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La Scala e La Ragnatela La Questione Del

Il documento analizza l'opera di Irma Brandeis, in particolare il suo studio 'The Ladder of Vision' sulla Commedia di Dante, evidenziando la scarsa attenzione ricevuta dalla critica italiana. Si discute il suo contributo all'analisi retorico-stilistica dell'opera dantesca e il suo ruolo come musa per Eugenio Montale. Viene sottolineata la necessità di un dialogo più profondo tra la critica italiana e le ricerche anglosassoni sull'imagery dantesca.

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La Scala e La Ragnatela La Questione Del

Il documento analizza l'opera di Irma Brandeis, in particolare il suo studio 'The Ladder of Vision' sulla Commedia di Dante, evidenziando la scarsa attenzione ricevuta dalla critica italiana. Si discute il suo contributo all'analisi retorico-stilistica dell'opera dantesca e il suo ruolo come musa per Eugenio Montale. Viene sottolineata la necessità di un dialogo più profondo tra la critica italiana e le ricerche anglosassoni sull'imagery dantesca.

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LA SCALA E LA RAG NATELA.

LA QUE STION E DELL’I MAG E RY


N EL DANTI S MO DI I RMA BRAN DEI S

L’immagine consiste nell’essere i suoi elementi in


una determinata relazione l’uno con l’altro.
è la struttura dell’esperienza del lettore, piuttosto
che qualsiasi altra struttura rinvenibile sulla pagi-
na, che deve costituire l’oggetto della descrizione.
L’espressione linguistica […] accoglie e dispiega
l’immagine all’interno di un disegno globale del
senso che si attualizza al meglio nella scala di un
discorso complesso.*

Premessa
Se nelle vesti di musa della poesia di Montale, criptata nel senhal di Clizia,
Irma Brandeis ha via via assunto una sempre maggiore notorietà, la sua ben
meno trasfigurata maschera come studiosa di Dante sconta invece un’attenzio-
ne assai limitata da parte della critica italiana.1 I riferimenti al suo nome, ai suoi

* Le tre citazioni in epigrafe sono tratte, risp., da L. Wittgenstein, Tractatus logico-philoso-


phicus e Quaderni 1914-1916, trad. it., Torino, Einaudi, 2009, p. 30; S. Fish, C’è un testo in questa
classe? L’interpretazione nella critica letteraria e nell’insegnamento, trad. it., ivi, id., 1987, p. 85; J.J. Wu-
nenburger, Filosofia delle immagini, trad. it., ivi, id., 1999, p. 58.
1. Irma Brandeis (1905-1990), americana newyorkese di origini ebraiche (« americana d’Eu-
ropa », per le sue origini boeme, la definisce P. De Caro, in Journey to Irma. Una approssimazione
all’ispiratrice americana di Eugenio Montale. Parte prima: Irma, un “romanzo”, Foggia, De Meo, 1999,
p. 34), ricevette una solida formazione, tra il 1925 e il 1935, in letteratura medievale comparata
alla Columbia University (dove ebbe quasi certamente occasione di seguire un seminario
dantesco semestrale di Mario Casella, tenutosi nel 1933). Fondamentale per la sua formazione
fu anche il lungo apprendistato di studi in Italia, visitata per lunghi periodi tra il 1932 o il ’33 –
quando conobbe Montale – e il 1938. Nel frattempo, a partire dal ’32, aveva iniziato a insegna-
re al Sarah Lawrence College e poi, dal ’44 fino al suo ritiro nel 1979, al Bard College, entram-
bi a New York, occupandosi in prevalenza di Dante, per quanto non fossero mancate sue in-
cursioni nel Novecento italiano, in particolare su Pirandello (cfr. I. Brandeis, Three by Piran-
dello, in « Modern Language Review », vol. xciii 1978, n. 1 pp. 64-81), ma anche su Silone e
Campanile. Oltre alla notissima raccolta Lettere a Clizia (cfr. E. Montale, Lettere a Clizia, Mi-
lano, Mondadori, 2006; si tratta però delle sole missive a lei indirizzate dal poeta) e al già cita-
to saggio di De Caro, utili per la conoscenza della sua biografia esistenziale e intellettuale
sono gli estratti dal suo Journal di piú recente pubblicazione: Irma Brandeis (1905-1990). Profilo di
una musa di Montale, Passi diaristici ed epistolari scelti trascritti e introdotti da J. Cook, a cura e
con un saggio di M. Sonzogni, Balerna, Edizioni Ulivo, 2008.

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note e discussioni

lavori appaiono relegati tra le scarne righe – in prevalenza negli spazi marginali
delle note – di un ristretto numero di recenti contributi, in prevalenza ricondu-
cibili a vario titolo alle ricerche sulla retorica e sullo stile danteschi, laddove, a
tutt’oggi, il suo principale studio non risulta ancora tradotto.
Potrà dunque rivelarsi di una qualche utilità avviare una ricognizione ravvi-
cinata del “caso Brandeis”, per verificare quanto le indagini sulla Commedia del-
la studiosa nordamericana siano anzitutto in grado di svincolarsi da un mero
valore storico-documentario. E, di conseguenza, si avrà l’opportunità di valuta-
re se si sia trattato di un’altra di quelle occasioni, solo parzialmente còlte, di
proficuo dialogo con la dantistica in lingua inglese, vista l’annosa diffidenza che
la ricognizione dell’imagery testuale, tipica della cultura anglosassone, incontra
presso le pratiche dominanti di marca filologica e storico-letteraria.

1. La ricezione italiana di The Ladder of Vision


1.1. In un recentissimo lavoro sulla metafora dantesca, Marco Ariani stigma-
tizzava la disattenzione da parte della critica italiana nei confronti del modello
di analisi e delle suggestioni ermeneutiche sviluppate da Irma Brandeis in The
Ladder of vision,2 uno dei tre studi che « hanno tentato […] una disamina, piú o
meno sistematica, dell’imagery o imagerie dantesca ».3 I motivi di questo mancato
confronto, secondo lo studioso, stanno da un lato nella generale penuria di stu-
di sistematici su questo aspetto della Commedia, sintomo della ben nota « antipa-

2. Vd. I. Brandeis, The Ladder of Vision. A Study of Dante’s ‘Comedy’, London, Chatto &
Windus, 1960 (il saggio apparve per la prima volta presso una casa editrice inglese); qui si ci-
terà dall’edizione americana: New York, DoubleDay & Company, 1962 (versione in brossura
di una precedente del 1961). Che Montale, nel suo Discorso (di cui si parlerà piú avanti), indichi
il 1961 come anno di uscita del saggio non implica – come pure è stato asserito (cfr. F. Mazzo-
ni, Elaborazione nel discorso di E. Montale per il settimo centenario dantesco, in Le tradizioni del testo.
Studi di Letteratura italiana offerti a Domenico De Robertis, a cura di F. Gavazzeni e G. Gorni,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1993, pp. 543-72, a p. 570 n.) – che egli abbia assunto erroneamente
l’anno di uscita di un altro lavoro della dantista, Discussions of the Divine Comedy (edito appunto
nel 1961; cfr. Discussions of the ‘Divine Comedy’, Edited with an Introduction by I. Brandeis,
Boston, D.C. Health and Company, 1961), al posto di quello di The Ladder of Vision, ma che
abbia con ogni probabilità avuto sotto mano la princeps “americana” di quest’ultimo (cfr. T. de
Rogatis, Alle origini del dantismo di Montale, in Montale e il canone poetico del Novecento, a cura di
M.A. Grignani e R. Luperini, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 189-201, a p. 198 n.).
3. M. Ariani, I « metaphorismi » di Dante, in La metafora in Dante, a cura di M. Ariani, Firenze,
Olschki, 2009, pp. 1-57, a p. 52. Gli altri due studi sull’imagery citati sono: H.F. Dunbar, Symbo-
lism in Medieval Thought and its Consummation in the ‘Divine Comedy’, New Haven, Yale Univer-
sity Press, 1929 (in realtà, si tratta di uno studio sul simbolismo medievale e dantesco, che non
guarda all’imagery né come metodo né come strumento di analisi), e Y. Batard, Dante, Minerve
et Apollon. Les images de la ‘Divine Comedie’, Paris, Les Belles Lettres, 1952 (di cui si parlerà piú
avanti).

182
la scala e la ragnatela

tia crociana e storicista per tutto quello che sa di retorica e affini »;4 dall’altro, nel
particolare e delicato ruolo rivestito da Brandeis di ispiratrice della poesia
montaliana,5 che, per dirla con una litote, certo « non sembra aver giovato mol-
to alla fortuna del suo libro ».6
Eppure, lo studio, a partire dalla sua uscita nel 1960, si inseriva a pieno titolo in
un solido e fecondo filone di ricerca, rappresentando un contributo stimolante
dal punto di vista dell’analisi retorico-stilistica della Commedia, al di là di certi
rapsodici impacci espositivi e della carenza di raffronti con le fonti filosofico-
teologiche. A conferma della capacità di dialogare alla pari con la critica anglo-
sassone che si muove all’interno dello stesso campo di indagine, bastino le pagi-
ne introduttive dell’ormai classico studio sulla similitudine dantesca di Lansing,
che, nel 1976, riepilogando il dibattito sull’analisi dell’imagery dantesca, non pote-
va eludere il confronto con The Ladder of Vision.7 Ancora Ariani, inoltre, segnala-
va come, a una generale ripresa di interesse per la similitudine dantesca, non
fosse corrisposta pari sorte alle ricerche sulla metafora, fatta eccezione per alcuni
rilevanti contributi, come quello di Raimondi, dove - non a caso - veniva ope-
rata una fulminea quanto pregnante ripresa del lavoro della dantista americana.8

4. Ariani, I « metaphorismi » di Dante, cit., p. 55.


5. Quanto fertile sia il nesso Dante-Brandeis per la poesia montaliana è appunto dimostra-
to dalla scelta di Clizia come senhal. « Né già ch’a veder lo sol gira » è infatti il v. 9 del sonetto
attribuito a Dante e diretto a Giovanni Quirini, ripreso come esergo de La primavera hitleriana.
Sia il componimento dantesco sia quello montaliano assumono dunque come ipotesto comu-
ne il mito di Clizia, narrato da Ovidio nel libro iv delle Metamorfosi, secondo cui la ninfa si
trasformò in girasole per le sofferenze di un amore non corrisposto nei confronti del Sole-
Apollo. A tale proposito cfr. Mazzoni, Elaborazione, cit., pp. 564-65.
6. Ariani, I « metaphorismi » di Dante, cit., pp. 52-53.
7. Vd. R.H. Lansing, From Image to Idea. A Study of the Simile in Dante’s ‘Commedia’, Ravenna,
Longo, 1976, pp. 11-13. In precedenza, andranno segnalati: le brevi recensioni di C. Hardie, in
« The Modern Language Review », vol. lviii 1962, n. 1 pp. 113-14, e di L.R. Rossi, in « Italica »,
vol. xl 1963, n. 3 pp. 281-85; e le discussioni del metodo d’analisi di Brandeis, presenti nello
studio sulle similitudini dantesche di J. Applewhite, Dante’s Use of the Extended Simile in the
‘Inferno’, ivi, vol. xli 1964, pp. 294-309, alle pp. 295-96, e in quello di A. Scaglione dedicato
all’imagery dell’ultimo canto della Commedia (Imagery and Thematic Patterns in ‘Paradiso xxxiii’, in
From Time to Eternity: Essays on Dante’s ‘Divine Comedy’, ed. by T.G. Bergin, New Haven, Yale
University Press, 1967, pp. 137-72, alle pp. 159-60).
8. Cfr. Ariani, I « metaphorismi » di Dante, cit., pp. 49-50. E vd. E. Raimondi, Ontologia della
metafora dantesca, in LCl, vol. xv 1986, pp. 99-109, a p. 100. Altri momenti della fortuna italiana
di The Ladder of Vision si trovano cursoriamente indicati in G. Cristofaro, ‘Avenues of Feeling’:
il Dante umanista di Irma Brandeis, in LI, a. lxiii 2011, n. 2 pp. 282-301, alle pp. 282-83 n. Questo
recente intervento, nonostante si presenti, dal titolo, nella veste di approfondimento degli
studi danteschi di Brandeis, si rivela essere piú che altro un contributo all’indagine del profon-
do interesse montaliano per l’opera dantesca e, tutt’al piú, a quella dei legami intellettuali e
artistici intessuti dal poeta genovese con la studiosa americana. Va sottolineata, inoltre, la
forte limitazione con cui, sin dall’inizio, si guarda al saggio di Brandeis dal punto di vista della

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note e discussioni

Cosí, prima di entrare nel merito dell’impianto teorico ed esegetico del vo-
lume, sarà opportuno ricostruire il momento cruciale in cui esso è stato – del
resto assai precocemente – oggetto di attenzione da parte della cultura italiana,
senza che ciò abbia condotto però a un naturale travaso di linfa vitale negli studi
danteschi, con ogni evidenza scarsamente ricettivi di fronte al prevalente im-
pianto da textual study of images, a tutti gli effetti perno metodologico intorno cui
ruotano le analisi condotte nel saggio.

