(Ebook PDF) Management and Leadership For Nurse Administrators 8th Edition PDF Download
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V. Ingredientibus in Curiam non negatur accessus sed admittuntur etiam
ad secreta judicum.
VI. Solius doctoris testimonio creditur super peritia studiosi.
VII. Vehiculis uti licet in Urbe presente Imperatore quod aliis non
permittitur.
VIII. Quando 20 annos docuerint comparantur ducibus et Comitibus.
IX. Sunt executores contra exercentes ludos noxios.
X. Interpretationi doctorum creditur habeturque probabilis si Iuri scripto
non repugnet (Middendorpio, Accadem. celebrium).
299.
Anche qualche dottore più famoso dell'università delle arti fu insignito di
grandi onori. Il celebre medico T. Fiorentino che insegnava in Bologna
ottenne per sè e pei suoi eredi l'esenzione dalle tasse e da tutti gli altri
oneri della cittadinanza e molti altri privilegi. I suoi scolari furono
equiparati nel godimento dei diritti universitari a quelli del diritto civile e
canonico (Sarti, App., pag. 227).
300.
Sclopis, Dell'autorità giudiziaria, cap. VI, pag. 170.
301.
Colle, St. dell'univer. di Padova, I, pag. 55. — Il Saliceto fu chiamato
monarca della scienza legale. Molti altri esempi si trovano nelle storie.
Giovanni Andrea fu chiamato anche Stella del firmamento, Tromba del
diritto e Padre delle leggi e dei canoni (Idem, II, pag. 31).
302.
Sarti, P. I, pag. 71.
303.
Colle, op. cit., pag. 46, vol. I.
304.
Idem, pag. 51.
305.
Sarti, pag. 103.
306.
Maccioni, Osservazioni sul diritto feudale di Ant. Minucci, p. 74.
307. Rufo, Hist. ferrar. Gymn.
308.
Colle, op. cit., pag. 55.
309.
Pratovetere Ant., Epistolario (Epist. XV).
310.
Affò, Scrittori parmigiani.
311.
«.... quando scholaris est in terra sua et vult scribere doctori suo aliquid
in salutatione sua scribit reverendo viro: licet benedicat: tamen non
honorat doctorem suum sicut deberet: quia si est doctor deberet dicere
illustri viro Bonon, docenti: quia imperator ipsos doctores illustres vocat»
(Odofredi, Commen., II, P. IX).
312.
Odofredi in leg. edita actio Cod. de edendo (Sarti, P. I, pagina 59).
313.
Socini, Comm., pag. 37, nº 272.
314.
Rolandi a Valle Consiliorum. Consil., 66, n. 41: «Doctoribus indoctis non
concepit privilegium vicinum fabrum obstrepentem a domo ejicere.»
315.
Sarti, pag. 370.
316.
Lancillotto, Vita di Bartolo, cap. XII. — Di questo privilegio ottenuto dai
re di Boemia ne fa menzione lo stesso Bartolo (In extravag. alla voce
Reges). Collo stesso decreto fu concesso a Bartolo anche il diritto
proprio soltanto del principe, di legittimare bastardi.
318.
Oltre la grande importanza scientifica che i dotti esercitavano nel medio
evo erano rivestiti anche di autorità politica e sociale, essendo chiamati
ai più alti uffici tanto civili che ecclesiastici. Per dare un'idea della
moltiplicità degli uffici che esercitavano i dottori basta ricordare le
numerose cariche pubbliche cui fu chiamato il giureconsulto Baldo, il
quale oltre ad essere stato per tutta la sua vita insegnante in varie
università e indefesso cultore della scienza, fu giudice, ambasciatore,
avvocato, uno dei sapienti che avevano la vigilanza sulle scuole di diritto
e incaricato dell'amministrazione militare. Fu anche vicario generale del
Vescovo di Rodi, incaricato della riforma degli statuti di Pavia e negli
ultimi anni della sua vita andò consigliere pontificio a Roma e chiesto in
grazia da papa Urbano VI al comune di Perugia.
319.
La bolla di Onorio è riferita dal Sarti (vol. II, pag. 177).
320.
«Ne calamitas et pestis haec ulterius progrediatur decernunt quod nullus
Scholaticus in disciplinam assumat, nec Ludum habeat nisi primo vel de
se periculum fecerit cognitorem se esse bonarum Litterarum vel
approbatum fuerit per Oflitiun XII Sapientium aptum esse ad Scholam
aperiendam. Si quis contra auserit de Civitate ejiciatur ut pestifera
Bellua» (Rufo, Hist. Gym. ferr., pag. 50).
321.
Prezziner, Storia dello Studio di Firenze.
322.
Padelletti, Contributo alla Storia dello Studio di Perugia.
323.
Alberigo da Rosate (De statutis quaest. 217. — Tract. univ. juris, tomo II),
dice che lo statuto di Padova proibisce ai forensi, agli scolari e agli altri
che non portano i pesi del Comune, l'arringare e il trattare e decidere
cause in quel fôro, come pure è ordinato che i dottori e i maestri che
percepiscono stipendio non possano patrocinare cause nel Palazzo se
non in favore degli scolari.
