Traina LATINELOQUI 2023
Traina LATINELOQUI 2023
JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide
range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and
facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
https://about.jstor.org/terms
This book is licensed under a Creative Commons Attribution 4.0 International License (CC
BY 4.0). To view a copy of this license, visit
https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/. Funding is provided by Dipartimento di
Filologia classica e italianistica - Università degli studi di Bologna.
Pàtron Editore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Parva
Philologa
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Latine loqui:
note filologiche a un libro di linguistica*
1. Il libro è quello di una nota studiosa di latino, Hannah Rosén, Latine loqui. Trends and
Directions in the Crystallization of Classical Latin, München, Fink 1999, pp. 224. Il titolo
è allettante, lo scopo è polemicamente iscritto nel Preface: contro la tendenza dominante
a focalizzare la ricerca sugli stadi iniziale e finale del latino, delineare e documentare, sia
pure non esaustivamente, come esso è giunto dalla caotica ridondanza del latino arcaico alla
selettiva sistemazione di quello che chiamiamo ‘classico’. Tale suggestivo scopo è perseguito
attraverso un percorso denso di dati, di problemi e di interpretazioni (talora innovative), in
un linguaggio rigorosamente tecnico (nel cui inglese sentirei un sottofondo tedesco), che si
snoda in tre tappe d’ineguale estensione e in un brevissimo Epilogo (seguito da 15 pagine di
Bibliografia e da un Indice analitico). Per non intralciare una visione globale dell’opera e per
dare dei punti di riferimento all’eventuale lettore, sarà bene premettere alle nostre annotazioni
una parte puramente descrittiva 1.
I 1. By Way of Introduction (pp. 11-30). Si enumerano le principali caratteristiche del latino
classico, al cui interno c’è varietà di stili, dominata dalla contrapposizione fra lingua informale
(e qui l’A. ne riesuma utilmente tutte le denominazioni antiche: sermo rusticus, proletarius,
plebeius, familiaris, cotidianus, communis, nativus, ognuna delle quali ne riflette un aspetto)
e formale (sermo urbanus, festivus, elegans, Latinus, che ci porta a un’ennesima definizione
di Latinitas). Accanto alle differenze ci sono anche le interferenze: il gap fra le due lingue non
doveva essere così schiacciante come si crede (p. 17). Non si può prescindere dai «contributi
individuali al cambiamento linguistico», del quale si esaminano soprattutto i grecismi come
fattore non solo di innovazione, ma anche di eliminazione, in quanto la Latinitas si modella
puristicamente sull’Hellenismós. Fra gli arricchimenti, accanto ai calchi semantici, c’è il
rafforzamento di perifrasi preesistenti, come habeo + sostantivo, cum + sostantivo, accusativo
alla greca (ne riparleremo). Il greco influisce anche sull’ordo verborum, contribuendo alla «scis
sione» dei sostantivi dai loro attributi, il che nei poeti augustei è definito una «servile imitation
of the archetype of the genre» (p. 27: e la singolare valutazione si ripete a p. 153: «perverted
interpretation»). Infine si considera la latinizzazione, flessionale e lessicale, degli idiomi greci.
| 495 I 2. Taking Stock (pp. 31-38). Il confronto tra passi preclassici e classici, come
C. Gracco frg. 48 s. Malc. [Malc.4] e Cic. Verr. 2.5.161 s., proposto da Gellio e ripreso da
Hofmann, presenta difficoltà per il diverso carattere delle fonti: le differenze si devono
valutare sul piano diacronico o stilistico? Segue un inventario di caratteristiche del latino
classico presenti o assenti nelle fasi anteriori, supportato anch’esso da analisi comparative.
*
Da «RFIC» 129/4 (2001), pp. 494-505.
1
Che può essere integrata dalla impegnata recensione di V. Viparelli, Linguistica, latino e storia della lingua
latina, «BStudLat» 30/2 (2000), pp. 663-678.
