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La Vita Solitaria 00 Pet Ru of T

Il documento presenta una pubblicazione dedicata a memorie di illustri scrittori, scultori e architetti domenicani, curata da P. Vincenzo Marchese. Include anche una selezione di curiosità letterarie inedite e rare dal XIII al XVII secolo, con dettagli sulla tiratura e il prezzo. Infine, si menziona un'opera sul tema della vita solitaria di Francesco Petrarca, evidenziando l'importanza della solitudine nella crescita spirituale.

Caricato da

Roberto Garroni
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Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
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La Vita Solitaria 00 Pet Ru of T

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O)

'CD
o. r^
£ in
Pubblicazione recentissima

MEMORIE
DEI PIÙ INSIGNI

l'ITTORI, SCULTORI E ARCHITETTI


DOMENICANI

DEL P. VINCENZO MARCHESE


DELLO STESSO ISTITUTO

QUARTA EDIZIONE ACCRESCIUTA E MIGLIORATA

Ji Voi. I è di pag. XU-58& - Il Voi. II e li pag. lV-708

Il prezzo di entrambi i volumi re.sta fissato

ili ital. L., 11^ 60, più la spesa di affrancazione

in Cent. 62.
SCELTA
DI

CURIOSITÀ LETTERARIE
INEDITE RARE
DAL SECOLO XIII AL XVII

ij ApfBcdice alla GoUezione di Opere inedite 'o rare

DISPENSA CLXXl
Prezzo L. 8

Di questa SCELTA usciranno otto o dieci volumetti


all' anno ; la tiratura di essi verrà eseguita in numero
non maggiore dì esemplari 202: il prezzo sarà uniformato
al numero dei fogli di ciascheduna dispensa, e alla
quantità degli esemplari tirati: sesto, carta e caratteri,
u^'uali al presente fascicolo.

Gaetano Romagnoli
LA VITA SOLITARIA
DI

FRANCESCO PETRARCA
VOLGARIZZAMENTO IKFOITO

DEL, SECOLO XV

TRATTO DA UN CODICE DELL'AMBROSIANA

l'EL

DOTI. ANTONIO CERUTI

LIBRO SECONDO

BOLOGNA
•HKS^O «ìMìTANO KO.M.Vf.NOl-
is7y.

\o^tìh
\'
Edizione di soli 202 esemplari
ordinatamente wnW'-fiii

N." 25

Sliibilimento Tìpof."
MICROFOR/

smvicts
LIBRO SECONDO

CAPITOLO I.

Accorgiomi nientedimeno al mio


dire ancora restare qualche manca-
mento, e manifestamente vedo ciò
che tu aspetti, cioè la cosa per sua
natura valida e forte con esempli
dovere essere armata. Longa è la
istoria a voler narrare, che filosofi
e che poeti sono entrati nella soli-
tudine, acciò che si potessero levar
con r animo ad alto ma mólto più
;

^ longa e più divulgata è quella delli


^santi uomini, che di sua propria
volontà avendosi banditi dalle cit-
tadi, con la sua santa presenzia
hanno illustrata e fatta famosa la
solitudine, degli quali se io voglio
esquisitamente e con diligenzia par-
lare, non posso fare eh' io non dica
cose molto note e massimamente a
te, che a pieno ne se' informato.
Non aspettare eh' io ti transcriva
1
le vite di coloro, che sono chiamati
padri, il qual titolo di libro stimo
che jili nostri abiano preso da Mar-
co Varrone, che delle vite degli
padri scrisse, ma per un altro modo,
e non in tanto studioso per accen-
dere gli animi alla divozione, quanto
per dar notizia di quel che altri non
sapesse.
Io non dirò in quale spelonca
stette nascosto sessanta anni I)o-
roteo, né come il padre Araone,
lasciata la moglie, che con virginal
continenzia Jongamente con esso sé
avea tenuto, solo passò il resto della
sua vita nel diserto del monte chia-
mato Nitria, e a l'ultimo rese la sua
felice anima a Dio, la quale dopo
il spazio di tredici giorni il beato
Antonio vide in compagnia degli
Angioli con somma letizia andare
al cielo. Non reciterò qual vita
menò in quel medesimo monte il

beato Pambo, che per sue caute


le
risposte da alcuni scrittori non so-
lamente è comparato ad Antonio,
ma preposto eziandio a quello; o
vero il suo discipolo Antonio, il
quale essendo richiesto vescovo per
forza, però che egli era molto stu-
dioso e molto dotto nella sacra
;5

S(;i-ittura, non potendo altrimenti


l'iigire e vedendosi preso, per non
essere privato della solitudine, con
le proprie mani si tagliò l' orecchia,
pensando per questa via almeno sé
non dovere essere atto allo offlzio
episcopale; poi veduto che questa
arte poco gli valeva, minacciò a
coloro che di ciò lo intestavano, se
loro pure stessono fermi in quella
opinione, che lui si taglierìa la lin-
gua, che di tanta importunità, quan-
ta gli venia fatta, era cagione.
Non parlerò delle felice solitudi-
ne d* ambedua gli MaccarJ, dove
facendo opere miracolose, l'uno alla
età di nonanta, e V altro di cento
anni perv-enne. Non toccarò come
Moiseo Ktiopo di latrone fatto sa-
cerdote, poi visse solitario servo di
Cristo, e come Arsenio di glorioso se-
natore divenne grandissimo appres-
so Idio; né farò menzione di quella
voce celeste, che a lui disse: « Fug-
gi li uomini e serai salvo ; » e di
quell'altra che disse: « Arsenio,
fuggi, taci e riposati; » e come Paulo,
per cognome chiamato Simplice dal-
la puritade dtdli suoi costumi, fugito
dal vivere con la sua «lonna adulte-
ra, e andato alla solitudine, venne in
tanta dimestichezza e grazia di Cri-
sto, che con purissimi certamente
ed efficacissimi prieghi egli scacciò
dello assediato petto di uno cer-
to uomo il principe degli malvagi
spiriti, il quale Antonio confessò
non aver potuto scacciare. Non
esponerò qual tentazione del corpo
e dell'animo Pacomio e Stefano soli-
tarj vecchi abiano vinte ; non cer-
carò con che consiglio e con quanta
sapienziaPafnuzio condusse al diser-
to tre amici di Dio, come al luoco
più sicuro e più vicino a Dio, né con
quale ammirazione di virtù Elpidio
trasse alla solitudine le brigate de-
gli monachi, né con qual carità Se-
rapione per due fiate si fece schiavo
degli uomini, a ciò che lui liberasse
gli suoi patroni della servitù del
peccato. Non narrarò la pietà di
p]frem diacono, la constanzia di El-
pidio, li sudori di Adolio, la miseri-
cordiosa severità di Innocenzio, la
industria e le fatiche di Evagrio. Non
investigherò in che solitudine Malco
pascette la gregge del dispiatato si-
gnore, né in quale spelonca lui stet-
te nascoso con quella che lui fìngeva
tenere per sua donna, e come egli
scampò della furia del suo padrone
che' 1 perseguiva, combattendo in
suo ajuto la leona. Non mostrarò
con quale virtù e con quanta intel-
ligenzia delle cose future Giovanni
Egizio divenne famoso, dal quale
tanto dalla lungi Teodosio impera-
tore nelle cose dubiose dimandasse
risposte, e con il consiglio del so-
litario povero, pigliate le arme, me-
nasse a fine non solamente pietose,
ma grandissime e incredibili guerre.
Da questo medesimo un'altro capi-
tano romano, inferiore di Teodosio,
impaurito per la terribile correria
e per la infinita moltitudine delli
Etiopi, e per alcuni assalti poco pro-
speramente fatti, non avendo ardi-
re di venire alla battaglia, in quel-
lo stato non per ambasciadori, ma
lui presente avendo voluto inten-
dersi e consigliarsi con 1' uomo di
Dio, levato a speranza di cei'ta vit-
toria, destinatogli eziandio il gior-
no della battaglia, e che lui vinci-
tore riportarla grandissime prede
delli inimici, e reacquisteria le cose
perdute per li suoi, e meritoria la
grazia dello imperatore, andò ani-
mosamente, e con grande sforzo
combattendo ruppe il nimico, ripor-
tò le spoglie e acquistò la grazia.
A questo uomo tanto santo o
instrutto (li tanta prescienzia delle
future cose, se le presente e quelle
che lui avea provate li debbono
esser credute, odi che opinione sia
la sua della solitudine. Io ho qui
sotto scritte le meilesime parole di
quello, riferite da coloro che le odi-
rono della sua bocca, a ciò che al-
cuno non pensi che io le abia mu-
tate per dar favore al mio proposi-
to. Egli dice « L' abitazione più se-
:

creta e la solitaria conversazione


molto giova; » ed in un altro luoco
dice; « La conversazione più secre-
ta e' r abitazione dell' eremo inte-
riore molto giova a fuggire i peri-
coli e il cadere nel peccato, e ad
acquistare la grazia di Dio, e a
prendere più manifesta notizia e
cognoscimento della divinità; e ac-
ciochè tu sappi lui avere usato li
fatti simili alle parole, leronimo,
scrittore di ciò che qui ho detto, di-
ce: « Noi avemo veduto questo
Giovanni nelle parti di Tebaida nel-
r eremo verso la cittade chiamata
Ligo, starsi in la summità d' un
monte molto alto e molto aspro; lo
andare a quello è molto diffìcile, lo
adito del suo monasterio è astrop-
pato (1) e chiuso in modo, che tlalh
quaranta infino agli nonanta anni,
nel qua! tempo noi lo vedemo, nin-
no mai vi entrò, ed a quelli che
venivano a lui, egli si lasciava per
una finestra vedere. » Non discrive-
rò l'abitacolo di Elia monaco, qua-
si più mirabile di tutti gU altri,
cioè l'orribile deserto, la smisura-
ta solitudine e da non aguaghare
con alcuno parlare; come la spe-
lonca sia molto scopulosa, e lo
sentiero di quella sia molto aspro
e stretto, il quale certamente olf'en-
deria gli pedi di qualunche ben leg-
gieri e con buona avvertenzia li

ponesse, e ingannarla gli occhi di


coloro, che per quello andassero ;

come il vecchio col corpo tutto tre-


mante, ma constantissimo nell' ani-
mo, di cento dieci anni della sua
etade, settanta integri ne avea for-
niti in quel luoco. Tu penserai da
per te medesimo, qual maestro co-
stui abia potuto essere della vita
solitaria, che tanta dimora fece in
quella voluntade eli' e' non
, pare
che mai sia stato d' altro proposi-

(1) Astroppalo lum r roc rr<fi.fh'a(n vri di-


sionnrj.
to; e questi nostri uomini si pen-
sano patire gravissimo supplizio e
tormento, se per tre giorni aban-
donano 1' ambizione e il disordina-
to appetito degli onori e delle cose
mondane, e lo effrenato desiderio
della avarizia, e le taverne e gli
altri luoghi disonesti e atti ad ogni
generazione di lascivia e di lussuria.
Non tirerò in mezzo quello Eu-
tichiano, che viveva in Olimpio,
monte di Bitinia, nobilitato per la
celeste grazia e per l'amicizia del
gran principe terreno; non Teone,
uomo mansueto e modesto e di nin-
no giuramento participe, né mai
mentitore, e mirabile per lo conti-
novo silenzio di trenta anni, in
somma erudizione e dottrina quasi
di tutte le lettere; non Apolline
abitatore di Tebaida, il quale qua-
ranta anni stette nascosto nella in-
tima solitudine, e nondimeno tanto
non puotè nascondersi, che lo splen-
dore degli suoi miracoli non lo ma-
nifestasse; non Beniamin vecchio
idropico, famoso per lo morbo, e
curando eglisingularmente tutti
gli infermi che gli venivano mena-
ti, e dalla sua enorme e grave in-

firmità niente si curava, e sempre


confortava gli altri, e con somma
caritade gli pregava, che per l' ani-
ma sua e non per lo corpo voles-
sino fare orazione a Dio, aggiun-
gendo quella degna parola, che il
corpo, benché fusse sano, mai non
gli avea giovato. Non Epifanio, pri-
ma amatore della solitudine e no-
bilissimo abitatore dell'eremo, e poi
dato per vescovo alla città di Cipro;
o vero Afrate, povero vecchietto
e mal vestito, per pietà e per lo
zelo e amore della fede tratto delle
sue spelonche in mezzo le cittadi
per rispondere molto mordacemen-
te e con somma asprezza al cru-
dele imperatore; o vero Isaac mo-
naco, che con le minacce del giu-
dicio divino riprendeva la crudeli-
tade di quello medesimo; o vero
Macedonio, abitatore del giogo sil-
vestre, uomo di infinita simplicita-
de e constanzia, il quale discese di
alto monte per raffrenare l'impeto
del pietoso certamente, ma adirato
principe; non Acepsena, per spazio
di sessanta anni nascosto nella sua
cella, sempre tacito, e mai non ve-
duto da alcuno uomo; non Zeuma-
zio o Didimo, ciechi anibidui e mol-
to nobili, che ogni ofiizio adein|)io-
10
vano, che a ciascuno piatoso e che
ottimamente vede se appartiene,
(lelli quali uno eziandio per lettere
fu molto chiaro e molto stimato;
non similmente molti altri, alli no-
mi degli quali li libri non seriano
capaci.
A r ultimo, aciochè tu sappi
eh' io ho lasciate molte cose gran-
de, perochè le sono divulgate, non
procederò a narrare come Antonio,
principe degli orientali monaci, pas-
sò fuio dentro allo eremo prima
disabitato e a pena conosciuto dal-
le sole lìere; e come crescendo la
filma del suo nome, e concorren-
doli in gran moltitudine le brigate
delli infirmi per ricevere sanitate,
egli di ciò infastidito, e temendo
che quella tanta celebritade non
gli potesse resultare a vanagloria,
vero potesse dar materia ad al-
cuno di qualche errore o di qual-
che falsa opinione di lui, mentre
che egli pensando di partirsi con-
tento di pochi panni tolti per cami-
nare, siede appresso la ripa del fiu-
me, una voce dal cielo venne sopra
di lui. Qual voce fu quella? Fu ella
forse simile a questa: « Antonio,
fugi la solitudine, abita le cittadi;
11

In solitiuline è liioco di tediò, le


cittadi sono luoco allegrezza e
d'
di riposo; va in Alessandria, torna
nella tua patria? » fu ella più
tosto tale: « Antonio, se tu de-
sideri di riposarti, va al presen-
te più oltre nel diserto? » Alla
qual voce obediendo, offertogli la
guida della via, per divina volon-
tade subito si parti di quella re-
gione. Io lascio come egli stando
nel diserto, e sempre armato alla
battaglia, fu vincitore contro a tut-
ti gli assalti degli demonj, e come
la (ilosofla e la sapienzia del mon-
do, nomi
pieni di superbia, furono
confutate e calcate con fortissime
e chiarissime ragioni dall' umile e
indotto vecchietto e come gì' im-
;

peratori romani, mossi per li mira-


coli della fama di quello, spesse Ha-
te gli scrissero epistole famigliari,
onorandolo quasi come patre, e co-
me grandemente si allegravano di
esser reputati degni di recevere le
risposte da quello e come già vin-
;

citore in tante guerre spirituale, e


avendo trionfato degli eserciti sog-
giogati di tanti invisibili inimici,
pervenuto allo nonagesimo anno
della vita, e pensando so (»sscre solo
12
abitatore dello eremo, perochè al-
cuno uomo in quelli luoghi non ap-
pariva, per revelazione notturna li
fu notificato che egli dovesse cer-
care Paulo Tebeo, molto più an-
tico e molto più ri moto abitatore
d'un' altra solitudine. Fu obediente
alla monizione, cercollo e ritrova-
lo, veduti prima nella via molti e
varj orribili monstri ; e come ritro-
vatosi insieme finalmente, e dopo
longo silenzio parlatosi alla ripa
del piccolo fonte e all' ombra della
antica palma nella secretissima spe-
lonca, un pane mandato da cielo
sii stato ad abundante suflìcienzia
a' dui fortissimi e antichi cavalieri^
di Cristo, molto afflitti per lo lungo
digiuno ed a r ultimo come dopo
;

non molti giorni, lui addolorato con


molti pianti puose Paulo nella sepul-
tura, ajutato dalle unghie de' leoni
in cavare la terra con oflìzio di
pietà non usato. In somma io non
dirò come egli, nascondendosi per
gli diserti, e con grandissimo studio
fuggendo ogni mondana gloria, egli
volesse la sua sepultura eziandio
essere ascosa, aciochè alcuno ven-
ticello del mondano favore non toc-
casse il suo freddo cenere. Nondi-
13

meno egli fu tanto nobilitato e fat-


to tanto glorioso, che Cristo dimo-
strò e fece noto il suo omicciuolo
alla Africa, alla Spagna, alla Fran-
cia, alla Italia, alla Schiavonia e
ad essa Roma, capo di tutte le cit-
tadi, il quale primo era stato rin-
chiuso nelli luochi secreti della so-
litudine di Egitto, e nascosto quasi
in un' altro mondo, a ciò eh' io usi
le parole di Atanasio, erede e scrit-
tore degli fatti di quello.
Non seguirò collo stilo, come Ila-
rione, nobile imitatore delle virtù di
Antonio, fuggi nella solitudine, mos-
so prima per la fama e per lo vede-
re in spazio di sei mesi la vita di
quello, e poi incitato dagli amae-
stramenti e dal presente esemplo,
dove dalla sua gioventù perseve-
rando infino alla vecchiezza, passò
primieramente il tempo dello inver-
no e della estate sotto una piccola
casuzza, e poi a 1' ultimo sotto una
cella non manco piccola, la quale
più tosto aveva forma di sepoltu-
ra che di casa; e già cominciando
quella solitudine a essere inquieta
per le molte brigate degli uomini,
che concorrevano al nome della sua
fama, pensò partirsi di quel luoco.
14
la qual cosa essendosi j)iil)ii'';ii;i e
fatta manifesta, dieciimlia iKuiiiiii
impedirono il suo viagjiin. Per (que-
sto dolore non mangiando lui e
quasi consumato, lìnalmente com~
portandolo il popolo, ma grande-
mente dolendosi e accompagnando-
lo, andò alli profondissimi deserti
e pervenne al luoco di Antonio, il
(|uale poco innanzi era rimasto voto
di tanto abitatore. Quivi trovati gli
discipoli di quello, con grandissimo
desiderio cercò ogni cosa, e vide
r orticciuolo di quello felice vec-
chio, e il letticciuolo, dal quale era
salito al cielo, il che certamente ò
cosa degna di pianto ad udirla e
})iatosa a riferirla. In quello giac-
que alquanto con la dolce memoria
(li tanto uomo, spesse volte abbrac-
ciandolo e baciandolo, come se an-
cora e' fusse tepido per lo giacere
(li Antonio; e a (*,iò (^h' io agiunga

qualche còsa, oltra quello eh' io ho


letto, conlìdatomi nel mio credere,
forse bagnando eziandio V altrui
letto con le proprie la^M'iinc 1m ({ui
andando ad altre solitudine, [>erò
che la fama invidiosa del suo ri-
poso sempre li andava innanzi, al-
cuna fiata deliberò di occultamente
15
transferirsi alle nazioni barbare,
dove non essendo inteso né cono-
sciuto, egli potesse alquanto respi-
rare. Non dirò come perseguitan-
dolo quella medesima lama del suo
nome, lui navigò primamente in
Sicilia, poi in Dalmazia, finalmente
a r isola di Cipro, molto dissimile
alli suoi costumi. Quivi nientedi-
meno avendovi trovato una aspe-
rissima grotta, si fermò in certo
luoco di quella, molto terribile e
molto remoto, secondo che narra
Jeronimo, scrittore e laudatore del-
le sue opere; e fattoli grandissima
guardia da ogni uomo, a ciò che ce-
latamente e' non si partisse, però
che publicamente già si teneva per
certo lui non dimorare per lungo
spazio di tempo in uno medesimo
luoco, pose fine alle sue fatiche e
alla vita nella preditta grotta, se-
guitando Antonio al cielo, il quale
esso con grandissimo studio avea
imitato in terra.
Passate adunque queste cose con
narrazione molto su^-cinta, e lascia-
to da parte questi tali uomini, e
tacendo di molti altri di questa me-
desima qualitade, alli quali il soli-
tario di}>f^rto è stato cielo in torri».
16
la qual lezione è molto copiosa e
piacevole e varia e penetrativa e
accesa, e ha in sé ilio di pietosa
materia e tessuta da grandi e no-
bili ingegni, secondo la propria na-
tura d' essa, e per l'arte degli scrit-
tori molto è dilettevole, raccoglierò
delle scritture più secrete alcuni
esempli meno triti e meno divul-
gati, come qui di sotto per me sera
dimostrato.

CAPITOLO IL

Ed acciò eh' io cominci dagli


primi, ninno fu mai più felice di
quello Adam, comune padre della
umana generazione. Mentre che fu
solo, stette nella grazia di Dio, e
accompagnato cadde nel peccato;
solo fu cittadino della beata patria,
e accompagnato divenne peregrino
dello infelice esigilo; solo visse in
riposo e allegrezza, e accompagna-
to visse in fatiche e in molti do-
lori infine solo era stato immorta-
;

le, e datogli la compagnia, divenne


mortale. E di qui fu facil cosa a
prendere chiaro e nobile augurio di
quello, che li suoi successori doves-
sino sperare dalla feminile com-
pagnia.
CAPITOLO III.

Ma per non mi fermare lon-


gamente nella prima entrata, e
per discostarmi alquanto dal so-
pradotto esemplo, quello grande
Abraam, padre di molte gente, non
nelli palazzi né fra le delicatezze
civili, ma ne' tabernacoli e nelle
convalli meritò di parlare con esso
Idio, e che quelle magnillche pro-
missioni gli fussino fatte, che in noi
ultimi, e volesse Idio che non pes-
simi di tutti gli uomini, sono adem-
pite. Quello medesimo non nella
corte coperta di razzi e adornata
di suttilissime tovaglie, ma sopra
la erbosa terra in luoco salvatico,
e come recita il testo del Genesi,
in una valle cinta intorno dai mon-
ti, e come scrive Josefo, appresso
la Illice di Mambra, si sedea, quan-
do egli fu reputato degno di avere
gli Angioli di Dio al suo convito;
e acciò che per avventura noi non
crediamo altro che quello che le
parole suonano, non certamente
sotto li dorati tra\i delle case, ma
sotto l'ombra della quercia fu ce-
lebrato il rustical convito; e quello
18
uomo santissimo e d' ogni divino
favore disunissimo fu di tanta obe-
dienzia, che per non disubidire agli
comandamenti di Dio, non volea
perdonare al suo unigenito figliuo-
lo. Ma lasciate le altre parte della
sua lode, delle quali forse per altro
tempo e in altro luoco più idoneo
e più conveniente mi sarà conces-
so il dire, per la considerazione
delle quali non ci dovemo maravi-
gliare, se tale uomo fu abbracciato
strettamente dalla divinità, senza
dubio questa cosa fu grande, che
fugendo 1' ancilla egizia di quello,
per suo merito fu da T Angelo ri-
vocata; e un' altra volta essendo
ella posta in somma estremitade e
come disperata, di nuovo fu da
quello medesimo Angelo recreata.
E per ritornare al proposito mio,
runa di queste. dua cose fu appres-
so ad un tonte d' acqua, l' altra av-
venne sotto una arbore; T una e
r altra certamente fu fatta nella
solitudine; onde non ci dobbiamo
maravigliare, se il fanciullo che lei
portava in suo braccio, compagno
della sua fuga, campò nel diserto,
e se poi crescendo, e^^li fu raccor-
devole del celestiale benefizio e di-
venne solitario.
19

CAPITOLO IV
Che pensi tu che facesse Isac,
fighuolo di costui, quaudo di terra
estranea e molto lontana a lui fu
condutta la moglie feconda e molto
atta a procreare figliuoli? Era egli
forse nella piazza? Faceva egli ora-
zione al popolo? Erano esercitati
gli giudicj da lui? Compera vasi o
vendevasi alcuna cosa in presto,
o vero riscote va le prestate? Ove-
ro rendeva le ricevute? Niente di
quello eh' io dico, al tutto si face-
va; che adunque? Lui allora anda-
va a spasso per la via che mena
al pozzo, chiamato Vivente e Vi-
dente; e bene meritamente vivente
e vidente, cioè che in eterno vive
e vede ogni cosa, non intendendo
del sole, come Ovidio e Apulejo
hanno ditto, ma di Dio onnipotente,
creatore del sole e delle stelle e di
tutte le altre cose, appresso del
quale è il pozzo vero, come parla
il Salmista, la fontana della vita,
a la quale non si perviene per dor-
mire né per festeggiare, ma andan-
do per la diritta via. E seguendo
dice egli, abitava in terra sottopo-
20
sta al mezzo giorno, e iiicliuaiido
già il dì, era uscito a contemplare
nel campo. Io non credo che alcu-
na di queste parole sia detta sen-
za grandissimo misterio che pensi
;

tu per che cagione si dica, che lui


abitava in terra sottoposta al mez-
zo giorno, umile e bassa e chiara
e molto calda per la vicinità del
sole? E perchè si dice eh' ei fusse
uscito fuori, se non per intendere
che fussi uscito della casa del suo
corpo, cioè fuori di sé medesimo e
della prigione della mortale mise-
ria, non per darsi ad ozio lascivo,
ma per meditare e per darsi alla
contemplazione? Deh! dimmi, che
altra vita è quella dell'uomo? O che
altra cosa facendo dissimile a que-
sta, potremo noi parere differenti
dagli animali bruti e irrazionali? Ci-
cerone parlando degnamente, dice:
« Il pensare è vita a l' uomo dotto,
e per far questo le ville sono molto
più atte che le cittadi o li teatri. »
Oltra di questo, parlando la Scrit-
tura degli fatti di Isac, dice che
lui avea eletto tempo molto como-
do, inclinandosi già il giorno, im-
jierocchè ninno luoco, ninna parte
della età è più atta e più comoda
21

che la solitudiiK^ rusticana e la


tranquillità della vita più riposata,
la quale passato il giovenile fervo-
re, e a ciò eh' io dica così, lasciato
dopo le spalle le ore del mezzo
giorno, già risguarda inverso la
sera.

CAPITOLO V.

Che faceva eziandio Jacob, mag-


giore di tutti gli patriarci, figliuolo
del prenominato Isac e del grande
Abraam nipote, quando egli vide
quella scala dirizzata (ino al cielo,
e gli Angioli che ascend^ano e di-
scendeano, e il Signore Idio appog-
giato a quella? Dove pensiamo noi
ch'ei fusse? In qualche gran citta-
de? In bellissima casa? In ricco
letto? Lui era non solamente lon-
tano dalle cittadi, ma eziandio dal-
le case e a ciò che io non muti le
;

parole di loseph, per lo grande odio


che gli portavano gli provinciali,
non volle intrare in casa d'alcuno,
raa giacea all' aere discoperto, po-
nendosi le pietr.^ sotto il capo. Gli
AngioU di Dio si feciono allo incon-
tro a quel medesimo, che ritornava
nella patria con due suo mogliere.
,

e con la brigata degli figliuoli, e


con li servi e con le ancille, e con
tutti li suoi greggi accresciuti m
grandissima quantità. Ma dove dor-
miva egli ? Forse nelle cittadi ? Mai
no, anzi andava per lo principiato
camino, e non avendolo ancora com-
piuto quello lottator notturno, onde
il novoe sconosciuto nome è dura-
to fino alli successori, apparve a
quel medesimo non in lo circuito
della città, né fra la moltitudine
degli uomini , ma nel passar del
fiume, essendo lui rimasto solo.

CAPITOLO VI.

Dove era quello Moise tanto fa-


migliarissimo a Dio, quando lui ot-
tenne la legge, parlando con esso
Idio, e la salute del popolo e la
gloriosa vittoria, assente e solo e
colle sole arme delle preghiere?
Certamente non in alcuna delle cit-
tà di Siria o d' Egitto, ma nelle
selve e nella salita d' uno altissimo
monte. Lui era nella solitudine
quando e' constrinse le aque amaris-
sime divenire dolci, mettendoli dren-
to un piccolo ìegnetto; quando lui
fece quelli miracoli, li quali con
23
gran fatica siamo sufficienti a leg-
gerli, non che a recitargli quando :

lui fece prò visione al grande eser-


cito, dove erano molti injusti e in-
grati contr' a Dio e contro agli uo-
mini; e quando lui procurò la mi-
rabile abondanzia nella somma ca-
restia delle cose necessarie al po-
polo, esso non sedeva sopra la do-
rata sedia, ma stavasi nella aspera
solitudine.
Quando il popolo affamato in
campo raccolse le coturnice e le
quaglie,. cadute da cielo in grandis-
sima copia, e bevette abondante-
mente V aqua dolce, uscita della
grotta che lui percosse; e quando
lui ottenne per quaranta anni nel
diserto quel divino e incredibile ci-
bo, non sottoposto alla cupidità né
alla parsimonia, lui non lo ebbe
nelle cittadi, nò. anche nella piazza
degli disordinati desiderj, ma fugli
destinato dal cielo, stando in luoco
salvatico e solitario.
Vedi tu quanto la solitudine è
amica a!li benefìzj e ahi parlamenti
divini, e quanta domestichezza ella
ha con esso gli Angioli? Però man-
co mi maraviglio, che la solitudine
fusse deputata ed (aletta ncdla glo-
24
riosa morte di quello uomo, alla
famosa vita del quale ella era tan-
to piaciuta; con ciò sia che essen-
dosi lui per partire del numero de-
gli uomini Idio parlandoli
, il che .

prima al suo fratello era intervenu-


to, non gli comandò che lui andasse
in alcuna cittade, ma disse: « Ascen»
di sopra il monte e muori » e se io
;

non mi inganno, questa cosa debbe


essere diligentissimamente conside-
rata per noi in ogni consiglio e de-
liberazione della nostra vita e della
nostra morte.

CAPITOLO VII.

Che replicherò io ogni cosa ad


una ad una? Tutte le Scritture sono
piene d'esempli. Dove era Elia, quan-
do lui fu nobilitato per li gloriosi
miracoli? Dove era egli, quando mo-
rendo li popoli di fame per le cit-
tà, li per comanda-
solleciti corvi
mento divino pascerono quello na-
scosto nella solitudine? E quando
nella sommità del monte Carmelo
inginocchiatosi in terra mollificò
con la insperata pioggia la siccità,
che per tre anni continovi avea
afflitto le terre e li popoli? Dove
era egli, quando lui favorito dal
popolo summerse nel torrente Cison
ottocento cinquanta falsi profeti,
in quel medesimo monte Carmelo
vinti da lui per lo giudicio di Dio
e per la testimonianza del sacrifi-
cio? Per la qual cosa dando luoco
alle minacce e al furore della adi-
rata regina, si nascose per lo diser-
to, dove essendosi addormentato
sotto l'ombra d'uno ginepro, l'An-
gelo il destò e ammonillo che man-
giasse non cibo di gran pregio,
ma di tanta virtù, che per la for-
tezza di quello lui potesse digiu-
nando compire il viaggio di qua-
ranta giorni e di altrettante notte ;

e poi che lui 1' ebbe compito, vedi


come stando nella spelonca e visi-
tato col parlare di Dio, è mandato
a ungere li regi e li profeti e co-
;

me sedendo sopra 1' alto monte, con


fiducia inestimabile comanda che il
fuoco da cielo descenda sopra li
cinquanta familiari del re, e subito
è obedito; e come con secco piede
lui passa il fiume Giordano, diviso
in due parti per lo toccare della
sua vestimenta, portando somma
reverenzia gli elementi al solitario
e santo uomo. Io ti domando dove
26
era Elia, mentre che lui faceva que-
ste cose? Nella solitudine certamen-
te, e (li qui finalmente fu rapito al
cielo con lo infiammato carro.
Dove era Eliseo, quando lui con-
seguì lo doppio spirito del rapito
duca, e quando lui restituì a l'ami-
co che piangeva, il ferro che notava
sopra r aqua contro alla natura e
consuetudine sua? Quando lui sov-
venne a tre regi e ad altri tanti
eserciti che non perisseno di sete,
riempiendosi il torrente d'aqua sen-
za alcuna piova? Le due prime cose
furon fatte appresso la ripa del fiu-
me Giordano, la terza intervenne
nel diserto di Idumea. Superfluo è
a domandare dove egli era, quando
divise le aque per lo toccare del
mantello del suo maestro; lui solo
passò il fime Giordano, essendo pas-
sato prima accompagnato. In fine
dove erano tanti profeti, quando
furono fatti gloriosi per le loro vi-
sioni tanto certe e tanto bene col
divinante spirito antivedute e det-
te? Il che al presente saria lungo
a volerne ordinatamente parlare;
e non solamente li profeti, ma ezian-
dio li loro figliuoli monaci, come
dice Jeronimo, e come nel Testa-
27
mento vecchio si legge, edificavano
casette appresso le ripe del Gior-
dano, e abbandonate le brigate de-
gliuomini e le cittadi, con polenta
e con erbe salvatiche produceano
la lor vita.

CAPITOLO YIII.

Certamente "e' non mi pare che


Jeremia debbi esser passato con si-
lenzio, il quale con parole diede
manifesta testimonianza di questa
vita, dove lui dice « Egli è ben fat-
:

to, tacendo, aspettare la salute che


da Dio pi'ocede utile cosa è al-
;

l' uomo avere portato il giogo del


Signore dal principio della sua gio-
ventù; » e quasi difilniendo tale ope-
re non potere essere fatte se non
nella solitudine, dopo le preditte co-
se aggiunse: «Lui sederà solitario
e tacerà, però che egli ha levato
sé sopra di sé. Ecco che io odo la
felice pazienzia dello aspettante, odo
il supportamento del giogo del Si-

gnore, molto migliore d'ogni liber-


tade;odo la devozione dell'animo,
odo il riposo del sedere, odo il si-
lenzio non una fiata, ma dal prin-
cipio alla fine essere osservato. »
28
vita veramente pacifica e mol-
to simile alla celeste, o vita assai
migliore di tutte le altre vite, vita
vacua di fatiche e capace di tanti
beni, dove si aspetta la salute, e
dove il suave giogo del Signore è
tollerato, dove si tace e dove si
siede, e dove sedendo si lieva; vita
salutare agli uomini terribile e
,

odiosa alli demoni La qual cosa se


!

cosi non fusse, senza dubio loro non


infesteriano con tante e con varie
generazioni di tentazioni quelli che
sono intrati in essa. Vita l'oforma-
trice dell' anima, reparatrice delli
costumi, innovatrice delli boni de-
siderj, lavatrice delle immundizie,
purgatrice delli peccati, consigliera
di Dio e degli uomini, restauratri-
ce di innumerabili ruine; vita che
dispregi gli corpi, ami e adorni
gì' ingegni, raffrenatrice degli stra-
bocchevoli e svegliatrice degli pi-
gri; madre degli nobili appetiti, san-
ta nutrice delle virtù, che colle tue
sante operazioni domi e occidi tutti
li vizj palestra degli abbracciatori,
;

arena de' corridori, campo de' com-


battitori, arco di trionfanti, libre-
ria di lettori, cella di quelli che
pensano a cose degne, loco secreto
29
di coloro, che sono intenti all' ora-
zione, e monte atto alla contempla-
zione! E che dirò io, se non ogni
cosa insieme? Vita felice e attissi-
ma a tutte le buone operazioni, vi-
ta filosofica, santa, profetica, vita
non senza cagionedetta singu-
lare, e se io ardissi di dire quello
eh' io sento, ;vita tanto sin gu lare,
che sola sei vita! A tutte le altre
si confà il detto di Cicerone e di
Agostino seguitatore di quello, cioè
che questa nostra che è chiamata
vita, più tosto è morte. vita final-
mente incognita a ciascuno, eccetto
a chi ti pruova; e come tu se' ama-
ta da qualunque ti possiede, così
eziandio dovresti esser molto desi-
derata da chi non ti possiede. La
qual cosa quel medesimo lereniia
sapeva molto bene, e avendo noi
seguito quello, che nella publica ca-
lamità desiderava insieme le pia-
tose lacrime e la solitudine a ciò
opportuna e comoda con le predit-
te parole, siamo pervenuti ad ac-
crescere le lode di questa medesi-
ma vita. Egli dice: « Chi darà aqua
al mio capo e fontana di lacrime
agli occhi miei? » E sapiendo questa
fontana non surjjrere nello cittadi.
30
né eziandio fra la moltitudine degli
uomini, seguendo aggiunse: « Chi ini
darà nella solitudine alloggiamento
di peregrini? »
Molto facil cosa è a pensare ciò
che a noi si convenga, quando quel-
lo uomo, tanto prossimo a Dio e pie-
no del spirito di Dio, si riduce allo
degno degli uomini e di sé
ufficio
medesimo, cioè a piangere gli morti
del suo popolo, e insieme chiede la
solitudine e la piata, quasi come lui
non sperasse di potere aver V una
senza l'altra; onde non mi par da
dispregiare quella parte, che avendo
lui desiderato abitacolo nella soli-
tudine, subito aggiungendo disse: « E
io abandonerò il mio popolo e par-
tiromi da quello, perochè tutti sono
adulteri e non osservano le leggi; »
ed oltra di questo, piangendo narra
cose, che V animo mio, non voglio
(lire a parlarne, ma pure a farne
pensiero, sopra tutto si spaventa,
tanto propriamente oggidì si con-
fanno alli nostri popoli: tanto poco,
anzi tanto niente di fede si vede,
niente di vero, niente di sicuro é
in alcuno luoco, e benché loro sia-
no chiamati uomini, niente di meno
in sé non hanno alcuna spezie d'uma-
31

nità, eccetto che la umana effigie;


onde se bene altra cagione a ciò
non mi inducesse, certamente que-
sta è massima e justissima di fare
ch'io ami la solitudine, e che quan-
to posso, io fugia lungi dalle cittadi.

