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UDU-LINK D Storia Contemporanea Donno

Il documento analizza le principali problematiche dell'Ottocento, evidenziando l'eredità dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese, che hanno promosso ideali di libertà e uguaglianza. Si discute anche della Rivoluzione industriale, delle rivoluzioni del 1848 in Europa e delle conseguenze politiche che ne sono derivate, come la nascita della II Repubblica in Francia e i moti insurrezionali nell'Impero Asburgico. Infine, viene esaminata la situazione della penisola italiana, caratterizzata da disparità economiche e politiche tra nord e sud.
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Il documento analizza le principali problematiche dell'Ottocento, evidenziando l'eredità dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese, che hanno promosso ideali di libertà e uguaglianza. Si discute anche della Rivoluzione industriale, delle rivoluzioni del 1848 in Europa e delle conseguenze politiche che ne sono derivate, come la nascita della II Repubblica in Francia e i moti insurrezionali nell'Impero Asburgico. Infine, viene esaminata la situazione della penisola italiana, caratterizzata da disparità economiche e politiche tra nord e sud.
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STORIA CONTEMPORANEA

CAP1-LE GRANDI PROBLEMATICHE DELL’OTTOCENTO

L’eredità dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese


Nel 1700 si ha l’affermazione di un nuovo, grande movimento culturale: l’Illuminismo,
caratterizzato dalla smisurata fiducia nella ragione, e dalla più ampia circolazione del sapere
(l’Encyclopédie) e di idee di tolleranza e libertà di pensiero. Sul piano politico porta avanti
una decisa lotta al dispotismo delle classi privilegiate, a favore di una società cosmopolita.
Parte dell’aristocrazia e la borghesia, in piena ascesa all’interno delle società, sono i veri
ambasciatori di questo movimento, soprattutto in Francia ed Inghilterra, che stavano
conoscendo una fase di grande espansione economica e demografica.
In Francia, l’illuminismo rappresentò il mezzo fondamentale per smantellare l’Ancien
Regime, che aveva i propri fondamenti nella monarchia di diritto divino e nei dogmi della
Chiesa, combattendo strenuamente il potere clericale, l’inquisizione, la tortura e tutto il
retaggio culturale medioevale.
Tra i grandi pensatori ricordiamo:
Voltaire: assertore di un razionalismo epurato da tutte le credenze d’indole oscurantista
predicate dalle istituzioni ecclesiastiche.
Montesquieu: sostenne la necessità della separazione dei poteri al fine di sconfiggere
qualunque forma di tirannia; favorevole a una monarchia costituzionale.
Rousseau: (più vicino a un liberalismo di matrice democratica) si fece promotore di un
modello di democrazia diretta che affondava le proprie radici nell’idea che tutti gli uomini
fossero uguali per natura e quindi tutti egualmente titolari del diritto alla vita, ai beni materiali,
alla libera diffusione delle proprie idee. Per lui il detentore della sovranità non era il re per
diritto divino, ma il popolo nel suo complesso che, attraverso un vero e proprio contratto,
aveva rinunciato alla libertà illimitata di cui godeva originariamente nello stato di natura.
Smith: riflessioni sull’economia di matrice illuministà; la ricerca della felicità e l’egoismo
individuale si sarebbero tradotti nella prosperità per tutti grazie alla libera iniziativa
individuale e alla mano invisibile.

-La Rivoluzione industriale e il nascente capitalismo


Fu soprattutto la borghesia a far circolare i saperi e le idee dell'illuminismo, dando inoltre vita
alle prime forme di opinione pubblica che, emancipatasi dal controllo dello Stato e della
chiesa, rivendicava il diritto legittimo di occuparsi delle questioni politiche.

-La Rivoluzione americana


Condotta, nel 1776, dalle 13 colonie inglesi della costa atlantica del Nord America contro la
madrepatria, portò all'indipendenza delle stesse e alla nascita degli Stati Uniti d'America. La
Dichiarazione d'Indipendenza è manifesto di tutti i principi della filosofia illuminista.

-La Rivoluzione francese


Vennero affermati, nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, i principi di libertà e
sovranità popolare, quali fondamento del potere politico. La Rivoluzione innescò una serie di
eventi e fenomeni che neppure la Restaurazione successiva riuscì a cancellare.
L’ascesa di Napoleone Bonaparte, fra il 1796 e il primo decennio del 19° secolo, portò alla
conquista, con il suo esercito, di gran parte del continente europeo e, forte di questi
successi, riuscì ad instaurare in Francia una dittatura personale, incoronandosi Imperatore
dei Francesi.
Le guerre napoleoniche di conquista finiranno inevitabilmente per diffondere, al di fuori della
Francia, gli ideali di libertà ed eguaglianza postulate dalla Rivoluzione del 1789.
Le sue campagne militari favorirono anche il sorgere e il radicarsi delle identità nazionali,
presso quei popoli che subirono l'invasione delle truppe francesi.

L'Europa dopo Vienna


Il Congresso convocato a Vienna dopo la definitiva sconfitta di Napoleone riunì gli statisti
d'Europa che, basandosi sui principi di legittimità dinastica e di equilibrio tra le potenze,
stabilirono di riportare sui troni europei i sovrani deposti dalle conquiste napoleoniche,
riconoscendogli il diritto divino. Al tempo stesso costruirono un sistema di relazioni
internazionali bilanciato, all'interno del quale non potesse emergere una potenza in grado di
imporsi sulle altre. Al termine del congresso:
In Spagna tornava sul trono re Ferdinando VII di Borbone, che pose immediatamente fine
alle garanzie costituzionali.
La Prussia aveva esteso i suoi territori verso ovest, incorporando la Sassonia.
I territori dell’Europa centrale, compresi parte di quelli prussiani ed austriaci, vennero uniti
nella Confederazione Germanica, che fu posta sotto la presidenza dell’imperatore d’Austria.
Nella penisola italiana furono reintrodotti i sovrani deposti dalle trasformazioni seguite
all'arrivo delle truppe napoleoniche.
Luigi XVIII di Borbone riprese possesso del trono di Francia, scegliendo di seguire una linea
moderata e, come primo atto, concesse una Costituzione: il ritorno all’assolutismo
dell'Ancien Regime non era più possibile.
La Russia poté vantare la sua forza militare, poiché era stata l’unica a non essere sconfitta
dall’avanzata francese
-Le rivoluzioni del 1848
Tra il 1848 e il 1849, l'Europa continentale fu attraversata da imponenti moti che segnarono
la crisi definitiva dell’assetto politico istituzionale definito dal Congresso di Vienna. Ai
principi della Restaurazione si contrappose la volontà della borghesia di avere un ruolo
politico attivo nella sfera del governo. Contestualmente cominciò ad affermarsi il principio di
nazionalità. Iniziarono nel febbraio/marzo e si estesero per tutta l' Europa in breve tempo.
(Italia, Francia, Austria e Confederazione) Nell’Europa continentale il progressivo allargarsi
dei movimenti venne favorito anche da una grave crisi economica agraria iniziata nel 1846,
che aveva causato ovunque un profondo malessere sociale, solo I'Inghilterra ne sembrò
indenne poiché industrializzata. In questo clima cominciavano a trovare ampi consensi tra gli
operai le rivendicazioni ispirate all’ideologia socialista. La borghesia liberal - democratica
influì sulla sfera sociale, ispirata dalla Rivoluzione Francese, assecondarono i moti popolari.
L'unione tra le masse e la borghesia fu fondamentale. I moti scoppiarono principalmente
nelle capitali, caratterizzate da grandi masse di lavoratori.
L’ondata rivoluzionaria si sviluppò a causa di ideali differenti e con modalità contrastanti:
In Francia, si alimentò di contrasti di classe e fu animata da ideali democratici.
Nei territori austriaci e nella penisola italiana prevalsero le lotte per l'indipendenza, l'unità
nazionale e l'istituzione di regimi liberali e costituzionali. L'Ungheria e i paesi slavi
dichiararono indipendenza dall'Impero Asburgico.
In Inghilterra l’ondata rivoluzionaria non attecchì, poiché i principi rivendicati erano già in
buona parte compresi all’interno del sistema istituzionale e la crisi economica non aveva
intaccato l’economia nazionale
Nella Russia zarista, i timidi movimenti insurrezionali vennero duramente repressi

Francia
Luigi Filippo d'Orleans era al trono di una monarchia liberale, e proprio per questo l’ondata
rivoluzionaria attecchì. Si creò un fronte antimonarchico socialista e liberal- conservatore. Il
fronte, troppo eterogeneo, entrò in conflitto poco dopo. Richiesero l'estensione del diritto di
voto (richiesta univoca in tutti gli stati per il suffragio maschile). Le componenti si
scontrarono dapprima in Parlamento per poi estendere la protesta nelle strade nella
cosiddetta “campagna dei banchetti” (organizzando incontri pubblici e privati). Il re richiese
l'intervento delle forze dell'ordine che dispersero le folle.
Il 22 febbraio scoppiò ufficialmente il moto quando sciolsero uno dei banchetti. Luigi
d'Orleans inviò la Guardia Nazionale, formata da figli di borghesi, che si unirono alla protesta
e costrinsero il re alla fuga da Parigi. Si istituì un governo provvisorio nel quale entrarono i
rappresentanti di tutti gli schieramenti (liberali, moderati, repubblicani e socialisti). Le
campagne francesi rimangono quasi all'oscuro mentre a Parigi si preparavano i lavori
costituenti. Due ministeri del nuovo governo vennero affidati a lavoratori. Nasce la II
Repubblica.
Vengono, tra le altre cose: abrogata la limitazione ai diritti di associazione e riunione, dato
nuovo rigore di stampa, abolita la pena di morte per reati politici, ridotta la giornata lavorativa
(11 ore), riconosciuto il diritto al lavoro per la prima volta nella storia.
Il governo si premurò di precisare che la situazione francese era circoscritta, contro
l'opinione socialista e si produsse una prima spaccatura. Nascono le officine nazionali, delle
cooperative finanziate dallo stato, ma si trasformarono in un peso sull'economia statale,
producendo una nuova spaccatura nel fronte. Con l'elezione della Costituente si ebbe
l'ultima spaccatura del fronte antimonarchico poiché le campagne francesi votarono per le
forze conservatrici isolando le posizioni cittadine. La maggioranza conservatrice si oppose e
alla ribellione socialista la Guardia Nazionale intervenne per reprimere le proteste. Il nuovo
governo chiuse le officine e l'esercito intervenne per sedare le nuove proteste.
Marx parlò del I° scontro di classe: si delinea quel confronto di classe che caratterizzerà il
900. Le elezioni dell’Assemblea costituente decretarono la vittoria schiacciante dei moderati,
sostenuti da un elettorato rurale tradizionalmente conservatore.
La nuova costituzione si ispirò a quella americana e previde un Presidente della Repubblica
e un'unica assemblea legislativa eletta. La neonata Repubblica si presentava però con un
profilo alquanto diffidente nei confronti della democrazia assembleare: ne fu prova la stessa
Costituzione che, pur prevedendo l'elezione a suffragio universale maschile dell'Assemblea
Nazionale e un sistema monocamerale, concedeva al Presidente, eletto direttamente dai
cittadini, poteri molto ampi, tra cui la titolarità del governo.
Alle elezioni, per i conservatori si propose Luigi Napoleone Bonaparte contro le forze
frantumate di opposizione e venne eletto come primo Presidente della Repubblica.
Da Parigi i moti si estesero all'area tedesca e alla penisola italica. La stragrande
maggioranza alla popolazione era appartenente alla classe contadina.

Impero Asburgico
Nell'Impero asburgico, dove era assente il motivo del contrasto di classe, a rendere ancor
più problematici i conflitti fra le forze rivoluzionarie si aggiunse la questione nazionale: i
popoli soggetti alla dominazione asburgica (polacchi, boemi, italiani e ungheresi) si
convinsero che il momento fosse propizio per ribellarsi alla dominazione straniera ed
ottenere l'indipendenza nazionale. A Vienna, scoppiano i moti il 13 marzo con le prime
manifestazione di lavoratori e studenti, che sfociarono poi in violenza e vennero represse
dall'esercito. L'imperatore Ferdinando I diede ascolto alle richieste popolari, evitando, in un
primo momento, la fuga, concedendo un Parlamento a suffragio universale.
Il 15 marzo insorse Budapest, il 17 e 18 Milano e Venezia, il 19 Praga. Slavi e ungheresi si
dichiararono indipendenti e costituirono un loro governo, garantendosi il favore delle
campagne tramite l'abolizione della servitù della gleba. Venne eletto un parlamento e
organizzato un esercito nazionale ungherese.
L'impero d'Austria chiese aiuto allo Zar, che intervenne per timore degli indipendentisti
ungheresi, per sedare le rivolta a Budapest. L'Austria si concentrò poi per reprimere le
rivolte venete, e, con la resa di Venezia, cadde l'ultimo baluardo dei rivoltosi del regno di
Sardegna e si ebbe una fine alla rivoluzione liberale in Europa. Le insurrezioni non ebbero
buon fine per il poco coinvolgimento popolare ed i dissidi nei fronti anti-monarchici. Boemia,
Galizia, Slovacchia e Ruternia (nord), e poi Croazia e Slovenia (sud), si unirono per
discutere il legame con la corona imperiale ma non riuscirono ad accordarsi e l'esercito
asburgico accerchiò Praga e soffocò i moti slavi.
Ferdinando I abolì poi la servitù della gleba per ingraziarsi il favore dei contadini e sfruttò la
paura delle classi aristocratiche e borghesi di un possibile crollo dello Stato, cosa che non
impedì alla stessa popolazione viennese di opporsi, invano, all'invio di truppe imperiali per
sedare i moti.
Dopo la fuga, Ferdinando I abdicò a favore del nipote, Francesco Giuseppe I.

Regno di Prussia
Nel mondo germanico i sovrani della Confederazione furono costretti a concedere
ordinamenti liberali. Si giunse così, in questi territori, all’elezione a suffragio universale
maschile di un’assemblea costituente dove dovevano essere rappresentati tutti gli Stati
tedeschi.
Il 21 marzo a Berlino scoppiano i moti. Federico Guglielmo IV agì d'anticipo e favorì la libertà
di stampa e la concessioni. Gli stati satelliti non si sottoposero al controllo della corona e
richiesero la creazione di un'assemblea federale degli Stati tedeschi. L'Assemblea di
Francoforte discusse su due fronti: se affidare la guida della Confederazione alla Prussia o
all'Impero austriaco. Vi fu una contrapposizione tra i "grandi tedeschi" ( favorevoli
unificazione all'Austria) " piccoli tedeschi" (favorevoli all'unificazione indipendente
dall'Austria) Prevalsero i piccoli tedeschi ma Guglielmo IV si rifiutò di prendere la guida della
Confederazione, per non entrare in conflitto con l’Impero asburgico. L'esperimento falli e la
situazione tornò sotto controllo monarchico.

Penisola Italiana
La penisola, nella metà del 1800, era già a due velocità: al nord le zone più avanzate, come
il regno di Sardegna, sotto la guida di Carlo Alberto, e il regno del Lombardo-Veneto sotto il
controllo degli austriaci, a sud troviamo un'economia quasi del tutto agraria e un'arretratezza
generale. Lo Stato Pontificio era parecchio esteso, da Roma fino a Ravenna, sotto il
comando di Pio IX, monarca assoluto. Il sud era dominato dal regno delle due Sicilie
governato da Ferdinando II Borbone era il sovrano. Questa monarchia era considerata
arretrata da parte delle altre potenze europee. La penisola italiana fu la prima investita dai
moti rivoluzionari, in particolare a Palermo, che richiedeva l'indipendenza e il popolo
costrinse Ferdinando II di Borbone a concedere una Costituzione, seguito dopo pochi giorni
da quasi tutti i sovrani della penisola. L'indipendentismo era una motivazione determinante,
specie in Lombardia ed in Veneto, che si rivolgeva ai rispettivi sovrani richiedendo una
soluzione alla crisi economica e maggiori libertà, come la richiesta di una Costituzione, che
venne concessa dai sovrani, primo fra tutti Ferdinando Borbone, accomodando le proteste
dei rivoltosi.

Carlo Alberto di Savoia concesse ai propri regnicoli lo Statuto Albertino, una carta
Costituzionale che pose le basi dell'Italia. Concesse una Camera dei Deputati, eletto da
un'elite: il voto veniva elargito ai maschi in base al censo. Venne inoltre concesso un Senato
Regio. Nella carta Costituzionale venivano poi dichiarati diritti e doveri dei cittadini: l'art. 24
sanciva l'uguaglianza formale dei regnicoli, l'art. 25 sanciva la progressività delle imposte,
l'art. 26 libertà individuale, l'art. 27 la libertà di domicilio, l'art. 28 la libertà di stampa, l'art. 29
le proprietà inviolabili, l'art. 32 le libertà di riunione pacifica e senz'armi. Tutte queste libertà
hanno la riserva di giurisdizione e possono venir limitate solo dall'autorità. Intorno allo
Statuto, ed intorno al Regno di Piemonte si sarebbero agganciati tutti gli altri regni e ducati
che formeranno il Regno d'Italia. Attorno allo Statuto Albertino si riunirono tutti i democratici,
progettando di unificare l'Italia sotto la monarchia sabauda. Fu la volontà democratica a
portare all'Unificazione e solo istituzionalmente si mosse la monarchia.
Carlo Alberto, dopo aver concesso lo Statuto Alberto, ha una gran occasione: aiutare i
lombardi e i veneti per strappare il territorio all’Impero asburgico. Dopo l'insurrezione di
Vienna, insorge Venezia con una grande manifestazione, che spinge l'imperatore austriaco
ad accogliere l'istanza di liberare alcuni prigionieri politici, tra cui Daniele Manin, avvocato,
che si mette poi a capo dei rivoltosi allontanando l'esercito austriaco e spingendolo al
confine. La presenza austriaca decade e si proclama la nascita della Repubblica Veneta,
similmente a Parigi.
Il 18 marzo insorge Milano con le famose Cinque giornate, che portarono a scontri di
guerriglia per le strade. La peculiarità di questa insurrezione è che i milanesi erano del tutto
compatti, borghesi e non. Leader di questa insurrezione era Carlo Cattaneo che dichiara
decaduta la presenza austriaca e crea un governo provvisorio.
Carlo Alberto dichiara guerra all'Austria per poter annettere le province del
Lombardo-Veneto. Si unirono allo scontro: Leopoldo II di Toscana, Pio IX, Ferdinando II di
Borbone. Appena appresero però le intenzioni di Carlo Alberto di riunire il nord decisero di
ritirarsi dal conflitto. Il conflitto continuò sotto la guida di Carlo Alberto e con l’intervento di
migliaia di volontari, che si unirono agli eserciti regolari, tra cui Mazzini e Garibaldi, con
l'obiettivo di creare una gran guerra di popolo contro gli austriaci. Restò estranea la
popolazione delle campagne che si mostrò quasi avversa all'opera dei volontari. Carlo
Alberto viene sconfitto nella battaglia di Custoza e firma l'armistizio e vengono sconfitti
anche i rivoltosi milanesi. Nel regno di Sardegna era prevista era una camera elettiva a
suffragio ristretto e un governo che agiva con la sola fiducia del sovrano. Un primo attrito tra
sovrano e parlamento si verificò proprio per la firma della pace con l'Austria, quando la
camera si rifiutò di ratificare il documento. Massimo d'Azeglio, allora Primo Ministro, non
potè opporsi e Vittorio Emanuele sciolse la camera, emettendo il "proclama di Moncalieri",
chiedendo all'elettorato di eleggere membri moderati, minacciando altrimenti l'abrogazione
dello Statuto. La maggioranza moderata eletta ratificò la pace.
Conclusasi la guerra col regno di Sardegna e ritornata alla normalità la situazione nei territori
dell'impero, l'esercito austriaco poté riprendere con vigore l'opera di restaurazione nel resto
della penisola, a sostegno del Papa e dei sovrani legati alla corona asburgica: fu così, che le
truppe austriache intervennero in Toscana, a Venezia e nelle legazioni pontificie, soffocando
la resistenza degli insorti. Il solo, ma decisivo, lascito di questa “primavera dei popoli”
furono le Costituzioni, che molti sovrani decisero di continuare a concedere una volta
riportato l'ordine nei propri territori. L’anno successivo, Carlo Alberto riaprì il conflitto con gli
austriaci, ma venne poi sconfitto a Novara e costretto a sottoscrivere un nuovo armistizio.
Dopo il rientro austriaco sui territori di Milano e Venezia, venne affidato il governo militare a
Radetzky. Venne aumentata la pressione fiscale delle imposte indirette e dirette, che
colpivano quindi tutta la popolazione, e non vi fu poi l'investimento in opere pubbliche, che
scatenò il malcontento. Dopo un paio d'anni il governo austriaco concesse un'amnistia dei
rivoltosi e diminuirono le tasse sull'agricoltura per cercare garantirsi il favore popolare.
Il papa, dal canto suo, fu costretto dai rivolto ad abbandonare Roma e a trovare rifugio a
Gaeta, sotto la protezione dei Borbone. Roma cadde nelle mani dei rivoltosi e venne
proclamata le Repubblica Romana, che causò inoltre la fuga di Leopoldo II da Firenze. Papa
Pio IX lanciò l'appello nei confronti di tutte le potenze cattoliche europee a difesa dello Stato
Pontificio. Fu effettuata nel frattempo una riforma agraria, che sanciva la redistribuzione dei
territori della Chiesa ai contadini. Napoleone III fu il primo a rispondere all'appello del Papa,
poiché, in quanto conservatore, era per lui fondamentale consolidare il rapporto con le
componenti cattoliche francesi.
Nel regno delle Due Sicilie, così come nello Stato pontificio, la repressione fu dura e
sommaria. Mancò del tutto lo sviluppo economico che aveva caratterizzato gli altri stati dopo
i moti e venne introdotta una misura di protezionismo tramite l'imposizione di dazi a favore
delle industrie campane. Furono i prodotti frutticoli a soffrirne maggiormente. La pressione
fiscale era più bassa, ma mancavano gli investimenti pubblici.

Stato e società
Ben presto fu chiaro che l'industrializzazione finiva per apportare benefici solo a una parte
minoritaria della popolazione e proprio in questo senso la Gran Bretagna fu il primo paese a
mostrare i vizi e le virtù del neonato sistema capitalistico. La sottostimata remunerazione
degli operai e l’urbanizzazione crearono problemi sociali nuovi e drammatici, mettendo in
luce le precarie condizioni di vita di tutta la classe operaia.
Nella fase del pieno sviluppo economico capitalistico fu dunque necessario rivedere il
vecchio sistema, sottoposto a forti critiche da parte di intellettuali e politici liberali.
Dopo la crisi rivoluzionaria del 1848 si aprì una nuova, grande fase di crescita economica
che, protrattasi fino alla metà degli anni '70 del 19° secolo, coinvolse gran parte dell’Europa
e alcuni paesi extraeuropei. Nonostante questo impetuoso sviluppo cominciasse a profilare
un regime di concorrenza tra le diverse economie nazionali, il modello liberista, affermatosi
con la rivoluzione industriale inglese del 700, non fu messo inizialmente in crisi. L'ideologia
del “laissez-faire”, il cui teorico Smith riteneva che il rapporto fra domanda e offerta operasse
come una mano invisibile capace di regolare il mercato verso l'esito migliore, divenne
dominante e contribuì a creare un diffuso senso di euforia, sicurezza e orgoglio all'interno
del complesso e multiforme mondo borghese che si stava affermando a livello commerciale,
imprenditoriale e finanziario.Questa illimitata fiducia nel progresso industriale e materiale
subì una battuta di arresto di fronte alla contrazione dello sviluppo economico, che si verificò
a partire dal 1873 e durò fino alla metà degli anni '90. La Grande Depressione mise in luce la
complessità del sistema capitalistico ed i problemi connessi ai fenomeni di
sovrapproduzione. La crisi economica degli anni '70 e '80 e la sempre più accentuata
concorrenza fra le diverse economie nazionali indussero molti paesi a ridefinire in senso
protezionista i loro sistemi produttivi. Questa politica finì per incidere anche nel rapporto fra
gli Stati dal momento che l'economia sempre più concorrenziale aveva ripercussioni anche
sul piano delle relazioni internazionali.
Dal punto di vista sociale, la grande crescita economica di metà 800 ebbe come effetto sia la
nascita di un nuovo gruppo sociale, il proletariato industriale, sia un’urbanizzazione
convulsa, dovuta all’imponente flusso migratorio verso i centri urbani. Nelle città i lavoratori
finivano spesso per smarrire i tradizionali riferimenti religiosi e culturali, mentre, all'interno e
all'esterno dei luoghi di lavoro, cominciava a delinearsi una vera coscienza di classe: ossia
la consapevolezza che la lotta per combattere lo sfruttamento non si poteva condurre
singolarmente ma era necessario essere uniti. La Gran Bretagna fu il primo paese in cui
nacquero organizzazioni sindacali di mestiere, le Trade Unions.
Un importante contributo teorico nella definizione del nuovo assetto socio-economico
mondiale era stato dato, fin dal 1848, da Karl Marx e Friedrich Engels con il “Manifesto del
Partito comunista”, in cui si interpretava l'evoluzione dei rapporti sociali in termini di lotta di
classe e si invitavano all'unità i proletari di tutto il mondo. Tale “socialismo scientifico” si
basava su una concezione materialista del divenire storico.
Marx sviluppò poi ampiamente le sue teorie in un'opera, il Capitale, nella quale delineava
una critica serrata del capitalismo, una previsione negativa dei suoi sviluppi futuri e
un’indicazione dei compiti che spettavano al proletariato, considerato il nuovo soggetto
rivoluzionario della storia.

Le ideologie diventano partiti


L'età contemporanea viene spesso definita come l' “età delle ideologie”.
Nel corso dell'Ottocento si affermarono in Europa quattro grandi famiglie ideologiche:
Reazionarismo: questa ideologia intendeva opporsi a tutti i valori della cultura rivoluzionaria
e in primo luogo al presupposto di ricreare politica e società secondo un ordine razionale,
trascurando completamente l'eredità della tradizione e dei valori religiosi. In seguito, il
reazionarismo di fine ‘800 cessò di tentare di ristabilire l'ordine di antico regime e trovò una
nuova veste politica: la difesa ad oltranza della nazione.

Conservatorismo: questo filone ideologico si può collocare accanto a quello reazionario.


Diffida decisamente dello spirito di cambiamento introdotto dalla Rivoluzione e si impegnava
a mitigarne gli effetti e rallentare la diffusione delle trasformazioni sociali. Nella seconda
metà dell'Ottocento, il conservatorismo cominciò a mostrare un’attenzione sempre più
accentuata per i nuovi problemi sociali legati allo sviluppo dell'industrializzazione con
un’ottica paternalistica, secondo la quale le classi più agiate dovevano provvedere al
benessere dei gruppi più svantaggiati, anche al fine di impedire o attenuare proteste e
rivendicazioni. Tale evoluzione ideologica fu in parte veicolata dalle propensioni sociali
acquisite dal cattolicesimo politico dopo la pubblicazione dell'enciclica “Rerum Novarum” da
parte di Papa Leone XII: per la prima volta la Chiesa affronta esplicitamente i nuovi problemi
sociali e, pur condannando le teorie socialiste e sindacaliste, invitava operai e imprenditori
ad una soluzione pacifica delle contese e vantaggiosa per entrambi, sollecitando inoltre i
cattolici a impegnarsi nel settore dell'assistenza. Con il tempo i conservatori diventarono i
principali artefici di una politica estera aggressiva di stampo nazionalista e colonialista, e il
richiamo alla coesione nazionale fu utilizzato da tali gruppi come elemento di coesione di
fronte all’emergere di partiti socialisti e della competizione tra le classi.

Liberalismo: fulcro di tale ideologia era l’individualismo, ovvero la salvaguardia


dell'autonomia del singolo. La razionalità dell’individuo e la sua autonomia di giudizio e di
azione, che avevano costituito la base teorica delle Rivoluzioni americana e francese,
diventarono i pilastri concettuali e politici del pensiero liberale americano ed europeo. Anche
questa ideologia, sul finire del secolo, cominciò a cambiare alcuni dei suoi presupposti
originali: i liberali non rimasero insensibili al richiamo del nazionalismo e ai nuovi problemi
legati allo sviluppo industriale, rivedendo le teorie economiche classiche ed elaborando il
concetto di libertà positiva: non era più sufficiente che l'individuo non fosse ostacolato nella
sua realizzazione, ma dovevano essere forniti anche gli strumenti minimi perché potesse
davvero riuscire a vivere come desiderava. Su queste basi, si sviluppò in Gran Bretagna,
all'inizio del 900, la corrente del nuovo liberalismo, mentre negli anni fra le due guerre
mondiali si costruirono le fondamenta del moderno stato sociale.

Radicalismo: si tratta di una corrente ideologica legata alla famiglia liberale, ma


fondamentalmente più democratica. Accanto ai tradizionali valori della difesa dei diritti
individuali, della limitazione del potere statale e della libertà economica, il radicalismo
ottocentesco si batte per avvicinare il più possibile le istituzioni rappresentative al popolo,
attraverso la concessione del suffragio universale, la moralizzazione delle procedure
elettorali e la retribuzione dei deputati. Già all'inizio del 20° secolo, le classi politiche liberali
finirono per accettare l'idea dell'estensione del suffragio e finirono per dotarsi di istituzioni
tendenzialmente sempre più democratiche.

Socialismo: poneva come priorità il perseguimento del benessere del corpo sociale e
conduceva a sostenere una forma compiuta di democrazia, con la partecipazione di tutti i
cittadini. Sul piano economico, teorizzava la scomparsa della proprietà privata e il
passaggio a forme collettivistiche di possesso e gestione dei beni. Dopo gli esordi del
socialismo utopista di inizio ‘800, il contributo più rilevante ed influente all’ideologia socialista
venne fornito dalla riflessione di Marx ed Engels, i quali ritenevano inevitabile il
rovesciamento del capitalismo e della borghesia ad opera della classe in quel momento
oppressa e sfruttata, il proletariato. La dittatura del proletariato che ne sarebbe conseguita
sarebbe stata solo transitoria: avrebbe fatto scaturire una società senza classi, senza
proprietà privata e, allo stesso tempo, priva di disuguaglianze e disparità sociali. Negli ultimi
decenni dell'Ottocento cominciarono essere fondati, in tutti i paesi europei, partiti politici che
s’ispiravano direttamente all’ideologia socialista (il più grande ed influente era quello
tedesco).

I primi movimenti suffragisti


Il processo rivoluzionario coinvolse ben presto anche il ruolo delle donne nella sfera privata
e in quella pubblica.
La secolare esclusione delle donne dalla politica affondava le radici in nella divisione
tramandata dal pensiero greco classico, e di fronte a questo antico e radicato schema,
anche il costituzionalismo liberale, nonostante la sua attenzione per i diritti individuali e la
centralità del contrattualismo nel rapporto fra i singoli e lo stato, finiva per entrare in
contraddizione. Infatti, nella definizione liberale dell'individuo come soggetto libero ed
autonomo, non venivano di solito compreso le donne. Proprio questa contraddizione fu
all'origine del movimento di rivendicazione del diritto di voto e, in generale, dei diritti di
cittadinanza per le donne, che mosse i primi passi a partire dalla fine del ‘700 soprattutto
negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e Francia.
Le prime femministe chiedevano per le donne l'uguaglianza e la parità dei diritti con gli
uomini, nel presupposto di rendere veramente universale il concetto di individuo che era al
centro del moderno costituzionalismo.
Il testo fondativo del movimento di rivendicazione dei diritti delle donne fu opera della
francese Olympe de Gouges con la sua “Dichiarazione dei diritti della donna e della
cittadina”, che prendeva spunto direttamente dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo
approvata due anni prima nel corso della Rivoluzione francese. Ricalcandone la struttura e
attaccandone la contraddizione, la Dichiarazione ribadiva la necessità che i diritti naturali e
l'uguaglianza politica e sociale fossero estesi anche a tutto il genere femminile.
Nel 1848, mentre il movimento si ridestava in tutta Europa a fianco dei moti rivoluzionari, le
femministe americane cercarono di sovrapporre le rivendicazioni delle donne a quelle
dell’abolizione della schiavitù dei neri. Il presupposto era la costruzione di una forte analogia
tra l’incapacità giuridica nella quale erano tenute le donne e quella che opprimeva i neri. Tale
binomio non portò a grandi risultati per le donne e il movimento suffragista americano
dovette proseguire la propria battaglia in modo autonomo dopo che, nel 1863, la schiavitù fu
abolita.
Con le grandi accelerazioni economico-industriali della seconda metà dell'Ottocento, le
femministe, europee ed americane, si resero conto che la conquista del diritto di voto non
sarebbe stata sufficiente per garantire alle donne la piena autonomia e realizzazione
individuale. Oltre ai diritti politici, quindi, le battaglie femministe cominciarono a comprendere
tutti quegli aspetti (come il diritto di accesso all'istruzione e al mondo del lavoro) che
dovevano mettere fine a qualsiasi vincolo di subordinazione nei confronti dell'uomo. Così la
lotta femminista finiva spesso per associarsi a quella dei partiti socialisti.
Da un lato, però molti partiti, anche quelli democratico-progressisti, si mostrarono alquanto
refrattari ad accogliere le tematiche del suffragismo e del femminismo. Dall'altro, poi, anche i
partiti socialisti europei non sempre accettarono le istanze dei diritti femminili, sia perché
tendevano a considerarli diritti borghesi, in quanto a patrocinare erano soprattutto donne
delle classi medio-alte, sia perché temevano che questa battaglia avrebbe potuto
danneggiare la causa del proletariato.
La vera accelerazione per i diritti delle donne si ebbe solo alla fine dell'Ottocento, messa in
moto dal meccanismo che, dopo la Prima guerra mondiale, con il suo massiccio impiego di
manodopera femminile nell’industria bellica al posto degli uomini inviati al fronte, portò in
molti paesi alla concessione del diritto di voto alle donne.

Dalla politica come decisione alla politica come mediazione


La fine dei regimi assoluti, innescata dalla Rivoluzione francese e, dopo la Restaurazione
del 1815, accelerata dai moti del 1848, comporta una radicale trasformazione non solo nel
rapporto fra sovrano e istituto governativo, ma anche nel modo di intendere e formulare il
processo della decisione politica: nel corso della prima metà del 19° secolo si avviarono dei
processi che condussero la società civile a porsi come soggetto autonomo ed interlocutore
del sovrano nella gestione dello spazio pubblico. Il Costituzionalismo ottocentesco scaturì,
infatti, in una fase in cui le trasformazioni economico-sociali stavano portando la diffusione
dei principi del liberalismo e alla rivendicazione di un diritto di critica e di partecipazione alle
decisioni politiche le quali, di conseguenza, non potevano più restare appannaggio esclusivo
dei monarchi.

In Gran Bretagna, dove questo processo ebbe inizio già alla fine del 17° secolo, i
protagonisti della Glorious Revolution del 1688, che rivendicavano gli antichi diritti e le
antiche libertà, vollero mettere il Parlamento al centro del sistema,dove il sovrano, la nobiltà
e la borghesia interagivano per la gestione dello spazio politico. Inizialmente tale rivoluzione
diede vita a una forma di governo costituzionale pura, dove la titolarità del potere esecutivo
restava nelle mani del sovrano, secondo la formula del “King in Parliament”, che faceva del
Re il primo rappresentante della corona in Parlamento, e consacrando di fatto il principio
rappresentativo.
La nascita del costituzionalismo moderno, così come si venne profilando in Gran Bretagna
già nel corso del 18° secolo, implica due importanti cambiamenti nel modo di intendere e
organizzare il potere politico: il sistema costituzionale-parlamentare poneva dei vincoli al
potere del sovrano, che non poteva più essere assoluto e svincolato dalle leggi ma doveva
essere gestito all'interno del Parlamento. Il principio della divisione dei poteri, teorizzato dai
filosofi illuministi e soprattutto da Montesquieu, fu il necessario corollario della limitazione
dell’autorità del sovrano: questi non poteva intervenire nell’amministrazione della giustizia e
doveva riconoscere piena libertà ai rappresentanti politici.
La nascita del costituzionalismo parlamentare portò anche, soprattutto in concomitanza con
l'avvento dei primi partiti politici, alla definizione del Parlamento non più solo come organo
che doveva limitare il potere del re, ma anche come luogo in cui la decisione politica doveva
scaturire dalla mediazione fra le diverse parti e diversi interessi. La decisione politica, in altre
parole, diventava il frutto della discussione e della mediazione fra i vari gruppi, secondo la
formula del “governament by discussion”, affermando il carattere aperto e plurale della
decisione politica frutto della mediazione quotidiana tra interessi spesso antagonisti, alla
base di molti dei sistemi liberal-parlamentari ottocenteschi.
La sostanziale omogeneità, sociale e culturale, dell'élite politiche europee e il suffragio
ristretto fecero sì che, nel corso del 1800, i vari parlamenti fossero, in realtà, espressione di
domande politiche relativamente circoscritte e provenienti da gruppi sociali uniformi. Lo stato
liberale entrò in crisi proprio quando non riuscì più a garantire l’omogeneità politica dei
rappresentanti e, di conseguenza, a escludere dalle istituzioni il conflitto vero e proprio.
Il progressivo allargamento del suffragio elettorale e la nascita dei partiti socialisti (a cui fece
seguito anche la creazione di formazioni politiche strutturate da parte dei liberali), portarono
ad estendere lo spazio della decisione politica, e dunque del conflitto, fino a un punto tale
che i vecchi strumenti della mediazione e del government by discussion non furono più
sufficienti a gestirlo e controllarlo.

CAP2-LE TRASFORMAZIONI DELL’EUROPA


Inghilterra
Durante il periodo di profonde rivoluzioni sociali dei moti del 1848, la Gran Bretagna rimase
a guardare, perché era la potenza più sviluppata di tutt'Europa, con quasi la metà della
popolazione impegnata nella produzione industriale. Produceva enormi quantità del carbone
europeo, circa i 2/3, e la metà del ferro di tutto il mondo. Inoltre possedeva una flotta
mercantile superiore alla metà della flotta mercantile del resto dei paesi europei assieme.
L’Inghilterra si mostrerà inoltre particolarmente insofferente nei confronti del regno delle Due
Sicilie, gravemente arretrato, e la stessa marina inglese non si opporrà alla spedizione
garibaldina che aveva il preciso scopo di abbattere la monarchia borbonica.
Il sistema politico costituzionale avanzato aveva affrontato in modo lineare e non traumatico
il passaggio a un sistema politico fondato sulla sovranità della nazione e del Parlamento: la
balance istituzionale viene fondata sulla monarchia,sull’aristocrazia e sulla rappresentanza
popolare, creando un sistema politico regolare e solido.
Il potere legislativo era detenuto da due camere: una elettiva, quella dei comuni, che riuniva i
rappresentanti delle diverse comunità della nazione, l’altra ereditaria, quella dei Lord, a cui
avevano accesso membri dell'aristocrazia e della chiesa anglicana.
La prassi istituzionale finì per limitare sempre di più i poteri politici effettivi della corona e
instaurare un rapporto fiduciario tra Parlamento e governo. Lungi dall' essere un sistema
completamente democratico, si fondava su un’estensione limitata del suffragio e la
camera elettiva era espressione solo delle classi medie e medio alte. Nel 1867, con il
Second Reform Act, varato dal governo conservatore di Disraeli, il corpo elettorale aumentò
di quasi 1.000.000 uomini: il diritto di voto fu concesso non solo ai proprietari di beni mobili
e immobili, ma anche a chi, nei centri urbani, pagava un affitto.
Tra gli anni '50 e '60, dal punto di vista politico l’incontrastata egemonia moderata dei Whig
rappresentò il culmine della Golden Age vittoriana e della supremazia economica e culturale
del modello britannico.
A partire soprattutto dagli anni '70 dell'Ottocento, la figura della regina Vittoria contribuì molto
al consolidamento del sistema liberal-parlamentare e alla creazione di una solida identità
nazionale del popolo inglese. Pur non rinunciando a un ruolo da protagonista nella vita
politica, la regina accettò di fatto la crescente centralità del sistema partitico, riuscendo a
reinventare l'immagine della monarchia in senso più moderno e conforme agli sviluppi del
sistema parlamentare.
Nel 1865, il conflitto politico riprese vigore, concentrandosi soprattutto sulla questione
dell’estensione del suffragio. Il governo passò al leader del partito liberale Gladstone, che
portò avanti diverse riforme:
Con l'Education Act, migliorò il funzionamento dell’istruzione pubblica ridimensionando
anche il peso della Chiesa anglicana nelle scuole,
Fu riformata l'amministrazione pubblica.
Da sempre attento alle rivendicazioni dell’Irlanda che aveva sviluppato un forte movimento
nazionalista fautore dell'autonomia irlandese dal resto del Regno Unito, cercò la via della
conciliazione eliminando i privilegi della chiesa anglicana in Irlanda con l’Irish Land Act.
Nonostante tali misure, però, alle elezioni del 1874 la maggior parte delle circoscrizioni
irlandesi elessero rappresentanti del partito nazionalista, favorevoli alla creazione di un
Parlamento irlandese autonomo.
I conservatori di Disraeli tornano al governo e si registra subito un forte attivismo in politica
estera: promossero la politica coloniale britannica, in particolare il consolidamento dei
possessi indiani, e cercarono di assicurare alla Gran Bretagna un ruolo più attivo nella
gestione degli affari europei.
Gladstone intraprende una campagna contro la politica estera di Disraeli e nel 1880 il partito
liberale trionfa alle elezioni. Il nuovo esecutivo si ritrova molto più diviso in fazioni del suo
precedente governo, per via della scissione interna tra l'ala moderata e radicale del partito.
Gladstone, nonostante i propositi della campagna elettorale, non poté rovesciare
completamente la politica estera del suo predecessore e il suo indirizzo imperialistico. In
politica interna promosse il Third Reform Act, la nuova legge elettorale che fece
sensibilmente salire il numero degli elettori.
Promosse una legge per l’Home Rule, l'auto governo irlandese, spezzando per sempre
l'unità dei liberali inglesi e,
tentando di soddisfare le aspirazioni autonomistiche dell’Irlanda, concedendole alcune
autonomie parlamentari, con l'obiettivo di mettere fine alle azioni terroristiche. Così facendo
mise perse la maggioranza di governo e si dimise, mentre il partito conobbe uno scisma
definitivo.
Questa crisi lasciò il partito liberale più piccolo e meno ricco, ma al tempo stesso più
compatto e radicale.
Il partito conservatore, grazie anche all’apporto del gruppo unionista, riuscì a proseguire
sulla strada iniziata da Disraeli, combinando riformismo sociale, nazionalismo e politica
imperialistica. I conservatori si assicurarono una lunga fase di egemonia politica mentre il
partito liberale rimase quasi ininterrottamente per 20 anni lontano dal governo. Il paese
registrò una notevole crescita economica, grazie all’ampliamento dei commerci, alla
massiccia industrializzazione, alla rete ferroviaria, tra le più sviluppate, e alla più grande
flotta mercantile.
Dal punto di vista sociale, questo strepitoso sviluppo economico portò al consolidamento
della classe media: i valori fondamentali dell'etica borghese, come la austerità, l'inclinazione
al risparmio, il rispetto dell'autorità del capofamiglia, la subordinazione della donna, il decoro
della famiglia, cominciarono a permeare pian piano il resto della popolazione. Anche la
classe lavoratrice conobbe un discreto miglioramento del proprio tenore di vita e iniziò a
fare propri i comportamenti e valori della rispettabilità borghese.