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
II 1. Inflection, Formation, Lexicon (pp. 41-84). L’intensa attività innovativa ebbe esiti
diversi sia nel lessico che nella grammatica. Nel caso delle lingue tecniche (dove si ridimensiona
la celebre tesi del Marouzeau sul latino «langue de paysans») si pone il problema: dal tecnicismo
alla lingua comune o viceversa? Slittamenti semantici possono portare a casi di suppletivismo,
per esempio la coppia corradicale reri/ratio si dissocia quando reor è sentito come arcaico
e sostituito da puto, ormai svincolato dalle sue origini tecniche. Seguono dettagliate analisi
di evoluzioni semantiche in mitto, facio, pulcher (il cui significato originario sarebbe «fine,
perfect(ed)»). Paragrafi particolari sono dedicati: 1. agli aggettivi denominali, dei cui suffissi
si segue la storia dalla proliferazione arcaica alla selezione classica; 2. agli avverbi, in cui
si registra un analogo processo, con la progressiva regolarizzazione e differenziazione
dei suffissi, spesso sinonimici e ridondanti nel latino arcaico; 3. alle nominalizzazioni
sostantivali, talora sostituite da mezzi sintattici come la frase infinitiva, e soggette anch’esse
a processi di riduzione sia morfologica (suffissi) che lessicale (eliminazione di coppie
corradicali), compensati però da un certo incremento di nuovi conii, soprattutto di astratti
(ma qui Cicerone è meno rappresentativo per la lingua letteraria contemporanea a causa dei
suoi fini stilistici e dei calchi sul greco), mentre astratti deverbali arcaici perdono la facoltà di
reggere complementi (tipo hanc tactio); 4. all’atteggiamento romano verso formazioni rivali,
difficile da documentare sia per la scarsità di fonti grammaticali classiche, sia per l’interesse
prevalentemente retorico e la carenza di prospettiva diacronica delle altre fonti; 5. a temi e
desinenze, le cui «disappearing differentiations» in parte furono automatiche e irrilevanti, in
parte incisero sul sistema. Nel caso delle desinenze primarie e secondarie (-t/-d), la perdita
del loro contrasto non ha comportato perdita di opposizione funzionale, e così anche nel
caso di temi verbali alternativi, come sum/esco (riesumato solo come arcaismo artificiale),
attigas/attingas, perduint/perdant (coesistenti in Plauto in contesti del tutto simili), mentre di
grande importanza fu la perdita funzionale, già preistorica, dell’opposizione aoristo/perfetto
storico/perfetto ‘genuino’. Si procede poi all’esame di alternanze desinenziali e tematiche
sopravvissute nel latino classico: -rier -ier/-ri -i dell’infinito, -re/-ris della seconda persona,
forme del perfetto sincopate e non, desinenze nominali come -ās/-ae del genitivo singolare
e -um/-ōrum del genitivo plurale. Diverso lo statuto di tali doppioni: uso libero per alcuni,
condizionato da metrica o formularità per altri. La conclusio- | 496 ne richiama alla cautela
imposta dallo stato della trasmissione e delle tendenze normalizzatrici di copisti e editori.
II 2. Morphosyntax (pp. 85-149). Si articola in 10 sezioni. 1. Costruzioni perifrastiche,
cioè analitiche, coesistenti con quelle sintetiche (tipo volo facere vs faciam, habeo factum
vs feci), distribuite in quattro classi, e loro diversa vitalità. Speciale attenzione si presta ai
costrutti dove il componente ausiliario è un nome (tipo indicium facere, in gaudio esse),
prolifici nel latino arcaico e tardo, ma la mancanza di ricerche nel latino classico suggerisce
prudenza nell’attribuirli al sermo plebeius o cotidianus. Le quattro classi vengono analizzate
in un corpus di testi afferenti all’«Early Classical Latin», con tabelle statistiche e interessanti
(ma, come vedremo, non sempre convincenti) comparazioni coi corrispondenti costrutti
sintetici, per concludere, com’era da attendersi, che i costrutti analitici offrono la possibilità
di «expansion» del nome verbale mediante determinazioni aggettivali, e si prestano quindi
a essere selezionati per effetti stilistici. 2. Participi, il cui sistema viene armonizzato, ma
non completamente, al tempo di Cicerone. L’A. indugia sul gerundivo e sulle formazioni in
-bundus, genuini «aggettivi verbali» inizialmente suppletivi del raro participio presente e poi,
in seguito all’espansione di quest’ultimo, divenuti sempre più ridondanti e utilizzati come
varianti stilistiche, non solo nella lingua letteraria (vd. oltre). 3. Circostanziali participiali
e sostantivali: si esamina la concorrenza dell’ablativo assoluto (col participio presente) e
dei temi in u + genitivo, il cui uso cresce nel latino classico, acquisendo probabilmente
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
una valenza strumentale. 4. Modo verbale, senza mutamenti rilevanti nelle proposizioni
indipendenti, mentre nelle dipendenti si nota una certa fluttuazione nell’uso dei tempi, forse
riconducibile alla natura del verbo reggente. Fanno eccezione le interrogative indirette, la
cui alternanza indicativo/congiuntivo è oggetto di una sofisticata disamina. 5. Proibitive:
dei quattro tipi arcaici, documentati autore per autore, solo due sopravvivono nel latino
classico (ne dixeris, noli dicere), senza sostanziale differenza. 6. Imperativo in -to, che pone
due problemi: il suo valore temporale (che è indubbiamente un futuro non immediato) e
l’inconcepibile identità del morfema nelle desinenze della II e III persona (il comune
denominatore sarebbe un imperativo impersonale, o meglio ‘apersonale’, cioè diretto a una
persona non specifica, o specificata solo dal contesto o da indicatori pronominali, etc., e
poi, ma non sappiamo quando, integrato in un paradigma differenziato nelle persone, al
singolare come al plurale). 7. Tempi: poco cambia nella forma, molto nella funzione, con
la cancellazione dell’opposizione aspettuale a favore della temporalità relativa, evidente
soprattutto nel futuro secondo, che solo in espressioni cristallizzate (gratissimum mihi feceris)
mantiene il suo valore perfettivo, esteso nel latino arcaico (cf. commutavero di Plaut. Amph.
