PDF Virgi
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Egogla I
Innanzitutto occorre inquadrare quello che il contesto storico dell’egloga ci troviamo all’indomani delle
confische di terre decise dopo Filippi quindi nel 42. Queste confische sono attuate a Mantova a partire dal
marzo del 41 per ricompensare i veterani.
Questo espisodio storico è adombrato ed è presupposto per capire l’intera egloga. Da subito quindi occorre
comprendere quello che il rapporto velato tra autobiografia virgiliana e il racconto. I protagonisti dell’egloga
sono Titiro e Melibeo. Da un lato abbiamo Titiro che si presenta come il pastore fortunato, in quanto un Dio
che viene citato sin da subito all’interno del passo al verso 6 (deus-> Ottaviano) gli ha concesso questa pace,
ovvero ha permesso a Titiro di recuperare le sue terre.
Per questo motivo dietro la figura di Titiro è adombrata quella di Virgilio che recupera il suo podere
mantovano. D’altro canto invece vi è Melibeo, il profugo spossessato del suo podere in seguito alle guerre
civili.
Sin da subito Titiro è presentato come pastore-poeta che compone i suoi canti silvestri con il suo suo flauto
esile che insegna i boschi a risuonare il nome della bella Amarillide. Alcuni commentatori hanno identificato
nelle due donne le personificazioni rispettivamente di:
Mantova-Galatea
Roma -Amarillide
Melibeo spiega che dappertutto c’è caos e che lui ormai è vecchio e debole e comunque costretto anche a
stento a portare avanti il suo gregge.
Alla base di tutto c’è un concetto fondamentale il fatto che la guerra vista come guerra civile crea discordia e
questa discordia all’interno del paesaggio campagnolo induce alla rottura dell’armonia: ad esempio quando
viene descritto il parto di una pecora che ha generato due gemelli non si vede un momento felice in quanto
quest’ultima non ha potuto vivere il suo rapporto ancestrale armonioso con la natura perché costretta a
partorire sulla nuda pietra è costretta a spostarsi e ad andare via.
Titti sostiene di essere andato a Roma per ottenere la libertà ma dunque ci si domanda si tratta di un pastore o
di uno schiavo ? (27) In realtà ad un certo punto le cose si mescolano e come se effettivamente il pastore
fosse in una condizione di schiavitù e fosse andato a Roma per pagare un riscatto per affrancarsi da questo
stato di sudditanza. Molti commentatori hanno pensato anche alla tematica dell’amore quando si parla di
Galatea in quanto lo hanno reputato anche schiavo da un punto di vista amoroso quindi la libertà vista come
una libertà amorosa ma è più plausibile che si tratti di una libertà anche affettiva dove la città di Mantova
sicuramente che si cela dietro il nome di Galatea non gli permetteva di guadagnare quanto volesse.
Inizia il makarismòs di Melibeo che esalta la fortuna e la ricchezza di Titiro al quale restanno campi anche in
abbondanza, il quale potrà godere della frescura ombrosa e di tutto quel paesaggio di sassi e acquitrini che
assumono i colori ideali del locus amoenus agli occhi del profugo Melibeo.
Titoli invece si esprime nella forma tradizionale dell’ adunata, il cosiddetto mondo alla rovescia, dove
subentrano indicazioni geografiche vasti spazi esotici (Arari fiume della Gallia, Tigri fiume della
Mesopotamia, Britannia separata dal resto del mondo) su cui campeggia la figura dell’esule .
Alla fine del passo viene citato l’Impius Miles chiaro riferimento a quello che è lo sfondo storico del passo,
empio perché va violentare un rapporto perfetto e barbaro (incivile più che straniero). Questo presenta
l’atteggiamento estremamente negativo di Virgilio di fronte la guerra che non è altro che qualcosa che
scardina la perfezione.
Il passo termina con Melibeo che si rimette in cammino rivolgendosi all’unico possesso rimastogli ovvero il
gregge dicendo “gregge un di felice”. passato e perduto.
Titiro rivolge l’invito di godere assieme a lui delle bellezze della natura ma lo spazio idilliaco di Titiro non
rispecchia quello sconvolto di Melibeo. Si tratta di due destini antitetici.
Egogla IV
Questa egloga è stata per molto tempo la più celebrata e anche quella meno immersa nel mondo bucolico.
Anche qui sullo sfondo troviamo avvenimenti storici: siamo nell’ottobre del 40 quando con la mediazione
del console Asinio Pollione si stipula la pace di Brindisi tra Antonio e Ottaviano. Sembrò dunque la fine di
un’era, potremmo dire un incubo, le guerre civili e l’avvento di una stabile pace.
Ciò che inaugura questa nuova era è proprio la nascita di un fanciullo.
Ancora dubbia l’identità del fanciullo:
questa la figura centrale della quarta egloga, per la quale si sono sprecate le possibili interpretazioni ed
identificazioni:
1) il figlio di Asinio Pollione, chiamato Asinio Salonino (che in realtà pare fosse il nipote del nobile
romano);
2) il figlio di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano, sposatisi nell’estate di quell’anno;
3) il figlio di Ottaviano e Scribonia;
4) Secondo a rilettura cristiana, addirittura Gesù Cristo, anche se è totalmente da escludere che Virgilio
anche solo conoscesse i testi biblici dell’Antico Testamento e la tradizione messianica ebraica;
5) un indefinito riferimento, senza precisi riferimenti concreti e volutamente oscuro, ad un futuro
rinnovatore del mondo dopo il periodo di lutti e dolori della guerra civile.
Descrive dunque quella favolosa felicità del genere umano con allusioni anche che richiamano Esiodo e
Arato profilando il concetto secondo cui l’umanità percorre determinate fasi e ad un certo punto ricomincia
da capo ripercorrendo lo stesso ordine.
Da subito l’invito ad alzare un poco il canto quindi ad elevare la propria poesia sempre nell’ambito del
genere bucolico in quanto si rivolge alle muse di Sicilia, patria di Teocrito e vengono anche citate le tamerici
che sono piante basse che evocano un paesaggio campestre modesto e simboleggiano la poesia bucolica
come poesia minore.
In questo nuovo ordine di secoli ritorna anche Dike, la dea della giustizia che aveva lasciato la terra a causa
della corruzione degli uomini, ma anche Saturno che aveva regnato sugli uomini nell’età dell’oro. C’è anche
un riferimento alla dea protettrice delle partorienti, Lucina, affinché sia propizia nascituro.
Virgilio rivolgendosi al puer gli annuncia che lo sviluppo della nuova età coinciderà con la sua crescita.
1. La natura accoglierà la sua nascita e produrrà ogni cosa spontaneamente e ci sarà anche la pacificazione
del mondo animale
2. La giovinezza vedrà la natura dare i suoi frutti senza essere lavorata i rovi produrre uva le querce e
produrre miele rimarranno però tracce dell’antica colpa che porteranno gli uomini a tentare Teti (i mari)
e a coltivare i campi.
3. Dal verso 37 il puer diventa uomo. E solo quando il puer diventa adulto che si avrà la piena realizzazione
dell’età dell’oro che porterà alla liberazione dalla necessità di navigare permessa da una natura che
produrrà tutto senza neanche essere coltivata. Ad esempio anche la colorazione della lana viene sentita
come una deroga alla vita naturale: dichiarato disprezzo verso ciò che è alterato e artificiale.
vv.46-59 a questo punto il poeta introduce le Parche, personificazione del destino, che invitano l’età felice ad
affrettare il passo, a giungere presto; il bambino, di stirpe divina, al momento opportuno, diventato adulto,
assumerà tutti gli onori che gli spettano e il poeta si augura di poter vivere abbastanza a lungo da vedere le
imprese del puer e cantarle con un canto che lo renderà più grande e famoso dei mitici cantori Orfeo e Lino.
Anche se questi poeti sono di stirpe divina (figli rispettivamente di Calliope e di Apollo), egli li supererà, e lo
stesso Pan, figlio di Hermes, dio dell’Arcadia, se dovesse gareggiare con lui, si dichiarerebbe vinto.
vv.60-63 negli ultimi versi il poeta invita il neonato a riconoscere la madre con il sorriso: alla madre egli
deve essere riconoscente, perché per nove mesi essa lo portò in grembo. L’ecloga si conclude con una
sententia: coloro ai quali i genitori non offrirono un sorriso (il sorriso dei genitori, entrambi, è quasi il
riconoscimento del neonato, che permette a questo di avere particolari onori) non sono stati ritenuti degni
dagli dei della propria mensa né da una dea del proprio letto.
Ecloga IX
Licida incontra per caso Meri, che era servo di Menalca ma che ora conduce i capretti al nuovo padrone, un
veterano, colui che ha cacciato via Menalca; dal discorso si apprende che purtroppo Menalca non è riuscito
ad avere salvi i suoi beni e a nulla gli hanno giovato i carmi. Menalca incarna ora il personaggio di Melibeo
della prima ecloga. Ma, mentre questi accettava l'esilio a fronte alta e con tutte le sue conseguenze,
rinunciando a vedere per sempre il tetto della sua casa, Menalca invece rimane.
Meri, il servo di Menalca, ora passato ad altro padrone, va "dove mena la via", e la via porta a Mantova;
ancora tutto sgomento di quel che ha veduto, egli narra che gli sono accadute cose, quali da vivo non avrebbe
mai immaginato; un estraneo, come se fosse il padrone, gli ha detto: "Questi campi sono miei; voi, vecchi
coloni, andatevene". Sebbene sia un servo, quel campo è anche un poco suo.
Licida si stupisce, perché aveva inteso che Menalca, grazie ai suoi canti, conservava la terra che si stende da
quella parte, ove i colli prendono a declinare in dolce pendio, fino ai canali e ai vecchi faggi ormai
scapezzati.
I carmi di Menalca erano allora meritatamente famosi, se avevano suscitato l'ammirazione di Pollione e di
Varo, governatori della Cisalpina. Ma i canti hanno al momento della guerra la medesima forza delle
colombe all'appressarsi dell'aquila.
Se da sinistra gracchiando una cornacchia (cattivo auspicio per i greci) non avesse avvertito Meri di troncare
ogni lite, a quest'ora né Meri, né lo stesso Menalca sarebbero ancora in vita (vv. 11-16).
Licida si stupisce che sia commesso un tale reato; non pare possibile che Menalca, suo conforto nei canti, sia
stato sul punto di essere ucciso insieme a Meri. E chi allora canterebbe le Ninfe, il suolo cosparso d'erbe in
fiore e la verde ombra dei fonti? Chi intonerebbe quei canti che Licida stesso ha udito da Menalca, quando si
recava da Amarillide, communis amica?
Meri preferisce ricordare altri versi, non ancora rifiniti, che Menalca cantava per Varo, il quale aveva la
facoltà di assegnare o no i territori di Mantova ai veterani. Cremona fu punita con la confisca poiché aveva
parteggiato per Bruto e Cassio contro i triumviri; non bastando i territori di Cremona, fu aggiunta - per
disposizione di Varo - anche Mantova, poco distante da Cremona. Licida prega Meri perché gli reciti qualche
altro verso di Menalca.
Tutto il passo è ricalcato su un'arguta scena dell'Idillio settimo di Teocrito. Licida non ritiene di essere ancora
giunto alla pari con i due maggiori esempi e modelli della poesia neoterica: Rufo e Cinna. È come un'oca a
confronto dei canori cigni.
Meri si sforza di ricordare il canto: una bella imitazione dell'idillio undicesimo di Teocrito, dove Polifemo
supplica Galatea, comparsa sulle onde del mare, perché si rechi presso di lui.
Nei versi successivi Licida chiede se Meri ancora ricordi quello che udì cantare in una notte tranquilla, di cui
ha in mente il motivo, ma non le parole. Meri le sapeva, ma l'età gli aveva portato via con tutto il resto anche
la voglia di cantare. Il canto s'immagina rivolto a un pastore, e il nome Dafni suona qui a indicare un
personaggio bucolico, che con intenti agricoli, cerca di trarre pronostici sul raccolto: da quando brilla l'astro
di Cesare, non c'è più da indagare l'avvenire, né da temere mali futuri.
La cometa, che era apparsa dopo il cesaricidio, fu creduta la prova migliore dell'assunzione di Cesare tra gli
dei, di quel Cesare che si considerava nipote di Venere (vv. 44-55). Allora Licida rimprovera Meri, che, a
forza di scuse (es. ilupo che toglie la voce) , sta eludendo il suo desiderio di udire ancora il canto di Menalca.
Ora la distesa delle acque (sono i laghi che circondano Mantova) e i venti si sono quietati. I due pastori sono
a mezza strada; si vede apparire il sepolcro di Bianore. Qui, dove la campagna è di una dolcezza infinita.
Meri è invitato a cantare dal compagno, ma il vecchio sconsiglia il giovane amico; non deve insistere,
bisogna fare quello che urge; quando Menalca stesso sarà qui, allora si canterà meglio.
Georgiche
Libro I
Siamo nel cupo finale del primo libro. Anche qui sono citati avvenimenti storici contemporanei: siamo negli
anni dopo filippi, anni di piombo per Roma. La partita si gioca fra Antonio e Ottaviano. Anche qui come già
ricordiamo nella prima egloga in cui viene citato il famoso giovane che aveva assicurato gli otia di Titiro ,
viene citato un giovane affinché assicuri la pace di tutti.
Sin da subito si fa riferimento alla base di filippi del 42, e Virgilio scrive che per ben due volte Filippi vide
affrontarsi le schiere romane. Alcuni commentatori hanno pensato ad una probabile allusione alla battaglia di
Farsalo vinta da Cesare su Pompeo nel 48, in quanto entrambe le località appartenevano alla provincia
romana della Macedonia, ma c’è chi ha pensato anche a due fasi della battaglia di Filippi.
Emathiam -> Macedonia
Haemi-> catena montuosa balcanica
Continua la descrizione della devastazione provocata nei campi dalle guerre civile, vista dagli occhi di un
contadino.
Invoca così gli dei della patria, gli Indigeti, Romolo e madre Vesta, non è chiaro chi fossero questi dei
Indigenti comunque sono dei nazionali ancestrali protettori della patria come Romolo, eroe eponimo
divinizzato.
Il Tevere è definito etrusco perché sgorga dall’Appennino nell’Etruria, mentre il Palatino è definito romano
perché vi abitavano Evandro e Romolo.
I romani come discendenti dei Troiani ne ereditano le colpe espiate poi con le guerre civili, in quanto il re
Laomedonte, uno dei primi re di Troia padre di Priamo si era rifiutato di riconoscere il premio pattuito ad
Apollo e a Poseidone per l’aiuto prestatogli nel erigere le mura della città.
Vengono poi citati l’Eufrate e la Germania: i parti e i germani erano le maggiori minacce di guerre esterne. Il
finale termina con una similitudine tratta dal mondo del circo: una volta lanciati i carri alla corsa e si sono
trascinati con tanta foga dei cavalli che gli aurighi non sono più in grado di trattenerli e la stessa follia dei
cavalli è simile a quella del popolo romano che senza freni corre verso la catastrofe.
Libro II
Ci troviamo nel luminoso finale del secondo libro. Inizia con il motivo del makarismòs, l’elogio della
fortuna, in questo caso dei contadini i quali vivono lontano dalla città e godono degli abbondanti frutti che la
terra produce lontano dalle armi discordi, qui è localizzata l’età dell’oro.
Inizia così il contrasto tra il luxus urbano e la semplicità dei campi.
1. Vituperatio Urbis
La città è intesa come luogo dell’artificio e della contraffazione, si fa riferimento al rito della salutatio dove
la folla di cliens si reca nelle case dei grandi padroni ricevendo in cambio una sportula o altri tipi di favori.
Dunque agli agricoltori non li riguardano le ricche dimore affollate di clientes, non le vesti tinte
artificialmente, non gli unguenti profumati.
2. Laudatio Ruris
Inizia così la lode alla vita agreste, che si oppone nella sua semplicità senza pensare a ciò che è superfluo. La
vita degli agricoltori è una vita che non sa ingannare, fatta di quiete, di otium, ma anche fatta di fatica una
fatica che viene accettata in quanto virtù del mos maiorium. Al termine di questa si allude al mito dell’età
dell’oro.
Il testo continua con un altro makarismòs che mira certamente a Lucrezio tramite una serie di illusioni
formali e concettuali: difatti Virgilio scrive che “felice fu chi poté conoscere le cause del mondo e mettere
sotto i piedi ogni timore insanabile e l’avido Acheronte”. È il ritratto del filosofo epicureo felice perché
avendo conosciuto i segreti della natura non ha paura della morte né dell’Acheronte, fiume infernale avido di
prede. Ma fortunato anche il contadino amante della campagna che gode della felicità lontano dal lusso
cittadino e dalle lotte politiche e dalle minacciate invasioni (Daci x l’Istrio fiume danubiano) : egli
frequentando la natura conosce bene gli dei che essa presiedono Pan, Silvano e le ninfe sorelle.
Il contadino non desidera nessuna carica (i fasci sono il simbolo dell’Imperium concesso dal popolo ai
magistrati) e non partecipa alle contese di potere in cui i membri della stessa famiglia si trovano ad essere
avversarie. Né gli importa della potenza di Roma (riferimento alla politica interna ed estera) né dei regni
caduchi ovvero i regni dei nemici di Roma destinati a perire.
Non invidia chi ha nè commisera chi non ha. Raccoglie i frutti che i campi producono spontaneamente e non
conosce le leggi del ferro ne l’insania del foro ne gli archivi del popolo.
Età dell’oro
Ora si ritorna alla figura dell’agricoltore il quale coltiva la terra i cui frutti sono per la patria ma anche per i
piccoli nipoti ma anche per i suoi stessi armenti. Non ha mai riposo finché l’hanno non produce un raccolto
abbondante e i lavori stessi sono inframmezzati dalle gioie della famiglia e dalle feste paesane . Questa è la
vita semplice che conducevano gli antichi Sabini potenti vicino di Roma.
Ancor prima del regno di Giove (età dell’argento) dove si dove ci si cibava di carne, nell’età dell’oro si era
vegetariani.
ll passo si chiude come era iniziato con il rifiuto della guerra l’età dell’oro è un’utopia pacifista in quanto tra
le potrà essere realizzata dalla Roma di Augusto: non si era ancora sentito soffiare dentro le trombe né
stridere le spade sulle dure incudini.
Libro IV
Digressione sull’orticoltura.
Protagonista di questo passo è il cosiddetto vecchio di Corico (un ex pirata cìlice esiliato a Taranto) divenuto
un vecchio ortolano nella cui figura confluiscono:
- sia la vittoria del Labor improbus
⁃ sia la vita semplice e serena dell’agricola nel segno di una solitaria autarkeia ai margini della società e
della storia .
Costui nei dintorni di Taranto aveva un piccolo appezzamento di terreno abbandonato, dopo averlo dissodato
liberandolo dalle rocce lo trasforma in uno splendido orto in un fiorente giardino con le sole armi della
tenace e dell’amore . Da questo orto egli produce tutto ciò di cui ha bisogno e tutti questi prodotti lo fanno
sentire più ricco di un re. Nonostante le avversità del terreno (ad esempio il triste inverno spaccava i sassi e il
ghiaccio bloccava il corso delle acque dei fiumi), in realtà queste caratteristiche metereologiche sembrano
essere più attinenti ad un clima nord nordico e non di certo pugliese, in realtà Virgilio lo fa perché vuole
saltare il valore del Labor nella visione che il labor omnia vincit (la capacità dell’uomo può superato ogni
ostacolo).
Eneide
Libro I
Siamo nel proemio del I libro. Eroe leale, sopravvissuto, che venne per volere del fato in Italia. Egli è per
volere del fato che lo ha reso profugo, ha un passato doloroso che è un macigno nel suo animo e sopravvive
non per se stesso ma per dare un futuro agli altri. È un eroe del dovere che cerca il futuro per il proprio
popolo, obbedisce al fato e agli dei e mette i valori collettivi prima della sua felicità individuale. (concetto di
pìetas)
Tre sezioni:
1. vv1-7: argomento dell’opera
Come da tradizione il proemio inizia con l’oggetto, in questo caso sono due “le armi e l’eroe” per mettere in
evidenza sin da subito la struttura bipartita e il duplice riferimento omerico.
Vir è il parallelo semantico di ‘Άνδρα , l’esametro non può iniziare con Vir per questo Virgilio sopperisce
alla mancanza con l’aggiunta del soggetto Arma che x metonimia si rifà alle guerre e quindi all’Iliade e al
plurale allude alla moltitudine di dolori.
C’è una grande differenza, nei poemi omerici ‘Narrami o musa’ il discorso era rivolto alla musa il poeta non
parlava in prima persona, qui abbiamo la parola “cano” è il verbo della poesia alta, il poeta fa sentire subito
la sua presenza. Mentre i poemi omerici sono narrati in modo oggettivo il poema virgiliano il poema è
narrato in modo soggettivo.
Ariosto sarà ispirato da Virgilio “canto le armi” .
Tasso inizia “canto le armi e il capitano”.
• Per primo nel senso che Enea è uno dei pochi troiani sopravvissuti alla guerra di Troia.
• Per volere del fato: così ha voluto il destino, il fato è il protagonista invisibile dell’Eneide, Enea è il
portatore di fato in quanto ubbidisce ad un disegno provvidenziale ≠ Melibeo che è esule ma in un
mondo sconvolto dalla fors.
• Sponde Lavinie: sponde del Lazio, chiamate così da Lavina la moglie italica di Enea, e dalla città che
verrà chiamata lavinia dal nome di lei.
• Sbattuto -iactatus: passerà molte peripezie (come Odisseo, si fa riferimento difatti alla parte odissiaca I-
VI libro )
• Per la memore ira: “ob iram” in rilievo in clausola, la rabbia di Giunone che ricorda dei motivi di astio
nei confronti dei troiani e indirizza tutto quanto il suo odio su Enea. (Anche perché Enea era figlio a
Venere la sua principale rivale)
• Il riferimento alla guerra, la guerra del Lazio pur di fondare una nuova città
• Padri Albani: i padri che fonderanno Albalonga.
La dea sin da quando fu fondata Cartagine vorrebbe che Cartagine dominasse il mondo se il fato lo permette.
Tuttavia sapeva che sarebbe discesa da sangue troiano una stirpe (quella troiana) che avrebbe sconfitto
Cartagine, superba in guerra e avrebbe distrutto la Libia (l’Africa), dal momento che Giunone sapeva ciò
cerca in tutti i modi di evitare che si creasse questa discendenza.
Gli errori dei troiani risultano dunque la conseguenza del contrasto tra l’impulso del fato e l’azione
ritardante di Giunone.
Gentem finale è corradicale di genus e giugno, “nazione”.
Il principale modello del discorso di Enea ai compagni è Od. 12, 206-25, in cui sulla nave Odisseo arringa i
compagni nell'imminenza di affrontare Scilla e Cariddi.
L'incipit del discorso di Enea è un calco preciso, parola per parola, dell'incipit del discorso di Odisseo.
Quindi, sia Odisseo che Enea dànno un esempio di questi mali che i rispettivi compagni hanno già
sperimentato: Enea dice che i compagni «hanno sopportato sciagure più gravi» di quella presente, a cui un
dio darà fine come ha dato fine ai graviora precedenti. Mentre Odisseo attribuiva alle sue proprie qualità
intellettuali la salvezza dei compagni, Enea attribuisce la fine (positiva) dei mali alla volontà divina. Per
Enea invece le difficoltà già superate sono maggiori (graviora) rispetto alla situazione attuale.
L'evocazione della «rabbia di Scilla» e dei suoi «scogli rimbombanti nel profondo» come esempio dei
graviora, dei «mali peggiori», che i compagni di Enea hanno superato rispetto alla tempesta del libro 1 e
all'approdo nella misteriosa terra che si rivelerà essere la Libia, è una falsa pista. È un'allusione a una
versione, quella dell'Odissea, che l'Eneide non seguirà.
I Troiani si sono solo avvicinati a Scilla, non l'hanno affrontata come fecero Odisseo e i suoi compagni.
L'esperienza dei Troiani con Scilla è invocata in quanto esempio di una sciagura «più grave» di quelle attuali:
e in questo momento i Troiani hanno visto una delle loro navi affondare nella tempesta, e credono che molte
altre abbiano fatto la stessa fine. Un'esperienza «più grave» di questa non può essere quella del libro 3, dove
nell' «avvicinarsi» a Scilla (solo per evitarla) ai Troiani non succede assolutamente nulla.
Pertanto, in Aen. 1, 200-1 Virgilio suggerisce qualcosa che la successiva narrazione smentirà - un passaggio
attraverso lo Stretto di Messina e un incontro disastroso con Scilla, che non avverrà mai.
Anche nel caso dei Cyclopia saxa, dunque, come in quello della «rabbia di Scilla», Virgilio fa riferimento
alla versione odissiaca che nel libro 3 non seguirà. I Troiani hanno davvero fatto esperienza dei «massi dei
Ciclopi», solo che li hanno incontrati semplicemente perché hanno fatto tappa tra gli scogli del litorale
siciliano, non perché e siano stati bersaglio come era accaduto ai greci nell’Odissea.
“Fata” è la parola che manca al discorso di Ulisse, ovvero la garanzia divina di un migliore avvenire per cui
valga la pena soffrire.
Qui Enea cela ai compagni le sue preoccupazioni, binomio tra apparente ottimismo-celato pessimismo ,
altrove manifesterà la sua incerta e stanchezza al suo destino senza pace.
La promessa divina (vv. 227-264)
È il colloquio tra Venere e Giove a cui risponderà specularmente il colloquio di Giove e Giunone nel libro
XII.
Venere e Giove sono gli aiutanti, che fruiscono anche del supporto di Mercurio. Il ruolo dei due aiutanti
divini è però dettato da motivi diversi:
⁃ mentre la dea si dispone in modo diretto ed emotivo a protezione del figlio
⁃ Giove agisce solo nel rispetto della volontà del fato, e non per scelta o sentimento personale, né perché
mosso dalle lacrime della dea. Se apparentemente il dio si rivolge a Venere per rassicurarla sulla sorte del
figlio, in realtà è Virgilio che parla al popolo romano contemporaneo di Augusto, per consacrare le sue
nobili origini, fatte risalire, attraverso Enea, alla stessa Venere. Giove è il garante del rispetto del fato
Venere si lamenta perchè, dagli attuali travagli dei Troiani, non le sembra di poter scorgere ciò che Giove ha
promesso. L'affermazione della dea è recisa e non può essere fraintesa; deve quindi necessariamente essere
collegata con qualcosa che la dea ha saputo prima con sicurezza. Sorge ora il problema: dove mai il padre
degli dei ha fatto questa promessa? Siamo nel libro 1 ed è la prima volta che agli occhi del lettore compaiono
le due divinità. Evidentemente quindi il collegamento non va fatto con i versi antecedenti bensì versi
successivi (260).
Quindi dal rinnovato sangue di Teucro,capostipite dei troiani sarebbe discesa tutta la stirpe romana.
• Venere compensa i destini avversi ( il passato di Troia) con i destini (la futura gloria di Roma).
• Antenore, era un familiare di Priamo che secondo una tradizione postomerica trovò scampo nel Veneto
e fondò Padova.
• Il Timavo è un fiume carsico che sfocia con molte bocche, Virgilio utilizza il numero più alto 9.
• Sceptra: sineddoche per regna.
• Caelum tempestates: endiadi x cielo tempestoso.
• Citerèa: appellativo di Venere da uno dei suoi luoghi di culto, l’isola di Citera.
275-269
A questo progetto che Giove propone non si pongono né limiti di spazio nè limiti di tempo, l’imperium di
Roma è eterno, anche Giunone finirà di essere ostile e asseconderà il progetto assieme a Giove. Giunone
infatti assunse a Giove e Minerva faceva parte della triade capitolina, cioè delle più importanti divinità
romane.
La casa di Assaraco: Assaraco bisavolo di Enea in quanto nonno di Anchise.
I Romani saranno vendicatori dei troiani:
⁃ Ftia , regno di Achille
⁃ Micene, regno di Agamennone
⁃ Argo, regno di Diomede
Tre dei principali responsabili della guerra di Troia.
Cesare nascerà troiano da bella stirpe, si da riferimento ad Augusto culmine della storia romana e
restauratore della pace nome . Giulio nome derivato dal grande Iulo (Ascanio).
Le spoglie di oriente fanno riferimento alle insegne romane cadute in potere dei Parti a Carre e poi restituite
nel 20 per via diplomatica.
Dopo le guerre i secoli crudeli si mitigheranno: riferimento alla concordia dopo le guerre civili. Le porte del
tempio di Giano si chiuderanno : si chiudevano solo in tempo di pace, Augusto le chiuse dopo Azio.
Il discorso si Giove si chiude con la profezia della pace.
Lacrime per la storia (vv450-463)
Enea, scampata la tempesta, una volta giunto a Cartagine per la prima volta confida nel fatto che le cose
possano andar meglio. Ha più fiducia insomma in una situazione disastrosa. Mentre aspetta la regina e tre nel
tempio e rivolgendo lo sguardo in su, non si sa di preciso se nel portico, sulle porte, sul frontone passa in
rivista gli affreschi che rappresentano la guerra di Troia: Achille nemico sia agli Atridi (Agamennone e
Menelao) sia a Priamo (Re di Troia).
Si rivolge ad Acàte, il compagno che aveva preso con sé per recarsi in città, indicando Priamo, il quale
riassume in sè tutti i labores di Troia.
Uno dei più celebri e più discussi versi: sunt lacrimae rerum: nell'intenzione di Enea la frase assumerebbe
un valore meno pessimistico, dalla constatazione del dolore (sunt lacrimae rerum), poiché tuttavia le sciagure
tangunt mentem, procede nel verso seguente il conforto e la promessa di essere salvi.
Enea in uno di questi affreschi è raffigurato Inter hostes. Sergio Casali ha interpretato questa immagine come
un’allusione a quelle tradizioni secondo cui Enea avrebbe comprato la propria salvezza e si trova in mezzo ai
nemici non per combattere ma per contrattare la propria incolumità tradendo i suoi compratrioti. Quindi
secondo Casali Enea versa lacrime non di pietà ma di vergogna.
Libro
Il dio che atterra e suscita (vv.594-623
Siamo nel II libro, nell’ultima notte di Troia Venere appare ad Enea. Enea non sarà più lo stesso. Muore
l’eroe omerico e nasce l’eroe virgiliano.
Quale grande dolore eccita ire incontenibili? Nei vv. precedenti Enea aveva espresso propositi di vendetta
alla vista di Elena. Tutti i troiani si trovano accerchiati, Venere oppone la sua cura a quella che dovrebbe
avere il figlio. È un richiamo alla pietas annebbiata dal furor.
Non ti sia odiosa:
-la spartana figlia di Tindaro: Elena
-Paride colpevole, rapitore di Elena per istigazione di Afrodite
Ma l’inclemenza degli dei è la responsabile di tante avversità, rispetto ai colpevoli umani indicati prima.
Venere dice di aver fiducia nei sui ordini, l’ordine non è ancora dato, sarà quello della fuga. Questo per
giustificare la fuga agli occhi del lettore voluto da una dea e da una madre dopo che Enea aveva manifestato
l’eroico proposito di morire combattendo.
⁃ nimbo è la nube ora oscura o luminosa che avvolge la divinità celandone o rivelandone la presenza.
⁃ La Gorgone è la testa di medusa che impietrava chi la guardava, recisa, e posta al centro dello scudo di
Atena.
⁃ Anche Giove non è propizio, sprona gli dei contro le armi dardane
⁃ Finem: era già stato utilizzato da Venere quando parlava a Giove chiedendogli quale fine avesse dato alle
fatiche nel libro I.
⁃ Si profilano scene crudeli / sinistre figure, aggettivo ominidi riferito agli dei infernali
Libro IV
L’impossibile dialogo
Traina ha definito questo passo come il punto più critico della “love story” tra Enea e Didone.
L’eroe ha ricevuto ormai da Giove l’ordine di rimettersi in viaggio per la terra promessa e di nascosto ha
fatto i preparativi per la partenza.
• Impia: impietosa fama, in quanto malanno che reca notizie infauste.
• Didone è furens, così come sarà Amata nel XII libro, invasata dalla furia. Un comportamento questo
per i Romani non confacente alla dignità di una matrona, tanto meno di una regina.
• Citerone: monte sacro a Bacco dove si tenevano i riti orgiastici.
Le parole della regina sono piene di passione e di umiltà e rientrano, a tratti, nel linguaggio della suasoria,
ossia nel tentativo, da parte della regina, di persuadere Enea a non partire, a non abbandonarla, utilizzando
termini e dando vita a gesti che sottolineano il chiaro intento persuasivo.
Il comportamento di Didone coincide con uno dei tria officia oratoris: movere, ovvero la mozione degli
affetti, il tentativo, da parte della stessa regina, di coinvolgere emotivamente Enea al fine di interagire e
veicolare le emozioni nella direzione da lei voluta.
Il suo primo impeto è di sdegno. "dissimulare etiam sperasti (305)" essa dice, irrigidendosi
momentaneamente in un atto di minaccia e di sfida, di "tantum posse nefas tacitusque mea decedere terra?".
Ma il tono subito si fa leggermente più pacato: Didone invoca non la potenza che supera ma l'amore che
unisce. Invoca la destra che Enea le aveva dato in un giorno che ormai la delusione e il dolore rendono
lontano; invoca lo strazio del suo cuore che non avrebbe potuto resistere al distacco.
La regina preme sull'ingratitudine del Troiano: se già la decisione della partenza è indice di un mancato
riconoscimento dei benefacta da lei riservatigli, la modalità di attuazione di questo allontanamento
costituisce un'aggravante della colpa. Enea, insomma, nascondendo ciò di cui ha vergogna non fa che
risultare, agli occhi di Didone, implicitamente colpevole.
Didone ritiene di aver celebrato un vero e proprio imeneo contrariamente a quanto sosterrà Enea nei versi
successivi. Il termine dextera non può che alludere allo scambio delle destre avvenuto tra Enea e Didone.
Nel far riferimento al loro matrimonio, Didone impone ad Enea la realtà e la validità della loro unione con la
precisa volontà di schiacciarlo sotto il peso delle sue responsabilità.
La regina, presentando ad Enea le difficoltà di apprestare una flotta durante la stagione invernale, mira a
convincerlo a restare o quanto meno a rimandare la partenza. Proprio per questo suo tentativo che, come
sappiamo, si rivelerà inutile, le parole di Didone appaiono ancora più patetiche.
“Crudelis” : la crudeltà di Enea consiste nello sfidare pericoli mortali pur di abbandonare la donna.
Didone giunge quindi ad un'amara conclusione: neppure se Troia fosse in piedi, Enea affronterebbe un
viaggio così pericoloso per raggiungerla; dunque la ragione è una sola: sta fuggendo da lei.
È la logica puerile di una donna accecata dal furore d'amore. Questa sua convinzione emerge subito dopo
dallo struggente: mene fugis? Sembra quasi che Didone voglia sentirsi rassicurata nel porgere questa
domanda all'eroe; è come se volesse sentirsi dire che in realtà non sta fuggendo da lei, che non è lei la causa
della partenza. Vuole rifugiarsi nell'ultima speranza che i suoi sospetti abbiano ingiustamente sopravanzato la
realtà, che non allo scopo di abbandonare definitivamente lei Enea si appresti a spingere le navi nel mare.
La regina si è lasciata trasportare dallo sdegno, ha proferito rimproveri sanguinosi; ma ecco che abbandona
immediatamente questo tono: essa sente che non si tratta di soddisfare il suo orgoglio con parole, ma di
impedire ad ogni costo la partenza di Enea: proprio per questo, lasciando da parte ogni questione di vanità
ferita, si abbassa alle preghiere, alle lacrime, ai lamenti. È semplicemente una donna desolata che cerca di
scongiurare l'abbandono. Si rende conto che Enea sta per partire ma spera ancora nella sua pietà. Nel suo
furore disperato si aggrappa all'eventualità che le sue preghiere possano rimuovere lo spirito di Enea dal
terribile proposito. Didone ha anteposto il suo legame con Enea a tutto: alla necessità della Ragion di Stato,
al suo onore di regina e di donna. Sottolinea quanto le sia costato aver agito in questo modo e come Enea sia
un ingrato e si comporti da hospes, immemore dei benefici ricevuti.
L'ostilità delle popolazioni confinanti e dei Tirii, a cui Didone allude in questi versi, sussisteva già prima che
Enea si fermasse a Cartagine. Accusando l'eroe di essere la causa dell'odio e delle ostilità che ora gravano sul
suo regno, Didone deforma in parte la realtà e risponde perfettamente alla logica della suasoria. Stimolare
nell'eroe il senso di colpa e persuaderlo a restare.
Un po' per commuovere Enea, un po' per l'orrore che le ispira il pensiero delle nozze con larba, Didone usa il
termine capio, in quanto immagina di essere trascinata prigioniera dietro al carro del re. Da notare è anche
l'effetto di forte contrasto che la parola provoca in quanto posta accanto a ducat. larba, infatti, aveva bramato
di ducere uxorem la regina e ora ciò che maggiormente la atterrisce è che lui finisca per imporle un
insopportabile servaggio.
Il tentativo di commuovere l'eroe raggiunge il livello più alto con l'accenno, da parte della regina, al
rammarico di non aver avuto un figlio da Enea da poter stringere e in cui rifugiarsi quando tutto intorno
sembra abbandonarla.
Di fronte all'imperturbabilità di Enea, Didone rimpiange una prole mancata, un piccolo Enea, imago paterna
che giochi nelle stanze regali evocando una presenza/assenza.
Essere imago del proprio padre, riprodurne le fattezze fisiche come, nel rimpianto di Didone, avrebbe potuto
fare "il suo piccolo Enea" è, infatti, nella cultura romana, garanzia e suggello della legittimità della prole.
La replica di Enea:
La risposta di Enea è volutamente e forzatamente fredda. Dette da lui, in quel momento, tra un esordio quasi
prosastico e un pro re pauca loquar, le parole di promessa possono anche apparire frementi di dolore e di
passione. Di fronte a Didone, Enea diventa ingiusto.O Turbato com'è dai sogni, dal rimorso, dal messaggio di
Mercurio, egli vede in Didone un ostacolo al compimento del suo dovere. Enea è l'opposto di Didone. Nelle
sue parole non ci sarà traccia di passione, amore, esuberanza. La sua risposta è formalmente impegnata nel
senso delle direttive impartitegli da Giove: egli parlerà come un grande capo che ha un compito da assolvere,
un compito di natura politica, davanti al quale egli, come individuo, non può esiste più e accetta di non
esistere più. Non negherà i meriti di Didone nei suoi riguardi; dichiarerà che non era sua intenzione
allontanarsi da lei di nascosto e che, d'altra parte, neppure aveva inteso fare di lei la propria legittima
consorte. Se egli potesse vivere secondo il proprio genio, avrebbe ricostruito Troia:
ora invece il destino lo chiama in Italia.
I due protagonisti non si comprendono e neppure riescono a capire l'uno i sentimenti dell'altro. Enea, è
incapace di capire quale forza coinvolgente e distruttiva sia l'amore nell'animo della regina. Per questo
motivo resta fuori dal mondo della donna. Al noster amor di Didone, Enea contrappone la priorità del legame
con il padre Anchise e il figlio Ascanio. Il senso di responsabilità che l'eroe sente nei loro confronti, in
maniera particolare nei confronti di Ascanio si fa qui denso di significato. L'eroe fa riferimento ad alcuni
sogni che di notte lo turbano e in tali sogni preponderante è l'immagine del vecchio padre Anchise che lo
richiama al suo dovere, alla sua missione.
Le parole conclusive riprendono e condensano i motivi portanti del discorso di Enea: insegue l’Italia non per
sua volontà ma per volere del fato. Avrebbe avuto altro da aggiungere, l'eroe. Ma ogni cosa si sarebbe
rivelata inutile e ormai il furor di Didone glielo impediva. La decisione è stata presa, e ogni parola in più
avrebbe soltanto fatto del male ad entrambi. Ha provato a spiegare alla regina il motivo della sua partenza ma
non è stato compreso. La regina trasforma ogni argomentazione data da Enea in una crudeltà che l'eroe
compie nei suoi confronti. Non c'è comunicazione tra i due, ciò che li accomuna sono i sentimenti che l'uno
prova nei confronti dell'altra. In Enea c'è l'individuo che vorrebbe avere una sua vita privata - ed è colui che
proclama Italiam non sponte sequor, che giudica "dolce" la terra d'Africa, che non dimenticherà mai l'amore
di Didone finché avrà vita, che deve tener chiuso nel petto l'affanno davanti alla donna amata - e c'è il
predestinato alla gloria immensa di progenitore della potenza romana.
Libro VI
Il nuovo Achille
Si tratta della nebulosa profezia della Sibilla ad Enea. La fine di una lunga attesa. Dopo tanti pericoli
scampati, si chiude così la parte odissiaco ed inizia la parte iliadica caratterizzata dalla guerra.
I Dardanidi giungeranno nel regno di Lavinia ma non vorranno esservi giunti: il Tevere è il corrispondente
laziale del Simoenta e dello Scamandro (Xanto).
La profezia è quella di una nuova guerra di Troia.
Alius Achilles: un altro Achille.
Qui viene utilizzato alius, perché apparentemente Turno sarà come Achille, e tale si sentirà lui stesso ma in
realtà un Achille perdente e quindi diverso. Che il futuro non avrà lo stesso esito del passato lo fa intuire
proprio alius.
Causa di tanto male ancora una volta una donna straniera: per Troia Elena, qui Lavinia.
I Mala esaltano la virtus, come scrive Seneca nel De Providentia. La prima via di salvezza paradossalmente
si aprirà proprio da una città greca, la città di Evandro , (originario dell’Arcadia), Pallanteo.
Il ritorno di Saturno
Nei Campi Elisi, Enea trova il padre Anchise, il quale lo guida attraverso le anime dei morti e gli mostra
quelle di coloro che ancora devono nascere, i suoi futuri discendenti, da Romolo ad Augusto. Enea è alla
ricerca delle ragioni stesse della fine di Troia e del suo doloroso peregrinare, e Anchise gli mostra non solo il
suo destino, ma anche quello di tutta la sua stirpe.
Virgilio attribuisce al viaggio agli inferi di Enea una motivazione chiara e evidente: scende fra i morti per
conoscere tutto della stirpe e della città di cui sarà il fondatore.
A differenza di Odisseo che scende unicamente per conoscere la sua sorte personale , Enea affronta questa
prova per apprendere una verità di portata universale.
L’età dell’oro con Augusto si ripeterà, ma dilatandosi dal Lazio alle frontiere del mondo, il che costituisce
per Virgilio la giustificazione morale dell’ imperialismo romano.
Garamanti: popolazione africana, ad indicare l’estremo sud
Indi: l’estremo est
Il prezzo dell’impero
Marco Claudio Marcello fu un membro della dinastia giulio-claudia, nipote prediletto e successore designato
di Augusto, cui premorì.
Era figlio di Ottavia Minore, sorella di Augusto, e di Gaio Claudio Marcello minore, un ex-console. Era
discendente di sesta generazione di Marco Claudio Marcello, un famoso generale della seconda
guerra punica.
Enea vede un giovane procedere, di bell’aspetto e dalle armi rifulgente, ma aveva un’ombra di tristezza e gli
occhi e il volto abbassati.
Iuvenem: non aveva ancora 20 anni quando morì, la sua morte apri una difficile crisi dinastica. La bellezza di
norma non porta fortuna nell’Eneide. “Egregium forma “ è la iunctura che Virgilio riservava a:
-Pallante e Lauso
-Turno
tutti iuvenes e destinati a morire precocemente.
Rivolgendosi agli dei, il padre Anchise dice che la stirpe romana sembrò loro troppo potente. L’eccesso
(nimium) di felicità e di fortuna provoca l’invidia degli dei.
• La piana presso la grande città di Marte è il campo marzio, una specie di piazza d’armi e palestra
sportiva dov’è si svolsero i funerali di Marcello.
• La tomba fresca, il tumulum recentem, è quello di Claudio Marcello, che fu tumulato nel mausoleo di
Augusto sulla riva del Tevere.
• Nessuno innalzerà gli avi come lui. Cioè farà così alte speranze. Era un dovere della nobiltà romana
accrescere la gloria della gens.
• Iliaca/ Latinos/ Romula: I tre stadi della formazione del popolo romano.
• Elenco delle virtù tradizionali dei romani:
⁃ la pietas
⁃ la fides
⁃ la virtus
• miserande puer: patetico vocativo, Marcello è una giovane vittima che i fata aspera immolano alla
grandezza futura e presente di Roma.
• Anchise immagina di essere davanti alla tomba del nipote.
Virgilio alla giovinezza stroncata di Marcello non può che offrire il conforto tutto umano della poesia.
Libro X
Impar pugna di Turno e Pallante
Il X libro è il necessario presupposto del finale sia dal punto di vista narratologico che ideologico.
• narratologico in quanto l’uccisione di Pallante da parte di Turno crea l’attesa del duello tra Enea e
Turno
• Ideologico in quanto il comportamento di Turno verso Pallante e il rapporto di Pallante con Enea
contribuiranno a motivare l’uccisione di Turno.
Intanto Giuturna esorta Turno a subentrare a Lauso. Nel tentativo di soccorrere il fratello finisce in realtà con
il decretarne la morte.
Solo lui si porta contro Pallante perché dice che solo a lui Pallante è dovuto. “Debetur” con questo verbo
Turno si assimila al fato.
L’antroponimo geminato nelle parole di Turno torna per contrappasso in quelle di Enea nel libro 12 vv.948.
Il v 443 esprime tutta la ferocia di Turno: non c’è nel mondo virgiliano crudeltà maggiore che uccidere un
figlio dinanzi agli occhi dei genitori così come Pirro (il sanguinario figlio di Achille) uccise Polite dinanzi
agli occhi del padre Priamo.
Gli iussa superba come quelli di Giove che imporranno la ritirata a Giuturna.
Pallante guarda il nemico, non si fa intimidire.
Gli spolia opima era l’armatura del comandante nemico ucciso da quello romano e dedicata ad un dio sotto
forma di trofeo. Così forse avrebbe fatto Pallante.
Il padre è pronto ad accettare entrambi gli esiti.
1. similitudine leonina per Turno: su una decina di paragoni con animali da preda, 7 sono per Turno e
nessuno Per Enea.
Pallante si rivolge ad Ercole, che è diventato dio. L’ospitalità nel mondo antico era un vincolo che
impegnava i contraenti a un reciproco aiuto. Perciò pallante ricorda ad Ercole l’ospitalità paterna.
V 462: c’è una punta di crudeltà in questo desiderio ma ad un livello infinitamente minore rispetto a Turno.
Questi sono i guasti psicologici della guerra che colpiscono anche i migliori.
Il poeta rivela il suo ipotesto, Iliade 16, la morte di Sarpedone per mano di Patroclo. Zeus vorrebbe salvare il
figlio Sarpedone ma la moglie e la sorella era gli rammentano che sfugge al potere degli stessi dei la facoltà
di intervenire sull’ineluttabile fato.
Una volta che la sorte è segnata non ci si può metter contro, ad ognuno è fisso il suo giorno , per tutti il
tempo della vita è breve e irreparabile ma con la gloria la si può estendere a lungo.
Dopo la morte di Pallante, infatti, Enea rinuncia a qualsiasi
autoct ntrollo e compie gesta che richiamano, per esplicita intenzione allusiva del poeta, la furibonda strage
condotta nell'Iliade da Achille per vendicare l'amico Patroclo.
La breve scena che segue la morte di Pallante ha una funzione decisiva nell'intreccio dell'Eneide.
Come Ettore segna il suo destino uccidendo Patroclo e spogliandone il cadavere, così Turno verrà ucciso da
Enea per vendicare Pallante. Ettore indossa, come segno tangibile della sua vittoria, le armi divine di Achille
strappate a Patroclo; Turno ha spogliato Pallante del balteo e lo
porta come simbolo trionfale. Questo parallelismo elementare si concreta in una grande campata narrativa,
che unisce i libri X e XII dell'Eneide a somiglianza del rapporto che lega, in omero, i libri XVI («Patroclia»)
e XXII («Uccisione di Ettore»).
Il parallelo tra i due episodi si concretizza :
⁃ entrambi decretano l’imminente morte dell’uccisore: Achille ucciderà Ettore, Enea ucciderà Turno.
Mentre Patroclo morente lo dichiara apertamente ad Ettore “perirai per mano di Achille”, il destino di
Turno è invece reso chiaro da alcuni riferimenti ominosi da parte dell’autore.
⁃ La similitudine leonina
⁃ L’idea di una battaglia impari che aleggia in entrambe le vicende
⁃ La vestizione del vincitore con le armi del vinto (balteo-elmo)
Una vittima, un uccisore a sua volta predestinato, un vendicatore: ma come viene realizzata, in concreto, la
continuità tematica fra l'azione di Ettore/Turno e la vendetta di Achille/Enea? In Virgilio un ruolo
fondamentale spetta al tema del balteo. Strappandolo dal cadavere di Pallante, Turno provoca senza saperlo
la sua stessa fine: le figure istoriate brilleranno sotto gli occhi di Enea come «ricordi di un dolore feroce»
(12, 945) e scateneranno fatalmente la vendetta.
La descrizione del balteo, del resto, non è momento di ritardo epico fine a se stesso, ma produce una
consonanza tragica con la situazione narrativa. Come ha visto bene G.B. Conte, l'uccisione dei giovani alla
prima notte di nozze allude, per una sorta di metonimia culturale, alla fine infelice di giovani come Pallante:
il delitto delle Danaidi che la prima notte di nozze uccisero i mariti per ordine del padre. Questo perché
Turno morirà anzitempo e senza nozze.
Enea conficca la spada nel petto del giovane e la immerge tutta. Lauso era dotato di un’armatura leggera,
come specifica “parma” piccolo scudo rotondo, il che rende ancora più eroico il suo gesto e più impar lo
scontro.
La tunica intessuta dalla madre si inzuppa di sangue e l’anima lascia il corpo.
Tuttavia Enea è preso da un lancinante senso di commiserazione “miserande puer” (così si rivolgerà a
pallante accomunando l’alleato e il nemico), mossa da pietà Enea lascia le armi, lo rende ai suoi Mani e alle
ceneri dei suoi padri. Lo solleva poi da terra ove il sangue che fuoriesce gli de turba i capelli ben pettinati
secondo il costume. Secondo il costume non tanto arcaico quanto giovanile di portarli lunghi.
Questa nota ai capelli del giovane diviene un grido lancinante dell’ingiustizia che attraversa il mondo per cui
si possa morire così giovani.
Libro XI
Il dolore di un padre
Si tratta dell’addio da parte di Evandro al figlio morto in guerra. Si tratta di una scesa patetica: inizia con un
rimprovero da parte di Evandro a Pallante “non erano queste le promesse fatte, di doversi esporre con cautela
alla battaglia” poiché pallante doveva far il suo tirocinio sotto la guida di Enea.
È contro natura che un figlio muoia prima di un padre.
Evandro e Pallante reclamano Turno come Turno aveva reclamato Pallante (mihi debetur. Il vecchio re
dell’Arcadia si consola pensando alla gloria di Pallante e alla vendetta che ne farà Enea per la destra data in
cambio di ospitalità.
Libro XII
Ultimo libro dell’Eneide; come dice Traina non il libro di Turno ma il libro della morte di Turno. L’approdo
al finale poteva essere più veloce ma è tardato da una serie di intoppi, due sottoeventi:
1. Episodio di Giuturna: sorella di Turno che cerca di salvarlo allontanandolo dalla battaglia.
2. Finale in cielo: Giove e Giunone si riappacificano, Giunone promette di non osteggiare più i Troiani. Si
poteva quindi concludere così l’Eneide, ma Virgilio sceglie un finale non del tutto pacifico, già previsto a
partire dal libro X.
Il colloquio (1-80)
Turno è la prima parola del libro.
Analizziamo i versi dei primi 4 versi, hanno tutti dei prefissi, intenzione: molti possono essere visti come
intensivi e questo rispecchia il carattere di Turno che è impulsivo. Questi preverbi vogliono esasperare la
realtà, perché è così che la vede Turno (non è equilibrato e sereno, è agitato perché sta combattendo, vede in
gioco la sua vita, il suo futuro da re, vede tutto un po’ sopra le righe) questo stratagemma grammaticale
sottolinea visione distorta della realtà.
- INFRACTOS = da FRACTOS = rotto, anche senza prefisso avremmo avuto significato di rotto
⁃ POSTO= chiedere, REPOSTO=richiedere
⁃ ATTOLIT di solito va con OCULOS non con ANIMOS (qui sta meglio e evita ripetizione)
⁃ implacabilis: in generale gli attributi in -BILIS di solito non sono per poesia ma per prosa (BILIS
suffisso usato per formare attributi che indicano la fattibilità della cosa). Virgilio lo usa solo per Turno e
per lo Stige. Neoformazione di Cicerone.
Similitudine animale: a sottolineare ancor di più la ferocia di Turno. Si tratta di una similitudine omerica ma
la localizzazione è Rocco romano romano essendo venuta ai romani dal Nord Africa la prima esperienza dei
leoni.
La sfera semantica del fuoco indica la sua natura IMPULSIVA E INFIAMMABILE.
Questa similitudine anticipa la sua fine.
Quando un animale è gravemente ferito si sente vulnerabile e diventa più feroce ed i romani cacciatori
conoscevano bene la ferocia degli animali.
⁃ venantum: cacciatore di frode, colui che tende insidie, combatte in maniera illegittima e non a viso
aperto
Il leone (Turno ferito per la sua difficile situazione ≈ leone) è umanizzato per i verbi:
• movet arma
• gaudet
• impavidus
Turno non ha mai paura.
Al verso 9 la violentia di Turno, violentia deriva da vis in senso negativo, impulsività, (forza dinamica che si
contrappone a robur, forza statica). L’astratto che diventa soggetto, come se ci fosse una forza superiore che
si è impadronita di Turno, Turno vittima di una passione.
Ancora una volta “accenso”afferisce alla sfera semantica del fuoco, simbologia della passione che lo accende
e lo consuma.
DESERTOR: traditore. I disertori venivano puniti con l’uccisione. A Roma era la colpa più grave di cui
potesse macchiarsi un
soldato, è un’accusa gravissima che trovava fondamento in alcuni fonti ostili ad Enea che Virgilio conosceva
e di cui troviamo traccia, ad esempio, nel I libro dell’Eneide (immagine che rappresenta Enea inter hostes.
Oltre ad una serie di scene del II libro in cui passa tra i nemici e i nemici non lo vedono.
Quando assiste alla morte di Priamo dal tetto e non prova a difenderlo, è il suo re, avrebbe potuto difenderlo
era guerriero giovane e armato).
SEDEANT SPECTANTQUE LATINI: inciso reso con le parentesi (non esisteva punteggiatura in antichità
e incisi prima erano segnalati dalla sintassi). Ha una sfumatura ironica “che i latini si godano lo spettacolo”,
L’arena della battaglia finale tra Enea e
Turno è molto diversa da quella di Achille e Ettore:
1. quella di Achille e Ettore era l’anello attorno alle mura di Troia, loro corrono attorno, con tutti che
guardano dall’alto delle mura, da sopra, però questa collocazione dello spazio, limita le possibilità
tattiche del duello, perché non c’è uno spazio specifico;
2. invece i partecipanti della battaglia tra Enea e Turno, preparano un campo di battaglia come un’arena di
gladiatori, c’è un cerchio sterrato con attorno gli spettatori, tutto richiama il gioco gladiatorio.
Molti i dettagli che fanno riferimento a questo e gli spettatori si comportano da spettatori, gridano,
reagiscono alle azioni in campo.
Il breve discorso di Turno (6 versi), finisce con la massima concessione “cedat” indica il passaggio di
proprietà, non fa riferimento a concessioni territoriali, ma la cosa a cui più teneva, Lavinia.
Risposta di Latino:
A livello stilistico Virgilio ha preso spunto da Ennio (Ennio anche tutti spondei, in età augustea non si faceva
più, ma in età arcaica ci si concedeva questo genere di licenze poetiche). Ci sono spesso queste minuzie
stilistiche che caratterizzano i diversi personaggi.
Nella presentazione, nel verso che fa da cerniera tra i due discorsi, Latino viene connotato dallo spondeo,
quindi come re pacato e anziano e autorevole; tuttavia, il suo discorso vero e proprio non segue la linea di
anziano e autorevole che noi ci aspetteremmo da questa presentazione. Latino nonostante dovrebbe essere
pacato e così autorevole da poter calmare i bollenti spiriti di Turno, non riesce perché è molto spaventato
(discorso vero e proprio in dattili che esprimono insicurezza, il che non si addice ad un re) dalla situazione.
Inoltre, a simbolo della sua debolezza, subito dopo Latino parla Amata, cosa inusuale, perché la regina non
parla mai in prima persona. Re che non è all’altezza della situazione (unico re nell’Eneide, all’altezza della
situazione è Evandro, che non a caso è greco).
Questo periodo configura Turno direzionato verso l’alto (pre-stans; ex-superans) contro Latino orizzontale
(aequum; impensius). Questo perché Latino vuole presentare se stesso come serio e equilibrato, mentre lo
slancio giovanile di Turno, non a caso lo chiama iuvenis (non è complimento fino in fondo, giovane è
impulsivo) slancio che non è di per se negativo, ma va calmierato dalla ragione dei vecchi.
- FEROX:gli aggettivi in -x in genere hanno un’accezione negativa, di eccesso
Coniugare un sostantivo che deriva da vir (uomo) con un aggettivo che deriva da fera è già ossimorico
(uomo e bestia feroce); inoltre feros è un aggettivo che troviamo solo un’altra volta nell’Eneide alla fine
del XII libro con Turno che lo dice Enea.
[feroce non va bene, in italiano troppo negativo, slancio troppo vicino all’eccesso] Si tratta di un valore
straordinario, ma eccessivamente vicino al bestiale, per questo, dice Latino, io devo essere
ponderato e valutare la situazione (omnis metuemtem).
Il latino ha molti termini per indicare la paura, i due principali sono metus e timor:
- METUS: è connesso etimologicamente con meteor , misurare. È la paura razionalmente fondata di
un evento plausibile.
- TIMOR: la paura irrazionale, che non ha fondamento.
Il fatto strano, non è che Latino provi metus (timore razionale, è un re che deve preoccuparsi per il regno),
quanto OMNIS perché smentisce metus. Se ho un timore fondato e razionale, non può essere per tutte le
cose, la metus non è disdicevole per un re, ma ragionevolmente non si può avere paura di tutto.
Dopo averlo blandito gli dice che comunque può avere altre spose nel Lazio non di indecorosa stirpe.
⁃ Haud mollia: mollia fa parte della sfera semantica dell’elegia amorosa > riferimento all’amore di Turno e
Lavinia. Anticipa la rottura di un possibile matrimonio dei due.
⁃ Sublatis dolis: tolti gli inganni. Non è da re, un re non dovrebbe ingannare suo popolo o almeno non
dovrebbe dirlo, è come se ammettesse di aver mentito.
⁃ Sociare: termine giuridico
Turno è declassato da pretendente a uno dei tanti pretendenti. C’è umiliazione. Sappiamo che una delle
tecniche retoriche per sminuire qualcuno è dire “lo fanno tutti”
⁃ Fas: identifica ciò che segue le leggi divine.
⁃ Canabant: emerge l’accezione virgiliana di cano, il verbo dell’oracolo.
⁃ c’è uno iato tra genero e arma non c’è sinalefe, queste due vocali valgono tutte e due. Il poeta sceglie di
imporre al verso una pausa innaturale che spezza il ritmo dell’esametro. Questo iato sottolinea
un’espressione già violentissima come ARMA IMPIA, questo genero è Enea, dice che ho preso armi
empie perché ho esitato a dare Lavinia a Enea così come ruppe ogni vincolo : i legami della fides /
ospitalità/.
Finisce il Latino re e inizia il Latino tragico
⁃ Bis: le due battaglie del X (terminata con la morte di Mezenzio) e del XI (terminata con la morte di
Camilla)
Atteggiamento di Latino poco regale, così come Amata che piange dall’inizio alla fine, non ha
un’evoluzione.
A proposito delle battaglie l’Italia viene chiamata Italia, questa onomastica non era definita, quindi a favore
dei popoli italici che stavano quasi tutti con Turno.
- TIBRINA FLUENTA: unica occorrenza. Il nome Tevere è stato inventato da Evandro, perché ad Evandro
si ascrive una creatività che è poetica, linguistica e narrativa, si presenta come l’origine della vicenda, se do
nome alle cose le faccio esistere.
Il personaggio che ha potere fondativo è greco [Virgilio vuole dimostrare che la poesia è più importante della
politica, se Evandro e sua madre mostrano di avere una preminenza storica e ontologica rispetto ad Enea,
senza la vicenda di Evandro non sarebbe successa quella di Enea, quella di Evandro precede quella di Enea
perché molto simile: la poesia (tutto ciò che è attorno a Evandro), è più importante della politica] perché
senza poesia non c’è narrazione e senza narrazione è come se eventi non fossero mai esistiti. Augusto
dipende da lui, senza di lui non esiste la sua narrazione eroica, preminenza della poesia sulla storia.
36: C’è sinestesia. Contrasto cromatico, rosso e bianco a inizio e fine del verso (e qui torna sanguine per
parentela) è il sangue versato nel Tevere quello dei Rutuli.
Il bianco e rosso sono colori fondamentali di spettro cromatico dei romani, rosso (denominazioni varie del
sangue e della quercia) il bianco e il nero hanno 2 denominazioni, perché il colore per i
romani [distinguevano colori per brillantezza, piacevano cose brillanti, da qui semantica opaco =infido].
• ALBUS = bianco opaco quello delle ossa non è bianco ottico,ALBENT amplificata da INGENTES e
opposizione con sangue. Richiama fiumi e campi = intero universo pieno di morte, ne terra ne acqua
risparmiate dalla contaminazione della morte.
Miserere con il genitivo: espressione tipica delle preghiere (abbi pietà di…), che troveremo nelle parole di
Turno alla fine, verrà infatti il tempo in cui sarà Turno a chiedere invano pietà per lui. Nell’Eneide Latino sta
cercando di convincere Turno ad un'amara umiliazione, quella di cedere le armi senza combattere,e quindi la
supplica non ha successo.
L’impeto di Turno non viene piegato dalle parole: questo vuol dire che Latino è un cattivo oratore perché non
riesce a indirizzare Turno secondo le sue decisioni. La struttura della retorica era giusta, infatti, Latino
partiva da un registro piano (spondei) per giungere a un registro tragico; tuttavia, non piega l'impeto di
Turno, ma lo accresce.
In tutto questo libro Turno è connesso con il fuoco ma in fondo la violenza è la forza del fiume. La sfera
semantica del fuoco e quindi del rosso e quindi del sangue, che vuole esprimere sia l'aspetto distruttivo
(fuoco) sia l'impeto della giovinezza (sangue) che porta all'ira, verrà accostato prima e sostituito poi dal
suo opposto,cioè dalla sfera semantica del bianco. Questo succede perché Turno dal modello di Achille si
dirige verso il modello di Ettore: da aggressore diventa vittima, quasi come se fosse una vittima sacrificale.
Non a caso Turno avrà lo stesso esito di morte di Ettore.
Non appena poté parlare: dice così perché la passione all'estremo livello toglie la parola. Mentre nel v.45 ci
sono tre dattili che indicano che Turno sta fremendo e non riesce a stare fermo; al v.47 ci sono due spondei,
un dattilo e uno spondeo: ritmo più lento rispetto verso 45. Questa antitesi contrappone non solo la frenesia e
poi un po’ di calma dopo, ma vuole anche fare un parallelismo con l’inizio del discorso di Latino (v.18).
Quindi vuole dare a Turno,
che era comunque un re, la stessa importanza che è stato data a Latino.
Pro me è ripetuto due volte a inizio e fine verso: un re dovrebbe difendere tutti i sudditi non uno che non è
nemmeno suo suddito. Quello che Turno vuole dire a Latino è: tu ti devi preoccupare della salvezza del tuo
popolo, l’idea di farmi scontrare con Enea mira precisamente a salvare vite (evitiamo di continuare ad
ammazzarci, facciamo un duello che decida le sorti della guerra). Quindi Turno gli dice che non deve
preoccuparsi per lui, ma dei sudditi.
• vv.51-52: Fanno riferimento all’episodio dell'Iliade V in cui Enea viene salvato due volte da Venere e
Apollo che prima lo nascondono in una nube e poi lo trascinano via dalla battaglia perché rischia di essere
ucciso. La cosa particolare è che non viene nominato Enea. È una strategia: non nominare un avversario è
per evitare che venga preso in considerazione. Anche la mamma non viene nominata: è imbarazzante che un
guerriero adulto si faccia aiutare dalla mamma. Questo fatto della mamma è sottolineato dall’attributo
feminea riferito alla nube per indicare una nube “da femminuccia”. Come fa la nube ad essere femminile? È
da femminuccia perché la fuga è da femmina (è antitesi della virtus, del valore guerriero, il quale non deve
fuggire). È da femmina nel senso che è da vile.
Non a caso c’è fugax (-ax è un suffisso negativo). Già la fuga è ignobile in più c'è il suffisso -ax che indica
eccesso.
• Vanis umbris: Traina fa riferimento all'Iliade in cui si fa riferimento alla caligine che copre gli occhi
degli uomini perché non vedano gli interventi degli dèi e quindi a un certo punto questa caligine viene
tolta e si vedono gli dèi che combattono Però fa venire in mente il mito del ciclo omerico secondo cui a
Troia non era andata Elena ma una nuvola che poi si era dissolta. Quindi Elena non c’era mai stata; è
quasi come se Turno insinuasse che Enea non c’è proprio stato in battaglia perché sua madre ha
provveduto a creare un eidolon con le sue fattezze da fingere che Enea fosse andato in battaglia.
Questo fatto delle umbre rientra nella denigrazione dell’avversario di Turno, Enea.
La regina piange sempre perché è contaminata dalla furia, a questa condizione costante si aggiungono nuovi
elementi di turbamento: in questo caso,
conterrita. Latino aveva detto omnia metuentem, usando il termine metuo che è un timore basato su una
valutazione razionale della realtà perché corradicale di meteor; conterrita è un atteggiamento sbagliato,
elevato al massimo, ulteriormente esaltato dal suffisso -con che in questo caso è intensivo.
• Nova…sorte: nova è “diversa dal solito”. In antichità tutto ciò che è nuovo è pericoloso perché non si
allaccia alla tradizione. È un
modo di vedere le cose che è allacciato al passato è buon segno perché affidabile e dà certezze e conferme,
tutto ciò che è nuovo è male.
ARDENTEM: ARDENS participio presente non esprime una condizione presente, ma esprime uno stato
momentaneo (in questo momento sono così, ardente).
• MORITURA: participio futuro;
⁃ è destinata a morire (dice di non voler sopravvivere a Turno, se lui morirà),
⁃ vuole morire
⁃ sta per morire (perché il duello sta per tenersi).
Per rendere tutte le sfumature possiamo
dire: pronta a morire. L’imminenza della morte e l’atto di trattenere sono messe nello stesso piano.
Amata, che è passiva/rassegnata per quanto riguarda sé stessa, lei piange già la sua morte, è invece attiva nei
confronti di Turno, cerca di salvarlo.
Parla Amata: è inopportuno che una regina parli, tanto più dopo che ha parlato il marito dicendo cose non
identiche al marito.Amata sta già pensando alla morte, è già stravolta dalla furia, noi ne abbiamo la
conferma nelle parole che precedono il discorso: MORITURA, CONTERRITA e FLEBAT.
Dalle parole del discorso diretto si capisce che amata è turbata, ciò che mette in evidenza il pathos:
- lacrime (sono permesse, ma questo non è un contesto di lutto),
- l’iperbato (distanza tra il vocativo e il verbo, Turne – unum oro, ci sono 4 versi, questo indica squilibrio,
non è normale. In questo iperbato percepiamo l'affanno della voce di Amata (è molto spaventata e esista nel
parlare e non riesce ad arrivare alla conclusione del discorso).
- Enfasi e anafora di PER HAS: è un modulo tipico della supplica. In questo discorso possiamo vedere il
sovrapporsi di due modelli:
- la supplica (vocativo + verbo di preghiera + anafora di per, pianto)
- l’aspetto emotivo dello sconvolgimento (l’iperbato e l’inciso).
- le ripetizioni di pronomi (te, tu, in te, ego).
C’è una personificazione è come se Amata fosse la domus che dipende completamente da Turno che non può
sopravvivergli. Amata in questo ha ragione, è vero che con la morte di Turno la casa di Latino scomparirà
completamente, Giove prometterà a Giunone che scomparirà completamente tranne il sangue, sotto la
dominazione dei troiani.
• MANUM COMMITTERE: termini di combattimenti riguardanti Turno sempre materiali e c’è sempre
riferimento alla mano, alla destra. Si vuole far riferimento alla fisicità e bravura di Turno nel corpo a corpo
Enea non è altrettanto efficace.
È come se lei cominci due discorsi perché non sa finire il primo non sa trovare le parole per dire a Turno ciò
che vuole dire (come fanno le persone sconvolte).
Amata qui dice CASUS e non FATA al plurale, quasi volutamente facendo una variatio: perché lei pensa che
questo non è destino, è un caso, un azzardo del destino; non c’è una logica, non c’è un volere degli dèi (non è
fatum, parola che si fa legge divina, parola che esprime la legge divina). Lei si rifiuta di credere che tutto
questo viene da un progetto divino, dice che è un casus (quello che Aristotele chiamerebbe accidente, cosa
che succede senza una ragione). Quindi se Enea è stoico, Amata è epicurea. [Virgilio parte epicureo e
finisce stoico. Chi non si allinea con il fato è visto come perdente nell’Eneide].
Rifiuto di voler vedere da prigioniera Enea come genero: tipico della tragedia (piuttosto che vedere...)
• Cosa irrituale è che Amata esprima la sua contrarietà al genero appena benedetto dal
marito. Queste sono le ultime parole di Amata.
Nonostante l’immagine tende ad attenuare la violenza del testo e ricondurre al topico della fanciulla
desiderabile, ci sono elementi che mantengono questa traccia inquietante come:
⁃ SANGUINEUS (colore del sangue)
⁃ gigli bianchi tipico del lutto (citati a proposito della morte di Marcello-libro VI) [in antichità in invece
c’era solo rose di colore rosso],
⁃ ALBUS (bianco sporco)
⁃ VIOLAVERIT (contaminare, verbo della contaminazione empia).
Rosso era il colore del matrimonio e l’abbondanza del colore che indica la passione amorosa è come un
disperato abbandono del sogno che la ragazza aveva, sposare Turno.
C’è un brusco cambiamento di soggetto (ogni personaggio ha un suo spazio, ma Turno aveva già parlato, ma
ritorna a parlare ora -Turno, Latino,Turno, Amata, Lavinia, Turno). Turno non dice esplicitamente che
Lavinia era turbata dall'amore, dice solo che arrossisce, cosa legittima per una fanciulla (altrimenti avrebbe
stravolto il decorum).
Virgilio è come se fosse regista che passa inquadratura da un personaggio turbato a un personaggio a sua
volta turbato.
• AMOR è soggetto personificato, è il dio che sconvolge.
•TURBAT: TURBO è verbo già trovato riferito ad Amata, è il verbo dello stravolgimento nelsenso di perdere
la direzione.
• VULTUS: è intensivo non solo sono gli occhi che sono fissi sulla fanciulla, è tutto il volto di Turno perché
vorrebbe parlarle (non riesce a staccargli gli occhi).
Turno parla:
Usa CERTAMINA e non altro termine perché, né Amata né Turno vogliono chiamare la cosa per quello che
è, duello a ultimo sangue. Quindi usano termine che fa capire, ma evita di compromettersi con lo stato delle
cose. DURI connota CERTAMINE: DURUS vuol dire duro, metafora che è già omerica, le persone
qualificabili come durus hanno un cuore di pietra. Per Marte vanno bene entrambe le cose, perché Marte è
indistruttibile come l’acciaio, ma anche insensibile.Anche in parte cattiveria politica se si pensa a Marte:
questo CERTAMEN ingiusto è organizzato da progenitore di Augusto.
• IDMONE: non sappiamo chi, sia è nominato solo qui. Tiranno frigio: è Enea. Frigi è uno dei nomi dei
troiani, ha accezione dispregiativa. Frigi era il nome proprio che più di ogni altro sottolineava l’origine
asiatica e quindi barbara dei troiani, tutte le volte in cui ai troiani rinfacciati difetti tipici dell’est (essere
imbelli, troppo curati in abbigliamento, portare capelli lunghi) vengono chiamati frigi.
• TIRANNO: è un grecismo. Qui il grecismo serve per qualificare e ribadire qualifica di Enea come barbaro
(essere greci a Roma non buona cosa), è insulto, e insinua che sia una persona che ha preso il potere in
maniera illegittima, fa riferimento a una forma di potere assoluto e privo di limiti (ciò che temono i romani).
• Turno fa descrizione topica dell’aurora. Tutte battaglie iniziavano all’alba e terminavano al tramonto
(legge non detta di non attaccare la sera e d’inverno). Da un lato Turno contestualizza la battaglia all’alba
ma la incornicia in immagine di pace (riposino le armi dei Teucri), Lavinia viene qualificato solo come
CONIUX, vale solo come moglie e perché porta in dote il suo regno.
Questo mito dimostra o forse inventa il cavallo come simbolo di IMPETUS, di quegli slanci più o meno
irrazionali (cavalli diversi che vanno imbrigliati) che la ragione deve controllare, pena precipitare nella follia.
Tutto questo per Omero non esiste, ma per Virgilio si. Virgilio sembra quasi condividere questa reticenza nei
confronti dei cavalli, tant’è vero che non li cita mai in riferimento
ad Enea, ma solo in riferimento a Turno, perché sono impetuosi come lui, più facilmente destinato alla
sconfitta.
Servio ci informa che era credenza che lo stato d’animo degli animali preannunciasse le sorti della battaglia.
•L’asta; spoglia di Attore Aurunco, gli Aurunci erano alleati di Turno, residenti del Lazio Meridionale, che
però poteva averli combattuti in precedenza. Una spoglia che non gli porterà fortuna.
QUASSAT TREMENTEM: molto spesso i romani scelgono una parola per effetto fonico che produce prima
del significato, allitterazione più espressiva della semantica perché è più immediata. TREMENTEM è
prolettico. QUASSAT è un verbo derivato di tipo frequentativo da QUATO scuotere. Frequentativo indica
ripetizione, quindi scuotere con intensità. La prende con violenza e la fa vibrare “la scuote fremendo” “la
scuote con violenza e (l’asta)
vibra”.
CALIDO FERRO riferimento a ferro per arricciare i capelli. Gli orientali portavano capelli lunghi con
boccoli, soprattutto gli uomini (Cesare portava i capelli ricci prima di perderli). Orientale : sinonimo di
immorale, effeminato e disgustoso. I romani nel periodo storico di Virgilio portavano i capelli cortissimi e
usavano avere viso imberbe.
L’estetica del troiano corrispondeva per i romani al ritratto della persona immorale e Turno gioca su questo e
descrive Enea come un normale troiano. Tutto questo preceduto dalla qualificazione SEMIVIRI cioè “mezzo
uomo”, usato in contesti denigratori per smentire coraggio e forza. (ricorre anche nel libro 4 in contesto di
banchetto e effeminatezza).
C’è anche il riferimento alla mirra: sostanza costosa e orientale e quindi doppiamente inopportuna.
Nel 3 libro delle Georgiche due tori che combattono per amore della CANDIDA IUVENCA e Virgilio si
concentra nel descrivere toro sconfitto che si
allena duramente per vincere scontro successivo facendo esattamente le cose che fa questo toro qui. Si allena
dando cornate a alberi, grattando terra con zoccoli e dando cornate all’aria.
Sono atteggiamenti di un animale giovane e un animale che si prepara a battaglia, giovane come turno
(guerriero non esperto
circa 20 anni) non come Enea. C’è idea quasi commovente di preparazione emotiva alla battaglia in cui
l’unico elemento che può far pensare che bestia sia pericolosa è IRASCI INCORNA perché IRASCOR è un
verbo del nominativo (che deriva dal sostantivo IRA) con il suffisso incoativo, perché in questo caso indica
la progressione di emotività di animale che si carica da solo ad attaccare.
TERRIFICOS, che fa paura. Riferito ai muggiti, è il suono che fa paura, elemento tipico di battaglia, una
delle cose che ordinavano in battaglia quando si attaccava
si urlava (grida davano fiducia in sé stessi e spaventavano nemico) e AGITUR FURIIS siamo in un poema
epico, ci sono le furie, non sono metaforiche, ma demoni veri e propri .
- Pertinenza della similitudine: nei versi precedenti a similitudine tutto focalizzato su occhi e volto mentre
nel toro non compaiono, non se ne parla riferito al toro.
Forse perché similitudine riferita all’atto di Turno di scuotere asta e prepararsi alla battaglia. Il fuoco
interiore emerge sul volto
deformandolo, ha tutto il volto in fiamme e ha gli occhi che lampeggiano LACRIBUS = crudeli insensibili,
sono gli occhi di una persona che non avrà pietà del nemico.
Da 81 a 106 su vestizione di armi di turno, per Enea solo 3 versi.
Il colore dominante dell’armatura di Enea è il rosso, e colore dominante armatura di Turno è bianco e oro, si
sono rovesciati i ruoli, solo che la distanza di tre libri tra una descrizione e l’altra non ce lo rende percepibile.
Questo contrasto non è un contrasto che Virgilio vuole porre direttamente sotto gli occhi del lettore, ansi
ovviamente per aumentare la suspense
• L’insistenza su scudo è escamotage, ma ne poteva scegliere altri: descrivendo soprattutto scudo dà l’idea di
un guerriero che si difende più che attaccare, non dà immagine guerriero forte, ma di arma dei vili che
fuggono.
Qui sulla vestizione di Enea abbiamo quasi nulla, non aveva senso ripetere lo stesso discorso, ma sulla
vestizione c’è veramente poco, Turno ha già preso in giro Enea perché difeso da madre e armi definite
materne:
- SAEVUS: bellicoso. Significato del periodo imperiali, che in età virgiliana SAEVUS indica feroce del
guerriero, connota slancio aggressivo adeguato al guerriero, non è termine di eccesso.
- MATERNIS smentisce SAEVUS: bellicoso nelle armi di sua madre.
- Un verso per l’ira di Enea ACUIT-IRA. Turno più inclinato verso il furor, Enea verso ira (la passione
giusta). Enea si lascia andare a ira perché vuole terminare la guerra, ira pacificatrice.
- METUS paura che si impadronisce di Iulo (Iulo è ragazzino e può sottostare a passioni, è legittimo, poi
METUS è il timore fondato, Iulo ha paura razionale per il padre che va in battaglia).
- FATA DOCENS: nel libro 6 Anchise è un’anima, è nei campi elisi e dà lì avendo guadagnato l’onniscienza
racconta ad Enea il suo futuro. I Fata che Enea insegna al figlio e agli alleati: o gli parla del destino
infelice che lui deve sopportarli per il bene del popolo o ripete la storia che gli aveva detto Anchise.
PROSPICEM e ASPECTABAT c’è accumulo di verbi, sono verbi corradicali, sono entrambi
da SPICIO: PRO-SPICES, ASPECTABAT da SPECTO che è frequentativo:
⁃ significa guardare davanti (PROSPICENS)
⁃ guardare a lungo fissare (ASPECTEBAT) frequentativo intensivo.
La ripetizione indica enfasi e insistenza, Giunone guarda fissamente/a lungo (enfatizzare con perifrasi)
insistenza su verbo guardare enfatizza che giunone sa che gli italici perderanno.
Giunone si rivolge a Giuturna, nome “sorella”sottolinea il fatto che le donne romane non avevano nome ma
solo nome della famiglia.
Da questo preambolo deduciamo che Giuturna era stata violentata da Giove e l’aveva compensata con la
protezione delle acque, questo è l’honor riferito a Giove.
DIVA DEAM: la prima è Giunone la seconda Giuturna. DIVA è variante poetica frequente per dea, ma
interessante perché accostamento di due parole identiche sottolinea il fatto che a rigore Giuturna era una
ninfa (creatura semi divina, non rispettabile come una vera dea), mentre qui elevata al rango di deam.
Accostamento vuole fingere quasi che siano sullo stesso piano, accostamento anticipa intanto il tono
adulatorio che giunone ha nei confronti di Giuturna.
In questo caso Giunone è moglie di Giove, amante tradita che va dall’amante del marito.
NIFA: qualifica Giuturna subito come inferiore, Giunone sottolinea che lei è più importante. Fa finta di farle
un complimento ma ne sottolinea il limite, fa pesare la sua superiorità, preferisce lei a tutte le prostitute
vendute al marito. Quella che era una violenza viene descritta come tradimento di donna da facili costumi,
colpa della donna, afferma che darebbe a Giuturna un posto nel cielo.
-DISCE TUUM DOLOREM: sembra affine a FATA DOCENS v.111, Enea insegna il destino e qui Didone
dice a Giuturna, impara il dolore/il destino che tu perderai tuo fratello. Fata di Giuturna coincidono con la
perdita del fratello. Destino della donna legato alle sue funzioni sociali madre, figlia, sorella, non esiste
destino della donna fuori da questo.
Le forze in gioco sono la sorte e le Parche, perché sono legate alla morte. Le Parche sono agenti della sorte
che davano un permesso, Parche e sorte uniche forze che sono al di sopra anche degli dei e quindi Giunone
ha potuto agire con la concessione di queste forze più potenti, quindi lei sta spiegando perché la colpa non è
sua, perché sono sorte ePparche ad aver deciso, lei finché ha potuto ha protetto fisicamente
le mura e Turno, le mura=la città.
- IMPARIBUS: che lo sovrastano, come se Turno fosse a gara con i Fati e ovviamente non può vincere
[quando si sceglievano coppie di gladiatori i contendenti dovevano essere pares, di stesso valore, così gara
avvincente] Turno in competizione con Fati (al plurale) che sono soverchianti, è un destino che non è allo
stesso livello di Turno, livello superiore, Turno non li può battere. Idea è quella di gara scorretta (lo squilibrio
tra contendenti è voluto dagli dèi)
Giunone è talmente partecipe della vicenda di Turno e degli italici che si sente nella medesima situazione e
non riesce a sopportare la vista. Insistenza con cui guarda è legata a questo, è un guardare sapendo che
questo porterà solo a una terribile sofferenza, sapendo che poi non riuscirà a guardare davvero la battaglia.
Partecipazione della dea al destino di sofferenza del suo popolo.
- GERMANO: termine particolare per fratello, sottolinea consanguineità, indica legame di sangue. [per
antichi greci e romani legame tra fratelli è il più forte di tutti, uccidere fratello è come uccidere sé stessi,
fratelli hanno stesso sangue nella stessa generazione, come fossero un doppio].
Il pianto di Giuturna ricorda il pianto di Lavinia. C’è espressività maggiore, battersi petto, manifestazione di
lutto. Giuturna manifesta emozioni proprie del lutto. Lavinia si esprime solo con rossore, lo tiene dentro.
Entrambe donne ideali, non eccessive. Donne di buoni costumi.
Giunone ottenuto il suo scopo passa brutalmente dalla supplica apparente all’ordine (ACCELERA, ERIPE,
CIE, EXCUTE 4 imperativi) le si sta rivolgendo come una serva
Il giuramento (161-215)
Enea e Latino giurano solennemente fedeltà al patto.
Latino ha corona con raggi che ricordano SOLIS AVI: forse figlio di Ulisse e Circe.
Virgilio che cerca sempre di mescolare indigeno con allotropo elimina la discendenza greca di Latino e si rifà
a tradizione secondo la quale pare di Latino è figlio di FAUNO, a sua volta figlio di Pico e nipote di Saturno.
- ALBIS: Turno fin ora collegato a rosso ora diventa bianco. Qui inizia il suo involversi da
guerriero vittima con impulso aggressivo a vittima sacrificale (è sempre vittima). Involuzione comincia da
ALBIS.
- ASCANIO SPES ALTERA ROMAE: ALTER= il secondo tra due (ALIUS=diverso, un altro in
generale). “o c’è enea o c’è Ascanio non c’è terza possibilità” perso Enea, Roma deve essere di Ascanio (non
va così perché altrimenti origine Roma solo troiana). Riferimento a problema successione Augusto.
Un cucciolo di maiale setoloso e una pecora intonsata: non sono vittime nobili e ricercate (la vittima adulta
più ricercata in quanto più costosa a differenza della nostra cultura, la vittima nobile da allevare era la
giovenca e il toro) qui non abbiamo buoi e non adulti.
- BIDENS: è una pecora adulta. È animale costoso e puro, mai stata tosata, adulta.
1. Discorso di Enea
Il primo a parlare è Enea e parla a lungo, dopo Enea parla Latino. Il patto è tra Enea e Latino come se Latino
fosse il rappresentante della parte di Turno.
- Enea prima PATER, ora PIUS in linea con contesto religioso, ma stringe la spada, Enea del verso 175 è sia
rispettoso, re in procinto di pregare e re guerriero e chiama a testimoni una serie di elementi: il sole, la terra,
Giove (PATER), Giunone, Marte, acqua, l’aria e il mare.
Ci sono tutti gli elementi della natura che sono un po’ a inizio e fine invocazione, i primi due perché più
importanti gli altri per completezza in mezzo gli dèi tradizionali più importanti. Manca Venere forse perché
madre, ma non cita neanche Vulcano che aveva costruito armi, solo i più potenti, Giunone doveva
ingraziarsela e gli fa invocazione specifica IAM MELIOR
IAM DIVA ti prego ormai più clemente, ma anche poi viene citata nella sua forma originaria; MAVORS
(rara in Virgilio) e anche INCLUTE è un arcaismo.
- PATER riferito a Marte, che è padre della stirpe romana, tu che sarai padre della stirpe romana, ma ora
Marte non è padre di Enea, è profezia ex tempora. Lo stesso Enea prima era stato definito PATER ci sono 2
origini della stirpe romana:
⁃ enea (antenato di rea silvia)
⁃ Marte.
- TORQUES: TORQUEO è la tortura è il movimento di torsione, è qualcosa di grande sofferenza. Sì, sotto
c’è idea cosmica, ma poiché guerre eventi che comportano sofferenza, non è solo evoluzione, ma movimento
doloroso “condurre a forza”
“tormenti” “inasprisca”. “guidare” se si considera la guerra un evento ciclico ma sembra contraddittorio Enea
si prepara a combattere ultima guerra. Enea dice che guerra è sempre sofferenza.
Enea fa professione di clemenza. Enea non ha intenzione di portare via il regno di Latino (città di
Laurento) ma ne vuole fondare una nuova che si chiamerà Lavigno. Enea non vuole sostituirsi a
Latino, lui chiede di poter fondare una città sullo stesso piano delle altre. Dice questo perché
rispecchia condizione storica, Roma era un villaggio piccolo come gli altri e che con velocità si è
impadronito degli altri villaggi. Quella che Enea sta disegnando non è solo una geografia
condiscendente ma anche riferimento alla vera storia di Roma, anche se non è vero che sono rimasti
in pace.
2. Discorso di Latino
Corrispondenza di parole con quelle di enea: terra mare e stelle, manca insistenza con acqua. Il sole
nonostante sia avo di Latino, forse non sente bisogno di citarlo ma inserisce tutti gli elementi in un verso. È
un
tocco arcaico poetico (vezzo di Omero).
- DEI: Artemite, Diana e Apollo (che non ci sono in enea anche se apollo nume tutelare di Augusto), c’è
Giano e Dite.
Latino fa queste variazioni, mette Giove alla fine che sancisce i patti ma mette questi
prima.
• GIANO: la citazione di Giano in questo contesto da parte di Virgilio (non ha letto i Fasti di Ovidio scritti
dopo, ma ha
stesse conoscenze di Ovidio) può far riferimento non solo a età primordiale rispetto a Enea e quindi un dio
più potente in quanto ontologicamente precedente a Zeus,
ma anche al concreto rischio che questa guerra non finisca ma che continui a
ritornare.
• QUI FEDERA FULMINE SANCIT: in realtà i patti non si sanciscono con il fulmine ma con il giuramento
sullo Stige, quelli inscindibili, quelli con il fulmine potevano venir rotti. È particolare e inquietante sia
l’insistenza sul tema del doppio, sia l’esplicito riferimento e l’invocazione a un dio infero che non si faceva
mai (li invoca solo
Medea quando sta per uccidere la sua famiglia) non si invocano dèi infernali (Dite-Plutone) in contesti
pacifici.
- GENITOR: prima PATER era Marte qui GENITOR è Giove, in maniera contraddittoria
essendo latino discendente dal Sole, GENITOR nel senso di padre di tutti gli uomini.
Invocazione esempio di adynaton: cito un evento innaturale per ribadire una mia affermazione, si afferma
qualcosa che è impossibile come affermazione: Latino invoca anche la fine del mondo.
Latino cita il diluvio universale e la fine del mondo, siamo a un livello tale di stravolgimento della natura che
gli elementi perdono la loro natura, significa che noi precipitiamo nel caos e questo ci spiega Giano, perché
esattamente allo stesso passo di Ovidio Giano parla di questo genere di cose: il caos originario era una
condizione in cui gli elementi erano indistinti tra di loro, il cosmo si forma con la progressiva distinzione e
separazione degli elementi.
È un augurio che sa un po’ di maledizione, la terra si trasforma in acqua e il cielo si precipita nel tartaro,
anche l’aria si trasforma in terra, inglobata nella terra. Forse Latino parla così solo
per sottolineare che è questione di vita o di morte questo duello.
Enea brandisce la spada latino lo scettro, potere militare e potere politico. Scettro simbolo potere regale
(nelle tragedie c’è sempre questa idea), non è casuale che Latino lo stia stringendo.
- Descrizione dello scettro: Virgilio descrive questoo adynaton come una metamorfosi , attenzione per questo
albero quasi come fosse una persona libera, invece di essere colpiti dalla figura retorica
dell’impossibile siamo colpiti dalla personificazione. Personificazione descritta cosi indica che il potere è
una sofferenza è una morte che rende sterili, uno scettro è un albero che non avrà più germogli è privo della
madre e delle braccia, un orfano senza braccia, quindi il simbolo del potere è il simbolo di un essere umano
che non può più guardare ai suoi più intimi legami familiari (tradimento può venire anche da li) e non genera
nulla, perde come terra che diventa acqua perde la sua finzione, albero non cresce.
Immagine tradizionale, nell’Edipo di Seneca le lotte per il potere si articolano tutte attorno allo scettro,
quando appare il fantasma di Aio sanguinante dice al figlio “lo scettro che tu tieni in mano è uno scettro che
gronda sangue”.
Si conclude il tutto con una scena raccapricciante che si riferisce a effettiva tradizione sacrificio umano
secondo cui per
leggere viscere dovevano essere palpitanti veniva sgozzato e mentre moriva per emorragia venivano
analizzate le viscere (dimensione e colore) è un anacronismo questa è tecnica romana, già etrusca.
La violazione (216-310)
Allora dopo aver stipulato i patti, Giuturna, che era stata precedentemente sollecitata da Giunone ad
intervenire per tentare di salvare nuovamente il fratello turno, sottoforma di Camerte si getta tra le fila e
sobilla gli italici a riprendere le ostilità.
Ai Rutoli già da tempo questa battaglia sembra impari, un po’ come quella di Turno contro Pallante,
soprattutto quando vedono da vicino che le forze non sono uguali.
Notiamo il primo segno di cedimento di turno: un Turno che avanza in silenzio e venerando da supplice gli
altari con gli occhi bassi, le guance languenti e un pallore diffuso in tutto il corpo. Il pallore è presagio di
morte, questo lo accomuna a Didone quando veniva descritta pallida per la morte futura ( il colore della
gioventù è roseo).
Parla così l’augure Tulumnio, prezioso alleato di Turno quasi certamente etrusco e la sua qualità di augure
accresce l’autorità delle sue parole ma anche la responsabilità del suo comportamento che espierà con la
morte (460) . Qui Virgilio utilizza un’ironia tragica: Tulumnio ha ragione di riconoscere l’intervento divino
come segno favorevole per i Latini, ma questo intervento divino in realtà è un intervento che ostacola e non
agevola il compimento del fato.
Un’advena (uno straniero, come colui che aveva espropriato il podere di Menalca) continua ad atterrire con
la guerra gli inabili, in questo caso gli italici, e a devastare i loro territori con violenza. Anche Tulumnio
esorta ad attaccare. È il primo che scaglia un dardo contro i nemici, il quale colpisce uno dei nove fratelli
bellissimi figli dell’arcade Filippo. Gli Àrcadi erano alleati di Enea di origine greca.
I fratelli per vendicarlo, inferociti per il lutto iniziano a correre alla cieca.
Fugge lo stesso Latino, portandosi dietro gli dei offesi del patto vanificato (gli dei lasciano con Latino il
luogo sconsacrato).
Con Enea Con Turno
Troiani
Abitanti di Agilla
Àrcadi
Auleste (rip) Messapo
Corineo Ebisio (rip)
Podalirio (rip) Also ( pastore che combatte con l’ascia)
Si getta nella mischia Eumede, figlio di Dolone, guerriero troiano che nell’Iliade in cambio di andare
nell’accampamento dei Danai come spia, chiese come premio i carri di Achille, per questo venne ucciso da
Diomede. Turno gli strappa dalle mani la spada e gliela infila nel profondo della gola e sopra di lui dice:
l’esperia (“la terra di Occidente”) misurala da steso.
Mentre Turno compie nel campo le sue stragi sia Mnesteo che Acate, assieme ad Ascanio portano via il corpo
di Enea ferito .
Mnesteo è il compagno di Enea più spesso citato mitico capostipite della gens memmia. Il ritmo si fa
spondaico in quanto rallenta così come è lenta l’andatura di Enea. Enea si infuria per l’impazienza di tornare
a combattere.
N.B. statuere-> verbo utilizzato per oggetti inanimati.
Enea chiede come rimedio la via più facile e veloce per tornare a combattere.
Gli stava accanto Iàpige, figlio di Iaso, nome parlante da (iaomai= guarire) esempio di pietas nei confronti
del padre per questo medico più degno di Enea il quale appreso la pratica della medicina da Apollo anche
egli dio guaritore. Nonostante i vari tentativi da parte del medico risultino vani, è Venere che diventa
protagonista: l’intervento divinino è trasferito alla guarigione motivandolo dall’amore materno.
Venere raccoglie del dittamo dall’Ida di Creta: le sue naturali virtù terapeutiche erano conosciute, segnalate
da un passo di Aristotele tradotto da Cicerone.
Il dittamo ha un gambo lanuginoso e una chioma di fiori purpurei.
Dopo essersi circondata da una nube nera mescola di nascosto con questo l’acqua versata nei bacilli
splendenti dandole virtù medicinali + succhi d’ambrosia e panacea odorosa.
Subito Iapige inconsapevole sciacqua la ferita con quell’acqua e le forze si ripristinano come prima. Anche
egli è consapevole che non è stata la sua mano a salvarlo ma una divinità: che lo rimanda a ben più grandi
imprese (ai bella di Enea Japige sostituisce le opere maiora interpretando così l’intervento divino: le azioni
maggiori sono la conclusione della guerra e il conseguimento della pace).
Unica volta in cui il poco loquace Enea parla direttamente al figlio prima dell’ultima battaglia. Traina fa
riferimento ad una vecchia interpretazione del latinista Coleiro secondo la quale tutti i libri dell’Eneide
avrebbero un punto focale che coincide con il centro numerico; in realtà Traina nota che per il libro 12 i conti
non tornano perché il verso centrale ovvero il 476 che fa parte del paragone di Giuturna con la rondine,
sebbene sia ominoso e pregnante non è tale da reggere il peso di un punto focale. Per questo traina fa tornare
i conti togliendo i primi 80 versi che fanno da prologo e identificando questo centro con il verso 436 fulcro
delle parole di Enea al figlio “FORTUNA EX ALIIS”. Tuttavia sappiamo che questa teoria non ha
abbastanza credito oggi.
Enea impaziente di combattere aveva già infilato gli schinieri d’oro alle gambe ancor prima che Iapige
finisse di parlare. Auro -> si tratta di una sineddoche (parte del tutto).
Odia l’esitazione e vibra l’asta. Già da qui si può notare come Enea si stia trasformando in Turno in quanto
dimostra la stessa stessa impazienza giovanile.
Dopo aver adattato lo scudo al fianco e la corazza alla schiena abbraccia in un cerchio di ferro Ascanio: lo
circonda con le armi, si tratta di un verbo proprio del nemico che attornia chi sta per soccombere,
abbracciando il figlio non deponendo neanche la lancia e del tutto inquietante. Forse è un’allusione alla
leggenda secondo la quale Ascanio sarà ucciso dai discendenti di Enea e Lavinia. Accenna un bacio, basium
fu introdotto da Catullo, assaggiando un bacio (delibans è verbo del bere).
Rivolgendosi al figlio dice impara da me la virtù e l’autentica fatica, dagli altri la fortuna: si tratta di
un’implicita protesta contro un destino accettato ma non voluto.
Notare 3 armi difensive:
-schinieri
-asta
-corazza
Chi muore?
Osiri, Arcezio, Epulone, Ufente, l’augure Tolumnio che per primo aveva vibrato l’asta contro i nemici
troiani.
Enea non si cura di abbattere i nemici, va in cerca con lo sguardo solo di Turno. Il furor di Enea è mirato al
duello risolutivo.
Lo stratagemma di Giuturna (468-499)
Per avere attitudine propositiva Giuturna si maschera da uomo. Medea dice che per essere davvero Medea
non deve essere più Medea e quindi elimina il suo essere moglie uccidendo marito e il suo essere madre
uccidendo i figli, annulla il suo ruolo sociale e quindi non è più donna. La donna per assumere decisioni deve
comportarsi da uomo. [anche oggi donne al potere hanno sempre i pantaloni]
Per le dee no, dei più potenti sono donne, prendono decisioni, sono decisive.
Giuturna appare angosciata nell’animo. Il participio denota una violenta reazione psichica. Virago denota la
donna virile ed intraprendente. Metisco è l’auriga di Turno, non nominato prima d’ora,anzi nel momento in
cui si parla dell’aristìa di Turno sembra che sia Turno a guidare il cocchio ma a livello di logica difficilmente
un combattimento del genere si sarebbe potuto svolgere senza auriga. La figura dell’auriga è funzionale su
diversi fronti:
1. ipotesto omerico, in quanto anche Atena lo stesso modo si era sostituita a Stenelo, auriga di Diomede.
2. la scelta del nome è legata all’assonanza con metus
1. Similitudine rondine
Si tratta di una similitudine originale dal carattere o luminoso che già non sfuggiva a Donato, dall’altra parte
recentemente documentata la credenza popolare che la rondine significasse morte precoce.
Virgilio utilizza un lunghissimo iperbato presentando prima il colore poi il movimento ed infine la forma.
Così come una rondine che svolazza nelle ampie stanze di un ricco signore e volteggia con le ali in alti
portici così Giuturna si fa portare dai cavalli in mezzo ai nemici e col carro rapido fa mostra del fratello
esultante.
Ma Enea percorrere per incontrarlo giri non meno tortuosi cercando di raggiungere di fretta il galoppo dei
cavalli alati.
Ad un certo punto Messapo scaglia contro di lui un asta che lo colpisce e ne fa cadere la sommità del
pennacchio.
Così insorge l’ira, ancora una volta Virgilio si è preoccupato di scagionare questo furor ed è così che Enea
dopo una serie di circostanze attenuanti si scatena chiamando a testimone Giove e gli altari sacri a testimoni
del fatto che Enea si trova costretto a comportarsi così in quanto i patti sono stati violati. + il favore di Marte
La metafora ippica dell’incontenibilità dell’ardore guerresco ricorda la metafora delle georgiche (1-511)
Questo è il vero centro del libro. Virgilio rompe così la finzione letteraria ed interviene in prima persona
costituendo un brevissimo proemio all’ultima aristia. L’allusione è rivolta a tutte le guerre civili a tutti i
conflitti a tutte le morti che resero possibile la pax augustea. In questi versi vi è una forte insistenza sul
macabro e sul truculento. I romani erano serenamente abituati alla crudeltà nell’infierire contro il nemico e
alla violenza, difatti gli spettacoli graduato erano considerati piacevoli (perfino Seneca che tanto le
disprezzava ammette che sono contesti in cui ci si lascia talvolta trasportare dall’entusiasmo) l’intento di
Virgilio è quello di offrire un attenuante nei confronti di Enea nella scena finale in quanto, la tanto decantata
pace universale, è costata cara.
Turno ed Enea sono posti sullo stesso piano da una serie di elementi, la doppia similitudine, il racconto
binario, i nomi pronomi in posizione simmetrica. Si tratta di due aristie parallele prima dell’ultimo scontro,
anche se appare più sanguinaria quella di Turno.
Segue così il racconto binario:
Enea uccide Turno uccide
Sucrone, che non gli oppone molta resistenza Amico, colpito con la lancia e il fratello Diore
immergendo la spada attraverso la costola caduto dal cavallo lo ferisce a morte con la spada
Talo, Tanai, Catego, Onite Due fratelli mandati dalla Licia e dai campi
apollinei
Menete di origine arcadica (la presenza di autentici
arcadi tra i seguaci di Enea va spiegata
generalmente con le varie soste lungo il suo
viaggio)
Murrano,con il vorticoso lancio di un macigno Illo, dardo alle tempie
Cupenco era sacerdote di origine sabina che proprio Creteo
Enea, eroe pio, debba uccidere dei guerrieri
sacerdoti e la tragica conflittualità della pietas
Eolo (troiano)
1. Similitudine fuochi
2. Similitudine fiumi che scorrono attraverso la pianura devastando ogni cosa
Le due similitudini mettono a confronto le forze devastatrici dell’acqua e del fuoco equipollenti come Enea e
Turno.
Le convulsioni di questa guerra tra eneadi e popolazioni italiche è l’inevitabile frutto narratologico
dell’arrivo di coloni forestieri interrano loro che prefigurano le successive guerre civili di Roma con tutti i
loro strascichi.
L’assedio (554-592)
Situazione di stallo Enea e Turno non si incontrano i due eserciti si scontrano alla pari. Interviene Venere a
determinare una svolta nella narrazione ispirando Enea di investire Laurento.
Enea quindi ordine suoi di seguirlo nell’imprese improvvisa senza esitare ed imporre a forza il rispetto dei
patti mettendo a fuoco la città in quanto:
- 2 volte Latino ha violato gli accordi (il primo patto era stato stipulato da Latino e infranto per intervento
di Giunone attraverso la furia Aletto)
⁃ 2 volte i latini gli sono stati nemici
⁃ 2 volte l’hanno costretto alla guerra
I sentimenti dei latini sono discordi alcuni premono affinché si lascino entrare i Troiani nella città e vogliono
spingere Latino a trattare con Enea (atteggiamento che poco si addice ad un referente legale in quanto non è
normale che siano i cittadini a prendere decisioni che spetterebbero ad un regnante) mentre altri imbracciano
le armi per difendere le mura.
1. Similitudine api
Gli assediati sono paragonati ad uno sciame di api che si agita all’interno di un alveare brutalmente devastato
da un pastore. A differenza delle Georgiche, qui il rapporto dell’uomo con le api è di tipo ostile in quanto il
pastor non è l’allevatore premuroso ma un avido predatore brutale che si oppone come un assediante contro
gli assediati.
Enea assume tratti caratteristici di turno prima tra tutti l’irruenza e l’impulsività come testimoniano numerosi
lessemi e avverbi (subito/continuo).
Il suicidio di Amata (593-613)
La regina, disperata per la creduta morte di Turno e per i rovesci della guerra, si suicida per impiccagione,
utilizzando come laccio le sue vesti. La fama si diffonde e cresce la disperazione nelle Latine; Lavinia, si
dispera strappandosi i capelli e graffiandosi le guance, e Latino vaga con la veste a brandelli e si imbratta i
capelli di cenere.
1. Sullo sfondo di questa scena l’immagine omerica di un altro suicidio per impiccagione, quello di
Giocasta, la regina di Tebe che, scoprendosi incestuosa per avere sposato suo figlio, si uccide “al tetto
alto un laccio di morte attaccando” (Iliade 11).
2. L’impiccagione è comunque trattamento confacente a donne, è la sorte delle serve di Odisseo che hanno
trescato con i proci.
3. Nel dettaglio dei veli purpurei trasformati in fune -> un rinvio al suicidio analogo di Fedra (matrigna di
Ippolito); -> rosso come sangue rosso come regalità: il monito delle imprevedibili vicende della Fortuna
che travolgono anche i troni regali.
Amata è un personaggio che non accetta il fatum e ne muore. L’insinuarsi della follia in Amata rammenta la
sorda crescita della passione amorosa nelle intime fibre di Didone, il vagabondare delirante per la città, e la
morte per suicidio (ma quella di Didone, è eroica e virile).
La morte per impiccagione è definita “informis” perché considerata infamante, vile. (in realtà questa
consuetudine delle donne non è da attribuirsi alla presunta viltà delle stesse ma alla mancata possibilità di
procurarsi un’arma per compiere l’estremo gesto). Paradossalmente Didone diventerà un modello di
accettazione del destino perché dice “vixi et quem dederatcursum fortuna pregi”, “io ho vissuto e ho percorso
fino in fondo il mio destino”, Seneca lo riprenderà tre volte adducendo la storia della regina come modello di
accettazione del destino.
Sono decorose le morti in cui il defunto mantiene intatta la propria bellezza. Cesare, cadendo sotto le 23
coltellate, si preoccupa di non scoprire le gambe; Pompeo si copre il viso con il mantello usandolo come
cappuccio per non mostrare il volto sfigurato dall’agonia. Virgilio ha voluto per Amata una morte in accordo
alla sua personalità, che la affiliasse a Didone ma che al tempo stesso la differenziasse nettamente da
quest’ultima, nobile come un eroe.
“Ti riconosco figlia di Zeus” (Iliade)dice Diomede ad Atena nel momento in cui la dea sta per prendere il
posto del suo auriga ma Virgilio inverti i tempi e l’ethos del riconoscimento: non prima di uno scontro che
sarà vittorioso ma dopo una battaglia che ha mascherato una fuga. Turno assume piena coscienza di essere
solo davanti al suo destino e accettarlo è il suo vero eroismo.
Turno non poteva sapere che era stata Giunone a spingere la sorella, la domanda esprime una protesta contro
il divino che lo ha abbandonato e gioca coi sentimenti della sorella.
Ecco qui che appare un’anticipazione di quella che sarà la fine di Turno: una morte crudele.
Inizia così un monologo che riecheggia quello di Ettore nell’Iliade prima del duello contro Achille. Qui
Turno entra nel ruolo ettoreo in cui rimarrà fino alla fine ruolo dell’eroismo soccombente.
Turno pretende di combattere per rivendicare i suoi amici uccisi, non vuole più nascondersi. Il ricordo è
ancora vivo ed anche il rimorso di non aver soccorso l’amico e reso evidente mediante l’allitterazione dei
verbi, i tre pronomi e l’ablativo etimologico “a gran voce” come se quella voce la sentisse ancora.
Ancora una volta un segno di cedimento: il riconoscimento del potere del corpo e delle armi da parte dei
Troiani.
Drance era un demagogo che aveva avanzato diverse accuse di non riconoscersi vinto e di voler continuare
la guerra a spese dei suoi. Aveva accusato Turno come colpevole delle stragi.
È la prima volta che la fiducia nel divino viene meno in Turno: anche la benevolenza degli dei si è voltata.
Sace non è nominato altrove, egli invoca Turno per nome, la sua è una richiesta d’aiuto.
È come se la morte di Amata accresca sempre più l’isolamento di Turno, ma suona anche come un presagio
in quanto amata nel discorso iniziale aveva detto a Turno “qualsiasi evento ti attenda attende anche “.
Difatti mentre gli altri sono a difendere le mura turno fa volteggiare il carro in un campo deserto.
In un solo petto ribolle :
⁃ il senso dell’onore (il pudor)
⁃ il furor
⁃ il dolore (per il lutto)
⁃ l’amore (per Lavinia)
⁃ la coscienza del proprio valore
Turno vede che Enea sta incendiando la città e decide di andarsene. La cosa più caratteristica e scenica degli
incendi è la distruzione degli edifici più alti, le torri, difesa della città. Come succedeva nel libro II con la
distruzione di Troia c’è in entrambi la compresenza di elementi distruttivi di fuoco ed acqua.
Vortex è il gorgo marino -> è un termine marino non igneo, vuole sottolineare non incomprensibilità della
distruzione. Turno decide di andare a combattere pur sapendo che sta andando a morire: è diventato Ettore.
Turno è coerente nel suo personaggio nonostante l’evoluzione cromatica dal rosso al bianco che subisce nel
corso del libro. La dura fortuna dal punto di vista soggettivo, per Turno il suo destino è frutto del capriccio di
un Dio.
La compresenza di fato e fortuna è definita nell’enciclopedia Virgiliana iperdeterminazione come una sorta
di pleonasmo. Il fato e la fortuna non sono due concetti sovrapponibili in quanto bisogna considerare il
valore che assumono rispettivamente nella sua filosofia stoica ed epicurea.
Lascia che io scateni questo “furore”-> furere furorem stessa radice questo è il tratto caratterizzante di turno
fin dall’inizio, topico del guerriero ma in Turno eccessivo e rovinoso in quanto il personaggio è preda di
questa passione non essendo più padrone di se stesso.
Il toro è un animale emblematico della potenza esplosiva e dell’aggressività in tutte le parti del suo corpo.
Mentre in Omero le similitudini animali erano riferite tra tutti i campioni in Virgilio, tranne in questo caso
sono riferite unicamente agli italici e la maggior parte delle volte caratterizzano Turno.
Si tratta di un paragone osmotico: sia l’animale è umanizzato, sia l’uomo è animalizzato. L’uno si
sovrappone all’altro. La similitudine dei due tori in lotta per una giovenca è giustificata ora dalla presenza e
dal ruolo di Lavinia.
Turno viene presentato con il suo patronimico, epiteto di per sé nobilitante in quanto suo padre Dauno era un
personaggio illustre e nobile. Enea invece viene definito troiano con un toponimo che lo connota come
straniero per di più orientale ed esule in quanto trovo è stata distrutta.
È come se qui Virgilio utilizzi la tecnica verista del discorso indiretto libero e che le connotazioni che
vengono riferite ai due eroi in qualche modo riflettono quella che è l’opinione dell’autore quanto anche
quello che il sentimento della collettività che ignara della predestinazione di Enea a tali impresa produce tali
considerazioni.
La fuga (728-759)
Turno si slancia con tutto il corpo e attacca per primo, in un balzo colpisce di pugnale con lo sgomento di
tutti gli spettatori Troiani e Latini. Ma la spada tradisce, si spezza e quindi Turno inerme non ha scampo se
non la fuga .
Mentre Ettore fugge per umana ma vile paura, Turno fugge per necessità. Turno una volta disarmato torna a
combattere non appena riceve l’arma da Giuturna, mentre Ettore atterrito ed è necessario l’intervento di
Atena sottoforma di Deifobo per farlo tornare a combattere.
N.B.
Turno non si slancia con l’asta ma direttamente con la spada puntando quindi al corpo al corpo il che lo
rende estremamente coraggioso.
Perché la spada lo tradisce? Perché non è la sua spada forgiata da Vulcano ma la banalissima spada
dell’auriga Metisco.
“Triste Fama” : Fama è una sorta di arpia, un demone che si diffonde molto rapidamente e ha eccezione
esclusivamente negativa.
La fama positiva è la claritas. Traduzione interpretativa : tristemente noto.
Nella precipitazione della fretta, aveva afferrato la spada dell’auriga, ancora una volta notiamo l’irruenza di
turno ed è a questa irruenza che è attribuita la sua rovina, non agli dei, ma la sua impulsività giovanile .
Diversi termini per indicare spada (diversi da ensis):
⁃ mucro: registro linguistico elevato, non è la spada ma la punta
⁃ ferrum: per l’arma di Metisco viene citato questo metallo tra i più vivi per sottolineare la nettissima
diversità di questa da quella forgiata da vulcano e quindi anche la sconsideratezza di Turno e non notare
la differenza.
I barbari avevano gli spadoni, i romani il gladium molto corto perché erano bassi e non avrebbero potuto
gestire un’arma più grande nel corpo corpo. Nel riferimento ad un’arma più corta Virgilio vuole assimilare
Turno ai futuri soldati romani. (Ipotesi)
Turno fugge in ogni direzione è fuori di sé, vede solo i Teucri e la palude, prefigurazione della morte.
Demens è chi perde momentaneamente, amens chi l’ha perduta irreversibilmente.
Nonostante turno sia preda della follia la sua fuga intelligente in quanto cambiando continuamente direzione
più difficile essere presi: questo potrebbe essere riferimento ad una tecnica gladiatori.
Amens, 2 piani->
1. ideologico (deviazione e incertezza)
2. tecnica gladiatoria
Enea non riesce a raggiungere turno perché rallentato dalla ferita la coscia che tuttavia sappiamo essere stata
guarita da Venere. Si tratta di un’incongruenza, non può essere contemporaneamente vero che Enea corra più
lentamente a causa della ferita e che la ferita sia stata sanata da un intervento divino, quindi potrebbe trattarsi
di una svista da parte dell’autore.
- FULVA – HARENA: piano fonetico allitterazione della F che non è frequente. Sono dorate che, come
materiale, rimanda al bronzo che era il materiale nobile con cui costruire armi, anche se FULVUS può voler
dire anche persona con i capelli rossi. È un colore che può rientrare nella gamma cromatica di Turno.
Schegge he fanno pensare al frammentarsi delle speranze di turno.
- HARENA: è dettaglio che concorre a identificare questo luogo come un’arena di gladiatori (sabbia perché
assorbe il sangue). Lì non c’era sabbia, dà impressione che questo campo di
battaglia. HARENA = campo era stato preparato come un circo e che quindi si dava per scontato che
qualcuno sarebbe morto non solo sconfitto.
Il duello infatti avviene in un luogo che assomiglia ad un’arena di gladiatori come anche il combattimento
stesso in quanto tutte le persone attorno esultano o si disperano a seconda di come si evolve la battaglia,
quindi lo spazio è chiuso e circolare che non lascia possibilità di scampo.
2. Similitudine caccia
Nella similitudine della caccia riscontriamo due elementi poco epici:
⁃ L’immagine della caccia è molto frequente nelle Bucoliche ed intesa come caccia amorosa
⁃ L’immagine del cacciatore che al termine dell’inseguimento sta per finire la preda ma non riesce a
trovare il coraggio è una vaga reminiscenza di Lucrezio e rimanda ai sogni di frustrazione descritti da
Freud. La frustrazione riferita ad Enea sarà riferita dopo a turno. La debolezza di Turno non dipende da
una sua mancanza di valore ma dall’influenza nefasta di un dio.
PENNE PUNICHE: erano spauracchi che si usavano per spaventare gli animali. Si chiudevano a priori delle
strade e poi una volta scovata la preda la si seguiva fin quando non aveva via di scampo e poi finita dai
cacciatori. Per incalzare la preda verso trappole venivano usati i cani o spauracchi colorati.
Turno è paragonato al cervo, animale che è indifeso e pauroso e anche animale più veloce e anche questo
spiega perché Enea non riesce a raggiungerlo.
UMBER: è il cane di razza umbra. Questo riferimento al cane è il tipico vezzo alessandrino di Virgilio. Nel
caso del mito di Atteone di Ovidio abbiamo circa 100 versi che descrivono tutti questi cani. Cane robusto ma
meno veloce del cervo.
Enea viene meno se stessi voti infrange le promesse che ha fatto nel giuramento e smentisce dunque la sua
vocazione di eroe fondatore e pius. La contraddizione di Enea rispetto al suo giuramento si riallaccia il
pregiudizio diffuso secondo i friggi era un popolo di mentitori.
Per caso li c’era un ulivo selvatico dalle foglie mare, sacro a Fauno, un arbusto una volta venerato dai
naviganti dove solevano appendere i doni coloro che erano scampati al mare al dio di Laurento e appendere
le vesti in voto, ma i teucri lo avevano estirpato senza alcun rispetto per il sacro, affinché si potesse
gareggiare su un campo pulito.
- È più un arbusto che un albero, è qualcosa di simile a ulivo ma in forma di arbusto.
Nell’iliade troviamo un fico selvatico. Fin dalla preistoria l’uomo ha imparato che innestando piante si
ottenevano frutti migliori = pianta selvatica è la pianta su cui l’uomo non ha messo mano e quindi è pura,
autentica, primitiva, come primitivo è il dio a cui questa pianta è sacra. Questa è pianta selvatica con un dio
indigeno, italico, logicamente fauno sta dalla parte di Turno, non può stare dalla parte di uno straniero. Pur
essendo fauno un dio dei boschi, la devozione di questa pianta è legato alla navigazione (legname tra boschi
e navigazione è legname),
I teucri sono empi. Già enea si è dimostrato empio venendo meno al giuramento e il suo popolo fa lo stesso.
Sapevano che albero era sacro ma se ne disinteressano. È un atteggiamento gravissimo. Virgilio che sta per
caratterizzare turno come empio anticipa questa scena attribuendo stavolta espressamente ai Teucri una
medesima empietà, anzi un’empietà maggiore (hanno agito solo per vedere meglio lo spettacolo, Turno lo fa
per avere salva la vita).
Formula una preghiera: tipica forma della preghiera con verbo di compassione (MISERERE) + invocazione
a dio + richiesta con la specificazione della propria PIETAS.
Stessa formula usata nel Carme 76 di Catullo in cui prega dei di liberarlo dalla sua malattia di amore
- Turno si descrive. In latino una persona che onora e rispetta gli dèi è PIUS, Turno dice che lui è PIUS, Enea
no.
È una preghiera ben costruita che include non solo un dio indigeno, ma anche la terra. Le potenze primigenie
come terra mare cielo nel panteon antico sono gli dèi primordiali, è uno stadio antecedente rispetto a divinità
antropomorfa. Quando la connotazione include questo tipo di divinità (lo fa anche latino in sua preghiera)
vuol dire che ci vogliamo riferire a nostre radici.
Di nuovo troviamo eroica sorella, eroica come un oleastro, nobilitata dall’antropomorfico DEA DAUNIA,
dea discendente da Dauno che di nuovo si traveste come l’auriga di Turno (come già fatto per portarlo
lontano dalla battaglia) e accorre. Quello che gli uomini non avevano avuto il coraggio di fare perché
minacciati da Enea lo fa una donna, sua sorella.
Venere è irritata dall’intervento indebito della di Giuturna. Differenza tra dea e ninfa: Venere che è vera dea
non si precipiterebbe mai, lei regalmente arriva e svelle, Giunone era stata irruenta. VENERE ACCESSIT,
GIUNONE PROCURRAT.
- C’erano degli dèi che parteggiavano per il gruppo capitanato da enea e gli dei minori per gli italici (Fauno,
Giuturna, Carmenta). Dei minori, ma indigeni propri della cultura romana e in parte più venerabili di dei
stranieri di origine.
- Questo SUBLIMES e ARDUS come quasi gli eroi diventino più alti grazie alle loro armi.
Questa è di nuovo la visione dello spettatore che da lontano persona con asta in mano
sembra alta quanto l’asta. Questo tipo di notazioni fanno riferimento alla visione dall’alto e da lontano dello
spettatore oltre ad essere metafora del ritrovato coraggio di Enea.
I due dopo aver riacquistato le armi (Enea la lancia e Turno la spada) fanno fronte alla lotta di Marte.
Si tratta di un ultimo episodio ritardante: il colloquio tra Giove e Giunone speculare di quello fra Giove e
Venere. Questo è di una maggiore portata ideologica in quanto sanziona definitivamente la fine dell’ostilità
di Giunone con la futura fusione di Troiani e Latini e l’esaltazione della pietas come la virtù nazionale dei
romani. È la conclusione in luce dell’Eneide che avrebbe potuto chiudere così il poema con un finale sereno
ma sappiamo che Virgilio seguirà un’altra via.
Giove parla qui come il re del cielo. Veto unica occorrenza V. della persona attiva. Emistichio secco e
perentorio. Forse che sia Giuturna l’ignoto feritore di Enea? Contendere tela et arcum ZEUGMA (le frecce si
lanciano e non si tendono).
Itala in connessione con romana secondo l’ideologia augustea che vedeva in Roma il termine del processo di
unificazione di Italia (< sinecismo Latini + Italici (dal greco: συνοικισµóς, composto di σύν = syn = "con,
insieme" e οἰκέω = oikèo = "abitare, vivere") si intende l'unificazione di entità politiche precedentemente
indipendenti in una città a organizzazione statale)
L’ira di Giunone è eredità iliadica che subentra nell’E. come motivo del poema, ed è non a caso richiamata
alla fine dell’ultimo canto. Già Servio descrive questo passo locus obscuris, le interpretazioni sono diverse e
antitetiche:
Avviene in cielo il compromesso negato in terra. Victus e attenuato da volens che indica che non è una
sconfitta subita da Giove ma una concessione voluta, mantiene così l’autorità del dio, e non intacca l’azione
del fato.
I Teucri rimarranno nella storia solo ed esclusivamente come corpus “solo in mescolanza di corpo”
perderanno la loro identità etnica (sermonem, mores, ritus) e fisica: uno ore -> non si conserverà nemmeno il
volto.
Aspetto inquietante per un romano. Nell’antichità i padri romani riconoscevano i figli dalla somiglianza a sé
stessi, il bambino somigliante solo alla madre era spesso non riconosciuto e veniva abbandonato, mentre la
donna era accusata di adulterio. Sostenere che il volto sarà latino, quando il padre sarà Enea, poteva
malignare la figura di Lavinia.
Deos: anche gli dei hanno una propria pietas: il dovere di proteggere i loro cultori, così V. integra le virtù
imperialistiche elencate da Anchise in 6, 851 proiettando sul piano storico il mitico binomio di virtù del
protagonista: pietate insignis et armis. Che la pietas fosse virtù nazionale era sentimento comune dei romani.
Giunone + Giove + Minerva -> triade venerata nel tempio a tre celle sul campidoglio.
Conciliatosi con Giunone, Giove manda a Giuturna il messaggio di abbandonare il fratello, attraverso la
funesta Dira, che si precipita sul suolo terrestre sottoforma di un gufo ominoso. La dea comprende subito il
presagio.
Le Dire, sono due esseri pestiferi “le maledette”, “le esecrate”. Termine ominoso, portatore di presagio
funesto.
Le Dire sono messaggere celesti, strumenti di cui Giove si esercita per far rispettare la sua giustizia,
mandandole dall’Olimpo sulla terra.
Secondo la mitologia, Megera è una delle tre Furie (con Tisìfone e Aletto, che Giunone manda a sobillare
Amata e Turno), malefici mostri infernali che risiedono nel Tartaro
Il monologo di Giuturna appare di stampo tragico più che epico. Dopo aver riconosciuto la Dira, Giuturna
disgraziata si scioglie e si strappa i capelli deturpandosi il viso con le unghie e il petto di pugni e scompare
così nel fiume profondo. Il verso si iscrive a pieno titolo nell'ambito del lamento, giacché presenta due dei
più consueti e standardizzati gesti del lutto, graffiarsi il viso e percuotersi il petto. Giuturna continuerà per
tutto il suo discorso a porre interrogativi destinati a restare senza risposta, rivolgendosi a Giove. Nella sua
assurda condizione di dea condannata dalla sua immortalità ad un dolore senza fine le domande sottolineano
l'impossibilità di comprendere un tale destino e l'incredulità per l'ingratitudine degli dei. Per Giuturna, la
solitudine è una condizione esistenziale, conseguente alla sua natura di dea imperfetta, divisa dagli uomini in
quanto immortale, ma lontana anche dagli dei, perché destinata a soffrire. Nella sua opera di protezione di
Turno nel poema è sempre sola; invisibile o in sembianze non sue, sfugge allo sguardo degli uomini, mentre
gli dei si ricordano di lei solo per sfruttare egoisticamente il suo affetto per il fratello e poi abbandonarla,
come Giunone, o fermarla, come Giove. E la sua solitudine è ancora più palpabile quando pronuncia il suo
lamento, sospesa tra uomini e dei, in uno spazio vuoto in cui solo Giove e la Dira ascoltano forse le sue
parole, ma non le rispondono, marcando così la vanità della sua sofferenza e della sua protesta e facendo
della sua l'ennesima voce dei victi tristes virgiliani. È emblematico, infatti, nelle sue parole, il cambio di
interlocutori, dal fratello, che non può sentirla, alla Dira e a Giove, che non le rispondono.
L’irrisione omerizzante al vinto, topica accusa Turno di viltà e incoerenza (morast, retractas). Saevus due
volte: la 1° è riferito a ad Enea, la 2° alle armi. Nel periodo virgiliano fa riferimento alla durezza non
colpevole, ma propria del guerriero. L’irrisione sfocia qui negli impossibilia, mediante una triplice iperbole
-> sintomatica della tensione emotiva di Enea, che è di solito sempre moderato. Vuole dipingere Turno come
vile con riferimento a potenziali (irrealistiche) modalità di fuga.
Vertunno dio italico che compare nell’elegia IV, I di Properzio. Properzio fa quello che fa Ovidio nei Fasti,
asseconda la propaganda augustea che voleva nobilitare elementi culturali locali.
Vertunno è senza volto in tutte le raffigurazioni: il motivo realistico è che in età arcaica la rappresentazione
del dio era aniconica perché era blasfemia rappresentare il dio, Properzio invece fa dire a Vertunno che non
ha nessuna forma perché può trasformarsi tutte le cose.
Vertunno < Verto. Dunque è un’accusa di viltà ma anche l’ennesimo riferimento ad una divinità italica.
Secondo Traina l’accusa allude invece alla topica abilità metamorfica di Proteo, il profetico dio marino che
può vertersi in tutte le forme (G, IV; Od. IV)
Sive animis sive arte cfr. Lucrezio rapporto ars/ingenium -> compresenza di talento e tecnica è fondamentale
per un’opera d’arte perfetta. Una sola delle due non era sufficiente.
I guerrieri sono raffigurati sempre più grandi degli altri uomini, così come i padroni rispetto ai servi, così
come gli dei rispetto a tutto il resto degli esseri semi divini e mortali.
Litem: aspetto giuridico prim’anche che sacrale “per derimere la controversia relativa ai campi” Lis, litis è la
controversia giudiziaria. Dirimere altro verbo tecnico.
Ergo i Troiani avevano oltraggiato l’oleastro (arbusto sacro) -> empi di fronte alle leggi divine; ma avevano
rispettato il masso -> rispettosi di fonte alle leggi umane.
Turno, al contrario, non rispetterà le leggi civili rimuovendo il masso, ma è meno sacrilego dei troiani di
Enea (interpretazione della Berno, contraria all’interpretazione di Bettini che vede lo spostamento del saxum
da parte di Turno come gesto empio che concorre alle cause della sua morte)
Poco prima nel poema avviene la morte di Murrano (amico di Turno) per mano di Enea che lancia
un’enorme pietra, anche in quel passo c’è un ingens saxum -> scagliare un macigno contro il nemico era una
tecnica di combattimento abbastanza frequente, specie se il lancio dell’asta non era andato buon fine. È
significativo che questa tecnica, che ora tenta di applicare Turno, sia stata già praticata da Enea. Descrizione
di Turno quale eroe quasi super-umano.
900. Era diffusa la credenza che la Terra “da giovane” producesse figli più forti.
Qui si fa riferimento ad una tradizione raccontata da Lucrezio, una teoria semi filosofica-scientifica/para
evolutiva (liber V De Rerum Natura). Lucrezio spiega con ragioni scientifiche che hanno tutt’ora una certa
validità che gli uomini antichi erano più vigorosi dei moderni: la terra, infatti, doveva produrre uomini
fisicamente più forti in epoca preistorica, per permettere loro di sopravvivere nelle caverne, esposti alle
intemperie e alle minacce delle fiere; gli uomini più evoluti, che vivono al sicuro in una società civile non
hanno bisogno di corpi altrettanto resistenti.
Rarissima un’accumulazione di participi presenti, specie nella poesia -> impiegati per rendere i movimenti a
rallentatore di Turno, come se la sua azione venisse ripartita in fotogrammi. Il numero di verbi, ben quattro,
esprime la fatica e lo sforzo di compiere l’azione che viene dilatata con questo uso riflessivo del verbo
cognosco, attestato nella formula della morale delfica γνῶθι σεαυτόν, nosci te ipsum: la morale delfica.
Virgilio non impiega casualmente questa espressione. “Conoscere sé stesso” è necessario a chiunque per
compiere il proprio dovere, che nella mentalità latina è il proprio destino, che è fondamentale per essere
persone complete, e quindi,persone felici.
Giuturna si era trasformata in altro. Turno si è trasformato in altro da sé, in altro da quell’eroe presentato
all’inizio del libro (rosso, ira, fuoco, bollore e forza della gioventù -> timore, tremore, paura, bianco, pallore
della morte).
Turno non si riconosce più come il primo Turno, e comprende il suo destino di vittima.
Per esprimere tutto questo Virgilio fa riferimento all’espressione canonica della filosofia; Turno non è più
fervidus e ardens ma gelidus.
1. La Similitudine (908-918)
Traina dice che è il classico sogno di frustrazione in cui si sogna di tentare ma non riuscire a fare qualche
cosa.
Il modello è Omero, che però applica la similitudine a entrambi i guerrieri, paragonando l’inseguimento fra
Achille ed Ettore a quelli che hanno luogo nei sogni, nei quali il fuggiasco non riesce a distanziare
l’inseguitore, e questi non riesce a raggiungerlo.
L’immagine è sviluppata da Virgilio con la mediazione dell’analisi lucreziana di sogni di frustrazione,
citando la sete e i simulacri degli amati che non riusciamo mai ad abbracciare o a raggiungere, ma non
riguardano la corsa.
Dea dira: la “dea dira” potrebbe corrispondere alla Dira mandata da Zeus, ad una entità superiore quale la
Fortuna, o infine ad una dea vera e propria come Venere (o tutte e tre insieme).
⁃ aspecto. il frequentativo è durativo/intensivo indica uno sguardo intenso e prolungato.
⁃ Tremesco. L’incoativo indica la progressione del timore.
L’esitare coincide con la perdita della virtus che viene sostituita dalla morte. Turno non ha via di fuga e non
ha modo di tendere attacchi, ma continua a comportarsi da guerriero continuando a cercare di attaccare, e
solo in ultima istanza cerca l’aiuto della sorella.
I versi in enjmbement determinano concitazione e suspense.
921.Similitudine
epica tradizionalissima (fulmine e catapulta), paragoni analoghi sono riferiti ad Achille, così come è
marcatamente epica la descrizione dell’efficacia del colpo. La similitudine (insieme ad atris turbinis instar)
conferisce ad Enea una dimensione sovraumana, di cui ater è un cromismo ominoso.
Ripetizione /i/ per riprodurre lo stridore dell’arma che passa lo scudo, passa la corazza e infine trapassa la
coscia. La ferita non è mortale, la supplica di Turno dunque è autentica, e la crudeltà di Enea è maggiore.
Ingens Turnus è in iperbato (come ingens saxum).
L’eroe valoroso uccide il nemico con un solo colpo (Egisto nella tragedia di Seneca è definito semivir perché
non è riuscito a finire Agamennone con un colpo solo).
Remugit ricorda la similitudine dei due tori. Effetto di eco, mimata dalla ripetizione in clausola di re-, dalla
ricorsività di <u> e di <m>.
humilis -> polisemico, accezione psichica: il superbo Turno si “umilia” supplice a terra + humilis è il
contrario di nobilis e significa anche vile; seconda etimologia humus = terra. Non si addice a Turno, principe
e guerriero.
Si ha un rovesciamento dell’ethos di Turno, da superbo a umile, da indomito a supplice, il che rende più
complessa, drammatica e conflittuale l’azione di Enea.
Moltissimi enjambments nel discorso di Turno -> patetico e concitato -> “l’ho meritato” per una sorta di
contrappasso, lo stesso verbo che T. aveva riferito a Pallante, rievocandone l’uccisione che sarà causa della
sua morte.
La ferita di T. analoga a quella di Ettore in quanto può parlare, ma diversa in quanto non mortale, il che
aggiunge una possibilità nella richiesta della supplica “il mio corpo ai miei, privo di vita o vivo”
La richiesta di Turno è comunque anomala: che il guerriero sconfitto ponga il vincitore di fronte a
un'alternativa, chiedendo che gli venga risparmiata la vita ο che sia rispettato il suo corpo rappresenta una
innovazione; possiamo aggiungere
che la richiesta viene avanzata senza l'offerta di un riscatto. Turno fa
leva prima sui sentimenti filiali di Enea, e rende più forte la sua supplica suggerendo un accostamento tra suo
padre Dauno e
Anchise. Quindi sottolinea come Enea abbia già ottenuto tutto quello per cui ha combattuto: Turno ha
riconosciuto la sconfitta e la sua morte diventa inutile.
Turno dice ad Enea che è stata la buona sorte a renderlo vincitore, non la Fortuna, non la virtù (Enea aveva
colpito Turno inerme e non l’ha neanche ucciso).
Altra frecciatina: i patti erano su Lavinia, non sulla morte del perdente. Turno sta richiamando Enea alla
pietas erga parentes et leges.
Accusa: un comandante retto deve agire indipendentemente dai propri sentimenti di odio e amore. Lasciarsi
trascinare dai sentimenti non è un comportamento corretto da parte di un comandante -> Enea esita (stetit) e
cunctantem lo stesso verbo di Turno.
Il discorso di Turno è stato efficace dal punto di vista oratorio (è stato in grado di flectere) ma, come dice
Quintiliano “più forte delle verba è l’evidentia, il factum”.
Hausit sinestesia: bere/aggrapparsi con tutte le forze.
Ma una morte immatura deve essere vendicata. Immolo è il verbo del sacrificio, un sacrificio dovuto
all’anima e allo spirito di Pallante.
Paratore osserva che <<la realtà nella quale si muove il personaggio tende a coincidere con la dimensione
onirica cui viene accostata. Quello di Turno è, per così dire, un sogno – o meglio, un incubo – a occhi aperti,
durante il quale egli sperimenta tutti i segni d’impotenza che solitamente s’accompagnano all’esperienza
onirica: l’incapacità di correre, lo sfinimento, l’afasia >>. E’ stato anche notato che qui Virgilio si ispira al
passo lucreziano dedicato all’illusorietà delle sensazioni che si provano durante i sogni (De Rerum Natura
IV, 453) ma per ottenere, al contrario del suo modello, un effetto di sovrannaturale, angoscioso
obnubilamento nella percezione della realtà.
N.B. Geminatio del nome Pallante anche nelle parole superbe di Turno in X, 442, in procinto di scontrarsi
con lui quando dice ai suoi di farsi da parte.