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Romano Book Porfirio e La Fisica Aristotelica

Il documento analizza l'opera di Porfirio riguardo alla fisica aristotelica, evidenziando l'importanza della sua esegesi nel contesto della filosofia tardoantica e neoplatonica. Viene discusso il suo approccio innovativo rispetto ad Aristotele, che ha influenzato la tradizione commentaristica successiva. In appendice sono inclusi frammenti e testimonianze del 'Commentario alla Fisica' di Porfirio.

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Romano Book Porfirio e La Fisica Aristotelica

Il documento analizza l'opera di Porfirio riguardo alla fisica aristotelica, evidenziando l'importanza della sua esegesi nel contesto della filosofia tardoantica e neoplatonica. Viene discusso il suo approccio innovativo rispetto ad Aristotele, che ha influenzato la tradizione commentaristica successiva. In appendice sono inclusi frammenti e testimonianze del 'Commentario alla Fisica' di Porfirio.

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SYMBOLON

STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE


direttore: Francesco Romano

FRANCESCO ROMANO

Porfirio e la fisica aristotelica


IN APPENDICE LA TRADUZIONE DEI FRAMMENTI E DELLE
TESTIMONIANZE DEL 'COMMENTARIO ALLA FISICA'

UNIVERSITÀ DI CATANIA
1985
SYMBOLON
STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
direttore: Francesco Romano

FRANCESCO ROMANO

Porfirio e la fisica aristotelica


IN APPENDICE LA TRADUZIONE DEI FRAMMENTI E DELLE
TESTIMONIANZE DEL 'COMMENTARIO ALLA FISICA'

cruJ.ljloM y(tp ltll�pucòç v6oç


ÉcntelptV ICa�{l ICÒGJ.lOV
Or. Ch. fr. 108 dP

UNIVERSITÀ DI CATANIA
1985
Volume stampato con i fondi per la ricerca scientifica erogati dal Ministero della P.I.
OUJ.l.�a{VEl OÈ -rouvavriov eivat èbtEtpov "' roç Myoumv.
ou yàp oiS J.l.TJOÈV el;ro, à.ìJ,.''oiS àE( n e/;ro È<J't(,
'tOU'tO a1tEtp6v È<J'tlV.
Aristot. Phys. r 6, 206b 3 3
INDICE

l. Introduzione ................................... . pag. 9


Note a l. · · · · · · · · · · · · · · � · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · )) 12
2. L'attività commentarla di Porfirio ................ .

2.1. L'interesse di Porfrrio verso Aristotele ............. . )) 13


2.2. I commentari aristotelici di Porfirio ............... . )) 21
2.3. Il problema dei rapporti tra platonismo e studio aristo-
telico in Porfirio . . . . . . . . . . • . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . )) 24
2.4. La teorizzazione porfiriana dell'uso neoplatonico di
Aristotele ...................................... . )) 27
Note a 2. ....................................... . )) 33
3. Il Commentario alla Fisica di Porfirio ..............
3.1. Stato del testo .................................. .
3.1.1. Le fonti ......................................... )) 37
3.1.2. Il rapporto con Eudemo, Nicola, Alessandro e Temistio )) 42
3.1.3. Il rapporto con Simplicio . )) 47
3.2. Tentativo di sistemazione cronologica ............. . )) 51
3.3. Sul metodo del "Commentario alla Fisica" di Porfirio
3.3.1. La Sinossi ....................................... )) 53
3.3.2. Metodo filologico e metodo ermeneutico .......... . )) 57
Note a 3. ........................................ )) 63
4. Conclusione ....................
. ................ . )) 67
Appendice: Porfirio, Commentario alla Fisica di Aristotele.
Frammenti e Testimonianze ................. )) 71
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 1 17
l. INTRODUZIONE