CAPITOLO IX.

Ma perchè io non para essermi


dimenticato delle cose moderne per
la reverenzia della antiquità, quello
Silvestro,primo degli pontifici ric-
chi, avendo trovato luoco atto alli
suoi costumi, e avendo nome con-
veniente al luoco, stette nascosto
nel monte di Soratte, aspero e Sil-
vestro e certo se non è vergogna
;

ad udire la ventate, sono proce-


dute dalla umile e inornata solitu-
dine queste ricchezze e queste pom-
pe, le quali con gran fatica posson
capere nelle cittadi. Crediamo noi
che in quella si sia trovato la con-
suetudine di portare la calza dorata,
e i bastoni d' avorio, e il pastorale
ricurvo con ornamento civile in me-
moria della rustica origine; e per
lo simile il manto di ardente por-
pora, e la diadema risplen« lente per
32
la iniiumerabile
quantità delle prie-
te preziose. Fu
la predetta solitu-
dine cagione di porre innanti la
Ghinea bianca come neve, e la sedia
(Toro, e 1' ombracolo di seta e d'oro,
disteso sopra il venerabile capo.
Infine è nata di qui questa foggia
d' abito trionfale e tutto questo
,

stato della Chiesa militante, come


si dice, ma a dir meglio, che già
largamente regna, il quale stato li
regi grandemente si maravigliano
essere uscito delle selve e se alcu-
;

no con esquisita diligenzia il con-


sidererà fra sé medesimo, non so s' e'
negherà la solitudine non dovere
esser onorata, s^'ella è stata prin-
cipio di tanta venerazione. Ma se-
guitiamo più oltre.

CAPITOLO X.

Ambrosio per volontà e per


e
comandamento Dio posto alla cu-
di
ra del gran popolo di Milano, ben-
ché per lo suo debito tanto neces-
sario e per la conscienzia di tanto
officio non ardisse conti novamente
(li menare vita solitaria, nientedi-
meno ogni volta e per qualunque
33
modo che a lui fu possibile, dimo-
strò qual fusse il suo sommo desi-
derio. Egli abitò nella estrema par-
te della città, come oggidì è il cir-
cuito delle mura, dove ancora è il
sacro corpo e la santa casa fonda-
ta da quel medesimo, molto famosa
per la somma devozione, e frequen-
tata per grandissimi concorsi del
li

popolo il qual luoco, quanto per


;

certi indizj si può comprendere, era


molto rimoto e al tutto solitario.
Oltra di questo quante volte lui era
libero dalla cura del suo vescovado
e alleggierito dalle fatiche, che lui
portò gravissime per discacciare li
Arriani dalla chiesa, furandosi al-
quanto dalle faccende, si solca ri-
durre nella pi^ secreta solitudine
che potea. Appresso la cittade era
una selva idonea e atta alla con-
templazione; in mezzo questa era
una piccola casa, capace di questo
grande certamente, ma umile uomo,
la quale molto più degnamente che
la casa metapontina di Pitagora, fu
convertita in forma di piccolo tem-
pio. Al presente il bosco è stirpato,
e mutato l'abito del luoco, il nome
ancora è rimasto, e vulgarmente si
chiama il bosco d' Ambrosio, posto
3
34
a mano sinistra dal lato di setten-
trione, e pure in questo anno (1) fa-
moso per li grandissimi movimenti,
che per tutto sono e per la ruina;

di molte cose il ditto bosco è stato


rinchiuso drento dalla città, e collo
accresciuto circuito serra le ultime
parte di quella.
Pertanto io odo e credo lui spar-
se in quel luoco gli dolci fiori delli suoi
libri, degli quali oggidì per tutti li
luochi della chiesa è il suavissimo
gusto e l'odore molto odorifìco; ed
acciò eh' io adduca una sola testi-
monianza di tutte le altre, non sola-
mente degli atti, ma delle parole di
questo uomo, egli scrivendo a Sabino
in una epistola dice: « Io persevererò,
quando sono solo di parlarti più
,

spesse fiate col mìo scrivere » poi ;

usurpando quella parola di Scipione,


soggiunge: « Io non sono mai men
solo, che quando ad altri pare eh' io
sia solo, né mai sono meno ozioso,
che quando sono ozioso. Certamen-
te io chiamo qualunque voglio, se-
condo che mi piace, e tengo ap-

(l) TI testo latino àice: < quod amnis hic undique


magiHS moti bus et multa rerum cuUisione memora-
bìlis intra urbem ipsara, et extreuia rapto moliinino
aneti ambitus sepia couclusit. »
35
presso di me coloro eh' io più amo,
e che mi pare che più tosto io deb-
bo eleggere. Niuno interrompe gli
mia ragionamenti, niuno mi dà mo-
lestia. Adunque io ti tengo allora
più, e con esso teco conferisco le
scritture, e insieme facciamo lun-
ghissimi parlari. Maria era sola e
parlava con 1' Angelo, ed era sola
quando lo Spirito Santo sopravven-
ne in lei, e la virtù dell'Altissimo
le fece ombra; sola era quando ella
operò la salute del mondo e conce-
pette il Redentore di tutte le cose.
Pietro era solo, e conobbe gli mi-
sterj di consecrare le genti per
tutto il mondo. Solo era Adam, e
non prevaricò né trapassò li coman-
damenti Dio perochè la mente
di ,

di quello era ferma in Dio; poi che


la donna U fu aggiunta, lui non
potè osservare li celesti comanda-
menti; » e a ciò che in questo luoco
io mimeschi alquanto col dire d'Am-
brosio, non tacerò quello, che molti
fìngono di non intendere esser noto
ad ogni uomo.
Niuno veneno è tanto pestifero
a quelli che seguitano questa vita,
quanto la compagnia della donna,
perochè/la feminil bellezza quanto
30
egli è più lusinghevole, tanto più
è da temere, e tanto più è morti-
fera, a ciò che io non dica degli suoi
costumi, di che ninna cosa al tutto
è più instabile e più nimica e con-
traria al desiderio del riposo.
Tu che cerchi di vivere in pace,
guardati dalla femina, perpetua bot-
tega di questioni e di fatiche rare
;

volte abitò il riposo e la femina


sotto un medesimo tetto, e come
dice il Satiro, il letto dove giace la
donna maritata, sempre ha lite e
mutue questioni e discordie, e molto
poco si donne in esso, se forse il
giacere con concubina non fusse più
tranquillo, che ha in se minor fede,
e maggior infamia ne segue, e il
litigio e pari.^iche quel detto del
famoso oratore è molto elegante:
« Qualunque non litiga, è senza don-
na. » Che cosa adunque si può aver
migliore, che non litigare? Ma dim-
mi, per Dio, qual felicità può esser
maggiore della solitudine, massima-
mente nel tempo disila notte e del
silenzio e del riposo e della libertà
del letticciuolo ; e però ninna cosa
è più beata che il vivere senza
donna, e niuno luoco è più atto a
perseverare in questa opinione,
che il vivere nella solitudine.
/Tu adunque che fuggi la lite,
fuggi eziandio la femina con gran
;

fatica fuggirai una di queste cose


senza X altra, e benché gli costumi
della femina siano piacevolissimi e
umanissimi, il che rare volte noi
veggiamo, nondimeno la sua pre-
senzia, e a ciò eh' io dica cosi
sua ombra è molto nociva^e s'io
la
,
^
merito che mi sia dato fede, il volto
e le parole d' essa debbono essere
schifati e fuggiti da tutti coloro,
che cercano la solitaria pace, non
altrimenti non dico che la serpe,
ma come l'aspetto del basilisco, però
che con gli occhi e col toccare av-
velena e occide non meno che si
faccia il basilisco. E di chi credi tu,
che più tosto si voglia dire che di
noi la sentenzia di Virgilio vera e
propria ? Dove egli così dice: « Cer-
tamente la femina a poco a pof^o
col guardare toglie la forza e in-
fiamma, e fa porre in oblivione li
boschi e le erbe. Senza dubio che
per lo solo guardare della f(Mnina
siano tolte le forze del corpo e
dell'animo, e siano come bruciate. »
Si poteva intendere ciò esser detto
di tutti coloro, che sono estenuati
e accesi da questa peste ma si come
;
38
Virgilio, parlando degli cavalli e
degli buoi, disse che quella peste
gli toglieva la memoria degli boschi
e delie erbe, se lui cosi avesse
voluto parlare degli uomini di
,

quali altri più tosto che di noi


parrebbe che lui avesse inteso, che
sempre abiamo singular piacere
degli boschi e erbe? E per
delle
tanto io annunzio di novo a tutti
coloro, che hanno proposito di con-
servar la sua castitade santamente
e con onèstade, e massimamente
a noi che siamo in questo pensiero,
che le lusinghe delle donne siano
fugite e schifate con ogni studio e
diligenzia; e se alcuno di questo
farà poca stima, sappia che così
come il primo uomo fu cacciato
del paradiso terrestre, non altri-
menti lui sarà cacciato del para-
diso della solitudine.
Ma ora ritorno ad Ambrosio,
che concludendo quella epistola
scritta a Sabino, dice: « Egli è mani-
festo per queste cose, che quando
siamo soli, allora noi ci offeriamo
a Dio, e aprendoli la nostra mente,
allora noi ci spogliamo la vesti-
menta dello inganno » e dette queste
;

cose, di novo fa memoria del primo


39
padre, dicendo: « Adam era solo,
quando Idio il pose nel paradiso.
Solo era il nostro Signor Jesu,
quando lui redimette il mondo, pe-
rochè non per ambasciadori né per
messaggi, ma esso Signore solo
fece salvo il suo popolo benché
,

egli mai non sia solo, essendo in


lui sempre il Padre. » A 1' ultimo
concludendo prudentemente la epi-
stola, aggiunge « Siamo adunque
:

soli, acciochè il Signore Idio sia


con esso noi; » e però noi dovemo
tirare al nostro proposito questo
consiglio e farlo eziandio nostro ,

a ciò che non para che il santo uomo


r abia voluto dare al suo Sabino
solamente.

CAPITOLO XI.

Noi sapemo Martino con tanto


ardore d'animo fino dalla sua pue-
rizia aver desiderato a certo modo
r abito della vita solitaria, e poi
subito come lui potè per la età, e
per la occupazione della necessaria
cavalleria li fu lecito, averlo pi-
gliato sì studiosamente, che essendo
ordinato vescovo, non lasciò il co-
stume già cominciato da lui nella
,

40
privata vita. Severo, che fu pre-
sente alli fatti di quello e che
,

scrisse la istoria della sua vita, è


autore di ciò ohe noi dicemo, nel
qual tempo noi abiarao inteso, che
soleva lamentarsi sé essere stato
di maggior virtù innanti ch'ei dive-
nisse vescovo. Questa è cosa da
maravigliarsi, perochè quantuiiche
sia credibile, che quello uomo non
avesse in sé se non cosa grande
e perfetta, nientedimeno essendo
lui gravato del fascio episcopale e
pontificale ,
gli pareva ricordarsi
che nel tempo che egli era più
espedito e più libero, vivendo soli-
tario, l'animo suo era dato a più
alta e più degna contemplazione ;

onde niuno si debbo maravigliare


lui prima libero e sciolto aver fre-
quentato le solitudini, le quali da
poi eziandio servo
dello offizio
mentre che gli possibile
fu non
,

cessò di frequentare; e per non


investigare tutte le sue opere il
,

che sarebbe lungo e difficile, dicesi


che egli passò certo tempo della
sua vita primamente nella città di
Milano in certo monasterio, che
ancora in pedi si vede, edificato da
lui, oltra quelli che in molti e in
41

diversi luochi avea prima edificati,


il quale monasterio era vicino alla
casa d' Ambrosio e alle mura della
città, in luoco eziandio al presente
solitario e molto reposto.
Ambrosio già vescovo era usato
di venir solo occultamente a questo
uomo, rallegrandosi della sua vici-
nità, e desiderosamente stava con
esso lui quanto egli poteva. buon
Jesu, qual coppia d'uomini! Che so-
spiri! Che parlari! Io non dubiterò di
dire, che ciò che gli principi coman-
dano, ciò cheli consoli deliberano,
ciò che li pretori e li officiali ban-
discono, ciò che li fattori della legge
ordinano, ciò che li popoli ciarlano,
ciò che li filosofi disputano, ciò che
li retorici con le loro eloquente
orazioni parlano, e ciò che li sofi-
sti con suttilissime ligationi conten-
dono, a rispetto di quel sacro e
tranquillo colloquio esser puerile
e simplice frasche. Orazio poeta
era a Sinuessa, quando Plozio e
Varo e Virgilio li vennono in-
contro certamente questa fu una
;

bella compagnia d'uomini dottissimi


e domestichi insieme e amicissimi,
e però lui dice « Oh che abbraccia-
:

menti e quante allegrezze furono


,

42
le nostre » Io lo credo e tengo per
!

fermo, molte cose in quel tempo


fra quelli tali uomini essere state
dette piacevolissimamente e con
grandissimo ornato di parlare; ma
ben mi persuado eziandio più dolci
abbracciamenti e più santa letizia
essere stata a Milano fra Ambrosio
e Martino. Mostrasi al presente il
luoco, dove si dice che loro sole-
vano ridursi e parlarsi insieme, e
a queste visitazioni e parlamenti
io vorria più tosto che mi fusse
concesso esserli stato presente, che
alli consigli, che tutti li regi, riscal-
dati oltramodo dal vino o dalla
avarizia o dalla crudelità, sogliono
fare con li suoi gentiluomini e ba-
roni. solitudine adunque felice
e benché meno ardente e meno
aspera, tuttavia non meno gloriosa
di quella di Tebaide, la quale in un
medesimo tempo meritasti d'avere
due tanti e tali abitatori l

CAPITOLO XII.

E' non ci lascia ancora uscire


di Milano un'altro grande abitatore
di quella città, cioè Angustino, il
quale macchiato e pieno di pessimi
43
errori, Dio padre piatoso dette ad
Ambrosio dotto medico, quasi come
figliuolo infermo, a ciò che poi, lava-
to delle salutifere aque e curato
diligentemente, lo restituisse a Dio.
Essendogli adunque ignoto ciò che
la divina pietà occultamente si ap-
parecchiava di fare, venendo a Mi-
lano, dove allora la fama di santo
Ambrosio era in fiore, deliberò final-
mente di voler mutare vita; e ab-
*bandonata la città,desiderò la so-
litudine della villa, acciò che colui
che con molti prima era impazzito,
solo da poi divenisse prudente e
savio. La predetta villa da esso
Augustino è chiamata Cascato, e fino
a questo giorno dura il suo nome.
Noi avemo eziandio inteso per lo
scrivere suo ciò che lui fece, e qual
fu il suo governo in quel medesimo
giorno, nel quale essendo nella città,
primamente e' si accese di questo
santo desiderio, reggendo Idio la
nave del suo consiglio fra quelle
tempestadi del dubio e vacillante
animo, acciò che potesse pervenire
alla terra dei viventi e al porto di
salute. Veramente egli non andò
in publico, né con la tromba fece
noto al popolo ciò eh' e' volesse fare,
44
ma lasciato il compagno per aver
cornraodità di piangere piùliberamen-
te, andò in luoco tanto remoto, che
la presenzia d' alcuno non lo potesse
impedire; e fece elezione d'uno
secreto angolo del suo orto, il che
la qualità del luoco e deF tempo li
permetteva e dava in cambio di
solitudine. Quivi amarissimamente
con sé medesimo parlando, fra gli
singhiozzi e le lacrime svegliandosi
e cavandosi li capelli, e percoten-
dosi la faccia, e abbracciandosi il
ginocchio con le mane insieme con-
giunte, e facendo tutte quelle cose,
a che suole indurre il grande e
santo dolore, a l'ultimo prese ferma
deliberazione di seguire il partito,
onde egli in perpetuo meritamente
si potesse rallegrare e così per
;

tutto il tempo della sua vita dicesi


che egli si dilettò molto di luochi
solitarj e quieti, e fra gli altri gli
piacque molto ozio del monte Pi-
1'

sano, dove lui stette longamente in


abito eremitico, e scrisse agli ere-
miti di quel luoco un libro intitolato
del suo nome.
Ma perchè ora non è il tempo
di recitare le infinite scritture di
quello uomo sopra questa materia,
45
iosarò contento di narrare una sola
testimonianza delle sue opere, brieve
certamente, ma aperta e chiara.
Esponendo egli adunque lo Evange-
lio di Giovanni, disse: « Diflicil cosa
è a vedere Cristo fra la moltitudine;
è necessario che la nostra mente
abia certa solitudine. Dio si vede
per la solitudine della intenzione.
La moltitudine non è senza strepito ;

questa visione desidera il secreto. »


Odi tu come cautamente, per voler
vedere Idio, egli disse ogni solitudi-
ne non esser necessaria, ma solo
quella della intenzione, volendo che
si intendessi, che infìno a tanto che
la mente dell' uomo ha le sue per-
turbazioni e li suoi affannosi movi-
menti drento da sé la solitudine
,

del corpo non porgere molto ajuto


per assottigliare e per purgare gli
occhi, che possino esser capaci di
tanta luce.
Ora poi che di questi tre santi
uomini per noi e stato ditto, non
solamente di Milano, ma eziandio
di Italia lascieremo che il nostro
stilo si diparta.
46

. CAPITOLO XIII.

Io tacio al presente Basilio,


laudatore di questa vita, tacio il
grande uomo Gregorio Nazianzeno;
non tacerò il famoso discepolo di
costui. Jeronimo, lasciata la città
di Roma e dispregiate le ricchezze
romane, allusingato dalla speranza
e dal desiderio della eterna patria,
e come lui confessa, indotto per la
paura dello inferno, si nascose pri-
mamente nella gran solitudine, che
dava orribile abitacolo agli monaci;
la quale, scrivendo della virginitade
ad Eustochia, nobile femina romana,
egli usando la parola di Sallustio,
narra essere adusta e bruciata
dagli smisurati ardori del sole; dove
forniti alquanti anni con faticosa
milizia contro le tentazioni della in-
domita carne e contro al consenti-
mento dell' animo che con essa
,

facilmente si concordava, benché


vincitore nella battaglia, non ritor-
nò però a Roma, quasi come sicuro
per trionfare, anzi con gran fretta
inverso i luoghi secreti di Bettalem
dirizzò la fuga.
,

47

CAPITOLO XIV.
Paula, santa e piatosa e illustre,
e a ciò eh' io dica molte cose sotto
brevitade, veramente femina roma-
na, in quelli medesimi luoghi stette
nascosta, e per poter morire alla
presepe, dove nacque il nostro Si-
gnore, facilmente si dimenticò della
sua propria bellezza e delle sua
singoiar virtù ,e dove e come la
fusse nata. La gloriosa vita e il
felice esito di costei esso Jeronimo
dipinse con epigramma tanto ri-
splendente e nobile, che maggior
modestia sarà la mia a tacere, che
dopo lui a parlare di simile mate-
ria. Che cosa degna posso io dire
di lei, parlandone succintamente?
E che posso io chiudere nella pic-
cola particella della mia operetta
essendovisi fermato sopra col suo
ornatissimo dire quello uomo di
tanto ingegno per tal modo, che
stringendolo la caritade e il dolore,
egli scrisse di fatti suoi giusto e
gran volume, quantunque io sapia,
e anche Jeronimo non lo niega,
essere stati alcuni, che con invidioso
e maligno dente hanno cercato di
48
mordere l'ozio dell* uno e l'altro,
uè hanno dubitato di divulgare
quello tale morso con le loro scrit-
*ture? E così alcuna virtù non è o
vero tanto alta, o vero tanto na-
scosa, ch'ella non sia tocca dalle
saette della invidia. Il parlare degli
uomini vulgari non è però atto a po-
tere deprimere e calcare la propria
verità. Certamente sia parso ad altri
ciò che si voglia della sua solitudine;
esso Jeronimo scrivendo contro a
Joviniano, commenda la solitudine
dell' uomo
savio con queste parole :

« savio non può mai esser solo,


Il

però che egli ha seco tutti gli boni


che sono al presente e quelli che
,

sono stati per lo passato, e porta


e trasporta 1' animo libero dove gli
piace, e colla mente abbraccia quelle
cose, che lui non può abbracciar
col corpo; e parla con esso Idio, se
gli uomini gli mancano , né mai
meno solo che in quello tempo si
ritruova. »

CAPITOLO XV.
Dove mi volterò io ora? Io
rimango confuso per la moltitudine,
e in diverse parti sono chiamato
49
dalla lunga schiera di coloro, che mi
occorrono nella mente ma il nome
;

di Paula nii ha ammonito e ridutto


air animo, che primamente io deb-
ba dare a quella sua medesima
famiglia la sua parte della gloria
solitaria, acquistata eziandio per vir-
tù feminile; e però tacendo un piccolo
estratto di molte cose, non temerò
che si dica eh' io voglia troppo lo-
dare le donne romane, alle lode
delle quali io non spero il mio dire
poter esser pari. Lasso Eustochia,
figliuola di Paula, nobilitata per lo
scrivere di Jeronimo; tacio Marcella
e Asella e Fabiola e Blesilla, e alcune
altre vergine e vedove, per le loro
buone e sante operazioni molto fa-
mose; ma che dirò io di te, o Melania,
perfettissima e sopra tutte le altre
donne gloriosa? Io col mio stile non
dividerò dua così fatte cittadine e
vicine, le quali la età, la patria, la
fede di Cristo, la piata e la virtù
dell'animo fanno esser congiunte; e
però tu sederai appresso di Paula.
Tu certamente figliuola del con-
solo romano, madre del pretore, tra-
passando colle proprie virtù la pro-
genie, le ricchezze e gli onori e gli
ornamenti paterni, on()r«nsti ed a-
4
50
domasti il stato della viduità con
tanto studio di pudicizia e con tante
opere di misericordia, che quasi tu
avanzasti la loda della virginità, e
dimenticandoti della tua nobilitate,
degli figliuoli e della potenzia, sola-
mente volesti raccordarti di Cristo;
ed acciò che tu potessi vestirti della
sua grazia, tu ti spogliasti del de-
siderio della terra dove nascesti, e
dello amore di tutti li tuoi e della
cura del tuo proprio corpo; e final-
mente per lo consiglio di Cristo
avesti in odio la tua anima in que-
sto mondo, acciò che tu la potessi
conservare in vita eterna. Tu con
ammirabile solitudine e diligenzia
cercasti gli padri santi per li diserti
e per le solitudine, e seguendo quelli
eziandio in esigilo, colla tua fatica
li desti santa obedienzia, e delle tua

facultà li suvvenesti con piatoso


nutrimento.
donna onoratrice delli san-
ti corregitrice degli erranti ma-
, ,

dre de' pellegrini, nutrice e con-


sigliera degli tuoi in Cristo, dispar-
tendo tu le tue grandissime ricchezze
e lo smisurato patrimonio colla fe-
licissima liberalità negli alimenti
degli poveri, e non mancando mai,
51

per alcuna multitudine di doni per


te fatti, quella fontana che non si
poteva votare delli tuoi inestimabili
beni, avendo già compiuti trenta-
sette anni, sempre intenta a simile^
opere, non mancando le tua facul-
tadi, e crescendo la carità dell' a-
nimo nella età d' anni sessanta
,

fusti tocca non da carnale, ma da


spirituale e divino desiderio di ri-
vedere li tuoi. Onde ritornata a
Roma, tu dirizzasti a la via di
Cristo e air amore della vita solita-
ria il figliuolo, la nuora e final-
mente tutti li tuoi, confortandoli a
dividere li lor patrimonj, secondo
iltuo esemplo, acciò che così fussino
eredi dell' animo e del proposito tuo,
come erano stati del tuo nome.
Egli è uno stupore a ricordare
quanto oro, quanto argento, quante
vestimente di seta, quante somme di
denari quella tua nobilissima nipota,
sollicita osservatrice delle tue vie,
abbia largamente dato per tutto il
mondo alle chiese e alle religioni e
allipoveri, e a quante migliara delli
suoi servi abbia donata la libertà
per servire a Cristo; quali e quante
possessioni abbia vendute, unii sola-
mente a Uouìa, ma eziandio in
Aquitania e in Francia e in Spagna,
convertendo il prezzo di quelle in
opere misericordiose, riservandosi
solamente li poderi, che lei aveva
in Tracia, in Ungheria, in Sicilia e
in Africa, non ad altro fine, che per
suvvenimento degli poveri e degli
esercizj della vigilante e santa
piata tanto largamente e tanto da
;

lungi si estendevano le infinite ric-


chezze questa doima. Essa accesa
di
dalli tuoi ammaestramenti e dal tuo
esemplo, faceva queste cose essendo
nella età di venti anni, renunziando
al secolo, e dispregiato il bel fiore
della vita, e il nobile matrimonio, e
tanta potenzia e tante dilicatezze ;
e di qui appare quelle sante inten-
zioni e propositi essere stati ajutati
da celestial favore, che quella più
giovane di Melania distribuì e dette
ai poveri in tempo tanto opportuno
quello gran prezzo ritratto di tante
possessioni vendute, insieme con
quello inestimabile tesoro che se ;

per avventura eli' avesse indugiato


alquanto più, tutte queste cose alle
mani di Alarico re de' Goti sareb-
bono pervenute, il quale subitamen-
te venne alla destruzione di Roma
e di tutta la Italia. Ma essa più
53
espedita aveva convertito in miglio-
ri usi il suo inestimabile avere,
quasi com'elfavesse voluto con gran-
de usura donare a Cristo di buon
cuore sé medesima e le sue cose,
tratte di bocca al rapacissimo lupo.
Ma tu, felice vecchia, ultima-
mente "mandando ad effetto non con
feminile leggierezza tutte quelle cose
che aprono la via al cielo, e quasi già
consumato il corso della tua età e
fornite le tue fatiche come se in
,

terra niente per te più si restasse


a fare, innanzi che dua mesi fussino
compiuti dopo la tua ritornata in
Jerosolima, lasciato il monasterio
da te edificato, trovasti il fine delle
cose transitorie e della tua.laudabile
vita e tanto onore da Cristo ti fu
;

attribuito, che parve che per ri-


spetto d'una donna egli perdonasse
a tante migliaia d' uomini e di
femine e prolungasse il già or-
,

dinato o vero permesso flagello,


perchè essendoti già partita della
patria e del mondo, Roma fu subito
assalita e guasta dallo orribile e
furioso impeto delli barbari. donna
grande e nobile per lo piatoso esiglio,
certo non so se tu fusti |)iii f(*lice
per tal vita, che per la morte! Stjn/.a
54
dubio tu giaci molto più gloriosa
nella solitaria polvere, che se man-
cando, dalli tuoi meriti tu fusti stata
seppellita a Roma nella sepultura di
marmo con li vani tituli del tuo
nome ; e con maggiore e migliore
fama di te, quivi si vede la casa di
Dio fondata dalle tua mani per do-
vere servire alli poveri che non
,

si vede a Roma il tuo palazzo an-


tiquo, o veramente destinato a do-
ver ardere per li fuochi delli barbari,
o vero minare per la vecchiezza.
Ma la ammirazione che io piglio
della tua virtù, mi ha tenuto lon-
gamente in questo parlare; e avendo
ditto a bastanza di molte donne e
delle cose oltramarine, tornerò a
dire degli uomini e della patria.

CAPITOLO XVI.
Che fece adunque questo nostro
Gregorio, ottimo pastore della se-
dia romana ? Non convertì egli
molte magnifiche case in solitarj
templi ,
privandosi delle antiche
possessioni per darle a Cristo ? E
così in quanto li fu lecito si fece
,

la solitudine a sé medesimo nella


grandissima città e pienissima di
tutte le cose, a ciò che solo pre-
stasse la obedienzia al suo Signore
in quel luoco, dove il frequente
concorso del suggetto popolo avea
ornati e onorati li avi e li bisavi
suoi, benché lo splendore della fama
a r ultimo ponesse quello tratto
fuori degli luochi occulti nel gran
pelago de' pensieri e nell' altissimo
grado della pontificai dignitade. Lui
pianse molte volte quella sua esal-
tazione, ma in specialità scrivendo
sopra Ezechiello. con tristi e con
angosciosi lamenti gravemente di
ciò si duole, e dice: « Essendo nel
mio monasterio, io potevo restrin-
gere la lingua dalle parole oziose,
e tener la nìia mente ferma nella
intenzione delle continove orazioni:
ma poi eh' io ho sottoposto la spalla
del cuore al peso pontificale, l'animo
mio, che si divide circa molte cose,
non può continovamente racco-
gliersi in sé medesimo. » Molte altre
cose sono per lui dette in quel
luoco contro a sé medesimo e con-
tro al suo stato, dove allora e' si
ritrovava, ma assai più diffusa-
mente parlò nel proemio del Dialogo;
e volendo dar i)rincipi() ad esso
libro, lui testifica sé aver eletto
50
solitario luoco, amico e conveniente
al suo dolore, dove potesse alquanto
riposarsi, fuggendo dalla tempestade
delle cose temporali.
Quivi adunque respondendo al
dilettissimo figliuolo e famigliaris-
simo amico, dice : « Lo infelice
animo mio percosso dalla ferita
della sua occupazione ,si ricorda
quale già egli fu nel monasterio, e
come tutte le mondane cose a quello
erano suggette, e quant' elio era
più eminente di ciò che per noi ora
si pensa, perochè il suo pensiero
continovamente era occcupato circa
le cose celestiali; ed essendo ancora
rinchiuso nel corpo colla contem-
plazione, già passava li legami della
carne e la umana intelligenzia e ,

amava eziandio la morte come prin-


cipio di vita e premio della sua
fatica, la quale agli altri suole esser
pena e tormento; » e dette queste
cose, ancora più maninconico così
seguendo si rivolge alle contrarie:
« Ma ora per rispetto della cura del
papato, quello sostiene il peso e
il fastidio delle faccende degli uomini

secolari, e con la polvere delli fatti


terreni ha deformato e guasta la
grandissima bellezza del suo riposo.»
È longo a narrare ciò che segue in
questo suo dire, e anche al presente
non è necessario; ma la fine è questa,
ch'egli confessa di recevere gra-
vissimo tormento e afflizione nell' a-
nimo, ricordandosi della vita pas-
sata, e pargli che la sua miseria
sia grandissima in comparazione
di coloro che vivono riposatamente,
de' quali lui diflinisce molti esserli
piaciuti in questa vita più secreta,
di che noi parliamo.
Non meno è superfluo a reci-
tare ciò che per lui fu scritto
nel libro, dove gravemente pas-
sionato e afflitto espone le tri-
bulazioni di Job, conciosia che
ciascuno di questi libri per tutto
è divulgato, e questi suoi lamenti
sono scritti nel principio d'essi libri.
Lascio molte altre cose delle sue as-
sai più dolorose, dove egli afterma sé
continovamente piangere per questa
sua sublimazione, e priega gli amici
che piangano con seco, se l'ama-
no di buon cuore, e che preghino
Idio per lui. E per questo tu pòi
comprendere lui aver conosciuto
il suo pericolo, che stimando l'esser

mancato di viver solitario quasi


una generazioiu^ di morte,
esserli
58
in quello stato con molte lacrime
umilmente chiede l'aiuto degli amici.
Egli parlando di questa mede-
sima materia nella epistola scritta
ad Arsete patrizio, afferma sé esser
percosso di tanta molestia, che con
gran fatica il spirito gli basta a
parlare; dove manifestamente ap-
pare la soma del pontificato esser-
gli statamolto nogliosa(l),come cer-
tamente avviene a tutti coloro, che
la custodiscono senza peccato e
senza macula, e la memoria della
vita solitaria esserli stata molto
dolce, se la mutazione del stato
presente in comparazione del pas-
sato non r avesse convertita in
^
acerbissima amaritudine.

CAPITOLO XVII.

Ma dove rimane Benedetto ,

duca e principe delli occidentali


monaci ? Quale delli fideli di Cristo
non lo conobbe? Chi non ha udito
il suo giovenile e santo consiglio?
II quale benché dalla prima etade
amico delle virtù e nimico delli
vizi fusse entrato nella via che
,

(l) Nfjosa; forma antiquata.


59
mena al cielo, nondimeno, acciò che
con più attitudine e più sicura-
mente lui potesse pervenire al suo
intento, con somma prudenzia aban-
donò e Roma e Norsa, amate da lui
e per consuetudine e per natura,
perochè in una di quelle cittadi lui
era nutrito e nelF altra era nato ,

ma ilpensiero dell' anima vinse li


carnali desiderj ed il beato fan-
;

ciullo non solamente andò alla so-


litudine, ma con grande animo si
trasse allo intimo diserto, reducen-
dosi a quella aspra e divota spe-
lonca, la quale tutti coloro che
r hanno veduta, quasi credono d' a-
ver veduto la intrata del paradiso.
Tacio qual si fusse quivi la sua
vita, perochè la fede delli nobili
scrittori e la fama molto loquace
largamente V ha divulgata, e anche
quelli grandi fondamenti della no-
bilissima religione ne rendono chia-
ro e ottimo testimonio. A me basti
al presente d'avere onorate le no-
stre solitudine per la commemora-
zione, di tanto abitatore, e d' aver
confirmato il mio presente pro-
posito per la testimonianza di così
fatto uomo. Longo sarc^bbe a nar-
rare quanti e ({uali uomini, segU(Mi-
60
do le vestigie di costui , iiidutti o
dalla nobiltà del suo duca, o dalli
stimoli delio esemplo, o dalla incli-
nazione della natura, o dalla volun-
tà divina, avendo fondato molte
venerabili religioni, sieno andati a
varie e lontane solitudine. Li santi
monasterj e le devotissime case fra
le salvatiche spelonche di ciò ne
danno vero indizio, cioè la casa di
Cristo, Cisterno, Majella, la Certosa,
Valle ombrosa, Camaldoli e molte
altre innumerabili case, li rivi delle
quali religioni, benché per lo cele-
stiale accrescimento della divozione
da poi sono scorsi da lungi e da
largo, e hanno riempiuti li piani ;
nondimeno se tu così cerchi le loro
prime origini , come le fontane e
gli nascimenti degli gran fiumi, tu
lo troverai per certo aver avuto
principio dagli asprissimi monti, ma
sopra tutti gli altri il nome di Be-
nedetto è famoso e degno di molta
gloria e qualunche desidera di
;

intendere la istoria e il modo della


vita di costui, non voglio che vadi
investigare cose scerete, ma lega
ilsecondo libro del Dialogo di Gre-
gorio da noi sopra nominato, il
quale è tutto composto degli atti
61

di quello, e dove le degne operazioni


sono eziandio nobilitate e fatte il-
lustre per lo suo stilo.

CAPITOLO XVIII.

Se r occhio indutto e tirato


dall' ordine delle cose scritte entre-
rà nelle confine del terzio libro del
preditto Gregorio, quelli iniiumera-
bili miracoli della solitudine di Italia
se faranno noti e manifesti. Flo-
li

renzio si rapresenterà, il quale vi-


vendo solo nel monasterio, fami-
gliarissimo a Dio per la continova
orazione e per la sua infinita sim-
plicità, dimandò a quello qualche
consolazione della vita solitaria; e
subito dinanzi a lui si fermò uno
orso, e posto giuso la consueta fero-
citade, come pastore stette alla
custodia d' alcune pecore d' esso
Florenzio, e per la vendetta di
quello orso, occiso per invidia da
certi frati, la maledizione del santo
uomo adirato venne subitamente da
cielo per tal modo, che lui rimase stu-
pefatto, vedendo quelli puniti da acer-
bissimo flagello, e sempre da poi
chiamandosi colpevole, e dolendosi
d'essere stato con tanta prestezza
62
esaudito da Dio, menò il resto della
sua vita non senza infiniti lamenti
e acerbissimo dolore. Deh dimmi
!

che legioni, che re affaticandosi


pervengono a tal potenzia, quale
la umilità solitaria con il riposo
piacevolmente acquista ?
Oltra di questo si farà innanti
quel Martino, abitatore di monte
Marsico, a cui l'acqua che di con-
tinovo surgeva del sodo e duro
sasso, rinnovò il miracolo della pie-
tra, che per divino misterio gittava
l'acqua nel diserto. Costui essendo
conversato in una medesima spe-
lonca per spazio di tre anni conti-
novamente senza offesa con uno terri-
bile serpente, sotto spezie del quale
stava nascosto l'antiquo serpente
assai più terribile, a 1' ultimo cac-
ciatone quello da lungi, con mirabile
pazienzia esso solo rimase vincitore.
Un' altro abitatore del monte
Argentario, il cui nome è in cielo,
si lascerà vedere. Questo uomo
avendo con la polvere fregato la
faccia d' un corpo morto, subito
colui che presto dovea divenir
polvere, con la polvere fu risusci-
tato; il che senza dubio sarebbe
incredibile e da fare oltramodo
G3
maravigliare, se non che a qualun-
che che perfettamente crede, e alli
fìdeli di Cristo ogni cosa è possibile
a fare. Occorrerati eziandio Menas,
uomo solitario di tanta innocenzia
e di tanta fiducia, che non sola-
mente per la riverenzia della fama
del suo nome raffrenava gli Barbari,
che in quel tempo grandemente
molestavano circonstanti paesi,
gli
ma eziandio con una piccola bac-
chetta, eh' e' portava in mano per
sua consuetudine, castigava e im-
pauriti discacciava della vicina
selva grandissimi e crudelissimi
orsi, che infestavano li sami delle
api del santo uomo, quasi come
russino stati piccoli e domestici
cagnuoli.

CAPITOLO XIX.
Gran fatica sarebbe abbrac-
ciare ogni cosa col dire, né io al
pre.sente ho questo pensiero, però
ch'io non ho pigliato la penna in
mano per scrivere istoria, ma solo
per fare uno estratto da ogni lato
di cose degne, ma non di tutte, ma
di quelle eh' io non potessi lasciare,
volendo seguire il proposito della
64
cominciata operetta. Crediamo noi
che Benedetto ,stando nella sua
patria a Norsa, avesse potuto per-
venire a tanta gloria, o che Fran-
cesco avesse conseguito o V au-
dienzia delli uccelli, o il serafico
ardore della mente levata in spi-
rito, o quello miracoloso e glorio-
so onore delle sante stigmate di
Cristo, e la piaga dell'animo, e le
membre che di ciò rendevano testi-
monio? crediamo noi che la pro-
genie nata del matrimonio della
povertà fusse in così brieve tempo
pervenuta in tanto accrescimento,
se lui continovamente fusse dimo-
rato a Scisi? Il quale benché, come
si dice, dimandato consiglio alla
divinità, e ricevuta revelazione da
cielo per poter sovenire alla salute
di molti, avesse eletto di vivere
fra le guerre e fra li travagli degli
uomini più pericolosi alli suoi cava-
lieriche a lui proprio, nientedimeno
essr) fu grande amatore della soli-
tudine e seguitatore del diserto.
Certamente, se io intendo bene, tre
generazione sono di solitudine, cioè
del luoco, di che al presente è il
mio parlare, e del tempo, quale è
quella della notte, e quando quelle
05
parti della città sonoabandonate ,

dove suole concorrere grandissima


frequenzia d'uomini, quale sarebbe
a Roma la piazza chiamata anti-
quamente Rostri, e quando eziandio
gli animi di coloro che profunda-
damente contemplano sono tanto ,

estratti fuori di sé, che a mezzo


giorno essendo nella piena piazza,
non sanno ciò che quivi si faccia;
e quando e dove vogliono, sempre
sono soli.
Io non vedo tutte queste spe-
zie di solitudine essere state
frequentate da alcuno altro più
che da Francesco egli andava per
:

li diserti, e spesse volte vegghiava

nelle chiese quasi minate e rotte;


spesse fiate il di conversando fra
la moltitudine, non avea sentimento
alcuno delle cose che si dicevano
o facevano; ed essendo sbattuto
il suo corpicciuolo in qua e in là
dalla calca degli uomini la sua ,

mente stava tuttavia (issa e ferma


circa il pensiero delle cose celesti?.
Di qui procedeva quello stare estratto
con la mente in ogni grandissima
frequenzia d' uomini il che T ar-
,

dentissimo amore di Cristo e la


carne maravigliosam<M»t(; suggetta
5
allo spirito li concedeva. Onde penso
esser seguito, che lui cominciò stare
e conversare fra li popoli, persua-
dendosi dover essere facil cosa a
tutti li suoi ciò che a lui proprio
era possibile, cioè di stare e di
andare fra le genti senza pericolo
di cadere nelli peccati, però che
quella anima alta, simplice e puri-
ficata dalla feccia delle cose ter-
rene, sempre umiliandosi, non poteva
per alcuno tumulto e confusione
esser separata da Cristo; e ingan-
nato dalla propria umilità nel giu-
dicare la mente e la constanzia
degli altri uomini, presumeva e sti-
mava che senza alcuna difll-
essi
cultà potessino mandare ad effetto
quello, che lui provava continova-
raente in sé medesimo. La opinione
che il santo uomo avea de' fatti
suoi proprj, mi stringe a credere
che così fussi, con ciò sii che lui si
teneva il maggior peccatore del
mondo, secondo che si comprende
nella risposta, che si legge essere
stata fatta da quello ad uno delli
suoi frati, che lo adimandava quale
egli si stimasse esser fatto nelle
sue operazioni e benché queste
;

cose così siano, nientedimeno io ho


,,

67
udito molte volte li suoi precessori
pieni di santa religione e ornati
di singulare scienzia, che con tutto
il lor cuore hanno desiderato la
solitaria vita, se gli ordini e i co-
mandamenti del suo padre lo per-
mettessino.
La vita eziandio di quello,
manifestata a noi per li scrittori
e la regola della vita, che lui pri-
mamente compuose nel monte a sé
e alli suoi successori, e da poi refor-
mata nella solitudine, perochè la
era perduta, e oltra di ciò la sua
speciale abitazione fanno certissima
testimonianza, quanto egli amò sem-
pre la solitudine, come di sopra
ho detto. Conciosia che così come
la grotta di Benedetto con gran-
dissima ammirazione si dimostra,
non altrimenti uno delli molti luochi
di Francesco, chiamato la Vernia
remotissimo oltra tutti gli altri, con
somma venerazione è visitato. La
solitudine adunque diede acutissimo
stimulo a l'uno e a l'altro di loro,
e sollicitò gli animi disposti ad alte
e grandissime cose e però mentre
;

che essi, dispregiatori della gloria


del mondo, stanno occulti, per tutto
il mondo sono conosciuti e fatti
gloriosi.
CAPITOLO XX
Fra coloro che sono stati nobi-
eremo, Biagio martire
litati dallo
non è da tacere il quale si dice,
,

che essendo nascosto nelle spelon-


che, fu visitato dalle fiere e pasciuto
dalli uccelli. Né anche Leonardo
e Liffardo, fratelli tutti dui e solitarj,
né Egidio compagno di quello, deb-
buono essere lasciati. Questo Egidio,
nato in Atene di progenie regale,
come si dice, dispregiando ogni
cosa per amor della solitudine, pre-
pose la gallicana povertade alla
nobile stirpe e alla patria e alle
ricchezze e alle lettere greche, nelle
quaU lui era eruditissimo. Quivi
risplendendo per li grandi e infi-
niti miracoli e nutrito del latte
,

d'una piacevolissima cervia, con-


servò e fece la sua nutrice invio-
labile dalli cani delli cacciatori per
tal modo, che il re di Francia, in-
dutto per la fama di questo mira-
colo, passò fino drento alla spelonca
del santo uomo, circondata da spine,
non senza molta fatica delli suoi
famigli, che colle spade aprivano
la via a quella; a l'ultimo veduta
,

69
la effigie del venerabile vecchio, e
commosso per lo spettacolo della
cerva, che appresso il vecchio si
giaceva, mandati via tutti gli al-
tri, il re con uno solo vescovo an-
dò a quello, ed offertogli grandissi-
mi doni, li quali dal santo uomo
magnificamente furono dispregiati,
dicendoli che ad altri bisogni li
convertisse, per consiglio di quello
edificò in quel luoco uno monaste-
rio, infino a questo giorno molto
famoso; e da poi messo da parte
la regale pompa, spesse fiate ritornò
a visitarlo. Il santo uomo non acqui-
stò questi onori per rispetto dello
splendore della sua origine ,né
perchè di potenzia seculare egli
fusse eguale e pari al detto re, ma
solo per lo ornamento e per la
santità della solitaria vita.

CAPITOLO XXI
Che dirò io di Remigio ,che
pervenne a quella nobilita di fama,
che essendo ancora molto gioveno
li fu imposto il peso del papato
il quale, come si dice, lui ammi-
nistrò e resse più di sfjttanta anni
con somma virtù e con sinmilare
,

70
industria? Costui prima fu ca<ii()iie
di convertire il re di Francia e
tutta quella nazione alla fede di
Cristo ,e mandògli la cresima
da cielo, unse il detto re, e di qui
ebbe principio quella solennità d'un-
gere quelli regi, che infìno al nostro
tempo dura. E come pervenne egli
a tanta eccellenzia, se non per li
umili amaestramenti della solitaria
vita? Chi potrà parlare con degna
sufflcienzia di Narcisso vescovo je-
rosolimitano, uomo nobile e mira-
bile, che per lo sdegno che egli
prendea della persecuzione eserci-
tata contro agli Cristiani, e per lo
desiderio di vita più secreta si ,

ridusse nella solitudine? Dove viven-


do molti anni in luochi deserti
non solamente declinò e fuggì le
calunnie e le false accusazioni delli
persecutori, ma con somma perfe-
zione adempiè il grande ollizio del
vero filosofo.

CAPITOLO XXII.

Guglielmo eziandio, uomo valo-


roso e forte, e molto nominato per
la antiquità della sua origine, aven-
do destinato il primo fiore della
71

sua giovenile etade alla terrena ca-


vallaria, volse più tosto invecchiare
e morire nel diserto, consecrando
gli ultimi frutti della sua vita alla
celestial milizia. Un'altro di questo
medesimo proposito e stato e nome
per la secular dignità fu prima-
mente molto onorato; ma poi aban-
donata e dispregiata la sua ricchis-
sima cittade, desiderò sopra tutto
la povertade e la solitudine e il
silenzio, perochè essendo signore di
Pessulano, si fece monaco d' una
grandissima selva, e in quel mona-
stero, come nel porto, gittò 1' anco-
ra della sua vita, acciò che potesse
vivere più sicuro dalle tempestadi
e dalle perturbazioni del mondo.
Uno uomo magnifico certamente,
ma molto più magiiilìco per lo fu-
gire il secolo e le cose mondane,
scrive di questo prenominato se-
condo Guglielmo, che uno delli suoi
fratelli nominato Gerardo, deside-
roso di fare il mestiero delle armi,
era in tutto alieno dagli suoi con-
sigli, schernendo gli migliori e san-
ti principi del fratello; ma quello,
subitamente inspirato da cielo, pre-
disse che non dopo molto tempo
quello fianco, tanto dispiatato e tan-
72
to renitente e contrario ailli divini
araaestramenti, sarebbe passato dal-
la lancia del nimico, mostrando
eziandio col proprio dito il luoco,
dove li dovea esser fatta la ferita,
e dicendo « Qui sarai tu ferito, e
:

almeno per lo dolore del corpo en-


trerà in te la salute dell' anima. » La
qual cosa intervenne come lui l'avea
profetizzato e apertisi gli occhi
;

dello intelletto per la angustia del


male, quella militare asprezza fu
piegata e convertita in monacai
mansuetudine per tal forma, che egli
di sua propria volontà cominciò a
desiderar grandemente ciò eh' egli
aveva prima dispregiato.
Un' altro fratello di costoro, mi-
nore di tempo, andando tutti gli
altri fratelli alla solitudine, per av-
ventura stava intento alli giuochi
puerili; a cui il primogenito nella
loro partita allusingandolo disse:
«0 Lionardo fratello, la possessione
della terra che noi avevamo tutti
insieme, oramai sarà tutta tua. » Quel-
lo sopra il conoscimento della sua
etade, rispuose :« Questa divisione
senza dubio non è uguale; dovete
voi tutti avere il cielo e io la ter-
ra? »Onde infìno a pochi giorni con-
73
dusse a buono effetto la sua pru-
dente risposta, ed ultimo si messe
nella via degli altri fratelli; e la-
sciata la terra, se n'andò per la
via della solitudine al cielo, e cosi
nessuno di loro al tutto rimase al
mondo.
Certamente pare, che la pieto-
sa madre sia stataparticipe del-
le buone operazioni di costoro, che
dalla prima infanzia con tanta cura
e con tanta prudenzia nutrì li suoi
piccoli figliuoli, che da poi essendo
loro pervenuti alla virile etade, fu-
rono più contenti di vivere in po-
vertade e di seguire la solitaria e
religiosa vita, che di starsi nelli
piaceri e nelle dilicatezze temporali.
In questi laudabili costumi, in questi
domestici amaestramenti crebbe la
progenie molto simile alla madre,
e la famiglia veramente nobile e
santa, e gli magliuoli della feconda
e fruttifera vite, senza dubio molto
generosi, se bene eziandio in altro
luoco, che fra gli Allobrogi avessi-
no germinato e fatta la sua messa.
Tutti costoro furono ardenti e pron-
ti al salire della celeste patria;
nondimeno Bernardo ,terzio per
r ordine della età e i)rimo ])<*r lo
74
proposito del renascimento, cioè di
prender 1' abito della religione, fu
capo e guida di tutti gli fratelli,
traendo lìnalmente con seco il vec-
chio padre e 1' unica sorella.
Lasciate le lode della eloquenzia
e della astinenzia di costui, perochè
son note ad ogni uomo, io non ta-
cerò quel suo egregio e notabil
detto conveniente alla materia, che
al presente ho per le mani. Egli
soleva dire sé avere imparato nel-
le selve e nelli campi tutte le let-
tere che sapeva, delle quali in quel-
la età ninno fu più copioso di lui,
non mediante la erudizione e la
disciplina degli uomini ma solo
,

pensando e facendo orazione a Dio,


affermando sé non aver avuto mai
altri maestri, che le querele e gli
faggi. Io referisco volentieri queste
sue parole, perochè se a me è con-
cesso di conoscer qualche cosa, vor-
rei, e se io non mi inganno, con
verità potrei dir questo medesimo
di me proprio.
Secondo il mio vedere, Arnolfo,
abitatore dell' eremo nel territorio
metense, uomo nobile e vescovo
di quella città, di ragione debbe
tenere il seguente luoco della no-
,

stra narrazione, e dopo lui succe-


derà Buchero prima molto cono-
,

sciuto per la gentilezza del suo


sangue e per la dignità dell' ordine
senatorio, e poi assai più famoso
per la religione e per la solitudine.
Costui fu perseverantissimo abita-
tore d' una orribile spelonca nel
territorio della città di Lugduno
al presente chiamata Lion Sorione,
e infine salì al grado del vesco-
vado di quella città, e non per suo
desiderio, né perchè lui lo cercasse,
nò per umano suffragio e ajuto, ma
costringendolo a questo gli suoi
meriti e la gloriosissima revelazio-
ne dell'Angelo; ed acciochè tu sap-
pia quella terra esser abundante
e copiosa di sante solitudini, Ro-
mano e Domiziano, prima solitari
eremiti, e infine dignissimi abbati,
acquistarono grandissima fama in
quelle medesime regioni. Ed acciò
che io meschi la solitudine oltra-
marina con quelle di là da V Alpi,
Ursazio, conosciuto al mondo per
la cavalleria temporale, con miglior
consiglio dispregiata quella e fatto
cavalier di Cristo, appresso Nichea,
città di Hitinia, fini la sua solitaria
vita, non solamente pei* la jìropi'ia
76
santità,ma eziandio per li molti e
varj miracoli nobilitato.
Noi abiamo assai circuito le
longinque ed estranee solitudine ;
torniamo adunque a quelle di Italia.

CAPITOLO XXIII.

Da chi non è conosciuto quel


Carlomano, che noi chiamiamo Carlo
Magno, zio di Carlo più giovane?
Egli participe insieme del regno
con Pipino suo fratello, lasciato il
reame e gli regali pensieri andò ,

a Roma con proposito di vivere


in ozio e in riposo. Quivi pigliato
l'abito monacale, si ridusse alla
spelonca di Silvestro nel monte di
Soratte, dove essendo dimorato due
anni continovi con desiderata e
piacevole tranquillità d' animo ,

parendoli che il predetto luoco di


giorno in giorno divenisse meno
solitario e meno conveniente al suo
desiderio per lo frequente e onore-
vole concorso delli peregrini, che
dalla sua patria venendo a Roma,
visitavano quello conosciuto e vedu-
to altre volte, stando lui non longi
da il loro diritto camino, se n' andò
ad abitare nel inonasterio da Cassi-
na (1), luoco più secreto e più rimo-
to, e giada Benedetto edificato; dove,
affaticandosi in quello instante il
fratello e il nipote per la caduta
sedia del reame, lui rinchiuso paci-
ficamente fini la vita sua, come egli
con sommo studio sempre avea
cercato di fare.

CAPITOLO XXIV.
Romualdo, nobilissimo abitatore
della città di Ravenna, e nato della
illustre stirpe degli duci, per la età
segue dopo Carlo Mano, ma per lo
merito suo debbe esser reputato
primo. Costui della sua gioventù,
bencliè insuperbito oltra modo, e
tenuto legato dalle lusinghe delle
grandissime ricchezze e della età
e della sua generazione, nondimeno
fra li piaceri di quel tempo e fra
li giovenili esercizi levando l'animo

ad alto, sempre suspirava e deside-


rava la santa solitudine; onde spesse
volte nelle caccie occorrendoli luo-
chi secreti per li fronduti boschi,

(l) li Mon'iatrro 'ir Afonternsiìio


,

78
inspirato da celeste pensiero, subito
si fermava e fra sé stesso diceva:
« Oh quanto è piacevole e dolce
questo fuoco, e atto a chi volesse
servire a Dio Quanto meglio abi-
!

tariano qui gU amici di Dio, che


nelle cittadi » Cosi il giovinetto
!

che dava certissima speranza di


reuscire in grandissima e ottima
perfezione, andando nella selva per
pigliar le fiere, con la pietà che
già fioriva, ma per ancora non era
matura, pensava di pigliar le ani-
me per ridurle al servizio di Cristo;
(Wide il suo pensiero non stette
longamente sanza effetto, come
colui che di continuo era nutrito
e a ciò constretto dal santo Spi-
rito.
Nel fiore adunque della sua
età, fuggendo la gloria, gli piaceri,
le ricchezze, il padre, la patria, il
mondo e a l'ultimo se stesso, tale
quale egli era, per divenire un'altro,
tutto si converti al studio e alla
volontà della vita eremitica e soli-
taria; ed il primo salto che egli
fece quando usciva fuor del mondo,
fu al monasterio classense , non
longi dalle mura della città sua
patria. In capo di tre anni offeso
,

79
dalli vizj delli frati, si dipartì di
quel luoco, e con divotissima umi-
lità subito andò a ritrovare un santo
e semplice uomo chiamato Marino,
che viveva solitario nelle terre de'
Viniziani, conosciuto da lui per la
sua buona fama, e supportò quello
con grandissima pazienzia precet-
tore e maestro a lui fldele più
tosto che discreto; e non solamente
ricevette le parole di quello con
grandissima sommissione, ma ezian-
dio d'esser battuto con
sofTerse
animo tanto constante e suggetto,
che esso Marino meritamente se ne
maravigliava. Il quale da poi es-
sendo andato in Francia, indotto
da grande e da onesta cagione
cioè per la salute dell' anima di
Piero Ursiolo doge di Vinegia ,

che avea abandonato ducato e il

il secolo, fatta brieve dimora con


questi dua compagni, vide tanta
augumentazione e accrescimento
delle virtù spirituale abondaro in
Romualdo, che egli non si vergo-
gnò di farsi discepolo del suo disce-
polo, e obbedii-e a colui, che poco
innanti avea seguiti i suoi coman-
damenti.
Di qui partitosi Romualdo con
80
simulazione d' esser pazzo, non san-
za molto dolore di quelle genti,
dove lui era stato certo tempo, in
tanto che non lo potendo essi rite-
ner vivo, aveano pensato della sua
morte, per aver almeno il corpo di
quello in luoco di gran tesoro a
protezione della loro patria, ritornò
in Italia,chiamato da maggiori e
da più giuste cagioni, che non
erano state quelle della partita, cioè
per liberare suo padre Sergio dallo
instante pericolo della anima; pero-
chè ritrovò quello che era stato
prima ricevuto per monaco nel
monistero di San Severo appresso
Ravenna, che già pensava di scio-
gliere il collo dal religioso giogo
e di tornare al mondo, secondo
che gli era stato ditto e non po-
;

tendo con parole né con prieghi


rimuoverlo da questa cattiva opi-
nione, non considerò né ebbe rispetto
alla paterna reverenzia, ma riputò
quello esser monaco suggetto alla
sua spirituale autoritade, e con li
salutiferi legami raffrenò il pesti-
fero appetito; e per questo modo
fu piatosamente severo inverso il
padre per liberarlo dalla severità
dello eterno padre. K certo questo
81
fatto procedette felicemente; pero-
chè Sergio, amaeslrato per li suoi

inali, ritornò al cuore, e mutato il


suo pessimo proposito, con maravi-
gliosa contrizione abbracciò gli ca-
stigamenti di quello non come di
figliuolo, ma come di padre, e cosi
divenne un'altro uomo; e purgati
li suoi peccati con molte lacrime,
e recreato da divina visione, con
desiderata morte abandonò il già
tanto amato peso del corpo e li
lusinghevoli lacci del mondo, già
tanto desiderati da lui. Longo sa-
rebbe il pai'lare a voler referire la
faticosa milizia di questo uomo nel
servizio di Gesù Cristo, e narrare
li non solamente per
divoti discorsi,
la Italia o di làda l'Alpi, ma ezian-
dio oltramarini; li quali furono tan-
to spessi e tanto diflìcili, che me-
ritarono d'essere escusati da colui,
che descrisse la sua vita, perochè
tanta moltitudine di persone e di
bassa condiziono o di grandissima
dignitate, desiderosa di servire a
Dio, con tanto studio concorrea a
questo uomo, volonteroso di stare
occulto dovunque o^li fusso, che
quante volte la fanii;ilia, aquistata
a Cristo per li suoi ania«*stram<Miti,
S2
avea empiuto uno luoco, impostogli
un' altro per lo loro governo il
,

santissimo pastore, vacuo d' ogni


negligenzia e vigilantissimo, di ne-
cessitade si transferiva ad altri luo-
ghi per aquistare novi greggi in
nuovi pascoli al suo Signore Idio.
Longo sarebbe eziandio a voler
nominatamente dire, quanti e quan-
te nobili servi e serve elio riduces-
se a Cristo, che nelle sue peregri-
nazioni erano divenuti suoi discepo-
li. Fra questi furono e duci e conti

e figliuoli di conti, ed esso Ottone


imperatore romano, benché promul-
gando lui di giorno in giorno il
voto fatto nelle mani del santo uo-
mo, prevenuto da insperata morte,
non lo potesse adempiere. Molte
parole bisogneriano a raccontare
in quanti luochi abbia abitato, quan-
ti eremi abbia ripieni di suoi disce-
poli, che deserti abbia frequentati,
e che tempj per la sua mirabile
industria lui edificasse, fra li quali
il famosissimo romitorio di Camal-
doli nelle confine d'Arezzo oggi si
vede. Egli fu compositore e princi-
pe di questo luoco e di questo or-
dine, facendo ogni cosa con tanta
devozione, con tanti digiuni, con
83
tanta astinenzia, con tanti suspiri,
con tante lacrime e con tale impe-
to e con tale ardore d'animo e di
mente, che col dire mai non si po-
tria agguagliare. In fine con quella
soUicitudine tanto vigilante, tanto
continova, e che fino a V ultimo
mai non venne meno, secondo la
consuetudine di Cesare, ma
con al-
tra intenzione, credendo ninna cosa
esser fatta , mentre che qualche
particella li restasse a fare, quasi
innanti che egli avesse ultimati e
compiuti questi santi edifìcj, sem-
pre si affrettava di fare nuovi fon-
damenti, quasi come egli avesse
deliberato di fare uno monasterio
di tutto il mondo, e che tutti gli
uomini divenissino monaci. E nel
dar opera a queste faccende, lui so-
stenne con gran j)azienzia e con
gran fortezza d' animo molte e va-
rie molestie di persecuzioni, non so-
lam^ente delli demoni, ma eziandio
deg i uomini e in spezialità degli
suoi. Egli era nelle cose avverse e
contrarie pronto e lieto, che fu
grandissimo indizio di fermissima
constanzia della sua mente, e in
qualunque stato eh' elio si ritrova-
va, sempre era giocondo e sereno;
84
il che noi legeino esser stato attri-
buito principalmente aSorral<' e a
Lelio, alli quali questo santo, di cui
ora noi parliamo, meritò d'esser ag-
guagliato per la parità e similitu-
dine della l'orma della sua faccia, ma
per pietà e per religione fu molto
superiore.
A quella jocundità del suo gra-
zioso viso fu congiunta tanta auto-
ritade, che in esso pareva essere
non so che cosa divina e venera-
bile, e degna d' esser amata da-
gli buoni e da esser temuta dagli
rei. Certamente molti uomini gran-
di e potenti, posti nella sua presen-
zia, tremavano come fussino stati
dinanzj da Dio, ed Ottone, giovane
imperador romano, con tanta fami-
gliaritade e con tanta riverenzia lo
visitava, che alcuna volta di notte
lui giacque nel suo letto; e lo im-
peratore Orrico, essendo con gran
fatica venuto a lui, il santo uomo,
combattuto dalli prieghi delli suoi
discepoli, tutto lieto facendoli r.i io-
re, si levò dalla sua sedia, e gitiato
ìuì gran sospiro, parlò in questo
modo: « Oh! volesse Idio, rhe l'ani-
ma mia fusse nel tuo coipf»! Li <<>iii-
»

pagni dello imperadore con grandis-


85
sima umilitade inginocchiati li sta-
vano d'intorno, e con devota con-
tenzione e importunità, non senza
grave dispiacer di quello, da ogni
lato gli cavavano li peli della sua
pelliccia, di che lui allora era ve-
stito, per riportarseli nella sua pa-
tria in luoco di grandissime reli-
quie, mitigandosi eziandio li feroci
spiriti degli Barbari per la opinione
della sua santitade.
Oltra di questo, Rainerio, mar-
chese di Toscana, confessò di non
temere tanto lo imperatore né al-
cuno altro' uomo mortale, quanto
V aspetto solo di Romualdo, e afFir-
mò la lingua e lo ingegno alla pre-
senzia di quello totalmente mancar-
li. Ultimamente egli in vita e dopo

la morte divinamente fece infiniti


miracoli, gli quali per molti e chiari
argomenti fu manifesto esser fatti
mediante la potenzia e la presente
virtù di Dio. Fra molti io sotto
brevità toccherò di questi duo: il

primo fu che col solo anelito lui


sanò lo intolerabile dolore del capo
ad un frate, sofliandoli nel viso, et
con un solo bacio cacciò via non
il dolore, ma la pazzia a un al-
tro frate , il quale subito come
80
fu liberato, affermava nel primo
toccare che gli feciono le sante la-
bra di quello uomo, sé aver sentito
il soffiare d'un gran vento, che
procedeva dalla sua bocca, e che
senza dubio per quel tal soffiamen-
to lui avea subitamente recuperato
la sua antica salute. Che crederò
io quello essere stato altro, se non
che Dio spira dove e quando egli
vuole, del quale veramente il san-
t' uomo tutto era pieno?

Queste cose sono molto longhe


da narrare, come di sopra ho detto,
e anche al presente non sono ne-
cessarie, perochè d'esse fu compo-
sto un libro da uno, che in quel
tempo scrisse la sua istoria, citta-
dino d' una medesima patria con
esso lui, uomo nobile e per santi-
tade e per scienzia e solitario, delle
cui sante opere noi diremo senza
alcuno mezzo dopo santo Romualdo.
Vegniamo adunque alla conclusio-
ne. Di cento venti anni che lui visse,
passò li primi venti nel secolo e tre
nel monisterio, di che contro a sua
volontà gli fu dato il governo, e
poi volendo egli lo dipuose; per
tutto il resto degli altri, che furono
novantasette, continovamente tenne
87
vita eremitica, sempre vigilantissi-
mo nemico della accidia e della
pigrizia, ed in ogni luoco facendo
buon frutto; e come di lui è scrit-
to, fu impaziente della sterilità,
cioè che non gli parea che il tem-
po si dovesse lasciar passare vacuo
delle buone operazioni; e pertanto
per tutti li luoch', per tutti li tem-
pi, con tutto il corpo, con tutta
r anima a ninna altra cosa atten-
dea, che ad esser sollicito al gua-
dagno delle anime. A V ultimo, così
come il peregrino' stracco, essendo
già sera, a V albergo si riduce, non
altrimenti il santo uomo, vinto dalla
infirmità e dalla vecchiezza, s'affret-
tò di tornare alla conosciuta parte
di Italia, e nella regione del ducato e
al monisterio della valle di Castro,
già edificato da lui. Quivi dopo le
lunghissime fatiche si riposò felice-
mente, e con solitario fine compiè la
solitaria vita; il che non so se oltre
a Paulo primo eremita, avvenisse
ad altri che a costui; conciosiachè
sentendo l'ultima ora e di quel giorno
e della sua vita esser vicina, coman-
dò alli frati che uscissono fuori
della sua cella, e che la mattina
dovessino ritornare. Levatosi quel-
88
lida torno con piatoso inganno per
poter andare solitario a Cristo, e a
domandare la mercede del suo ser-
vigio, come colui che solitario avea
servito a Cristo, ricolse se medesi-
mo e il beato spirito; e cosi senza
compagnia degli uomini, accompa-
gnato dagli Angioli, se n'andò alla
eterna vita.

CAPITOLO XXVI.
Quello Pietro cognominato Da-
miano al presente nell' anmio mi
occorre, benché coloro che trattano
della vita e delli fatti di questo
uomo, siano molto discordanti; pe-
rochè alcuni dicono lui partito da
l'ozio della solitudine essersi ridut-
to alli pensieri delle cose ecclesia-
stiche, e altri per lo contrario dal
campo delli pensieri e dal strepito
delle faccende lo tragono alla pace
dello ozioso silenzio. L'una e l'altra
commendazione della vita sua è
molto gloriosa, e a tanta virtù con-
veniente, se veramente lui fu
riputato degno, che vivendo nella
solitudine, fosse chiamato a tanto
officio, o se pur l'animo suo fu tale
,

89
che lasciati gli grandi onori, V ere-
mo fusse principalmente da lui de-
siderato. Alcuni altri meschino il
fatto, perochè cercando io con dili-
genzla suttilissimamente il vero
mandai chimi portasse cose certe
dal* monisterio, dove egli visse in
fiore della sua fama; e per la aflìr-
mazione degli religiosi conobbi lui
essere stato prinia solitario, e poi
esser pervenuto a grande esalta-
zione, ed a r ultimo di sua propria
voluntade esser ritornato alia soli-
tudine; il che se così è, manifesta-
mente appare quale sia stato il suo
ultimo judicio, e in uno solo esem-
plo si congiunge doppio ornamento
di solitudine^ avendo lui fatto ezian-
dio la seconda volta elezione di
quella, che al mondo tali uomini
impresta, e quelli medesimi così poi
si ritoglie.
Alcune sue epistole, che ora
massimamente , udite queste co-
se,mi riduco alla memoria, mi con-
fortano a credere che così sia. Cer-
tamente quelle sono scritte in di-
versi tempi, e ora in uno, e ora in
un altro stato della sua vita. Fra
esse ne sono alcune, rhe secondo
il mio parere, lui scrisse essendo
90
occupato, dove elio sospira con do-
lore al riposo del perduto ozio, ed
in alcun' altra e^li ozioso si raccor-
da la inquietudine e la molestia
delle passate faccende, e queste con
più certezza al presente mi stanno
nella memoria. Lasciato adunque
ciò che al nostro proposito non si
appartiene, per quanto posso com-
prendere per lo suo ultimo scrive-
re, questo Pietro non senza gran
lode fu romano cardinale, uomo
senza dubio non meno famoso per
la eloquenzia, che per la dignità;
nondimeno tu intenderai qui ap-
presso, che consiglio e che de'ibera-
zione fusse la sua nella elezione
della vita. Egli lasciato quello stato
e le pompe del secolo alli suoi, sti-
mò la quietissima solitudine, posta
nel mezzo di Italia alla sinistra
parte del monte Apennino, della
quale lui scrisse diffusamente, e che
al di d' oggi ritiene il vecchio nome
della Fonte Avellana, degna d'esser
preferita a tutti li caduci e mortali
onori ; dove lui occultatosi non,

acquistò da poi minor gloria, che


l'avesse prima conseguito nella cit-
tà di Roma, né per lo judicio d' al-
cuno gli fu imputato a disonore di
91

mutare il rosso ornamento dell'alta


e onorata testa per l'umile cilicio,
che la umana carne il più delle
volte al buono e dritto spirito re-
nitente affligge.

CAPITOLO XXVI.
L'atto di costui sarebbe stato
nobile e chiaro sopra tutti gli al-
tri, se il più fresco e il più degno
dispregiar del mondo, che fece un
altro Pietro pontifice romano, chia-
mato Celestino, non 1' avesse al-
quanto oscurato. Questo Celestino,
deposto il gran pontificato come
mortifero peso, con tanta cupidità
ritornò all' antica solitudine, che tu
crederesti lui essersi liberato dalla
pregione del nimico. Attribuisca chi
si voglia questo fatto alla viltà del-
l' animo del solitario e santo padre,

conciosia che in una medesima cosa


per la varietà degli ingegni non
solamente sipuò aver diversa opi-
nione, ma eziandio sentire il con-
trario. Io certamente lo stimo e
giudico essere stato utile e a lui e
al mondo, perochè quella tanta al-
tezza facilmente averebbe potuto
esser pericolosa e dubia e turbu-
,

92
lenta a l'uno e l'altro, cioè a lui
e al mondo per la poca pratica
,

delle cose umane, le quali lui avea


dispregiate per rispetto dell'arden-
tissima contemplazione delle divine,
e per lo grande e longo amore della
solitudine. Il miracolo che dimostrò

Dio dopo il primo giorno del suo


rifiuto, porge certo indizio di quello
che ne sia parso a Cristo, il che
certo non saria intervenuto, se la
divinità non lodasse ciò che fu fatto
per lui. Io totalmente per fermo
tengo tale opera esser proceduta
da uno animo molto eccellente e
molto libero, e non suggetto ad al-
cuno giogo di servitù, e veramente
celeste e senza dubio questa è la
;

mia opinione, quel partito non aver


potuto esser preso, se non da uomo
che estimasse con justo pregio le
cose umane, e che se avesse posto
sotto i piedi il superbo capo delU'^
fortuna. Questo luoco ha bisogno
del patrocinio e della defensione
d' Ambrogio , e massimamente di
quella parte cavata di quel libro
dove egli conforta la santa ver-
gine Dimetriade(l) alla osservanzia

. (1) Quest' (fistola è apocrifa, essendo poste-


riore all' ei'esia di Petaffio.
,

9:^

dellavera umilità, così dicendo: « E'


non procede da piccol cuore né da
vile animo, come pensano gli ama-
tori di questo secolo, a dispregiare
le terrene ricchezze e avere in fa-
stidio gli vani e mutabili onori e
il non acquistare gloria , dove il

peccatore è lodato desideri


nelli
della anima sua ed operando in-
,

j ustamente, è ditto bene di fatti


suoi. Onde se veramente si vorrà
cognoscere a che fine tenda, e ciò
che desideri questo dispregiare delle
cose presenti niente si troverà
,

esser più dritto o più elevato di


queste così fatte menti, e con le
sue sacratissirne intenzioni avan-
zano ogni altra cosa, né cercano
d' accostarsi ad alcuna creatura
quantunque ella sia potente e mi-
rabile, maad esso creatore di tutte
le cose visibili e invisibili, a cui
lo appressarsi è far-si chiaro e glo-
rioso, e il temerlo é rallegrarsi, e
il servirlo é regnare. »

Chi fu mai più degno di Celestino


di ricever simil commendazioni di lo-
de? Alcuni hanno abbandonato le sue
navi e le sua reti, alruni le piccole
possessioni, alcuni il mistiero delle
armi, alcuni altri eziandio gli reami
IH
() speranza degli reami
la e se-
,

guendo Cristo, sono divenuti apo-


stoli e fatti santi e amici di Dio.
Ma chi lasciò mai di sua sponta-
nea volontà il papato, cosa alta e
grande, e tanto desiderata e tanto
maravigliosa, che dalla ammira-
zione e dal stupore che si prende
per la sua sublimità, dicono aver
tratto il suo nome? In quale etade,
dico, e massimamente da poi che
esso papato cominciò a esser in
tanto pregio fu egli mai dispre-
,

giato tanto mirabilmente e con


tanta magnanimità, come fece que-
sto Celestino, che per guardare il
cielo si dimenticò la terra, cupido
di recuperare il suo pristino e an-
tiquo nome, e il luoco e la pover-
tade amica ai buoni costumi? Clii
non vede lui esser piaciuto a Dio
ugualmente in ogni generazione del
suo stato, purché egli abia letto le
raaravigliose operazioni di quello,
variate per tre modi, ma degne
d'altro stilo, cioè quello che lui
fece innanzi che ascendesse al pa-
pato, e mentre ch'ei sedea nel grande
offizio, e da poi che spontaneamente
lo dipuose? Che miracolo è adun-
que, se la virtù delle operazioni
1/5

non mancò in lui? Il tenore del-


r animo, del quale sempre fu uno
medesimo, e la qualità della vita,
quanto a lui fu lecito, sempre fu
immutabile. Veramente egli levato
in altissimo grado, fece la sua ca-
mera papale piccola e stretta quanto
dir si puote , e più tosto conve-
niente a romito che a papa, e visse
umile in tanta sublimità, e solita-
rio fra la moltitudine, e povero fra
le ricchezze. Oltra di ciò intendendo
della elezione fatta di lui al papato,
tentò subito di fuggirsene con uno
solo discepolo, chiamato Ruberto Sa-
lentino, allora giovine; ma circon-
dato dalla inopinata e subita mol-
titudine del popolo, non sperando
di poter uscire delle sue mani, si
rivolse al discepolo, e domandollo
se lo voleva seguire per tal modo
tirato e sforzato alle cose grandi ;
ma il discepolo, che avea imparato
dal maestro di far poco conto del
mondo, e d'amare Cristo e la virtù
e la pace e il silenzio e la solitu-
dine , mediante le quali si va al
cielo, disse: « Io ti priego che tu mi
perdoni, e che tu abia rispetto alla
mia fatica e al mio ])eric()lo, e che
tu vogli più tosto avermi succes-
96
sore della povera cella e del sicuro
ozio, che participe della ricca glo-
ria e piena di ansietade ». E certa-
mente così fu, però che il padre
andò a Roma e il discepolo si ri-
mase, e non dopo molto tempo vide
l'anima di Celestino uscita di dop-
pia prigione salire alle celeste se-
die; e per questo miracolo rimase
stupeftitto,non avendo notizia di
quanto fusse intervenuto, cioè che
Celestino fusse stato incarcerato
per losuo successore, e come e' si
fu partito di questa vita; il quale
eziandio in essa visione lo dimandò
se voleva seguirlo, e a 1' ultimo lo
ammoni e confortò che perseverasse
di vivere nella solitudine; e dette
queste parole , disparve e andos-
sene al cielo. Il discepolo raccor-
devole del consiglio di Celestino
così fece, e diventò vecchio, visse
solitario infìno agli nostri tempi, e
a questi anni prossimi passati mori
dopo il maestro lasciata appresso
,

de' suoi grande opinione della pro-


pria santità, e non piccola fama
delle mirabili operazioni.
Ma io torno a Celestino che,

con tanto suo dispiacere e contra


il volere dell' animo suo fu assunto
97
a tanta dignità, il che la disposi-
zione e il rifiuto, con lieto cuore e
spontaneamente fatto, per manife-
sto indizio lo dimostra. Io ho udito
narrare a coloro che '1 vidono fug-
gire, che egli era tanto allegro, e
che portava tali segni di letizia
spirituale negli occhi e nella fron-
te, quando esso libero e reso a sé
stesso si partì dal conspetto del
consiglio, quasi come non avesse
tirata indrieto e rimossa la spalla
da piacevole soma, ma più tosto
come egli avesse tolto il collo sotto
dalle dispiatate securi; e nel suo
volto si vedea una certa luce, si-
migliante a quella degli Angioli; e
non senza ragione, però eh' e' sa-
peva molto bene che cosa era quel-
la,a che e' ritornava, quale era
quella che avea lasciato. Certa-
mente dalle fatiche lui si riduceva
al riposo, e dalle furiose discetta-
zioni e discordie alli divini parlari.
Abbandonava la cittade; stava con
r animo intento e fermo all'ottimo
proposito; e se la astuzia e mali-
gnità del suo successore non gli
avesse contrastato con li piedi
,

andava al salvatico e aspro monto,


ma onde la via a lui era facile e
7
98
piana alla eterna beatitudine. E vo-
lesse Iddio, che noi fussimo vivuti
con seco, la qual cosa fra tanti al-
tri solitarj noi al presente deside-
riamo in spezialità di lui, perochò
la nostra ardentissima voluntà non
è molto lontana dalla cosa deside-
rata, conciosia che egli fu poco
tempo innanti di noi, e piccola in-
dugia bisognava che facesse, o che
noi ci affrettassimo alquanto per
entrare insieme nel camino di que-
sta vita, che lui lece colli nostri
padri. Egli in brieve spazio di tempo
transcorse per tutte le parte di Ita-
lia infino a l'Alpi; la religiosa suc-
cessione dura e durerà, e gli fi-
gliuoli spirituali vivono, generati da
lui nella solitudine , essendo già
mancati quelli, che stando nel pon-
tificale palazzo, egli fece cardinali
e sollevogli ad altri grandi onori:
tanto sono più fermi i fondamenti
della sacra solitudine, che non sono
quegli del secolo.
Dilegginolo adunque quanto gli
piace coloro che 'l vidono, dalli quali
il male ornato dispregiatore delle ric-

chezze e la santa povertà era tenuta


vile. Ma noi meritamente do verno a-
vere in ammirazione questo uomo, e
99
annumerarlo fra li rarissimi, e ripu-
tarselo in gran danno non l'aver
veduto, perochò il vederlo poteva
dar certissimo guadagno e nobilis-
simo esemplo a qualunque tentasse
per via faticosa di levar l'animo
a più alta vita. Senza dubio la pre-
sente fama e il santo nome di que-
sto uomo favoriscono gli suoi lau-
datori, e chiaramente riprendono gli
maldicenti; ma sia ringraziato Idio,
poi che noi siamo fatti tanto ma-
gnanimi, ch'io spero che questi due
Pietri saranno senza imitatori delli
loro propositi e che questa tale
,

pusillanimità , se così debbe esser


chiamata, sarà senza alcuno esem-
pio in questa nostra etade.

CAPITOLO XXVII.

Ma ecco che contro al mio pen-


siero io ritorno un'altra volta nella
Francia, e mentre che fra li nobili
uomini solitari io passo il terzo Pie-
tro, mi par quasi udire quel gri-
darmi dietro alle spalle, e dire che
egli non debbe esser lasciato, e
sforzami a star fermo. Questo è
quel Pietro romito, che visse soli-
,,

100
tario nel territorio ambianense, tale
quale si sia. Conciosia che comin-
ciandosi Cristo a sdegnare e cruc-
ciarsi, che la propria eredità, cioè
gli suoi comandamenti, fussono vil-
mente calcati con grandissimo dis-
pregio dalli suoi e nostri nimici
egli non ad alcuno degli signori
cristiani, che nelle dilicate piume
e nella preziosa porpora contino-
vano gli grassi sonni non ad Ur-
;

bano romano pontifice, uomo grave


e ornato di gran virtù e nondimeno
occupato ma a Pietro, povero o-
,

zioso e solitario, e che nell'umile


letticciuolo si riposava, manifestò
ciò che volea che si facesse. Pri-
mainente lo inspirò che presto si
apparecchiasse alla oltramarina pe-
regrinazione, acciò che per quello
aver veduto coli' occhio le miserie,
e' divenisse più pronto alla piatosa
faccenda. Da poi pervenuto alluoco,
che Cristo gli avea comandato
commosso gravemente per la ser-
vitù di^imione, allora patriarca di
Jerusalem, e degli altri miseri fideli
cristiani, e per lo indegno dispre-
gio degli sacrati luochi fatto dagli
barbari, con sospiri e con lacrime
dì e notte fiicea orazione a Dio. A
101

r ultimo Cristo apparve a quello,


adormentato sopra il nudo pavi-
mento della chiesa, e comandolli
che svegliasse e coramovesse gli
pastori e gli principi catolici per
la vendetta del suo nome. Ma al
presente non è necessario di e^po-
nere con quanta divozione oltre
alle sue forze lui accettasse la im-
presa di quella ambasciata, e quanto
virilmente e con quanta felicitade
la conducesse ad effetto e come ,

favoreggiando Cristo la piatosa fa-


tica, le cose ebbono il desiderato
fine, massimamente essendo questo
fatto noto fra li popoli per lo dire
assai ornato di dua non piccoli vo-
lumi; e benché io veda gli animi
degli scrittori essere variamente
affezionati inverso di costui, non-
dimeno nelle cose dubiose seguo
più tosto coloro, che mi paiono es-
sere più degni di fede e che io ,

penso più tosto muoversi per la


dirittura delie cose, che per rispetto
degli uomini.
E volesse Idio, che per lo avve-
nire le cose avessino tal line, quale
allora le ebbono, e che la vendetta
di Cristo fusse stata cosi perpetua,
come ella fu Miro, v che li uomini
,

102
per li loro peccati non fussino ri-
tornati alle antique miserie per la
prosperità di tanta vittoria, clie fu
assai più ignominioso e disonesto
avendo perduto la secunda volta
quello che era nostro, che se pri-
ma non lo avessimo recuperato.
Certamente questo è stato nostro
grandissimo biasimo, ed alli nimici
singulare onore, e a noi porge mi-
nore speranza, e quelli fa più pronti
alla custodia per lo avvenire in-
contro di noi, e dalli maggiore oc-
casione di crudelitade. Ma ora che
piangerò io? Che lamento per me
sarà fatto? Mi dolere io per lo
presepe? Per Io monte Calvario?
Per lo sasso del sepolcro? Per lo
monte Oliveto? Per la valle del
Judicio e per tutti gli altri luo-
chi amati singularraente da Cri-
sto? Dove lui prese la umanità e
venne al mondo, e dove nato pian-
se, e Piccolino andò carponi; dove
fanciullo esercitò i giuochi puerili,
dove pervenuto alla età virile, dette
gli ammaestramenti; dove lui esaltò
lo spirito, che ci vivere nella
fa
eterna gloria, dove giacque morto
e resuscitò da morte a vita d'onde ;

e' discese allo inferno, d'onde ei


103
dove ultimamente con
salì al cielo,
inrevocabile sentenzia giudicherà
li vivi e li morti.
Ora il Cane
d' Egitto, cioè il
soldano, possiede la terra promessa
alli nostri maggiori, a noi tolta, a
noi debita, e se veramente fussimo
uomini, sedia della nostra speranza
e arra della eterna patria. Ohimè !

che cosa è rimasta a noi miseri


oltra il pianto e li lamenti, poi che
li nostri signori cristiani non cer-
cano se non le delicatezze, e li
nostri pontifici non amano se non
le ricchezze ? Li popoli o veramente
servi piangono, o veramente liberi
impazziscono, e ogni uomo è inten-
to alla cura delle sue proprie cose,
e nessuno attende a quelle di Cri-
sto, il speziai patrimonio del quale
in nostra presenzia, e sedendo noi o-
ziosi, è rubato e stracciato. Che
parlo io? perchè dico noi esser
oziosi, che siamo gli più occupati
uomini del mondo? Anzi più tosto
dovea dire, mentre che noi senza
alcuna ragione mormoriamo
e a-
vemo disutili vani pensieri, e
e
per lo fango disonestamente ci
rivoltiamo, stimulati da ogni gene-
razione di libidine; e mentre che ci
104
sforziamo di ritenere le lussurie o
le pompe, che non si fugano da noi,
mentre che noi numeriamo gli da-
nari rubati agli poveri, e ascon-
dendogli in nostro uso gli conver-
temo; mentre che noi edifichiamo
le superflue e inette torre nell'ul-
tima Babilonia, cioè nella città di
Roma, che così merita per li pro-
pri vizj esser chiamata, acciochè
la superbia suggetta a subita mina
salisca al cielo, ed in questo mezzo
non è chi difendi o vendichi la
piccola e umile stanzia di Cristo;
infine mentre che noi poniamo le
insidie alli nostri fratelli, e ofFeremo
il nostro corpo mal difeso e disar-

mato alli crudelissimi nimici, la-


sciandoli entrare nella camera del
nostro Signore. Questo è gran pec-
cato e perpetua vergogna delle
nostre fronti, alle quali senza re-
verenzia noi imponemo il stendardo
di Cristo, cioè il segno della Croce,
per esser così magnifici vendica-
tori delle sue ingiurie, delle quali
con un solo cenno egli certamente
ne potrebbe far vendetta, e forse la
fa con più secreta justizia, vedendo
in questo mezzo dal cielo, quale
è la nostra mente o vero fede:
105
ma noi o veramente siamo troppo
pigri e negligenti, o veramente ar-
demo per li varj e focosi pensieri
delli nostri animi.
Ecco che al presente li signori
e principi della terra, per la smi-
surata cupidità e per lo suo mor-
tale odio contro li Barbari, con
grande instanzia parlano di voler
andare al li lor danni. Io ti concedo
che essi si ragunino insieme: che
utilitade e che bene publicamente
di qui si debbe sperare? Perochè
mai non si raguneranno per fare
la volontà di Dio e del suo Cristo,
né per ubbidire i comandamenti
di quello,ma più tosto per pascere
la sua insaziabile avarizia, e per
satisfare alla sua iracunda voluntà
contra di quelli. Ma io credo che
lasciati questi pensieri di queste
juste e sante armi, forse più tosto
si riposeranno e daranno opera
al sonno e alli lascivi piaceri, pren-
deranno gli disonesti guadagni, e
nel tertipo della pace disarmati spo-
glieranno gli suoi sudditi, che altre
volte essi armati hanno spogliati,
e la licenzia della pace sarà ap-
presso di loro, essendo tale e tanta
necessità di guerra. Tutti amaranno
lOG
la moglie e gli figliuoli, e niuno
amerà Idio o il prossimo. Il pen-
siero degli corpi sarà grande, e
delle anime non si farà conto. Lo
oro, le gemme e le preziose mas-
serizie saranno admiate con gran-
dissimo studio ,e gli ornamenti
delle virtù saranno dispregiati; a-
meranno le proprie possessioni; per
questo verranno alli coltelli e non
dubiteranno di morire,, ma niuno
si troverà, che si muova per lo
universal danno della Terra Santa.
E per che cagione? Perochè egli
è verissimo quello che di sopra
ho ditto, cioè che queste cose pa-
rono appartenersi a speziali per-
sone, m.a quelle altre a Cristo; e
cosi noi cerchiamo la nostra gloria,
dispregiando quella del nostro crea-
tore e redentore. Né ci viene nella
memoria Lucifero esser caduto da
cielo per questi costumi, con li
quali noi oggi speremo di ottenere
il paradiso; e se tu se' tardo a
credere alle mia parole , tu da-
rai fede agli effetti, che non so-
gliono mentire, come si dice. Guar-
da bene e stracorri le provincie,
e cerca ciò che si fa appresso di
noi. Il Francioso e l' Inghilese con-
107
tendono insieme. Venticinque anni
già sono, che non Cristo né Maria,
ma Marte e Bellona, incitatori delle
guerre, regnano fra quelle genti,
ed essendo già allentito (1) da 1' una
e dall' altra parte il ferro, li lor
feroci animi però mitigano
non si
nò divengono umani; e la grande
effusione di sangue dell' una e del-
l' altra parte non ha potuto dimi-
nuire crudeli ardori delle loro
li

ire; e tanto, benché nemico


per
molto minor di potenzia abbia me-
nato prigione nuovamente quello
maggiore di tutti li nostri re, che
é stata cosa contro alla opinione
d' ogni uomo, e non udita nella età
degli nostri avi e degli nostri bi-
savi, nientedimeno per tutto questo
non si pon fine alle discordie, ri-
pigliando" di nuovo le arme il pri-
mogenito del re poco innanti pre-
so; onde come tu vedi, al presente
si apparecchia orribile guerre, e
li eserciti regali si adunano insie-

me, ed il sangue che si dovria


spargere per l' amor di Cristo, é
consecrato alla invidia. Quello ^q-an-
de Spagnuolo si sta fermo, e per

(l) Allentiro manoi nei dizionarj.


108
la sua pigrizia e viltà d' animo,
non senza sua vergogna, pati^(*e
la maestà di Cristo esser crudelis-
simamente bestemmiata e schernita
da coloro che abitano nelle sua
terre in uno piccolo scoglio; ma
quest' altro che abita le ripe del
nostro mare, niente altro desidera
e pensa, che a 1' oro di Viniziani
e al sangue de' Genovesi, assenti-
tore delle voglie di quelli per ri-
spetto della avarizia, che a ciò lo
induce, e nemico di questi altri ;

legato da quelli con T oro e da


questi altri unito col ferro. L' al-
tro ultimo di tutti li re è divenuto
sordo per lo grande strepito delle
resonanti inondazioni del mare 0-
ceano, per modo che tanto da lunge
non ode li nostri sospiri, ed essen-
do seppellito neir ultimo Occidente,
niente si cura di ciò che in Oriente
si faccia.
Questo nostro Cesare, tolto su-
bitamente la corona, se n' è ito in
Alamagna, contento di starsi nasco-
so nella patria, e contento di aver solo
il nome dello imperio , abbraccia
le membre e dispregia il capo di
quelle; colui che noi speriamo dover
recuperare le nostre cose i)erdute,
100
non ha ardire di difendere il suo
proprio, e fuggendo coloro che non
lo perseguitano, teme di accostarsi
allisanti abbracciamenti e alla fac-
cia della bella Italia sua sposa,
come se alcuna cosa più nobile si
trovasse sotto il cielo. Certamente
il mio credere caldo e temerario,
che forse ardisce d' andar più là
che non si conviene, lo stimò esser
degno di resprensione. Egli con
sacramento afferma d' aver giurato
alla Chiesa di non star più che
uno giorno drento da Roma.
giorno pieno d' infamia, o patto
vergognoso, o Dio, o Santi! Ecco
il sacramento, ecco la rehgione,
ecco la pietà! Il pontefice romano
per tal forma ha abbandonato la
sua Roma, che non vuole che per
altrui la sia frequentata, e di que-
sto è venuto a patti con lo impe-
radore romano; e perchè? Io non
so, e se io lo sapessi, delibero di
tacerlo. Questo si può dire, che ta-
cendo me, la cosa parla, che colui
che toglie V abitatore alla città,
volentieri li induceria V aratro, e
quella in tutto disfarebbe se po-
tesse;ed in questo lui consideri
quanto la sua voluntade sia one-
no
sta e giusta. La Germania non
studia in altro, che di soldare e
d' armare latroni a destruzione del-
la sua republica, e dalli suoi nugoli
manda continova pioggia di ferro
nelle nostre terre. Non diniego que-
sta esser cosa degna e conveniente,
perochè così interviene a chi così
vuole. Essa Italia si consuma e di-
sfassi con le sue propizie forze, e
se avviene che alcuna volta la re-
spiri, la cupidità dello oro, più po-
tente che r amore di Cristo, occupa
gli animi degli uomini, traendoli
per tutte le terre e per li mari.
La Grecia è mal consigliata per
li suoi errori, o vero contraria e
nimica alle nostre superbie, dispre-
gia r antico pecorile e li nostri pa-
scoli.
Superflua fatica sarebbe a par-
lare degli altri regi e degli altri
signori delle terre e degli nostri
sommi pontifici, perochè sono co-
se molto divulgate, e questo è il
stato della Europa. E' mi grava di
proceder più oltra ma pur è ne-
,

cessario di toccare le piaghe, le


quali benché siano longi dal capo
e dalli membri spirituali, nondimeno
per la invecchiata e longa negli-
Ili

genziasono incanente (1). Angustino


certamente nato in Affrica, nelle sue
Confessioni dice il libro di Omero
parerli difficile ad intendere, pe-
rochè egli era scritto di lettera
estranea, e quel di Vergilio parer-
li facile per rispetto della lingua
latina. Ma ora va, e col veloce pen-
siero misura tutta la Affrica, e
transcorri dal fiume del Nilo al mare
Atlantico penso che tu non trove-
:

rai quivi alcuno, che conosca le no-


stre lettere o che le ami se egli ,

non è per avventura forestiero o


mercatante o prigione. leronimo,
scrivendo ad Evandro conferma,

che oltre alla Francia e la Inghil-


terra, che sono provincie del nostro
. mondo, la Affrica e la Perside e lo
Oriente e la India e tutta la Bar-
beria adorava solo Cristo, e conser-
vava la sola regula della verità.
Quanto questo sia oggi vero non .

è bisogno a dirlo ma acciò eh' io


;

tocchi una testimonianza più fresca


della nostra vergogna, non si ral-
legra Gregorio che nella sua età
,

tutta la Asia credeva a Cristo? Ma

(1) Incancrire non é voce registrata nei.disio-


narj, bensi iucaocherare e incaucherire.
112
ora ^e tu cominciando dalla sinistra
parte del fiume Tanai, e andando
per li longissimi circuiti del lito
orientale pervegnirai alla destra
,

ripa del Nilo ; e se tu esaminerai


diligentemente tutti gli uomini, che
abitano fra questi termini di terre
e di mare, benché frose alcuno gli
sia, che abia nella bocca il nome
di Cristo, nientedimeno, secondo il
mio credere, tu non troverai chi
abia la vera fede di Cristo nel cuo-
re , se non di quella generazione
ch'io ti ho detto di sopra, cioè o
peregrini, o mercatanti, o incarce-
rati.
Ma per produrre eziandio il
quarto testimonio a confìrmazione
della chiarissima veritade, il pre-
detto Gregorio narra nella sua eta-
de tutte le chiese essersi concor-
date in questa vera fede e religio-
ne di Cristo; e acciò che noi comin-
ciamo dalle ultime, non solamente
quelle che sono poste nella Spagna
e in Inghilterra e in Francia e in
Sardigna e in Cipro e in Candia e
in Dalmazia, ma eziandio tutte quel-
le che sono in Capadocia e in Misia
e in Macedonia e per tutta la El-
ladia. 01 tra di questo le lettere di
,

113
Atanasio fidele in Cristo, mandate
a Joviniano Augusto, che non par-
lano secondo la fama, ma secondo
la propria verità, cognoscendo lui
la opinione di tutti per esperienzia
e per lo pegno del scrivere fatto
da quelli, e per la notizia che lui
avea degli uomini, testificano tutta
la Affrica, la Panfilia, la Licia, la
Isauria, lo Egitto e la Libia e la
isola di Ponto e quasi tutto 1' Orien-
te, eccetti pochi imitatori dell' aria-
na setta, universalmente vivere se-
condo la cristiana fede. Se forse
questo fatto ha bisogno di più te-
stimonj, Ambrogio nel secondo libro
della Vocazione di tutte le genti, e
dopo lui esso Angustino nel nona-
gesimo quinto salmo, narrano le
confine della fede cristiana dilatarsi
più oltra che quelle del popolo di
Roma, ma che il popolo che regnava
col ferro in mano, quasi arebbe
potuto subjugare la natura, se la
fede di Cristo non fusse proceduta
dal legno.
Se noi vogliamo intendere lo-
ro aver parlato non di questo
che al presente non è imperio ,

ma certa imagine e ombra (li im-


perio, volesse Idio, che ({uosto me-
S
114
desimo nelli nostri tempi veramente
si potesse dire. Cèrtamente tutta
la Affrica, la Persia, la Siria, lo
Egitto e quasi tutta la Asia, e fi-
nalmente ( che più ne debbe gra-
vare ) la maggior parte d' Europa
nelle sue superstizioni non impaz-
ziranno , perochè, come referiscono
dignissimi autori, ninna parte del
mondo mancò a quello antico impe-
rio romano, eccetto pochi luochi,
posti neir ultimo Oriente. Ma noi
non tememo quasi cosa alcuna, se
non alquanto dello Occidente. Esa-
minate diligentemente queste cose
ciascuna da per sé e tutte insieme,
io stimo non esser alcuno tanto fi-
dele e tanto inviluppato nella giu-
daica perfidia, che non intenda e
conosca quanta autoritade e quanta
fede si debba dare a quegli nostri
lamenti nientedimeno Angustino,
;

quasi nel principio del libro della


Vera Religione, in poche parole
comprende ciò che tutti costoro di-
cono, e qualche cosa più. Egli dice:
« Le sacre cerimonie degli Cristiani
sono udite per tutte le parti della
terra abitata dagli uomini. » Questo
dire è brieve, ma a noi tristo e la-
crimoso, e per la sustanzia del qua-
,

115
le facilmente tu puoi misurare la
gran somma di tutto il nostro dan-
no e della dolorosa perdita per lo
mancamento della nostra fede.
Ma che bisogna eh' io mi fondi
nelle testimonianze di particular
persone? Leggasi le istorie ec-
clesiastice; quanti nomi di catolici
prelati da mille anni innanti ti
occorreranno, che dalle parti del-
l' ultimo Settentrione o dallo Orien-

te dal Mezzo giorno sono andati


a fortificare e a divulgare la sa-
cra dottrina di Cristo in luochi
dove non voglio dire alcuno ve-
scovo , ma alcuno uomo cristiano
al presente non abita? Ed acciò che
io passi le cose più leggieri, e ta-
cia le altre cittadi, che hanno avuto
quel medesimo principio e quel me-
desimo fine, quella venerabile città
di Nicea, dove 1' apostolico fonda-
mento della fede con tante vere e
suttilissime ragioni fu ordinato o
confirmato da quelli veraci e santi
vecchi, ora insieme con tutta la
Bitinia, della quale essa Nicea è
parte, è posseduta dalli inimici del-
la nostra fede. Siamo noi cosi go-
vernati e retti? K questo il pen-
siero, che hanno gli nostri principi
116
della repubblica? Desideriamo noi
per tal modo le altrui cose, che
noi perdiamo le nostre? Certo nelle
altre occurrenzie o col silenzio o
colla oblivione facilmente consolo
me stesso; ma che dirò io a te o ,

Jerusalem tradita e abbandonata?


Noi portiamo di continovo questa
fresca piaga negli occhi e nella
fronte questa vergogna non si può
;

nascondere, né fingere che così non


sia. Il peso del danno è a noi al-
quanto più leggiero che quello della
vergogna. Ma è questa la speranza
della salute? È questo lo studio
della gloria? Sono così gittate sotto
i pedi le cose sacre? Ed essendo
infermi gli membri, debbe ora es-
ser così stracciato il nostro capo
dal Cane d'Egitto? Intraranno gli
piedi degl' uomini scelerati nel san-
tuario di Cristo, comportando esso
pazientemente le sue ingiurie per
nostra gran vergogna o vero for-
,

se vendicandole occultamente, co-


me sopra ò ditto? Sera adunque
alcuno, che in questi tanti e tanto pu-
blici e comuni mali abia ardimento di
sminuire la gloria di quelli antichi
Romani, e contaminare e imbrat-
tare la propria bocca con così fatte
,

117
bugie? Oh noi al tutto indegni di
esser favoriti dal cielo con tanta
benignità senza alcuno nostro me-
rito! veramente doni della divina
grazia? *
Deh! dimmi poi eh' io sono
,

tirato dalla acerbità del dolore e


dalla ardente fiamma dell' animo
e poi che il dolore è ardito e lo
sdegno è loquace, e poiché noi sia-
mo caduti in larga e grassa mate-
ria di lamenti, dimmi, padre, con-
ciosia che mi giova di dimandarti,
se Julio Cesare tornasse oggi dallo
inferno, riportando quello animo e
quella potenzia, e vivendo a Roma,
cioè nella sua patria., e cognoscen-
do il nome di Cristo, come senza
dubio si debbe credere giudichia-
,

mo noi eh' e' patisse che '1 latrone


d' Egitto, e che li disonesti e la-
scivi abitatori di Canopo, umile
città d' Egitto, possedesse non dico
la Jerosolima e la Judea e la Siria,
ma esso Egitto e Alessandria? Pur-
ché egli si raccordasse sé aver
tolto non ad Uno tiranno ma a le-
,

gitirao e justo re ii reame e la mo-


glie e la vita insieme, e sé aver
domato con suo pericolo quelle ter-
re per donarle a Cleopatra. Io non
118
cerco quanto j ustamente questa
cosa fusse latta da lui ma più to-
,

sto mi maraviglio di quello animo


e di quel tanto vigore e gagliardia,
e dico che lui seria necessario agli
nostri tempi, perochè avendo do-
nato quel tale e così grande pre-
gio dello adulterio alla concubina,
latto lldele cristiano, restituirla il
suo a Cristo, dal quale e' conosces-
se d' avere ricevuto lo spirito , ed
esser per dover ricevere la eterna
gloria. Se Cesare Augusto se V uno
,

e r altro Scipione affricano, se Pom-


peo magno, acciò eh' io tacia mille
altri valorosi uomini , al presente
russino cristiani, e ritornassino vivi
in quella medesima città, potreb-
bono loro patire questo danno e
questa vergogna? Quel primo Sci-
pione, molti anni innanti, con la
maestà del suo nome quietò la Spa-
gna desiderosa di novitade; gli altri
dui secondi, delli quali V uno fece
la Affrica tributaria, e V altro dis-
fece Cartagine, il terzo che vinse
Antioco e subiugò gran parte dello
Oriente, senza dubio se fussino al
presente , seriano imitatori della
nostra fede, e non lasceriano di-
spregiare così vilmente il nouic!
119
del suo Cristo. Perochè se essi, pri-
vati della santa luce della verità,
feciono così gran fatti per amor
della terrena patria, che non esti-
miamo noi che loro fussino per
dover fare felicemente per la eter-
na, avendo Cristo per suo duca e
guida? Ma li nostri valorosi capi-
tani nelle loro camere più forti che
leoni, e nel campo più timidi che
cervi, cogli animi feminili disone-
stano le virile faccie, prontissimi
alle guerre della notte, pigri e dis-
utili alle altre, e a ninna altra
cosa animosi, se no)i allo studio
della lussuria e allo odio della
virtù, e perseguitano e dispregiano
coloro, le buone opere delli quali
essi non sanno né possono imitare,
e li quali essi dovevono almeno
avere in reverenzia; e se con lo
effetto non potevano, almeno con
la buona volontade si doveano sfor-
zare di tacitamente seguirli.
Ma questa non è cosa fuori
d'usanza, se gli esempli della virtù
sono molesti e dispiacciono agli ini-
mici di quella, o veramente se lo-
ro in molte cose favoreggiatori di
Maumeto, in questa eziandio s'ac-
cordano con esso lui. Certamente,
120
secondo eh' io vedo essere scritto,
lui sopra tutte le altre città bene-
disse Mecca e lerusalem, e ha ma-
ledetto Roma e Antiochia; e per-
chè mi piace col pensiero cercare
le cagioni delle sue impietadi, io non
mi maraviglio del proposito suo in-
verso di Mecca e di Roma. Concio-
sia che non è cosa nuova, se il mec-
co (1), cioè lo adultero e scelerato
uomo, amò la città chiamata Mecca,
che in nostra lingua se chiama a-
dultera, abitacolo d'ogni crudelita-
de e d'ogni vizio pieno, e degno
albergo del suo corrotto e lussu-
riosissimo corpo, perocché quivi è
sepelito il scelerato latrone, dignis-
simo d'ogni infamia. E certo que-
sto manigoldo, adorato in mezzo
della sua gente, con reverenzia al
tutto indegna di lui, aria meritato
d'esser più tosto sepelito nelli cor-
pi delli lupi e delli corvi. Onde noi
ci abiamo grandemente da dolere,
che il sepolcro di Cristo, posseduto
senza alcuna reverenzia dalli no-
stri nimici, rare volte e di nasco-

(1) Dal latino moechus. // Voraholariodel Trn-


matcr. citando di qucata voce un' esempio tolto
dal Mor{,'anle, dice che il Pulci pone iiiecco jht
meco n caqion della rima.
121

sto è visitato dalli fideli, non senza


suo gran pericolo e con vergogna
per le ingiuriose parole dette dai
barbari, e con il pagamento del tri-
buto.
Dall'altra parte che miracolo
è, se lo artifice della scelerata
superstizione ha in odio la santa
cittade, capital nimica delli suoi
pessimi costumi, bagnata del santo
sangue degli martiri, ed eminentis-
sima rocca della religione e della
fede, massimamente temendo lui
di qui poter venire, come è veri-
simile, speciale e certa destruzione
alla sua venenosa e maledetta
legge e similmente raccordandosi
;

tante mine e tanti dolorosi casi in


diversi tempi di questo luogo esser
proceduti a disfazione delli Persi,
delli Medi, delli Egizj e delli Cal-
dei e delli Arabi, suoi antiqui geni-
tori ? La paura e il dolore fumo
cagione, ch'egli odiasse quasi giu-
stamente gli Cristiani. Più mi ma-
raviglio, se egli non ebbe in odio
la solitudine vicina al Nilo, dove
avea udito li Antoni! e li Macarii
aver fatto tanti miracoli e dimo-
strato tante virtù col solo nome di
Cristo; e corto io non dubito, quel-
122
lo maestro delli disonesti piaceri e
inventore della abominevole libidi-
ne averle odiate; questo mi sta
nell'animo, onde io possi pensare,
che sii proceduto il suo amore in-
verso la lerosolima e l'odio incon-
tro ad Antiochia ma parmi dover
;

credere, che lui si rallegrava d'a-


ver amato quella città, cioè leru-
salem, quasi come luoco participe
del suo odio e della sua invidia
incontra di Cristo, dove e' si rac-
cordava tante villanie, tanti fla-
gelli e morte tanto crudele esser
stata patita da Cristo, suo contra-
rio e nemico, benché forse per la
maestade e per la gloria del nome
di quello lui non aria ardire di
parlarne in publico contumeliosa-
mente. L'amore inverso la predet-
ta città, generato nel bestiai cuore
per la morte di Cristo, senza dubio
dovea esser cessato per la resur-
rezione di quel medesimo; ma l'uo-
mo senza sentimento, e nimico del-
la vera religione, e cieco per la cu-
pidità di regnare, non la intendeva.
La cagione perchè l'odiasse Antio-
chia, stimo che fusse, che '1 cogno-
me della Cristianità di qui prima-
mente pigliassi origine, il che di-
123
mostrano gli Attidegli Apostoli, e
Pietro apostolo, amico di Cristo e
duca e gonfalonieri della squadra
cristiana, in quella cittade ascese
la prima cattedra del papato, qua-
si come runa di queste, in quanto
li fu lecito, abia oppresso e Cristo

e il suo nome, e l'altra abia esal-


tato il nome e il vicario di quello
con famosa e santa reverenzia. Cer-
tamente io penso ninno luogo esserli
stato di maggior abominazione di
Betlem, e che lui uomo indotto, ma
per natura e per ingegno e per mali-
gnitade astutissimo, abia taciuto il
nome di quella terra, acciò che non
paresse esprimere le troppo aperte
e manifeste cagioni delli suoi odj.
Basti fin qui d'aver fatto que-
sta digressioncella, a me grata e al
lettore forse non ingrata, secondo
ch'io credo. Ora è tempo che noi
ritorniamo d'onde ci dipartimo.
Io adunque, costretto dagli acu-
ti stimoli del dolore, il che sola-
mente ho potuto, mediante la ro-
vente e affocata punta delle lette-
re, con questo perpetuo signo di
infamia voglio aver marchiato gli
nostri popoli e li nostri i)rincipi,
rhe inviluppati circa tanti ju^nsie-
124
ri anzi dannosi e poco de-
inutili,
voti, dispregiano questa onesta e
debita e speziai cura della patria :

io dico della eterna e della nostra


Jerusalem, e non di questa che è
in terra, ma di quella che è di so-
pra in cielo, madre nostra, d'onde
noi siamo ora sbanditi, della quale
questa che rapresenta la imagine,
se per sé medesima sera da noi
bene estimata, non diremo che ella
sia nostra patria. E parrà a noi,
che meritamente 1' abia sostenuto
queste avversitade, e che ella sia
degna di più grave odio; conciosia
che col temerario sacrilegio e col
crudele e maladetto consentimento
abia crocifìsso il suo Idio, disceso
in terra con umil vesta, cioè della
carne umana, per salvarla, benché
egli fusse molto resplendente per
la grande e singular luce degli in-
finiti miracoli e sebene questa im-
;

pietade fusse a lei pestilenziosa,


nondimeno la fu utile al mondo,
perochè ella dimostrò alle genti
quello posto in croce, quasi come
da luoco più alto, il dovesse essere
adorato.
Ogni cosa non si debbe fare
per la defensione di ciascuna pa-
125
tria benché alcuni
, che hanno
,

avuto questo ardire e questo pro-


posito, siano levati al cielo con
molte lode. Delli nostri sono loda-
ti Bruto, Muzio, Curzio, li Decii, li
Fabii e li Cornelii, che per 1' amor
della patria sparsono il lor sangue.
Simil virtù degli estranei merita
eziandio simili generazioni di lode.
la città di Atene loda Codro e Te-
mistocle, Lacedemonia loda Leoni-
.da, Tebe il suo Epaminonda, Car-
tagine li fratelli Fileni, e altre cit-
tà lodano, li suoi cittadini. Se di
costoro tu dimandi il mio parere,
dico che la republica celeste si deb-
be amare, che non è confusa e per-
turbata per le importune e disor-
dinate grida del tribuno, né per le
discordie del popolazzo, né per la
superbia del senato, né per la in-
vidia delle parti, né per le guerre
civili, né per le guerre di fuori.
Qualunque ha dato il proprio san-
gue per questa, é buono cittadino,
e non dubita d'averne degno pre-
mio.
Non creder però eh' io stimi
questa patria temporale e terrena
dover esser abbandonata, per la
defensione della quale noi siamo
,

12(>

eziandio obligati di combattere


se il bisogno il richiede, purché la
justizia rega , e che ugualijiente
sieno osservate le leggi, quale Sal-
lustio e Livio e molti altri hanno
scritto in alcun tempo essere stata
la republica de' Romani. Cicerone,
nelli suoi libri scritti della Repu-
blica,con gran veemenzia e con
gran copia disputa sopra di ciò,
ponendo in questione se il popolo
di Roma j ustamente subiugò li al-
trireami. Io facilmente consentiria
alsuo dire, cioè la forza fatta al
mondo per sottomettere le genti,
bench'ella fusse violenta, nondime-
no essere stata justa, perochè a li
sforzati e vinti era utile che fusse
uno solo capo di tutte le cose, che
fusse degno, ottimo ed eccellente
e al mondo veramente necessario,
quantunque nel primo gusto por-
gessi qualche asperitade. Ma quel
ch'io dirò, contrasta grandemente
a questa sentenzia, conciosia che
se bene li Romani conservavano
la justizia fra gli uomini, dando a
ciascuno per li suoi meriti, e go-
vernavansi con quelle arti, che de-
scrive il gran poeta Virgilio, cioè
imponendo buona consuetudine di
127
pace, perdonando alli sudditi, do-
mando con guerra li superbi, e
come dice quello medesimo Cicero-
ne in altro luogo molto nobilmente,
conservandosi lo imperio di Roma
per la via delli benefizj, e non per
ingiurie, e facendosi le guerre o
per la defensione delli compagni o
dello imperio e conciosia che '1
;

fine delle guerre fusse benigno o


necessario, e la città di Roma fus-
se porto e refugio degli regi, degli
popoli e delle nazioni, e il nostro
Senato e gli nostri officiali e capi-
tani si sforzassino d'acquistare gran-
dissima lode per la defensione del-
le delli compagni
Provincie e con
justizia econ fede; senza dubio
quel tal governo più veramente
poteva esser chiamato patrocinio e
pubiica defensione.
Dico adunque, consentendo a
queste parole, che la justizia e la
innocenzia delli Romani inverno
gl'uomini a quel tempo fu gran-
de, ma tuttavia non si dubiti loro
esser stati injusti contra di Dio,
a cui non aVeano tolto alcuna
cosa piccola leggiera
e ma sé ,

medesimi facendo furto al Si-


,

gnore di sé stessi a modo di servi


fuggitivi, e dando iilli inimici di
quello lo onore appartenente alla
sua deitade; la qual cosa è gravis-
sima spezie di furto e molto mag-
giore injustizia, che se la antiqua
possessione o vero altro fusse per
forza tolto al vicino. Questo luoco
fu disputato, e con gran diligenzia
trattato da Angustino nelli libi'i
della sua celeste Republica. INIa se
alcuno sarà nato in una patria in-
justa e di cattivi costumi, come al
presente sono quasi tutte, sarà lo-
dato colui, che per cosi fotta pa-
tria non averà dubitato di spende-
re la vita? Mai no, perochè ninno
mi dica quello uomo esser degno
di lode o di memoria che colla
,

propria morte ha acquistato la pu-


blica impunità delle sceleritadi alli
malvagi uomini e alli cattivi cit-
tadini; e se bene noi legiamo molti
per questa cagione esser stati glo-
riosi,nondimeno io dirò questo ta-
le essere prodigo della vita ed es-
ser mòrto dua volte, perochè egli
ha gittato via il corpo insieme e
la anima, e ha perduto la vita e-
terna. Dell'altra parte a ciò eh' io
non vadi più lungi, se in noi fusse
qualche parte di pietade o di justi-
129
zia, quale è quella cosa, che iioi non
dovessimo debitamente dover ardi-
re di fare per rispetto della cele-
stiale Jerusalem, per quella perpe-
tua patria, che ci promette beato
abitacolo senza fine, senza fatica,
senza ansietade d'animo, senza pau-
ra e finalmente senza alcuna mo-
lestia, e dove ninna cosa abita, se
non onesta e pietosa e justa?
Ma io son già partito più lungi
dal mio primo proposito, che non
fece questo nostro Pietro dalla sua
patria, e lo essermi occorso nel-
la memoria questo solitario vec-
chio m'ha fatto tanto animoso, ch'io
ho rimproverato e gittato in occhio
ahi principi e alli popoli occiden-
tali questa nostra vergogna, che è
proceduta dalle parti d'Oriente; e
in questa faccenda Dio voglia che la
mia mano sia di tanta efiicacia e
di tanto valore, quanto fu la lingua
del prenominato Pietro per la salute
e per lo onore degli fideli di Cristo.
Son certo che questa cosa e da me
in vano desiderata, e più tosto du-
bito eh' io non para essere stato
troppo importuno e troppo audace
nel mio parlare, massimamente fra
coloro che reputano la libertà del-
9
,

130
V anima esser temeritade, e il dire
il vero procedere da mente furiosa,
e che stimano ogni buono raccordo
e ammaestramento esser dato per
farli ingiuria. Accettino le mie pa-
role come gli piace; io certamente
per questo mio dire e per questa
digressione alleggierito alquanto del
grave e dispiacevole fascio delli la-
menti, più pronto ritorno alla via
della principiata narrazione.

CAPITOLO XXVIII.
E perchè dimoro io tanto longa-
mente nel parlare degl' uomini di
minor condizione? Quello Giovanni
santificato nel ventre della matre
grandissimo fra li figliuoli delle don-
ne, il quale mandato da Cristo, che
dalla somma altezza del cielo do-
veva venire in terra, venne innanti
a quello come ambasciadore al suo
re, e come banditore al suo judice,
e come aurora innanti al giorno, e
come Lucifero innanti al sole, non
si tenne mai esser sicuro, finché
nella tenera etade non si fu occul-
tato nelle spelonche del diserto.
131

CAPITOLO XXIX.
Maria Magdalena fece questo
medesimo dopo il peccato, che non
volse esser veduta lungo tempo fra
li popoli, né elesse di abitare nelli
gran palazzi, ma fuggendo la patria
e venuta in queste terre, dove io
ora sono, come in un'altro nuovo
mondo, perseverando fino alla morte,
qui stette nascosa; e per sua casa
ebbe quella nuda e cava grotta, che
io penso che tu abia veduta, però
che ella non è lontana da queste
parti, e il luoco è venerabile per
un certo timore pieno di santitade,
e merita d' esser visitato da coloro,
che v>engono di lontani paesi.
Quivi mi raccordo io essere
stato spesse volte ed esserli dimo-
rato tre giorni e altretante notte
con molto maggior piacere, che non
si suole pigliare nelle cittadi. La dolce
e felice albergatrice di Cristo visse
e morì in questo luoco (1) san za com-
pagnia di donzelle, che la servissino
e che la ajutassino ad ornare, ma

(l) Su questa spelonca il Petrarca scrisse un


bvere poema elagiaco.
132
gli Angioli di Dio continovainente
stavano apparecchiati e presti al li
suoi comandamenti. Alcuno qui dirà:
«Marta sua sorella non fece alcuna
di queste cose, e pure è santa.» Io
non lo niego, ma certamente Maria
che le fece, è molto più santa. Ella
fu adunque ragionevolmente lodata
d'aver fatta la elezione della miglior
parte da quel sommo e infallibile
estimatore degli fatti degli uomini;
che s'egli è vero ciò che affermano
gli uomini dotti, cioè oltre alla
propria essenzia della verità il mi-
sterio e il santo esercizio della
doppia vita, cioi attiva e contem-
plativa, contenersi sotto la coperta
efflgurazione di queste dua sorelle^
ninno dubiterà che per lo judizio
di Cristo la vita contemplativa non
sia preposta alla vita sollicita e at-
tiva, e eh' ella non sia da esser
preferita, specialmente per la ele-
zione delli fìdeli di Cristo.

CAPITOLO XXX.
Chi si meraviglia adunque, se il
peccatore, assediato da ogni lato da
tanti nimici, e raccordeyole della
sua imbecillità, e ammaestrato per
,

133
molti esempli non solamente umani,
ma eziandio divini, desiderosamente
fugge nelle sicure latebre? Ed es-"
sendo tutte le altre nostre ragioni
buone e ferme circa la defensione
della vita solitaria nientedimeno
,

questa è la principale e inespugna-


bile, che il nostro Salvatore, fon-
tana di tutti gli solitari esempli
benché egli non avesse bisogno di
solitudine, né temesse che con-
la
versazione gli fussi nociva, pure per
confìrmare la sua dottrina collo ef-
fetto, salì al monte per fare ora-
zione; solo adorò, digiunò nella so-
litudine, e vinse nella solitudine il
demonio che lo tentava, e poi vinse
quello medesimo fra la moltitudine,
benché a 1' ultimo per sua propria
voluntade fusse occiso dagli inimici.
Lui saziò mirabilmente duo volte
nella solitudine con pochi pani e con
pochi pesci la inestimabile e all'a-
mata turba, non sanza grandissimo
miracolo degli rilievi. Esso uditala
morte di Giovanni, andò alla soli-
tudine, come al luoco di consola-
zione e di pace e finalmente am-
,

maestrò le brigate nella campagna.


Egli fu transfigurato nclPalto monte
flove sopra di lui risonò la voce
134
dello eterno Padre fece orazione
;

eziandio nel monte per tutto lo spa-


zio della notte, e la seconda fiata,
dovendo orare e morire andò al
,

monte, e dilungato alquanto colli


suoi discepoli, cercò luoco più soli-
tario alle sue orazioni, insegnandoci
collo esemplo, che noi eziandio nelli
nostri affanni e nelle nostre avver-
sità si dovessimo ridurre alla so-
litudine. Quel medesimo, dispregian-
do colui che li offeriva il gran rea-
me, solo fuggì al monte, e nella so-
litudine schifò il pericolo delia mor-
te, non essendo ancora venuta la
sua ora, acciò che ne insegnasse di
far poco conto della lusinga, della
fortuna e di fuggire le sue minacele
nella solitudine, e con alto animo
dispregiar quella.
Se queste cose sono vere, e s'elle
sono manifeste per le testimonianze
delli Evangelisti, dubiteremo ancora
noi uomini di Cristo, che opinione
debba esser la nostra della solitu-
dine, della quale noi sapiamo il no-
stro maestro e duca e signore aver
sentito così come si vede? Il cor-
riero che venne innanti a lui, cioè
Giovanni Battista, come è detto,
dal principio della sua età fece la
135
vita nel diserto, e tanti suoi amici
prima aveano eletto, e da poi ezian-
dio elessono questo modo di vivere.
Ultimamente la sua madre vergine,
gravida di Dio, subitamente si ri-
dusse a luochi montani, portando
nella solitudine il beatissimo peso
del santo ventre, inanti eh' e' na-
scesse, e certamente ninno fidele
dubita jl Spirito Santo esser stato
guida di quella.

CAPITOLO XXXI.
Noi non vogliamo né eziandio è
necessario narrare e inchiudere in
così piccola carta ciò che si po-
tesse dire della solitudine; ma cer-
tamente per le cose raccontate da
noi, e per le simile a quelle gran-
dissime lode di questa si vede e ,

abiamo stimolo ed esemplo ad imi-


tarla. Qualunque udirà ciò che noi
dicemo, farà quello medesimo, se la
sua mente sarà disposta di seguire
la voluntà di Dio, né per diversa o
per altra via sarà condotto ad un
buon termine e sicuro porto di sa-
lute, perochè ninna altra via è più
diritta e più utile di questa; ed in
verità sì come noi siamo differenti
136
dal proposito e dalla opinione e
dagli studj del popolo, così è con-
veniente che noi siamo separati e
divisi da quello per la distanzia e
per la dissirailitudine degli luochi.
Diversi abiti si confiinno a diversi
animi, e le stanzie sono differenziate;
le cose contrarie Tuna da l'altra
il più delle volte non^si meschiano
^ felicemente insieme^^oi dovemo a-
mare Usolitudine, e dovemola ri-
cevere in nostra famigliarità non,

solamente per cagione della onesta-


de, ma eziandio per poter vivere
più sicuri, perchè come nelli boschi
rare volte abita la lussuria e la
pompa del mondo, così rare volte
si vede la modestia nelle cittadi.Che
vale la ragione o la virtù, dove si
vive e regna con di^nesti eiempli
/ e cattivi consigli^H^ve le false opi-
nioni occupano ogni cosa, e dove la
mala consuetudine signoreggia e ;

dove quasi ciò che diletta, e tutto


quello che debitamente si doveria
fare, da cieco e maligno errore è
inviluppato; e dove non si cerca
ciò che si convenga, ma ciò che si
suol fare, overamente si richiede
ilparer di molti, di che niuna te-
stimonianza è più fallace.
137
Qualunque adunque che tu ti sii,

che seguiti la virtù o fuggi il vizio,


credimi che il dimorar fra gli popoli
ti tegnirà in dubio, se tu debbi ab-
bracciar quella, o se tu debbi esser
posseduto da questo. Che vederai tu
nella moltitudine^ se non discordie,
adulterj, inganni, ingiurie, furti, ra-
pine e omicidj? Queste arte ti riceve-
ranno nella prima intrata di quella;
queste cosi fatte imagine ti vola-
ranno intorno al capo; questi esem-
pli ti si mosterranno ad ogni lato
con gran strepito. Grandissima dif-
ficultà sarà , benché tu sii stato
un' altro, a non divenire tale, quali
sono coloro che tu avrai trovati.

CAPITOLO XXXII
Ed acciò che forse migliore spe-
ranza non ti allusinghi, come se
tu fussi per dover udire o vedere
altrimenti che quanto io dico, o
veramente come se tu fussi per
dover rimanere col pie constante
e fermo fra tante cose lubrice e
atte a farti cadere per lo esemplo
d' un grande uomo, che fu nella
età manco nocente, impara ciò che
per te si può sperare. Certamente
138
David era re e santo e savio e
profeta, e nondimeno esso addo-
lorato e conturbato e gravemente
oppresso per la paura della morte
e coperto di tenebre, non vide al-
tro che iniquitade e fatica e in-
justizia in mezzo della città, e la
usura e lo inganno, che mai non
cessano nelle piazze di quella. On-
de quello governatore di tanti po-
poli,per la propria salute fuggendo,
si dilungò da quelli e rimase nella
solitudine, aspettando il Signore,
che lo fece libero e salvo della
tempesta dell' animo. Conciosia che
si raccordava il reame esserli sta-
to offerto dalla divinità nel diserto,
e non solamente per judicio di
Dio sé essere stato preferito a'
suoi fratelli , che viveano nella
gran corte della cittade, ma il re
eziandio, che aspramente V odiava
ed erali contrario, dna volte esser
pervenuto nelle sue mani nel mez-
zo della solitudine e delle spelon-
che, e quel medesimo essere stato
lasciato da lui con dimostrazione
tanto manifesta della sua innocen-
zia, che il dispiatato animo del re,
vinto per lo benefizio della conces-
sa vita, fu indutto e sforzato a
139
piangere poi che lo riconobbe al
segnale della giornea, e per la lan-
cia che da lungi gli fu mostrata.
Oltra di questo fra sé medesimo
pensava d' aver vinto due volte il
gran nimico nel diserto, e due
volte sé essere stato vincitore del-
l' animo suo, della qual vittoria
ninna altra é più nobile.
E non meno si riduceva alla
mente, come in Jerusalem, vinto
da strabocchevole libidine, egli avea
congiunto la scelerità indegna della
maestà regale e il vile inganno, e
il crudele omicidio con disonesto
adulterio. Facea comparazione del-
la sua sorte a quella della
civil
solitudine di Isaac, pensando che
come quello doppiò il mezzo gior-
no uscito nel campo per poter
pensare e contemplare .e andan-
,

do a spasso per la via , trovò


il felice e casto matrimonio, non
altrimenti la crudele e superba
voluntade e la misera occasione,
di che egli si avea a pentire, di ver-
gognare lo altrui matrimonio, ven-
ne in lui, mentre che dopo il sonno
del mezzodì elio andava per suo
piacere nella sala della regal casa.
Non sanza ragione adunque lui si
140
affrettava di ridursi nel sicuro e
felice diserto per fujgire la perico-
losa e infelice città.
Se noi intendiamo questo esser
detto per Cristo, come alcuni vo-
gliono il
, fatto nostro per tale
argumento è molto più fortifi-
cato, perochè Cristo è maggiore
non solamente di David, ma senza
comparazione è maggiore di tutte
le altre cose.

CAPITOLO XXXIII
Certamente acciò eh' io congiun-
ga leultime parole di questo par-
lare colle prime, e' si debbo giu-
dicare non senza cagione essere
scritto, che il Signore menò fuori
Abraam e dissegli: « Guarda suso al
cielo, » perochè lo è necessario a
mio parere, che colui che vuol ve-
dere il Cielo e contemplare le cose
divine, sia menato fuori; conciosia
che la vita dell' uomo mortale si
oscura e impedisce per la occor-
renzia di molti mali che sono nelle
cittadi, dico eh' elio è necessario
che sia condotto fuori di quelle,
ma che Dio sia il suo conducitore,
altrimenti non sera securo in al-
141

cuno luoco, seguendoci le nostre


colpe in mezzo delli diserti e di là
da tutti li mari. Onde avviene che
alcuni, cbe non hanno tolto Dio pet*
sua guida, ma seguito le sue pro-
prie concupiscenzie sono caduti
,

miseramente nelli intimi diserti.


Io so come Loto,,] usto nella regio-
ne di Soddoma, peccò nel monte,
benché, come dice Jeronimo, lui
non intese ciò eh' e' facesse; e se
bene la sua voluntà non fu sug-
getta al peccato, nondimeno lo er-
rore fu nella colpa. Questa è la
cagione che quello uomo, justo e
intiero nelle altre parti della sua
vita,non può essere scusato, per-
chè si lasciò tanto opprimere e
sottomettere a lui, nonché non CvO-
noscendo lui il peccato, scorse in
quello, dal quale, essendo sobrio e
accorgendosene, facilmente si seria
guardato e arialo avuto in somma
abominazione. Egli puose innanzi
il sinistro piede per salir al monte;

forse eh' e' seria rimaso più sicuro


nella città di Segor, rhe lui avea
prima eletta di propria voluntade
per abitacolo della sua imberillità.
Veramente questa cosa è tanto chia-
ra e tanto manifesta, eh' ella non
142
dimanda rajuto di tanti esempli,
cioè che coloro che si adirizzano
andare alla via del cielo non cer-
,

cano di meschiarsi fralli loquaci


adunamenti delli uomini, che abi-
tano nelle cittadi, ma desiderano
le tacite e riposate solitudine, dove
Idio continovamente li sta sopra
il capo, e il mondo e li terreni
pensieri stanno sotto li lor piedi.

CAPITOLO XXXIV.
Tempo era da far fine, perochè
lo ordine a questa opera destinato
già trapassa e va in longo, e altri
pensieri mi chiamano altrove; e tu
per questo parlare già troppo se'
disturbato dalla intenzione di mag-
gior faccenda e di più degno oflì-
zio. Ma io non posso ritenermi eh'
io non tocchi alcuni esempli d' un'
altra generazione d' uomini , che
collo ingegno studiano di trovar
materia di divenire prudenti e fa-
mosi. Tacio gli Gignosofisti, che
secondo si dice, vanno errando
nudi per li ultimi e ombrosi diserti
di India, disputando della filosofia,
il che il suo nome chiaramente lo
143
dimostra; passo li Bragmani, della
vita de' quali un libro, intitolato
del nome d'Ambrogio, è mostrato
da alcuni, che abitano di là dal
fiume Gange nell' ultimo Oriente,
sotto aiere delicato e molto sano
e in paesi solitarj, li quali luochi,
quanto posso per imaginazione com-
prendere, non sono lungi da quel-
le parti, dove si crede che sia il
paradiso terreste; ed essi eziandio
vivono vagabondi e nudi per le
selve. Io diria costoro non esser
differenti dalli Gignosofìsti di setta,
né di costumi, né di alcuna altra
cosa, se non forse per lo luoco o
[jer lo nome, se Bardessane, uomo
nato in I^abilonia, e che almeno
per la vicinità del paese merita
che gli sia dato fede, non avesse
diviso gli Gignosofìsti appresso li
Indiani in due dottrine: li segnaci
dell' una di quelle dottrine sono chia-
mati Bragmani, e quilli che seguo-
no r altra, lui gli appella Samma-
riti..Teronimo, scrivendo contro a
Joviniano fa menzione di costui
,

per modo, eh' elio appare


questo
nome di Gignosofìsti ess^r univer-
sale di tutta quella generazione di
filosofi, e li Bragmani esser specie
144
e parte derivata da quella genera-
zione, quantunque io comprenda
per le cose che narra quel mede-
simo Jeronimo nel proemio delle
divine Scritture, di qui poter na-
scere un' altra opinione molto di-
versa. Ma acciò che questa dilTìcul-
tade non impedisca al presente il
cominciato viaggio passerò più
,

oltra, e più tosto seguirò l'ordine


mio.
Come dice, la gente degli
si
Bragmani molto venerabile per
è
la continenzia, e per la singular
purità di mente, e per lo dispregio
delle ricchezze, e per lo grave e
lungo silenzio, né si dilettano di
pascere le sue orecchie con fabule
convenienti alle pazze vecchierelle,
come molti altri fanno. Il lor si-
lenzio non è rotto dalle crida de-
gl' uomini dal suono di alcuna
specie di instrumenti musici, ma
dal canto degli uccelli e dal suono
degli inni, la qual cosa è a quelli
solo esercizio della lingua. Tutto
il loro desiderio, tutta la loro spe-

ranza consiste nella vita del fu-


turo secolo; li suoi cibi sono erbe
e frutti d' arbori, e le sue veste,
se alcune ne hanno, sono di frondi.
145
Ultimamente lirami li fanno casa
e gli fiori gli danno letto, e le a-
que delle lontane suppliscono al
suo bere. Di questa schiatta fu
quel Calano, che si dice aver scritto
la epistola ad Alessandro re di
Macedonia e a quello eziandio
,

aver predetto motteggiando lo in-


stante fine della vita, avendo lui
prima acceso un grandissimo fuoco
per andare alla voluntaria morte,
secondo la consuetudine della sua
gente. Di questo medesimo fanno
memoria Greci e gli nostri scrit-
gli
tori latini; noi lo riputiamo essere
stato uomo famoso e nobile, ma
li suoi lo giudicarono degno di in-

famia, perochè quasi abbandonata


la severa disciplina e il costume
della patria, egli si ridusse alla
verbosa filosofia e alle lascive deli-
catezze degli Greci. Tutti gli sono
parlano aspramente contra di lui,
ma quello venerabile e nudo vec-
chio, chiamato Dardano che fu
,

nella sua età ottimo seguitatore della


consuetudine della patria e serva-
tore delladomestica dottrina, lo
punge con più acerbi stimoli che
tutti gli altri.
Truovo eziandio in altro luoco
10
140
questo Bardano aver mandato una
epistola a quel medesimo re sopra
nominato, la qual non so s'ella è più
animosa che abondante di parole;
ma acciò che nessuno dubiti quella
ch'io ho detto, esser la epistola di
Calano, esso Ambrogio l'ha inserta
e posta fra le sue. La propria let-
tera di questo altro non si truova,
ma ben si legge in quel libro, ch'io
ho ditto di sopra essere scritto in
nome d' Ambrogio della vita delli
Bragmani, longo parlamento e da
ogni parte molto libero essere stato
fra il re e questo Dardano; e ben-
ché il detto libro non mi rappre-
senti interamente il stilo d'Ambro-
gio ,nondimeno egli è posto in
mezzo dei suoi libri in certo vo-
lume grande e degno e antico, che
è conservato a Milano nella am-
brogiana chiesa; ma per alcune su-
spizioni che parono essere verisi-
mili, io credo eh' e' sia più tosto
di Palladio che d'Ambrogio (1).

(1)È noto il libro di Palfndio de ffpntibus In-


diae et Brapmanihiis , tradotto dal greco, ed è al-
tra cosa dal trattato falsamente attribuito a S. Am-
brofjio de inoribus Brachinanorum, che è di autore
ignoto. Ei'vi pure altro trattato di anonimo sullo
stesso argomento. Questi tre libri leggonsi riuniti
in un volume stampato a Londra nel iGGSper T.
147
Sia chi si voglia l'autore, egli
narra che certo è cosa piacevole
da udire, il re averli dato magni-
fici doni, oro, argento, veste, pane
e olio e quello aver dispregiato
,

tutte le altre cose, eccetto Tultima,


dicendo lo oro e lo argento essere
in tanto diniuno momento, che
non non potrebbono, o almeno
solo
ragionevolmente non doverebbeno
pigliare né dilettare l'animo del-
l'uomo, ma che non sariano ezian-
dio sufficienti a poter indurre a
cantar più dolcemente alcuno di
questi uccelletti piccoli, che volano
per le selve; e ch'elli rifiutava le
vestimenta, non solamente come cose
superflue, ma che le aveva ezian-
dio in abominazione, come impe-
dimento della libertà e legame delle
membre. Il pane era da lui dispre-
giato come cosa vile e reliquie la-

Roycroft. l Ci innoao fisti sono ricordali ancìie da



r<c^-o»«», Tusrulan. Qu.npstion., Uh. V. e da Plinio
nistor. naiur, lib. VII. cap. II. Dell' opuscolo at-
tribuito a S Ambroffio il«i Vita Brafrniaiiorum evvi
un esemplare manoscritto del scc. XV anche nel-
l'Ambrosiana, indirizzato ad l'aiWaaiium discipulutn.
// testo à però diverso da quello che si legrje vel-
V edizione ora citata, altra prora chi- il trattalo
è apocrifo. Il codice menzionato ffìci dal Petrarca
non esiste più nella hibliotrca drlla basilica am-
brosiana.
148
sciate dal fuoco; ma acciò che non
paresse fare poca stima delli regali
doni, recita che egli tolse lo olio, e
subito lo gittò in uno ardente fuoco,
e uscendone una chiarissima fiam-
ma, cominciò divotamente a ren-
der grazie allo onnipotente Idio,
come se quella fusse una specie di
sacrificio.
Basti d'aver detto fin qui di
questo solitario vecchio, del quale
e delli modi di tutta la sua gente
io non so quello mi debbia dire o
giudicare. Quella sua nuditate, ben-
ché la benignità dello aiere e de-
gli alimenti il comporti, tuttavia
non mi piace, conciosia che le ve-
stimenta non sono fatte solo per
ovviare al freddo ma per prove-
,

dere eziandio alla onestade. Vero


è che gli scrittori dicono, quelli es-
ser usati di coprire le parti ver-
gognose, se bene vanno nudi nel
resto del corpo. La bestiale negli-
genzia del sonno e del cibo non
mi piace, perochè non meno è da
riprendere chi non ha cura del suo
vivere con modestia, quanto colui
che con disordinato appetito tra-
passa il segno di quella. La tem-
peranzia di Cicerone così è degna
14U
di lode in questo, come molte in
altre cose. Lui dice: « E' si conviene
aver la mondizia e la politezza, che
non sia odiosa, nò anche troppo
esquisita, ma che fuggia la rustica
e inumana negligenzia. »
Questo medesimo ordine si deb-
be servare nel vestire, dove, come
nel più delle altre cose la medio- ,

critade è ottima. Io lodo questo


modo di vivere, e voglio che il
sonno sia brieve, il cibo leggieri,
il bere temperato, il mantello non

molto pomposo, e pur che sia qual-


che differenzia da l'abito e da il
letto e dalla mensa dell' uomo a
quella delle bestie^Io non cerco il
ricco cadere e la dorata ruina delli
sontuosi palazzi, non cerco le lus-
suriose tavole, ornate di molto ar-
gento e d'oro artificiosamente la-
vorato, e cariche di varie e preziose
vivande; e cosi in ogni cosa vo-
glio aver certa misura. Non vieto
alcuna volta mangiare in terra so-
pra la erba, e anche non biasimo
il dormirli, acciò che non para ch'io

riprenda il mio amico, che dice


nelle sue epistole: « La cena brieve
mi dilotta ed il solano nella erba
,

appresso al fiumicello ; » ma vivere


150
sempre all'aiere discoperto giudico
più tosto esser cosa conveniente
agli orsi che uomini, benché
agli
colui si abia gloriato d' avere il
cielo per sua ca;3a, e tutta la terra
per suo letto.
Quello maledetto costume di
anticipare la morte, parendo a loro
di poter j ustamente scacciar l'a-
nima della guardia del corpo senza
comandamento di Dio come se la
,

vita sua da niuno altro luoco gli


venisse, se non da loro stessi, senza
dubio merita terribile reprensione;
e non solamente la fede di Cristo,
ma tutti gli degni filosofi l'hanno
in somma abominazione; e come
questo è ramo di singular pazzia,
non altrimenti ciò che qui appresso
siegue, è accompagnato da impor-
tuna superbia conciosia che essi
,

dicono sé essere innocenti e senza


peccato, dove ingannando sé me-
desimi, fanno lo Spirito Santo es-
ser bugiardo che per la bocca di
,

Giovanni apostolo parla, come ad


ogni cristiano é manifesto.
Queste sono le cose che mi of-
fendono in questa setta, quantun-
que io tenga per fermo che se
,

quello vecchio, che parlò in fronte


151

ad Alessandro con tanta libertade


e con tanta resistenzia, fusse alla
mia presenzia e' mi responderia
,

magnificamente per difendere la sua


superstizione. Dell'altra parte assai
mi piace quello dispregio del mon-
do, che non può essere maggiore
che si patisca e permetta la ra-
gione: piacemi la intenta contem-
plazione, piacemi la integrità e la
securità dell'animo, purché la te-
meritade stia da lungi piacemi la ;

constanzia della mente e sempre


una medesima fronte, e il non aver
timore o cupidità d' alcuna cosa
terrena; piacemi la selvaggia abi-
tazione, e la vicinità del fonte il ,

quale, come è scritto nel libro di


che di sopra è fatto menzione ,

quello Dardano era usato di mon-


gersi nella sua bocca come una in-
corrotta e intiera poppa della terra,
madre di tutti gli uomini , mi muove
grandemente più m speciali-
; ma
tade quello che poco innanti io di-
cevo, Dardano avere usato con esso
il re Alessandro, nel quale parlare

lui rimpruovera non solamente


al re
le cose fatte ustamente contra
in j

di sé, ma eziandio con libera re-


prensione li riducea alla memoria
,

152
gli innumerabili e vituperosi pec-
cati commessi da quello eontra I-
dio e contro al mondo , dicendo
nominatamente della sua insazia-
bile cupidità dello oro, della inu-
mana crudelità, dello od[o eontra
gli uomini, del dispregio della di-
vina majestà, della puerile ammi-
razione delle ricchezze, dello orna-
mento feminile, della superbia del-
l'animo, della paura della morte,
dello inconsiderato appetito della
gloria; oltra di questo dello stra-
corso della effrenata lingua del
,

parlar vano e spesse volte a lui


nocivo, aggiungendo la filosofìa di
quello tutta esser nelle parole, e il
sentimento nelle labre, e il parlare
esser contrario alla vita. Egli si-
milmente lo mordea della poca av-
vertenzia nelle faccende, di che ne
segue il subito pentirsi, della infi-
nita carestia di molte cose, indotta
dalla avarizia, della intrinseca di-
scordia delle passioni dell'animo e
delle varie concupiscenzie , della
rebellione delli proprj membri per
li sinestri e per le fatiche e per lo

disordinato governo, della perver-


sità delli costumi e sopratutto del
,

desiderio d' occidere gli uomini


153
dello ardente studio delle guerre,
del suo domestico vivere senza al-
cuna regola, della strabocchevole
ebrietà e della gola, capital nimico
e distruzione di quello; del cercare
gli varj cibi con diligenzia degna
d'essere schernita, e del mangiare
la carne dicendo noi non esser si-
,

mili alli buoi, né alli cavalli, né


alli cervi, ma alli lupi e alli leoni,
e che li nostri corpi erano ezian-
dio sepulture vive di corpi morti.
Io non malvolentieri ti rammen-
to eziandio in questa digressione di
parole, o padre all' animo mio ca-
rissimo perochè se bene io non
,

lodo tutti gli costumi delli Bra-


gmani come tu hai udito, tuttavia
,

commendo la solitudine e la vita


solitaria di quelli; e scrivendo di
questa materia, non mi è parso di
tacere gli modi di coloro, che sin-
gularmente e oltre a tutti gli altri
si sogliono gloriare di questa ge-
nerazione di vita. Nondimeno passo
per questo luoco come per regione
suspetta, per non dimorare molto
tempo in narrare cose poste tanto
da lungi, e per non meschiare le
false insieme colle vere.
Mentre che al prosente io seri-
154
vo, alcuni delli nostri mi vengono
nella mente , che hanno curiosa-
mente cercato il mondo i quali
,

affermano in India esser uno uomo


di tali costumi, cioè di incredibile
innocenzia e di inestimabile dot-
trina, e che li popoli e li regi in-
diani vanno cosi umilmente e con
tanta sommissione quanta dir si
,

può , a visitarlo ,dimandando la


intercessione di quello appresso I-
dio, e le risposte nelle cose dubio-
se e li consigli della vita, e che
avendolo in reverenzia in ogni co-
sa, lo adorano quasi con divini
onori e dicono che quello uomo,
;

carico d'anni, siede nudo in terra,


nò si lieva ad onorar li regi e a,

pena movendo le labra, poche pa-


role risponde le sue voci accettate
;

in luoco di oracolo porgiono gran-


dissima consolazione a quelli, e so-
no graziosissimo refrigerio e risto-
ro delle longissime vie.
Narrano eziandio, che li regi so-
gliono dismontare da cavallo, quan-
do sono pervenuti alla selva abitata
da questo vecchio, e clie sono usati
di spogliarsi le vestimenta di por-
pora, e diponere le corone e le a-
nelle e gli altri ornamenti, insieme
155
con labacchetta regale, e che la-
sciati da parte gli famigli essi soli
,

o con pochissimi uomini eletti en-


trano da quello, non senza stupore
e ammirazione della sua presenzia;
e eh' ella è un' eterna gloria lo es-
sersi inginocchiato una volta in-
nanti alli piedi di quello, ed esser
fatto degno di parlare con esso lui.
Io sospetteria questo al tutto esser
una fabula, se quello Bardessane
di sopra raccordato, e se Jeronimo
dopo lui non dicessino cosa non
aliena da questo proposito se non
;

che sopra ciò più brievemente par-


lano, cioè in quelle parti esser uo-
mini, alli quali il re è usato di
venire e di adorarli e credere il
,

pacifico stato della provincia es-


ser posto nelli loro prieghi. Onde
è cosa credibile, se per lo passato
molti ne furono tali, che ancora
oggi ne possi esser uno. Molte al-
tre cose poteano esser dette di
costoro, che seria troppo lungo a
referirle; ma perchè e' mi diletta
fra li singulari amiri della solitu-
dine toccare non solamente di uno
uomo solo, ma eziandio delle genti
date a quella, dirò come in un'al-
tra parte del mondo inverso Set-
156
tentrione , di là dalli monti Rifei,
dove così richiedendo la raj^ione
del cielo, affermano in tutto Tanno
essere uno solo giorno e una sola
notte, e V uno e l'altro durare per
spazio di sei mesi; dicono esser
certi popoli chiamati Iperborei, che
vivono quasi in questi medesimi co-
stumi; se non che io non credo,
che per rispetto del grandissimo
freddo vadino nudi. Essi ritengono
quella pessima consuetudine di vo-
luntariamente uccidersi ma per
,

altro modo, conciosia che come gli


Indiani disposti al morire entrano
nelle accese fiamme, non altrimenti,
secondo che per fama intendiamo,
costoro, poiché il tedio e la sazietà
della vita e il desiderio della morte
gli prende, ornati di grillande, co-
me se volessino andare a liete e
a solenne feste, dagli altissimi sco-
gli si gettano nelle vicine onde del
profondo mare. Questo fine di vita
è a loro molto glorioso, ed è nobi-
lissima specie di sepoltura. Certa-
mente si dice questa gente nel re-.
sto della vita esser innocentissima
e j ustissima sopra tutti gli altri
uomini ,e di più longa e di più
beata vita, e sempre vivere in o-
,

157
zio pacifico e abitare fra le selve
e le solitudine, senza aver notizia
alcuna di guerre o di questioni.
Pomponio Mela, nella Descrizione
del mondo, e molti altri hanno fatto
menzione di questa gente. Plinio e
alcuni altri diligentissimi investi-
gatori di tal cose scrivono d' altri
popoli vicini e molto simili a que-
sti. Essi gli chiamano Arinfei; abi-
tano per li boschi, e vivono degli
frutti degli arbori. Dicesi che sono
uomini molto veraci e benigni e ,

che dimorano dove è la fine degli


gioghi delli mo)iti Rifei, e che sono
tenuti santi e di tanta autoritade
che fra tante ferocissime nazioni
non solamente loro, ma tutti quelli
che ad essi rifuggono, sono salvi e
inviolati come a sacratissimo tem-
pio. Appresso questa gente è ripu-
tato in vergogna a portare li ca-
pelli, e però gli uomini e le donne
si tosano.
Di qui passo verso lo Occidente-
alli filosofi delli Franciosi, degli quali
gli scrittori spesse volte fanno men-
zione. Costoro son chiamati Druidi,
e sogliono insegnare nelle spelonche
o nelle campagne rimote alli suoi
gentiluomini la sapienzia e la elo-
158
quenzia, e lenature delle cose, e li
movimenti delle stelle, e gli secreti
degli Dei, e la immortalità delle ani-
me, e il stato della vita. Passo la
città di Tile e Ibernia , delle quali
runa è famosissima per la varietà
degli scrittori, ma per la sua lon-
tana separazione dal nostro mondo
è quasi incognita, e V altra è notis-
sima.
Io ho per certo gli abitatori di
questa seconda esser dispregiatori
delle ricchezze e delle cose civili,
e che non hanno pensiero di lavorar
gli campi, e vivono per li pascoli e
per le selve; essi hanno l'ozio in
luogo di dilicatezze, e la libertade
in luoco di gran ricchezze e di som-
ma potenzia. Dirla che fussino fe-
lici ,se non è vera la infamia, di
che sono incolpati per la malignità
delli loro costumi. Passo le Isole
Fortimate, poste nello estremo oc-
cidente, a noi più vicine e più note,
ma molto lontane dalla India o da
Settentrione. La terra è nobile per
lo scriver di molti, ma in specialità
per lo verso lirico di Orazio Fiacco,
poeta dignissimo. La fama di quelle
è molto antica e anche fresca, pe-
rochè nella memoria delli nostri
159
padri la navale armata de' Genovesi
passò a quella e Clemente papa
,

sesto nuovamente ha dato per prin-


cipe a quella patria uno generoso
uomo, nato del sangue degli regi
spagnuoli, e di quello delli regi di
Francia, il quale noi abiamo veduto;
e se tu or dimandi come io di que-
sto mi raccordi, dico che in quel
giorno che lui andava per la città
di Roma ornato di corona e di bac-
chetta regale, tanta pioggia dal cielo
subitamente cadde, e lui se ne tornò
a casa per tal modo bagnato che ,

per questo augurio fu manifesto lui


essere eletto al principato della re-
gione veramente piovolenta (I) e
molto acquosa. Non so come le cose
da poi gli siano successe in questa
sua signoria posta fuori del mondo,
ma per quello che si dice, e per
quanto si comprende per le lettere
che di là vengono, pare che la for-
tuna di quelle terre non sia tale,
eh' elle meritino d'esser dette For-
tunate. Quella gente si rallegra della
solitudine più che tutti gli altri uo-
mini, ma gli suoi costumi sono sel-
vaggi e duri, e in tanto simili a

( 1) riovoleiito non è voce rri/islrala twi dizionarj.


IGO
quelli delle bestie, che più tosto per
instinto della natura, la quale a ciò
li induce che per certa elezione
,

proceduta dal diritto sentimento del-


l' animo, tu dirai loro dilettarsi di
solitaria vita e desiderosi d' andare
vagabondi per li diserti, insieme
colle fiere e colli suoi greggi.
Ma io sono andato assai ramingo
con queste curiosità per diverse e
stranee parti del mondo. Di tutte
queste cose la fede sia appresso gli
primi autori d' esse, e non appresso
di me, che recito ciò che io ho letto
o veramente udito. Ora sotto bre-
vità, finitaquesta narrazione, se-
guirò cose più degne e a noi più
note.

CAPITOLO XXXV.
Che hanno fatto li filosofi e li

poeti? Io non dico costoro esser fi-


losofi, li quali chi prima gli chiamò
cattedrali, senza dubio mi pare ch'e-
gli trovasse proprio nome a il loro
effetto conciosia che loro parlano
,

nelle cattedre della filosofia, e fanno


cose da pazzi comandano ad altri,
;

e primi sono contrarj alli suoi co-


mandamenti, primi rompono le legge
161
da sé date, e facendo professione
di portare animosamente lo sten-
dardo, primi abbandonano gli ordini
delle sqnadre, e primi ribellano allo
imperio della virtù. Questi adunque
non sono da me riputati filosofi, ma
voglio intendere di quelli veri, che
sempre furono pochi. Al presente
non so se alcuni ne vivono*, cioè
che totalmente siano dati allo amo-
re e allo studio della sapienzia, come
è la loro professione; e per lo si-
mile intendo esser poeti non costoro,
alli quali basta assai di sapere tes-
ser versi, e come dice Fiacco, versi
poveri di sentenzio e resonanti ciar-
lamenti(l),cheinvero ne abiamo tan-
ta abondanzia, che già mi sono venuti
(l) Sp r>^ ìagna in una lettera all' abate di Snn
Benigno, ove cita quel verso di Orazio:
Scribimus indocii doctique poemata passim,
e soggiunge : «. Onni giorno piovono sojìra di me
versi ed epistole da tutti i lati della nostra patrio;
ma ciò non basta; me ne vengono dalla Franc-a,
dalla Germania, dall' Inghilterra e dalla Grecia.
Io non con/)seo nemmeno me medesimo j e sono
scelto per giudice di tutti gli spiriti... I contadini.
i falegn-jmi .i muratori abbandonano gli utensili
della loro professione per non occuparsi che d' A'
pollo e delle Muse. Io non po/tso dirti quanto que.
sta peste, altre fiate si rara, sia ora divenuta co-
mune. Per poco che un tal delirio si propaghi,
bentosto i mandriani , i pescatori , i contadini e

persino i buoi non farantu) che muggire e ruminar


poemi. »

11
162
in fastidio; ma parlo, di quelli che
sempre sono stati più rari eziandio
che li filosofi, se noi vogliamo cre-
dere a Cicerone. Dico quelli esser
veri poeti, che hanno ingegno, come
dice quel medesimo Fiacco, e mente
divina e lingua sufficiente e atta a
cantar cose grande, e che per li
loro meriti hanno acquistato, come
è debito, questo degno nome. Se la
nostra etade ha tali filosofi o poeti,
che senza dubio col dito non te ne
posso mostrare pur uno solo, ben-
ché colla imaginazione mi sia le-
cito di fingere di vederne molti; e
se la età seguente è per averne al-
cuno simile a questi, non credi tu
che tutti fuggiranno le cittadi e a-
meranno la solitudine? Non parlo
delli passati , perochè il modo del
/ suo vivere e manifesto^omanda
Platone: credo che lui proponerà
la sua accademia alla città di Atene
tanto lodata; dimanda Plotino, prin-
cipe delli professori della filosofia
di Platone come dice Macrobio :
,

egli ti risponderà 1' ozio di Campa-


gna di Roma bastarli per tutto il
mondo, e se bene la sua fine fu mi-
serabile, nientedimeno la elezione
della vita fu gloriosa. Sappi da Pit-
163
tagora: lui affermerà non solamente
d'aver cercato piacevole solitudine,
ma eziandio aspre e orribile, ed es-
sersi dato a peregrinazione molto
faticosa per paesi diserti e incogniti
per lo studio di investigare la ve-
ritade/^Ieronimo eziandio afferma
che gli successori della dottrina e
del nome di costui, fuggendo la fre-
quenzia degli uomini, sottoposta alle
perturbazioni degli lascivi piaceri,
solevano abitare per li diserti e per
luochi selvaggi e aspri. Parla con
Democrito : e' confesserà di aversi
cavati gli occhi per poter ben ve-
dere il vero, e per non vedere il
popolo, a lui nimico e contrario alli
suoi onesti propositi. Abboccati con
Parmenide e con esso Atlante tu :

troverai loro aver lasciato li suoi


proprj nomi nelli monti dove am-
,

bedue abitarono ; e se si cercherà


la veritade, Promoteo non negherà
di qui esser dato luoco alla fabula,
nella quale si fìnge che lui ligato
nel monte Caucaso ,fu esposto ad
esser roso dallo affamato avoltorre,
perocché lui avea eletto por sua
stanzia la solitudine di quel monte,
dandosi tutto con gran sollicitudine
d' animo alla inquisizione delle cose
164
secrete, che senza dubio per la loro
difflcultà fanno molto estenuare Tuo-
rao dato allo studio.
Il luoco spesse volte stimola e
assottiglia lo ingegno; e però quello
si debbe desiderare libero e atto a
dirizzare 1' animo nostro alle buone
e sante opinioni, lo quale la morte
entrando per le finestre, truova sum-
merso per li popoli da innumera-
bilispecie di vanitade e stracciato
per mille vie. Io leggo appresso di
leronimo molti filosofi, invitati da
queste ragioni, non solamente avere
abbandonato le frequente conver-
sazioni delle città, quasi come pri-
me stanzie degli affanni e delle fa-
tiche, ma avere eziandio fuggito li
suoi orticelli, perochè la troppo di-
licata cultura e la vicinanza delle
cittadi piene di tumulto gli face-
vano esser sospetti a quelli. E per
tanto molte cose me inducono, ch'io
pensi eziandio Socrate e Aristotile
e molti altri dignissimi filosofi es-
sere stati di questo proposito se ,

forse o la maestade o lo imperio


degli discepoli, o se gli comanda-
menti della republicd, o se la ne-
cessitade, o se qualche altro caso
non è stato contrario alli loro so-
litarj desiderj.
165

CAPITOLO XXXVI.
Io aggiungerò a tanti vecchi e-
sempli uno più fresco e non molto
rimoto dalla nostra etade cioè ,

quello Pietro, che per sopranome è


chiamato Abalardo , della cui fede,
come io odo, fu sospettato da al-
cuni, ma quanto j ustamente, certo
non lo so. Costui nella istoria delle
sue caJamitadi con longa narrazione
dice, che per dar luoco alla invidia,
e' s' era ridotto alli luochi secreti
della solitudine di Candia, ma non
però senza gran concorso d'uomini
studiosi, che a lui da ogni parte ve-
nivano per esser suo' discepoli, ti-
rati dalla fama della sua singulare
'dottrina. Nientedimeno egli morì a
l'ultimo nel desiderato riposo, d'on-
de la tenace invidia e 1' odio degli
inimici lo avevano prima cavato
fuori fino alle radici.
Ora è tempo di ritornare a cose
più antiche e ad altra generazione
di studj mediante li quali questa
,

materia che noi trattiamo, con mag-


gior forza si confermi.
166

CAPITOLO XXXVII.

Chft dirò io di Omero, padre delli


poeti, poi che con gran fatica a noi
sono pervenuti li nudi e soli nomi
di quelli primi, cioè di Orfeo e di
Lino e di Museo ? Non so se noi
doverao credere costoro essere stati
poeti musici, o veramente, se-
condo che piace ad alcuni se noi
,

gli dovemo riputaree musici e poeti


per consunzioni delle arti, cioè della
musica e della poesia. Questo Omero
non solamente descrisse le solitudine
della Grecia, ma con tanta notizia
toccò di quelle di Italia, che come
da Cicerone è detto, essendo cieco,
fece noi vedere le cose da lui non
vedute, e con certo modo ha posto
dinanzi alli nostri occhi non la poe-
sia, ma la pittura del suo mirabile,
ingegno. Pensiamo noi ch'elli avesse
potuto far questo, se innanti che
fusse cieco non avesse diligente-
,

mente cercati quelli medesimi luo-


chi, e conservati nella sua vivace
memoria? Che dirò io del nostro
Virgilio, che fuggendo la città di
Roma, dove egli era in fiore, e per
la gloria dello ingegno e per la a-
167
raicizia del principe, che regnava
per tutto ilmondo, e andando alla
solitaria libertade, fu assalito da
immatura e acerba morte, che trop-
po per tempo lo sciolse da questi
tali pensieri? Lui giudicava la soli-
tudine esserli necessaria acciochè
,

quella sua divina opera perfetta-


mente si potesse compire. La morte
ebbe invidia alli latini ingegni, ed
anche più gli arebbe nociuto, se
la pietà del benignissimo e littera-
tissimo principe non gli avesse con-
trastato.
Orazio Fiacco publicamente pre-
dica e dice, che la regale Roma non
gli piace, ma che Tevoli, città va-
cua e come disabitata, e il non bel-
licoso Tarento gli sono grati. Che
vuole egli che si intenda per que-
ste parole, se non che egli ami la
solitudine e il riposo, avendo pro-
vato il contrario dell' una e del-
l' altra in Roma? Lui numera con
tanta diligenzia gli fastidj che gli
nascevano per la concursazione del
popolo, che facilmente dimostra di
aver parlato con passione. L' ultima
delle sue epistole è scritta a Floro,
dove non una sola volta lo dimanda
di cosa certa per esserne più chia-
1G8
i"o , così dicendo « Pensi tu eh' io
:

possi scrivere cose degne di poeta,


stando a Roma nel mezzo di tanti
pensieri e di tante fatiche? » Dapoi
interponendo la elegante narrazio-
ne delli fastidi, con ironia, cioè con
parole contrarie alla sua opinione,
conclude e dice: « Va ora e pensa
con esso te di fare gli risonanti
versi »; e non contento di questo,
un' altra fiata dice: « Vói tu ch'io
canti fra tanti strepiti di notte e
di giorno, e ch'io seguiti le vesti-
gie degli poeti da me già tocche?
Dignerommi io adunque in mezzo
di queste inondazioni di cose e nelle
tempestadi della città di aggroppar
parole che muovano il suono della
citara? »Non creder quello stare con-
tento delle adirate dimande fatte a
Floro e delle ironico sentenzio, e
non dire e parlare alcuna cosa di
sé proprio; certamente egli ti dà
una brieve ma universale via, la
quale è che tutta la brigata degli
scrittori ami il bosco e fugga le
cittadi. Io seguendo il suo dire in
una mia epistola, e restringendola
alla natura e al modo degli poeti dis-
si « La selva piace alle muse, e la
:
169
cittade ènimica agli poeti » (1). Quel-
lo medesimo Orazio, dilettatosi del
suave e temperato aiere delli secreti
e dolci luochi di Baie, e lodando
grandemente le sue selve e la sua
possessioncella abitata da cinque
famiglie, e il grazioso aspetto della
amata villa, fra le grave e nojose
faccende con sospiri biasima e di-
spregia la stanzia della cittade.
Lui sopra ciò contende coli' amico
e col castaido per tal forma, che
per sua parole a niuno debbe
le
esser dubio che opinione fusse la
sua. In uno delli suoi sermoni, fat-
ta menzione del suo ozio domestico,
dice: « Questa è la vita di coloro,
che sono sciolti e disligati dalla mi-
sera e affannosa ambizione, e dalli
disordinati appetiti degli onori e
delle ricchezze. » Nelle sue epistole
chiaramente si vede quanto esti-
masse questa nostra vita dove ei ,

dice: « Io non cambierìa questi


miei ozj molto liberi per le ric-
chezze di Arabia. » La solitudine
adunque è da lui laudata, e 1' ozio
è preposto alle grandi ricchezze; e
certo alcune opere del suo ozio

(l) Silva placet Musìs, urbs est inimica poetìs »


170
ancora sono in piedi, e il luoco ri-
tiene la memoria della sua solitu-
dine. Uno suo campo ancora è chia-
mato il campo di Orazio, e avendo
tante volte mutato posseditore, in-
fino ad ora serva il nome dello
antico e più nobile patrone.
Con gran fatica credo che si tro-
vasse alcuno di questa generazione,
che fusse contrario al parere d' esso
Orazio, perocché ad alcuni uomini
non è quasi tanto amica o vero
necessaria la solitudine, quanto al-
li poeti, eccetto uno solo, Ovidio
Nasone o vero coloro che lo se-
,

guono, o vero quelli che sono se-


guiti da lui. Senza dubio egli mi
pare essere stato uomo di grande
ingegno, ma d'animo lascivo e in-
constante e al tutto feminile, e in
tanto essersi dilettato del commer-
cio delle femine , che riponesse il
capo e la somma della sua felicita-
de in quelle; onde scrivendo l'Arte
amatoria, opera da pazzo e degna
cagione del suo esigilo, se io non mi
inganno, non solamente insegna la
città diRoma, comeabondantissima
di donne maritate e di donzelle, do-
vere esser cercata da coloro, che
oltre al naturale stimolo, aggiun-
,

171

gono eziandio il sprone di certa


arte a quella pazzia ma con pa-
;

role distingue eziandio gli luochi


e le feste della città, acciò che più
copiosa materia sia data a quello
furore. Tacio quel suo desiderio,
degno di infamia e inconveniente
e disonesto eziandio d' esser refe-
rito per la bocca di ciascuno uomo
disperato e perduto in anima e in
corpo, il quale lui non si vergogna
col scrivere di far pervenire alla
notizia di tutti gli secoli, cioè dove
essendo risciolto e pervenuto alla
fine dello atto venereo, egli dice
sé essere beato, avendo ardire di
lodare la morte in quel stato dove ,

la vita è massimamente disonesta


e inutile; e chiedendo con prieghi
dalli Dei, che di qui procedesse il
suo fine, certamente questa doman-
da era conforme alli suoi costumi
ma la qualitade e il modo della
morte si debbe riputare assai più
misera che la morte propria. Senza
dubio se lui fusse stato d' animo più
modesto, il suo nome sarìa più glo-
rioso appresso gì' uomini gravi , e
avena sostenuto più pazientemente
lo esilio di Ponto e le solitudine
172
della Danoia{l), vero che non li
seria stato forza di traiisferirsi a
quelle regioni.
Ora passo allo esemplo d' uno
altro ingegno assai più severo.

CAPITOLO XXXVIII
Seneca, nato in Ispagna nella
città diCorduba, e fatto cittadino
e senatore romano, e pervenuto a
maggior fama, che il rispetto della
salute e la securezza di stare oc-
culto non richiedeva, in una tra-
gedia con non piccola dolcezza di
animo si raccorda della solitudine
di Corsica, e meritamente prepone
quella vergogna dello ozioso esiglio
alla sua presente gloria, occupata
Ro-
nelle affannose perturbazioni di
ma. Per questa sua comparazione
tu eziandio puoi giudicare, quali di
questi duo partiti debbe esser pre-
ferito. Oltra di questo lui dimostrò
chiaramente, quale fusse il suo pa-
rere per lo consiglio dato a Lucilio,
del quale di sopra è fatto menzione;
ma invero e' mi par seguire con
tanto ardore e con partito tanto

(1) Del Danubio.


173
strabocchevole questa sentenzia di
lodar la solitudine, che fa dispia-
cere il consiglio di quella a me, a
cui laè sempre piaciuta somma-
mente; e benché la line di questo
uomo non lassi alcun dubio rima-
nere in questa cosa, tuttavia quello
luoco della tragedia eh' io ho detto,
contiene in sé grandissima ammira-
zione , peroché quello uomo, che
visse solitario nella intiera libertà
e nel riposato ozio della lìlosolìa, e
la cui vita nella città regale non
fu sicura dalla crudelità degF uo-
mini, tanto tempo innanti previdde
e descrisse il suo tristo caso e la
sua grave ruina.

CAPITOLO XXXIX.
Io vedo in questa generazione
d' uomini Marco Cicerone non aver
tollerato la solitudine con animo
paziente; penso questo esserli avve-
nuto non tanto perchè avesse in
odio la cosa, quanto perché gli dis-
piaceva la cagione d'essa, cioè
che la legge e la Justizia in tutto
fussino perdute, come manifesta-
mente dimostra il tenore delle sue
querele. Oltra alla sua lilosofìa, es-
,

174
sendo lui primo di tutti gli oratori,
e cercando gloria di questa special
parte degli studj, come il confessa,
certamente non vedea dove il po-
tesse meglio trovar quella, che nella
moltitudine e nel gran popolo; e
per tanto volendo defendere Dejo-
taro alla presenzia di Julio Cesare,
egli si lamenta che quella causa si
tratti fra le mure del palazzo di
Cesare e non dinanzi al popolo
,

romano.
Gli oratori hanno in sé questa
cosa singulare e propria, che per
la grandezza del loro ingegno loro
si dilettano di abitare nelle gran
cittade e di conversar fra li popoli
e hanno in odio la solitudine, e sono
contrarj al silenzio delli giudici. Sì
come adunque gli altri oratori mi-
nori di Cicerone sono del parere
eh' io ho detto, cosi a Cicerone era
grato r aspetto della città di Roma,
non solamente come di sua patria,
e più cara per lo pensiero e per la
fatica da lui avuta in conservare
e ornare quella, ma sopra tutto la
desiderava come luoco pari al suo
nobilissimo ingegno. Io addurrla Se-
neca per testimonio in questa parte,
il quale non dubitò di affermare
175
solo la voce di Cicerone esser vera-
mente viva, e lo ingegno di Cice-
rone solo esser pari allo imperio
del popolo romano se per la mez-
,

zanità di ciascuno altro testimo-


nio la ^verace e chiarissima fede
delle cose non dimostrasse, così
Cicerone avere ottenuto il princi-
pato dello ingegno e della eloquen-
zia, come il popolo di Roma quello
dello imperio e delia gloria. Ma noi
sapiamo quanto fusse utile a Cice-
rone contro a sua voglia quella so-
litudine che di grande oratore il
,

fece singular filosofo; onde a tutti


gV uomini litterati è noto quanto
accrescimento per questa cagione
si aggiungesse alli latini studj. Cer-
tamente quel medesimo, parlando
di sé proprio, e avendo ditto: « Noi
dalle dispiatate armi e dalla forza
rimossi dalla cura della republica
e dalle faccende della piazza, andia-
mo drieto allo ozio, e per questo
rispetto abbandonata la cittade é
abitando le ville, spesse volte siamo
soli » poi con questa conclusione
;

porge conforto alli suoi lamenti, co-


sì dicendo:» Ma in brieve tempo noi
abiamo scritto molto più cose dopo
la perturbazione della republica, che
176
non averao fatto in molti anni, es-
sendo quella in fiore. » E senza du-
bio COSI è; perocché alcuno non po-
tria narrare uè estimare li nobili
ozj e le gloriose solitudini* di questo
uomo, cioè li libri composti per lui
nella regione d' Arpino e di Cume,
e nella villa Pompejana e Formiana
e Tusculana. Qui fondò egli le leggi,
qui fortificò la Academia, qui armò
r oratore, qui fece il libro chiamato
degli Ofilizj qui descrisse e dipinse
,

le forme e le nature degli Dei, qui


compuose il libro della Divinazione,
togliendo via la radice di molti er-
rori;
qui scrisse della fine del bene
e del male, qui confortò magnifica-
mente a seguire la filosofia, il qual
libro Angustino, ottimo defensore
della nostra fede, liberamente con-
fessa essere stato a lui buona guida
filla mutazione della vita e allo stu-
dio della verità. Ultimamente aven-
do io intenzione di dire di molti
suoi libri, acciò che non para che
per r amor d' uno solo libro io mi
sia dipartito dal proposito, dico che
in quelli medesimi luochi lui inse-
gnò di dispregiare la morte e di
vincere il dolore del corpo colla
pazienzia, di discacciar da sé la
177
molestia e lo affanno colla ragione
animo, e di toglier via gli
(leir
morbi e le cagioni di quelli; ed acciò
eh' io usi la sua parola , insegnò
quella parte, che massimamente fa
illustre tutta la filosofia, cioè la
virtù non aver bisogno d' alcuno
altro ajuto a viver bene e beata-
mente, ma esser contenta di sé sola,
cosa che certamente è contra la opi-
nione di molti valentissimi uomini;
e quello che li altri filosofi con gran-
dissima leggierezza e digiunamen-
te hanno tocco, costui con gran-
dissima copia e con leggiadrissimo
ornamento di parole suttilissima-
mente l'ha disputato, acciò che il pia-
cere non mancasse alla utilitade,
e lo splendore e la dignità delle
parole fussono pari alla maestade
e grandezza delle cose.
La solitudine adunque accese lo
ingegno di quello uomo, e che certo
è cosa da maravigliarsi, dico che
la solitudine a lui era odiosa. Che
pensiamo noi che avesse fatto, se
lui l'avesse desiderata? E quanto
è da credere, eh' ella giovasse a
coloro, che con tutta la intenzione
dell' animo la cercassinc», porgendo
tanto frutto agli ingegni di quelli,
12
178
a chi ella non piace ? Abiasi lui de-
siderato di vivere in quel modo che
più gli piace: certamente lui espone
qual vita debbe ess^r quella degli
lilosofi in quel libro, dove gli offizj
di tutti gì' uomini si contengono ;

perocché e' dice che molti deside-


rosi di vivere in piacevole e one-
sto riposo, lasciate le publiche fac-
cende si sono ridotti allo ozio, e
,

in questo numero essere stati li no-


bilissimi e li principi delli filosofi; e
per lo simile alcuni uomini severi
e gravi che non hanno potuto pa-
,

tire li abominevoli costumi delli po-


poli e delli signori, e di questi dice
alcuni esser vissi nelle ville, delet-
tati delle sue proprie cose, e aver
avuto un proposito simile a quello
delli regi benché non vivessino
,

con quelle medesime arti, acciò che


stando in sua libertade, non aves-
sino bisogno d' alcuna cosa, nò rus-
sino saggetti ad alcuno uomo. Poi
fatta la comparazione, benché e' dica
la vita attiva esser più utile alla
republica, il che noi eziandio in
parte non lo negamo, nientedimeno
lui confessa la vita oziosa esser più
facile e più sicura, e meno grave
ad altri, e assai meno molesta, onde
179
egli la permette a tutti coloro, che
hanno qualche cagione di vivere
Solitarj, ed afferma che in specia-
lità ella è conveniente a coloro, clie
sono dotati di grande ingegno e di
singular dottrina.
Senza dubio esso Cicerone nel
principio, come io ho ditto, non pati
questa vita con animo quieto; poi
nella fine sbattuto da molti dolori
e da molti affanni, e sopratutto
addolorato per la morte della sua
amantissima figliuola, desiderò di
vivere solitario. Scrivendo lui al
suo Attico dice
, :« Io ora ri-
fiuto tutte le cose, e niente so-
stengo con maggior pazienzia che
la solitudine;» ed in altro luoco dice:
4H,La solitudine e il vivere remoto
a me è in luoco di provincia, e per
infinite cagioni molto fuggio la cit-
tade; > ed altrove dice:* Io non
posso stare fr a la moltitudir^- » e
poi in un altro luoco dicer/Os'iuna
cosa è più jocunda di questa soli-
tudine, dove non parlo con alcuno
uomo; e quando la matiiia io ini
sono ascoso nella selva spessa e
aspera, non esco di (piella innanti
che la sera venga. » Questa parola
mi piace tanto quando io la leggio,
180
eh' io stimo eh' ella sia detta da me
e non da alcuno altro però che
,

questo medesimo spesse volte in^-


terviene a me proprio. /
Ultimamente acciò cKe ora mai io
dica a Cicerone « Statti con Dio »
: ,

quel medesimo, parlando lusinghe-


volmente al suo dolce amico, dice:
« Dopo te niente mi è più caro
della solitudine, dove tutto il mio
parlare è con le lettere. » Io non vo
ricogliendo ad una ad una tutte le
cose dette da lui in questa senten-
zia, perochè per queste tu compren-
di molto bene, come quello amatore
della città e della piazza abia avuto
in odio le cose prima amate, e co-
me lui ponga la litterata solitudine
inanti ad ogni altra generazione di
vivere.

CAPITOLO XL.
Io credo che Demostene fu con-
cordevole in questo fatto con esso
Cicerone, e se alcuna necessitade
di mutar consiglio per avventura
non gli sopravenne, il che io non
ho però letto, stimo che sempre e*
fu delia medesima opinione di que-
sto nostro, perochè tutti due furo-
181

no d'una professione; ma quello,


cioè Demostene, fu alquanto leg-
gieretto, che come dice Cicerone,
si dilettava del parlare, che con vo-
ce summessa e piana li faceano le
feminucce drieto alle spalle, dicen-
do « Questo é quello Demostene. »
:

Tuttavia è certo che lui imparò


massimamente nella solitudine quel-
la forza oratoria, che solca eserci-
tare con tanta potenzia nelle cit-
tadi. Quintiliano, parlando di lui,
dice: « Quel Demostene, che tanto
amava li luochi secreti, esercitan-
dosi nel lito del mare, d' onde le
onde percuotevano con grandissi-
mo suono, si usava a non aver
paura delli strepiti delle moltitu-
dine. »
Non ti muova ciò che di so-
pra è detto, cioè questo Demoste-
ne, che avea avuto consuetudine
di elegere luoco tacito e da ogni
canto chiuso, cercare eziandio luo-
co aperto e risonante per le onde
del mare, perochè quivi egli assot-
tigliava lo ingegno ed esercitava
la voce, e facea l'uno e l'altro nel-
la solitudine. Essi soli imparavano
quello, che poi vendevano fra li po-
poli, e pensavano nelle selve quel-
182
lo di che potessino l'ar dimostra-
zione nelle cittadi; la lor professio-
ne gli escusava, essendo sua inten-
zione e proposito d'augumentare le
sua ricchezze o parlando o tacendo.
Non mi ricordo però d' aver letto
di Cicerone ma di Demostene è
,

certissimo, per quanto scrive Aulo


Gellio, che lui dimandava eziandio
il prezio alla parte contraria ,se
dovea tacere ma noi che non dob-
;

biamo vendere alcuna cosa che pro-


ceda dal nostro ingegno, né fare
superflua ostentazione di quella, do-
vemo imparare nella solitudine ciò
che si conviene alla salute e alla
legge della vita temporale, e alla
speranza della vita eterna; e per
lo tempo che ne resta a vivere,
ci dovemo esercitare nella solitudi-
ne, e vivere nella solitudine, e mo-
rire in quella. La qual cosa io de-
sidero grandemente e se Dio con
;

occhio pietoso mi risguarda, spie-


ro eziandio che il mio proposito a-
verà ))uono effetto.

CAPITOLO XLL
Ma la avversità delli costumi,
e un'altro line di intenzione e di
,

183
pensieri fa che io creda, gli filosofi
sempre essere stati di contraria o-
pinione dalli oratori perochè gli
,

oratori si dilettano d'esser laudati


dal popolo, e li filosofi si affatica-
no di conoscere sé medesimi e di
piegar l'animo suo a sé stessi; e
se la loro professione non è falsa,
continovamente si esercitano circa
il dispregio della vanagloria. Qua-
le noi crediamo che fusse Anassa-
gora o vero Zenocrate, uomo di
tanta constanzia e di tanta asti-
nenzia, e come dice Cicerone, se-
verissimo sopra tutti gli altri filo-
sofi? E quale giudichiamo noi che
fusse Zenone, padre degli stoici, o
vero Cameade, molto più faticoso
di tutti questi ? Dovemo noi crede-
re, che la perfettissima intenzione
della studiosa mente di costui, che
come si legge, spesse volte essendo
posto a mangiare, lo faceva smen-
ticare di prendere il cibo, fusse per-
severata infìno al nonagesimo anno
della sua vita, tanto ferma e tanto
continova fra le perturbazioni e gli
fastidj degli uomini, se prima non si
fusse confirmata nella solitudine
dove alcuno uomo non avesse potu-
to ritrarre l'animo di quello dal de-
184
stillatoproposito? A me certo non si
persuadeva facilmente, quantuoque
io non ne abbia altro che per confet-
tura e per imaginazione, o la ca-
sa d'alcuno di costoro, o quella di
Crisippo, vero il vaso di Dioge-
ne essere stato nel mezzo delle cit-
tadi, riputandosi l'uno di costoro,
cioè Crisippo , essere offeso dagli
uomini quando lo salutavano, e
parendo all'altro, cioè a Diogene,
che l'ombra del re Alessandro, che
gli toglieva il razzo del sole, gli
facesse grandissimo dispiacere. Se
Jeronimo, vicino alla età di quelli,
non dicesse Diogene avere abitato
nelle intrate delle porte e nelle
logge delle città, la qual cosa non
essendo io disposto di credere ad
altri, la autorità di Jeronimo e la
varia e continova lezione da lui
fatta, fanno che io gli creda, però
che senza dubio lui non scriverla
tal cosa, se non avesse letto ap-
presso degno autore.
Di costoro fin qui assai è detto;
ma esso Solone, il cui nome è famo-
sissimo fra li sette savi della Gre-
cia, benché facesse primamente le
legge alla sua republica, e fusse du-
ca e governatore di quella, nondi-
185

meno nella sua ultima età, come di-


chiara il libro di Platone intitulato
Timeo, si diede ad altri studj, e
debbe esser riputato fra li solitari,
conciosia che lasciò la patria or-
nata delle sua leg}?i, e per la cupi-
dità di imparare più cose, andò in
terre non conosciute da lui, e som-
mamente si dilettò della peregrina-
zione d'Egitto.

CAPITOLO XLII.

Chi si meraviglierà adunque la


solitudine esser piaciuta agli uomi-
ni studiosi essendo stata molte
,

volte gratissima alli duchi e capi-


tani delle guerre ? La qual cosa pa-
re che non debia passare senza
grande ammirazione. Io tacio Ju-
lio Cesare, che ancora molto gio-
vane, deliberando di ritrarsi dalle
perturbazioni della città e di ridur-
si a Rodi per dar opera alle lette-
re, li fu impedito e interrotto il
suo proposito dalli rubatori del
mare; e da poi essendo occupato
nelle guerre civili e forestieri, non
puotè mandare ad effetto il suo de-
siderio, quantunc^ue leggendo, io
truovi Augusto Cesare, che fu la
somma e il capo della mortai po-
tenzia e della sublimitade umana,
esser usato di abitare alcuna fiata
in villa, e di sollazzarsi per li bo-
schi, perchè la grandezza delle pu-
bliche occupazioni, come io stimo,
rare volte gli dava licenzia di se-
guire r ozio privato. Sì come io
non ho ardire di ponerlo fra li so-
litarj, così eziandio non dubito d'an-
numerarlo fra li imitatori della vi-
ta solitaria, perochè sempre lui de-
siderò il riposo di questa vita, e
ciò che pensava e ciò che parlava,
continovamente finiva in ozio. Que-
sta era a lui consolazione delle
presente fatiche, e mercede delle
passate, e speranza del tempo che
dovea venire, ed in comparazione
di questo stato l' onore delle sua
ricchezze e tutto il carico della sua
signoria li pareva esser cosa mo-
lesta e grave, e come vilissima la
dispregiava. Finalmente stracco nel-
la somma copia di tutti gli beni,
che possono avvenire ad uno fe-
licissimo uomo, nel solo nome di
questa vita si riconfortava.
Alcuni scrittori di questo fanno
menzione, e una sua epistola dirit-
ti va al Senato di Roma, nuovamente
187
'pervenuta nelle mie mani, ne rende
chiara testimonianza. Con quanto
piacere stimiamo noi eh' e' saria ito
là, dove con tanta dolcezza avea
dirizzati gli occhi della mente? Lui
non solamente per lettere pregò
il Senato, che finalmente li fusse
lecito, comportandolo il stato del-
la republica, di menare privata-
mente la sua vecchiezza, ma alcu-
na volta eziandio, come recita Sve-
tonio, chiamato il Senato e gli uf-
fiziali a casa sua, rese universal-
mente ragione di tutta la ammini-
strazione dello imperio; ma pensan-
do di non poter vivere privato
senza grandissimo pericolo e du- ,

bitando che la republica, commessa


allo arbitrio di più persone, non
fusse retta come si convenia, per-
severò in ritener quella in sé, co-
me piace a quel medesimo istorico.
E così volse innanzi prò vedere alla
propria insieme e alla publica sa-
lute, che seguire li suoi modestissi-
mi desiderj. E' si può eziandio cre-
dere, che mosso per li prieghi del
Senato e del popolo, facesse questo,
li quali, come è certissimo, furono

più amati da lui che da alcuno al-


tro principe. Totria eziandio essere,
188
che né li prieghi in tutto, né la
publica paura né la privata a ciò
l'avesse indotto, ma che la natura
delle cose lo perturbassi; e forse
che pensando colFanimo, gli parca
che dinanzi agli occhi suoi si ap-
parecchiasse una discesa molto
strabocchevole e ruinosa, parten-
dosi dalla grandissima sublimità
della fortuna, dove lui signore e
governatore del mondo avea sedu-
to, e riducendosi a quello umile e
summesso desiderio di vivere pri-
vato, e come si suol dire, forse
che certa vertigine di cervello era
intrata in quello, misurando lui l'al-
tezza del suo stato e però tutta-
;

via considerando e deliberando sta-


va in dubio, né mai discese del
principato, se non costretto dalla
morte. Onde se bene, come ho dit-
to, ninno luoco fra li solitarj e fra
coloro che pigliano frutto dello o-
zio, si debbe attribuire a questo gran-
de e occupato principe, tuttavia
non si conoscendo più chiaramente
per alcuno altro testimonio che per
lui, quanta sia la dolcezza di que-
sto bene, non mi è parso che esso
Augusto Cesare, trattando noi di
questa materia, dovesse esser la-
189
sciato da parte; il quale potendo
dare tutte le altre cose, desiderava
questa sola essere a lui concessa,
e signoreggiando lui a tutti gli al-
tri, pareali che questa sola cosa
fusse assai più alta che la sua im-
periai sedia.

CAPITOLO XLIII.

Ma quello Diocliciano, che pri-


mo delli nostri imperadori volse
essere adorato come Dio, adempiè
ciò cl|eAugusto avea desiderato.
Costui adornando li suoi calciamen-
tie le sue veste di perle, e andan-
do carico di pietre preziose, parea
che avesse mutato l'abito imperia-
le e romano e umano in abito per-
sico o vero divino. Poco innanti
avea trionfato, menando li nobili
prigioni, e portando la preda delli
Parti dinanzi dal suo carro; ma
poi che il strepito della sua corte,
e il prezioso carico delle gemme, e
le schiere degli famigli, e la servi-
tù publica gli vennero in fastidio
e in rincrescimento subitamente
,

mutò l'animo, e desiderò di vivere


solo e povero e libero, e in mezzo
delle perturbazioni degli pensieri
,

11)0

dello imperio pensò di ridursi in


porto di vita più umile e più tran-
quilla come governatore nudo
,

che fusse campato di grandissimo


naufragio e pericolo di mare. Che
maraviglia è adunque, se Celestino,
uomo santo, fece per la speranza
della vita eterna ciò che Dioclicia-
no, grandissimo peccatore, non du-
bitò di fare per finire pacificamen-
te quel poco, che gli avanzava del-
la già sopravenuta vecchiezza? fi-
gli per lo desiderio dell'ultimo ri-
poso rendendosi a fortuna privata,
non determinò che Roma fusse la
stanzia della sua mutata vita, a
ciò che alcuno fumo o vero odore
del lasciato imperio non turbasse
la nuova tranquillitade; ma ritornò
a Salona di Dalmazia, sua antiqua
{)atria, dove, non però dentro, ma
presso alle mura della città, morì
nella propria villa, forse per questa
medesima cagione edificata da lui ;

e come molto riposo per questo


modo fu aggiunto alla sua vecchiez-
za, così eziandio per la solitaria e
umil vita non furono sminuiti gli
suoi grandissimi onori anzi solo
,

essendo privato, come recitano Eu-


tropio ed Eusebio, fu reputato nel
numero degli Dei.
191
Certamente Antonino Pio, innan-
ti assunzione dello imperio, avea
la
fatto quello che fece Diocliciano,
già essendo imperatore. Julio Capi-
tolino istorico narra, questo Anto-
nino nella vita privata aver molto
frequentato le ville, e in ogni luo-
00 essere stato chiaro e famoso.

CAPITOLO XLIV.
Io mi affretto troppo: ritornia-
mo alquanto indrieto. Lasso li Quin-
zii, li Fabrizii e gli altri,
Curii, li

dalli quali gran parte visse nelle


ville. Io dimostrare questa vita
innanti il principio della romana
republica esser piaciuta al re pru-
dentissimo e ottimo di tutti gli
altri, Numa Pompilio, secondo di
quello ordine, se tu vai drieto al
numero, ma primo se si guarda
alla giustizia, chiamato di terra
estranea allo imperio non sperato
da lui, avendo dirizzato tutto il

suo animo alla cura delle civili e


sacre legge per governare collo
ingegno, e per adolcire il popolo
aspero e bellicoso per la lerocia
del primo re romano. Spesse volte
192
era usato di transferirsi in certo
luoco solitario ed oscuro per a-
dattare il suo proposito, lungi non
più di quindici miglia dalla città
di Roma, il quale io ho veduto
colli mia occhi. Sotto il monte
della città di Aricia è una pietra
cava e ombrosa, della quale surge
una perpetua fontana il bosco è
;

spesso e pieno di negri lecci, e il


silenzio è grande. Quivi adunque
il re, a quel tempo dottissimo, con

mirabile arte fìngeva di trovare le


legge degli uomini e le cerimonie
e gli sacrifìzj degli Dei, o veramen-
te cercava di dare autoritade alle
cose trovate altrove. In questo
luoco sedendo tacito e solo, e da
poi uscendone fuori tutto pensoso,
portava seco le legge scritte, per
le quali il popolo, ancora rozzo e
non usato a simile cose, ma che
subito dovea signoreggiare tutte
le genti, fusse governato; e così
imitando lo esemplo di Minos, an-
tico re degli Candiotti, per raffre-
nare li novi e indomiti animi me-
diante il vinculo della religione
e col freno della paura, con gran-
dissima astuzia simulando di par-
lare neltempo della notte colli Dei,
193
aquistava fede al salutifero consi-
glio. Da poi nella sua morte egli
dannò questa fizione insieme colli
sacrifizj trovati da
scriv^endo
lui,
libri greci e latini, per li quali
elli dimostrasse agli uomini dotti
in ciascuna di queste lingue, sé a
tempo aver usato la bugia per a-
jutare eper difendere il vero;
e veduto che l' autoritade delle
leggi poste da lui già avea ottimi
fondamenti, non gli piacque che il
popolo fusse inviluppato in super-
ilui errori. Certamente io non so,
se pretore romano consentendolo
il ^

il Senato, deliberò che li detti libri,

trovati molti anni da poi nella se-


pultura del re Numa, fussero arsi
come contrari veramente alla re-
ligione, o vero se sotto questo co-
lore, a che più tosto me inclino,
fu preso il partito di brusarli, acciò
che il popolo, sciolto dalla paura
della religione, non gittasse a terra
il giogo a lui imposto dalli gentil-

uomini romani. Lascio o con quanta


vanitade o con quanta malignitade
questo fusse fatto; (^onciosia che
al presente basta d' aver dimostra-
to la solitudine essov fontana di
molte ottime cose, dalla (piale e-
13
194
ziandio le romane legj/e hanno avu-
to principio.

CAPITOLO XLV.
Esso Romulo, più animoso e
più gagliardo di Numa suo succes-
sore, nelle selve e nella pastorale
casa avvezzò l'animo suo a cose
tanto grande, che -stando solitario,
fu idoneo e atto maestro a com-
ponere il fondamento dello imperio

romano, e quello che è difficile


pure a pensarli la solitudine, cosa
,

tanto aspera, diede materia e no-


me e luoco e autore a la regina
di tutte le altre cittadi. Noi leg-
giamo Achille avere imparato nella
solitudine quelle cose, che da poi
lo feciono parer terribile alle cit-
tadi di Asia, e appresso gli Greci
lo rendettono famoso e grande.
Esso Ercule nella solitudine prese
quello salutifero consiglio della vita,
di che nel primo libro ho fatto
menzione, quando essendo lui co-
me al capo di dua vie, e stando
molto dubioso qual camino egli
dovesse prendere^ a V ultimo di-
spregiata la via delli mondani pia-
ceri, pigliò quello della virtù, per
195
la quale andando continovamente,
non solo pervenne alla somma al-
tezza della umana gloria, ma fu
adrizzato alla opinione della divi-
nità, e fu creduto essere Dio. Se
tu cercherai bene, che cosa abia
sparso tanto largamente la fama
di questo uomo, senza dubio tro-
verai la solitudine esser di ciò
stata principal cagione.

CAPITOLO XLVI.
Dove lasciamo noi quelli dua
Affricani nobilissimi sopra gli altri
duchi, e veramente, come Virgilio
dice, dui fulmini e saette di guerra?
Le quali parole io mi maraviglio
che alcuni abino voluto intendere
esser dette dal gran poeta per al-
tri, e non per loro. Il primo di co-
storo, come recita Livio, poi che
ebbe preso la virile toga, mai non
facea alcuna cosa publica o priva-
ta, che prima egli non andasse in
capitolio, e intrando nel tempio,
quivi sedea, e solo in secreto con-
sumava lungo tempo ,e questa
consuetudine per tutta la sua vita
continovamente per lui ovu osser-
196
vaia; e cosi quello uomo tanto
singulare e tanto lodato non per
le fabule e per le superstizione
degli Greci, ma per li judicj degli
uomini romani e per la ammira-
zione della propria virtù, avendo
eziandio aquistato opinione e no-
me di divina progenie, cioè di esser
riputato figliuolo di Dio, dalla re-
ligione chiedeva gli principj delle
cose, che per lui si doveano fare,
e riputava la solitudine esser ot-
tima stanzia della religione. E fatto
questo, essendo usato di abbrac-
ciare più che con umana fiducia
tutte le sue imprese, prometteva
prosperi avvenimenti a sé medesi-
mo e alli suoi per tal forma, che
mai non gli veniva fallito il suo
pensiero. Ma
acciò eh' io non di-
vida col scrivere costoro tanto
legati insieme e tanto pari, a niu-
no è dubio che nelle loro etadi
ambedue cosi furono amatori della
solitudine come della virtù; e dopo
li sudori delle guerre, dopo le vit-

torie, dopo gli trionfi erano usati


di transferirsi o a Linterno o a
Forme o a Gaieta; e quivi ciascuno
di loro in compagnia d' uno solo
amico con molta dolcezza e tran-
d'animo si riposava.
quillità
,

197
nobilissimo spettacolo, e de-
gno d' avanzare le pompe e il stato
di tutti gli regi, vedere tali uomi-
ni conservatori della republica
liberatori delli loro cittadini, difen-
sori di Italia, domatori delle genti,
menate felicemente a buono effet-
to le loro imprese, lasciato a Ro-
ma in libertade e in allegrezza il
popolo vincitore e la infinita schie-
ra delli loro seguaci, posto giuso
r abito trionfale, e con grandissima
cupidità restituite e rese alla re-
publica le insegne degli onori, soli
oziosi e non suggetti a umili e bassi
pensieri, andare raminghi e sollaz-
zarsi per li colli e per le ripe del
mare, e spesse volte racc()gliere nic-
chi marini e protezelle (1) bianche e
di molti altri diversi colori, e final-
mente far quello, eh' io vedo scritto
da Cicerone con qualche rossore di
vergogna e non con piccola reve-
renzia cioè loro esser usati di
,

incredibilmente ringiovenire e di
divenire come fanciulli, qualunque
volta si trasferivano alla villa, u-
scendo della città come sciolti e
liberi da gravissima prigione. Ma

(1) Pirrolr pietre.


198
certamente bellissimi e onestissimi
pensieri accompagnavano quella
solitudine, e in quello ozio sempre
si faceva qualche cosa grande e
degna; e però esso Cicerone in
quel medesimo luoco, dove piange
la sua solitudine, molto si mara-
viglia di quella del superiore Affri-
cano, e pone la voce di quello a
suo judicio magnifica e degna di
grande e savio uomo, confidatosi
della testimonianza di Catone, che
in quella medesima etade visse, e
senza dubio fu grandissimo emulo
d'esso AfFricano, cioè lui non esser
mai meno solo quando fusse solo,
che quando e' fusse solo, la gloria
della qual parola Ambrogio cerca
di togliere al suo cittadino.
Ed acciò che la schiatta romana
non sia mai senza guerre civili, essi
combattono nelli loro libri. Ecco
che Cicerone nel terzo libro degli
Oflìzj attribuisce questa laude ad
Aff'ricano ,ed Ambrogio, che in
molte cose e in lo nome e in lo
numero degli libri seguita Cicerone,
per contrastarli apertamente in
quella medesima parte del suo li-
bro, cioè nel principio del suo ter-
zo libro degli Olfìzj, con faticosa
disputazioiie si sforza di transferire
a Moise ed Elia e ad Eliseo profeti
la sopradetta laude tolta a Scipio-
ne; li quali lui vuole essere stati
pieni di faccende nelli loro ozj, e
accompagnati nella solitudine molto
prima che non fu Affricano. Io non
voglio contradire ad Ambrogio, per-
ch' io so lui parlare con veritade;
e se io non lo sapessi, la sua au-
toritade mi romperia con maggior
forza, che non aria fatto Marco
Tullio quella di Platone, conciosia
che immeritamente 1' autoritade di
colui è grande appresso di me, per
la bocca del quale io credo che lo
Spirito Santo parli. Come arei io
ardire di stimare Moise mai essere
stato solo, che non tanto con sé
medesimo parlava (la qual cosa è
propria d' uomo savio e dotto), ma
col quale esso Idio da faccia a
faccia ragionava, come suol fare
r uno amico coir altro? In che
modo dirò io quello essere stato
ozioso, che sedendo tacito e disar-
mato, gridava al nostro Signore
Idio ed era udito fino aj cielo, e
con gran fatica coir altrui ajuto
levando al cielo le debole e strac-
che mani, solo vincea li infiniti e
200
potentissimi eserciti degli inimici,
il che le armate legioni senza lui
non averebbono mai potuto fare?
Come penserò io eziandio Elia es-
sere stato solo, col quale Idio si-
milmente e gli Angioli parlavano
con grandissima domestichezza? E
come dirò io quello essere stato
ozioso, che comandava alla pioggia,
e che con la parola fece la arca
della farina, che mai non venia
meno, e il vasello di olio, che non
si potea votare, alla donna sua
albergatrice, che temea di morir
di fame, e che con gran forza di
fede a quella medesima rese il già
morto figliuolo?
Diremo noi Eliseo, discepolo di
quello, essere stato solo, il quale al
suo servo, impaurito per la veduta
del nimico, mostrò li carri e li
cavalli e le schiere delli Angioli
che stavano in suo ajuto, e non
vedute da alcuno altro? Come fu
costui ozioso, che promettendo a
Sunamite sua albergatrice. che ella
avrebbe uno figliuolo dal suo ma-
rito già, molto vecchio, senza dubio
glielo dette, e quello da poi morto
restituì alla madre, resuscitandolo
da morte a vita,a ciò che il fan-
201
Giulio fusse argomento della fede
e della potenzia del profeta? Ma
perchè debbe alcuno maraviglia-
si
re, se lui vivendo risuscitava gli
morti, conciosia che essendo esso
privato di questa vita col solo
,

toccare del suo santo corpo facesse


questo medesimo? Oltra di ciò chi
reputerà costui ozioso, che sedendo
neir ozio, quasi come
fusse presente,
conoscea tutte forze e gli pen-
le
sieri e li consigli delii suoi nimici
molto lontani da lui, e alli suoi il
tutto annunziava con grandissima
veritade? Avendo il re di Siria
notizia di questa cosa, comandò
che il santo uomo fusse circondato
da tutto il suo esercito, e quello con
lo comandamento e la potenzia della
sola lingua fece divenir cieche, e
menò prese le legioni delli inimici
che lo assediavano, e colla sola
parola liberò quelle medesime, co-
me si legge.
Queste sono operazioni di ozio
molto imperioso e di solitudine
molto potente. Ma cojifediamoche la
gloria delle cose sia più antica ap-
presso gli profeti, che o per etade
o per merito senza dubio sono
stati i primi sarà però minore la
;
202
gloria di Affricano, se alcuno pri-
ma di lui è stato in quella mede-
sima generazione di lode ? M-assi-
mamente cessando ogni imitazione,
dove al tutto non abia possuto in-
tervenire alcuna notizia , come io
sono certissimo, perochè non es-
sendo noto ad Affricano chi e quali
fussono stati gli profeti, egli non
avea potuto seguii-e il dir di que-
gli colla imitazione, la quale imita-
zione io non negheiò esser usata
di gustare e di raccogliere in sé
qualche particella delle lode e della
fama degli uomini e delle cose u-
mane. Sia venuto in parte di que-
ste cose chi si voglia; certamente
Ambrogio non mi negherà quella
parola, della quale partendomi, do-
po lungo spazio io sono ritornato
alli nomi delli profeti, essere stata
prima detta da Affricano e esser ,

di lui proprio senza contradizione.

CAPITOLO XLVI.
La sentenzia di questa parola
facilmente dimostra quello eh' io
voglia. Cerco la solitudine non sola,
cerco r ozio senza pigrizia e non
,

203
disutile , ma che colia solitudine
giovi a molti couciosia che io sti-
,

mo li oziosi, che al tutto sono lan-


guidi e negligenti e disoperati, es-
ser sempre malinconici e miseri
perochè essi non hanno esercizio
di alcuno laudabile atto, né possono
aver commercio degli nobili studj,
né acquistare gloriosi nomi. Questa
adunque é la somma. Io ricevo a
questo ozio non gli uomini che so-
no più mobili che il vento ma ,

quelli che sono constanti la fine ,

delli quali non é la fatica né il


guadagno né la vergogna, ma la
delettazione e la virtù e la gloria.
Io denunzio le ferie al corpo e non
all'animo, e vieti lo ingegno ri-
posarsi nello ozio, se non in tanto,
che possi rilevarsi in alto, e che
per la intermissione di stare alcu-
na volta disoperato, e' divenga più
copioso, peroché la intermissione
cosi alli ingegni, come alli campi
suol giovare. Dall' altra parte io
non solamente ricevo gli generosi
pensieri nella solitudine ma con ,

gran studio gli chiamo, delli quali


niuna compagnia più graziosa, ninna
più dolce nò più piacevole si potria
chiedere o Ungere e senza essi
,
,

204
certamente la nostra vita è misera
nelle cittadi e nelle selve. Voglio
eziandio libri di diverse materie
che siano cari e continovi compa-
gni, pronti o a venire in publico
o a ritornare nella cassetta qua-
lunque volta li sia comandato e ,

apparecchiati sempre o a tacere o


a parlare o a stare a casa, e a far
compagnia per li boschi, e a venire
in peregrinaggio e in villa, e a
ragionare e motteggiare, e atti per
lo simile a confortare e a conso-
lare, e ammonire e a riprendere, e
a dare consiglio e ad insegnare le
cose secrete della natura le isto-
,

rie del passato e la dritta regola


della vita, e il sapere dispregiare
la morte e il dolore, e di ritenere
la modestia nella prosperitade e la
fortezza nella fortuna contraria, e
in ogni atto sempre esser un me-
desimo e constante. Questi sono
compagni dotti lieti utili ed elo-
, ,

quenti, senza fastidio, senza dan-


no, senza lamenti, senza murmu-
razione, senza invidia e senza in-
ganno e fra tante commoditade
;

non si dogliono, se li loro cibi e le


loro bevande non sono molto deli-
cate, né si lamentano d'esser vestiti
205
poveramente e stanno contenti di
,

piccola casetta dando alli suoi al-


,

bergatori inestimabile ricchezze d'a-


nimo, e grandissimi palazzi, e ri-
splendente e magniiìche vestimen-
ta, e apparecchiandoli grandissimi
convivj e soavissime vivande.
Ricevo eziandio gli amici nella
solitudine, cosa molto dolce, di che
noi abiamo di sopra molto parlato,
e senz.i essi giudico la vita esser
manca e debile e quasi cieca. Con-
ciosia che qualunque volta come ,

si suole, l'amico viene a battere


la mia porta, e quando dopo lungo
tempo alcuno congiunto con esso
me di ospitalità mi viene a vede-
re, o vero quando il grato conviva,
cacciato dalia pioggia si rappre-
senta a me vacuo e disoperato ( li
quali versetti a me pare che Ora-
zio (1), per la profunda esperienzia
del vivere, dolcemente collo amico
traesse dell' intimo e secretissimo
seno della natura), quando adunque
alcuna cosa simile mi accaderà e ,

che r amico già lungo tempo da


me non veduto mi truovi disope-
(l) Ac mihi seu lon^um post teiupus vonerit ho-
8p€S,
Sive operutn vacuo gratus conviva per iiiibrem.
,

200
rato dallo esercizio deiranimo, co-
me di sopra ho ditto, acciò che forse
tu non credessi, eh' io mi dilettassi
degli spessi convivj o degli impe-
dimenti delle molte faccende al- ,

lora io non giudicherò alcuno altro,


ma me proprio a certo modo dop-
piamente esser venuto. Coloro non
debbono essere stimati essere due,
dove uno solo animo si vede pe- ,

rochè r amore di dua corpi ne sa


fare uno solo; altrimenti Pitagora
comanderia cosa impossibile di- ,

cendo che nella amicizia uno solo


sia composto di molti, il che così
essendo, siegue che qualunque luo-
co è capace d' uno solo uomo in ,

quel medesimo possono stare due


amici insieme; e pertanto ninna
solitudine è sì profonda ninna ,

cosa è tanto piccola, ninna porta


è tanto chiusa eh' ella non sia
,

continuamente aperta allo amico.

CAPITOLO XLIX.
A te , o padre
se tu cognosce-
,

rai te medesimo gli tuoi beni


e
niente manca che ti possi fare la
solitudine grata e 1' ozio dolce. Tu
207
hai r animo buono e bene ordinato
da Dio, e da te proprio non negli-
gentemente adornato e dotto per
la cognizione di molte arti e di
molte cose 1' animo, dico, guida e
,

reggitore degli atti umani e del


governo di tutta la nostra vita;
onde sotto la protezione di tal go-
vernatore, il tuo navigare non deb-
be esser se non felice. Tu sai co-
loro, che sono stati chiari e famosi
nel tempo passato (vorria poter dire
eziandio quelli, che sono al presente,
ma manifestamente si vede come
ora le cose vanno); nondimeno se
alcuni ne sono in alcuno luoco, essi
da te sono eziandio conosciuti. Non
potendo conversare con questi al-
trimenti, fa che con lo animo tu
stia con esso noi e così né il ma-
,

re né gli monti ti toglieranno que-


sto modo di conversazione. Tu ne
hai forse molti con li quali tu
,

puoi eziandio conversare il corpo,


benché di questa cosa non se ne
abia mai veduto troppo gran co-
pia, e. al presente ne sia grandis-
sima carestia.
Ma io ho giudicato il nome
d* uno di coloro, che la fortuna ti
ha dati compagni alla consolazione^
208
della vita solitaria per onoranza,

dover esser posto in questo luoco,


cioè Ponzio Sansone, dopo te se-
condo ornamento della tua chiesa(l).
Io parlo confidentemente di costui,
perochè dalla prima età domesti-
camente lo ho conosciuto e al ,

presente di lui ho più certa notizia


che nel passato. Senza dubio io
credo questo cognomento di San-
sone non fortuitamente, ma per lo
effetto esserli tocco, perochè quan-
to quello ebreo era dotato delle
foi'ze del corpo tanto costui è
,

adornato di quelle dell'animo, e di


grandissima umanitade e di singu-
lare prudenzia. Oltra di questo in
lui si vede non mediocre notizia
delle lettere e tanta suavità di co-
stumi, che mediante quella, facil-
mente si potria adolcire ciascuna
asprezza, che in sé contenesse la
solitudine. Abbraccia costui con
tutta la mente come tu fai e
, ,

chiamalo in parte del


tuo ozio so-
litario; se io non sono ingannato
dallo augurio, credo che volentieri
e' ti seguirà, e stracco per le oc-
cupazioni delle faccende civili, non
temerà di fuggire dalle cittadi.

(1) Era prevosto del capitolo di Cavaillon. Ta-


luni lo chiamano Ponte di Sansone.
,

209
Ma dove lascio io il nostro So-
crate? Io mi inganno, perchè certa-
mente non lo lascio (1), conciosia che
gli altri sono nostri compagni co- ;

stui è parte di noi proprj e per- :

tanto essendo necessario chiamare


gli altri, che stiano con esso noi
il grande amore fa che lui non sta

mai da noi diviso. Tu conosci mol-


to bene questo uomo caro a noi
per la fede della stabile e ferma
amicizia e nobile per la molta fa-
,

migliaritade, che lui ha colle sacre


Muse. Con costui sera presente la
allegrezza e la consolazione della
vita per tal modo che il buon ,

consiglio non gli mancherà; la for-


za del suo ingegno e il vigore del-
l'animo suo è tale, che alcuna nu-
vola di tristizia non gli interviene,
la quale alcuna fiata suole esser
congiunta con queste parte eh' io
tocco la sua fronte sempre è lieta,
;

e in lui vediamo e amiamo quella


uniformitade e constanzia di volto,
quale con grandissima ammirazione
noi solemo lodare in qu(;llo antico
Socrate.
Non tacio eziandio il nostro
(1) lìt'a, srm'jyi. un /i'imoiiityo, di n jmr Ludovico.
14
210
Guidone (1), che di candid 'z/a o di
purità d'animo vince ciasciiiio al-
tro, suttìlissimo di ingegno, liia-
vissimo nel giudicare e suavissimo
nella conversazione, il quale se
non sera settimo alla compagnia,
come par che voglia il suo cogno-
mento, ma più tosto quinto, io non
vedo che cosa possi esser più dolce
di questo ragunamento d' amici.
Non ci mancheriano eziandio al-
cuni altri di tal proposito e di si-
mile voluntà, se la imparità del
stato, vero certa difflcultade e lo
indissolubile inviluppamento delle
cose umane per invidia non ce ne
privasse. Costoro pur sono parec-
chi, e la fortuna non ci divieta
che con lo animo noi non possiamo
prendere frutto di loro; questi tali
uomini scranno adunque presenti,
e avendo noi la lor presenzia, non
potremo esser tanto distratti e tur-
bati da aspera infìrmitade né da,

urgentissime faccende, né da for-


tuita necessità di andare in viag-
gio, che alcuno di noi sempre teco
non dimori. E perchè numero io
queste cose ad una ad una ? Niente
(1) Guido di Settimo; Barbalo d" s
chiamato Ovidio.
211
ti mancherà; fa pure che col vo-
lere tu non manchi a te medesimo.
Certamente qui sono ricchezze non
molto grave, ma assai destre ed
espedite, ed acciò ch'io dica altri-
menti, la povertade non trista ne
ignominiosa, ma onesta e lieta e .

S3 noi vogliamo confessare il vero,


invidiata da molti qui non manca
;

buona copia di varj libri, né il


dolce desiderio del leggergli, né la
facultà di intendergli e di recitar-
gli data da cielo, e accresciuta col
vigilante studio. Arei taciuto quello
che segue, confortandomi a ciò la
vergogna se io non sapessi le cose
,

esser di tanto pregio, di quanto elle


sono stimate dalla affezione e desi-
derio di coloro che le usano. Io serò
adunque in questo numero, e le
cose per me scritte tanto da te a-
mate non staranno mai senza noi,
e ogni giorno ti porgerò qualche
cosa nuova ed in veritacb tu col
;

tuo insaziabile appetito di leggere


aresti adoppiata la riputazione del
mio scrivere; se non che, come io
secondo il pro-
dissi al principio,
verbio antico, il favore troppo a-
morevole nuoce molto volte al giu-
dicare degli uomini.
212
Io mi ricordo quante fiate tu hai'
preposto gli miei non voglio dire
libri,
ad altri, ma certamente a Platone e
a Cicerone, ed essendo tu entrato nel
mio studio il che spesse volte tu
,

fai non come vescovo, ma come a-


mico, comprendendo io la tua cupi-
dità di leggere, la quale in te mai
non manca, subito ti porsi le di-
vine opere di quegli celesti inge-
gni: ma tu colla mano renitente,
rivolgendo il capo adrieto, chiedesti
solamente la mia; e non facendo tu
alcuna cosa senza ragione, si può
credere che o la perfetta cogni-
zione che tu hai delle cose anti-
che, a cui non è oramai più ne-
cessario di rileggerle, ti abia in-
clinato a questo proposito, o vera-
mente l'amor delle nostre cose, in-
sieme con la novitade, di ciò ne sia
stato principal cagione e se bene le
;

scritture degli antichi sono di mag-


gior autoritade, e quantunque Ora-
zio dica il vero, che le poesie e li
vini per la vecchiezza divengono
migliori, non resta però che la no-
vitade non abia la sua grazia.
E forse che ti piace di provare,
qual frutto infino a questa etade
io abbia fatto però che, come sì
,
213
dice, niente si truova più sollicito,
né che più desideri la esperienzia
delle cose, che l'amante? Ma sia
stata che cagion si voglia di que-
sto, veramente io mi sono maravi-
gliato spesse volte alla tua presen-
zia di questo tuo ardore, e spesse
volte r ho conosciuto per le parole
del mio castaido che continova-
,

mente, quando io torno alla villa,


me assalta con infiniti lamenti, do-
mandandomi per che cagione io ho
portato via non so che scritture, le
quali tu, venendo in casa mia, sem-
pre eri usato di adimandare. Io me
ne rido, e maravigliomi della affe-
zione del padre, e della fede del
guardiano, e della purità del ca-
staido; e però alcuna volta parten-
domi e motteggiando col mio vec-
chio li
, ho dato certe carte non
scritte, quasi com'elle fussino quelle
che tu avevi chieste; onde ritor-
nando io un'altra volta in villa,
egli si querelò gravemente d' esser
da me deleggiato; e finalmente tutta
questa faccenda lini in giuoco e in
riso.
Ma io ritorno allo ordine di so-
pra. Oltra di questo tu hai cosa,
senza la quale non voglio (lir(» elio
la vita sia l'elice, ma iioii è pur da
essere stimata vita, cioè il naturale
odio delle cattive operazioni, e l'a-
more delle buone, e lo ornamento
delle virtù, e il bello desiderio della
buona fama, e il studio della onestà,
e dispregio d' ogni superfluitade.
il

Se quésto essere un fonda-


io dirò
mento della vita solitaria, affermerò
di aver detto il vero. Il tuo corpo
non è ancora debile, ma pur già ma-
turo e idoneo e atto a tollerar le
fatiche; la tua etade è ancora fre-
sca, ma ora mai liberata dalli pe-
ricoli e dalli mali della gioventù,
e questa è ottima parte della vita,
attissima alle buone operazioni, e
copiosa di consiglio, e suflìciente ad
ogni grande impresa. Non ti manca
la patria, dove tu essendo cittadino
e vescovo, d'una parte hai l'amore
del popolo, e dall'altra tieni la rocca
della reverenzia; la natura ti con-
cede l'una di queste parti, o la di-
gnitade l'altra, ma per vi ini e [hm'
merito tu se' degno di ambedue La
tua sorte ti ha dato tal patria, che
se bene ella è nobilitata di nome di
cittade per lo tuo vescovado, essa
nientedimeno, eccetto la sua vec-
chiezza e il suo nome, non ritiene
in sé alcuna similitudine <li cittadr'.
215
Qui non è superflua pompa, qui
non è lussuria, qui non è frequenzia
d'uomini, qui non è tumulto nò
confusione, ma tutte le cose vi sono
attissime a quella vita, di che io
parlo e se io faccio bene il conto,
;

innanzi lo avvenimento di Cristo


circa anni cinquanta, combattendo
Julio Cesare in Inghilterra, truovò
in autentica scrittura fino allora
esser stata fatta memoria di questa
tua patria fra le antiche cittadi.
L' aspetto del luoco è tale , che il
nostro Socrate, quando noi vegni-
mo a vederti, non senza molta ele-
ganzia suol dire: «Ecco la piccola
cittade, ma certamente onorata, la
quale, come nelle ecclesiastiche isto-
rie si legge, dal re Abagaro fu of-
ferta a Jesu Salvatore. » Se ti piace,
tu puoi farti la solitudine in mezzo
di quella, e in questa faccenda non
arai bisogno di lontana i)eregrina-
zione, dove si sono ridotti molti di
coloro, ch'io ho di sopra nominati.
La condizione delli luochi è tale ,

che nella tua patria e nel mezzo


del seno di tuoi tu potrai esser so-
litario: questa opportuiiitade non è
da dispregiare; tu hai a casa ciò
che molti hanno cercato spesse volte
e con gran fatica di là dal mare.
,

21C.

. CAPITOLO L.

Se forse il tuo nido non ti piace


e cerchi maggior libertade potrai ,

volare al vicino ramo e fermarti


,

in quella stanzia quietissima sopra


la graziosa fontana. Il Sorga, re
delle fontane, al strepito delle onde
del quale io scrivo queste cose ti ,

sarà presente; vederai il molto li-


bero e molto soave ridotto della
Chiusa Valle così chiamata dalli
,

abitatori, e che per la sua naturai


forma merita cosi esser detta^pe-
rochè la natura ha nascosto rfuel la
in mezzo di molti colli e dal lato
,

di fuori ha posto la via publica in


ogni altro concorso, e non ha per-
messo eh' ella possi esser veduta
se non dagli abitatori. Qui eziandio
tu puoi esser libero e signore e
vescovo e solitario, il che rare volte
noi abiamo veduto intervenire ad
alcuno. Vorrai tu dispregiare questo
tuo luoco, che porge reverenzia e
ammirazione agli animi di coloro
che '1 vedono? Seneca dice: « Se
alcuna spelonca sarà attaccata al
monte con sassi dirupati e vecchi
non fatta a mano, ma per naturai
217
cagione cavata in spaziosa larghez-
za senza dubio 1' animo tuo sarà
,

tocco da qualche creduUtà di reh-


gione. » Se questo è vero, dimmi do-
ve si troverà altrove spelonca più
religiosa; e se quello che segue e-
ziandio nel scrivere di Seneca non
è falso ,cioè che noi abiamo in
somma venerazione li capi delli
fiumi, che luoco si troverà degno di
più venerazione e di maggior reve-
renzia di questo? Certamente noi
abiamo veduto fiumi di più lun-
ghezza e molto più copiosi d'aque,
ma simil fontana non mai. Di nuovo
se la terzia parte che tocca Seneca
è vera, cioè che la subita uscita
del gran fiume di luoco nascosto e
secreto abia in sé spezie e forma
di divini altari, dove si fariano più
degnamente altari che quivi? E per
Dio ti giuro, che se lecito mi sarà
mandare ad effetto il mio desiderio,
io penso dirizzarne alcuni nel mio
di
orticciuolo, posto sopra la fontana e
suggetto alli scogli del vicino monte,
non alle Ninfe nò ad alcuni Dei di
fontane o di fiumi, come piaceva a
Seneca, ma a Mai'ia lo ineffabile
,

parto e la feconda virginità <lella


quale distrusse tutti gli altari e
218
tutti glitempj degli Dei delli pa-
gani. Spero che forse lei me V aiu-
terà, e se io non mi incanno, qual-
che volta compirò il mio longo e
piatoso desiderio.
Ora sieguo quello ch'io ho prin-
cipiato. Potrai tu adunque, come di
sopra ho detto, non fare stima del
tuo luogo, che tanto è riverito dalli
estranei e da qualunque lo vede,
luoco amicissimo alla libertade al ,

riposo, allo ozio, alla scienzia e alla


virtù ? Ed acciò eh' io non dimori in
ciascuna particularità, luoco in som-
ma sopra tutti gli altri attissimo
alli tuoi esercizj, e tacendo le altre
parte, fatto già molto degno per lo
antico abitatore, e ora per te pro-
prio, che sei ornamento d'ogni virtù.
Tu sai che il tuo Verano, nobile
confessore, che tenne la tua sedia
non so quanto tempo innanzi di te,
che al presente è più aspera dell' u-
sato, cercando luoco di pace e di
riposo, qui finalmente fermò li passi
suoi, e scacciatone il terribile dra-
cone, cioè il dimonio, in questo pog-
getto menò santa e solitaria vita, lo
non ho fatto menzione di costui tra
li amici della famosa solitudine,
perchè mi sia uscito di mente, ma
,,,

219
solo per differirlo altrove, acciò che
posto nell'ultima parte del nostro
libro, più tenacemente e' si fermas-
se non dico nella tua
, memoria
della quale il continovo ragionare
che tu fai di lui non lascia di-
lo
partire, e per lo simile la sepoltura,
sempre presente agli occhi tuoi
vero testimonio della tua fede, nel
compimento della quale, per mettervi
le preziose reliquie del santo uomo,
tu hai adoperato ogni tuo studio, e
melatamente postevi tutte le tue
sustanzie e quanto oro e quanto
,

argento tu avevi; ma più tosto ho


indugiato a parlare di lui nella fine,
per lasciare la ricordanza del suo
nome nelle menti di coloro, che forse
qualche volta leggeranno le nostre
cose. Egli mentre che visse abitò ,

in questo luoco innanti che la sua


perfetta virtù contra sua voglia lo
sollevasse al stato pontificale qui ;

come in terra nimica ma per lui,

domata e pacificata e aquistata alla


abitazione degli uomini e a ('risto,
sotto le cui bandiere egli era stato
>
vincitore, dirizzò il suo trofeo e
il segnale della gloriosa vittoria
facendo uno ornato e piccol tempio,
ma bello e forte, sotto il titolo della
220
Vergine madre di Cristo. Egli aperse
la via per questo monte, e colle sue
mani, come si dice cavò questa
,

montana e dura pietra, opera di


gran fervore e di grande ozio, ricco
di Cristo e contento dello orticciuolo
e del fiume. In questa ripa ebbe la
sua cella; a 1' ultimo, morendo lon-
tano da questa regione miracolosa-
mente , volse esser riportato
e se-
pellito in questo luoco, tu sai;come
e quella potenzia che già fu nella
verga di Moise, vivendo egli, nel
transito del Mar Rosso, certamente
quella medesima si vide nel man-
tello di Verano già morto nel pas-
saggio degli fiumi.
Queste cose fin qui bastino, pe-
rochè molto più oltra si potrebbe
dire del resto delle lode della tua
villa; ma spesse volte ne abiamo
già detto assai, e oramai è tempo
di por fine al parlare di questo
giorno.