2. La ragnatela dell’imagery nel Discorso di Montale su Dante


2.1. Che i conti con questo lavoro si sarebbero potuti fare ben prima, appare
chiaro anche solo a voler ricordare che nel 1965 proprio Eugenio Montale aveva
portato alla ribalta un piccolo “caso Brandeis”, immediatamente neutralizzato
dal silenzio fino alla metà degli anni Ottanta. L’occasione non era certo di poco
conto: all’interno del “Discorso finale al Congresso per il settimo centenario
della nascita di Dante”, dal titolo Dante ieri e oggi, tenuto dal poeta a Firenze nel
1965,9 The Ladder of Vision viene evocato come contributo decisivo per un ap-
proccio equilibrato ed efficace alla lettura polisemica della Commedia. Fil rouge
che si dipana lungo tutto l’intervento, il tentativo di rispondere alla delicata
domanda su cosa un poeta come Dante possa « rappresentare […] per uno scrit-
tore d’oggi » (p. 17). La paradossale conclusione è che unica soluzione sia nell’as-
sumere, a cospetto dello scrittore medievale, uno sguardo strabico che coniughi
alterità e prossimità: « Dante non è un poeta moderno […] il che non può impe-
dirci di comprenderlo, almeno in parte, e di sentirlo stranamente vicino a noi »
(ibid.).10 Declinata con minime variazioni per quattro volte, la stessa domanda
scandisce le diverse parti del testo, le quali appaiono imporsi quali diversioni
involontarie dal quesito d’esordio. Cosí, a seguire le prime due sezioni, lo scrit-
tore finalmente si cimenta con la Commedia.11
La lettura strabica teorizzata da Montale è avallata da diversi contributi criti-

sua consistenza critica, per cui esso non condurrebbe « a significativi giri di vite in materia di
discussione dantesca » (ivi, p. 287).
9. E. Montale, Dante ieri e oggi. Discorso finale al Congresso per il settimo centenario della nascita di
Dante, tenuto a Firenze il 24 aprile del 1965, in Id., Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976, pp.
15-34.
10. E, in altro punto, con formulazione affine: « resta quasi inspiegabile alla nostra moderna
cecità il fatto che quanto piú il suo mondo si allontana da noi, di tanto si accresce la nostra
volontà di conoscerlo » (ivi, p. 34).
11. Montale, Dante ieri e oggi, cit., pp. 25-31. Un resoconto dell’organizzazione interna del
testo montaliano (con un cenno al lavoro di Brandeis) è leggibile in M. Corti, ‘Esposizione
sopra Dante’ di Eugenio Montale, in Ead., Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale. Percorsi
dell’invenzione e altri saggi, Torino, Einaudi, 2003, pp. 380-88, partic. alle pp. 386-87; si vedano
anche le pagine dedicate al Discorso in G. Genco, Dante nella poesia di Montale, in « Testo », n.s.,
a. xxiv 2003, n. 46 pp. 77-94, alle pp. 78-82, e in Cristofaro, Avenues of Feeling, cit., pp. 288 sgg.

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la scala e la ragnatela

ci, tutti “vampirizzati” dall’estensore per giustificare tale strategia. Anche a vo-
ler semplicemente stilarne un elenco, le pagine del Discorso montaliano ospita-
no davvero le auctoritates piú influenti della critica dantesca della prima metà
dello scorso secolo. E, oltre a De Sanctis, Auerbach, Contini, Curtius, Croce,
Singleton, De Robertis, fa capolino appunto il nome di Brandeis, al cui lavoro
viene dedicata piú di un pagina (sulle venti circa in totale).12 Per quanto si possa
supporre che tale privilegiata attenzione sia almeno in parte da attribuire ai pur
tormentati rapporti intercorsi tra il poeta e la studiosa,13 la precisazione monta-
liana, vòlta a motivare il ruolo decisivo dello studio in funzione di un approccio
corretto alla dimensione polisemica della Commedia, appare quanto meno ap-
propriata. Suo merito precipuo sarebbe infatti quello di andare « oltre la teoria
eliotiana dell’immaginazione sensibile »,14 sforzo ermeneutico che a tutti gli ef-
fetti trova pieno riscontro anche a una lettura del saggio che si avvalga di una
distanza temporale ormai consolidata e di un approccio piú “disinteressato” ri-
spetto a quello montaliano.

2.2. Infatti, preliminarmente, Montale sottolinea come, di fronte alla etero-


geneità di stili e figure, l’unità del poema sia data, oltre che dall’impianto narra-
tivo del viaggio nell’aldilà, dal senso allegorico, che, pur evidente nelle sue linee
generali, non manca però di sfuggire nei suoi numerosi riferimenti particolari,
per via delle difficoltà insite nell’interpretazione di codici culturali tanto distan-
ti nel tempo. E tuttavia, quand’anche si volessero trascurare i significati « allego-
rici e anagogici », a fungere da guida sicura provvederà l’icasticità della tessitura
retorica incastonata nel significato letterale dell’opera: « una prima unità del
poema […] è data dalla concretezza delle immagini e delle similitudini » (p. 27).
A questo punto, inevitabilmente, il poeta si trova a dover fare i conti con la
lettura crociana del poema, accostata assai ingegnosamente all’errore opposto e
reciproco. L’impianto nello stesso tempo antiretorico e ‘lirico’ dell’esegesi
crociana,15 a furia di scartare ogni « oscura glosa », finisce per non tenere in debi-
to conto quella « somma enorme di corrispondenze, di richiami, che la lettera

12. Di « presenza non solo puntualmente esplicita ma di fondo, del dantismo e della cultu-
ra anglosassone » nelle pagine montaliane parla Mazzoni, Elaborazione, cit., p. 568.
13. Per la ricostruzione del legame affettivo e intellettuale tra il poeta genovese e la studio-
sa americana vd. almeno: De Caro, Journey to Irma, cit.; Id., Irma politica. L’ispiratrice di Eugenio
Montale dall’americanismo all’antifascismo, Foggia, Renzulli, 2001; L. Rebay, Montale, Clizia e l’A-
merica, in « Forum Italicum », vol. xvi 1982, n. 3 pp. 171-202; T. O’Neill, Dante, Montale and Miss
Brandeis. A (partial) revisitation of Montale’s Dantism, in Montale. Words in Time, ed. by G. Talbot
and D. Thompson, Leicester, Troubador, 1998, pp. 27-42.
14. Montale, Dante ieri e oggi, cit., p. 30. Per un’esposizione generale della teoria eliotiana,
cfr. infra, par. 6.2.
15. Si ricordi, a mo’ di esempio, la celebre definizione crociana delle similitudini dantesche
quali « piccole liriche perfettissime », tutt’al piú « meramente rischiaratrici » (B. Croce, La po-
esia di Dante [19201], Bari, Laterza, 1956, p. 145), su cui cfr. N. Maldina, Gli studi sulle similitudi-

185
note e discussioni

suscita rinviandoci ai suoi echi, ai suoi giochi di specchi, alle sue rifrazioni », e
per restare cieca di fronte all’evidenza che « non c’è quasi luogo del poema o
episodio o verso che non faccia parte di una trama ».16
Cosí, con l’obiettivo di smarcarsi da entrambe le impostazioni ermenenuti-
che, Montale sembra inizialmente aderire alla posizione eliotiana, riassumibile
nella ben nota formula dell’ “immaginazione sensibile”, in virtú della quale ac-
quista necessario rilievo il bisogno che i soprasensi manifestano di essere sup-
portati da « un senso letterale estremamente concreto » (p. 29). Tale impostazio-
ne, fa ancora notare il poeta, ha inoltre il non secondario vantaggio di spingere
l’esegeta all’acquisizione del sistema organico dell’allegoria polisema, secondo
le indicazioni offerte dallo stesso Dante nei loci deputati alla disquisizione teori-
ca sull’allegoria.

2.3. È qui che il poeta genovese indica finalmente lo studio di Irma Brandeis
come necessario passo in avanti nella lettura della Commedia.17 Ma, facendo
confusione rispetto alla distinzione paragone/metafora, incorre in una erronea
decodifica del passaggio decisivo tratto dal saggio eliotiano di riferimento,18 fino
a cadere in una patente contraddizione:

Non conosco tutti i tentativi che si saranno certo fatti per andar oltre alla teoria eliotiana
dell’immaginazione sensibile di Dante […] restano piú interessanti gli interpreti che,
vedendo nella Commedia un’immensa ragnatela di corrispondenze, cercano di ricondur-
re ogni filo, o meglio qualche filo, al suo centro. L’impresa non si può compiere se non
con l’analisi delle metafore di Dante e con l’esame della congruenza delle situazioni e dei
personaggi ai particolari stati o strati psicologico-morali ed anche topici che il poeta deve
attraversare. E poiché le metafore non sono cosí frequenti in Dante come Eliot vuol
farci credere, e comunque vanno progressivamente rarefacendosi nel poema, ecco tro-
vato un limite o un’insufficienza della proposta di lettura eliotiana. A un lavoro analitico
nel senso indicato, ma certo non esaustivo perché richiederebbe l’opera di una genera-
zione di studiosi, si è dedicata Irma Brandeis nel suo libro The Ladder of Vision.19

ni di Dante: in margine alla ristampa de “Le similitudini dantesche” di Luigi Venturi, in L’A, n.s., a. xlix
2008, n. 32 pp. 139-54, a p. 140 e n.
16. Montale, Dante ieri e oggi, cit., p. 27. Non a caso, poco oltre, si recupererà l’ammonimen-
to di Auerbach a non cedere alle lusinghe di chi estrae « le cosiddette bellezze poetiche » dal
contesto organico in cui si trovano (ivi, p. 28).
17. « Se, come scrivono gli interpreti, Clizia fu per Montale “Scala a Dio” […], la sua com-
parsa negli anni ’60 quale autrice di un volume sul dantesco itinerarium come “scala” alla supre-
ma visione del Divino deve aver influito, e non poco, sui modi del montaliano approccio a
Dante nell’occasione del 1965, con il superamento di un filtro di lettura meramente eliotiano »
(Mazzoni, Elaborazione, cit., p. 570).
18. Sull’ambivalenza montaliana nei confronti del dantismo di Eliot vd. A. Dolfi, Dante e i
poeti del Novecento, in SD, vol. lviii 1986, pp. 307-42, alle pp. 323-26.
19. Montale, Dante ieri e oggi, cit., pp. 30-31. Le osservazioni di Eliot sulla forza icastica dei
paragoni danteschi, in effetti, partono proprio dal presupposto della scarsa presenza di meta-

186
la scala e la ragnatela

Dalla specola d’osservazione del magnum opus dantesco come « immensa ragna-
tela di corrispondenze », deriva quindi l’imprescindibile esigenza di « ricondurre
ogni filo, o meglio qualche filo, al suo centro »20 (in séguito si vedrà meglio qua-
le importanza sia da annettere a tale immagine). Grazie a questa evoluzione del
modello interpretativo in direzione dell’allegorismo, l’accento verrà piú corret-
tamente a cadere su quell’iniziazione a un « immenso patrimonio di cultura
universale » (p. 31) cui il pellegrino soggiace, con l’obiettivo piú ampio di deter-
minare in tal modo il reintegro di tutto l’insegnamento filosofico-teologico
all’interno della dimensione poetica, nel pieno rispetto dell’universo culturale
medievale e dantesco. Ecco che in questo senso, nell’ottica montaliana, The Lad-
der of Vision si configurerà, per le sue scelte prospettiche e metodologiche, quale
operazione ermeneutica il cui valore va ben oltre la semplice analisi dell’imagery.
Allo stesso tempo, lungo questa stessa direttrice, si otterrà il superamento di
una « lettura ingenua »,21 a favore di un modello di opera in cerca di un lettore
sempre piú consapevole, in grado di accompagnare il progressus del pellegrino
prendendovi parte attiva, anche e proprio attraverso gli effetti del dinamismo
che le strutture profonde del metaforismo dantesco genereranno in entrambi.

3. Un lapsus e una riabilitazione: il “caso” Contini e l’intervento di Rai-


mondi
3.1. Eppure, nonostante il prestigio dell’estensore e la rilevanza istituzionale e

fore nel tessuto retorico dantesco (cfr. T.S. Eliot, Dante [1929], in Id., Opere 1904-1939, Milano,
Bompiani, 1992, pp. 826-66, a p. 833). Invece Montale, che con ogni probabilità leggeva il
saggio di Eliot in lingua originale (venne infatti tradotto in italiano solo nel ’42: cfr. C. Scarpa-
ti, Sulla cultura di Montale. Tre conversazioni, Milano, Vita e Pensiero, 1997, pp. 33 sgg.), gli rim-
provera di sopravvalutarne il numero e la funzione. Inoltre, laddove pure si ammettesse che
« le metafore non sono cosí frequenti in Dante come Eliot vuol farci credere », come trovereb-
be allora giustificazione la rilevanza di un programma di analisi che faccia di esse il necessario
grimaldello per entrare in quell’« immensa ragnatela di corrispondenze » che è la Commedia?
Non appare ipotizzabile, alla luce del puntuale scavo condotto da Mazzoni sulle diverse reda-
zioni del Discorso, ma anche in considerazione delle reiterate contraddizioni logiche e defini-
torie appena esposte, un qualche mero errore materiale che possa aver pregiudicato la costi-
tuzione testuale del passo in questione (cfr. Mazzoni, Elaborazione, cit., pp. 556-57). Per quanto
vi faccia cenno solo cursoriamente, aveva individuato il duplice fraintendimento già David
Gibbons, il quale, dopo aver parzialmente giustificato la tendenziale forzatura ínsita nella
posizione eliotiana alla luce delle necessità del confronto con Shakespeare, non risparmiava
invece la sua critica al poeta genovese: « More baffling are the comments of Eugenio Montale
that Dante used fewer metaphors the longer the poem goes on, a statement that misrepre-
sents Eliot almost as much as it does Dante » (D. Gibbons, Metaphor in Dante, Oxford, Euro-
pean Humanities Research Centre, 2002, p. 119).
20. Montale, Dante ieri e oggi, cit., p. 30.
21. Ivi, p. 31: « l’interesse del lettore, anziché diminuire, si accresce quanto piú si fa proble-
matico il groviglio dei simboli. Ciò non significa che si debba trascurare il senso letterale ».