La società europea dopo i moti


La rivoluzione porta ad un colloquio più aperto tra la classe operaia e la borghesia. I sovrani
tornano sui loro troni, ad eccezione di Luigi Filippo d'Orleans, ed attuarono misure restrittive
per punire i rivoltosi (o i presunti tali).
Di fatto, solo lo Statuto Albertino rimase in vigore, a garanzia dei diritti ottenuti.
Vi fu una fase di sviluppo economico per circa un ventennio, che delineò maggiormente la
suddivisione degli attori sociali protagonisti del XX secolo:
classe borghese; razionale e legata al positivismo: si afferma durante la seconda metà del
XIX secolo la cosiddetta “età della borghesia”, un'età di grandi cambiamenti che
interessarono l'Europa, ad eccezione dell'Inghilterra, che li aveva già sperimentati. La
borghesia fu protagonista dello sviluppo economico ma non della direzione politica degli
stati, che rimarrà appannaggio esclusivo della Corona e dell'aristocrazia. Era una classe
colta e laboriosa, credente nel progresso e nello sviluppo scientifico, così come nel merito
individuale, nella libera iniziativa e nella sana concorrenza. E' una classe composta da:
piccoli artigiani (piccolo imprenditore) e piccoli contadini (imprenditore e proprietario terriero)
ceti emergenti; (intermediari di vendita come commercianti) banchieri; dirigenti d'industria;
borghesia tradizionale (avvocati, medici...); libere professioni; piccola borghesia (ceto medio)
(insegnanti e lavoratori colti); magnati d'industria. Il borghese crede nella corrente del
positivismo, che si instaura nella seconda metà del secolo, scontrandosi con la dottrina
cattolica. La scienza e l'oggettività sono applicate a tutti i campi sociali, così anche alla
politica.
classe operaia; legata alle nascenti idee del marxismo: L'operaio necessita di sposarsi in
città per avvicinarsi alle fabbriche e anche molti contadini si convertono al lavoro nelle
industrie pesanti. La classe operaia assume una sua identità definita, soprattutto dopo la
pubblicazione degli scritti di Marx. I buoni salari incentivarono gli impieghi, sebbene il costo
maggiore della vita cittadina. L'artigiano e il borghese dialogavano tra loro, isolando
l'aristocrazia e incentivando gli scambi umani e culturali. L'operaio invece era più stressato e
meno propenso agli scambi borghesi, contrapponendosi ad essi e riunendosi stabilmente
nelle osterie e nelle taverne, che sostituirono le parrocchie di campagna, sviluppando la
cosiddetta “coscienza di classe”. Cominciarono a nascere che prime associazioni operaie di
mutuo soccorso, prima dell'associazionismo oppositivo di stampo sindacale che si realizzò
dopo la pubblicazione del Manifesto Comunista, che influenzò la coscienza popolare. Nel
1867 Marx pubblica “Il Capitale”, affermando che il sistema capitalistico sarebbe imploso
automaticamente senza necessità di rivolte popolari, dovuta all'arricchimento di sempre
meno soggetti e l'impoverimento di sempre più persone. L'utopia marxista si trasforma in
legge naturale. Poco dopo gli operai d'Europa iniziarono a coordinarsi internazionalmente e
nel 1864 nasce l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (poi Prima Internazionale).
movimento cattolico; strettamente legato ai valori dogmatici della dottrina cattolica: Il mondo
cattolico aveva una precisa identità sociale presente in tutta Europa, opposto al positivismo
e distante dal socialismo. Pio IX rimase al soglio pontificio fino al 1878 e subito dopo i moti
ritornò ad una rigida ortodossia dottrinale, condannando la modernità nell'enciclica “Quanta
cura”. Nel “Sillabo” poi incluse tutti gli errori del secolo, ma venne molto contestato anche tra
i sovrani cattolici, tanto che Napoleone III ne vietò la circolazione in Francia. Tra i suoi scritti
inveiva contro la laicizzazione dello Stato, la democrazia e la libertà di stampa. Nel 1870 si
tenne il Concilio Vaticano I e venne affermato il dogma dell'infallibilità del papa. Lo Stato
Vaticano venne isolato diplomaticamente, cosa che fu fondamentale dopo la breccia di Porta
Pia, poiché nessuno intervenne. L'associazionismo cattolico, di mutuo soccorso e di pari
passo allo sviluppo scientifico, si diffuse in Europa.
Lo sviluppo economico e tecnologico
La fase di sviluppo fa favorita dalle monarchia. Il primo settore a goderne fu quello agricolo,
preponderante in Europa, con grandi innovazioni tecniche importate dall'Inghilterra. Iniziano
le costruzioni delle prime ferrovie, che collegano le città e le campagne indissolubilmente,
favorendo i trasporti, il turismo e lo scambio di merci. Tutte le potenze aprono i loro mercati,
attuando delle politiche di libero scambio, favorendo di conseguenza la costruzione della
ferrovia. Di conseguenza le industrie siderurgiche a meccaniche ne godettero, richiedendo
una conversione dei lavoratori in operai. La macchina a vapore prende piede nel continente
e viene applicata ai macchinari (telaio idraulico). Si ha uno sviluppo dell'industria tessile.
L'attività artigianale si converte in attività industriale, favorendo la concorrenze e le fusioni
delle società (prime società per azioni). Le crisi economiche erano crisi di sovrapproduzione
e non più climatiche. Alla fine degli anni '50 e '60 queste due crisi non intaccarono lo
sviluppo. I fattori che favorirono lo sviluppo economico sono: il benestare dei sovrani, che
sfoltirono le leggi per favorire lo sviluppo e il libero scambio eliminazione dazi, la scoperta
dei giacimenti di carbone, che sostituiscono la legna come combustibile nascita delle
banche, favorite dalle monarchie, a favore degli investimenti trasporti; ferrovia e traffici
marittimi. La navigazione a vela viene sostituita da innovazioni quali le eliche e gli scafi in
metallo. L'abbattimento dei costi favorì le migrazioni transoceaniche successive. L'
Inghilterra era già altamente sviluppata e i prodotti inglesi furono immessi nei mercati
europei a prezzi concorrenti, intaccando le produzioni nazionali ma favorendo lo sviluppo.
Nel 1950 c'erano 40.000 km di strade ferrate: 15.000 km negli Stati Uniti, 25.000 km in
Europa (11.000 in Gran Bretagna). Arrivarono negli anni successivi a 110.000 km di ferrovie.
Le comunicazioni sono favorite dall'introduzione del telegrafo elettrico, favorita dai governi
europee.

Crisi, protezionismo e politiche coloniali


I 20 anni di sviluppo economico sono caratterizzati dal libero scambio: tutte le potenze, chi
più e chi meno, avevano l'obiettivo di far circolare le merci.
La Gran Bretagna già si trovava in una fase di sviluppo industriale: grazie all'apertura del
mercato era la potenza più avanzata del continente europeo (il c.d. "modello inglese", imitato
dalle borghesie di tutti i paesi europei).
Il libero scambio, però, si rivelò insostenibile a causa della concorrenza sfrenata tra gli stati.
Si registra qui la necessità di una svolta protezionista, attuata dalle potenze europee, che si
affianca all'avvio della politica coloniale: da un lato le classi produttive dei paesi avevano
chiesto ai governi di chiudere i mercati, dall'altro vi era bisogno di altri mercati extraeuropei.
Le politiche di libero scambio degli anni '50 e '60 del 1800, lasciarono il passo al
protezionismo degli anni '70.
Gli ultimi 25 anni del secolo sono quindi segnati da una nuova fase economica: la seconda
rivoluzione industriale. La produzione industriale non è più minoritaria, i governi vengono
irrimediabilmente coinvolti dai ceti produttivi per intervenire nel sistema economico.
Inoltre si affermano due potenze economiche trainanti: gli USA e la Germania di Bismarck.
Nel 1873 si verifica una crisi di sovrapproduzione in Europa, a causa dello squilibrio del
rapporto di domanda ed offerta: le imprese, a causa dei magazzini pieni, rallentano la
produzione, aumentano i licenziamenti di massa e la disoccupazione, scatenando il
malessere sociale.
Tale crisi fu inoltre caratterizzata da una caduta, improvvisa, dei prezzi, causata
dall'innovazione tecnologica che sostituiva la manodopera umana, portando un risparmio
sulla produzione e quindi un abbassamento dei prezzi di mercato, che generarono un
maggiore potere d'acquisto nei lavoratori delle aziende. L'abbassamento di prezzi non è
sostenuto da tutte le aziende: quelle non innovate ne risentono e falliscono.
Il mercato europeo era diventato troppo grande, significava per un imprenditore investire e
reinvestire continuamente. Le imprese iniziarono a consorziarsi (troviamo in Europa consorzi
di imprese metallurgiche, chimiche, siderurgico ed elettrico), ma questi avevano bisogno di
investimenti sempre più ingenti per non uscire dal mercato e qui entrano in gioco le banche:
le grandi banche acquistavano le azioni dei colossi industriali ed i proprietari dei consorzi
industriali sedevano nel consiglio d'amministrazione delle banche. Tale rapporto permetteva
ai colossi di poter accedere rapidamente al credito.
Ai governi fu chiesto di tutelare le imprese nazionali e di innalzare determinate tariffe
doganali.
Il mercato europeo inizia a dividersi in compartimenti stagni. Ne risentì in particolare la Gran
Bretagna, che perse il mercato europeo a fronte di una nuova concorrenza.
Fattori determinanti per la rivoluzione agricola furono: le bonifiche, i concimi chimici, e i nuovi
sistemi per la trebbiatura. Queste innovazioni comportano, anche in settore agricolo, un
abbattimento dei prezzi.
L'innovazione colpì specialmente il centro-nord europeo, il sud invece, sud Italia compreso,
fu investito da una profonda crisi agraria, che mantenne in vita il latifondo, cioè immense
distese di terra coltivate e lavorate dai contadini che restavano vincolati ai propri proprietari
terrieri, secondo rapporti di semi-schiavitù. Anche l'avvento dei cereali statunitensi in Europa
mise ulteriormente in crisi il mercato agricolo europeo, aggravando le condizioni del sud.
Intorno alla fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80, la crisi portò milioni di persone a
trasferirsi negli USA, anche perché il viaggio era tra l'altro molto economico con il mercantile
a vapore.
A partire dagli anni ‘80 le politiche coloniali presero nuovo slancio. L'interesse primario era
innanzitutto economico, poi sovvenne quello espansionistico degli imperi, così da affermarsi
politicamente.
Sui nuovi territori vengono create due tipologie di strutture:
la colonia: un determinato territorio veniva occupato ed il controllo e l'amministrazione di
questo passa ai conquistatori;
il protettorato: un determinato territorio veniva occupato ma il controllo veniva lasciato ai
locali. Una sorta di governo fantoccio prevalentemente presente in nord Africa.
L'unica assenza alla corsa coloniale fu l'impero Austro- Ungarico, mentre a parteciparvi, nel
panorama mondiale, ci furono anche il Giappone e gli Stati Uniti.
Le ragioni che spinsero verso la colonizzazione:
Motivazioni economiche: il sistema economico necessita di nuovi mercati, occasioni di
investimento, una sorta di attuale delocalizzazione, nuove materie prime;
Motivazioni politiche: necessità di dimostrare la propria potenza, aspetto propandologico,
quindi "civilizzare e convertire" le popolazioni;
Motivazioni culturali: opinione pubblica europea affascinata dall'idea di aprire nuovi fronti di
scoperte.
L'impatto della colonizzazione fu devastante per l'Africa ed in particolare per la popolazione
centrafricana, data la presenza delle popolazioni indigene. Il progresso tecnologico andò a
toccare questi paesi, ma il rapporto era di quasi totale sfruttamento.
In Asia, invece, ci furono conseguenze meno devastanti di quelle africane. Iniziò, con le
colonie asiatiche, uno scambio culturale: i figli delle ricche famiglie coloniali che studiavano
in Europa assimilarono i principi europei, e, tornati nella loro terra, erano consapevoli che il
loro popolo stava venendo sfruttato e si misero a capo di movimenti di ribellioni.
In un certo senso, l'Europa istruiva i suoi futuri nemici che lotteranno per l'indipendenza dei
propri stati.

Francia
Nel 1848 nasce la seconda Repubblica francese sotto la Presidenza della Repubblica di
Luigi Napoleone Bonaparte, candidato dell’area conservatrice, che tuttavia godeva di
ampi consensi anche negli strati più popolari della popolazione francese. La seconda
Repubblica francese durò ben poco, poiché venne restaurato l'Impero proprio da Luigi
Napoleone Bonaparte. Egli si ritrovò supportato da una Francia forte politicamente, con una
gran maggioranza conservatrice. Emanò provvedimenti a favore delle componenti cattoliche
(come l'intromissione dei preti nelle scuole), cominciò a limitare le varie libertà introdotte dai
moti (come la libertà di stampa che venne limitata dalle tasse, azione che paradossalmente
fece dubitare la maggioranza a suo favore). Nel 1851 Luigi Napoleone cercò di far
approvare all'assemblea nazionale un progetto di revisione costituzionale che gli avrebbe
consentito di ricandidarsi, nonostante la costituzione stabilisse la non rieleggibilità
consecutiva del
Presidente. Di fronte al rifiuto dell’assemblea, fece occupare dall’esercito la capitale
francese e la sede del Parlamento. Fu indetto un plebiscito: il voto, a suffragio universale
maschile, fu una vittoria schiacciante per il Presidente che ottenne anche i poteri per
redigere una nuova Costituzione. Promulgata nel gennaio successivo, allungava a 10 anni la
durata in carica del presidente, confermava il suffragio universale maschile diretto, ma
soprattutto toglieva alla camera l'iniziativa legislativa, trasferendola nelle mani del Presidente
e di una nuova seconda camera, un Senato di nomina presidenziale, reintegrando inoltre la
dignità imperiale che si attribuì egli stesso, assumendo il nome di Napoleone III. Nel
dicembre dello stesso anno chiamò i francesi a ratificare con un nuovo plebiscito, approvato
poi dal popolo, il ritorno dell'Impero in Francia. L'esperimento rivoluzionario francese termina
definitivamente nel 1852. Questa nuova fase, che si esprimeva come una dittatura più o
meno velata che univa elementi di modernità a forme politiche arcaiche e conservatrici, fu la
responsabile dell’instabilità politica di tutto il continente. L'impero austriaco era suo diretto
avversario: la sua caduta avrebbe portato al controllo della Confederazione da parte della
Prussia, evenienza che si dimostrò essere a discapito della Francia stessa. Il regime istituito
da Napoleone si poneva a metà strada tra il paternalismo e l’autoritarismo, con l'obiettivo
costante di impedire il ritorno dei fermenti politici del passato e di legittimare l'impero tramite
i plebisciti, come aveva fatto Napoleone I. Si dimostrò essere per la Francia il solo regime in
grado di assicurare pace e prosperità, agganciò prontamente gli anni di sviluppo economico,
e sostenne la borghesia, investendo molto nelle opere pubbliche, come le ferrovie. Si servì
dei tecnici per la direzione politica dei primi governi tecnici della storia, sostituendo i politici.
L’opera di Napoleone in politica interna si dimostrò essere molto attenta e vantaggiosa per la
Francia, garantendo governi competenti e sviluppo alla Nazione.
In politica estera il suo punto di riferimento rimaneva la condotta aggressiva del suo
predecessore Napoleone I e, volendo riaffermare lo status di Parigi come massima potenza
continentale, operò fin da subito per rivedere il sistema uscito dal congresso di Vienna.
Napoleone era interessato a ristabilire un’area di influenza francese nel Mediterraneo e non
esitò a scendere in guerra accanto alla Gran Bretagna contro i russi nella guerra di Crimea.
La Russia decise di attaccare la Turchia e l'Impero Ottomano col pretesto di difendere le
minoranze ortodosse. Il vero scopo era prendere possesso dei "mari caldi" e estendere i
possedimenti zaristi. L'Inghilterra fu la prima a preoccuparsi, l'Austria rimane neutrale con la
speranza che la Francia si indebolisse.
Fu un conflitto di logoramento attorno alla città di Sebastopoli, accompagnato per la prima
volta nella storia dell'uso massiccio dei telegrafi, che si chiuse nel 1855. L'impero ottomano
mantenne la sua estensione e venne assicurata l'autonomia dei Principati di Serbia,
Moldavia e Valacchia, contro il volere dell'Austria.
Nel 1859, la Moldavia e la Valacchia si unirono nella Romania.
La Francia non ottenne vantaggi, anzi, parte dell'elettorato di Napoleone si allontanò dalla
sua visione politica, frattura che si acuì con la guerra contro l'Austria a fianco del Piemonte.
In politica estera non riuscì a intaccare del tutto l'Austria o a sconfiggere la Prussia.
Dopo la vittoria dell'esercito anglo francese, la conferenza di pace di Parigi sancì il fallimento
delle pretese egemoniche della Russia sul Mar Nero. Dalla conferenza scaturì un sistema
internazionale decisamente modificato rispetto a quello messo a punto dal congresso di
Vienna, facendo emergere accanto alla potenza britannica quella della Francia, a discapito
degli imperi asburgico e russo.
Napoleone III, inoltre, si pose a sostegno dei movimenti nazionali che contestavano l'ordine
della Restaurazione, con l'obiettivo di estendere il ruolo egemonico della Francia sul
continente. In quest’ottica, la Francia siglò l'alleanza del 1858 col regno di Sardegna e con il
Presidente del Consiglio del Regno sabaudo Camillo Benso, Conte di Cavour, stabilendo
che, nel caso di un conflitto difensivo contro Vienna, la Francia avrebbe sostenuto il Regno
di Sardegna, ottenendo Nizza e la Savoia, assicurandosi poi il controllo sull’Italia centrale
attraverso un principe della sua casata, a patto dell’inviolabilità dello Stato Pontificio. La
guerra vittoriosa condotta l'anno successivo dalle truppe franco-piemontesi contro l’Austria,
che avrebbe portato all’Unificazione dell'Italia, ebbe tuttavia un esito molto diverso da quello
auspicato all'inizio da Napoleone. Questi, infatti, aveva sperato di subentrare all’Impero
asburgico come potenza egemone sul territorio italiano, tuttavia, di fronte alle prime pesanti
sconfitte subite dagli austriaci ad opera dell'esercito piemontese, i Savoia venivano
riconosciuti come promotori dell’Unificazione della, decise di ritirarsi unilateralmente dal
conflitto e siglò, a Verona, l'armistizio con l'Austria nel 1859.
Di fronte all’indebolimento dei consensi verso il suo regime e alle spinte contrastanti che
stava attraversando
l’impero, quando anche le forze liberali e i repubblicani avevano rialzato la testa, Napoleone
III, bisognoso di una nuova legittimazione, mise in atto un piano di riforme in senso liberale
che portò alla modifica della Costituzione: la nuova forma istituzionale abbandonava la
struttura centrata dell’Impero per entrare nella fase del cosiddetto “impero liberale”.
Le mai sopite ambizioni egemoniche di Napoleone finirono per entrare in conflitto col
percorso di Unificazione nazionale avviato in quegli anni dalla Prussia: lo scontro ebbe
origine per una contesa esterna che riguardava la successione al trono di Spagna e la
vicenda del dispaccio di Ems. Nel luglio 1870, Napoleone dichiarò guerra alla Prussia.
Nonostante gran parte dell’opinione pubblica francese fosse galvanizzata da sentimenti
nazionalistici e anti-tedeschi, la guerra si rivelò rovinosa per l'esercito di Napoleone, che fin
da subito si mostrò inferiore a quello prussiano per capacità logistiche e d addestramento.
Parigi, venne cinta d'assedio dalle forze prussiane, e, dopo il crollo dell’Impero a seguito
della cattura di Napoleone III, venne proclamata la terza Repubblica e creato un governo
provvisorio di Difesa nazionale che cercò di far fronte alla drammatica urgenza del
momento. Dopo una serie di ulteriori sconfitte, il governo provvisorio chiese l'armistizio, che
prevedeva una pesante indennità di guerra e la perdita delle regioni francesi dell’Alsazia e
della Lorena. La caduta di Napoleone III sarà fondamentale per permettere la presa di
Roma, poiché venne a mancare il “grande difensore della Chiesa” e le truppe francesi
vennero ritirate dal Lazio.
Nel 1871 vennero indette le elezioni per eleggere la nuova Assemblea nazionale. Alla guida
del governo fu chiamato Adolphe Thiers, un personaggio ultramoderato con una lunga
carriera politica alle spalle, il quale si trovò subito nella difficile situazione di dover
sottoscrivere una pace umiliante con i tedeschi. Quando furono rese note le condizioni
imposte da Bismarck, il popolo parigino insorse e costituì la Guardia Nazionale, un esercito
volontario intenzionato a provvedere autonomamente alla difesa della città. Alla richiesta del
Presidente di deporre le armi, la Guardia si rifiutò e indisse le elezioni per il Consiglio della
Comune, un organo di autogoverno popolare, che vide il trionfo dell’estrema sinistra
socialista e anarchica. In poche settimane, il governo della Comune si tramutò nel più
grande
esperimento di democrazia diretta e autogoverno operaio dell'epoca tanto che Marx e
Bakunin lo salutarono come il primo esempio di gestione socialista del potere. Nel maggio,
le truppe governative, con l'avvallo dei prussiani, che
temevano l’esplodere di una nuova fiammata rivoluzionaria in Francia, sferrarono l'attacco
decisivo ai comunardi e ripresero il controllo di Parigi. Con la repressione della Comune, che
avvenne al prezzo di grandi violenze e atrocità da entrambe le parti, il movimento
rivoluzionario francese subì una seconda e definitiva battuta d’arresto dopo quella del 1848.
La Terza Repubblica francese nasceva con una marcata ipoteca conservatrice ma, seppure
in assenza di veri e propri partiti, conobbe uno sviluppo notevole della socialità politica e si
avviò a sperimentare la propria precaria legittimazione dinanzi alle pressioni di una destra
ultranazionalista e reazionaria, nella quale si univano il tradizionalismo cattolico, il desiderio
di rivincita nei confronti della Germania (revanscismo) e l’aspirazione di alcune ali politiche a
ripristinare la forma istituzionale monarchica.
Mentre la ripresa economica del paese fu abbastanza rapida, il processo di stabilizzazione
politica fu lento e travagliato: la Repubblica subì una prima contestazione con l'elezione alla
Presidenza di Mac-Mahon, un generale, fautore di una restaurazione monarchica. Con una
legge del 1873, egli si fece conferire il potere esecutivo per 7 anni cercando di imporre, sotto
le spoglie repubblicani, un ritorno della monarchia. Le istituzioni repubblicane vennero
formalizzate dalle tre leggi costituzionali approvate nel 1875, che rendevano la Francia una
Repubblica parlamentare con un Presidente da eleggere a maggioranza assoluta
dell'assemblea nazionale.
I confini tra regime di tipo parlamentare e presidenziale rimanevano però piuttosto incerti.
Nel 1877, le nuove elezioni sancirono la sconfitta dei progetti del Presidente, consegnando i
seggi ai repubblicani e alla destra. Il generale Mac-Mahon si dimise e la terza Repubblica
assunse una chiara fisionomia parlamentare. La guida della Francia passò definitivamente
nelle mani della classe politica liberale. Furono anni di grande fioritura della legislazione
repubblicana, del potenziamento dell’istruzione, estesa anche alle donne, e del
rinnovamento delle strutture amministrative. Nonostante lo sforzo riformatore dei
repubblicani, presto aumentò l’insoddisfazione nei confronti della classe di governo, spesso
al centro di scandali e di episodi di corruzione, finendo per innescare una nuova grave crisi.
Protagonista di questa fu il generale Boulanger, che non esitò a porsi come simbolo del mai
sopito desiderio di rivincita rispetto alla Germania, sfidando su questo fronte lo stesso
governo repubblicano. Forte del sostegno di uno schieramento ampio e trasversale, che
comprendeva forze della destra nazionalista e anti repubblicana, ma anche frange
dell’estrema sinistra, Boulanger si lanciò in politica riportando la vittoria in diverse elezioni
suppletive. Nonostante questi successi, le elezioni del 1889 sancirono la fine definitiva
dell’avventura boulangista e del sogno di rivincita della destra monarchica, decretando la
vittoria dello schieramento repubblicano di centro e una crescita della sinistra radicale e
socialista.
Germania
Dopo il congresso di Vienna la storia tedesca fu caratterizzata da spinte verso l'unificazione
nazionale che si articolarono attorno a tre grandi direttrici: il regno di Prussia, l'Impero
asburgico e la Confederazione germanica, comprendente, oltre a Russia e Austria, altri 37
stati.
Durante la prima metà dell'Ottocento gli Stati della Confederazione avevano concentrato la
loro attenzione sul potenziamento dell’economia attraverso la creazione di un’unione
doganale che permise la nascita di un fiorente mercato interno senza barriere economiche,
alla base del decollo industriale dei paesi della Confederazione.
Sul piano politico I tentativi di realizzare il sogno dell’unificazione conobbero due momenti di
particolare intensità:
nel 1848, quando i moti sembrarono portare verso la costruzione di uno Stato “piccolo
tedesco”, con l'esclusione dell' Austria e degli Asburgo, a favore della Prussia,
nel 1850, il re di Prussia cercò di promuovere l'Unificazione mediante un libero accordo tra
alcuni stati tedeschi: il progetto mise in allarme l'Austria e la Russia, che imposero al re di
giurare fedeltà alla Confederazione creata nel 1815.
A differenza dell'Austria, la Prussia riuscì ad agganciare lo sviluppo tecnologico, motivo per
cui riuscì ad aggregarsi con gli altri stati della Confederazione.
All'interno della Confederazione, da diversi decenni, gli stati avevano stipulato un accordo
che prevedeva una zona commerciale, in stile Commonwealth. La maggioranza della
popolazione qui era impiegata nel lavoro della terra nelle zone meridionali della Prussia. Gli
Junger, i proprietari terrieri, avevano il controllo del Regno, ma era presente anche una parte
borghese, concentrata nella zona occidentale della Prussia. L'affermarsi della borghesia fu
voluta dagli stessi Junger, quindi tra la borghesia e l'aristocrazia terriera vi era una sinergia,
erano d'accordo anche per quanto riguarda il modello politico e la conquista di nuovi mercati
(modello prussiano di sviluppo economico). L'aspetto economico e sociale della Prussia era
migliore in confronto al resto d'Europa. Alla morte del sovrano Federico Guglielmo IV, nel
1861, salì sul trono di Prussia Guglielmo I, il quale volle assecondare la sinergia tra le due
classi sociali e presentò al Parlamento una proposta di rilancio dell'esercito che
presupponeva, ovviamente, un aumento della spesa pubblica. Il Parlamento, in una
posizione antibellicista, nominò Otto von Bismarck come Cancelliere, espressione del
conservatorismo. Bismarck impose l'approvazione di riforma dell'esercito (fiducia a mo' di
Statuto Albertino), ed iniziò a perseguire l'obiettivo di estendersi in territorio europeo.
Bismarck risolse drasticamente il conflitto sul bilancio per il rafforzamento militare con il
Parlamento, sciogliendo la Camera e procedendo senza l'approvazione parlamentare. In
questo modo varò la riforma dell'esercito voluta dal Re e, grazie alla nuova potente
macchina bellica da lui creata, portò avanti tre grandi campagne militari al cui termine si
realizzò l'Unità della Germania sotto il controllo militare prussiano. Nel 1866 mosse guerra
all’Austria, con il pretesto del controllo su alcuni ducati danesi, dopo aver stretto un'alleanza
con l'Italia ed essersi garantito la neutralità di Russia e Francia. Nel giro di tre settimane
l’indiscussa supremazia militare della Prussia fece crollare l'esercito austriaco. Le
conseguenze della vittoria si registrarono soprattutto in campo politico: l'Austria fu costretta a
cedere il Veneto all'Italia e dovette rivedere il suo ruolo all'interno dei paesi tedeschi e dello
stesso vasto Impero asburgico. La Prussia non aveva avanzato richieste territoriali ma riuscì
definitivamente a mettere fine alla Confederazione del 1815 e all'influenza degli Asburgo
sugli stati tedeschi. Sconfitta l'Austria, venne meno la vecchia Confederazione e ne fu creata
una nuova, composta dagli Stati settentrionali. Fu un altro colpo dilaniante per l'Austria, che
porta le nazionalità all'interno dell'Impero ad insorgere nuovamente e a chiedere
l'indipendenza, a partire dagli Ungheresi.
Gli ungheresi crearono un loro Parlamento, organizzarono un esercito e un governo,
garantendosi una sorta di piena autonomia all'interno dell'impero, sempre sottoposta
all'Imperatore austriaco. Gli stati del nord diedero vita, nel 1867, alla Confederazione
tedesca del nord, sotto il controllo della Prussia. A questo punto, alla Prussia rimaneva solo
da sconfiggere l'altro grande rivale che poteva contendersi la supremazia sull’Europa
centro-occidentale: Napoleone.
Per concludere il processo di unificazione tedesca, secondo Bismarck, era necessario
mettere fuorigioco la Francia. Il Cancelliere trovò un pretesto per scatenare una guerra con
la Francia: in Spagna, il trono vacante viene offerto a Leopoldo di Hohenzollern, cugino di
Guglielmo I. Napoleone III mobilita l'opinione pubblica contro questa opportunità e fu chiesto
a Guglielmo I di rinunciare alla proposta. Guglielmo I allora convoca l'ambasciatore francese
e successivamente viene avvertito Bismarck, che stravolge il contenuto del telegramma a lui
inviato (dispaccio di Ems) per far sì che la risposta del re prussiano fosse irriguardosa.
Napoleone III, ricevuta la risposta, dichiarò guerra alla Prussia. (1870) I due eserciti si
scontrano a Sedal, battaglia in cui Napoleone III venne fatto prigioniero e l’esercito
prussiano prevale indiscusso su quello francese. Questo crollo improvviso della Francia fece
sì che gli stati tedeschi meridionali si unirono a Bismarck. Tra le altre conseguenze della
sconfitta, la Reggia di Versailles ospitò la proclamazione della nascita del Reich tedesco su
tutti i territori germanici, compresi quelli degli stati del Sud con l'incoronazione di Guglielmo I
a Kaiser, il più grande affronto al popolo francese.
In questo preciso momento storico l'Impero Tedesco era il centro nevralgico dell'Europa
continentale, grazie a diverse azioni diplomatiche promosse da Bismarck: iniziano qui li 25
anni di pace europea. La competizione si sposta dall'europa centrale ai balcani ed al Nord
Africa.
L'impero si diede una struttura federale accentrata: il Parlamento era composto da due
camere, una elettiva il Reichstag, e una eletta a suffragio universale maschile, il Bundesrat.
Il governo del Reich rimaneva formalmente nelle mani dell'Imperatore ed era esercitato
da un Cancelliere, che coincideva con la carica di Primo Ministro prussiano, che non doveva
rispondere al Parlamento del proprio operato. Il governo non possedeva una struttura
collegiale, ma ciascun ministro dipendeva direttamente dall'Imperatore.
All'interno del Parlamento Bismarck individuò un pericoloso nemico nel partito cattolico: il
Zentrum, una formazione politica bollata come oscurantista di fronte alla grande tradizione
culturale tedesca di matrice luterana, contro la quale egli attuò una dura politica repressiva.
Un altro avversario all'interno dell'Impero venne visto nel Partito Socialista operaio tedesco
di ispirazione marxista che si era unito all'associazione generale dei lavoratori tedeschi e
costituiva punto di riferimento di uno statalismo riformista e collettivistaNel 1891 il partito
socialista operaio tedesco assunse definitivamente il nome di partito socialdemocratico
tedesco (SPD). Di fronte al consenso che il neonato partito sembrava riscontrare nelle file
operaie Bismark ottenne dal Parlamento l'approvazione di leggi antisocialiste eccezionali alle
quali accompagnò l'introduzione di una moderna legislazione sociale che contemplava
assicurazioni contro le malattie, gli infortuni e l'invalidità e un sistema pensionistico per la
vecchiaia. L'obiettivo del cancelliere era di sconfiggere la socialdemocrazia su un doppio
fronte: impedendone l'azione e la propaganda attraverso leggi repressive, e
sottraendole i consensi della classe operaia grazie alla legislazione sociale. L’SPD Non
viene indebolita dalla strategia di Bismarck e, dopo oltre 15 anni di persecuzioni, era più
forte di prima: le leggi antisocialista infatti avevano costretto il partito a dotarsi di una ferrea e
capillare organizzazione alle elezioni del 1890 riuscì a far eleggere ben 35 deputati al
Reichstag.
Sul terreno della politica estera Bismark creò un attento disegno di alleanze internazionali,
volto a consolidare lo spazio geografico e politico del Reich e fare della Germania il pilastro
del nuovo equilibrio europeo.
Per garantirsi dai sogni di revanchismo in Francia, e costruire una rete di alleanze che in
caso di conflitto franco-tedesco, assicurò alla Germania la neutralità delle potenze sul suo
confine orientale.
Nel 1873 il cancelliere promosse con Austria e Russia il Patto dei tre Imperatori: un’alleanza
fondata sulla difesa reciproca, da cui però scaturì un conflitto di interessi nella guerra dei
balcani tra lo zar e Francesco Giuseppe.
Nel 1876 la Russia decise nuovamente di scendere verso sud, con l'intenzione di difendere i
cristiani ortodossi dagli ottomani nei territori della Serbia e della Bosnia- Herzegovina.
Sconfitti rapidamente i turchi, lo zar aveva ottenuto di consolidare la sua presenza nei
Balcani, ma questa nuova egemonia russa collideva col disegno di equilibrio perseguito
dalle altre potenze europee. Con la pace di Santo Stefano la Russia impone una serie di
condizioni all'impero Ottomano: la creazione della Bulgaria, la totale indipendenza dei
principati di Serbia e Montenegro e l’autonomia della Bosnia-Herzegovina. Disgregando i
Balcani, la Russia pensava di poter estendere il proprio controllo grazie ai rapporti con la
componente cristiana-ortodossa.
Nel 1878 Bismark convocò a Berlino un Congresso internazionale, in cui dimostrò le sue doti
diplomatiche, con l'obiettivo di ridimensionare gli spazi che lo zar di Russia aveva
conquistato in seguito al conflitto con l'Impero ottomano. Si decise che: la Bulgaria sarebbe
esistita con un territorio ridotto; Serbia e Montenegro sarebbero stati indipendenti; la
Bosnia-Herzegovina fosse stata sotto il controllo austriaco. Al Congresso di Berlino la
Germania, pur non vantando ambizioni espansionistiche, svolse il ruolo di garante
dell’ordine geopolitico ridimensionando le pretese russe e avvantaggiando nei Balcani le
posizioni dell’Austria. Da parte sua la Gran Bretagna grazie all’assegnazione dell’isola di
Cipro, poté rafforzare il suo primato nel Mediterraneo. Alla Francia, il congresso concesse
mano libera per un’eventuale conquista coloniale in Tunisia.
La sapiente gestione del congresso di Berlino aveva ribadito il ruolo centrale della Germania
nell’Europa
continentale ma aveva inasprito i rapporti tra Russia e Austria, rivali per il controllo della
penisola balcanica.
Consapevole della fragilità del patto dei tre imperatori Bismarck aveva siglato un’alleanza
segreta con l'impero
asburgico a cui, nel 1882 si aggiunse anche l'Italia: la Triplice Alleanza.
Tra il 1885 e il 1886, nuovi contrasti nell'area balcanica misero definitivamente fine al Patto
dei tre Imperatori e Bismark, temendo che venisse meno la neutralità della Russia nel caso
di un conflitto europeo, si affrettò a stringere un accordo segreto con lo zar: il Patto di
Contro-assicurazione. La Russia si impegnava a non intervenire in un eventuale conflitto
franco-tedesco, mentre la Germania garantiva la sua neutralità in caso di guerra
austro-russa.
Questa complessa strategia, finalizzata all’isolamento diplomatico e militare della Francia e
a rendere la Germania il perno degli equilibri continentali, venne pericolosamente
abbandonata dal nuovo imperatore tedesco Guglielmo II, volto ad una politica internazionale
più ambiziosa ed aggressiva, anche di stampo coloniale. Quando Guglielmo Il volle
rinnovare la politica di estensione prussiana, Bismarck, contrario, si dimise dal ruolo di
Cancelliere.
In politica interna, Bismarck mantenne l'ordine pubblico col pugno di ferro ma fece approvare
anche una serie di leggi favorevoli per la classe operaia, riconoscendole tutta una serie di
diritti.