324.
Savigny, Hist. du droit. rom. etc., vol. III.
325.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 59.
326.
Bettinelli, Risorgimento, ecc., Opere, III, pag. 185.
328.
Si possono consultare con profitto i documenti sopra Andrea Alciati
lettore nello Studio di Bologna (Anni 1537-41) pubblicati da B. Podestà
nell'Archivio giuridico.
Nel 1432 il Doge di Venezia chiedeva ai fiorentini per l'università di
Padova con grandi istanze il Panormita, e i fiorentini gli rispondevano la
seguente lettera:
«Duci Venetiarum
«Illustris atque Excelse Domine frater et amice carissime. Quia Orator
vester cum magna instantia petivit a nobis, ut Abati Siculo ad legendum
Florentie conducto licentiam preberemus se in Studio Paduano
conducendi, scribere decrevimus rationes veras et urgentes, per quas
hoc facere prohibemur.
«Res enim interdum parvae videntur, et tamen habent in se difficultatem
magnam. Primo enim indigentia hujus hominis neque major, neque
urgentior alicui est quam nobis ipsis. Quippe cum alium Doctorem
nullum existimabilem habeamus, at totum Studii fundamentum ab hujus
spe presentiaque dependeat, necessarium nobis esse studium claudere,
si huic a nobis conducto, sub cujus fiducia stetimus, licentiam
preberemus. Nec plane utilitatem, vel damnum, quod ex retentione vel
dimissione illius viri pervenire nobis posset, sed verecundiam
ponderamus. Non enim sine labe honoris preteriret, si hunc per totam
Italiam publicatum mutare consilium, et civitate nostra vel spreta vel
neglecta, ad alios transire permitteremus. Quid autem responderi posset
scholaribus, qui jam frequentes et multi sub hac expectationes domos
Florentie conduxerunt? Qui si frustrati essent, conqueri merito possent,
et nostram vacillationem et inconstantiam deridere. Non insuper ea ratio
movet, quod in tanta belli difficultate putarent homines hunc propter
inopiam vel impotentiam esse dimissum, quod consonum esset infamiae
quam de nobis inimici nostri quotidie divulgant. Cum igitur multo magis
indigeamus quam alii, et contra honorem esset, illius dimissioni
Celsitudinem vestram rogamus ut amicabiliter et fraterne suspiciat
excusationem nostram. Dat. Florentie die XXVI Augusti 1432» (Fabroni,
Vita Cosimi I, vol. II).
Quando il pontefice Urbano IV chiese al comune di Perugia il celebre
Baldo per eleggerlo suo consigliere si adunarono tutti i magistrati della
Repubblica con grande solennità e posero ai voti la proposta come nei
più gravi affari di Stato (Vermiglioli, Biografie dei perugini, «Baldo» pag.
124).
329.
Fabroni, Hist. acad. pis., I, pag. 129.
330.
Colle, St. dello Studio di Padova, II, pag. 34.
331.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 110.
332.
Odofredo parlando di questo sistema che era in uso ai suoi tempi,
accenna ad un'astuzia che aveano trovati i cattivi (mali) scolari per non
pagare, ed era questa: di dire che non può contrarsi obbligazione col
mezzo di procuratore «mali scolares nolunt solvere quia dicunt quod per
procuratorem non quaeritur actio domino» (Comm. Seg. 79, Deg. ecc.,
verb. obblig.).
333.
Savigny, Hist. du droit rom. etc., III, pag. 183.
334.
Sarti, P. II, pag. 131.
335.
Pietro d'Abano, celebre medico di Padova, poneva ad altissimo prezzo
l'opera sua. Per curare Onorio IV dicesi dimandasse cento fiorini d'oro al
giorno (Colle, St. dell'univers. di Padova, II).
Il famoso Taddeo fiorentino ebbe dal papa in compenso della ottenuta
guarigione la somma di diecimila ducati (Villani, Vite d'uomini illustri
fiorentini, pag. 27).
336.
L'insegnare senza retribuzione era stimata cosa molto onorevole e
veramente degna dei buoni cultori della scienza. Rofredo Beneventano
(Ord. Indic., pag. 772) dice: «Scentia boni et aequi nummario pretio non
est dehonestanda. Iter et veri philosophie pecuniam spernunt et
mercenariam operam non exhibent...... sic ergo illud quod fecit doctos,
ex liberalitate fecit unde sufficit si cui vel in paucis amici labore
consulatur.»
338.
Facciolati, Fasti, P. I, pag. 6.
339.
Sarti, P. I, pag. 233, 410, 411.
340.
Uno statuto modenese del 1321, comanda che niuno tra gli scolari
cittadini sia tenuto a dare ai professori di Leggi e di Canoni dono alcuno
benchè loro promesso (Muratori, Antiq. It., pag. 207). Così pure nel
1279 l'università di Padova assegnando ai professori un pubblico
stipendio avea fatto lo stesso divieto, eccettuando soltanto le pigioni
delle case dove i professori insegnavano, che doveano esser pagate
dagli scolari (Facciolati, Fasti, P. I, pag. 6).
341.