187
note e discussioni

culturale del Discorso montaliano, solo dopo lungo silenzio,22 nel 1985, andrà re-
gistrato un episodio altrettanto significativo, sebbene in tutt’altra direzione,
all’interno di questa succinta storia della ricezione italiana del saggio di Brandeis.
Esso si manifesta nella forma di quello che a prima vista appare un fin troppo
appariscente abbaglio in cui Gianfranco Contini incorre nel contesto dell’Intro-
duzione a una biografia fotografica dedicata appunto all’amico Montale. Vengo-
no qui ripercorse le tappe del progressivo svelarsi della reale identità di Clizia,
dapprima criptata nell’altro senhal Iride (Iris era forse il nomignolo di Irma pres-
so il poeta), poi nelle iniziali presenti nella inscriptio « a I.B. » della prima edizione
Mondadori delle Occasioni, del 1949, fino all’ultima tappa, allorché, della dantista,
comparirà « tanto di nome e cognome col titolo d’un suo scritto di mistica due-
centesca, nel discorso fiorentino per Dante durante il centenario del ’65 ».23
Di certo, il riferimento allo « scritto di mistica duecentesca » appare un errore
tanto marchiano da assumere quanto meno la statura di una sintomatica svista,
di un atto mancato, sia perché di per sé ben inusuale per tale raffinato studioso,
sia – e soprattutto – in considerazione del fatto che Montale aveva introdotto
con forza nel suo Discorso il valore e l’importanza di quello « scritto », conferen-
dogli la patente di pietra miliare all’interno del filone esegetico sull’allegoria
dantesca. E, pur volendo presupporre la mancata lettura diretta del volume da
parte del critico, resta altamente improbabile che questi non abbia invece letto
– nonché forse ascoltato – il Discorso.24

22. Limitata eccezione è costituita da un piú che sintetico riferimento a quella sezione del
volume di Brandeis apparsa su « The Hudson Review » nel 1956 (Metaphor in the ‘Divine Come-
dy’) da parte di Ignazio Baldelli, che ne riprende uno degli assunti piú generali: l’aumentare
delle metafore si verifica « proprio in relazione all’attenuarsi delle parti narrative rispetto a
quelle che vogliono dare il senso delle visioni » (I. Baldelli, Lingua e stile delle opere in volgare di
Dante, in ED, vol. vi 1978, pp. 55-112, a p. 97).
23. G. Contini, Istantanee montaliane, in Eugenio Montale. Immagini di una vita, a cura di F.
Contorbia, Milano, Librex, 1985, pp. v-xii, a p. xii. Aveva già rilevato l’errore, ben prima di
O’Neill (Dante, Montale and Miss Brandeis, cit., p. 32) e di de Rogatis (Alle origini del dantismo di
Montale, cit., p. 198 n.), Mazzoni: « mi ero sempre meravigliato dello spazio dato nel Discorso a
quel libro; che comunque non è, propriamente, “uno scritto di mistica duecentesca” ma un
organico saggio di una dantista professionalmente agguerrita, adusata alla frequentazione del-
la Patrologia latina e ad affrontare problemi di critica dantesca quali il rapporto tra allegoria e
lettera, tra poesia e struttura, attraverso un recupero in chiave storico-culturale degli elemen-
ti sottesi alla lettera e alla sua “sentenza” » (Mazzoni, Elaborazione, cit., p. 569). Di un incontro
diretto tra Brandeis e Contini nel 1983 – ultima volta in cui la studiosa venne in Italia – si trova
notizia in De Caro, Journey to Irma, cit., pp. 141-42 n.
24. In realtà, già nel 1981, nel suo contributo alla presentazione dell’Opera in versi di Monta-
le al Gabinetto Viesseux, la qualifica che Contini aveva attribuito a Brandeis come studiosa era
stata quella di « dotta di patrologia e di poesia elisabettiana », ancora una volta, dunque, eluden-
do le sue “competenze” dantesche (cfr. l’intervento continiano - privo dell’indicazione di ti-
tolo - in Dedicato a Montale, in « Antologia Viesseux », vol. lxiv 1981, pp. 13-19, a p. 17). A tale
proposito, O’Neill, se da un lato sospetta « a hint of rimozione », giustifica poi il lapsus di Conti-

188
la scala e la ragnatela

3.2. Quale ultima tappa della fortuna del saggio, andrà chiamata in causa la già
citata eccellente lectura di Raimondi che, nello stesso anno,25 sembrava capace di
spalancare finalmente le porte in Italia agli studi sull’imagery dantesca. Le poche
pagine di Raimondi contribuiscono a ribadire una volta per tutte ciò che la stu-
diosa americana in realtà aveva già mostrato con dovizia di particolari: la meta-
fora (anche qui impiegata come termine-ombrello) dantesca è parte integrante
del processo di comprensione del pellegrino, per cui troverà conferma il fatto
che il suo utilizzo nella Commedia:

nelle sue diverse disponibilità allegoriche, suggestive, comparative, simboliche aveva


all’origine un sistema nello stesso tempo delle parole e delle cose, o, a dirla in modo piú
economico, un sistema liturgico […] la metafora instaura un rapporto stretto con un
mondo liturgico; parla di trasformazioni, ma riguarda anche la trasformazione di colui
che scrive e inventa la metafora.26

Assoluto rilievo assumerà quindi l’osservazione dei modi in cui Dante-poeta


adatta via via il suo sguardo a quello del pellegrino, cosí da guidarlo lungo le
diverse tappe di un vero e proprio percorso formativo, che si serve dell’intera
strumentazione metaforizzante quale formidabile strumento conoscitivo.27
Per riepilogare alcuni dei nuclei concettuali peculiari di questo intervento,

ni, contenuto nell’Introduzione del 1985, alla luce del testo dantesco di Montale: « Contini’s
knowledge of the text [The Ladder], I think, it is reasonably clear, not extend beyond Montale’s
reference to it in his 1965 Dante commemoration » (O’Neill, Dante, Montale and Miss Brandeis,
cit., p. 32). Inoltre, in séguito, il critico americano esibirà tutta una serie di tessere dalle poesie
montaliane, le quali, sottolineando la profonda propensione di Brandeis per gli studi di Patri-
stica e di poesia elisabettiana, porterebbero ad attribuire al solo poeta anche la responsabilità
di questa precedente sospetta imprecisione: « If it is the poet himself who must be held re-
sponsible for his friend’s imperfect knowledge of The Ladder of Vision, it is he too, no less, who
must in part be held responsible for Contini’s thinking of her solely as a patristics’ scholar and
student of Elisabethan poetry » (ivi, pp. 31-32).
25. Anche se l’anno di pubblicazione è il 1986, la lectura di Raimondi risale all’anno prece-
dente.
26. Raimondi, Ontologia, cit., p. 103.
27. Lansing, in linea con le osservazioni di Raimondi, include anche la partecipazione del
lettore all’interno del processo, per quanto ne depotenzi poi il valore trasformativo interiore
(in particolare, rispetto a Brandeis, come si vedrà): « he compels the reader to come an under-
standing of the poem in the same termes, in the same manner, that the pilgrim comes to un-
derstand his unfolding vision […] » (Lansing, From Image to Idea, cit., p. 70). A conferma di tale
riduzionismo ermeneutico, si vedano le perplessità espresse piú oltre circa la possibilità di
ascrivere tale livello figurale specifico al controllo del Dante poeta o a quello del pellegrino:
« They are creations that somehow lie between the poet and pilgrim – the reader is often not
sure to whom to attribute them » (ivi, pp. 92-93). Si limita invece a ribadire l’importanza del
nesso auctor-agens per l’analisi delle similitudini Luca Serianni: « L’io dantesco innesta dunque
figuranti suscitati dalla vasta fenomenologia di reazioni emotive che colpiscono il pellegrino »
(L. Serianni, Sulle similitudini della ‘Commedia’, in L’A, n.s., a. li 2010, n. 35 pp. 25-43, a p. 32).

189
note e discussioni

cosí eloquente già dal titolo, che assurge a imprescindibile lettura per chi voglia
avvicinarsi a questo àmbito di ricerca, vanno segnalati i seguenti punti: 1. se Mon-
tale ha dedicato acutissime considerazioni al problema dell’imagery dantesca,
molto del merito sarà certo da addurre alle precedenti acquisizioni di Brandeis;
2. similitudini, metafore e allegoria vanno viste come manifestazioni della stessa
spinta unitiva (di qui l’importanza del metodo di studio dell’imagery), vera forza
propulsiva dell’intera Commedia;28 3. appare necessaria dunque la mise en relief,
all’interno del poema, di una vera e propria “fenomenologia della percezione”,
intesa come « progressiva simmetria tra il pellegrino che approfondisce le sue
risorse visive, la sua capacità di capire e il movimento delle metafore » (p. 101); 4.
una tale estrema novità nelle modalità di utilizzo del metaforismo andrà ricon-
dotta a una sorta di « crescente scientia collativa » (p. 106), nel solco di un’originale
ripresa dell’insegnamento di San Tommaso, nonché quale fecondo esito di quel-
la fusione della retorica delle scuole con la retorica sacra operata da Dante.29
Da notare che, rispetto alle procedure di analisi di Brandeis, per il cui metodo
tale presupposto risulterà invece imprescindibile, Raimondi rinuncia ad appro-
fondire gli effetti psicacogici che il metaforismo dantesco sortisce presso il let-
tore, limitandosi all’esame del livello di costruzione testuale che si distribuisce
all’interno della dinamica costituita dal duplice polo auctor-agens.30

4. La scala della visione: un’esposizione generale


4.1. Per un esame ravvicinato dello studio,31 può rivelarsi fruttuoso attraver-

28. Si tratta di uno dei passaggi-chiave dell’intervento di Raimondi: « la spinta verso la


metafora è in Dante, forza comune tanto all’operazione metaforica in senso stretto quanto
all’operazione della similitudine: metafora come racconto rapidissimo, similitudine come
metafora raccontata analiticamente […] nella diversità, comune la spinta unitiva, in particola-
re ciò vale per Dante: capacità di pensare di continuo per immagini e di trasformare le imma-
gini in pensiero » (Raimondi, Ontologia, cit., p. 101). E piú avanti: « quando parliamo di allegoria
dantesca, quando parliamo di figuralità o di misteriosa iconicità del linguaggio dantesco siamo
poi nel fondo sempre a trattare di quella che ho chiamato prima la spinta verso la metafora »
(ivi, p. 102). Infine, viene ribadito come l’allegoria sia sempre un’operazione metaforica dal
momento che è « un processo di immagine e di pensiero, di particolarizzazione e nello stesso
tempo di universalizzazione » (ibid.).
29. Anche Ariani giunge a conclusioni affini sull’acquisizione e il superamento da parte di
Dante del versante puramente linguistico-retorico della metafora: « lo statuto della metafora
dantesca va dunque reperito in questo giro problematico costituito dalla riflessione aristoteli-
co-scolastica sul metaforismo platonico e la sua alta cristianizzazione nell’opera dello Pseudo
Dionigi Areopagita » (Ariani, I « metaphorismi » di Dante, cit., p. 46).
30. Lectura in linea con le proposte teoriche di Raimondi è quella del canto xxiv del Paradi-
so da parte di A. Battistini, Fede e bellezza. Il tessuto metaforico del canto xxiv del ‘Paradiso’, in L’A,
n.s., a. xlv 2004, n. 24 pp. 79-92.
31. Per un’altra sintetica descrizione dei contenuti del saggio vd. Rossi, rec. a Brandeis,

190
la scala e la ragnatela

sare gli snodi fondamentali dell’Introduzione e del capitolo i (dall’eloquente tito-


lo Substance and idea), che offrono le coordinate teoriche e metodologiche attra-
verso cui orientarsi nella lettura dei capitoli successivi. Sulla scia delle già classi-
che ricerche di Auerbach e Singleton,32 e in esplicita polemica con Croce, Bran-
deis ricorda che nella Commedia non è questione di una rappresentazione
dell’aldilà, bensí di un viaggio-ricerca nell’aldilà (« a quest conducted in the
otherworld », p. 16), cui corrisponderà, sugli altri piani della polisemia allegori-
ca, un’indagine che l’anima compie verso la comprensione della natura e dell’or-
dine dell’universo; non senza che, secondo un’ulteriore corrispondenza, si ven-
ga a delineare, nell’opera dantesca, « a Christian examination of the soul’s wan-
derings from and return to God » (ibid.),33 dal momento che il processo di com-
prensione equivale anche a un progresso morale. Ne deriva una prima, pressan-
te dichiarazione d’intenti che condiziona l’intera lettura dell’opera: i plurimi
livelli indicati sarebbero tenuti insieme e si intreccerebbero grazie alla « symbo-
lic imagery » e alla « dramatic action ».34
Dunque, in linea con altre ricerche sviluppate in alternativa, o addirittura in
contrapposizione, alle indicazioni crociane, si provvede al recupero dell’im-
pianto narrativo e dei polisemi sensi, la cui possibile chiarificazione va assunta
quale sforzo esegetico costante, prima che tutti i “fili” vengano ricondotti nuo-
vamente al baricentro unificante della littera: è questo il senso della piú volte

The Ladder, cit. Si avverte che, per comodità del lettore, tutti i passi estratti dal testo di Brandeis
sono tradotti in italiano, per le cure di chi scrive.
32. Qui citato per The Pattern at the Center (cfr. Brandeis, The Ladder, cit., p. 128 e n.), che,
uscito per la prima volta in « Romanic Review », vol. xlii 1951, divenne poi una sezione di
Dante Studies 1. Elements of Structure (1954; trad. it.: C.S. Singleton, Elementi di struttura, in Id., La
poesia della ‘Divina Commedia’, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 69-86). L’amicizia, o almeno un’ap-
profondita conoscenza, fra Brandeis e il critico americano, è forse riferibile agli anni 1932-’36,
periodo in cui quest’ultimo fu lettore d’inglese a Firenze (cfr. De Caro, Journey to Irma, cit., p.
108). Secondo O’Neill, invece, Singleton giunse a Firenze solo nel ’34, un anno dopo Brandeis
(cfr. O’Neill, Dante, Montale and Miss Brandeis, cit., p. 32). Per quanto riguarda invece la presen-
za di Auerbach nelle pagine dello studio, questi compare solo nella sezione bibliografica dal
titolo « Suggested Readings » (The Ladder, cit., p. 229), con Dante, poet of the Secular World (transl.
by R. Manheim, Chicago, Univ. of Chicago Press, 1961) e con Figura (in Scenes from the Drama
of European Literature, transl. by R. Manheim, New York, Meridian Books, 1959).
33. Trad.: « l’esame di coscienza di un cristiano sull’errare dell’anima da Dio e sul suo ritor-
no presso di lui ». Altrove si insisterà sulla stessa linea di lettura narrativa: « the external form
of the poem is a journey, while its theme is the education and salvation of a living man »
(Brandeis, The Ladder, cit., p. 168) [trad.: « la forma esterna del poema è un viaggio, mentre il
suo tema è l’educazione e la salvezza di un uomo vivente »].
34. Ivi, p. 16 (espressioni pressappoco traducibili come: « sistema di immagini simboliche »
e « struttura drammatica »). In un passo successivo, l’autrice ne fornirà una versione piú anali-
tica: « rapid and energetic succession of sharp sensuous impressions, supported by metaphors
and comparisons » (ivi, p. 164) [trad.: « una rapida ed energica successione di acute impressioni
sensuose, supportate da metafore e paragoni »].