53). 8. Infinito storico, di cui solo nel latino imperiale si avrebbe un uso stilistico, mentre
nell’ultimo periodo repubblicano si dovevano distinguere due funzioni, una descrittiva e | 497
l’altra propriamente narrativa. 9. Il passivo, che è la formazione più problematica, per la
concorrenza dell’attivo, per la frequenza relativamente bassa, per l’insufficienza di materiali
e di ricerche sulla sua evoluzione storica. Si distingue fra passivo in frasi infinitive, dove può
evitare l’ambiguità dei due accusativi dell’attivo, e in frasi con verbi finiti, dove è importante
la distinzione fra impersonale e personale. Come mezzo «optional» sfruttato a fini stilistici,
il passivo è affidato alla soggettività del gusto e può scivolare in «eccessi arbitrari o semplici
varianti dell’attivo», e ciò varrebbe a spiegare l’impressione di una «curiosa predilezione»
del latino per il passivo notata dal Wackernagel. 10. C’è competizione fra caso e costrutto
preposizionale, caotica nel latino arcaico, disciplinata nel latino classico, sbilanciata a favore
del secondo nel latino tardo. Si propone una tabella comparativa dei due sintagmi nel latino
arcaico e classico repubblicano, sulla quale avremo qualcosa da dire. Nella espansione dei
costrutti preposizionali emergono due fenomeni, la loro selezione in costrutti perifrastici
(spes est de al posto del genitivo) e la coesistenza di diverse possibilità di determinare verbi
composti (urbe/ex urbe exire). Sul partitivo ritorneremo. In conclusione, il latino della tarda
repubblica e del primo impero sembra riservare la preposizione a testi meno sorvegliati ed
elaborati. Tale selezione sarebbe l’esempio «più luminoso» di elementi linguistici utilizzati a
fini stilistici della ormai consolidata latinità letteraria.
II 3. Syntagmatics (pp. 150-159). Di un ordine apposizionale delle parole ci sono tracce
nel latino arcaico, e specificamente di nome apposto a pronome (tipo is … leno); esame dei
fattori che ne controllano l’uso nel latino classico. Nell’infinito con l’accusativo la prolessi
del soggetto, frequente nel latino arcaico, appare strutturata in due costituenti (CIL I2 9.1-2:
honc oino [«about this man alone»] / ploirume cosentiont; Ter. Haut. 396: me quidem [«but as
for me»] / semper scio fecisse), poi per gradi l’accusativo prolettico viene inserito nella frase,
dopo il verbo. E questo suggerisce all’A. un’interpretazione dell’origine dell’accusativo
+ infinito diversa da quella canonica (non te dico / facere, ma te / dico facere, se ho ben
capito). Analogo sviluppo si avrebbe nelle interrogative con accusativo prolettico. Il quale poi
subirebbe nel tardo latino repubblicano la concorrenza di de + ablativo.