Scriveva Praechter nella sua "Besprechung" sulla monumentale ope­


ra condotta a termine nel 1 909, dopo quasi un trentennio (il primo
volume era apparso nel 1 882), dall'Accademia di Berlino, i Commentaria
in Aristotelem Graeca in ventitré volumi piu tre di Supp/ementa per
complessivi 57 tomi, «ein imponierendes Mass entsagungsvoller wissen­
schaftlicher Arbeit» nel giudizio dello stesso Praechter, che «der philoso­
phische Unterricht seit dem zweiten Jahrhundert nach Chr. wesentlich
Exegese ist» 1• Questo giudizio storico, che coinvolge assieme al neoplato­
nismo anche il cosiddetto medioplatonismo, è tuttora valido a condizio­
ne che s'intenda la Exegese praechteriana nel suo significato piu ampio
di attività di insegnamento condotta su determinati testi, la cui lettura
e comprensione hanno bisogno di spiegazioni letterali e sostanziali, in
una parola di interpretazione e approfondimento perché se ne possa
ricavare tutta la materia possibile dottrinale (scientifica) e pedagogica.
In sostanza l'insegnamento della filosofia nella tarda antichità altro non
sarebbe che una incessante e impegnativa opera di "illustrazione" dei
testi "classici".
In verità l' "esegesi" filosofica è storicamente molto piu antica del
II sec. d.C.: Platone Aristotele e gli antichi Stoici hanno esercitato questo
genere di lavoro intellettuale tutte le volte che hanno preso in esame testi
e dottrine di scrittori antichi o loro contemporanei. Ma ha ragione Prae­
chter di ritenere che a partire da una certa epoca tale tipo di ricerca
filosofica 2 diviene stabile e prevalente - se non esclusiva -, dando avvio
a un lungo periodo di lavoro filosofico che possiamo chiamare senz'altro
"scolastico" in un senso che non cambierà sostanzialmente nella successi­
va età medievale.
Nel presentare il quadro di riferimento storico-culturale dei Com­
mentari ad Aristotele, tuttavia, lo stesso Praechter assegna un posto
privilegiato a Porfirio, la cui opera "esegetica" è divisa da quella di
Alessandro di Afrodisia, ad esempio, da una "tiefe Kluft". Alessandro
non ha problemi, nel fare la sua "esegesi" 3 di Aristotele, al di là del
mostrare le proprie opinioni sulle dottrine aristoteliche che sono poi tanti

9
modi di far proprie le opinioni dell'antico maestro. Per Porfirio, invece,
si tratta di aprire la logica aristotelica, riconosciuta ormai come la logica
Kat'é!;oxi)v, alla comprensione di un ambito scientifico-culturale piu va­
sto, e soprattutto di renderla piu "sfruttabile" per la scuola. Porfirio -
scrive Praechter - dà inizio a una "neue Richtung" 4, rompendo col
tentativo compiuto dal medioplatonismo (Albino) di utilizzare la logica
aristotelica subordinandola a Platone 5• Porfirio, dunque, nel quadro già
operante dell' "esegesi" quale forma dominante dell'insegnamento filoso­
fico almeno da un secolo, inaugura un indirizzo che durerà per tutti i
secoli in cui tale genere di lavoro scientifico resterà quasi esclusiva prero­
gativa dell'insegnamento neoplatonico.
La tesi di Praechter, dicevo, è ancora valida, ma, aggiungo ora, ha
il limite di essere troppo legata a un'altra tesi che - a mio giudizio - non
può essere accolta oggi con la stessa sicurezza della prima: Porfirio, cioè,
incide profondamente nella storia del commentario neoplatonico e in
generale nella tradizione dell'attività "esegetica" della scolastica tardoan­
tica, per via del fatto che, a differenza di Alessandro e di Albino, nel
commentario aristotelico, cioè, peripatetico, da un lato, e nello studio di
Aristotele da parte dei platonici, dall'altro, dà una nuova soluzione al
problema del significato e della funzione della logica aristotelica. Infatti,
sostiene Praechter, nell'insegnamento neoplatonico dopo Porfirio la let­
teratura commentarla ha un ruolo privilegiato; nella letteratura commen­
tarla predomina il commentario ad Aristotele; nel commentario ad Ari­
stotele prevale l'opera logica di Aristotele; tra le opere logiche
aristoteliche hanno un posto preminente le Categorie. Tutto, dunque, si
incerniera sulla Houyrorfl di Porfirio alle Categorie: «Die Gesamtvorle­
sung, conclude il Praechter, ware nach moderner Gepflogenheit etwa zu
betiteln: Erklàrung von Porphyrios' Eisagoge mit Einleitung in die Philo­
sophie» 6• L'avviamento metodologico allo studio della fùosofia era, dun­
que, l'esegesi e lo studio dell'esegesi porfiriana della logica di Aristotele.
Tale veduta storiografica di un forte condizionamento da parte del­
l'esegesi di Porfirio della logica aristotelica su tutta la storia degli studi
neoplatonici fino al VI secolo, non è stata dopo Praechter piu abbandona­
ta, anzi è divenuta uno dei principali topoi della storiografia sul pensiero
tardoantico e neoplatonico in particolare. L'ha ribadi ta da ultimo P.
Moraux nel vol. I della sua opera in progress su Der Aristotelismus bei
den Griechen, che è forse il primo serio tentativo di ricostruire la tradizio-