191
note e discussioni

ribadita esigenza metodologica di non separare « image » e « idea », dove l’influs-


so teorico del “correlativo oggettivo” elaborato da Eliot acquista tutta la sua
evidenza.35
La polemica anticrociana è esplicita e dichiarata sin dagli esordi: si tratta di « a
whole and integrated poem » e non certo di « “theological romance”, spiced by
occasional passages of true (and here he [Croce] meant lyric) poetry ».36 Il letto-
re deve quindi “sentire” (nel senso dell’inglese feel), esperire insieme al pellegri-
no ciò che questi vive, se vuole seguire il plot del libro. Ecco che anche quanto è
stato piú negletto dalla critica crociana va recuperato e rimesso nel circolo er-
meneutico, pena la perdita della finalità ultima di un libro dove non c’è alcuna
separazione fra etica ed estetica: le « lessons » (cioè, le parti dottrinali) sono « each
[…] an image of the mind in action, fed by tradition and by speculation » (p.
17).37
A rinforzo di tale giuntura tra le due sfere, va rimarcato un ultimo aspetto che
appare rilevante nell’impostazione generale dello studio: la natura rivoluziona-
ria dell’allegoria dantesca rispetto a tutti i suoi precedenti (tema sviluppato so-
prattutto nel capitolo i):38 Conseguentemente, la fusione di idea (significato) e
immagine “in azione”39 comporta, oltre a una peculiare attenzione agli elemen-
ti cosiddetti strutturali, la necessità di procedere secondo un coerente protocol-
lo di analisi testuale (e infatti si parla di « textual studies »).40

35. Formula altrove citata esplicitamente, a proposito della rappresentazione dei peccati
nell’Inferno (Brandeis, The Ladder, cit., p. 65); va ricordato che una precoce elaborazione del
“correlativo oggettivo” da parte di Eliot si legge in Hamlet and His Problems, saggio pubblicato
per la prima volta nel ’19 (trad. it. Amleto e i suoi problemi, in Id., Opere 1904-1939, cit., pp. 362-68),
di cui si riparlerà piú avanti. Dunque, l’influenza del poeta angloamericano resta assai forte,
nonostante l’intenzione manifesta di andare oltre certe sue asserzioni sulla funzione dei para-
goni nell’opera dantesca.
36. Brandeis, The Ladder, cit., p. 15 [trad.: « un poema organico e integrato »; « un “romanzo
teologico”, insaporito da occasionali passaggi di vera (e qui egli intende lirica) poesia »]: Bran-
deis qui si riferisce appunto alla sopravvalutazione del modo “lirico” da parte di Croce, inde-
bitamente proiettato sull’universo poetico dantesco.
37. Trad.: « ognuna […] un’immagine della mente in azione, nutrita dalla tradizione e dalla
speculazione ».
38. Qui varrà di certo la lezione di E. Gilson, la cui fondamentale indagine sul rapporto di
Dante con la filosofia medievale, Dante et la philosophie, Paris, Vrin, 1939 (letta nella seguente
edizione: Dante the Philosopher, Sheed and Ward, New York, 1949), viene citata nel cap. iv a
proposito del simbolismo irraggiante dalla figura di Beatrice (cfr. Brandeis, The Ladder, cit., p.
115).
39. Sintagma, questo, che tornerà spesso nello studio, soprattutto per rendere la ineludibi-
le fusione dell’impianto filosofico-dottrinale con la struttura drammatica della opera dante-
sca, fino a divenire parte integrante del titolo del capitolo ii, The Image of Sin in Action (Bran-
deis, The Ladder, cit., pp. 27-66).
40. Ivi, p. 16: « The present study, although it is not a theoretical argument but a series of
textual studies designed to show the ways in which Dante’s meanings are fused in his images,

192
la scala e la ragnatela

Immagine e idea procedono dunque sempre in forma di doppia spirale che


s’intreccia in sinuoso moto, per cui le due componenti potranno essere separate
solo artificialmente sul piano delle analisi, condotte sempre dalla parte del let-
tore, nell’ottica della ricostruzione a posteriori degli effetti di lettura su un frui-
tore-modello in sintonica evoluzione col dinamismo testuale.

4.2. A questo punto, il riferimento alla “scala” contenuto nel titolo41 acquista
tutta la sua pertinenza, visto che inoltre, dal punto di vista intertestuale, il richia-
mo è molteplice: se l’epigrafe del saggio rimanda al classico ipotesto di Bona-
ventura,42 non mancano certo puntelli piú propriamente danteschi.43 Cosí, l’im-
magine della scala, attraverso il rimando alla concretezza dell’oggetto, fungerà
da correlativo del realismo dantesco, inteso come approccio a un creato organi-
co e finalistico, fatto di res intese come signa da cui partire per l’itinerarium in
Deum;44 ma anche della struttura drammatico-narrativa, grazie invece al richia-
mo alla progressione ínsita in ogni possibile ascesa a Dio (i pioli o i gradini

hopes to demonstrate the answer, poem; and, integrated poem; thus, whole poem, without
any dissidence between structure and other elements » (corsivo originario). [trad.: « Il presen-
te studio, sebbene non sia un’argomentazione teoretica, ma una serie di studi testuali volti a
mostrare i modi in cui i significati danteschi sono fusi con le sue immagini, spera di dimostra-
re la risposta: poema; e: poema unitario; dunque, poema totale, senza alcuna contraddizione
tra la struttura e gli altri elementi »].
41. Le cui due parole chiave (scala e visione), in relazione all’ “oggettività” della rappresen-
tazione dantesca, compaiono anche in un passo iniziale del saggio di Singleton, cosí influente
per la formazione della Brandeis dantista: « In questo punto dell’Epistola [a Cangrande], Dan-
te si sta dunque occupando di una dimensione del poema estremamente familiare e cara a
tutti i lettori – quella grande dimensione in altezza e profondità, una scala verticale su cui una
contemplazione di secoli volta a scrutare nell’interiorità dell’anima umana ha trovato il modo
di oggettivarsi in visione » (Singleton, Elementi di struttura, cit., p. 18).
42. « Quoniam igitur prius est ascendere quam descendere in scala Iacob, primum gradum
ascensionis collocemus in imo, ponendo totum istum mundm sensibilem nobis tamquam
speculum, per quod transeamus ad Deum […] » (Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, in
Id., Opuscula varia theologica, Florentiae, Ad Claras Aquas (Quaracchi), 1891, pp. 293-316, a p.
298).
43. La scala vista in sogno da Giacobbe nella Genesi viene comunemente assunta, nella
simbologia cristiana, come equivalente di quel percorso della vita ascetica che sale nella con-
templazione di Dio per gradi. Già adottata nella sua Regola, san Benedetto, stavolta in qualità
di patrono del cielo di Saturno, la evocherà in Par., xxii, a proposito dell’Empireo: « Ivi è per-
fetta, matura e intera / ciascuna disianza; in quella sola / è ogni parte là ove sempr’ era, /
perché non è in loco e non s’impola; / e nostra scala infino ad esso varca, / onde cosí dal viso
ti s’invola. / Infin là su la vide il patriacrca / Iacobbe porger la superna parte, / quando li ap-
parve d’angeli sí carca. / Ma, per salirla, mo nessun diparte / da terra i piedi, e la regola mia /
rimasa è per danno de le carte » (vv. 64-75).
44. Cfr., a tale proposito, le fondamentali pagine di Singleton, Elementi di struttura, cit., pp.
44 sgg., partic. a p. 47: « Le cose dell’universo creato sono cose e segni al tempo stesso ».

193
note e discussioni

dell’itinerarium stesso): il plot del viaggio – quasi forma semplice del narrare - e
le immagini ad esso correlate verranno quindi viste sempre in senso dinamico.
Al privilegio accordato a tale impostazione andrà affiancata la costante attenzio-
ne ai nessi interni, ai richiami tra le parti intessute di immagini e di figure, cioè
alla seconda parola chiave che – come già detto – sia Montale che Raimondi
hanno in séguito da par loro provveduto a isolare: la ragnatela.
I due livelli testuali, isolati artificialmente nell’analisi, trovano corrisponden-
za dunque nelle rispettive parole-chiave: se la scala fa la sua comparsa sin dal
titolo, la ragnatela appare già nell’Introduzione e dètta, in fertile coabitazione con
la prima, la strategia complessiva della lettura dell’opera dantesca:

Dante’s images spring all from one centre, or circle round it in many connected strands,
forming a single brilliant web. The essays in this book are an attempt to follow the move-
ment and composition of a few exemplary strands.45

E se la scala non può che condurre, nella sua univoca e progressiva direzionalità,
alla rivelazione finale, in quanto la luce fisica, immagine dominante della Com-
media, lega i due estremi del viaggio, dall’oscurità alla visione divina,46 la ragna-
tela di immagini - come si vedrà piú avanti - si organizza intorno al suo centro
gravitazionale, ovvero l’identificazione metaforica tra luce e verità, ripresa sia
dalla tradizione filosofica che da quella scritturale, per quanto profondamente
rinnovate.47

45. Brandeis, The Ladder, cit., p. 18 [trad.: « Le immagini di Dante sgorgano tutte da un
unico centro, o vi gravitano intorno in molti fili interconnessi, formando una singola brillante
ragnatela. I saggi di questo libro sono un tentativo di seguire il movimento e la composizione
di alcuni fili esemplari »].
46. Ivi, p. 186: « If physical light is the dominant image of the Comedy, that is because it is the
natural link between the two extreme terms of the symbolic journey: man in the darkness and
ignorance of error, desiring vision, and God whose being is absolute light » [trad.: « Se la luce
fisica è l’immagine dominante della Commedia, ciò accade perché essa è il legame naturale tra
i due termini estremi del viaggio simbolico: l’uomo nell’oscurità e nell’ignoranza dell’errore,
che desidera la visione, e Dio il cui essere è luce assoluta »].
47. Ivi, pp. 186-87 (corsivi originari): « Dante’s thought is not contained in the received
ideas from which he takes his start nor in the figurative elements he borrows. He moves
beyond and around them in the far wider range to which his imagination and medium have
access. […] the Old Testament is his earliest source for the simple, reverent equation of God
with sun as power and light. […] Another tradition, probably as old as thought, gave Dante
the metaphorical identification of light with truth » [trad.: « Il pensiero di Dante non è limitato
alle idee ricevute da cui prende spunto, né dagli elementi figurativi che egli prende in prestito.
Egli si muove oltre e intorno a essi nel raggio piú ampio cui la sua immaginazione e il suo
ambiente hanno accesso. […] il Vecchio Testamento è la sua piú precoce fonte per la semplice,
rispettabile equazione tra Dio e il sole in quanto potenza e luce. […] Un’altra tradizione, con
ogni probabilità antica quanto il pensiero, suggerí a Dante l’identificazione metaforica di luce
e verità »]

194
la scala e la ragnatela

4.3. A fruire di tale duplice impostazione è la stessa organizzazione interna


dello studio, riconducibile al seguente schema strutturale: Introduzione-i + ii-
iii-iv + v-vi.48 In effetti, l’insieme dei capitoli ii-iii-iv è in prevalenza incentrato
sulle analisi testuali di porzioni dell’opera dantesca, sviluppate a partire dalla
ricostruzione delle funzioni dei personaggi nel contesto narrativo in cui si tro-
vano ad agire. L’obiettivo piú ampio è quello di individuare, attraverso le moda-
lità di relazione esibite dal pellegrino nei suoi incontri oltremondani, aspetti
peculiari della struttura e dei temi delle singole cantiche.
Cosí, il capitolo ii (The Image of Sin in Action, pp. 27-66), quello “infernale”,
sarà dedicato all’illustrazione del “peccato in azione”, cioè al modo in cui Dante
rappresenta dinamicamente, ovvero senza spiegare,49 la sua concezione allarga-
ta del peccato, visto come ripetizione infinita dell’azione peccaminosa, come
forza distruttiva che si ritorce sul peccatore stesso;50 per cui, ad esempio, Fran-
cesca sarà « damned by than for her action » (p. 37),51 dal momento che « the pain
of Hell is the pain of sin » (p. 51) 52 e che l’Inferno stesso non è altro che « a vast
hall of objective correlatives, matching the inner dispositions of its souls » (p.
65),53 in cui « flames and whips are themselves only representations of the soul’s
desires in action » (p. 66).54
Il capitolo iii (Four Images of Fraternal Love, pp. 67-111) si propone invece di in-
seguire il motivo dell’amore fraterno purgatoriale: l’esame è rivolto stavolta a

48. Due parti dello studio uscirono, nel ’53 e nel ’56, sulla « The Hudson Review »: On Rea-
ding Dante Whole, vol. vi 1953, n. 3 pp. 404-12; Metaphor in the ‘Divine Comedy’, vol. viii 1956, n. 4
pp. 557-75.
49. Brandeis, The Ladder, cit., p. 29: « moral subject given in images of action » [trad.: « ri-
flessione morale offerta nella forma di immagini in azione »].
50. Ivi, p. 37: « it is a cardinal advance in Dante’s thought over all naïve theology in this area
that he takes the sinfulness of sin to lie in its destructivity » [trad.: « è un passo in avanti decisi-
vo nel pensiero dantesco, rispetto a tutta la ingenua teologia in questo àmbito, che egli assuma
il fatto che la peccaminosità del peccato è nella sua distruttività »].
51. Corsivi originari [trad.: « condannata da piuttosto che per la sua azione »].
52. Trad.: « la pena dell’Inferno è la pena del peccato »].
53. Trad.: « una vasta sala di correlativi oggettivi che corrispondono alle intime disposizioni
delle sue anime […] fiamme e fruste sono di per sé solo rappresentazioni dei desideri dell’a-
nima in azione »; va evidenziata la ripresa della fortunata formula coniata da Eliot, di cui si è
già detto (Eliot, Amleto e i suoi problemi, cit., p. 366). Quale sua ulteriore applicazione vd. Bran-
deis, The Ladder, cit., p. 37: « What hurts Francesca in Hell is not an external tempest, a puni-
shment imposed from outside, but the inner tumult of her painful choice, the storm of sen-
sual desire closed upon itself by the adulterous circumstances in which it arises; and it is the
storm of remorse turned inside out » [trad.: « Ciò che ferisce Francesca all’Inferno non è una
tempesta esterna, una punizione imposta dal di fuori, ma l’intimo tumulto della sua dolorosa
scelta, la tempesta del desiderio sensuale chiuso in se stesso per le adultere circostanze in cui
esso insorge; ed è la tempesta del rimorso che si manifesta dal di dentro all’esterno »].
54. Gli altri due personaggi attraverso i quali Brandeis sviluppa la sua analisi “infernale”
sono Farinata (ivi, pp. 41-52) e Pier delle Vigne (ivi, pp. 53-66).

195
note e discussioni

quattro diverse scene e ai rispettivi protagonisti. Singoli episodi, tutti però lega-
ti da elementi interni ed esterni, al punto da configurarsi come un’unità struttu-
rale.55 Il motivo comune - l’arte come espressione e vetta dell’eccellenza umana
- sarà in grado anche di mostrare l’unità e la progressione di quel viaggio “mon-
tano” che costituisce il secondo stadio dell’educazione del pellegrino. È in que-
sta ottica che vengono isolati dal continuum narrativo, per essere riletti in sistema,
gli incontri che Dante e Virgilio hanno con Casella, Sordello, Stazio e Guido
Guinizelli: episodi tutti accomunati da una climax ogni volta segnata dal ricono-
scimento stupefatto e dall’affettuoso abbraccio.
Ciò consente non solo di ritrovare un pedale continuo e unitario all’interno
della seconda cantica, ma anche di evidenziare una delle sue specificità rispetto
all’Inferno, dove i richiami e la rassomiglianza tra episodi non sarebbero stati
possibili, trattandosi di luogo marcato da un isolamento autistico o, tutt’al piú,
da un’eterna, coattiva dinamica tra dannati che scontano la stessa pena. Qui,
invece, l’amore fraterno sublima ogni aspetto materiale via via che la serie pro-
cede, ma esprime anche la persistenza di una fragile pietà nei confronti dell’in-
tensità e della durevolezza dell’attaccamento umano alle forme concrete dell’e-
sperienza terrena.
Infine, il capitolo iv (Beatrice, pp. 113-42) è vòlto a evidenziare come il ruolo di
Beatrice, sulla scia della decisive osservazioni circa l’analogia cristologica del
visiting angel dantesco elaborate da Fletcher e Singleton, sia – per dirla con
quest’ultimo – in grado di produrre un « significato che emerga dal progressivo
dischiudersi di una data forma e inseparabile da tale processo ».56 Per Brandeis,
il raggiungimento piú alto della Commedia sta appunto nella combinazione del
linguaggio erotico con quello puramente intellettuale, di amor intellectualis ed
eros, approdo personale dello stesso pellegrino, a fronte dell’amore deviato dei
dannati, nella piú ampia cornice ideologica di una profonda revisione dell’amo-
re cortese. L’esigenza di unità porta Brandeis a ribadire come la preminenza
accordata alla dimensione letterale e il rifiuto dell’astrazione allegorica debbano
comportare la revisione della vulgata equivalenza Beatrice-Teologia.57 Nella
creazione del personaggio, infatti, giunge a compimento ed esaurimento ogni
forma di allegoria canonica, fino alla manifestazione di un’immagine arricchita
da significati che irradiano tutti dalla stessa figura letterale (« literal figure »), in
funzione di una dimensione polisemica capace di svolgere un ruolo fondamen-
tale nella storia e nel progresso del pellegrino.
La funzione di questo trittico di capitoli all’interno dell’economia dell’intero
lavoro assume dunque la forma dell’analisi sintagmatica di canti o episodi, con-
dotta accorpando e facendo interagire elementi testuali piú o meno distanti.

55. Ivi, p. 67: « as one thing, somewhat greater than the sum of its parts » (corsivo originario)
[trad.: « come un’unica cosa, in qualche modo maggiore della somma delle sue parti »].
56. Singleton, Elementi di struttura, cit., p. 69.
57. A tale proposito cfr. Scarpati, Sulla cultura di Montale, cit., pp. 44-45.

196
la scala e la ragnatela

L’esigenza di evidenziare come la progressività narrativa si giovi dei richiami tra


le parti si identifica con quella di ribadire la profonda unitarietà degli intenti
autoriali e degli esiti dell’opera. A tale proposito, esemplare è l’analisi del canto
v dell’Inferno.58 Qui, l’autrice ventila il rischio della mancata considerazione del-
l’ambivalenza emotiva del pellegrino, proiettata sui peccatori di lussuria e ancor
piú esacerbata dagli evidenti limiti dell’agens nella comprensione di ciò che gli
accade ad un’altezza tanto precoce del viaggio. Anche in questo caso, l’analisi
delle immagini, coniugata con l’attenzione al contesto narrativo, consente di
rendere debito conto dell’intenzione autoriale e della semiosfera culturale in
cui questi è immerso, a differenza di quei metodi di lettura - qui esemplificati
dalle interpretazioni “romantiche” di De Sanctis e Busnelli - che, indulgendo
all’indistinzione tra vita e arte, dimenticano che ogni personaggio, appunto “let-
terario”, dell’Inferno porta con sé « the evaluation already incorporated in it by
the author » (p. 28).59
È questa confusione tra le istanze narrative ad aver provocato il misconosci-
mento della concezione del peccato operante nell’Inferno, vista come « an auto-
ritarian imposition of penalties for arbitrarily designated acts » (p. 189),60 in cui si
manifesterebbe una sorta di desiderio divino di vendetta, in luogo di quella, piú
propriamente dantesca, che vede la pena stessa come persistenza ossessiva
dell’azione compiuta in dispregio del libero arbitrio.61 Inoltre, perché venga ri-

58. Brandeis, The Ladder, cit., pp. 27-40 (partic. alle pp. 35-37).
59. Trad.: « il giudizio già incorporato in esso da parte dell’autore ».
60. Trad.: « un’imposizione autoritaria di pene per atti decisi arbitrariamente ».
61. Brandeis, The Ladder, cit., p. 48: « Over and over again in the Inferno Dante enlarges and
redifines the narrow categories of sin which he has extracted from one or another revered
tradition » [trad.: « Progressivamente, nell’Inferno, Dante allarga e ridefinisce le ristrette catego-
rie di peccato che egli ha tratto da una o dall’altra venerabile tradizione »]. Allo stesso modo,
verrà detto degli Epicurei: « there is a deliberation in their sin » [trad.: « C’è deliberazione nel
loro peccato »]. Anche in questo caso, infatti, le tombe diventano il correlativo oggettivo « to
signify the voluntary, painful self-burial of the soul that rejects immortality » (ivi, p. 41) [trad.:
« a significare la volontaria, penosa auto-sepoltura dell’anima che rigetta l’immortalità »]; cosí,
a proposito di Cavalcante de’ Cavalcanti: « his suffering has its source in his sin » (ivi, p. 50)
[trad.: « la sua sofferenza ha la sua fonte nel suo peccato »]. In una sezione piú avanzata del
volume, la studiosa si premura di ridiscutere estesamente tale concezione: « Hell is an image
of the means by which the human soul hurts and destroys itself – the place being falleness
from God, and the suffering nothing else than the bite of the sin itself […] Hell altogether is
no more nor less than a concrete projection of the spiritual condition of its inmates. Its endless
circular movement images the concentration of their will on the ego centre (rather than the
God circumference), its pain is the quality of their error, and its darkness their inability to
form a clear image of their good » (ivi, pp. 188-91) [trad.: « L’Inferno è un’immagine dei mezzi
con cui l’anima umana ferisce e distrugge se stessa – essendo il luogo della Caduta da Dio, e la
sofferenza nient’altro che il morso del peccato in sé […] L’inferno è davvero né piú né meno
che una concreta proiezione della condizione spirituale dei suoi abitatori. Le sue immagini di
un movimento circolare infinito sono la concentrazione della loro volontà nel centro dell’io

197
note e discussioni

composta una lettura equilibrata, in grado di riconsegnare l’episodio al suo con-


testo organico, altro tassello intertestuale fondamentale si rivelerà essere l’espo-
sizione della teoria dell’amore cosí come sviluppata in Purg., xviii 1-75.

4.4. Seconda parte di questo schema diadico, in cui a ognuna delle parole-
chiave corrisponde una macrosezione dell’intero testo, sarà dunque l’insieme
dei capitoli v e vi, incentrati sull’analisi di singoli fili, seguiti stavolta a partire
dalle immagini centrali, le quali irradiano nel testo la loro valenza simbolica. Il
fine è quello di uno scrutinio delle immagini condotto sul piano del paradigma,
un’analisi che, pur appuntandosi sull’imagery, non rinuncia mai a una sua deco-
difica con il supporto di strumenti narratologici, cioè con la messa in contesto
dei passi in cui viene sollecitata nel lettore quell’esperienza quasi-perceptual62 che
è l’oggetto precipuo di questo metodo di indagine.63 È proprio in questa dimen-
sione che si incrocia l’aspetto piú riuscito – non a caso il piú discusso in séguito,
e quindi prolifico – di questo lavoro.
Piú in dettaglio, l’esame della ragnatela metaforica incrociata con uno sguar-
do sempre rivolto alla “scala” come variazione e progressione del metaforismo,
sembra offrire il meglio di sé alle prese con l’imagery minore, laddove il capitolo
eponimo (The Ladder of Vision, pp. 185-227), quello di chiusura, si mostra piutto-
sto schematico e prevedibile nella rassegna delle modalità con cui l’immagine
della luce – dominante nella Commedia, in quanto atta a legare i due estremi del
viaggio, dall’oscurità del peccato alla visione beatifica – si offre come veicolo
retorico macroscopico della progressione verso la comprensione intellettuale
che trova il suo compimento nella visio Dei:

the creative power which brings the whole universe into being is Absolute Truth, whose
action may be conceived under the analogy of its legitimate offspring, the natural light
of the sun.64

Questa equazione metaforica65 ha in effetti una notabile persistenza all’interno


di imponenti riferimenti della cultura classica e medievale, ma il simbolismo

(piuttosto che nella circonferenza divina), il suo dolore è la qualità del loro errore e la sua
oscurità la loro incapacità a formarsi una chiara immagine del loro bene »].
62. È cosí che viene definita in àmbito filosofico-psicologico la mental-imagery: cfr. N.J.T.
Thomas, s.v. Mental Imagery, in The Stanford Encyclopedia of Philosophy (al sito: http://plato.
stanford.edu/).
63. Si tratta dell’« intricato sistema di immagini interdipendenti che sostiene l’intelaiatura
del poema » (de Rogatis, Alle origini del dantismo di Montale, cit., p. 191).
64. Brandeis, The Ladder, cit., p. 188 [trad.: « la forza creativa che porta l’intero universo a
esistere è la Verità Assoluta, la cui azione può essere concepita sotto l’analogia della sua legit-
tima forza generatrice, la luce naturale del sole »].
65. « His whole journey is penetrated by metaphors of light describing every act of under-
standing as one of vision, and all positive truth in terms of illumination » (ivi, p. 211) [trad.:

198
la scala e la ragnatela

tradizionale del Vecchio Testamento, fonte dell’identificazione di Dio come


potenza e luce, viene riscoperto da Dante attraverso la forza vivificatrice del-
l’immaginazione mitica,66 che gli consente di rigenerare quasi ingenuamente
una profonda meraviglia per il creato, nella forma dell’appercezione di una
potente forza cosmica, agente di un’attiva, seppur misteriosa e segreta, volontà.

5. La ragnatela e la questione dell’imagery


5.1. Dunque, vero cuore pulsante del libro sarà il capitolo v, in cui il riferimen-
to a un complesso di immagini “minori” contenuto nel titolo, Aspects of Minor
Imagery, si spiega col fatto che si è inteso prendere in esame il linguaggio figura-
le che non rientra in quelli che sono i campi semantici primari che strutturano
la Commedia (la luce – l’occhio – la verità intellettuale). Si tratta di pagine che
hanno sollecitato, e continuano a farlo, un vasto interesse, dal momento che in
esse, oltre ad essere sviluppata una teoria compiuta dei meccanismi che il letto-
re deve attuare per decodificare metafore e paragoni, viene altresí elaborata
un’ipotesi circa le strategie adottate dallo scrittore per guidare il lettore verso un
lento ma inesorabile processo di comprensione profonda, intuitiva e olistica
(insight) dell’universo, in parallelo col Dante agens.
Presupposto che campeggia sin dall’esordio del capitolo è la convinzione che
la teoria dell’immaginazione sensibile di Eliot non sia in grado di rendere conto
dell’imagery dell’intera Commedia (tutt’al piú – e comunque solo parzialmente
– del solo Inferno), semplicemente perché non contempla il fatto che – come
ben sintetizzato con indovinata formula in uno dei pochi contributi italiani che
dedicano spazio alla discussione sul libro – « il cronotopo incide sull’imagery ».67
Si potrà osservare quindi come, nello stesso dipanarsi dell’opera, alla « visual
clarity », principio (parzialmente, come si vedrà) dominante nell’Inferno, si af-
fianchi, per poi sostituirla, già nel Purgatorio, la propensione all’« insight »
analitico,68 cioè la sollecitazione rivolta al lettore perché collabori all’interpreta-

« L’intero viaggio è permeato da metafore di luce che descrivono ogni atto di conoscenza co-
me uno di visione, e tutta la verità positiva in termini di illuminazione »].
66. A proposito delle images di « Light and Heat », cosí annotava alcuni anni prima Lewis:
« Another subsection in this class consists of what may be called variations on the scriptural
theme that God is light. These, no doubt, could also be called traditional; but they are so
close to the internal narrative, so frequent, and often so strongly imagined, that I think they
affect us if they were new » (C.S. Lewis, Imagery in the last eleven cantos of Dante’s ‘Comedy’ [1948],
in Id., Studies in Medieval and Renaissance Literature, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1966,
pp. 78-93, a p. 89).
67. de Rogatis, Alle origini del dantismo di Montale, cit., p. 191. Del resto, la stessa Brandeis
non aveva mancato di sintetizzare cosí il suo stesso approccio: « the nature of the place deter-
mines the language of comparison » (Brandeis, The Ladder, cit., p. 157) [trad.: « la natura del
luogo determina il linguaggio del paragone »].
68. Altro termine difficilmente traducibile, indicante un processo che giunge a improvvisa

199
note e discussioni

zione dell’immagine. Quindi, all’interno della seconda cantica, non manche-


ranno immagini in cui i due suddetti vettori metaforici dapprima tenderanno a
compenetrarsi, per poi lasciar prevalere progressivamente la tensione, di fatto
dominante nel Paradiso, ad andare oltre il visibile, alla ricerca del significato sin-
tetico, olistico – tanto intuitivo quanto astratto e complesso – delle immagini.69
Non senza, però, che, in uno scarto ermeneutico tanto folgorante quanto opi-
nabile, anche questa ultima spinta venga a sua volta superata a favore di un
metaforismo che annichilisce ogni distinzione tra tenore e veicolo, comparante
e comparato, in una sorta di equivalenza tra i termini, la quale implica e richiede
il totale superamento della logica razionale e la resa all’intuizione soggettiva.

5.2. Una volta ricondotta alle sollecitazioni proposte da un intero filone di


studi,70 si capisce come l’immagine dominante della ragnatela intenda ripropor-
re una visione del poema come centro da cui rampollano vari fili, per cui la
« symbolic imagery » procede sí di concerto con la « dramatic action », ma costi-
tuisce anche il pedale piú nascosto, contrappuntistico, di un’orchestrazione assai
ricca.
Del resto, anche nell’Introduzione all’antologia della critica dantesca, curata ed
edita a ridosso dello studio maggiore, la studiosa, a proposito della vitalità del
testo dantesco, capace di attrarre ogni tipo di interprete, per quanto situato in
tempi e spazi diversi (in senso sia sociale che culturale), aveva ancora una volta
insistito su questa visione del testo: « a network of interlocking images, mea-

maturazione in forma di icastica immagine mentale dopo lunga gestazione, la cui pervasiva
presenza nel metodo critico Brandeis appare quasi fare pendant con l’altra parola-chiave dello
studio (imagery), riprendendone un tratto semantico precipuo (quello visivo).
69. È a questo progressivo rarefarsi delle immagini che faceva riferimento Montale nella
parte del suo Discorso dedicata allo studio di Brandeis. La sottolineatura della complessità e
della versatilità del paragone dantesco, rispetto alle limitanti considerazioni di Eliot e Auer-
bach, è alla base della patente di rilevante novità attribuita all’impostazione della ricerca di
Brandeis da parte di Lansing nel suo studio sul paragone dantesco (cfr. Lansing, From Image to
Idea, cit., p. 11).
70. La già citata « web of interconnected strands » (Brandeis, The Ladder, cit., p. 26 [trad.:
« ragnatela di fili inteconnessi »]). L’impostazione dello studio di Brandeis, qui come in altri
punti, sembra fare riferimento ad assunti della critica simbolica di N. Frye, Anatomia della cri-
tica (1957), trad. it., Torino, Einaudi, 1969. Assai affine dal punto di vista metodologico, sebbene
con un raggio ben piú ristretto di interesse, il recente contributo di M. Davie, Patterns in Dan-
te’s imagery, in Patterns in Dante: Nine Literary Essays, ed. by O. Cuilleanain, J. Petrie, Dublin,
Four Courts Press, 2005, pp. 13-34, il quale, partendo dall’idea secondo cui « many of the pat-
terns in the complex structure of the poem are carried, or at least reinforced, by its imagery. »
sia possibile « trace a strand of imagery which has its starting-point in Dante’s depiction of the
city, and which broadens to take in some of the poet’s most deeply felt concerns » (ivi, p. 13),
fino a individuare « a web of interwoven imagery reflecting Dante’s ambivalent attitude to the
city » (ivi, p. 23). Dove si nota, appunto, la centralità della stessa immagine, cosí importante
anche nell’economia del saggio di Brandeis, impiegata a fini esegetici (« the web »).

200
la scala e la ragnatela

nings and forms ».71 Non solo. Piú avanti, ella stigmatizzerà come la tendenza a
risolvere l’allegoria in mero rimando a livelli altri di significato, storici o teolo-
gici, faccia perdere di vista « the finer relations of part to part », fino a non riusci-
re piú « to see or feel the larger work of the symbolic imagination ».72

5.3. Sottolineato ancora una volta come lo studio sviluppi l’idea di base secon-
do cui le procedure metaforiche si modificano in corrispondenza della crescita
del pellegrino, si vede come scala e ragnatela si incrocino nel punto in cui lo
sviluppo drammatico dell’esperienza compiuta da Dante-personaggio coincide
con un processo di crescita e di consapevolezza del lettore, guidato e spinto a
una sempre maggiore partecipazione interpretativa alla comprensione – piú o
meno ‘intuitiva’ – del livello retorico-simbolico del testo.73 La strategia è dun-
que rivolta all’esame dei processi metaforici nel loro dinamismo, il quale trova
piena corrispondenza nello sviluppo coscienziale del pellegrino (e del suo let-
tore). Dato questo presupposto, Brandeis spiega cosí la progressiva rarefazione
dei valori connotativi dell’imagery dantesca, dalla corporeità sensibile delle im-
magini in direzione della loro valenza sintetica e spirituale:

71. I. Brandeis, Introduction, in Ead., Discussions of the ‘Divine Comedy’, Boston, D.C. Health
and Company, 1961, p. vii [trad.: « una rete di immagini, significati e forme che si intrecciano »].
La medesima immagine tornerà spesso nella saggistica dantesca di Brandeis, sia nella lectura
del canto di Ulisse: « we come to see that the whole vast poem interlocks in every least part
and that all the parts are dense with interrelated meanings » (I. Brandeis, Glimpses of the Ma-
ster’s Hand: Dante’s Ulysses, in « Cesare Barbieri Courier », vol. vii 1965, n. 2 pp. 6-12, a p. 6 [trad.:
« riusciamo a vedere che l’intero vasto poema è intrecciato in ogni minima parte e che tutte le
parti sono dense di significati interrelati »]); cosí come nella recensione ad una raccolta di
saggi di Glauco Cambon, dal quale la studiosa ritaglia non a caso la seguente citazione, circa il
« fused discourse of the Comedy, where theory and confession, poetry and explication, are si-
multaneous in the creative act of the mind » (I. Brandeis, rec. a G. Cambon, Dante’s craft: studies
in language and style, Minneapolis, Univ. of Minnesota Press, 1969, in « Comparative Literatu-
re », vol. xxxiv 1972, pp. 85-87, a p. 85 [trad.: « il discorso compatto della Commedia, dove teoria
e confessione, poesia e spiegazione, sono simultanei nell’atto creativo della mente »]). Visione
assai affine è quella elaborata da Lewis nella sua già citata conferenza del 1948, dedicata all’i-
magery paradisiaca piú estrema: « The world of Dante’s imagination, like that of Ptolemaic
science, is a world of knots, cords, enevelopes » (Lewis, Imagery in the last eleven cantos of Dante’s
‘Comedy’, cit., p. 86).
72. Brandeis, Introduction, cit., p. viii [trad.: « le relazioni piú sottili di una parte con l’altra
[…] a vedere o sentire il piú ampio lavoro dell’immaginazione simbolica »].
73. Considerando la strabica attenzione dedicata alla struttura drammatica e al simbolismo
dell’imagery, dominante in The Ladder of Vision, sembra di assistere al tentativo di realizzare il
programma che Frye esponeva come un limite ancora da forzare della teoria letteraria di
quegli anni: « Uno dei motivi per cui noi siamo portati a pensare al simbolismo letterario
esclusivamente in termini di significato, è che non possediamo una parola la quale indichi il
complesso delle immagini in movimento in un’opera letteraria » (Anatomia della critica, cit., p. 110,
corsivo originario).

201
note e discussioni

the imagery of metaphor and analogy reflects the growth of the pilgrim’s understanding
in his progress from the Dark Wood of spiritual blindness through graduate acquisition
of insight into universal order, to the point where he can not only “read” all the scattered
pages of the “book” of the universe, but can see in a single glance the whole restored.74

6. Tipologie di Imagery nella Commedia


6.1. Punto di partenza dell’intera operazione condotta nel capitolo sull’image-
ry “minore”, è la vulgata formula dell’ “immaginazione sensibile”, illustrata da
Eliot nel suo secondo saggio dantesco,75 schematicamente sintetizzabile in una
doppia corrispondenza di termini contrapposti: Dante / visivo vs Shakespeare /
espansivo; non senza, però, che la stessa formula venga ben presto rimessa in
discussione. La celebre distinzione operata dal poeta anglo-americano si basa
sull’idea che Dante utilizzi poche metafore, proprio perché il principio è quello
di « far vedere cio che egli vide »;76 l’esempio paradigmatico è quello dei sodomi-
ti: « E sí ver’ noi aguzzavan le ciglia / come ’l vecchio sartor fa nella cruna » (Inf.,
xxv 20-21). Laddove Shakespeare, pure quando adotta il modulo comparativo
(“come se”), tenderebbe sempre a privilegiare l’espansione dei significati, come
nel paradigmatico esempio: « She looks like sleep, / As she would catch another
Antony / In her strong toil of grace ».77
È evidente che, da un lato, l’enorme influenza delle formule coniate da Eliot
(considerando anche il correlativo oggettivo) ha condotto alla fondazione di un
vero e proprio paradigma critico; dall’altro, lo stesso paradigma, essendo basato
su una contrapposizione assai netta fra due modi di intendere i processi metafo-
rici, condotta fino allo schematismo, ha altresí stimolato tutta una serie di ricer-
che, che sono giunte anche a contestarlo alla radice: quello di Brandeis è appun-

74. Brandeis, The Ladder, cit., p. 145. A tale proposito, va osservato che se Raimondi mani-
festa implicitamente il proposito di seguire le suggestioni sia di Brandeis sia di Montale e ri-
corda come il volume della studiosa statunitense faccia emergere la sua dimensione originale
« movendosi esattamente nella linea segnalata da Montale che nel darci quel diagramma non
faceva altro che riferirsi al lavoro della Brandeis » (Raimondi, Ontologia della metafora dantesca,
cit., p. 100), il già citato Lansing, che pure sembra a tutta prima condividere il lavoro della
dantista, non ne accoglie poi la novità dell’approccio insieme strutturale e dinamico, trovan-
dolo limitato per numero di esempi, e implicitamente stigmatizzando le sue procedure come
schematiche e viziate da eccesso teoretico (Lansing, From Image to Idea, cit., p. 13).
75. Eliot, Dante, cit., pp. 833-34.
76. Sostanzialmente sulla stessa linea si muoveva già Auerbach nel suo saggio dantesco del
’29: vd. E. Auerbach, Dante, poeta del mondo terreno, in Id., Studi su Dante, trad. it., Milano, Fel-
trinelli, 1999, pp. 1-161.
77. Eliot, Dante, cit., pp. 833-34. Nell’estratto shakespeariano (Antony and Cleopatra, atto v,
scena ii), Ottavio pronuncia queste parole mentre, giunto tardi per salvarla, osserva Cleopatra
sul letto di morte.

202
la scala e la ragnatela

to esempio emblematico di quanto accaduto nella dantistica anglosassone post-


eliotiana.78

6.2. È vero, secondo Brandeis, che il processo metaforico rientra sempre – per
dirla ancora una volta con Raimondi – in una « fenomenologia della percezione,
che è […] una corporizzazione intensa definita sempre da un tasso altissimo di
individualità »,79 ma la generale concretezza delle immagini dantesche non deve
far dimenticare il loro dinamismo strutturale e funzionale. Cosí, già la gran
parte dell’imagery infernale consiste sí in paragoni acutamente visivi, ma non per
questo privi di potenti sfumature metaforiche,80 come si evince dal seguente
esempio, proprio quello citato da Eliot, non a caso ripreso da Brandeis nella sua
analisi. Si tratta di un doppio paragone, che anticipa il primo incontro di Dante
e Virgilio con i sodomiti nel buio del loro infuocato girone (Inf., xv 17-21):
[…] e ciascuna
ci riguardava come suol da sera
guardare uno altro sotto nuova luna;
e sí ver’ noi aguzzavan le ciglia
com ’l vecchio sartor fa ne la cruna.

Secondo la studiosa, anche in un caso come questo si è ben oltre la semplice azio-
ne di una tensione icastica, dal momento che il breve passo si presenta come un
«silent clue-bearer» (p. 146), cioè come portatore di indizi appunto subliminali,
che rimandano all’incapacità dei sodomiti di operare una corretta scelta nell’iden-
tificazione dell’oggetto d’amore. Lo sguardo «strabico e lunare» descritto intro-
duce il lettore alla conoscenza del modo di essere di queste anime e, soprattutto,
addestra emotivamente il lettore all’incontro ben piú intenso con Brunetto:

it “adds to what we see” a preparation in feeling for the close and somewhat ambigous
personal encounter which is to follow between the pilgrim and Brunetto Latini. It “ex-
pands” the mere facts of the scene before the reader’s eye (p. 147).81

Dunque, l’impostazione di Eliot è condivisibile (limitatamente ad alcune sezio-


ni dell’Inferno), purché non si trascuri, in aggiunta, l’operatività di una forza

78. Tutto incentrato invece su un’idea alquanto prevedibile e illustrativa di « visual image-
ry » come chiave di lettura dell’intera Commedia, è l’intervento di C. Hinshelwood, Dante’s
Imagery, in Centenary Essays on Dante, by Members of Oxford Dante Society, Oxford, Claren-
don Press, 1965, pp. 39-53.
79. Raimondi, Ontologia della metafora dantesca, cit., p. 104.
80. Brandeis, The Ladder, cit., p. 148: « sharp visual comparisons with powerful metaphori-
cal overtones » [trad.: « acuti paragoni visivi dai potenti sovratoni metaforici »].
81. Trad.: « esso “aggiunge a ciò che vediamo” una preparazione a sentire il ravvicinato e in
qualche modo ambiguo incontro a seguire tra il pellegrino e Brunetto Latini. Esso “espande”
i meri fatti della scena davanti agli occhi del lettore ».

203
note e discussioni

“espansiva”, ovvero il rapporto col co-testo e con gli altri elementi dell’imagery,
grazie a cui i segnali testuali “silenti” avranno pur sempre la capacità di agire su
altri piani della coscienza del lettore:

One might say that the quality of Dante’s comparison shows us, not the nature of his
poetic imagination absolutely, as Mr Eliot suggests, but the nature of that imagination
working within the peculiar experience of Hell (p. 145).82

6.3. Ad ogni modo, le immagini infernali non si limiteranno certo a questa


funzione di chiarificazione visiva e di espansione interpretativa verso il co-testo,
per cui un primo distinguo si rende presto necessario per quelle che vengono
definite « life parodies » o « contrast-stressing image(s) ».83 Infatti, la sfumatura
del visuale può operare in modo ben diverso, come nella seguente similitudine,
dove vengono introdotti i traditori dei parenti, congelati nel ghiaccio di Cocito
(Inf., xxxii 31-35):

E come a gracidar si sta la rana


col muso fuor de l’acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana,
livide, insin là dove appar vergogna
eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia […].