Impero asburgico
Dopo i moti del 1848, l'Impero austriaco uscì con qualche danno dal periodo delle
"rivoluzioni": non si agganciò allo sviluppo tecnologico, fu aumentata la centralizzazione del
potere, l'apparato burocratico del potere venne reso più oppressivo e complesso, vennero
aumentate le spese militari, con il conseguente aumento della tassazione, che strozzò la
classe borghese.
Dal punto di vista istituzionale, la riorganizzazione dell’Impero procedette lungo il binario del
vecchio assolutismo: la Costituzione venne prima disapplicata e poi revocata e solo 10 anni
dopo si diede il via alla creazione un organismo rappresentativo bicamerale, con poteri però
molto limitati.
Il nodo irrisolto dell'impero rimaneva la sua natura multinazionale che non trovava soluzione
nella centralizzazione amministrativa e produceva sentimenti autonomistici sempre più forti
da parte delle varie etnie. La Casa
d’Asburgo, indebolita dalle spinte autonomistiche dei gruppi nazionali e dal malcontento di
una parte dell’aristocrazia terriera, ottenne una nuova legittimazione proprio dalla classe dei
contadini, tramite l’abolizione della servitù della gleba. Il clero divenne il secondo grande
alleato degli Asburgo quando l’Impero cattolico, nel 1855, firmò un concordato con la Chiesa
per sugellarne e formalizzarne i rapporti.
Centralismo burocratico, contadini e Chiesa costituivano quindi le fondamenta su cui
poggiava l'edificio dell’Impero. Fu proprio questa miscela conservatrice a soffocare le
aspettative e le iniziative della borghesia più attiva.
Altrettanto precaria si rivelò la posizione internazionale d’Austria, sotto le pressioni della
Prussia. Le diverse sconfitte, con la creazione di nuovi equilibri nel centro d’Europa,
accelerarono il processo che condusse alla Costituzione della duplice monarchia
Austro-ungherese, nel 1867, spostando definitivamente il baricentro da Vienna e
avvicinandolo all’area balcanica.
Vienna e Budapest ottenevano ciascuna un Parlamento e un governo del tutto autonomi,
uniti sotto la figura dell'Imperatore, che avocava a se la politica estera e finanziaria, nonché
la difesa. Questo compromesso, efficace nel breve periodo, contribuì però a far crescere le
reazioni di malcontento da parte delle altre minoranze dell’Impero, in particolare quella slava
che si era vista negare la dimensione nazionale autonoma concesso invece gli ungheresi.
Francesco Ferdinando, sembrò comprendere la necessità della creazione di un Impero a
“tridente”, tramite concessioni autonomistiche alle nazionalità slave, ma il suo progetto
rimase inattuato, e furono proprio queste minoranze a produrre i maggiori segnali di
tensione, che avrebbero messo in crisi definitivamente il fragile Impero austro-ungarico.
L’Italia: Unificazione, da Cavour alla caduta di Crispi
Nella penisola italiana, dopo il fallimento dei moti del 1848, a partire dal 1850, nel Governo
piemontese cominciò ad affermarsi la figura di Camillo Benso, Conte di Cavour, , membro
aristocratico con idee democratiche e liberali, fervente sostenitore del suffragio universale a
patto del mantenimento del sistema monarchico. Fu un periodo di grande impulso per tutto il
regno; d'Azeglio e poi Cavour portarono avanti delle politiche di modernizzazione che
renderanno il Regno di Sardegna una piccola potenza. Vennero modificati i rapporti Stato-
Chiesa con la legge Siccardi, che tolse i privilegi al clero. Fu proprio in questa discussione
che spiccò la figura di Cavour. Egli credeva nel miglioramento delle condizioni economiche-
sociali della popolazione per evitare la rivoluzione a favore della pace sociale. Riteneva che
il progresso economico fosse presupposto fondamentale di quello politico e civile.
Cavour iniziò la sua carriera politica nel 1850 come Ministro dell'Agricoltura e subentrò nel
1852 a d'Azeglio come Primo Ministro. Fu il primo, pur tra mille resistenze, a dare
un'interpretazione sostanziale dello statuto, accordando la questione di fiducia anche al
Parlamento. Creò una maggioranza moderata dei due schieramenti, composta da
centro-destro e centro-sinistro, ironicamente definita “connubio”: fece subito propria la
politica anti- austriaca della sinistra e la politica economica della destra.
Cavour si impegnò soprattutto in un’opera di accelerata modernizzazione economica del
Piemonte sabaudo, su basi libero scambiste e con un occhio di riguardo alle grandi opere
pubbliche e allo sviluppo agricolo-industriale. Sancì diversi trattati internazionali, che
favorirono l'esportazione di riso, soprattutto in Francia, diede impulso alla costruzione di
ferrovie e aumentò della pressione fiscale a favore della creazione di opere pubbliche, come
il porto Genova. Le ferrovie piemontesi alla fine agli anni '50 era di gran lunga superiori e più
lunghe rispetto alle altre. La seta divenne un prodotto di punta, soprattutto nell'esportazione
francese.
L'analfabetismo era comunque un problema e vennero attuate delle politiche per ridurre il
tasso di analfabetizzazione dal 70% al 65%. Irrobustì inoltre il sistema redditizio (banche).
Il Piemonte divenne il centro e il rifugio dei democratici e la classe dirigente divenne
espressione di molti fronti della penisola. Dopo i moti, in tutti gli stati, i democratici
continuano a cospirare nonostante le restrizioni, Mazzini da Londra, Garibaldi dal Sud
America. Vi furono episodi insurrezionali nel Lombardo-Veneto, che vennero repressi,
soprattutto nel 1853 a Milano quando alcuni lavoratori e artigiani vennero condannati a
morte. I mazziniani erano i più attivi e a Ginevra, nel 1853, nacque il Partito d'Azione, per
coadiuvare e coordinare le masse insurrezionali.
Carlo Pisacane, qualche anno dopo, convinto che il movimento dovesse partire dalle masse
contadine meridionali. La borghesia, classe che dovrebbe supportare la monarchia, è debole
ed egli crede che si possa instaurare un fronte anti- monarchico, del quale parlò con
Mazzini. Pisacane si imbarca da Genova nel 1857, fa tappa all'isola di Ponza, liberando 323
detenuti borbonici, tacitamente supportato dalle navi inglesi stanziate nel Tirreno. Sbarca in
Campania credendo di godere del supporto delle campagne, ma venne respinto proprio
dalle masse. Le truppe borboniche accerchiarono gli invasori e Pisacane si suicidò. Manin
era favorevole alla creazione di una monarchia
costituzionale, ideale favorevole per i democratici.
Alla conferenza di pace di Parigi del 1856, Cavour pose il problema dell'Indipendenza della
penisola italiana tra le altre grandi questioni internazionali da discutere. L'idea di allargare i
confini del Piemonte, a discapito dell’Austria, incontrò con le mire espansionistiche della
Francia di Napoleone III. Inoltre Cavour aveva bisogno di controllare e sottomettere i
fermenti patriottici di stampo rivoluzionario guidati dal democratico Giuseppe Mazzini,
secondo il quale si sarebbe ottenuta l'Unità solo con un moto insurrezionale repubblicano.
Di fronte ai continui fallimenti dei tentativi di sollevazione guidati da Mazzini e alla dura
repressione messa in atto dagli austriaci nei confronti delle organizzazioni mazziniane, il
regno di Sardegna cominciava ad apparire ai patrioti italiani come la sola carta vincente per
il progetto di unificazione, la sola alternativa possibile dinanzi al ripetuto fallimento delle
strategie insurrezionali repubblicane. Furono proprio tre i fattori fondamentali del
risorgimento: l'azione dei democratici, che avevano ottenuto importanti risultati nei moti del
1848 e puntavano ad estenderli a tutta la penisola, l'apporto istituzionale dei Savoia (che già
progettava l'annessione del Lombardo-Veneto) ed il favore internazionale.
Cavour capì subito di dover stipulare anche accordi di tipo militare per fronteggiare l'Austria,
e la sua attenzione si volse soprattutto verso la Francia imperiale di Napoleone III, che era
non solo una grande importatrice di seta piemontese, ma anche uno stato nuovo. Napoleone
voleva avere un'influenza sul territorio italiano, puntando a sostituirsi a Francesco Giuseppe
nel controllo Lombardo-Veneto. Nel 1858 Napoleone III e Cavour firmarono gli accordi di
Plombières che prevedevano la suddivisione dell'Italia in 3 stati federali: Italia settentrionale
sotto il controllo del Piemonte, Italia centrale sotto l'egida pontificia, l’Italia meridionale ai
Borbone. Il papa avrebbe ricoperto il ruolo di Presidente della Confederazione, per ripagarlo
delle perdite territoriali, mentre Nizza e la Savoia sarebbero passate alla Francia. Stipulato
questo accordo difensivo, Cavour lo sfruttò inviando le truppe piemontesi al confine con il
Lombardo- Veneto per delle esercitazioni militari, provocando la reazione dell'Austria.
Francesco Giuseppe inviò un ultimatum che Cavour non accettò e l'Austria dichiarò guerra,
comportando l'intervento della Francia a fianco del Piemonte.
Le ostilità con Vienna si aprirono nel 1859. Gli eserciti si scontrarono a Montebello sul Po, la
prima battaglia in cui si distinsero Cacciatori Alpi, sotto il comando di Garibaldi e gli austriaci
vengono sconfitti a Magenta, poi a Solferino e San Martino. Dopo le prime importanti vittorie
ottenute dai franco-piemontesi, Napoleone decise di firmare a Villafranca, un armistizio
unilaterale con l'Austria senza consultare l'alleato. Oltre ai fattori di politica interna, ciò che
aveva indotto l'imperatore francese al repentino voltafaccia era il dispendio sia di uomini
francesi, che di finanze, non potendosi giustificare di fronte alla popolazione, ma anche la
situazione che si stava profilando nel resto della penisola italiana, dove una serie di
insurrezioni avevano costretto alla fuga i vecchi sovrani e stavano vanificando le ipotesi di
un Italia divisa in tre stati, così come previsto dagli accordi franco-piemontesi. Cavour si
dimise e scoppiarono le proteste, non solo in Piemonte, ma anche in alcune città del centro
Italia: insorgono Modena, Firenze e Parma. I rivoltosi prendono il controllo delle città,
istituendo dei plebisciti per richiedere l'annessione al Piemonte.
Dopo alcuni mesi, nel 1859, viene firmata la pace di Zurigo e vi fu un accordo in particolare
tra Cavour e Napoleone: il Piemonte ottiene la Lombardia, la Francia Nizza e la Savoia,
rispettando però l'autodeterminazione dei territori dell'Italia centrale annessi tramite
plebisciti. La Società Nazionale venne creata per far insorgere le popolazioni italiane nei vari
territori e istituire i plebisciti per l'annessione al Piemonte. Fa il caso di Firenze, Modena e
Parma, ma anche delle province pontificie in Emilia, stupendo Cavour stesso. Il processo di
annessione durò un decennio, e su modello piemontese furono molti i quali si convertirono
alla causa. Furono i rivoluzionari a rilanciare l'idea risorgimentale dopo la sconfitta austriaca
e i risultati dei plebisciti dell'Emilia Romagna e di Firenze. Il Piemonte si prese la normale
amministrazione di quello che ormai assumeva gli aspetti di uno Stato nazionale. L'attacco
allo Stato pontificio era fuori questione senza scatenare l'intervento della Francia.
Mentre il regno sabaudo, tra plebisciti e negoziati, si stava trasformando in un vero e proprio
stato nazionale, riprese vigore l'iniziativa dei democratici mazziniani che sollecitarono
l'intervento di Garibaldi a sostegno di un’insurrezione anti-borbonica che intendevano far
scoppiare in Sicilia. Crispi e Pila furono incaricati di far scoppiare i moti prima a Palermo e
poi a tutta la Sicilia. Nell'aprile 1860, Palermo insorge, l'esercito borbonico interviene e seda
la rivolta, che però dilaga nella campagna. Crispi invoca l'intervento di Garibaldi, benvoluto
da tutti i fronti e sposato alla causa. Una spedizione di un migliaio di garibaldini partì da
Quarto, senza il sostegno aperto né l'opposizione del Piemonte, ma soprattutto con la
complicità della marina inglese. Sbarcò a Marsala e si unì alle masse contadine, che
puntavano a destituire i Borbone e gli aristocratici proprietari terrieri, modificando le
condizioni semi- schiaviste del mondo agricolo, cosa che creò subito un profondo attrito.
Garibaldi, dopo una seconda insurrezione, prese il controllo della città, in nome di Vittorio
Emanuele II, sequestrando le terre demaniali dei Borbone e distribuendole tra i contadini.
Furono 15.000 i volontari che accorsero in Sicilia e partì la seconda fase siciliana, con la
quale venne definitivamente respinto l'esercito borbonico, che si ritirò in Calabria. Il crollo
dell'esercito spiazzo l'opinione pubblica: Cavour si mosse verso l'aristocrazia per
assicurarsene il benestare, promettendo uno stato monarchico e non repubblicano. Gli
aristocratici si affiancarono a Cavour e richiesero l'annessione, e Garibaldi si rifiutò di privare
l'aristocrazia dei sui terreni, necessitando del loro supporto. I contadini insorsero, anche per
via della introduzione della leva. Vi furono diverse esecuzioni, anche sommarie, per riportare
l' ordine.
Nell'agosto del 1860 Garibaldi sbarca in Calabria. Ci furono pochi scontri con l'esercito e i
contadini si unirono della marcia. Il 6 settembre, Francesco II di Borbone si rifugia a Gaeta,
mentre Garibaldi fece il suo ingresso trionfale a Napoli. Le cancellerie europee vennero
spiazzate dal benestare delle masse e Cavour si preoccupò di evitare un possibile attacco
allo Stato Pontificio. Il Primo Ministro piemontese intervenne militarmente sia per sostenere
l’azione rivoluzionaria e assumerne il controllo, sia difesa del papato e Napoleone III stesso
acconsenti all'occupazione di Marche e Umbria, province pontificie. Cavour fece approvare
una legge parlamentare che consentiva l'annessione automatica dei territori occupati tramite
plerebisciti, indetti plebisciti in tutte le provincie meridionali, nelle Marche e in Umbria. La
popolazione, con ampissima maggioranza, decretò l'annessione al Regno sabaudo.
Le truppe piemontesi e quelle garibaldine si scontrarono, rispettivamente contro l'esercito
pontificio e quello borbonico, a Castelfidardo e Volturno.
Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrarono finalmente a Teano il 25 ottobre: il primo
cede al sovrano le chiavi del Mezzogiorno. Garibaldi tornò in esilio, mentre le truppe
piemontesi sedarono le resistenze borboniche.
Il 17 Marzo 1861 il primo Parlamento nazionale, eletto con la legge elettorale vigente nel
regno di Sardegna, proclamò Vittorio Emanuele II re d'Italia: si concludeva così la prima fase
del Risorgimento.
Cavour morì il 6 giugno del 1861, senza potersi occupare del processo di Unificazione e la
classe dirigente moderata si trovò improvvisamente senza il suo esponente di maggior
spicco e prestigio. I principi cavouriani vennero applicati dai successivi governi della destra
storica: riconoscimento delle libertà costituzionali, interpretazione estensiva dello Statuto
Albertino, libero scambio e laicità dello Stato.
La “destra storica” cavouriana era espressione di un liberalismo moderato, rispettoso delle
libertà costituzionali ma al tempo stesso contrario a qualsiasi ipotesi di rapida
democratizzazione delle istituzioni. I suoi sostenitori erano l’aristocrazia, i grandi proprietari
terrieri e la borghesia del centro-nord.
Sull’altro versante dello schieramento politico vi era la cosiddetta “sinistra storica”, formata
dalla vecchia sinistra piemontese, il cui leader era Depretis, e dai patrioti mazziniani e
garibaldini come Crispi e Cairoli. Questo gruppo patrocinava un tipo di liberalismo più
progressista, favorevole all’allargamento delle basi democratiche del Regno, al
decentramento amministrativo e al completamento dell'Unità nazionale mediante l'iniziativa
popolare. Trovava molti consensi tra la piccola e media borghesia e tra il ceto agrario del
Sud, ma anche i lavoratori del nord.
Nel primo parlamento del Regno d'Italia la maggioranza era la destra storica, una
maggioranza di centro che si sedeva letteralmente alla destra dell'emiciclo, che escluse la
vera destra conservatrice. Gli estremisti di destra e sinistra non riconoscono la formazione
del regno:
Estrema destra: simpatizzante della monarchia
Estrema sinistra: punta all'istituzione della Repubblica

Il sistema elettorale piemontese venne esteso a tutta la penisola. Il diritto di voto era
riconosciuto ai cittadini che incontravano questi requisiti:
maschi
25 anni
saper leggere e scrivere
pagare 40 lire di tasse all'anno

Il risultato fu che su 22 milioni di italiani solo 400.000 potevano votare, ovvero il 2% della
popolazione e il 7% di maschi. L'astensionismo era comunque altissimo e i parlamentari
venivano eletti con poche decine di voti,
vincitori dei collegi uninominali.
Inoltre, l'assenza di un sistema strutturato di partiti faceva sì che la lotta politica fosse
caratterizzata da un gioco di alleanze e mediazione tra gruppi di notabili che sedevano in
Parlamento, molto distanti, sia culturalmente che economicamente, dal cosiddetto ‘paese
reale’.
In un contesto di numerose emergenze e disequilibri, tramontarono subito le ipotesi di creare
un sistema decentrato e l'Unificazione del Paese venne condotta all'insegna dell'
accentramento amministrativo e della cosiddetta “piemontesizzazione”: l'estensione a tutte le
regioni delle leggi presenti nel vecchio regno di Sardegna. L'Unificazione di componenti
tanto diverse continua, ancora oggi, a costituire un problema prominente della Repubblica.
Ci fu il tentativo infruttuoso dei governi, di appianare le realtà economiche e sociali tramite
l'estensione delle leggi piemontesi, con tutte le sue istituzioni. L' analfabetismo è l'esempio
lampante della grande differenza e del divario tra il nord e sud.
Con la nascita dei primi governi del regno vi sono diverse personalità da tutta la penisola a
prendere parte non solo alla politica del paese, ma anche alla sua direzione. I governi
cercarono di integrare le varie regioni, investendo ingenti somme primariamente sulle vie di
comunicazioni.
Alla sua nascita, l'Italia conta:
22 milioni di abitanti, 26 milioni se si calcolano gli abitanti di Veneto e Lazio, non ancora
annessi,
il 78% di tasso di analfabetismo, circa il 95% nelle aree del centro e del sud
solo 200.000 abitanti sono in grado di parlare correttamente l'italiano, principalmente in
toscana solo il 20% della popolazione vive in città gli unici centri abitati industrializzati sono:
Milano, Torino, Genova, Napoli (con un nuovo impulso delle industrie campane di Napoli e
Salerno ad opera dei Borbone)
il 70% della popolazione si occupava dell'agricoltura, il 18% nelle industria, il 12% nel settore
terziario

Esistevano tre diversi sistemi di produzione agricola:


Nord: si aveva una produzione di tipo capitalistico di colture e bestiame, con lavoratori
salariati. I soggetti del sistema meridionale sono:
grandi proprietari terrieri: facevano coltivare le terre con colture di cereali (riso in particolare)
aziende agricole: con dipendenti salariati (circa 15-20),
piccole aziende familiari: che coltivavano autonomamente piccoli appezzamenti
Centro: caratterizzato dalla mezzadria. I grandi proprietari terrieri dividevano la terra in
poderi, affidati ai nuclei familiari soggetti ad un contratto di mezzadria: la famiglia pagava un
canone e procedeva alla consegna di metà della produzione. La famiglia poteva abitare sul
terreno e doveva dividere i costi delle sostenute con il proprietario
Sud: caratterizzato dal latifondo. Le terre meridionali erano circa l'80% delle terre coltivate. Il
rapporto era semi-feudale e di semi-schiavitù tra i proprietari e i lavoratori. I contadini
abitavano in borghi semi isolati e riuscivano solo sostentarsi.
Per cercare di integrare i tre sistemi si procedette alla costruzione di ferrovie, che nel 1861
contavano 2.000 km, di cui 2/3 in Piemonte e Lombardia.
I primi governi della destra imposero un primo decentramento, poi abbattuto per cercare di
avere maggiore controllo burocratico ed amministrativo accentrato. Vi fu l'approvazione di
nuove leggi, tra cui:
la legge Casati sull'istruzione elementare obbligatoria (ampiamente disattesa nel meridione).
Garanti del rispetto della legge furono proprio i comuni.
la legge Rattazzi istituiva i consigli comunali a suffragio ristretto e la nomina regia del
Sindaco. Venivano create le province, affidate ad un Prefetto di nomina regia.
nel 1865 venne introdotta una norma sull'unificazione amministrativa.

L'ordine pubblico era un problema soprattutto nel meridione, dove i contadini, caduti i
Borbone, pretendevano un mutamento della loro condizione, che non fu possibile modificare
perché i governi necessitavano dell'appoggio dei proprietari terrieri. L'aumento della
tassazione, imposta indiscriminatamente a tutte le classi, aumentò il malcontento, così come
la leva obbligatoria, che costrinse milioni di giovani contadini a lasciare il lavoro dei campi.
Iniziò a svilupparsi il fenomeno del brigantaggio, una forma di protesta sociale che non
veniva organizzata dei soli contadini, ma anche da furfanti e nostalgici della monarchia
borbonica. La protesta degenerò presto in violenza e sangue, con attacchi ai comuni e
l'uccisione dei rappresentanti del Regno. I governi si occuparono di rafforzare la presenza
dell'esercito e venne approvato nel 1863 lo "stato di brigantaggio": ai comuni venivano dati
poteri speciali, tra cui l’intervento dell’esercito, per fronteggiare i briganti. Nel giro di tre anni,
nel 1865, il fenomeno venne quasi del tutto debellato.
Si cercò di soddisfare le pretese dei contadini ridistribuendo le terre pubbliche borboniche e
pontificie, senza intaccare i grandi proprietari, come fece Garibaldi in Sicilia. Le terre
venivano messe all'asta per poter ricavare introiti statali, ma continuarono ad ingrandirsi i
possedimenti dei proprietari terrieri che acquistavano tramite prestanome.
I governi aumentarono la pressione fiscale e unificarono la moneta, abbattendo i dazi.
Vennero implementate le vie di comunicazione e le ferrovie contarono oltre 6000 km.
Il settore agricolo subì una grande crescita, a contro il settore industriale ne risentì per via
delle politiche di libero scambio. Le industrie italiane ne risentirono particolarmente
soprattutto perché le ferrovie vennero appaltante ad industrie europee e quelle campane
soccomberono alla concorrenza. La pressione fiscale fu molto pressante, a fronte però
dell'investimento in opere pubbliche, anche se le condizioni di vita della popolazione non
mutarono positivamente.
Benché i principali esponenti fossero imbevuti delle tradizionali dottrine liberiste
individualiste, la destra storica si convertì ben presto ad un’attitudine statalista e dirigista,
che doveva servire a portare a termine in tempi rapidi l'unificazione amministrativa e
legislativa. Anche in campo finanziario la destra condusse un’aspra politica fiscale ,con
inflessibile rigore finanziario, colpendo non solo i ceti meno abbienti, maggiormente
danneggiati, ma anche i ceti più agiati. Questo duro fiscalismo provocò le prime agitazioni
sociali ed accrebbe il m malcontento della popolazione.
Con l'ingresso dell'Italia in guerra nel 1866 a fianco di Bismarck venne introdotta la tassa sul
macinato, che scatenò il malcontento della popolazione, specie contadina e meridionale,
subito represso dai governi.
Quintino Sella fu l'artefice, come Ministro delle Finanze, di questa pressione fiscale: rispettò i
bilanci e permise di effettuare tutte le spese pubbliche necessarie. Impose la tassazione
diretta ed indiretta, che interessò quasi ogni ambito economico-sociale.
Le componenti risorgimentali continuano ad esistere, premendo per l'Unificazione.
Lo Stato Pontificio era ancora intoccabile per via della Francia di Napoleone III, sempre
pronto ad intervenire come difensore della cristianità e che infatti inviò dei contingenti a
presidio della Santa Sede. Pio IX, dal conto suo, si ostinava a non riconoscere la formazione
del Regno d'Italia. Garibaldi tornò in Sicilia e iniziò a complottare contro il papa, cominciando
ad arruolare truppe di volontari. Napoleone III, una volta avuta la notizia, inviò un ultimatum
a Vittorio Emanuele II, che fu costretto a stroncare il progetto garibaldino con l'invio
dell'esercito.
Questo momento d'intesa portò i due sovrani a firmare, nel 1864, la Convenzione di
settembre, che sancì il ritiro delle truppe francesi dal Lazio a patto che i territori papali
rimanessero intoccati dai principi rivoluzionari.
La sconfitta di Sadowa nella guerra austro -prussiana nel 1866 sancisce il passaggio del
Veneto all'Italia con la pace di Vienna. L'esercito italiano non diede grande apporto alla
vittoria e venne sconfitto sia a Custoza, che per mare a Lissa. L'annessione del Veneto non
assopì i rivoluzionari, che organizzarono la presa di Roma.
Mazzini e Garibaldi puntarono a scatenare la rivolta incitando direttamente la popolazione
laziale. Napoleone III inviò per mare le truppe, che sbarcarono in Lazio e sconfissero
definitivamente le truppe garibaldine a Mentana, nel 1867. La caduta di Napoleone III,
durante la guerra franco- prussiana nel 1870, fece sì che Vittorio Emanuele inviasse un
ultimatum a Pio IX. Al suo ovvio rifiuto, il 20 settembre, le truppe italiane presero Roma
facendo breccia alla Porta Pia, annunciando definitivamente la fine del potere temporale del
pontefice. Qualche mese dopo il parlamento approvò, per definire i rapporti con la Santa
Sede, nel maggio 1871, la “legge delle guarantige” , che disciplinava i nuovi rapporti con la
Chiesa: il regno riconosceva al pontefice la massima autonomia nello svolgimento del suo
magistero spirituale su tutto il territorio del regno e si impegnava a fornirgli una dotazione
annua per il mantenimento della Corte papale. Nel 1874 ci fu la replica durissima di Pio IX
che, giudicando la legge un atto unilaterale dello Stato italiano e non accettando la perdita
del potere temporale, assunse una linea di totale intransigenza nei confronti delle istituzioni
e della classe dirigente: con il "Non expedit" chiedeva ai cattolici di astenersi dalla vita
pubblica e politica dello Stato. Questo rappresenta un grande problema per i governi italiani,
poiché la popolazione era per il 90% cattolica.
Consolidata l'opera di Unificazione nazionale e raggiunto il pareggio del bilancio, la destra
cominciò a mostrare segni di divisione interna che si concretizzarono quando il governo fu
messo in minoranza sul progetto di statalizzazione delle ferrovie e costretto alle dimissioni.
Poco dopo il sovrano, con una scelta che sembrava conforme alla natura parlamentare
assunta dal sistema politico italiano, affidò l'incarico di formare il nuovo esecutivo al leader
della sinistra storica, Agostino Depretis.Questo mutamento di indirizzo politico venne poi
confermato dalla vittoria elettorale ottenuta dalla sinistra alle elezioni. Importanti figure del
processo di Unificazione vengono a mancare proprio in questo periodo: per primo Mazzini
nel 1872, poi, nel 1878 papa Pio IX e lo stesso Vittorio Emanuele. Sale al trono Umberto I.
La nuova classe dirigente aveva un programma chiaro ed essenziale: l’allargamento del
suffragio, la riforma dell’istruzione e quella fiscale. La sinistra impose un cambio sulla
politica economica, diminuì la pressione fiscale e venne esteso il diritto di voto. Depretis
restò al governo per 10 anni, sempre aperto al dialogo e alla collaborazione.
Gli obiettivi della sinistra:
migliorare l'istruzione elementare, adattandola alla realtà sociale: viene approvata la legge
Coppino, che innalzava a 9 anni l'istruzione obbligatoria, introducendo multe per gli
inadempienti, sempre sotto la sorveglianza dei Comuni. Nel 1877 venne rese pubblica
l’istruzione obbligatoria gratuita, fino al compimento del primo biennio elementare. Il tasso di
analfabetismo diminuì però lentamente: nel 1871 era al 70%, nel 1881 al 63%, primi '900 si
raggiunse il 50%
allargamento suffragio universale: viene varata una nuova legge elettorale. I requisiti erano:
maschi
21 anni d'età
aver, alternativamente:
O superato l'esame elementare;
O dimostrato di saper leggere e scrivere;
O pagato 20 lire di tasse
Gli elettori salirono a 2 milioni nelle elezioni del 1882, poiché si riconobbe il diritto di voto non
solo alla borghesia, ma anche a molti operai e artigiani, soprattutto del settentrione. Il censo
rimase come criterio secondario a fronte di una soglia impositiva dimezzata, mentre si volle
introdurre come primo criterio la capacità, legata all’alfabetizzazione e vincolata alla
frequentazione del biennio elementare. Pur restando in termini assoluti contenuto, il corpo
elettorale si triplicò.
abbattere la pressione fiscale diretta e indiretta: la sinistra operò una netta inversione di rotta
rispetto alla rigida politica fiscale della destra, in particolare:
la tassa sul macinato: Depretis prima la ridusse e la abbattè definitivamente nel 1884
le tasse industriali: vengono abbattute per favorire le assunzioni e gli investimenti, a
beneficio prima della borghesia e poi di tutto il sistema economico
aumentò la spesa pubblica
l’approccio liberista venne progressivamente abbandonato, fino a giungere alla svolta
protezionistica
Le nuove misure non servirono a risolvere il crescente divario economico tra nord e il sud
del paese e finirono per colpire soprattutto il settore agricolo delle colture specializzate,
rettosi fino a quel momento soprattutto sulle esportazioni. Le casse dello Stato però ne
risentirono notevolmente, ma nei settori la situazione era:
settore agricolo: si era sviluppato grazie al libero scambio dei suoi prodotti di eccellenza (olio
e vino del sud; riso del nord). L'agricoltura entrò in una grande crisi solo con l'importazione
del grano americano. Oltre 2 milioni di contadini, specialmente del sud, salparono verso gli
USA.
settore industriale: era vittima dell'industria europea ma ebbe sviluppo con la crisi
dell'agricoltura, quando i proprietari terrieri investirono in nuove fabbriche. Saranno proprio le
industrie, in tutta Europa, a chiedere ai governi di assumere politiche protezionistiche.
decentramento amministrativo: impossibile da realizzare per gli stessi motivi della destra

Nelle elezioni del 1882 entrò nel Parlamento Andrea Costa, primo socialista ad essere eletto
nella storia.
La maggioranza di centro moderata ebbe subito ripercussioni ripercussioni: i giovani
borghesi della sinistra stessa si sganciarano, formando il Partito Radicale, che passò
all'opposizione.
In vista delle elezioni del 1882 e di fronte al rischio di insuccesso delle forze dell'estrema
sinistra, all'interno delle quali i socialisti stavano prendendo le distanze da repubblicani
radicali, Depretis, preoccupato dall'ascesa dell'azione socialista, riallacciò i rapporti con i
moderati della destra storica, secondo l'esempio di Cavour, in un meccanismo che venne
definito dai giornali "trasformismo". Tale convergenza politica centrista si concretizzò in una
prassi fondata sul progressivo annullamento delle differenze programmatiche e sulla volontà
comune di escludere le forze estreme che contestavano le istituzioni liberali. L'accordo
permise la costruzione di un'ampia maggioranza centrista, tendenzialmente omogenea e
funzionale al rafforzamento dell'esecutivo, che diede un ruolo più attivo all’esecutivo e
consolidò l’opposizione di un gruppo radical progressista, che si batteva per un'autentica
democratizzazione delle istituzioni e per una politica estera decisamente anti-austriaca, che
avrebbe dovuto portare all’Italia le terre irridente (Trentino e Venezia Giulia) e concludere
così il processo risorgimentale.
Nel 1882, necessitando l'Italia di un appoggio forte, anche per le mire colonialistiche, il
governo Depretis stipulò con Germania e Austria Ungheria la Triplice alleanza, suscitando
la forte opposizione di quanti desideravano il completamento dell'unificazione. Tale strategia
di politica estera fu spinta dal desiderio di uscire dall'isolamento internazionale ma scatenò il
malcontento dell'opinione pubblica, perché Trento e Trieste erano ancora sotto controllo
austriaco. Depretis era però convinto che sarebbe stato in grado di ottenerle con la
diplomazia e la doppia alleanza con la Germania era mal vista però dalla Francia e dalle
altre potenze europee.
In corrispondenza di questa nuova stagione diplomatica, forte dell'appoggio tedesco, il
governo Depretis avviò anche l'espansione coloniale dell'Italia, con i primi tentativi di
controllo sull’Etiopia. Il governo acquistò dai sultani dei territori della Baia di Assad nel 1882,
rafforzati dall'esercito nel 1885, e instaurò i primi rapporti diplomatici e commerciali con il
Regno d'Etiopia, il più grande impero africano, tecnicamente arretrato e prettamente
agricolo, con una popolazione a maggioranza cattolica, sotto la guida del negus Giovanni IV.
Nel 1887 un contingente italiano di 500 uomini penetrò in Etiopia, ma venne sconfitto dalle
truppe etiopi, sebbene gravemente arretrate dal punto di vista militare.
La sconfitta fece innescare delle proteste contro la politica coloniale.
Per attuare la politica di protezionismo, Depretis fa approvare la "Nuova tariffa doganale",
nel 1887, imponendo dazi doganali, a vantaggio anche del settore dell'agricoltura. L'Italia
impose dei dazi protetti:
sui prodotti siderurgici,
sulla lana,
sul cotone,
sullo zucchero,
sui cereali
Il governo italiano non proteggeva però le industrie meccaniche e la seta, che infatti subì un
grande contraccolpo sebbene fosse un prodotto pregiato ed ampiamente importante. Ci
furono screzi in particolare con la Francia, grandissima importatrice di riso e seta: si innescò
una guerra doganale che colpì la produzione agricola meridionale.
I dazi furono, in questo periodo, le micce non solo di crisi economiche, ma anche e
soprattutto diplomatiche.
I mercati inglesi furono molto danneggiati dalla svolta protezionistica, proprio perché
l'Inghilterra era diventata, nel ventennio precedente, la più grande esportatrice d'Europa.
Tutte le principali potenze europee videro nell'Africa la possibilità di commerciare con nuovi
mercati.
Nel frattempo, nel panorama politico della penisola cominciarono a delinearsi due movimenti
fondamentali: il movimento operaio e quello cattolico.
Il movimento operaio continuò a crescere esponenzialmente con l'aumentare delle industrie,
grazie anche alla diffusione degli scritti di Marx, che, grazie anche al miglioramento
dell'istruzione, cominciano a circolare tra fasce sempre più ampie della popolazione.
Nascono anche i primi partiti politici:
nel 1881, Andrea Costa fonda il Partito socialista rivoluzionario di Romagna
nel 1882, a Milano nasce il Partito operario italiano Filippo Turati fonda, nel 1892, il Partito
socialista italiano, punto di riferimento della classe operaia
Nascono nel frattempo una miriade di associazioni dei lavoratori, attorno alle grandi
industrie, nonché le prime camere di lavoro. Le micro realtà operaie nascenti si
distribuiscono però disorganizzatamente in tutto il regno.
Il movimento cattolico rappresenta, come quello socialista, una minaccia per il neonato
regno. Il "Non expedit" di Pio IX rappresentava ancora un ostacolo alla vita politica statale
dei cattolici, ma non a quella comunale. Nei comuni i cattolici cominciarono ad organizzarsi
in movimenti politici territoriali, ancora fin troppo distanti dalla politica nazionale. Alla morte di
Pio IX, nel 1872, salì al soglio pontificio papa Leone XIII, che, con l'enciclica "Rerum
novarum", invitò le associazioni cattoliche ad interessarsi indirettamente alla politica,
premendo sui governi affinché prendessero provvedimenti su problematiche locali.
Si tratta ufficialmente di una prima apertura della Chiesa al mondo politico e rappresenta,
inoltre, seppur indirettamente, un riconoscimento della sovranità del Regno d'Italia.
Alla morte di Depretis, fu chiamato alla guida dell'esecutivo il Ministro degli Interni, Crispi
che, forte del sostegno di ampi settori della sinistra ma anche dei gruppi più conservatori,
mise mano ad un vasto progetto riformatore nel settore amministrativo:
nel 1888, la legge comunale e provinciale:
allargamento della partecipazione al voto elezione del sindaco comunale, per i Comuni con
almeno 10 mila abitanti
Requisiti di voto della nuova legge elettorale:
maschi
compiuti 21 anni;
saper leggere e scrivere, oppure il conseguimento della licenza elementare
in alternativa a quest'ultimo punto, il pagamento di 5 lire;
Codice Zanardelli: nuovo codice penale:
abolizione della pena di morte (la pena di morte era in vigore negli altri stati europei);
possibilità di scioperare;
leggi sulla pubblica sicurezza; le forze dell'ordine avevano ampi margini per sedare
manifestazioni di protesta e limitava le libertà sindacali
favorì la riforma della sanità pubblica

In politica estera, l'intesa di Crispi con Bismarck, andò ad incrinare ulteriormente i rapporti
con la Francia.
Questo comportò anche un rilancio della politica coloniale che si era, temporaneamente,
fermata dopo la sconfitta italiana in terra etiope.
Venne firmato il Trattato di Uccialli, che sanciva un allargamento dei possedimenti coloniali
italiani nelle due nuove colonie, in Eritrea e Somalia. L'allargamento però, significava
un'ingente costo per le casse dello Stato e l'opinione pubblica, così come il Parlamento, se
ne adirarono. Il trattato venne redatto in italiano ed in lingua etiope, le traduzioni però non
furono identiche: per gli italiani questo testo accordava loro l'estensione della propria
influenza su alcuni territori al confine, per gli etiopi era un semplice trattato commerciale.
Nel 1895, con il secondo governo Crispi, venne organizzata una nuova incursione in
territorio etiope, nuovamente fallimentare. Dopo 3 mesi si rilanciò l'azione con 16 mila
uomini, che portò allo scontro con l'Impero Etiope. A causa delle ingenti spesa militari, Crispi
fu costretto a dimettersi nel 1891.
L'anno successivo, la guida del governo fu assunta dal piemontese Giolitti: liberale
progressista, figura cardine dei successivi trent'anni di storia italiana. Nei primi anni non
ebbe modo di avviare un solido programma riformatore poiché l'Italia stava attraversando un
periodo di forte malessere sociale, causato sia da una prolungata congiuntura economica
sfavorevole a livello internazionale, sia dalla guerra commerciale finanziario in corso con la
Francia. Una delle manifestazioni più evidenti di questo malcontento fu il movimento dei
fasci siciliani, organizzazione dei lavoratori, sorta inizialmente nei centri urbani e poi estesasi
si nelle zone rurali, che dava voce al disagio di larghi strati della popolazione isolana per le
condizioni di vita e di lavoro e che, pur senza professare ideali realmente socialisti,
chiedevano la riduzione delle tasse e del prezzo dei generi di prima necessità. Il pretesto per
le dimissioni di Giolitti fu lo scandalo della Banca Romana: la crisi del sistema finanziario
portò al conseguente fallimento di imprese debitrici della Banca Romana, che cercò il
supporto del Governo. Vennero scoperti diversi illeciti tra la classe politica e la Banca. Il
breve mandato fu comunque notevole:
in politica finanziaria, riconobbe l'importanza di agevolare le classe meno abbienti, anche per
ragioni di ordine pubblico;
introdusse la progressività delle imposte, pagate in rapporto al proprio reddito,
dinanzi alle masse operaie assunse un atteggiamento moderato e non repressivo, specie
con l'insurrezione dei fasci dei lavoratori siciliani, tant'è il suo attendismo spaventò
l'aristocrazia e la classe degli imprenditori italiani, che chiedevano un intervento forte per
reprimere le proteste.

Tornato al governo nel 1893, a seguito dello scandalo della Banca Romana, Crispi accentuò
ulteriormente i suoi tratti autoritari, con scarsa fiducia nel funzionamento delle istituzioni
parlamentari. Completò la riforma del sistema bancario avviata da Giolitti,condusse
interventi repressivi per i tentativi di rivolta in corso in Sicilia, riuscì a far approvare al
Parlamento un insieme di leggi che limitavano la libertà di stampa, di riunione e di
associazione che intendevano colpire il neonato Partito socialista. Furono incriminati i vari
leader socialisti, poi arrestati, e ci fu una vera e propria persecuzione nei confronti dei
socialisti. Dopo aver sciolto numerosissime organizzazioni operaie, furono emanate diverse
leggi che limitavano formalmente l'esercizio di alcuni diritti fondamentali. Lo stesso Partito
Socialista Italiano di Turati venne dichiarato fuorilegge. Secondo i leader dei movimenti
socialisti, era necessario uscire dall'isolamento ed avviare una trattativa con la classe
borghese illuminata, di cui Filippo Turati fu il primo fautore. Infatti, nel 1895 il Parlamento
contava 12 socialisti.
Sempre più in difficoltà a causa della sua azione autoritaria e repressiva, Crispi venne
tuttavia sconfitto sul terreno della politica coloniale, con cui sperava di distogliere l'attenzione
dell'opinione pubblica dalla crisi politica e sociale e dal rinfocolarsi delle accuse di
corruzione ad opera dei radicali. Crispi si ritirò definitivamente dalla vita politica dopo la
grande sconfitta di Adua, nel 1896, che sancì la fine definitiva del sogno coloniale italiano.
Al Governo salì nuovamente la destra storica, con Rudinì, che si affrettò a firmare la pace
con l'Impero Etiope, mantenendo però le colonie di Somalia ed Eritrea.

La Spagna
Nel 1814, il ritorno sul trono di Ferdinando VII di Borbone diede avvio a un regime
assolutista: il re accentrò nuovamente l'intero potere nelle sue mani, forte della
legittimazione dell'aristocrazia terriera, dell’esercito e della Chiesa. Erano proprio questi i tre
grandi pilastri su cui si reggeva il sistema politico della Spagna restaurata.
I movimenti liberali, messi al bando con la restaurazione dei Borbone, continuarono a
mantenersi attivi, pur operando nella clandestinità, e la stessa Costituzione venne
soppressa.
Nel 1830 il sovrano, in assenza di eredi maschi, decise di abolire la legge salica,
garantendo la successione alla figlia Isabella. Contro questo provvedimento, e in appoggio
alle aspirazioni del principe Carlos, fratello del sovrano, estromesso dalla successione, si
animarono la destra spagnola e soprattutto quelle regioni, come la Catalogna e i Paesi
Baschi, influenzate da un radicato cattolicesimo.Si delineò tra la monarchia e i cosiddetti
“carlisti” un insanabile contrapposizione destinata a durare nel tempo e a raggiungere i
connotati di un vero e proprio conflitto di legittimazione, col risultato di fiaccare ulteriormente
la Spagna sia negli equilibri interni sia nella politica internazionale.
Nel 1833 alla morte di Ferdinando, il regno di Isabella, fu segnato da una continua instabilità
causata dal perdurare dello scontro con i carlisti e dal riemergere delle forze liberali, che
cercarono di approfittare del conflitto.
Un pronunciamento da parte di un gruppo di ufficiali di fede liberale costrinse Isabella
all'esilio, mettendo fine a un sistema incapace di dare una risposta chiara ai numerosi
problemi di ordine politico e sociale. Cercando un difficile equilibrio tra autoritarismo e
parlamentarizzazione, il regno di Isabella non era riuscito ad arginare la forte opposizione
repubblicana, né a sedare le tradizionali pressioni autonomistiche dei Paesi Baschi e della
Catalogna. Dopo l'esilio della sovrana, nel 1869, fu votata una Costituzione di stampo
liberale, che legittimava l'istituzione monarchica, pur in assenza di un sovrano, cosa che
stimolò le mire della Casata prussiana degli Hohenzollern, da cui scaturì poi il conflitto
franco-prussiano.

Nel 1871, fu invece positivamente accolta dalle potenze europee la candidatura al trono di
Spagna di Amedeo Ferdinando di Savoia, duca d'Aosta, che fu incoronato ma lasciò
volontariamente il trono dopo soli due anni a causa dei profondi conflitti interni.
L'abdicazione portò alla nascita della prima Repubblica spagnola, destinata ad avere breve
vita poiché, dopo soli 11 mesi, un nuovo colpo di Stato dell'esercito fece crollare la
Repubblica e sancì il ritorno della monarchia e dei Borbone. Nei disegni della monarchia
c'era la volontà di costruire un regime finalmente stabile e duraturo ed il sovrano, convinto
della necessità di instaurare un effettivo sistema rappresentativo per contenere e veicolare
le tensioni presenti tra le numerose forze politiche, con l'appoggio di conservatori e liberali,
promosse un nuovo testo costituzionale: promuoveva importanti correttivi di stampo liberale,
lasciava nelle mani del sovrano potere ancora molto ampi, tra cui la prerogativa del
conferimento e della rimozione del mandato al Capo del Governo.
Si instaurò un sistema che garantiva un regolare avvicendamento al potere tra conservatori
e liberali , il “turnismo”, ma, dietro l'apparenza formale di un meccanismo rappresentativo
basato sull’alternanza, presentava in realtà un sistema fortemente appiattito sul ruolo del
monarca. Se il turnismo aveva in qualche modo neutralizzato i conflitti politici più evidenti,
rimanevano le incertezze e le contraddizioni di un sistema che stentava a imboccare la
strada della piena modernizzazione politica.
Nel 1878 fu abolito il suffragio universale maschile e reintrodotto il criterio del pagamento
delle imposte per la definizione del corpo elettorale. Nel 1890 fu ripristinato il suffragio
universale maschile, ma il deficit di democraticità del sistema politico spagnolo rimase
pressoché immutato.
Al di là delle apparenze la Spagna restava un paese politicamente arretrato, nel quale le
tradizionali gerarchie di potere non cambiarono lungo tutto l’Ottocento. Questo favorì la
diffusione dell’anarchismo, che trovava nelle economie non industrializzate, come quella
spagnola, un fertile terreno di sviluppo. Nel 1910 nacque una Confederazione dei sindacati
anarchici, che fece proprie le tradizionali rivendicazioni sindacali, muovendosi in parallelo
con il sindacato socialista. In questo clima di conflittualità sociale e malessere economico, la
capacità di controllo da parte dei liberali e dei conservatori subì un duro colpo. Con la
minaccia carlista sempre latente e un'esplosione di violenze anarchiche, la monarchia
spagnola si ritrovò ancora una volta priva di vitalità politica.
Sull’ondata di questo generale declino del paese, il dirigente conservatore Silvela lanciò un
appello per la rigenerazione della politica: nacque così un movimento rigenerazionista, che
coinvolse molte forze politiche differenti, con l'obiettivo di adeguare il livello della politica
spagnola a quello del resto d’Europa. Questo progetto era destinato a fallire sia per l’ostilità
della stessa monarchia, sia per l'ostilità delle altre forze politiche contrarie alla
modernizzazione, come l'esercito e la Chiesa.

La Russia
Dopo il congresso di Vienna, la vittoria riportata su Napoleone attribuì alla Russia il ruolo di
baluardo orientale della Restaurazione europea, riconoscimento perfettamente in linea con
la natura politico-sociale dell'Impero russo: un assolutismo reazionario in cui tutto il potere
era concentrato nella figura autocratica dello zar e veniva gestito nella burocrazia,
composta prevalentemente dalla nobiltà.
Il popolo russo non godeva di nessuno dei diritti civili e politici che la Rivoluzione francese
aveva portato ad affermarsi nella maggior parte dell'Europa. I contadini si trovavano ancora
nelle condizioni di servi della gleba, erano privi della libertà personale e venivano comprati e
venduti come merce.
Dal punto di vista economico, nonostante l'incremento delle esportazioni di prodotti verso
l'Europa, la crescita fu complessivamente limitata a causa degli arcaici rapporti sociali e
produttivi. L'attività intellettuale era comunque notevole e, nonostante la repressione dello
zar, gli intellettuali continuavano a discutere di liberalismo, democrazia e socialismo.
Ai tratti dispotici e autocratici del regno di Nicola I, si aggiunse anche una predisposizione
all’espansionismo militare, che portò alla Russia a consolidare la propria presenza in Asia e
ad esercitare una crescente pressione nell'area dei Balcani e del Mediterraneo. Questa
espansione dell’Impero zarista mise a dura prova la struttura arcaica di gestione del potere,
ponendo il paese in collisione con le altre grandi potenze europee, soprattutto la Gran
Bretagna, tradizionalmente interessata al controllo sull'area mediterranea e desiderosa di
mantenere lo status quo nella regione balcanica. Nel 1853, in questo contesto di
espansionismo, lo zar mosse guerra all'Impero turco, nella speranza di sfruttare la crisi del
regime ottomano e partecipare alla spartizione dei suoi territori partendo da una posizione di
forza. La guerra combattuta in Crimea vide come protagoniste, oltre alla tradizionale rivalità
anglo-russa, le mire espansionistiche della Francia di Napoleone III e il desiderio di
riconoscimento internazionale del Piemonte sabaudo.
Oltre a portare la Russia alla sconfitta, questa guerra evidenziò tutte le inefficienze
amministrative e militari dell'impero zarista, contribuendo all’apertura di una fase di riforme
sotto il regno del nuovo zar Alessandro II, dal 1855.
La prima riforma fu l'abolizione della servitù della gleba nel 1861. Nel progetto di
emancipazione dei servi, questi non potevano diventare liberi senza possedere la terra su
cui vivere: si stabilì quindi che i contadini dovessero pagare la terra ricevuta attraverso
prestiti della Banca dei contadini, appositamente creata. A garanzia della restituzione del
prestito, essi rimanevano all'interno di comunità di villaggio per provvedere ogni anno
all’estinzione del debito. Questo complesso meccanismo fece sì che all’entusiasmo iniziale
dei contadini liberati, si sostituisse ben presto un senso di frustrazione e fu necessaria
un'ulteriore stretta repressiva tra il 1863-1864.
Vennero istituti i Consigli distrettuali e provinciali elettivi, in rappresentanza dei proprietari,
delle comunità rurali e della popolazione urbana, nel 1864. Anche se sottoposti a controlli ed
ingerenze da parte delle autorità centrale, e composti in maggioranza da nobili, i comitati
ebbero un ruolo importante nella gestione dei servizi pubblici, dell'assistenza sanitaria e
dell'istruzione.
Alessandro II riformò inoltre il sistema giudiziario, l'esercito e il sistema scolastico.
Questo sistema di riforme, pur non intaccando le fondamenta del sistema autocratico, creò i
presupposti per l'inizio di una modernizzazione del paese, che fu messa subito in
discussione quando i polacchi insorsero, rivendicando una maggiore autonomia. Lo slancio
riformista si concluse nel 1866, all’indomani di un fallito attentato contro lo zar. Questo
riflusso ebbe un effetto particolare tra le generazioni più giovani e più colte: si diffusero
atteggiamenti di rifiuto totale dell'ordine costituito, con l’obiettivo di compiere una vera e
propria opera di educazione culturale fra le masse contadine (populismo russo). Il
movimento che riuniva componenti molto diverse, tra cui gruppi clandestini legati
all’anarchismo europeo, democratici occidentalisti e socialisti, con un obiettivo ideologico
comune: la prospettiva di un socialismo agrario, in grado di far leva sul proletariato delle
campagne e sulla tradizione comunitaria della società rurale russa. Alla scarsa risposta da
parte delle campagne si aggiunse l'accentuarsi dell'azione repressiva dello Stato. Quando lo
zar venne ucciso da un anarchico, tutte le speranze sembrano svanire ed il nuovo zar,
Alessandro III, scelse di tornare alla rigida autocrazia degli anni passati: le riforme
precedenti furono bloccate e con esse si dissolse ogni speranza di procedere verso uno
sviluppo democratico costituzionale.Le opposizioni politiche e le minoranze etniche e
religiose furono brutalmente represse.
CAP 3- OLTRE L’EUROPA
Stati Uniti d’America
L’impetuoso sviluppo economico degli Stati Uniti, che a partire dall’indipendenza ottenuta
dalla Gran Bretagna avrebbe trasformato in poco più di un secolo una ex colonia In una
delle più grandi potenze del mondo, fu possibile grazie alle immense risorse offerte dal
territorio, al costante flusso migratorio del nord-est del paese, proveniente dall’Europa che
ingrossavano continuamente le fila della manodopera, e al continuo allargamento dei confini
dell'unione verso ovest. In questa fase distinguiamo tre zone all’interno dell’Unione:
Nord-est: nucleo delle originarie colonie britanniche, occupato da paesi industriali di tipo
capitalistico con lavoratori salariati;
Midwest: stati più interni, sistema economico prevalentemente agricolo-capitalistico
Ovest: le c.d. terre vergini dell'ovest abitate dagli indiani, caratterizzate da un produzione
agricola standard.
La progressiva espansione degli Stati Uniti partiva dall'est e si estendeva sempre più verso
ovest grazie all'esercito federato.
Distinguiamo inoltre tra:
gli stati del nord: più industrializzati e con un sistema di stampo capitalistico
gli stati del sud: dove era in vigore la schiavitù, la produzione prevalentemente agricola,
basata su larghi latifondi.
In assenza di gerarchie sociali preesistenti, i pionieri impostarono in politica i rapporti sociali
su criteri di profondo egualitarismo, ben diversi da quelli che reggevano gli Stati del nord e
del Sud. Questa immagine del pioniere come uomo libero e padrone del proprio destino fu,
sotto alcuni aspetti, una costruzione della retorica nazionale che portò alla creazione del
mito della frontiera, simbolo dei successi del libero mercato e manifestazioni evincente
del volontarismo dei singoli, nascondeva in realtà molte contraddizioni: la conquista
dell'ovest non fu affatto un processo semplice pacifico e lineare. I coloni si indebitarono con
banche e speculatori per riuscire ad acquistare lotti di terra, si registrarono numerose
occupazioni abusive e continue violenze, perpetrate nei confronti dei nativi, che portavano
ad una difficile convivenza nelle comunità di frontiera fra bianchi, ispanici e meticci.
La nascita del mito fondativo della nazione americana, che trovò massima espressione nella
colonizzazione del West, avvenne in parallelo al consolidamento delle strutture della
democrazia americana, negli anni '20 e '30.
Con la presidenza Jackson (partito democratico):
furono aboliti i requisiti di censo per l'accesso al voto introducendo gradualmente il suffragio
universale maschile. Si registrò una progressiva evoluzione della politica americana verso
una partecipazione popolare di massa, sempre più guidata e incanalata dai partiti attraverso
le loro articolazioni locali, statali e nazionali.
cominciarono a farsi sentire le prime tensioni fra gli Stati del Sud e il governo federale a
causa di differenze di tipo economico, sociale e culturale, che il boom demografico e il
grande dinamismo dell'economia resero sempre più marcate: gli Stati del nord-est avviarono
un impetuoso sviluppo di tipo industriale e imprenditoriale, mentre l'organizzazione sociale
ed economica degli stati del Sud si fondava sulle grandi piantagioni lavorate per lo più dagli
schiavi neri.