II 4. Cohesion, cioè la connessione tra le frasi (pp. 160-175). Analisi degli elementi connettivi
(ordine dei costituenti, particelle connettive, uso dei tempi, iterazione lessicale, etc.), che non
pare abbiano risentito dei processi diacronici. Tra questi una trattazione più lunga merita il
nesso relativo («the connecting relative»), di cui si traccia una storia dal latino arcaico alla sua
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
espansione nel latino classico, dalla sua contrazione nel latino tardo al suo rifiorire nel latino
carolingio e umanistico, come «uno dei tipici segni del latino classico letterario».
III 1. Tendencies (pp. 177-186), decisive per l’elaborazione del latino classico. 1. Sempli
ficazione morfologica (frequentativi al posto dei verbi di base, focus al posto di ignis, necare
di interficere, etc.), ma tran- | 498 ne eccezioni più tarda e popolare. 2. Regolarizzazione
flessionale (predominio degli avverbi in -ter ed -ē secondo i temi; per altri casi vd. infra). 3.
Tendenza alla simmetria («symmetrization», con effetti sul sistema classico degli infiniti e
dei participi). 4. Lessicalizzazione (che opera in derivati semanticamente modificati o sintat
ticamente trasformati: osculum ‘bacio’, habito ‘abitare’ con determinazioni locative perdute
classicamente da habeo). 5. Grammaticalizzazione (delessicalizzazione come in amabo ‘per
favore’ o nel processo di «univerbation» che porta a scilicet, nimirum, forsitan, quivis). 6.
Trasparenza (ma discutibili gli esempi di questa tendenza per il periodo considerato). 7.
Esplicitazione (per esempio de + ablativo «as to» al posto dell’accusativo prolettico arcaico,
o la duttilità flessionale di patris/-um al posto di patrius).
III 2. Literary Exploitation (pp. 187-193). Tale «sfruttamento» letterario di doppioni
grammaticalmente equivalenti, progressivamente moltiplicatosi, è esemplificato con due
fenomeni di diverso tipo: l’alternanza ēre/-ērunt della III persona plurale del perfetto (non
pertinente a questo riguardo -ĕrunt, metrica a parte) e quella comparativo + quam/ablativo.
Per la prima sin dal periodo arcaico c’è differenza di registro (per esempio Catone usa -ēre nei
frammenti storici e oratorii, -ērunt nel De re rustica) 2, che nel latino augusteo si fa opposizione tra
una forma non marcata, -ērunt, e una marcata, -ēre, riservata alla poesia dattilica e alle clausole
di prosa alta, specie storiografica. Dall’esame delle osservazioni ciceroniane, apparentemente
contraddittorie, l’A. giunge a ipotizzare che per -ēre si tratti di due fenomeni distinti, l’arcaico
-ēre in lingua culta e un colloquiale -ērŭ da ērunt con caduta delle consonanti finali e vocale
indistinta. Quanto al comparativo, la coesistenza dei due sintagmi pone problemi solo quando si
trova quam dove si aspetterebbe l’ablativo (cioè il tipo ‘proverbiale’ luce clarior, che secondo
una discutibile tesi di K. van der Heyde varrebbe come comparativo di eguaglianza e non di
superiorità). Dall’analisi dei testi arcaici più Catullo e Petronio l’A. conclude che si tratta di «an
exaggerative pattern» proprio della commedia e della satira (p. 193).
III 3. Overview (pp. 194-197). Tabelle riassuntive, che evidenziano come, nel passaggio
dal latino arcaico al classico, «dalla parte dei mezzi di espressione perdita ed eliminazione
sono le principali forze in opera, mentre aumento ed espansione in questa area avvennero quasi
solo nella forma di innovazione lessicale». Che non è propriamente una novità, ma piuttosto
una conferma. La novità, caso mai, sta nel tentativo di | 499 catalogare i fatti linguistici e nella
capillare documentazione, non sempre attendibile, come vedremo, ma bene equilibrata, come
conclude l’A. nell’Epilogue di p. 198, fra latino informale e latino letterario, cui giustamente
si rivendica «più spazio e importanza» di quanto non gliene conceda la maggior parte degli
studi diacronici di latino 3, e che tuttavia «è soggetto a processi solo in parte determinati da
modelli letterari e preferenze personali».
2
Leggi De agri cultura (anche a p. 192). Quanto ai frammenti oratorii e storici, non si vede perché siano citati
secondo il vecchio Jordan, quando c’erano per i primi l’edizione canonica della Malcovati4 (adibita poi per i frammenti
di Scipione Minore) e quella, altrettanto canonica, di Peter2 per i secondi. Ma anche le citazioni dal Jordan non sono
sempre esatte, se «85, 6» (p. 68) va corretto in ‘85, 2 (= 19 Malc.4)’ e «85, 7» (ibid.) in ‘85, 3 (= orat. 145 P.2)’.