Ancora una volta viene sottolineato come il quadretto idillico (la rana nello
stagno di prima estate, quando la villana favoleggia di una pingue mietitura)
produca una mancata saturazione tra i due termini del paragone, un senso ecce-
dente che non potrà essere assorbito dal “tenore” infernale, posto che la corri-
spondenza sarà tutt’al piú limitata alla postura della rana con quella dei dannati.
Proprio l’apparente contraddittorietà dell’immagine, in cui il personaggio evo-
cato e l’indicazione cronologica offerta restano in apparenza estranei al co-testo,
funzionerebbe appunto come termine di paragone e negativo:

Drawn into the narrative by the slight link of the immersion comparison, they [The farm
girl and the frog] perform the true poetic action of the passage, silently affirming that in
the lake of ice there are no comfortable creatures, no autumn, no harvest and no dream
of fair futures (p. 151).84

82. Trad.: « Si potrebbe dire che la qualità del paragone dantesco ci mostri non la natura
della sua immaginazione poetica in assoluto, come suggerisce Eliot, ma la natura di quell’im-
maginazione alle prese con l’esperienza peculiare dell’Inferno ».
83. Entrambe le definizioni si incontrano in apertura della sezione dedicata al Purgatorio
(ivi, p. 151).
84. Trad.: « Inseriti nella narrazione col tenue legame del paragone dell’immersione, esse
[la villana e la rana] assolvono alla vera azione poetica del passo, affermando in silenzio che
nel lago ghiacciato non ci sono creature rassicuranti, né l’autunno, nessun raccolto e nessun
sogno di lieti futuri »].

204
la scala e la ragnatela

Dunque, in conclusione, già a voler considerare il solo Inferno, il bouquet metafo-


rico si mostrerà ben piú ricco e ampio di quanto si possa prevedere.

6.4. Con un deciso quanto prevedibile cambio di marcia, nella seconda canti-
ca, la precedente tipologia va diradandosi fino a scomparire, per cui:

The pilgrim’s increasing understanding is reflected in the comparisons which more and
more clearly and penetratingly point beyond what things look like, to what they are like
(pp. 151-52).85

Non si tratterà piú, quindi, di rendere visibile ciò che altrimenti rischierebbe di
assumere un eccesso di caratterizzazione fantastica, visto il cronotopo oltre-
mondano, né di sollecitare il senso morale del lettore attraverso un’immagine
pittoresca di contrasto, ma di aumentare la divaricazione tra tenore e veicolo
(Brandeis parla, a tale proposito, di « logical breakdown of subject and image »,
cioè di una sorta di collasso logico tra i due termini), per sollecitare il lavoro in-
terpretativo del lettore e quindi, di converso, per testimoniare l’aumentata ac-
quisizione di insight da parte del pellegrino. Già a questo punto, le metafore
« require interpretation; they, in return, interpret the pilgrim’s condition of
quickened insight » (p. 154).86 Cosí, proprio nel Purgatorio, sarà gioco facile indi-
viduare « a small but startling group of extended comparisons with deeper and
more complex interpretative insight […] » (p. 152).87 L’analisi piú calzante è sen-
za dubbio quella di Purg., vi 1-12:

Quando si parte il gioco de la zara,


colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;
con l’altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;
el non s’arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, piú non fa pressa;
e cosí da la calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
e promettendo mi sciogliea da essa.

85. Corsivi originari [trad.: « La comprensione progressiva del pellegrino si riflette nei pa-
ragoni, che sempre piú chiaramente e in modo penetrante fanno segno oltre ciò che le cose
sembrano, verso ciò che esse sono »].
86. Trad.: « esigono interpretazione; esse, a loro volta, interpretano la condizione di intui-
zione accelerata da parte del pellegrino ».
87. Trad.: « un piccolo ma sorprendente gruppo di paragoni estesi dotati di un’intuizione
interpretativa piú profonda e complessa ».

205
note e discussioni

Due gli ordini di problemi posti dal paragone secondo Brandeis,88 tanto piú in
considerazione del fatto che, giusta il connettivo tra le due sezioni (« Tal era io »),
l’identificazione tra tenore e veicolo dovrebbe essere totale: 1. la scelta del gioco
d’azzardo in qualità di comparante, poco adeguato all’atmosfera purgatoriale e
alla destinazione paradisiaca del viaggio;89 2. l’ardua giustificazione della pre-
senza del giocatore perdente in apertura della ludica scenetta, privo com’è di un
corrispettivo nel comparato.90
Brandeis non manca di farci notare che neppure con l’apparizione del vinci-
tore sembra scemare il rilievo acquisito da « colui che perde » durante la fase
iniziale in cui è stato al centro della scena. E starà invece proprio in questa figu-
ra, apparentemente priva di equivalente nel tenore, la chiave dell’intera simili-
tudine, dal momento che in questo modo si verrebbe a istituire un fecondo
contrasto tra il pellegrino, orgoglioso e sicuro della sua sorte di rinascita grazie
all’intervento di una guida salvatrice,91 e un altro possibile individuo smarrito

88. La di per sé discutibile ricerca della classica unità tematico-formale del canto ha fatto sí
che fossero sollevate assai spesso perplessità sul suo impianto generale e, appunto, sulla troppo
lunga similitudine iniziale: « qualcosa di stonato e di sconcertante è stato additato da parecchi
commentatori nella similitudine iniziale » (A. Roncaglia, Il canto vi del ‘Purgatorio’, in « La
Rassegna della letteratura italiana », vol. vii 1956, nn. 3-4 pp. 409-26, a p. 409). Natalino Sape-
gno, invece, nel suo fortunatissimo commento, parla di « esordio in stile umile: una scenetta
della vita quotidiana, ritratta con vivace realismo. Inoltre, riportando l’attenzione del lettore
al tema iniziale dell’importanza che queste anime attribuiscono alla preghiera efficace dei
vivi, l’esordio mette nella giusta luce il valore funzionale e strutturale degli episodi e introdu-
ce la digressione dottrinale dei vv. 25-48; mentre la rappresentazione della ressa affannosa
delle anime farà spiccare maggiormente, per contrasto, la solitudine sdegnosa di Sordello »
(Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di N. Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 19853,
3 voll., vol. ii p. 58). Sullo stesso canto, si veda anche l’analisi di M. Frankel, La similitudine
della zara (‘Purg.’ vi, 1-12) e il rapporto fra Dante e Virgilio nell’Antipurgatorio, in Studi americani su
Dante, a cura di G.C. Alessio e R. Hollander, Milano, F. Angeli, 1989, pp. 113-43.
89. Cfr. anche Roncaglia, Il canto vi del ‘Purgatorio’, cit., p. 410: « E non è poi sconveniente
l’accostamento fra le anime purganti, ansiose di suffragi che avaccino, affrettino il loro divenir
sante, e gli sfaccendati spettatori del giuoco, postulanti un dono del vincitore? »
90. Questa, infatti, la notazione di Roncaglia: « alla figura del perdente, rimasto solo e tristo
a ripetere le volte, le gittate dei dadi, tentando nel caso, come oggi diremmo, una legge di pro-
babilità, illuso d’imparare dalle frequenze statistiche una regola per vincere, manca del tutto
riscontro nel secondo termine di paragone » (ivi, pp. 409-10).
91. Brandeis, The Ladder, cit., pp. 153-54: « one for whom no rescuing Virgil came […] Thus
it was not in reward of merit but by the mysterious operation of divine grace (the fall of the
dice) that a rescuer appeared, virtually assuring the living pilgrim of his eventual prize of re-
birth […] The shadowy figure of the loser reminds us of the terrible truth that not every
striver in the Dark Wood emerges form it happily » [trad.: « uno per il quale nessun Virgilio è
giunto in soccorso […] Cosí, non in ricompensa del merito, ma per misteriosa operazione
della grazia divina (il lancio dei dadi) fu che un salvatore apparve, virtualmente rassicurando
il vivente pellegrino della sua eventuale ricompensa di rinascita […] L’ombrosa figura del

206
la scala e la ragnatela

nella Selva, la cui unica colpa starebbe nel non essere stato prescelto per opera-
zione insondabile della Grazia divina:

This comparison, if I am not mistaken, is an instance of the unexempled depth and den-
sity of Dante’s art. In it he sounds a note of pride in the haste and assurance of the prize-
winning pilgrim and a counternote of profound humility in the implied awareness of the
loser’s equal right. Lines which at first seem a mere passing sharpener of pictorial clarity
hold the clue to that synthesis of impersonal life-pride with personal humility which the
pilgrim is only to achieve along with the final goal of his journey.92

Questo tipo di mirabile sintesi – tra la nota euforica di orgoglio per la propria
sorte e il controcanto dell’umiltà dovuta alla consapevolezza di essere stato pre-
scelto al di là dei propri meriti – costituirà l’anticipazione dell’obiettivo finale
dello stesso viaggio dantesco.93 Ora, questo tipo di paragone dimostra che sarà

perdente ci ricorda delle terribile verità che non ogni lottatore della Selva oscura emerge da
essa vittorioso »].
92. Brandeis, The Ladder, cit., p. 154 [trad.: « Questo paragone, se non erro, è un esempio
dell’ineguagliabile profondità e densità dell’arte di Dante. In esso, egli fa risuonare una nota di
orgoglio nella fretta e rassicurazione del pellegrino vincitore e una nota per contrasto di pro-
fonda umiltà nella consapevolezza implicita dell’eguale diritto del perdente. Versi che, a tutta
prima, sembrano solo un piú acuto passaggio di chiarezza pittorica, contengono la traccia per
quella sintesi di orgoglio impersonale e umiltà personale che il pellegrino deve raggiungere
in coincidenza con la meta finale del suo viaggio »]. Roncaglia, invece, riprendendo antiche
attestazioni che ritraggono Sordello vittima del gioco dei dadi, ipotizza che la similitudine
iniziale si sia presentata alla mente di Dante « spontaneamente, per associazione magari irri-
flessa, proprio perché sin dall’inizio del canto egli aveva innanzi alla fantasia, sollecitante
presenza, colui che dopo essersi compiaciuto di tentar la fortuna al giuoco, a ben altra fortuna
aveva saputo salire, e dalle tenzoni giullaresche s’era innalzato a poeta d’amore, e da poeta
d’amore s’era trasformato […] in cantore delle virtú politiche » (Roncaglia, Il canto vi del
‘Purgatorio’, cit., p. 418). A questo proposito, si potrà notare come le osservazioni del critico si
confacciano ben piú allo sviluppo narrativo del canto, di quanto facciano stavolta quelle – per
quanto brillanti – di Brandeis, che non si preoccupa di dare conto del contesto narrativo in cui
la nota similitudine s’innesta, ovvero del legame con la tematica politica che domina l’incon-
tro con Sordello. Del resto, come Serianni avverte: « Proprio l’abitualità del ricorso alla simili-
tudine nella Commedia renderà cauti di fronte a interpretazioni che prescindano dalle fattispe-
cie e puntino su dati sistemici relativi ai singoli canti. Non è detto, per esempio, che la posi-
zione esordiale, che pure ha importanza indubbia tanto nella retorica classica e medievale
quanto nello specifico sistema dantesco, debba essere necessariamente significativa da questo
punto di vista. Mi pare difficile collegare l’ampia similitudine che apre il canto vi del Purgatorio,
distendendosi per quattro terzine (“Quando si parte il gioco de la zara”), al grande tema delle
discordie civili che in quel canto “politico” trova cosí sofferta rappresentazione » (Serianni,
Sulle similitudini della ‘Commedia’, cit., p. 27).
93. Anche Roncaglia, nella sua lectura, propone una interpretazione della similitudine co-
me « metafora d’un sentimento, in rapporto col resto del canto », facendo però delle due figu-
re dei giocatori le proiezioni delle illusioni politiche dello stesso Dante, nella cornice storica

207
note e discussioni

l’intero sistema che organizza le immagini purgatoriali a sollecitare le virtú er-


meneutiche del lettore, per cui questa, come altre similitudini, non serve esclu-
sivamente a chiarire visivamente ciò che il testo mostra (« Visual clarity is no
longer of moment in them »),94 dal momento che, pur essendo « analytic in na-
ture », esigerà da parte dell’interprete uno sforzo ben maggiore della semplice
chiarificazione, ossia quello di ripercorrere l’intero processo di comprensione
operato dal lettore. Ancora una volta, dunque, a contare davvero sarà la trasfor-
mazione emotivo-cognitiva di quest’ultimo rispetto alla testualità:

With the very different final metaphors of the Paradiso in mind, I should like to stress the
point that these are analytic in nature; however instantaneously the mind may work to
grasp them, however deeply it may read them, it does so by logical breakdown of subject
and image. For this reason analysis on the reader’s part can, where at all called for, hope
to do the greater rather than the lesser job of clarification (p. 155).95

6.5. Agirà nel tessuto dell’imagery paradisiaca un decisivo, ulteriore mutamen-


to, adeguato a una dimensione esente dalle categorie di spazio e di tempo, per
cui l’esperienza del pellegrino consisterà essa stessa in una serie di apparizioni
metaforiche (con l’eccezione della visione finale, di per sé incomunicabile),
nella cornice di una costante tensione di allontanamento dalla referenza con-
creta e dalla visione analitica, in direzione del sovrasensibile e dell’unitivo:

If the metaphor is truly a revealer of relationships, bridging categories in order to point


out likeness hitherto unperceived, the showers of metaphors in the Paradiso (like all
proper members of the species) may be said to play their part in the final goal – namely,
the bringing together of the fragments of a whole which the world continually shatters.

ed esistenziale degli « indugi d’Arrigo in Lombardia »: « Nella similitudine tratta da un giuoco


d’azzardo Dante paragona se stesso al vincitore; ma nella sua fantasia la figura del perdente
s’accampa tormentosa » (Roncaglia, Il canto vi del ‘Purgatorio’, cit., p. 421). La medesima simili-
tudine viene partitamente analizzata da Lansing, che però si limita a evidenziare come il fine
vero sia nell’oggettivare la situazione del pellegrino attraverso un’esperienza universale (il
gioco dei dadi), in modo che gli eventi non appaiano raccontati, ma sembrino svolgersi davan-
ti agli occhi del lettore come per la prima volta, utilizzando un referente che è esterno alla
realtà dell’universo oltremondano (il giocatore di dadi, infatti, non è sulla scena). A suo parere,
poi, l’uso del paragone acquista maggiore efficacia come strumento di oggettivazione, dal
momento che la sua invenzione non è riconducibile in via definitiva né al pellegrino né al
poeta (cfr. Lansing, From Image to Idea, cit., pp. 92-93).
94. Brandeis, The Ladder, cit., p. 154 [trad.: « La chiarezza visiva qui non trova piú posto »].
95. Trad.: « Con le tanto differenti metafore finali del Paradiso in mente, mi piacerebbe ac-
centuare il punto che esse sono analitiche per loro stessa natura; per quanto istantaneamente
la mente possa lavorare per afferrarle, per quanto profondamente possa leggerle, riesce a farlo
solo grazie a una frattura logica tra il soggetto e l’immagine. Per questa ragione l’analisi dalla
parte del lettore può, dove sia ricercata, sperare di fare un lavoro maggiore, rispetto a quello,
minore, di chiarificazione ».