Le storie citano numerosi esempi di stipendi cospicui. Parma promise al
Fulgosio ed a Pietro d'Aricarano 1000 ducati d'oro purchè insegnassero
in quella università (Bettinelli, Risorgimento, ecc., tom. III, pag. 184.)
342.
Radunatosi il Consiglio delli seicento ad istanza delli scholari richiamò
Galvano bolognese che allora leggeva in Padova con grandissimo
concorso di scolari da ogni parte, che venisse a leggere in Bologna; il
quale ebbe la lettura ordinaria del Decreto col salario di 200 fiorini d'oro
l'anno; e perchè egli si trovava avere due figliuoli che studiavano, il
Senato di Bologna gli diede per tre anni cento fiorini d'oro; e morendo
l'uno di loro in quel termine, il superstite ereditava la detta somma di
danari (Ghirarducci, Storia bolognese, II, pag. 394). Il Sarti racconta
pure che a Dino di Mugello che insegnava leggi in Pistoia, fu assegnato
per cinque anni, oltre lo stipendio una casa ben fornita e decente per
uso di abitazione.
343.
Colle, Storia dell'università di Padova, vol. II, pag. 27.
344.
De Renzi, Storia della Scuola di Salerno, vol. I.
345.
«Ex Bulla Greg. XI, die 3 aug. 1374.»
346.
Facciolati, P. II, pag. 83.
348.
Fantuzzi, vol. VII, pag. 283. — Mazzetti, Mem. bolognesi, pag. 278.
349.
Nel 1636 un dottore di Medicina in Pisa fece istanza al Granduca di
ritirarsi dall'insegnamento, allegando per scusa la sua tarda età. Il
granduca rispose: «Stante il lungo e buon servizio congiunto colla mala
sanità del supplicante, si contenta S. A. S. di licenziarlo dalla cattedra e
carica di leggere, e che quest'anno conscguisca non di meno la
provvisione come se avesse letto tutte tre le terzerie, e che per maggior
recognizione del suo merito negli anni futuri da cominciare il di 1º di
novembre 1636, mentre se li viverà se gli paghino scudi 200 l'anno»
(Fabroni, Hist. Acad. pis., II, pag. 321).
350.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 105.
351.
Idem, P. II, pag. 81.
352.
Idem, P. II, pag. 67-89.
353.
Idem, Syntagmata XII.
354.
Colle, St. della univ. di Padova, II, pap. 133.
355.
Mazzetti, Mem. storiche della univ. di Bologna.
356.
Idem.
358.
Nell'anno 1482 a causa di una pestilenza venne trasferito lo Studio da
Pisa a Prato.
359.
I dottori pisani minacciavano argutamente quel che nel linguaggio
moderno direbbesi uno sciopero.
360.
Fabroni, op. cit., I, pag. 39.
361.
Stat. bonon., lib. II, pag. 40.
362.
Facciolati, Fasti e Syntagmata, XII, etc.
363.
Savigny, Hist. du droit, tom. III, pag. 192. — La distinzione delle lezioni
in ordinarie e straordinarie è molto antica (ordinariae, extraordinariae
lecturae). Secondo alcuni dicevansi ordinarie quelle che tenevansi nelle
pubbliche scuole, e straordinarie quelle che solevano farsi nelle private,
cioè nelle abitazioni dei professori.
Ambedue queste opinioni sono false e il Savigny ne discute le ragioni
colla scorta di esempi e documenti autorevoli.
A dimostrare la verità della nostra asserzione che cioè, per distinguere la
diversa natura delle lezioni è necessario dividerle secondo l'importanza
scientifica dell'insegnamento e la fama dei professori, potremmo recare
molti esempi.
Riepilogando in brevi parole le ricerche da noi fatte su tale argomento,
osserviamo che le lezioni ordinarie per consenso generale degli statuti e
degli usi scolastici in vigore in tutte le università, erano tenute nelle ore
mattutine, mentre le straordinarie solevano farsi di sera; onde lo storico
Ghirardacci, citato anche dal Savigny, adopera le voci (lectio matutina e
vespertina) come sinonimo di lezione ordinaria e straordinaria (Hist.
bolognesi, t. I, pag. 444).
Di più le lezioni ordinarie erano quelle in cui si spiegavano i libri ordinari,
cioè i libri di testo delle diverse scienze che formavano la base
dell'insegnamento.
Nelle lezioni ordinarie occupavano le cattedre i dottori ordinari, cioè
quelli di merito ormai insigne e di fama assicurata e provetti
nell'insegnamento per lunga esperienza. Nelle lezioni straordinarie
invece solevano insegnare cumulativamente anche i dottori poco noti
per fama scientifica, i semplici licenziati, i baccellieri, e gli stessi scolari.
Tutto ciò dimostra che la distinzione tanto frequente nel linguaggio
scolastico nel medio evo tra lezioni ordinarie e straordinarie, non sta ad
indicare altro che un diverso grado d'importanza attribuita
all'insegnamento, secondo la fama dei professori e l'utilità delle materie
che si spiegavano nelle une o nelle altre scuole.
364.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 57. — Quanto all'importanza che aveva la
scuola ordinaria del mattino nelle università può vedersi (Fabroni, Hist.
Acad. pis., pag. 206).
365.
Atti dell'Accad. delle scienze di Torino, vol. XXIX.
366.
Sarti, P. I, pag. 34.
368.
Tiraboschi, Storia della Lett. It., tomo V, pag. 66.
369.
Rufo, Hist. Ferrar. Gymn., pag. 314.
370.
Savigny, Hist. du droit rom. etc., III, pag. 184.
371.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 10, 19, 58.
372.
Documenti inediti pubblicati dal Puccinotti (Storia della medicina, vol. II).
373.
Fabroni, Hist. Acad. pis., II, pag. 482.
374.
Da una lettera scritta agli uffiziali dell'università di Pisa da un dottore di
quella città, si rileva come i bidelli eseguissero rigorosamente il loro
obbligo e quanta cura mettessero gl'insegnanti per giustificarsi di
qualche loro assenza dalle scuole allo scopo di evitare una pena. La
lettera dice così: «Magnifici Officiales. Lo primo di Maggio passato morì
in casa mia uno scolare Ferrarese mio consorte, il quale era stato doi
anni meco. Bisognoe sepelirlo la mattina seguente nel hora de la
lectione; di che tra per essere e addolorato e occupato il dì de innanzi
per lo caso non aveva studiato e non lessi quella mattina. Gli altri
lessono mez'ora perchè ebbono honorare la sepoltura. Dissemi li Bidelli
che sebbene apuntassino, fariano cum le S. V. la scusa mia, e che io non
haria danno. Così mi tenevo non havesse seguire altro. Hora al
pagamento de la seconda paga mi è stato ritenuto tre ducati.
Maravigliome e dolgome come le S. V. essendo condannato a torto per
le caxone predicte, le quali se possono verificare col testimonio de li
Bidelli. Due altre fiate io sono stato appuntato al tempo di Ser Piero
Cenini. E le apuntature sono state cancellate, e restituitomi il dinaio e le
altre paghe, havendo sempre justificato l'innocentia mia; perchè in vero
non vi può esser noto dai vostri Precessori io posso gloriarmi essere uno
de li più diligenti, che habiati in questo Studio....» (Fabroni, Hist. Accad.
pis., P. I, pag. 163).
375.
Avvertasi la malizia e la sottile ironia della frase.
376.
Fabroni, Hist. Acad., P. I, pag. 102.
378.
Sarti, P. I, pag. 97.
379.
Fabroni, op. cit., I, pag. 255.
380.
Fabroni, op. cit., II, pag. 255.
381.
Idem, II, pag. 11.
382.
Un tale Andrea del Campo copista nello Studio di Pisa scriveva, parlando
dell'utilità di questa concorrenza: «.... optimo consiglio fu el vostro a
porre el Papi alla concurrentia de Iasone, perchè veggo si farà tal'uomo
che quelli che ne potranno fare qualche conto per l'advenire; buono ed
utile gli è stato questo sprone» (Fabroni, op. cit., I, pag. 225).
383.
Fabroni, op. cit., pag. 20.
384.
Il Baldo, dolendosi cogli uffiziali dello Studio di Pisa che gli avessero dato
i concorrenti, dice in una sua lettera pubblicata dal Fabroni (I, pag. 188)
«.... Io non credeva venire a questo Studio per lassare el riposo e
cercare travagli e disturbi e avere a stare in pratiche maxime in questa
mia senectute. È laudabile usanza nelli Studi d'Italia di tractare li doctori
antichi, che non abbino concurrentie dispiacevoli, e andare per le
pratiche, ma solo abbino il pensiero del leggere. Non credo che in Studio
d'Italia sia doctore di qualche reputazione che abbia letto anni trentotto,
come io, e non credo che sia doctore in Italia più dato alle pratiche e
alle.... quanto questo che cerca la mia concurrentia et maxime perchè
vede questa cosa esser da me aliena.»
385.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 102.
386.
Idem, P. II, pag. 15.
389.
Quanto all'utilità di queste dispute si parla in una relazione fatta nel
1490 agli uffiziali dello Studio di Pisa: «Avvisando V. S. che mai in questo
Studio si fecero tante dispute pubbliche quanto si fanno dappoi che ci è
questo singolarissimo Dottore Mess. Iasone nè tanto si dimostrarono
mai li scolari fare tanto profitto. È quanto al presente..... cosa questa da
fare accendere gli animi degli altri vostri che per adventura non sono
così serventi allo studio.» (Fabroni, op. cit. I, pag. 225).
390.
Ordinamento del magistrato di Balìa di Siena etc. (Archivio delle
Riformagioni di Siena. Tomo XXII, 1482, c. 88).
391.
Parrà strano che le dispute accademiche si facessero in pubblica piazza.
Eppure non è questo il solo esempio che i dottori trattassero di
argomenti scientifici in luogo aperto al pubblico anzichè nel recinto delle
scuole. Si narra che ai tempi del giureconsulto Azo fu tanto il concorso
degli uditori, che esso fu costretto a leggere in una piazza di Bologna.
392.
Questa segreta sorveglianza dei bidelli si trova anche in altre università,
come già vedemmo.