3
Alle poche eccezioni elencate dall’A. (Cousin, Palmer, Szantyr) aggiungerei, pur con i suoi limiti, la Storia
della lingua latina, parte 1: Le origini e la lingua letteraria fino a Virgilio e Orazio, di V. Pisani, Torino 1962 (cf. la
mia recensione in «Convivium» 32/1 [1964], pp. 84-90 = *183-188). Le obiezioni della R. al drastico giudizio di F.
Stolz – A. Debrunner, Geschichte der lateinischen Sprache, 19533, p. 82, appena attenuato dallo Schmid nella sua
revisione (19664, p. 32), collimano con quelle che anch’io rivolgevo agli stessi autori nella traduzione italiana della
loro opera (Bologna 19681, 19934, p. XXVIII), come nota anche V. Viparelli, op. cit., pp. 677 s.
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Quanto alla Bibliografia (pp. 199-213), smembrata per capitoli e quindi parzialmente
ripetitiva, basterà segnalarne riedizioni e traduzioni: Hofmann – Szantyr, p. 22 (traduzione
italiana della Stilistica a c. di A. Traina, aggiornamenti di R. Oniga, Bologna 2002); J. Brenous,
p. 22 (ristampa Roma 1965); H. Pinkster, p. 200 (traduzione italiana a c. di P.M. Bertinetto,
Torino 1991); G. Devoto, p. 201 (ristampa con prefazione di A.L. Prosdocimi e appendice
bibliografica a c. di A. Franchi De Bellis, Bologna 1983); E. Löfstedt, Late Latin, pp. 201 e
203 (traduzione italiana a c. di G. Orlandi, Brescia 1980); G. Pascucci, pp. 202 e 208 (articoli
ristampati in Scritti scelti, Firenze 1983); G. Calboli, p. 204 (articoli ristampati in Ueber das
Lateinische, Tübingen 1997), J. Lebreton, Étude, p. 206 (ristampa Hildesheim 1965); M.
Leumann, Lateinische Dichtersprache, p. 207 (traduzione italiana in A. Lunelli [a c. di], La
lingua poetica latina, Bologna 19741, 19883); G. Maurach, p. 207 (traduzione italiana a c. di
D. Nardo, Brescia 1990); R. Till, pp. 210 e 212 (traduzione italiana a c. di C. de Meo, Roma
1968); Stolz – Debrunner – Schmid, p. 213 (vd. n. 3).
2. Giunti alla fine di questo lungo, faticoso e, spero, non troppo difforme cammino, che
attesta la rilevanza e la complessità dell’opera e quindi anche la difficoltà di sintetizzarla,
ripercorriamolo con l’occhio del filologo. P. 23. Val la pena segnalare agli studiosi di Livio
Andronico l’originale esegesi del frg. 12 Mor. (31 Bl.): atque escas habemus mentionem,
dove mentio vale «ricordo», come astratto di memini, e non «menzione», come sempre
classicamente nella locuzione mentionem habere. La difficoltà sta in quell’indicativo che
non risponde ai congiuntivi dei possibili ipotesti omerici (Od. 4.213; 9.177; 19.246). A tale
diffi coltà si è ovviato o manipolando il testo, o, come ha fatto ingegnosamente K. Büchner
(Livius Andronicus und die erste künstlerische Uebersetzung der europäischen Kultur, «SO»
54 [1979], pp. 60 s.), riferendolo a un al- | 500 tro ipotesto compatibile con l’indicativo, a
prezzo di supporre un’alterazione liviana del testo omerico (Od. 9.557: ἥμεθα δαινύμενοι κρέα
τ’ ἄσπετα καὶ μέθυ ἡδύ). L’A. accetta il testo tràdito e dà alla perifrasi habemus mentionem un
valore «necessitative-prospective»: «we have to/shall/must think», col solo e fragile supporto
dell’identico valore che avrebbe iter habere. Ma in iter è implicita una direzionalità (dirigere
chiosa Non. p. 498 Linds.), e quindi un valore prospettico, che manca in mentio.