Gli schiavi costituivano il perno dell’economia agricola del Sud, ma rappresentavano altresì
l'emblema vivente della contraddizione dello spirito liberale e individualista che faceva da
sfondo allo sviluppo capitalistico del nord. Erano i diretti discendenti degli schiavi già
"importati" nel 1700 e, su 10 milioni di americani che abitavano questi territori,
rappresentavano circa 4 milioni del totale.
Il potere era gestito dalle famiglie più grandi: si tratta di un'aristocrazia non nobile ma
terriera, che offriva alla federazione i migliori ufficiali ed i migliori dipendenti pubblici.
Gli Stati del nord, per la cui economia la schiavitù era sostanzialmente inutile, la abolirono
progressivamente e cominciarono a condannarla anche sul piano morale. Per il Sud, invece,
la schiavitù rappresentava un fattore essenziale: giustificando il lavoro schiavista, col
presupposto che la manodopera nera riceveva protezione e istruzione in cambio del lavoro
prestato, la cultura sudista intendeva accreditare un'immagine paternalistica del proprio
sistema, contrapposto a quello del nord venale ed egoista dov'è il motore di tutto era
esclusivamente il profitto. Tale stereotipo andava a cozzare contro il principio sul quale la
nazione americana si era costruita a partire dalla Rivoluzione: l'autonomia del cittadino
libero e capace di autodeterminarsi attraverso il lavoro.
Gli stati del Midwest vivevano in stretta dipendenza con gli stati dell'est. I prodotti agricoli
vengono commercializzati agli stati industriali dell'est e i macchinari venduti al midwest.
L'equilibrio tra queste tre zone viene rotto dalle conquiste dell'ovest: venne chiesto di poter
estendere le piantagioni del sud nelle terre dell'ovest, ma ciò significava esportare la
schiavitù, che era parecchio contestata anche dai cowboy dell'ovest.
Progressivamente, dal punto di vista politico e sociale, i movimenti anti-schiavitù si facevano
sempre più forti prima negli stati con un sistema capitalistico e successivamente nell'ovest. Il
rapporto tra le industrie del nord e gli stati del sud iniziò ad allentarsi a causa del crescente
rapporto tra il nord con l'est e l'ovest.
L'agricoltura di sussistenza, praticata nell'ovest, venne modificata in una produzione in
latifondi con le caratteristiche del capitalismo e le grandi famiglie proprietarie terriere del sud
cominciarono a sentirsi isolate ai margini del paese.
Dopo le conquiste in Messico, il dibattito pubblico e politico sul tema della schiavitù si
inasprì.
Negli Stati Uniti esistevano ed esistono due grandi partiti, che entrarono presto in crisi:
il partito democratico: votato dai proprietari delle aziende agricole, dai grandi piantatori del
sud e dai lavoratori delle industrie del nord-est, ma perse consensi dopo aver rafforzato i
rapporti col sud
il partito whig: votato dalla borghesia industriale degli stati del nord-est, si sciolse poco dopo
Nel 1854, nasce una nuova formazione politica: il partito repubblicano,originatosi in parte
dall'ala progressista del vecchio gruppo whig, legato alla borghesia industriale del nord e alla
tradizione federalista fautrice del rafforzamento del governo centrale a scapito di quello dei
singoli stati, assunse un profilo chiaramente anti -schiavista e ottenne in breve la
maggioranza del nord del paese.
Il partito democratico, che aveva dominato la scena politica fino al quel momento, era diviso
tra una componente nordista e una sudista e, dal punto di vista elettorale, raccoglieva
consensi sia tra gli agricoltori e gli artigiani delle regioni del nord e dell'ovest, sia fra i grandi
proprietari del Sud.
Nel 1860 le elezioni presidenziali furono vinte dal candidato repubblicano Lincoln che, pur
non avendo fatto perno, della propria campagna elettorale, sull'eliminazione della schiavitù
era profondamente convinto che il sistema schiavistico fosse un male morale, sociale e
politico del quale non si poteva permettere l'espansione. Sentendosi minacciati dall’elezione
di questo nuovo presidente, alcuni stati del Sud proclamarono la propria secessione
dall'Unione: tra il dicembre 1860 e il 1861, gli stati del sud diedero vita alla Confederazione
Americana Indipendente con capitale a Richmond, sotto la presidenza di Jefferson Davis. La
secessione del Sud costituiva un atto palesemente anticostituzionale, in quanto violava il
responso della maggioranza degli elettori.
Nel'aprile del 1861 scoppiò il conflitto tra stati dell'Unione e Confederazione del Sud, uno
scontro tra schiavisti e anti-schiavisti, ma soprattutto una guerra tra unionisti e confederati.
I sudisti aprirono le ostilità nella battaglia di Fort Sumter e, grazie al migliore addestramento
e alle notevoli capacità del loro comandante motivati inoltre dalla convinzione, illusoria, la
Gran Bretagna sarebbe entrata in guerra, ottennero importanti vittorie nei primi due anni di
guerra. Tuttavia, in virtù della schiacciante superiorità numerica della popolazione degli stati
del nord, del loro vasto potenziale industriale e di una flotta relativamente forte, gli unionisti
riuscirono a fermare l'avanzata dei confederati verso Washington e Philadelphia e
passarono al contrattacco lungo il fiume Mississippi, nel 1863. Nel corso dell'anno
successivo le truppe e nordiste riuscirono a penetrare nel territorio nemico fino a invadere la
Georgia e spezzare lo schieramento sudista. Fu una guerra violentissima capeggiata da
Robert Lee, il generale dei sudisti, Ulysses Grant per i nordisti. I nordisti che avevano dalla
loro il fattore numerico, che condizionò l'esito della guerra, ma il totale dei morti fu
spaventosamente alto: 600 mila.
Per la prima volta nella storia si ha una guerra totale, in cui fu coinvolta la componente civile.
Ormai allo stremo, anche a seguito delle iniziative di Lincoln, che si guadagnò il consenso
dei cowboy, spartendo le terre conquistate ed abolì la schiavitù per legge, i confederati si
arresero nel 1865 e gli stati del sud furono occupati militarmente. Qualche giorno dopo la
fine della guerra, tuttavia, un fanatico sudista assassinò il presidente Lincoln.
La guerra mise fine alla schiavitù ed ebbe per l'economia del Sud effetti lunghi e disastrosi:
le piantagioni subirono vaste distruzioni e la fine dello schiavismo mise in ginocchio l'intero
sistema del latifondo. Tutto questo accentuò il risentimento e l'ostilità della popolazione del
Sud nei confronti del governo centrale e si svilupparono forme di resistenza sempre più
aspra sia verso l'integrazione dei neri, sia verso l'influenza politica ed economica degli stati
del nord: nonostante l'approvazione da parte del congresso degli emendamenti costituzionali
che assicuravano cittadinanza e diritti agli ex schiavi, la piena integrazione dei neri negli stati
del Sud non avvenne . I sudisti più insofferenti attivarono una vera e propria lotta clandestina
e violenta contro la popolazione nera, attraverso organizzazioni paramilitari e razziste, come
il Ku Klux Klan, e, in cambio del voto dei sudisti al Congresso per eleggere un Presidente
nordista, il governo federale decise di abbandonare il progetto di ricostruzione del Sud,
comportando la definitiva esclusione dei neri dal patto nazionale e l'inizio della
segregazione razziale. Il Sud riuscirì a precludere ai neri il godimento dei diritti civili e politici
e a creare un regime di segregazione che li discriminava nelle scuole, sui luoghi di lavoro e
nei locali pubblici.
Le regioni del nord-est, invece, conobbero, dopo la guerra, un tumultuoso progresso
economico seguito da un’imponente fenomeno di urbanizzazione e nuova fase di
espansione territoriale. I flussi migratori implementarono parecchio lo slancio: furono favoriti,
tramite legge, gli ingressi di tutti gli stranieri, ad eccezione dei criminali e dei malati di mente.
Grazie al potenziamento della rete ferroviaria venne accelerata la conquista degli ultimi
territori dell'estremo West, ma a farne le spese furono le tribù dei pellirosse che tentarono di
resistere strenuamente all’avanzata dell’uomo bianco. Sconfitti e brutalmente decimati nel
corso delle guerre indiane, furono confinati in apposite riserve isolate e non si integrarono
mai alla società americana.
Altro fattore di accelerazione economica fu la nuova ondata migratoria che riguardò
soprattutto popolazioni provenienti dall’Europa meridionale e mediterranea. Gli immigrati
fornivano all'industria manodopera a basso costo e questa nuova condizione produsse forti
squilibri sociali ed un immenso divario economico e sociale tra borghesia benestante e
classi lavoratrici, nonché un difficile integrazione tra le numerose etnie degli immigrati.
L'imponente sviluppo industriale e la nascita delle grandi concentrazioni industriali
finanziarie, le cosiddette “corporations”, accentuarono le tensioni sociali e le lotte sindacali:
Nel 1886 viene fondata l’American Federation of Labor, che riuniva gran parte delle
precedenti organizzazioni sindacali operaie e diviene rapidamente la più numerosa e meglio
strutturata organizzazione per la tutela della classe lavoratrice, chiusa però ad immigrati,
neri, donne e operai non qualificati. Si limitava a tutelare i diritti delle aristocrazie operaie e
non assunse una precisa caratterizzazione politica.
Il Partito populista, sorto nel 1892, sull’ondata delle rivendicazioni dei contadini dell'ovest e
del sud, non riuscì a incidere in profondità nel sistema politico americano. I suoi punti erano
la difesa gli interessi dei contadini, praticando un vasto programma di nazionalizzazioni, e la
restituzione allo stato delle terre incolte possedute dagli speculatori. I populisti ottenere un
discreto consenso fino a quando non scomparvero dopo la sconfitta alle elezioni
presidenziali del 1896.
Tra 1800 e 1900, numerosi fattori impedirono una vera politicizzazione delle classi lavoratrici
dei movimenti sindacali negli Stati Uniti, tra cui la mancata saldatura tra le rivendicazioni
operaie e quelle contadine, in parte riconducibile all’originaria divisione tra nord e sud, la
frammentazione di tipo etnico, linguistico e religioso all'interno dello stesso ceto operaio, la
presenza di una classe media robusta e culturalmente omogenea che temeva e ostacolava
la radicalizzazione delle proteste dei lavoratori ed, infine, il consolidamento del sistema
bipartitico.
Sulla scena internazionale, il principio guida era quello formulato dal presidente Monroe,
secondo il quale gli Stati Uniti dovevano porsi a garanti dell’equilibrio dell’intero continente
americano e della difesa della sua autonomia da qualsiasi interferenza delle potenze
europee. Gli statunitensi cercarono di affermarsi dal punto di vista economico senza dover
necessariamente ricorrere ad azioni militari. Si inizia a parlare di “imperialismo informale”,
verso il Pacifico e verso l'America Latina
Il governo americano intervenne in Messico a sostegno delle forze repubblicane, che si
battevano contro l'Imperatore Massimiliano d’Asburgo e colse l'occasione per stabilire nuove
basi commerciali nell’oceano Pacifico e nel Mar dei Caraibi, approfittando della rivolta
anticoloniale scoppiata a Cuba nel 1895 contro il dominio spagnolo, a sostegno della
popolazione e a difesa dei sistemi produttivi nazionali di zucchero. Nel 1898, una corazzata
americana venne affondata e scoppiò il conflitto. L'esercito spagnolo venne sconfitto prima
nelle Antille e poi nel Pacifico, Cuba si proclama una Repubblica ma in realtà un protettorato
statunitense. Cuba fu dichiarata indipendente, anche se di fatto entrò nell'orbita degli Stati
Uniti, i quali ottennero Filippine e Portorico e, nello stesso periodo, annessero formalmente
anche le isole Hawaii.
La necessità di nuovi sbocchi per le proprie merci e la volontà di comporre le crescenti
tensioni sociali ed etniche interne, a cui si aggiungevano alcuni dei tratti tipici dell’ideologia
imperialista europea, spinsero gli Stati Uniti a inaugurare alla fine del secolo una nuova fase
di politica estera che li avrebbe inseguiti elevati al rango di grande potenza mondiale.
Subito dopo la sua elezione presidenziale, Theodore Roosevelt, presidente repubblicano,
affermò la potenza statunitense utilizzando mezzi economici e militari (alternando "il dollaro
e il grosso bastone"). Si progettò la costruzione del Canale di Panama, per collegare
Pacifico e Caraibi. Affinché i lavori potessero iniziare si rese necessario, nel 1901,
sottoscrivere un trattato con il governo colombiano. Il trattato però non venne subito ratificato
dal Parlamento colombiano e Roosevelt minacciò l'uso forza, costringendone
l'approvazione. Il canale di Panama venne inaugurato nel 1914.
Roosevelt, in politica interna, fu molto attento ai movimenti operai e tenne conto delle
istanze, facendo varare nuove legislazioni come: contrazione dell’orario di lavoro,
regolamentazione del lavoro minorile e previsione di malattia.
Si dimostrò poi un grande accentratore, limitando notevolmente l'autonomia degli stati
americani.
Come suo successore venne eletto, Wilson, un democratico, che confermò l'apertura alle
istanze della classe lavoratrice e rilanciò l'autonomia degli Stati. Fu inoltre meno incline alla
minaccia militare, preferendo intraprendere la strada della supremazia economica anche se
fu proprio Wilson ad entrare, qualche anno dopo, nella Prima Guerra Mondiale, al fianco
dell'Inghilterra.

Giappone
Insieme agli Stati Uniti, Il Giappone era l'altro paese extra europeo che nella seconda metà
dell'Ottocento conobbe un’accelerata modernizzazione economica e politica. Il paese fu
costretto, proprio dagli Stati Uniti, ad aprirsi agli scambi commerciali con l'Occidente,
imponendogli non solo l'apertura di alcuni porti alle navi americane, ma anche
l'accettazione di una serie di vincoli e restrizioni, come l’esonero dal pagamento delle tasse
doganali per gli americani e il loro diritto essere giudicati dai propri tribunali anche per reati
commessi in Giappone, secondo i cosiddetti “Trattati ineguali”.
L'improvvisa apertura al commercio straniero e l'arrivo di mercanti e operatori europei e
americani provocarono un vero e proprio terremoto politico e sociale: l'aumento vertiginoso
dell'inflazione e dei prezzi aggravarono i già forti squilibri presenti nel paese e si mise in
moto un processo di radicale trasformazione che comportò una graduale, seppur selettiva,
apertura ai contributi culturali, scientifici e tecnologici provenienti dall'esterno.
Il Giappone aveva ancora una struttura politico economica di stampo feudale, dove tutto il
potere era detenuto da una nobiltà terriera dei grandi feudatari, che lo esercitavano
attraverso la suprema autorità politica e militare dello Shogun, avendo al loro servizio una
nobiltà minore di guerrieri, i samurai. Formalmente alla guida dello Stato vi era l'Imperatore,
di fatto un'autorità puramente simbolica e religiosa. All'ultimo gradino della scala sociale si
trovavano i mercanti e contadini.
Il processo che, nel corso degli anni '60 del 19° secolo, mise fine a questo arcaico sistema
coinvolse alcune famiglie dei grandi feudatari, contrariati dai trattati commerciali con le
potenze straniere, ma anche gli strati medio bassi del ceto dei samurai, desiderosi di riscatto
sociale e convinti della necessità di svecchiare le strutture economico sociale del paese.
Nel 1868, gli eserciti dei maggiori feudatari occuparono la città imperiale di Kyoto e
dichiararono decaduto il potere dello Shogun, proclamando la restaurazione imperiale, in
nome del giovane imperatore Mutsuhito. Iniziò un’epoca di governo illuminato durante la
quale la classe politica, che si sostituì alla precedente, produsse numerose riforme in ambito
amministrativo, politico, sociale e fiscale, gettando in pochi anni le basi del Giappone
moderno e industrializzato. Furono cancellati i privilegi feudali, si procedette
all’accentramento amministrativo, e la riforma del sistema scolastico nazionale introdusse
l'obbligo dell'istruzione e del servizio militare obbligatorio, sottratto al monopolio della
vecchia classe dei samurai.
Un’imponente riforma del sistema fiscale consentì poi allo stato di disporre delle risorse
necessarie per finanziare una politica di sviluppo industriale e la costruzione delle
necessarie infrastrutture, facendo anche ricorso al contributo di tecnici stranieri. Questo
repentino processo di occidentalizzazione non snaturò tuttavia le tradizioni culturali e
religiose più profonde del Giappone.
Nel 1889, fu concessa una Costituzione che si ispirava, solo in parte, ai principi del
liberalismo europeo, come risultato di un’aspra lotta politica che oppose all’oligarchia due
formazioni politiche: il partito liberale e quello progressista, sorti in quegli anni come
espressione degli interessi della nuova borghesia imprenditoriale e rurale. Questa
costituzione lasciava ancora molti poteri all'imperatore, tra cui la titolarità del potere
esecutivo e la nomina, di una delle due Camere che formavano il Parlamento, dei membri
mentre l'altra veniva eletta con suffragio censita rio, che esprimeva la rappresentanza solo
dei grandi imprenditori mercanti.
Quella in atto in Giappone, negli ultimi tre decenni dell'Ottocento, fu una vera e propria
“rivoluzione dall'alto”, che accelerò lo sviluppo del paese, pur mantenendo in vita molti dei
vecchi tratti autoritari del sistema politico.
Alla soglia del 20° secolo, oltre a cercare di rivedere alcune delle clausole più svantaggiose
dei contratti commerciali siglati negli anni '50 con i paesi occidentali, il Giappone si sforzò
anche di affermare la propria egemonia nelle regioni dell’Asia orientale, sottoposte
prevalentemente l'influenza dell'Impero cinese.
Dalla competizione con la Cina per il controllo della Corea, tradizionalmente legata alla Cina,
nel 1884 ne scaturì un conflitto che si concluse con la netta vittoria del Giappone. I cinesi ne
uscirono pesantemente sconfitti, perdendo non solo il controllo della Corea ma anche
dell'isola di Formosa e si registrò un grande aumento dei movimenti indipendentisti. La Cina,
il gigante immobile, non riuscì a fronteggiare il piccolo stato giapponese e i suoi eserciti.
Questa guerra aprì la strada alla penetrazione europea nei territori dell'Impero cinese: negli
anni successivi la Russia ne occupò alcune province, sottrasse progressivamente la Corea
all'influenza del Giappone e vi installò una base navale. Il Giappone continuò nelle sue
politiche coloniali interessandosi alla Manciuria, territorio cinese con presenza russa. I
giapponesi proposero un accordo alla Russia per condividere il territorio, ma questa si
oppose, forte dei grandi numeri del suo esercito. Il Giappone dichiarò allora formalmente
guerra alla Russia, che impegnò pesantemente l'esercito, sguarnendo i presidi interni e
favorendo il dilagare delle proteste. I giapponesi fronteggiarono i russi su mare e per terra,
vincendo in entrambi i casi e la grande marina russa impiegò 16 mesi prima di fronteggiare
quella giapponese. Il Giappone, alleatosi con la Gran Bretagna, forte della copertura
finanziaria inglese e americana e sicuro della propria superiorità militare, attaccò e
sconfisse, nel 1904, la flotta russa nel Mar Giallo. Gli Stati Uniti si interposero fin da subito
come mediatori, e favorirono le trattative di pace, sancendo il dominio giapponese sulla
Manciuria meridionale ma anche il riconoscimento del protettorato sulla Corea,
successivamente annessa in modo definitivo. Questa vittoria affermò a livello internazionale
la potenza del Paese, ma acuì anche le tensioni interne: il conflitto era stato vinto a prezzo
di gravi perdite e di pesanti sacrifici della popolazione: nel 1905 si verificarono i primi grandi
scioperi nelle industrie e nelle miniere ed i governi adottarono una dura repressione da cui i
più colpiti furono soprattutto il movimento anarchico e l’appena costituito Partito socialista.
La sconfitta della Russia sconvolse le altre potenze europee: una potenza extraeuropea
sconfigge una potenza europea, facendo vacillare l'idea eurocentrica. La caduta
dell’eurocentrismo comincia a nascere anche per via della mediazione statunitense e della
sconfitta spagnola per il controllo di Cuba.

Cina
Anche nell’Impero cinese, la penetrazione dei mercati stranieri, in particolare degli inglesi,
mise in crisi, nel corso della seconda metà dell'Ottocento, il secolare equilibrio sociale e
politico.
L'impero era di fatto amministrato da una potente casta di burocrati, i mandarini, che
provenivano per lo più dalla grande nobiltà terriera ed esercitavano il loro potere in nome
dell'Imperatore, non tanto in virtù dei privilegi ereditari, ma per meriti intellettuali.
Nonostante alcune riforme promosse nel corso del 1700, per rendere l'apparato statale più
efficiente e per aumentare la produzione agricola, gran parte della popolazione (artigiani,
mercanti ma soprattutto contadini) viveva in condizioni molto precarie.
All’immobilismo del sistema sociopolitico si confaceva l’orgoglioso isolamento rispetto alla
penetrazione occidentale: l’unica concessione del governo cinese era stata la possibilità
offerta ai mercanti inglesi di operare nel porto di Canton, sotto la stretta sorveglianza delle
autorità imperiali. Lo scontro con la Gran Bretagna, che cercava un pretesto per costringere
la Cina ad aprirsi al mercato internazionale, fu originato dal commercio dell'oppio che, da
tempo coltivato in India, veniva importato clandestinamente ed era ampiamente consumato
nonostante la legge lo proibisse. Si era formato un potente gruppo di contrabbandieri che,
col sostegno di funzionari corrotti, partecipavano al commercio britannico. La decisione di
fermare questo traffico fu dettata soprattutto dalla necessità di stroncare le attività dei
contrabbandieri nelle regioni meridionali, dove già da tempo stava crescendo una latente
opposizione al potere centrale.
Nel 1839 venne sequestrato e bruciato un intero carico di oppio giunto sulle navi inglesi nel
porto di Canton.
Gli inglesi risposero attaccando militarmente gli altri porti della Cina.
La guerra si concluse nel 1842, con la schiacciante vittoria della Gran Bretagna, che impose
alla Cina il Trattato di Nanchino: gli inglesi ottenevano la cessione di Hong Kong,
l'abrogazione del divieto di importazione dell’oppio, l'apertura al commercio internazionale di
altri 5 porti e un risarcimento monetario come indennità per l’oppio perso.
Questa guerra, oltre a mettere a nudo la debolezza militare dell'Impero, fece esplodere le
tensioni sociali: dopo il 1850, le regioni meridionali furono teatro di una grande rivolta
contadina: dotatisi di un potente esercito, questi gruppi occuparono una vasta porzione della
Cina meridionale.
Questo conflitto interno si incrociò con un nuovo conflitto tra Cina e Gran Bretagna,
affiancata dalla Francia.
La guerra, conosciuta come la seconda guerra dell’oppio, scoppiò nel 1856 in seguito
all'attacco di una nave inglese nel porto di Canton, si concluse con nuove concessioni agli
occidentali. Allo stesso tempo però Francia e Gran Bretagna appoggiarono il governo
centrale nella repressione delle rivolte contadine.
Nonostante le sconfitte militari avessero incrementato i rapporti commerciali tra Cina e
Occidente, la classe dirigente continuò ad opporre una ferrea resistenza alla penetrazione
straniera e avviò un consistente programma di potenziamento dell’industria bellica. Da
questo momento prese a crescere un movimento ultranazionalista e xenofobo il quale,
favorito anche dai ceti dirigenti, ebbe un vasto seguito soprattutto tra i contadini del nord.
Questo movimento, i cui componenti venivano chiamati “boxers”, era guidato da
un’organizzazione segreta di stampo paramilitare radicalizzò la propria protesta contro gli
stranieri alla fine degli anni '90, prese d'assalto le missioni cristiane e le legazioni europea.
Nel 1900, quando le violente rivolte toccarono il picco più alto, a seguito dell’occupazione del
quartiere delle ambasciate a Pechino, le potenze europee, con Stati Uniti e Giappone,
attaccarono militarmente la Cina, sconfiggendola nuovamente.
L'ennesimo insuccesso militare mise definitivamente in crisi il governo dell'Impero e favorì
l'emergere di una nuova élite di giovani intellettuali che proponevano una riforma radicale di
stampo occidentale delle strutture del paese.
Questa gioventù intellettuale trovò il sostegno dei nuovi ceti mercantili e si inserì in questo
periodo la fondazione dell'organizzazione della Lega di Alleanza Giurata, che esprimeva
idee repubblicane e si batteva per i cosiddetti tre principi del popolo: indipendenza
nazionale, potere del popolo, da attuarsi mediante le istituzioni rappresentative, e benessere
del popolo, da attenersi con una radicale riforma agraria. Il suo programma riuscì a
catalizzare il vasto e differenziato malcontento verso l’autocratico regime imperiale. La
dinastia Manciù era considerata la grande responsabile della caduta della Cina. Si iniziò a
pensare, nell'opinione pubblica, di seguire il modello giapponese, finalmente distaccandosi
dai modelli tradizionali. A capo di questo movimento rivoluzionario c'era un medico, della
città di Kanton, Sun Yat-Sen, che avviò un dibattito nuovo su democrazia e libertà, aprendo
la società cinese al mondo occidentale, in un confronto tra studenti, militari ed operai,
notevolmente aumentati grazie al contributo occidentale.
Alla fine del 1911, i delegati di 16 parlamenti provinciali dichiararono decaduto il potere
imperiale e proclamarono la Repubblica, nominando un presidente provvisorio Sun Yat-sen.
La dinastia Manciù, fortemente screditata, tentò di evitare il tracollo con la forza, inviando
l'esercito per reprimere le proteste. Il generale Yuan Shikai, capo delle forze armate cinesi, si
alleò al movimento, abbandonando l'Imperatore e formalmente dichiarandone la
destituzione, nel 1912, dopo 3000 anni di Impero. La prospettata istituzione di un sistema
parlamentare si rivelò, però, estremamente difficile: la spinta alla modernizzazione e alla
democratizzazione del sistema politico, promossa dagli intellettuali rinnovatori che avevano
sostenuto la nascita della Repubblica, si opponeva agli interessi dei notabili conservatori i
quali intendevano reprimere qualsiasi trasformazione, anche solo culturale, che potesse
minacciare l'ordine e gli equilibri tradizionali nelle campagne. Forte dell’appoggio dei notabili
locali e dei governatori militari, che detenevano il controllo sulle province Yuan Shi-kai, un
militare ultraconservatore che aveva supportato la proclamazione della Repubblica, assunse
il potere e trasformò progressivamente la Cina in aperta dittatura, governando, sebbene ne
fosse avverso, col supporto delle potenze occidentali..

CAP4-LE ISTANZE IMPERIALISTICHE NELLA CRISI DI FINE SECOLO

Europa negli anni a cavallo tra Otto e Novecento


Si registrano eventi e stati d'animo contraddittori:
Si ha una grande fiducia che il nuovo secolo avrebbe aperto una stagione di progresso e
crescita illimitata in tutti i settori,
Si comprende che un lento, ma inesorabile processo di erosione stava minando dalle
fondamenta il vecchio ordine europeo,
L’eurocentrismo viene messo in crisi dalla rapida ascesa delle potenze extraeuropee,
La radicata fiducia nel progresso e nella ragione pareva sbiadire dinanzi alle contraddizioni
della nuova società di massa e all’irrompere sulla scena pubblica dei partiti socialisti e delle
rivendicazioni operaie.
Nei parlamenti si affrontarono per la prima volta in modo aperto due schieramento: i
difensori del sistema politico basato sullo sviluppo del sistema parlamentare e sulla
progressiva estensione del suffragio elettorale, secondo la tradizione anglosassone, ed i
propugnatori di un sistema incentrato invece su un esecutivo il più possibile sganciato dalla
volontà dell’elettorato, come nel modello della Germania imperiale.
In Italia
Nel marzo del 1896, Crispi si dimette, dopo la sconfitta di Adua, aprendo una fase acuta di
crisi e di gravi fermenti sociali. Negli ultimi anni del XIX secolo l'Italia rischia una svolta
autoritaria, sotto il governo della destra storica, che imporrà importanti limitazioni di libertà,
ad iniziare dal mandato del marchese di Rudinì.
Nemici dell'autorità dello Stato sono considerati i socialisti, i clericali, i cattolici ed i
repubblicani.
I governi di questo periodo rimossero l'interpretazione estensiva dello Statuto Albertino,
d'introduzione cavouriana, facendo ritorno alla vecchia interpretazione: il Governo tornava a
necessitare la sola ed esclusiva fiducia del sovrano e non più, in aggiunta, di quella del
Parlamento.
Furono anni molto turbolenti a partire dal 1898, quando salì il prezzo del pane, scatenando il
malcontento dell’opinione pubblica e le proteste operaie. Rudinì proseguì la linea politica di
Crispi, con maggiore forza e veemenza. Allo scoppiare delle proteste proclamò lo stato
d'assedio, dispiegando l'esercito. A Milano, l'esercito, sotto il comando del generale
Beccaris, sparò sulla folla ed uccise 100 manifestanti. L'opinione pubblica rimase scioccata,
ma il governo aumentò la forza repressiva delle sue azioni e iniziò una vera e propria
persecuzione dei leader socialisti: la stampa d'opposizione fu repressa e i principali
esponenti socialisti, radicali e cattolici furono arrestati, mentre Umberto I premiava Beccaris
per l'azione repressiva da lui condotta. Rudinì rimase in uno stato d'allerta permanente,
presentando dei pacchetti di norme restrittive
delle libertà, che incontrarono l'opposizione del Parlamento e dello stesso re, che, dopo
l'eccidio di Milano, lo sostituì con Pelloux, il quale mantenne la stessa linea di governo,
presentando i pacchetti con le restrizioni riguardanti, tra le altre cose, la libertà di sciopero, di
stampa e di associazione.
L'opposizione attuò in Parlamento un ostruzionismo efficace, attraverso i c.d. "interventi
fiume", che bloccarono i lavori parlamentari. La maggioranza desistette ma Umberto I
sciolse comunque il Parlamento. Nelle successive elezioni del giugno 1900, venne
confermata la maggioranza già esistente e vennero eletti ben 33 deputati socialisti.
Con l'assassinio di Umberto I, nel luglio del 1900, ucciso a Monza da Gaetano Bresci,
anarchico tornato dagli Stati Uniti per vendicare le morti dei milanesi caduti sotto Beccaris, si
aprì una nuova stagione per il Regno d'Italia.
Salì al trono Vittorio Emanuele III e tentò subito di allentare la tensione sociale, sostenuto
dai nuovi governi.
Nelle elezioni del 1900 lo schieramento governativo ottenne una maggioranza risicata e
Pelloux decise di dimettersi. Gli successe il liberale Saracco, con un ministero di transizione
che raffreddò il clima di tensione.
In Francia
Nello stesso periodo si conobbe una violenta crisi politico istituzionale che vide fronteggiarsi
le forze liberali, fedeli alla Terza Repubblica, e la destra filomonarchica e nazionalista. La
causa scatenante fu una famosa vicenda giudiziaria: il cosiddetto affaire Dreyfus, che vide
protagonista un capitano ebreo condannato alla degradazione e all'esilio perpetuo per
attività di spionaggio militare a favore della Germania: il fatto si trasformò in un caso politico
in seguito alla scoperta di numerosi elementi che scagionavano Dreyfus, e l'occasione di
revisione del processo divenne l'occasione per un regolamento di conti tra avversari e
difensori dei valori della Repubblica parlamentare. Il celebre “j’accuse” di Emile Zola, a
difesa del generale ebreo, diede infatti inizio a una nuova fase del dibattito che coinvolse
l'intera opinione pubblica francese, schierata a favore o contro la revisione del processo tra i
colpevolisti, guidati da un radicato spirito antisemita, c'erano tutti coloro che incuranti della
verità giudiziaria volevano difendere l'onore dell'esercito e tentavano di colpire la cultura
liberale parlamentare nel suo complesso. Sul fronte opposto, in difesa delle istituzioni
repubblicane e del generale, si schierarono i paladini dei diritti dell'uomo, tutti coloro che
intendevano sconfiggere la crescente ondata eversiva della destra, e il partito socialista. La
vicenda giudiziaria si concluse nel 1906 con l'annullamento del verdetto di colpevolezza la
reintegrazione del capitano dell'esercito. Con il superamento di questa crisi la Francia
stabilizzò definitivamente le proprie istituzioni repubblicane che assunsero un profilo
marcatamente laico e radicale a seguito di una vigorosa battaglia contro le posizioni di
potere ancora detenute dal clero cattolico.
In Gran Bretagna
La crisi fu meno traumatica ma altrettanto decisiva. Alcuni segnali delle difficoltà inglesi
furono:
la richiesta di autonomia dell’Irlanda,
la nascita ed il consolidamento del Labour party, che incrementò la forza di contrattazione
del movimento operaio, inducendo sulla scena politica una nuova struttura partitica stabile,
le ripercussioni interne della guerra contro la popolazione bianca del Sudafrica
Sul piano politico istituzionale la vera crisi scoppiò una volta terminata la lunga egemonia
conservatrice al governo.
Alle elezioni del 1906, i liberali ottennero una schiacciante maggioranza e per la prima volta
entrarono alla Camera una trentina di deputati laburisti. La nuova amministrazione si
distinse subito per una forte iniziativa riformatrice e per un’imposizione fiscale marcatamente
progressiva, che andava a colpire soprattutto la grande proprietà fondiaria.
Dopo un braccio di ferro durato due anni tra Camera dei Lord e Camera dei comuni, la
Camera alta, anche dietro le pressioni del nuovo re, si piegò ad approvare, seppure a stretta
maggioranza, la legge che stabiliva la superiorità delle istituzioni elettive e ridisegnava la
delicata balance costituzionale inglese in senso democratico.
In Germania
Pur in assenza di una vera e propria crisi politico istituzionale, si vide mutato il corso politico
del paese dopo la fine del lungo cancellierato di Bismarck. Il nuovo Kaiser infatti aspirava a
esercitare un potere marcatamente personale e a imprimere un orientamento nuovo e più
aggressivo alla politica estera tedesca: ebbe inizio la fase della Weltpolitik. Bismarck si
dimise nel 1890, a seguito dei contrasti con il nuovo imperatore Guglielmo II, poiché
fortemente contrario all’intraprendere delle politiche coloniali. I grandi nemici dell'Impero
Tedesco erano la Russia zarista a cui Bismarck si era legato col patto di Contrassicurazione,
e I'Impero Austro-Ungarico, con cui aveva sottoscritto il patto dei tre Imperatori. Il mirabile
meccanismo di alleanze che Bismarck si era sforzato di creare lungo il 1800 venne a crollare
quando Guglielmo II sciolse il patto con la Russia, perché puntava ad isolarla politicamente,
al pari della Francia, già isolata dal ventennio bismarckiano. Inaspettatamente per il sovrano,
proprio questi due stati si allearono tra loro per evitare l'isolamento, creando un rapporto
stretto, preferenziale e duraturo che persiste ancora oggi.
Nel 1891 firmarono un accordo commerciale, che divenne, nel 1894, un accordo militare.
L'accordo è ricordato come la Duplice Franco-Russia, nel quale due potenze, estremamente
diverse, si allearono per i propri interessi economici e nazionali.
Questa nuova alleanza sviluppò nella classe politica e nelle gerarchie militari tedesche la
paura di un accerchiamento.
Guglielmo II decise allora di rilanciare la presenza tedesca nei mari del Nord riarmando la
marina con ingenti spese, provocando la risposta inglese, che per tutta risposta, portò ad un
ulteriore riarmo della flotta britannica, già tecnologicamente avanzata. Tra il 1904 e il 1907 si
registrarono ingentissimi investimenti da ambo le parti.
La corsa agli armamenti portò l'Inghilterra a simpatizzare per la Francia, sebbene la
fortissima competizione coloniale sul continente africano. Nel 1904, le due Nazioni
sottoscrissero I'Intesa cordiale, un accordo non militare ma esclusivamente di politica
coloniale che appianò le divergenze e delineò chiaramente i confini dei possedimenti
oltremare. La Francia diventò, nel giro di 15 anni, il nuovo perno tra Russia ed Inghilterra e
fu proprio l’azione diplomatica francese a muoversi, nel 1907, per favorire gli accordi tra
Russia ed Inghilterra, per sanare le divergenze coloniali in Asia.
Nacque così la Triplice Intesa e l'Europa assunse un assetto fortemente bipolare: da un lato
la Triplice Intesa, tra Francia, Inghilterra e Russia, dall’altro la Triplice Alleanza, tra l'Impero
Austro-Ungarico, l'Impero Tedesco e il Regno d'Italia
Gli errori di Guglielmo II furono evidenti: l'intensificazione del riarmo navale e terrestre portò
al timore delle gerarchie militari dell'accerchiamento, spingendole a pensare di dover
attaccare prima di essere attaccato, sviluppando dei piani di guerra preventiva, che saranno
alla base dello scatenarsi del conflitto mondiale.
In questo clima si assistette a un’intensa mobilitazione sociale e politica dei ceti d'ordine,
secondo una dinamica per molti versi opposta a quella presente negli altri paesi europei,
dove ad alimentare le proteste erano soprattutto le forze della sinistra.
Sorsero la Lega pan germanica, per sostenere politiche imperialistiche, e la Lega navale,
per favorire gli investimenti sulla flotta. Queste ed altre associazioni contribuirono a
diffondere culture e idee sempre più aggressive propugnando una militanza attiva e
criticando ferocemente la presunta moderazione degli organi di governo. Un misto di
populismo ed antisemitismo fungeva da collante di questi movimenti e si radicò
profondamente.
La sola grande forza di opposizione, l’SPD, si trovava in condizioni di totale isolamento.
La Germania arriva quindi alla vigilia della Prima guerra mondiale con tutte le contrastanti
forze liberate da una società in vorticoso progresso economico incapace di trovare un punto
stabile di equilibrio.