208
la scala e la ragnatela

And, since the pilgrim in Paradise is no longer restricted to seeing the accidental and
impermanent qualities of things, one would expect him to grasp, not only likeness with-
in the concrete and the abstract, between the real and the imaginary, and still others be-
tween purely conceptual entities (p. 158).96

Cosí, anche le analogie tra due termini concreti, in cui le sostanze o le azioni del
Paradiso sono paragonate a sostanze o azioni terrene – tipologia che pure sussi-
ste nella terza cantica –, si aprono alla dimensione di un concreto non piú fami-
liare, tanto meno realistico, all’interno di un testo che ci guida costantemente
verso la comprensione delle essenze ineffabili.97 Le altre due categorie, come
prevedibile, comprendono:
1. immagini concrete che rinforzano la sostanzialità delle idee in quanto sog-
getti astratti,98 di cui si riporta un esempio dove viene rimarcata la limitatezza
della comprensione umana nella forma della « vista » dell’intelletto, per quanto
dono ricevuto da Dio (Par., xix 58-60):
Però nella giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com’occhio per lo mare, entro s’interna.

2. e quel ristretto gruppo (« astonishing » – le definisce Brandeis, p. 161) di


analogie, in cui né il soggetto né l’immagine sono ormai tratti dal concreto, come si
evince da questo passo, in cui il pellegrino esalta la “sincera” visione dell’avo
Cacciaguida nella mente divina (Par., xvii 14-18):

[…] come veggion le terrene menti


non capere in triangol due ottusi,
cosí vedi le cose contingenti

96. Trad.: « Se davvero la metafora è un rivelatore di relazioni, gettando un ponte tra cate-
gorie, al fine di indicare somiglianze finora non percepite, si può dire che le piogge di meta-
fore nel Paradiso (come tutti i membri propri della specie) possono giocare la loro parte ri-
spetto allo scopo finale – cioè, raccogliere i frammenti di quell’intero che il mondo continua-
mente dissemina. E, dal momento che, in Paradiso, il pellegrino non è piú limitato nel vedere
le qualità accidentali e impermanenti delle cose, ci si aspetterebbe che egli afferri non solo la
somiglianza tra il concreto e l’astratto, tra il reale e l’immaginario, ma ancora altre tra entità
puramente concettuali ».
97. Come tessera testuale esemplare, Brandeis esibisce l’immagine dell’aquila composta
delle anime dei Giusti nell’atto di prepararsi a rispondere ai dubbi del pellegrino, assimilata al
falcone addestrato che mostra tutto il desiderio di servire il suo padrone (cfr. Par., xix 34-39).
98. Brandeis, The Ladder, cit., p. 160: « In the first two cantos, fifteen out of twenty-one
metaphors seem to me to be of this variety, having such subject as motion, reason, wonder, desire,
wisdom, order, being, providence, etc. The effect of these is to reinforce the substantiality of ideas »
(corsivi originari) [trad.: « Nei primi due canti, quindici su ventuno metafore mi sembrano
essere di questa varietà, avendo soggetti come movimento, ragione, meraviglia, desiderio, saggezza,
ordine, essere, provvidenza, ecc. »].

209
note e discussioni

anzi che sieno in sé, mirando il punto


a cui tutti li tempi sono presenti.

7. Una mistica della metafora?


7.1. Quasi annichilendo lo stesso tentativo di classificazione sin qui operato, la
studiosa rilancia la posta, fino a ipotizzare la validità euristica di una tipologia
capace di spingere la sua configurazione al di là di ciò che è rappresentabile at-
traverso un’immagine.99 Ed ecco quindi alcune metafore che non possono esse-
re “sciolte”, nel senso che, costituendo la quintessenza stessa dell’imagery paradi-
siaca, contrastano ogni logica analitica in un vertiginoso superamento delle ca-
pacità dell’intelletto umano, la cui partecipazione ai processi di lettura pure
predomina invece nelle prime due cantiche. Brandeis parla, a tal proposito, di
immagini frutto di

flashes of intuitive clarity and imaginative synthesis so sharp and unified that logical
analysis is quite beside the point. Such images, indeed, lightly and happily contradict the
logic of intellect in a way Dante, I think, would never have tolerated in the first two
canticles, which are reason’s realm.100

I « lampi di chiarezza intuitiva e di sintesi immaginativa », inestricabilmente fusi


in virtú di una mirabile armonizzazione, sono ben esemplificati dal seguente,
fulmineo passaggio (Par., xxvii 4-5):

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso


dell’universo […]

Lo stesso fenomeno testuale viene piú partitamente indagato in altro momento


dell’esperienza paradisiaca, laddove l’Aquila del cielo di Giove esclude che l’u-
mano sia in grado di acquisire ogni altra comprensione profonda se non quella
che gli proviene dalla divinità, invitando cosí il pellegrino e gli uomini in gene-
rale a non osare (come invece fece Lucifero) di penetrare negli illeggibili reces-
si della giustizia divina (Par., xix 64-66):

Lume non è, se non vien dal sereno


che non si turba mai; anzi è tenèbra,
od ombra della carne, o suo veleno.

99. Ivi, p. 161: « there are metaphors in the later cantos of the Paradiso which make nonsen-
se of classification » [trad.: « ci sono metafore negli ultimi canti del Paradiso che rendono insen-
sata la classificazione »].
100. Ivi, p. 162 [trad.: « lampi di chiarezza intuitiva e di sintesi immaginativa cosí acuti e
unificati, che l’analisi logica non ha alcuna importanza. Tali immagini, in effetti, contraddico-
no con leggerezza e felicità la logica dell’intelletto in un modo che Dante mai avrebbe tolle-
rato nelle prime due cantiche, che sono reami della ragione »].

210
la scala e la ragnatela

Qui i due termini sono entrambi figurativi, nel senso che sia la falsa luce, resa
attraverso diverse qualità di oscurità nei comparanti, che la sua assenza, implici-
ta nel soggetto (cioè la non-luce), rimandano al comune ground dell’illuminazio-
ne fisica:101

Nothing like this is to be found in the Inferno or in the Purgatorio, where a certain exacti-
tude of reference is the norm and where generally both terms (subject and object) of
metaphors are drawn from realms of man’s daily experience – one being used literally,
the other figuratively. Here one might say that both terms are figurative; for the false
light or lightness implied in the subject (the “it” which is “no light”) is no more a physical
illumination than the “darkness” of the image. Or one might perhaps venture the very
opposite, upon suspicion that in this equation of two “figurative” entities we have actu-
ally passed beyond metaphor and emerged on its far side in a new simple equivalence,
within a world where all light is spiritual.102

Dante giungerebbe cosí al superamento, come si diceva, della metafora stessa,


dove l’immagine deve lasciare il posto a una diretta equivalenza, esperibile solo
in un mondo dove « ogni luce è spirituale ». Di qui l’impossibilità di una vera
parafrasi e l’esigenza di abbandonare la mente all’espansione delle associazioni
cui i proteiformi significati dell’immagine possono rinviare:103

101. Significativo che non pochi degli ostacoli classificatori incontrati da Lewis, nel già ci-
tato intervento sulle similitudini, coincidano con quelli esposti da Brandeis: « I have been
willing thus to glide into the fourth, and most Dantesque, of my classes without an attempt at
definition because this fourth type is so difficult to define. The principle is that the things
compared are not yoked together by a momentary poetic analogy […] – an analogy which
disappears the moment you step out that particular poetic context – but by a profound philo-
sophical analogy or even identity. Like, in this similes, is always tending to turn into the same »
(Lewis, Dante’s Similes, cit., p. 71, corsivi originari). Notabile è anche che una delle esemplifi-
cazioni addotte dallo scrittore e critico inglese sia appunto basata su « the use of light as a
symbol for what is here symbolized is almost a part of nature, not of art, for nothing else will
do and is almost dictated […] by the shape of the human mind. God is, or is like, light, not for
the purposes of this bit of poetry but for every devotional, philosphical, and theological pur-
pose imaginable within a Christian, or indeed a monotheistic, frame of reference » (ibid.).
102. Brandeis, The Ladder, cit., p. 163 (corsivo originario) [trad.: « Niente di simile è dato di
trovare nell’Inferno o nel Purgatorio, dove una certa esattezza della referenza è la norma e dove,
generalmente, entrambi i termini (soggetto e oggetto) delle metafore sono tratti dai regni
dell’esperienza quotidiana dell’uomo – il primo utilizzato letteralmente, l’altro figurativa-
mente. Qui, si potrebbe dire che entrambi i termini siano figurativi; poiché la falsa luce o as-
senza di luce implicita nel soggetto (l’ “esso” che è “Lume non è”) non è piú un’illuminazione
fisica di quanto lo sia l’ “oscurità” dell’immagine. O ci si potrebbe forse avventurare proprio
verso l’opposto, verso il sospetto che, con quest’equazione di due entità ‘figurative’, siamo in
effetti andati oltre la metafora, per riemergere su un piano lontano, in una nuova semplice
equivalenza, all’interno di un mondo dove tutta la luce è spirituale »].
103. In un recente lavoro sulla ineludibile pervasività nella Commedia del campo semantico
della teoria ottica è stata riproposta una concezione affine della strumentazione metaforica:

211
note e discussioni

But Dante does not ask us to think about what these terms denote; we have passed
through the realms of darkness and flesh-shadow in his poem, and now need merely
allow these terms to expand in the mind. To the best of our individual capacities to un-
derstand them, we will do so through the images and associations they call up. In other
words, nothing is to be gained here, no further penetration achieved, by analysis.104

7.2. In questa ragnatela in cui la tensione si accumula progressivamente verso


il centro, si avrà dunque un progressivo rarefarsi di tenor e vehicle fino alla com-
penetrazione di due elementi che annullano perciò la propria valenza figurale.
Andrà sottolineato come i suddetti passaggi sulla de-metaforizzazione del lin-
guaggio paradisiaco comportino per forza di cose una svalutazione dello stesso
assunto di base circa la solidità e concretezza delle immagini dantesche, e ten-
dano a mettere tra parentesi quel tremendo sforzo conoscitivo implicato anche
in passaggi molto avanzati della Commedia, quali la costruzione delle similitudi-
ni antecedenti la folgorazione finale. Cosí, la patente evocatività dei punti del
saggio appena citati finisce per far incorrere queste analisi in quel rischio di
sfumato evocativo tipico di certa poetica e critica di impianto simbolista. Allo
stesso tempo, non andrà trascurato che la necessità, per il lettore, di introiettare
la metafora come un tutto olistico indivisibile appare in linea con alcune delle
piú recenti acquisizioni degli studi di stampo linguistico-cognitivo in questo
àmbito.105
Infine, per tornare all’inaspettato lapsus continiano, e tenendo in debita con-
siderazione lo stile sovente allusivo, ironico del critico, si fa strada, forse ora piú
legittima, un’ulteriore ipotesi in grado di rendere conto di quell’atto piú o meno
mancato. E se Contini avesse appunto voluto intenzionalmente alludere all’im-

« Paradoxically, that which offers us knowledge at the same time leads away from it, both in
the realm of sense perception and in the domain of language » (S.C. Akbari, Seeing through the
Veil: Optical Theory and Medieval Allegory, Toronto, Univ. of Toronto Press, 2004, p. 6). Ben di-
versa è invece l’impostazione epistemica di chi ne sottolinea la perdurante tensione conosci-
tiva fin nei territori della contemplazione mistica: « stupefacente metamorficità della metafo-
ra dantesca […] capacità di trasformare le res in signa vocalia, anche e soprattutto quando questi
ultimi vengono a mancare » (Ariani, I « metaphorismi » di Dante, cit., p. 49).
104. Brandeis, The Ladder, cit., p. 163 [trad.: « Ma Dante non ci chiede di pensare cosa que-
sti termini denotino; abbiamo attraversato i regni dell’oscurità e dell’ombra carnale del suo
poema, e adesso è necessario che semplicemente lasciamo che questi termini si espandano
nella mente. Secondo il massimo delle nostre capacità individuali di comprenderli, faremo lo
stesso con le immagini e associazioni che essi evocano. In altre parole, non c’è da guadagnare
nulla qui, nessuna ulteriore penetrazione è raggiungibile attraverso l’analisi »].
105. Una delle teorie contemporanee piú diffuse circa la produzione e rappresentazione
metaforica tende a sottolinearne la valenza “olistica”: « La forza della metafora sta proprio nel
poter far esprimere un fascio di proprietà, tutte possibili, sulla cui salienza e pertinenza spette-
rà al destinatario decidere (di qui anche il carattere di ambiguità e plurivocità della metafora) »
(C. Cacciari, La metafora: da evento del linguaggio a struttura del pensiero. Introduzione, in Teorie
della metafora, a cura di C. Cacciari, Milano, Raffaello Cortina, 1991, pp. 1-31, a p. 12).

212
la scala e la ragnatela

pianto – di certo a lui poco consentaneo – di uno studio che punta alla ricostru-
zione del processo (che è anche progresso) psicologico e morale del lettore, in
sintonia con la cangiante natura dell’imagery di cantica in cantica? Allora quel
lapsus continiano potrebbe rivelarsi, a un tratto, una tanto acuminata quanto
elegante frecciata, atta a colpire una tale deriva quasi irrazionalista: qui sarebbe
questione di un vero e proprio « scritto di mistica » sotto mentite spoglie, di una
sorta di “mistica della Metafora”.

Paolo Trama

Abstract:

213

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