P. 24. Fra le perifrasi nominali con cum equivalenti a un aggettivo si reca «Enn. Ann. 54
V. (26 Sk.)»: tuo cum flumine sancto, che echeggerebbe εὐρρεής: se si riporta l’edizione di
Skutsch, si doveva anche ricordare che nel commento è contestato il riferimento all’epiteto
greco, già proposto da Η.B. Rosén nel 1968 [il legittimo corrispondente è (flumine) pulchro
di Verg. Aen. 7.430]. P. 25. Come «possibile preannunzio» dell’accusativo alla greca si dà
Plaut. Pseud. 785: si quispiam det qui manus gravior siet. Sarebbe un unicum in tutto il latino
arcaico (con la sola eccezione di Enn. ann. 311 Vahl.2, di discussa autenticità), che anticiperebbe
un grecismo proprio della lingua poetica augustea (cf. J.B. Hofmann – A. Szantyr, Lateinische
Grammatik. Lateinische Syntax und Stilistik, München 1965, p. 37) 4. Quī è ablativo e
sottintende un id prolettico: «desse di che la mano sia più pesante (di denaro)», cf. Verg. ecl.
1.36: gravis aere […] mihi dextra redibat (per altri testi vd. l’articolo di Landgraf citato alla
n. 4). P. 29. Altro frammento di Livio Andronico la cui esegesi farà discutere filologi e
4
Di un accusativo alla greca in Plauto nulla sanno J. Brenous (Les hellénismes dans la syntaxe latine, Paris
1895, p. 243), né Ch.E. Bennett (Syntax of Early Latin, II, Boston 1914, pp. 261 s.), né W.M. Lindsay (Syntax of
Plautus, Oxford 1907, pp. 24 ss.), e G. Landgraf, che dapprima aveva riportato il passo dello Pseudolus (Der Akku-
sativ der Beziehung, «ALLG» 10/2 [1898], p. 209), si è poi ricreduto (ibid. 10/3 [1898], p. 376), interpretandolo
come segue nel testo, avallato da E.H. Sturtevant nel suo commento della commedia (T. Macci Plauti Pseudolus,
edited by E.H. S., New Haven-London 1932 [rist. 1979], ad l.).
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
linguisti, è l’incipit dell’Odusia: nel quadro di una sommaria analisi contrastiva con l’ipotesto
omerico 5 si considera insece «a misguided translation of ἔννεπε, which in all probability
erroneously related it to the common verb ἕπομαι, stripping it of its deponentiality» 6, ma
anche del suo significato, incongruo col contesto proemiale; tanto più se il poeta grammaticus,
come si è ipotizzato, usava un’edizione provvista di scolii, dove poteva leggere ἔννεπε chio
sato εἰπέ. P. 36 s. È interessante rilevare il criterio selettivo adibito da Cicerone in presenza
di un doppione sintattico in Mil. 101: virtus ex hac urbe expelletur, exterminabitur, proicietur,
e ibid. 87: me patria expulerat, bona diripuerat, domum incenderat. La preposizione, che nel
primo passo anticipa ed esalta il valore del ripetuto preverbio, nel secondo avrebbe turbato il
parallelismo nominale patria/bona/domum. È un efficace esempio (e ne vedremo altri) di
quelle scelte stilistiche cui accenna più volte l’A., ma senza documentarle, come non pertinenti
al suo discorso. | 501 P. 37. Diatesi di lavo. È contestabile che lautus sum valga come perfetto
mediopassivo di lavo/lavor sulla base di Plaut. Stich. 667: tu lavere propera. : : Lautus sum,
il cui contesto chiarisce che lautus è participio autonomo, «sono (già) lavato» e non «mi sono
lavato», che in Plauto è sempre lavi, cf. l’opposizione lauta est/inluta est di Poen. 232 (per la
selezione delle forme rimando al mio Forma e suono. Da Plauto a Pascoli, Bologna 19992,
pp. 43 s.). P. 57 ss. Avverbi in -tus. Qui la monografia fondamentale (e unica) è R. Strati,
Ricerche sugli avverbi latini in -tus, Bologna 1996, da cui la R. avrebbe potuto precisare o
rettificare molti dati: per esempio che claritus da lei attribuito a Celso (p. 57), secondo il testo
di Carisio (p. 276, 24 Barw.) 7 sarebbe già arcaico (Strati, p. 35); o che radicitus, germanitus
e sollemnitus sono arcaici ma non enniani (come asserisce a p. 57: errata lettura di Untermann,
e il bello è che a p. 59 sollemnitus è dato come hapax di Livio Andronico). Aggiungo che
antique non ricorre solo nell’accezione di «in the old manner» (p. 61), ma anche in quella di
«from old» in Catull. 34.23 («in der Bedeutung von antiquitus», C. Valerius Catullus,
herausgegeben und erklärt von W. Kroll, Stuttgart 19806, ad l.). P. 64. Come esempio di
«innovazioni apparentemente superflue» in Cicerone si reca Tusc. 4.30, dove l’arpinate,
benché in possesso di termini adeguati e già consolidati come confidentia e fiducia, introduce
«due neologismi per lo stesso concetto»: fidentia, id est firma animi confisio (ripreso a p. 70).