In Russia
Il Paese non stava vivendo lo sviluppo industriale che aveva caratterizzato tutta Europa e
che invece comportava l'ascesa del partito socialista, che si afferma nei grandi centri urbani.
Bernstein si rese conto che il sistema capitalistico, invece di implodere su se stesso come
aveva previsto Marx, favorì i proletari, che migliorarono la loro condizione. Lo Stato cominciò
ad interessarsi alle crisi economiche e al sistema di produzione capitalistico, consapevoli
però che la società aveva tutti gli strumenti per tenere sotto controllo le situazioni che si
delineavano. La classe operaia quindi si affermò, guadagnando consensi e rendendosi
indispensabile per lo sviluppo. Vennero introdotte legislazioni a favore delle politiche sociali,
ed ottennero importanti conquiste grazie al dialogo tra le due classi.
Si crearono però divisioni tra:
massimalisti: chi vedeva un nemico nella classe borghese
riformisti: moderati, ritengono che il sistema debba essere riformato dall'interno grazie al
dialogo
Anche per la Russia le diverse nazionalità costituivano non pochi problemi. Nell'Impero
Austro-Ungarico l'erede al trono, Francesco Ferdinando, propose l'estensione dell'autonomia
concessa all'Ungheria anche ai paesi slavi, costituendo un impero a tre punte, ma il
progetto, che avrebbe potuto appianare i profondi malcontenti delle minoranze, rimase
inascoltato.
Lo zar Alessandro II portò poche novità in Russia, aprendosi timidamente al progresso
europeo. Alla sua scomparsa ritornò l'autocratica dei suoi successori: prima con Alessandro
III e poi con Nicola II. Entrambi i sovrani attuarono politiche repressive, accentuando il
potere e costringendo le minoranze al processo di russizzazione. Nonostante questo,
Alessandro III colse l'occasione dell'alleanza con la Francia per investire i capitali francesi
nell'industrializzazione e nella costruzione della ferrovia, che trainò il settore siderurgico e
quello meccanico. Fu proprio l'apertura alla Francia che smosse la classe operaia e spinse
lo zar a confrontarsi.
Il processo d'industrializzazione iniziò nel 1900, anno in cui si contavano 2.500.000 di
operai: il primo nucleo nacque intorno a San Pietroburgo. Il resto della popolazione viveva
nei campi, impegnata nell'agricoltura.
Rimase alta la mortalità infantile così come il tasso di analfabetismo, tematiche per le quali si
mosse la classe operaia, rivendicando miglioramenti.
Il Partito socialdemocratico aveva due orientamenti:
bolscevichi: guidati da Lenin, con posizione rivoluzionaria. Proponevano se stessi,
considerandosi l'avanguardia operaia, come la classe che avrebbe fatto la rivoluzione.
menscevichi: fedeli all'ortodossia marxista, ritenevano che lo zarismo sarebbe dovuto essere
rovesciato da una rivoluzione borghese
Nel 1904 scoppiò la guerra con il Giappone e l'esercito russo, dislocato sul fronte bellico,
lasciò spazio ai movimenti di protesta. Un anno dopo, nel 1905, la Russia cadde sotto il
fiume di una nuova protesta ed il malcontento produsse un vero e proprio moto
rivoluzionario: dopo l’umiliante sconfitta e all'interno di un contesto di grave carestia e crisi
interna, il congresso aveva elaborato un programma di stampo liberale dove si richiedeva la
convocazione dei rappresentanti liberamente eletti dalla popolazione a questa richiesta del
congresso fece seguito un’ampia campagna di propaganda in cui si chiedeva la
convocazione immediata di un’Assemblea Costituente. Lo zar promise un piano di riforme
ma mise in guardia contro l'organizzazione di manifestazioni che avrebbero potuto turbare
l'ordine pubblico. Fu elaborata, sotto l'impulso del leader dell’Unione degli operai di fabbrica
di San Pietroburgo, una petizione che, presentata allo zar durante una grande e pacifica
manifestazione nel 1905, fu accolta a fucilate dall'esercito imperiale, tornato in patria dal
fronte giapponese. Le proteste che seguirono alla brutale repressione videro coinvolti i
liberali ed i moderati, favorevoli alla trasformazione del regime autocratico in una monarchia
costituzionale, i contadini, gli operai e alcuni settori dell'esercito e della marina. Vennero a
crearsi i soviet, tra cui quello della capitale, San Pietroburgo, su modello della Comune
parigina di autogoverno popolare. Di fronte alla radicalizzazione assunta dal movimento di
protesta, Nicola II volle comunque mantenere le promesse e convocò la Duma,
un'assemblea rappresentativa, la cui maggioranza era composta dai liberisti e dai
menscevichi, per la quale tuttavia si prefiguravano un corpo elettorale ristretto e funzioni
meramente consultive. L’insufficiente iniziativa dello zar produsse un ulteriore inasprimento
delle tensioni ed ebbe anche l'effetto di dividere il fronte liberale: mentre la parte più
moderata accolse con soddisfazione l'introduzione della Duma, l'ala più progressista vi si
oppose, rivendicando per il Parlamento poteri più ampi. Alla fine, lo zar firmò il cosiddetto
“Manifesto delle libertà”, in cui si stabiliva la concessione delle principali libertà civili, la
partecipazione di tutti i cittadini alle elezioni della Duma e l'attribuzione a quest'ultima del
potere legislativo. Tale atto, che segnava il primo passo della trasformazione in senso
costituzionale dell’Impero russo, non fu sufficiente a tenere unito il fronte liberale: i moderati
soddisfatti delle concessioni ottenute, costituirono il partito degli “ottobristi”, mentre l'ala
progressista diede vita al Partito costituzionale democratico. Emerse in questi anni il partito
dei socialisti rivoluzionari, movimento di stampo populista che aveva la sua base nelle
comuni agricole e si batteva principalmente per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro
per i contadini.
A causa della rottura del fronte rivoluzionario, il governo dello zar ebbe modo di dare ai
decreti del Manifesto un’applicazione restrittiva, che riportava il potere politico quasi
esclusivamente nelle mani dello zar e della sua burocrazia, mentre la Duma fu sciolta nel
1907, segnando una nuova stretta assolutista. Fu indotta una nuova maggioranza
conservatrice e venne modificata la legge elettorale, che favoriva i proprietari terrieri. Le
varie Dume elette in quegli anni vennero sciolte e, una dopo l'altra, non riuscirono a far
decollare un vero sistema parlamentare. La Costituzione promessa dallo zar non fu mai
emanata e, anzi, il nuovo Primo Ministro mise mano a una durissima repressione nei
confronti di tutte le opposizioni.
Vi fu tuttavia un timido tentativo di riforma agraria che, sebbene attuata solo in parte,
consistette in una redistribuzione dei fondi che portò alla gratuità di terre demaniali e i
contadini potevano diventare proprietari della terra coltivata, ottenendo facilitazioni e crediti
per l'acquisto dei lotti. Si venne a creare una nuova classe di piccoli proprietari terrieri, i
Kulaki, che misero in piedi un sistema capitalistico agricolo grazie anche alla nuova
tecnologica e costrinsero i proprietari a privarsi della terra, previo indennizzo.

La nascita della società di massa e la nazionalizzazione della politica


Negli anni fra 1800 e 1900 e i paesi che avevano conosciuto un primo sviluppo industriale e
il fenomeno dell'urbanizzazione furono attraversati da importanti mutamenti economici,
sociali e politici:
L’industrializzazione porta alla nascita del proletariato urbano,
L’allargamento quantitativo della fascia della media e piccola borghesia e ampliamento del
ceto medio con la nascita dei cosiddetti colletti bianchi: tecnici, impiegati, commessi e
funzionari del settore privato e pubblico
Cambiamenti sociali nei rapporti fra individui e gruppi, le relazioni umane vengono gestite
dalle organizzazioni, prime fra tutte le organizzazioni operaie, da queste nascono i primi
partiti politici. I vecchi sindacati di mestiere risultavano sempre meno adeguati a raccogliere
le istanze di una classe operaia complessa, nacquero quindi, le grandi organizzazioni
sindacali che riunivano tutti i lavoratori di uno stesso settore
Mutano le forme di consumo e il ruolo dello Stato nell'economia, vi è un maggior numero di
produttori e di consumatori e si comincia ad affermare il conformismo e nasce una nuova
forma di acquisto rateale;
avvento della società di massa, caratterizzata dalla presenza di grandi agglomerati urbani,
nei quali viveva la maggior parte della popolazione e dove i rapporti fra individui si
articolavano in forme per lo più anonime e impersonali, tendeva a ridurre la centralità dei
classici punti di riferimento come la famiglia, la comunità locale o le istituzioni religiose per
dare più importanza alle forme di organizzazione politica come partiti e sindacati. Comincia
a diffondersi la pubblicità e gli acquisti spinti dal consumismo si uniformano
Grazie lo sviluppo di mezzi di trasporto strumenti di comunicazione e informazione crebbero
sia la mobilità dei cittadini, con il pendolarismo, sia la circolazione delle notizie, ma anche il
turismo e le prime spedizioni fuori città di merci;
Impetuoso sviluppo economico e tecnologico dei paesi industrializzati, dove cominciarono
ad affermarsi nuovi e redditizi settori produttivi, come l’affermazione del settore terziario;
All'interno di questo processo si verifica una graduale razionalizzazione dei processi
produttivi per la quale fu decisiva l’elaborazione, da parte di Taylor, di un modello di controllo
della produzione basato sulla misurazione dei tempi di lavoro: Taylor proponeva un sistema
dove, grazie a un minuzioso monitoraggio delle singole fasi di lavorazione, il lavoro degli
operai venisse ottimizzato, riducendo i tempi di fabbricazione di un manufatto complesso.
nasce la catena di montaggio, che:
migliora la produttività,
aumenta di profitti e salari,
abbassa i prezzi e i costi;
aliena l'operaio e rende più marcata la stratificazione sociale all'interno della classe operaia:
all’operaio non specializzato, espropriato della propria capacità creativa e reso una
macchina, cominciò ad affiancarsi l'operaio qualificato
Garanzie sociali dei servizi dello stato:
istruzione di massa e pubblica: necessità di abbattere il livello di analfabetismo
associato alla diffusione dei giornali, portano al formarsi dell'opinione pubblica e alla
consapevolezza politica di ampi strati della popolazione, che influenzerà le classe dirigenti
livelli elementari di sanità ed assistenza
Creazione degli eserciti di massa, tramite il servizio di leva obbligatoria
Il processo di nazionalizzazione della politica fu causa e al tempo stesso conseguenza
dell’allargamento del suffragio, che venne promosso dai governi di molti paesi europei e,
unito alla crescita del sindacalismo operaio e dei partiti socialisti, e al sempre maggiore
attivismo sociale e politico delle donne, contribuì alla politicizzazione delle masse
modificando lo spazio dei caratteri della politica tradizionale. La dimensione di massa della
politica innescò una serie di processi, tra cui il ricorso a forme di coinvolgimento anche
emotivo, e non più solo razionale, nella propaganda politica: cominciarono a cambiare
contenuti e le modalità del discorso politico con la comparsa di simboli, slogan e rituali
collettivi, indusse liberali e i gruppi dirigenti tradizionali a cercare di dotarsi di organizzazioni
politiche stabili e strutturate. Questo processo incontrò non poche resistenze all'interno dei
gruppi liberali e conservatori che temevano la sopraffazione della volontà del numero sui
graduali e ponderate decisioni prodotte dalla ragione, e dunque dalle élite culturali. La
politicizzazione delle masse, inoltre, rischiava di compromettere l'egemonia politica che le
classi borghesi avevano conquistato nel corso dell'Ottocento.

L'Europa tra nazionalismo e imperialismo


Gli ideali nazionali, che per buona parte dell'Ottocento avevano animato i progetti di
indipendenza di diversi stati europei, erano connessi originariamente al concetto
rivoluzionario repubblicano, così com'era stato declinato si durante la Rivoluzione francese
ed americana, ma anche da personaggi politici come Mazzini, è legato alla tradizione del
Romanticismo, nata nei territori di lingua tedesca, ed ha contribuito al consolidamento dei
moderni stati nazionali, favorendo la nascita di un contesto unitario e disciplinato di
appartenenze. Questa nuova idea di Nazione era profondamente calata nel contesto laico
del liberalismo europeo, dove l'affermazione del principio della sovranità popolare imponeva
una legittimazione per le istituzioni politiche.
A fine secolo, il concetto di nazionalismo subì invece una profonda trasformazione e divenne
la base su cui si andò progressivamente fondando la politica di potenza degli stati europei,
assumendo una connotazione antidemocratica, venata di tratti sia difensivi che offensivi.
L'ideale di fratellanza venne sostituito dal principio dell’esclusione del diverso,
dall’autoritarismo, dall’apologia della guerra e dalla politica di potenza, basata
sull’esaltazione del patriottismo, sulla difesa dell'interesse nazionale e, in alcuni casi, della
razza. Furono queste le leve utilizzate per combattere il nemico sia all'interno che all'esterno
della nazione.
Questa nuova concezione di nazionalismo si saldò con altri due fattori: la spinta degli
interessi economici e finanziari dei paesi industrializzati e la necessità delle classi dirigenti di
contenere gli effetti dirompenti della nazionalizzazione delle masse. Sul piano culturale,
l'ideologia si alimentò di una serie di studi tesi ad applicare ai fenomeni sociali delle teorie
evoluzioniste di Darwin, che vennero assunte e diffuse da molti studiosi:
In Germania, queste tesi di superiorità razziale diedero al nazionalismo tedesco un carattere
tendenzialmente razzista e antisemita, fondato sul mito del popolo inteso come comunità di
sangue legata alla terra d'origine e divenne la piattaforma teorica dei movimenti
pangermanisti, che lottavano per la riunificazione di tutti i popoli di lingua tedesca.
In Francia, il nazionalismo assunse una forma definitiva attorno al volgere del secolo.
Strettamente legato alla vicenda dell’affaire Dreyfus, ebbe anch'esso una rilevante
connotazione antisemita. Attorno all’ideologia nazionalista si raccolsero intellettuali, i gruppi
della destra, ma anche alcuni settori della sinistra rivoluzionaria, che nutrivano ancora un
profondo desiderio di rivincita nei confronti della Germania ed erano in disaccordo con la
politica moderata dei repubblicani. Il nazionalismo francese aveva come bersaglio il
cosmopolitismo, l’internazionalismo e la comunità ebraica.
In Italia il movimento nazionalista, pur senza assumere una connotazione antisemita, ebbe
origine in un contesto letterario e culturale che esaltava la patria come nazione eletta e,
criticando la debolezza l’individualismo della cultura liberale, celebrava la lotta, il dinamismo
e la guerra. Nel 1910 nacque l'Associazione Nazionalista Italiana, che diede al movimento
nazionalista una struttura organica e un progetto politico definito: auspicare per l'Italia un
futuro di grande potenza imperiale e cercare consensi presso l'opinione pubblica italiana per
combattere la politica, a loro avviso rinunciataria, dei liberali.
All'origine della prospettiva imperialista vi furono anche fattori di carattere economico,
determinati dalla saturazione dei mercati nazionali ed alla conseguente necessità di trovare
nuovi sbocchi per la produzione industriale. Oltre a quelli economici e culturali, vi furono
anche fattori politici all’origine dell’imperialismo: la graduale affermazione della società di
massa, la politicizzazione dei gruppi sociali sempre più estesi e l’inevitabile uscita della
politica dai circuiti ristretti delle élite ottocentesche cambiarono i connotati dello spazio
pubblico e politico. Anche la politica estera cominciò entrare nel dibattito pubblico e le classi
dirigenti si servirono dell'ideologia nazionalista e dell'imperialismo per incoraggiare
l'identificazione delle masse con lo stato e la nazione imperiale, così da legittimare il sistema
politico sociale esistente. In questo modo si auspicava che la politica coloniale producesse
un duplice effetto: fornire una nuova legittimazione al sistema politico tradizionale e alle sue
élite dirigenti, e contenere l’affermazione dei partiti potenzialmente antisistema, come quelli
socialisti. La missione civilizzatrice di cui ciascuna nazione europea si faceva interprete nei
confronti dei “barbari” e doveva dunque servire sia a consolidare l'orgoglio patriottico e
l'identità nazionale, sia a spostare all'estero le tensioni interne prodotte dalla crescente
conflittualità sociale.
Negli anni tra i due secoli, proprio quando si dispiegò al massimo la politica di potenza delle
nazioni europee, l’assunto del primato dell’Europa sul resto del mondo fu sfidato da alcune
pesanti sconfitte militari: quella subita dall’esercito italiano a opera degli etiopi, la
schiacciante superiorità dimostrata dall’esercito giapponese nella guerra contro la Russia, le
difficoltà militari incontrate dalla Gran Bretagna nella guerra contro i Boeri e la sconfitta
riportata dalla Spagna nella guerra contro gli Stati Uniti per il controllo di Cuba.
Alla fine dell'Ottocento, anche gli Stati Uniti parvero diventare una potenza imperialistica,
cercando di estendere la propria egemonia non solo sul continente americano, ma anche in
Asia, facendosi promotori di un colonialismo in parte diverso da quello europeo:
l'imperialismo americano mirava alla penetrazione commerciale nei mercati stranieri,
salvaguardando però l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dei popoli.

Dal liberalismo classico al New liberalism: i governi inglesi di inizio secolo


A partire dall'inizio del 900 si assiste, in Gran Bretagna, a una parziale riformulazione dei
valori tradizionali dell'ideologia liberale: il liberalismo classico aveva tradizionalmente
concepito solo un tipo di uguaglianza formale che consisteva nel dovere dello Stato di
garantire a tutti i cittadini medesimi diritti e doveri e, secondo questa logica, lo Stato non era
tenuto ad intervenire di fronte a tutte le forme di disuguaglianza presenti nella società
indipendenti dall'ordine pubblico. Di fronte all’emergere impetuoso di tutti i problemi sociali,
connessi alle condizioni di vita delle classi meno abbienti, i liberali inglesi cominciarono a
rivedere i precetti tradizionali dell’individualismo liberale e del non interventismo dello Stato
nelle questioni economico-sociali. Si sviluppò un “nuovo liberalismo” favorevole alla politica
sociale, alla progressività fiscale e alla riforma agraria. Questa corrente, pur nel rispetto dei
valori classici del pensiero liberale, cercava di elaborare un tipo di democrazia etica dove
collettivismo e interventismo statale dovevano affiancarsi al tradizionale individualismo. Si
trattava di razionalizzare l'azione dello Stato e del governo al fine di garantire il massimo
possibile di parità nelle condizioni di partenza di tutti gli individui. Il contributo intellettuale di
questa nuova corrente fu decisivo per definire la piattaforma riformatrice dei governi liberali,
che si succedettero in Gran Bretagna dagli inizi del ‘900 fino alla prima guerra mondiale, e
attuarono un ampio programma di redistribuzione dei redditi, attraverso la progressività
fiscale, e di assistenza sociale per tutti i lavoratori.
La cosiddetta “progressive alliance” dei governi inglesi di inizio secolo, fondata
sull’allineamento a comuni principi di etica pubblica e di maggior giustizia sociale,
promosse un programma riformatore ad ampio spettro che gettò le basi del welfare state
britannico, portato a compimento in forma definitiva solo dopo la Seconda guerra mondiale.

L’età giolittiana
Con il governo Zanardelli, esponente della destra liberale, torna sulla scena Giolitti, come
Ministro degli Interni. Giolitti finalmente si apre alla tolleranza verso la classe operaia e
vengono prese diverse importanti decisioni, tra cui:
La concessione della libertà di manifestazione agli operai
L’imposizione di una regolamentazione per il lavoro minorile e femminile, nonché per le
malattie del lavoratore
La creazione del Consiglio Superiore del Lavoro: organo consultivo con rappresentanti
politici ed economici.
Con Giolitti, lo Stato assume un ruolo neutrale tra datori di lavoro e classe lavoratrice.
Crebbero gli scioperi (nel 1902 se ne contarono circa 1000) e si moltiplicarono le Camere
del lavoro. Nacquero le Leghe Rosse, associazioni sindacali di lavoratori agricoli, che, nel
1901, si uniranno nella Federterra.
La nuova libertà sindacale portò, anche grazie al periodo favorevole di congiuntura
economica per il continente, come il rialzo macroscopico dei salari nel quindicennio
successivo: nell'industria del 35%, nell'agricoltura del 50%.
Lo sviluppo industriale ebbe in questo periodo un grande decollo in Italia, grazie alle ferrovie,
finalmente sviluppate dopo 40 anni dall'Unità, al protezionismo, che favorì i settori già protetti
(siderurgia, cotone acciaio, zucchero) ed alcuni settori non protetti (come quello chimico
della produzione di gomma (fabbrica Pirelli, Milano) ).
Proprio in questa fase si afferma anche l'industria automobilistica, sull'esempio delle
fabbriche statunitensi, con la fondazione, nel 1899, della Fiat.
Tra il 1896 e il 1907, la produzione industriale cresce del 6,7% ogni anno e, nel periodo tra il
1906 il 1914, si registra una crescita di circa il 14%.
Lo sviluppo industriale e l'aumento dei salari aumentarono il potere d'acquisto delle famiglie
italiane, che cominciarono a diversificare i consumi, grazie anche ai nuovi elettrodomestici
statunitensi. L'introduzione degli elettrodomestici fu fondamentale per il miglioramento della
condizione del lavoro domestico e l'emancipazione della donna. Si registrò, oltre all'aumento
del turismo, un miglioramento della qualità di vita grazie ai servizi pubblici, tra cui le fogne,
che limitarono la diffusione di malattie e di conseguenza la mortalità. L'analfabetismo aveva
un tasso ancora alto, pari, nel 1911, al 37%, con picchi del 60% nel Mezzogiorno.
La maggior parte popolazione continuò a voler lavorare la terra e continuò esodo dalle
campagne, ormai sature di lavoratori. Il 55% della manodopera italiana era legata
all'agricoltura, ma i posti di lavoro agricoli iniziarono a scarseggiare. Si calcola che circa 8
milioni di italiani, specialmente meridionali, lasciarono il Paese tra il 1900 e il 1914. Gli
immigrati negli Stati Uniti guadagnavano bene e inviavano denaro alle famiglia rimaste in
Italia, diminuendo la
pressione sul mondo del lavoro italiano ma, al tempo stesso, impoverendo ulteriormente il
sud. Il meridione cominciò ad accettare mestamente la propria condizione, anche per via
della mancanza di investimenti.
Si inizia a parlare di "questione meridionale": il Mezzogiorno si impoverisce, il tasso di
analfabetismo, nel 1911 era pari al 60%, si registra il fenomeno della disgregazione sociale,
che porta ad un malessere generale e sono numerosi i casi di corruzione dei sindaci,
influenzati dai grandi proprietari.
Il Settentrione, dal canto suo, ha un tasso di analfabetismo pari al 15%, ed è caratterizzato
da un grande aumento della produzione, soprattutto dopo la nascita del “triangolo
industriale”, tra Milano, Torino e Genova.
In questa fase il 60% di lavoratori dell'industria erano localizzati al Nord, soltanto il 30% al
Centro-Sud. Anche le innovazioni agricole di questo periodo si localizzano al Nord, mentre al
Sud persiste il modello del latifondo.
Persistono le grandi differenze pre-unitarie che l'incapacità delle classi dirigenti non riesce a
cambiare.
Il periodo compreso tra il 1901 e il 1914, è dominato politicamente dalla figura di Giolitti, e
costituì la fase più avanzata del liberalismo: dopo la crisi di fine secolo la classe dirigente
italiana lottò per un indirizzo politico autenticamente liberaldemocratico, volta a tutelare le
libertà civili e a promuovere il graduale inserimento delle masse nella compagine politica
istituzionale dello Stato attraverso il riformismo sociale, l’ammodernamento amministrativo e
l'allargamento del suffragio. Questo indirizzo politico fu inaugurato dal governo Zanardelli, a
partire dal 1901, ma nella sua veste di Ministro degli Interni, fu Giolitti il vero promotore di
una nuova politica sensibile ai problemi dello sviluppo produttivo, del lavoro e delle
rivendicazioni dei lavoratori. Il suo programma prevedeva la piena libertà delle
organizzazioni sindacali e degli scioperi, nel rispetto della legge, e l'assoluta neutralità dei
poteri pubblici nelle dispute tra capitale e lavoro. Tale programma si scontrò tuttavia con
l’impennata delle agitazioni e degli scioperi verificatesi a partire dal 1902 in tutta Italia,
soprattutto nel meridione: scontri fra dimostranti e forze dell'ordine con esiti spesso
sanguinosi. Nonostante le difficoltà e le critiche che provenivano soprattutto dagli ambienti
moderati e conservatori il governo proseguì il proprio progetto riformatore:varò una legge a
tutela del lavoro minorile e femminile ed ampliò la legge sull'assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro, varò la legge che consentiva ai comuni la municipalizzazione
dei servizi pubblici. Nel 1903, dimessosi Zanardelli, Giolitti lo sostituì alla guida del governo
presentando un programma improntato su una politica interna di libertà ampia, nei limiti della
legge, su un piano di riforme economiche, sociali e finanziarie e su provvedimenti speciali
per il Mezzogiorno.
La sua prima azione fu la proposta a Turati, il Segretario del Partito Socialista Italiano,
riformista (crede nella riforma pacifica dello Stato), di entrare a far parte della squadra di
Governo. Turati dovette rifiutare, temendo che il partito non lo avrebbe appoggiato, poiché si
trattava sempre di un governo borghese. Giolitti riuscirà, nel corso della sua azione politica,
a guadagnarsi il sostegno socialista in altri modi.
Il primo punto del Governo fu la “questione meridionale”: vennero approvate delle leggi
speciali che accordavano dei fondi per sanare le problematiche, senza però che venissero
messe in atto delle soluzioni strutturali. I
fondi vennero concessi a Basilicata, Calabria, alle Isole e alle industrie campane, per tentare
di risollevarle.
Giolitti governò adattando una tattica precisa: ogni qual volta che era necessaria
un'approvazione critica o vi era una situazione particolare, si dimetteva, cedendo il governo
a dei fedelissimi, per spingere il Parlamento all'approvazione di provvedimenti altrimenti
respinti. Questo meccanismo fu utilizzato anche per l'approvazione della statalizzazione
delle ferrovie per via alle difficili trattative per la liquidazione delle compagnie ferroviarie. Per
fronteggiare l'opposizione socialista dopo il divieto di sciopero per i dipendenti, Giolitti,
memore della crisi che si era scatenata quando la destra storica aveva proposto la
medesima cosa, affidò il governo prima ad Alessandro Fortis e poi a Sonnino. Nel 1906
Giolitti ritornò al potere: si aprì così per l'Italia una stagione di cauto riformismo in campo
politico e di forte consolidamento dei ceti produttivi e del movimento operaio e contadino. Il
governo mise in atto le riforme programmate nel 1903, che, assieme al successo della
corrente socialista riformista, e alla crisi del sindacalismo rivoluzionario, contribuirono alla
piena affermazione del sistema giolittiano e della sua strategia volta a rafforzare i gruppi
borghesi e operai che costituivano l'avanguardia del processo di industrializzazione in atto.
Il riformismo giolittiano si inseriva quindi in una fase storica che vide la progressiva
deflazione delle contrapposte identità di classe, segno di una modernizzazione impetuosa e
sfibrata, e un crescente dinamismo dell’assetto politico generale.
Giolitti cercò di affrontare le proteste operaie con apertura, assumendo un atteggiamento
non repressivo persino quando, nel 1907, ci fu un aumento delle proteste per via della crisi
delle banche europee che perdurò per 2 anni, rinfocolando le tensioni sociali. Nel 1906
nasce poi la Confederazione Generale Lavoro, con il compito di incrementare e disciplinare
la lotta delle classi lavoratrici, e l'anno successivo nacque la Confederazione italiana
dell'industria, che diede il via all’associazionismo imprenditoriale, madre dell'attuale CGIL.
La Confederazione raccoglie in sé tutte le realtà sindacali del paese, inizialmente sotto il
controllo dei riformisti. Nel 1910 nacque Confindustria, ossia la Confederazione italiana
industria, attore molto importante, in grado di unire in un'unica voce il mondo industriale e i
lavoratori.
Venne riformata l'istruzione obbligatoria e fu lo Stato stesso controllare direttamente il
rispetto legge, sostituendosi ai comuni, dimostratisi ampiamente inadempienti.
Giolitti si occupò anche di riformare la legge elettorale, estendendo il diritto voto a diversi
milioni. Scomparve del tutto la limitazione del censo e i nuovi requisiti prevedevano due casi
distinti: essere maschi ed aver compiuti 30 anni, oppure essere maschi, aver compiuto 21
anni e saper leggere e scrivere o, alternativamente, aver svolto il servizio militare
La sua azione di governo venne oscurata dal rilancio delle conquiste coloniali, con la guerra
in Libia.

Il confronto con il socialismo apportò miglioramenti alle politiche sociali, allentando la


tensione, sebbene i numerosi scontri. Nelle campagne cominciò però a radicarsi il
socialismo rivoluzionario.
Nel 1904, i riformisti ottennero la guida del Partito socialista con la Conferenza Bologna e
quando, qualche mese dopo, durante l'ennesima protesta, ci fu un altro eccidio di lavoratori,
venne indetto il primo sciopero generale della Storia, che lasciò gli industriali traumatizzati.
Giolitti lasciò correre, limitandosi a tutelare l'ordine pubblico ed utilizzando questa situazione
di grande incertezza e paura a suo vantaggio. Il Parlamento venne sciolto, anche per sua
richiesta, e si presentò alle elezioni sbandierando i pericoli del socialismo, al fine di ottenere
il sostegno di una maggioranza più ampia. Il Partito socialista subì una grande battuta
d'arresto, mentre si consolidò la posizione di Giolitti.
Anche sul fronte cattolico si assistette a un rinnovato impegno politico. Si afferma, grazie al
sacerdote Romolo Murri, il movimento cattolico, che ha come scopo l'assistenza ai più deboli
tramite la pressione sul governo. Si diffusero numerosi giornali, riviste e circoli, che, dopo il
Rerum novarum di papa Leone XIII,iniziarono ad interessarsi ai temi nazionali, come il
suffragio universale.
Alla salita al soglio pontificio di papa Pio X si tornò ad una chiusura della Chiesa verso la
politica, che si riagganciò molto, sebbene meno duramente, alla visione di Pio IX. Murri
venne sconfessato ma i lavoratori cattolici cominciarono ad organizzarsi nelle Leghe
Bianche, soprattutto nel settore tessile.
Sul fronte agricolo fu don Luigi Sturzo, in Sicilia, ad organizzare il movimento cattolico.
Nacquero così una serie di nuove organizzazioni col compito di coordinare le attività politico
culturali dei cattolici.
Il freno all'apertura della Chiesa al mondo cattolico, imposto da Pio X, non distolse i cattolici
dalla paura per il "pericolo rosso" del socialismo, alimentato da Giolitti. La prima riapertura
del mondo cattolico alla politica si verificò, con le limitazioni del Non expedit, nelle elezioni
del 1904, concedendo possibilità di voto ai cattolici del Nord,
elezioni del 1909. Venne poi approvato il Patto Gentiloni, dal nome del conte e dirigente del
movimento cattolico che contribuì all'approvazione. Ai cattolici venne concessa la possibilità
di andare a votare per gli esponenti liberali a patto che avessero dimostrato di avere, in
campagna elettorale, ideali cattolici (lotta divorzio e tutela dell'insegnamento privato). Nelle
elezioni del 1913, circa 200 deputati giolittiani vennero eletti grazie ai voti dei cattolici. Nelle
stesse elezioni votarono quasi 9 milioni di italiani, confermando la maggioranza giolittiana e
sancendo l'ingresso dei nazionalisti in Parlamento.
Le elezioni del 1909 si svolsero in una situazione profondamente mutata: nel partito
socialista prevaleva la corrente riformista del'attivismo politico dei cattolici era in piena
espansione (il non expedit venne ufficialmente sospeso in numerosi collegi ). Caratterizzate
da un’alta partecipazione, le elezioni videro la buona tenuta della maggioranza ministeriale,
un notevole incremento dell’estrema sinistra e l'elezione di ben 16 candidati cattolici, quindi
Giolitti preferì rassegnare le dimissioni. Tornò alla guida del governo nel 1911 e pose nel
programma del suo nuovo governo addirittura la concessione del suffragio universale
maschile. Il suo nuovo programma governativo si caratterizzò per la presenza di due
proposte politicamente e socialmente avanzate: il monopolio statale delle assicurazioni sulla
vita, la riforma elettorale e l'istituzione dell’indennità per i deputati. L'allargamento delle basi
politiche dello Stato, che avrebbe dovuto essere funzionale al consolidamento dell’egemonia
liberale e alla gestione razionale del processo di integrazione dei ceti medi e proletari,
avvenne però in una fase contraddittoria caratterizzata da una crescente fermezza
nazionalistica e dal sorgere di nuove spinte culturali irrazionalistiche.
Nel tentativo di bilanciare l'ampliamento del suffragio con un’iniziativa capace di coagulare il
consenso del sovrano e degli ambienti di Corte, dell'esercito e della destra nazionalista,
Giolitti rilanciò la politica coloniale italiana. Il rilancio del colonialismo fu dovuto dalla volontà
di volersi allontanare dalla Triplice Alleanza, poiché l'Italia era considerata, anche
manifestamente, il fanalino di coda dell'Austria e della Germania. Per distaccarsi dalle due
potenze, Giolitti riprese il dialogo con la Francia, ripartito già nel 1898, rilanciando i rapporti
commerciali, pregiudicati dalla guerra dei dazi. I due paesi raggiunsero un nuovo accordo,
nel 1902, di natura coloniale: l'Italia riconosceva la supremazia francese sul Marocco,
ottenuta dalla Francia proprio grazie al supporto italiano, a discapito della Germania, mentre
sulla Libia (Tripolitania) la Francia riconosceva la supremazia italiana. Germania e Austria si
risentono del nuovo avvicinamento diplomatico ma l'Italia mantenne le sue posizioni, dal
canto suo risentita per l'annessione unilaterale della Bosnia-Erzegovina da parte Austria, per
la quale non era stata consultata e portò alla ripresa delle manifestazioni irredentistiche. Si
creò un nuovo movimento d'opinione molto vasto, di matrice nazionalista con ambizioni
risorgimentali, che chiedeva al Governo di rilanciare le politiche coloniali per far sì che la
Nazione si mostrasse forte nel campo della politica estera, per dimostrare di non essere una
potenza di secondo rango. A cavallo del 1910, nacquero numerose riviste che elogiavano la
nuova potenza italiana, e i movimenti stessi si associarono nell'Associazione Nazionalista
Italiana, un gruppo di forte pressione che spinse Governo verso il colonialismo tramite le
proteste. La Libia venne vista, dall'opinione pubblica, come nuova possibilità di sviluppo e di
nuovo lavoro.
Nel 1911, l'Italia dichiara guerra all'Impero Ottomano, inviando un esercito di 35.000 uomini,
che dovette affrontare
l'ostico problema della guerriglia popolare. La vittoria italiana venne sancita, nel 1912, con la
pace di Losanna, accolta festosamente in tutta la penisola. Gli analisti italiani inviati in Libia
dal governo, per verificare le condizioni del territorio, capirono presto che non si era trattato
di un grande affare: i giacimenti di petrolio erano sconosciuti, così come limitato era ancora
l'uso dei carburanti e l'agricoltura era praticamente impossibile, per via delle condizioni dei
terreni. La vittoria diede però un grande impulso sociale sull'opinione pubblica ed influenzò
le propagande politiche.
Non tutti videro positivamente questo rilancio delle politiche coloniali ed infatti il dibattito
politico si estremizzò presto. Ci fu una grande protesta dei gruppi di estrema sinistra, che
evidenziarono le limitazioni del nuovo territorio mentre la destra chiese un maggior
protagonismo. Per Giolitti si apre una fase molto complicata di mediazione politica. Dopo
l'impresa libica, il fronte socialista si spacca: i riformisti sono a favore, i rivoluzionari si
schierano contro. Nel Congresso di Reggio Emilia, nel 1912, i riformisti vengono espulsi,
sancendo definitivamente l'apertura della spaccatura tra i due fronti. In questi moti si
distingue un socialista rivoluzionario, apertamente contrario all'impresa in Libia: Benito
Mussolini. Mussolini sarà poi direttore dell'Avanti e rivolgerà la sua propaganda direttamente
alle masse. La vittoriosa guerra in Libia rappresentò però l'inizio della fine del giolittismo: da
un lato si risolse in una cocente delusione e, dall'altro, interruppe il dialogo con i socialisti.
Al riaccendersi delle proteste dei lavoratori, Giolitti si dimise, a favore di Antonio Salandra,
che si trovò ad affrontare, nel giugno del 1914, la Settimana rossa, vera e propria rivoluzione
socialista, che interessò in particolare Marche e Romagna. Vennero assaltati gli edifici
pubblici, allontanati i sindaci e i politici, sabotati i telegrafi, e proclamate repubbliche
socialiste lungo tutta la penisola. Il Partito Socialista Italiano non approvò le proteste e se ne
distaccò istituzionalmente, aumentando la spaccatura tra socialisti riformisti e rivoluzionari,
sotto lo sguardo spaventato dei borghesi. Giolitti non fece in tempo a tornare al governo per
via dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e l’Italia entrò nel conflitto in preda a profonde
divisioni interne.

La crisi del razionalismo positivista


Negli anni compresi tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e la Prima Guerra mondiale vi fu un
lento ma inarrestabile declino del vecchio ordine istituzionale costruito sui pilastri del
costituzionalismo liberale, una grande difficoltà a rapportarsi con la crescente
politicizzazione delle masse, l’ascesa del nazionalismo e l’illimitata fede nel progresso, con
un ruolo sempre più centrale della scienza, dell'economia e della tecnologia. Questo portò
ad un parziale declino della cultura razionale illuministica e dei modelli interpretativi offerti
dal positivismo, fondati sul progresso e su un sapere razionale scientifico e positivo, nonché
la graduale affermazione di nuove dottrine di stampo irrazionalistico e vitalistico che in varie
forme e modalità contestavano la radicata fiducia nella ragione contrapponendovi valori
come istinto, la volontà di potenza e il vitalismo.
Tra relativismo cognitivo e teorie irrazionalistiche, tra decadentismo e volontarismo, il nuovo
secolo si apriva nel segno di un bagaglio culturale e spirituale molto diverso da quello che
aveva caratterizzato l’Ottocento.
La politicizzazione delle masse, la progressiva emancipazione sociale delle donne, la
scoperta degli aspetti inconsci ed irrazionali che intervengono nell’agire umano,
l’indebolimento della fiducia nel progresso pacifico, l'idea di una lotta sempre più agguerrita
per il dominio mondiale intaccarono progressivamente l'ottimismo dei decenni precedenti e
causarono, soprattutto nella cultura europea, un senso di inadeguatezza generale. La Prima
Guerra mondiale rappresentò il condensato di queste paure e accelerò ancor di più la crisi
dei valori e delle certezze del lungo 1800.

Verso il primo conflitto mondiale


Le due macro premesse della prima Guerra Mondiale sono:
il cambio di strategia dell'Impero Tedesco, con l'uscita di Bismarck dalla politica crolla
l'Europa germano-centrica e senza l' “arbitro d'Europa”, gli equilibri vecchi e nuovi,
soprattutto quelli che erano stati nel 1878 dopo la vittoria della Russia sulla Turchia con la
Conferenza di Berlino, che garantivano l'indipendenza ai principati di Bosnia, Romania e
Serbia, erano ormai più che instabili
lo sgretolamento dell'Impero Ottomano
Considerando la politica di Guglielmo II e la situazione russa, l’Europa stava perdendo tutti
gli equilibri che erano stati faticosamente costruiti dalla diplomazia internazionale nel corso
del 19° secolo.
Un ulteriore punto focale di estrema importanza per comprendere la profonda tensione nel
“vecchio continente” fu il progressivo sgretolarsi dell'Impero Ottomano, dovuto alle varie
proteste all'interno dell'Impero: i "giovani turchi" richiedevano a gran voce una Costituzione.
Il sultano Maometto V cercò di andare incontro alle istanze dei giovani turchi, ma il problema
era analogo all'Austro- Ungheria: il grande numero di nazionalità all'interno. Di tale crisi ne
approfittò l'Austro-Ungheria: Bosnia ed Erzegovina, già dal 1878 erano sotto
l'amministrazione temporanea austriaca, cosa che portò però ad una profonda tensione con
la Serbia, e, dato l'ottimo storico rapporto con la Russia, anche questa fu messa in allerta.
Si aprì il tavolo diplomatico, al quale prevalsero le richieste dell'Austria che annetté
unilateralmente la Bosnia, senza consultare l'Italia, acuendo nuovamente la tensione anche
con l’alleata.
L'Italia, dal canto suo, avviò una politica coloniale in Tripolitania, in attuale Libia, con lo
scoppio, nel 1911, della guerra Italo-ottomana, vinta poi dall'Italia. Un anno dopo, nel 1912,
la sconfitta ottomana portò al rilancio dell'azione d'indipendenza e allargamento dei confini di
Grecia, Serbia, Bulgaria e Montenegro.
L'Impero Ottomano venne sconfitto, perdendo i territori europei, ad eccezione di quelli sullo
stretto del Mar Nero, sancendo una volta per tutte la profonda ed inarrestabile crisi in atto.
Venne poi a crearsi, per volontà dell'Austria ed Italia, il principato d'Albania, per impedire alla
Serbia di avere uno sbocco sul mare, che ovviamente aumentò ulteriormente la tensione e,
nelle sfere politiche austriache, si fece strada l'idea di una possibile guerra contro la Serbia.

Altro presupposto del conflitto fu la “questione marocchina”. Il Marocco era uno degli ultimi
imperi africani indipendenti, sia dalla Germania che dalla Francia. Grazie al supporto di
Inghilterra e Russia, la Francia ebbe la meglio sulla questione pacifica marocchina, mentre
la Germania dovette accontentarsi del Congo e venne aumentando la tensione tra i due
paesi.

Capitolo 5: La prima guerra mondiale - le cause e la situazione geopolitica

Con l’Imperatore di Germania Guglielmo II e la conseguente uscita di scena dalla politica di


Bismarck si abbandonò l’equilibrio europeo in favore di una politica imperialistica aggressiva,
in poco tempo il quadro politico europeo subì diverse modifiche, specie per quanto riguarda
l’impero germanico ed i due imperi multietnici: impero austro-ungarico ed ottomano.

In Germania, l’Imperatore dotò il paese di una maestosa flotta navale, tale flotta suscitò
diverse tensioni con la Gran Bretagna sul controllo dei mari, tale tensione fu dovuta anche al
fatto che nacque una vera e propria competizione commerciale, inoltre, la Germania si inserì
nella “corsa alla colonizzazione” sostenendo il progetto pangermanista che avrebbe dovuto
riunire tutte le popolazione di lingua tedesca.
La guerra, ora, viene vista in modo diverso, è il modo con cui si risolvono le rivalità nazionali.

Le tensioni presenti nella penisola balcanica salirono esponenzialmente dal momento in cui,
l’impero austro-ungarico, decise di annettere definitivamente la Bosnia-Herzegovina nel
1908 dopo la rivoluzione dei giovani turchi, tra gli stati balcanici spiccava la Serbia (con
l’appoggio della Russia) che si faceva portavoce delle istanze indipendentiste delle
popolazioni slave.
Successivamente, la Bulgaria annette la Romania e si proclama indipendente, a sud invece
Creta si ribella alla Turchia e si unisce alla Grecia.
L’impero ottomano inizia così il suo sgretolamento: l’Italia dichiara guerra ai turchi,
attaccando la Libia, mentre un anno dopo, nel 1912, Bulgaria, Grecia, Montenegro, Serbia si
unirono nella Lega Balcanica e dichiararono guerra all’impero ottomano, scoppia così la
prima guerra balcanica che si conclude con la pace di Londra nel 1913, pace che però non
soddisfò le istanze della Bulgaria, così nel 1913 scoppia la seconda guerra balcanica, tra
Bulgaria ed una coalizione composta da Grecia, Montenegro, Impero Ottomano e Serbia.
Tale conflitto vede la sconfitta della Bulgaria e con il trattato di Bucarest vengono ristabiliti gli
equilibri nella penisola balcanica:
- Macedonia spartita tra Serbia e Grecia;
- Bulgaria dovette restituire all’impero ottomano una parte della Tracia, dovette
restituire alla Romania una striscia di territorio sul Mar Nero;
- Fu creato il principato di Albania.

La conclusione di questi due conflitti vede da un lato il rafforzamento della posizione della
Serbia e definì un quadro geopolitico poco favorevole per l’impero austro-ungarico e l’impero
tedesco, dal momento in cui l’impero ottomano era definibile, ormai, fuori dai giochi, assieme
alla Bulgaria - che tra i paesi balcanici era quello più allineato a Vienna e Berlino.

L’alleanza franco-russa, sancita nel 1891-1894 circa, fa sì che le due potenze facessero
fronte comune contro la Germania.

Tra le varie potenze europee protagoniste di questo periodo storico bisogna assolutamente
menzionare la Gran Bretagna, che:
- si alleò col Giappone;
- stabilì un accordo con la Francia, il c.d. Entente cordiale, andando così a risolvere
tutte le controversie coloniali tra i due paese;
- si accordò con la Russia sulle rispettive aree di influenza in Asia;

L’Europa è ora divisa in due blocchi contrapposti, la Triplice Alleanza (impero


austro-ungarico, Germania ed Italia) e la Triplice Intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia).

I due blocchi di alleanze prima dello scoppio della prima guerra mondiale;
Triplice Alleanza (imperi centrali) Triplice Intesa

Germania Gran Bretagna

Impero austro-ungarico Russia

Italia Francia

La tensione si innalza drasticamente il 28 giugno 1914 dopo l’attentato a Sarajevo: un


nazionalista serbo, Gavrilo Princip, uccide l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
dell’impero austro-ungarico, da questo momento in poi nasce un’escalation che da qui a
pochi mesi porterà al primo conflitto mondiale che la storia abbia mai visto.

Vienna decise di inviare un durissimo ultimatum al governo serbo, che sanciva tra le molte:
1. lo smantellamento di ogni organizzazione nazionalista anti-austriaca nel territorio
serbo;
2. la partecipazione alle indagini sull’attentato da parte delle autorità austriache;
3. eliminare qualsiasi tipo di propaganda anti-austriaca.
Tale ultimatum aveva un significato simbolico notevole: veniva meno l’autorità dello stato
serbo.