CAPITOLO LI.

Se adunque noi vogliamo ser-


vire a Dio, che certo è una felici-
tade, o se il nostro proposito è colle
arti buone e de^j^ne di adornar lo
221
ingegno, che debbe esser riputata
la seconda nobil fatica; e se vera-
mente con la meditazione è col scri-
vere ne piace di lasciar memoria
di noi a coloro che verranno nella
seguente etade, e per questo modo
fermare il fuggire delli nostri gior-
ni e prolungar più oltra questo
,

brevissimo spazio di vita o se e- ;

ziandio è nostro intento di fare


tutte queste cose insieme, senza du-
bio oramai è il tempo che noi fug-
giamo, e che noi finiamo nella so-
litudine questo resticciuolo del tem-
po della nostra vita; e sopra tutto
vuoisi che noi abiamo avvertenzia
di non ci lasciar sommergere nelle
perturbazioni, e che noi non perco-
liamo negli scogli delle mondane
cose, mentre che pare che noi vo-
gliamo dare ajuto a quelli che sono
posti nel pericolo della tempestade.
Seguitiamo colle operazioni ciò che
noi lodemo, e sforziamoci esser tali,
che li nostri judizj e gli nostri par-
lari non siano di/ferenti dagli fatti,
il qual vizio è publico e comune
con molti, e spesse volte lo ripren-
dono in altrui. Non ci lasciamo in-
gannare: ninno ci persuada che lo
smisurate ricchezze si debbiano de-
siderare in questo nostro proposito,
però ch'elle ne ajutano né alleg-
gieriscono la mente dell' uomo, ma
più tosto impediscono, e con gra-
vissimo peso quella tengono som-
mersa. Egli è necessario ascendere
in alto chi vuole andare a questa
vita, e qualunche ha proposito di
far questo, bisogna che di propria
voluntade e' sia disciolto dagli su-
perflui pesi e da tutti li mondani
lacci.
Niente si truova più grieve né
più tenace dello oro; noi non Io
dobbiamo desiderare né eziandio a-
mare, se non in tanto eh' e' sovvenga
alle nostre necessitadi , perocché
quando la avarizia é ragione che
1' uomo lo appetisca, ninna cosa è
che con oiaggior forza pieghi e de-
biliti e traggia a terra la mente
umana di quello e questa non é
;

maraviglia, se la cosa nata della


terra, dalla sua gravezza a quella
medesima é ritirata. E' non si con-
viene che l'anima tratta da celeste
origine, sia sommersa dalle some
delle terrene caverne, e macchiata
dalle fecce del secolo. Veramente
lo oro porta dinanzi da sé lo splen-
dore e la dolcezza, che inesca ah
223
sentimenti degli uomini ; ma poi
a l'ultimo porge oscurissime tenebre
a l'animo e acutissime spine e sti-
muli di tristi e pungenti pensieri ;

e quanto più e' dimostra esser pur-


gato e netto, tanto egli è più ve-
ne n oso per gli mali che vi sono
drento nascosti. Le ricchezze non
vengono mai sole, ma seco impor-
tano molti e varj mali e innumera-
bili fatiche e infinite cagioni di pe-
ricoli. Se io non sono assai degno
di fede, dimanda a quelli che sono
chiamati felici , e scongiurali cl;ie
essi non ti tengano la veritade oc-
culta; tu troverai la lor vita piena
delli suoi tormenti per modo che tu
,

temerai e dispreg(^rai quella, di che


tu ti maravigliavi prima grande-
mente; e cosi facilmente ti fia noto
le gran ricchezze non giovare a que-
sta vita, a che io ti conforto, ma
spesse volte nuocerli molto onde ;

non solamente non pare ch'elle si


debbiano cercare con tanto studio,
ma più tosto seriano da gittjir via
con propria voluntade, quando noi
le avessimo, lino che, secondo la
consuetudine degli nocchieri, che si
truovano nella pericolosa fortuna del
mare, colla perdita e col dainio della
221
roba, conservando la nostra navo,
noi fussimo giunti a quel line, che
la natura e ia virtù ne hanno or-
dinato.
Una cosa maravigliosa al pre-
sente mi viene nella mente, che io
conforti e prieghi te, o padre, e
me insieme, che noi vogliamo pa-
tire il consiglio d'uno fanciullo, già
dato ad uno vecchio, esser utile ad
ambedue noi. Questo fanciullo fu
Alcibiade, conosciuto da poi che fu
nella virile età e per la bellezza
del corpo e per lo ingegno, e fu
nobile esemplo della varietade del-
la fortuna. A costui fu zio mater-
no Pericle, uomo degno da esser
numerato fra li rari, e sopra tutto
potente per la sua eloquenzia, e al
quale nella sua grandezza la pro-
pria lingua era stata in luoco di
spata. Alcibiade adunque, ancora
molto giovinetto, venendo secondo
la sua consuetudine a visitare que-
sto vecchio, trovollo alquanto più
tristo dell'usato; e non essendo per
avventura ricevuto colle usate lu-
singhe da quello, dicesi che com-
mosso neir animo gli dimandò la
cagione della sua tristizia, e se gli
era intervenuto alcuna novitade.
225
Il vecchio dilettatosi, come io cre-
do, dello ingegno del fanciullo, non
gli tenne celata la vera cagione
del suo affanno, e narrolli se ave-
re speso innunierabil quantità di
denari in utilità della republica,
della qual dispensazione egli pen-
sando con seco, non potea ritrova-
re in che modo e' ne potesse rende-
re buona ragione. Allora Alcibiade,
prudente più che non si convenìa
alla sua etade, disse: « Ma tu adun-
que pensa più tosto in che modo tu
non la debbi rendere. » Invero que-
sto consiglio fu molto astuto, quan-
do bene fusse dato da vecchio, e
fu grande ed efficace indizio d'eta-
de senile e di grave sentimento;
onde Pericle, presa confidenzia per
queste parole, concitato il popolo
ateniese ad estranea e subita guer-
ra contro agli inimici, fuggì la ci-
vile difììcultà di rendere la ragione.
Ma io ritorno al consiglio, do-
ve io soglio lodare non la injusti-
ma la sottigliezza e
zia del fatto,
la prestezza
dello ingegno. Io ri-
cordo che noi convcn'tiamo in no-
stro uso il vedere del fanciullo,
riducendolo però ad altri termini.
Ecco che molti vegn iranno, che ci
15
226
dimostrino la via di acquistare le
gran ricchezze, il che invero non
è altro, se non insegnarci d'essere
avari. Questa è scuola pestifera e
di rincrescevole esercizio d' animo
e di corpo, e dottrina molto diffì-
cile, e da esser imparata con mol-
ta pazienzia di vigilie e di fatiche,
e poi forse mancherà del disiato
effetto, vero sera nociva a chi
l'averà acquistata. Diciamo adun-
que al nostro animo occupato in
questi pensieri, che pensi più to-
sto in che modo non debba deside-
rare così fatte cose. Questa arte
certamente è più utile e più facile,
e se forse a seguirla l'animo nostro
sarà ancora negligente e male a-
maestrato, noi gli doveremo porre
gli sproni adosso e cacciarlo in-
nante Mostriamogli oltra li mali
delle ricchezze, di che ora da noi
è stato detto sotto brevitade , e
molte cose tutto il giorno da mol-
ti altri ne sono dette, questa arte
cioè di dispregiare le ricchezze
esser nelle proprie mani quell'al-
;

tra, cioè di appetirle, dimorar nel-


l'arbitrio della fortuna. Ciascuno
può dispregiare le ricchezze come
gli piace, ma non così facilmente
T21
acquistarle, e come elegantissima-
mente è scritto da Seneca: « Perchè
debbo io più tosto impetrare dalla
fortuna ch'ella mi dia delli beni
del mondo ,che ottenere da me
proprio ch'io non gli dimandi cosa
alcuna? »
Pertanto io penso esser meglio
lasciar da parte questa cosa dil-
fìcile e di dubioso avvenimento, e
se bene ella fusse utile, nientedi-
meno non vegniria oramai più a
tempo e seria troppo tarda. Sude-
remo e gli piglieremo noi affanno,
che gli alimenti della brieve e fra-
gil vita non ci manchino? Se noi
v^orremo ben considerare, trovere-
mo che già molto tempo fa, come
io ho detto, noi siamo proveduti
in gran copia e infine alle dilica-
tezze e a lo essere forse da molti
invidiati. Ma pognamo caso, che
qualche cosetta ci manchi qiial re
;

è quello, che di alcuna cosa non


abia bisogno? Le varassi forse a que-
sto luoco chi dica: « Noi ci dobbia-
mo sforziare di in tutto rimuovere
da noi ogni povertade e ogni biso-
gno per esser simile alli Dei. » La
povertade certamente non può mai
essere in tutto discacciata : e se
,

228
per spazio di qualche tempo ella
si rimuove, par ch'ella ritorni assai
più aspera che prima. Cicerone
s<TÌvendo a su' fratello, dice: « Alla
parte che tu mi conforti a seguire
le ambizione e la fatica, come spes-
se volte innanzi tu eri usato, io
certamente così farò ma quando
;

viveremo noi? » brieve dimanda,


ma molto efficace Sera possibile
!

di respondere acconciamente e con


gravitade a qualunque ne confor-
terà di seguire queste vie ? Mai sì ;

questa sia la risposta: Amico, e'


ne piace il tuo parlare, pur che si
possi; conciosia che se noi conti-
novamente dimoriamo occupati cir-
ca simili pensieri, quando comin-
ceremo noi a .vivere, che oggi mai
saria tempo che noi avessimo vi-
vuto, massimamente considerando
che questa affannosa vita, che pen-
de di giorno in giorno, non è vita,
ma più tosto è una ammonizio-
ne atta a farci intendere col pen-
siero la qualità di quella vita, che
forse noi non acquisteremo mai
se non ci purghiamo da ogni im-
mundizia di peccati; onde fin qui
siamo in dubio e senza alcuna cer-
tezza, quando a noi sia lecito l'an-
dare a quella.
22\)

Fra molte altre cose dette dal


poeta plebtìio, so che tu hai a men-
te la somma di quelli versi che
così dicono: « Credimi che non si
conviene al savio di dire Io vi-
:

verò » la vita di domane è troppo


;

tarda vivi oggi. Il consiglio di


;

Alcibiade si estende molto larga-


mente, e a diversi propositi si può
ridurre. Gran stimolo porge il de-
siderio di far vendetta; la gola sol-
licita non lascia star l'uomo in ri-
poso; la smisurata cupidità degli
onori il tiene sospeso e ansio; l'a-
more lo incende, e nella mente uma-
na genera inestimabile passione.
Queste sono cose molto diffìcile a
doverle fare, e molto facile dispre-
giandole. Insegniamole adunque a
l'animo nostro con questo modo.
La via che de' nuocere ad altri,
è dubiosa e con pericolo, e però
spesse volte volendoti vendicare,
accrescerai la tua ingiuria. La ser-
vitù della gola è molto vile, e li
a[)parati di quella son i)ieni di an-
sietade, e il suo fìne è molto diso-
nesto. L'ambizione sempre è piena
di vento, ed è necessario star sug-
getto e supplicare; ad altri, di che
iiiuna cosa più dura si i)uò pensare.
230
L'amore è cattivo e superbo, e vo-
lendolo seguire, è necessario che
tu serva alle femiiiucce, il che certa-
mente è disonesto all'uomo valoro-
so quanto dir si può. Bisogna mol-
te volte ridere invano e piangere
non meno per le cose liete che.per
le triste; tanta vanitade è in que-
sta faccenda.
Una regula è di tutte queste
cose. Se si fermerà il pensiero a
volerle adempiere, mai non man-
cheranno cagione di immortale af-
fanno e di infiniti mali; ma acciò
che tu scampi di qui, e che tu pos-
si esser lieto e libero, sforziati di
in tutto dispregiare queste sozze e
aspere passione. Pensa più tosto in
che modo tu. ti lievi da queste dif-
lìcultadi, e come tu le possi scio-
gliere e condurle allo elfetto. Vedi
come il parlare di quel fanciullo
può esser tirato a virile e gravis-
sima sentenzia. Ma lasciate le al-
tre parte, che sono fuori del nostro
proposito, vinciamo con questo ar-
tificio la avarizia, che ne dimostra
le grandissime ricchezze esser a
noi necessarie a questo nostro ozio,
e dispregiando le cose del mondo,
e ralfrenando le cupiditadi, e ap-
231
pregiando la modestia della natura,
ingegniamoci di imparare una brie-
ve e utile via, che ne conduca al-
le vere ricchezze. In veritade la
cupidità è inimica a tutti coloro,
che si sforzano di pervenire alla
virtù, ma sopra tutto ella è contra-
ria al nostro proposito perochò
,

ella è senza fine e accumulando


,

insieme le superfluitade, partorisce


impedimento a questa vita, a cui
ella promette di dar sussidio e a-
juto, la qual vita non bisogna che
sia carica né gravata, ma espedita
e leggieri, conciosia che senza du-
bio le diverse faccende e la gran-
<:ezza della potenzia spesse volte
hanno contrastato a coloro, che pa-
reaiio poter ogni cosa, che essi
non fussino atti a questa sola, di
che noi parliamo.
A te niente è contrario, se forse
tu medesimo non ti contrasti, il che
mai non potrei sospettare. Certa-
mente tu puoi esser del nostro nu-
mero, se tu non vuoi più tosto scio-
gliere ad uno ad uno gli predetti
nodi, che tagliarli tutti insieme. Noi
abiamo a fare coir idra; mai non ne
vegniremo a fine, se collo ingegno
simile a (piello di Krcule, noi non li
232
levemo li capi che continovamente

rinascono. Io non solamente posso


esser solo, ma già ho cominciato,
disposto facilmente a perseverare,
se tal duca e compagno della vita
solitariami si aggiunge, perochè
non tanto tu serai ajutatore del
mio riposo, ma acciò che io esprìma
per qualunque modo quello eh' io
ho neir animo, tu serai il nostro
riposo, e non solamente consola-
zione della solitudine, ma a certo
modo mi persuaderò che tu sii la
mia solitudine, ed allora a me par-
rà veramente in tutto esser solita-
rio, quando mi ritruoverò con esso
te. Io ti sono venuto innanti ed ho
tentato il guado seguitami alme-
;

no tu, che dovevi essere il primo.


Ecco come passato il fiume, stan-
do neir altra ripa, io te invito a
passar oltra senza paura; ninno
pericolo ci vedo in tutto, e signi-
fìcoti che il luoco dove io tenevo
prima gli piedi, era scrupuloso e
sospetto; questo è dolce e sicuro.
Se tu dubiti, se tu dimori, io ri-
passerò dall'altro canto, e come
dice Virgilio, seguiterò le mie ve-
stigie, notate molto bene per lo
tornare a drieto, e te preso colla
233
mano condurrò a questi nostri luo-
chi; dove quando li serai usato, tu
giudiclierai le camere di signori e
le corte delli sommi pontifici esse-
re odiose prigioni e rincrescevoli
lacci. Se forse non potemo ancora
alienarci e discioglierci da quelle
cose, che tengono gli animi nostri
essendo questa una di quel-
legati,
le cose,che gl'uomini cominciano
prima d'insegnare ad altri che im-
parare, cerchiamo almeno di farci
amica la solitudine, il che ninno
ci divieta, e colle piccole some
delle nostre sustanzie andiamo ad
abitare in quella; e quando noi
cominceremo di mancare gagliar-
damente delli sopradetti ligami, al-
lora finalmente la nostra libertà
sera piena, e la nostra allegrezza
sarà sicura. In questo mezzo per
la qualità del tempo noi non pos-
siamo vivere altrove più quieta-
mente.
Non credere eh' io ti stringa
con tanta forza di parole, per-
ch'io mi diffidi de' fatti tuoi o ,

perdi' io voglia persuaderti alcuna


C(»sa, che a te para esser dura e
f?rave, conciosia eh' io cognosco
l'altezza dell'animo tuo, e o vogli
2:34

di questa nostra, o vero d' altra


più stretta via non ti mancano
,

famosissimi e da te ottimamente
conosciuti duchi però che Martino,
;

nel quale tu hai grandissima spe-


ranza, e a cui fra gli altri amici
di Dio tu porti grandissima reve-
renzia, il che le tue peregrinazio-
ni e li tuoi ragionamenti chiara-
mente dimostrano, adempie questo
modo di vita, come disopra
si vede,
ritenendo insieme riposo del so-
il

litario abbracciamento e la dignita-


de episcopale; onde non senza ca-
gione Gennadio chiama quello e
monaco e vescovo. Certo innanzi
il suo battismo ancora giovinetto,
e nella sua milizia essendo 1' una
e l'altra di queste duo cose contra-
ria alli religiosi pensieri, egli vin-
se molte dihìcultadi, e come nella
sua vita è scritto, visse per tal
forma, che fu giudicato esser più
tosto monaco che cavaliero. E Me-
nade, nato nel giorno che nacque
Martino, permutò la terrena nella
celestiale cavalleria, e lasciata la
cittade, visse nel diserto.
Gregorio Nazianzeno, da me in
pruova reservato in questo luoco,
secondo la testimonianza di Jero-
ni ino, essendo ancora in vita, or-
dinò in suo luoco un'altro vescovo,
e alla villa tenne monastica e
santa vita. Di qui puoi tu chiara-
mente comprendere, quanto sempre
lo amasse questo modo di vivere,
che con ardente fiducia d'amore e
d'autoritade, egli condusse alla so-
litudine Basilio Cesariense, poco in-
nanzi partito dal studio di Atene,
traendolo colla mano giù della cat-
tedra, dove lui fioritamente inse-
gnava l'arte oratoria, uomo famo-
so e d'una medesima patria e suo
compagno, e come dice Angustino
seguitando la fama, suo carnai fra-
tello.

CAPITOLO LII.

Io odo ciò che contra questo


mio parlare di transverso suole es-
ser detto, però che primamente per
la via delle Sacre Scritture cerca-
no di farne odiosi, dicendo: «Guai
al solo, conciosia che quando e' se-
ra caduto, non averà chi lo rilievi,
e meglio è stare due insieme che
uno, perochè essi prendono utilità
della loro compagnia»; (»d olti'a di
ciò aggiungono molte» altre parole
236
simile a queste, che da loro non se-
riano dette, se perfettamente inten-
dessino ciò che io sento e parlo. Essi
eziandio mi gettano in occhio (1)
la opinione di Aristotile dove egli ,

dice che o naturalmente V uomo è


animale, a cui piace la compagnia,
o che colui che non comunica i
suoi pensieri con altri, è una bestia
o veramente Dio quasi come io
,

voglia preponere 1' odio alla cari-


tade, e togliere in tutto via ogni
conversazione e compagnia degli
uomini, o come la mia elezione sia
dubia, e quello ch'io voglia più
tosto essere, o bestia o Dio, cioè
uomo bestiale o divino. Per lo si-
mile adducono contra di noi quel
detto di Cicerone dóve lui non
,

contento d' avere una volta dispu-


tato la compagnia degli uomini non
dalla necessità come ad alcuni è
,

parso, ma dalla natura esser pro-


ceduta suttilissimamente indusse
,

r argumento di questa materia, di-


cendo che ciascuno valoroso e buono
uomo, quantunque e' fusse copioso
di tutti li beni e di ninna necessità
parti cipe, non di meno sempre stu-

(1) Giltar ia occhio è locuzione forse senza e-


sempio.
237
diaria di fugire la solitudine, e cer-
cheria compagno al studio.
A costoro penso io d' aver ri-
sposto a suilìcienzia nel primo li-
bro; e se io non fussi pienamente
d' accordo in questa parte con esso
Cicerone, non direi che il compa-
gno, anzi più tosto li compagni
del studio dovessino esser cercati
e amati da noi; e per tanto io ho
notizia di queste cose e delle altre
simile, che loro tirano contro di
noi, e so come sogliono allegare,
che Afrate di sopra nominato e ,

quello Giuliano famosissimo romito,


abbandonata andorono
la solitudine,
in Antiochia. So eziandio che essi
gittano a campo (1) Antonio, più
nobile di questi, esser ito in Alessan-
dria e nelle altre cittadi. Io il con-
fesso ma dico che non per lor
,

proprio movimento o per ciascuna


leggiera cagione questo essere av-
venuto, ma per grave necessitade
e per gran dubio e pericolo della
fede. Quelli santissimi uomini sa-
pevano molto bene ciò che si con-
veniva in ciascuno tenijio, e quan-
do e' bisognasse pigliar frutto del
(1) Giitare a campo lur ncranipan*, ICsoìijtio
forse uHovo.
238
riposo, e quando era necessario il
preponere le cittadi alla solitudine.
Ecco cosa quasi degna di riso,
che essi aggiungono alle predette,
e che spesse volte alla mia presen-
zia mi rimpruoverano. Essi dicono:
« Che si farà, se tu potrai per tutto
persuadere ad ogni uomo il tuo in-
tento? Chi rimanerà finalmente nelle
cittadi? Guardati che tu non parli
contro alla republica. » La cosa per
sé medesima risponde alle loro pa-
role, perochè se ogni uomo vorrà
andare alla solitudine bisognerà ,

mutar proposito, e abandonar quella


che già non si potria chiamar più
solitudine e ritornare là d' onde
,

lo instabile e inquieto popolazzo,


padre d'ogni fastidio, si era dipar-
tito. Ma il fato nostro è in ottimi
termini; costumi degli uomini
gli
non sono tali, e la plebeja turba
non ha le orecchie tanto aperte e
tanto benigne agli onesti consigli.
Dio voglia eh' io abia persuaso al-
meno a pochi e' non si vuol con-
;

fortare tutti gli uomini a seguitare


una vita e massimamente la soli-
taria; e io non parlo a tutti, ma
a te e a me e a quelli pochi, alli
quali jiiaciono questi modi rari e
230
singulari. A noi certamente, se non
vogliamo seguire le opinioni del
vulgo ma la nostra propria na-
,

tura, niente può essere più conve-


nevole. Abbandoniamo la città non
con animo di ritornargli, acciò che
posta la mano allo aratro, noi non
ciguardiamo in drieto, ma pre-
ghiamo più tosto Dio, che mai più
non ci lasci ritornare ad abitare
col popolo ingrato e mal conoscente
inverso tutti gli uomini da bene;
il che si legge aver fatto quel Len-

tulo che sotto apparenza di par-


,

tirsene onestamente, preferì eter-


no esigilo. Se noi per amor del ri-
poso non lo volessimo imitare, al-
meno l'odio di questa popolar ciur-
ma ne dovria invitare a simil at-
to benché non ci manchi Io esem-
,

pio meno conosciuto ma più di voto


di Cornio monaco di Fenicia, che
,

essendo intrato nella solitudine ,

pregò Idio che mai non lo lasciasse


dipartire, e con molta perseveran-
zia dette opera, che li suoi prieghi
non russino invano.
Le cagione degli affannosi pen-
sieri si vogliono estirpare, e rom-
pere gli oncini che ci tengono e ,

gittare a terra il ponte che è dopo le


240
nostre spalle, acciò che alcuna spe-
ranza di fugire o di ritornare in
drieto non ci rimanga. Io ti dirò
non ciò che Palladio, istorico di tali
esempli, scrive, quello Giovanni egi-
zio di sopra nominato averli detto,
usandoli queste parole « Tu sarai
:

fatto vescovo e averai molte tri-


bulazioni e molte fatiche. Se adun-
que tu vuoi fugire queste molestie,
non abbandonare le nostre solitu-
dine, perchè vivendo nel diserto,
ninno mai ti farà vescovo ». Queste
sono le parole di Giovanni a Pal-
ladio, e io non ti ragiono del ve-
scovado, e già tu sei pervenuto al
grado, da che Palladio era ammo-
nito che si dovesse guardare, e
oramai non t' è possibile di non
esser stato vescovo; alla qual di-
gnitade la tua prudenzia e la tua
virtù innanzi al tempo ti hanno
sollevato.
Dirotti quello eh' io credo esser
prossimo e quasi congiunto alla
sentenzia di Giovanni. Il tuo ve-
scovado è tale, che per onore tu
sei uguale e pari alli grandi, e per
libertade alli mediocri e agli infi-
mi; ma se tu dubiti d'entrare sotto
il peso di maggior vescovado, ama
,

•.MI

le nostre solitudine, e se tu vuoi


esser disciolto dalli legami delle
immortali fatiche, cerca questo ri-
poso. Il centurione romano tornan-
do dal faticoso esercizio delle ar-
me, disse: «Qui staremo noi molto
bene.» Se questa parola gittata così
fortuitamente fu tratta al buono
augurio di tanto imperio certo
,

ella non doverrà esser disi)regiata


da noi, facendosi al nostro pro-
posito. ^
Lievativieni
, , affrettati la- ;

sciamo le cittade alli mercatanti


alli sensali, alli usurarj , agli al-
chimisti, alli tintori, alli labri, alli
tessitori, allj maestri di legname,.
alli edificatori delle case, alli scul-
tori, alli dipintori, alli mimi, cioè
a quelli che con atti e con parole
rappresentano le cose parte vere e
parte simulate; lasciamole alli bal-
lerini, alli sonatori alli cantatori,
,

a quelli che si dilettano di stare a


cerchio, alli rulliani, alli ladri, agii
osti, agli accusatori, agli malfat-
tori, alli adulteri, alli parassiti e
alli giotti e disonesti bulfoni, che
col vigilante naso tuttavia cercano
l'odore della cucina, e riputando
quella sola esser rdicitade colla,

1()
242
gola aperta tuttavia la sieguono;
e sapendo che nelli monti non si
sentono tali odori ,giudicano gra-
vissimo supplizio e tormento lo es-
ser privati delle cose a che sono
usati, e che tanto li piaceno. Lascia
costoro, perochè non sono di no-
stra qualità. Lascia numerar li suoi
danari al li ricchi, e in ciò usino
lo aiuto dell' arte arismetrica, cioè
dell' abaco, come gli piace. Noi an-
numereremo le nostre ricchezze
senza gran studio e senza molte
arti, e non averemo a portarli in-
vidia, se forse noi non siamo an-
cor fanciulli, e da che Idio ci guardi,
che per le cose fìnte e adombrate
rimaniamo attoniti e sospesi. Egli
è antica cautela levar li fornimenti
alli cavalli, che debbono esser ven-
duti.Niuno savio desiderò mai di
torre per donna una femina sozza,
perchè ella fusse ben vestita. Se
noi togliemo via gU fornimenti,
anzi più tosto le maschere a que-
sti felici ben adornati di pomposi
vestimenti chiaramente compren-
,

deremo loro essere molto miseri.


Abiansi adunque le sue ricchezze,
li suoi costumi, li suoi piaceri. Cer-
tamente le ricchezze, le quale essi
243
vorrebbono che fussino eterne, si
partiranno, e li piaceri, che colhi
mano si sforzano di ritirare in drie-
to, presto fuggiranno; ma \ì mal-
vagi costmni, li quali forse desi-
dereriano di lasciare staranno ,

sempre con esso loro, e contro a


sua voglia sempre gli accompa-
gneranno. Tutte queste cose, che
li fanno parere mirabili al vulgo,
in brieve spazio di tempo despari-
ranno; essi vivono sotto lo impe-
rio della fortuna; se quella gli per-
donerà, la morte certo non gli vor-
rà perdonare. Coloro che possiedono
gli preziosissimi tesori , se dir si
debbe che essi possiedono ciò che
continovamente gli tiene in servitù,
subitamente saranno suggetti e pos-
seduti da cose vilissime; e se tu
dimanderai da quali lo ingrato
erede e forse l'odiato nimico averà
le ricchezze, li vermi mangeranno
li corpi lo inferno riceverà le a-
,

nime, e li loro nomi saranno dati


a sempiterna oblivione; e dall'al-
tra parte il giusto, benché sia po-
vero, rimarrà nella eterna memoria
degli uomini.
Non ci inviti adunque alla imi-
tazione la falsa prosperità (; la ve-
'2U
VII miseria, ma siano divisi da noi
gli dilicati ed effeminati ricchi; sue
siano le stufe, gli postriboli, le
corte e le cucine, e a noi piacciano
le selve li monti li prati e le
, ,

fontane essi segnino li desiderj


;

della carne e^ il guadagno da qua-


lunque lato sì venga, e noi li studj
e le arti liberali e la onestade; e
se forse con queste parti ne giova
di meschiare alcuna cosa mecca-
nica, a noi non dispiaccia l' agri-
cultura e te caccie, le quali, benché
non si faccino senza qualche gri-
dare cosa inconveniente al nostro
,

proposito e secondo il proverbio


,

antico, molte parole si perdine in


quello esercizio, nondimeno io so
la caccia esser parsa ad alcuni no-
bili ingegni conveniente alla medi-
tazione e agli studj; e questo per
rispetto della solitudine, e per li
secreti nascondimenti delli boschi,
e per lo silenzio di coloro che ser-
vano le reti, la qual cosa allora si
farà molto bene, quando tu oltre
a il numero degli ordinati a simile
esercizio, noli come cacciatore, ma
come riguardatore della caccia an-
drai nella selva, disposto di partirti
ad ogni tuo piacere senza chiedei*
245
commiato a compagni. Questa
li

licenzia forse eziandio è permessa


alli chierici, e massimamente a
quelli che vivono nelle selvi; l'uccel-
lare eziandio rare volte e con mo-
destia per lo esercizio del corpo e
non per lussuria, e così eziandio il
pescare con questo medesimo modo
'è concesso ad ogni generazione
d' uomini.
Queste sono le arte della villa.
Quelli sempre pendano e siano volti
sotto sopra e noi
, fermato molto
,

bene il piede alla pietra, stiamo con-


stanti e forti ; essi mai non si par-
tano da uno segno e noi alcuna
,

volta andiamo più oltra; essi sem-


pre siano dubiosi nelle sue faccende,
e noi seguiamo il nostro salutifero
consiglio; essi finalmente abbraccino
il mondo che se ne fugge e ten-
ganlo, s'egli è possibile, e noi cer
chiamo Idio mentre che si può
trovare , e colle nostre orazion
chiamiamolo, mentre ch'egli è vi-
cino. Similmente essendo gli nostr
corpi lontani dalle cittadi, sforzia
moci che gli animi nostri vadino
lungi dalli corpi; mandiamo quell
innanzi alla celeste patria per ,

doverli poi seguire con li corp


240
quando sarà venuto il tempo , la
qual cosa li filosofi non hanno cre-
duto.

CAPITOLO LUI.

Ecco dove l'impeto ha portato


la penna. Quanto abiamo noi par-
lato di cosa, come pare al vulgo,
assai piccola, ma secondo la mia
opinione, molto grande e a me tanto
jocunda e piacevole che raccor- ,

dandomi d'essere stato lungamente


legato in questa prigione del corpo,
mai non m' è parso di esser vissuto,
se non in quanto mi ritruovo solo
e ozioso, benché se io avessi ardire
di usurpare il nobil detto del sin-
gulare capitaneo d'arme, e se non
mi fusse imputato a importuna e
disonesta superbia la uguale licen-
zia di gloriarmi in tanta disparitade,
io eziandio direi che mai non fui
,

meno ozioso, che quando sono stato


ozioso , e che mai non fui meno
solo, che quando sono stato solo.
Veramente so che il popolo, come
spesse volte ho già detto, con gran
strepito si farà incontro al mio
proposito ma la veritade è senza
,

paura ed è invincibile, né teme li


247
vani strepiti come dice Virgilio
, ,

descrivendo la natura del generoso


cavallo. Esso va col collo levato in
alto e ha la testa piccola, e io non
sono ancora più ardito confirmatore
di quella, che sollicito investigatore;
e benché con ogni mio studio io mi
ingegni d' accostarmi ad essa veri-
tade, nientedimeno mi dubito o che
li miei pensieri o che la pigrizia e

grossezza del mio ingegno non me


impediscano a trovar liluochi, dove
ella alcuna volta si nasconde, per
forma che spesse volte investigan-
do e cercando quella io non sia
,

inviluppato in diverse opinioni.


Queste cose saranno adunque
trattate da me non come da di fi-
nitore, ma come da uomo che dili-
gentemente cerca ciò che si conven-
ga, perochè al savio propriamente si
appartiene di diffìnire e di chiarire
le sue e le altrui proposte e io ,

non mi tengo savio nò molto vi-


cino al savio; ma usando la parola
di Cicerone, dico ch'io sono gran-
dissimo pensatore. Dall'altra parte
credo, che pochi oltra quelli che di
sopra ho nominati scranno favo-
,

revoli al mio dire, e in tutte le cos('


saranno superiori e vincitori contro
^18
alle false opinioni degli ignoranti.
Io già tengo l'arra del tuojudizio,
e questo mi basta. Giudichino gli
altri come a loro piace poiché
,

ninna necessità costringe le vaga-


bonde e incostante sentenzio ridursi
alla veritade. Certamente quando il
giorno che non si può schifare, sarà
venuto e la infallabile ora della
,

morte comincerà a stringere l'ani-


ma, quando e' non gioverà d'esser
mostrato a dito per le loggie e per
li circoli del popolo di essere stato
re o papa, o per avere abundato
di danari o di grazia o di dilica-
tezze, ma per esser vivuto casto,
piatoso e innocente allora final-
,

mente, come io spero, qualunche


niega al presente questo consiglio
esser quieto e dolce, confesserà il
nostro stato esser degno di singu-
lare commendazione. Io mi sento
esser tocco da tanto ardore e da
tanta affezione di questa materia,
che avendone parlato longamente,
più cose tuttavia nell' animo me
risorgiono; ma e' si debbe avere
avvertendola di non venire in fa-
stidio, ^lio pensiero fu prima di
scrivere una epistola, e ora ho
scritto un libro il
, quale io non
249
arei diviso, acciò che il libro che
tratta della Vita Solitaria, fusse e-
ziaiulio solitario; se non che mi tornò
alla mente me aver lodato quella
solitudine, che fugge la moltitudine
degli uomini , e non uno solo; oltra
di ciò mi sono rimosso da questo
proposito, pensando che la parti-
zione d' esso libro rileveria il let-
tore carico e stracco in mezzo del
camino, e per tanto ho diviso uno
in due. E'm'è parso eziandio dolce,
oltre alla consuetudine degli anti-
chi, li quali io soglio imitare in
molte coso, interporre spesse volte
il santo e glorioso nome di Cristo
in queste nostre lejzteruzze , siano ^
quale si voglianole quelli antichi
duchi e guide deìli nostri ingegni
avessono fatto questo, meschiando
colla umana eloquenzia la forza
delle celeste scintille, confesso che
loro dilettano molto, ma senza du-
bio seriano ancor molto più pia-
ciuti./Ora il |)i'imo aspetto della '
-^

eloquenzia colla chiara luce delle J/


parole allusinga le orecchie, ma
essendo privata dfl vero Ium<' delle
sentenzio, non dà quiete all'animo,
né conduf'(; a (piclla dolcezza e
pace dello intelletto, alla quahi non
è

25()

si truova adito alcuno, se non per


la via della santa umilità di Cristo,
cosa non conosciuta o vero dispre-
giata dagli uomini insensati e su-
perbi.
Io ti ho scritto queste cose con
tanta affezione d'animo, che m'
parso che ogni strepito delle fronde
percosse dal vento, e che ogni suo-
no delle aque, che qui d' intorno na-
scono, abiano detto: « Tu persuadi
bene tu consigli dirittamente tu
, ,

dici il vero ».

FINE.
IN CORSO DI STAWIPA

con la Quaresima,
Il contrasto del Carnevale

Folgore da S. Geminiano. Rime.

del Sec. XVI.


Due Rappresentazioni
nel Sec. XIV.
Giustino. Volgarizzato

11 Sacco di Prato.
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UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY

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