L’operazione non è così gratuita, se si considera che confidentia ha un valore prevalentemente
negativo (cf. Cic. Phil. 2.104: causam […] confidentiae et temeritatis tuae, e così quasi
sempre in Cicerone, cf. ThlL s.v., IV 205, 59-62), cui qui subentra il semplice come antonimo
corradicale di diffidentia (fidentiae contrarium, Cic. inv. 2.165), opposto a fidentia nello stes
so passo. Pp. 68 s. La riduzione ‘classica’ delle tre ‘nominalizzazioni’ arcaiche di ire, itio,
itus e iter, avrebbe portato alla scomparsa di itio (tranne nei giustapposti domu(m) itio e
obviam itio) e alla specializzazione di itus come «right of way». I dati del ThlL (VII/2 569 s.)
permettono di rettificare: itus, presente nel latino arcaico solo nella serie omeoteleutica di
Titin. com. 117 Ribb.3: itum gestum amictum, è ripreso come arcaismo da Lucrezio (3.388) e
dalla poesia tarda, mentre nel latino classico è tenuto in vita dall’accoppiamento formulare
col composto reditus, e anche quando, nelle formule sepolcrali, assume l’accezione tecnica di
ius eundi, sarà sempre in coppia con astratti verbali omeoteleutici (actus, aditus, ambitus,
haustus, transitus). Si veda, ancora una volta, quanto incida il suono nella storia delle forme 8.
5
Che non avrebbe dovuto prescindere da quella di S. Mariotti, Livio Andronico e la traduzione artistica,
Urbino 19862, pp. 26 ss.
6
Per isolate forme attive in Omero cf. Chantraine, DELG, s.v.
7
Ma la R. cita sempre Carisio secondo il Keil.
8
Il che vale anche per itio, se l’unica occorrenza arcaica è itiones in rima con mansiones (Ter. Phorm. 1012,
cf. A. Traina, Forma e suono, cit., p. 93), ripreso da Simmaco, e nel latino cristiano ricorre in coppia con reditiones
in Agostino.
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Ma questa è problematica del tutto estranea alla R. | 502 P. 76. L’utilizzazione della fibula
Praenestina andrebbe accompagnata dalla riserva sulla sua discussa autenticità. P. 92. Tra
le perifrasi che hanno preceduto i corrispettivi verbi denominativi (tipo contionem habere vs
contionari) non metterei pacem facere vs pacare, che non sono interscambiabili: l’equivalenza
è ammissibile solo se la perifrasi equivale a un verbo intransitivo. P. 95. Sempre a proposito
di perifrasi, a torto si cita Liv. 1.3.1: stare tutelā come fosse esse in tutela, «remain protected».
Il testo (tutela muliebri […] regnum puero stetit) chiarisce che tutela è ablativo causale con
l’accezione tecnica di ‘reggenza’ (si tratta di Lavinia e di Ascanio minorenne), e stetit ha il
valore pieno, e non ‘ausiliario’, di ‘stare in piedi’, ‘rimanere saldo’. Non per nulla sarebbe il
solo caso, fra gli esempi citati, a non esibire la preposizione. P. 101 ss. Aggettivi in -bundus:
qui la citazione d’obbligo era E. Pianezzola, Gli aggettivi verbali in -bundus, Firenze 1965,
le cui analisi (che impugnano l’equivalenza di tale formazione col participio presente)
avrebbero evitato all’A. qualche svarione, come la «nuance of prospectivity» in Cic. Att.