393.
«.... Bartolus, Baldus, Paulus..., dum taxat vocationem diebus aliquam
legem iterum interpretandum accipiebant, quam diffusius disputarent,
ideoque Repetitiones dixerunt: et hodie omnes repetitionessunt»
(Alciati, Or Bononiae habiti. — Savigny, op. cit., II, pag. 599).
394.
.... «ut ex antiqua consuetudine omnibus diebus, quibus ordinarie
legitur, hora vigesima tertia, post principium studii usque ad vocationes
Pascae Resurretionis, scolares omnes et doctores tam Medicinae quam
Philosophiae, Ordinarii et Extraordinarii ad Circulus in apothecis
consuetis convenire debeant....» (Facciolati, Syntagm. XII, pag. 62).
395.
Stat. bonon., Lib. II, pag. 36-38. — Odofredo, Proem. inedit., al Diz.
396.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 20.
398.
Rofredi Beneventani, Ordin. judic. position., pag. 772: «Quod primo per
Scholarem discere volentem quaerendus est Doctor talis, qui primo
seipsum bene et clare intelligat, tunc enim potest clare docere, cum
clare intelligit. Et qui verba sua secundum capacitatem et ingenium
audientiam coaptare potest, tacenda non proferat, et dicenda ac
addiscenda non sileat. Qui enim apices quaerit, et alta docet quae ab
auditoribus non intelliguntur non eorum utilitatem sed sui ostentationem
facit.
«.... Debet etiam talis esse doctor qui habet vim impressivam et aptam
ut ea quae sapit recte docere possit.
«.... Quod talis eligendus sit Magister qui in se laudabilem vitam probis
moribus monstrabit, et docendi peritiam dicendi interpetrandique
facundiam et disserendi copiam se habere patefecerit nec sit in docendo
plus pomposus quam utilis....»
Anche Odofredo (Proem. ined. ad Dig. vetus) parla così intorno alla
scelta di un buon'insegnante: «Scholaris enim quemlibet debet audire et
modum cujuslibet inspicere, et qui si plus placebit ille debet per eum
eligi, et opinione propria non alterius, non praetio.... vel praecibus
doctoris vel alterius.»
399.
Nel 1451 le cattedre di Bologna superavano il numero di 170. Niccolò V
con la bolla del 1º agosto 1451 le ridusse a 44 coll'onorario di lire 500 o
600 al più per ciascuna, dichiarando però che fossero ammessi ad
insegnare tutti i cittadini laureati che ne avessero fatto domanda e si
rilasciasse ai Riformatori dello studio la facoltà di eleggere tanto i dottori
cittadini come i forestieri e di assegnare gli stipendi. Clemente VII con la
bolla del 22 gennaio 1523 assegnò ai dottori cittadini lo stipendio di lire
100 che Gregorio XIII portò fino a 200.
Dalla bolla di Niccolò V in poi le cattedre delle università di Bologna
aumentarono sempre quasi fino a raggiungere la cifra antica. Dal 1579
al 1669 le cattedre erano giunte al numero di centosessantasei
(Mazzetti, Mem. storiche dell'univ. bolognese, pag. 30).
400.
Si racconta che a Roma gli scolari per occupare i migliori posti alle
lezioni di Pomponio Leto si recassero alle scuole a mezzanotte, e lo
stesso Pomponio si partisse da casa avanti giorno rischiarandosi la via
con una candela in mano (Renazzi, St. dell'univ. di Roma). —
Nell'università di Padova vi era un bidello destinato ad accendere i lumi
per le lezioni avanti l'alba (antilucone) (Facciolati, Syntagmata XII, etc.).
401.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 3.
402.
A dì 12 agosto 1373: «Per parte di molti cittadini di Firenze desiderosi
tanto per sè medesimi, quanto per gli altri loro concittadini, ed anche pe'
loro posteri di venire ammaestrati nel libro di Dante dal quale anche i
non letterati possono imparare a fuggire il vizio e ad acquistar la virtù
riverentemente vi supplichiamo di provvedere ad eleggere un uomo
savio valente e ben versato nella dottrina di questo poema, il quale per
un tempo non maggiore di un anno faccia lezione del libro che
volgarmente chiamasi el Dante a quanti vorranno venire ad ascoltarlo in
tutti i giorni feriali e per lezioni continuate come suol farsi, e con salario
a piacer vostro non maggiore di cento fiorini d'oro.»
403.
Manni, Sigilli, tom. IV, png. 131.
404.
Rofredo di Benevento (Ord. judic., pag. 772) esalta i vantaggi
dell'insegnamento orale dicendo che la viva voce ha qualche cosa di
latente energia. «Viva enim vox multum imprimit quae habet nescio quid
latentis energiae.»
405.
Fasti, P. II, pag. 84.
406.
Odofredo, Comment. leg. 2, de judiciis.
408.
Alla fine delle lezioni, o come oggi direbbesi, del corso scolastico, i
professori solevano riepilogare le proprie impressioni e dare il loro
giudizio sul profitto degli scolari e sui cambiamenti da adottare
nell'insegnamento nell'anno avvenire.
Un esempio di questi riepiloghi ce lo dà Odofredo (ad L. fin. D. de
Divortio).
«Or signori, nos incepimus et finivimus et mediavimus librum istum sicut
scitis vos qui fuistis de auditorio isto, de quo agimus gratias Deo et B.
Mariae Virgini Matris ipsius et omnibus sanctis ejus. Et est consuetudo
diutius obtenta in civitate ista, quod cantatur missa quando liber finitur,
et ad honorem Sancti Spiritus; et est bona consuetudo et ideo est
tenenda. Sed quia moris est quod doctores in fine libri dicant aliqua de
suo proposito, dicam vobis aliqua pauca tamen. Et dico vobis quod in
anno sequenti intendo dovere ordinarie bene et legaliter sicut unquam
feci, extraordinarie non credo legere, quia scholares non sunt boni
pagatores qui nolunt scire sed nolunt solvere iuxta illud: scire volunt
omnes, mercedem solvere nemo. Non habeo vobis plura dicere, eatis
cum benedictione domini, tamen bene veniatis ad missam et rogo vos.»
409.
Stat. bon., lib. IV, pag. 75.
410.
Mazzetti, Memorie di Bologna. — In Padova spettava agli scolari la scelta
dei libri strordinari, cioè del Digesto nuovo e dell'Inforziato; il Rettore
sceglieva i libri ordinari. — Vedi Stat. di Padova pubblicati per cura
Gloria, rubr. 1250.
411.
Ciò dimostra secondo il Savigny (St. del diritto rom., ecc., vol. I) che il
titolo di baccelliere nelle università medioevali non era un vero titolo
accademico come quello di licenziato e di dottore. Il baccellierato
divenne titolo accademico quando i collegi dei dottori si assunsero la
facoltà di conferirlo.
412.
Padelletti, Contributo alla Storia dello Studio di Perugia.
413.
Atti dell'Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXIX.
414.
Colle, St. dell'univ. di Padova, vol. IV, pag. 36.
415.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 81.
416.
Padelletti, Contributo alla Storia dell'univers. di Perugia e Stat. perug.,
lib. III, rubr. 19.
418.
Sarti, Pref., P. XXIII.
419.
Rufo, Hist. Gimn. ferrar.
420.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 59.
421.
Rufo, op. cit., pag. 47.
422.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 25.
423.
Sarti, op. cit.
424.
«Id vero (dice saviamente il Facciolati, Fasti, P. II, pag. 47) nimis
juvenile consilium visum est.»
425.
Fabroni, op. cit., P. II, pag. 47.
426.
Idem, pag. 483.
428.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 17, 24.
429.
Stat. bonon., Lib. IV, pag. 53.
430.
Tra gli studenti del medio evo si trovano ricordati certi individui detti
Goliardi che, seguendo il costume di quell'epoca, vagavano da una ad
un'altra università menando vita licenziosa. — Molti di essi univano
anche la qualità di chierici (Comparetti, Virgilio nel Medio Evo. — Bartoli,
I precursori del rinascimento).
431.
Come fossero disprezzati gli ebrei nel medio evo non importa ricordarlo
che è cosa troppo nota. Cito un esempio opportuno trattandosi di
scolari. Quando l'antico Studio di Torino passò nel 1434 a Savigliano, fra
i lamenti che l'università rivolse al Comune vi fu quello che gli ebrei
avevano comune il macello con i cristiani. Ritornato lo studio nel 1436 in
Torino, quel Comune per far posto agli scolari cacciò gli ebrei dalle case
che abitavano (Vallauri, Storia dell'univ. piemont., I, pag. 33).
432.
Savigny, St. del dir. rom. nel medio evo, III, pag. 149.
433.
Un giureconsulto nei suoi Consigli legali sostiene l'impunità per quelli
scolari che mantenessero disonesti rapporti colle fantesche che non
avevano buon nome: il che è prova della vita licenziosa degli studenti.
«Scholares accedentes ad mulierculas quae vulgo appellat fantesche et
quae stant cum civibus et in domibus eorum inhoneste vivunt non
possunt puniri licet sint liberae mulieres» (Rolandi a Valle, Consiliorum
cons., 74, num. 17).
434.
Il famoso Pier delle Vigne che divenne consigliere dell'imperatore
Federigo II, visse negli anni della sua giovinezza elemosinando in
Bologna, per attendere agli studii in quella università.
Gli scolari poveri che vivevano a spese altrui, si trovano ricordati negli
statuti, col nome di Socii doctorum vel scholarium. Questi scolari
verisimilmente in compenso del nutrimento e dell'alloggio, si
obbligavano a certi servigi. Forse essi si dedicavano di preferenza a fare
da ripetitori (repetitores) agli altri scolari, ma di questo però non
possiamo emettere un giudizio positivo.
È da notarsi come per render forse meno umiliante la posizione degli
scolari mantenuti a spese altrui agli studii, gli statuti trovassero
l'appellativo simpatico di socii (cioè, compagni dei dottori e degli scolari).
L'imperatore Federigo II nelle costituzioni fondamentali della università
di Napoli, si obbligò di sovvenire gli scolari poveri. Ad onta di tutto ciò la
posizione degli studenti mantenuti a spese pubbliche doveva essere
alquanto umiliante; onde il giureconsulto Rofredo ammonisce gli scolari
di non recarsi agli studii se non hanno tanto da mantenervisi
decorosamente: «Necesse est scholaribus quod habeant ad studium
vitae sustentationem ne egeant» (Rofredi, op. cit., pag. 772).
435.
Anche i principi largheggiavano in sussidii per mantenere i giovani poveri
agli studii.
Il principe Ubertino di Padova mantenne a sue spese dodici scolari di
quella città a studiare medicina a Parigi (Coll., Storia della università di
Padova, II, pag. 173).
L'imperatore Massimiliano II promise a polacchi, purchè eleggessero re,
Ernesto suo figlio, di mantenere allo Studio di Padova cento giovani della
loro nazione.
Il conte di Savoja concesse un assegno di cento fiorini d'oro al figlio del
cancelliere del principe di Asaja per mantenersi agli studii in Bologna
(Cibrario, Econ. polit. del medio evo).
436.
Facciolati, Syntagmata, XII.
437. Ecco i nomi dei collegi istituiti in Bologna dal 1257 fino al secolo XVII:
Collegio Avignonese (1257) Bresciano (1326) Reggiano (1362) Collegio
di Spagna (1364) Gregoriano (1371) Ancarano (1414) Collegio Fieschi
(1518) Collegio Vioes (1528) Collegio illirico ungarico (1537) Collegio
Ferrerio (1541) Montalto (1586) Collegio Sinibaldi (1605) Collegio
Palantieri (1610) Collegio Jacobs (1650).
438.
Nelle università francesi questi collegi avevano una vita autonoma ed
assai maggiore importanza che in Italia (Savigny, St. del diritto romano
nel medio evo, tomo I). In Parigi vi fu un collegio pel mantenimento
degli scolari poveri italiani. Nel libro degli statuti di Modena del 1578,
libro I, si trovano accennate molte particolarità sull'ordinamento di
questo collegio scolastico fondato col concorso di molte città italiane.
439.
Fabroni, Hist. Acad. pis., II, pag. 16.
440.
Lo statuto di Bologna così dispone: «Damnosis scholarium sumptibus
providere cupientes statuimus...., etc.»
441.
«.... Qui vulgariter vocatur panno de Statuto....»
442.
Stat. bonon., lib. III, pag. 52.
443.
Vallauri, St. delle univ. piemontesi.
444.
Nell'università di Pisa fu tolto quest'uso da Cosimo II, il quale abrogò gli
antichi statuti in questa parte disponendo che gli scolari «possino vestire
a loro modo in abito però modesto e civile come si conviene» (Fabroni,
op. cit., II, pag. 19).
445.
Sarti, op. cit., P. I.
446.
Ghirardacci, Storie bolognesi I, pag. 328. — Il giureconsulto Minucci
conosciuto nelle scuole col nome di Antonio da Pratovecchio, invitato dai
fiorentini a leggere nel loro Studio, rispondeva di non potervi andare a
causa delle discordie «Multis me instigantibus amicis ut Florentiam ad
profittendum irem turbata omnia esse in Civitate respondabam» (Epist.
XXII). Ma i fiorentini risposero che i lettori dell'università non avrebbero
risentito alcun danno dalle discordie cittadine e di ciò convinto il Minucci
accondiscese alle loro domande (Ant. de Pratoveteri, Epistolae, Ep. XII).
448.
Rofredo Beneventano, dice (Ord. Indic., pag. 772) che gli scolari debbono
riverenza ai loro maestri, ed hanno l'obbligo di assisterli quando sono
poveri, di retribuirli, e di scusare e difendere le opinioni da essi
manifestate.
449.
Mazzucchelli, Scrittori d'Italia, P. I, vol. II, pag. 464.
450.
Villani Filippo, Vite degli uomini illustri fiorentini.
451.
Sarti, P. I, pag. 92.
452.
Il giureconsulto Rodofredo nella prefazione di una sua opera scrive:
«Ideo ego Rofredus Beneventanus juris civilis professor ad preces et
instantias sociorum meorum in civitate scilicet civilissima Aretina, ausus
sum hoc opus componere» (Sarti, P. I, pag. 125).
453.
Estratti dagli Statuti bolognesi (Savigny, op. cit., III, pag. 252, lib. III,
pag. 63).
454.
Sarti, op. cit., P. II, pag. 131. — Savigny, op. cit., I, pag. 593.
455.
«Item ordinaverunt quod quilibet Magister debeat honorare alium
omnibus modis quibus potest, et in Scolis et in conventibus et ubique, et
quod nullus Magister det adiutorium vel exortamentum alicui ex
Scolaribus ad faciendam vel dicendam iniuriam aliquam Magistris, et qui
contra fecerit solvat pro poena quinque solidos.
