna la svolta epocale di quello che era stata la culla del
liberismo internazionale. Il New Deal è un programma di rilancio e delle riformi
sociali che vede pienamente coinvolto la politica di quel paese, è la politica a guidare
questo lungo corso e l’elemento di novità è il fatto che si è messo finalmente da
parte la logica del Gold Standard, di quella rettitudine finanziaria che sembrava
reggere il buon funzionamento del sistema monetario. Lo strumento con cui lo Stato
governa il New Deal è il deficit spending e cioè ricorrere a una quantità enorme di
moneta pur sapendo che quella moneta non ha una copertura alta, ma il bisogno
espresso dalla politica per l’economia e la società di quel momento prendono il
sopravvento. Nel 1932, nonostante i programmi liberisti, il deficit di bilancio
corrisponde a 142% delle entrate e le spese ormai assunte dallo Stato più o meno
coprono il 5% del prodotto interno lordo. In questo dato si può leggere l’impegno
dei democratici americani mettono per aggiustare i guasti della crisi borsistica del
‘29, il debito pubblico passa da 13 miliardi a oltre 40 miliardi di dollari.
Il New Deal si divaga in diversi interventi sul piano dell’agricoltura, sul piano
bancario e sull’industria, e andrebbero valutati su che tipo di interventi Roosevelt si
gioca la sua partita. Dunque la sua politica, nell’anno ’32, è guidata su come uscire
dalla crisi del momento, gli obiettivi sono chiaramente quelli di rilanciare gli
investimenti. Se non portiamo sui consumi non saremo in grado di riassorbire
quell’eccedenza produttiva. Roosevelt vincerà la sua partita solo dopo la seconda
guerra mondiale, adesso l’idea è di utilizzare le indicazioni in una logica
estremamente anti-ciclica  Roosevelt porta avanti l’dea che lo Stato debba far
uscire la società dalla crisi di quel momento, per poi tornare nelle sue prerogative
istituzionali. Anti-ciclica = si vuole contrastare il ciclo economico negativo e
riportarlo in crescita e lo Stato può ritirarsi nelle sue riserve. Ma il dato vero è che il
bilancio di tutto queste cose, si abbandona il dogma liberista. Lo Stato è uno
strumento per testare di innalzare il reddito di quel paese.
Potremmo dividere gli interventi indiretti, sistema e di regole che è rivolto ad altri
soggetti e poi interventi diretti in cui è lo Stato soltanto, senza alcune
intermediazione, a mettere i soldi e a fare cose.
Ciò porta a una prima riforma bancaria: slanciamento del dollaro dalla parità aurea,
l’atto definitivo di abbandono del Gold Standard, quindi la moneta americana
poteva essere svalutata, e per questa strada diventare più competitiva e tentare di
aprire canali di scambi verso l’estero. Ma soprattutto il sistema bancario ha bisogno
di regole ferree e la prima regola ferrea è di distinguere dal modello di free banking
il tipo di attività che ogni banca può svolgere, quindi c’è una rigida gerarchizzazione
del sistema bancario di quel paese.
Contestualmente, il New Deal si basa su provvedimenti che riguardano
specificamente l’agricoltura, cosa bisognava fare per tentare di non far svenire
completamente i prezzi? Bisognava intervenire in maniera più veemente e questi
provvedimenti assunti dal New Deal sembrano apparentemente incomprensibili
nella logica del mercato liberista. Qualcosa di più o meno simile, riguardano i
provvedimenti nell’industria, contributi per limitare la produzione e limitare questa
deriva della sovrapproduzione che ormai è la nota dominante della Grande
Depressione. Qui si agisce su due livelli ovvero contributi sì ma in cambio si deve
evitare il lavoro minorile ed evitare condizioni difficili, specialmente per donne e
bambini, quindi s’intende di introdurre una nuova disciplina produttiva con nuovi
orari di lavoro e ciò ha un risvolto politico in termini di relazione industriale. Altro
elemento, adesso Roosevelt aveva bisogno di costruire una grande triangolazione:
da un lato gli imprenditori e produttori, da un lato i rappresentati del proletariato e
la forza lavoro e l’apice è costituito dalla direzione dello Stato. Ma perché questo
avvenisse, bisognava politicamente riconoscere i sindacati, legittimarli come gli
attori delle relazioni industriali e anche delle relazioni politiche che si costruiscono e
che sottendono al funzionamento.
Altro elemento di svolta per tentare di ripartire i consumi è ridistribuire in maniera
corretta le ricchezze della nazione e ciò è una riforma fiscale basata sulla
progressività chi più ha, più paga.
Il New Deal è noto soprattutto per gli interventi diretti, in cui si esprima la politica
del deficit spending, ma altra cosa importante è pagare masse di disoccupati lavori
socialmente utili. La logica di Keynes è quella di sostegno alla domanda: il mercato
non riesce a sostenere la domanda, quindi c’è bisogno della mano pubblica perché
riesce a sostenersi attraverso lo stato sociale e il deficit spending, con l’obiettivo di
creare piena occupazione e dunque creare una massa enorme di percettori di salari
e creare quindi uno spirale fra consumo e occupazione. L’importante è acquisire
grande quantità di disoccupati.

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