Da questo momento in poi, i blocchi di alleanze cominciano a muoversi: la Germania


asseconda l’alleato austriaco, mentre la Russia (da sempre protettrice delle popolazioni
slave) ottenne, dalla Francia, l’assicurazione che non sarebbe rimasta da sola in un
possibile conflitto contro gli imperi centrali.
La risposta serba all’ultimatum fu la mobilitazione dell’esercito: l’impero austro-ungarico
dichiara guerra alla Serbia, scaturendo l’intervento della Russia a difesa di quest’ultimo
stato, la Germania scese accanto all’impero austro-ungarico e la Francia dichiarò, di
conseguenza, guerra alla Germania.
La Germania, dal canto suo, aveva sin dal 1905 preparato i piani per una possibile guerra
contro la Francia, tali piani consistevano nel passare tramite gli stati neutrali di Belgio e
Lussemburgo, attaccando il Belgio però si definì l’entrata in guerra della Gran Bretagna,
garante dell’indipendenza belga, contro la Germania.

Nel 1914 il conflitto assunse una dimensione mondiale con l’entrata in guerra del Giappone
al fianco dell’Intesa, segue la Turchia a fianco degli imperi centrali seguita l’anno dopo dalla
Bulgaria, successivamente, nel 1916, entrano Portogallo e Romania con l’Intesa, nel 1917
sempre a fianco dell’Intesa entrano Stati Uniti e Grecia.

L’entrata in guerra dell’Italia ed il quadro politico italiano


Per quanto riguarda l’Italia, la situazione era decisamente più complessa: infatti, lo stato
italiano era legato agli imperi centrali da un patto difensivo - e dal momento in cui ad
aggredire la Serbia fu l’impero austro-ungarico - decise di rimanere neutrale. In Italia c’erano
due schieramenti ben distinti: da una parte gli interventisti (sinistra garibaldina e mazziniana,
associazioni nazionaliste ed irredentiste, socialisti riformisti (tra cui Benito Mussolini e l’area
liberal-moderata conservatrice) che chiedevano a gran voce l’entrata dell’Italia in guerra,
dall’altra troviamo i neutrali (Giolitti, il Papa Benedetto XV, Partito Socialista), il Governo in
sé che potremmo invece definire come incerto.

Nel 1915 il ministro degli esteri Sonnino firmò con il sostegno del Re e del Presidente del
Consiglio Salandra e soprattutto all’insaputa del Parlamento il patto di Londra, secondo il
quale l’Italia sarebbe entrata in guerra al fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia ed in
caso di vittoria della guerra, l’Italia avrebbe ottenuto il Trentino, il Sudtirol, la Venezia-Giulia e
la penisola Istriana.
Il Parlamento si vede costretto a ratificare il trattato di Londra, in caso contrario si sarebbe
verificata una crisi di Governo con conseguente scioglimento delle camere: l’Italia entra in
guerra il 23 maggio 1915, dichiarando guerra all’impero austro-ungarico, il giorno successivo
iniziarono le operazioni militari.
La posizione del Partito Socialista, che abbiamo detto essere neutralista in primis,
successivamente neutralista operante, rimane ferrea con l’idea di non dover entrare in
guerra, rimanendo compatta (ovviamente, senza l’ala riformista ?), tra i socialisti che non si
allineano alle idee del Partito ci fu Benito Mussolini che fu un esponente dell’interventismo
aperto, egli fu espulso dal partito e successivamente fondò un giornale, tramite i fondi delle
associazioni irredentiste italiane e francesi, il “Popolo d’Italia”.
Tornando alla posizione del Partito Socialista, è da notificare il fatto che non riuscirono a
formare una vera e propria opposizione nei confronti della scelta interventista.
Tra le altre espressioni politiche troviamo i cattolici, che nella speranza del riconoscimento di
maggiore riconoscimento all’interno del paese, diventarono interventisti.

La prima guerra totale


Le truppe tedesche avanzarono l'offensiva in Francia dopo l’invasione di Belgio e
Lussemburgo, vennero fermate inizialmente lungo il fiume Marna e successivamente
l’esercito francese costrinse un arretramento della posizione tedesca: fallisce così l'iniziativa
della Germania che consisteva nel condurre una guerra lampo sul fronte occidentale, il
conflitto divenne così una guerra di posizione, la guerra di posizione prevedeva un
massiccio utilizzo della trincea - la guerra, dall’essere un breve conflitto che avrebbe portato
“ordine” all’interno degli stati europei, tenendo a bada il “pericolo socialista” diventa un
qualcosa di lungo e straziante.
I tedeschi non tennero in conto una possibile entrata in guerra della Gran Bretagna, infatti, il
fronte aperto da quest’ultima nel Mare del Nord si rivelò particolarmente gravoso per gli
imperi centrali, ed in particolare per la Germania in cui si verificò una carestia.
La Germania impiegò il dirigibile come risposta nei confronti della superiorità navale della
Gran Bretagna, capitava talvolta, che i dirigibili affondassero imbarcazioni civili, infatti nel
1915 un dirigibile tedesco affondò un transatlantico inglese che ospitava alcuni cittadini
americani: tale momento sancisce la fine della guerra sottomarina, dal momento in cui la
Germania temeva un’entrata in guerra da parte degli Stati Uniti.
Nel 1916 le truppe tedesche attaccarono Verdun, battaglia simbolo del primo conflitto
mondiale, dal momento in cui né una fazione né l’altra effettuavano avanzamenti ma
rimasero, sostanzialmente, nelle loro posizioni originarie.

Analoga la situazione sul fronte italiano, ove il conflitto si sviluppa lungo il corso del fiume
Isonzo e sulle alture del Carso - furono effettuate ben 4 offensive da parte del generale
italiano Luigi Cadorna, nessuna di questa andò a buon fine: la risposta degli austriaci non si
fece attendere e nel 1916 fu sferrato un massiccio attacco contro gli italiani che prese il
nome di Strafexpedition, “spedizione punitiva” con l’intento di punire il “traditore” italiano.
Seguono, altre 5 offensive da parte di Cadorna che non fecero altro che rimarcare la
situazione di stallo.

Questo grande conflitto fu percepito come la prima guerra “totale” della storia: l'obiettivo
questa volta era quello di vincere a qualsiasi costo, mettendo in secondo piano i contenuti
della pace da conseguire, la vittoria però sarebbe stata da parte di coloro che si sono fatti
logorare di meno dal nemico.
Tale conflitto, inoltre, vide diversi sviluppi tecnologici, come l’uso del cannone, del fucile a
ripetizione, la mitragliatrice automatica ed il massiccio utilizzo delle ferrovie in ambito bellico.
Un ruolo importante fu quello giocato da parte della propaganda bellica, che aveva il compito
di tenere alto il morale delle truppe e della popolazione, facendo leva sul sentimento
patriottico e accusando di disfattismo tutti coloro che andavano ad opporsi al conflitto e alle
scelte politiche di guerra.
Nel 1917, nonostante la propaganda, si diffuse un malessere tra i civili e tra le truppe, da
questo momento in poi si intensificano le diserzioni di massa, scioperi, sommosse ed
ammutinamenti.

Nel medesimo anno si verificarono due eventi decisivi per le sorti del conflitto:
1. Uscita dalla guerra della Russia;
2. Entrata in guerra degli Stati Uniti.

1) L’uscita dal conflitto da parte della Russia, a causa di vari disordini interni, creò uno
sbilanciamento tra i rapporti di forza nello scacchiere mondiale: l’Intesa perdeva così un
importante tassello, infatti con l’uscita della Russia abbiamo una massiccia concentrazione
di truppe tedesche e austriache sul fronte italiano che sfondarono a Caporetto (la c.d.
“disfatta di Caporetto”), ciò nonostante Armando Diaz, che subentrò al generale Cadorna,
riuscì a contenere l’urto delle truppe degli imperi centrali e fermò l’offensiva sul lungo il
Piave.
Successivamente, le truppe italiane sfondarono le difese austriache dopo la vittoria a Vittorio
Veneto avanzando fino a Trento e Trieste: l’impero austro-ungarico fu costretto all’armistizio
di Villa Giusti.

2) Possiamo dire che l’entrata degli Stati Uniti al fianco di Gran Bretagna e Francia,
nell’aprile del 1917, al posto della Russia, riequilibra le forze dell’Intesa: il presidente Wilson,
dopo aver per parecchio tempo propugnato una politica neutralista decise di intervenire
bellicamente, il casus belli era l’affondamento di alcune navi civili americane da parte della
Germania.
Con l’entrata degli Stati Uniti abbiamo la definitiva controffensiva delle truppe dell’Intesa,
dopo che i tedeschi si spinsero fino a Parigi nel 1918.

La guerra si concluse ufficialmente l’11 novembre 1918 nel momento in cui la Germania
firmò un duro armistizio imposto dall’Intesa, che consisteva in:
1. Consegnare gli armamenti pesanti e la flotta;
2. Ritirare le truppe oltre il Reno;
3. Annullare i trattati contro Russia e Romania (questa fu conquistata in brevissimo
tempo dagli imperi centrali),
Per quanto riguarda l’impero ottomano e l’impero austro-ungarico da questo momento in poi
cominceranno man mano a sgretolarsi con i sentimenti indipendentisti arabi e slavi.
La Grande Guerra si rivela così una grande carneficina, ai caduti nei campi di battagli si
sommavano quelli prodotti da regolamenti di conti fra i gruppi etnici, la distruzione dei centri
abitati, le varie vittime delle battaglie sottomarine, delle carestie e delle malattie.
La guerra di logoramento fu un’esperienza drammatica, molti non tornarono a casa, molti
tornarono mutilati o con diversi traumi, si contarono, in Europa, 8 milioni di morti e 20 milioni
di feriti.
La conferenza di pace si terrà a Versailles nel 1919.

Russia: le due rivoluzioni


Nel 1914 la Russia fu attraversata da un gran sentimento d’orgoglio patriottico per la difesa
dell’impero contro il nemico germanico, inizialmente la maggior parte delle forze politiche
presenti nella Duma (la camera bassa del Parlamento russo) votarono a favore dalla guerra,
mettendo i dissidi interni da parte per concentrarsi sulla causa nazionale.
Il paese, però, si rivelò subito inadeguato a reggere un conflitto di tale lunghezza che portò
una grande inflazione e la conseguente mancanza di viveri e deterioramento del sistema dei
trasporti: il Governo non fu in grado di rispondere alla crisi interna, cosicché nel 1917 lo Zar
decise di contrastare gli scioperi ed i disordini facendo intervenire l’esercito che però si unì
alle proteste popolari, da questo momento in poi era chiaro che il paese russo stava
attraversando un’ondata rivoluzionaria.

Il dualismo del potere


I rivoluzionari si erano appropriati della capitale e diedero vita a dei soviet (struttura
assembleare istituzionale) egemonizzati politicamente da menscevichi e socialisti
rivoluzionari, questi soviet furono le uniche autorità riconosciute dalle masse.
Lo Zar di Russia, Nicola II, decise di abdicare lasciando il trono al fratello, che vi rinunciò: la
dinastia Romanov cessò di esistere nelle sedi istituzionali del paese.
Nel frattempo, però, la Duma decise di dare vita ad un comitato dal quale sarebbe sorto il
governo provvisorio, composto da esponenti di gruppi liberali e socialrivoluzionari,
favorevole ad instaurare una democrazia parlamentare e a proseguire la guerra

Nonostante il governo provvisorio detenesse formalmente tutto il potere, si trovò scavalcato


dalle decisioni del comitato esecutivo dei soviet, specie in ambito bellico.
I soviet premevano affinché la continuazione della guerra da parte della Russia fosse
accompagnata dall’appello ai proletari della coalizione austro-tedesca per l’insurrezione
contro i rispettivi governi: tale linea di difensivismo rivoluzionario cercava di coniugare le
istanze della difesa nazonale con quelle della mobilitazione classista contro la guerra
imperialista.
Nel frattempo il leader dei bolscevichi, Lenin, fa ritorno in patria e presentò le idee
bolsceviche (che si contrappongono radicalmente alle tesi dei menscevichi, credevano infatti
che andava interrotto ogni rapporto con il governo provvisorio e diventare gli unici depositari
del potere politico, inoltre credevano fosse doveroso che la Russia uscisse dalla guerra,
avviando una rivoluzione per instaurare la dittatura del proletariato come da tesi marxista)
nelle “tesi di aprile”.

L’esercito russo dopo il fallimento dell'offensiva contro l’esercito austro-ungarico in Galizia i


soldati abbracciarono definitivamente ed in massa la causa dell’uscita dal conflitto, il
governo provvisorio si dimise e nel paese divagò l’anarchia.
In questo particolare momento storico fu tentato, da parte delle forze conservatrici, un colpo
di stato che però venne sventato dalla massiccia mobilitazione dei bolscevichi mentre nelle
campagne dilagava la rivoluzione agraria, in questo preciso momento Lenin dichiarò che la
situazione fosse matura per la presa del potere da parte delle forze bolsceviche: il 24 ottobre
il Comitato Rivoluzionario Militare prese il controllo di tutti i punti strategici della capitale
russa: venne proclamata la Repubblica Sovietica con i capo i bolscevichi (Lenin al vertice
del consiglio, il ministero per la nazionalità venne affidato a Stalin), furono approvati due
decreti:
● Primo decreto: appello generale per la fine della guerra e la ratifica di un pace senza
annessioni;
● Secondo decreto: programma di socializzazione della terra che si limitava a dare una
veste legale alle occupazioni che già da mesi i contadini stavano attuando nelle
campagne con la rivoluzione agricola.

Il 12 novembre si svolsero le elezioni per la Costituente, in questa tornata elettorale i


bolscevichi non ottennero la maggioranza che fu presa dai socialisti rivoluzionari: Lenin
decise di sciogliere la Costituente il giorno successivo, affermando che la Costituzione fosse
il momento più alto della democrazia liberal-borghese ma che in Russia questa fosse già
stata superata dalla Repubblica dei Soviet.
Lenin decise quindi che era necessario imporre la rivoluzione dall’altro, fase che secondo lui
era fondamentale affinché la rivoluzione potesse riuscire:
1. Eliminò ogni potenziale nemico della rivoluzione;
2. Smantellò il sistema giudiziario
3. Centralizza tutti i poteri;
4. Effettuò una forte repressione nei confronti degli oppositori.

Tornando al tentativo di Lenin di “esportare” la rivoluzione al di fuori della Russia, quindi


anche all’interno della Germania e dell’impero austro-ungarico, possiamo dire che i suoi
intenti fallirono: egli fu costretto ripiegare in una pace separata con la Germania nel 1918, la
c.d. pace di Brest-Litovsk, che impose alla Russia:
● Perdita della Polonia;
● Perdita della Finlandia;
● Perdita dei paesi baltici;
● Perdita di una parte della Bielorussia;
● Perdita della striscia di terreno dal Mar Caspio al Mar Nero;
● Riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina.
La pace separata da parte della Russia fu visto un tradimento da parte delle potenze
dell’Intesa che da qui in poi sostennero le forze controrivoluzionarie che andavano contro
una possibile rivoluzione socialista al di fuori del territorio russo.

Una volta instaurato il regime a partito unico, dopo l’uscita della Russia dalla guerra, Lenin
apportò delle novità:
- venne istituita la CEKA, polizia politica;
- venne istituito un tribunale rivoluzionario centrale, col compito di processare
chiunque disubbidisce al regime;
- vennero messi fuorilegge i partiti di opposizione;
- venne reintrodotta la pena di morte;
- venne creata l’armata rossa con ciò che era rimasto dell’esercito zarista

La guerra civile
Una volta uscita dalla prima guerra mondiale, in Russia scoppia la guerra civile tra l’armata
rossa bolscevica e le forze controrivoluzionarie, tale conflitto fece aumentare i consensi nei
confronti dei bolscevichi.
I dirigenti bolscevichi, dinanzi a questa situazione d’emergenza imposero un sistema
provvisorio chiamato “comunismo di guerra”, che prevedeva:
1. Nazionalizzazione delle terre e delle industrie;
2. Abolizione del libero commercio;
3. Razionamento di tutti i generi alimentari e di consumo.
Il comunismo di guerra fu un vero e proprio fallimento dal punto di vista economico.
La guerra civile fu vinta dai bolscevichi nel 1920, anche se bisogna dire che il partito di
Lenin, il Partito Comunista stava iniziando a perdere consensi anche da parte di coloro che
tradizionalmente lo avevano sostenuto, come operai e soldati, qui fu quindi deciso di
abbandonare il comunismo di guerra a favore della NEP (Nuova Economia di Produzione):
La NEP ridiede vita all’economia russa, aumentarono le nascita e sul piano sociale emerse
un ceto di piccoli commercianti ed artigiani, mentre nelle campagne tornarono i kulaki.

Versailles e lo scontro tra vecchio e nuovo mondo


I rappresentanti dei paesi vincitori del primo conflitto mondiale (Francia, Inghilterra,
Giappone Italia e USA, assieme alla Germania come paese perdente) si riunirono a Parigi
per designare la struttura geopolitica dell’Europa. Fu proprio la Germania ad essere
responsabilizzata dell’intera guerra da parte delle potenze vincitrici. Leader assoluto della
conferenza fu il presidente americano Wilson.
Dalla conferenza emerge l’intenzione di creare un nuovo ordine internazionale che si basava
su:
- abolizione della diplomazia segreta;
- libertà di navigazione sui mari;
- libero commercio;
- riduzione degli armamenti;
- applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli;
- creazione della Società delle Nazioni;
Nel trattato ci fu anche un ridimensionamento dei confini che colpì la Germania
- cessione di Alsazia e Lorena alla Francia;
- cessione della Polonia ed alcuni territori della Prussia orientale all’Unione Sovietica
- cessione delle varie colonie che saranno poi spartite tra Francia, Gran Bretagna,
Belgio e Giappone;
- riduzione dell’esercito;
- cessione a titolo definitivo della flotta;
- pagamento delle riparazioni di guerra in 30 anni;
Tale accordo fu visto da parte del popolo tedesco come un vero e proprio diktat.

Fu inoltre disgregato l’impero asburgico che scaturì la nascita delle repubbliche di Austria,
Cecoslovacchia Ungheria e Jugoslavia, l’Italia ottenne il Trentino e l’Alto Adige fino al
Brennero, Trieste, l’Istria, la Dalmazia fu rivendicata dalla Jugoslavia, la Romania ottenne la
Transilvania, nacquero le repubbliche di Finlandia, Lituania, Estonia e Lettonia, si disciolse
l’impero ottomano: la Francia ottenne il mandato in Siria e Libia, la Gran Bretagna in
Palestina, Transgiordania e Iraq.

Gli anni tra le due guerre, contesto storico


Tale periodo storico è centrale per quanto riguarda le vicende del 1900, in questo momento
stanno maturando le condizioni per lo scoppio della seconda guerra mondiale, in poche
parole: un lungo primo dopoguerra.
Possiamo dividere gli anni 20 in due blocchi: i primi 5 anni e il restante.

La prima guerra mondiale è stata effettivamente la prima esperienza bellica di massa che il
mondo avesse mai conosciuto, con “di massa”, perché:
- il periodo storico è il periodo delle masse;
- furono coinvolte le masse delle popolazioni civili, tra cui anche le donne che si
ritrovarono ad essere protagoniste assolute;
- gli armamenti erano prodotti dalla massa;
- gli eserciti contavano un enorme contingente di soldati.

La situazione geopolitica è notevolmente cambiata, alcuni imperi nascono, altri muoiono: ci


fu un vero e proprio stravolgimento dello scenario.
A cambiare, però, non fu solo la geografia, ma anche l’ambito sociale, vediamo come le
donne si sono fatte avanti: la società patriarcale vacilla, in determinate famiglie è distrutta
totalmente.
Non si trattava solo di avere più indipendenza dagli uomini, ma qualcosa di ben più forte, si
trovarono ad esempio dietro le scrivanie pubbliche ecc; la donna capì di poter vivere senza
dipendere dall’uomo, di poter essere capofamiglia e soprattutto non si considerava inferiore
agli uomini.
Ad esempio, fino allo scoppio della guerra sposarsi era d’obbligo, invece dopo il conflitto non
più, era normalizzata la donna single.
Il diritto di voto venne esteso alle donne in Germania e negli Stati Uniti.

Il “modello” americano è l’esempio che si segue in Europa.


Tutte le popolazioni si aspettavano un compenso per tutte le sofferenze subite durante il
conflitto, si chiedeva a gran voce di riprendere una vita normale, la guerra creò una sorta di
nuova classe sociale, i reduci di guerra (i feriti, approssimativamente, erano 20 milioni, non
troviamo solamente feriti fisici ma anche psicologici, ricordiamo i vari traumi e i vari disturbi
nati dalla guerra) - il problema principale era che, a ridosso della guerra vennero promosse
pensioni, premi ecc; che non verranno mai conferiti ai reduci.
Si formarono così associazioni di ex-combattenti che facevano pressione ai governi.
Questa aggregazione porta alla crescita dei partiti di massa, come il partito socialista, che
iniziarono ad organizzare i loro iscritti, si ha una massificazione della politica: manifesti,
propaganda, comizi, piazze, manifestazione - si esce dall’idea che partecipare alla vita
politica era possibile solo votando.

I due modelli politici in voga:


- modello comunista, bolscevico a mo’ di Lenin;
- modello capitalista, a mo’ di Wilson.

Economicamente parlando la situazione in Europa era disastrosa a differenza degli Stati


Uniti, che diventano elemento trainante a livello globale, prestando denaro all’estero.
Era necessario trovare fondi pubblici, tale problema venne risolto con un aumento della
tassazione, di conseguenza cresce il debito pubblico.
Dal momento in cui determinati imperi caddero saltarono diversi rapporti commerciali con i
paesi.
Tutti gli stati europei si chiusero dietro politiche protezionistiche - bisognava difendere la
nascente industria interna.

La protesta dei lavoratori operai riprese tutt’Europa, grazie al lavoro dei partiti, si sarebbe
parlato da qui a breve del biennio rosso (1918-19-20) caratterizzato da un movimentismo
operai presenti in tutti i paesi capitalistici del continente.
In questi due/tre anni le condizioni dei lavoratori migliorarono: ciò nonostante l’onda di
protesta arrivò sotto l’ala ideologica filo-russa, ci fu una vera e propria frattura tra mondo
operaio ed imprenditori.
Questa tensione aveva diverse sfumature:
- fu molto forte in Germania ed in Austria-Ungheria, in Germania nacquero dei consigli
rivoluzionari su modello dei soviet russi (Nel 1921 la Germania si trovò a ripagare i
debiti di guerra: 140 miliardi di marchi d’oro (¼ del PIL per 50 anni, per intenderci)
- fu meno forte in Francia e Gran Bretagna.

Da Weimar all’ascesa di Hitler


Inizialmente la guida della Germania, appena dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale,
fu affidata a Max von Baden che non riuscì a tenere a bada la insurrezioni popolari su
modello bolscevico. Notiamo come dalla rivoluzione russa in poi, il modello bolscevico sarà
ciò a cui operai e lavoratori guarderanno.
Furono creati dei consigli di operai e soldati, la rivoluzione stava per esplodere in tutto il
paese, Guglielmo II, l’imperatore fu costretto ad abdicare.
Successivamente, fu proclamata la repubblica con a capo Friedrich Ebert, leader della SPD
(partito socialdemocratico) che si servì sia dell’esercito che di truppe volontarie di ispirazione
nazionalista per sventare le insurrezioni popolari.
Furono varati degli accordi per garantire una stabilità governativa, che prevedevano:
1. accordo con l’esercito: l’esercito si impegnava a giurare fedeltà alla repubblica e
manteneva il suo stato di indipendente nei confronti dello stato;
2. compromesso siglato tra i sindacati della SPD ed il Presidente degli Imprenditori per
garantire il contenimento della conflittualità operaia tramite l’assicurazione di
garanzia su salari e occupazione;
3. accordo con le forze conservatrici del paese;

La realtà partitica tedesca iniziò a riorganizzarsi in vista delle elezioni circa l’Assemblea
Costituente del 1919:
- DNVP: destra conservatrice;
- DDP: liberal-progressisti;
- DVP: nazional-liberali;
- Zentrum: partito di centro a stampo cattolico affiancato dal partito popolare bavarese;
- SPD: socialdemocratici;
- KPD: partito comunista, nasce dalla Lega di Spartaco;
- NSDAP: nazionalsocialisti sotto la guida di Adolf Hitler;
Le elezioni furono vinte dalla coalizione formata da SPD, DDP e Zentrum. La vittoria fu
schiacciante.
La città di Weimar fu la città ove la Costituente effettuò i lavori, la nuova Costituzione
conservava dei legami con il passato, come la forma federale, l’utilizzo del termine Reich per
la Camera elettiva e Reichstag per la camera federale; al vertice dello Stato veniva posto un
Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale maschile e femminile, i ministri -
nominati dal PdR - dovranno ottenere la fiducia del Reichstag a cui spettava il potere
legislativo, la Camera federale era composta dai rappresentanti dei governi dei singoli stati,
il governo doveva avere la fiducia del Reichstag ma questo poteva venir sciolto su volontà
del PdR a cui erano affidati poteri eccezionali (che potevano venir abrogati e dovevano venir
ratificati) in caso di crisi governativa.
La neonata Repubblica, però, non ebbe vita semplice: le condizioni economiche erano
disastrose a causa del trattato di Versailles, (in Germania si registrerà il più alto grado di
inflazione fino a quel momento) così tra il 1920-21 si ebbe un’ondata di violenza alimentata
specie dai gruppi dell’estrema destra dal momento in cui, secondo loro, la Germania non
doveva piegarsi al “diktat” voluto dalle potenze vincitrici, in questo momento storico ci fu un
tentativo di colpo di Stato dalle forze paramilitari che avevano represso l'insurrezione della
Lega di estrema sinistra.
Per uscire da questa situazione per nulla favorevole fu necessario ricompattare il fronte
politico sull'obiettivo comune della stabilizzazione economica: venne a costituirsi così un
governo di “grande coalizione” che comprendeva tutti i partiti dell’Arco Costituzionale.
Non appena insediato, il nuovo governo dichiara lo stato d’emergenza: di rilevante
importanza fu l'insurrezione dell’estrema destra a stampo hitleriano che fu sventata: Hitler fu
condannato a 5 anni di carcere, durante l’incarcerazione egli scriverà il Mein Kampf.
Fu avviata una severa politica deflazionistica che portò in poco tempo maggiore stabilità,
anche se relativa.
Il nuovo governo ottenne uno “sconto” sulla riparazioni di guerra, che ora ammontano a 800
milioni di dollari.
Alle elezioni presidenziali del 1925, dopo la morte di Ebert, ogni partito presentò un proprio
candidato e tale frammentazione partitica favorì le destre che scelsero von Hindemburg, un
noto militare che aveva le caratteristiche di coagulare numerosi consensi in nome del
“nazionalismo tedesco”.
Dopo un relativo periodo di stabilità, la crisi di Wall Street colpì la Germania più di ogni altro
paese europeo, dal momento in cui l’economia tedesca dipendeva dai prestiti statunitensi: la
classe dirigente entrò in crisi.
Nasce qui la retorica per cui la colpa della sconfitta nella prima guerra mondiali andava
attribuita ai cattolici, liberali, socialisti ed ebrei - il partito di Hitler, il NSDAP, ottenne sempre
più consenso, un exploit talmente grande che nelle elezioni del 1930 sarà il secondo partito,
appena dopo la SPD.
L’ideologia del partito nazionalsocialista risiedeva nel Mein Kampf: era necessario, secondo
le tesi di Hitler, andare ad eliminare ogni nemico interno, come comunisti ed ebrei, affinché
la Germania potesse sprigionare il suo enorme potenziale, inoltre era necessario
riconoscere la superiorità della razza ariana, la cosiddetta razza pura.
Le elezioni del 1932 si svolsero in un clima di tensioni e di conflitti politici, l’elettorato tedesco
si era radicalizzato, i due partiti di massima erano il NSDAP di Hitler e il KPD (il partito
comunista di Thaelmann) assieme all’SPD di Wels.
Il partito di Hitler si conferma partito di maggioranza relativa e nel 1933 il leader del NSDAP
venne nominato cancelliere di un governo formato da nazionalsocialisti, nazionalpopolari e
popolari.

Dal biennio rosso all’avvento del fascismo


Nel primo dopoguerra l’Italia si trova in una situazione di grave difficoltà economica: in
periodo di guerra, infatti, l’industria bellica aveva arricchito i grandi speculatori e determinati
settori industriali, successivamente, appena dopo la guerra era necessario rendere le
industrie belliche industria civili, convertendole, nel frattempo però molte imprese fallirono, lo
Stato provò a prendere in mano la situazione imponendo il blocco degli affitti e dei prezzi dei
beni di prima necessità, tutto ciò porta al cosiddetto biennio rosso, due anni di agitazioni e
scioperi popolari tra il 1920-21.
Furono introdotte due tasse contro i proprietari che si arricchirono grazie alla produzione
bellica:
1. tassa sulla nominatività dei titoli azionari;
2. imposta sovraprofitti sull’industria bellica.
La situazione vista dal punto di vista sociale nel biennio rosso:
- Ceti popolari che lottavano contro il carovita e per ottenere maggiori diritti politici;
- Le donne chiedevano maggiore emancipazione;
- La classe media rivendicava uno spazio come classe “dirigente”
Fu proprio in questo periodo, e grazie al malessere sociale, che gli iscritti ai sindacati
aumentano sempre di più, nacquero così le Leghe rosse, socialiste, bianche e cattoliche.
Soffermandoci sul partito socialista possiamo dire che certamente non riuscì ad incanalare
questo vantaggio: le discrepanze interne si facevano sempre più nette, da un lato troviamo i
riformisti (coloro che chiedevano una “rivoluzione” attraverso le istituzione, utilizzando un
dialogo) e dall’altro i rivoluzionari (a modello di rivoluzione bolscevica), la mancata
convergenza in un movimento unitario tra le lotte operaie e le rivendicazioni contadini
mostrarono i limiti della prospettiva rivoluzionaria del biennio rosso.
Crebbe sempre di più l’esaltazione nazionalista, alimentato ulteriormente nel dopoguerra dal
mito della cosiddetta vittoria mutilata (termine coniato dal poeta-soldato Gabriele
d’Annunzio).
Venne precedentemente avviata una negoziazione con la Jugoslavia: col trattato di Rapallo
(1920) l’Italia conservava Trieste, Gorizia e l’Istria, la Dalmazia passò alla Jugoslavia, tranne
per quanto riguarda la città di Zara, Fiume divenne città libera.
Giolitti provò a riallacciare i rapporti con la classe socialista ma non ci riuscì a causa della
maggioranza liberale-cattolica che remò contro.
Ci fu un grande scontro tra Confindustria (proprietari dell'industria) e metalmeccanici: i
lavoratori decisero qui di occupare le fabbriche issando le bandiere rosse, intervenne Giolitti
che prese parte del sindacato dei lavoratori ma dal punto di vista ideologico nessuno ne uscì
davvero soddisfatto.

L’ascesa di Mussolini
L’elemento che distanzia ancora di più il ceto dei lavoratori e quello degli imprenditori fu la
paura per la rivoluzione bolscevica, avvenuta in Russia, infatti in questo periodo si inneggia
a questa rivoluzione (due modelli preponderanti in Europa, quello di Lenin e quello di
Wilson), per quanto però la rivoluzione bolscevica potesse essere complicata da far avvenire
in Italia vista la distanza sociale ed economica tra campagne (di matrice solitamente
conservatrice) e città.
Proprio qui è il momento in cui Mussolini inizia ad essere protagonista della scena politica
italiana, egli fondò i fasci da combattimento (gruppi teoricamente socialisti, ma che nel
pratico agivano come anti-socialisti), tale movimento era orientato tutto all’azione, azione
violenta e di massa, fortissimo e lungo fu lo scontro tra i sindacati (le leghe rosse -
ispirazione socialista) contro i proprietari di imprese - in effetti gli esponenti delle leghe rosse
iniziarono a diventare sindaci nei comuni in padania ecc;
Aderirono alle squadracce:
- giovani borghesi;
- ex-combattenti della prima guerra mondiale;
Mussolini schierò le squadracce d’azione contro le leghe rosse, quasi a venire d’aiuto alla
classe imprenditoriale padana: gli imprenditori iniziarono a sovvenzionare queste
squadracce, in chiave anti-socialista.
Il fascismo esce dalla dimensione cittadina e diventa agrario - nel 1920, nel giorno
dell’insediamento del sindaco socialista a Bologna le squadracce fasciste assaltano il
palazzo comunale della città.
Le sedi delle leghe rosse furono assaltate assieme alle amministrazioni comunali.
Il fenomeno delle squadracce toccò praticamente tutto il nord italia e parte del centro, il sud
rimase al di fuori, tranne per quanto riguarda la Puglia.
In questo momento l’esecutivo era in mano a Giolitti che si ritrova a gestire una situazione di
crescente instabilità, ove i fascisti riuscirono a smantellare quasi del tutto la rete delle
strutture socialiste ed operie.

Nel frattempo, il partito socialista si divise definitivamente: l’ala comunista fondò il PC,
(partito comunista) a cui aderirono in particolare Palmiro Togliatti ed Antonio Gramsci.
Ciò nonostante, le varie discrepanze all’interno del partito socialista non terminarono: nel
1922 fu fondato il PSU (partito socialista operaio) di Turati su modello riformista.
Gli organi dello Stato (polizia) e lo stesso Giolitti iniziarono a vedere nelle squadracce una
risorsa contro i socialisti, ad esempio negli assalti i fascisti si schieravano con la polizia.
L’idea di Giolitti era quella di utilizzare l’azione fascista in chiave anti-socialista cercando di
costituzionalizzare, andando nuovamente al voto: nel 1921 egli fa entrare candidati fascisti
all’interno del partito liberale.
La campagna elettorale fu segnata da scontri e violenze da parte dei fascisti, che vedeva, di
nuovo, le forze dell’ordine trattare con un occhio di riguardo le componenti fasciste degli
assalti.
La strumentalizzazione delle violenze fasciste in chiave anti-socialista fu apprezzato anche
dai cattolici
Elezioni del 1921:
- PSI: 25%;
- PC: 5%;
- Partito Popolare Cattolico in crescita;
- Giolitti fu escluso, non riportò la maggioranza, segue la dimissione di Giolitti che
sancì la sua uscita di scena;
- Entrarono in parlamento 35 deputati fascisti;
Giolitti si dimise e affidò il governo a Bonomi che aveva il compito di riportare alla legalità il
movimento fascista, obbiettivo che per ovvie ragioni non riuscì.
Il movimento di Mussolini divenne un partito ufficiale, fu fondato il Partito Nazionale Fascista,
PNF, nel 1921, affianco al partito nacque la Confederazione delle Corporazioni Sindacali.

La marcia su Roma
Conquistato il favore di alcuni settori dello Stato, Benito Mussolini si preparava ad andare al
governo e fare il salto di posizione, cercando di irrobustire il rapporto con le componenti
liberali.
Si inizia, da questo momento in poi, a parlare di una marcia su Roma: una grande
manifestazione fascista il 27 ottobre conquistando la città, tale manifestazione sarebbe
dovuta avvenire anche in altre città.
Il Presidente del Consiglio, Facta, immaginando che tale iniziativa potesse diventare colpo di
Stato scrisse al Re, chiedendo di firmare lo stato d’assedio (Roma sarebbe passata sotto il
controllo dell’esercito) - Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il documento, il timore era
quello di scatenare una controffensiva fascista in tutto il paese.
I fascisti, ora, hanno strada libera verso Roma.
- la mattina del 30 ottobre i fascisti mettono piede a Roma;
- Mussolini visitò il Re: egli chiese la presidenza del consiglio;
- la sera stessa si insedia il Governo Mussolini;
- Tale governo aveva già del sostegno all’interno del Parlamento.
- Con Mussolini, l’opera di legittimazione del fascismo fu continuata, creando la
“milizia”
- l’opposizione ribattezzò i collaboratori di Mussolini (i vari cattolici, popolari ecc;) come
“fiancheggiatori”;
- fu creato il Gran Consiglio del Fascismo che avrebbe dovuto fare da tramite tra
governo e partito;
In tutto ciò, le violenze non terminarono, anzi: le collaborazioni tra fascisti e polizia contro i
socialisti e comunisti.
Dal punto di vista economico, Benito Mussolini concretizzò le promesse fatte agli
imprenditori per ottenere consenso:
- furono abbassate le tasse sull’imprenditoria;
- 20mila lavoratori furono licenziati;

Mussolini tentò subito di agganciare il consenso vaticano cui papa era Pio XI.
Fu varata una rivoluzione scolastica che sancì l’introduzione dell’ora di religione nelle
scuole.
Don Luigi Sturzo si dimise da segretario del Partito Popolare, tale partito andava perdendo
quella funzione di mediazione tra vaticano e governi del Regno.

Tramite la cosiddetta legge elettorale “Acerbo”, Mussolini riuscì a fiaccare le opposizioni,


tramite una correzione maggioritaria del sistema proporzionale, stabilento che i ⅔ dei seggi
sarebbero stati assegnati alla lista che avesse ottenuto la maggioranza con almeno il 25%
dei voti.
Alle elezioni del 1924 la lista nazionale composta da fascisti ed alcuni esponenti liberali ed
ex-popolari ottenne un grandioso successo e superò di gran lunga il 25%.
Il 30 maggio il deputato Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista denunciò,
durante una seduta alla Camera, i brogli e le violenze che avevano preceduto il voto, fu poi
rapito da un gruppo di squadristi e venne assassinato, il corpo verrà ritrovato due mesi dopo.
Ciò scaturì indignazione generale, per alcuni mesi parve che il fascismo fosse stato quasi
completamente isolato e che fosse sul punto di morte: i partiti d’opposizione ad eccezione di
quello comunista reagirono all’assassinio di Matteotti abbandonando i lavori parlamentari,
ciò nonostante il gesto non ebbe alcuna conseguenza vera e propria, Mussolini ne approfittò
per consolidare il consenso, egli il 3 gennaio del 1925 in un discorso alla Camera che non
lasciava dubbi sui metodi della politica fascista prese su di sè ogni respknsabilità di quanto
accaduto nei mesi precedenti, ed affermò fermamente che: il fascismo era un’assocazione a
delinquere e lui ne era il capo.

Il fascismo al potere
Forte di una solida maggioranza alla Camera e del sostegno del Re, ma soprattutto, senza
alcun avversario politico, Benito Mussolini cominciò la creazione di un regime autoritario a
partito unico muovendosi sul piano istituzionale, sul piano economico e su quello sociale,
riformando la struttura del PNF col fine di renderla rigidamente funzionale agli interessi del
governo, le leggi fascistissime furono un chiaro esempio di fascistizzazione del paese,
emanate nel 1925. Furono poi approvate leggi per il controllo delle attività delle associazioni
segrete, l’eliminazione della libertà di stampa e l'allargamento delle attribuzioni del capo del
governo - il capo del governo, ora, era svincolato da ogni controllo parlamentare.
Nel 1926 furono eliminate le cariche elettive nelle amministrazioni locali, furono bandite le
manifestazioni contro il regime e furono sciolti i partiti contrari al fascismo, venne poi istituito
un tribunale speciale per la difesa dello Stato e furono introdotte pene serisse per gli
attentatori alla vita della famiglia reale e per gli attentatori alla vita di Mussolini, furono
introdotti nuovi reati come quelli contro la sicurezza nazionale.
Nel 1928 fu varata una riforma che stabiliva che la selezione dei candidati alla deputazione
fosse affidata al Gran Consiglio delFascismo e che le candidature venissero poi sottoposte
ad un plebiscito.
L’operazione di fascistizzazione dello Stato fu ultimata nel 1939, quando la Camera dei
Deputati divenne la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Mussolini aveva il potere di
scegliere per decreto i deputati.

Nel settore economico, invece, a partire dal 1925 partì il cosiddetto “dirigismo statale”,,
Confindustria riconosceva nel sindacato fascista il solo rappresentante legittimo del mondo
del lavoro, nel 1926 fu abolita la CGIL e fu bandito lo sciopero.
Come alternativa al modello capitalista ed a quello socialista, fu creato un modello in cui gli
organismi di coordinamento, le cosiddette “corporazioni” avevano il compito di limitare i vari
conflitti tra imprenditori e lavoratori mediante una pianificazione concordata degli indirizzi
economici - ciò servì solo e soltanto per motivazioni propagandistiche.
La politica economica di Mussolini si basava sul protezionismo, deflazione, stabilizzazione
monetaria e su un accentuato intervento pubblico in economia, venne reintrodotto il dazio
sulle importazioni di grano e zucchero e fu lanciata la cosiddetta “battaglia del grano”
finalizzata al raggiungimento dell'autosufficienza nel settore cerealicolo mediante l’aumento
della superficie coltivata, furono adottate inoltre nuove tecniche di coltivazione più avanzate:
ciò non fece altro che intensificare le disuguaglianze tra nord e sud.
Certamente in questo determinato momento storico, di grande importanza, fu la crisi del ‘29,
la crisi di Wall Street, che ebbe diversi effetti sull’economia italiana ma che non produsse
grandi contraccolpi al regime:Mussolini riuscì a cogliere l’occasione della crisi per potenziare
ulteriormente gli interventi a stampo dirigistico dello Stato ed inoltre, la politica autarchica
ridusse drasticamente le conseguenze della crisi internazionale.Bisogna però sottolineare
che l’Italia durante il fascismo rimase un paese complessivamente arretrato, l’analfabetismo
fu ancora forte ed ingente nella società, in un certo senso il regime fu costretto di accettare
questa situazione di arretratezza, strumentalizzando quindi esaltando la vita in campagna, il
matrimonio e la famiglia. Tutto ciò anche ad intensificare i rapporti con la Chiesa, la quale da
sempre propugna la famiglia e la vita familiare come un prototipo di vita eccellente.
A pagare maggiormente i costi di queste nuove politiche furono le classi lavoratrice,
penalizzate da bassi salari e dal fenomeno della sotto-occupazione.

Il regime fascista venne incontro alle famiglie:


- incrementando gli assegni familiari soprattutto per i lavoratori con famiglie;
- vennero create delle corsie preferenziali per i padri di famiglie;
- vennero istituiti dei premi in denaro per le coppie con più figli;
- venne stabilita una tassa per le persone celibi;
- venne ostacolato il mondo femminile (il primo momento di emancipazione femminile
lo troviamo appena dopo la prima guerra mondiale)
- anche le donne avevano le proprie organizzazioni, i Fasci femminili, le giovani
italiane, le massaie rurali e le piccole italiane;
- tali organizzazioni “allenavano” le donne nel compiere le varie attività
tradizionali femminili.

La fascistizzazione dell’Italia
In quanto regime autoritario era necessario creare una patria forte e stabilizzata fondata sul
culto del duce, pertanto si avvia così l’opera di fascistizzazione, opera che consiste nel
politicizzare quasi tutti gli ambienti di vita del cittadino, i migliori risultati si ebbero con i ceti
medi che occuparono le varie ramificazioni dello Stato e del Partito:
- Fascistizzazione della scuola di superficie, da notificare che i professori dovevano
giurare fiducia al fascismo. Opporsi al giuramento implica opporsi al partito.
Fu creata poi l’Opera Nazionale Balilla per l’inquadramento dei bambini ed
adolescenti, che si fuse con i Fasci Giovanili creando la Gioventù Italiana del Littorio,
tale gioventù aveva il compito, dalle scuole all’università di diffondere l’ideologia
fascista e l’ideale uomo fascista.
- Agli intellettuali che andavano a lodare il fascismo venivano destinati dei veri
e propri premi.
- Agevolazioni fiscali ai proprietari terrieri.
- Venne creato un ministero della cultura popolare, il MINCULPOP, con Mussolini che
dava ordine su cosa trasmettere e quant’altro.
- Con la diffusione della radio, nella metà degli anni ‘30, venne creato l’EIAR, ente
delle trasmissioni radiofoniche;
- In voga furono certamente i cinegiornali, potenti cortometraggi che venivano
programmati all’inizio e alla fine del film.
- Suddivisione della popolazione in corporazioni.
- Nuova legislazione sociale: venne ridotto ad 8 ore l’orario lavorativo giornaliero,
venne aumentata da 12 a 14 anni l’età minima per le assunzioni, furono varate
norme circa gli infortuni sul lavoro, le malattie, l’invalidità, la vecchiaia e per la figura
delle madri.
- Vennero varati i Patti Lateranensi, ancora oggi in vigore, che stabilivano i rapporti tra
Stato Italiano e Chiesa:
- La Chiesa riconosce ora ufficialmente lo Stato Italiano e la sua capitale,
secondo questi patti, l’Italia doveva però pagare un risarcimento danni al
Papa dovuto alla breccia di Porta Pia:
- I sacerdoti erano esonerati dal servizio militare;
- I preti spretati non potevano entrare a far parte degli uffici pubblici;
- Il matrimonio religioso assumeva effetti civili;
- Insegnamento della dottrina cattolica veniva definito fondamento e coronamento
dell’istruzione pubblica;

Ai piedi degli anni ‘30, lo Stato era ormai completamente sottoposto al controllo del regime
fasciste e l’opposizione era totalmente debellata, il dissenso sopravvive solo in ambito
culturale, in piccole dosi.

La politica estera del fascismo


L’iniziale obiettivo di Mussolini era quello di creare un immagine di un’Italia efficiente e
stabile, il Duce si propose come garante dell’ordine europeo a Versailles. Tale posizione
però venne meno quando Mussolini organizzò una spedizione nell’ultimo impero rimanente
in Africa, l’impero Etiope: tale impero era membro della Società delle Nazioni.
Nel 1935 scoppiò la guerra italo-etiope, - senza però dichiarare formalmente guerra - ,
venne a riunirsi la Società delle Nazioni e l’Italia venne subito condannata con sanzioni
leggere (divieto di vendere materiali bellici).
Tale guerra fu presentata agli italiani come una ghiotta occasione economica, ma ciò si
rivelerà tutt’altro.
Furono impiegati:
- 400 mila soldati italiani;
- diversi mezzi corazzati;
- gas asfissianti
Notiamo come lo scontro fu immediatamente sproporzionato, nel 5 maggio del ‘36 le truppe
italiane entrarono ad Addis Abeba, Mussolini offrì al Re il titolo di Imperatore d’Italia e di
Etiopia.
Un po’ come la Libia, l’Etiopia fu un buco nell’acqua, il territorio aveva veramente poco da
offrire, ma il successo propagandistico fu altissimo.
La preoccupazione degli inglesi fu quella di tenere Mussolini lontano da Hitler, questa
alleanza tra questi regimi veniva scongiurata dalle democrazie europee.
● Nel ‘36 fu firmato l’asse Roma-Berlino, utile a Mussolini per non legarsi militarmente
alla Germania ma per ottenere di più dall’Inghilterra, spaventata da una possibile
alleanza militare.
Mussolini però stava lentamente venendo trascinato verso Hitler, un esempio possono
essere le leggi razziali del ‘38, il regime fascista si troverà ingabbiato rispetto alle posizioni
tedesche.
L’amicizia con la Germania non fu condivisa a pieno dall’opinione pubblica.
Il progressivo avvicinamento della Germania con l’Italia portò, per opera di Galeazzo Ciano,
un'alleanza militare - il Patto d’Acciaio

Il nazismo ed il progetto politico hitleriano


Nel 1933 Hitler fu nominato cancelliere, da notare innanzitutto che egli fu nominato
cancelliere dopo l’incendio del Reichstag, quando i consensi del partito comunista caderono
radicalmente, furono poi fissate le elezioni per il marzo successivo: la campagna elettorale
nazista si basava principalmente su una vasta ondata di violenza che colpì principalmente le
sinistre, con le elezioni Hitler non riuscì ad ottonere i ⅔ di seggi necessari per le riforme
costituzionali, pertanto, Hitler chiese al Parlamento che gli venissero attribuiti pieni poteri,
mediante il “decreto dei pieni poteri” controfirmato da Hindemburg: a tale decreto si piegò
tutto il Parlamento, ad eccezione della SPD.
Successivamente, Hitler procedette ad un’epurazione sistematica di tutti gli apparati dello
Stato, venne creato l’unico sindacato legale nazionalsocialista e venne abolito il sistema
federale: nacque così un regime autoritario a partito unico senza abrogare formalmente il
sistema costituzionale preesistente, possiamo quindi qui decretare la fine della Costituzione
di Weimar.
L’anno successivo Hitler si autoproclamò Fuhrer del Reich e del popolo tedesco, la
legittimazione del suo potere si basava su 3 elementi principali:
1. Il popolo, entità mitica a base razziale, definita dal sangue e dal territorio.
2. Lo Stato, il quale formalmente rimaneva quello tradizionale ma era sottoposto alla
sincronizzazione mediante il sistema delle unioni personali fra esponenti del partito
ed i ruoli della politica e dell’amministrazione, lo Stato però si ritrovò senza un reale
coordinamento.
3. Il Movimento il cui concerne non solo il partito ma tutte le organizzazioni di massa
volute fortemente da Hitler per inquadrare la popolazione: la gioventù Hitleriana, il
fronte del lavoro e tutte le attività del dopolavoro, queste dinamiche furono create e
messe in atto principalmente dalle SS (Schutzstaffel), l’organizzazione paramilitare
del partito, che si trasformarono nella vera élite del popolo tedesco.
Il nazionalsocialismo procedette poi anche verso l’eliminazione di oppositori politici e del
“diverso” (omossessuali, zingari, slavi, immigrati, vagabondi, testimoni di Jeovah e
soprattutto ebrei) che minacciava la razza ariana. Queste categorie di individui venivano
rinchiusi in campi di concentramento, campi di prigionia finalizzati, inizialmente alla
detenzione e allo sfruttamento dei prigionieri.
Elementi che scaturiscono il “terrore di massa”:
- Allineamento della magistratura al volere del partito;
- Reintroduzione della pena di morte;
- Le SS e la Gestapo (Polizia segreta);
- Censura dell’informazione;
- Soppressione della libertà politica e sindacale;
- Campagna di igiene razziale con violenze sistematiche ai danni della comunità
ebraica che subirà un’escalation fino ad arrivare alla soluzione finale nel 1942 - ma
sin dal 1935 le leggi di Norimberga privarono gli ebrei della parità dei diritti di cui
godevano i cittadini tedeschi, vietando matrimoni misti fra ebrei ed ariani. Un
momento particolare di questo periodo di odio razziale lo si avrà con la notte dei
cristalli, quando furono saccheggiati più di settemila negozi ebrei, furono assassinate
91 persone e 200 sinagoghe furono incendiate.

La ripresa economica della Germania nazista consisteva nel mettere in atto una politica
economica di espansione della spesa pubblica per creare nuovi posti di lavoro ed assicurare
alla Germania un massiccio riarmo, andando a favorire le industrie belliche - dal momento in
cui la preparazione militare ebbe un’assoluta priorità nell’agenda economica del nazismo,
con la convizione che i tempi fossero già maturi per progettare un’espansione territoriale - in
pochi anni fu riassorbita la disoccupazione quasi interamente, crebbero i redditi ed i
consumi, inoltre i privati godettero della costruzione autostradale per poter diventare
motorizzati.
Col fine di far crescere sempre di più il consenso tra i cittadini, il regime totalitario di Hitler
dedicò particolare cura alla legislazione sociale e all'assistenza dei lavoratori: ferie fino a 12
giorni l’anno, salari in aumento, abbassamento del prezzo dei beni di consumo, colonie
estive per i figli dei dipendenti, corsi di formazione, musica e premi con l'obiettivo di
incentivare il lavoro.
Anche se, a dirla tutta, le donne rimasero totalmente fuori dalla vita lavorativa (in tutti gli
ambiti) dal momento in cui vennero sacralizzate in quanto creatrici della razza ariana.
L'obiettivo dell’autarchia, però, fallì: ciò nonostante i piani di Hitler non cambiarono, anche
se, a causa dell’assenza di rapporti economici con altri paesi e a causa della mancanza di
materie prime, l’economia tedesca subì un deficit pubblico elevatissimo.
Nel 1939, infine, Hitler decise che era il momento di uscire dalla Società delle Nazioni ed egli
fece un primo tentativo di annessione dell’Austria, impresa che fu sventata per l’opposizione
delle forze occidentali e di Mussolini, centro dell’equilibrio europeo.

Lo stalinismo
Nel 1924 avvenne completamento della stesura della Costituzione dell’URSS, gli organi
principali del nuovo stato a stampo federale erano due, il Congresso dei Deputati del Popolo
(eletto a suffragio ristretto - dove rimanevano esclusi tutti gli appartenenti a categorie
ritenute potenzialmente ostili al nuovo assetto politico, ad es. i vecchi proprietari terrieri, i
commercianti, gli ecclesiastici ecc, - ed indiretto secondo un sistema piramidale, ove ogni
soviet eleggeva i delegati che andavano a costituire il soviet di livello superiore) ed il
Comitato Esecutivo Centrale.
Tale impianto istituzionale garantiva una sorta di autonomia alla singole Repubbliche
Sovietiche, anche se a dirla tutta, il controllo nei vari territori era garantito dal Partito
Comunista dell’Unione, ove i singoli Partiti Comunisti costituivano delle sezioni. Il leader
supremo dell’URSS divenne il segretario del Partito Comunista. Ciò nonostante all’interno
del Partito rimase un grande frazionamento, nonostante il divieto a quest’ultimo, sia tra i
militanti che tra la “vecchia guardia” bolscevica.
Sempre nel medesimo anno venne a mancare Lenin, e la sua morte scaturì un’aspra lotta di
successione nel gruppo dirigente bolscevico. Da questo momento in po’ il nome di Stalin si
fece sempre più forte, il quale lanciò la parola d’ordine: “Socialismo in un solo paese”, con la
quale si accantona la prospettiva immediata di una rivoluzione mondiale in nome della
priorità dello sviluppo del sistema comunsita in URSS.
- Nacque poi un’opposizione a Stalin che però fallì.
In pochissimo tempo tempo Stalin assunse l’intero controllo del Partito accentuando
l'accentramento interno.

La politica stalinista
Innanzitutto, dopo aver affrontato e smantellato l’opposizione, Stalin dovette fare i conti con
una grave crisi interna: decise quindi di ricorrere alla requisizione forzata degli ammassi del
grano.
L’economia pianificata di Stalin avvenne tramite due piani quinquennali in cui vennero definiti
gli obiettivi da perseguire (collettivizzazione delle terre, possesso dei mezzi di produzione,
ecc) potendo appoggiarsi ad una manodopera sempre crescente:
- 1° piano del 1928-1933, nel ‘32 la produzione industriale incrementò del 50% (meglio
di qualsiasi paese capitalistico), ci fu un incremento di 3 milioni di lavoratori
dell’industria;
- 2° piano del 1933-1937, portò un aumento della produzione del 120%, 10 milioni di
lavoratori dell’industria;
I lavoratori venivano premiati tramite incentivi materiali, tra questi emerge il nome di Alexei
Stakanov (da cui nasce il termine stakanovista): egli un giorno estrae 14 volte il numero
medio di carbone giornaliero per minatore.
Nel corso degli anni ‘30, la Russia aveva avuto un grande exploit produttivo che la portò ad
essere la terza potenza industriale del mondo in pochissimo tempo, appena dietro USA e
Germania, ciò nonostante questo slancio produttivo costò diverse vite umane ed un tenore
della vita basso.
Chi si opponeva alla collettivizzazione forzata andava incontro all’arresto e successivamente
alla deportazione in campi di lavoro forzati, i gulag, sotto il controllo della polizia politica, nel
1940 infatti, esistevano più di 50 campi di lavoro con oltre un milioni di detenuti impiegati in
condizioni estremamente proibitive nella costruzione di grandi opere e nel lavoro delle
miniere.
Il regime stalinista si basava principalmente sul culto della personalità di Stalin, tale culto
della personalità colpì internamente anche il Partito che fu sottoposto a drastiche epurazioni.
Attraverso la repressione di massa, un sistema di controlli sociali e politici, Stalin riuscì ad
ottenere un potere assoluto e totale.
La propaganda Stalinista faceva in modo di giustificare la repressione con la necessità di
colpire chiunque potesse ostacolare l’obbiettivo della costruzione di una grande patria
sovietica.

La politica estera di Stalin


La sfida con l’occidente rimane in piedi con Stalin, viene definitivamente meno la rivoluzione
permanente perseguita da Lenin e da Trotskij, l’URSS cominciò a dialogare con le
democrazie europee, nel ‘34 entra nella Società delle Nazioni e nel ‘35 viene riformata una
nuova alleanza militare con la Francia.
Ad un certo punto, tutti i partiti comunisti avrebbero dovuto legarsi ai partiti antifascisti per
arginare il pericolo fascista che stava prendendo sempre più piede in Europa.
Si ebbe quindi tra il ‘35 ed il ‘36 un chiaro ed evidente riavvicinamento dell’URSS alle
potenze europee.

Gli Stati Uniti d’America


Il ‘900 si apre, per gli USA, come un momento progressista, come un’epoca di grandi riforme
che si indirizzarono su tre linee principali:
1. Estensione delle funzioni del governo federale;
2. Lotta per limitare le altre potenze economiche;
3. Tendenza a rafforzare la democratizzazione del sistema politico.

Il Presidente Theodore Roosevelt entrerà nella Casa Bianca nel 1901, egli era un
appartenente all’ala progressista del partito repubblicano, si distinse per la sua immagina di
leader energico e decisionista e per un forte attivismo riformatore. Per quanto riguarda la
politica estera possiamo dire che egli rafforzò la pressione imperialista, specie in Sud
America, pressioni che trasformeranno Panama in un protettorato americano.
Mentre, in politica interna, si impegnò a regolamentare e limitare il potere dei monopoli, cioè
delle grandi corporations

Nelle elezioni del 1912 vinse il democratico Wilson, cui portò avanti l’impegno progressista
(varando, ad esempio, norme contro il lavoro minorile), inoltre entrò in guerra nel 1917 al
fianco di Gran Bretagna e Francia; tra il 1919/1920 gli Stati Uniti furono attraversati da una
grande ondata di scioperi e rivendicazioni operaie causate da una breve - ma intensa -
recessione economica: tutto ciò si trasformò una vera e propria “paura rossa” nella classe
media e tra gli imprenditori, il Partito Comunista di Chicago, fondato nel 1919 fu bersaglio di
una violenta campagna da parte delle forze dell’ordine.
Questo fu anche il momento del proibizionismo: dietro la spinta di potenti lobbies private fu
varato un emendamento che vietava la produzione, vendita ed il trasporto di bevande
alcoliche, tale emendamento aveva l'obiettivo di compiere un atto patriottico per contribuire
all’austerità e all’efficienza dei lavoratori - nel 1933 avremo l’abrogazione del protezionismo
dal momento in cui tale norma aveva portato solamente ad un alto livello di contrabbando di
alcolici.
Fu inoltre varata la legge che sanciva il suffragio femminile a livello nazionale.
Superata la depressione economica, gli USA entrarono una fase di grande prosperità
economica mai conosciuta prima, si diffuse così nell’opinione pubblica un’euforia
generalizzata: con una posizione di assoluto dominio finanziario, gli Stati Uniti si posero al
centro del capitalismo mondiale grazie alla razionalizzazione del lavoro e al consumismo di
massa, crebbero così sia la produzione industriale che il reddito pro-capite.
Gli anni ‘20 furono dominati da politiche liberiste messe in atto dal governo Repubblicano,
venne favorito l'accumulo di capitali e della ricchezza.
Per assicurarsi il consenso sia dalla classe media che dai conservatori più “tradizionali” il
partito Repubblicano decise di tornare ai vecchi sentimenti xenofobi e razzisti portando così
l’opinione pubblica americana a rifiutare ogni tentativo di integrazione da parte degli
immigrati, chiudendo quasi completamente le frontiere.

La crisi di Wall Street


A partire dal 1928 il mercato americano entrò in una grave crisi finanziaria di
sovrapproduzione: ci fu un massiccio calo delle quotazioni ed una “corsa” alla vendita dei
titoli azionari, - il 24 ottobre del ‘29, il c.d. giovedì nero, le vendita in borsa furono milioni (si
ebbe il “panico di borsa”) - la borsa crollò definitamente e l’economia americana subì un
danno irreparabile, quasi 15mila imprese fallirono.
La reazione immediata dei governi americani fu intervenire in modo “liberista” (tale modalità
verrà utilizzata anche in Europa):
- diminuire spesa pubblica
- aumentare pressione fiscale
- avviare politiche protezioniste

Le conseguenze fuori dagli Stati Uniti, la situazione tedesca


La borsa di Wall Street non fu l’unica a fallire, iniziarono a fallire anche le banche, sia perché
le stesse banche avevano investito in borsa ma anche perché le aziende che avevano preso
prestiti dalle banche cominciarono a chiudere.
La crisi, partita dall’America del Nord, cominciò a diffondersi in tutto il mondo: in 3 anni il
commercio si ridusse al 60%, venne investito inoltre il sistema agricolo e ci fu un gran
innalzamento del numero dei disoccupati (che in USA aumentano di 14 milioni, in Europa 15
milioni).
La Germania (già indebolita dopo la Grande Guerra) fu particolarmente colpita dalla crisi - il
cancelliere cattolico riprese la strategia di dimostrare che il “popolo tedesco non poteva
farcela”, quindi esasperare la situazione (i Nazionalsocialisti di Hitler furono in disaccordo: il
loro spirito nazionalista era parecchio vigoroso)
Nel ‘32 si decise di interrompere per 3 anni il pagamento delle riparazioni, in quell’anno la
crisi aveva prodotto 6 milioni di disoccupati nel paese tedesco.
Adolf Hitler passa dal 2.5% a milioni di voti pochi mesi dopo, grazie al malessere sociale, da
qui a breve il Partito Nazionalsocialista conquisterà la Germania.

- La prima spiegazione teorica alla crisi proviene da Keynes: il sistema capitalistico


non può autoregolarsi, tende a causare danni, è necessario in questo sistema che lo
stato intervenga con interventi correttivi (c.d. deficit spending)
L’uscita dalla crisi degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt
La soluzione alla crisi del ‘29 si ebbe con il democratico Franklin Delano Roosevelt, egli
aveva una grande qualità: quella di essere un gran comunicatore, tale caratteristica serve
per portare una maggiore fiducia nella società americana.
Roosevelt trovò, nell’intervento dello stato nel settore economico (prendendo “in mano dello
stato l’intera economia, i c.d. new deal), la soluzione alla crisi: questo chiaramente avrebbe
aggravato la situazione dei capitalisti.
Tale intervento sarebbe stato non solo di natura economica ma anche di natura legislativa a
sostegno della classe operaia.
A dire il vero il programma politico di Roosevelt non era ben chiaro alla popolazione,
considerando anche i parecchi anni liberisti.

Programma politico di Roosevelt (da ricordare: tale programma venne effettuato con i
finanziamenti dello Stato)
- svalutazione del dollaro;
- sussidi ai disoccupati, specie per coloro che hanno contratto debiti;
- interventi nei vari settori: agricolo, industriale;
- autorità del Tennessee, centrale di produzione di energia elettrica;
- furono varati finanziamenti per le opere pubbliche
I due new deal si rivelarono funzionali all’economia americana, quindi F. Delano Roosevelt
venne rieletto nel 1936 per un secondo mandato.

In questo periodo si diffuse la radio, strumento che si afferma negli anni 30 (Roosevelt ne
farà uso):
- dal punto di vista economico attraverso la radio si poteva sponsorizzare le vendite,
favorire i prodotti;
- dal punto di vista politico con la radio si poteva comunicare alla società di massa;
La ripresa dalla crisi è dovuta anche a questo nuovo strumento assieme ai rotocalchi.
Parlando di questi nuovi sistemi propagandistici, bisogna ricordare che questi strumenti
spianano la strada ai regimi totalitaristici del ‘900 che faranno un gran uso di questo metodo
di comunicazione nuovo, diremmo oggi di massa.

Il fallimento del sistema di Versailles


La crescente tensione tra i partecipanti della conferenza di Parigi non favorivano certamente
uno status quo minacciato anche diplomaticamente da potenziali revisionismi provenienti
dall’est e dall’Europa centrale, anche perché bisogna tenere a mente che mancava allora
una leadership forte all’interno della Società delle Nazioni, nonostante Francia e Gran
Bretagna ne assunsero il controllo.
1. Nel 1922 fu siglata dalla Gran Bretagna assieme agli Stati Uniti ed il Giappone gli
accordi che sancivano una limitazione degli armamenti navali;
2. La Francia creò una catena di alleanze difensive con Belgio e Polonia, poi strinse
rapporti con i paesi della c.d. “piccola intesa”, quali Romania, Cecoslovacchia e
Jugoslavia.
a. Il tentativo francese non fu solamente quello di espandere le proprie influenze
in diverse zone d’Europa ma anche quello di accerchiare, nuovamente, la
Germania.
3. La Germania decise di fare ostruzionismo nei confronti delle riparazioni di guerra nei
confronti dei paesi vincitori della prima guerra mondiale:
a. Nel 1923, Francia e Belgio, decisero di invadere la zona del Ruhr, così
facendo si andò ad instaurare una nuova crisi diplomatica che avrebbe potuto
compromettere gli equilibri geopolitici. A seguito di questa crisi ci fu un
momento di stabilizzazione nei rapporti franco-tedeschi: il ministro degli esteri
francese capì che non era più il tempo dell’isolamento diplomatico, e che così
facendo si sarebbe svalutato sempre di più il franco nei mercati internazionali,
mentre la Germania abbandonò la resistenza passiva.

L’integrazione della Germania e la destituzione dell’isolazionismo diplomatico tedesco


cominciarono ufficialmente con il patto di Locarno, sancito nel 1925 con cui la Germania
accettava l’intangibilità delle frontiere con Francia e Belgio, nel 1926 la Germania entrava
nella Società delle Nazioni.
A compromettere di nuovo l’equilibrio fu la critica posizione dell’URSS di Stalin, in cui vigeva
una politica di isolazionismo ed antagonismo nei confronti dei paesi occidentali, il
comunismo infatti era visto come un’arma che avrebbe potuto scaturire una rivoluzione
globale.
Oltre ciò, a minare l’equilibrio furono anche le trasformazioni autoritarie che interessano
diversi paesi europei nel corso degli anni ‘20: Ungheria, Italia, Spagna ecc; il crescente
revisionismo e le varie oscillazioni di Mussolini sul piano internazionale rappresentavano
focolai di crisi.

La lenta rinascita economica dell’Europa sembra favorire, in un primo momento, un clima


apparentemente nuovo delle relazioni internazionali, infatti i paesi vincitori iniziarono a
rimborsare gli Stati Uniti dei debiti contratti durante la Grande Guerra ed inoltre le riparazioni
tedesche furono rateizzate sempre di più.
- Nel 1928 il ministro degli esteri francese ed il segretario di stato degli Stati Uniti
vararono un patto che collegava direttamente gli USA e la Società delle Nazioni, tale
patto si rivelò in una generica dichiarazione di principi a cui avrebbero dovuto
conformarsi le relazioni internazionali, andava ad escludere la guerra come
strumento di risoluzione delle controversie internazionali.
La debolezza della Società delle Nazioni si vide chiaramente nel 1931 quando il Giappone
occupò militarmente la regione cinese della Manciuria, con l’obbiettivo di assicurarsi una
sfera di influenza in Asia continentale: vano fu la richiesta d’aiuto del governo cinese nei
confronti della Società delle Nazioni.
Il Giappone, dopo la condanna della Società delle Nazioni, decise di uscirne e continuò con
la politica imperialista occupando definitivamente la Manciuria.
Nel frattempo in Europa i paesi vincitori del conflitto non trovarono un accordo rispetto alla
richiesta tedesca di revisione del trattato che sanciva le riparazioni di guerra dovute.

La stabilità internazionale crollò definitivamente a causa di:


- avvento al potere di Hitler;
- ritiro della Germania dalla Società delle Nazioni;
- tentativo di una prima annessione dell’Austria da parte della Germania fermato
solamente dall’opposizione Italiana;
- piano di riarmo massiccio della Germania nel 1935;
- rioccupazione della Renania, da parte della Germania, nel 1936;
- conquista italiana dell’Etiopia;

La politica dell’appeasement
Gran Bretagna e Francia, nei confronti dell’ascesa dei revisionismi, scelsero inizialmente la
strada dei negoziati, dei compromessi e delle concessioni nel tentativo di trovare una via
pacifica di contenimento delle pretese hitleriane. Infatti i due “leader” della Società delle
Nazioni si resero subito conto di non avere le risorse economiche per poter fronteggiare altre
minacce (revisionismo hitleriano, imperialismo giapponese, imperialismo italiano).
La politica di appeasement nei confronti della Germania si accompagna al tentativo di
migliorare i rapporti con l’Italia fascista e di re-integrare l’URSS nei meccanismi europei,
infatti nel 1934 l’Unione Sovietica venne ammessa nella Società delle Nazioni, e nel 1935
venne siglato un patto franco-sovietico di non aggressione con l'obiettivo di contenere la
Germania. Tuttavia questa volta mancavano i blocchi di alleanze, ogni paese tendeva a
perseguire i propri obiettivi individualmente secondo la propria politica.
In tutto ciò la guerra d’Etiopia peggiorò ancora di più la situazione, già precaria: Mussolini
ottenne il sostegno e la solidarietà tedesca, si cominciò quindi a parlare di un asse
Berlino-Roma. Dinanzi all’occupazione tedesca della Renania la reazione francese fu
blanda.
Tra il 1936-1937 la solidarietà tra i paesi revisionisti venne ufficializzata inglobando una
nuova connotazione ideologica, quella della lotta al comunismo internazionale,
l’anticomunismo propugnato da Germania, Italia e Giappone appariva molto più compatto
dell’antifascismo di Francia, Gran Bretagna ecc;
L’ordine europeo venne definitivamente distrutto nel 1938 con l’annessione (anschluss)
dell’Austria da parte della Germania, il successo di questa operazione fu una grandiosa
vittoria per il nazismo, sia in termini propagandistici che economici.
Successivamente, Hitler pretendeva la cessione della regione con ingente minoranza
tedesca con un movimento irredentista dei Sudeti in Cecoslovacchia.
- Nel 1938 venne indetta una conferenza a Monaco ove si decideva il destino della
regione dei Sudeti, a tale conferenza non fu convocato Stalin e nemmeno il
rappresentante della Cecoslovacchia. Si decise, col fine di preservare la pace in
Europa, di cedere la regione alla Germania nazista.
- L’esclusione dell’URSS sancì la fine definitiva dei rapporti tra il mondo
occidentale e quello orientale.

Nell’aprile del 1938 l’Italia annette l’Albania ed il mese successivo siglò il Patto d’Acciaio con
Hitler, un'alleanza militare che impegnava le due potenze ad entrare in guerra l’una a fianco
dell’altra (*tale patto non era un’alleanza difensiva).
Gli sviluppi della situazione geopolitica irrigidirono progressivamente la politica della Gran
Bretagna che offrì quindi garanzie all’indipendenza della Polonia a cui Hitler chiedeva la
cessione della città di Danzica.
Francia e Gran Bretagna intrapresero un piano di riarmo ed avviarono anche una timida
trattativa per un accordo diplomatico e militare con l’URSS.
Al fronte di ciò, Hitler deciso a portare avanti l’attacco alla Polonia ma volendo evitare un
conflitto su due fronti offrì a Stalin l’opportunità di giungere ad un accordo con la Germania,
Stalin valutò positivamente l’offerta, ritenendola poco più di una tregua tattica e momentanea
nell’attesa di una guerra inevitabile.
Il 23 agosto 1939 venne siglato dai ministri degli esteri tedesco e dal ministro degli esteri
sovietico un patto di non aggressione, a tale patto si aggiungevano delle clausole segrete
che configurano una vera e propria spartizione dell’Europa orientale in sfere d’influenza,
mentre Francia e Gran Bretagna si affrettarono a firmare un accordo difensivo con la
Polonia.
L’1 settembre 1939 le forze naziste varcarono il confine polacco, utilizzando la tecnica della
guerra lampo, Londra e Parigi dichiararono guerra alla Germania: ebbe così inizio la
seconda guerra mondiale.

La seconda guerra mondiale

La fine delle strategie di appeasement


L’inizio della seconda guerra mondiale può essere collocato storicamente nell’avvio delle
politiche espansionistiche del Terzo Reich (circa 1938/1939) e nella conseguente risposta
delle potenze europee, che sino all’invasione della Polonia, avevano congiuntamente
seguito una linea cd di appeasement.
Gli eventi rilevanti in quest’ambito furono:
⦁ Conferenza di Monaco; (settembre 38)
⦁ Patto Molotov-Ribbentrop; (agosto 39)
1. Dopo la conferenza di Monaco l’opinione pubblica si sentì sollevata, si pensava che ormai
la guerra fosse scongiurata: in questo evento diplomatico, si incontrarono Germania,
Francia, Regno Unito e Italia. Qui si decretò che la regione dei Sudeti, appartenente alla
Cecoslovacchia ma su cui la Germania stava esercitando una forte pressione, forte della
larga presenza di popolazione tedesca su quei territori, sarebbe stata annessa ufficialmente
dalla Germania, in nome della pace. Qui si assiste all’ultimo ed estremo atto della strategia
di appeasement, nella quale due potenze democratiche concessero un territorio al reich,
senza che lo Stato sovrano di riferimento venisse nemmeno interpellato. La conferenza di
Monaco, per Hitler, fu la legittimazione finale alla conquista dell’Europa.
2. Patto siglato dai ministri degli esteri tedesco e sovietico che sanciva una reciproca non
aggressione fra le due potenze, comprendeva inoltre delle clausole segrete per la divisione
della Polonia.

Dopo l’annessione dei Sudeti, Hitler occupò militarmente ulteriori territori cecoslovacchi,
quali la Boemia e la Moravia - su cui sarà instaurato un protettorato, rimaneva ora soltanto la
Slovacchia.
Le potenze europee capirono le intenzioni del Fuhrer, l'appeasement inglese venne meno e,
a questo punto, si vennero a creare diversi patti tra Inghilterra, Francia, Belgio, Romania,
Turchia con l’intenzione di creare una rete di alleanze per contenere il nazismo.
Tra questi patti figurava quello con la Polonia, perché già da diverso tempo Hitler rivendicava
il corridoio di Danzica. (ovvero quella frangia di territorio, nella quale era presente la città di
Danzica, racchiusa fra due territori tedeschi).

L’Italia prima dello scoppio


In questa situazione di tensione cominciò a muoversi l’Italia, che nell’aprile del ‘39 occupò
l’Albania.
Nel maggio del 1939, Germania nazista ed Italia fascista stringono in continuità con l’asse
Roma-Berlino (del 1936) il cd Patto d’acciaio, una vera e propria alleanza militare, che, a
differenza di altre esperienze di alleanza tipiche ad esempio della Prima guerra mondiale,
prevedeva l’obbligo di entrata in guerra di uno dei Paesi al fianco dell’altro anche in chiave
offensiva.
Lo scoppio del conflitto
1 Settembre 1939: la Wehrmacht entrò in Polonia, in tutta risposta, 2 giorni dopo, Inghilterra
e Francia dichiararono guerra alla Germania.
L’Italia, in questo frangente, dichiarò la sua non belligeranza.
La Polonia, attaccata su due fronti (Germania ad ovest e Urss ad est), venne sconfitta nel
giro di neanche un mese.
Mentre la Polonia cadde:
Francia ed Inghilterra non avanzarono sul territorio tedesco e nemmeno indietreggiarono;
l’URSS dichiarò guerra alla Finlandia.
Nella primavera del ‘40 caddero in concomitanza Danimarca e Norvegia sotto gli attacchi di
Hitler.
Fronte Europa Occidentale - Germania (Francia)
Una volta occupata la Polonia, la Germania si concentrò sul fronte occidentale attaccando la
Francia con la tecnica della guerra lampo.
I francesi si ritirarono dietro la linea Maginot, ovvero una massiccia linea difensiva costruita
lungo tutto il confine franco-tedesco: ciò non ebbe molta rilevanza poiché l’esercito tedesco
entrò in territorio francese tramite il Belgio e l’Olanda, territori che verranno inoltre occupati.
Oltre che dal Belgio ed Olanda, le truppe naziste passarono anche attraverso la foresta delle
Ardenne.
La Francia è ridotta alla resa e alla firma di un armistizio con la Germania, venne divisa in
due: a nord permase l’occupazione tedesca, a sud venne creata una Repubblica
collaborazionista, detta di Vichy, con a capo il generale Pétain. Nei fatti la Francia era
totalmente asservita alla Germania.
A combattere in Europa contro la Germania rimase solo l’Inghilterra di Churchill.

Spagna
Nel frattempo si stava combattendo un altro conflitto parallelo in Europa, la guerra civile
spagnola (1936-1939) ove i repubblicani combattevano contro i nazionalisti.
Gli aiuti militare da parte delle superpotenze non si fecero aspettare:
Mussolini ed Hitler inviarono truppe a sostegno dei nazionalisti di Francisco Franco
I repubblicani, fronte antifascista variegato e formato da anarchici, comunisti, socialisti eccc,
invece vennero aiutati dall’Unione Sovietica.
L’intervento delle potenze dell’Asse non fece che inasprire ulteriormente il conflitto, che si
concluse con l’instaurazione del regime franchista.

L’ingresso nel secondo conflitto mondiale dell’Italia:


alba e tramonto della guerra parallela
Durante uno dei tanti comizi politici, nel 1940, Mussolini annunciò l’entrata in guerra: partì
ora l’offensiva italiana sulle Alpi.
A partire dall'ingresso in guerra, Mussolini decise di attuare una strategia di guerra parallela,
così nominata in quanto prevedeva l’avanzata delle truppe italiane su fronti propri, non
congiuntamente all’alleato tedesco. Tale strategia, che si protrarrà sui fronti alpino,
nordafricano e greco si rivelerà totalmente fallimentare, in relazione alla debolezza e
all'impreparazione dell’esercito regio.
Nonostante la Francia fosse già un paese sconfitto, le truppe italiane non fecero progressi.
L’armistizio con la Francia sancì che l’Italia otteneva una fascia demilitarizzata di 50
chilometri.
Mussolini decide poi di dichiarare guerra alla Grecia. Anche qui lo scontro con la Grecia fu
una catastrofe per gli Italiani che si ritirarono in territorio albanese.
Ci furono poi degli scontri navali con l’Inghilterra, questi scontri furono un bagno di sangue
per la marina italiana che li perse.
In Africa settentrionale gli italiani sferrarono un’offensiva contro le truppe inglesi che risultò
inefficace e portò ad una controffensiva inglese che comportò circa 140 mila tra morti e feriti.
Questa guerra nel deserto comportò il termine della scellerata guerra parallela: il generale
nazista Rommel a questo punto fu posto a capo delle truppe italo-tedesche e fece partire
una nuova offensiva contro le truppe inglese.

Fronte Europa Orientale - URSS (Germania)


Nel giugno del 1941, Hitler decise di infrangere definitivamente il patto Molotov-Ribbentrop:
le truppe tedesche, con l’operazione Barbarossa, invadono il territorio polacco di afferenza
sovietica, per poi penetrare nel territorio delle repubbliche socialiste sovietiche, da nord
attraverso i Paesi baltici, da sud attraverso Ucraina e Crimea. Ad un passo dal raggiungere
Mosca, nel Novembre 1941, le truppe tedesche dovettero arrestare la propria avanzata, a
causa delle proibitive condizioni atmosferiche e dello stremo di mesi di battaglia. Questo
comporterà una vigorosa controffensiva dell’Armata Rossa che scaccerà le truppe tedesche.
Rotta l’alleanza con la potenza nazista, l’Urss decise di riallinearsi diplomaticamente e
militarmente con le potenze degli Alleati, al fianco del Regno Unito.
La controffensiva sovietica porterà alla Battaglia di Stalingrado (1942-43), il più massiccio
scontro tra eserciti nell’ambito della seconda guerra mondiale, che si concluderà con la
prima e importante sconfitta delle truppe di Hitler e segnerà l’inizio dell’avanzata dell’Armata
Rossa verso Ovest.

Fronte Oceano Pacifico - USA (Giappone)


Gli Stati Uniti, a guida Roosevelt, decisero, prima di eventualmente entrare nel conflitto, di
aiutare tutti i paesi utili agli interessi americani, ad esempio con la legge affitti e prestiti.
Il Giappone del Sol Levante, impero coloniale legato alle potenze dell’Asse dal patto
anti-comintern, iniziò ad occupare i possedimenti coloniali delle potenze europee.
Gli USA diedero un ultimatum (la cd Hull note) al Giappone che non fu accolto: smettere di
estendere il proprio controllo sulle colonie europee o andare allo scontro con gli Stati Uniti.
L’Impero giapponese rispose all’ultimatum con l’attacco, nel dicembre 1941, alla base
militare statunitense di Pearl Harbor, attacco caratterizzato dall’uso di soldati kamikaze,che
portò alla distruzione di buona parte della flotta Usa nel pacifico. In questo frangente gli USA
entrano nella seconda guerra mondiale, al fianco di URSS e Regno Unito.
Questa temporanea debolezza, causata dall’attacco a Pearl Harbor, portò ad un nuovo
scontro navale, la Battaglia del Mar dei Coralli, che si concluse con la, seppur parziale,
vittoria giapponese. Nello stesso anno (1942) la flotta americana ebbe modo di ricompattarsi
e, con la Battaglia delle isole Midway, ristabilizzò la situazione nel pacifico e arrestò
definitivamente il dilagare dell’Impero giapponese.
Da qui in poi la superpotenza americana si spostò verso l’Europa.

Fronte nord-africano - Alleati (Asse)


Nel maggio del 1943 le truppe americane sbarcarono in Africa. Questo portò alla sconfitta
delle truppe dell’Asse, capeggiate dal Generale Rommel e alla liberazione dalle milizie
nazifasciste dei territori sino a quel momento occupati.

L’Italia diviene teatro di guerra: la dissoluzione del regime fascista


Tale liberazione portò ad un vero e proprio smacco rispetto agli sviluppi della guerra:
Era priorità a questo punto per gli Alleati aprire un nuovo fronte da cui attaccare frontalmente
le potenze dell’Asse. Vi erano due schieramenti: Churchill chiese un fronte da sud, Stalin un
fronte da Nord. Prevalse la posizione di Churchill, si decise quindi di aprire il fronte
meridionale passando dalla Sicilia. (in quanto l’Italia era vista come l’anello debole
dell’Asse).
Si decise inoltre di passare ad una strategia che prevedeva la resa incondizionata: la resa
incondizionata sanciva che le tre potenze alleate (USA, URSS e Inghilterra) non avrebbero
trattato con le potenze dell’asse.
L’Italia divenne così un campo di battaglia sanguinoso:
⦁ Guerra tra truppe americane e tedesche;
⦁ Guerra civile tra partigiani e fascisti;
Lo sbarco in Sicilia degli Alleati fu sostenuto dalle famiglie mafiose che da tempo si erano
stanziate nella società americana.
Nella notte tra il 24 ed il 25 luglio venne convocato il Gran Consiglio del Fascismo presieduto
da Mussolini: quest’ultimo, in un clima di caos e fortissima incertezza, venne sfiduciato dai
suoi stessi gerarchi e venne chiesto che le operazioni militari tornassero nella mani del Re.
Lo stesso pomeriggio Mussolini venne convocato da Vittorio Emanuele III, rassegnò le
dimissioni da Primo Ministro e successivamente venne arrestato dai carabinieri.
Mussolini venne sostituito dal generale Badoglio, lo stesso PNF (ramificato in tutto il paese)
scomparve nel nulla.
L’Italia ora sta entrando in un nuovo periodo storico: le truppe naziste entrarono nel paese
spingendosi fino a Roma (linea Gustav) ed oltre, raggiungendo Pescara, con Badoglio che
aveva formulato un’alleanza con i nazisti, ma che segretamente iniziò a trattare con gli
angloamericani.
L’8 settembre 1943 venne firmato da Badoglio l’armistizio con gli Alleati, che liberava l’Italia
dal vincolo del Patto d’Acciaio e sanciva l’impegno del Regno per la liberazione della
penisola.

L’Italia è scissa
⦁ A sud venne creato il Regno del Sud
⦁ A nord nacque la RSI, Repubblica Sociale Italiana
Il Regno del Sud, con a capo Re Vittorio Emanuele III e il generale Badoglio, costituiva la
provvisoria forma del Regno d’Italia, che perciò esprimeva la propria sovranità in tutti quei
territori del Meridione che non erano occupati dalle truppe tedesche. Celebre la fuga del re
da Roma a Brindisi al momento della nascita del Regno del Sud.
Dall’altra parte, nei territori centrali e settentrionali, vi era la RSI - uno stato fantoccio istituito
da Hitler, al cui vertice fu posto Mussolini, che era stato liberato alla firma dell’armistizio.
Il PNF rinasce in forma “repubblicana” con un nuovo esercito a cui aderirono gli italiani
rimasti fedeli al fascismo. La legislazione, tra cui quindi le leggi razziali, fu ancora più dura.

Nel frattempo in Italia troviamo una riorganizzazione politica generale, sia dei partigiani che
dal punto di vista partitico:
Si ricostruirono: il partito d’azione
il partito cattolico
il partito socialista di unità proletaria
il partito comunista
il partito liberale e repubblicano.

Nell’ottobre del 1943 il Regno del Sud dichiarò guerra alla Germania: gli angloamericani
attribuirono all’Italia lo status di stato cobelligerante (ciò nonostante a fine guerra l’Italia verrà
considerata come nazione sconfitta)
Una volta tornato in patria, Palmiro Togliatti, segretario del PCI, in accordo con Stalin fu
l’autore della svolta di Salerno: in un celebre discorso Togliatti fece cadere i pregiudizi nei
confronti del Re e del Governo Badoglio, allo scopo di unire le forze e creare un fronte
compatto nella Liberazione dal fascismo.
Nel frattempo Vittorio Emanuele III annunciò che una volta liberata Roma avrebbe abdicato
a favore del figlio Umberto.
Badoglio verrà poi sostituito da Bonomi,che presiederà un governo di unità nazionale
formato da tutti i partiti politici, tale governo iniziò a collaborare in sinergia con i movimenti
partigiani - nacque il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia.

Secondo fronte: l’epilogo del conflitto


Nella conferenza del ‘43 a Teheran le potenze Alleate decisero l’apertura del secondo fronte
in Francia, nella regione della Normandia, con ciò si decise inoltre di rallentare le azioni
partigiane.
L’operazione Overlord sarebbe scattata il 6 giugno del ‘44: in quattro settimane di tempo
arrivarono quasi un milione e mezzo di soldati angloamericani.
Il 25 agosto veniva liberata Parigi nella quale entrò trionfante il generale de Gaulle.
Nell’autunno dello stesso anno il fronte tedesco iniziò a sfaldarsi, con tutte le potenze
satellite all’Asse che andavano via via allontanandosi:
⦁ La Romania e la Bulgaria cambiarono fronte;
⦁ La Finlandia chiese l’ armistizio ai sovietici;

Il patto delle Nazioni Unite fu un patto firmato il 1 Gennaio 1942, firmato da diverse nazioni,
per un totale di 26 paesi che condannava le azioni del nazifascismo. Inoltre sanciva che tutte
le nazioni sarebbero rimaste compatte e avrebbero firmato la pace contro il nemico.

La conferenza di Mosca del ‘44 tra Stalin e Churchill fece sì che si cominciò a discutere sia
di come far terminare la guerra ma anche del dopoguerra - si decise quindi che l’Europa si
sarebbe divisa in sfere d’influenza: in tal senso passò il principio militare, sarebbero stati gli
eserciti a decidere le aree di controllo dei paesi vincitori
Un altro evento diplomatico importante fu la conferenza di Yalta del 1945, che confermava le
decisioni prese in quella di Mosca.
Alla metà del gennaio del ‘45 si ha un'ultima disperata controffensiva tedesca sulla foresta
delle Ardenne,nella quale gli anglomericani vinsero. Nel mentre i sovietici raggiunsero
Berlino.
Il 25 aprile del 1945 le truppe angloamericane e sovietiche si incontrano a Berlino, nello
stesso giorno viene proclamata in Italia l’insurrezione generale contro l’occupante
nazifascista.
Il 30 aprile Adolf Hitler si suicida nel suo bunker dopo aver passato il testimone al
maresciallo Donitz che chiese immediatamente l’armistizio; nel frattempo Mussolini venne
intercettato dalle truppe partigiane ed ucciso.

La sconfitta dell’ultima potenza dell’Asse


Il Giappone non era stato ancora sconfitto: il neoeletto presidente americano Harry Truman
inviò un ultimatum al Giappone per esortare l’Impero alla resa.
Tale ultimatum venne respinto: si decise di utilizzare la bomba atomica, sia perché i
giapponesi non si mostravano affatto interessati alla resa, sia perché l’opinione pubblica
americana pressava verso la fine di un conflitto così logorante. Il 6 agosto del ‘45 venne
sganciato l’ordigno nucleare ‘Little Boy’ su Hiroshima, il 9 Agosto l’ordigno ‘Fat Man’ su
Nagasaki. L’imperatore giapponese Hirohito, dinanzi a centinaia di migliaia di vittime civili,
non potè che firmare la resa incondizionata. È la fine della Seconda Guerra Mondiale.
La guerra fredda
Sul piano ideologico, la seconda guerra mondiale aveva liquidato i fascismi e aveva sancito
la vittoria della democrazia - i veri vincitori della guerra furono gli inglesi, l’unica potenza
democratica europea a resistere fino all’ultimo, nonostante per la seconda volta l’Europa si
salvò grazie ad una forza extra-europea.
L’Europa è ora divisa in due sotto l’egemonia ed il controllo delle due superpotenze che si
affermarono nei mesi successivi della guerra: Stati Uniti d’America e URSS, in quanto furono
le potenze che militarmente contribuirono di più alla vittoria del conflitto.
Per favorire la transizione alla normalità, si decise con la conferenza di Yalta, che l’Europa si
sarebbe divisa in sfere di influenze in base a dove si trovarono gli eserciti.
Stati Uniti e URSS, però, erano all’opposto su ogni punto di vista, tra cui:
⦁ Geografia, vediamo come ad esempio l’URSS grava su due continenti;
⦁ Risorse naturali;
⦁ Interessi mondiali;
⦁ Cultura;
⦁ Modello di società e di sviluppo (individualismo in USA, collettivismo in URSS)
Il mondo andava sempre più ad assumere un assetto bipolare: un mondo socialista, ispirato
ai principi del socialismo realizzato che si contrappone ad un mondo capitalista che si ispira
ai valori basati sull’individualismo ed al pluralismo.
La guerra fredda è inoltre caratterizzata dall’equilibrio del terrore, la minaccia dell’utilizzo
dell’arma atomica, che avrebbe funzionato come deterrente all’uso della stessa.

Gli Stati Uniti


A differenza del primo Dopoguerra, gli Stati Uniti cambiarono completamente strategia: la
loro intenzione fu ora quella di voler guidare tutti i paesi rimasti fuori dalla sfera di controllo
sovietica sia economicamente che politicamente; ad esempio dal punto di vista politico
promossero l’istituzione dell’ONU.
Era necessario anche promuovere lo stile di vita americano, basato sul consumismo
sfrenato, tale stile di vita ottenne successo in Europa e fu ricercato dagli europei che
volevano a tutti i costi mettersi alle spalle la guerra.
La conferenza di San Francisco sanciva la nascita dell’ONU: tale organizzazione nacque
ispirandosi alle politiche degli ultimi 2 presidenti Wilson e Roosevelt, il primo era un pensiero
più utopistico, il secondo era più concreto.
L’ONU è un’organizzazione democratica con però un direttorio, un organismo più piccolo
che avrebbe dovuto guidare il resto della comunità internazionale.
Gli organi dell'ONU
Assemblea: decisioni consultive;
Consiglio di sicurezza: provvedimenti vincolanti per gli stati membri;
Consiglio economico-sociale (UNESCO, FAO);
Corte internazionale di giustizia;

Importante fra questi è il Consiglio di sicurezza, formato da 5 membri permanenti,


corrispondenti ai 5 Stati vincitori della seconda guerra mondiale (Urss, Cina, Usa, Francia e
Regno Unito) e altri 3 a rotazione. Per disinnescare la diffidenza di Stalin nei confronti delle
potenze democratiche presenti nel consiglio, peraltro in maggioranza, si decise per il diritto
di veto dei membri permanenti: ciascuna delle 5 nazioni può singolarmente, se contraria ad
una risoluzione, opporsi e far sì che sia nulla.
Gli Stati Uniti volevano essere il punto di riferimento per gli stati filo-capitalisti, l'obiettivo era
quello di creare un grande mercato ispirato ai valori della libera concorrenza e scambio,
senza barriere doganali ed aree di protezioni.
Furono firmati gli accordi di Bretton-Woods con cui si diede vita al FMI (Fondo monetario
internazionale).
Venne poi creata una banca mondiale che interviene laddove gli Stati si trovino in difficoltà.
Venne approvato il GATT, che serviva a disciplinare le tariffe fra tutti i paesi dell’area
occidentale.

L’inizio delle tensioni


La posizione dell’URSS era completamente diversa:
⦁ Usciva dal secondo conflitto mondiale in condizioni economiche disastrose;
⦁ Richiede il totale pagamento dei debiti di guerra da parte degli stati nella propria sfera
d’influenza.
Quando finì la guerra, sia USA che URSS presero atto della situazione dell’Europa: andava
accettata la suddivisione in sfere di influenza.
A far crescere la tensione fra le due superpotenze fu Winston Churchill con il suo discorso
all’università di Fulton del ‘46 (il quale non era al governo, ma poteva contare sulla risonanza
mediatica delle sue parole in quanto assoluto protagonista della vittoria del conflitto).
In questo discorso egli denunciò quello che stava succedendo al di là della c.d. cortina di
ferro (ovvero la linea verticale immaginaria che lungo i confini nazionali divideva i territori
dell’Europa occidentale e Settentrionale ad influenza americana e i territori dell'Europa
orientale ad influenza sovietica): disse che Stalin al posto di favorire il ritorno della
democrazia stava creando dei regimi su modello sovietico - ciò che fu detto era
effettivamente ciò stava accadendo, l’intenzione di Stalin era quella di creare una grande
Unione Sovietica destinata a durare nel tempo. Stalin accusò a sua volta Churchill: la
tensione crebbe sempre di più.
Vennero subito firmati dei trattati con l’Italia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Finlandia,
rimane però irrisolto il problema con la Germania che sarebbe rimasta divisa in 4:
Stalin aprì il fronte diplomatico con la Turchia, chiedendo di concedergli maggiori diritti per le
navi sovietiche nell’attraversamento degli stretti - la Turchia era un paese sotto la sfera
d’influenza americana.

Nel ‘47 il presidente Truman pronunciò un discorso che passerà alla storia come “dottrina
Truman”: il presidente stabiliva che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in ogni parte del
mondo per sostenere gli ideali di democrazia e libertà. Implicitamente,Truman stava dicendo
ai Paesi al di là della cortina di ferro di non oltrepassare i confini stabiliti dalla fine della
guerra, altrimenti si sarebbe tornati ad un altro conflitto.

Il piano Marshall
Il piano Marshall fu un piano politico-economico promosso dagli USA allo scopo di
recuperare la situazione disastrosa in Europa e aiutare gli stati Europei alla ripresa.
La differenza sostanziale tra i soldi del piano Marshall ed i soldi degli aiuti agli stati europei è
che nel piano Marshall la provenienza dei soldi è pubblica. Il piano Marshall fu il primo
passaggio per l'integrazione dell’Europa. Tale piano venne proposto anche agli stati sotto
l’influenza sovietica: Stalin costrinse gli Stati a rifiutare.
Il piano prevede una cooperazione tra i partecipanti: gli USA chiesero a tutti i paesi che
sedevano sullo stesso tavolo di confrontarsi su come utilizzare gli aiuti, altrimenti non si
avrebbe avuto accesso al denaro.
Venne creata l’OECE, organizzazione europea per la cooperazione europea, primo
organismo formato per gestire il piano Marshall;
Successivamente venne creata la CECA (Comunità Europea Carbone Acciaio)
Vennero approvati gli accordi di Roma del 1957, attraverso i quali vennero istituiti
l'EURATOM (Comunità europea dell'energia atomica) e la CEE (Comunità economica
europea).

Nel settembre 1947 si ha la risposta sovietica, il COMINFORM, una sorta di rielaborazione


dei COMINTERN, organismo voluto da Stalin che avrebbe dovuto coordinare tutti i partiti
comunisti del mondo ed in particolare quelli europei.

La situazione tedesca
La Germania venne divisa in 4 parti, ovvero divisa e occupata da Urss, USA, UK e Francia.
La parte sovietica comprendeva la capitale, Berlino che a sua volta era divisa in due, Berlino
Ovest e Berlino Est: ¾ della città di Berlino, ovvero la parte occidentale, viveva secondo lo
stile di vita americano-capitalistisco.
Le 3 parti sotto influenze americane si unirono e si venne a creare la RFT (Repubblica
Federale Tedesca), mentre la parte sovietica era la RDT (Repubblica Democratica Tedesca).
Ai sovietici infastidiva la vetrina capitalistica nella città di Berlino: perciò si impedì che i
camion rifornimenti terrestri potessero fornire la parte occidentale della città. USA e
Inghilterra a tal punto crearono un ponte aereo così da poter rifornire la parte occidentale
della città, noncuranti del blocco stradale.

L’equilibrio del terrore si avrà nel 1949 quando anche l’URSS si sarebbe dotata della bomba
atomica: i due schieramenti erano ben delineati per mezzo delle alleanze militari; la NATO
(paesi sotto la sfera americana) ed il Patto di Varsavia (paesi sotto la sfera sovietica).

La Guerra di Corea
Una tra le numerosissime modalità di conflitto fra le due superpotenze, racchiudibile
nell’ampio discorso della guerra fredda, è la guerra per procura. Con questo termine,
sinonimo di ‘proxy war’, si intende la guerra combattuta fra due fazioni (statali o meno) che
agiscono per provocazione o per conto di altre fazioni formalmente non coinvolte nelle
ostilità (in questo caso le due grandi superpotenze USA e URSS).
Un esempio di questo tipo di conflitto, nell’ambito della prima fase della guerra fredda, è
riconducibile alla Guerra di Corea (1950-1953). La Corea, da sempre territorio conteso dagli
Stati storicamente più potenti dell’estremo oriente, nel 1950 e quindi dopo la Seconda guerra
mondiale si trovò divisa in due zone, controllate dai Sovietici e dagli Statunitensi, dalle quali
sorsero nel 1948 la Corea del Nord (Repubblica Democratica Popolare di Corea) e la Corea
del Sud (Repubblica di Corea). Nel 1950 la Corea del Nord avviò un conflitto militare
invadendo la Corea del Sud, allo scopo di riconquistare i territori meridionali e riunificare la
penisola sotto la bandiera comunista di Pyongyang.
Ciò determinò una repentina risposta degli USA e del Consiglio di Sicurezza Onu che
mandarono armamenti e truppe per fronteggiare l’attacco nordcoreano.
La Corea del Nord dal canto suo venne affiancata, sin da subito, militarmente ed
economicamente dai Paesi comunisti, principalmente URSS e Cina.
Il conflitto, durato tre anni circa, ebbe come risultato quasi tre milioni di morti e alcune
modifiche territoriali.
Ciò che cambiò non fu tanto il confine fra i due Stati, che come agli anni precedenti alla
guerra si attestava all’altezza del 38° parallelo, ma l’istituzione, con l’armistizio di
Panmunjom, della Zona Demilitarizzata Coreana, ovvero una barriera di confine che divide a
metà la penisola coreana e che funge da cuscinetto fra i due territori.

La fine della prima fase di guerra fredda


Nel 1953 alla morte di Josip Stalin, si chiude qui la prima fase di guerra fredda, la fase più
dura dove il dialogo era ai minimi storici.
Nel frattempo, l’URSS procedette ad instaurare le democrazie popolari nei Paesi aderenti
satellite - le economie di questi stati divennero funzionali a quella della casa madre
sovietica: l’economia sovietica era pianificata, si decideva perciò in che modo questi stati
avrebbero contribuito all’economia di Mosca. Oltre a ciò, questi paesi dovettero pagare le
riparazioni di guerra all’URSS nonostante fossero parte della stessa sfera d’influenza.

Il comunismo fuori dall’URSS: Jugoslavia


La Jugoslavia era un Paese nato dopo la Prima guerra mondiale dalle ceneri dell’impero
Asburgico, in maniera autonoma. Dopo l’occupazione da parte delle potenze dell’Asse nel
corso della seconda guerra mondiale, si costituì un movimento di liberazione antifascista,
capeggiato dal Maresciallo Tito. In seguito alla Liberazione della penisola balcanica, lo
stesso Tito istituì nel 1945 un regime federale e a stampo socialista. Nonostante una prima
fase di alleanza e subalternità rispetto all’Urss, nel 1948 iniziò una fase di progressivo
allontanamento dalla potenza sovietica che portò alla rottura e all’espulsione della
Repubblica balcanica dal COMINFORM, segnando la Jugoslavia come l’unico Paese
europeo socialista non allineato. La causa del pessimo rapporto fra i due stati (e i due
leader) fu sicuramente legata alla condizione di totale asservimento, soprattutto economico,
che l’Urss riservava ai paesi ad essa legati e che la Jugoslavia non poté accettare.
Il Giappone
Per la seconda volta, il Giappone subì l’imposizione del modello occidentale: gli americani
imposero una costituzione ai giapponesi, da allora il giappone era una monarchia
costituzionale.
Nonostante questa imposizione, il Giappone seppe reagire, intorno agli anni ‘70 il paese
diventerà la terza potenza mondiale.

Il comunismo fuori dall’URSS: Cina


A resistere all’aggressione dell’Impero giapponese ci fu l’alleanza del tutto temporanea tra i
nazionalisti ed i comunisti, finita la guerra queste due realtà cinesi tornarono in conflitto. I
nazionalisti cercarono di sconfiggere i comunisti di Mao, in quest’ultima fase della guerra
civile cinese prevalse il leader comunista.
Nel ‘49 le truppe di Mao entrarono a Pechino, i nazionalisti scapparono a Taiwan dove
instaurarono un governo.
Mao capì che era necessario incrementare la produzione agricola e attuò questa necessità
per mezzo della campagna del ‘grande balzo in avanti’.
Ciò portò alla nascita della riforma agraria, una massiccia campagna del leader Mao allo
scopo di riorganizzare la produzione agricola e ridistribuire le terre ai contadini poveri. Tale
riforma portò, in politica interna, a periodi di vera e propria persecuzione di intere classi
sociali e quindi a migliaia di eliminazioni sistematiche e, in politica estera, all’allontanamento
dall’Urss, che prevedeva per la Cina comunista un sviluppo della produzione industriale,
piuttosto che agricola, sempre nella logica di servire gli interessi e la linea sovietica.
Tale riforma si rivelò un fallimento comportando una gravissima carestia e portò alla
definizione di un ulteriore piano di politica economica legato alla campagna del grande balzo
in avanti; caratterizzato da nuovi piani di sviluppo parallelamente industriali e agricoli.
La difficoltà che Mao incontrò nell’ottenere risultati da queste grandi riforme, che difatti
risultarono quasi sempre scadenti se non fallimentari, comportò numerose fratture all’interno
dell’amministrazione del Partito, causando un’onda voluminosa di malcontento e dissidenza
verso il leader supremo e le sue scelte politiche.
Mao rispose a questo fenomeno con la rivoluzione culturale cinese del 1966: mobilitando i
giovani, per mezzo di una propaganda incessante sul modello da seguire e sul ritorno ad
una via più ortodossa legata alla dottrina marxista-leninista veicolata dal Libretto rosso,
estromise dal Partito e dalla società civile tutti coloro che, in seguito ai fallimenti del balzo in
avanti, avevano anche pacificamente opposto le proprie ragioni al Leader supremo. Venne
fatta, sino al 1969, una vera e propria epurazione di fasce amplissime della società cinese,
al seguito della quale Mao riuscì a compattare nuovamente il Partito e a ristabilire, ancora
più saldamente di prima, il potere nelle sue mani.
I successori, Hua Guofeng e soprattutto Deng Xiaoping guardarono ad Occidente,
procedendo ad una svolta della produzione nei fatti capitalistica. La rivoluzione culturale,
infatti verrà condannata ufficialmente dal PCC nel 1981.

Il dopoguerra in Italia
Nonostante fosse stata classificata come paese cobelligerante, l’Italia era a tutti gli effetti un
paese sconfitto, usciva infatti dalla guerra distrutta su diversi piani.
Le problematiche italiane nel dopoguerra:
⦁ L’economia: l’Italia uscì distrutta dalla guerra, ciò nonostante diversi stabilimenti
economici rimasero in vita, ma la produzione si ridusse di ⅔.
L’inflazione salì del 18%
⦁ Le infrastrutture furono per la maggior parte distrutte dai bombardamenti;
⦁ Dal punto di vista edilizio, migliaia e migliaia di italiani si ritrovarono senza casa;
Tutte queste problematiche non fanno altro che peggiorare l’ordine pubblico.
Tornano, infatti, le lotte sociali, specie da parte dei partiti di sinistra:
⦁ Al nord comincia una sorta di “caccia al fascista”, l’atteggiamento della popolazione era
anti-monarchico e vi era soprattutto da parte delle frange più a sinistra della popolazione
grande ammirazione nei confronti del modello sovietico.
⦁ Al sud il malessere salì. L’atteggiamento della popolazione era perlopiù filomonarchico,
ma materialmente trovò un grande appoggio nei clan mafiosi, che vissero un florido
sviluppo. I terreni incolti furono occupati.

Riparte l’attività politica dei partiti, distinguiamo i tre grandi partiti di massa e i partiti minori:
⦁ Partiti maggiori:
⦁ Partito Socialista (PSI di Nenni), il PSI era formalmente diviso tra massimalisti e
riformisti, i massimalisti seguivano un modello sovietico, i riformisti di Turati chiedevano
l’alleanza con le istituzioni;
⦁ Democrazia Cristiana (DC di de Gasperi), aveva la maggioranza, partito seguito dai
cattolici ed è politicamente l’erede del Partito Popolare Italiano, poteva contare sull’alleanza
con la Chiesa;
⦁ Partito Comunista (PCI di Togliatti);
⦁ Partiti minori:
⦁ Partito Liberale. qui confluivano le personalità di spicco d’Italia, come Benedetto Croce:
⦁ Partito Repubblicano, ideologia anti-monarchica:
⦁ Partito d’Azione di Ferruccio Parri:
⦁ Movimento Sociale Italiano, nasce nel 1946, partito post-fascista;
⦁ Movimento “qualunque” di Giannini, partito che possiamo identificare come antipolitico,
perseguiva gli interessi del cittadino medio.
Inoltre, ritorna la CGIL composta dalla maggioranza partitica del PSI, ottenne alcune vittorie
sul fronte sindacale, tra cui:
⦁ Riconoscimento della commissione interna alle aziende che rappresenta il sindacato;
⦁ “Scala mobile”, al crescere dell’inflazione crescevano i salari;
⦁ Legislazione più rigida sui licenziamenti;
⦁ Aumento dei salari.

La situazione governativa
Ferruccio Parri del Partito d’Azione venne nominato Presidente del Consiglio dei ministri, in
un governo cd di unità nazionale in quanto formato da tutte le maggiori forze politiche.
Fu nominato in quanto personalità che metteva d’accordo la maggior parte della
composizione partitica del paese, ciò nonostante si dimise a causa del problema
dell’epurazione.
Con epurazione intendiamo la rimozione dai propri ruoli istituzionali di tutti coloro che
aderirono al fascismo; la sinistra chiedeva un’epurazione di tipo completa, mentre gli altri
partiti chiedevano l’epurazione soltanto di coloro che ricoprivano ruoli gerarchicamente più
preminenti.
Dopo Parri, salì al governo de Gasperi che trovò assieme al PCI e in particolare al
Segretario Togliatti il modo di affrontare l’epurazione: fu proposta l’amnistia dei funzionari
pubblici e furono colpiti maggiormente i vertici, onde evitare di creare un vuoto nella pubblica
amministrazioni.
Il 2 giugno del 1946, i cittadini Italiani furono chiamati al voto, a loro era rimesso votare sia
per l’elezione dei membri dell’Assemblea costituente sia per la forma di governo (repubblica
o monarchia), l’affluenza fu circa del 90%, gli esiti furono:
⦁ Costituente:
⦁ 35% DC;
⦁ 20% PSI;
⦁ 19% PCI;
⦁ Al referendum vinse di poco la Repubblica, con questa vittoria il Re viene esiliato. L’esito
del referendum scatenò non poche polemiche e illazioni, riguardo presunti brogli. Ciò che è
certo è la spaccatura del paese alle urne: il Nord votò repubblica, il Sud perlopiù Monarchia.

La nuova Costituzione per la Repubblica


Parte qui la creazione della Costituzione, che sarà da qui a breve il frutto del lavoro del
confronto tra le varie forze partitiche del paese (il PSI stava vivendo però l’ennesima crisi,
nel ‘47 ci sarà un’ulteriore scissione, la componente riformista uscì dal partito), in questo
preciso momento storico “scoppiò” la guerra fredda e l’Italia cominciò a legarsi con gli USA.
Nel maggio del ‘47 de Gasperi formò un Governo a maggioranza DC (il de Gasperi III).

La Costituzione venne conclusa nel dicembre del 1947 e sanciva, tra le molte:
⦁ Sistema di tipo parlamentare con fiducia;
⦁ Bicameralismo perfetto;
⦁ Consiglio Superiore della magistratura;
⦁ Corte Costituzionale;
⦁ Referendum;
⦁ Regionalismo;
⦁ Diritti sociali, questi erano il frutto maggiore del compromesso dei partiti, ad esempio il
diritto del lavoro da parte della sinistra, il diritto alla proprietà da parte della componente
moderata;
⦁ Rapporti stato-chiesa, qui si ebbero diverse discussioni, la componente sinistra non era
favorevole all’introduzione dei Patti Lateranensi in Costituzione, ma Palmiro Togliatti (PCI) si
dichiarò a favore.

Le elezioni repubblicane del ‘48


Nell’aprile del ‘48 si ebbero le prime elezioni repubblicane, che avevano una doppia valenza:
da una parte il cittadino poteva scegliere il partito, come sempre d’altronde, dall’altra parte,
indirettamente, sceglieva da che parte schierarsi circa il bipolarismo (la DC era
filo-americana, la sinistra si ispira al mondo sovietico con simbolo Garibaldi).
Le elezioni furono vinte in maniera schiacciante dalla Democrazia Cristiana:
⦁ Venne sfiorata la guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti;
⦁ Vennero frantumate le organizzazioni sindacali;
⦁ Ci fu una leggera ripresa economica grazie al piano Marshall;
⦁ Venne sancito il trattato di pace:
⦁ Riparazioni lievi di guerra ai paesi colpiti dall’aggressione italiana;
⦁ Perdita delle colonie;
⦁ Rimodulazione dei confini: l’Istria rimase alla Jugoslavia (occupata inizialmente da Tito,
qui si ebbe il dramma delle Foibe) e venne creata la striscia di Trieste.
Alcide de Gasperi morirà nel ‘54, da questo momento in poi in Italia si apre il momento del
centrosinistra, con i governi Fanfani, Moro, ecc;

La questione arabo-israeliana
Per parlare di questa situazione che colpisce il medio oriente, bisogna fare un piccolo
excursus storico: all’inizio del ‘900 l’Impero Ottomano era un impero vastissimo che
comprendeva diverse popolazioni al suo interno, tra cui le popolazioni arabe - queste in
particolare richiedevano l’indipendenza.
Le potenze europee osservavano attentamente la situazione, tra queste Inghilterra e Francia
sostengono l’indipendenza araba.
Gli inglesi promisero a Re Hussein un territorio che comprendeva Arabia, Mesopotamia e
Siria, cosicché nel 1916 il Re organizzò le sue truppe e dichiarò una guerra santa ai turchi,
in questo esercito erano presenti i figli del Re e il noto Lawrence d’Arabia.
La guerra fu vinta dagli arabi, Francia ed Inghilterra andavano a dividersi i territori, non
rispettando così il patto con Re Hussein:
Francia: Siria, Libano
Inghilterra: Mesopotamia, Palestina
Tale divisione fu dichiarata legittima dalla Società delle Nazioni.

Nei territori “conquistati” dall’Inghilterra nascono due nuovi stati, l’Iraq e la Transgiordania.
all’interno della Transgiordania è presente il territorio della Palestina, si apre così la
questione palestinese, questione che tutt’ora rimane irrisolta:
⦁ Al movimento sionista fu promessa la costituzione di una sede nazionale ebraica in
Palestina nel 1917 (dichiarazione di Balfour con sostegno di Wilson);
Non furono previste le conseguenze di questa decisione, né da parte inglese e tantomeno
da parte americana.
La proclamazione dello stato ebraico in Palestina comportò un flusso di emigrazione ebraica
nei territori palestinesi sotto la protezione inglese: la popolazione ebrea cominciò ad
acquistare veri e propri ettari di terreno nel territorio palestinese.

I primi conflitti ebraico-palestinesi


Nel 1920-21 avvengono i primi scontri tra popolazione araba e popolazione palestinese,
questi scontri dopo la seconda guerra mondiale crescono sempre di più, venne sancito dagli
inglesi che in un anno non si sarebbero potuti spostare più di 75 mila persone ebree nei
territori palestinesi, cercando così di contenere l’emigrazione:
⦁ 1 milione di arabi:
⦁ 600 mila ebrei;
L’ONU fu incaricato di risolvere la questione, dopo che l’Inghilterra riconosce l’indipendenza
della Transgiordania (nel frattempo nacque la Lega degli Stati Arabi, composta da
Transgiordania, Egitto, Siria, Libano, Yemen e Iraq - divenuto indipendente nel ‘36), nasce
così la “Comunità Ebraica” ed un’agenzia ad hoc per la questione palestinese, l’UNSCOP, si
decise quindi di dividere la Palestina in 3 zone:
⦁ Stato ebraico,
⦁ Stato arabo,
⦁ Gerusalemme come città internazionalizzata
Nasce lo stato di Israele indipendente nel maggio del ‘48.
A causa di varie problematiche politiche e sociali, nello stesso anno, con la dichiarazione di
guerra da parte della Lega Araba contro lo Stato d’Israele, scoppia la prima guerra
arabo-israeliana- l’Egitto attacca da Sud, gli altri stati dal nord, questa fu una guerra con
eserciti regolari:
⦁ Prima e seconda tregua armata nel ‘48
⦁ Terza tregua armata nel ‘49
⦁ Armistizio nel 1949.
Seconda, terza e quarta guerra arabo-israeliana
Una personalità di spicco di questo momento storico nel medio oriente è certamente il
colonnello Nasser.
Con lui al comando, l’Egitto ottenne il pieno possesso del canale di Suez, ci furono delle
riforme socialiste, l’avvio del processo di industrializzazione, inoltre formulò accordi con
l’URSS.
Gli USA consci di questi accordi bloccano i finanziamenti per la diga di Assuan, la tensione
cresce sempre di più e scoppia la seconda guerra arabo-israeliana nel ‘56, la guerra fu vinta
dal colonnello che acquista prestigio.
Successivamente, l’Egitto formula dei patti militari con gli altri paesi arabi e nel giugno del
‘67 scoppia la terza guerra arabo-israeliana, la c.d. guerra dei 6 giorni, con questa guerra
Israele strappa la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza all'Egitto, la Cisgiordania e
Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria.
Si aggrava la situazione dei profughi, fu necessario l’intervento della Comunità
Internazionale.
La quarta guerra arabo-israeliana è denominata come la guerra dello Yom Kippur, qui si
ebbe un attacco congiunto tra Siria ed Egitto in un giorno festivo per la comunità ebraica:
necessario fu l’intervento del Presidente degli USA Kissinger, che riuscì a trovare un
accordo tra le parti nel 1974.

La seconda fase della guerra fredda


La prima fase della guerra fredda si chiude con la morte di Stalin nel ‘53.
Nella nuova fase si vanno a rafforzare quelli che sono i due blocchi, ambo le superpotenze
iniziano così a dotarsi della bomba H (nucleare): arma è definibile come deterrente di un
conflitto armato, in quanto l’utilizzo di essa comporterebbe la fine del pianeta.

L’Europa
In Europa troviamo il processo di integrazione europeo con il piano Marshall che scaturisce
uno slancio all’economia dei vari paesi. Parte quindi la cooperazione tra i maggiori leader
europei, nel ‘57 vengono siglati i trattati di Roma: nasce il libero mercato europeo.
La cooperazione in ambito economico fu impeccabile, non possiamo dire però lo stesso dal
punto di vista politico ove troviamo diverse differenze tra i vari stati sovrani, la tensione di cui
parleremo a breve colpirà anche il vecchio continente.
Negli anni ‘60 - tornando all’economia - abbiamo il cosiddetto miracolo economico (l’Italia ha
uno dei PIL più alti di tutti), un decennio particolarmente felice ed analogo al pre-Wallstreet.

L’Unione Sovietica
Dopo la morte di Stalin, il direttorio era momentaneamente al governo in attesa di scegliere il
successore, in questo preciso momento vi fu una ribellione a Berlino est.
Tale ribellione viene repressa dalle truppe sovietiche, nonostante ciò il malcontento perdurò
ad innalzarsi particolarmente in:
Polonia
Slovacchia
Diversi paesi dell’est.
*questi paesi passano tutti da una dittatura nazista ad un’altra dittatura, quella sovietica.
Chruščëv fu nominato successore di Stalin e con lui si ebbe la c.d. destalinizzazione, che
consisté nel salvare l’ideologia comunista ed incolpare Stalin di tutti i danni provocati dal
regime sovietico, ciò anche in politica estera:
⦁ Tentativo di riconciliarsi con Jugoslavia e Cina (paesi comunisti disallineati con l’URSS)
⦁ Si aprì quindi un tavolo diplomatico con la Jugoslavia
⦁ Venne sciolto il COMINFORM
⦁ Distensione
⦁ Tentativo di rilanciare la produzione agricola.
Durante gli anni di Chruščëv il malessere in Polonia ed Ungheria aumentò
esponenzialmente, in particolare in questi stati iniziò a manifestarsi un sentimento di
indipendenza:
In Polonia troviamo diverse manifestazioni indipendentiste affiancate dalla Chiesa, sale al
potere un “comunista-liberale”, Gomulka, il tutto si calmò.
In Ungheria la situazione è analoga, al potere salì un altro “comunista-liberale”, Nagy, che
però chiese l’uscita dal patto di Varsavia. Dopo l’intervento militare dell’esercito sovietico,
egli venne catturato e fucilato.
Chruščëv promise che la qualità di vita sarebbe migliorata esponenzialmente, superando
quella dei paesi capitalisti, la promessa non fu affatto mantenuta ed uscì di scena nel ‘64.

Gli Stati Uniti d’America


Il successore di Truman fu Eisenhower (leader militare), con lui si iniziò a parlare di
coesistenza, dal momento in cui in caso di non-dialogo, l’Europa non avrebbe più potuto
usufruire del piano Marshall.
Successivamente, sale al potere J. F. Kennedy, il simbolo della nuova America, egli era in
parte wilsoniano (idealista) ed in parte rooseveltiano (concreto), promise la pace con la
“nuova frontiera” spirituale, culturale e scientifica:
antirazzismo;
progressismo;
assistenzialismo;
Durante gli anni di Kennedy vi furono momenti di tensione più alti della guerra fredda: venne
innalzato il muro di Berlino onde evitare che le persone passassero da Berlino est a Berlino
ovest, inoltre scoppiò la crisi missilistica di Cuba.
Vietnam
Un altro conflitto riconducibile alla proxy war, collocato nella seconda fase della guerra
fredda, è la guerra di Vietnam (1955-1975).
Nella Conferenza di Ginevra del 1954 il Vietnam venne provvisoriamente diviso in due Stati
che avrebbero dovuto ricongiungersi con le elezioni del 1956: il Vietnam del Nord, posto
sotto il controllo di Ho Chi-minh, e il Vietnam del Sud, sottoposto all’influenza della Francia
e, in misura crescente, degli Stati Uniti. Le elezioni non furono tuttavia svolte. E mentre nel
Nord si consolidò il regime comunista col favore di Cina e URSS, nel Sud venne istituito un
regime anticomunista repressivo e corrotto che alimentò la formazione del movimento
rivoluzionario dei Vietcong, (comunisti vietnamiti), che confluì successivamente nel Fronte di
Liberazione Nazionale. La pressione che gli Usa e il governo sud vietnamita, in risposta al
fenomeno di guerriglia dei vietcong, portò allo scoppio di una vera e propria guerra, sia
verso i ribelli comunisti del Sud sia verso lo Stato comunista nordvietnamita.Similmente ad
altri conflitti, ad esempio la guerra di Corea (seppure in una fase storica differente), le due
fazioni ‘interne’ vengono massicciamente appoggiate dagli alleati esterni, rispettivamente il
Fronte di Liberazione Nazionale dei vietcong al fianco del Vietnam del Nord erano
appoggiati da Cina, URSS, Corea del Nord, Cuba , mentre il Vietnam del Sud da USA,
Australia, Corea del Sud.
La guerra durò 20 anni, portando a milioni di morti e segnando, nel 1975, la vittoria del
Vietnam del Nord e dei vietcong del sud e quindi , la successiva riunificazione del Paese
sotto la bandiera della Repubblica Socialista del Vietnam.
Cosa portò gli Stati Uniti alla prima sconfitta politico-militare della loro storia?
A prescindere dal dato oggettivo dell’evento che ha concluso le ostilità, ossia la presa di
Saigon e la caduta del regime del Vietnam del Sud, a determinare la sconfitta statunitense
furono principalmente due fattori.
⦁ Il Vietnam del Nord poteva contare, oltre che sull’incessante resistenza dei vietcong nel
territorio nemico e oltre che sull’appoggio delle grandi potenze Cina e URSS, sul sostegno
sulle forze popolari e in crescita, di ispirazione comunista, del Laos e della Cambogia.
⦁ La principale avversità che gli USA dovettero affrontare, soprattutto negli ultimi 10 anni
del conflitto, fu il grandissimo movimento interno di protesta e rifiuto della guerra, che
vedeva frange di popolazione sempre più ampie chiedere a gran voce il termine
dell’appoggio statunitense al Vietnam del Sud. Si stava creando infatti, un vero e proprio
fenomeno interno, legato ai reduci, che tornando mutilati e/o fortemente traumatizzati dal
conflitto oppure non tornando affatto, costituivano una grave frattura all’equilibrio sociale
nelle diverse città americane. Il dissenso, di fronte al prezzo salatissimo in termini economici
e sociali di questa guerra, stava divenendo violenza.

Cuba
Parlando di Cuba, nel 1959 il generale Batista fu spodestato da Che Guevara e Fidel Castro
- il tentativo di Kennedy di recuperare l’isola fu vano -, Castro si legò all’URSS e diede il via
alla costruzione di basi missilistiche all'interno dell’isola.
Gli USA risposero a ciò con un blocco navale: ciò nonostante prevalse la diplomazia,
Kennedy promise di lasciar perdere Cuba e Chruščëv di non instaurare basi missilistiche,
venne inoltre istituito il telefono rosso che metteva in contatto i due maggiori leader in caso
di ulteriori crisi.

Lo sviluppo economico in Europa ed Italia


Lo sviluppo economico nel continente europeo parte all’incirca nel ‘53, con dei fattori
preponderanti:
⦁ crescita demografica
⦁ ricambio generazionale;
⦁ petrolio;
⦁ scoperte scientifiche;
⦁ reinvestimento degli utili;
⦁ concentrazioni di imprese;
⦁ libero scambio;

Si sviluppano tutti e 3 i settori, con maggiore attenzione:


⦁ chimico con il nylon e la plastica;
⦁ farmaceutico con antibiotici, insulina e psicofarmaci;
⦁ automobilistico, si contava una macchina ogni 5 abitanti;
⦁ aeronautico, con il motore a reazione;
⦁ parte così la conquista dello spazio: l’URSS manda nel ‘57 il satellite Sputnik in orbita,
nel 61 l'astronauta Yuri Gagarin, mentre nel ‘67 approda il primo uomo sulla luna per conto
dell’USA, Neil Armstrong;
fisica, con scoperte in merito al nucleare
comunicazione: la televisione (che sarà usata in Italia per il diffondersi della lingua).

Assieme allo sviluppo, troviamo in concomitanza il processo di emancipazione femminile, le


donne infatti avevano più tempo libero da dedicare a loro stesse.
Gli Stati ora, con una forte economia mettono in campo politiche sociali, politiche di
welfare.

Gli anni ‘70


Negli anni ‘70 si ha la prima battuta d’arresto del processo di sviluppo economico
preponderante, tutto parte dalla sconfitta americana in territorio vietnamita, viene così
eliminato il cambio dollaro-oro - si ha il disordine monetario.
Inoltre, anche la guerra dello Yom-Kippur scaturisce diverse problematiche, dopo il conflitto i
paesi OPEC aumentano di 4 volte il prezzo del petrolio, fino ad arrivare a 10 volte il prezzo
originale, di questo aumento ne risentono particolarmente Italia e Giappone che non
possiedono fonti energetiche nel proprio territorio.

La crisi politica del ‘73, la crisi delle ideologie


Politicamente parlando, la sinistra si suddivide in due correnti principali, i riformisti che
rimanevano sulle proprie posizioni e i rivoluzionari che però vissero momenti di crisi dal
momento in cui erano note a tutte le azioni dell’URSS in est Europa.
Nascono movimenti estremisti (grande reflusso delle dinamiche economiche internazionali
mondiali), con il terrorismo nero e rosso in Italia, in Germania ed il terrorismo internazionale.
La crisi del ‘73 è correlabile alla crisi post-Wall Street, questa volta però gli Stati erano pronti
ad un’eventuale crisi, il welfare state iniziò ad indebolirsi.
I paesi come l’Italia decisero di preservarlo entrando in deficit, altri decisero di abbandonarlo,
come l’UK della Thatcher e l’USA di Reagan promuovendo politiche liberiste.

Il collasso dell’Unione Sovietica


Il definitivo collasso dell’URSS è decretato dalle politiche di riarmo degli stati a stampo
capitalistico, tale riarmo non poté avvenire negli stati sovietici, nonostante ci fu un tentativo
drenando gli stati facenti parte dell’Unione Sovietica.
Inoltre ci fu un'invasione in Afghanistan nel ‘79 che si rivelò un fallimento, da qui in poi entra
in scena Michail Gorbačëv che fece l’estremo tentativo di aprire il sistema economico
socialistico (perestrojka e glasnost) con una nuova costituzione, ciò non portò altro che ad
un’accelerazione della distruzione del sistema sovietico.
Cadde così l’Unione Sovietica: quasi tutti i paesi del blocco abbracciarono il sistema
capitalistico, si apre così una fase post-ideologica, il conflitto ora è un conflitto contro il
fondamentalismo e non contro le ideologie.

L’Italia ed il miracolo economico


Il miracolo economico italiano si concentra fra il 1958-1963, in questo periodo storico il Bel
Paese termina la sua natura quasi del tutto agricola e diventa un paese industriale.
Il miracolo parte dalla ricostruzione, fase successiva alla seconda guerra mondiale, in cui
grazie agli aiuti del piano Marshall si rimette in carreggiata, oltre al mercato comune europeo
- in questo mercato l’Italia fu uno dei paesi che più prese vantaggio, fu seconda solo alla
Germania per tasso di sviluppo, il PIL crebbe con la media del 3.5%, il reddito pro-capite
raddoppiò a 536 mila lire.
A dismisura crebbe l'industria, specie nel campo siderurgico, meccanico, e chimico. I
prodotti italiani furono in gran modo esportati, vedi abbigliamento.
Ad aiutare tutto ciò ci fu il libero scambio, il segreto del mercato comune fu questo.
Per quanto riguarda la pressione fiscale possiamo dire che era decisamente medio-bassa,
per quanto i salari fossero bassi il denaro veniva reinvestito in nuovi posti di lavoro e nello
sviluppo.

Poco dopo, i salari cominciarono a crescere: così facendo, sebbene i consumi salirono,
diminuirono gli investimenti privati.

Lo sviluppo ebbe una frenata intorno al 1965, riprese un anno dopo.

Le varie problematiche generate dallo sviluppo (quasi incontrollato) economico:


⦁ Flussi migratori interni: un vero e proprio travaso dal sud al nord
⦁ Flussi migratori in Europa o nel mondo: chi va in centro Europa, chi va in USA
- Tra questi contiamo 2 milioni di meridionali che vanno via cercando fortuna altrove, intere
zone del mezzogiorno si svuotano
⦁ Urbanizzazione selvaggia, palazzi distrutti e ricostruiti per far fronte al grande sviluppo.

Il dramma dell’integrazione tocca anche il popolo italiano: una cultura contadina che andava
ad intaccare una cultura che si stava sempre più industrializzando.

A favorire lo sviluppo:
⦁ Televisione con cui si andava a diffondere la lingua italiana;
⦁ L’automobile, con protagonista assoluta la FIAT (105 automobili ogni 1000 abitanti)

In questo periodo storico, politicamente in Italia si passò dal centrismo al centrosinistra, dalla
DC come partito di iper maggioranza ad un’alleanza con la classe socialista - la stessa DC
capì che era importante aprirsi con la sx, con i partiti che accoglievano le istanze dei più
deboli.
Iniziò così il dialogo tra partiti centristi e partito socialista, i protagonisti furono: Pietro Nenni
del PS (con lui si ebbe la transizione tra alleanza con PCI alla DC), Fanfani ed Aldo Moro
della DC.
La DC era un enorme partito: al suo interno troviamo forze di dx, sx e centro, un sistema
politico nel sistema politico, Fanfani era un esponente dell’area di sx, egli fu Presidente del
Consiglio e favorì l’avvicinamento dei socialisti al governo.

Governo Fanfani:
⦁ Istituzione della scuola media;
⦁ Istituzioni delle elezioni regionali;
I socialisti chiesero:
⦁ Denominazione dei titoli azionari;
⦁ Nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’ENEL;
L'obiettivo del csx era quello di sanare gli scompensi sociali che lo sviluppo avrebbe creato.

Negli anni 60 iniziò un periodo di lotta, i sindacati si attivarono sempre di più, l’azione
sindacale fu davvero importante (diventarono veri e propri attori politici): nel 1970 fu
approvato lo Statuto dei Lavoratori,
Il movimento studentesco
Gli studenti, con ispirazione filo-marxista, andavano a contestare diverse tematiche, tra cui
la guerra in Vietnam e la classe politica, specie scudocrociata, ritenuta reazionaria.
A far parte di questi movimenti erano i figli dei borghesi, inizialmente, poi il movimento si
allargò ed uscì dai confini dell’università e si agganciò alle altre proteste tra cui quelle
sindacali, si ebbe una vera e proprio saldatura tra movimento operaio e studentesco.
Questi movimenti sono detti extraparlamentari, dal momento in cui non sedevano nel
Parlamento ma anzi, contestando i partiti stessi perché considerati parti integrante delle
numerose problematiche culturali e sociali.

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