«Item quod nullus Magister debeat recipere scolares alterius Magistri in
scolis suis ultra quatuor vices invito illo cujus scolares fuerint, et si
intraverint scolas alicuius per unam Ebdomadam, tunc dicantur scolares
ejus et eos postea non recipiat. Quod si aliqui contra fecerint teneantur
solvere illi cuius scolares fuerint decem solidos pro doctrina et tres
solidos pro scolis, et rectori solvant pro banno quinque solidos»
(Guazzesi, Opere. Pisa, 1766). — In queste disposizioni degli statuti
aretini è da osservarsi la singolare distinzione fatta nel valor venale della
scuola fra la scienza insegnata (doctrina) e la clientela (scolis).
456.
Baldi, in 2 fend. 26 cap. Vassallus: «.... et illam glossam multum notabat
primus doctor meus Joan. Pagliarensis.» — Idem, in Cod. I, 49 par. I, de
episcop., n. 5: «.... Sed recolendae memoriae pater et dominus do. Fede
de Sen. dicit.... etc.» — Questi due passi del Baldo dimostrano
esattamente la differenza sostanziale che correva nel linguaggio
scolastico fra il semplice doctor e il dominus e pater.
457. Libro di novelle e di bel parlar gentile (ed. in Firenze, 1572, Nov. 49);
opera divenuta oggi assai rara. — Ecco il passo della novella che parla di
Accursio: «Addomando io (disse Accursio) al comune di Bologna che le
possessioni dei miei figliuoli siano a mia signoria, cioè dei miei scolari, li
quali sono grandi maestri divenuti et hanno molto guadagnato poi che io
mi partii da loro.» — In Bologna gli scolari, secondo lo storico
Ghirardacci, si solevano chiamare comunemente figli del popolo (filios
populi).
458.
Alidosi, Scrittori bolognesi, pag. 308.
459.
Savigny, Hist. du droit. rom., etc., III, pag. 149.
460.
Facciolati, Fasti, P. II, pag. 59.
461.
Alidosi, op. cit.
462.
Colle, St. dell'univ. di Padova, I, pag. 67.
463.
Sardeone, De antiq. Urb. Patav., lib. III.
464.
Baldo fu uno dei cinque sapienti (sapientes) che avevano la vigilanza
sulle scuole di diritto; poi giudice, ambasciatore e incaricato
dell'amministrazione militare. Fu incaricato della riforma degli statuti di
Pavia, vicario generale del vescovo di Todi, e consigliere pontificio
(Savigny, St. del dir. rom., etc., IV, pag. 234. — Vermiglioli, Biografie dei
perugini, «Baldo» pag. 124).
465.
Fabroni, Vita Cosimi Med., II, pag. 69.
466.
Vermiglioli, Scrittori perugini.
467. Fabroni, Vita Laurentii Med., II, pag. 75, 76 e Vita Cosimi, II, pag. 69.
468.
Sarti, P. I, pag. 136.
469.
Fabroni, Vita Cosimi I, vol. II, pag. 67. «Mos est fere omniun Medicorum
et Juris consultorum qui per studi a publica ad legendum conducuntur,
mutare frequenter propositum, et ut a pluribus ezpeti sua opera
videatur, electiones alias super alias quaerere ac se ipsos es
conducentes molestiis involvere....»
470.
Sarti, P. I, pag. 131.
471.
Sarti, App., pag. 96.
472.
Piacentini, Summa, Cod. IX, 8, ad leg. juliam, maj.
473.
Fabroni, Hist. Acad pis., I, cap. VII, P. II, pag. 303.
474.
Fabroni, op. cit., II, pag. 342.
475.
Colle, St. dello Studio di Padova, I, pag. 55.
476.
Diplovatac: In Hugolino.
478.
Vallauri, Storia delle università piemontesi.
479.
Quidam scholares invitaverunt ad prandium dominum Albericum qui
libentur concedebat et bibebat cum aliis.... Dum esset in mensa
Dominus Alberi, cum scholaribus illis, illi scholares dabant ei optimum
vinum rubeum. Dixit Dominus Alberi: Istum vinum est nimis fortis,
immisceatis aquam. Ipsi scholares immiscebant aquam. Ipsi scholares
immiscebant vinum album. Odofred. in leg. 6 Cod. de dolo II, XVI.
480.
Alidosi. Questo fatto vien narrato anche dallo stesso Azone, il quale
benchè perdesse il premio, disse di insistere nella sua prima opinione
«Licet ob hoc amiserim equum, sed non fuit aequum» (Azo, In sum
Codic. tit. de iurisd.)
481.
Sarti, P. I, pag. 35.
482.
Muratori, Antiq. Maed. Aevi, I, pag. 1062.
483.
Colle, Storia dell'univ. di Padova, II, pag. 85. — In nota è trascritto il
bizzarro testamento.
484.
Savigny, St. del diritto romano nel medio evo, vol. I, cap. XXI.
485.
Nel 1351 i fiorentini invitarono il Petrarca a onorare di sua presenza lo
Studio di recente da loro fondato sottomettendosi, purchè accettasse
l'insegnamento, a qualunque condizione egli avesse imposto. Ma il
Petrarca rispose alla Repubblica rifiutando l'ufficio. (De Sade, Vita di F.
Petrarca. — Tiraboschi, St. della Lett. Ital., tomo V, pag. 64).
Nota del Trascrittore
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