12.1.2: noctuabundus ad me venit, «He came to me to do his job by night», dove invece è un
tabellarius che porta a Cicerone una lettera «con la faccia di uno che ha fatto la nottata»
(Pianezzola, p. 124) 9. La R., messa sull’avviso dalla Viparelli (op. cit., p. 675), ha poi fatto
ammenda della sua esegesi (Noctuabundus ad me venit … tabellarius, «Mnemosyne» 55/1
[2002], pp. 89-92), sostituendola con l’originale ipotesi di una formazione denominativa da
noctua: «Came as an owl». Data l’estrema rarità di denominativi in -bundus (non più di due
o tre), preferisco la vecchia ipotesi di un intermediario verbale *noctuari, non attestato ma
virtuale nel sistema secondo il paradigma aestu- aestuari aestuabundus/fluctu- fluctuari
fluctuabundus/tumultu- tumultuari *tumultuabundus/noctu *noctuari noctuabundus. P.
105. Quassante è mal collocato fra i participi di verbi esclusivamente transitivi, come sciente
e inspectantibus, perché iuncturae quali quassanti capite di Plaut. Asin. 403 e capitibus
quassantibus di Bacch. 408 gli danno proprio quel valore di verbo ‘stativo’, cioè suscettibile
di una doppia diatesi (cf. quassant caput di Men. 600) che gli nega l’A. P. 106. Datus non è
attestato solo nella forma dell’ablativo, come afferma la R. sull’autorità del vecchio Neue –
Wagener: un controllo sul più affidabile ThlL (V/1 42, 20 ss.) le avrebbe fornito occorrenze
tardolatine del nominativo e del genitivo. P. 108. L’asserto che il «contrasting pair» in Caes.
Gall. 7.15.6 (datur petentibus venia, dissuadente primo Vercingetorige, post conce- | 503 dente
[…] precibus ipsorum) e ibid. 20.2 (regnum illum Galliae malle Caesaris concessu quam
ipsorum habere beneficio) possa autorizzare l’ipotesi di un diverso valore nel participio
(circostanziale) e nell’ablativo dei sostantivi in -u (strumentale) non tiene conto delle condizioni
contestuali, che modellano dissuadente su concedente (esclusa la scambiabilità con concessu
a causa dei successivi determinativi nominali) e concessu su beneficio (privo di equivalente
verbale). Pp. 109 ss. Tra i mutamenti che subisce l’uso dei modi, e dei loro tempi, dal latino
arcaico al classico non vedo il passaggio del periodo ipotetico da un sistema ‘binario’ a uno
‘ternario’, che nell’ambito della soggettività distingue fra possibilità e irrealtà, formalmente
indistinte nel latino arcaico, dove l’opposizione presente/imperfetto è solo temporale. Pp.
135 s. In Plaut. Mil. 251 s.: abit ambulatum, dormit, ornatur, lavat, / prandet, potat, si critica
la traduzione di G.E. Duckworth – un plautinista di tutto rispetto – per aver trascurato il
contrasto fra l’intransitivo lavat e il passivo ornatur («ab ornatrice or ab ancilla»). E invece
il Duckworth ha ragione: le donne plautine si abbigliano da sole (o comunque non si menziona
l’aiuto di ancillae) 10, cf. all’attivo Epid. 134: age nunciam orna te; Mil. 1195; Most. 293: tibi
9
La traduzione corrente, criticata dal Pianezzola in base alla sua personale interpretazione del valore ‘visivo’
del suffisso (ma passata ne Il Dizionario della Lingua Latina di Conte – Pianezzola), è «che (ha) viaggia(to) di
notte» (e quindi caso mai con una nuance retrospettiva).
10
L’ornatrix è addirittura assente in Plauto, e non attestata negli autori prima di Ovidio.
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
11
Catilina nel testo è refuso.
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
Szantyr, op. cit., p. 100, o ablativo di provenienza? La questione è sub iudice, e W. Görler in
Enciclopedia Virgiliana, II, Roma 1985, p. 266 lo dà con un punto interrogativo. Era da
sostituire o da motivare. | 505 P. 177. Di *nuo accanto a nuto non sopravvivono solo adnuo
e adnuto, ma anche abnuo, innuo, renuo, abnuto e renuto.
Per finire segnalo un refuso di quantità in «honōr» (<honōs, p. 178) e un ripetuto sole
cismo, in cui mi sono imbattuto più volte, anche in latinisti di grido, il nominativo al posto
dell’accusativo con l’infinito: «lautus esse» (p. 37), «invidus esse» (p. 61), «fortis fieri» (p.
71, dove pure la fonte gelliana, 19.7.8, forniva la forma corretta ‘fortescere’ pro ‘fortem fieri’).
This content downloaded from 96.5.247.170 on Fri, 21 Mar 2025 13:13:40 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms