Neuroanatomia
Neuroanatomia
A 2018-19
“Libertà è partecipazione”
(Giorgio Gaber)
Questi “appunti integrati” delle lezioni dei corsi di Medicina sono a cura del Gruppo Sigfied.
Per correttezza, abbiamo deciso di scrivere qualcosa sul Gruppo Sigfied, sul perché è nato e su
quali sono i suoi obiettivi.
Nel giugno dell’A.A. 2009-2010, noi, un gruppo di studenti dell’allora III anno, abbiamo deciso di
iniziare a recuperare materiali ed appunti di ogni lezione che seguivamo, a partire dal corso di
Patologia Generale. Da allora, con il contributo di numerosissimi studenti, abbiamo cominciato ad
elaborare, per tutti i corsi, appunti integrati con i materiali presentati a lezione, con informazioni
rielaborate e tratte dai testi di riferimento, con consigli utili per affrontare l’esame.
Il nostro è un lavoro gratuito di collaborazione fra studenti, senza fini di lucro: chiunque sia
disponibile a dare una mano, sia per aggiornare le vecchie dispense che per elaborarne di nuove,
è ben accetto.
I file degli appunti sono inviati alla Biblioteca di Medicina che provvede a metterli a disposizione
degli studenti chiedendo il rimborso dei costi sostenuti per le spese di stampa e rilegatura.
- gli appunti NON sostituiscono i libri di testo, ma costituiscono un aiuto, crediamo molto
valido, per orientarsi nello studio delle singole materie;
- per la loro stessa natura, gli appunti delle lezioni non sono privi di errori sia di forma che di
contenuto: vale la regola aurea di verificare dati e concetti consultando le fonti ufficiali.
Gruppo Sigfied
1
PONTE 48
SEZIONE BASSA 48
SEZIONE ALTA 49
MESENCEFALO 50
MORFOLOGIA ESTERNA 50
NUCLEI 51
SEZIONE BASSA 51
SOSTANZA NERA 52
CORPI GENICOLATI 52
SEZIONE ALTA 53
COLLICOLI SUPERIORI 53
FORMAZIONE RETICOLARE 53
NUCLEI 54
NERVI CRANICI 57
IPOGLOSSO [XII] 59
ACCESSORIO [XI] 60
VAGO [X] 62
ESTENSIONE 64
INNERVAZIONE DI FARINGE, LARINGE ED ESOFAGO 67
GLOSSOFARINGEO [IX] 68
DECORSO CRANICO E RAPPORTI 69
ARCO RIFLESSO 71
VESTIBOLO-COCLEARE [VIII] 73
COMPONENTE VESTIBOLARE 73
FACIALE [VII] 76
DECORSO 78
FIBRE PARASIMPATICHE 80
FIBRE SOMATOMOTRICI 81
INNERVAZIONE DELLA LINGUA 82
TRIGEMINO [V] 83
FIBRE 84
TERRITORIO DI INNERVAZIONE DELLE 3 BRANCHE 85
SENO CAVERNOSO 87
BRANCA OFTALMICA [V.1] 88
BRANCA MASCELLARE [V.2] 89
BRANCA MANDIBOLARE [V.3] 92
ARCHI FARINGEI 95
ABDUCENTE [VI] 96
2
TROCLEARE [IV] 96
OCULOMOTORE [III] 97
GANGLIO CILIARE 97
RIFLESSO FOTOMOTORE 97
OCULOMOZIONE 98
AREA DI RICONOSCIMENTO 103
CERVELLETTO 104
SUDDIVISIONE 106
CIRCUITAZIONE CORTICALE 107
REGOLAZIONE DELLA PROGRAMMAZIONE MOTORIA 111
PATOLOGIE 112
DIENCEFALO 113
CONFINI 114
IPOFISI 116
IPOTALAMO 117
CENTRO DELLA FAME E DELLA SETE 118
ISTOCLASSIFICAZIONE 119
NUCLEI 120
SISTEMA PORTALE IPOTALAMO-IPOFISARIO 120
ANATOMIA 121
FORNICE 124
TALAMO 125
NUCLEI 126
NUCLEI DELLA BASE 129
ANATOMIA 129
FUNZIONE 130
COLLEGAMENTI 133
CONVERGENZA DELLE INFORMAZIONI CORTICALI 135
TELENCEFALO 136
ANATOMIA 138
AREE DELLA CORTECCIA 140
HOMUNCULUS 141
STRUTTURA DELLA CORTECCIA 141
COLONNE CORTICALI 143
ATTIVITÀ ELETTRICA 145
FIBRE DI CONNESSIONE 146
AREE PRIMARIE 148
SISTEMA LIMBICO 151
3
ANATOMIA 152
ANALISI DI UNA SEZIONE ENCEFALICA 155
IPPOCAMPO 156
CIRCUITAZIONE 157
MEMORIA E LTP 158
AMIGDALA 159
VISTA 160
ANATOMIA 160
INNERVAZIONE 161
SEGMENTO ANTERIORE E POSTERIORE 162
VASCOLARIZZAZIONE 162
STRUTTURA 162
FOTORECETTORI 165
VIE OTTICHE 168
RETINA 168
CHIASMA 169
CAMPO VISIVO 170
UDITO 171
ORECCHIO ESTERNO 171
ORECCHIO MEDIO 172
ORECCHIO INTERNO 172
STRUTTURE 173
COCLEA 174
STAFFA 174
ORGANO DI CORTI 175
VILLI ACUSTICI 176
INNERVAZIONE 178
APPRENDIMENTO LINGUISTICO 178
IL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO 179
PLESSO CERVICALE 180
PLESSO BRACHIALE 181
PLESSO LOMBARE 183
PLESSO SACRALE 185
BONUS 187
Premessa: Gli argomenti sono stati ordinati secondo la modalità organica che seguono anche molti libri di testo. Tuttavia la
successione non sempre corrisponde con quella delle lezioni; data la natura complessa di questa materia è difficile seguire un
ordine preciso senza fare anticipazioni. Per questo alcuni argomenti potranno risultare più chiari solo dopo aver terminato una
lettura complessiva.
4
INTRODUZIONE
Ci furono vari premi Nobel per le scoperte in ambito neuroanatomico.
Per sistema nervoso centrale (SNC) si intende l’encefalo, contenuto nella scatola cranica, e il midollo
spinale, contenuto nel canale vertebrale. La sostanza nervosa è poco resistente e per questo è protetta
da ossa; tuttavia la scatola cranica e il canale vertebrale sono potenzialmente lesivi per il nevrasse
(encefalo + midollo spinale): per questo viene immerso in un liquido, più denso del plasma, detto ‘liquor’
o ‘liquido cefalo-rachidiano’.
Inoltre per contenere il liquor sono presenti involucri per il nevrasse che prendono il nome di meningi.
Queste sono in numero di tre e a partire dall’esterno all’interno prendono il nome di dura madre,
aracnoide e pia madre. La dura madre ha funzione strutturale, è fibrosa e attaccata al periostio delle
rispettive strutture ossee. L’aracnoide è intermedia e tra essa e la pia madre c’è uno spazio chiuso
ripieno di liquor. La pia madre è un velo sottile, con funzione protettiva, riccamente vascolarizzato che
segue tutta la superficie midollare ed encefalica.
Dal midollo spinale originano i nervi spinali che escono dal foro intervertebrale, dato dalla
sovrapposizione dell’incisura superiore e dell’incisura inferiore di due vertebre contigue e vanno dal
nevrasse alla periferia. I nervi sono sostanzialmente fasci di assoni (parte funzionalmente attiva) che
portano il segnale in due direzioni: le fibre motrici o effettrici portano il segnale dal nevrasse alla
periferia (direzione centrifuga) mentre le fibre afferenti o sensitive portano il segnale dalla periferia al
centro. I nervi che contengono entrambe queste due tipologie di fibre sono detti nervi misti. Tutte le 31
paia di nervi spinali sono misti mentre solo alcune delle 12 paia di nervi cranici lo sono. Per esempio il
nervo ottico è solo sensitivo mentre il nervo ipoglosso è solo effettore.
Nella filogenesi il sistema nervoso si costruisce a moduli, quindi è possibile individuare strutture
filogeneticamente antiche affiancate ad altre analoghe evolutivamente più vantaggiose, che non
rimuovono le precedenti, ma le confinano ad attività più semplici. Questo è il motivo per cui nel sistema
nervoso umano si trovano vie parallele che apparentemente
svolgono le medesime funzioni, ma che in realtà hanno
origine filogenetica differente.
Procedendo secondo fasi evolutive successive, se si effettuassero
più prelievi di tessuto dall’Hydra e si sottoponessero alla
colorazione di Golgi per osservarne i neuroni, in ogni campione si
osserverebbero frammenti simili di un sistema nervoso primitivo e
asimmetrico, dei quali non è affatto possibile distinguere la
provenienza da uno specifico distretto corporeo. Nonostante tale
sistema nervoso centrale risulti poco complesso, è in grado di
portare stimoli afferenti e guidare una risposta motoria adeguata allo
stimolo.
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Considerando ora una stella marina, filogeneticamente più evoluta dell’organismo precedentemente considerato,
si osserva una simmetria del sistema nervoso, in quanto i pirenofori neuronali sono collocati al centro del corpo,
mentre gli assoni si estendono lungo i tentacoli. Effettuando più biopsie da suddetto organismo, si osserverà una
sostanziale differenza tra il tessuto prelevato dal corpo e quello dal tentacolo (data la sostanziale differenza nella
composizione del sistema nervoso), ma saranno indistinguibili quelli prelevati da tentacoli differenti (perché
entrambi dotati di soli assoni).
In una sanguisuga, invece, l’organizzazione del sistema nervoso prevede la disposizione dei pirenofori lungo la
dorsale in posizione assiale, mentre gli assoni si estendono lateralmente: tale animale ha quindi acquisito una
simmetria di tipo bilaterale, ma non si nota alcuna differenza tra i corpi neuronali.
Infine, la blatta mantiene la simmetria bilaterale già presente nella sanguisuga, ma i pirenofori lungo la corda
dorsale non sono affatto più simili tra loro, poiché nella successiva evoluzione, alcuni di essi all’estremità superiore
della corda prendono il sopravvento sia dal punto di vista morfologico, sia funzionale. Tale processo è noto come
cefalizzazione.
NEURONE
I neuroni sono cellule altamente differenziate che non possiedono totipotenza o staminalità. L’esempio
classico di neurone è il neurone multipolare; esso è costituito da un pirenoforo, ossia la parte della
cellula in cui è collocato il nucleo, da molti prolungamenti relativamente corti detti dendriti e da un unico
prolungamento lungo che si divide all’estremità detto assone.
Esistono tuttavia vari tipi morfologici di neuroni a cui corrispondono funzioni diverse a seconda di dove
sono collocati. La forma del neurone non è mai casuale. Alcuni possono avere un singolo dendrite, altri
due dendriti, altri un assone che si divide in sole due ramificazioni ecc..
Secondo la trasmissione classica dell’impulso
nervoso (ma NON sempre è così) la zona
ricettiva è rappresentata dai dendriti mentre la
zona propulsiva/di output è rappresentata
dall’assone.
Ogni neurone presenta una differenza di
potenziale a riposo di -70 mV. Ciò è misurabile
con un voltmetro, isolando un neurone e
inserendo nei dendriti/assone un microelettrodo
(l’altro polo del microelettrodo è messo a terra e
ad esso corrisponde 0 mV).
Quando un neurone viene sottoposto ad uno
stimolo esso si eccita. Il processo di eccitazione
neuronale porta ad una variazione della
differenza di potenziale. Questo cambiamento della differenza di potenziale è la chiave dell’eccitabilità
e della trasmissione del segnale da parte del neurone.
Il neurone varia perciò tra potenziale di riposo (quando è inattivo) e potenziale d’azione (quando viene
eccitato). La risposta di un singolo neurone risulta perciò essere binaria: o è attivo (eccitato) o è inattivo
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(a riposo). La risposta neurologica nella sua totalità tuttavia non è binaria, bensì molto sofisticata. Ciò
è possibile solo grazie al sistema di network tra neuroni. Grazie a questo l’uomo è all’apice della
filogenesi come sviluppo delle funzioni cerebrali. Solo attraverso la conoscenza dell’anatomia e delle
connessioni che si instaurano tra neuroni è possibile comprendere come l’uomo possa elaborare una
risposta neuronale così sofisticata.
Gli assoni possono essere rivestiti da mielina. La guaina mielinica è un avvolgimento stabilizzato e
ripetuto di cellule gliali, ossia di cellule accessorie ai neuroni (ma non per questo meno importanti),
attorno agli assoni dei neuroni. Il ruolo delle cellule gliali è fondamentale per garantire il corretto trofismo
e stato di salute dei neuroni. Esistono malattie dette ‘demielinizzanti’ in cui gli assoni mielinici perdono
la propria guaina; ciò provoca un malfunzionamento della trasmissione assonica dell’impulso nervoso.
N.B. per vetrini: la mielina di natura è bianca, ma nelle colorazioni per la mielina essa si colora di grigio
scuro mentre la sostanza grigia, ossia la parte non mielinica, appare molto più chiara.
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POTENZIALE D’AZIONE
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della sede dello stimolo, con un flusso di ioni insufficiente per il raggiungimento del livello critico.
Di conseguenza, il ridotto potenziale d’azione formatosi si esaurisce rapidamente.
Assumendo invece che un neurone sia eccitato da stimoli subliminali di più neuroni
contemporaneamente, allora i potenziali locali generatisi nello stesso istante si possono sommare fino
ad arrivare al livello critico, quindi all’apertura di tutti i canali del sodio voltaggio-dipendenti e al massimo
potenziale d’azione.
CANALI DEL SODIO
Domanda studente: Ma se si eccita un neurone sotto soglia e quindi si genera un piccolo potenziale
locale, che non forma quindi potenziale d’azione, come mai i canali del sodio (regolati chimicamente)
si chiudono? In altri termini, non essendo un potenziale d’azione non vi è l’inversione di potenziale che
segnala la chiusura dei canali.
Innanzitutto, i canali del sodio si distinguono in due classi: quelli meno numerosi distribuiti sulla
membrana del neurone che sono regolati chimicamente e sono sensibili ai neuromediatori, cioè a
stimoli chimici che sono generati dai neuroni, e quelli più numerosi regolati dal voltaggio.
Immaginiamo delle sinapsi che portano un neuromediatore, finché siamo subliminali (sotto il limite
soglia del potenziale d’azione), si generano dei potenziali locali originati dal legame del neuromediatore
con il recettore sulla membrana postsinaptica, e come conseguenza si aprono i canali del sodio regolati
chimicamente. Se questi canali sono sufficienti a far entrare abbastanza sodio diminuisce il potenziale
di riposo fino a livello soglia, e questo apre i canali regolati dal voltaggio; quindi si aprono quando si
raggiungono i -55 mV di differenza di potenziale e si chiudono quando si raggiunge +10 mV. Quelli
regolati chimicamente, che avevano innescato il meccanismo, non sono regolati dal voltaggio, quindi
che intervenga un potenziale d’azione o che non intervenga non influenza il funzionamento di questi
tipi di canali; ma sono regolati fisicamente, vuol dire che se una terminazione di un assone rilascia del
neurotrasmettitore a contatto con una parte di membrana di un altro neurone in cui sono presenti i
recettori che legano il neuromediatore, questo legame genera, in modi diversi, un’apertura dei canali
del sodio regolati chimicamente.
Tutto ciò non vuol dire che il neurone non può essere
stimolato in questa situazione, ma solo che lo devo
portare da -80 mV a -55 mV per arrivare a far partire
il potenziale d’azione e per tanto, in condizione di
inibizione, serve una stimolazione eccitatoria più
intensa, e poiché spesso si parla si costimolazione,
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cioè della sommatoria di potenziali locali che mi portano alla soglia, serve un’intensità maggiore di
stimolo per arrivare alla soglia. Questo è il concetto di neurone in stato inibito, che come già detto
non è zero (che non funziona); un neurone è inibito nella risposta solo durante il periodo refrattario che
è quello in cui sta eseguendo un potenziale d’azione (non può rispondere ad un eventuale altro stimolo
che arriva in quel momento). Un neurone a riposo inibito, cioè che ha legato i neuromediatori inibitori
che aprono sostanzialmente i canali del cloro e quindi generano potenziali locali inibitori, è comunque
un neurone eccitato, solo che serve una costimolazione più intensa per portarlo al livello soglia.
Istintivamente, tutti pensiamo al sistema nervoso come un susseguirsi di stimoli eccitatori, ma se
contassimo le sinapsi eccitatorie e le sinapsi inibitorie, sono molto più numerose queste ultime, in
quanto il nostro sistema nervoso centrale fa molto più uso di inibizione che di eccitazione.
Esempio: se vogliamo attivare il flessore comune delle dita (il fatto di decidere un’azione è legato a un
meccanismo complesso di ideazione e programmazione che verrà spiegato meglio nelle prossime lezioni), alla fine
del processo ideativo e di programmazione motoria, devo mandare del segnale al flessore comune delle dita. Vi è
un’area della corteccia denominata area motoria primaria in cui vi sono dei neuroni che vengono stimolati, l’assone
di questi neuroni scende fino al midollo e fa sinapsi con i motoneuroni midollari che vanno a innervare il flessore
comune delle dita. La sinapsi fra il primo e il secondo neurone in questo caso è di tipo eccitatorio.
Ne esistono alcuni in cui la porzione esterna della molecola non è la porzione esterna del recettore
stesso, ma è un recettore a parte che è nella stessa zona della membrana. Quindi il neuromediatore si
lega al suo recettore, questo attiva una via metabolica, in genere delle proteine chinasi dipendenti, che
porta a un metabolismo intracellulare che alla fine generano l’apertura del canale che è un’altra
molecola.
Il canali direttamente regolati funzionalmente dal legame con il neuromediatore, definiti canali
ionotropici, sono molto più veloci nella risposta apri e chiudi, perché sono essi stessi canali ionici,
mentre gli altri, avendo un metabolismo tra il recettore e il canale, sono più lenti e tutti GTP dipendenti
e vengono denominati canali metabotropici.
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PARALISI
Supponiamo di tagliare l’assone del motoneurone che dal midollo va al muscolo, il comando parte e la
sinapsi funziona, ma l’assone è tagliato e quindi il comando non arriva al muscolo, per cui paralisi del
muscolo che si troverà in una certa situazione in base al tipo di paralisi.
Il termine paralisi indica soltanto l’incapacità di far agire un muscolo in senso meccanico e può derivare
da patologie muscolari e quando è invece l’origine è neurologica bisogna discriminare se il muscolo è
in stato rilassato e incapace di contrarsi (paralisi flaccida) o all’opposto è in uno stato di contrazione
continua ed è incapace di rilassarsi (paralisi spastica), in quanto il movimento del muscolo è generato
da tutti e due gli aspetti della funzionalità muscolare.
Questo argomento è stato trattato per introdurre il concetto che il sistema nervoso centrale (SNC) non
ha solo il problema dal punto di vista della generazione motoria, ma ha soprattutto il problema di
generare un movimento adeguato ed efficace.
Per esempio, se decido di flettere il gomito, dò un comando di contrazione del bicipite brachiale, mentre
contraggo il gomito accorcio attivamente il bicipite brachiale e quindi agisco positivamente in senso eccitatorio sugli
agonisti, ma nella loggia posteriore del braccio ho gli antagonisti (tricipite brachiale). Occorre che, affinché il gomito
fletta correttamente, non si limiti a contrarre gli agonisti, ma devo anche rilasciare gli antagonisti e bisogna che
nell’esecuzione di un movimento, attivamente il SNC controlli che un gruppo guidi il movimento e l’altro lo permetta.
Questo fatto non è automatico, pure questo è un fatto attivo: alternativamente il sistema neuromuscolare degli
antagonisti si opporrebbe all’azione di movimento degli agonisti. Per consentire un’adeguata e controllata flessione
del gomito devo permettere il movimento degli agonisti e quindi temporaneamente inibire l’attività degli antagonisti.
Bisogna pensare che a qualsiasi movimento attivo e volontario, ma anche automatico, come generato
da un aspetto positivo e da un aspetto negativo, nel senso che un movimento efficace ha due
componenti: la componente agonista e quella antagonista, alternativamente il movimento non
riesce. L’esempio di prima è servito per capire come il sistema nervoso abbia bisogno di sinapsi
inibitorie ed eccitatorie, e una sinapsi è inibitoria o eccitatoria in base al tipo di neuromediatore che
utilizza.
Vedremo che esistono numerose patologie del SNC con espressione motoria alla cui base c’è un
malfunzionamento dei sistemi inibitori per cui passano stimoli e arrivano in periferia stimoli che non
dovrebbero giungere, ma che in realtà dovrebbero essere inibiti lungo il percorso. Vi è una enorme
quantità di inibizione che il nostro SNC genera per permettere un’attività motoria corretta; è come se
partendo da una grande quantità di stimoli attivatori il sistema nervoso abbia necessità di filtrare e di
lasciare arrivare in fondo solo una certa quantità degli stimoli originariamente generati molto ben
selezionata e l’attività di selezione si basa sull’inibizione neuronale e sull’attivazione di sinapsi inibitorie;
se si crea un problema patologico su qualche via di inibizione, stimoli che non dovrebbero arrivare a
termine ci arrivano e quindi un muscolo che dovrebbe rilassarsi non è più in grado di farlo.
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SINAPSI
Domanda studente: Ma se arriva lo stimolo
alla terminazione dell’assone cosa succede
e quanto neuromediatore si libera, cioè come
si fa a liberare più o meno neuromediatore?
Quando arriva lo stimolo, che è il potenziale d’azione, alla terminazione dell’assone, in questa
terminazione (bottone cellulare) le vescicole si mettono in moto frenetico che le dirige verso la
membrana presinaptica e con un processo di esocitosi il neurotrasmettitore viene liberato nella fessura
sinaptica, e visto che le vescicole sono sintetizzate nel pirenoforo sono tutte uguali, contengono la
stessa quantità e il medesimo tipo di neuromediatore. Importante è il fatto che un neurone sintetizza
un solo tipo di neuromediatore in tutte le sue terminazioni.
Il neuromediatore liberato nella fessura sinaptica passa nella membrana postsinaptica dove sono
presenti i recettori a cui si lega e questo legame agisce sui canali ionici posti sulla membrana
postsinaptica. Arriva il potenziale d’azione alla terminazione dell’assone che è piena di canali del calcio.
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La vescicola in sé non sa dove si trova la membrana presinaptica, questa rotola lungo la faccia interna
della membrana fino a quando le molecole esposte sulla superficie interna della vescicola trovano delle
molecole complementari a cui si legano che sono selettivamente espresse solo sulla faccia interna
della membrana presinaptica, il legame fa attivare le vescicole che poi fanno esocitosi con la membrana
presinaptica e rilascia il neuromediatore.
Sorge un altro problema di come le molecole di indirizzamento siano espresse solo sulla faccia interna
della membrana presinaptica e non in altre zone. L’argomento su questo tema è molto complesso, ma
semplificando si può affermare che nella istogenesi funzionale del tessuto neuronale, i neuroblasti
differenziano e diventano neuroni con i loro collegamenti, questo processo continua anche nella vita
adulta e soprattutto nei bambini vi è un elevato grado di plasticità neuronale, e cioè che vecchie
sinapsi in disuso vengono tolte e nuove sinapsi vengono formate; questa plasticità diminuisce con l’età
e moltissima riabilitazione neuromotoria si basa appunto su questa plasticità neuronale.
La creazione di una sinapsi indica una comunicazione molecolare fra la membrana pre- e la membrana
postsinaptica, quindi sia al neurone presinaptico che quello postsinaptico viene segnalato che una
specifica zona della loro membrana sta partecipando ad una sinapsi, sono piccole parti di membrana
che si specializzano in funzione del collegamento sinaptico. Fra i cambiamenti specifici della membrana
sinaptica vi è l’espressione delle molecole che servono per l’indirizzamento delle molecole con i
neurotrasmettitori durante l’attività sinaptica. Quando il neuromediatore viene liberato verso la
membrana postsinaptica trova i recettori a cui si lega.
Problema: come fa il neurone postsinaptico a montare i recettori giusti sulla membrana postsinaptica,
perché deve riconoscere che solo quella zona specifica di membrana ha dall’altra parte una membrana
presinaptica con un determinato neuromediatore?
Durante l’istogenesi neuronale, il neurone postsinaptico monta tutti i tipi di recettori in maniera
stocastica fino a quando non trova quello che lega il neuromediatore che si trova nella membrana
presinaptica dell’altro neurone (quindi è il neurone presinaptico che indica qual è il recettore giusto da
montare sulla membrana postsinaptica), tutti gli altri recettori verranno degradati.
NEUROTRASMETTITORI
La lista delle sostanze con attività neuromediatrice delle sinapsi è molto lunga. Alcuni di questi sono
molto comuni e sono anche i più importanti
Di natura aminoacidica:
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● Acido 𝜸-amminobutirrico o più semplicemente GABA è il neurotrasmettitore più
frequentemente presente nel SNC come inibitore.
● Glicina è il neurotrasmettitore inibitorio maggiormente presente nelle sinapsi nel midollo
spinale
Altre sostanze:
● A struttura amminica, molte delle sinapsi colinergiche utilizzano l’acetilcolina che è il prototipo
dei neuromediatori, in quanto è stato uno dei primi ad essere stato studiato, e perché è il
neuromediatore delle giunzioni neuromuscolari. Trasmette neuromediatori eccitatori che si
trovano nei neuroni pregangliari e postgangliari e soprattutto come detto precedentemente
nelle giunzioni neuromuscolari.
● Le sinapsi adrenergiche utilizzano noradrenalina e questo è un classico neuromediatore dei
gangli del sistema nervoso autonomo del sistema ortosimpatico.
● I neuroni che contengono i neuromediatori dopaminergici sono abbastanza diffusi del SNC e
sono particolarmente famose perché vi è un raggruppamento di neuroni molto studiato nel
tronco dell’encefalo, la sostanza nera, che sono tutti dopaminergici e se muoiono quei neuroni
si ha il Parkinson. Sono dopaminergici anche i neuroni di alcune zone della base del telencefalo
che sono implicate in fenomeni di ricompensa, cioè del ”mi piace, allora lo cerco”, e quindi
anche nella tossicodipendenza.
● Istamina e serotonina, i neurotrasmettitori serotoninergici dal tronco dell’encefalo, sono
coinvolti nella regolazione sonno-veglia e dei meccanismi di attivazione in generale.
Come si vede nell’immagine vi sono sostanze e farmaci che mimano il legame fisiologico del
neuromediatore, influendo sul corretto funzionamento dei canali, per esempio il neuromediatore del
canale del cloro può
essere “sostituito” dai
barbiturici o da farmaci
come le benzodiazepine,
dei farmaci molto usati in
neuropatologia, da notare
che anche l’etanolo può
subentrare al posto del
corretto neuromediatore.
CLASSIFICAZIONE
Nel sistema nervoso vi sono tanti tipi di neuroni, come già visto: in termini di numeri di prolungamenti
si distinguono neuroni unipolari, bipolari, pseudounipolari e multipolari. In base alla lunghezza e al
comportamento dell’ assone si hanno quelli del I tipo di Golgi e del II tipo di Golgi a seconda che l’assone
esca o meno dal nevrasse. Rispetto alla funzione, invece, i neuroni si classificano come sensitivi (o
afferenti), il cui impulso viaggia dalla periferia al centro, come effettori, il cui impulso va dal centro alla
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periferia, e come neuroni associativi. Quest’ultimi non vanno ad innervare organi periferici ma il loro
assone connette diverse parti del sistema nervoso centrale, non uscendo mai dal nevrasse.
[n.d.s.: il prof sottolinea che non tutti gli impulsi efferenti sono motori, in quanto non tutti sono diretti alla muscolatura
scheletrica, anche se spesso il termine ‘neurone motore’ viene usato come sinonimo di ‘neurone effettore’.]
Si è già detto che nella biogenesi del tessuto nervoso spesso strutture con stessa funzione si
affiancano. Le vie nervose filogeneticamente più recenti normalmente sono anche le più veloci e con
poche sinapsi nel mezzo. Queste si affiancano a vie nervose filogeneticamente più vecchie che
svolgono più o meno la stessa funzione. L’evoluzione ha ricercato più prontezza nella risposta
neuronale cercando di mantenerne la qualità, che è data proprio da una fine regolazione. Le due
esigenze sono superate da un sistema con poche sinapsi (via paucisinaptica, filogeneticamente più
recente) regolato accuratamente a monte, prima dell’origine dell’impulso, in quanto, altrimenti, non si
avrebbero –o se ne avrebbero poche- possibilità di tornare indietro per modificarlo. Un esempio è dato
dalle vie piramidali, vie recenti e veloci (velocità massima di conduzione pari a 120 m/s), che regolano
la motilità volontaria e partono dalle aree motrie primarie della corteccia cerebrale. Queste prevedono
una sola sinapsi tra il neurone piramidale, che scende nel midollo, e il motoneurone che innerva un
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muscolo. Per avere ciò l’evoluzione ha determinato lo sviluppo di intere aree di corteccia cerebrale che
devono impostare il programma motorio correttamente così da passarlo al sistema piramidale in forma
finita e adeguata. In una via lenta, invece, ad ogni ‘stazione sinaptica’ si può definire e regolare
l’impulso. Questo è il motivo per cui le vie più antiche non vengono eliminate ma relegate a funzioni
meno urgenti e affiancate a vie più recenti.
SENSIBILITÀ
Nella nostra periferia somatica sono distribuiti i recettori. Ce ne sono di varie classi e dimensioni (il prof
ha detto di farli autonomamente). Tra le varie classi i più semplici sono i recettori dolorifici che sono
terminazioni libere senza rivestimento localizzate negli strati superficiali della cute. Bastoncelli e coni
della retina, invece, sono fotorecettori più sofisticati. Possono esistere anche più tipi dello stesso
recettore come nel caso di quelli tattili: questi sono ad alto o a basso adattamento e la loro velocità di
adattamento allo stimolo è diverso.
Esempio: quando infilo la camicia, i recettori tattili avvertono questo stimolo e cambiano stato, segnalando per
qualche secondo al SNC questo mutamento di stato; poi si adattano alla nuova situazione senza più segnalarla
fino a quando non si verifica un’altra variazione (mi ci muovo dentro o la sfilo).
Tutti i recettori sono innervati perché fungono da trasduttori di energia: cioè queste strutture biologiche
sono in grado di trasformare un tipo di energia (per esempio quella meccanica per i meccanorecettori)
in impulso nervoso che arriva al sistema nervoso centrale. Le diverse strutture di questi dispositivi
biologici dipendono dal tipo di trasduzione da eseguire.
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IL FUSO NEUROMUSCOLARE
Aperto il fuso neuromuscolare si notano delle fibre muscolari striate intrafusali di un tipo diverso
rispetto alle fibrocellule muscolari lunghe extrafusali, classicamente riconosciute come quelle che
permettono il movimento di un muscolo. Le fibre muscolari del fuso sono dei sincizi polinucleati molto
più corti; vi sono quelle con i nuclei concentrati nella zona equatoriale (fibre a sacco nucleare) e quelle
con nuclei distribuiti a fila indiana (fibre a catena). All’interno del recettore sono poste in parallelo alle
fibre extrafusali: pertanto, durante uno stiramento passivo del muscolo a riposo anch’esse si allungano
passivamente.
Come tutti i recettori, anche questo è innervato da fibre sensitive e possiede una struttura tale da
essere sensibile allo stimolo dello stiramento, dopo il quale vengono generati dei potenziali d’azione
che viaggiano lungo gli assoni delle fibre afferenti. Queste fibre arrivano al midollo spinale dove
costituiscono una sinapsi eccitatoria con i motoneuroni che innervano le fibre extrafusali del medesimo
muscolo i cui fusi erano stati stimolati dallo stiramento (nel caso del riflesso rotuleo sono i motoneuroni
del quadricipite femorale). Tornando al riflesso rotuleo: dopo aver determinato lo stiramento passivo
per mezzo di una piccola picchiettata a livello del tendine, si nota l’estensione del ginocchio perché il
muscolo quadricipite femorale si oppone allo stiramento passivo, generato dalla mano o dal martelletto,
contraendosi.
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Quando si è in piedi il corpo è soggetto alla forza peso, che tende a farlo cadere e a far flettere il
ginocchio. Nonostante ciò si riesce a mantenere la posizione eretta grazie al fatto che alla forza peso
si oppone la contrazione dei muscoli quadricipiti femorali. Ci si dovrebbe chiedere cosa determina la
contrazione del muscolo e come è modulata l’intensità della contrazione in base alle situazioni. Il
muscolo riesce autonomamente a reclutare il numero necessario e sufficiente di unità motorie che
permette di mantenere una data postura senza sprechi di energia (esempio: camminare con o senza
uno zaino pieno di libri sulle spalle che determinerebbe inevitabilmente un peso aggiuntivo agente sul
nostro corpo; stare in piedi o seduti). D’altronde, per evidenziare il riflesso, si fa sedere il soggetto per
mettere a riposo il muscolo e notare la sua contrazione che non si vedrebbe in una posizione nella
quale è già molto contratto, tipo quella eretta.
Si può enunciare una prima approssimazione del processo, che verrà spiegato meglio poco più avanti:
la forza peso agisce facendo tendere il ginocchio alla flessione; nel momento in cui questo inizia a
flettersi, si determina un movimento di stiramento passivo del muscolo che determina l’attivazione dei
suoi fusi e del suo riflesso con la recluta di unità motorie che lo fanno contrarre di più. Le unità motorie
reclutate sono tante quante ne bastano per mantenere una determinata postura contro la forza peso.
Si chiama tono muscolare lo stato di contrazione basale di un muscolo. I nostri muscoli sono soggetti
ad una contrazione tonica sempre, eccetto in alcune fasi del sonno. Si chiama tono posturale, invece,
lo stato di contrazione del muscolo necessario e sufficiente per mantenere una determinata postura.
Tornando ora al fuso neuromuscolare, se ad un ingegnere fosse chiesto di costruirne uno, avrebbe
usato un materiale biologico elastico (elastina) per fare una struttura sostanzialmente elastica ed
innervata, sensibile allo stiramento, invece all'interno del fuso ci sono fibre muscolari striate, diverse
da quelle extrafusali (più piccole), come mai all'interno di un recettore per lo stiramento passivo ci sono
delle fibre striate?
Le fibre muscolari si contraggono, e logicamente, lo fanno anche quelle del fuso neuromuscolare, e la
contrazione di una fibra muscolare è controllata dall'innervazione motoria, che poi sia liscia e quindi
autonoma o striata e quindi somatica, risponde
comunque contraendosi ad uno stimolo nervoso.
Sono già state trattate le fibre nervose sensitive
afferenti presenti nel fuso (quelle azzurre
nell'immagine), se ci sono delle fibre muscolari è
necessario che ci sia un'innervazione motrice per
comandarne la contrazione. I fusi neuromuscolari
sono unici rispetto a tutti gli altri recettori del nostro
organismo: sono recettori attivi, cioè possono
contrarsi, visto che contengono delle fibrocellule
muscolari che hanno la loro innervazione motrice
(fibre rosse nell'immagine), quindi al fuso
neuromuscolare arriva una doppia innervazione:
quella regolare sensitiva che arriva a qualunque
recettore, ma visto che questo recettore contiene
fibrocellule muscolari, bisogna guidare la loro
contrazione e quindi mandargli delle fibre motrici,
queste fibre motrici vengono dal midollo spinale,
sono specializzate per le fibre muscolari intrafusali.
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dotati di un grosso assone, ed operano l'innervazione regolare delle fibre muscolari. Mescolati a questi
neuroni, ne esistono di più piccoli, che si chiamano gamma motoneuroni, il cui assone è più sottile,
ha velocità di conduzione più bassa ed arriva alle fibre intrafusali. Se si stimolano i motoneuroni alfa si
contrae il muscolo (fibre extrafusali), mentre se si stimola un motoneurone gamma si contraggono le
fibre muscolari intrafusali.
Si riconsideri l'esempio del quadricipite femorale. Stirando il muscolo dai tendini, siccome le fibre extra
ed intrafusali sono tra loro parallele, vengono stirate entrambe: i fusi sentono la tensione alle proprie
estremità e vengono stimolate le fibre sensitive dell’arco diastaltico. Tuttavia, è possibile contrarre
esclusivamente le fibre intrafusali – quindi immaginiamo un altro schema: nel midollo vengono stimolati
i gamma motoneuroni che innervano i fusi del muscolo, questi si accorciano, mentre le fibre extrafusali
rimangono rilasciate, ugualmente è stata generata tensione all'estremità del fuso, quindi o genero
tensione all'interno del fuso perché stiro passivamente l'intero muscolo oppure genero la medesima
tensione accorciando solo i fusi. Le fibre sensitive del fuso rispondono allo stesso modo: parte un
riflesso miotattico, e si contrae il muscolo nel suo complesso, quindi vengono reclutate unità motorie.
Si può quindi immaginare che il sistema nervoso centrale possa modificare il tono muscolare agendo
primariamente sui gamma motoneuroni, perciò ci sono due esigenze nel fuso: i fusi stanno dentro a dei
muscoli che sono tuttavia soggetti ad attività motoria volontaria, per cui – considerando i fusi del bicipite
brachiale – contraendo il muscolo volontariamente, questo si accorcia. Volontariamente sono stati
attivati gli alfa motoneuroni che hanno agito sulle fibre extrafusali, e bisogna che i fusi restino della
propria lunghezza in registro con la lunghezza delle fibre extrafusali, perché alternativamente il
riflesso miotattico funzionerebbe solo a muscolo completamente disteso, quindi se si accorciasse un
muscolo di una certa lunghezza volontariamente e si provasse il riflesso non funzionerebbe più, mentre
invece il riflesso miotattico, che è la base anatomica del tono muscolare, è sempre attivo.
Il muscolo mantiene il tono, per qualunque lunghezza volontariamente gli si faccia assumere: se si
prova il riflesso, il muscolo reagisce sempre. Quindi è chiaro che, in caso di contrazione volontaria,
bisogna far seguire un accorciamento dei fusi all'accorciamento volontario indotto dagli alfa
motoneuroni che si stanno attivando. Questo è il primo motivo per cui i fusi hanno delle fibre muscolari
al loro interno: per mantenere la loro lunghezza in registro con le extrafusali.
Non facendo alcun movimento volontario, lasciando quindi “dormire” gli alfa motoneuroni, si mantiene
comunque un certo tono muscolare, il tono muscolare di base è generato e regolato dall'attivazione dei
gamma motoneuroni, il SNC agisce sui gamma motoneuroni, tende ad accorciarli e con questo produce
attivamente tensione alle loro estremità e mantiene continuamente attivo il riflesso miotattico.
Si consideri ora da fermi si introduca un'attività motoria volontaria, per esempio la camminata: è chiaro
che si sposta il peso corporeo da un arto all'altro man mano che si fanno una serie di movimenti che
coinvolgono parecchi gruppi muscolari, bisogna che ci sia un modo per orchestrare il tono posturale di
interi distretti muscolari e di armonizzarli e renderli coerenti tra l'emisoma di destra e quello di sinistra,
alternativamente non è possibile fare un passo avanti.
Si prenda in considerazione un singolo passo e lo si isoli: il passo ha varie componenti, la prima fase è
il distacco da terra, poi vi è una fase di volo, poi una di avanzamento e successivamente c'è la fase di
volo dell'altro piede; si conclude con la fase di atterraggio con il tallone.
Prendiamo inoltre la decisione di fare un passo in avanti, nella primissima fase stacco il piede da terra
e ovviamente non si cade. Da fermi, si distribuisce il peso su tutti e due i piedi, staccando ad esempio
il piede di sinistra viene a mancare l'appoggio a sinistra e dato che i due femori sono in articolazione
con gli acetaboli, il bacino dovrebbe cadere dove viene a mancare l'appoggio, facendo perno sulla testa
del femore di destra. Invece, se prendessimo una bolla da muratore e la poggiassimo sulle spine iliache
anterosuperiori di un paziente in condizioni normali, vedremmo che questo è in “bolla”, e resta tale
anche se gli facessimo fare un passo in avanti il paziente è ancora in equilibrio (dal punto di vista
muscolo-scheletrico) nonostante gli sia mancato l'appoggio di un piede momentaneamente.
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I responsabili di ciò sono i muscoli abduttori "deboli"
dell'anca: piriforme, gemelli, quadrato del femore. Tutti i
muscoli corti che dal bacino vanno verso l'epifisi prossimale
del femore, sono muscoli striati scheletrici in posizione
orizzontale e contraendosi insieme, nel momento in cui
manca l'appoggio, fanno punto fisso sul femore e tengono
fisso il bacino. Questi muscoli essendo pari, si trovano sia a
destra che a sinistra e facendo più passi in avanti si
contraggono a destra per il primo passo e poi a sinistra per il
successivo.
La lussazione dell'anca è una patologia che si presenta con un'andatura anserina. Vi è un cattivo
incastro tra femore e tetto dell'acetabolo, infatti quest'ultimo è "sfuggente" (non è ossificato bene sul
labbro superiore) per cui quando i pazienti affetti, fanno un passo in avanti, la testa del femore
tenderebbe a sfuggire verso l'alto dall'acetabolo. Questi pazienti automaticamente, per impedire la
fuoriuscita del femore, contro-flettono lateralmente la colonna, in modo da avvicinare il più possibile il
tetto dell’acetabolo al femore. Tutto ciò per mantenere il baricentro dentro la base di appoggio ed è
ovviamente una orchestrazione compensatoria regolata dal sistema nervoso centrale.
Inoltre, terminata la fase di volo del passo, è necessaria una flessione dorsale del piede, garantita dal
muscolo tibiale anteriore. Una paralisi del nervo sciatico popliteo esterno, che lo innerva, fa si che il
paziente trascini la punta del piede perché non è in grado di sollevarla.
Supponendo, ora, di aver dimenticato un oggetto su di un banco posto alla nostra sinistra, di accorgersi
che un'altra persona vorrebbe impossessarsene, e di agguantare rapidamente l'oggetto:
- Ruoto i bulbi oculari verso l'oggetto
→ Problema: rotazione coniugata, i muscoli coinvolti sono il retto mediale destro (III
nervo) e il retto laterale sinistro (VI nervo); ovviamente la rotazione dei bulbi oculari
è vincolata alla posizione della testa, la quale se posta verso destra non mi permette
di vedere l'oggetto.
- Ruoto la testa
→ Sono coinvolti i muscoli: sternocleidomastoideo di destra e porzione superiore del
trapezio di sinistra (XI paio di nervi cranici)
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Questi movimenti, necessari per inquadrare l'oggetto, costituiscono il cosiddetto movimento oculo-
cefalo-giro. Costantemente, infatti, per aiutare l'inquadratura muoviamo anche la testa, in maniera
coordinata con il movimento dei bulbi.
Il sistema nervoso centrale ha una geometria spaziale dei segmenti corporei, che è acquisita, quindi
per poter afferrare l'oggetto sono in grado di sapere se mi trovo alla distanza adatta oppure no.
Se mi trovo sufficientemente lontano, devo procedere nella direzione in cui si trova l'oggetto, quindi:
- Faccio dei passi (la descrizione del passo è già stata affrontata)
- Movimento rapido per agguantare l'oggetto
→ Problema: si parte con il gomito flesso:
- La prima cosa da fare è estendere il gomito, ovvero estendere il muscolo
bicipite brachiale e contrarre il muscolo tricipite brachiale; ovviamente non
si può rilasciare completamente il bicipite, altrimenti si correrebbe il rischio
di urtare la superficie di appoggio dell'oggetto stesso.
- La seconda cosa è frenare alla distanza giusta, affinché le dita della mano
possano raggiungere l'oggetto; questo comporta una contrazione del mu-
scolo bicipite brachiale ed una estensione del tricipite. Quindi l'inversione di
contrazione tra agonisti ed antagonisti avviene esattamente alla distanza
giusta.
Vale la pena di porre attenzione sul fatto che fino ad ora è stata studiata la muscolatura striata come
muscolatura volontaria e quella liscia come involontaria: si può, certamente, contrarre o rilasciare
volontariamente il quadricipite femorale, ma non è possibile regolarne il tono volontariamente. Dunque
non è volontaria la regolazione del tono muscolare dei quadricipiti: non ne saremmo in grado, poiché
non abbiamo nemmeno gli elementi cognitivi per costruire un tale atto volontario, che regoli
adeguatamente il tono, ed è il muscolo autonomamente responsabile di ciò – nonostante si tratti di
muscolatura striata. Da adesso in poi, quando si parla di muscolatura striata, non si deve più
automaticamente pensare al suo controllo esclusivamente volontario, anzi, il più delle volte non lo è: il
numero di atti motori volontari imposti alla muscolatura scheletrica è esiguo rispetto alla motilità
automatica, o più precisamente, alla motilità riflessa (dato che alla base vi è un riflesso).
Si pensi alla muscolatura estrinseca dei bulbi oculari, composta da sei piccoli muscoli: quattro retti, due
obliqui. Si pensi ora a quante volte viene aggiustato lo sguardo in una giornata, cioè si fanno piccolissimi
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(o anche più importanti) movimenti di
aggiustamento del posizionamento dei bulbi
oculari: un numero enorme di volte. È chiaro
che questa è muscolatura striata, ci sono
infatti tre nervi oculomotori (oculomotore
comune: III nervo cranico; trocleare: IV
nervo cranico; abducente: VI nervo cranico)
che si incaricano di dare l’innervazione
motoria a questi muscoli.
Se si decidesse, volontariamente, di girare lo
sguardo verso destra, senza muovere la
testa, si attiverebbero, in maniera un po’
complessa perché gli occhi sono due e bisogna mantenere la coniugazione dello sguardo, alcuni di
questi muscoli a destra e a sinistra in maniera idonea e, volontariamente, si sposterebbe lo sguardo
verso destra. Capita durante la giornata di muovere volontariamente i bulbi oculari, ma in realtà se ne
aggiusta continuamente il posizionamento attraverso i nervi motori che controllano questa muscolatura,
e lo si fa in maniera automatica. Dal punto di vista anatomico, alla base di questo automatismo vi sono
i riflessi, ovvero circuiti neuronali, che a partire dai recettori implicano un’attività neurologica regolata,
e terminano imponendo un’attività motoria ancor più finemente regolata, ma in maniera del tutto
indipendente dalla nostra volontà.
Quindi, fermo restando che la contrazione della muscolatura liscia è involontaria e che la muscolatura
striata è certamente sottoposta ad un controllo volontario, si tenga presente che per quest’ultima, gran
parte della motilità avviene per via riflessa. Si ragionerà molto di più in termini di regolazione riflessa
e sarà necessario indagare le vie di connessione anatomiche che garantiscono l’esecuzione di riflessi,
che prendendo l’esempio del quadricipite erano molto semplici, ma possono essere anche molto
complesse.
Tornando al movimento dei bulbi oculari, ad esempio verso destra: è un'azione volontaria, ma
l'esecuzione, ancorché volontario l'innesco del movimento, viene poi regolata nella sua dinamica e nella
sua estensione in maniera completamente automatica. In questo caso: lo sguardo si muove su un piano
orizzontale (si considerino solo i muscoli retti, ciascuno dei quali “tira” nella sua direzione), se si vuole
spostare lo sguardo verso destra si comanda il retto laterale destro, ma non è possibile comandare
contemporaneamente il retto laterale dell'occhio sinistro (poiché la sua contrazione farebbe spostare
l’occhio in una direzione diversa) e bisogna contrarre il retto mediale dell'occhio sinistro. Quest’ultimo
è innervato dal terzo nervo cranico, mentre il retto laterale è innervato dal sesto nervo cranico, i cui
nuclei (pirenofori) si trovano nel tronco dell'encefalo in posti totalmente diversi. Quindi, si decide solo
di muovere il proprio sguardo, perché la propria attenzione è catturata da un segnale che si vuole
inquadrare visivamente, ma la contrazione dei muscoli atti a spostare entrambi gli occhi nella zona
prefissata avviene in maniera automatica. A valle di un comando volontario vi è una regolazione molto
fine di muscoli che si contraggono automaticamente.
Si pensi poi ad un comando che non è volontario, come per il riflesso di prensione visiva, scatenato
da un oggetto che si muove nella periferia del proprio campo visivo, in un momento in cui l'attenzione
è rivolta su altro, lo sguardo inquadra automaticamente l'oggetto e lo segue (il movimento di
inseguimento di un oggetto che si muove all'interno del nostro campo visivo non è affatto banale).
L'oggetto è singolo, i bulbi oculari sono due, e sono due anche le retine, su di esse si formano due
immagini dell'oggetto in questione, e logicamente l'immagine che ne risulta deve essere singola
(altrimenti si è affetti da diplopia, patologia comune). La corteccia visiva ricostruisce una sola immagine,
e ciò avviene sotto la condizione che ci sia una precisa corrispondenza retinotopica delle immagini,
cioè che l'immagine dell'oggetto si formi con coordinate omologhe sulle due retine.
Ciò che si proietta con coordinate identiche sulle due retine viene poi ricostruito dalla corteccia visiva
primaria cerebrale, dove arrivano le vie ottiche, come un'immagine unica e, siccome la prospettiva di
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inquadratura dei due bulbi oculari ha un angolo lievemente diverso, ne ricostruisco una
tridimensionalità, una profondità di campo. Ciò vuol dire che i due bulbi oculari, non solo si devono
muovere in maniera coniugata, ma sono anche così perfettamente regolati nella loro dinamica motoria
da mantenere un oggetto singolo, che si muove, continuamente sulle medesime coordinate retiniche,
altrimenti si vedrebbe doppio. Tutto questo avviene per via riflessa, dato che se dovesse avvenire per
via volontaria, saremmo prima di tutto molto più goffi e inoltre occuperemmo completamente la nostra
giornata a pensare ai quattro muscoli retti che regolano i movimenti dei bulbi oculari.
PROPRIOCEZIONE
È inoltre evidente che esistano altri sistemi recettoriali diversi dalla vista che informano il SNC sul
posizionamento dei segmenti corporei nello spazio.
Ad un paziente con sospetta patologia cerebellare viene chiesto dal neurologo di toccarsi la punta del
naso con l'indice, questa manovra verrà poi fatta ripetere ad occhi chiusi: il paziente non riuscirà ad
eseguire questo movimento. Ad occhi chiusi un individuo sano sa dove si trova, muovendola, la punta
del suo indice e sa anche, in quanto possiede una consapevolezza spaziale del proprio corpo, dove
si trova la punta del naso.
Un paziente cerebellare in assenza di afferenze visive non riesce a guidare un movimento e se, per
esempio, gli viene chiesto di camminare in avanti e poi in dietro ad occhi aperti ne sarà in grado, ma
quando gli viene chiesto di compiere la medesima azione ad occhi chiusi, camminando indietro non
sarà capace di tornare a grossomodo nel punto di partenza. Un paziente affetto da una patologia
cerebellare grave, cammina con le gambe molto larghe, allargando quindi la base d'appoggio,
comportamento dovuto ad una sensazione di disequilibrio, con conseguente percezione del rischio di
caduta, esattamente come avviene nei bambini che stanno imparando a camminare.
Nel caso opposto, si consideri una modella che sfila su una passerella, lei è in grado di camminare su
tacchi altissimi e seguendo, passo per passo, una linea dritta, mentre molti di noi non ne sarebbero
minimamente capaci. Guardando la caviglia di una modella, si può notare che non è soggetta
praticamente a nessuna oscillazione, perché lei ha imparato. Il fatto che ci riesca e non si sloghi la
caviglia, avviene perché ha una regolazione del tono muscolare dell'arto inferiore molto migliore della
nostra, in quanto si è allenata ed ha perfezionato il riflesso miotatico in modo tale da consentirle una
così fine regolazione dei gruppi muscolari agonisti e antagonisti che agiscono sulla caviglia – in
condizioni tra l'altro non statiche, ma dinamiche – tale per cui riesce a mantenere perfettamente
l'equilibrio su una base d'appoggio molto ridotta.
Tutta questa serie di esempi serve cominciare a porsi questioni che non sono per niente intuitive, ma che sono
fondamentali per molte discipline: per la neurologia, ovviamente, ma anche, per esempio, per la medicina dello
sport. Si consideri il salto con l'asta, il vincitore di una medaglia d'oro esegue un movimento atletico meraviglioso,
perché ha imparato, poi se si considerasse che chi vince una medaglia d'oro ha imparato meglio di chi non ce l'ha
fatta, allora si introdurrebbe un altro tema, che non riguarda una questione neurologica, si tratta di un tema piuttosto
evanescente dal punto di vista biologico che è il talento. Tuttavia la “talent identification”, cioè l'identificazione
precoce dei talenti, nella medicina dello sport è importantissima. L'apprendimento è invece una questione
neurologica di rilievo, anche nel campo della fisiatria: queste osservazioni messe in una condizione patologica
sono la base del recupero funzionale, il medico fisiatra in presenza di una lesione muscoloscheletrica o neurologica
ha ampi margini di recupero ma deve sapere quello che fa, deve sapere i meccanismi che stanno alla base e che
sono saltati e deve in qualche modo vicariarli, cioè rigenerare meccanismi che sostituiscano quelli saltati dal punto
di vista neurologico, questo è possibile con maggiore o minore successo a seconda dei casi, ma è possibile.
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CLASSIFICAZIONE
La sensibilità si può classificare in base al sistema di trasmissione in protopatica ed epicritica. Infatti
dei tre sistemi analizzati precedentemente, il secondo (quello in cui il secondo neurone è collocato
all’interno della sostanza grigia del midollo) costituisce un esempio di sensibilità protopatica che è
filogeneticamente più antica rispetto al terzo sistema (in cui il secondo neurone è collocato nel bulbo)
che invece va a costituire un esempio di sensibilità epicritica (molto più recente).
Oltre al fatto che i due tipi di sensibilità siano filogeneticamente appartenenti a periodi diversi, un’altra
importante differenza è che la sensibilità epicritica è molto discriminativa a differenza della protopatica.
La capacità di discriminare è quella capacità di percepire come distinti due stimoli diversi (in questo
caso tattili), ma ravvicinati. Un po’ come il potere di risoluzione del microscopio.
La sensibilità tattile dunque ha due componenti: una epicritica e una protopatica. Tuttavia un concetto
molto importante è che l’epicriticità di analisi della stimolazione tattile supera completamente la sua
componente protopatica. Questo significa che la sensibilità tattile epicritica fornisce informazioni molto
più precise dal tatto rispetto alla protopatica.
(Capita mai di incappare nella componente protopatica? No, tranne nel caso dei malati neurologici)
Esempio. Se si interrompono fasci del cordone posteriore di un emimidollo, per una lesione, e quindi si interrompe
la trasmissione del segnale tattile, in particolare della componente epicritica, si avrà totale anestesia? In tal caso
non si genererà una totale anestesia di quei distretti del corpo perché comunque arriveranno dei segnali dalle vie
di trasmissione protopatiche che però sono molto meno discriminativi rispetto a quelli che potevano garantire le vie
epicritiche.
EPICRITICITÀ E PROTOPATICITÀ
La sensibilità epicritica è più discriminativa della protopatica perché ha due caratteristiche:
1) Ha più recettori in periferia
2) Ha un sistema di inibizione laterale
Un maggior numero di recettori consente di individuare con più precisione la zona interessata in
periferia; tuttavia senza un adeguato sistema di inibizione del segnale nervoso verrebbero mandati molti
più segnali di quanti sono necessari, per cui sarebbe difficile distinguere con grande precisione la zona
esatta.
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Esempio. se riceviamo uno stimolo tattile sulla nostra pelle (puntina di
matita sulla mano) come risposta a tale stimolo, sulla pelle stessa, si formerà
una curva che comprenderà uno spazio molto più grande di quanto in realtà
sia la zona stimolata. Perciò è necessario che ci sia un sistema che inibisca
la trasmissione di alcuni segnali (in questo caso quelli più esterni nella curva)
in modo da escludere zone che in realtà non sono interessate alla
stimolazione.
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MIDOLLO SPINALE
Nell'immagine è possibile notare una vertebra cervicale che
circonda il midollo spinale, sezionato trasversalmente ed
avvolto dalle meningi. Inoltre, si può notare una coppia di nervi
spinali che impegna il foro intervertebrale: ciascun nervo
spinale origina dal midollo con due radici, una anteriore ed
una posteriore.
In sezione il midollo spinale appare come due metà
simmetriche unite da un ponte di sostanza grigia: l'emi-midollo
di destra e l'emi-midollo di sinistra. Al centro è individuabile la
sostanza grigia a forma di H (o farfalla), dove risiedono i
pirenofori dei neuroni; la sostanza bianca disposta intorno alla
sostanza grigia è costituita simmetricamente da fibre nervose.
Le fibre sono raggruppate in fasci che hanno le più varie
direzioni cui le principali sono: ascendente e discendente; le
ascendenti sono dirette ovviamente ai centri sovrassiali,
quelle discendenti sono dirette nel midollo.
L'andamento longitudinale delle fibre corrisponde a quello
dell'asse maggiore del midollo.
I nervi spinali sono 31 paia e il segmento di midollo che dà
origine ai nervi prende il nome di mielomero. Vi sono:
8 nervi cervicali di cui la prima coppia origina cranialmente
all'atlante, quindi tra questo e l'osso occipitale; 12 nervi
toracici; 5 nervi lombari; 5 nervi sacrali; 1 coccigeo.
Il midollo spinale origina dalla porzione caudale del tubo neurale, che è rettilinea, e dalle creste neurali
originano i nervi spinali. Mentre la porzione craniale del tubo neurale si allarga in vescicole che daranno
origine alle strutture encefaliche.
Le vescicole che si formano sono tre e prendono il nome di: romboencefalo, mesencefalo e
proencefalo.
• Dalla vescicola romboencefalica avranno
origine il bulbo (midollo allungato) e il ponte che sono entrambi parte del tronco dell'encefalo e il
cervelletto (che ha un ruolo importante nel mantenimento dell'equilibrio) che si trova nella fossa
cranica posteriore.
• Dalla vescicola mesencefalica ha origine il
mesencefalo, la vescicola proencefalica, che è la più craniale, dà origine a due sotto-vescicole: una
telencefalica ed una diencefalica.
• La vescicola telencefalica a sua volta dà origine gli emisferi cerebrali e la vescicola diencefalica dà
origine al diencefalo che resta profondo (sommerso dallo sviluppo delle masse emisferiche).
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Nell'adulto c'è una discrepanza notevole di lunghezza, in quanto il midollo è più corto della struttura
ossea della colonna vertebrale. Questo è un fenomeno progressivo, viene chiamato impropriamente
"risalita del midollo" in quanto non è il midollo che risale, ma semplicemente quest'ultimo cresce meno
della struttura ossea.
Il midollo termina a livello della seconda vertebra lombare, o disco intervertebrale tra L2 e L3. Nella
porzione caudale della colonna vertebrale è possibile individuare il cono terminale, ovvero la
terminazione a cono del midollo. Inferiormente a questo la struttura ossea continua a crescere,
contenendo all’interno un fascio di radici dei nervi spinali che, essendo raccolte insieme, sembrano la
coda di un cavallo e da qui il nome di cauda equina.
La crescita della colonna vertebrale che è più pronunciata “verso i numeri alti delle vertebre”,
differisce dalla crescita del midollo spinale, ma ciò non è determinato da un aumento del numero di
neuroni. Vi è esclusivamente un aumento di volume del midollo causato dall’imponente mielinizzazione
degli assoni. All’inizio gli abbozzi delle vertebre e del midollo hanno la medesima lunghezza, e i nervi
che iniziano ad emergere avevano il loro foro intervertebrale di uscita molto vicino e giungono alle le
strutture periferiche. Successivamente, però, l’accrescimento maggiore della colonna vertebrale porta
a notevoli cambiamenti: le primissime coppie di nervi cervicali, pur restando sostanzialmente orizzontali,
procedono verso il bacino, ma la colonna ha allontanato verso il basso il foro intervertebrale di uscita
dei nervi rispetto al proprio mielomero di origine. Questo fenomeno è massimo per le ultime radici
spinali, le sacrali hanno, infatti, i fori di uscita a livello dell'osso sacro e il loro mielomero di origine a
livello lombare alto. È evidente quindi che la radice fa un lungo percorso intravertebrale per raggiungere
il suo foro di uscita.
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RADICI DEI NERVI SPINALI
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La sostanza bianca viene divisa dalla presenza delle radici anteriori e posteriori in tre cordoni:
posteriore (da fessura posteriore a radice
posteriore); anteriore (da fessura anteriore a
radice anteriore); laterale (tra i due corni).
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percorre il tronco encefalico, giunge fino al talamo controlaterale → nel talamo fa sinapsi con un 3°
neurone → tale neurone invia i suoi assoni alla corteccia sensitiva controlaterale
3. Fibre penetrano in sostanza bianca → si avvicinano alla sostanza grigia ma non entrano → si
collocano nella sostanza bianca del cordone posteriore → piega verso l’alto e sale, percorre il midollo,
giunge nel tronco dell’encefalo → nel bulbo trovano un 2° neurone con cui fanno sinapsi eccitatoria
→ l’assone di questo neurone decussa → giunge nel bulbo controlaterale → piega verso l’alto e arriva
al talamo controlaterale → nel talamo fa sinapsi con un 3° neurone → tale neurone invia i suoi assoni
alla corteccia sensitiva controlaterale
Importante la differenza tra la via 1 e le vie 2 e 3: uno stimolo, da semplice impulso sensitivo, quando
giunge ai centri superiori, diventa percezione sensoriale → la corteccia fa un lavoro interpretativo molto
importante.
Però alla corteccia giungono due diverse vie.
(Come mai abbiamo due vie e non solo una? Che differenze e analogie ci sono tra queste due?)
ANALOGIE DIFFERENZE
Entrambe entrano con radice posteriore
Le fibre si dirigono al talamo e alla corteccia
2 2° neurone
→ posizionamento del
(inizio e fine uguali) n
VIA B e VIA C
Sono vie trineuronali-bisinaptiche: u
Il pirenoforo del 2° neurone Il pirenoforo del 2°
3 neuroni e 2 sinapsi. r
giace nel corno posteriore neurone giace nel bulbo
omolaterale e l’assone o omolaterale e
1° neurone nel ganglio sensitivo decussa n l’assone decussa
2° neurone dipende via filogeneticamente e più via filogeneticamente più
3° neurone talamocorticale antica e lenta. recente e veloce.
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Come conseguenza del progresso delle neuroscienze molti si sono posti il problema di capire
l’eventuale significato biologico/evolutivo delle decussazioni ma nonostante l’avanzamento di molte
ipotesi non c’è ancora nessuna teoria valida.
Il prof. sottolinea l’importanza del ricordare che la conseguenza della decussazione è il passaggio delle fibre da un
emisoma all’altro.
ASCENDENTI
Prendiamo in considerazione la porzione corrispondente al fascio spino-talamico (visibile in blu in
figura), che si divide in fascio spino-talamico laterale (contenuto nel cordone laterale, che ne
costituisce la porzione maggiore) e anteriore (contenuto nel cordone anteriore, che ne costituisce una
porzione più piccola). Questo fascio ascendente si porta al talamo (la zona di destra del midollo alla
parte destra del talamo e la zona sinistra alla parte sinistra del talamo) ed è costituito dagli assoni dei
secondi neuroni il cui il pirenoforo sta nella sostanza grigia del corno posteriore dell’emimidollo
controlaterale. Quindi il fascio spino talamico di destra è formato dagli assoni il cui pirenoforo è nel
corno posteriore di sinistra.
I fasci spino-talamici portano sensibilità protopatica e quindi dolorifica, tattile protopatica e termica
protopatica dell’emisoma controlaterale.
Il cordone posteriore è occupato da due fasci: fascicolo gracile (o di Goll) medialmente e fascicolo
cuneato (o di Burdach) lateralmente. Questi trasportano la sensibilità epicritica dell’emisoma
omolaterale, quindi tattile epicritica e in piccola componente anche termica epicritica e pallestesica. I
fasci di destra si occupano della zona destra del corpo e fasci di sinistra si occupano della zona sinistra
del corpo.
Per esempio: una lesione che interrompe il cordone posteriore di destra blocca, a valle della lesione, la
trasmissione della sensibilità epicritica dell’emisoma dello stesso lato; rimane però la componente
protopatica di destra trasportata dai cordoni laterali (fasci spinotalamici) di sinistra. Questo grazie al
fatto che le due vie si incrociano in zone diverse: una nel midollo e l’altra nel bulbo.
I fasci spinotalamici, gracile e cuneato, sono quindi responsabili del trasporto verso il talamo della
sensibilità somatica, che sia essa protopatica o epicritica.
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I fasci superficiali del cordone laterale sono i fasci spino-cerebellari (in blu in figura), essi vanno dal
midollo spinale al cervelletto e si dividono in fascio spino-cerebellare ventrale e fascio spino-
cerebellare dorsale. Sono omolaterali e quindi ognuno di essi si occupa del proprio lato. Trasportano
la sensibilità propriocettiva, ovvero la sensibilità somatica che viene dai propriocettori, cioè recettori
dell’apparato muscolo scheletrico (principalmente sono fusi neuromuscolari ma anche meccanocettori
delle capsule articolari). È una sensibilità di essenza meccanica: per esempio lo stiramento di muscoli
e tendini.
La maggior parte della sensibilità propriocettiva è separata dal resto della sensibilità somatica epicritica
e propriocettiva (in entrambi i casi diretta al talamo) ed è infatti trasportata da fasci specifici (fasci
spinocerebellari). I fasci spino-cerebellari raccolgono la sensibilità propriocettiva dalla muscolatura degli
arti inferiori e del tronco.
Ricapitolando, la maggior parte della sensibilità propriocettiva somatica del corpo (il 98%) è trasportata
dai fasci spino-cerebellari ventrali, dorsali e rostrali insieme al trigemino cerebellare della testa che
confluiscono tutti nel cervelletto. Al cervelletto arriva quindi il 98% della sensibilità propriocettiva.
Ne manca però una piccola parte (il rimanente 2%) e questa componente minore non si reca al
cervelletto, ma al talamo controlaterale e quindi alla corteccia sensitiva primaria. Infatti, una piccola
quantità della sensibilità propriocettiva entra a far parte a livello midollare delle fibre della sensibilità
tattile epicritica dei fasci di Goll e Burdach (vie più recenti). Questo 2% della sensibilità propriocettiva
somatica ha un’importanza enorme. Recandosi alla corteccia sensitiva primaria a differenza del
cervelletto supera il livello di coscienza, ovvero passa da sensibilità propriocettiva a percezione
propriocettiva. Così facendo assume un significato a livello cognitivo per l’individuo: permette di
rispondere alla domanda “in che posizione sono i propri piedi in un preciso istante, senza guardarli con
gli occhi”. Conferisce quindi la coscienza della posizione dei nostri segmenti corporei nello spazio. Tale
via racchiude tutte le informazioni integrate della tensione delle capsule articolari, della tensione sui
tendini, dell’angolo di flessione o estensione delle nostre articolazioni ecc.
I due fasci spinocerebellari dorsale e ventrale raggiungono il cervelletto per strade lievemente diverse:
le fibre non si incrociano finchè sono midollari, poi le fibre del fascio spinocerebellare dorsale arrivano
senza incrociarsi al cervelletto attraverso il peduncolo cerebellare inferiore; le fibre del fascio
spinocerebellare ventrale si incrociano e arrivano al cervelletto attraverso i peduncoli cerebellari
superiori.
I fasci visti finora sono fasci sensitivi. Questi fasci sensitivi percorrendo il midollo dal basso verso l’alto
si ingrossano sempre di più perché via via si aggiungono fibre provenienti dalle porzioni superiori del
corpo.
Nella sezione del midollo spinale sono inoltre presenti i fasci piramidali (in rosso nell’immagine): uno
laterale detto crociato, risiedente nel cordone laterale e uno più piccolo presente nel cordone anteriore
definito diretto. Sono formati da assoni discendenti dalla corteccia degli emisferi cerebrali e diretti verso
il midollo spinale. Mediano la motricità volontaria. I fasci discendenti, semplificando, più si scende lungo
il midollo più si assottigliano perché inviano fibre motrici. Queste fibre motrici che abbandonano i fasci
discendenti fanno sinapsi con gli α-motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale. Sempre
semplificando se io per esempio decido di flettere le dita, dalla corteccia motrice parte il comando,
attraverso i fasci piramidali discende fino a fare sinapsi (eccitatoria) nel rigonfiamento midollare con gli
α-motoneuroni i quali innervano il flessore comune delle dita.
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Ritornando ai fasci della sensibilità protopatica
(spinotalamici), essi ricevono lo stimolo sensitivo dai gangli
sensitivi posti nelle radici posteriori ai vari livelli di altezza del
corpo. L’assone di questi neuroni gangliari si porta nel corno
posteriore del midollo spinale per fare sinapsi con il secondo
neurone della via. L’assone del secondo neurone si incrocia
portandosi nel cordone laterale controlaterale e piega in alto.
Salendo e passando nel midollo lombare, toracico e cervicale
entra nel tronco dell’encefalo. Infine, raggiunge il diencefalo
nel talamo controlaterale dove si collega al terzo neurone
della via (talamo-corticale) che raggiunge la corteccia
sensitiva. Questi fasci quando escono dal midollo e
procedono all’interno del tronco dell’encefalo,
attraversandolo, prendono il nome di lemnisco spinale.
(lemnisco=nastro).
Per quanto riguarda la via della sensibilità epicritica: le innervazioni periferiche si portano alle radici
posteriori poi entrano nei fasci di Goll e Burdach e senza fare sinapsi risalgono piegando verso l’alto,
rimanendo sempre nel cordone posteriore del midollo. Più si va in direzione craniale più si ingrossano
per poi arrivare al bulbo. Nel bulbo ci sono i due nuclei gracile e cuneato in cui avviene la sinapsi con il
secondo neurone della via. È importante sottolineare come non ci siano fenomeni di convergenza o
divergenza per non perdere l’epicriticità. Quindi l’assone del secondo neurone si incrocia nel bulbo
(100% di incrociamento) dove quelli di destra si portano a sinistra e viceversa. Infine, le fibre,
costituendo una sorta di nastro, si portano al talamo controlaterale. Il nastro prende il nome di lemnisco
mediale.
SOMATOTOPIA
Le fibre all’interno dei fasci di Goll e Burdach sono
organizzate somatotopicamente: ad una fibra
corrisponde un recettore periferico e questa fibra non
compie né fenomeni di convergenza né di divergenza.
Essa non si mescola, non attua sinapsi e si posiziona del
cordone posteriore dello stesso lato da cui genera. Poi
piega verso l’alto e si dirige cranialmente. Man mano che
ci portiamo verso la testa si aggiungono altre fibre, le quali
anch’esse derivano da un solo recettore. Le fibre sono
quindi tutte ordinate e individualizzate (1 fibra : 1
recettore). Salendo lungo il midollo, le fibre che si
aggiungono si posizionano in maniera sempre più laterale.
Quelle più mediali derivano da radici più caudali, mentre quelle più laterali da radici più cervicali. Perciò
da una fibra si può risalire al recettore periferico innervato da quella fibra e quindi alla distribuzione
recettoriale della nostra sensibilità.
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Quindi se un paziente perde la sensibilità epicritica tattile alla cute della caviglia ma la perdita della
sensibilità è delimitata solo a quella zona somatica (quindi conservata nel resto del corpo), bisogna
orientarsi su una lesione a un livello più mediale dei fasci di Goll e Burdach omolaterali. Se la caviglia
è quella destra, allora sarà il cordone omolaterale destro.
DISCENDENTI
I fasci discendenti piramidali sono i fasci della motricità
volontaria. Nell’area motrice primaria dell’emisfero
cerebrale di destra sono concentrati i neuroni il cui
assone è destinato a scendere e ad andare a portare il
comando agli α-motoneuroni per la motricità volontaria
delle corna anteriori del midollo che si trovano nei
rigonfiamenti cervicali e lombari “mano verso spalla”,
”piede verso anca”. Quindi i diversi gruppi muscolari sono
innervati dall'unità motoria degli α motoneuroni, i quali
ricevono il comando motorio discendente tramite questa
via, denominata via “piramidale”.Quando si prende la
decisione di eseguire un movimento (volontario), questo
comando “viaggia” e costituisce una via monosinaptica
bineuronale molto rapida (120 m/s per i neuroni più
grossi), interamente mielinizzata.
In caso di una lesione di questi fasci il deficit della motilità volontaria osservabile in periferia cambia a
seconda del punto in cui avviene la lesione rispetto alla decussazione, quindi è diverso se avviene
sopra o sotto la decussazione. Supponendo che si interrompa l’intero fascio piramidale sopra la
decussazione e prendendo ad esempio gli α motoneuroni delle corna anteriori del midollo di sinistra,
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questi ricevono afferenze motorie da una quota prevalente di fascio piramidale crociato, che nel caso
del nostro esempio si è interrotto, ma ricevono anche una quota dal fascio piramidale diretto che invece
è sano (stesso discorso prendendo simmetricamente quelli dell’altro lato).
Dunque è chiaro che il parziale incrociamento costituisce un meccanismo di relativa salvaguardia di
una motricità residuale; l’avere in ogni emimidollo una quota crociata pur maggioritaria ma anche una
quota diretta con provenienza e decorso diversi (in cordoni diversi del midollo), salvaguardia
parzialmente la motricità residuale.
Si definisce “paralisi” la perdita completa della motricità; si parla invece “paresi” quando la motricità
viene parzialmente conservata seppur largamente alterata.
Recentemente è emerso che i fasci piramidali, a livello midollare, terminano su piccoli interneuroni
situati posteriormente agli α motoneuroni (ovvero alla base del corno anteriore); sono poi gli assoni di
questi interneuroni che proiettano agli α motoneuroni (dunque nel mezzo di questa via è presente più
di una sinapsi).
Questa scoperta è avvenuta in primis nei rettili, in particolare nei serpenti, i quali avanzano strisciando
tramite un movimento ondulatorio dato dalla continua alternanza di concavità e convessità tra emisomi
opposti. Questo tipo di osservazione ha fatto nascere il concetto di “pattern motorio” ovvero di
distribuzione di un comando motorio stereotipato. §L’atto di alternare il pattern di contrazione e
rilasciamento nei segmenti successivi del serpente non può essere un atto volontario, il sistema
nervoso imposta l’alternanza dinamica del movimento.
La decisione del serpente di avanzare infatti è trasportata dall’omologo dei suoi fasci piramidali che non
termina direttamente sugli α motoneuroni ma si distribuisce agli interneuroni che stanno alla base del
corno anteriore (dietro agli α motoneuroni) i quali si incaricano di ridistribuire il segnale (ovvero attivare
e disattivare i gruppi di motoneuroni) in modo tale da generare un pattern motorio. I fasci piramidali
trasportano un segnale motorio volontario: se terminassero direttamente sugli α-motoneuroni il
serpente dovrebbe decidere quale segmento corporeo contrarre e quale rilasciare.
Nell’uomo è presente un meccanismo analogo che permette i movimenti ritmici della deambulazione;
lo stimolo motorio conseguente alla decisione di camminare scende lungo i fasci piramidali ma la
distribuzione fine dei diversi gruppi muscolari per la contrazione ritmica non lo fanno i fasci piramidali
(o sarebbe volontario) ma se ne incaricano questi interneuroni, i cui collegamenti con gli antistanti
motoneuroni si sviluppano con l’acquisizione del movimento.
Il sistema nervoso è gerarchico, ovvero è presente una gerarchia progressivamente sottoposta che
traduce l'ordine generale in un pattern motorio; per fare ciò sono necessari i neuroni associativi che
possiedono collegamenti tali da impostare il pattern motorio a livello della base del corno anteriore.
Questi neuroni associativi ricevono l'input dai fasci piramidali e lo redistribuiscono agli α motoneuroni
in modo che il movimento volontario sia eseguito con il corretto pattern di ripetitività.
[Domanda fatta da uno studente: Alla base di questo movimento ritmico, c’è tutto il discorso del tono basale che
abbiamo fatto all’inizio?
Risposta del professore: Il tono posturale è tonico. Qui stiamo parlando di contrazioni fasiche della muscolatura.
La contrazione fasica è tipicamente una contrazione volontaria, la contrazione tonica invece rende possibile
l'aggiustamento posturale che fa da sottofondo all'azione fasica dell'atto volontario. L’azione fasica ha diverse fasi
che possono essere ritmiche. Fermo restando che ciascuno dei gruppi muscolari coinvolti nell’azione fasica ha il
suo tono muscolare che viene continuamente aggiustato in sottofondo, la ritmicità, cioè il pattern di ridistribuzione
ai diversi gruppi di a-motoneuroni dei diversi gruppi musclolari, è permessa dall’attività α-motoneuronale che dà la
contrazione fasica al momento giusto.]
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SISTEMA NERVOSO AUTONOMO
Fino ad ora abbiamo parlato della componente sensitiva e motrice somatica dei nervi spinali. Sappiamo
che anche i visceri sono innervati grazie al sistema nervoso autonomo, che è organizzato diversamente
rispetto al sistema nervoso somatico. L'innervazione autonoma che raggiunge ciascun viscere è doppia
e normalmente genera azioni opposte.
ORTOSIMPATICO
Nella grande maggioranza dei casi (con qualche eccezione, tra cui la midollare del surrene)
l'organizzazione anatomica sia ortosimpatica che parasimpatica raggiunge il viscere con una sinapsi
nel mezzo: i neuroni coinvolti sono due. La sinapsi fra il primo ed il secondo neurone sia
nell'ortosimpatico che nel parasimpatico avviene perifericamente, fuori dal nevrasse in una struttura
denominata ganglio autonomo (da non confondere con i gangli sensitivi situati nella radice posteriore
dei nervi spinali). Di volta in volta è necessario specificare se sono gangli autonomi del sistema orto- o
para-.
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L'organizzazione del posizionamento del pirenoforo del primo neurone autonomo ed del
posizionamento del ganglio in cui avviene la sinapsi è differente fra l'ortosimpatico ed il parasimpatico.
Il primo neurone è più comunemente denominato "neurone pregangliare" mentre l'altro, il cui pirenoforo
è situato nel ganglio ed il cui assone giunge al viscere, è chiamato "neurone postgangliare".
I gangli ortosimpatici sono situati ai due lati della colonna vertebrale, molto vicini ai fori
intervertebrali (esternamente alla colonna vertebrale). Dunque le fibre pregangliari ortosimpatiche,
ovvero gli assoni dei neuroni pregangliari che stanno nel
corno laterale del midollo da C8 a T12, escono con le
radici anteriori dei nervi spinali toracici. Una volta che il
nervo esce dalla colonna vertebrale esso trova lungo
l'intera colonna vertebrale (non sono nel tratto toracico,
ma dal cervicale al sacrale) una fila di gangli
ortosimpatici paravertebrali.
PARASIMPATICO
Il sistema parasimpatico è organizzato differentemente. Anch’esso ha un ganglio, e quindi un neurone
pregangliare e un neurone postgangliare, e l’organo bersaglio è raggiunto comunque dal neurone
postgangliare.
Le differenze con l’ortosimpatico sono sostanzialmente due: la prima differenza consiste nel fatto che
il neurone pregangliare è situato nel tronco dell’encefalo, quindi fuori dal midollo, per la gran
maggioranza, e per una quota minoritaria nel midollo spinale sacrale (meno del 50%, parasimpatico
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sacrale) il quale serve per un’innervazione parasimpatica dei visceri pelvici. L’innervazione
parasimpatica del resto dell’organismo è fornita dai neuroni parasimpatici troncoencefalici.
Il neurone pregangliare parasimpatico, che per la maggior parte del tubo digerente è di origine
troncoencefalica (nervo vago), entra nella parete e, nella sua distribuzione intramurale, trova il suo
ganglio; la sua fibra postgangliare è pertanto cortissima, essendo già all’interno dell’organo bersaglio.
I neuroni pregangliari parasimpatici sono localizzati quindi nel midollo spinale sacrale e, per la maggior
parte, nel tronco dell’encefalo.
Dal tronco dell’encefalo originano tutti i nervi cranici, ad eccezione dei primi due; è chiaro quindi che se
i neuroni parasimpatici pregangliari stanno per larga parte nel tronco dell’encefalo, saranno i nervi
cranici ad ospitare nel loro insieme di fibre anche le fibre pregangliari parasimpatiche. Lungo la loro
strada tutte queste fibre trovano da qualche parte il loro ganglio e l’organo bersaglio è raggiunto dalle
fibre postgangliari parasimpatiche. Nei gangli orto e para c’è una sinapsi tra i neuroni pre- e
postgangliari, questa sinapsi è colinergica nei gangli del parasimpatico e, nella maggior parte dei casi,
è adrenergica nei gangli ortosimpatici.
TRONCO ENCEFALICO
Il midollo spinale continua in alto senza interruzioni con la porzione allungata, sostanzialmente cilindrica
dell’encefalo, che per questo motivo prende il nome di tronco dell’encefalo (eng: brain stem). Il tronco
dell’encefalo in alto, macroscopicamente, si perde nella base del cervello senza confini netti, in
particolare si perde nel diencefalo, la porzione più centrale e profonda del cervello. Ha rapporti di
continuità inferiormente col midollo spinale, con il quale si continua quando esso entra nella scatola
cranica attraverso il grande forame occipitale, che assumiamo come linea di confine. È diviso in tre
porzioni che sono: una più inferiore, il bulbo, una intermedia, il ponte e una porzione superiore, il
mesencefalo. Sono tutte in continuità tra loro, tanto che per trovare dei confini tra queste sfruttiamo
delle strutture anatomiche superficiali.
Il bulbo ha una struttura cilindrica, si allarga un po’ nella sua porzione superiore, ha delle irregolarità di
superficie, ma sostanzialmente è cilindrico come il midollo, tanto che è noto anche come midollo
allungato. La struttura superficiale che prendiamo come riferimento di confine con il ponte si chiama
solco bulbopontino, un solco poco profondo cui fa seguito in alto il ponte.
Il ponte ha una struttura macroscopica palesemente diversa, è rigonfio anteriormente ed è
caratterizzato da un ammasso di fibre nervose ad andamento trasversale che sembra passino a ponte
sulla struttura. Superiormente il ponte termina con un altro solco poco profondo detto
pontomesencefalico.
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Le strutture che vediamo anteriormente del mesencefalo sono i due grossi peduncoli che prendono il
nome di peduncoli cerebrali, i quali spariscono nella base dell’encefalo. Il tronco dell’encefalo è
lievemente obliquo in avanti e poggia con la sua faccia anteriore sul clivus dell’occipitale (di cui segue
l’inclinazione) dalla sua porzione inferiore, vicina al gran forame occipitale, fino alla porzione superiore
corrispondente al dorso della sella. Ovviamente tra la struttura del tronco e la superficie ossea, vi sono
interposte le tre meningi (dall’interno all’esterno: pia madre, spazio subaracnoideo, aracnoide e dura
madre).
Molto spesso nelle immagini viene raffigurata una struttura al di sopra del mesencefalo che non fa parte
del tronco encefalico, il chiasma ottico. Il chiasma ottico topograficamente si trova al di sopra della sella
turcica, e quindi molto vicino al tronco dell’encefalo. Il mesencefalo si perde nel diencefalo, senza un
reale confine macroscopicamente percepibile, con i peduncoli cerebrali.
I neuroni contenuti all’interno della radice posteriore hanno un significato sensitivo, mentre quelli
contenuti all’interno della radice anteriore hanno un significato motore. L’apice del corno anteriore
contiene gli alfa (α) e i gamma (γ) motoneuroni rispettivamente per le fibre extra- e intra- fusarie della
muscolatura striata scheletrica, si può quindi dire che la metà anteriore del corno anteriore ha un
significato somato-motore.
Nel midollo spinale esistono anche neuroni viscero-effettori pregangliari, che si trovano nel midollo
toracico e nel midollo sacrale (quelli toracici sono neuroni pregangliari ortosimpatici e quelli sacrali sono
neuroni pregangliari parasimpatici). Essi sono posizionati nella radice laterale, ovvero alla base della
radice anteriore dietro ai neuroni somatomotori, dove si distingue un’area somato-effettrice da un’area
viscero-effettrice.
Allo stesso modo la radice posteriore contiene fibre sensitive e si suddivide in area somato-sensitiva e
area viscero-sensitiva: esiste dunque anche una sensibilità viscerale (per esempio può essere
sensibilità dolorifica, oppure sensibilità da distensione della parete gastrica dalla quale origina il senso
di sazietà dopo un pasto). I nervi spinali sono tutti misti e simmetrici, le radici anteriori sono tutte
effettrici e tutte contengono sia fibre effettrici viscerali che motorie, allo stesso modo le radici posteriori
sono sensitive e contengono sia fibre sensitive viscerali che motorie.
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Considerando i nervi cranici, quando si passa dal midollo al tronco encefalico, al confine del tronco
encefalico la struttura ad H della sostanza grigia si scompagina completamente e il raggruppamento di
neuroni della sostanza grigia cambia forma: si perde la forma ad H e l’interno del tronco encefalico
assume una struttura particolare costituita da sostanza bianca dentro la quale sono immersi dei nuclei
di sostanza grigia.
La sostanza grigia quindi non è più tutta insieme compattata ma si frammenta in tanti nuclei, che si
devono immaginare a forma di cilindro, immersi nella sostanza bianca del tronco encefalico. La
scompaginazione della struttura compatta della sostanza grigia del midollo non avviene casualmente
ma segue uno schema di pianificazione funzionale: il significato funzionale dell’ex radice anteriore
(motorio) e di quella posteriore (sensitivo) ruotano. Grazie a questa rotazione i nuclei motori somatici e
viscerali dei nervi cranici si trovano immersi nella sostanza bianca del tronco encefalico in posizione
mediale, mentre i nuclei a significato sensoriale viscerale e somatico (che nel midollo erano posizionati
nella radice posteriore) si trovano ora lateralmente.
La sequenza originaria quindi si trasforma: l’area in cui sono accumulati i nuclei somato-motori dei nervi
cranici (che prima era la parte anteriore) diventerà quella più vicina alla linea mediana. Lateralmente
all’area somato-effettrice avremo invece l’area viscero-effettrice (ex base della radice anteriore), e
lateralmente a quest’ultima avremo l’area viscero-sensitiva (ex base della radice posteriore); la più
laterale di tutte sarà quella somato-sensitiva.
BULBO
Ha una forma approssimativamente cilindrica, ma irregolare, ed è caratterizzato da due protuberanze
di forma vagamente piramidale con l’apice rivolto verso il basso, da qui il nome di piramidi bulbari. Nella
lezione precedente si è visto che i fasci piramidali del midollo, che devono proprio il nome alle piramidi
del bulbo, si incrociano lungo il loro decorso all’80% (le fibre dei fasci piramidali sono circa 1 milione
per parte, quindi 800mila passano da destra a sinistra e viceversa). Nel punto di incrociamento, le fibre
sono molto superficiali e producono il rigonfiamento che caratterizza le piramidi bulbari.
Queste sono le fibre discendenti della motricità volontaria, che hanno il loro pirenoforo nelle aree motrici
primarie della corteccia, e che vanno verso il midollo spinale. Durante la loro discesa devono percorrere
tutto il tronco dell’encefalo, e quando arrivano a livello del bulbo sono molto superficiali e protrudono
anteriormente; è a questo livello che si ha l’incrociamento. Sulla faccia laterale del bulbo,
posterolateralmente rispetto a ciascuna piramide bulbare, c’è un altro rigonfiamento che si chiama oliva
bulbare. Questo rigonfiamento è prodotto dalla presenza di un grosso nucleo che sta dentro al bulbo, il
cosiddetto nucleo olivare.
Tra i due rigonfiamenti (piramidale e olivare) c’è un solco che li separa, il solco pre-olivare; ce n’è un
altro, sulla faccia laterale del bulbo, posteriormente all’oliva che è il solco retro-olivare. Sia dal solco
pre-olivare che dal solco retro-olivare originano parecchie radici nervose, che sono le radici nervose
dei nervi cranici. Anche dal solco bulbopontino originano diversi fasci di fibre nervose. Ce n’è un altro
che origina dal ponte: è l’origine apparente del trigemino. Altri ancora originano dal mesencefalo.
Completiamo la morfologia esterna del bulbo con la faccia posteriore, che si presenta piuttosto diversa
da quella anteriore. Al centro della faccia posteriore del tronco dell’encefalo c’è una fossa, una
depressione, che in realtà è stata scoperchiata, non essendo visibile in un preparato anatomico non
manipolato. La sua vista è preclusa da un organo estremamente importante, collegato tramite tre paia
di peduncoli con la faccia posteriore del tronco encefalico, il cervelletto.
Il cervelletto occupa la porzione inferiore (porzione sottotentoriale) della fossa cranica posteriore. La
porzione superiore della fossa cranica posteriore è occupata dai lobi occipitali degli emisferi cerebrali;
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c’è poi una specie di piega della dura madre che è tesa orizzontalmente fra l’osso occipitale e le piramidi
temporali. Questa specie di “mensola”, che ha la funzione strutturale di sorreggere i lobi occipitali, divide
la fossa cranica posteriore in due settori e si chiama tentorio del cervelletto. La faccia anteriore del
tronco dell’encefalo poggia sul clivus dell’occipitale, mentre la faccia posteriore è nascosta largamente
dal cervelletto, il quale è collegato tramite tre grosse coppie di peduncoli all’encefalo. Vi sono due
peduncoli inferiori, due medi e due superiori, che rappresentano il 100% delle connessioni del
cervelletto con il sistema nervoso centrale. I peduncoli cerebellari inferiori collegano il cervelletto con il
bulbo, i peduncoli cerebellari medi lo collegano con il ponte e i peduncoli cerebellari superiori lo
collegano con il mesencefalo.
Se si sposta il cervelletto è visibile la faccia posteriore scoperchiata del tronco dell’encefalo, che è
caratterizzata da una depressione centrale che costituisce il pavimento di una cavità che prende il nome
di 4° ventricolo (il cervelletto rappresenta la
volta di questa cavità). I confini tra le diverse
zone del tronco dell’encefalo della superficie
della faccia posteriore sono meno
distinguibili rispetto a quella anteriore, sono
però visibili in rilievo, in zona bulbare, i fasci
dei cordoni posteriori, ovvero i fasci di Goll
e di Burdach, che stanno salendo verso
l’alto. Questi fasci continuano
superiormente fin quando il bulbo rimane
cilindrico, ma in prossimità del confine
inferiore del 4° ventricolo la superficie
posteriore del bulbo si apre a limitarlo.
Nel complesso il 4° ventricolo ha una forma di un rombo, divisibile in due triangoli: un triangolo inferiore,
appartenente ancora al bulbo, e uno superiore che costituisce la faccia posteriore del ponte. La
superficie dorsale del bulbo è quindi divisa in 2 parti: una porzione cilindrica che viene dal midollo con
cui ne condivide la struttura, e una porzione triangolare a forma di fossa appartenente al pavimento del
4° ventricolo.
Posteriormente non c’è segno di confine tra il ponte e il mesencefalo e la faccia posteriore di
quest’ultimo è completamente diversa da quella anteriore in quanto su quella anteriore sono presenti i
due peduncoli cerebrali, mentre quella posteriore è caratterizzata da una lamina nervosa quadrata, con
quattro rilievi, che prende il nome di lamina quadrigemina.
NUCLEI
Nucleo ambiguo e nucleo motore dorsale del vago. L’origine delle fibre somatomotrici del vago e
del glossofaringeo è posta, rispettivamente, nella porzione media e all'apice di una grossa colonna
nucleare chiamata nucleo ambiguo, che si trova in posizione mediale. Spostandosi lateralmente si
potrà poi trovare la colonna da cui si dipartono le fibre visceroeffettrici del vago, ossia il nucleo motore
dorsale del vago. Quest'ultimo, secondo una vecchia denominazione, viene anche indicato come
nucleo cardio-pneumo-enterico, per ricordare l’estensione dell’innervazione viscerale (il territorio di
innervazione è in realtà ancora più vasto, però questi sono i suoi capitoli principali).
Nuclei salivatori. La porzione apicale del nucleo motore dorsale del vago è sede di un gruppo di
neuroni pregangliari para(meno numerosi rispetto a quelli vagali) pertinenti al glossofaringeo. Questi
neuroni costituiscono il nucleo salivatorio inferiore, da cui partono le fibre che vanno a innervare la
parotide. Il nucleo salivatorio superiore, di pertinenza del VII, si occupa invece dell’innervazione
delle altre due ghiandole salivari maggiori (sottomandibolare e sottolinguale).
41
Spostandosi ancora lateralmente ci si trova in zona sensitiva, viscerosensitiva e somatosensitiva. Per
quanto concerne la porzione viscerosensitiva, vediamo che questa grossa colonna nucleare è unica,
attraversa il bulbo e anche una parte del ponte (la porzione più bassa di quest’ultimo).
Nucleo del tratto solitario Cranialmente non sono presenti altre colonne nucleari di questo tipo. Ciò
ci indica che, per quanto riguarda la sensibilità viscerale generale e specifica per il senso del gusto, c’è
un’unica colonna nucleare nel tronco dell’encefalo. Quindi tutti i neuroni terminali di questo tipo di
sensibilità viscerale generale (raccolta dai nervi cranici) e speciale gustativa sono raccolti da questa
colonna nucleare la quale, proprio in virtù di quanto detto, viene chiamata solitaria. Le fibre che vi
entrano sono moltissime perché
riguardano tutta la sensibilità
viscerale. Inoltre questo nucleo
è accompagnato da un fascetto
di fibre che gli sta attorno;
queste fibre progressivamente
terminano nel nucleo
conferendo a quest’ultimo il
nome completo di nucleo del
tratto solitario (per tratto
solitario si intende il fascicolo di
fibre che accompagna il nucleo
solitario).
Tra i nervi cranici che raccolgono la sensibilità viscerale generale e specifica del gusto troviamo
sicuramente il X, il IX e il VII paio. Il X vanta un territorio vastissimo di raccolta della sensibilità viscerale
poiché vastissimo è il suo territorio di innervazione (cardio-pneumo- enterico). Visto che il nostro
sistema nervoso costruisce già un tracciato, inviando il vago con tutte le fibre parasimpatiche, tanto
vale che in questo tracciato inserisca anche delle fibre sensitive viscerali, trasportanti informazioni
provenienti da recettori contenuti nella parete di bronchi, polmoni, glomi, seno aortico, seno carotideo,
parete dell’esofago e dello stomaco.
La maggior parte del nucleo del tratto solitario contiene neuroni sensitivi che raccolgono la sensibilità
viscerale, soprattutto a carico del X, ma anche a carico del IX nervo e, in quota minore, del VII nervo.
Le fibre sensitive trasportate dal VII nervo terminano all’apice del nucleo del tratto solitario e riguardano
principalmente, se non esclusivamente, la sensibilità gustativa. Per quanto riguarda i nervi IX e X,
avremo invece essenzialmente fibre della sensibilità viscerale generale. Esse saranno poi
accompagnate, in entrambi i nervi, da una piccola quota di fibre della sensibilità gustativa. Questi tre
nervi sono razionalmente disposti a raccogliere distretti diversi di sensibilità simili.
Nucleo gustativo. Esso è viscerosensitivo e la porzione apicale del nucleo solitario è principalmente
gustativa. La maggior parte di questa sensibilità gustativa fa capo al VII nervo, mentre una piccola
quantità di sensibilità gustativa è di pertinenza del IX e del vago. Le papille anteriori al V linguale sono
innervate dal settimo, quelle immediatamente posteriori ad esso dal nono, mentre le poche papille
situate nella mucosa della radice della lingua, nel punto in cui essa piega sulla faccia anteriore
dell’epiglottide, sono innervate dalla componente del decimo. Quindi il settimo fa la maggior parte del
lavoro, il nono interviene in modo abbastanza imponente, mentre il decimo fornisce un contributo assai
esiguo.
Nucleo del tratto discendente del trigemino. Spostandosi poi lateralmente, troveremo una grossa
componente sensitiva somatica del V. I tre nervi hanno infatti anche una componente di raccolta della
sensibilità somatica: per il X è piccola, per il IX è un po’ più grande, per il VII è anche abbastanza
esigua. Per la raccolta della sensibilità somatica ci sono dunque fibre sensitive che viaggiano nel X e
nel IX. Tuttavia, essendo poche, queste fibre vengono dirottate (nonostante perifericamente decorrano
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nei nervi appena citati) centralmente insieme a quelle della sensibilità generale della testa, terminando
in comune a livello del nucleo del tratto discendente del trigemino.
Ci aspettiamo inoltre - osservando lo schema nella pagina successiva - di trovare in questa zona, che
è ancora midollare, delle strutture nucleari grigie. Esse si trovano in questa posizione per delle ragioni
filogenetiche, e sono quindi migrate lì invadendo lo spazio sottostante il bulbo.
Si tratta di 2 strutture:
1) Nucleo del nervo accessorio spinale (XI). Le fibre che nascono da questo nucleo corrono con il nervo
accessorio, che ha 2 componenti. Quella che deriva da questo nucleo si chiama “nervo accessorio
spinale” appunto per il fatto che origina da un nucleo che sta nei primi mielomeri del midollo cervicale.
È un nucleo motore puro e si trova in questa posizione paramediana.
43
In questo punto infatti fanno sinapsi quei neuroni le cui fibre poi danno origine ai fasci spino-talamici
controlaterali che trasportano la sensibilità protopatica. Quindi questa porzione proprio centrale e
apicale del corno posteriore del midollo, che in tutto il resto del midollo ha significato di terminazione di
fibre della sensibilità generale della via protopatica, nei mielomeri alti viene sostituita progressivamente
(senza interruzioni visibili), dalla porzione caudale del nucleo del tratto discendente del trigemino.
Allora, sulla base di quello che sappiamo del corno posteriore e delle sinapsi che avvengono lì, e
vedendo anatomicamente che il corno posteriore nei mielomeri più alti viene sostituito dal nucleo del
tratto discendente del trigemino, possiamo arrivare a supporre che il tipo di sensibilità che viene raccolto
da questo nucleo sia l’omologo qualitativo di quello che per tutto il resto del corpo viene trasportato
dalle radici posteriori in termini di sensibilità protopatica.
Effettivamente lo vedremo bene facendo il trigemino che la sensibilità protopatica della testa e della
faccia farà capo al nucleo del tratto discendente del trigemino. Vedremo poi che la sensibilità epicritica
della testa e della faccia farà capo al nucleo pontino e la sensibilità propriocettiva farà capo al nucleo
mesencefalico. Per cui il trigemino ha tanta sensibilità che suddividiamo in protopatica, epicritica e
propriocettiva. Il nervo dunque ha tante fibre che, una volta entrate a livello pontino, si distribuiscono in
base alla natura del segnale trasportato. In questo modo i segnali non si mescolano tra di loro ma hanno
delle terminazioni nucleari specifiche, che fanno tutte parte del grande nucleo sensitivo del trigemino.
Siccome il trigemino entra a livello pontino (cioè la sua origine apparente è nel ponte), poi le fibre per
distribuirsi un po’ salgono, un po’ vanno dritte, tante scendono e accompagnano questo nucleo lungo
la sua lunghezza terminando man mano nel nucleo e facendo sinapsi. Dunque il nucleo è
accompagnato da un fascicoletto di fibre trigeminali che progressivamente terminano nel nucleo.
Questo fascicoletto si chiama “tratto discendente del trigemino” e si porta appunto al nucleo del tratto
discendente del trigemino.
Sempre nei primi mielomeri cervicali, la zona di fibre che fa da cappuccio all’apice del corno posteriore,
è proprio rappresentata dalle fibre trigeminali più basse che stanno entrando nel nucleo corrispondente.
Esse rappresentano l’omologo trigeminale di quelle che sono le fibre della normale sensibilità generale
protopatica della radice posteriore di qualunque altro nervo spinale. Esiste quindi una simmetria
costruttiva, e c’è una fortissima analogia anatomica che corrisponde a una piena analogia funzionale.
SEZIONE BASSA
Si intuisce ancora un po’ minimamente la
forma della sostanza grigia del midollo
però si vede come i fasci piramidali si
stanno incrociando. A questo livello i fasci
- che in una sezione più alta sarebbero
completamente anteriori e molto grossi
(circa 1’000’000 fibre per parte) si stanno
incrociando. L’80% da anteriore che era si
porta controlateralmente e finirà nel
cordone laterale dove poi lo ritroviamo in
tutto il percorso successivo. Al di sotto
della decussazione si ha quindi:
● Fascio piramidale crociato: si trova nel cordone laterale e trasporta fibre motrici all’emisoma
controlaterale. È di dimensioni maggiori rispetto al secondo.
● Fascio piramidale diretto: si trova nel cordone anteriore e trasporta fibre motrici all’emisoma
omolaterale.
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Salendo invece di sezione, al di sopra dell’incrociamento, i fasci piramidali sono molto superficiali (come
si può vedere anche osservando la morfologia esterna del bulbo) e producono quei rigonfiamenti a cui
debbono il nome “piramidi bulbari”. Al di sopra della decussazione tutte le fibre della piramide di sinistra
vengono da sinistra, lo stesso per quelle di destra. L’incrociamento delle piramidi “decapita” il corno
anteriore di cui non troveremo più traccia da questo momento in su.
Abbastanza rilevanti sono i nuclei di Goll e di Burdach che si vengono a costituire all’interno dell’ex
cordone posteriore, appunto nei fasci di Goll e di Burdach. Le fibre di questi fasci stanno trasportando
la sensibilità epicritica. Sono rappresentati dai rami centrali di divisione dei neuroni pseudounipolari
(della sensibilità epicritica) posti nei gangli spinali lungo le radici posteriori dei nervi spinali. Essi non
hanno ancora fatto sinapsi, per cui sono ancora gli assoni dei neuroni sensitivi pseudounipolari i cui
pirenofori si trovano nei gangli spinali. Questi assoni dunque: entrano nel midollo, non fanno sinapsi nel
corno posteriore, si mettono (con disposizione somatotopica) nei fasci gracile e cuneato e piegano
verso l’alto andando su lungo tutto il midollo. Portano quindi la sensibilità epicritica dell’emisoma
omolaterale.
Tali assoni si interrompono negli omonimi nuclei che sono situati nel bulbo. Rappresentano i primi nuclei
propri del tronco dell’encefalo che si trovano salendo dal midollo. Non sono collegati ai nervi cranici,
che nulla c'entrano in questo discorso. Sono nuclei che ricevono afferenze sensitive e poi le
ritrasmettono da qualche parte. Sappiamo, facendo delle sezioni superiori, come si comporta questa
via: le fibre sono organizzate somatotopicamente, la somatotopia viene mantenuta anche nelle stazioni
sinaptiche quindi ci sarà un rapporto 1:1 tra fibre dei fasci e neuroni dei nuclei: ogni fibra fa sinapsi con
un singolo neurone e non c’è né convergenza né divergenza. Il neurone del nucleo è il secondo della
via della sensibilità epicritica. Sappiamo che gli assoni di questi neuroni si incroceranno (100%) sulla
linea mediana, piegheranno verso l’alto e andranno verso i talami contro-laterali.
La sensibilità protopatica viene portata dai fasci spino-talamici che a livello del bulbo continuano nel
lemnisco spinale. Queste fibre sono gli assoni del 2° neurone il cui pirenoforo sta nel corno posteriore
del midollo ai diversi livelli, e sono già crociate.
La sensibilità epicritica viene portata dai fasci di Goll e di Burdach. Sono costituite dai fasci del primo
neurone di questa via sensitiva e trasportano la sensibilità del soma omolaterale. Il pirenoforo di questi
neuroni sta nei gangli sensitivi delle radici posteriori del midollo. Dopo aver percorso tutto il cordone
posteriore del midollo arrivano nel bulbo dove trovano i loro nuclei (di Goll e di Burdach) e lì fanno
sinapsi con il 2° neurone della via. L’assone efferente da questi secondi neuroni è quello che si incrocia.
Sono entrambe vie trineuronali ed è sempre il secondo assone che fa l’incrociamento. La differenza sta
nel fatto che il secondo neurone è fisicamente collocato nelle due vie in due posti diversi. Quindi il
lemnisco spinale è già crociato e sta andando verso il talamo trasportandovi la sensibilità protopatica
dell’emisoma controlaterale. Quelli di Goll e Burdach non si sono ancora incrociati, però si incroceranno
formando in seguito il lemnisco mediale che trasporterà al talamo la sensibilità epicritica dell’emisoma
controlaterale.
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SCHEMA RIASSUNTIVO Sensibilità protopatica Sensibilità epicritica
A livello bulbare Corre nel lemnisco spinale Corre nel lemnisco mediale
(dopo che le fibre efferenti del
2° neurone si sono incrociate)
Risultato finale: tutta la sensibilità generale, sia quella protopatica che quella epicritica, arriva - per vie
diverse - al talamo controlaterale.
SEZIONE INTERMEDIA
Prendiamo ora in considerazione una sezione lievemente più alta del bulbo. È già stato descritto
precedentemente il comportamento dei fasci piramidali al di sopra del loro incrociamento. I fasci di Goll
e Burdach a questo livello si assottigliano sempre di più, perchè terminano lì. In compenso si ingrossano
i corrispondenti nuclei e in questa immagine si vedono gli assoni efferenti dai nuclei di Goll e di Burdach
che originano orizzontalmente e
convergono sulla linea mediana.
Dopo di che si incrociano tutti
massicciamente in un piccolo spazio
del bulbo, e una volta incrociati
totalmente piegano verso l’alto e si
dirigono i due talami controlaterali.
Questi fasci che si originano, una
volta incrociati, prendono il nome di
lemnischi mediali. La somatotopia
presente nei fasci di Goll e Burdach,
viene mantenuta nei nuclei, e
naturalmente nei lemnischi mediali.
A questo livello di sezione, in posizione paramediana troviamo il nucleo del nervo ipoglosso (XII). È
nucleo motore somatico per la muscolatura della lingua.
La superficie posteriore del bulbo non è tutta uguale. In questa porzione, ancora bassa è cilindrica come
nel midollo poi però gli ex cordoni posteriori si divaricano e formano il limite inferiore di quella fossa che
è il IV ventricolo. Quindi ci aspettiamo che la faccia posteriore di una sezione intermedia o alta del
bulbo, e poi anche del ponte, si spiani a formare una zona un po’ concava che rappresenta il pavimento
del IV ventricolo.
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SEZIONE ALTA
Le efferenze di Goll e Burdach a
questo livello si sono incrociate
completamente e si sono costituiti
2 grossi fasci di fibre molto
distribuite antero-posteriormente.
Poi salendo nel ponte e nel
mesencefalo quelle fibre verranno
sospinte da altre strutture
anatomiche e finiranno per ruotare
frontalmente. (⌽ → ⦵
)
Mentre i lemnischi mediali salgono
e ruotano mantengono comunque
l’organizzazione somatotopica
delle fibre che andrà seguita man
mano che il fascio si muove.
Eventuali problemi vascolari che comportino l’interruzione della trasmissione di una parte di quelle fibre faranno
perdere la sensibilità epicritica in una zona dell’emisoma controlaterale abbastanza specifica, più o meno grande,
ma comunque somatotopicamente identificabile
Anteriormente ci sono sempre i fasci piramidali. Siamo sopra la decussazione quindi sono omolaterali.
Medialmente ci sono i lemnisci mediali appena costituiti, dopo il loro totale incrociamento. Lateralmente
troviamo i fasci spino-cerebellari ventrali e dorsali e i lemnischi spinali
Questa sezione del bulbo è fatta a livello dell’oliva bulbare. Si vedono quindi sulla superficie il solco
pre-olivare e quello retro-olivare, da cui avevamo visto originare, con varie radicolette nervose qualche
nervo cranico. [n.d.s IX, X e XI]. L’oliva bulbare è un nucleo proprio del bulbo - quindi non ha nulla a che
vedere con i nervi cranici - di grosse dimensioni che in sezione appare come un cordoncino seghettato.
Ne riparleremo quando vedremo il cervelletto perchè tutte le sue efferenze sono sostanzialmente dirette
lì per cui vale la pena trattarli insieme.Nella sostanza grigia del pavimento del IV ventricolo si trovano
parecchie strutture grigie nucleari relative ai nervi cranici le quali si accumulano quasi tutte
superficialmente in questa zona.
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PONTE
SEZIONE BASSA
Prendendo come riferimento la faccia posteriore siamo a livello del triangolo bulbare (pavimento IV
ventricolo).
Possiamo notare a livello del ponte una componente del VII nervo, che è il nervo faciale, un po’ più in
alto del VI e del V. Il VI nervo è il nervo abducente che è destinato ad un muscolo dell'occhio, il V è la
componente motrice del trigemino che è sostanzialmente destinato ai muscoli masticatori. Nella
porzione più bassa del ponte troviamo il nucleo del VII, ancora del V e dell’VIII nervo in posizione
laterale. Intorno ai peduncoli cerebellari inferiori si sviluppano i nuclei cocleari e i nuclei vestibolari che
sono tutte e due componenti del VIII nervo che specificamente si chiama nervo acustico e che è
sensitivo puro. Mentre invece il VII nervo che è chiaramente un nervo misto (come il IX e il X) e contiene
tutte e quattro le componenti cioè:
● Una somatomotrice di origine branchiale per l’innervazione del secondo arco branchiale.
● Una componente viscero-effettrice pregangliare parasimpatica destinata alle altre due
ghiandole salivari (la sottomandibolare e la sottolinguale) e la ghiandola lacrimale. Il nucleo del
IX che interessa le medesime parti (sottolinguale e sottomandibolare) è il nucleo salivatorio
inferiore, in questo caso è il nucleo salivatorio superiore e anche lacrimatorio.
● La componente principale della sensibilità viscerale specifica gustativa per le papille anteriori
al solco terminale (V linguale).
● Una piccola componente somatosensitiva che si addossa alle altre e finisce nel nucleo
discendente del V.
I lemnischi in una sezione più bassa erano in posizione sagittale paramediana, in questo caso, nella
figura a destra, i lemnischi sono ruotati in posizione frontale. Quello che era anteriore diventerà laterale
e quello che era posteriore diventerà mediale.
Nella sezione trasversale abbiamo invece una porzione anteriore che prende il nome di piede del ponte,
ed una porzione posteriore che prende il nome di calotta pontina.
A livello basso pontino e alto bulbare, intorno al solco bulbo-pontino, posteriormente di lato continuiamo
a trovare con la sezione i peduncoli cerebellari inferiori; i quali vengono dal bulbo e poi piegano indietro
ed entrano nel cervelletto (nella sezione del tronco dell'encefalo troveremo quelli medi che stanno un
po’ più in alto).
Anteriormente nel piede pontino si trovano i due fasci piramidali che sono più profondi rispetto al bulbo
(ci troviamo sopra la decussazione quindi il destro corrisponde al destro e al sinistro al sinistro). Si
notano, sempre a livello del ponte, tanti nuclei sparpagliati di sostanza grigia in mezzo a una grande
quantità di fibre ad andamento orizzontale. Queste fibre sono quelle che si vedono in superficie cui il
ponte deve il suo nome, quindi trasversali rispetto all'asse maggiore. Tutto l'insieme di questi nuclei è
denominato: nuclei basilari del ponte.
I nuclei basilari del ponte ricevono una grande quantità di afferenze discendenti dalla corteccia, in
particolare da un’area che si chiama: area premotoria della corteccia. Quindi sono dei fasci discendenti
dalle aree premotorie, principalmente area sei della corteccia, che scendono nel piede del ponte e
terminano su tutti i nuclei basilari del ponte e fanno sinapsi. Le efferenze dai nuclei basilari del ponte
sono orizzontali, si incrociano totalmente sulla linea mediana (100%: destro equivale a sinistro e sinistro
equivale a destro) e poi piegano indietro e vanno a costituire, a un livello più alto di questa sezione, i
peduncoli cerebellari medi. I nuclei basilari del ponte, quindi, sono la stazione intermedia sinaptica di
una proiezione cortico-ponto-cerebellare (cortico: aree premotorie della corteccia, ponto: nucleo
basilare del ponte, cerebellare: peduncoli cerebellari medi) che è una proiezione crociata.
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Posteriormente troviamo lemnischi mediali. Il fascio spinocerebellare dorsale è entrato nel cervelletto
dentro al peduncolo cerebellare inferiore, mentre invece si trova ancora il fascio spinocerebellare
ventrale perchè questo entra nel peduncolo cerebellare superiore. Posteriormente troviamo i nuclei dei
nervi cranici nel grigio del pavimento del IV ventricolo. Lateralmente troviamo quello che rimane del
peduncolo cerebellare inferiore che, a livello basso-pontino, si interpone fra due nuclei: (di colore
azzurro in figura) nucleo cocleare ventrale perché è anteriore e nucleo cocleare dorsale. Questi due
nuclei ricevono le afferenze cocleari per l'appunto dell’VIII nervo che sono sostanzialmente afferenze
uditive.
Tutte le fibre somatomotrici del facciale
fanno un giro/uncino, prima di uscire,
intorno al nucleo del sesto nervo
cranico. Quest’ultimo è molto
superficiale e si genera una sporgenza
sul pavimento del quarto ventricolo
chiamata collicolo facciale. Si noti che
è generata solo dal giro delle fibre
somatomotrici e non da tutte quelle del
facciale.
Questo ginocchio si forma perché i
nuclei del VI e VII sono vicini e le fibre
del VII passano posteriormente al VI,
durante lo sviluppo il nucleo del VI si superficializza posteriormente e le fibre del VII essendo dietro
vengono trascinate, formando un uncino.
Il facciale ha perciò due ginocchi:
o il ginocchio esterno è quello nel canale facciale
o il ginocchio interno è il percorso a uncino delle fibre somatomotrici dentro il ponte.
In posizione mediale sul pavimento del quarto ventricolo, nel triangolo pontino, c’è il nucleo del VI
nervo cranico (abducente). Emerge anteriormente nella porzione mediale del solco bulbopontino.
SEZIONE ALTA
Posteriormente il pavimento del 4 ventricolo non è più aperto, ma comincia a restringersi verso l’alto
(Il pavimento è romboidale e si tratta dell'apice superiore). Salendo l’apice diventerà un canale
(acquedotto mesencefalico) che collegherà il 4° ventricolo con il 3° ventricolo.
● Il 4° è la cavità del rombencefalo che è il residuo della cavità neurale della vescicola
romboencefalica (vescicola inferiore).
● Il 3° è la cavità dentro alla vescicola diencefalica.
49
Lateralmente c’è la sezione dei peduncoli cerebellari medi, che sono costituiti da fibre crociate efferenti
dei nuclei basilari del ponte, queste fibre provengono dalla corteccia cerebrale e vanno al cervelletto.
Anteriormente le fibre del ponte scompaginano i fasci piramidali, che stanno scendendo ma incrociano
le fibre basilari del ponte che passandogli in mezzo prevalgono.
Posteriormente nel piede del ponte abbiamo i lemnischi mediali
Più dorsalmente a limitare la cavità residua del quarto ventricolo c’è l’inizio della porzione bassa dei
peduncoli cerebellari superiori, che collegano il mesencefalo al cervelletto.
Il nervo trigemino emerge nel mezzo delle fibre pontine sulla faccia anterolaterale e ha un'enorme
rilevanza.
MESENCEFALO
Sviluppo; Nella parte craniale del tubo neurale, nei primi stadi di sviluppo sono visibili:
Nell’embrione precoce queste 2 vescicole sembrano più o meno equivalenti, poi il derivato della
vescicola diencefalica rimarrà quasi completamente avvolto e nascosto (eccezion fatta per un
breve tratto sulla faccia inferiore del cervello) dallo sviluppo enorme della vescicola
telencefalica, porzione del tubo neurale che si sviluppa maggiormente.
● La vescicola subito caudale a quella diencefalica è quella mesencefalica, da cui deriva la terza
e più alta porzione del tronco dell’encefalo: il mesencefalo.
MORFOLOGIA ESTERNA
Dal margine mediale dei peduncoli cerebrali, quindi dalla fossa interpeduncolare, da ciascun lato c’è
l’origine apparente del III nervo cranico: il nervo oculomotore. Sono visibili inoltre i corpi
mammillari, i quali non fanno parte del mesencefalo, ma sono nuclei dell’ipotalamo, che quindi fanno
già parte del diencefalo.
Guardando invece la faccia inferiore del cervello, sezionata a livello del mesencefalo, vediamo i corpi
mammillari, che abbiamo detto essere parte dell’ipotalamo; i peduncoli cerebrali e la fossa
interpeduncolare.
La faccia posteriore del mesencefalo, totalmente diversa da quella anteriore, è costituita dalla lamina
quadrigemina così chiamata perché costituita da 4 protuberanze che prendono il nome di tubercoli
quadrigemini o tubercoli quadrigemelli superiori e inferiori, oppure collicoli superiori e inferiori.
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Sotto al tubercolo quadrigemino inferiore si vede l’origine
apparente del nervo trocleare (IV paio di nervi cranici),
l’unico nervo cranico ad originare dalla faccia posteriore
del tronco dell’encefalo, essendo però diretto verso
l’orbita, una volta originato posteriormente girerà in avanti
e compie perciò un percorso intorno al tronco
dell’encefalo. Gli altri nervi originano o dalla faccia
anteriore o da quelle laterali.
NUCLEI
Nucleo somatomotore del IV (nervo trocleare), in posizione mediale, motore puro, destinato
all’innervazione motrice del muscolo obliquo superiore.
Nucleo somatomotore del III (nervo oculomotore comune), sempre in posizione mediale, per
l’innervazione motrice e somatica di tutti i muscoli intraoculari con l’eccezione dell’obliquo superiore
innervato dal IV e del retto laterale innervato dal VI.
Nucleo mesencefalico del V (nervo trigemino), del tutto lateralmente, che è propriocettivo
Nucleo di Edinger-Westphal, nella colonna intermedia destinata alla localizzazione dei neuroni
parasimpatici, anche le sue fibre decorrono nel III nervo, contiene i neuroni pregangliari parasimpatici
che si interromperanno nel ganglio ciliare, dietro il bulbo oculare, e da qui le fibre postgangliari
arriveranno essenzialmente al muscolo costrittore dell’iride per il riflesso fotomotore, cioè per la
costrizione della pupilla in risposta alla luce.
SEZIONE BASSA
Si effettui una sezione passante per i collicoli inferiori; oltre ai nuclei dei nervi cranici sono presenti altre
strutture. Anteriormente sono visibili i peduncoli cerebrali con la fossa interpeduncolare nel mezzo;
a questo livello emerge da ciascun lato il III nervo oculomotore.
I fasci piramidali sono superficiali e posteriormente a questi, a dividere il piede del peduncolo dalla
porzione che gli resta subito indietro - la calotta - compaiono delle strutture molto evidenti: lamine di
sostanza grigia composta da neuroni molto pigmentati e molto scuri che, per il loro aspetto, prendono
il nome di sostanza nera. Posteriormente alla sostanza nera si trovano i lemnischi mediali.
Si noti come in questa sezione non è più
presente il quarto ventricolo né i
peduncoli cerebellari, ma un sottile
canalicolo, che come già detto prende il
nome di acquedotto mesencefalico.
Esso è contornato da un manicotto di
sostanza grigia che complessivamente è
chiamato grigio periacqueduttale. Nel
grigio periacqueduttale ci sono
agglomerati di neuroni importanti, in
particolare nella sezione bassa sono
visibili i nuclei del IV nervo cranico,
nella sezione più alta troveremo invece i nuclei del III.
I tubercoli quadrigemelli inferiori sono prodotti dalla presenza di parecchi fasci a quel livello, ma
soprattutto da un complesso nucleare. Al nucleo dei tubercoli quadrigemelli inferiori arrivano i
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lemnischi laterali, che sono le vie centrali acustiche, cioè le efferenze dalla componente cocleare
dell’VIII nervo che è arrivata ai nuclei cocleari1.
SOSTANZA NERA
La sostanza nera percorre tutto il mesencefalo segnando la separazione fra piede e calotta dei
peduncoli cerebrali mesencefalici e deborda, in alto, nella porzione più caudale del diencefalo: il tetto
del mesencefalo, che è una regione di confine tra il mesencefalo alto e il diencefalo basso. Si tratta di
un agglomerato di neuroni importante quantitativamente (è composto da molti neuroni) e anche
funzionalmente, infatti rappresentano il più grosso agglomerato di neuroni dopaminergici del sistema
nervoso centrale. La morte di questi neuroni provoca il Parkinson, malattia che ha principalmente una
sintomatologia motoria.
È da notare che i neuroni della sostanza nera non sono inseriti in una circuitazione cerebellare, ma in
una circuitazione che coinvolge i nuclei della base (strutture grigie situate profondamente nella base
degli emisferi cerebellari), i quali sono coinvolti nella regolazione della motricità. Quindi, nonostante la
sostanza nera di Sömmering sia mesencefalica, verrà trattata con i nuclei della base del telencefalo,
perché è con questi nuclei che agisce per mezzo di una circuitazione cortico-sottocortico-corticale.
CORPI GENICOLATI
Nella giunzione mesencefalico-talamica, sono presenti due protuberanze che fanno rilievo sulla faccia
posteroinferiore di ciascun talamo. Questi sono i corpi genicolati mediale, quello più interno, e
laterale, quello più esterno:
• Il corpo genicolato mediale è intercalato sulle vie acustiche, ovvero è il nucleo talamico delle vie
acustiche. La via acustica fa sinapsi nei nuclei cocleari con l’ottavo nervo cranico, si incrocia
parzialmente formando i due lemnischi laterali (via acustica centrale) che salgono attraverso il ponte
e la porzione bassa del mesencefalo e fanno sinapsi nel tubercolo quadrigemino inferiore della
lamina quadrigemina mesencefalica.
Ciascun collicolo inferiore è collegato fisicamente, tramite un cordone nervoso visibile sulla faccia
posteriore del mesencefalo, con il corpo genicolato mediale del talamo che gli sta appena sopra e un
po’ di lato.
Il cordoncino nervoso di collegamento tra il collicolo inferiore della lamina quadrigemina e il corpo
genicolato mediale del talamo è chiamato braccio congiuntivo inferiore e contiene le fibre efferenti
acustiche che vanno dal collicolo inferiore verso il genicolato mediale dove faranno sinapsi. Dal corpo
genicolato mediale del talamo la via acustica si completerà con le proiezioni alle aree 41 della corteccia
temporale.
• Il corpo genicolato laterale è invece intercalato sulle vie ottiche e, analogamente alle vie acustiche,
il collicolo superiore è collegato al corpo genicolato laterale attraverso il braccio congiuntivo
superiore.
1Si ricordi che l’VIII nervo arriva con le sue due componenti vestibolare e cocleare ai nuclei cocleari (che sono
2: ventrale e dorsale), che si trovano a cavallo del confine bulbopontino, la componente cocleare si ferma ai 2
nuclei cocleari dorsale e ventrale, quella vestibolare arriva ai nuclei vestibolari (sempre situati al confine
bulbopontino).
Dai 2 nuclei cocleari ventrale e dorsale originano fibre che si incrociano parzialmente sulla linea mediana e in
parte non si incrociano e piegano verso l’alto formando i lemnischi laterali, che salgono, attraversano il ponte, e
arrivano alla destinazione finale nella componente nucleare presente parte bassa del mesencefalo, cioè nei i
collicoli inferiori, dove rifanno sinapsi.
52
SEZIONE ALTA
Si effettui una sezione passante per i collicoli inferiori. Nella sezione alta della calotta, a livello dei
collicoli superiori si nota la comparsa del nucleo rosso, che appare trasversalmente rotondo poiché di
forma cilindrica, e che spinge di lato e un po’ indietro il lemnisco mediale.
Dorsalmente, nella porzione ventrale del grigio periacqueduttale si apprezzano in direzione
mediolaterale i nuclei somatomotore e visceroeffettore del III nervo oculomotore. Nella parte più
dorsale della sezione sono evidenti i collicoli superiori aventi un’organizzazione istologica particolare
con disposizione di lamine di sostanza grigia alternate a lamine di sostanza bianca.
Questa particolare organizzazione istologica deve far riflettere lo studente, ossia: quando l’istologia
della sostanza grigia comincia ad assumere una multi-stratificazione, pur non essendo in presenza di
un’organizzazione corticale, è sintomo di necessità computazionale di livello superiore.
COLLICOLI SUPERIORI
Ad essi vi giungono svariate afferenze di cui le più importanti sono:
1. Afferenze visive dalla retina: la maggior parte delle fibre retiniche è destinata al corpo
genicolato laterale del talamo, mentre la porzione di fibre restante giunge ai collicoli superiori
percorrendo il cordone bianco che congiunge il corpo genicolato laterale al collicolo superiore,
il braccio congiuntivo superiore (che è l’omologo morfologico del braccio congiuntivo
inferiore intercalato nelle vie acustiche). È importante ricordare che mentre il braccio
congiuntivo inferiore è percorso e generato da fibre acustiche che dal collicolo inferiore vanno
al genicolato mediale del talamo, il braccio congiuntivo superiore è percorso da fibre di natura
retinica che vanno dal genicolato laterale del talamo al collicolo superiore.
2. Afferenze dall’area 17 o area visiva primaria, e dalle aree ad essa associate: queste aree
sono posizionate nel polo occipitale degli emisferi. Si tratta di afferenze visive con un certo
grado di rielaborazione.
3. Afferenze dall’area 8 o area oculocefalogira: quest’area si trova nel nella porzione frontale
della corteccia cerebrale.
FORMAZIONE RETICOLARE
Nel tronco dell’encefalo è presente la sostanza reticolare. La sostanza reticolare prende questo nome
perché è una struttura sostanzialmente continua nel bulbo, nel ponte e nel mesencefalo. Non si trova
solamente nel tronco encefalico, ma è presente anche in certe zone del midollo e del diencefalo. È
costituita da gruppi di piccoli neuroni sparsi e inframmezzati da tante fibre. La sostanza reticolare è
filogeneticamente molto antica, si trova già nei primi rettili. In questi animali, essa media la maggior
parte degli impulsi ascendenti e soprattutto motori discendenti. Con l’evoluzione filogenetica, a queste
strutture tronco encefaliche di regolazione molto primitive, si affiancano strutture più nuove di
conduzione dell’impulso sensitivo in alto, ma soprattutto di conduzione dell’impulso verso il basso. Non
ci si riferisce ai fasci piramidali, evolutivamente molto recenti, ma ai fasci vestibolo spinali, ai fasci
rubrospinali, alla sostanza nera e ai nuclei della base: strutture di regolazione del movimento
filogeneticamente più evolute, più potenti e recenti.
La formazione reticolare, nonostante ci siano strutture filogeneticamente più evolute, non viene
cancellata ma viene “relegata” a funzioni sostanzialmente automatiche. Una parte di questa formazione
è rappresentata dalla sostanza reticolare pontina paramediana, “relegata” a una funzione automatica
di coordinamento della motilità dei bulbi oculari ed ha quindi la funzione di essere un centro di
coordinamento della motilità dei bulbi oculari stessi.
Nella sostanza reticolare non sono presenti dei nuclei ben definiti, non si tratta di veri e propri
raggruppamenti di neuroni. Diventa difficile creare dei raggruppamenti con dei confini ben chiari, per
cui è necessario trattare la sostanza reticolare sotto un aspetto funzionale piuttosto che anatomico. La
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sostanza reticolare pontina paramediana è il
centro, ovvero quel pezzetto di sostanza
reticolare che si incarica di fare una funzione, che
è quella di coordinare lo sguardo sul piano
orizzontale.
Nella sostanza reticolare del tronco dell’encefalo
ci sono anche un centro di regolazione
cardiocircolatorio, respiratorio e un centro di
regolazione del ritmo sonno-veglia. Quest’ultime
sono funzioni ancestrali, che ci portiamo dietro
da una filogenesi molto lontana, di cui si
incaricano la miriade di neuroni che costituiscono
la sostanza reticolare del tronco dell’encefalo.
Per loro caratteristica sono più difficilmente
delimitabili ma si trovano nel tronco dell’encefalo. Hanno a che vedere con queste funzioni riflesse, con
l’anestesiologia, con il mantenimento dello stato di coscienza (perdita di coscienza e diversi livelli degli
stati comatosi) e con la trasmissione nocicettiva (vie del dolore).
NUCLEI
La formazione reticolare, così come si può notare dall’immagine, è molto diffusa nel tronco dell’encefalo
e diversi sono i neuromediatori utilizzati. Sono presenti aree dopaminergiche (porzione della sostanza
nera), aree a trasmissione colinergica, serotoninergica, adrenergica, noradrenergica.
Quando si arriverà alla trattazione del telencefalo, si affronterà il confine molto sottile fra le funzioni
corticali precise e puntuali, molto ben identificate, dove si può identificare il gruppo di neuroni a cui
arriva infine lo stimolo, e le aree che presiedono alla coloritura affettiva, cioè all’interpretazione della
situazione ambientale. Ci sono situazioni, infatti, che determinano spiacevolezza, sgradevolezza e
paura.
Esempio: Un animale può provare paura perché una serie di afferenze arrivano alla sua corteccia, come ad
esempio le afferenze uditive. Se si prende in considerazione una zebra che sta dormendo e che a un certo
punto avverte un ruggito, è chiaro che si ha un’afferenza sensitiva che viene interpretata dall’animale che gli
dà una coloritura affettiva in senso di rischio e di pericolo. Da questo discende la fuga, un innesco di un
comportamento stereotipato finalizzato alla salvezza
Esempio: L’ipoglicemia scatena la fame, ma nonostante ciò un uomo con gli stessi valori di ipoglicemia di
un leone, a differenza di quest’ultimo, se si reca in un bar per prendere un panino fa la fila. L’ipoglicemia è
identica, ma nell’uomo sono presenti una serie di strutture sovrassiali corticali telencefaliche, che ci
permettono dal punto di vista anatomo-funzionale di canalizzare i nostri comportamenti di base, determinati
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dai circuiti neuronali filogeneticamente antichi, in un comportamento socialmente accettabile. I bambini
vengono educati sin da piccoli in misura diversa da individuo a individuo. Un individuo è perfino ben educato,
reso gradevole secondo una serie di codici che sono di natura culturale.
I nuclei del rafe ricevono sostanza reticolare da ampie zone della corteccia e riproiettano verso
altre zone della corteccia.
3. Nuclei dopaminergici: sono particolarmente presenti nella sostanza nera che proietta
principalmente verso lo striato (questa via non funziona più correttamente nel caso della malattia
di Parkinson). Le vie dopaminergiche non sono presenti solo nella sostanza nera ma anche nei
nuclei basali proencefalici: nuclei che
utilizzano un bilanciamento fra dopamina
ed acetilcolina, come il nucleo accumbens
(le porzioni basali del telencefalo sono
coinvolte nella remunerazione affettiva,
esso è coinvolto nel giudizio della
piacevolezza di qualcosa, studiato molto
nelle tossicodipendenze). Le vie
dopaminergiche sono più limitate in
partenza della sostanza reticolare e molto
diffuse a livello corticale.
4. Nuclei noradrenergici: i neuroni che utilizzano noradrenalina sono in zone della sostanza
reticolare che interagiscono con nuclei regolatori delle funzioni viscerali. Come la sostanza
reticolare pontina paramediana ha la funzione di regolare e redistribuire l’impulso fra terzo quarto
e sesto nervo di destra e di sinistra, così, a fronte della localizzazione della vie serotoninergiche,
dopaminergiche e noradrenergiche, alcuni centri della sostanza reticolare del tronco dell’encefalo
sono in connessione e regolano l’attività di alcuni nervi cranici, che a loro volta regolano funzioni
rilevanti come la funzione cardiocircolatoria, respiratoria, la minzione (riempimento e svuotamento
della vescica) e la masticazione.
Tutto questo per sottolineare come l’intera corteccia cerebellare e telencefalica hanno bisogno di
afferenze noradrenergiche, serotoninergiche, dopaminergiche, ecc.
Un altro esempio esplicativo può essere quello di un ragazzino che sta camminando e a un certo punto incontra
un gradino. Il ragazzo ha innescato un programma motorio di natura ripetitiva, ha imparato a camminare in un certo
momento della sua vita e con la sua corteccia motoria ha soltanto deciso di camminare.
Presa la decisione di camminare, non sono i suoi fasci piramidali che continuano a mandare giù gli
impulsi per ogni gruppo muscolare ogni volta ciclicamente. L’acquisizione dell’automatismo della
deambulazione fa sì che la corteccia conservi il “ruolo” di decisione, cioè di innesco del programma, e
poi siccome il programma già esiste (è già stato lateralizzato, cioè automatizzato) la regolazione
dell’automatismo della muscolatura viene delegata a strutture più basse. Per cui, la sostanza reticolare
del tronco dell’encefalo prende il comando della funzione ripetitiva (la deambulazione), proietta verso i
neuroni che stanno dietro agli alfa motoneuroni delle corna anteriori del midollo, i quali si interessano
di redistribuire l’impulso, legato a un movimento automatico acquisito, agli alfa motoneuroni che stanno
nella lamina 9 delle corna anteriori.
Se compio un movimento milioni di volte lo so fare, perciò non c’è bisogno di impegnare l’area 4 per
contrarre il quadricipite o il tricipite, per fare la flessione plantare del piede e così via… Si è compreso
il movimento, si è imparato e si è relegato il meccanismo di esecuzione a delle strutture più basse, ma
non per questo meno importanti. Il ragazzo riconosce il fatto che ci sia un gradino, cammina, guarda
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per terra e vede il gradino che produce una perturbazione in questo movimento ciclico, che prende il
nome di deambulazione. Lo vede ed è evidente che la sostanza reticolare, che sta governando il
processo ciclico del passo, deve ricevere afferenze visive tali per cui la ciclicità/regolarità del passo sia
in grado di affrontare questa perturbazione senza cadere. Si rendono necessari quindi “attrezzi"
cerebellari, perché in caso contrario non si è in grado di mantenere l’equilibrio. Infine, c’è bisogno di
afferenze sensoriali tattili, che vengono dalla pianta del piede e dalle articolazioni connesse, perché
devo integrare la sensibilità tattile con l’assetto posturale dell’articolazione.
Esempio: Se si sta camminando su un sentiero sconnesso in montagna, anche se non è liscio l’equilibrio viene
mantenuto. È chiaro che se si vuole continuare a camminare e se sono presenti delle perturbazioni, queste
debbano essere integrate nel meccanismo di gestione della muscolatura coinvolta nella deambulazione.
La vescica si riempie e il detrusore non si contrae fino ad un certo punto. Mentre la vescica è in fase di
riempimento è necessario che lo sfintere sia contratto. Impulsi parasimpatici sacrali attivano il detrusore.
Il parasimpatico sacrale è sotto controllo tronco encefalico, perciò le vie discendenti tronco encefaliche
sono in grado di attivare il detrusore, oppure di inibire l’ortosimpatico e, di conseguenza, il detrusore.
L’ortosimpatico permette il riempimento vescicale perché inibisce il detrusore e attiva lo sfintere.
Cosa succede quando la distensione della vescica aumenta e raggiunge un certo livello?
I recettori tensionali della parete della vescica trasmettono al tronco dell’encefalo, facendo sì che esso
nel bilanciamento orto-para faccia prevalere l’ortosimpatico e sia “avvisato” del riempimento della
vescica e della successiva necessità di minzione. Questo rapporto, a questo punto, deve
temporaneamente invertirsi: si disattiva l’ortosimpatico e si attiva il parasimpatico. Il detrusore viene
contratto, lo sfintere interno della vescica viene rilasciato e la minzione attivata (svuotamento vescicale).
Questa informazione arriva dalla vescica stessa, dai recettori tensionali della vescica. I recettori
tensionali della vescica fanno questo lavoro, che non è però sufficiente perché è evidente che, se non
ci si trova con un bagno a portata di mano per un po’ di tempo, si è in grado di trattenere l’urina.
Come?
È chiaro che i centri superiori sono in grado di esercitare un’influenza sul centro deputato allo
svuotamento e al riempimento della vescica, che attivano rispettivamente il parasimpatico e
l’ortosimpatico, che nel ponte sono tronco encefalici. Per cui, entro certi limiti, se io non sono nella
condizione ambientale di svuotare la vescica, posso inibire l’attivazione del parasimpatico e del
detrusore. Questo avviene automaticamente a livello della porzione basale della corteccia frontale fino
a un certo punto, poi ho un ulteriore meccanismo di riserva, ovvero delle porzioni fronto-parietali, che
sono ulteriormente sovrapposte e mi permettono la contrazione volontaria della muscolatura del
pavimento pelvico.
Esempio: quando si ha la necessità di andare in bagno, ma non si è nel luogo adatto e nelle condizioni adeguate
per lo svuotamento della vescica, il nostro corpo è in grado di trattenere volontariamente l’urina per poco.
La vescica si riempie di urina e si distende (il detrusore deve permettere la distensione). Il parasimpatico
sacrale viene inibito da parte dell’ortosimpatico discendente che prevale. Quando la distensione della
vescica segnala sufficientemente al tronco dell’encefalo, il rapporto si inverte e la vescica si
svuoterebbe se non ci fosse un livello di controllo superiore basale telencefalico, che analizza la
situazione e ritarda questa inversione fino a che la condizione ambientale (bagno) non permette lo
svuotamento accettabile della vescica. Se ancora continua la distensione e aumenta ulteriormente
l’intensità della segnalazione vescicale, ho ancora un piccolo margine volontario con la contrazione
della muscolatura del pavimento pelvico. Dopodiché, quando la distensione della vescica è eccessiva,
viene disattivato anche il meccanismo volontario e si ha lo svuotamento automatico della vescica.
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NERVI CRANICI
o Il primo nervo cranico è il nervo olfattivo.
o Il secondo è l’ottico che raccoglie le afferenze visive dalla retina.
o Il terzo nervo cranico è l’oculomotore comune che è destinato principalmente all’innervazione
della muscolatura estrinseca del bulbo oculare. I muscoli estrinseci del bulbo oculare sono in
numero di sei e sono innervati da ben tre nervi cranici: l’oculomotore comune che è il principale,
il quarto e il sesto.
o Il quinto nervo cranico è il trigemino, principale nervo sensitivo della faccia.
o Il settimo nervo è il faciale che innerva la muscolatura della faccia, ma non solo: ha anche una
componente parasimpatica per l’innervazione di alcuni visceri della faccia.
o L’ottavo nervo è l’acustico, deputato all’innervazione dell’orecchio interno.
o Il nono è il glossofaringeo che innerva una porzione delle papille gustative della lingua e una
cospicua parte dei muscoli della faringe.
o Il decimo è il vago che è quello che ha l’innervazione più vasta del nostro organismo.
o L’undicesimo è l’accessorio che aiuta il vago in alcuni territori.
o Il dodicesimo è l’ipoglosso, un nervo motore puro che è destinato all’innervazione della
muscolatura linguale.
Criterio redistributivo dei nuclei dei nervi cranici nel del tronco encefalico
Mentre tutti i nervi spinali sono misti (ovvero contengono contemporaneamente fibre sensitive e fibre
motrici), solo alcuni nervi cranici sono misti. Esistono tre categorie: misti, sensitivi puri e motori puri.
In figura vediamo uno schema del posizionamento relativo dei nuclei dei nervi cranici nella metà di
sinistra del tronco encefalico, sui suoi tre livelli: mesencefalo, ponte e bulbo.
Esempio:
● Il 12esimo paio di nervi cranici,
l’ipoglosso, è un nervo motore puro
(contiene solo fibre somatomotrici per la
muscolatura linguale), il cui nucleo si
trova molto vicino alla linea mediana, ciò
significa che l’accumulo di pirenofori da
cui hanno origine gli assoni che
decorrono nel 12esimo nervo cranico
sono in posizione molto mediale.
● L’ottavo paio di nervi cranici è invece
sensitivo puro (cioè non ci sono fibre
motrici) e si trova molto lontano dalla
linea mediale, in posizione distale, nella
zona di pertinenza somato-sensoriale.
Differentemente ai nervi spinali, i nervi cranici
non hanno un nucleo di origine per nervo cranico,
ma per ogni componente che essi contengono.
Se la componente è una sola, per esempio è un
nervo motore puro, troveremo un solo nucleo. Se
invece un nervo cranico è misto può avere al massimo quattro componenti, in quanto contiene fibre
sensitive (divise nelle componenti somatosensitive e viscerosensitive) e fibre motrici (somatomotrici e
visceromotrici). Esiste quindi un nucleo di origine per ogni componente del nervo.
Siccome le varie componenti dello stesso nervo originano da nuclei diversi, perché ci sono componenti
diverse nello stesso nervo?
Nel decorso periferico di un nervo cranico domina il criterio di raggruppamento rispetto alla regione
topografica terminale da innervare: sono raggruppate in un unico nervo cranico periferico tutte le fibre
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che devono andare in una determinata zona, perché è conveniente, non importa che queste
componenti siano diverse nella loro natura. All’origine, invece, sono raggruppati e anatomicamente
separati tra loro quei neuroni che funzionalmente hanno significato diverso.
Prendendo come esempio il decimo paio di nervi cranici: perché le sue diverse componenti sono
staccate tra loro e non c’è un solo nucleo che le contenga tutte e quattro?
Cambia il modo in cui vengono regolati i vari neuroni. I nuclei sono sotto controllo di diverse afferenze,
perciò i neuroni della porzione somato-motrice del decimo nervo, nella loro attività, dovranno essere
regolati con determinate sinapsi e in una modalità totalmente diversa da come invece dovranno essere
regolati i neuroni della parte viscero-effettrice. È quindi necessario tenerli distinti perché hanno
funzionalmente significati diversi e di conseguenza regolazioni diverse, ma al loro posizionamento
centrale, cioè quando gli assoni emergono dal bulbo, le fibre vengono raggruppate in base alla zona
che vanno ad innervare.
Non tutta la sostanza grigia del tronco encefalico è rappresentata da pirenofori i cui assoni sfociano nei
nervi: ci sono anche nuclei di neuroni che rimangono all’interno del sistema nervoso centrale.
Il confine tra midollo spinale e bulbo non è netto. Sempre osservando l’immagine si nota che nella parte
del midollo alto, verso il confine bulbare, ci sono due nuclei di nervi cranici che sconfinano al di fuori del
tronco encefalico. Uno è sensitivo ed è la coda della colonna nucleare che attraversa l’intero tronco
dell’encefalo e si estende ai primi mielomeri cervicali: è il nucleo sensitivo del 5° nervo cranico (nervo
trigemino). L’altro è un nucleo che appartiene all’11esimo paio di nervi cranici (nervo accessorio).
Osservando il nervo accessorio, la posizione mediale suggerisce innanzitutto che si tratta di un nucleo
somato-motore. Si nota inoltre che alcune fibre del nervo accessorio originano dal lungo nucleo somato-
motore che rispetto a lui si trova cranialmente e che prende il nome di nucleo ambiguo. I nervi cranici
contengono diverse componenti e per ogni componente, quindi, si riconosce un nucleo di origine.
Il criterio di redistribuzione delle fibre nei nervi cranici periferici non è identico al criterio di aggregazione
e costituzione dei nuclei degli stessi, ma si utilizzano due criteri diversi: topografico quello periferico e
modulatorio quello centrale; sono perciò raggruppati in colonne nucleari pirenofori che necessitano
della medesima regolazione, mentre gli assoni, perifericamente possono essere redistribuiti in nervi
diversi, in quanto topograficamente è conveniente. Quindi, prendendo in considerazione il decimo paio
di nervi cranici (nervo vago), se è vero che nello schema si trova quattro volte il numero 10 perché il
decimo nervo contiene quattro componenti, è anche vero che la sua componente somato-motrice non
ha un nucleo solo per sé ma lo condivide: i pirenofori dei suoi neuroni stanno insieme a quelli
somatomotori delle coppie di nervi 11 e 9. E’ dunque importante ricordare che ogni volta che è
necessaria una regolazione comune dei nervi, i neuroni sono raggruppati a formare un unico nucleo,
mentre le fibre sono poi distribuite perifericamente secondo un criterio topografico.
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IPOGLOSSO [XII]
Riprendendo la sezione intermedia del bulbo, ci aspettiamo di trovare in posizione paramediana il
nucleo del nervo ipoglosso, abbiamo già trovato il nucleo motore somatico dell’XI paio nella sezione
alta del midollo.
Il nervo ipoglosso è un nervo motore puro, infatti ha un solo nucleo motore somatico, destinato
all’innervazione della muscolatura intrinseca ed estrinseca della lingua.
Il canale dell’ipoglosso si trova alla base dell’occipitale, in particolare è scavato nella radice del condilo
dell’occipitale ed è diretto lateralmente e
un po’ in avanti; questo canale è usato dal
nervo ipoglosso per uscire dal cranio. Una
volta uscito dal canale dell’ipoglosso, il
nervo si trova dietro al processo stiloideo
— quindi dietro tutto il fascio muscolo-
legamentoso che al processo stiloideo fa
capo — nella regione detta retrostiliana,
profondamente di lato alla faringe. Da
questa posizione prima di tutto piega in
basso e scende verticalmente in basso ed
è diretto sempre un po’ in avanti.
Dopodiché comincia a fare una curva in
avanti.
Non è l’unico nervo nelle logge nel collo ad avere questo tipo di andamento, ad esempio il
glossofaringeo fa una curva simile, il nervo linguale (una delle due branche di divisione del nervo
mandibolare del trigemino) ha lo stesso andamento appena più avanti rispetto alla curva dell’ipoglosso.
Il nervo linguale viene giù dalla fossa infratemporale e andrà alla lingua, come il nervo ipoglosso,
nonostante quest’ultimo sia motore e il facciale sensitivo, quindi non c’è da meravigliarsi che abbiano
una simile geometria dal punto di vista anatomico.
Il nervo ipoglosso dunque piega in avanti, si lascia medialmente la carotide interna e il vago perché dal
foro giugulare da cui, oltre a nascere la vena giugulare interna, escono anche il vago, il glossofaringeo
e l’accessorio. il vago seguirà la giugulare e poi con la carotide andrà a formare il fascio nervo-vascolare
del collo. Il nervo ipoglosso transita lateralmente ed esternamente alle strutture che vengono fuori dal
foro giugulare. Successivamente passa tra l’arteria carotide interna e il nervo vago, situati medialmente,
e la vena giugulare interna (posta lateralmente). Quando arriva all’incirca al corno dell’osso ioide, piega
in avanti, comincia a correre nel pavimento della bocca e dà tutte le sue terminazioni verso la lingua.
Nel fare questo percorso viene raggiunto da alcune fibre dei primi due nervi cervicali: le fibre di C1 lo
raggiungono e poi lo abbandonano scendendo nel collo, dove poi formano, anastomizzandosi, un’ansa
con le fibre di C2, il quale ha anche un contributo di C3; questa porzione ad ansa prende il nome di
ansa cervicale, tradizionalmente detta anche ansa dell’ipoglosso, perché ad una dissezione
macroscopica l’ansa sembrava costituita da fibre che dall’ipoglosso si portavano ad innervare i muscoli
sottoioidei.[n.d.c. il prof ha detto che è meglio chiamarla ansa cervicale per non fare confusione ]. Le fibre
dell’ipoglosso vanno a innervare la muscolatura della lingua, i muscoli stiloglosso, ioglosso e del
pavimento della bocca, ma tutta la muscolatura sottoioidea non è di pertinenza dell’ipoglosso. Il nucleo
del nervo ipoglosso è un nucleo somatomotore, per cui noi muoviamo volontariamente la lingua,
principalmente nei processi di masticazione e deglutizione e nell’articolazione della parola (che si
distingue dalla fonazione).
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Tutti noi siamo in grado di protrudere la lingua
tenendola simmetricamente dritta, ma se c’è un
problema di controllo neurologico dell’attività
motoria (fibre che scendono lungo i fasci
piramidali) dei neuroni del nervo ipoglosso, si ha
un’ipostenia della muscolatura della lingua, quindi
essa non protrude in maniera simmetrica, ma la
punta devia verso la parte lesa, perché il tono della
muscolatura dell’emilingua sana prevale sul tono di
quella lesa.
ACCESSORIO [XI]
È un nervo motore puro, ma ha due componenti nucleari: una più grossa, migrata nei primi mielomeri
cervicali (nucleo spinale del nervo accessorio) e una piccola, che rappresenta la coda di una più
grossa struttura nucleare (nucleo ambiguo),
costituita in alto dalla componente somatomotrice del
glossofaringeo, nella porzione intermedia dalla
componente somatomotrice del vago e nella
porzione caudale di un’ulteriore componente
somatomotrice dell’XI paio.
Il X (vago), il IX (glossofaringeo) e l’XI (accessorio)
nervo cranico escono tutti dal foro giugulare. Sia le
fibre del nervo accessorio che hanno origine nel suo
nucleo spinale, sia quelle che hanno origine nella
porzione bulbare, si riuniscono ed escono dal foro
giugulare. Le fibre della porzione spinale escono con
la radice anteriore insieme alle fibre effettrici delle
prime radici cervicali (C1 e C2), restano dentro al
canale vertebrale, piegano verso l’alto, penetrano
con il midollo dentro al gran forame occipitale,
piegano lateralmente e si riuniscono con quelle di
origine bulbare dell’accessorio più quelle del vago e
del glossofaringeo.
Solo in questo tratto le due fibre delle componenti
spinale e bulbare sono unite tra di loro.
Una volta che il nervo transita nel foro giugulare ed
esce dal cranio, le due componenti si separano:
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quella bulbare si addossa e si fonde con le fibre somatomotrici del nervo vago e con esse si
distribuiscono perifericamente. Per questo motivo la componente bulbare dell’XI paio di nervi cranici si
chiama accessorio del vago o nervo accessoriovagale, perché le sue fibre si distribuiscono insieme
a quelle del vago.
Le fibre della componente spinale, uscite dal foro giugulare vanno ad innervare i muscoli
sternocleidomastoideo e il trapezio, più precisamente il triangolo superiore del trapezio, la porzione
cervicale.
Il nucleo spinale nell’embriogenesi è bulbare, ma durante l’ontogenesi fetale, questo gruppo di cellule
migra nei primi mielomeri cervicali.
Si affronteranno ora l’accessorio del vago (XI), il vago(X) e il glossofaringeo(IX). Essi rivestono grande
importanza: il vago è infatti il nervo che,rispetto a tutti gli altri (cranici e spinali), presenta il territorio di
innervazione più vasto nel nostro organismo.
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Si è definito il nervo accessorio come un nervo somatomotore: sia la sua porzione spinale (destinata a
trapezio e sternocleidomastoideo) sia quella dell’accessorio del vago (le cui fibre sono collocate nella
parte caudale di questo nucleo somatomotore insieme al nucleo ambiguo) sono quindi somatomotrici.
I nervi decimo e nono , al contrario, presentano, seppure in diversa misura, tutte e quattro le componenti
potenzialmente presentabili da un nervo cranico.
VAGO [X]
Il decimo ha un enorme territorio di sensibilità generale viscerale e presenta una componente
barocettiva: sfruttando i rami cardiaci, esso innerva infatti il seno e il glomo aortici (barocettività atriale).
NOTA CLINICA: Si chiama gittata sistolica (in inglese stroke volume) la quantità di sangue che a ogni sistole
ventricolare viene pompata dal ventricolo. Il valore della frequenza cardiaca(numero di battiti del cuore al minuto,
detto HR), moltiplicato per la gittata sistolica, è uguale alla portata cardiaca, ossia al volume di sangue pompato
dal cuore al minuto. La gittata sistolica dipende da quanto sono grossi e da quanto volume di sangue contengono
i ventricoli, ma anche dalla forza di contrazione degli stessi. Infatti, più grande sarà il ventricolo, maggiore sarà il
volume di sangue contenuto in esso. Questo volume di sangue,tuttavia, dovrà essere poi pompato fuori. Quindi,
nel momento in cui si verifica la sistole, è necessario che il ventricolo abbia una parete sufficientemente robusta
per generare uno stroke volume e liberarsi dell'intero volume di sangue in esso precedentemente contenuto senza
lasciare residui.
Ad un ingrandimento volumetrico del ventricolo possono corrispondere due situazioni totalmente diverse tra di loro,
di cui una patologica e l’altra fisiologica. In quest'ultimo caso ci si riferisce ad un cuore d’atleta (quello di un ciclista
professionista allenato, per esempio), il quale presenta frequenza a riposo minore rispetto a quella normalmente
presentata da cuori di persone non allenate. Ciò si verifica perché, per mantenere la portata, il ciclista dell'esempio
sopra riportato ha bisogno di un certo volume di fluido che è uguale, a parità di peso, a quello di un soggetto non
allenato. Il ciclista, tuttavia, essendo allenato, presenta una gittata sistolica superiore alla norma, e dunque per
mantenere la portata può permettersi di abbassare la frequenza, realizzando una situazione ottimale che gli
permette di risparmiare lavoro. Per comprendere il caso patologico, invece, si prenda come esempio un
settantenne con scompenso cardiaco e con storia di ipertensione, magari trattata male. Il suo cuore a ogni sistole
deve vincere una resistenza maggiore e tende a dilatarsi sempre di più: si osserva quindi un ventricolo dilatato
ma una parete sottile. Si verifica dunque una situazione totalmente diversa rispetto a quella del ciclista: si realizza
infatti un aumento del volume ventricolare a cui non corrisponde un aumento della gittata sistolica. Ciò avviene
perché la parete ventricolare non ha forza e tende quindi a sfiancarsi e ad aumentare di volume.
Le caratteristiche di contrazione cardiaca (quindi effetto cronotropo positivo o negativo, velocità di conduzione
dell’impulso lungo il fascio di His ed effetto inotropo, ossia forza di contrazione della muscolatura ventricolare), si
devono adattare per generare una gittata sistolica proporzionale al ritorno venoso. Più c'è ritorno venoso, maggiore
deve essere la gittata sistolica. Chi informa il cuore del ritorno venoso? La distensione degli atri, e in particolare
la distensione meccanica volumetrica dell’atrio di destra, la quale viene regolata per via riflessa. Quindi l’atrio destro
si riempie, viene disteso e i barocettori atriali regolano per via riflessa le caratteristiche della contrazione
ventricolare successiva. I barocettori atriali cardiaci sono innervati da afferenze sensitive del nervo vago che
viaggiano attraverso i nervi cardiaci che si vedranno tra poco.
Il vago emette nervi cardiaci. La componente parasimpatica dell’innervazione del riflesso cardiaco,che
è cardioinibitoria (ossia decelera il battito), è quindi proprio vagale. È dunque ragionevole che sia lo
stesso vago, con la sua componente sensitiva viscerale, a raccogliere il riflesso di aggiustamento della
dilatazione dell’atrio che genera un aumento della forza di contrazione.
Se si considera il nono nervo, esso con le sue fibre afferenti viscerali innerva il seno carotideo e il glomo
carotideo. Il seno carotideo si trova a livello della biforcazione della carotide comune, all’inizio della
carotide interna. Esso è un barocettore opportunamente piazzato a livello della carotide interna e il suo
l’obiettivo consiste nel mantenimento della pressione di flusso all’ingresso del circolo carotideo interno
(dunque poligono di Willis). È importante che ci sia una zona a reflessogenicità cardiovascolare
all’ingresso del principale circolo arterioso cerebrale: la zona è troppo critica e si rende necessario
evitare che un calo pressorio possa causare una diminuzione della perfusione cerebrale. Per questo si
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pone un barocettore all’imbocco della carotide interna. Se questo barocettore innervato dal nono nervo
capta un calo di pressione, si ha risposta riflessa, aumento della gittata cardiaca e della forza di
contrazione. Per quanto riguarda il chemiocettore glomo carotideo si pone lo stesso problema dal punto
di vista della tensione dell’ossigeno, della saturazione dell’emoglobina, etc.
Sia nel decimo che nel nono è presente una componente viscerale generale che si occupa, per
esempio, della distensione gastrica e della secrezione delle ghiandole gastriche. In quest’ultima
situazione la faccenda si complica. Si consideri ad esempio Pavlov il quale, procuratosi un cane
affamato, gli aveva inserito un sondino naso gastrico e posto davanti una ciotola di cibo che il cane non
riusciva a raggiungere. L'animale, con la sola stimolazione olfattiva, mostrava ipersecrezione gastrica
vagale. Quest’ultima si verifica solitamente quando ingeriamo del cibo. Se infatti si mangia della
lasagna, evidentemente si ha necessità di secrezione gastrica per far avvenire la digestione. Si può
quindi immaginare che la distensione della parete gastrica sia uno stimolo eccitatorio sensitivo viscerale
che deve generare un riflesso in cui il braccio efferente finisca non solo sulla muscolatura liscia dello
stomaco per avviare la peristalsi, ma anche sulle ghiandole gastriche per avviare la secrezione. Tuttavia
a digiuno, in assenza di distensione gastrica, uno stimolo olfattivo genera comunque secrezione
gastrica e salivare. La reflessoegenicità viscerale prevede un braccio afferente dello stimolo
(proveniente dal viscere interessato) e un braccio efferente, che ritorna al viscere interessato o nell’
area anatomica coinvolta.
È quindi chiaro che questi nuclei effettori para e ortosimpatici, che regolano in direzioni opposte alcuni
funzioni viscerali importanti come l’alimentazione, i livelli di glicemia, la salivazione e così via,
riconoscono non solo una regolazione diciamo così bassa, semplice (archi diastaltici), ma anche una
modulazione sovraimposta dai centri cerebrali più elevati. Per cui se un elefante ha fame e si trova nella
savana dove è tutto secco, esso può migrare anche per 2000 km per trovare l’erba: l’atteggiamento
appena descritto non è un arco diastaltico semplice, bensì l’innesco di un comportamento ancestrale
la cui dinamica è regolata da porzioni molto elevate dell’encefalo.
Per questo, dalle funzioni della sensibilità viscerale del nono e del decimo, sono state estrapolate la
funzione barocettiva e le funzioni di regolazione del ritmo respiratorio. Anche le funzioni barocettiva e
respiratoria sono viscerali, ma sono messe in evidenza perché sono estremamente rilevanti e le funzioni
respiratorie entrano pesantemente nella regolazione del pH plasmatico. fine 9
Dunque il nucleo del tratto solitario riceve, tramite il nono e il decimo nervo, tutto questo genere di
afferenze, le quali necessitano poi di collegamenti con i nuclei effettori del tronco dell’encefalo stesso.
Si devono infatti immaginare collegamenti brevi (archi diastaltici) tra la porzione sensitiva viscerale e la
porzione effettrice viscerale. È quindi chiaro che la porzione sensitiva viscerale, a livello del bulbo
stesso, si connetta, tramite interneuroni, con la porzione visceroeffettrice che, guarda caso, gli sta di
fianco e fa capo agli stessi nervi. Grazie a questa posizione strategica, quindi, così com’è arrivata
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l’informazione superiormente, essa può essere rimandata inferiormente. È chiaro che l’effettore si trova
in un punto, mentre chi riceve l’informazione è posto, seppure nelle vicinanze, in un altro punto: ci
devono quindi essere dei collegamenti per completare il riflesso.
Le fibre non ancora considerate, non passanti per i gangli, sono quelle in uscita. Quella più inferiore è
la componente vagale somatomotrice che origina dal nucleo ambiguo, quindi dalla porzione intermedia
(che è quella maggiore) della colonna somatomotrice dell’undicesimo, decimo e nono paio di nervi
cranici. Questa componente porta anche, senza possibilità di distinzione (quando viaggiano si uniscono
insieme), anche le fibre dell’accessorio vagale. Dal nucleo motore del nervo vago origina la grossa
componente visceroeffettrice del vago stesso.
ESTENSIONE
All’uscita dal foro giugulare, il vago esce insieme al nono nervo, alla vena giugulare interna e
all’undicesimo nervo. La componente spinale dell’undicesimo nervo se ne va immediatamente al
trapezio e allo sternocleidomastoideo: esce quindi dal foro giugulare e piega subito indietro. La
componente del nono nervo va in avanti seguendo l’andamento del muscolo stilofaringeo andando
verso la faringe. Il vago si porta decisamente in basso e lievemente in avanti; scende e, fatto qualche
centimetro nel collo, emette già qualche ramo, in particolare un ramo ricorrente meningeo per la
sensibilità delle meningi della fossa cranica posteriore. Comunque, il grosso del vago scende verso il
basso, percorre qualche centimetro e, arrivato grosso modo a livello dell’osso ioide, dove si situa
posteriormente la biforcazione della carotide, si addossa alla carotide comune. La giugulare interna fa
lo stesso percorso. Dunque nelle sezioni del collo a valle dell’osso ioide queste tre strutture anatomiche
(giugulare interna, carotide comune, e nervo vago) discendono insieme, perché hanno tutti la stessa
direzione, sono praticamente verticali. Vengono giù e si dirigono verso la base del collo per poi
comportarsi ciascuno diversamente all’imbocco del torace. Scendendo verticalmente sono avvolte da
una guaina comune, andando a costituire il famoso fascio nervo-vascolare del collo.
Tutte e tre le strutture sono coperte, nel loro decorso, dallo sternocleidomastoideo che, con lo
sdoppiamento della fascia cervicale superficiale, le protegge. Quindi esso rimane esternamente e il
fascio nervo vascolare decorre profondamente. C’è una guaina comune; delle tre strutture la giugulare
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interna è la più laterale, la carotide interna si trova medialmente e poi nell’angolo diedro (angolo solido,
dallo sviluppo tridimensionale) tra queste due strutture decorre il nervo vago che si mantiene in questa
posizione. Il nervo vago ha un destino diverso a seconda che sia quello di destra o quello di sinistra.
A destra giunge fino al tronco brachicefalico, a sinistra arriva fino all’arco dell’aorta.
Dopo aver dato il plesso esofageo anteriore e posteriore i nervi vago rispettivamente di sinistra e di
destra oltrepassano il diaframma con l’esofago attraverso l’orifizio esofageo del diaframma (all’ altezza
di T10) e continuano sul piccolo tratto addominale dell’ esofago e poi sulle due facce dello stomaco
formando il plesso gastrico anteriore (ex nervo vago di sinistra) e plesso gastrico posteriore (ex
nervo vago di destra). Dopo aver generato il plesso, il nervo vago di destra fa capo a un ganglio che
non è parasimpatico ma appartiene al simpatico che è il ganglio celiaco. Così sfruttando i rami del
plesso celiaco che origina da questo ganglio la maggior parte delle fibre vagali si distribuiscono al
fegato, alle vie biliari extraepatiche, all’ intestino
mesenteriale (duodeno, digiuno e ileo), ai reni e surreni,
alla milza e al pancreas. Queste fibre si distribuiscono
quindi come dipendenza del plesso celiaco. Qui le fibre
parasimpatiche vagali sono ancora pregangliari e si
distribuiscono insieme alle fibre postgangliari
ortosimpatiche seguendo le diramazioni del plesso
celiaco. Il plesso celiaco è una specie di centralina che
ha dei plessi nervosi viscerali dipendenti da questo
(renale, surrenalico, epatico, biliare, mesenteriale
generale, splenico e pancreatico), i quali hanno tante
fibre plessiformi dove ci sono quindi un misto di fibre
parasimpatiche pregangliari vagali e ortosimpatiche
postgangliari.
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Le fibre pregangliari dirette all’ innervazione dell’intestino hanno il loro ganglio nei plessi di Meissner
e di Auerbach che sono milioni di micro gangli intramurali; questi rappresentano la terminazione del
vago in questo viscere, da qui si diparte infatti il secondo neurone postgangliare del controllo
parasimpatico viscerale dell’intestino (porzione inferiore tubo digerente). Il neurite postgangliare è molto
corto perché ha decorso intramurale e il tratto per arrivare alla ghiandola o alla muscolatura liscia è
brevissimo.
Dopo aver innervato ileo, cieco, colon ascendente e flessura epatica, l'innervazione parasimpatica
vagale si arresta ai due terzi del colon trasverso (quindi prima della flessura splenica). Qui termina l’
innervazione vagale e successivamente è il plesso mesenterico superiore che si occupa dell’
innervazione simpatica della restante regione del tubo digerente, dove vengono sfruttati i vasi per il
decorso delle fibre; è infatti lo stesso territorio di distribuzione dell’arteria mesenterica superiore. Grosso
modo allo stesso livello c’è l’anastomosi fra l’arteria mesenterica superiore e il circolo della mesenterica
inferiore che è responsabile della vascolarizzazione della flessura splenica, del colon discendente e del
sigmoideo e questa porzione quindi da un punto di vista di innervazione parasimpatica è di pertinenza
del parasimpatico sacrale, insieme ai visceri pelvici.
Il vago nel suo decorso nella regione del collo (dove destro e sinistro hanno decorso simmetrico) emette
rami faringei, successivamente emette il nervo laringeo superiore del collo, emette poi anche i nervi
cardiaci superiori e infine scende all’ imboccatura del torace, alla radice del collo. A destra emette,
passando davanti all’ arteria succlavia, il nervo laringeo ricorrente. A sinistra l’arteria succlavia e la
carotide comune hanno origine direttamente aortica quindi il vago di sinistra continua a scendere
indisturbato, passa dietro al tronco venoso brachiocefalico di sinistra e poi passa davanti all’arco
dell’aorta e qui emette il nervo laringeo ricorrente di sinistra. I nervi laringei sono quindi due per ogni
lato, nervo laringeo superiore e nervo laringeo inferiore. Il superiore origina a livello del collo, l’inferiore
invece all’ imboccatura del torace diversamente a destra e a sinistra. Il primo è largamente sensitivo
per la mucosa della laringe e ha una piccola componente somatomotrice per il muscolo cricoaritenoideo
posteriore, il quale è un muscolo molto importante perché le aritenoidi sono dei cappuccetti che nel
processo vocale danno innesto alla corda vocale regolando la tensione delle corde vocali e la tensione
della rima della glottide.
NOTA CLINICA: Parlare con voce strana cioè avere una disfonia può essere causata
da un aneurisma dell’arco dell’aorta perché il ricorrente che dà sensibile alterazione della
contrattilità della muscolatura laringea, uncina l’arco dell’aorta,e allora una dissecazione
del’ arco dell’aorta può presentarsi con questa problematica.
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I nervi cardiaci inferiori che originano a livello del torace e i nervi cardiaci superiori che originano a livello
del collo, si portano al cuore sotto l’arco dell’aorta e intorno all’atrio di destra e lì le fibre si fondono con
i nervi cardiaci dell’ ortosimpatico. Fondendosi insieme formano il plesso cardiaco, che poi ha delle
sotto-diramazioni come il plesso coronario per la regolazione del ritmo cardiaco e della forza di
contrazione. L’ortosimpatico è cardiostimolatore, il parasimpatico vagale è cardioinibitore (bilancia
simpato-vagale come gestione della modalità della contrazione cardiaca). Per il plesso polmonare si
ha lo stesso discorso, fibre parasimpatiche vagali e ortosimpatiche si fondono insieme per
l’innervazione della muscolatura liscia e delle ghiandole bronchiali.
Nel suo tratto cervicale il vago dà rami somatomotori per l’innervazione della muscolatura faringea e
laringea. Mentre la raccolta della sensibilità laringea è pure di pertinenza vagale, la raccolta della
sensibilità faringea (soprattutto orofaringea) è di pertinenza del glossofaringeo (IX nervo), il quale
anch’esso si dirige verso la faringe. Inoltre il glossofaringeo ha una piccola componente somatomotrice
per il muscolo stilofaringeo (unico muscolo innervato di pertinenza del glossofaringeo). Tutto il resto
della muscolatura faringea è innervata dalle fibre somatomotrici del vago le quali hanno tutte origine
dal nucleo ambiguo. Quindi la componente somatomotrice del IX nervo è piccola ed è limitata a questo
muscolo, mentre la componente somatomotrice del X nervo è invece parecchio più vasta ed è destinata
all’innervazione motrice della laringe tramite i nervi laringei superiore e inferiore e alla muscolatura
faringea con l’eccezione dello stilofaringeo. La sensibilità della mucosa della faringe, particolarmente
dell‘orofaringe, è raccolta dal IX nervo che è
prevalentemente sensitivo.
La costrizione e l’attività della muscolatura
faringea è coinvolta principalmente nel riflesso
della deglutizione, nel riflesso del vomito e poco
in quello della tosse; il riflesso della deglutizione
è attivato dalla stimolazione meccanica dei
recettori della mucosa faringea. Ad esempio
quando deglutiamo e buttiamo giù un boccone la
sensibilità meccanica dei meccanocettori della
mucosa (che è di pertinenza glossofaringea)
innesca la motilità riflessa dei costrittori superiori,
medi e inferiori della faringe (il cui controllo
motorio è vagale). Dunque il IX nervo cede molti rami faringei che vanno a innervare il vago di origine
dal nucleo ambiguo somatomotore.
I nervi faringei del vago innervano fino al terzo superiore dell’esofago mentre i due terzi inferiori sono
costituiti da muscolatura liscia, di pertinenza del plesso esofageo anteriore e posteriore vagale con
innervazione parasimapatica.
Quindi l’esofago nel suo terzo superiore è costituito da muscolatura striata con innervazione motrice
vagale che ha origine dalle fibre del nucleo ambiguo (somatomotore). Nei sui due terzi inferiori invece
è costituito da muscolatura liscia con innervazione parasimpatica vagale (plesso esofageo anteriore dal
vago di sinistra e posteriore dal vago di destra) le cui fibre visceroeffettrici pregangliari originano dal
nucleo motore dorsale del vago.
Noi non contraiamo volontariamente i muscoli striati della faringe, eppure è costituita da muscolatura
striata che ha innervazione somatomotrice. Ritornando all’ esempio, mangio il boccone, questo arriva
nell’ istmo delle fauci con stimolazione dei meccanocettori presenti nella mucosa che è innervata dal
IX nervo tramite fibre afferenti somatiche. Poi tramite un collegamento breve tra queste fibre con i
neuroni del nucleo ambiguo si ha l’attivazione della componente somatomotrice della muscolatura
faringea e del terzo superiore dell’ esofago. Per proseguire la deglutizione si ha poi, per i due terzi
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inferiori dell’ esofago, l’attivazione delle fibre parasimpatiche visceroeffettrici da parte del nucleo motore
del vago tramite i plessi esofagei. Ma quindi: perché nella faringe, nella laringe e nell’esofago, la
muscolatura striata si porta dietro un innervazione somatomotrice – se questa agisce non sotto
controllo volontario ma totalmente sotto controllo riflesso?
La risposta è ontogenetica perché questi sono muscoli di derivazione branchiale, hanno origine dagli
archi branchiali da cui originano molte strutture del collo. A noi si è chiusa la struttura che
filogeneticamente dava origine alle branchie, quindi una quota si trasforma in strutture cervicali che
derivano quindi dagli archi branchiali e dalle tasche faringee.
Il nervo del primo arco branchiale da cui origina la mandibola (cartilagine di Meckel) è il nervo
mandibolare (terza branca del trigemino), il nervo che innerva i derivati della muscolatura del secondo
arco branchiale detto arco ioideo (cartilagine di Reichert) è il nervo faciale.
GLOSSOFARINGEO [IX]
É un nervo più piccolo del vago e una sua parte origina dal nucleo ambiguo con poche fibre
somatomotrici per il muscolo stilofaringeo. Il nervo esce dal foro giugulare e si dirige alla faringe e si
addossa al muscolo stilofaringeo seguendolo e arriva fino alla lingua. La componente faringea è
principalmente sensitiva, ha quindi due gangli sensitivi, uno superiore e uno inferiore, uno
somatosensitivo e uno viscerosensitivo. Il viscerosensitivo va al nucleo del tratto solitario e trasporta
un po’ di componente gustativa per le papille dietro al V linguale. Trasporta inoltre la sensibilità dalla
mucosa della faringe a cui si aggiunge la sensibilità viscerale raccolta dal glomo e dal seno carotideo.
Glomo e seno carotideo sono di un’importanza enorme per il mantenimento pressorio e anche per i
riflessi dal punto di vista chimico sul ritmo respiratorio della regolazione cardiocircolatoria; e quindi
anche queste fanno capo al nucleo del tratto solitario.
Nel nervo glossofaringeo è presente la componente salivatoria inferiore che era assente nel vago,
questi neuroni danno fibre pre-gangliari parasimpatiche eccitosecretrici salivari fino ad arrivare al loro
ganglio da cui poi partono i fasci post-gangliari che vanno alla parotide.
Appena il nervo esce dal foro giugulare emette una collaterale molto rilevante che esce dal foro
giugulare e penetra, perforando la porzione posteriore dell’ osso timpanico, nella cassa del timpano;
attraversa la cassa del timpano e per questo prende il nome di nervo timpanico di Jacobson. Mentre
attraversa la cassa del timpano cede fibre somatosensitive alla mucosa della cassa del timpano, queste
fibre appartengono quindi al glossofaringeo.
NOTA CLINICA: se abbiamo un’otite media con infiammazione della mucosa dell’orecchio medio
sentiamo male perché c’è pressione e stimolazione dei recettori dolorifici del nervo
timpanico nella mucosa della cassa del timpano che è infiammata.
68
Il nervo timpanico di Jacobson (le cui fibre
conducono queste sensazioni dolorifiche) dopo
aver emesso questi rametti alla cassa del
timpano, continua e si addossa alla superficie
superiore ossea dell’orecchio (tegmen timpani) e
percorre un canalicolo detto del nervo petroso
superficiale proprio perché qui prende il nome di
nervo piccolo petroso superficiale.
Percorrendo il canalicolo emerge all’apice della
piramide del temporale, sopra all’emergenza del
canale carotideo (ci sono sopra dei forellini)
tramite lo hiatus del nervo petroso
superficiale. Lasciate le fibre sensitive
somatiche alla cassa del timpano quindi il nervo
timpanico procede nel canalicolo come nervo
piccolo petroso superficiale e arriva dentro la fossa cranica media emergendo all’apice della piramide
del temporale, da qui piega verso il basso, si getta nel foro ovale (utilizzato anche dalla terza branca
del trigemino per uscire) dello sfenoide e esce dal cranio nella fossa infratemporale.
Fisicamente attaccato alla branca mandibolare del trigemino, dopo che questa è giunta nella fossa
infratemporale, c’è un ganglio che si chiama ganglio otico che pur essendovi attaccato non è un
ganglio del trigemino ma è un ganglio parasimpatico delle fibre salivatorie inferiori del IX nervo. Qui
terminano le fibre parasimpatiche che hanno avuto origine nel nucleo salivatorio inferiore. Le fibre
parasimatiche pregangliari destinate alla parotide, una volta uscite uscite dal foro giugulare continuano
nel nervo timpanico di Jacoboson mescolate a fibre sensitive somatiche in quanto questo nervo
contiene tutte e due le componenti. Una volta nella cassa del timpano il nervo timpanico lascia le
componenti sensitive somatiche sostanzialmente per l’innervazione dolorifica per la cassa del timpano.
Procede come petroso superficiale solo con la componente pregangliare parasimpatica salivatoria
parotidea, esce all’apice della piramide temporale nella fossa cranica media e piega verso il basso
uscendo dal foro ovale insieme alla branca mandibolare del trigemino (che è una branca mista). Si
trova così nella fossa infratemporale e qui trova il ganglio otico dove terminano realmente le fibre
pregangliari parasimpatiche salivatorie inferiori del glossofaringeo. Esse fanno sinapsi con neuroni
secondari da cui parte l’ assone postgangliare che arriva alla parotide. Queste fibre postgangliari che
originano dal ganglio, il quale è fisicamente attaccato alla branca mandibolare, entrano nella branca
mandibolare (terza branca) del trigemino, fanno un brevissimo percorso di pochi millimetri e imboccano
una sua collaterale che si chiama nervo auricolotemporale che di suo sarebbe sensitivo. Le fibre
postgangliari parasimpatiche salivatorie montano l’auricolotemporale e lo sfruttano per arrivare alla
parotide; quindi l’ auricolotemporale attraversa orizzontalmente indietro la fossa infratemporale e
penetra nella loggia parotidea, nel fare questo percorso il nervo fa un occhiello attorno all’arteria
meningea media che sta dietro (questo è un punto di repere in un’ area chirurgica). Infine le fibre del
V nervo se ne vanno a innervare la cute e quelle postgangliari salivatorie del glossofaringeo si
distribuiscono alla ghiandola parotide.
69
Nel solco retrolivare, nella porzione più bassa, c’è: il nervo accessorio (XI), con le sue due radici (una
che è spinale ed una che viene dal basso), la radice del nervo vago (X), e, nella porzione alta, il IX
nervo cranico.
Questi tre nervi (IX, X, XI) escono dal foro giugulare (origine apparente di quelle fibre). In effetti le fibre
del nervo dell'accessorio vagale originano solo dalla porzione caudale del nucleo ambiguo, quelle del
vago (X) e del glossofaringeo (IX) originano dai loro quattro nuclei.
Quindi:
● Dal nucleo motore dorsale le fibre viscero-effettrici pregangliari parasimpatiche del nervo vago
(con un grandissimo territorio di innervazione).
● Dal nucleo ambiguo originano le fibre somatomotrici (del IX, X, XI nervo)
● Dal nucleo salivatorio inferiore le fibre pregangliari parasimpatiche del IX nervo cranico.
Queste ultime (cioè le fibre che costituiscono componente parasimpatica glossofaringea) percorrono il
seguente tragitto: entrano nella cassa del timpano, a livello dell’orecchio medio, prendendo il nome di
nervo timpanico di Jacobson che contiene anche le fibre somatosensitive l’orecchio medio del IX nervo.
Attraversata la cassa del timpano → penetra nella rocca pietrosa del temporale e forma il nervo petroso
superficiale che passa nel foro ovale (fossa cranica media) → subito sotto al foro ovale si trova il
ganglio ottico (annesso alla terza branca del V) → ganglio
parasimpatico del IX nervo ancora fisicamente attaccato alla terza branca del trigemino (V), ma che in
realtà è, appunto, il ganglio parasimpatico del IX nervo.
Il X, quindi, si occupa dell’innervazione motoria dei costrittori della faringe, e il IX della ricezione della
sensibilità tattile della faringe in generale, e dell’orofaringe in particolare. Si chiude, quindi, il circuito
che è un arco diastaltico essenziale nell'esecuzione della deglutizione, cosa che si può alterare in
patologia; la deglutizione prevede anche un'attività del XII nervo cranico, poiché la lingua spinge dietro
il bolo alimentare.
Le poche fibre sensitive somatiche del IX e del X fanno capo al tratto discendente del trigemino e quindi
sono del tutto laterali: sensitive e somatiche per il padiglione auricolare e la cute del meato acustico
esterno.
70
ARCO RIFLESSO
In figura possiamo vedere il nucleo motore dorsale del vago che è pregangliare parasimpatico con
grandissima estensione della innervazione parasimpatica periferica. Poi il nucleo ambiguo
(muscolatura striata branchiale) che proviene dal X nervo che controlla la muscolatura faringo-laringea
(deglutizione, fonazione e una parte della funzione respiratoria…). Il nucleo motore dorsale del vago
controlla ampie zone, in particolare la muscolatura liscia dei visceri addominali e visceri toracici, l'attività
di tutto ciò è controllata da centri sovrassiali (frecce rosse). Ci sono, quindi, degli archi riflessi che si
congegnavano all'interno della sostanza grigia del midollo e così si congegnano all'interno della
sostanza grigia del tronco dell'encefalo. Quindi il versante sensitivo porta informazioni sensitive ai nuclei
del tronco dell’encefalo e poi vengono trasferiti per collegamenti brevi sulla parte motoria
(visceromotoria e somatomotrice).
La muscolatura degli
archi branchiali, che è
normalmente
somatica, agisce
sostanzialmente per
via riflessa. Il nucleo
del tronco
dell’encefalo che
riceve la sensibilità
utile al controllo
riflessogeno di questi
nuclei motori è l’unico
nucleo della sensibilità
viscerale del tronco
dell'encefalo, ovvero il nucleo del tratto solitario. Il nucleo del tratto solitario, quindi, riceve
sostanzialmente le fibre sensitive dal X e poche dal IX, per quanto riguarda la parte di quelle gustative,
e del VII, per un’altra parte delle stesse.
Il nucleo del tratto solitario riceve la sensibilità dalla larga parte dei visceri toraco-addominali e dalla
mucosa della bocca (sensibilità specifica gustativa) ed è l’unico cui arrivano altre afferenze dai gangli
annessi del VII, IX, X ed altre di natura pressoria dai barocettori cardiaci, carotidei e dai chemocettori
aortici e carotidei. Esso raccoglie tutte le informazioni e fa degli archi riflessi brevi, quindi chiude gli
archi riflessi semplici, (archi diastaltici semplici) verso gli effettori che vanno a innervare, dal punto di
vista effettore motorio/secretorio, gli stessi territori da cui gli sono arrivate le informazioni: “arco riflesso”.
La maggior parte di queste funzioni (fonazione, deglutizione, respiratoria, cardiaca, secrezione delle
ghiandole) non risponde solo ad afferenze brevi di natura riflessa, ma deve ricevere un controllo
sovrassiale. Il nucleo del tratto solitario, quindi, oltre a dare efferente brevi per chiudere gli archi riflessi
semplici ai nuclei effettori, manda informazioni ai centri sovrassiali (come ad esempio l’ipotalamo e in
generale centri diencefalici, che si vedranno in seguito).
I centri sovrassiali poi integrano queste informazioni, che hanno provenienza viscerale diffusa, con altre
informazioni di provenienza non propriamente sensitiva periferica, come la sensazione di sazietà o di
fame. Queste sensazioni si basano su più afferenze, le integrano insieme, le rielaborano e superano il
livello di coscienza. Queste sono identificate come: fame, sete. Tutto questo si basa su un database di
afferenze viscerali integrate e rielaborate fra di loro e con diverse altre informazioni, anche di natura
cognitivo-interpretativa.
Es. Se sono molto impegnato in un’azione che mi assorbe completamente non percepisco la
sensazione di fame, appena finisco di farla, improvvisamente avverto la fame. La fame c’era anche prima:
gli elementi su cui si basa la sensazione di fame (ipoglicemia, vuoto dello stomaco...) c’erano anche
71
quando compivo l’azione precedente e continuano ad esserci, solo che i centri sovrassiali hanno dato una
gerarchia. Mentre compivo quell’azione non era essenziale il senso di fame. Ovviamente non deve essere
un’azione molto prolungata perché poi, nonostante io stia compiendo un’azione, sentirò la fame. Questo
fenomeno è tipicamente sovrassiale.
Abbiamo bisogno dei centri sovrassiali perché essi riescono a gestire una gerarchia, mentre il nucleo
del tratto solitario dirige solo le informazioni. Passiamo, quindi, da una situazione semplice di
circuitazione neuronale (nucleo del tratto solitario) ad una situazione complessa di reti neuronali (centri
sovrassiali).
Il nucleo solitario invia le informazioni agli effettori per gli archi diastaltici semplici (reflessogenicità
semplice), un’altra parte delle medesime informazioni vengono inviate ai centri sovrassiali. Questi le
integrano in modo molto più complesso, essendo inseriti in reti neuronali, e, successivamente,
modulano l’attività degli effettori sui quali insistono anche le connessioni brevi, ma la risposta
reflessogenica breve è modulata dall’influenza discendente di centri sovrassiale.
Tutto il versante effettore, quindi, riconosce un’attività di stimolazione che viene dal versante sensitivo,
ma la sofisticatezza della risposta in termini qualitativi, come mettere nella corretta sequenza risposte
motorie, secretorie, viscerali, somatiche ecc.. , come inibire o lasciare passare le sensazioni e quindi
mettere nella corretta sequenza e/o corretta intensità, sono tutti fattori addizionali qualitativi che non
possono essere gestiti per via di archi diastalici semplici, ma serve un livello di integrazione superiore
che finisce per modulare la capacità di risposta agli stimoli brevi degli effettori periferici.
Es. Il fuso neuromuscolare con le fibre intrafusali e il ganglio motoneurone. Il ganglio motoneurone se contrae il
fuso aumenta l’intensità del riflesso miotatico e, conseguentemente, aumenta il tono, al contrario se i gangli
motoneuroni sono disattivati, il fuso si allunga e il tono diminuisce. Il riflesso miotatico è un riflesso breve: fibra
afferente dal fuso, motoneurone, fibra efferente dal muscolo. I ɣ-motoneuroni modulano dalle corna anteriori
l’intensità di questo riflesso e, a loro volta, sono modulati da centri sovrassiali. Non basta il riflesso da stiramento,
ci saranno dei livelli superiori di modulazione per far sì che la capacità reflessogenica si adatti ad un’infinità di
capacità motorie o posturali che io posso decidere di assumere. Per fare ciò ci vuole una programmazione motoria
la quale viene gestita dai centri sovrassiali che poi coordinano tutto e influenzano il riflesso miotatico. Lo strumento
finale dei centri sovrassiali sono i ɣ-motoneuroni.
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VESTIBOLO-COCLEARE [VIII]
Le vie acustiche fanno capo ai nuclei cocleare ventrale e dorsale dove fanno sinapsi.
COMPONENTE VESTIBOLARE
L’ottavo nervo cranico, vestibolococleare o stato-acustico, è un nervo sensitivo puro che connette
il sistema nervoso centrale all’orecchio interno. Quest’ultimo presenta due componenti: la coclea (parte
dell’organo dell’udito a forma di chiocciola) e il vestibolo (comprendente l’utricolo, il sacculo e i canali
semicircolari2).
L’utricolo e il sacculo sono dotati di recettori sensibili alle forze di gravità, mentre i recettori presenti
nei canali semicircolari recepiscono i movimenti della testa nello spazio. Tutti questi recettori sono
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immersi in un liquido che riempie le strutture del vestibolo. Si tratta di endolinfa, un derivato più denso
del plasma che, proprio per questa sua elevata densità, presenta un certo grado di inerzia. L’endolinfa
é importantissima, perché alla base dello stimolo dei canali semicircolari; il suo “contenitore” è
rappresentato da un labirinto con cellule ciliate, difatti quando si muove la testa, ad esempio in un rapido
movimento, anche i canali semicircolari del vestibolo con le loro ciglia si muoveranno, l’endolinfa però
si muoverà molto più lentamente e in questo modo le ciglia risulteranno flesse, in ritardo e con direzione
opposta. Allo stesso modo, quando il movimento della testa sarà terminato, l’endolinfa sarà ancora in
movimento stimolando quindi le ciglia dei recettori a flettersi in direzione contraria. Questo rende i canali
semicircolari sensibili alla cinetica della testa nello spazio.
L’utricolo, il sacculo e i canali semicircolari, sono innervati dalla componente vestibolare dell’VIII nervo
cranico. Questa informa il sistema nervoso centrale della posizione della testa nello spazio e della sua
dinamica di movimento. Il nervo vestibolare ha la sua origine reale nel ganglio di Scarpa (ganglio di
Corti per la componente cocleare). Qui i neuroni danno ciascuno due fibre sensitive : una centrale e
una periferica. Delle fibre centrali, una piccola parte attraversa i peduncoli cerebellari inferiori,
raggiunge il lobo flocculo nodulare, per poi tornare ai nuclei vestibolari.
La massima parte di queste fibre invece, si ferma direttamente ai nuclei vestibolari. Questi sono
collocati al confine bulbopontino del tronco encefalico e sono quattro : il superiore, l’inferiore, il mediale
e il laterale.
Dai quattro nuclei vestibolari partono due fasci distinti: uno si dirige verso l’alto, mentre l’altro verso il
basso. Il fascio che si porta in basso è il fascio vestibolospinale. La sua componente più importante
origina dal nucleo vestibolare laterale di Deiters e si porta al midollo spinale, nello specifico ai
gamma motoneuroni dei gruppi muscolari estensori.
Per capire il funzionamento dei fasci appena citati sono stati fondamentali gli esperimenti dello
scienziato Sherrington; egli tagliava i peduncoli cerebellari inferiori a dei gatti, prendeva poi altri gatti
con i peduncoli integri e confrontava la deambulazione di entrambi. Sollevandoli da terra, entrambi i
gatti hanno lo stesso comportamento “normale”.
Appoggiando il gatto con i peduncoli integri su un tavolo, questo, percependo la stimolazione tattile
sulle zampe, aumenta il tono dei suoi muscoli antigravitari (estensori), ed esegue il movimento in
modo naturale. Analogamente si comporta l’uomo quando si alza dal letto. Nel momento in cui i piedi
toccano terra e il corpo inizia a sollevarsi, le afferenze sensitive provenienti dalle terminazioni tattili e
pressorie dei piedi raggiungono il sistema nervoso centrale, e si intensificano con l’aumentare del carico
pressorio. La conseguenza di questo stimolo è il riflesso di raddrizzamento antigravitario: il tono della
muscolatura antigravitaria, ossia degli estensori del tronco e degli arti inferiori, aumenta in fretta per
evitare il collasso posturale.
Quando a toccare il tavolo è il gatto privo dei peduncoli inferiori invece, questo iperestende
eccessivamente i muscoli estensori. Questa condizione si chiama opistotono : si tratta di
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un’esagerazione del riflesso di raddrizzamento con conseguente postura patologica, causata in questo
caso dalla sezione delle afferenze cerebellari ai nuclei vestibolari (che si riflette in una iperestensione
incontrollata)
Difatti, il nucleo vestibolare laterale di Deiters proietta dei fasci con un’attività tonica facilitatrice (ovvero
eccitatoria) verso i gamma motoneuroni dei muscoli estensori antigravitari. A modulare questa elevata
attività stimolatoria dei muscoli estensori, intervengono le efferenze del lobo flocculonodulare del
cervelletto. La porzione di fibre centrali che dal vestibolo arriva direttamente al lobo flocculo nodulare
per poi riscendere ai nuclei vestibolari, esercita su questi ultimi e in particolar modo su quello laterale
di Deiters un’attività inibitoria. Sezionare i peduncoli cerebellari inferiori significa quindi tagliare la via di
inibizione del nucleo vestibolare laterale. Questo comporta una mancata modulazione frenante del
riflesso miotattico degli estensori, e quindi un’esagerazione del riflesso di raddrizzamento.
L’altro fascio che nasce dai nuclei vestibolari (in particolare dai nuclei mediale superiore e inferiore) si
dirige verso l’alto. Per farlo, attraversa il fascicolo longitudinale mediale (FLM), un fascio di
collegamento che percorre tutto il tronco encefalico e che contiene fibre tra loro eterogenee. Quindi
tramite questo fascio di collegamento, i nuclei vestibolari proiettano ai nuclei dei nervi della
muscolatura dell’occhio ( nervi cranici III, IV e VI).
[Di seguito verranno riportati i due esempi usati dal prof. per capire come funzionano le efferenze
vestibolari sui muscoli oculomotori]
Se il bambino non fosse bendato, recupererebbe la postura corretta più rapidamente poiché si servirebbe di punti
di riferimento nello spazio. Da bendato invece, l’unico modo per mantenere l’equilibrio è quello di basarsi sulle
afferenze propriocettive (anch’esse ingannate con la rotazione). Quando arresta il suo movimento quindi, il
bambino sente la testa girare e allarga la base d’appoggio per mantenere l’equilibrio (con la base stretta
3 Esistono due tipi di vertigine : quella oggettiva (la stanza gira, il paziente è fermo) e quella soggettiva
(il paziente si sente girare allorché la stanza risulti ferma).
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sbanderebbe nel senso opposto a quello in cui aveva girato). Se si osservano i suoi bulbi oculari finché non
riprende l’equilibrio e quindi cessa la stimolazione vestibolare, è possibile osservare un nistagmo analogo a quello
precedentemente descritto (vedi Treno). Ossia un nistagmo sul piano orizzontale con battuta rapida in senso
opposto al movimento.
[La componente cocleare del nervo VIII verrà trattata più avanti insieme all’apparato uditivo]
FACIALE [VII]
Il VII nervo cranico che ha andamento abbastanza complesso si chiama nervo faciale. La sua
innervazione motoria è data dai muscoli mimici, però la distribuzione dei nuclei non ha solo una
componente motrice e somatica per la muscolatura mimica che origina dal secondo arco branchiale.
Ma ha anche tutte le altre componenti (la componente salivatoria e lacrimatoria pregangliari
parasimpatiche, la componente gustativa e una componente sensitiva somatica).
La componente somatomotrice viene dal nucleo somatomotore del VII nervo e lo percorrerà tutto.
Il VII nervo si infila nella piramide del temporale, sbuca nel foro stilomastoideo, arriva nella loggia
parotidea, entra nella compagine della parotide e all’interno della ghiandola si dividerà nei suoi cinque
rami che poi serviranno per l’innervazione della muscolatura della faccia.
L’origine apparente è dal solco bulbo-pontino e contiene tutte e quattro le componenti di fibre. In
realtà nell'origine apparente ci sono due nervi addossati l'uno all'altro, che insieme vanno a costituire il
VII nervo. Uno è il VII propriamente detto , contiene fibre somatomotrici per la muscolatura facciale (le
fibre che escono dal foro stilomastoideo). Le altre componenti non sono nella compagine del VII ma
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nella compagine nervosa che sta immediatamente attaccata che viene chiamata nervo intermedio o
nervo intermedio di Wrisberg (il settimo intermedio VII-i). Il VII nervo, quindi, ha due radici che, per una
parte del tratto, fanno lo stesso percorso, ma non tutto, perché il nervo che arriva in fondo all'uscita del
foro stilomastoideo è solo la componente del VII nervo propriamente detto. Le componenti
dell'intermedio hanno altre destinazioni.
Il foro stilomastoideo è l'orifizio esterno inferiore del canale faciale, il quale comincia nel fondo del
meato acustico interno. Il meato acustico interno è un canalicolo scavato nella faccia mediale
posteriore della piramide del temporale. Allora le due radicolette, del VII nervo, escono dal solco bulbo-
pontino a livello del clivus occipitale e scendono giù. A questo livello si forma un angolo fra il ponte e la
faccia anteriore dell'emisfero del cervelletto, di un lato e dell’altro, chiamato angolo ponto-cerebellare.
È chiuso anteriormente dalla faccia postero-mediale della piramide del temporale e inferiormente c'è la
porzione dell’occipitale che confina con il temporale. Il VII nervo, quindi, insieme con l’VIII nervo, devono
andare tutti e due dietro la piramide del temporale, attraversano l'angolo ponto-cerebellare che è
occupato da una cisterna aracnoidea piena di liquor. Ed è un luogo difficile ma elettivo di
otoneurochirurgia per cui i tumori dell’angolo ponto-cerebellare che molto spesso sono neurinomi
(proliferazione abnorme delle cellule di Schwann, ma sono in genere benigni) dell’VIII nervo, vanno
rimossi perché comprimono sia l’VIII ma anche il VII nervo.
All’interno della curva, che è un canalicolo osseo, troviamo un ganglio sensitivo del nervo faciale
(componente somatica, sensitiva e viscerale gustativa). Il ganglio sensitivo, quindi, siccome si trova
nella sede del ginocchio del canale, è chiamato ganglio genicolato . Superato il ginocchio, il canale
del faciale continua andando indietro parallelo all’asse maggiore della piramide e nell’andare indietro
passa sopra la cassa del timpano (l’orecchio medio). Successivamente piega, fa una curva verso il
basso e diventa verticale per poi uscire nel foro stilomastoideo. In quest'ultimo tragitto verticale, il canale
faciale si trova dietro alla cassa del timpano e davanti alla mastoide per poi uscire a livello del foro
stilomastoideo.
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DECORSO
Nella prima porzione del canale faciale troviamo il ganglio genicolato che è un ganglio sensitivo che
contiene neurone pseudounipolare (del VII nervo) della sensibilità viscerale che è gustativa e della
sensibilità somatica generale che è piuttosto piccola e che, come quella del IX e del X, raccoglie da una
porzione del padiglione auricolare.
Questa piccola porzione di sensibilità somatica, si mescola ed esce dal foro stilomastoideo insieme alle
fibri motrici (siamo dentro alla parotide). Le fibre motrici sono la componente propriamente detta
esclusivamente somatomotrice di origine dal nucleo somatomotore brachiale, che entra a livello della
parotide. Vediamo cosa succede alle diverse fibre lungo la porzione precedente sull’osso. Se si
demolisce la parte ossea si trova il ganglio del facciale, all’interno di questo si trovano i neuroni
pseudounipolari della componente sensitiva: viscerale (gustativa unipolare) e piccola somatica (di
colore blu) che esce dal foro spinoso.
La corda del timpano, quindi, contiene fibre pregangliari salivatorie del VII nervo intermedio e fibre
sensitive viscerali speciali (VII nervo gustative per le papille gustative davanti al solco terminale, ovvero
V linguale che arrivano al nucleo del tratto solitario). (Per capire il percorso di queste fibre bisogna
seguire il colore giallo in figura). Diversamente dal nervo timpanico del IX, che lascia fibre sensitive
somatiche alla mucosa della cassa del timpano, questo attraversa la cassa del timpano, esce
anteriormente da un’apposita fessura e sbuca fuori dal cranio, anteriormente alla cassa del timpano
nella faccia posteriore della fossa infratemporale.
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Attraversa la fossa infratemporale e si anastomizza con la terza branca del trigemino (branca
mandibolare) e per entrare nel nervo linguale e seguire il suo percorso (questo tragitto viene fatto
entrambe le fibre del timpanico). Il nervo linguale arriva nel pavimento della bocca e si distribuisce alla
mucosa della lingua. La componente gustativa del VII, ex corda del timpano, accompagna queste fibre
e fornisce alle papille gustative anteriormente al solco terminale (V linguale) la loro innervazione.
Ci troviamo all’apice del temporale, appunto dove finisce la piramide del temporale e subito avanti si
trova la carotide interna che esce in posizione anteromediale, urta contro la parete laterale dello
sfenoide e penetra nel seno cavernoso con andamento a forma di S in alto, chiamato sifone carotideo.
Il nervo esce dal canalicolo e si trova davanti la radice della grande ala dello sfenoide in cui si trova il
canale vidiano, attraversa l’osso nella radice della grande ala (che sul versante esocranico rappresenta
il punto di attacco dei processi pterigoidei) e sbuca nella fossa sfenopalatina o pterigopalatina, una
fessura aperta lateralmente al fondo della fossa infratemporale. La fossa sfenopalatina è molto sottile,
ma anche molto importante, al confine fra lo splancnocranio (mascellare e palatino) e neurocranio
(processi pterigoidei e corpo dello sfenoide).
Il canale vidiano sbuca all’apice della fossa pterigopalatina, in cui si infila il nervo petroso profondo
formato dalle fibre pregangliari parasimpatiche mucolacrimatorie del nervo intermedio. Nel fare il tragitto
nel canale vidiano questo passa di fianco alla carotide interna. Intorno alla carotide interna si
arrampicano una grande quantità di fibre nervose postgangliari dell’ortosimpatico e la maggior parte di
queste, destinate alle strutture intracraniche, entrano nel cranio attraverso il plesso pericarotideo fatto
da tanti rametti che entrano sfruttando la carotide. Quindi la carotide è contornata da fibre postgangliari
dell’ortosimpatico destinate al cranio.
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Un rametto di queste si infila nel canale vidiano assieme al nervo petroso profondo, si uniscono e
formano il nervo vidiano. Il nervo vidiano percorre il canale vidiano e contiene, quindi, una componente
ortosimpatica postgangliare che viene dal plesso pericarotideo e una componente pregangliare
parasimpatica mucolacrimatoria del nervo intermedio (ex petroso profondo). Il nervo vidiano esce in
fossa pterigopalatina e trova un ganglio chiamato pterigopalatino o sfenopalatino, questo ganglio è
fisicamente attaccato alla branca mascellare del trigemino (seconda branca). Il ganglio sfenopalatino è
il ganglio parasimpatico della componente mucolacrimatoria del VII nervo intermedio.
Le fibre fanno sinapsi nel ganglio e, le postgangliari della componente muco, sono destinate
all’innervazione eccito-secretrice delle ghiandole della mucosa nasale e del palato, sia del palato molle
che del palato duro. Dal ganglio le fibre postgangliari, montano sulla branca mascellare del trigemino
con il ganglio attaccato e subito si distribuiscono con i rami sensitivi della stessa (nervi nasali e palatini)
nella mucosa del naso e del palato della branca mascellare.
La componente lacrimale postgangliare dal ganglio sfenopalatino monta sempre nel nervo mascellare
composto una branca è il nervo zigomatico che si porta verso lo zigomo, ha un ramo anastomotico con
la branca lacrimale (ramo laterale di divisione del nervo oftalmico, prima branca del trigemino) e lo porta
fino alla ghiandola lacrimale e fornisce con la componente sensitiva la sensibilità alla porzione laterale
della cornea.
Es. Uscendo fuori ci entra qualcosa nell’occhio, la prima branca oftalmica prende la sensibilità
irritativa, arriva al nucleo sensitivo della prima branca del trigemino, arriva alla prima branca del ganglio
di Gasser, arriva al nucleo del tratto discendente del trigemino, fa sinapsi breve, fa riflesso con il nucleo
mucolacrimatorio pregangliare parasimpatico del VII, riparte la branca efferente del riflesso con il nervo
intermedio, arriva al ganglio genicolato, nervo petroso profondo, nervo vidiano, guadagna la componente
pericarotidea postgangliare ortosimpatica, arriva al ganglio sfenopalatino, fa sinapsi, fibra postgangliare,
branca mascellare (seconda branca del trigemino), zigomatico anastomosi lacrimale con la prima branca
del trigemino (orbita), ghiandola lacrimale. Mi entra qualcosa nell’occhio e lacrimiamo. Mi si secca la
cornea e lacrimo.
FIBRE PARASIMPATICHE
Riassunto del percorso delle fibre parasimpatiche: dal ganglio genicolato (contenuto nel canale facciale)
le fibre formano il nervo grande petroso superficiale e il nervo vidiano, quest’ultimo prosegue nel
ganglio sfenopalatino, nel quale imbocca la seconda branca del trigemino (mascellare), in particolare
il suo ramo zigomatico.
Durante il decorso si formano nervi nasali e palatini per l'innervazione parasimpatica delle ghiandole
della mucosa nasale e del palato molle.
Il nervo zigomatico continua il suo decorso e si anastomizza con il nervo lacrimale che appartiene alla
prima branca del trigemino (n. oftalmico) con cui raggiunge la ghiandola lacrimale.
Le fibre trigeminali per la ghiandola lacrimale e i tessuti circostanti sono fibre sensitive, e solo nell'ultimo
tratto ricevono l'anastomosi dello zigomatico che contiene le fibre postgangliari del ganglio
sfenopalatino (appartengono al VII nervo). Queste fibre sfruttano nella loro porzione infraorbitaria il
nervo lacrimale perché è topograficamente più conveniente.
In conclusione, il nervo lacrimale è sensitivo e appartiene alla branca oftalmica del V nervo, ma
nell'ultima porzione contiene anche le fibre parasimpatiche postgangliari lacrimatorie del settimo nervo,
veicolate dallo zigomaticotemporale.
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Le altre fibre parasimpatiche del VII nervo superano il ganglio genicolato senza interrompersi e arrivate
nell’ultima porzione del canale del facciale (tra la cassa del timpano anteriormente e il processo
mastoideo posteriormente) formano un grosso ramo, corda del timpano, che contiene:
o una quota di fibre sensitive specifiche gustative.
o una quota di fibre parasimpatiche salivatorie. Queste derivano dal nucleo salivatorio
superiore e terminano nel pavimento della bocca nel ganglio sottomandibolare e sottolinguale,
da cui originano le postgangliari dirette alle rispettive ghiandole salivari.
Per raggiungere I loro territori di innervazione le fibre imboccano la corda del timpano (la sua
denominazione è dovuta al fatto che si vede in trasparenza nella membrana timpanica)
Le fibre escono anteriormente dalla capsula del timpano (fessura petrotimpanica), entrando nella fossa
infratemporale e gettandosi a pieno canale nel nervo linguale, un ramo del mandibolare (terza branca
trigemino).
Il nervo linguale è sensitivo per la mucosa della lingua (sensibilità generale) e contiene le fibre del
settimo:
● Le parasimpatiche salivatorie arrivate nel pavimento della bocca lo abbandonano per entrare
nei rispettivi gangli. Le postgangliari poi si distribuiscono alle ghiandole salivatorie.
● Le sensitive gustative invece continuano a percorrere lo stesso tragitto del linguale.
Le fibre del linguale si occupano della sensibilità generale mentre quelle del settimo innervano i calici
gustativi dei 2\3 anteriori della lingua (sensibilità specifica
FIBRE SOMATOMOTRICI
Attraversano il ganglio genicolato senza interrompersi e scendono nella porzione verticale del canale
dirette al foro stilomastoideo. Nell’ultima parte del canale si distacca un ramo collaterale che è destinata
al muscolo stapedio.
Ci sono due muscoli nell’orecchio medio:
o Lo stapedio, che si inserisce alla base della staffa e contraendosi mette in tensione la
base della staffa ed è innervato dalle fibre del settimo nervo.
o Il tensore del timpano che si inserisce sul manico del martello che è solidale alla
faccia interna del timpano, e contraendosi mette in tensione il timpano perché fa
trazione sul manico del martello.
I tre ossicini, partendo dalla cassa del timpano verso la parete dell’orecchio interno sono:
● Martello
● Incudine
● Staffa, la quale si inserisce in una finestra ossea, (finestra della staffa), e funziona
come un pistone, quindi quando il timpano oscilla, la catena degli ossicini trasmette la
vibrazione e poi preme sulla finestra della staffa.
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Dentro la parotide si producono prima due tronchi, dividendosi poi in totale in 5 branche.
● Il tronco temporofacciale:
○ Temporale: destinata alla porzione infraorbicolare e orbicolare dell’occhio e alla
muscolatura frontale.
○ Zigomatica
● Il tronco cervicofacciale:
○ Buccale: per la muscolatura superficiale della bocca, in particolare per la muscolatura
labiale superiore.
○ Mandibolare: per la muscolatura mentoniera e labiale inferiore.
○ Cervicale: scende verso il basso e va a innervare il platisma.
Nel nucleo somatomotore del facciale, arrivano delle fibre discendenti di controllo sovranucleare per la
motilità volontaria (in larga parte automatica), è presente quindi un primo motoneurone superiore che
innerva questo nucleo del facciale da cui partono le fibre efferenti. Questo è rilevante in caso di lesione
del motoneurone superiore perché la muscolatura della porzione superiore della faccia non perde
motilità perché possiede un'innervazione bilaterale.
Lesione totale del motoneurone di destra, la muscolatura superficiale superiore raramente si paralizza
completamente perché riceve un’innervazione anche dall'emisfero sinistra. Diversamente si perde la motilità della
porzione inferiore della muscolatura espressiva perché lì non c’è una quota o compensazione controlaterale
Paralisi a frigore o di Bell: è una paralisi dell’emivolto inferiore (comprende anche il muscolo orbicolare dell’occhio
con conseguenze corneali) che non è centrale ma periferica e temporanea. È dovuta alla compressione delle fibre
nervose somatomotrici del VII dentro al canale del facciale, per esempio dovuta da un edema. Si pensa che la
causa iniziale sia un’infezione virale temporanea che provoca un edema delle fibre nervose e compressione
temporaneamente del nervo, poi guarisce. È leggermente più frequente nella donna.
La paralisi è evidente a livello della rima buccale che viene stirata dal lato sano, perché quella del lato malato perde
tono e diventa flaccida (la paralisi determina la facies amimica). Sempre dal lato malato si ha scialorrea, perché si
perde la tenuta del muscolo orbicolare della bocca per la saliva. Per la diagnosi si deve testare anche la funzionalità
dell’orbicolare dell’occhio. La muscolatura citata per il facciale è superficiale mimica, e non masticatoria.
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trasportata dal vago, invece la piccola quota
della sensibilità viscerale gustativa del nervo
vago fa capo a porzione apicale del nucleo del
tratto solitario (nucleo gustativo).
TRIGEMINO [V]
È un nervo molto importante perché è il principale nervo sensitivo della testa (in particolare della
faccia), ha un territorio di innervazione vastissimo. È misto e contiene una componente principale
sensitiva, e una minore componente motrice somatica masticatoria.
È soggetto a un certo numero di patologie invalidanti come la nevralgia del trigemino che è comune. Le persone
affette devono rimanere di solito al buio e stesi e può durare anche per un tempo prolungato. La terapia prevede
l’uso di analgesici o soluzione chirurgica ed è impegnativa e non sempre risolutiva.
Le fibre del trigemino sono numerose e ciò è dimostrato dalla grandezza del suo nucleo sensitivo. La
colonna nucleare laterale è totalmente sensitiva somatica e occupa tutto tronco dell’encefalo e i primi
mielomeri cervicali.
Le fibre hanno l'origine apparente a metà del ponte, davanti hanno l'apice della piramide del temporale.
Una volta fuori si dirigono anterolateralmente e salendo si “arrampicano” sul tavolato superiore dell’osso
temporale fino all' apice della piramide e raggiungono il ganglio sensitivo semilunare o di Gasser. Il
ganglio di Gasser è posto in uno sdoppiamento della dura madre (cavo di Meckel) sulla faccia
superiore della piramide temporale
Il nervo si chiama trigemino perché dal ganglio di Gasser originano tre branche: V1-V2-V3
o Oftalmica V.1 diretta orizzontalmente in avanti e penetra nell’ orbita.
o Mascellare V.2 penetra nel foro rotondo dello sfenoide ed entra in fossa pterigopalatina per
proseguire nel pavimento dell’orbita.
o Mandibolare V.3 esce dal foro ovale e cade nella fossa infratemporale.
83
FIBRE
Quelle indicate con il rosso sono somatomotrici masticatorie che attraversano il ganglio senza
interrompersi, e originano dal nucleo masticatorio del V che è separato da quello sensitivo.
[n.d.s. Non confondere il fatto che ci siano 3 nuclei e il trigemino presenti 3 branche, perché i due fatti sono casuali,
non collegati tra loro: ogni branca porta una componente protopatica, una epicritica e una propriocettiva; queste
componenti vengono poi ridistribuite al nucleo mesencefalico (propriocettiva), principale o pontino (epicritica) e
discendente (protopatica) indipendente dalle 3 branche del nervo trigemino]
Efferenze:
● Dal nucleo principale: tale nucleo è l’omologo per la testa dei nuclei di Goll e Burdach bulbari
per il resto della sensibilità epicritica somatica. L’efferenza sarà analoga al lemnisco mediale,
quindi ascendente verso il talamo
● Il nucleo del tratto discendente è l’omologo del corno posteriore (lamina 4) per tutto il resto del
midollo, nel quale trapassa procedendo caudalmente. Quindi ci aspettiamo che l’efferenza sia
ascendente, cioè i fasci analogamente al lemnisco spinale si portano al talamo.
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Nell’insieme le componenti trigeminale ascendente epicritica e protopatica si dirigono al talamo
controlaterale (lemnisco trigeminale) unendosi (non fisicamente) ai fasci che già si stano dirigendo al
talamo, il quale riceve, in 2 nuclei diversi ma nella stessa zona, il 100% della sensibilità epicritica e
protopatica (prima erano presenti solo lemnisco spinale e mediale per la sensibilità rispettivamente
epicritica e protopatica del corpo eccetto la testa e faccia, la sensibilità di quest’ultima viene trasportata
dal lemnisco trigeminale)
È presente un altro tipo di connessione: come accade per la sensibilità protopatica nel midollo, ci
aspettiamo delle connessioni brevi (archi riflessi) con i nuclei effettori del tronco encefalico, per cui la
sensibilità raccolta perifericamente si connette con archi diastaltici brevi con i motoneuroni dei nuclei
motori che gli stanno medialmente nel tronco dell’encefalo
Es. se entra un granello di polvere in un occhio, la sensibilità congiuntivale e corneale si irrita e strizziamo l’occhio,
quindi ce una reazione motoria alla stimolazione sensitiva meccanica, che viene raccolta dal trigemino connesso
tramite archi riflessi diastaltici con nuclei motori, in particolare nucleo motore del VII per il muscolo orbicolare
dell’occhio, il muscolo elevatore della palpebra e con altra muscolatura scheletrica innervata da altri nervi cranici.
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Se guardiamo la distribuzione del nucleo del tratto
discendente (il più studiato e conosciuto), quindi
riguardante la sensibilità protopatica tattile e
termodolorifica (sensibilità veicolata da tutte 3 le
branche), si nota che sono distribuite separate “a
cipolla”. Dalla punta del naso ci si sposta con semicerchi
concentrici verso il meato acustico, cogliendo tratti di cute
diversi (ma nello stesso semicerchio) innervati da tutte e
3 le branche, se facciamo riferimento alla sensibilità
protopatica per questi territori innervati, essi
corrispondono nel nucleo del tratto discendete a territori
sovrapposti, cioè c’è una topografia della sensibilità protopatica del nucleo che si distribuisce rispetto
al territorio di raccolta (progressione anteroposteriore) con una distribuzione craniocaudale lungo il
nucleo.
Le fibre protopatiche più anteriori sono le più alte nel nucleo del tratto discendente. Quindi è presente
un riflesso topografico della terminazione di queste fibre all’interno del nucleo del tatto discendente.
A prima vista le ramificazioni del trigemino riprendono la forma della faccia, a dimostrazione del fatto
che le 3 branche raccolgono la sensibilità generale e propriocettiva della faccia. Il ganglio semilunare
di Gasser è appoggiato alla superficie superiore della rocca petrosa del temporale, all’interno della
fossa cranica media. Dal versante esterno del ganglio originano le 3 branche:
1. Oftalmica (V.1), branca sensitiva pura, si dirige verso l’orbita. Si vede che le diramazioni della
branca oftalmica si distribuiscono oltre l’orbita anche alle strutture del bulbo oculare ed una
quota delle fibre esce superiormente andando ad innervare la cute della fronte.
2. Mascellare (V.2), si dirige verso l’osso mascellare, attraversando in alto la fossa
pterigopalatina (foro rotondo). La branca mascellare poi scorre nel pavimento dell’orbita.
Nel pavimento dell’orbita (osso mascellare) è scavato il canale infraorbitario, attraverso cui
passa la branca mascellare, che fuoriesce esternamente sotto il margine inferiore dell’orbita
(orifizio esterno del canale infraorbitario). I rami di tale branca vanno ad innervare la cute
dell’area mascellare e nella sua porzione più bassa va ad innervare il plesso alveolare
superiore (arcata dentaria superiore).
3. Mandibolare (V.3), passa dal foro ovale per dirigersi alla mandibola. La branca mandibolare
attraversa quasi verticalmente la fossa infratemporale, è protetta dal ramo della mandibola e
profondamente ad essa si trovano i muscoli pterigoidei (laterale e mediale) e i processi
pterigoidei dello sfenoide. Anteriormente, all’interno della fossa infratemporale, è presente la
tuberosità dell’osso mascellare e posteriormente (porzione più alta) è presente la faccia
esocranica della porzione timpanica del temporale. Davanti e superficialmente alla fossa
infratemporale c’è l’arcata zigomatica.
La branca si divide, a livello del collo della mandibola, in 2 rami principali, il nervo linguale e il
nervo alveolare inferiore con il plesso alveolare inferiore [durante una anestesia dentistica viene
anestetizzato tutto il tronco del nervo alveolare → anestesia tronculare].
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Il nervo alveolare entra e decorre nella
mandibola, penetrando nella faccia interna
del ramo della mandibolare (canale
alveolare, protetto da una spina ossea
detta spina dello Spix circa all'angolo della
mandibola) decorre tutto il canale e lascia i
rami collaterali per i denti, infine fuoriesce
dal foro mentoniero diramandosi sulla cute
del labbro inferiore e mento. [n.d.s dopo
aver fatto l’anestesia, il dentista picchietta
sul mento, dal lato anestetizzato, per
verificare se ancora è presente sensibilità,
segno che l’anestetico ancora non ha agito
completamente sul nervo alveolare e sui
rami terminali, che sono nervi labiali
inferiori].
SENO CAVERNOSO
Nell’immagine si vedono i seni della dura madre, che sono dei grossi confluenti venosi che raccolgono
circolazione reflua venosa delle vene cerebrali e meningee e vengono detti seni della dura perché sono
compresi fra il tavolato cranico della base o della volta cranica ed uno sdoppiamento della dura madre,
che identificano delle zone a sezione grossomodo triangolari, formandone le pareti. I seni sono svariati
ed è presente una zona sulla faccia interna della squama dell’occipitale che prende il nome di confluente
dei seni, dove i seni della dura confluiscono tra loro originando il seno trasverso (grosso) e poi il seno
sigmoideo che si getta nel foro giugulare da cui poi ha origine la vena giugulare interna, che quindi è
il principale vaso venoso che drena il sangue della circolazione
intracranica (non è l’unico).
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BRANCA OFTALMICA [V.1]
Partendo dal ganglio di Gasser la branca mascellare ha un breve tragitto al di sopra della fossa
sfenopalatina per poi proseguire nel pavimento dell’orbita e impegnare il solco e canale infraorbitario,
proseguendo a formare il nervo infraorbitario.
Osservando il fondo dell’orbita da dentro l’orbita, è presente un anello tendineo, detto anello tendineo
di Zinn, che serve da inserzione per un certo numero di muscoli infraorbitari. [n.d.s. approfondiremo
quando verranno trattati i nervi oculomotori]. Questo anello tendineo passa parzialmente davanti alla
porzione mediale della fessura orbitaria superiore. Il nervo nasociliare (ramo di divisione mediale del
nervo oftalmico) passa attraverso l’anello tendineo insieme ai nervi oculomotore e abducente. Il nervo
frontale (secondo ramo) passa all’esterno dell’anello come pure il nervo lacrimale (terzo ramo) e il nervo
trocleare.
Quindi solo il nervo nasociliare passa all’interno dell’anello e successivamente scorre medialmente
nell’angolo mediale dell’orbita (tra volta e parete mediale): in questo tragitto scorre lungo la lamina
papiracea (faccia orbitale) dell’etmoide emettendo i nervi etmoidali anteriori e posteriori che innervano
le celle etmoidali, i seni etmoidali e la dura del pavimento della fossa cranica anteriore. Procede
entrando nel bulbo oculare e fuoriesce dall’angolo superomediale dell’orbita innervando cute e
superficie della sella nasale e della porzione mediale della fronte.
Il nervo nasociliare emette:
● Nervi ciliari lunghi
● Nervi ciliari brevi
All’interno dell’orbita, dietro al bulbo oculare è presente un ganglio, detto ganglio ciliare, che è un
ganglio parasimpatico e quindi non è di pertinenza del trigemino (nervo somatosensitivo e in minor
misura somatomotorio); però come il ganglio sfenopalatino (parasimpatico per la componente
mucolacrimale del VII) è annesso alla seconda branca del trigemino ed il ganglio otico (parasimpatico
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del IX) è annesso alla terza branca
del trigemino, cosi il ganglio ciliare
(parasimpatico della componente
visceroeffettrice del III) è annesso (è
“appeso” sotto) alla prima branca del
trigemino.
Ricapitolando:
● Branca oftalmica: ganglio
ciliare, le cui fibre parasimpatiche
postgangliari sono destinate
principalmente all’innervazione del muscolo sfintere dell’iride (miosi) e quindi sfruttano i rami
del trigemino.
● Branca mascellare: ganglio sfenopalatino, posto nella fossa infratemporale.
● Branca mandibolare: ganglio otico posto nella fossa pterigopalatina.
Il nervo frontale è la branca intermedia di divisione, è centrale e decorre sotto la volta ossea, sopra il
retto e obliquo superiore, percorre tutta l’orbita e uscendo dalla cavità orbitaria superando il margine
superiore, va ad innervare la palpebra superiore e la cute della fronte. Sia il nasociliare che il frontale
portano rami congiuntivali per la porzione mediale e superiore della congiuntiva.
Digressione sulla fossa pterigo-palatina: si individua con questo nome quella regione, difficilmente
accessibile, posta tra la faccia anteriore del corpo dello sfenoide, i processi pterigoidei e la tuberosità del
mascellare. Per accedervi è necessario:
Demolire il ramo della mandibola → aprire la fossa infratemporale (situata al di sotto dell’arcata zigomatica) →
addentrarsi tra le diverse strutture che sono li presenti fino a raggiungere una fessura verticale, slargata
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superiormente e ristretta inferiormente, compresa tra la tuberosità del mascellare e la parete laterale del processo
pterigoideo dello sfenoide, che costituisce il portale d’accesso alla fossa.
La fossa è una regione molto delicata nella pratica chirurgica a causa delle strutture che vi sono contenute:
➔ Superiormente il nervo mascellare che esce dal foro rotondo, passa teso come un cavo e si infila nel
canale infraorbitario del pavimento dell’orbita.
➔ Inferiormente al nervo mascellare vi è appeso il ganglio pterigo-palatino (o sfeno-palatino).
➔ Inferiormente a queste strutture nervose passa la terza porzione (sfeno-palatina) dell’arteria mascellare
interna, uno dei due rami terminali della carotide esterna; infatti l’arteria mascellare interna si stacca in
avanti e profondamente, dietro il ramo della mandibola, attraversa trasversalmente la fossa infratemporale
dirigendosi verso l’imbocco della fossa pterigo-palatina e si divide in 3 porzioni: mandibolare,
infratemporale e sfenopalatina. Tutti i rami che hanno origine dall’ultima porzione si trovano sotto al nervo.
Fuoriuscito dal foro rotondo il nervo, prima di innestarsi nel canale infraorbitario, emette dei rami nasali
e palatini che sono mediani,e poi origina anche tutto il plesso alveolare superiore e i nervi per la mucosa
del seno mascellare; decorre poi nel canale infraorbitario e fuoriesce dal foro omonimo, localizzato al
di sotto dell’orbita, per dare innervazione sensitiva alla cute della guancia e all’ala del naso.
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Questa immagine è una sezione condotta medialmente al processo palatino dell’osso mascellare
ottenuta demolendo il setto nasale, osservata cioè dall'interno. Notiamo:
Quindi sezionando il nervo grande petroso posteriormente all’arteria carotide interna si trovano fibre
pre-gangliari para che derivano dal nucleo parasimpatico del nervo intermedio (muco-lacrimatorio),
mentre selezionandolo anteriormente alla medesima arteria si trovano oltre alla fibre descritte in
precedenza anche delle fibre post-gangliari orto con la stessa destinazione ovvero il ganglio sfeno-
palatino (5).
Nell'immagine vediamo la branca mascellare e il ganglio sfenopalatino nella porzione alta della fossa
pterigopalatina. Il nervo imbocca il canale vidiano, passa il foro rotondo e poi entra nel canale
infraorbitario. Le fibre entrano nel ganglio sfenopalatino, ma la vera branca afferente è il nervo vidiano,
però non tutto; il nervo vidiano contiene contemporaneamente sia la componente post-gangliare orto
(che passa dal ganglio senza fare sinapsi), che le fibre parasimpatiche mucolacrimatorie (VII), le cui
hanno come ganglio quello sfeno-palatino.
Dal ganglio sfeno-palatino originano, come rami della seconda branca del trigemino, i nervi nasali (6)
che innervano la mucosa del naso e contengono fibre per la sensibilità generale della mucosa nasale
e palatina, essendo una branca mascellare del V nervo (sensitivo generale), e fibre autonome per le
ghiandole nasali e palatine che ricevono innervazione orto e para:
➔ L’innervazione orto deriva dal plesso peri-carotideo e il loro ganglio è il cervicale superiore
della catena paravertebrale.
Decorso:
Ganglio cervicale superiore paravertebrale → entrano nel cranio come il plesso peri-carotideo →
entrano nel foro vidiano → attraversano il ganglio sfeno-palatino senza interrompersi → utilizzano i
nervi nasali e palatini della seconda branca del V per portare l’innervazione ortosimpatica a strutture
ghiandolari e vascolari del naso.
➔ L’innervazione para arriva con il nervo grande petroso superficiale, nucleo salivatorio superiore
e muco-lacrimatorio (per la secrezione eccito-secretrice della mucosa palatina e soprattutto
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nasale); queste fibre fanno sinapsi a livello del ganglio sfeno-palatino e divengono post-
gangliari parasimpatiche del nervo intermedio.
Quindi, rovesciando la domanda : come mai se c'è un odore come stimolo la mucosa nasale si irrita,
c'è secrezione e anche lacrimazione?
Questo si spiega dal fatto che, sezionando i rametti che si dipartono inferiormente dal nervo mascellare
per insediarsi nel ganglio sfeno-palatino trovo:
● Fibre post-gangliari lacrimatorie (VII) che continueranno nel nervo zigomatico (branca
mascellare) per innervare, dopo essersi anastomizzati con il nervo lacrimale (ramo della prima
branca del trigemino), la ghiandola lacrimale
● Fibre sensitive della sensibilità generale palatina e nasale le quali attraversano il ganglio
senza interrompersi e montano sulla branca del mascellare per distribuirsi alle strutture nasali
e palatine
1. Il ganglio otico
2. Il nervo vidiano (nervo grande
petroso che attraversa il canale
vidiano o pterigoideo)
3. Nervo mascellare che passa sopra
il ganglio sfeno-palatino
4. I nervi palatini
5. Il ganglio sfenopalatino
6. Arteria mascellare interna
1. Nervo linguale
Questo nervo piega sul pavimento della bocca. Tagliandolo, troviamo fibre per la sensitività generale
della mucosa della lingua. Troviamo anche fibre che derivano dalla corda del timpano, che si getta a
pieno canale dentro al nervo linguale e porta la componente pre-gangliare parasimpatica salivatoria del
nervo intermedio per la ghiandola sottomandibolare e sottolinguale. Queste cioè percorrono, insieme
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alla parte sensitiva, per un po il nervo mandibolare, poi quando arrivano al ganglio vicino alle ghiandole
danno l'innervazione parasimpatica salivatoria.
C'è anche una piccola componente motrice somatica, che percorre il nervo linguale e poi si stacca
prima di arrivare alla mucosa della lingua, per l'innervazione del ventre anteriore del digastrico e del
miloioideo, che derivano dal primo arco branchiale.
Troviamo anche termocettori e una componente gustativa che deriva dal VII, IX e un
po X.
È importante ricordare che la sensibilità superficiale della porzione inferiore della guancia, sulla
mandibola, e della zona mentoniera è riferibile alla terza branca del trigemino. Tutto il resto della testa
e del collo che passa dietro un piano coronale passante per il meato acustico esterno è pertinente alle
radici cervicali e occipitali del plesso cervicale (nervi spinali).
1. Bulbo oculare: Quando un oggetto corpuscolato entra nell’occhio noi lacrimiamo (riflesso
lacrimale) perché si secca il sacco congiuntivale e ammicchiamo o sbattiamo le palpebre
(riflesso corneale). Nel complesso si tratta di sensibilità corneale e congiuntivale del sacco
congiuntivale raccolta dalle terminazioni del nervo oftalmico. Segue l’impulso:
Via afferente: l’impulso origina dalla congiuntiva → viaggia all’indietro attraverso il nervo oftalmico (VI)
→ entra in fossa cranica media dalla fessura orbitaria superiore → afferisce al ganglio di Gasser → il
ganglio di Gasser proietta centralmente al nucleo pontino e della radice discendente ubicati nel tronco
encefalico.
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Cosa succede nel tronco dell’encefalo? L’obiettivo ultimo è far lacrimale e ammiccare (costringere)
l’occhio.
Per lacrimare:
Via efferente: nucleo salivatorio superiore (VII) → canale del faciale → nervo grande petroso
superficiale → nervo vidiano → ganglio sfeno-palatino → le efferenze salgono sulla seconda branca
del trigemino (mascellare) → nervo zigomatico → ramo anastomotico zigomatico-lacrimale → nervo
lacrimale (branca dell’oftalmico) → ghiandola lacrimale
L’obiettivo ultimo è far starnutire, un riflesso complesso perché prevede una contrazione rapida del
diaframma e della muscolatura intercostale, una regolazione non casuale della radice discendente del
V ed infine una regolazione della muscolatura laringea e faringea (oro e rino):
Via afferente della mucosa linguale: Secchezza della mucosa linguale (impulso) → nervo linguale →
terza branca del trigemino (n. mascellare) → foro ovale → ganglio di Gasser
Nel ganglio avviene la solita connessione centrale. È importante ricordare che se la stimolazione della
mucosa della lingua non è sensitiva ma è gustativa la via afferente non riguarda quella appena descritta,
ma le papille gustative innervate dal VII intermedio e del IX. Dal Ganglio di Gasser la sensibilità si dirige
al nucleo salivatorio inferiore (IX) e al nucleo salivatorio superiore del VII intermedio. Anche la sensibilità
del tratto solitario proietta verso il nucleo salivatorio inferiore.
Via efferente:
● nucleo salivatorio inferiore del IX → nervo timpanico di Jacobson (che non contiene solo le fibre
pre-gangliari del IX ma anche quelle sensitive per la cassa del timpano) → si getta nel foro
ovale nella terza branca del trigemino → arriva al ganglio otico (ganglio parasimpatico della
parotide) → nervo auricolotemporale (ramo della terza branca del trigemino) → occhiello
intorno alla meningea media → arriva alla parotide e stimola la secrezione parotidea
● nucleo salivatorio superiore del VII → canale del faciale → corda del timpano → nervo linguale
→ gangli sottomandibolari e sottolinguali → ghiandole sottomandibolare e sottolinguale
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ARCHI FARINGEI
Molte delle strutture viscerali, muscolari e ossee del collo derivano dagli archi branchiali (chiamati così
perché nei pesci si aprono e formano le branchie). Nell' uomo restano chiuse e formano le strutture
cervicali. Lo studio dello sviluppo di questi archi permette di capire meglio l’innervazione di alcune
strutture.
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Secondo arco faringeo
1. Cartilagine di Reichert, che ossificando nella sua porzione anteriore da origine all’osso ioide, e
ossificando alle sue estremità posteriori formando la staffa e processo stiloideo, mentre nel
mezzo non ossifica dando origine al legamento stiloioideo.
2. Muscoli mimici (mesoderma)
3. Ventre posteriore del digastrico (mesoderma)
4. Muscolo stapedio (mesoderma)
5. Muscolo stiloioideo (mesoderma)
6. Nervo facciale (VII)
ABDUCENTE [VI]
La sua funzione è quella di innervare il muscolo retto laterale del bulbo oculare.
Il nervo origina dal nucleo del nervo abducente del tegmento del ponte, emerge dal solco bulbopontino
sopra le piramidi del bulbo e le sue fibre decorrono in avanti, in alto e lateralmente immerse nel liquido
cefalorachidiano dello spazio subaracnoideo fino all'apice della rocca petrosa del temporale dove si
immette nel seno cavernoso della dura madre. Posto lateralmente all'arteria carotide interna, percorre
il seno cavernoso, dal quale fuoriesce per immettersi nella fessura orbitale superiore dello sfenoide,
passando all'interno dell'anello tendineo comune dei muscoli dell'occhio. Nella cavità orbitale si dirige
lateralmente, disponendosi poi sulla faccia mediale del muscolo retto laterale dell'occhio al quale si
distribuisce.
TROCLEARE [IV]
È l’unico nervo cranico a emergenza troncoencefalica dorsale. I suoi nuclei sono osservabili a sezione
bassa del mesencefalo, ventralmente al grigio periacqueduttale. La coppia di nervi trocleari decussa in
corrispondenza dell’emergenza rispetto all’origine nucleare, dovendo dirigersi verso la fessura orbitaria
superiore per entrare nell’orbita oculare. I nervi trocleari sono composti da fibre somatomotrici pure e
sono destinati all’innervazione del muscolo obliquo superiore-dell’occhio.
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OCULOMOTORE [III]
I nuclei di questo nervo sono visibili ad alta sezione del mesencefalo, ventralmente al grigio
periacqueduttale e sono presenti, per ogni nervo oculomotore, un nucleo somatomotore e un nucleo
parasimpatico visceroeffettore (di Edinger-Westphal). Le fibre parasimpatiche di questo nervo sono
dapprima destinate al ganglio ciliare e poi al muscolo costrittore dell’iride. Le fibre somatomotrici e
quelle parasimpatiche visceroeffettrici decorrono insieme nel nervo oculomotore verso il bulbo oculare
attraversando la fessura orbitaria inferiore.
GANGLIO CILIARE
3. La radice simpatica è la più sottile di tutte ed è collegata al plesso dell’ortosimpatico che entra
nell’orbita. Provengono dal plesso pericarotideo e anche queste attraversano il ganglio ciliare senza
fare sinapsi poiché sono fibre postgangliari del ganglio cervicale superiore. Sono destinate
all’innervazione ortosimpatica dei vasi del bulbo oculare.
RIFLESSO FOTOMOTORE
In condizioni di scarsa luminosità le pupille sono dilatate e viceversa. Si chiama miosi la costrizione
pupillare dovuta alla contrazione del muscolo costrittore della pupilla. Si chiama midriasi la dilatazione
della pupilla. Il riflesso fotomotore porta alla costrizione della pupilla grazie all’attivazione del muscolo
costrittore a causa di uno stimolo luminoso.
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Considerando l’immagine a sinistra, per descrivere
l’anatomia del riflesso fotomotore è necessario
rendere evidente che la porzione dorsale dei bulbi
oculari contiene la retina, una membrana sensibile
ai fotoni.
Dalla retina, abbandonando la porzione posteriore
dei bulbi oculari, partono i nervi ottici che
conducono l’impulso visivo retinico crudo (così
come è generato dalla retina) all’area 17 situata
nella corteccia del polo occipitale dell’encefalo.Per
giungere a tale area, i due nervi ottici fanno un
percorso che inizia con l’abbandono dell’orbita
oculare attraverso i fori ottici, riemergono quindi in
fossa cranica media e si incrociano poi
parzialmente in una struttura chiamata chiasma
ottico che poggia sopra l’ipofisi. Al chiasma ottico
seguono posteriormente i tratti ottici che arrivano
al corpo genicolato laterale del talamo e da qui
partono verso corteccia.
I due nuclei pretettali di destra e di sinistra ricevono dunque fibre retiniche e proiettano ciascuno
bilateralmente ai due nuclei di Edinger-Whestphal (parasimpatici pregangliari del III nervo) di destra e
di sinistra che operano un’azione finale parasimpatica sul muscolo costrittore dell’iride.Quindi, nella
pratica, se si attua una stimolazione luminosa isolata su uno solo degli occhi, valutandoli entrambi ci si
dovrà aspettare nel paziente sano il riflesso fotomotore in entrambi gli occhi.
OCULOMOZIONE
Il movimento dei bulbi oculari deve essere coniugato. Questo fenomeno è diverso dal riflesso
fotomotore consensuale, infatti, in quest’ultimo caso, si parla della regolazione del calibro pupillare. Noi
abbiamo due bulbi oculari e conseguentemente due retine; avendo due bulbi oculari e due retine,
l’immagine di un oggetto singolo si forma su entrambe le retine. Se io guardo il mio dito in realtà si
formano sulla mia retina di destra e su quella di sinistra due immagini del medesimo dito. La via ottica
è poi composta da: due nervi ottici, il chiasma ottico, tratti ottici, corpo genicolato laterale, radiazioni
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ottiche e infine area 17 (area visiva primaria di destra e di sinistra); un oggetto singolo si vede come
tale per il fatto che la corteccia cerebrale visiva, pur avendo due retine (quindi due immagini dello stesso
oggetto che vengono trasportate lungo le vie ottiche fino alle aree 17 del polo occipitale destro e
sinistro), opera una ricostruzione dell’immagine come unica sotto certe condizioni.
Esempio: se mettiamo un dito davanti alla faccia e con l’altro dito premiamo delicatamente a lato di un bulbo
oculare, l’immagine si sdoppia (diplopia). Con questo esempio è molto facile sperimentare il fatto che la
prima condizione per la ricostruzione di un’immagine unica di un oggetto singolo sta nel perfetto
orientamento spaziale della coniugazione del movimento dei bulbi oculari. Infatti, se tale
orientamento viene meno (perché spingiamo un po’ il bulbo o per una patologia) le immagini del dito si
formano in zone delle retine che non permettono poi una ricostruzione corticale come immagine unica.
Infatti, la condizione che permette che ciò avvenga è che le coordinate retiniche dell’immagine siano
omologhe, ovvero che l’immagine dell’oggetto si vada a formare su zone omologhe delle due retine.
Esempio: per quale motivo una giraffa (o qualsiasi animale erbivoro) ha gli occhi lateralizzati? La giraffa è un
erbivoro. Le foglie di cui si nutre non scappano, quindi non c’è alcuna necessità di avere una frontalizzazione
oculare. Non si crea una necessità di visione binoculare. Quindi per far sì che l’immagine degli oggetti singoli
abbia coordinate retiniche identiche è necessario un orientamento coordinato dei bulbi oculari, cosa
molto impegnativa da un punto di vista neurologico. La domanda che sorge spontanea è quindi: che
vantaggio mi dà la frontalizzazione oculare? Nel corso dell’evoluzione, la liberazione dell’arto anteriore
(ora arto superiore) dalla deambulazione ha comportato l’insorgenza dell’opposizione del pollice e
quindi il passaggio da locomozione a manipolazione a livello dello stesso arto. La manipolazione fine
richiede fra le tante cose anche una visione tridimensionale. Quindi la frontalizzazione è
sostanzialmente correlata con la caccia. La tigre ha bisogno di una frontalizzazione oculare a vantaggio
della visualizzazione tridimensionale.
Tuttavia, anche se le due retine vedono lo stesso oggetto e le coordinate retiniche sono identiche,
l’oggetto in realtà viene visto sotto un angolo lievemente diverso dai due occhi. La ricostruzione centrale
dell’immagine retinica come immagine unica ci dà la profondità di campo, ovvero la visione della
tridimensionalità dell’oggetto. Dal punto di vista della regolazione nervosa tutto ciò risulta essere molto
complesso.
I sei muscoli di ciascun occhio sono innervati solamente da tre nervi. Questi sei muscoli sono molto
piccoli, ma allo stesso tempo ricchi di fusi neuromuscolari. Quindi la cornice logica anatomica che
permette la ricostruzione dell’immagine retinica è basata sui seguenti dati anatomici: 3 nervi destinati
all’oculomozione per ogni lato, 6 muscoli per ogni bulbo oculare, alta densità di fusi neuromuscolari in
ognuno di questi muscoli, dimensione molto ridotta di ciascuna unità motoria. Quindi si hanno tante
fibre nervose che innervano poche fibre muscolari.
Più è fine la richiesta di regolazione contrattile di un muscolo scheletrico (in generale) più piccole
sono le unità motorie. Allo stesso modo, più piccola è la dimensione di un’unità motoria (intesa come
numero di fibre muscolari innervate da un motoneurone), maggiore è la quantità di neuroni
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somatomotori che devo mettere in campo per agire su quel muscolo. Il vantaggio che ricavo da tutto
ciò è una precisione crescente della contrazione al ridursi della dimensione dell’unità motoria.
Quindi l’attrezzatura per regolare finemente il posizionamento dei bulbi oculari c’è tutta: ho tante fibre
nervose, ho unità motorie molto piccole (perché i muscoli sono piccoli e le fibre nervose sono tante),
ho tanta propriocettività (ho un database molto ricco su cui regolare la funzionalità motoria); quello che
manca è il coordinamento fra i due bulbi oculari. Infatti, ciascuna di queste situazioni anatomiche si
riproduce per il lato destro e per il lato sinistro.
Esempio: sto leggendo un libro. Inizio a leggere una riga a sinistra e poi vado avanti a leggere fino alla fine della
riga a destra. In questo caso non muovo la testa, ma muovo solamente i bulbi oculari, in modo tale da seguire la
riga. Inoltre, possiamo osservare una differenza nel compimento di questa operazione nelle diverse fasi della
giornata. Infatti, la mattina siamo in grado di compiere una lettura veloce, mentre di sera leggiamo piano e arrivati
alla fine di una riga a volte non capiamo nemmeno cosa abbiamo letto. Tuttavia, è importante specificare che alla
base della riuscita di queste azioni c’è la capacità di saper leggere. La capacità di leggere può essere intesa come
la capacità di trasformare in lemma grafico dei segni che si vedono su un foglio e che si riconoscono. Infatti, se
leggiamo una parola in cinese, magari riconosciamo che sono ideogrammi di una scrittura orientale, ma non siamo
in grado di capirla.
Invece, le lettere del nostro alfabeto le capiamo, le leggiamo in
un colpo solo e le identifichiamo come parole. A queste parole
diamo un significato perché le conosciamo e le interpretiamo,
ovvero le leggiamo come un’unità e le paragoniamo alla
memorizzazione che abbiamo di quelle parole. Il discorso è
molto complesso ma quello che ci interessa è che se una
parola l’abbiamo già letta e la conosciamo già, allora la
leggiamo velocemente. Invece, se è la prima volta che la
vediamo e ci sono anche altri fattori (come: è sera e non ho
voglia) la leggiamo lentamente. Quindi io leggo velocemente o
lentamente in funzione della mia capacità di seguire
mentalmente e di comprendere quello che sto leggendo.
Questo si traduce però in una velocità diversa di rotazione
dei bulbi oculari. Infatti, se leggo piano (perché non capisco)
ruoto piano, mentre se leggo veloce (perché capisco) ruoto
velocemente.
Esempio: a volte la sera prima di andare a letto leggiamo una pagina di un romanzo e arrivati alla fine della
pagina ci rendiamo conto di non aver capito nulla. In realtà, anche in questo caso, noi abbiamo letto le singole
parole e i nostri bulbi oculari, non solo hanno seguito la riga da sinistra verso destra, ma poi, visto che la riga è
terminata, sono anche andati a capo. Infatti, nonostante noi non abbiamo capito niente di quello che abbiamo letto,
100
i nostri bulbi oculari automaticamente, finita la riga, sono andati a capo. Quindi se noi stiamo leggendo la nona
riga con sopra l’ottava e sotto la decima, i nostri bulbi oculari sono in grado, anche se non abbiamo capito niente
di quello che stiamo leggendo, una volta finita la riga, di portarci a capo esattamente all’inizio della riga successiva.
Non saltandone una o tornando sulla stessa.
Prendiamo come esempio un bambino che sta imparando a leggere. I libri per i bambini presentano poche lettere
e, quelle che ci sono, sono scritte con caratteri grandi. Poi il bambino comincia a leggere parole semplici, la
dimensione della scrittura si riduce e le righe si infittiscono. A questo punto il bambino segna con il dito, perché
tende a perdere la riga.
In vicinanza della linea mediana del ponte c’è un’area della formazione reticolare che si chiama
formazione reticolare pontina paramediana (pontina perché sta nel ponte e paramediana perché è
vicina alla linea mediana). La formazione reticolare pontina paramediana è una parte della formazione
reticolare destinata alla regolazione del coordinamento della rotazione dei bulbi oculari sul piano
orizzontale. Per ottenere la coniugazione della rotazione dei bulbi oculari in maniera così precisa è
necessario un centro neurologico di coordinamento. Tale centro non si trova sotto il controllo volontario,
ma funziona in maniera automatica. Per questo motivo, la ridistribuzione dell’impulso nervoso dei nuclei
oculomotori di destra e di sinistra, in maniera tale da ottenere la contrazione coordinata dei muscoli del
bulbo oculare sul piano orizzontale, è un’azione svolta dalla formazione reticolare pontina paramediana.
Per cui il nostro SNC, in condizioni normali, si occupa di coordinare il movimento dei bulbi oculari in
maniera che l’immagine di oggetti singoli si formi su coordinate retiniche omologhe. Questa formazione,
quindi, coordina il movimento sul piano orizzontale (agisce sul retto mediale, retto laterale e coinvolge
anche gli obliqui).
Allo stesso modo nella sostanza reticolare si trova, più in alto nel ponte, un analogo centro per la
coniugazione del movimento sul piano verticale (non così ben identificato dal punto di vista
anatomico, ma sicuramente presente da un punto di vista funzionale). Dalla combinazione dell’attività
dei due centri non viene assicurata la motilità oculare, ma viene assicurata la modalità coniugata della
motilità oculare sul piano orizzontale e verticale.
Esempio: noi in realtà vediamo come oggetti singoli solo quelli sul piano di focalizzazione del nostro sguardo.
Infatti, possiamo focalizzare il nostro sguardo da pochi cm di distanza all’infinito. Una volta che abbiamo focalizzato
il nostro sguardo su un oggetto, quell’oggetto si trova ad una certa distanza dai nostri occhi. In realtà, quando io
vedo un banco e lo vedo singolo (motivi sopra citati), vedo come singoli anche tutti gli altri oggetti che si trovano
alla stessa distanza del banco dai miei occhi. Invece, tutto quello che giace su un piano più lontano o più vicino
rispetto al punto dove ho deciso di focalizzare lo sguardo in realtà lo vedo doppio.
Si chiamano oropteri gli infiniti orizzonti di focalizzazione visiva su cui noi possiamo focalizzare il nostro
sguardo davanti a noi. Quindi noi vediamo come singoli solo gli oggetti che giacciono su un oroptero,
ovvero sullo stesso piano di focalizzazione. Quello che è più lontano o vicino io lo vedo doppio.
Esempio: se mettiamo il dito davanti alla faccia e concentriamo lo sguardo su questo dito, lo vediamo singolo.
Se mettiamo un altro dito ad una buona distanza da quello precedente e continuiamo a guardare quello più vicino,
quello più lontano lo vediamo doppio. Allo stesso modo, se concentriamo lo sguardo su quello più lontano vediamo
doppio quello più vicino. Quindi noi vediamo un sacco di oggetti doppi, ma non ci interessa perché non li stiamo
guardando. Infatti, se io guardo qualcosa è chiaro che nel mio campo visivo vedo anche altre cose, ma le vedo
doppie. Tuttavia, non mi accorgo di vederle doppie.
101
Nei mammiferi non troppo distanti da noi, la porzione apicale del mesencefalo (tetto del mesencefalo),
al confine fra mesencefalo e diencefalo e appena al di sopra del collicolo superiore della lamina
quadrigemina, è un’area di integrazione estremamente rilevante. Anche nell’uomo partono da lì dei
fasci rilevanti (ma non così rilevanti da un punto di vista funzionale come negli animali) che scendono
verso il midollo spinale. Dato che questa zona si chiama tetto del mesencefalo, questi fasci si
chiamano fasci tetto-spinali.
I fasci tetto-spinali, che si distribuiscono soprattutto nel midollo cervicale, servono ad integrare le
funzioni visive con le funzioni motorie tronco-encefaliche e cervicali (quindi orientamento della testa
nello spazio). La zona del tetto del mesencefalo riceve afferenze dalle strutture sovrassiali, in particolare
dalle strutture corticali deputate all’interpretazione visiva e alle parti cognitive (mentali)
dell’interpretazione della scena visiva. In altre parole, è necessario mettere in connessione i centri della
formazione reticolare con alcune funzioni superiori. Infatti, io leggo più velocemente o più lentamente
in funzione di quanto bene capisco quello che sto leggendo. In alcuni casi, posso anche continuare a
leggere senza capire il risultato (leggere inteso come muovere i bulbi oculari in senso orizzontale o
verticale).
Normalmente non prescindo da queste informazioni. Pertanto, accelero o decelero la rotazione dei bulbi
oculari a seconda della comprensione. L’esempio della lettura è quello più semplice, ma può essere
applicato a qualsiasi cosa. Infatti, nel caso della lettura, è necessario passare dalla visione di un segno
che vedo su un foglio e che vedono le mie retine al significato di quel segno, imparato in un certo
momento della vita.
Esempio: Se leggo N O N N A, ho capito che so leggere la N, la O e la A, ma questo non dice niente sul significato.
Dare un significato compiuto ad una parola è una funzione assolutamente superiore che ha per
presupposto:
● Visione retinica
● Posizionamento corretto dei bulbi oculari
● Integrità delle vie ottiche
● Ricostruzione in un unico segno delle due lettere (N) che si proiettano sulle mie retine
● Vedo una lettera sola (N)
● Muovo i bulbi oculari e passo da una lettera (N) ad un’altra (O)
● Alla fine leggo una sequenza di lettere (N O N N A)
102
AREA DI RICONOSCIMENTO
Il riconoscimento non viene fatto dalle aree visive primarie. Le aree visive primarie identificano alcune
caratteristiche del segno che si vede. Ma l’interpretazione, ad esempio la geometria del segno, non è
un compito dell’area visiva primaria. Essa ha il compito di gestire le informazioni crude che arrivano
dalle due retine, poi le passa a delle aree associative che iniziano a dare un primo livello interpretativo
di quei segni. Se io vedo un triangolo e un quadrato è necessario che io sappia distinguerli, pertanto
esiste un’area di associazione visiva destinata all’interpretazione delle figure geometriche.
Esempio: entra mio figlio in aula e lo riconosco. Lo riconosco perché lo conosco e ho estrapolato dall’insieme
comune di quelle strutture geometriche che costituiscono qualsiasi volto un’informazione, ovvero “questa è una
persona”. Poi ho il problema che di facce ne vedo tante e sono più o meno tutte combinate allo stesso modo, ma
quella la riconosco. Quindi estrapolo l’informazione di “volto conosciuto”.
Ci sono ictus cerebrali in cui una persona, dopo la guarigione, continua a muoversi e a compiere altre
operazioni, ma presenta alcuni deficit cerebrali (ad esempio non è più in grado di riconoscere le persone
che le stanno intorno, non è più in grado di fare questa operazione di riconoscimento).
L’area di riconoscimento dei volti è un’area a sé stante dentro cui esistono dei circuiti corticali, che
estrapolano le caratteristiche salienti dell’oggetto che si vede, le confrontano con il ricordo (lemma
mnemonico) che abbiamo dei volti conosciuti e, quando trovano il matching corretto, permettono di
riconoscere la persona che ci sta davanti. Tutto questo è permesso da una serie di aree associative
che implicano un’attività corticale sempre più vasta.
L’area 17 analizza i dati “crudi” che vengono dalle due retine, l’informazione viene poi trasferita a
diverse aree associative, le quali elaborano queste informazioni. Più è elevato il livello di complessità
dell’elaborazione, maggiore è la quantità di aree della corteccia coinvolte nell’operazione. Le aree
mnemoniche sono completamente diverse dalle aree visive. È chiaro, quindi, che le aree visive di
interpretazione e del riconoscimento dei volti, dei colori, delle figure geometriche, delle parole scritte e
così via, cioè le possibilità che noi abbiamo una volta estrapolato il significato di una serie di segni,
sono diverse. Il meccanismo di riconoscimento è quindi estremamente complesso. L’area 17 è
direttamente connessa con le retine e, seppur estremamente sofisticata, non compie questa
operazione, ma fa una prima operazione di ricostruzione essenziale.
Essa redistribuisce le informazioni alle aree associative, le quali si associano sempre di più ad altre
aree della corteccia. Quanto più ci si distanzia dall’originaria serie di impulsi visivi da cui è partito tutto,
tanto più la funzione operata su quella serie di
impulsi visivi è complessa e sofisticata.
Questo succede quando si legge un libro.
Durante la lettura, i bulbi oculari si devono
coniugare correttamente, se così non fosse
non riusciremmo a seguire la riga, vedremmo
doppia la riga e le lettere e ciò ci
precluderebbe la possibilità di leggere. Tutto
ciò presuppone la capacità di lettura.
103
bambino ha imparato a leggere, la parola viene letta come un gruppo di lettere unico (lemma unico),
diventa quindi in grado di leggere una serie di segni a cui attribuisce automaticamente un significato e
di passare alla parola successiva.
I nuclei vestibolari grazie alle loro connessioni con il cervelletto hanno influenze sull’oculomozione, ma
non sono gli unici. Ci sono delle aree che permettono a questi nuclei e sottonuclei di agire in maniera
coordinata in modo tale che i bulbi oculari si muovano in maniera coordinata e che queste aree
subiscano l’influenza discendente dalle aree sovrassiali, perché devono far lavorare questi non solo in
maniera coordinata, ma anche in maniera funzionale alla capacità che ho di capire la scena che sto
inquadrando con il mio sguardo. Se sto inquadrando una riga fatta di parole che hanno un certo
significato, la velocità di contrazione dei muscoli, assodato che la rotazione dei bulbi oculari sia
coniugata, deve essere in funzione della comprensione di quello che sto leggendo.
Se non si capisce quello che si sta leggendo si rallenta automaticamente, perché le influenze
discendenti dicono alle aree di coordinamento di questi muscoli di rallentare in quanto non è chiara la
scena, non si capisce quello che c’è scritto. Ci sono, quindi, influenze discendenti sovrassiali e
meccanismi tronco encefalici di coordinazione del movimento.
[Il nervo ottico (II) verrà trattato più avanti insieme all’apparato visivo]
[Il nervo olfattivo (I) non è stato trattato a lezione, si consiglia di approfondire comunque l’argomento
autonomamente]
CERVELLETTO
È un organo sovrassiale che occupa la fossa cranica posteriore, il quale è dotato di corteccia insieme
agli emisferi cerebrali. Quando parliamo di corteccia, passiamo da un concetto di circuito a un concetto
di rete neurale. La corteccia possiede un’organizzazione istologica che manifesta la massima richiesta
a livello funzionale. Quando si chiede un’elaborazione di grado massimo, i neuroni non si organizzano
più in colonne di neuroni (lamine/nuclei) ma si organizzano in un mantello corticale pluristratificato. Cioè
l’organizzazione in cortecce è l’espressione istologica della massima complessità computazionale del
nostro sistema nervoso centrale.
Il 4 ventricolo presenta 3 fori: uno centrale (forame di Magendie) e due laterali (forami di Luschka),
che servono a far comunicare gli spazi liquorali interni con gli spazi subaracnoidei. Il liquor viene
prodotto dai plessi corioidei (strutture vascolari specializzate nella produzione di liquor che è un
derivato del plasma). Ogni ventricolo presenta un proprio plesso corioideo riccamente vascolarizzato.
Queste strutture producono in continuazione liquor, ma una uguale quantità deve essere riassorbita.
Questo riassorbimento avviene però negli spazi subaracnoidei e non nei distretti di produzione
(riassorbimento venoso). Tuttavia, essendo i tre fori del 4 ventricolo l’unico mezzo di comunicazione, il
liquor prodotto dai ventricoli laterali e dal 3 ventricolo deve essere mandato nel 4 ventricolo. Se si
dovesse bloccare qualche comunicazione (es. acquedotto di Silvio), avremmo un aumento della
pressione intracranica (patologia detta idrocefalo).
La corteccia cerebellare è tutta uguale in ogni punto del cervelletto, a differenza della corteccia
cerebrale (telencefalica). La sostanza grigia si superficializza e la sostanza bianca rimane all’interno.
La corteccia non è liscia a causa della mancanza di spazio (come anche quella cerebrale). Queste
104
pieghe della corteccia cerebellare, dette lamelle, sono molto regolari e hanno un andamento
trasversale rispetto al cervelletto.
La parte centrale del cervelletto appare costituita da una formazione allungata, impari e mediana, detta
verme. Lateralmente al verme si espandono gli emisferi cerebellari. La superficie del cervelletto è
percorsa da una serie di scissure (o solchi) ad andamento trasversale, che delimitano i lobi del
cervelletto.
Se prendo una lamella cerebellare qualsiasi trovo la stessa struttura istologica della corteccia formato
da tre strati:
1. Strato molecolare (strato più esterno) con poche cellule e molte fibre nervoso
2. Strato delle cellule di Purkinje (strato intermedio) presenta una monostrato di cellule
3. Strato granulare (strato più interno)
Sotto a questi strati si trova la materia bianca.
All’interno, nella sostanza bianca, è possibile individuare delle strutture di materia grigia dette nuclei
cerebellari che sono simmetrici nei due emisferi e procedendo medio-lateralmente troviamo:
● Nucleo del tetto (più vecchio filogeneticamente e si sviluppa con il lobo flocculonodulare)
● Nucleo globoso, nucleo emboliforme (si sviluppano con il lobo anteriore)
● Nucleo dentato (si sviluppa con il lobo posteriore)
105
2. Dal midollo spinale attraverso i fasci spinocerebellari anteriore, posteriore e rostrale che
raccolgono il 98% della sensibilità propriocettiva proveniente dai fusi neuro-muscolari. Organi
muscolo-tendinei di Golgi e meccanocettori delle capsule articolari. In tali afferenze vengono
sottointese le afferenze propriocettive trigeminali dei muscoli masticatori. Tutte le afferenze
spinali sono dirette al lobo anteriore.
SUDDIVISIONE
Il paleocerebello include il fascio spinocerebellare dorsale, il fascio cuneocerebellare per l’arto
superiore, il fascio trigeminocerebellare per faccia e testa, che arrivano al cervelletto attraverso il
peduncolo cerebellare inferiore; mentre il fascio spinocerebellare ventrale, anch’esso afferente al
paleocerebello arriva utilizzando il peduncolo cerebellare superiore. Perciò: la propriocettività spinale e
trigeminale arriva al paleocerebello.
Il paleocerebello utilizza queste informazioni propriocettive, e in particolare i due nuclei paleocerebellari,
il nucleo globoso e il nucleo emboliforme, per proiettare principalmente alla sostanza reticolare del
tronco dell’encefalo. Tutto il tronco dell’encefalo, dal bulbo al mesencefalo, è attraversato da questa
struttura molto antica filogeneticamente, chiamata, per l'appunto, sostanza reticolare.
La sostanza reticolare è una rete neuronale, in cui si identificano dei nuclei, filogeneticamente
antichissimi, inframezzati da molte fibre. Dalla sostanza reticolare parte un fascio che si chiama fascio
reticolospinale; il fascio reticolospinale proietta principalmente verso i gamma motoneuroni dei gruppi
flessori muscolari, facilitando il tono dei gruppi muscolari flessori; mentre, il fascio vestibolospinale è un
fascio facilitatore del riflesso miotattico estensorio, in particolare antigravitario e di raddrizzamento per
il mantenimento della postura eretta.
È chiaro che dall’equilibrio funzionale dell’attività facilitatoria flessoria ed estensoria, deriva la
modulazione cerebellare dell’attività gamma motoneuronale spinale.
Allora, quando si è parlato dei fusi muscolari, era stato anche anticipato che il cervelletto è l’organo
sovrassiale che presiede il coordinamento: non genera il riflesso miotattico, ma lo facilita, operando per
gruppi muscolari sinergici o antagonisti rispetto a un movimento.
Il neocerebello invece è la porzione più grossa, rappresenta il lobo posteriore. Proietta sul nucleo
dentato, intracerebellare, che a sua volta proietta indietro verso la corteccia, con un’importantissima
stazione talamica, cioè la proiezione cerebello-talamica e talamo-corticale. Qua si chiude il circuito
corticopontocerebellotalamocorticale: è un loop, riverberante sulla corteccia, mediante il quale
quest’ultima informa delle proprie intenzioni motorie il cervelletto, che ha contemporaneamente tutte le
informazioni propriocettive spinali, attraverso il fascio vestibolospinale laterale (discendente) e
reticolospinale che influenzano l’attività gamma motoneuronale. Inoltre, il cervelletto ha anche tutti gli
elementi che gli servono per conoscere la posizione della testa nello spazio e per influenzare il
posizionamento corretto dei bulbi oculari rispetto al posizionamento corporeo.
Quindi il cervelletto ha disponibile tutti gli elementi utili per dare il suo contributo di perfezionamento
di programma motorio alla corteccia premotoria (cerebello-talamo-corticale);
dopo di che utilizza i fasci vestibolospinale e reticolospinale come modulatori dell’attività gamma
motoneuronale per ottimizzare la postura, utilizzando il tono muscolare di diversi gruppi muscolari,
durante l’esecuzione di un movimento volontario.
[corteccia premotoria ⇨ corteccia motoria primaria ⇨ fasci piramidali ⇨ alfa motoneuroni ⇨ muscoli]
106
Questa muscolatura, su cui arriva il treno di comandi motori volontari, deve essere però ottimizzata dal
punto di vista posturale, se no il movimento non è efficace.
CIRCUITAZIONE CORTICALE
Le afferenze al cervelletto, tramite i peduncoli cerebellari, sono di due tipi: fibre rampicanti e fibre
muscoidi. Dopo essere entrate nel cervelletto hanno due comportamenti diversi; le fibre rampicanti si
chiamano così perché penetrano dalla sostanza bianca del cervelletto, attraversano gli strati della
corteccia e fanno direttamente sinapsi sui dendriti delle cellule di Purkinje. Le cellule di Purkinje hanno
uno sviluppo dendritico enorme, sul quale le fibre rampicanti arrampicano. Le fibre rampicanti arrivano
da un solo posto del nostro sistema nervoso centrale: l’oliva bulbare (in particolare dal nucleo olivare
inferiore)
Tutte le altre fibre afferenti, a prescindere dalla loro provenienza, sono muscoidi.
Una fibra muscoide transita nella sostanza bianca, arriva nello strato di granuli e termina con una
sinapsi eccitatoria con i dendriti ad artiglio delle cellule dei granuli. L’assone della cellula dei granuli
ha un comportamento tipico: si superficializza, arrivando allo strato molecolare; quando arriva allo strato
superficiale biforca dando due collaterali, le quali si distribuiscono longitudinalmente lungo l’asse della
lamella cerebellare.
La corteccia del cervelletto è ondulata a formare lamelle ad andamento trasversale, gli assoni delle
cellule dei granuli, derivanti dallo strato profondo, si superficializzano nello strato molecolare, andando
a formare due rami, uno verso destra e l’altro verso sinistra. Siccome sono milioni di fibre, che fanno
tutte questo movimento, vengono dette fibre parallele: sono parallele tra di loro e all’asse della lamella
cerebellare.
Nello strato intermedio ci sono i corpi
delle cellule di Purkinje; sono dei neuroni
particolari, con un albero dendritico molto
sviluppato, che si sviluppa poi
completamente nello strato molecolare.
Inoltre, questa grossa arborizzazione
dendritica non ha un andamento
tridimensionale, ma è appiattita in senso
trasversale rispetto alla lamella. Ne
deriva che un’unica fibra parallela che
corre lungo una lamella intercetta,
facendo sinapsi eccitatoria, i dendriti di
una fila intera di cellule di Purkinje (il cui
corpo cellulare è più profondo, ma i
dendriti spuntano nello strato molecolare).
L’assone delle cellule di Purkinje va verso la corteccia, attraversa lo strato dei granuli ed è diretto verso
i nuclei cerebellari:
107
Attenzione però: quindi sia le rampicanti direttamente, sia le muscoidi indirettamente, vanno ad eccitare
i dendriti delle cellule di Purkinje.
Esiste però una differenza fondamentale: se si stimola una singola fibra rampicante, questa sinapsi è
eccitatoria, quindi parte un potenziale d’azione lungo l’assone di una cellula di Purkinje (rapporto 1:1).
Se, invece, si stimola una fibra muscoide non si eccita nessuna cellula di Purkinje, perché le sinapsi
multiple, prese singolarmente, sono sublaminari: sono cioè sinapsi facilitatorie, in quanto, per attivare
una fila di cellule di Purkinje, non basta una sola fibra parallela, ma serve che un intero fascio di fibre
parallele in maniera sincrona faciliti i dendriti di una singola cellula di Purkinje (tanti potenziali locali si
sommano tra di loro arrivando alla soglia, e facendo partire il potenziale d’azione).
Quindi le sinapsi delle fibre rampicanti sono sinapsi molto potenti, hanno un rilascio elevato di
neuromediatore, sufficiente da solo a stimolare una cellula di Purkinje; le sinapsi invece delle fibre
muscoidi sono multiple, perché intercettano centinaia di fibre di Purkinje, ma prese da sole non sono
sufficienti, ciascuna ha un effetto facilitatorio, ma non eccitatorio.
Ovviamente all’interno della corteccia c’è anche della circuitazione inibitoria: nello strato profondo oltre
alle cellule dei granuli, ci sono anche le cellule di Golgi.
Le fibre parallele eccitano le cellule di Golgi, che hanno un effetto inibitorio sulle sinapsi: man mano
che le fibre parallele sono stimolate, si autolimitano, inibendo temporaneamente l’ingresso di altre
eccitazioni attraverso le fibre muscoidi. E’ un sistema autolimitante di afferenze.
Per di più, ci sono anche altre cellule: si tratta di piccoli neuroni che si chiamano cellule dei canestri,
anche queste sono stimolate dalle fibre parallele, generando una sinapsi assosomatica inibitoria, sono
chiamate in questo modo perché agiscono formando un piccolo canestro attorno al pirenoforo delle
cellule di Purkinje.
Quindi una fibra parallela è facilitatoria sulle cellule di Purkinje e contestualmente eccita due sistemi
inibitori: uno verso sé stessa per frenare gli impulsi in ingresso, e uno verso le cellule di Purkinje per
frenare gli impulsi in uscita verso i nuclei cerebellari.
108
il prof si riferisce quando dice :”essendo un’organizzazione lamellare, si vuole attivare una fila, ma non
anche quella avanti o dietro”, infatti le cellule a canestro sono stimolate dalle fibre parallele stesse.
Nel caso in cui non si abbia ancora imparato a camminare (esempio del bambino), non si ha ancora
standardizzato, nel SNC, circuiti che poi funzioneranno automaticamente regolando in maniera fluida il
movimento di deambulazione. Quando si impara a camminare avviene una lateralizzazione: si decide
di camminare, e dopo averlo deciso, il “programma deambulazione” funziona automaticamente.
109
In assenza di perturbazione, è un programma automatico, cioè si è creata una circuitazione che
funziona perfettamente da quando si impara a camminare e funziona ancora oggi.
Per cui le fibre muscoidi lanciano il loro messaggio, le cellule di Purkinje inibiscono quando necessario
la risposta nucleare, e il programma di deambulazione è già settato, per cui la corteccia premotoria non
fa altro che dire alla corteccia motoria “fallo camminare”.
Tutto l’encefalo decide così che io posso camminare: ideazione motoria.
Fatta l’ideazione motoria, non si deve imparare a camminare ogni volta, è un movimento già acquisito.
Quando invece sto imparando, questa predeterminazione e standardizzazione dei circuiti non c’è
ancora, e per tanto c’è bisogno di istruire le varie parti del circuito in modo che funzionino in maniera
fluida, rapida e continua.
Es: se si sta sciando su una pista non battuta: c'è una continua “interferenza”, una pioggia di impulsi, una continua
correzione della postura rispetto all’acquisizione di un movimento che è quello di sciare.
Se si rifà lo stesso esperimento con un’altra persona, sempre bendata, con la mano legata, ma in questo caso le
si fa rotolare la biglia sulla mano, e le si chiede la forma dell’oggetto che sta toccando la sua mano: si nota un’attività
cerebellare, che non ci si aspetta, ma che invece c’è.
La capacità di cogliere la forma di un oggetto in assenza di afferenze visive in base solo a stimolazioni
tattili è detta stereognosia; il versante patologico è la stereoagnosia.
Quello che sta emergendo è che il cervelletto non è solo un organo coinvolto puramente nella
regolazione delle funzioni motorie, ma esiste un contributo cerebellare nella porzione cognitivo
computazionale, tipica di certe zone della corteccia cerebrale.
Al momento comunque, la patologia cerebellare dà una sintomatologia chiaramente motoria.
Durante un esercizio per i bicipiti in palestra, il signore si attacca al manubrio fissato al muro e tira. Se si esegue
un’elettromiografia sui bicipiti, si vede che il bicipite si contrae; ma se si mette un’elettromiografia sui plantari del
piede (tricipite della sura, etc), si vede che il gastrocnemio ha un’attività contrattile addirittura anticipata rispetto a
quella del bicipite. Questo avviene perché la molla facendo resistenza, porterebbe il signore a sbattere la faccia
contro il muro, perché inclinandosi cederebbe; quindi, l’atto volontario è la flessione del gomito controresistenza,
ma l’analisi ambientale (funzione cognitiva superiore) vede che c’è una resistenza (la molla), e quindi la
110
programmazione motoria (“pacchetto” di cui ha parlato prima n.d.s.)
predispone un’attività muscolare che non rientra nella programmazione
motoria volontaria muscolare.
Il cervelletto, grazie alla circuitazione (intracorticale e fra la corteccia e i nuclei cerebellari) è in grado di
integrare queste diverse componenti, che sono la componente vestibolare, la componente
propriocettiva generale e quella di programmazione motoria corticale e risponde in diverse direzioni.
Risponde:
▪ Verso l’alto rimandando alla corteccia tutte le informazioni che la corteccia di suo non ha
rispetto alla eseguibilità periferica del movimento
▪ Verso il basso indirettamente principalmente tramite stazioni sinaptiche tronco-encefaliche; di
queste le 2 stazioni più importanti sono i fasci discendenti vestibolo-spinale laterale-nuclei
Deiters- facilitatore dell’attività γ-motoneuronale della muscolatura estensoria e
antigravitaria, e i fasci discendenti reticolo-spinale, facilitatore del tono della muscolatura
flessoria.
Quindi, tramite questi fasci discendenti che terminano sui γ-motoneuroni di tutto il midollo spinale, il
cervelletto regola le modificazioni toniche della muscolatura rispetto al mantenimento della postura e al
movimento, visto come una successione di posture, quindi una successione di aggiustamenti posturali
dinamica su cui si inserisce l’attività α-motoneuronale della motilità volontaria, che arriva tramite i fasci
piramidali.
111
PATOLOGIE
Dal punto di vista fisiopatologico, i pazienti cerebellari non necessariamente hanno una patologia del
cervelletto, ma potrebbero avere malfunzionamenti dei circuiti di cui sopra. Se, ad esempio, il paziente
ha un deficit da parte dei fasci spinocerebellari, al cervelletto - che funziona correttamente - non arrivano
più nella quantità, velocità e disponibilità desiderata tutte o parte delle informazioni propriocettive che
questi fasci trasportano e, di conseguenza, non è in grado di dare una risposta adeguata.
Se, per malattia cerebellare primaria, viene meno la circuitazione cerebellare, oppure se il cervelletto
non può fruire e non può aggiornare istante per istante il proprio database vestibolare, spinale e
corticale è chiaro che esso non ha gli elementi sufficienti per generare una risposta cerebellare
adeguata. Per cui la sintomatologia sarà sostanzialmente motoria. La semeiotica cerebellare di fatto è
una semeiologia di tipo motorio, ma in questi casi non si tratta mai di incapacità motoria nel senso della
paresi o della paralisi, ma di cattiva regolazione motoria, discinesia. Non è da dimenticare che i due
versanti dell’anatomia funzionale, quello sensitivo e quello efferente o motorio, non sono affatto
indipendenti l’uno dall’altro, anzi non c’è motricità adeguatamente programmata ed eseguita senza una
adeguata afferenza sensoriale. La programmazione motoria corretta si fa su un database completo di
afferenze.
La marcia del cerebellare è atassica4, cioè è un deficit motorio che deriva da deafferentazione delle
strutture sovrassiali, in particolare del cervelletto. Si manifesta quindi come marcia incerta, a base
allargata, tremante. Il paziente cerebellare, in certe situazioni o facendo dei test neurologici, manifesta
dei deficit di mantenimento posturale, per esempio fa fatica a stare in equilibrio a base ristretta ed è
costretto ad allargare la base di appoggio perché non riesce a governare correttamente il tono posturale
degli agonisti e antagonisti, in particolare in funzione antigravitaria. Nei casi più gravi, i tendini di un
cerebellare in postura stazionaria non stanno mai fermi ma continuano a compiere azioni di
aggiustamento di trazione, rispondendo a contrazioni e rilasciamenti non perfettamente modulati nella
loro intensità. Sono più intensi del normale e sono perciò visibili.
Allo stesso modo il cerebellare fa fatica ad aggiustare il tono posturale in modo da riprendere l’equilibrio
rapidamente dopo essere stato spinto, per cui avrà una reazione esagerata allargando molto la base
di appoggio, cercando di aggrapparsi. Esagera nella perdita della postura ed esagera nella ripresa della
postura.
4Sotto il termine atassia si identificano tutti quei deficit che si manifestano come sintomatologia motoria che
non è dovuta a deficit delle vie motrici, ma a un deficit di afferenze sensitive.
112
DIENCEFALO
Il diencefalo è quasi invisibile dall’esterno, salvo una piccola porzione apprezzabile a livello della base
dell’encefalo. La situazione profonda in cui il diencefalo si colloca è dovuta a uno sviluppo massivo della
vescicola telencefalica, che non si accompagna ad un altrettanto sviluppo della vescicola diencefalica.
Come diretta conseguenza di ciò il diencefalo si ritrova pressoché totalmente avvolto dalle masse
degli emisferi cerebrali. Il tratto di diencefalo direttamente osservabile dall’esterno, in corrispondenza
della base encefalica, coincide con due protuberanze globose, i corpi mammillari, che configurano tra
i nuclei ipotalamici .
Al davanti dei corpi mammillari si trova l’ipofisi e ancora più anteriormente il chiasma ottico, raggiunto
dai due nervi ottici. Dalla porzione posteriore del chiasma ottico si dipartono i cosiddetti tratti ottici
destinati a raggiungere i corpi genicolati laterali del talamo. Osservando la base dell’encefalo non si
possono apprezzare né il talamo né il terzo ventricolo; anche l’ipotalamo rimane nascosto. Appare
dunque evidente che lo studio del diencefalo, data la sua collocazione profonda, debba essere
affrontato considerando varie combinazioni di sezioni dell’encefalo, sia frontali che trasversali.
In una sezione sagittale dell’encefalo, in posizione centroencefalica, si nota la cavità del terzo
ventricolo, circondata da masse di sostanza grigia, che rientrano a far parte del diencefalo. Il terzo
ventricolo,retaggio del lume del tubo neurale a livello della vescicola diencefalica, appare come una
fessura con andamento anteroposteriore, che comunica anterosuperiormente con i ventricoli laterali di
pertinenza telencefalica tramite i forami interventricolari di Monro e posteroinferiormente con il quarto
ventricolo mediante l'acquedotto mesencefalico. Il quarto ventricolo è l’unica cavità ventricolare che si
rapporta con lo spazio subaracnoideo (cisterna cerebellomidollare), grazie ai forami laterali di Luschka
e al forame centrale di Magendie.
La regolazione dell’equilibrio pressorio correla con la regolazione del rapporto tra il liquor prodotto dai
plessi corioidei dei ventricoli e il liquor riassorbito dallo spazio subaracnoideo e drenato dai seni venosi
della dura madre (in particolare dal seno sagittale superiore). Affinché tutto il sistema di allagamento e
riassorbimento liquorale funzioni correttamente è indispensabile che l’acquedotto mesencefalico non
vada incontro ad occlusione.
Se si esegue una sezione sagittale passante per il terzo ventricolo, ovviamente si colpiscono la cavità
ventricolare e le masse grigie diencefaliche circostanti, nonché tutte le strutture che si collocano al di
113
sopra e al di sotto del ventricolo stesso. Con riferimento al sistema ventricolare, al di sopra del terzo
ventricolo si trovano i ventricoli laterali, facenti parte del telencefalo. I ventricoli laterali hanno una
caratteristica forma a C aperta in avanti e offrono a considerare tre corna:
● Frontale, diretto anteriormente e accolto nel lobo frontale
● Occipitale, diretto posteriormente verso il lobo occipitale e molto sottile
● Temporale, che si porta lateralmente e leggermente in basso per raggiungere il polo temporale
dell’emisfero
Mentre i lobi frontali, parietali e occipitali controlaterali sono molto ravvicinati, i lobi temporali dei due
emisferi sono molto distanziati perché separati dal tronco encefalico e dalle formazioni diencefaliche,
che li spingono lateralmente. Ciascun ventricolo laterale emette dapprima il corno anteriore, che si trova
sullo stesso piano del corno anteriore del ventricolo controlaterale, quindi il corno occipitale diretto
posteriormente, anch’esso in asse con il corno posteriore controlaterale, dopodiché man mano che il
ventricolo disegna la C e si rende ricorrente si sposta sempre più di lato, per inserirsi nello spessore
del lobo temporale. I ventricoli laterali quindi, dopo aver emesso il corno occipitale, tendono
progressivamente ad allontanarsi. Ne deriva che il corno temporale di un ventricolo non sarà mai
collocato esattamente al di sotto del corno frontale del ventricolo stesso.
CONFINI
Medialmente le strutture del diencefalo guardano verso la cavità del terzo ventricolo. Si può dire invece
che, in prima approssimazione, il confine laterale del diencefalo sia segnato da un grosso fascio di
fibre bianche che nel complesso prende il nome di capsula interna. Essa comprende fasci in salita verso
il telencefalo e fasci in discesa verso il tronco encefalico, fittamente stipati; si tratta di un punto di
convergenza e quindi di restringimento. Come tutte le strutture neurologiche “affollate”, la capsula
interna si identifica come un’area molto delicata: una piccola lesione a questo livello può tradursi in un
danno molto esteso.
Non è vero che tutte le strutture che stanno medialmente alla capsula interna sono di pertinenza
diencefalica (alcune appartengono al telencefalo), ma è vero che la capsula interna segna il confine tra
diencefalo e telencefalo. Non ci sono strutture diencefaliche lateralmente alla capsula interna.
La capsula interna, vista frontalmente, appare come un insieme di fasci diretti verticalmente. Se si
prende in considerazione una sezione trasversale del diencefalo, si rende evidente quello che è
l’andamento anteroposteriore e la geometria insolita della capsula interna. La capsula interna non ha
un andamento lineare, ma forma uno spigolo, più propriamente definito ginocchio della capsula interna.
Medialmente al ginocchio della capsula interna si trova il terzo ventricolo affiancato dalle masse
grigie diencefaliche, lateralmente al ginocchio della capsula interna invece si individuano i nuclei della
base, facenti parte del telencefalo. I nuclei della base sono voluminosi e pertanto ingombranti e
costringono le fibre della capsula interna a piegare leggermente: si viene in questo modo a delineare il
ginocchio della capsula interna. Anteriormente al ginocchio si individua il braccio anteriore della capsula
interna e posteriormente al ginocchio il braccio posteriore. Il braccio posteriore della capsula interna è
il vero limite laterale del diencefalo.
Si opera ora una sezione sagittale dell’encefalo, che separi i due emisferi. Sulla faccia mediale
dell’emisfero riportato nell‘immagine si individua in primis un’importante struttura commessurale
formata da milioni di fibre che connettono tra loro i due emisferi. Tale struttura prende il nome di corpo
calloso. Al di sotto del corpo calloso si colloca la cavità del terzo ventricolo, che appare di forma
irregolare: cranialmente è ovoidale, nella porzione intermedia si rileva un solco appena accennato sulla
superficie ependimale, definito solco ipotalamico, e ancora più in basso la cavità ventricolare presenta
confini molto irregolari. La porzione di ventricolo che si trova al di sopra del solco ipotalamico è di
pertinenza talamica, mentre la porzione che si colloca al di sotto del solco appartiene all’ipotalamo.
114
Il talamo è più largo dell’ipotalamo. L'ipotalamo si colloca
inferiormente al talamo, ma essendo il talamo più ampio, al di
sotto di quest’ultimo non si troverà solo l’ipotalamo ma anche
un’altra struttura, che viene definita subtalamo.
L’ipotalamo sta sotto al talamo verso il ventricolo mentre il
subtalamo, sta sempre sotto al talamo ma non guarda verso il
terzo ventricolo. Il subtalamo funzionalmente verrà trattato con i
nuclei della base. Talamo e ipotalamo sono strutture
diencefaliche, il subtalamo invece è connesso ai nuclei della base
ed è dunque di derivazione telencefalica.
La porzione talamica del ventricolo è liscia e a questo livello si individua la commessura intertalamica,
un fascio di sostanza grigia con valore commessurale che mette in comunicazione tra loro i due talami.
La porzione ipotalamica del terzo ventricolo è più complessa. Il confine tra la porzione alta del
mesencefalo (tetto del mesencefalo) e il diencefalo costituisce la porzione più posteriore del pavimento
del terzo ventricolo, il quale continua poi in avanti con una lamina di sostanza grigia, dalla quale fanno
sporgenza i corpi mammillari. Anteriormente ai corpi mammillari la lamina, che prende il nome di tuber
cinereum, costituisce un recesso, l'infundibolo, diretto verso il peduncolo dell’ipofisi, che si colloca in
avanti, all’interno della sella turcica dell’osso sfenoide.
Dal pavimento si passa quindi alla parete anteriore del terzo ventricolo. Essa si presenta come una
struttura irregolare, perché in realtà fa una specie di rientranza a forma di “S”, subito sopra e
anteriormente, al peduncolo ipofisario, dovuta alla presenza del chiasma ottico, che sta appoggiato
sopra il diaframma della sella ed ha una certa voluminosità. Questa sua voluminosità, costringe la
parete anteriore del terzo ventricolo a rientrare facendo sporgenza sulla cavità del terzo ventricolo.
Superato il chiasma ottico, il terzo ventricolo si chiude anteriormente con una lamina grigia, molto sottile,
che si chiama lamina terminale. Quest’ultima nonostante non sia molto importante dal punto di vista
funzionale, è molto importante dal punto di vista topografico. La lamina terminale, originariamente, era
la porzione più craniale di chiusura dell’intero tubo neurale.
In altri termini, si consideri il tubo neurale dell’embrione, terminante con la vescicola proencefalica, che
a sua volta si divide in vescicola diencefalica e vescicola telencefalica.
Quest’ultima si espande notevolmente, sia indietro che anteriormente, dove andrà a formare i lobi
frontali degli emisferi. Crescendo ed espandendosi, quello che era il termine della cavità del tubo
neurale finisce per trovarsi profondamente, perchè i lobi frontali crescono davanti ad esso e sul
telencefalo.
La lamina terminale rappresenta quella che era la terminazione craniale del tubo neurale
dell’embrione. Tutto quello che si è espanso oltre anteriormente è figlio di una crescita successiva dei
neuroblasti della parete della vescicola telencefalica, ed è per questo che la lamina terminale assume
questo nome, perchè deriva dall’ontogenesi del tubo neurale.
La porzione craniale della lamina terminale si congiunge al corpo calloso, chiudendo anteriormente il
terzo ventricolo. Posteriormente, il terzo ventricolo continua nell’acquedotto mesencefalico.
La porzione infundibolare del terzo ventricolo rappresenta una espansione a fondo cieco che scende
un pò nel peduncolo ipofisario, cioè il pavimento del terzo ventricolo, in particolare la zona del
tubercinerium, che si addentra un po’ nel il peduncolo ipofisario, portandosi dietro la sua cavità. Poi,
termina a fondo cieco e continua come peduncolo ipofisario. Il sistema portale ipotalamo-ipofisari, molto
importante nei collegamenti funzionali tra ipotalamo, che sta sopra e l’adenoipofisi,che sta sotto, si
sviluppa intorno alla zona infundibolare.
Se si fa una sezione che non colpisce il terzo ventricolo, si colpisce il corno frontale di ciascun ventricolo
laterale, si nota benissimo il corpo calloso, che passa “ a ponte” un po’ più indietro sopra il terzo
ventricolo e più avanti passa “a ponte” sopra al corno frontale di ciascun ventricolo laterale.
115
Se si arretra, comincia ad essere colpita la porzione più anteriore del terzo ventricolo, si notano le
masse grigie di pertinenza diencefalica, nonché il corpo calloso e il braccio anteriore e posteriore della
capsula interna.
Se si arretra ulteriormente ci si trova nel pieno della cavità del terzo ventricolo, non si rileva più il corno
frontale del ventricolo laterale, ma si individua il corpo dorsale dello stesso, che comincia ad essere
colpito anche nella sua porzione temporale, spostata lateralmente. Si trovano ad essere colpite anche
le masse dell’ipotalamo e del talamo. Si notano i corpi capillari dell’ipotalamo, poi il braccio anteriore
della capsula interna e il braccio posteriore della capsula interna.
IPOFISI
L’ipofisi è situata nella sella turcica in uno sdoppiamento della dura madre, chiuso superiormente da un
ponte di dura che passa sopra la sella turcica, detto diaframma della sella.
L'ipofisi è formata da due parti principali:
- Ipofisi anteriore, adenoipofisi
- Ipofisi posteriore, neuroipofisi
- Ipofisi intermedia [non importante per il prof, per questo ne considera soltanto due]
116
L’adenoipofisi si trova davanti la neuroipofisi e produce tanti altri ormoni. Essa possiede una porzione
peduncolare, a fondo cieco, che risale sopra il peduncolo ipofisario, entrandone a far parte. Siccome
sale verso la porzione tuberale del terzo ventricolo, prende il nome di parte tuberale della
adenoipofisi.Se si sezionasse il peduncolo ipofisario dell’ipofisi, si noterebbe la presenza di una
porzione neuroipofisaria e una porzione adenoipofisaria.
La porzione adenoipofisaria altro non è che una porzione della ghiandola (variabile da individuo ad
individuo), che si arrampica un po’ sopra al peduncolo ipofisario. Dal punto di vista dei collegamenti
con il sovrastante ipotalamo, la porzione neuroipofisaria del peduncolo, è quella dove passano
veramente i fasci di assoni dei nuclei sovraottico e paraventricolare dell’ipotalamo.
Questa porzione tuberale del peduncolo ipofisario è comunque estremamente importante, perché
l’ipotalamo non solo produce direttamente gli ormoni neuroipofisari, ma regola la produzione degli
ormoni adenoipofisari, tramite i “inhibiting factors”, “releasing factors”,prodotti dai nuclei ipotalamici e
trasportati tramite il sistema portale ipotalamo-neuroipofisario all’adenoipofisi.
L’adenoipofisi risponde producendo FSH, TSH, ormoni gonadici, prolattina, ecc in base a delle
stimolazioni ipotalamiche di senso inibitorio o eccitatorio.
IPOTALAMO
Nella massa grigia dell’ipotalamo (3/4 gr = peso molecolare dell’ipotalamo) si distinguono:
Si passa quindi da un concetto puramente anatomico (nucleo), ben definito e ben definibile, ad una
nozione di tipo funzionale (centro), cioè un raggruppamento di neuroni che si trova in una certa area
anatomica nota, i cui limiti sono non troppo definiti, ma che dal punto di vista funzionale è ben
conosciuto.
L’ipotalamo, risponde sia per via nervosa, sia per via endocrina.
La via endocrina può essere :
117
la contrazione del miometrio al momento del parto, ma soprattutto la contrazione dei dotti galattofori
durante l’allattamento (ossitocina).
Dal punto di vista delle afferenze, l’ipotalamo riceve afferenze sia nervose che umorali. Alcuni neuroni
del centro ipotalamico della sete sono di fatto degli osmocettori. Appena sale un pò l'osmolarità
plasmatica, il sangue tende a concentrarsi, causando l’aumento dell’ormone antidiuretico e risparmio
di acqua fino a quando l'osmolarità del plasma diminuisce e contemporaneamente si scatena la
sensazione di sete, che causa l’idratazione, l’assorbimento intestinale di acqua e così via e viceversa.
I neuroni del centro della fame sono dei glucostati, cioè sono sensibili quindi alla glicemia, per cui
scatta tutto un’insieme di fenomeni che chiamiamo “fame”, il cui innesco è di tipo umorale e non di tipo
neurologico.
I neuroni ipotalamici rispondono anche a fattori umorali. Il cercare l’acqua o il cercare il cibo
presiede anche a parecchie funzioni legate alla riproduzione e quindi al mantenimento della specie.
Queste funzioni, sono funzioni basilari per la sopravvivenza dell’individuo e della specie, ma sono anche
funzioni che per avere successo ed esplicarsi, non possono limitarsi a delle funzioni puramente
fisiologiche. Si innescano una serie di comportamenti, da un’attività motoria a fenomeni estremamenti
complessi come la riproduzione.
Tutti questi meccanismi, di tipo comportamentale implicano che l’ipotalamo non si limiti ad avere
collegamenti umorali e neurologici verso il basso. La regolazione generale dell’omeostasi
dell’organismo implica che l’ipotalamo possa influenzare i neuroni pregagliari ortosimpatici midollari e
parasimpatici troncoencefalici e sacrali, tramite efferenze discendenti fino a tutto il midollo nei fasci
discendenti nervosi. Questi nella maggior parte dei casi si presentano come vie ancestrali,
filogeneticamente antiche e quindi tipicamente polisinaptiche; nella polisinapticità, la sostanza reticolare
troncoencefalica è uno dei principali intermediari.
Troviamo quindi l’ipotalamo con vie discendenti, che cominciano a fare molteplici sinapsi nei centri
della sostanza reticolare del tronco dell’encefalo, che a loro volta regolano, come nel caso della motilità
oculare o nella masticazione, l’attività del nucleo effettore viscerale del terzo nervo cranico e il nucleo
masticatorio del quinto oppure il nucleo ambiguo e il nucleo motore dorsale del vago. Successivamente
continuano a scendere per molteplici sinapsi verso i neuroni pregangliari ortosimpatici del midollo
toracico e infine quelli parsimpatici sacrali. ( riflessi lunghi, risposta neurologica).
118
Il terzo fronte di connessione ipotalamico è rivolto verso l’alto, cioè verso le porzioni principalmente
limbiche, più antiche, che presiedono alla regolazione affettivo-emotivo-comportamentale degli
individui. Esse inducono comportamenti, soprattutto i comportamenti legati alle funzioni di base, come
la sopravvivenza e quindi la ricerca di cibo e acqua, la riproduzione,la difesa,l’aggressione, integrati
dentro il sistema limbico, di cui, sotto questo punto di vista, l’ipotalamo fa parte.
[es. dell’elefante: se ha sete e l’acqua inizia a scarseggiare, un branco intero innesca un comportamento migratorio
che gli fa compiere mille chilometri per spostarsi in un’altra zona, dove invece non vi è carenza d’acqua ].
Solo l’ipotalamo non basta, ma bisogna che da questo si scateni un meccanismo ancestrale, di natura
comportamentale che induca certe manifestazioni comportamentali complesse, che hanno degli aspetti
motori, ma anche aspetti non motori.
ISTOCLASSIFICAZIONE
Normalmente l’ipotalamo viene suddiviso utilizzando un sistema di istoclassificazione in tre regioni
antero-posteriori e tre regioni medio-laterali.
Le tre regioni a loro volta contengono dei nuclei, di cui conosciamo, a volte la funzione, a volte
l’estensione anatomica , a volte entrambe. Presentano una sufficiente corrispondenza.
L’area preottica in realtà non è una regione ipotalamica, quindi è fuori luogo considerarla in questo
contesto.
In senso anteroposteriore si considerano:
- La regione anteriore (o chiasmatica) dell’ipotalamo propriamente è la regione sopraottica (del
nucleo sopraottico)
- La regione mediana (o tuberale). “tuberale” si riferisce sempre al tuber cinereum e all’imbocco
del peduncolo ipofisario.
- La regione posteriore (o mammillare) caratterizzata dai
nuclei più grossi.
119
Nell’area ipotalamica mediale ci sono vari
nuclei allineati antero- -posteriormente,
che stanno tutti medialmente al fornice
(es. nucleo preottico, nucleo sovraottico,
nucleo arcuato,…) e posteriormente a
questi si trovano i nuclei mammillari.
C’è una grossa area nucleare, grigia,
unica, che si chiama nucleo ipotalamico
laterale.
NUCLEI
Dell’ipotalamo si riconoscono molti nuclei. Ad alcuni di questi
nuclei si riesce ad associare una determinata funzione, altri sono
descrivibili, ma non sono direttamente associabili ad una funzione,
nel senso che si riconoscono dei gruppi neuronali connessi con
una funzione, ma la funzione è più complessa.
In realtà conosciamo molti più nuclei di quelli in tabella ma questi
sono quelli di cui conosciamo l’associazione funzionale con
afferenze ed efferenze specifiche. Alcuni secernono ormoni e
hanno funzioni specifiche.
- I corpi mammillari e la maggior parte delle fibre del fornice che vi arrivano e che si utilizzano per
distinguere fisicamente i nuclei laterali dai nuclei mediali sono coinvolti nei circuiti della memoria in
particolare della memoria recente.
- La porzione laterale dell’ipotalamo, può essere considerata come un unico grande nucleo. Esso media
varie funzioni, tra cui il mantenimento dello stato di veglia, l’assunzione del cibo e la modulazione di
alcuni ormoni, legati all’appetito (es. oressine).
120
Gli assoni dei nuclei sovraottico e paraventricolare attraversano l’infundibolo e arrivano nella
neuroipofisi e fanno neurosecrezioni direttamente nei capillari dell’adenoipofisi (circolo venoso della
vena ipofisaria).Tutte le vene neuroipofisarie drenano nel seno cavernoso. Quindi gli ormoni secreti
finiscono nel circolo generale tramite il seno cavernoso.
Gli altri neuroni dei nuclei neurosecernenti secernono fattori di rilascio e fattori di inibizione in quantità
di psicogrammi, che non devono essere diluiti.
Le vene portali che esitano dal circolo capillare peduncolare si ricapillarizzano nell’adenoipofisi. Qui,
le piccole quantità di secreto, trovano immediatamente il loro bersaglio e poi le vene adenoipofisarie
drenano nel seno cavernoso, portando gli ormoni , eventualmente aumentati o diminuiti, in circolo.
ANATOMIA
Riguardiamo questa sezione
frontale vista nella scorsa lezione,
con un occhio dedicato al talamo e
alle altre strutture grigie alla base
del telencefalo.
E’ una sezione molto anteriore in
cui si vede il corno frontale del
ventricolo laterale colpito
tangenzialmente e quasi nulla del
terzo ventricolo (sezione molto
frontale). Si vede che c’è la
capsula interna, la quale ha un
ginocchio che demarca la
separazione in un braccio
anteriore e uno posteriore; a
questo livello, più precisamente, è
colpito verticalmente il braccio
anteriore della capsula interna.
Successivamente arretrando colpiremo il ginocchio e il braccio posteriore della capsula interna. Per
vederla interamente nella sua espansione anteroposteriore bisogna fare una sezione orizzontale.
In questa immagine si vede abbastanza bene che rispetto al gruppo laterale di nuclei che fanno parte
dei nuclei della base, medialmente alla capsula interna c’è una massa grigia che fa parte insieme a
quella laterale dei cosiddetti nuclei della base (masse grigie consistenti che stanno nella sostanza
bianca del telencefalo di derivazione della vescicola telencefalica) al nucleo caudato. Il nucleo caudato
ripete nel suo andamento morfologico la struttura del ventricolo laterale: ha dunque una forma di
“virgola”, di “c” aperta in avanti, con una testa che sta superiormente e va verso il lobo frontale e prende
rapporto anteriormente con i corni frontali del ventricolo laterale. La testa dei nuclei caudati destro e
sinistro in questa sezione è colpita tangenzialmente. Questi ultimi hanno un rapporto intimo con la
parete esterna del corno frontale del ventricolo laterale che si adatta alla forma della testa del nucleo
caudato.
Se arretriamo con le sezioni si inizia a colpire il terzo ventricolo, si ha sempre il corno frontale (più
arretrato), le fibre della capsula interna e il nucleo caudato.
Arretrando ancora con il piano di sezione, si colpisce il terzo ventricolo più o meno al suo centro, non
si è più nel corno frontale del ventricolo laterale, ma siamo nel corpo del ventricolo laterale dove c’è il
nucleo caudato più assottigliato che mantiene sempre però un rapporto intimo con la parete esterna
del ventricolo laterale dello stesso lato. Vi è sempre la capsula interna (si è arretrati parecchio e quindi
saremo presumibilmente a livello del ginocchio della capsula interna). C’è una sezione del tronco
dell’encefalo e ci sono delle masse grigie telencefaliche laterali alla capsula interna, molto evidenti, che
121
nel complesso si chiamano nucleo lenticolare (visto lateralmente sembra una lente). Il nucleo lenticolare
è composto da tre strati grigi intervallati da due strati di fibre bianche. Quindi il corpo caudato resta
medialmente alla capsula interna e il nucleo lenticolare resta lateralmente.
Medialmente alla capsula interna ci sono le masse grigie che fanno da parete al terzo ventricolo: la
porzione inferiore è ipotalamica, quella superiore è talamica.
Il dorso del talamo avrà rapporto con il pavimento del ventricolo laterale e con il nucleo caudato. Al di
sopra di queste strutture vi è il corpo calloso.
Questo ci dice che il talamo essendo rotondeggiante, di forma assimilabile ad un uovo con l’asse
maggiore posto orizzontalmente e anteroposteriormente, sta con il suo dorso ad un livello più elevato
rispetto al tetto del terzo ventricolo che rimane in mezzo ai due talami e un po’ più in basso. La capsula
interna con il suo braccio anteriore, ginocchio e braccio posteriore si interpone fra le strutture grigie
mediali, le quali non sono tutte diencefaliche (anche se tutte (100%) le strutture diencefaliche si trovano
medialmente; ma superiormente abbiamo anche il talamo, e inferiormente l’ipotalamo), basti pensare
al nucleo caudato che sta medialmente e che si annovera fra i nuclei della base che sono di derivazione
telencefalica; il resto dei nuclei della base resta esternamente, ed è il nucleo lenticolare.
Il braccio anteriore della capsula interna delimita la faccia laterale della testa del caudato e la faccia
anteromediale del nucleo lenticolare. Il braccio posteriore delimita lateralmente la faccia laterale del
talamo e la faccia posteromediale del nucleo lenticolare.
Quindi il nucleo lenticolare che ha una forma triangolare con l’apice che guarda medialmente verso il
terzo ventricolo, costringe i fasci della capsula interna a fare il ginocchio, identificandone i due bracci.
Perciò possiamo dire che la faccia mediale del talamo guarda verso il terzo ventricolo mentre quella
laterale verso il braccio posteriore della capsula.
Questa immagine5 è una ricostruzione tridimensionale dei principali nuclei della base e del talamo di
destra visti da destra. La struttura colorata in azzurro è la faccia esterna del nucleo lenticolare. Quella
in verde è il nucleo caudato, cosi chiamato perché ha la coda. Quest’ultimo possiede la forma del
ventricolo laterale, con cui mantiene il rapporto dalla testa fino alla coda. Se smontassi la corteccia
emisferica lateralmente e arrivassi a guardare queste masse grigie di lato, vedrei la faccia laterale della
testa del caudato, la faccia laterale del nucleo lenticolare, il resto del caudato e vedrei in trasparenza
la faccia laterale del talamo (in rosso). In mezzo, fra il blu e il rosso, c’è il braccio posteriore della capsula
interna (qui non disegnato).
5 Pagina 128
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Ricostruiamo tridimensionalmente i due talami:
Hanno forma ovoidale, non hanno spigoli, tuttavia si parla di una faccia dorsale, una ventrale, una
laterale, una mediale. Gli assi maggiori dei due talami non sono paralleli, ma convergono un po'
anteriormente e/o divergono posteriormente.
Il dorso del talamo è sormontato dal nucleo caudato, la cui testa sta davanti al polo anteriore del talamo
dello stesso lato. Man mano che il nucleo caudato viene indietro prende rapporto con il dorso del talamo
e si assottiglia (corpo), poi gira dietro al polo posteriore del talamo e perde il rapporto con esso,
seguendo il ventricolo laterale che gli resta medialmente.
Il ventricolo laterale resta dorsalmente alla porzione mediale del talamo, mentre il caudato man mano
che si assottiglia gli gira più lateralmente. La parte mediale del dorso del talamo ha rapporto quindi con
la cavità del ventricolo laterale e la parte laterale col caudato, il quale si sta assottigliando sempre di
più (come il ventricolo laterale).
Quando si arriva al polo posteriore del talamo sia il ventricolo laterale (corno occipitale a questo livello),
sia la coda del caudato perdono il rapporto stretto con il talamo, “prendendo la curva larga” e
allontanandosi dal talamo. La faccia ventrale del talamo dunque non ha più rapporto con la coda del
caudato, né potrebbe averne, perché si sposta lateralmente nel lobo temporale insieme al corno
temporale dello stesso lato. Tra i due talami è presente il terzo ventricolo.
Quindi partendo dall’interno del terzo ventricolo e estraendo ogni struttura verso la superficie abbiamo:
● Plessi coroidei
● Pia
● Faccia ventrale del fornice.
● Faccia ventrale corpo calloso
● Esco nella fessura interemisferica
Ragionando alla rovescia, separando cioè i due emisferi: se io ho un encefalo e voglio separare i due
emisferi cerebrali, prendo il coltello e scendo nella fessura interemisferica. Dopo qualche centimetro
urto contro qualcosa, la superficie dorsale del corpo calloso. Taglio il corpo calloso e sotto questo trovo
123
il fornice. In realtà se sono proprio sagittale mediano non lo taglio, separo il fornice di destra dal fornice
di sinistra. Vado ancora giù e trovo la pia, la tela coroidea del terzo ventricolo. A questo punto taglio
questa struttura e il coltello cade nella cavità del terzo ventricolo. Questa rappresenta la sequenza delle
strutture anatomiche dall’alto verso il basso.
FORNICE
Sarà affrontato più nel dettaglio nel sistema limbico.
Il fornice è una grossa via efferente dell’ippocampo
(localizzato profondamente nel lobo temporale, ed è una delle
vie più antiche del sistema limbico)
Ha due pilastri che si divaricano fra di loro. Questi originano
dalla profondità del corno temporale. I due fornici DX e SX
convergono e poi continuano in avanti e arrivano con la
maggior parte delle fibre ai corpi mammillari dell’ipotalamo. I
corpi mammillari ricevono una grossa ed importante afferenza
di natura limbica. Questo ce la aspettiamo perché l’ipotalamo
è coinvolto anche nella circuitazione limbica
.
Esempio esame di anatomia: Quando gli studenti vengono a fare l’esame di anatomia, è interessante
vedere la diversa reattività viscerale (una situazione che causa più stress in alcuni e meno in altri). Uno
studente agitato dovuto allo stress: Salivazione (parotide, sottomandibolare, sottolinguali), sudorazione
delle mani (ghiandole sudoripare delle mani) ecc. Tutto una reattività viscerale che è riferibile
esclusivamente all’ individuo in quello momento.
Fatti oggettivi. Bilancia para-ortosimpatico → attività secretiva di ghiandole.
Allora a che cosa si deve questo quando accade? Alla coloritura affettivo/emotiva che ciascun individuo
singolarmente dà alla situazione in cui si trova.
124
La situazione oggettiva è la medesima, e soltanto l’interpretazione emotiva/affettiva (coloritura affettiva)
che io do alla situazione che provoca una reattività diversa.
🡺 Vasomotricità del plesso cutaneo limitatamente al distretto facciale (nessuno arrossisce sulla
faccia anteriore della coscia).
Al trovarsi in una situazione di imbarazzo a seconda della tua personale situazione soggettiva →
vasodilatati il distretto capillari limitatamente alla faccia.
Cos’è che stabilisce una connessione fra un fenomeno cognitivo elevato di qualità elevata,
estremamente soggettivo interpretativo di una situazione contingente?
Qui usciamo dell’idea della riflessogenicità (più semplice, tutti i riflessi visti finora). Adesso che stiamo
arrivando in alto, i riflessi sono piuttosto semplice nella metodologia (alla fine il disegno metodologico
è sempre lo stesso). Più complicato diventa quando devo giustificare un riflesso vasomotorio
distrettualizzato dal punto di vista anatomico(effetto/efferenza), rispetto alla afferenza che è
l’interpretazione cognitivo emozionale di una situazione in cui mi trovo.
→ Se mi trovo a mezzogiorno posso interpretarle in un modo.
→ Se mi trovo a mezzogiorno del giorno dopo, stesso individuo, stessa situazione posso
interpretare/percepire in un modo completamente diverso, e non dare luogo alla medesima reazione.
La faccenda non è semplice. Quindi tutto questo sposto finora per dirvi che l’ipotalamo che risiede alla
redistribuzione delle modalità reattive dell’omeostasi viscerali (vasodilatazione, iperidrosi, salivazione
ecc eseguiti dai neuroni pregangliari orto e para) vengono presiedute e coordinate fra di loro da centri
sovrassiali.
Fornice e ippocampo (sistema limbico funzione di memoria, emozionale ecc) sono collegate con
l’ipotalamo tramite un grande fascio che finisce nei nuclei mammillari di questo.
TALAMO
Questi sono i due talami, Dx e Sx.
In rosso la superficie dorsale del talamo (si
vedono i nuclei ventrali per comodità che in
realtà sono sotto).
Tagliando il talamo lungo la linea
tratteggiata abbiamo il polo anteriore e
posteriore. La connessione intertalamica in
azzurro. In mezzo a questa c’è il terzo
ventricolo. Il talamo è il più grosso
complesso nucleare grigio del nostro
sistema nervoso centrale
(quantitativamente). Non è perfettamente
omogeneo: né dal punto di vista anatomico
e neppure del punto di vista della tipologia
delle connessioni che stabilisce.
Dal punto di vista anatomico: È attraversato
da una lamina fibrosa, la lamina midollare
interna la quale ha una forma di Y e portandosi in avanti si divarica. Questo è rilevante perché sulle
braccia della Y si identificano i nuclei anteriori del talamo (Giallo).
La lamina midollare interna procedendo indietro non arriva al polo posteriore dal talamo, ma piega un
po’ medialmente. Inoltre, se la guardiamo in sezione non è completamente verticale. Man mano che si
approfonda nella sostanza grigia del talamo piega anche medialmente. Questo andamento è
importante: dal fatto che pieghi medialmente in profondità deriva l’identificazione dei nuclei ventrali.
Ventrale anteriore, ventrale intermedio, ventrale posteriore ecc… man mano che dall’avanti si va
all’indietro.
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Poi medialmente alla lamina midollare interna abbiamo i
nuclei mediali del talamo (in azzurro).
Lateralmente ai gruppi di nuclei laterali (rossi) c’è un’altra
struttura di fibre intratalamica, la lamina midollare esterna.
E ancora esternamente alla LME c’è un nucleo talamico,
che è il più esterno di tutti. È lui che confina con il braccio
posteriore della capsula interna. Si chiama nucleo
reticolare (nucleo piuttosto importante).
Ancora dal fatto che la lamina midollare interna non arrivi
al polo posteriore permette di identificare un polo
posteriore integro, una porzione grossa del talamo→
Pulvinar.
NUCLEI
I nuclei del talamo hanno una certa disomogeneità morfologica (vista precedentemente). Per giunta dal
punto di vista morfo-funzionale, quindi afferenze ed efferenze che i nuclei talamici hanno, pure non
sono perfettamente univoci dal punto di vista funzionale. Si raggruppano in diversi nuclei catalogabili in
2 categorie essenziali.
1. Specifici (di Relay): Essendo specifici sono quelli che conosciamo meglio. Si è svelata la loro
connessioni e loro funzioni correlate.
● Corpo genicolato laterale: Tratto ottico (fibre retiniche, dietro il chiasma)→ collicolo superiore
→ proietta nella corteccia visiva primaria (viola nell’immagine precedente) localizzata nella
regione occipitale. In questa area troviamo la scissura calcarina. Tutte i labbri di questa scissura
sono l’area 17→ visiva primaria.
126
Riassumendo: Il corpo genicolato laterale riceve fibre retiniche dal tratto ottico e riproietterà quasi
orizzontalmente in dietro (fanno giro intorno il corno occipitale del ventricolo laterale) nella corteccia
visiva primaria, completando la via visiva.
● Corpo genicolato Mediale: Via acustica→ Le fibre vengono dal collicolo inferiore→ riproiettano
verso la corteccia uditiva primaria (lobo temporale, nascosta in una profonda scissura, scissura
laterale dell’emisfero
Riassumendo: Questo proietterà lateralmente verso corteccia uditiva primaria.
○ Ventrale posteromediale: È più piccolo, riceve le medesime afferenze dello stesso tipo
(protopatiche ed epicritiche) del lemnisco trigeminale (afferenze della testa). Per cui
sensibilità protopatica dal nucleo del tratto discendente dal 5º nervo e sensibilità
epicritica dal nucleo pontino principale del 5º. Le fibre sono tutte crociate verso il nucleo
ventrale posteromediale del talamo.
Anticipazione
Abbiamo visto prima il fornice, che è una importante via efferente
dell’ippocampo. La maggior parte delle fibre del fornice arrivano nei
nuclei mammillari dell’ipotalamo→ i nuclei mammillari
127
dell’ipotalamo emettono un’efferenza principale che è diretta ai nuclei anteriori del talamo. Questo si
chiama tratto mammillo-talamico.
I nuclei anteriori proietteranno verso la corteccia pericallosa, in giallo (circonvoluzione del cingolo) →
Riproietta verso l’ippocampo.
C’è un circuito: Ippocampo → Fornice → Corpi mammillari dell’ipotalamo → Fascio mammillo- -
talamico (fascio di Vicq d’Azyr) → Nucleo anteriore del talamo → Giro del Cingolo → Di nuovo
l’ippocampo. Questo è il circuito della memoria recente. Questo è il circuito che gli anziani perdono
(saranno trattati nella lezione del sistema limbico).
Prima della formazione del ricordo, dobbiamo avere questa circuitazione che funziona.
Le efferenze di una circuitazione dei nuclei della base, e le efferenze dal neocerebello che salgono
verso la corteccia, utilizzano lo stesso nucleo talamico e questo poi riproietta verso le medesime aree
della corteccia. C’è un preciso razionale su questa funzione nella regolazione della programmazione
motoria.
● Pulvinar: Non gli conosciamo benissimo. Quello che sappiamo è che il Pulvinar è un nucleo
associativo connesso con le funzioni visive. Riceve molte collaterali dal sistema visivo e le
rimanda sulle aree associative, piuttosto diffuse sulla corteccia. Il Pulvinar è sicuramente
coinvolto nella focalizzazione dell’attenzione visiva (che è diverso dal vedere un oggetto e dargli
una interpretazione). La focalizzazione sulla attenzione visiva consiste nella scelta della
porzione del nostro campo visivo su cui focalizzare lo sguardo. In cui esclude gli altri.
Esempio: Mi focalizzo in un punto, se il punto si muove la prensione visiva (concentrare/focalizzare lo
sguardo) si mantiene sul punto in movimento.
● Nucleo Reticolare: Sta esternamente alla lamina midollare esterna. Questo è un nucleo
inibitorio e dialoga, cioè, riceve afferenze e invia efferenze con il talamo stesso. Con tutti gli
altri nuclei talamici. Per cui il talamo che riceve una grandissima quantità di afferenze e le
redistribuisce alle diverse aree corticali, si autolimita nella sua proiezione corticale. Non passa
tutte le informazioni. Filtra quello che sale fino alla corteccia, e lo filtra inibendo una quota dei
propri segnali in uscita. Allora, tutte le fibre che escono dai diversi nuclei del talamo e vanno
alle loro destinazioni corticale lasciano collaterali al nucleo Reticolare. Il nucleo Reticolare
risponde in senso inibitorio, cioè frena gli ulteriori segnali della stessa natura, dallo stesso
nucleo verso la medesima area corticale. È un nucleo estremamente importante. Non è in
connessione con la sostanza reticolare del tronco dell’encefalo (il nome è solo una casualità).
128
NUCLEI DELLA BASE
ANATOMIA
Nell’immagine rivediamo varie strutture, poste in profondità negli emisferi cerebrali:
● Nucleo caudato (in verde), diviso in testa, corpo e coda. Nel lobo temporale la coda del caudato
tocca un nucleo posto profondamente nel lobo, nei pressi dell’ippocampo, l’amigdala (questi
ultimi due fanno parte del sistema limbico). Nonostante questo rapporto anatomico fra la coda
del caudato e l’amigdala, tra le due strutture non vi è alcun rapporto di tipo funzionale.
● Faccia laterale del nucleo lenticolare (in blu)
● Faccia laterale del talamo (in rosso e in trasparenza), lievemente più arretrato rispetto alle
strutture precedenti.
Guardando la figura si nota che il nucleo lenticolare è attraversato da due fasci di sostanza bianca, che
lo dividono in tre porzioni:
● Putamen: la parte più esterna e più voluminosa del nucleo. Si colora di più rispetto alle altre
perchè è più densa di neuroni
● Pallido esterno: la parte intermedia
● Pallido interno: la parte più interna, posta all’apice del nucleo
129
FUNZIONE
Il controllo sottocorticale di cui si parla nel titolo è principalmente, ma non esclusivamente, motorio: oltre
ad un circuito con funzione motoria ci sono altri circuiti, non propriamente motori, che conferiscono
sfumature alla motricità ma che coinvolgono comunque i nuclei della base. I nuclei della base (del
telencefalo) sono ammassi nucleari grigi posti all’interno della sostanza bianca degli emisferi cerebrali,
implicati principalmente nella regolazione dell’attività motoria.
N.B.: Per molto tempo, per indicare queste strutture, is è parlato di gangli della base. Il prof. preferisce
utilizzare il termine “nuclei”, riservando il termine “ganglio” per indicare un raggruppamento neuronale
posto nel SNP (gangli sensitivi e gangli del sistema orto- e para-simpatico)
Per quanto riguarda la terminologia dei nuclei della base, anatomici e clinici divergono un pò. Vi sono
infatti due terminologie diverse:
Le due terminologie (clinica e anatomica) concordano entrambe sulle strutture del caudato e del
lenticolare, riuniti nella definizione di striato. È opportuno rendersi conto di cosa si intende dal punto di
vista morfologico per nuclei della base e cosa invece tendono ad includere sotto questa definizione i
clinici, che prendono in considerazione anche strutture che, dal punto di vista anatomico, non fanno
parte dei nuclei della base. In questo senso i clinici trascurano il dato morfologico e perciò tendono a
fare confusione, ma è ovvio che la terminologia clinica è quella più utile.
N.B.: Una volta che è chiaro cosa sono anatomicamente i nuclei della base, si può utilizzare la
terminologia clinica. In questo modo includiamo nel concetto clinico-funzionale di nuclei della base
anche il nucleo subtalamico e la sostanza nera, che dei nuclei della base dal punto di vista anatomico
NON fanno assolutamente parte, perchè non sono strutture telencefaliche. Abbandoniamo quindi il
concetto strettamente anatomico e usiamo un criterio funzionale, che è più utile (ad esempio, la
discinesia del Parkinson è dovuta a una lesione strettamente mesencefalica)
130
Sezione frontale sinistra (schema).
1. Talamo
2. Capsula interna
5. Fascio lenticolare
6. Corteccia dell’insula
8. Claustro
9. Putamen
10. Pallido esterno
11. Pallido interno
14. Ansa lenticolare
Guardando la figura si nota che il pallido, in particolare quello interno, è collegato al nucleo ventrale
laterale (o intermedio) del talamo, posto tra il nucleo ventrale anteriore e il nucleo ventrale posteriore.
Il pallido infatti emette parecchie fibre efferenti dirette a questo nucleo. Per arrivare a destinazione
queste fibre devono attraversare la capsula interna (in particolare il ginocchio posteriore) che si trova
appunto tra il pallido interno e il talamo.
Le fibre efferenti dal pallido raggiungono il talamo con due percorsi diversi:
● Le fibre attraversano a pettine, cioè ortogonalmente, la capsula interna → Fascio lenticolare
● Le fibre girano intorno al braccio posteriore della capsula interna ed emergono postero-
inferiormente al talamo → Ansa lenticolare
Queste fibre sono estremamente importanti, perché rappresentano la principale efferenza dell’intera
circuitazione dei nuclei della base: alla fine è il segnale che esce dal pallido interno e si dirige al nucleo
ventrale laterale del talamo quello che è rilevante dal punto di vista funzionale: quindi il pallido interno
rappresenta la porta di uscita della circuitazione del livello di integrazione dei nuclei della base.
Questa porta di uscita si concretizza in due fasci quindi: nel fascio e nell’ansa reticolare, entrambi diretti
al nucleo ventrale del talamo.
Bisogna sottolineare che il nucleo ventrale laterale del talamo riceve anche l’efferenza neocerebellare:
il circuito cortico-ponto-cerebello-talamo-corticale svolge questo percorso:
nuclei basilari del ponte → efferenza crociata → pedunculi cerebellari medi → lobo posteriore del
neocerebello → circuitazione corticale → nucleo dentate cerebellare → peduncolo cerebellare
superiore → talamo → efferenza crociata → corteccia (che rappresenta la destinazione finale).
La stazione talamica del circuito è appunto il nucleo ventrale laterale, lo stesso nucleo talamico che è
il destinatario dell’efferenza dell’intera circuitazione sottocorticale. Ovviamente questo non è casuale
ma ha una logica ben precisa, che invita a riflettere.
⮚ Nota clinica: lesioni dei nuclei della base (intesi in senso clinico) provocano patologie
neurologiche importanti, diverse a seconda della sede colpita:
● Ballismo o emiballismo (lesione a carico dei neuroni del nucleo subtalamico)
● Morbo di Parkinson (lesione a carico dei neuroni della sostanza nera)
● Coreo-atetosi (lesione a carico di altre aree)
Tutte queste malattie hanno una franca sintomatologia motoria discinetica, per cui c’è una
deregolazione dell’attività motoria, sia essa intenzionale (quando voglio fare un movimento volontario)
o di accompagnamento (ad esempio pendolare le braccia mentre si cammina, non è un movimento
critico per la deambulazione e si può anche evitare – normalmente lo si fa per un buon mantenimento
dell’equilibrio e quindi per una più corretta deambulazione). A questa si aggiunge un corteo di movimenti
involontari, lenti o rapidi
131
Osservando questa figura si nota che le fibre della capsula interna sono soprattutto quelle del fascio
cortico-spinale (piramidale), discendenti e omolaterali e che queste hanno una disposizione
somatotopica, dal ginocchio lungo il braccio posteriore della capsula interna:
● Il ginocchio trasporta le fibre cortico-spinali (più precisamente cortico-nucleari) dirette ai nuclei
somatomotori del tronco dell’encefalo → innervazione dei muscoli della testa e del collo
● Parte media del braccio posteriore → innervazione dei muscoli dell’arto superiore (fibre più
anteriori) e del tronco (fibre più posteriori)
● Parte posteriore del braccio posteriore → innervazione dei muscoli dell’arto inferiore (le più
posteriori vanno ai piedi)
Sempre osservando la figura precedente, si
notano 2 nuclei talamici importanti:
● Corpo genicolato laterale: intercalato
sulla via ottica, riceve dai tratti ottici
e proietta al lobo occipitale (Area 17)
con fibre che piegano all’indietro →
Percorso della radiazione ottica:
segmento retro-lenticolare della
capsula interna (dietro il nucleo
lenticolare)
● Corpo genicolato mediale:
intercalato sulla via acustica, riceve
dal collicolo inferiore e proietta al
lobo temporale → Percorso della
radiazione acustica: segmento sotto-lenticolare della capsula interna (sotto il nucleo lenticolare)
Il motivo della terminologia (sotto e retro lenticolare) è puramente anatomico, ed è basato sulla
posizione rispetto, appunto, al nucleo lenticolare.
N.B.: in clinica questa terminologia si usa continuamente
132
COLLEGAMENTI
Esiste un’intensa circuitazione tra la corteccia, in particolare le aree premotorie (però in definitiva l’intera
corteccia, poichè non è un'esclusiva della corteccia motoria), e i nuclei della base. Nel suo complesso
è una circuitazione riverberante sulla corteccia perchè rappresenta un loop cortico-sottocortico-
corticale, dove per sottocortico si intendono i nuclei della base in senso lato, comprendendo anche il
nucleo ventrale laterale del talamo e la sostanza nera mesencefalica ed escludendo il claustro.
Nell’immagine sottostante si può vedere in sezione del mesencefalo la sostanza nera, una lamina di
sostanza scura (i neuroni sono molto fitti) che separa il piede dalla calotta. Dal punto di vista istologico
non è uniforme, ma è formata da due porzioni:
Ci sono diverse classi di neuromediatori: alcuni francamente eccitatori, altri francamente inibitori (ad
esempio acido γ-amino-butirrico è il tipico mediatore inibitorio del SNC, glutammato è il tipico mediatore
eccitatorio del SNC) ma è molto raro trovare un singolo tipo di recettore per ogni neuromediatore. In
genere esistono più recettori per il medesimo neuromediatore:
● Per i neuromediatori eccitatori tutte le classi di recettori sono eccitatorie (avranno meccanismi
diversi, soglie diverse...etc)
● Per i neuromediatori inibitori tutte la classi di recettori sono inibitorie
Per la dopamina non accade questo, ci sono 5 classi di recettori raggruppabili in 2 famiglie:
● D1=recettori eccitatori
● D2=recettori inibitori
Quindi i neuroni della SNc utilizzano dopamina e proiettano in maniera univoca verso lo striato (insieme
anatomico di caudato e putamen) con il fascio nigro striatale. La dopamina liberata sortirà effetto
133
inibitorio oppure eccitatorio a seconda della
distribuzione e dell’espressione dei recettori
della famiglia D1 o D2 sui neuroni dello striato.
VIA DIRETTA
Lo striato proietta sul pallido interno e sulla SNr (perchè, come detto prima, hanno stessa derivazione
embriologica) con neuroni GABAergici inibitori (GABA - )
Il pallido interno inibito, perde la sua attività inibitoria (GABA - ) con neuroni GABAergici verso il nucleo
ventrale laterale del talamo tramite fascio e ansa reticolari NB: doppia inibizione equivale a eccitazione
Il nucleo ventrale laterale del talamo è libero di fare una proiezione eccitatoria glutammatergica in salita
verso la corteccia cerebrale, tipicamente verso le aree motorie della corteccia cerebrale (+glu)
In questo modo il talamo può inviare segnaletica utile alla corteccia per programmare l’azione motoria,
tra cui anche i dati provenienti dal neocerebello (non presenti nell’immagine); questo flusso di
informazioni che sale alla corteccia è tenuto sotto controllo da un sistema riverberante che parte dalla
corteccia stessa (soprattutto dalle aree associative)
VIA INDIRETTA
Lo striato proietta verso il pallido esterno sempre con neuroni GABAergici, quindi lo inibisce (-GABA)
Il pallido esterno che normalmente va a inibire il nucleo subtalamico di Luys perde la sua inibizione, in
questo modo il nucleo subtalamico glutammatergico è libero di eccitare il pallido interno e la SNr
Il pallido interno eccitato, svolge la sua attività inibitoria nei confronti del nucleo ventrale laterale del
talamo, bloccando così il movimento del segnale dal talamo alla corteccia
[Il pallido interno ha anche una proiezione sul collicolo superiore mesencefalico che però non riguarda
la circuitazione basale]
In conclusione:
● L’attivazione della via diretta lascia passare il segnale talamo-corticale
● L’attivazione della via indiretta blocca il segnale talamo-corticale
La SNc proietta con il fascio nigrostriatale dopaminergico verso lo striato (DA+/-) e ha un ruolo molto
importante nella “scelta” da parte dello striato di attivare una via piuttosto che l’altra.
134
Tale scelta dipende:
1. Dal bilanciamento fra l’attivazione dei
neuroni striatali che portano recettori
dopaminergici D1 eccitatori rispetto a
quelli che portano recettori
dopaminergici D2 inibitori. Infatti
l’attivazione tramite recettori D1
favorisce la via diretta, al contrario
tramite recettori D2 favorisce quella
indiretta.
2. Dalla morfologia propria dei neuroni
dello striato, chiamati “neuroni di
medie dimensioni spinosi” (medium
spiny neurons) i quali possiedono
molte spine dendritiche; all’apice della spina sono concentrati i recettori glutammatergici
(GLU) per le efferenze corticali, alla base della spina invece sono concentrati i recettori
dopaminergici (DA).
Perciò è chiaro che quando GLU si lega ai propri recettori all’apice delle spine:
Le aree associative dove questi segnali vengono rielaborati proiettano sullo striato e, siccome la
corteccia ha un enorme numero di neuroni, è evidente che c’è un massiccio fenomeno di convergenza.
135
Intere aree corticali > piccoli gruppi di neuroni striatali
Vengono così portate in vicinanza informazioni generate in aree associative della corteccia anche molto
distanti tra loro (es: aree associative per il riconoscimento dei suoni, per il riconoscimento dei volti, delle
forme geometriche, aree stereotassiche per il riconoscimento delle forme tramite sensazioni tattili…) a
queste si aggiungono aree del sistema limbico.
L’intera neocortex proietta sui nuclei della base i quali con la loro circuitazione, a patto che l’afferenza
dopaminergica e il livello colinergico dello striato siano adeguati, formulano le informazioni talamo-
corticali di natura telencefalica basale e neocerebellare (necessarie per adeguare le intenzioni motorie
della corteccia alla situazione ambientale) alla corteccia.
Quest’ultima le utilizza non per generare il programma motorio ma per adeguare il programma a due
esigenze fondamentali:
1. la sua effettiva eseguibilità periferica cerebellare
2. la situazione percettivo ambientale che ha una componente limbica affettiva e di
interpretazione acustica, visiva, dolorifica, sensoriale, tattile, termica ecc..
TELENCEFALO
La corteccia telencefalica presenta diversi livelli d’integrazione e diversi livelli computazionali. Essa
rappresenta la staziona finale delle vie sensitive e la stazione iniziale delle vie motorie, ma soprattutto
rappresenta l’organo in cui si verifica l’elaborazione più complessa del segnale. Bisogna correlare
l’istofisiologia dell’area corticale con le afferenze ed efferenze che essa genera e scambia, ovvero
afferenze acustiche, tattili, visive, talamo-corticali, della sensibilità aspecifica o efferenze cortico-
spinali e motorie. In questo caso si parla di una circuitazione semplice.
La corteccia presenta quindi delle aree correlate con funzioni specifiche: l’area 17 per le funzioni visive,
l’area 41 per la terminazione delle proiezioni acustiche, le aree 3,1,2 per la componente somestesica
primaria e l’area 4 per la componente motoria. Queste aree rappresentano l’origine per le vie motorie
e la terminazione per le vie sensitive, quindi fasci di vie ascendenti e discendenti, che in definitiva
vanno a costituire dei circuiti. Il circuito motorio è caratterizzato da neuroni piramidali, i cui assoni in
parte incrociandosi, scendono in basso, facendo successivamente sinapsi con un alfa motoneurone e
causando così la contrazione di un muscolo. Dall’altra parte un circuito sensitivo è caratterizzato da
un recettore, che attraverso fasci ascendenti trasporta la sensibilità protopatica o epicritica al talamo,
da cui partono fibre che si proiettano alla corteccia somatosensitiva primaria (area 3,1,2).
Le fibre di questi circuiti possono incrociarsi, hanno disposizione somatotopica, possono fare stazione
nei nuclei telencefalici, ma in linea definitiva vanno a costituire un circuito semplice.
136
La corteccia telencefalica, però, non è costituita solamente da aree massicciamente correlate ad una
funzione specifica, ma è costituita principalmente da ulteriori aree, chiamate aree associative, che
per essere comprese necessitano l’introduzione di un maggior livello di organizzazione funzionale. Le
aree corticali principali vanno ad occupare una piccola porzione della corteccia e di 50 miliardi di
neuroni che la costituiscono e quindi solo una piccola parte è dedicata alle aree principali; il resto va
a costituire le aree associative. Confrontando il numero di neuroni delle aree corticali primariamente
associate ad una funzione, di un telencefalo umano con quelle di una scimmia antropomorfa, si
osserva che la quantità di neuroni è più o meno costante. Al contrario, paragonando le aree associative
dei due telencefali, si osserva una notevole differenza.
Le aree associative sono caratterizzate da neuroni la cui funzione è quella di associare, tra un emisfero
e un altro o nell’ambito di uno stesso emisfero, gruppi diversi di neuroni corticali. Queste aree, come
accennato nelle righe precedenti, sono molto vaste, poiché sono presenti delle funzioni complesse,
che non sono operate da semplici circuiti neuronali, ma sono presidiate da rete neurali complesse,
che corrispondono alle aree associative.
Nello studio delle aree associative si inizia ad osservare la progressiva perdita di specificità anatomica
correlabile ad alcune funzioni. Più è complessa l’attività computazionale che viene affrontata, tanto
minore è la sua precisa localizzabilità anatomica in una o più aree della corteccia. Se il livello
computazionale è molto complesso, è estesa la corteccia che entra in gioco. Più il livello
computazionale aumenta, più ci si allontana dalla puntualità del dato anatomico e quindi non è più
possibile parlare di una specifica circonvoluzione associata ad una funzione, ma è possibile solamente
parlare di aree o più aree associate tra loro.
Il livello computazionale può aumentare a tal punto da arrivare a funzioni assolutamente superiori e
giungere ad un confine estremamente affascinante dal punto di vista delle neuroscienze, ovvero il
confine tra le funzioni del cervello e le funzioni mentali, che sono funzioni neurologiche. Queste
funzioni sono di un livello talmente elevato da sfuggire all’identificazione anatomica e funzionale.
Infatti le aree corticali ideativo motorie, quelle che pensano un movimento o che affrontano questioni
complesse come l’ideazione di un pensiero astratto, non sono identificabili come, ad esempio, l’area
motoria primaria o l’area somestesica primaria. Si tratta di fenomeni cognitivi di una complessità
straordinaria, che sfuggono alla puntualizzazione anatomica e agli studi, in quanto sono aree poco
conosciute.
(Popper, filosofo, affermava: “Il passaggio dall’uomo neuronale al soggetto morale è un passaggio telencefalico
corticale, ma molto difficile.”)
137
ANATOMIA
Faccia inferiore cervello: si osservano bulbo, ponte, faccia
inferiore del cervelletto, che nasconde la faccia inferiore dei
lobi occipitali, la faccia inferiore del lobo frontale, su cui si
vede scorrere il bulbo olfattivo e la faccia inferiore dei lobi
temporali.
Consiglio: fare molto bene la topografia del cranio: la faccia ventrale del lobo frontale poggia sul tetto dell’orbita,
che corrisponde al pavimento della fossa cranica anteriore; la fossa cranica mediale è in relazione con il polo
anteriore del lobo temporale; il fondo della fossa cranica posteriore è in relazione con il cervelletto e la piega
della dura madre, chiamata tentorio, che si estende fra lo spigolo della piramide del temporale e le protuberanze
interne dell’osso occipitale. La porzione sottotentoriale è occupata dal cervelletto, mentre la porzione
sovratentoriale è occupata dai lobi occipitali. Il tentorio è estremamente importante in neurologia, poiché viene
utilizzato come punto di riferimento, per indicare in quale delle due regioni si sta sviluppando il processo
patologico.
-Scissura calcarina
138
La scissura laterale di Silvio, invece separa il lobo frontale e una porzione di lobo parietale dal
sottostante lobo temporale. Essa può essere divaricata per mostrare nella regione sottostante il lobo
dell’insula.
Sezionando questa porzione di corteccia espansa, che si trova al fondo di questa scissura, si entra
all’interno dell’emisfero e dopo uno strato di sostanza bianca si osserva il claustro e la faccia esterna
del putamen.
La scissura calcarina è situata sulla faccia mediale del lobo occipitale, la cui corteccia è
maggiormente sviluppata sulla faccia inferomediale degli emisferi. Con i suoi labbri essa circonda
l’area 17, che corrisponde all’area visiva primaria.
Osservando la faccia mediale dell’emisfero di destra, si osserva la piega della dura madre, che
prende il nome di tentorio del cervelletto. La porzione al di sotto del tentorio è chiamata sottotentoriale
e corrisponde alla fossa cranica posteriore ed è la porzione cerebellare, mentre la porzione al di sopra
del tentorio, è chiamata sovratentoriale e corrisponde al lobo occipitale. Il tentorio è una piega rigida
e solida, necessaria per non far gravare il peso dei lobi occipitali sulla superficie superiore del
cervelletto.
Si osserva in questa immagine il corpo calloso sezionato e in giallo le strutture coinvolte nel sistema
limbico; il giro del cingolo e il lobo limbico, in cui rientrano strutture olfattive come i bulbi olfattivi e i
suoi collegamenti, strutture corticali profonde del lobo temporale con le loro efferenze, il fornice e i
corpi mammillari dell’ipotalamo, i quali con il fascio del Vicq d’Azyr (mammillo- talamico) proiettano
verso i nuclei ventrali del talamo, i cui nuclei rientrano quindi all’interno del sistema limbico.
139
AREE DELLA CORTECCIA
La corteccia telencefalica venne studiata
dal punto di vista istologico da Brodmann, il
quale non sapendo nulla delle funzioni
corticali, che successivamente vennero
attribuite alle aree delle circonvoluzioni,
analizzò i preparati istologici e divise la
corteccia cerebrale in 52 aree, denominate
aree di Brodmann.
Le aree principali a cui è stata attribuita una precisa funzione sono l’area 4, l’area 3,1,2 , l’area 17 e
l’area 41.
L’area 4, l’area motoria primaria, corrisponde alla circonvoluzione frontale ascendente, situata
anteriormente alla scissura Rolandica.
L’area 3,1,2, l’area somestesica primaria, corrisponde alla circonvoluzione parietale ascendente,
situata nel giro post-centrale posteriormente alla scissura Rolandica. L’area più vicina alla scissura
venne denominata area 3, la porzione più lontana dalla scissura venne denominata area 2, mentre la
porzione intermedia venne chiamata area 1.
L’area 17, poco visibile sul polo occipitale posteriore, si sviluppa maggiormente sulla faccia mediale
dell’emisfero, lungo i labbri della scissura calcarina. Essa corrisponde all’area visiva primaria. L’area
visiva primaria (area 17), è un’area relativamente molto semplice da identificare dal punto di vista
istologico, in quanto la radiazione ottica è talmente massiccia e le fibre sono talmente compatte, che
quando giungono all’area corrispondente penetrano con una grande stria, riscontrabile anche a basso
ingrandimento. Questa stria, che taglia a metà la corteccia dell’area 17, deriva da una radiazione
costituita da numerosi fasci tutti compatti, che penetrano in una lamella particolarmente ristretta.
Questo fascio di fibre venne osservato per la prima volta, alla fine del 700’, da Francesco Gennari,
studente di Medicina all’università di Parma, che studiando i vetrini, notò questo fascio di fibre. Questa
stria prese il nome di stria di Gennari.
L’area 41, l’area uditiva primaria, si espande sul labbro inferiore della scissura laterale di Silvio.
Questa porzione inferiore di corteccia è pianeggiante e viene denominata “planum temporale”. Quindi
l’area 41 si sviluppa quasi completamente sul planum temporale.
Le aree sopra descritte sono aree con funzioni primarie, ma sono presenti anche aree associative con
un aspetto computazionale, come l’area 6, l’area 8, l’area 18, l’area 19 e l’area 41.
L’area 6 corrisponde all’area premotoria o di programmazione motoria, e sporge sulla faccia mediale
dell’emisfero. Mentre l’area 8 corrisponde all’area oculocefalogira.
L’area 18 e 19 sono delle aree associative correlate alla funzione visiva primaria e infatti si trovano
intorno all’area 17 e si sviluppano in entrambe le direzioni, sia verso il lobo temporale, sia verso il lobo
occipitale.
140
L’area 40 e le aree nelle circonvoluzioni frontali inferiori sono delle aree associative correlate all’area
41 uditiva primaria, perché sono coinvolte nel coordinamento del linguaggio e nell’interpretazione della
parola e corrispondono alle aree di Broca e Wernicke.
HOMUNCULUS
La disposizione delle fibre afferenti, talamo-
corticali o efferenti sull’area motoria primaria e
sull’area somestesica primaria è somatotopica.
Sulla superficie dell’area della circonvoluzione
frontale ascendente e sulla superficie dell’area
della circonvoluzione parietale ascendente è
disegnabile una mappatura corporea. Questa
mappatura è completamente deforme e viene
chiamata homunculus sensitivo e motorio.
L’homunculus sensitivo consiste in una mappatura della densità recettoriale dei diversi segmenti
corporei. L’homunculus motorio consiste in una mappatura del numero di fibre motrici destinate alla
muscolatura scheletrica dei vari distretti corporei; numerose fibre per la faccia e per la mano e un
numero minore per il piede.
141
La corteccia archipalliare è quella più vecchia e più
semplice. È formata da tre strati e si trova in certe
zone del lobo limbico, mentre la corteccia
neopalliale, che costituisce la maggior parte della
corteccia telencefalica nell’uomo, ha 6 strati.
La corteccia più complessa, a 6 strati, è costituita da cellule e fibre nervose mescolate insieme. Gli
strati, dal più superficiale al più profondo, sono:
· strato polimorfo
Nello strato granulare mi aspetterò di trovare cellule granulari (chiamate anche cellule stellate) e
nello strato piramidale cellule piramidali.
I fasci piramidali, corticospinali diretti, che originano dall’area 4, sono costituiti dagli assoni dei neuroni
piramidali dello strato piramidale profondo di quest’area.I fasci piramidali prendono questo nome
perché subito prima della decussazione dal bulbo sono molto superficiali e formano due rilievi del
bulbo.
Invece i neuroni si chiamano piramidali perché hanno un pirenoforo di forma grosso modo piramidale.
In tutta la corteccia ci sono neuroni piramidali, più o meno grandi. In particolare, nell’area 4 lo strato
piramidale profondo contiene dei neuroni piramidali particolarmente grandi, le cellule piramidali giganti
di Betz, i quali assoni efferenti formano i fasci piramidali. Quindi neuroni piramidali non sono
necessariamente correlati con i fasci piramidali.
I neuroni piramidali, sia quelli dello strato profondo che sono più grossi, che quelli dello strato esterno
che sono medi e piccoli, hanno assoni efferenti dalla corteccia. L’efferenza della circuitazione
intracorticale è mediata dagli assoni delle cellule piramidali, che sono tutte eccitatorie,
glutamatergiche.
142
NOTA: qui il prof le aveva paragonate alle purkinje del cervelletto, tuttavia tenendo a precisare che le similitudini
finiscono lì e che non vi è nessuna altra somiglianza fra le due.
Nelle cortecce a 6 strati possono prevalere le cellule dei granuli o le cellule piramidali, si distinguono
così cortecce granulari, tipiche delle aree sensitive, e cortecce agranulari che sono principalmente
efferenti.
COLONNE CORTICALI
Dal punto di vista istologico la corteccia si divide in strati,
dal punto di vista istofunzionale, si identificano dei
cilindretti di corteccia che comprendono tutti gli strati,
chiamati colonne corticali, i quali non hanno dei limiti fisici,
ma sono un concetto istofunzionale.
La fibra in entrata fa sinapsi con le cellule dei granuli, queste fanno sinapsi multiple tutte glutamatergiche
con i dendriti delle cellule piramidali. Le cellule piramidali vengono eccitate e rielaborano il segnale. Le
cellule piramidali corticali tipicamente hanno un dendrite molto lungo apicale e una serie di dendriti più
143
corti emessi orizzontalmente dagli angoli inferiori del corpo che
stabiliscono sinapsi locali con le altre cellule del medesimo
strato.
Sia l’area motrice primaria che la somestesica primaria sono organizzate in colonne con fibre in entrata
che portano la sensibilità alle cellule dei granuli. Le cellule dei granuli diffondono la sensibilità alle cellule
piramidali, queste fanno corte sinapsi eccitatorie verso altre cellule piramidali oppure, con l’intermezzo
di neuroni inibitori, le inibiscono e alla fine esce un segnale che può avere varie destinazioni.
Anche l’area somatosensitiva primaria ha efferenze. Il fatto che sia sensitiva non significa che non abbia
efferenze. Lì arriva attività computazionale insufficiente in se per se.
Es se faccio lavorare l’area visiva primaria, area 17, tipicamente sensitiva, da lì devono uscire delle
efferenze perché da quest’area arriva il segnale crudo retinico, ma dalla rielaborazione di questo
segnale al riconoscimento di una forma, un colore, un oggetto c’è differenza. L’area 17 non fa lavoro di
riconoscimento, lo comincia ricevendo le afferenze retiniche. Quindi l’area sensitiva riceve il segnale, lo
elabora e poi ha delle efferenze. Queste efferenze, dall’area somestesica generale possono essere
dirette verso l’area motrice primaria, che gli sta di fianco. Queste sono fibre che connettono nell’ambito
dello stesso emisfero aree diverse per numerazione e più o
meno distanti fra di loro. L’area 17, sensitiva primaria, dopo
aver fatto un certo grado di lavoro sull’afferenza retinica la
passa alle aree 18 e 19, aree associative primarie, di iniziale
rielaborazione del segnale. Le efferenze delle cellule
piramidali dell’area 17 vanno verso le aree 18 e 19. Queste
rielaborano il segnale, generando un certo grado associativo
di interpretazione del dato retinico. Possiamo avere diversi
tipi di interpretazione.
144
Invece, per il riconoscimento di un oggetto, un colore, una persona, l’area 17 proietta verso le aree
associative primarie 18 e 19 non più verso la direzione parietale, (aree motoria), ma verso la direzione
temporale, dove avanzano addirittura nelle sue porzioni profonde dove sono contenute aree del sistema
limbico. In questo caso non bisogna programmare degli atti motori ma fare un’azione di riconoscimento
e regolazione del tono affettivo che si dà a questa sensibilità. Questi sono livelli computazionali
puramente associativi sempre più complessi che coinvolgono parti sempre più grosse della nostra
corteccia.
ATTIVITÀ ELETTRICA
Nel tracciato elettrocardiografico l’onda P corrisponde
all’attivazione elettrica degli atri, il complesso QRS alla
diffusione del vettore ai ventricoli e l’onda T alla
ripolarizzazione. Se ci sono variazione del tracciato (es. nel
tratto PQ o appiattimento onda T) vuol dire qualcosa in
patologia cardiaca. La registrazione dell’attività elettrica
neuronale corticale è chiaramente diversa dalla
registrazione dell’attività elettrica cardiaca. In quella
cardiaca le onde rappresentano la diffusione dell’impulso
lungo il tessuto di conduzione cardiaco, con conseguente
risposta meccanica del miocardio.
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FIBRE DI CONNESSIONE
I due emisferi sono collegati tra loro dal corpo
calloso, il più grosso fascio di fibre assoniche di
scambio tra i due emisferi (collegamenti
interemisferici, tra aree omologhe dei due
emisferi). Nonostante la maggior parte delle
formazioni dei due emisferi siano simmetriche e
“in conversazione tra loro”, esiste un emisfero
dominante, che prende in carico delle attività:
l’attività dei destrimani come la scrittura, esempio
più comune, nonché la gestione motoria della
mano in generale, sono a carico dell’emisfero
sinistro, viceversa sarà per i mancini.
Esempi: tra la circonvoluzione frontale ascendente e quella parietale ascendente, che sono adiacenti,
si instaurano dei collegamenti brevi (fibre arcuate brevi). Oppure connessioni a lungo raggio: i fasci
longitudinali superiore e inferiore che percorrono tutto l’emisfero da avanti in dietro; il fascio del cingolo
attorno al giro omonimo e al corpo calloso; il fascio uncinato o arcuato, che collega le aree del
linguaggio/fonetiche (area di Broca e di Wernicke) e dell’interpretazione della lettura
le aree di Brodmann, che circa 60 anni fa sono state numerate su base istologica, oggi risultano un po' riduttive per
quello che abbiamo scoperto negli ultimi 50 anni. Anche se continuiamo ad usare queste ultime per praticità,
recentemente sono state introdotte una terminologia e una classificazione più aggiornate e dettagliate per le aree
visive, uditive, sensitive e, in parte, anche per l’area motoria, in questo modo:
È necessario collegare aree corticali distanti tra loro perché sono funzionalmente correlate e concorrono
ad una funzione più complessa. Non conosciamo il funzionamento di tutta la corteccia, abbiamo
conoscenze più dettagliate di alcune aree rispetto ad altre.
146
L’impulso che arriva all’area 17 inizia ad essere aggregato in maniera discreta, cioè “spezzettata”
rispetto alla figura intera, come una serie di segnali, di geometrie fondamentali che lo compongono. Da
qui a ricomporre tutte insieme le forme geometriche e creare quindi l’immagine unitaria e a definirlo
“banco” abbiamo bisogno dell’intervento di altre aree, definite aree plurimodali, che sono implicate
nell’integrazione delle informazioni in entrata di varia natura e che solitamente si trovano in vicinanza
delle aree unimodali primarie.
Quindi, diremo che le aree di Brodmann definite “primarie” sono tutte unimodali, cioè ricevono afferenze
di un unico tipo (la 17 come anche la 3,1,2, ecc…) e sono quelle che conosciamo meglio.
Le aree 18 e 19 invece, aree visive secondarie, sono plurimodali: non hanno un’unica afferenza, ma
integrano segnali da varie fonti. Esse ricevono afferenze dall’area 17 per vie cortico-corticali brevi e
aggregano insieme tutto ciò che è omologo, attuando una ricomposizione di un’unica immagine; poi, a
loro volta, inviano il semilavorato ad aree associative che permettono un livello di integrazione superiore.
Il meccanismo associativo va così ad allargarsi per comprendere via via aree di corteccia che non sono
più ricevitori diretti di una via semplice, ma che ricevono afferenze da aree non solo unimodali, ma
anche da aree che hanno già operato un’integrazione maggiore. Per cui, andranno a convergere su
un’area le afferenze che sono già state complessate da altre aree per giungere, in questo caso, alla
piena interpretazione del panorama visivo. In questo modo, si generano nella corteccia non una, bensì
diverse immagini del banco, che progressivamente si complessano, fino ad arrivare alla percezione
cosciente dell’oggetto.
Muoviamo continuamente gli occhi in maniera coniugata, ma questi movimenti solo in poche occasioni cessano
perché gli occhi si soffermano, cioè prestano attenzione al campo visivo. La nostra corteccia trascura la scena
mentre stiamo muovendo i bulbi (cecità saccadica), non lo fa negli intervalli tra questi movimenti. Mentre spostiamo
i bulbi oculari, la retina funziona, ma la corteccia trascura completamente la scena mentre noi facciamo micro
movimenti degli occhi. Quindi, noi vediamo effettivamente solo negli intervalli tra i movimenti dei bulbi perché la
nostra corteccia associativa visiva integra i momenti di cecità saccadica che si generano e, riempiendo questi
momenti di buio, ci da l’impressione di una continuità panoramica, fatta in realtà da una sequenza statica di
successioni.
Ritornando all’esempio del banco, dopo aver ricostruito l’immagine unitaria, la si associa alla
memorizzazione di un banco di cui si ha già avuto esperienza. L’archivio di memorizzazione non si sa
ancora dove sia, ma sappiamo che il lobo limbico è coinvolto nell’innesco del ricordo.
La prima volta che si vede un banco non lo si conosce ancora; poi, si passa ad associare il lemma
mnemonico immagine con il lemma linguistico corrispondenti, finché estrapolo i caratteri distintivi e
associativi che definiscono un banco come tale. (Riesco a riconoscere due tipi di oggetti sotto una
stessa categoria. ES: alano e chihuahua sono entrambi due cani pur avendo caratteri diversi) Quanto
maggiore è la plurimodalità, tanto maggiore è il grado di integrazione corticale, quindi anche le sue
connessioni, il numero di afferenze e la complessità di queste. Diminuisce, invece, la circoscrivibilità
anatomica.
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ESEMPIO: ESPERIMENTO CON UN NEONATO
Il neonato, dopo circa 20 giorni, riesce a riconoscere il viso della madre come familiare, nonostante
la sua corteccia sia ancora molto poco sviluppata per sinapsi e scarsamente mielinizzata. Si è
scoperto che ciò che è scansionato per primo dai bulbi oculari del neonato è il contorno del volto
della madre che viene quindi ad assumere un significato affettivo. Se viene coperto il contorno del
volto, infatti, succede che il neonato non riconosce più la madre.
Dopo qualche settimana, il neonato amplia i parametri di riconoscimento del volto della madre,
includendo anche caratteristiche del centro del viso.
Se si fa lo stesso esperimento con un cane, non succede assolutamente niente di tutto ciò. Il cane non
riconosce nemmeno il suo padrone in foto, nonostante sia una persona che conosce e con cui trascorre
il tempo. Non è sufficiente l’affluenza visiva per capire che si tratta di di un’ immagine di qualcuno che
conosce. La coscienza dell’immagine e la percezione cosciente dell’oggetto dell’immagine è un
fenomeno corticale estremamente evoluto.
AREE PRIMARIE
Le aree primarie sono: 3, 1, 2 (corteccia sensitiva primaria), 4 (corteccia motoria primaria), 17 (corteccia
visiva primaria), 22, 41 (corteccia uditiva primaria). Queste sono aree unimodali. Le altre sono aree
associative, cioè multimodali
Proiezione talamo - corticale sensitiva: l’area 3 è divisa in una porzione profonda verso il fondo della
scissura di Rolando e in una porzione più di parete: rispettivamente la 3a e la 3b.La porzione 3a riceve
informazioni dai fusi neuromuscolari, cioè la quota che sale con Goll e Burdach destinata alla percezione
cosciente della propriocettività.
La porzione 3b riceve le informazioni provenienti da recettori cutanei di diverso tipo (tatto, tensione,
temperatura).
La 3a e la 3b proiettano insieme verso l’area 2 la quale riceve direttamente le afferenze dalle
articolazioni. Quindi, già nella porzione 2, comincia ad esserci un certo livello di integrazione.
L’area 3 è la vera area di ricettività primaria, cioè separatamente arrivano informazioni di vario tipo, poi
queste vengono impacchettate insieme e mandate all’area 2, dove cominciano ad integrarsi con le
informazioni provenienti dalle articolazioni. L’area 2 proietta all’area 1 e quest’ultima proietta verso le
aree immediatamente vicine, in particolare all’area 5.
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ESEMPIO: MANO CHE TIENE LA CHIAVE (IMMAGINE)
Quello che noi diciamo “ho visto con la coda dell’occhio” vuol dire che nel campo periferico retinico c’è stata una
discontinuità. I coni stanno guardando da un’altra parte e ci sono pochi bastoncelli che sono sensibili alla variazione
dell’oggetto nel campo visivo. L’area 17 può “vedere” ciò, ma non lo capisce, dunque bisogna che aree associative
interpretino questo come, per esempio, una persona che si è mossa nel campo visivo laterale, dunque il nostro
sguardo si muove anche per questioni di sopravvivenza.
A buona parte della corteccia frontale è attribuito il primum movens, cioè il pensiero astratto e l’ideazione, che
non si basano su una stimolazione esterna, ma su un’attività endogena della corteccia stessa.
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della scena visiva. Le aree 18 e 19 attribuiscono il movimento agli oggetti che entrano nel campo visivo
sia che si muovono, sia che non si muovono. Se si muovono ci informano sulla direzionalità e sulla
velocità.
Quindi le aree 18 e 19 aggiungono il parametro movimento alla descrizione statica della scena. Le
aree 18 e 19 sono in connessione con l’area 7 (area supplementare di programmazione motoria).
Quest’ultima proietta verso l’area 6 (corteccia premotoria) dove si organizza il programma motorio, il
quale viene inviato all’area 4 (corteccia motoria primaria) dalla quale partono i fasci piramidali.
Se dobbiamo muoverci in relazione a uno o più oggetti nel nostro campo visivo, bisogna che queste
due componenti entrino in relazione: uno o più oggetti si muovono nel campo visivo ad una certa velocità
e con una certa direzione – le retine vedono come sequenze di fotogrammi questi oggetti che si
muovono ⇨ l’area 17 ricompone le singole immagini degli oggetti che si muovono ⇨ trasferisce queste
all’area 18 e 19, le quali interpretano la sequenza di fotogrammi retinici come il movimento di un oggetto,
cosa che nell’area 17 ancora non avviene.
Ora sappiamo che ci sono questi oggetti che si muovono nel nostro campo visivo, ma a cosa ci serve
saperlo? Si deve fare una programmazione motoria in modo da scansare l’oggetto in movimento,
dunque viene interpretata la qualità del movimento.
L’area 7 integra questo e fornisce all’area 6 la componente di origine del campo visivo necessaria per
la programmazione del movimento per scansare l’oggetto o per andare verso l’oggetto se questo è
fermo.
Spiegazione dell’Immagine:
Faccia mediale della corteccia (le aree 18 e 19 sono
denominate V4, V5).La faccia mediale delle aree 18 e
19 rappresenta la via del chi (riconoscimento delle
forme e dei colori).
Il contenuto visivo dell’area 17 (V1) viene inviato
contemporaneamente sia nella via del dove che nella
via del chi.
Il riconoscimento delle forme è molto importante, infatti,
ci sono colonne di neuroni che riconoscono forme
geometriche specifiche.
Esempio: la corteccia approssima la forma del trifoglio a quella che gli si avvicina di più
geometricamente. Noi vediamo il trifoglio poiché la corteccia associativa per le forme geometriche le
assimila a qualcosa che gli assomiglia.
6 Inuna situazione complessa, una persona non analizza le possibilità in sequenza e precisione, ma le analizza
grossolanamente e in parallelo. Dunque il nostro cervello apre tanti canali di analisi di una situazione visiva
contemporaneamente e nello stesso tempo l’area 17 proietta lateralmente all’area 18 e 19 e si analizzano le
caratteristiche di movimento. Sulla porzione mediale si analizzano le caratteristiche geometriche e di lunghezza
d’onda (colori): si mettono insieme, al fine di raggiungere funzioni più complesse, quali il riconoscimento dei
volti e il conferimento di affettività ed emotività alla scena visiva.
150
SISTEMA LIMBICO
Nell’uomo il sistema olfattivo è riduzionale: noi abbiamo il senso dell’olfatto, ma la sensibilità olfattiva
non è grandissima rispetto alla maggior parte degli animali, per questo l’uomo è detto microsmatico
rispetto a molti altri animali che sono invece macrosmatici. Il fatto che sia riduzionale non si riferisce
solo al livello di sensibilità, ma anche e soprattutto alle connessioni che il sistema olfattivo ha con il
sistema limbico, tali da influenzare e guidare, seppur in minima parte nell'uomo, comportamenti istintivi
e innati. Infatti, parecchie funzioni relative alla regolazione comportamentale, che nell’animale sono
riservate al sistema olfattivo, nell'uomo si spostano piuttosto sul sistema visivo, che per questo presenta
una serie di connessioni estremamente sviluppate. Tutta la porzione dell’encefalo che riguarda il
sistema olfattivo si chiama globalmente rinencefalo.
Il sistema limbico è la sede dei sistemi neurali implicati nella generazione delle emozioni,
dell’apprendimento e della memoria. È quindi implicato nella regolazione dell’affettività e dei
comportamenti relativi all’apprendimento non solo di cose, ma anche all’apprendimento procedurale e
alla memorizzazione degli eventi. Per quanto riguarda la parte affettivo-emozionale, questa svolge un
ruolo fondamentale nella fissazione e nel perdurare di un ricordo, infatti un evento del passato che è
stato accompagnato da particolari stati emozionali viene in genere ricordato più vividamente e più a
lungo rispetto ad avvenimenti a cui siamo rimasti indifferenti.
In questo caso, le risposte sono fortemente individualizzate, ovvero c’è chi si emoziona molto e chi non
si emoziona affatto, in base alla personalizzazione e individualizzazione di questo tipo di reazioni. Qui
siamo di fronte ad aree associative multi- o plurimodali, nel senso che nessuno dei sistemi anatomici
del nostro SNC che fanno parte del sistema limbico, se non quella minima parte di provenienza rino-
encefalica, lavora e agisce su aree corticali primarie. La situazione a cui vogliamo dare una coloritura
affettiva prima di tutto deve essere analizzata e interpretata. Questa elaborazione corticale è fatta dalle
aree corticali primarie (unimodali), e poi dalle aree associative a queste connesse.
A questo punto, lo stimolo parzialmente rielaborato si espanderà in zone della corteccia in grado di
integrare tra loro stimoli provenienti da aree corticali diverse (perciò dette aree multimodali), e ricreano
quella situazione neurale che noi chiamiamo ‘’interpretazione della realtà’’, alla quale aggiungiamo
eventualmente una coloritura di natura emozionale variabile da persona a persona.
Le strutture del sistema limbico ricevono segnaletica afferente non direttamente, ma in seconda,
terza o quarta battuta in maniera tale che vi convergano elaborati corticali multimodali associativi dalle
aree uditive, visive (associative non primarie), somatosensitive generali e così via, che hanno già
rielaborato la loro porzione di input primari e la stanno ricostruendo in una panoramica generale che
rappresenta una situazione. Dalla sommatoria della rielaborazione plurimodale di ciascuna di queste
modalità sensoriali, la corteccia fa derivare un quadro analitico generale della situazione in cui ci
troviamo, frutto della rianalisi corticale delle singole componenti che formano quella situazione
151
(spaziale, temporale, uditiva, visiva ecc.). A ciascuna situazione aggiungiamo poi la componente
affettivo-emozionale, come per esempio la motivazione, ovvero la necessità di giustificare qualunque
programma che il nostro sistema nervoso lanci, in maniera più o meno intensa.
Nel caso di molte malattie neurodegenerative, invece, si assiste ad una degenerazione del sistema
limbico, e uno dei sintomi che si ha è l’anaffettività e perdita di motivazione, ovvero la persona non trova
più ragioni sufficienti per innescare dei programmi motori anche abituali (non trova motivazione nel
cucinare o nell’alzarsi dal letto, per cui ha bisogno continuo di assistenza). Si spazia quindi dalla gioia
in determinate situazioni, alla motivazione per svolgere atti motori o di innescare un comportamento
piuttosto che un altro, e a tutti gli atteggiamenti di aggressività/fuga tesi a conservare la sopravvivenza
dell’individuo.
Nonostante quanto appena detto farebbe pensare che queste zone richiedano un'organizzazione
estremamente sviluppata per poter realizzare un simile risultato, in realtà la maggior parte delle strutture
del sistema limbico sono mesocorticali o allocorticali, cioè paleocorteccia o archicorteccia, ad esempio
l'ippocampo presenta una corteccia a tre strati, molto antica filogeneticamente proprio perché le
reazioni di conservazione dell’individuo, ovvero paura, rabbia, aggressività, fuga, remissività, sono
fondamentali per la sopravvivenza.
Esempio:
Tutti abbiamo visto un cagnolino piccolo che gioca con un cagnolone più grande. A un certo punto, quando la
situazione inizia a farsi pericolosa, il cagnolino piccolo si mette con la pancia all’aria e il collo esteso e quell’altro si
ferma: sono tutti comportamenti rituali, stereotipati della specie. Questo perché il cagnolino prende paura, tutte le
sue aree corticali associative, quindi secondarie, visive acustiche, sensitive generali facendo l’analisi della
situazione, convogliano tutto l'elaborato verso le aree associative del lobo limbico, che dicono istintivamente
all’animale dI innescare un comportamento di tipo remissivo e quello automaticamente si comporta in quel modo
e l’altro cane, altrettanto istintivamente, non gli fa nulla.
Quindi, in sintesi, il sistema limbico proietta verso strutture neocorticali, che governano il
comportamento individuale, e verso strutture sottocorticali, in particolare l’ipotalamo per la regolazione
delle risposte condizionate viscerali elementari (come, ad esempio, la regolazione del battito cardiaco),
e in questo modo è in grado di generare tutta una serie di eventi, come il consolidamento mnemonico,
la regolazione delle emozioni con ricaduta sull’umore, la regolazione del sistema attacco/difesa,
influenza sull’autocoscienza e la generazione della motivazione.
ANATOMIA
Il prof dice che non vale quasi la pena parlare di lobo limbico, perché è una definizione un po’ vecchia che si
riferisce sostanzialmente a quelle porzioni della corteccia immediatamente pericallosa, nota come giro del cingolo,
e alla porzione profonda del lobo temporale. Siccome queste porzioni formano come un anello tutto intorno al corpo
calloso, sopra e sotto al corpo calloso e al terzo ventricolo, la vecchia definizione, nella seconda metà dell’800, era
di limbus, cioè ‘’anello’’ che sta intorno alla porzione profonda dell’encefalo. Quelle sono le strutture corticali, ma il
sistema limbico è qualcosa di più vasto, che comprende le strutture del lobo limbico ma che non si limita a quelle.
Il sistema limbico è formato da una porzione propriamente detta (porzione centrale), che ha due
componenti, una componente corticale e una sottocorticale:
1. La componente corticale, che influisce e proietta a sua volta verso strutture corticali e
sottocorticali. Si tratta di corteccia antica, sottile, a tre strati (paleo e archicorteccia), che
progressivamente si assottiglia fino all’ippocampo. Ne fanno parte la corteccia piriforme, la
corteccia periamigdaloidea (che sta intorno all’amigdala, profondamente al lobo temporale),
l’ippocampo o corno d’Ammone, la fascia dentata e il subiculum, che sono porzioni di una
circonvoluzione profonda che sta nel lobo temporale.
2. Strutture sottocorticali: comprendono l’amigdala (gruppo di nuclei in connessione fisica ma
non funzionale con la punta della coda del caudato), nuclei del tubercolo e del setto olfattivo,
152
nucleo accumbens septi (nucleo parasettale dopaminergico legato ai fenomeni di
gratificazione e di piacere, particolarmente studiato nelle dipendenze da sostanze).
C’è una lista ancora più espansa delle strutture che rientrano nel sistema limbico: ci sono aree corticali,
nuclei del complesso settale (fornice del setto pellucido), il proencefalo basale, cioè le porzioni
basali del proencefalo di confine tra il tetto del mesencefalo, il diencefalo e la zona orbito-frontale
(ovvero la zona nasale dei lobi frontali), strutture olfattive e infine alcune aree del tronco cerebrale,
soprattutto quelle che sono a produzione dopaminergica e colinergica (come le aree della sostanza
reticolare).
153
ciascuno in due benderelle, una mediale e una laterale, che circoscrivono una piccola area
anterolateralmente al chiasma ottico. Questa sottile lamina di sostanza grigia, che è perforata dal
passaggio di parecchi vasi, si chiama sostanza perforata anteriore e contiene alcuni nuclei che fanno
parte del sistema olfattivo. Poi vediamo il polo anteriore del lobo temporale e la superficie più mediale
del lobo temporale: qui in profondità troveremo zone di paleo- e di archicorteccia del lobo limbico. Il
margine mediale del lobo temporale visibile superficialmente è una zona di corteccia che si semplifica
progressivamente di struttura man mano che si procede in avanti, fino ad arrivare alle strutture più
profonde, che sono di tipo archicorticale.
Lungo il tratto olfattivo troviamo il nucleo olfattivo anteriore, e procedendo poi posteriormente, si
biforca nelle 2 benderelle. L’amigdala è un complesso nucleare formato da parecchi nuclei che si
trovano molto vicino alla terminazione posteriore dei tratti olfattivi. La stria olfattiva laterale proietta
verso la struttura dell’amigdala e vi porta afferenze olfattive, nell’uomo in maniera rudimentale ma molto
specificamente nell’animale. Se si distruggesse l’amigdala in un animale esso diventerebbe molto
pacifico e perderebbe le reazioni di attacco e l’aggressività, che è una modalità comportamentale
importante per la sopravvivenza. Le afferenze olfattive saltano la stazione talamica: tutte le altre
afferenze che abbiamo trovato nel nostro organismo hanno una stazione talamica di proiezione (quelle
uditive, visive ecc.), le olfattive, proprio perché estremamente ancestrali, saltano questa stazione e si
dirigono direttamente ai terminali corticali o sottocorticali in cui sono destinati.
Nella mucosa olfattiva ci sono neuroni sensoriali, da cui partono delle ciglia di tipo dendritico con
funzione di chemorecettori per le molecole odorose. Questi neuroni, estremamente “dedicati”,
proliferano, cioè contrariamente alla grande maggioranza di neuroni che sono solitamente nella fase
G0 del ciclo cellulare, questi hanno una vita media di 1-2 mesi e vengono continuamente sostituiti.
Questa attività proliferativa dei neuroni sensoriali olfattivi decresce con l’età, questo è uno dei motivi
per cui le persone anziane percepiscono meno gli odori. Il loro assone passa attraverso la lamina
cribrosa dell’etmoide e arriva, nella fossa endocranica anteriore, al bulbo olfattivo, dove fanno sinapsi
con cellule bipolari lì contenute che prendono il nome di cellule mitrali.
L'assone delle cellule mitrali va a formare il tratto olfattivo, il quale proietta verso l’amigdala, la corteccia
piriforme (che si trova intorno all’ippocampo), così come verso la corteccia entorinale e la corteccia
orbito-frontale (porzione di corteccia sulla faccia ventrale del lobo frontale), che è il vero elaboratore
degli schemi comportamentali conseguenti alla percezione odorosa. Per noi questa proiezione è
154
minoritaria perché non ci affidiamo per finalizzare e motivare i nostri comportamenti motori all’olfatto,
però gli animali lo fanno, giustificando l'esistenza di questo tipo di connessioni.
Posso, a distanza di tempo, o fissare un ricordo oppure dimenticare completamente una situazione a
seconda della rilevanza che gli do. La rilevanza dipende dalle situazioni ma anche dagli individui,
estrapolando una regola generale, è frutto di co-attivazione: un evento assume maggiore o minore
rilevanza a seconda di quante associazioni sensoriali lo co-attivano, cioè lo caratterizzano. Se un
evento è neutro, come lo sono la maggior parte di quelli della nostra vita, lo eseguiamo e dopo ce ne
dimentichiamo. Se, però, mi è successo qualcosa di significativo, avviene la fissazione mnemonica, la
quale è fortemente aiutata da un processo di co-attivazione.
La corteccia, qui a sei strati, una volta superato l’istmo, va verso la parte profonda del lobo temporale,
semplificandosi sempre più nella struttura; la sua porzione più profonda all’interno del lobo temporale
prende il nome di ippocampo.
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Sulla faccia ventrale dell’ippocampo è
associato il fornice, che tramite i suoi pilastri
arriva ai corpi mammillari dell’ipotalamo i
quali, tramite il fascio mammillo-talamico (o
fascio di Vicq D’Azyr) proiettano verso
alcuni nuclei del talamo, in particolare i
nuclei anteriori.
IPPOCAMPO
La particolare forma dell’ippocampo è dovuta ad un ripiegamento ad “S” della corteccia del lobo
temporale quando si è costituito. Nel ripiegarsi, l’apice della corteccia (in figura in rosa) arriva ad essere
sovrapposto dal precedente giro di corteccia, venendosi a creare una pluristratificazione della corteccia
stessa. Questa struttura apicale si troverà così posata sulla zona in verde nella figura, venendone
supportata. Mentre si ha il ripiegamento, i neuroni della parte apicale della corteccia si staccano per
interposizione di sostanza bianca e vanno a costituire il giro dentato (o fascia dentata).
La porzione di corteccia del lobo temporale che procede verso l’ippocampo prende il nome di
circonvoluzione dell’ippocampo, da non confondere con l’ippocampo vero e proprio. Si tratta infatti
di un tratto di corteccia a sei strati (colorata in bianco nell’immagine). Man mano che procediamo verso
la struttura ippocampica, gli strati della corteccia diminuiscono, fino ad arrivare nell’ippocampo dove gli
strati sono tre.
Le varie strutture che si incontrano sono dunque, in ordine dalla più distale, la circonvoluzione
paraippocampica (in blu), il subiculum (verde), l’ippocampo (giallo) e il giro dentato (rosa).
La porzione dell’area paraippocampica che si avvicina al subiculum va a costituire l’area 28, che prende
il nome di area entorinale, che riceve stimoli olfattivi dal bulbo olfattivo e una grande quantità di stimoli
integrati dalle varie aree associative della corteccia (visive, somatosensoriali, uditive…). Tutta la
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rielaborazione secondaria delle sensibilità specifiche dunque proietta verso l’area entorinale, il cui
prodotto è da un lato la generazione della memoria a breve termine, e dall’altro la risposta emotivo-
affettiva che caratterizza una particolare analisi situazionale.
CIRCUITAZIONE
I neuroni dell’area entorinale proiettano verso i neuroni del giro dentato, che sono di tipo granulare (la
corteccia granulare è indicativa di un campo recettivo, tipica delle zone sensoriali, la corteccia
piramidale invece è tipica delle zone in cui prevalgono le efferenze). La proiezione avviene attraverso
due strade, una, la maggiore, prende il nome di via perforante, in cui gli assoni delle cellule piramidali
dell’area entorinale attraversano le varie ripiegature dell’ippocampo e si portano direttamente ai dendriti
dei neuroni granulari del giro dentato.
L’altra via, più lunga, prende il nome di alveus, ed è quella attraverso cui l’area entorinale proietta alle
cellule del subiculum che gli fanno seguito e che, a loro volta, proiettano verso i neuroni granulari
costeggiando la porzione dell’ippocampo immediatamente sottoventricolare; sono fibre mielinizzate che
costituiscono un fascio che fa da pavimento al corno temporale del ventricolo laterale e fodera
superficialmente il giro dell’ippocampo.
Le cellule del giro dentato ricevono dunque queste afferenze dall’area entorinale, e a loro volta
proiettano verso i neuroni piramidali delle aree CA3 dell’ippocampo.
Gli assoni dei neuroni (efferenti piramidali) dell’area CA3 possono prendere due direzioni diverse:
● Alcuni riproiettano verso il subiculum e tramite questo poi all’area entorinale e diffusamente
indietro a tutte le aree corticali;
● Altri entrano a far parte della fimbria, un fascio di fibre che scorre sulla superficie superiore
dell’ippocampo e che, continuandosi posteriormente, costituisce l’origine del fornice.
(il fornice essendo un fascio molto evidente è stato identificato per primo e per molto tempo
c’è stata la convinzione erronea che fosse l’unica efferenza dell’ippocampo)
aree associative → area entorinale → zona granulare del giro dentato (raggiunta direttamente o
indirettamente attraverso la via perforante o l’alveus rispettivamente) → cellule piramidali
dell’ippocampo → area entorinale → aree associative della corteccia
La seconda strada possibile raggiunge invece, tramite la fimbria, il fornice, che proietta ai nuclei
mammillari dell’ipotalamo e da qui attraverso il fascio di Vicq D’Azyr (mammillo-talamico) proietta ai
nuclei anteriori del talamo, e compie complessivamente quindi il seguente percorso:
aree associative → area entorinale → zona granulare del giro dentato (raggiunta direttamente o
indirettamente attraverso la via perforante o l’alveus rispettivamente) → cellule piramidali
dell’ippocampo → fimbria → fornice → corpi mammillari dell’ipotalamo → nuclei anteriori del
talamo
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originariamente partito, creano cioè un circuito. Questo loop è estremamente importante, ed è tanto più
attivo quanto più è intensa la coesistenza di informazioni di proiezione sensoriale dall’area entorinale,
cioè quanto maggiore è la convergenza di stimoli di natura diversa sull’area entorinale, tanto più è
intenso questo circuito riverberante interno all’ippocampo. Questo meccanismo è la base del rinforzo
del segnale definito LTP “long term potentiation” (potenziamento a lungo termine), che rappresenta la
base anatomica e molecolare della formazione dei ricordi: senza l’innesco e il rinforzo sinaptico di
questa circuitazione riverberante intraippocampica non si formerebbero i ricordi.
MEMORIA E LTP
La memoria si divide in memoria dichiarativa, che è quella parte di memoria per cui siamo in grado di
rispondere ad una domanda basata sul ricordo (ad esempio mi ricordo di aver appoggiato la biro sul
banco), e in memoria procedurale, che consiste nell’immagazzinamento mnemonico di procedure che
abbiamo già imparato. La memoria procedurale riguarda quindi le procedure motorie e con esse tutte
le unità di memorizzazione che servono per eseguire procedure come l’ascolto, la comprensione del
linguaggio, la lettura ecc. ed è da noi utilizzata continuamente.
È chiaro quindi che l’apprendimento ha una grande componente mnemonica, la memorizzazione, ossia
la costituzione stabile di lemmi mnemonici è alla base della nostra capacità di analizzare le situazioni.
Es. per poter leggere è necessario che io impari a riconoscere la lettera R, che è fatta in un determinato modo,
cosicché ogni qualvolta vedo quel segno lo riconosco come una R in quanto faccio un matching con un ricordo:
questo tipo di memoria è quella procedurale.
Semplicemente guardando un banco non sto generando alcun tipo di memoria, non ho infatti nessuna traccia
mnemonica degli eventi corticali che mi portano al riconoscimento del banco. All’elaborazione visiva devo
aggiungere un’altra componente perché io possa associare che quell’oggetto con quella determinata forma è un
banco. Per fare ciò devo aver già visto un banco, devo aver associato il nome “banco” alle caratteristiche salienti
di quell’oggetto, devo averlo cioè simbolizzato e devo averne creato un archetipo mnemonico con cui poi posso
fare un paragone. Poiché durante la mia vita ho visto un banco poi un altro ecc. ho capito che tutti i banchi hanno
delle caratteristiche, ho estratto quelle salienti e le ho immagazzinate nella memoria remota (allo stato attuale non
è ancora stata localizzata anatomicamente).
Ciò che si sa con certezza è che se non avviene un potenziamento a lungo termine cioè una
modificazione di un gruppo di sinapsi nel momento in cui
vedo un banco, allora quel banco non me lo ricorderò,
poiché per memorizzare un evento remoto devo prima
generare una memorizzazione temporanea.
158
In seguito ad una tetania, ossia una ripetizione continua dello stimolo, è evidente come si accresca la
differenza di potenziale generato sulle stesse cellule dal medesimo stimolo, queste cellule rispondono
di più perché si modificano fisicamente le sinapsi: il neurone post sinaptico inizierà a sintetizzare un
maggior numero di recettori per poter rispondere allo stesso stimolo più intensamente, e continuerà a
produrne in quantità sempre maggiore ogni qualvolta che questo stesso stimolo venga ripetuto.
Il potenziamento non avviene per qualsiasi situazione, ad esempio se appoggio la biro sul banco dopo un certo
tempo lo dimentico perché non ho generato un potenziamento a lungo termine in quanto è una cosa irrilevante,
dunque la ricordo per poco e poi la dimentico; se invece mi trovo in una situazione particolare (una situazione di
pericolo, una situazione particolarmente piacevole…) la convergenza di elaborato corticale innesca il
potenziamento, ad esempio se fossi stato in una situazione per cui non appoggiando la biro sul banco sarebbe
successo un cataclisma me ne sarei ricordato in quanto l’atto è stato connotato di input.
AMIGDALA
Le amigdale governano le nostre reazioni, i nostri programmi motori di difesa e di attacco e tutte le
conseguenze viscerali che questo comporta, come accelerazione del battito cardiaco, mobilizzazione
del glicogeno epatico, glicolisi, ormoni dello stress, sudorazione, aumento del ritmo circolatorio, che
compie agendo sull’ipotalamo.
Nella PET riportata si possono vedere le amigdale: prendendo in esame le diverse situazioni riportate,
nella prima si vede associato un tono allarmato ad un volto allarmato, e se qualcuno registrasse l’attività
delle mie amigdale noterebbe attività neuronale, se invece la situazione che mi si presenta fosse quella
in cui vedo un volto felice che mi parla con un tono felice si vedrebbe invece che le amigdale non
svolgono attività neuronale rilevante.
Quelle che arrivano alle amigdale sono afferenze visive (volto spaventato/felice) e acustiche (tono
spaventato/felice) che vanno associate tramite le aree associative della corteccia.
159
VISTA
ANATOMIA
L’orbita è un tronco di cono orizzontale a base anteriore e vertice posteriore, dove corrisponde al foro
ottico, e la cui porzione anteriore è occupata dal bulbo oculare. Quest’ultimo è mobile all’interno
dell’orbita e viene tenuto fermo da strutture fibrose fasciali che pur consentendone il movimento,
contemporaneamente lo limitano e lo mantengono nella posizione anatomica corretta.
Il bulbo oculare è gestito da sei muscoli striati estrinseci e da muscoli intrinseci, ossia interni al bulbo,
che lavorano su due strutture: l’iride e il corpo ciliare.
L’iride delinea una struttura che delimita un foro centrale detto pupilla, la quale modifica il proprio
diametro dilatandosi o costringendosi in base all’intensità luminosa che la colpisce, rispettivamente
midriasi e miosi.
160
Il cristallino è una lente biconvessa (avendo quindi una circonferenza ci si riferisce ad esso parlando
di gradi) che serve ad aggiustare e a focalizzare i raggi luminosi sulla porzione visiva della retina.
Questo meccanismo avviene grazie alla possibilità del cristallino di modificare il proprio indice di
rifrazione a seconda della messa a fuoco e della lontananza dall’oggetto, per questo la curvatura delle
facce posteriore ed anteriore del cristallino può modificarsi in base alla necessità. Il cristallino quindi,
come gli altri mezzi diottrici dell’occhio, deve essere trasparente. Esiste una patologia senile molto
diffusa che rappresenta una degenerazione fisiologica del cristallino: la cataratta.
I muscoli estrinseci, la cui funzione è quella di orientare i bulbi oculari, sono sei: quattro retti
(superiore, inferiore, mediale e laterale) e due obliqui (inferiore e superiore). La loro azione combinata
permette il movimento in ogni direzione dei bulbi. Il coordinamento del movimento di questi muscoli è
dato dal controllo tronco encefalico dell’attività dei nuclei dei nervi III, IV e VI. Il coordinamento sul piano
orizzontale è permesso dal centro della sostanza reticolare pontina paramediana, mentre il centro che
agisce sul piano verticale è ancora semisconoscosciuto. Dalla combinazione di questa ridistribuzione
del segnale ai diversi sottogruppi di neuroni nell’ambito dei nuclei del III, IV e VI per l’innervazione dei
muscoli estrinseci si ottiene un preciso orientamento dei bulbi oculari verso gli oggetti che vogliamo
focalizzare sul nostro piano visivo.
INNERVAZIONE
La retina è la tonaca nervosa dell’occhio che è sensibile ai fotoni ed è un trasduttore di impulsi luminosi.
Essi entrano come fotoni ed escono come segnali nervosi viaggiando sul nervo ottico, costituito
dall’insieme degli assoni di uno dei diversi strati neuronali della retina. Il nervo ottico origina
posteriormente al bulbo oculare, esce dall’orbita attraverso il foro ottico ed entra nella fossa cranica
media. La posizione anatomica di riferimento del nervo ottico si ha quando lo sguardo è fisso in avanti.
In questa posizione, il nervo non è
mai teso ma assume un andamento
sinuoso poiché deve essere in grado
di seguire il bulbo oculare nei suoi
movimenti.
I nuclei pretettali vestono poi bilateralmente con le loro efferenze i nuclei di Edinger-Westphal, base
anatomica della consensualitá del riflesso fotomotore.
Le altre fibre terminano nei corpi genicolati laterali e qui fanno sinapsi. Il corpo genicolato produce un
fascio di fibre voluminoso (considerando la retina, le vie ottiche e la radiazione ottica sono veramente
notevoli), il quale viene proiettato verso la corteccia dell’area 17. Quest’ultima è la corteccia del lobo
occipitale e si trova superiormente ed inferiormente alla scissura calcarina laddove milioni di fibre si
uniscono e producono la stria di Gennari. Qui terminano le vie ottiche.
161
Il nervo ottico non abbandona il bulbo esattamente al polo posteriore ma un po’ più medialmente poiché
anche il foro ottico è spostato verso il piano sagittale e poiché precisamente al polo posteriore giungono
i fasci luminosi rettilinei. Tale zona centrale deve essere estremamente sensibile ai raggi, condizione
che non sarebbe rispettata se la papilla del nervo ottico (zona cieca) si trovasse qui. La zona posteriore
centrale è la zona elettiva della visione, precisamente si chiama zona della visione distinta.
VASCOLARIZZAZIONE
Le strutture più interne del bulbo oculare devono essere irrorate e ciò è permesso dall’arteria centrale
della retina (ramo terminale dell’arteria oftalmica), ma è importante che la presenza di vasi non
interferisca con la trasparenza dei mezzi diottrici e quindi con la funzione visiva. Alcuni di questi non
sono vascolarizzati come la cornea e il cristallino, le loro cellule infatti sono nutrite per diffusione. Circa
ad un terzo del tragitto del nervo ottico nell’orbita, l’arteria centrale penetra nella sua compagine, ci si
mette al centro e arriva alle strutture interne dell’occhio sfruttando la papilla del nervo ottico (ovvero
l'emergenza del nervo ottico all'interno del bulbo oculare che raccoglie tutti gli assoni originati dai
fotorecettori della retina).
È possibile, mediante un oftalmoscopio e dopo somministrazione di collirio che dilati l’iride, vedere il
fondo dell’occhio (fundus), il quale è l’unico distretto arterioso osservabile direttamente. Si può quindi
osservare l’arteria centrale che si dirama nei suoi vasi retinici.
Il nervo ottico e la retina, cioè le strutture posteriori dell’occhio, originano embriologicamente dalla
vescicola ottica, ossia la porzione laterale della vescicola diencefalica del tubo neurale, sono quindi
vere e proprie estroflessioni della parete del tubo neurale. Ciò spiega perché il nervo ottico sia
accompagnato da un’estroflessione della dura madre e quindi contornato dal liquor. In caso di
ipertensione liquorale il nervo può essere compresso dando quindi possibili deficit visivi.
Le porzioni anteriori dell’occhio invece, hanno derivazione diversa.
STRUTTURA
Fovea centrale. Nella zona della visione distinta della retina è presente un’area caratterizzata da un
colorito giallastro, che assume il nome di macula lutea. Il suo centro è più sottile ed è detto fovea
centrale; esso rappresenta il centro della visione distinta. In questa posizione sono concentrati solo i
162
coni, cioè i fotorecettori sensibili al colore, ed è
proprio qui che vengono focalizzati i raggi luminosi
provenienti dall’oggetto della scena visiva su cui si
pone l’attenzione.
Tutte e tre queste tonache foderano completamente il bulbo oculare tranne che nel suo quinto anteriore.
La retina si divide in due parti funzionali e strutturali diverse:
Il punto di passaggio da una parte all’altra della retina determina un cambio strutturale ed istologico e
viene chiamato “ora serrata”.
Le fibre muscolari del corpo ciliare danno attacco all’apparato sospensore del cristallino costituito dalla
zonula ciliare con le fibre di Zinn.
163
Anteriormente l’iride è dotato di fascetti muscolari lisci, per il muscolo costrittore dell’iride, ed è
responsabile del colore degli occhi grazie alla pigmentazione, infatti se questa è poca l’occhio avrà
colorazione chiara, mentre nella situazione opposta
sarà sul marrone.
Questi assoni che stanno viaggiando da tutta la retina concentricamente verso la papilla del nervo ottico
formano lo strato più superficiale, ovvero più interno, immediatamente esposto ai raggi luminosi. La
luce giunge al bulbo oculare, attraversa gli strati cellulari non sensibili alla luce alla rovescia per arrivare
a colpire il segmento esterno fotosensibile dei fotorecettori (coni e bastoncelli). Nell’ambito dello
spessore retinico la porzione sensitiva alla luce dei fotorecettori è l’ultima ad essere colpita dai fotoni,
prima l’onda elettromagnetica deve attraversare gli strati interni della retina. Ciò è contro intuitivo e crea
un’esigenza anatomica nel punto della retina responsabile della visione distinta, ovvero nella fovea
centrale della macula lutea questa struttura si modifica per permettere la visione distinta.
I fotorecettori, essendo presenti nello strato più esterno della retina, confinano con la membrana
intermedia vascolare, ovvero con la coroidea. Le cellule bipolari fanno sinapsi con i dendriti delle cellule
multipolari e con il prolungamento dei fotorecettori. Esternamente alla retina è presente la membrana
vascolare ed esternamente a questa la membrana fibrosa, ovvero la sclera. Le cellule dello strato più
interno e profondo della coroidea avvolgono come nicchie la porzione fotosensibile dei coni e dei
bastoncelli. Essendo la membrana coroidea
altamente vascolarizzata e le cellule della
coroidea pigmentate, queste formano una sorta
di “camera oscura” intorno al segmento esterno
dei fotorecettori. Si impediscono così i fenomeni
di riflessione fra un fotorecettore e l’altro, in
particolar modo nella regione della visione
distinta. In questo modo i fotoni non rimbalzano
fra un segmento esterno e l’altro di due coni
adiacenti. Si vuole avere una precisa
corrispondenza tra l’onda elettromagnetica che
colpisce il fotorecettore e la catena sinaptica a
valle del singolo fotorecettore fino alla fibra del
nervo ottico che trasporterà quel segnale
nervoso.
164
FOTORECETTORI
Esistono due tipi di fotorecettori: i coni e i bastoncelli. Il segmento
esterno dei coni e dei bastoncelli presenta un’alta quantità di
invaginazioni della membrana plasmatica, che hanno l’aspetto di
dischi intorno ai quali i segmenti di membrana sono pieni di pigmenti
fotosensibili, come la rodopsina. Quando l’energia delle onde
luminose colpisce i pigmenti, questi cambiano il loro stato, in
generale da cis a trans e innescano una serie di reazioni. La
preferenziale sensibilità a determinate lunghezze d’onde dipende
dal tipo di pigmento presente nei coni e nei bastoncelli. I pigmenti
dei bastoncelli non hanno una preferenza per la lunghezza d’onda,
diversamente da quelli dei coni. A seconda del pigmento presente
nei dischi del segmento esterno dei coni, si distinguono famiglie di
coni sensibili al verde, al rosso e al blu, cioè assorbono energia su
lunghezze d’onde preferenziali. Ogni cono sintetizza il suo
pigmento. Il numero di coni nella retina è esiguo, tra 5000 e 10000,
molto più elevato è quello dei bastoncelli. I coni sono unicamente
concentrati nella fovea centrale della macula lutea. Andando in
periferia i coni diminuiscono sempre di più, mentre i bastoncelli aumentano, finché non vi sono più
presenti coni. I coni sono responsabili della visione dei colori e della visione distinta.
Logicamente si potrebbe pensare che quando la luce è spenta, non ci sia più stimolo e i fotorecettori
non siano attivi e che quando la luce è accesa i fotorecettori si eccitino e trasducano il segnale da
energia luminosa a impulso nervoso come variazione di flussi ionici. Tuttavia, ciò non su verifica. Per
poterne comprendere il motivo, occorre prima definire il concetto di campo visivo. Si tratta della
porzione retinica fotosensibile, che è in grado di stimolare una fibra del nervo ottico. I campi visivi
possono essere più o meno vasti e possiedono un loro centro. Supponendo di focalizzare lo sguardo
su un oggetto, che rappresenta il centro del campo visivo, si avrà uno o più fotorecettori retinici che
corrispondono al centro del campo visivo e che sono primariamente stimolati.
165
È stato scoperto che esistono due specie di cellule bipolari (cellula bipolare ON e cellula bipolare OFF)
e che al buio le sinapsi asso-dendritiche fra cellule bipolari e fotorecettori sono stimolate, per cui i
fotorecettori rilasciano neuromediatore. Il neuromediatore rilasciato è il glutammato, eccitatorio.
Quando si accende la luce il rilascio del neuromediatore cala. Esistono due possibili situazioni:
● La zona del centro del campo visivo è scura e la periferia è illuminata, ovvero si guarda un
oggetto in ombra;
Immaginando di avere illuminazione diffusa e costante, di stare in piedi in una stanza perfettamente
bianca e di guardare il muro bianco, in questa situazione, i fotorecettori sono stimolati, ma non si riesce
a distinguere nulla. L’apparato visivo è costruito per essere sensibile ai contrasti di luce. Si è
interessati a vedere i contorni, i limiti della struttura in termini di contrasti di luminosità e/o di colore. Ciò
che contribuisce alla formazione di un’immagine retinica di un oggetto è il suo contrasto in termini di
intensità luminosa e di colore (lunghezza d’onda) rispetto al resto. Al buio c’è maggiore rilascio di
glutammato, poiché il fotorecettore si attiva maggiormente quando è colpito da bassa intensità. Quando
accendo la luce diminuisce il rilascio di glutammato. Il fotorecettore può essere collegato a una cellula
bipolare ON o a una OFF. Nel caso in cui la periferia è illuminata e l’oggetto è scuro, le cellule bipolari
ON si iperpolarizzano quando il glutammato è rilasciato, ovvero al buio, e la loro attività sinaptica verso
le cellule multipolari diminuisce riducendo quindi la trasmissione nervosa. Questa via è generata da
una scarsa illuminazione del fotorecettore. Avviene il contrario quando il fotorecettore è collegato a
una cellula bipolare OFF, cioè quando la periferia è scura e l’oggetto è brillante.
166
La retina ha a disposizione un armamentario isto-funzionale per esaltare i contrasti. Tra il buio e la luce
c’è una variazione di rilascio del neuromediatore, che abbia segno positivo o negativo è irrilevante.
Questa variazione genera una risposta eccitatoria o inibitoria lungo le cellule multipolari a seconda della
risposta funzionale della cellula bipolare con cui il fotorecettore è connesso, in base all’aumento o alla
diminuzione del rilascio del neuromediatore. Solo un piccolo gruppo di fotorecettori è stimolato dal
centro di focalizzazione dell’immagine, il quale può essere più o meno luminoso del contorno. Si trova
una serie molto fitta di fotorecettori perifericamente al punto di focalizzazione, i quali possono a loro
volta essere più o meno illuminati del centro di focalizzazione dello sguardo.
I fotorecettori che inquadrano la zona più illuminata, sia che essa sia centrale o periferica, rilasciano
meno neuromediatore e i fotorecettori che inquadrano la zona meno illuminata rilasciano più
neuromediatore. Per ciascuno di questi, in funzione della cellula bipolare con cui sono in connessione,
che risponde o meno all’aumento o diminuzione di glutammato, la cellula gangliare viene stimolata o
meno. Se i fotorecettori inquadrano una striscia nera su una parete bianca, la striscia si vede bene per
l’esistenza dei contrasti. Il sistema polisinaptico della retina permette di aumentare il contrasto fra la
striscia nera e lo sfondo a prescindere dal fatto che i fotorecettori rilascino più o meno glutammato, se
è scuro o meno l’oggetto. L’importante è che ne rilascino una quantità diversa. Se la striscia fosse dello
stesso colore e della stessa luminosità del contorno si rischierebbe di non vederla o di vederla molto
male.
Tuttavia, la retina non possiede soltanto questa catena sinaptica, ma anche altre due popolazioni
cellulari:
● Le cellule orizzontali, fanno sinapsi laterali, tramite le loro estroflessioni assoniche, con le
sinapsi fra i fotorecettori e le cellule bipolari;
● Le cellule amacrine eseguono la stessa attività a livello delle giunzioni sinaptiche fra le cellule
bipolari e quelle multipolari.
Nella zona dove si punta lo sguardo l’apparato retinico permette di aumentare il contrasto, che di per
sé esiste, ma non basta per identificare l’oggetto in quanto tale.
167
La retina a livello della fovea rimane la stessa, non si assottiglia, ma si modifica l’assetto spaziale delle
cellule. Siccome gli strati più interni della retina devono essere attraversati dalla luce per arrivare ai
segmenti esterni dei fotorecettori, nella fovea gli strati più superficiali della retina si inclinano, si
spostano obliquamente in modo da esporre molto più direttamente alla luce i fotorecettori, solo i coni in
questo caso. Per questo motivo la retina nella fovea centrale si assottiglia istologicamente, ma gli strati
citologici continuano ad essere presenti e si dispongono in maniera obliqua. I coni al centro della fovea
hanno dimensioni più piccole e man mano che ci si allontana aumentano le loro dimensioni e iniziano
a comparire i bastoncelli, finché non si trovano più i coni, ma solo i bastoncelli.
Nella fovea esiste una corrispondenza di 1:1 fra fotorecettore, cellula bipolare e cellula multipolare. A
ciascuna fibra del nervo ottico proveniente dalla fovea corrisponde un fotorecettore. Questa
corrispondenza decresce man mano che ci si allontana dalla fovea, ovvero ciascun bastoncello fa
sinapsi con più cellule bipolari, le quali fanno sinapsi con più cellule multipolari. La dimensione della
focalizzazione del campo visivo nelle zone retiniche periferiche diventa sempre meno precisa, ovvero i
pixel diventano sempre più grandi e la visione diviene sempre meno distinta. Su ogni fibra delle cellule
multipolari convergono le informazioni che provengono da più fotorecettori. Nella visione crepuscolare,
i coni si spengono, la fovea non funziona, si perde progressivamente la sensibilità ai colori e funzionano
i bastoncelli.
Man mano che cala l’intensità luminosa il pixel è sempre più grande, non si percepiscono i colori e la
visione crepuscolare è sempre meno definita e più indistinta. Non si colgono più le differenze di
contrasto e i bordi degli oggetti ed è per questo che di sera non si vede bene.
VIE OTTICHE
Nell’immagine possiamo notare i due
bulbi oculari con le due emiretine
temporali (ovvero le esterne) e le due
emiretine nasali (ovvero quelle interne).
RETINA
Cosa succede ai raggi luminosi quando
passano attraverso i mezzi diottrici del
segmento anteriore dell’occhio? Le
immagini si formano sulla retina
rovesciate e rimpicciolite.
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Per seguire il percorso dei raggi luminosi dobbiamo ragionare considerando l’estremo mediale e
l’estremo laterale di ciascun campo visivo. Nella terminologia oculistica ci si riferisce sempre al campo
visivo del paziente, dunque “laterale destro” e “laterale sinistro” fanno sempre riferimento alla porzione
del campo visivo da punto di vista del paziente.
Un’immagine all’estremità destra del campo visivo (nella semiluna monooculare destra) colpisce la
retina destra nella sua porzione nasale. Allo stesso modo considerando un’immagine nell’estremità
sinistra del campo visivo destro, i raggi colpiscono l’estremità temporale della retina dell’occhio destro.
Stesso discorso vale per l’occhio sinistro.
CHIASMA
Nell’immagine, le fibre ottiche dell’occhio destro sono rappresentate con una linea continua mentre le
fibre ottiche dell’occhio sinistro sono tratteggiate.
Percorrendo tutto il nervo ottico giungo al chiasma ottico in fossa cranica media, dove avviene
l’incrociamento parziale delle fibre retiniche: parziale, perché le fibre delle emiretine temporali restano
omolaterali, non si incrociano, mentre le fibre delle emiretine nasali dei due occhi si incrociano.
Prendiamo in esame il tratto ottico di destra. L’emiretina temporale che non incrocia resta nel tratto
ottico omolaterale, inoltre l’emiretina temporale di destra vede la porzione sinistra, cioè nasale,
dell’emicampo, perché i raggi luminosi si incrociano. Questa porzione del campo è condivisa nella
visione binoculare, in quanto viene vista anche dall’emiretina nasale controlaterale; la parte binoculare
invece è vista dalla temporale di un lato e dalla nasale dell’altro lato. Le fibre delle emiretine nasali di
entrambi i lati si incrociano.
In definitiva è usuale dire che nel chiasma ottico si incrociano le fibre provenienti dalle emiretine nasali;
se invece ragioniamo rispetto al campo visivo del paziente tutta la visione è crociata. Nel tratto ottico si
proiettano gli assoni dei neuroni che colgono la visione dell’emicampo controlaterale, perché il
temporale di un lato che non si incrocia coglie la porzione sinistra che è la medesima che è colta dalla
nasale dell’altro lato; la nasale di destra e di sinistra si incrociano e rispettivamente si portano a sinistra
e a destra , in maniera tale che il tratto ottico di destra colga gli emicampi visivi di sinistra e il tratto ottico
di sinistra colga gli emicampi visivi di destra.
Quindi:
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La tendenza comune a ritenere che, stante il parziale incrociamento del chiasma, le fibre ottiche siano
parzialmente crociate è vera, ma bisogna specificare che l’incrociamento è totale rispetto ai campi
visivi; infatti lo scopo dell’incrociamento parziale che avviene nel chiasma è di portare nel medesimo
tratto ottico (quindi nel medesimo corpo genicolato e nella corteccia calcarina dello stesso emisfero)
tutto un emicampo visivo.
Per raggiungere questo scopo, visto l’incrociamento dei raggi luminosi nel colpire le metà nasali e
temporali di ogni retina, è necessario incrociarne una parte, ovvero le fibre delle emiretine nasali. Se
decidessimo di incrociare quelle delle emiretine temporali sarebbe uguale, ma poiché quelle delle nasali
sono più mediali sono queste ad incrociarsi.
CAMPO VISIVO
Al centro del campo visivo binoculare si trova la porzione della visione distinta, un cerchietto in
posizione centrale. I raggi che provengono da questa area sono quelli che colpiscono la fovea centrale.
Anch’essa è divisa in quattro quadranti, due temporali e due nasali, più piccoli.
I quadranti dei campi visivi allargati e i quadranti della visione distinta della fovea centrale si incrociano
allo stesso modo e tramite i tratti ottici arrivano al corpo genicolato laterale.
Nell’istologia retinica della fovea centrale c’è un rapporto 1:1 tra coni, cellule bipolari e cellule
multipolari; quindi la retinotopia dell’immagine che si forma nella fovea centrale è rigorosamente
mantenuta, in maniera analoga o addirittura più evidente rispetto a quello che avviene nella epicriticità
della sensibilità somestesica. Quindi, per quanto attiene la visione distinta della fovea centrale, non ci
sono fenomeni di convergenza su più neuroni multipolari da parte di tanti fotorecettori o di tante
cellule bipolari. La fovea centrale è più piccola, ma genera moltissime fibre del nervo ottico.
170
Diversamente, nella periferia del campo visivo, tanto più ci allontaniamo dalla fovea, tanto maggiore è
il fenomeno di convergenza: questa corrispondenza 1:1 tra fibre del nervo ottico e bastoncelli si perde
sempre di più, perché più fotorecettori convergono su un numero più ridotto di cellule bipolari le quali
convergono su un numero ancora più ridotto di cellule multipolari e quindi di fibre del nervo ottico.
Nella prima stazione sinaptica, il genicolato laterale, la rappresentazione della fovea centrale è
proporzionalmente molto più ampia rispetto a quanto non la si veda nel campo visivo; quindi c’è una
grossa rappresentazione genicolata e una altrettanto grossa rappresentazione corticale nell’area 17
della fovea centrale, in paragone alla periferia del campo visivo e alla dimensione effettiva, nell’ambito
del campo visivo, delle aree periferiche rispetto all’area centrale.
Come abbiamo visto in precedenza, le aree visive sono l’area 17, area visiva primaria e le aree
associative plurimodali 18 e 19, le quali proiettano sia sulla faccia laterale dell’emisfero verso la
programmazione motoria , sia sulla faccia mediale dell’emisfero verso la interpretazione descrittiva
dell’immagine, dal punto di vista delle forme geometriche, dei colori, del riconoscimento dei volti.
“Focalizzandosi con lo sguardo su un oggetto preciso di fronte a sé, ciò che si vede lateralmente appare poco
definito (“sfocato” è un termine improprio), perché lì prevalgono i bastoncelli?”
Risposta: “Sì. I bastoncelli, fuori dalla fovea, non hanno un rapporto 1:1, sono cellule piuttosto grosse, mentre i
coni sono piccoli; inoltre al centro della fovea vi è una popolazione di coni nani, ancora più piccoli, per generare
così un’informazione più dettagliata possibile e mantenere il dettaglio lungo tutta la via. Il campo recettoriale in
periferia diventa più grosso, così come i bastoncelli, più bastoncelli convergono su una cellula bipolare, più cellule
bipolari convergono su una multipolare; ne consegue che l’assone della multipolare prende un campo visivo più
ampio, che comprende molti bastoncelli. Non si tratta di sfocatura, cioè non è un difetto di rifrazione.
La sfocatura data da fenomeni di aberrazione cromatica può verificarsi per esempio guardando un oggetto molto
vicino: in questi casi, per mantenere la messa a fuoco corretta, avviene un fenomeno di miosi oltre che di
convergenza e adattamento dei bulbi oculari. La miosi in questo caso prescinde dall’intensità luminosa, ma è tesa
a centrare la visione sulla porzione centrale dei mezzi diottrici, in particolare del cristallino che sta subito dietro
l’iride, in modo da escludere la rifrazione dalle parti periferiche del cristallino, che non è fedelissima.”
UDITO
ORECCHIO ESTERNO
L’orecchio è formato dall’orecchio esterno, padiglione auricolare, con il meato acustico esterno che al
fondo è chiuso dal timpano. Il timpano non ha una posizione verticale, ha una posizione obliqua dall’alto
in basso e latero-medialmente, ne deriva che il pavimento del meato acustico esterno è più lungo del
soffitto, cioè della porzione superiore del meato acustico esterno. Al fondo del meato acustico esterno
è visibile la membrana timpanica. Il meato acustico esterno ha un andamento un po’ ad “S”, tuttavia è
facilmente esplorabile. Eccetto la sua ultima porzione limitata da pareti ossee, il resto del meato
acustico esterno è cartilagineo, quindi qualunque otorino è in grado di immettere con facilità un piccolo
cono di metallo all’interno del meato acustico.
171
ORECCHIO MEDIO
La membrana timpanica segna il confine tra
l’orecchio esterno e l’orecchio medio.
L’orecchio medio è occupato dalla catena
degli ossicini martello, incudine e staffa, ed
è collegato antero- inferiormente, tramite la
tuba di Eustachio, con il rinofaringe. L’ostio
tubarico del rinofaringe non è un foro vero e
proprio, ma una fessura i cui labbri sono
rivestiti da mucosa del rinofaringe e nella cui
porzione superiore si sviluppa tessuto linfoide,
a formare le adenoidi.
Il fatto che i labbri dell’ostio tubarico del
rinofaringe siano rivestiti da mucosa, piuttosto
spessa, e che nelle vicinanze ci sia tessuto
linfoide per ovvi motivi di difesa immunitaria,
espone l’ostio tubarico a fenomeni
infiammatori abbastanza frequenti, come i banali raffreddori, con conseguente edema della mucosa,
la quale si gonfia.
L’ostio tubarico in condizioni fisiologiche è una piccola fessura i cui labbri mucosi collabiscono
completamente, quindi è chiuso. Durante i processi di fonazione e deglutizione, a causa dei movimenti
della muscolatura faringea, in particolare del costrittore superiore della faringe, la mucosa sovrastante
si muove e i labbri mucosi dell’ostio tubarico si allontanano tra di loro; dunque durante la fonazione e
la deglutizione la tuba si apre. Nella frazione di secondo in cui la tuba si apre, l’orecchio medio
scambia aria con l’esterno: questo fatto è necessario a garantire che la pressione venga mantenuta
uguale ai due lati del timpano; quindi l’aria è presente sia sulla faccia esterna sia all’interno del timpano
ed essendo le due parti esposte alla medesima pressione, il timpano può vibrare liberamente in seguito
alle onde sonore che lo colpiscono.
La vibrazione del timpano, come la membrana di un tamburo, genera l’oscillazione del manico del
martello che è solidale con la faccia mediale del timpano, il quale innesca a sua volta una oscillazione
della catena degli ossicini.
La staffa a sua volta trasduce il movimento della catena degli ossicini: la base della staffa funziona
come una sorta di pistone che preme sulle strutture dell’orecchio interno.
ORECCHIO INTERNO
Nell’orecchio interno è contenuta una struttura complessa che prende il nome di labirinto che contiene:
-Organo vestibolare, ovvero utricolo, sacculo e canali semicircolari;
- Coclea o chiocciola, che contiene il recettore dell’udito.
172
STRUTTURE
Nell’immagine è presente l’orecchio
medio di destra aperto e visto dalla
parte del timpano che è stato rimosso,
così come è stata rimossa la catena
degli ossicini. Possiamo osservare la
terza porzione del canale del faciale,
al di sotto del quale, se fosse
disegnato, ci sarebbe il foro
stilomastoideo con il nervo faciale che
lo attraversa per uscire. Vediamo
inoltre il muscolo stapedio che è stato
sezionato e di cui vedremmo
l’inserzione alla base della staffa
qualora quest’ultima fosse stata
rappresentata. La staffa si inserisce
nella finestra ovale, che è un piccolo
foro nella parete mediale dell’orecchio
medio.
Il muscolo tensore del timpano, contraendosi, agisce sul martello facendo trazione sul manico del
martello stesso e, poiché quest’ultimo è solidale con il timpano, il timpano stesso viene messo in
tensione, cioè viene richiamato in dentro verso l’orecchio medio. Sia il muscolo suddetto, sia il muscolo
stapedio entrano in azione per limitare il trasferimento di onde sonore, che vengono trasdotte in onde
meccaniche, all’organo di Corti, ovvero l’organo recettoriale acustico. In caso di rumori troppo forti il
muscolo tensore del timpano limita l’oscillazione del timpano e il muscolo stapedio limita l’oscillazione
della staffa dentro la finestra ovale.
Al di sotto della finestra ovale vi è un’altra finestra che per ovvi motivi geometrici viene definita finestra
rotonda: nel vivente essa è chiusa completamente da una membrana dotata di una certa elasticità, la
membrana secondaria del timpano. Nell’immagine
si vedono in un piano più profondo il canale
carotideo nella piramide del temporale e il ganglio
genicolato, la seconda porzione del canale del
faciale, seguita da una curva dolce e dalla terza
porzione del canale del faciale. Quelle che si
intravedono dietro sono le cellule mastoidee, in
quanto la terza porzione del canale del faciale è
verticale e compresa tra l’orecchio medio (porzione
timpanica) e la porzione mastoidea del temporale.
173
interna, il foro giugulare è molto vicino e la vena giugulare alla sua origine, oltrepassando il foro
giugulare, è dilatata.
COCLEA
Se isoliamo il labirinto e la chiocciola, tutte le strutture vestibolari e della chiocciola sono delle strutture
irregolari dal punto di vista della osseo e sono caratterizzate dalla presenza di un contenitore e un
contenuto. Il contenitore è osseo, il contenuto, che ne ripete la forma, è membranoso.
STAFFA
Importante osservare il rapporto dimensionale che c’è fra la superficie del timpano e la superficie della
base della staffa, è chiaro che la superficie della base della staffa è più piccola, per giunta la catena
degli ossicini amplifica il movimento, quindi è chiaro che la pressione esercitata (forza per unità di
superficie) dalla base della staffa a pari spostamento del timpano è maggiore.
La staffa è inserita nella finestra ovale, che si apre nella scala vestibolare, al di sotto della finestra
ovale si trova la finestra rotonda che è chiusa da una membranella elastica che si chiama membrana
timpanica secondaria. Tutta la struttura della coclea contiene una struttura membranosa che ne ripete
la forma di più piccole dimensioni che a sua volta contiene l’organo di Corti. Essendo la chiocciola
174
membranosa più piccola della chiocciola ossea rimane fra la parete ossea e la struttura della chiocciola
membranosa dello spazio, che è pieno di un liquido che si chiama perilinfa (liquido derivato dal plasma
che ha una relativa densità e composizione ionica). La base della staffa quando oscilla il timpano oscilla
come un pistone nella finestra ovale e fa pressione sulla perilinfa quindi si crea un’onda di pressione
nella perilinfa della scala vestibolare.
Le onde sonore si
traducono in un’onda
meccanica liquida della
perilinfa nella scala
vestibolare, quando
quest’onda arriva
all’apice della scala
vestibolare passa nella
scala timpanica perché
la lamina spirale ossea
permette la
comunicazione a livello
dell’elicotrema, per cui
l’onda della perilinfa
della scala vestibolare
continua e si propaga
alla perilinfa della scala
timpanica la quale termina in corrispondenza della finestra rotonda.
La finestra rotonda esiste per assorbire l’onda meccanica generata dall’oscillazione della staffa,
siccome tutto questo sistema è pieno di liquido, è chiaro che se non ci fosse la finestra rotonda e fosse
tutto osso, non si avrebbe nessuna onda, perché si deve generare un’onda meccanica che da qualche
parte deve finire con un riassorbimento elastico, la membrana timpanica secondaria serve esattamente
ad assorbire l’onda d’urto elastica generata dall’oscillazione della staffa. L’onda meccanica della
perilinfa che è proporzionale in ultima analisi all’oscillazione del timpano è quella che stimola nella sua
propagazione prima lungo la scala vestibolare, l’elicotrema e lungo la scala timpanica genera un
qualcosa di meccanico nella chiocciola membranosa e quindi nell’organo di Corti che in essa è
contenuto.
ORGANO DI CORTI
In questa immagine si può osservare un punto qualsiasi della chiocciola, sono presenti: un pezzetto del
modiolo, il canale cocleare, la lamina spirale ossea che nell’osso macerato non arriva al margine libero
di fronte, per cui la scala vestibolare e la scala timpanica nell’osso macerato non comunicano solo a
livello dell’elicotrema ma sono largamente comunicanti. Nel vivente, invece, la porzione “mancante”
della lamina spirale ossea fino a fargli incontrare la parete ossea della chiocciola che gli sta di fronte è
integrata da una membrana di natura fibrosa, questa membrana è una porzione della chiocciola
membranosa e funziona da base per
l’organo di Corti stesso che sta
all’interno di quest’ ultima. All’apice
libero della lamina spirale ossea
lungo tutto il suo percorso si attacca
ed è ben tesa questa membrana
basilare che va a saldarsi in un
punto particolare ricco di vasi
dell’osso antistante e così si dividono
definitivamente la scala vestibolare
dalla scala timpanica tranne che
all’elicotrema.
175
Le cellule sensoriali acustiche dell’organo di Corti sono poggiate sulla faccia superiore della membrana
basilare.
Nell’immagine (ingrandimento di
quella precedente) troviamo l’osso
della coclea e la terminazione libera
della lamina spirale ossea con la
membrana basilare che si attacca alla
sua estremità, un dettaglio non da
poco è lo spessore della lamina
spirale ossea e lo spessore della
lamina basilare, la lamina basilare è
molto più sottile, la lamina spirale
ossea finisce invece con un certo
spessore (gradino). Il margine libero
della lamina spirale ossea ha un
bordo superiore e un bordo inferiore
che per quanto piccolini sono evidenti.
La membrana basilare si inserisce al
bordo inferiore del margine libero
della lamina spirale ossea.
Al margine superiore, invece, del medesimo lato della lamina spirale ossea si attacca un’altra struttura
di natura lievemente fibrosa ma fortemente idratata (di natura sostanzialmente gelatinosa) che prende
il nome di membrana tectoria. Mentre la superficie superiore della membrana basilare porta le cellule
dell’organo di Corti la membrana tectoria che sta lievemente più in alto, si appoggia sopra alla porzione
apicale delle medesime cellule.
La lamina spirale ossea è intercorsa da un canalicolo per tutta la sua lunghezza verso il modiolo, questo
canalicolo contiene delle fibre del nervo cocleare che ad un certo punto emergono da dei piccoli forellini
(foramina nervina) che sono utilizzati per raggiungere le cellule dell’organo di Corti da parte del nervo.
Le cellule dell’organo di Corti sono cellule acustiche, ovvero sono delle cellule sensoriali dotate di peli
acustici (estroflessioni apicali) i quali sono suscettibili a piegamento. Essendo parecchie sono
organizzate in file, una fila di cellule acustiche interne e tre file di cellule acustiche esterne, ma non
sono le sole: infatti vanno sostenute e ci sono delle cellule accessorie che servono principalmente per
sostenere le cellule acustiche e mantenerle nella loro posizione.
[n.d.s: il prof ci tiene a sottolineare come sia facile sbagliare ragionamento arrivati a questo punto: timpano vibra -
> catena degli ossicini -> staffa -> perilinfa -> onda -> oscillazione membrana -> creo onda -> oscillazione
membrana tectoria -> peli acustici, NO! È sbagliato].
VILLI ACUSTICI
E’ vero che la stimolazione delle cellule acustiche interne e esterne deriva dal piegamento dei peli
acustici, questo è lo stimolo necessario e sufficiente per attivare queste cellule che trasducono il
segnale alle fibre nervose ma quello che oscilla e che quindi fa piegare i peli acustici non è la
membrana tectoria ma è la membrana basilare, cioè è il pavimento che oscilla non è il soffitto, quindi
è la membrana basilare che in conseguenza dell’onda provocata dalla perilinfa dall’oscillazione della
staffa oscilla. Sulla membrana basilare è poggiata tutta la struttura dell’organo di Corti comprese le
cellule acustiche, quindi la membrana tectoria serve all’opposto di quello che si potrebbe pensare:
servono per creare inerzia sui peli acustici, per “tenerli fermi”. I peli acustici sono immersi nel gel della
membrana tectoria che gli poggia sopra che non è immobile però ha una sua inerzia. Quando la
176
membrana basilare oscilla angola il corpo cellulare
rispetto ai peli acustici che sono estroflessioni della
membrana cellulare stessa i quali sono parzialmente
frenati dalla presenza della membrana tectoria.
Il ganglio di Corti è contenuto nel modiolo della chiocciola e infatti il nome completo è ganglio spirale
di Corti perché segue l’andamento della lamina spirale, questo contiene i neuroni pseudounipolari il
cui braccio periferico percorre l’asse della lamina spirale innervando le cellule acustiche, mentre il
braccio centrale va lungo l’ottavo nervo (componente cocleare dell’ottavo nervo).
Nota clinica
Negli anziani è presente una perdita di funzionalità dell’apparato uditivo, molto individuale e per cause differenti,
ma comunque c’è una perdita di sensibilità. Le persone anziane o affette da particolari patologie possono perdere
l’udito selettivamente o maggiormente per certe frequenze, nell’ ipoacusia fisiologica dell’età l’anziano sente
meno le frequenze alte, ovvero con l’avanzare dell’età perde sugli acuti.
La lamina basilare compensa il tratto mancante della lamina spirale ossea, la larghezza della lamina
basilare che è quella che oscilla non è identico lungo il percorso cocleare, è più larga alla base e si
restringe di più man mano che si sale verso l’elicotrema. Siccome la composizione istochimica della
lamina basilare è identica lungo tutto il suo percorso ma la sua larghezza no, ne deriva che le diverse
porzioni a larghezza decrescente della lamina basilare oscilleranno preferenzialmente in risposta a
stimoli meccanici (onda perilinfa) di frequenze diverse. Tutta la lamina basilare supporta l’organo di
Corti quindi la preferenza di frequenze a cui una determinata zona della lamina basilare oscilla è
determinata di fatto dalla sua larghezza (quindi è un fatto fisico). Il giro basale oscilla di più alle alte
frequenze, all’estremo opposto il giro apicale alle basse frequenze, siccome fenomeni di degenerazione
senile cominciano generalmente dal giro basale, ecco spiegato perché la persona anziana quando
comincia ad avere una certa ipoacusia, la manifesta preferenzialmente sulle alte frequenze.
A prescindere dalla patologia o dalla involuzione fisiologica, anche se ci sentiamo benissimo questa
differenza fisica e quindi oscillazione preferenziale della lamina basilare nei suoi diversi tratti per certe
frequenze è alla base della nostra discriminazione tonotopica. Noi riusciamo a sentire toni gravi e
toni acuti perché vengono stimolate diverse porzioni del nostro organo di Corti. Questo non perché sia
diverso l’organo di Corti tra il giro apicale e il giro basale, ma perché la larghezza della lamina basilare
la fa rispondere preferenzialmente in termini oscillatori a certi tipi di frequenze e siccome sopra c’è una
certa porzione dell’organo di Corti saranno quelle fibre dell’ottavo nervo che innervano quella parte
dell’organo di Corti ad essere stimolate piuttosto che altre. Ovvero lungo le fibre del nervo cocleare si
creano sottogruppi di fibre che innervano il giro basale e progressivamente le varie porzioni lungo
l’organo di Corti che trasportano preferenzialmente certe classi di frequenze.
177
INNERVAZIONE
APPRENDIMENTO LINGUISTICO
L’uomo alla nascita ha molte sinapsi già costruite e costituite ma assolutamente non tutte, ce ne sono
un’alta percentuale che invece si formerà. Nei primissimi mesi e anche nei primi anni di vita c’è una
grandissima attività plastica sinaptica, questa è alla base dell’apprendimento, anche di quello
linguistico. Il fenomeno dell’apprendimento in termini corticali non consiste tanto nella generazione di
circuitazioni nuove ma nel disuso di quelle potenzialmente adoperabili per altri fini e che ad esempio
siccome i genitori sono italiani non parlano francese al bambino quest’ultimo finisce per azzerare la sua
potenzialità nel parlare francese. Quindi in realtà l’apprendimento corticale consiste nel consolidamento
di una frazione di circuiti potenziali. Noi educando un bambino, non facciamo altro che indurre una
crescita settoriale e siccome ogni scelta è una rinuncia in realtà gli stiamo facendo rinunciare a tutto un
altro insieme di potenzialità, sempre dal punto di vista corticale (sottocorticale è diverso), gli stiamo
178
facendo perdere potenzialità nel porre l’accento su certe potenzialità che poi saranno la sua linea di
sviluppo. In realtà gli abbiamo contestualmente fatto perdere la capacità di sviluppo di ulteriori
potenzialità. Ovviamente dopo non diventa irrecuperabile, la plasticità neuronale cala e si fa più fatica
ad imparare.
Il sistema nervoso periferico ha lo scopo di captare gli stimoli e condurli al sistema nervoso centrale (vie
ascendenti/afferenti) oppure portare agli effettori gli impulsi generati dal sistema nervoso centrale (vie
discendenti/efferenti).
Il sistema nervoso periferico è direttamente connesso al sistema nervoso centrale attraverso i nervi
periferici che sono in connessione con il midollo spinale. I nervi periferici fuoriescono dai fori
intervertebrali, sono nervi misti ed hanno una componente motoria e una sensitiva.
I nervi toracici non costituiscono plessi ma decorrono linearmente a livello del margine inferiore delle
coste. I nervi appena fuoriusciti dal foro intervertebrale si dividono in una branca posteriore ed una
anteriore, il ramo posteriore raggiunge i muscoli profondi del dorso e non va a costituire i plessi, mentre
il ramo anteriore è quello che può formare i plessi.
I plessi sono:
- A livello cervicale abbiamo due plessi: il brachiale e cervicale propriamente detto, i nervi coinvolti nel
plesso cervicale sono da C1 a parte di C5, mentre i nervi dalle restanti parti di C5 a T1 costituiscono
il plesso brachiale.
- A livello lombare e sacrale: si può considerare un unico plesso detto plesso lombo-sacrale che va da
L1 a S ⅘ (a seconda del testo di studio questi possono essere uniti o separati)
179
PLESSO CERVICALE
Questi nervi emergono
nel triangolo posteriore del collo che è
delimitato anteriormente dal margine
posteriore del muscolo
sternocleidomastoideo e posteriormente
dal margine del trapezio.
Questo è organizzato
con la presenza di un’ansa che viene
detta ansa cervicale o ansa cervicale
profonda.Le linee rosse e le linee blu
stanno ad indicare rispettivamente la
componente motoria e sensitiva.
Le fibre di C1 e di C2 si riuniscono in
un’unica struttura che decorre sfruttando
il decorso del nervo ipoglosso (non si
mischiano alle fibre del nervo ipoglosso) per un breve tratto, dopodiché si dirigono verso il basso a
costituire il ramo discendente dell’ansa; parte delle fibre di C1 continuano fino a raggiungere due
muscoli che si trovano nella regione sottomentoniera e si chiamano genioioideo e tiroioideo.
L’ansa discendente rilascia delle terminazioni costituite da C1 e C2 per i muscoli sottoioidei, quindi la
componente muscolare sottoioidea è innervata da questa componente.
C2 si riunisce anche con C3 a costituire la porzione ascendente dell’ansa, avremo delle terminazioni
per i muscoli che sono diretti al dorso.
C3 e C4 danno origine a delle terminazioni sensitive che sono principalmente quattro e sono il nervo
auricolare maggiore, il piccolo occipitale, nervo trasverso del collo, nervi sovraclaveari.
180
PLESSO BRACHIALE
I rami anteriori di C5, C6, C7, C8 e T1 si organizzano a costituire i tre tronchi primari superiore, medio
ed inferiore.
I tronchi primari si aprono in una porzione anteriore e posteriore; le quali si ricombinano (come se
venissero aperti in due): tutte le tre porzioni posteriori si riuniscono in un unica componente che è il
tronco secondario posteriore, siamo nella regione ascellare; la componente anteriore del medio e del
superiore si riuniscono a formare il tronco secondario laterale; infine la componente anteriore inferiore
costituisce il tronco secondario mediale.
Tronco secondario
1. I tronchi primari danno il nervo dorsale della scapola (C4, C5), il nervo toracico lungo, nella
regione ascellare, (C5, C6 e C7) che innerva il muscolo grande dentato.
2. Dai tronchi secondari si ha la formazione di nervi sottoscapolari e pettorali.
3. Dal fascicolo posteriore del tronco secondario derivano due nervi; uno è l’ ascellare e l’ altro è il
radiale. (da ricordare!)
Il nervo ascellare (C5-C6 e talvolta C7), appena originato si dirige a circondare il collo chirurgico dell'
omero. Circondando il collo dell'omero va anche a innervare il deltoide. Una paralisi di questo nervo
impedisce di fare un’abduzione ampia. Una abduzione breve si può ancora effettuare, siccome è a carico
del sovraspinato, che infatti è responsabile di pochi gradi di abduzione. Una maggiore abduzione è
effettuata dal deltoide. La lesione del nervo ascellare può verificarsi quando c'è una frattura dell' omero,
siccome circonda il collo chirurgico, che è una zona a maggiore rischio di frattura.
181
Il nervo radiale (C5-T1) è la componente
maggiore del fascicolo posteriore. Questo
nervo entra nella loggia posteriore del
braccio, passa tra i capi del bicipite
brachiale, lascia rami per l'innervazione del
bicipite e poi si dirige verso il basso.
Continuerà a livello dell' avambraccio,
lasciando componenti anche per questa
regione. Quindi, sostanzialmente
l'estensione del braccio, dell'avambraccio,
della mano e delle dita è a carico del nervo
radiale. Questo nervo lascia anche rami per
raccogliere la sensibilità dell'arto superiore.
Il nervo radiale è costituito da tutte le componenti del plesso brachiale, da C5 a T1, perché raccoglie tutte
le radici posteriori dei tronchi primari.
4. Dal fascicolo laterale del tronco secondario (dato dalla componente anteriore del tronco primario
superiore e medio) derivano il nervo muscolocutaneo e il nervo mediano.
Il nervo muscolocutaneo
(C5-C7) origina a livello
ascellare e deve raggiungere
la loggia anteriore del braccio.
Per fare questo passa
attraverso il muscolo
coracobrachiale, lo attraversa
e si porta nella loggia anteriore
del braccio. Lascia componenti
motorie per i muscoli che si
trovano nella loggia anteriore e
poi continua verso il basso,
raggiungendo l' avambraccio e
lasciando componenti
sensitive. Quindi a livello del
braccio va a stimolare i muscoli
della loggia anteriore, che sono
i flessori del braccio e dell'
avambraccio. A livello dell'avambraccio invece, raccoglie la sensibilità cutanea.
Il nervo mediano (C6-T1) è composto sia dal fascicolo laterale che dal mediale. Quindi parte delle fibre
del laterale si congiungono con parte delle fibre del mediale a costituire una forca, che è la forca del
nervo mediano. Il nervo mediano entra a livello della loggia anteriore del braccio, decorre verso il basso,
non lascia terminazioni per l'innervazione dei muscoli del braccio, scende giù nell'avambraccio, lascia
terminazioni nervose a livello dei muscoli dell'avambraccio e soprattutto raggiunge la regione del palmo
della mano. Per raggiungere il palmo della mano il nervo mediano deve passare sotto al retinacolo dei
muscoli flessori, nel tunnel carpale. Questo nervo segue il decorso dell'arteria brachiale. Raggiunto il
palmo, avrà una componente sensitiva e una motoria. Il territorio sensitivo e anche motorio del palmo
innervato dal nervo mediano è: primo, secondo, terzo e parte del quarto dito.
182
Il tunnel carpale è una loggia osteofibrosa, costituita da un pavimento osseo (dato a livello del polso
prevalentemente dal radio) e da un tetto chiuso da una struttura tendinea che va a coprire e a mantenere
in sede i tendini dei muscoli flessori. Quindi questa è una regione molto affollata, nella quale si trova
anche il nervo mediano. Quindi, se c'è una infiammazione delle guaine dei flessori, queste si espandono
e avviene una compressione del nervo mediano, fenomeno noto come patologia del tunnel carpale, che
può avere come effetto il dolore delle dita dal primo alla metà del quarto e difficoltà a stringere la mano.
I nervi intercostali
Non danno plessi, ma semplicemente decorrono accompagnando il margine inferiore delle coste.
PLESSO LOMBARE
È costituito dai nervi lombari, da L1 a L4 (in parte). L4 e
L5 si riuniscono in un tronco unico e questa struttura
unica entrerà a fare parte del plesso sacrale. È per
questo che i plessi lombare e sacrale si considerano
molto uniti, quindi è giusto considerarlo anche come un
unico plesso, il plesso lombosacrale .
183
innervazione della parete addominale nella regione inguinale.
2. Nervo genitofemorale
3. Nervo femorale
4. Nervo otturatorio
184
PLESSO SACRALE
Si trova in stretto rapporto con il plesso lombare a causa del tronco lombosacrale, struttura data dalla
congiunzione di L4 e L5. Questa struttura concorre a riorganizzarsi con le radici dei nervi che si trovano
a livello sacrale. Quindi, il plesso sacrale va da L4 a S3 prevalentemente.
Il nervo ischiatico si porta in basso e decorre tra i ventri del bicipite femorale, rilascia rami per questi,
continua verso il basso e arriva nella regione poplitea. A questo livello si divide nelle due componenti
terminali, il nervo (continua verso il basso) e il nervo peroneo comune (si sposta lateralmente e gira
185
intorno la testa della fibula e si porta nella loggia lateroanteriore della gamba). Durante questo percorso
innerva tutta la loggia posteriore della coscia.
Il nervo tibiale, che continua verso il basso sempre nella loggia posteriore e passa sotto al gastrocnemio
profondamente, raggiunge il malleolo mediale. A questo livello gira e si porta a livello plantare. Nel suo
decorso lascia rami di innervazione per i muscoli della loggia posteriore della gamba, cioè muscoli
estensori plantari. Arrivato a livello plantare
raccoglie anche la sensibilità.
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BONUS
Domande dei primi due appelli di Anatomia II - Febbraio 2019
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☛❔ Vetrino: lingua e cuore. Loggia epatica.
Neuro: sensibilità somatica, plesso cervicale e nervo frenico
☛❔ Vetrini: tenue mesenteriale, rene (glomerulo)
Topografica: loggia parotidea e nervo facciale
Neuro: oculomotore, striato
☛❔ Vetrino: cuore, polmone, ghiandola parotide,fegato,midollo spinale,timo,ovaio,milza,utero, rene.
Topografica: cuore, regione sottoiooidea. Neuro: nervo trigemino,meccanismo di inibizione del
cervelletto,descrizione vago,innervazione gh parotide,sensibilita' generale,nervo
vestibolococleare,nervo ascellare,nervo ottica e meccanismo di percepimento visivo, mesencefalo. E'
tutto quello che sono riuscito a prendere sin da quanto sono arrivato di mattina.
☛❔ Vetrini : milza (suddivisone delle arteriole, centri germinativi e circolazione aperta e chiusa), loggia
splenica e arteria e vena lienale. Trachea e bronchi anatomia micro e macro
Neuro : nervo trigemino (fori e fosse craniche) e nervo femorale
☛❔ Vetrino : rene (struttura,vascolarizzazione, apparato iuxtaglomerulare, podociti); epididimo
(parete)
Topografica: loggia renale e rapporti, regione sottoioidea
Neuro : differenze sistema orto e para, ganglio ciliare e gangli annessi alle branche del trigemino
☛❔ Vetrini: milza e utero
Istologia della milza, diverse colorazioni polpa bianca e polpa rossa, loggia splenica, vena e arteria
splenica.
Rapporti e legamenti dell'utero, ciclo uterino.
Neuro : organo di Corti, fuso neuromuscolare, controllo della minzione
☛❔ Vetrini : fegato con loggia epatica; linfonodo; loggia parotidea
Neuro : vie acustiche + nervo radiale
☛❔ Vetrino: fegato e utero. Fegato :circolazione sanguigna e biliare, spazi di disse,cellule che
troviamo nel fegato(cellule di ito ecc) e fegato in generale. Utero: ciclo uterino, modificazioni che
subisce la mucosa, ormoni vari del ciclo, legamenti, rapporti, vasi dell’utero con tutto il decorso.
Loggia splenica.
Neuro: plesso cervicale e nervo trigemino
☛❔ Vetrini:fegato(microcircolazione, sinusoidi, circolazione biliare) e Rene(barriera di ultrafiltrazione,
cellule del mesangio), loggia parotidea(vascolarizzazione e innervazione )
Neuro:divisione dell'ipotalamo, nuclei settali afferenze ed efferenze)
Ps non preoccupatevi per l'ultima domanda 𝜸
☛❔ Vetrini : vetrino del cuore, come capisci che si tratta del cuore (giunzioni, cellule mononucleate,
cellule poste in fila una dietro l'altra), endocardio, epicardio, vetrino rene, complesso iuxtaglomerulare.
Orale : area nuda del fegato, organi intersecati dal legamento coronario inferiore, recesso
paraesofageo della borsa omentale, piccolo omento. Neuro : bulbo e nervo ulnare.
☛❔ Vetrini: polmone, rene
Topografica: rapporti polmone e loggia renale
Neuro: il mandibolare
☛❔ Vetrini: utero (ciclo uterino in relazione al ciclo ovarico specificando gli ormoni, posizione
dell’utero e dell’ovaio in cavità pelvica, legamenti dell’utero e dell’ovaio) fegato (attenzione alle varie
cellule del fegato oltre agli epatociti, loggia epatica, piccolo omento e borsa omentale)
Neuro: innervazione della parotide (decorso del glossofaringeo e del timpanico), innervazione
sensitiva della loggia parotidea, plesso cervicale
☛❔ vetrino : milza + intestino tenue (particolare attenzione al linfatico,struttura dei centri germinativi, il
come e il perchè si dispongono così)
topografica : loggia parotidea
neuro : organo del corti e quindi nervo cocleare + nucleo del tratto solitario
☛❔ Vetrino: rene e trachea
Rene: differenze tubuli, apparato iuxtaglomerulare, loggia renale
Trachea: solo istologia, cosa c'è dove manca la cartilagine
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Neuro: retina, nervo ischiatico
☛❔ Vetrini:fegato e pancreas
Topografica: collo e i triangoli
Neuro: riflesso fotomore, consensualità, vie ottiche, vie ottiche riflesse
☛❔ Vetrino: surrene e stomaco (loggia renale, epigastrio, ipocondrio sinistro, borsa omentale)
Neuro: oculomotore e corteccia cerebellare
☛❔ Vetrini: milza in particolare il sistema di vascolarizzazione, descrizione macroscopica, legamenti,
loggia lienale. Esofago con rapporti e decorso. Borsa omentale, piccolo e grande omento.
Neuro: strutta delle corteccia cerebrale in particolare quella del giro del cingolo, dell’ippocampo e
corteccia entorinale. Nervo vestibolare e fascicolo longitudinale mediale.
☛❔ Vetrini: milza e tenue mesenteriale
Topografica: loggia lienale
Neuro: via ottica e afferenze ai collicoli mesencefalici superiori
☛❔ Vetrini: trachea e rene
Topografia: triangoli del collo con stratificazione dei vari piani muscolari
Neuro: vie ottiche, miosi
☛❔ Vetrini: esofago, milza
Topografica: mediastino
Neuro: facciale
☛❔ Vetrini:surrene(micro, poi macro, rapporti e loggia renale), fegato(micro poi macro e loggia
epatica)
Neuro: vie sensitive e riflesso fotomotore
☛❔ Vetrino: timo (configurazione interna e localizzazione); esofago (struttura, differenze con stomaco,
rapporti a livello cervicale e toracico)
Neuro: retina, con particolare attenzione alla stratificazione a livello della fovea, alle cellule orizzontali
e allo strato plessiforme
☛❔ Vetrini:stomaco e rene
Topografica:mediastino
Neuro:nervo ottico, plesso brachiale
☛❔ Vetrino: rene(struttura, meccanismo ultrafiltrazione,molecole che passano e non passano
dimensioni e nomi,podociti), cervelletto(istologia nervoso e strati e afferenze e efferenze.
Topografica:trigono di scarpa(muscoli che lo compongono nervi e vasi passanti, linfonodi presenti e
cosa drenano)
Neuro: mesencefalo(morfologia esterna, sezione e nuclei e afferenze e efferenze) plesso
lombare(nervi e decorso)
☛❔ Vetrini: rene e loggia renale, intestino tenue (era digiuno/ileo) +differenze dal duodeno
Neuro: midollo (prima sostanza grigia, poi da lì mi ha fatto parlare più o meno di tutti i fasci ascendenti
e di conseguenza anche qualche discorso sul cervelletto),tronco posteriore del plesso brachiale, miosi
e midriasi
☛❔ Vetrini : epidimo e trachea (variazione della struttura nel passaggio da trachea a bronchi e poi fino
ai bronchioli respiratori).
Topografica: ascella, gruppo linfatico ascellare e rapporti dei linfonodi con nervi e vasi del cavo
ascellare.
Neuro: IV ventricoli e produzione del liquor cerebrospinale; corteccia cerebellare (particolare
attenzione sulla struttura delle cellule di Purkinje).
☛❔ Vetrini e topografica: trachea, fegato (con legamenti)
Neuro: vie acustiche
☛❔ Vetrini: ovaio e rene, loggia renale
Neuro: plesso cervicale , organo del corti (cellule acustiche esterne) vie acustiche
☛❔ Vetrini e topografica:
Milza (circolazione, funzione, cellule, funzionamento, da dove originano i vasi splenici e dove
confluiscono)
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Loggia splenica, lehamenti e facce della milza nello specifico, borsa omentale.
Ovaio (sviluppo dei follicoli molto dettagliato, legamenti, comportamento del peritoneo su utero e
ovaio)
pelvi femminile con limiti e diametro
Neuro: nono nervo cranico
☛❔ Vetrini: fegato con vie biliari, duodeno e rene con apparato iuxtaglomerulae, loggia renale e
rapporti
Neuro: nervo vago, innervazione seno e glomo aortici e seno carotideo, fasci discendenti ai gamma
motoneuroni
☛❔ vetrini: milza e epididimo. borsa omentale, piccolo omento, aorta addominale, tripode celiaco,
vasi lienali, dotto deferente. topografica: regione sottoioidea. neuroanatomia: vie motorie e nervo
ascellare
☛❔ Vetrini: rene con fascia renale e rapporti, esofago sia micro che macro più i rapporti
Neuro: nervo cocleare, nervo vago, dove si trova l’area somestesica primaria, fibre afferenti a
quell’area e distribuzione somatotopica delle fibre
☛❔ Vetrino: ovaio e fegato domande sull’ovogenesi, comportamento del peritoneo a livello del fegato,
borsa omentale, loggia sopraioidea, loggia epatica.
Neuro: vie motorie e nervo otturatore
☛❔ Vetrini: Timo ed Esofago
Topografica : Loggia timica, triangoli del collo in generale e nel dettaglio il trigono carotideo
Neuro : nucleo rosso, plesso brachiale e riflesso lacrimale
☛❔ Vetrini: Milza, trachea
Arterie della milza, di dove derivano (il corso del arterie addominali)
Topografica : sottoiodeo, milza
Neuro: nervo trigeminale+ talamo
☛❔ Vertini: polmone e intestino tenue mesenteriale (radice del mesentere, origine dell'arteria
mesenterica superiore)
Topografica: mediastino e decorso nervo frenico
Neuro: talamo e midriasi
☛❔ Vetrini: polmone (bronchioli, struttura interna e come si modifica fino all’alveolo, barriera aria
sangue), milza (configurazione interna, arterie e vene, circolazione aperta e chiusa)
Topografica: loggia splenica
Neuro: plesso cervicale, decorso nervo frenico, propriocettività cosciente
☛❔ Vetrini: duodeno, trachea
Topo: mediastino
Neuro: accessorio e sostanza nera
☛❔ Salve ragazzi!
A me hanno chiesto:
Vetrini: fegato, rene
Topografica: loggia epatica,loggia renale( vascolarizzione piu' innervazione),proiezioni sulla parete
addominale.
Neuro: Tutto sul cervelletto ( afferenze,efferenze,sistema di inibizione).
☛❔ Vetrini: utero, legamenti e struttura, endometrio e strati del miometrio; rene, funzione, struttura e
rapporti. Neuro: vie ottiche e "somatotopia" di queste, nervo faciale, innervazione sensitiva della
lingua.
☛❔ Vetrini: ovaio (ciclo ovarico con ormoni vari, legamento sospensore)ed esofago
Topografica: pelvi
Neuro: nuclei vestibolari e plesso lombo sacrale
☛❔ Vetrini: utero e polmone. Logge pleuropolomari, pleure, divisioni dei bronchi con i cambiamenti
istologici dal bronco primario al bronchiolo respiratorio. Peritoneo a livello dell’utero, ciclo uterino con
tutti i vari ormoni, ciclo ovarico, vascolarizzazione utero. Le ultime due domande sono state come e’
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ruotato L’utero, e a che stadio era l’utero che c’era nel vetrino.
Neuro: corteccia del cervelletto e nervo ipoglosso
☛❔ Vetrini:rene ( loggia renale,rapporti della parete posteriore del rene, nefrone,apparato
iuxtaglomerulare )+ polmone ( suddivisione dei bronchi,alveoli polmonari)
Neuro:cavo ascellare (in relazione sopratutto al plesso brachiale),innervazione avambraccio e
mano,retina (citotipi e modalità di trasmissione dell’impulso)
☛❔ Vetrini:fegato e pancreas, loggia parotidea Neuro (Gobbi):oculomotore, cristallino, plesso
cervicale
☛❔ Vetrino: linfonodo e stomaco con rapporti, vascolarizzazione, comportamento del peritoneo e
legamenti
Neuro: nervo oculomotore, ganglio ciliare e perché è annesso all'oftalmico, nucleo olivare inferiore
☛❔ Vetrini: rene (nefrone, configurazione interna, rapporti); utero (rapporti, posizione, legamenti,
parete uterina)
Topografica: loggia renale
Neuro: corteccia cerebellare
☛❔ Vetrini: esofago (microscopica+rapporti nei vari tratti) e ovaio ( microscopica, ciclo ovarico +
legamenti )
Neuro: vie ottiche
☛❔ Vetrini: timo e fegato
Topografia: spazio sovramesocolico
Neuro: nervo faciale (emergenza, decorso e componenti)
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