lO
ne del "commentario aristotelico" da Andronico di Rodi in avanti. Nella
Vorwort a questo volume, infatti, egli - tracciando un po' il programma
del suo lavoro - scrive che dopo il III secolo d.C. «iindem sic Ziele und
Tendenze des Kommentierens aristotelischer Schriften. Der Neuplatoni:
ker Porphyrios versucht, wier bereits einige Mittelplatoniker vor ihm,
bestimmte Teile der aristotelischen Philosophie fiir die Platoniker nutz­
bar zu machen. Den Platonikem konnte z. B. die aristotelische Logik
grosse Dienste leisten. Porphyrios kommentierte also logische Schriften
des Aristoteles "ad usum Platonicorum")) 7• Anche per Moraux, dunque,
come per Praechter, l'incidenza dell'aristotelismo sulle scuole neoplato­
niche dopo Porfirio si riduce al fatto che questi ha predisposto lo stru­
mento metodico di una logica, quella aristotelica, usufruibile dai platoni­
ci 8•
Ora, a me sembra che Praechter e tutti gli altri che lo hanno seguito
esagerino la portata di un fatto, che peraltro esiste e non è di poco rilievo,
il fatto cioè che l'EicrayroyJÌ Eiç 'tàç 'Aptcr'tO'tÉÀOuç KaTTrYOp{aç e gli altri
scritti esegetici sulla logica aristotelica di Porfirio siano divenuti nell'in­
segnamento neoplatonico un "textbook" importante e decisivo. La verità
storica di questo fatto non può essere ampliata fino a costituire elemento
determinante per la valutazione generale dell'intera attività didattica
neoplatonica post-porfiriana, da cui sono nati quasi tutti i commentari
aristotelici - e non solo aristotelici - dei secoli IV-VI d.C. Anzitutto noi
siamo a conoscenza solo che ciò avvenne nella scuola di Ammonio figlio
di Ermia 9• Ma anche se il fenomeno si dimostrasse generalizzabile a
tutte le altre scuole neoplatoniche, resterebbe sempre il problema se e in
quale misura abbiano influito nell'insegnamento neoplatonico posteriore
a Porfirio gli altri suoi commentari aristotelici che sono andati perduti
ma che - come nel caso del "Commentario alla Fisica" - hanno lasciato
abbondantissime tracce negli scrittori che lo hanno utilizzato, come Sim­
plicio e Filopono. Di qui l'esigenza, da me avvertita, di uno studio di
tali resti del Commentario di Porfirio alla Fisica di Aristotele, a cui è
dedicato il presente. studio. Ritengo che esistano le possibilità di appro­
fondire per questa via - e forse di modificare - l'immagine di un Porfirio
maestro solo di logica aristotelica, oltre s'intende che di filosofia plotinia­
na.

Il
NOTE

1 Karl Praechter, Die griechischen Aristoteleskommentare, BZ 18 ( 1 909) 526 [ 5 1 6-


538].
2 Ma non solo filosofica. Basti pensare all'immensa tradizione commentarla al Cor­
pus Hippocraticum.
3 Continuo ad usare questo termine tra virgolette, perché ne farò in seguito largo uso
in un senso piu stretto e tecnicamente specifico.
4 Il termine Richtung comparirà l'anno successivo in un importante articolo del
Praechter sulle scuole neoplatoniche, dove appunto la Richtung è distinta nettamente dalla
Schule: Richtungen und Schulen im Neuplatonismus, in Genethliakon C. Robert (Berlin
1 9 1 0) 105-l 56.
5 Praechter, cit., 520 s.
6 Praechter, cit., 527.
7 P. Moraux, Der A ristotelismus bei den Griechen, I (Berlin, De Gruyter, 1973) XVI.
È già apparso il volume Il, che tuttavia io non ho avuto modo di utilizzare. Ritengo però
che l'impostazione di fondo non sia mutata.
8 A mostrare la stretta dipendenza dal Praechter di tale giudizio di Moraux sta il
fatto che questi non trascura l'elemonto storico - meno in evidenza nel Praechter - del­
l'esempio medioplatonico precorritore dell'operazione porfiriana. Cf. Praechter, cit., 52 1 .
9 È quasi certo che l'esegesi dell'lsagoge porfiriana nella scuola d i Ammonio era
riservata a studenti di grado inferiore (del primo corso o del corso propedeutico). È questo
il senso che si può ricavare dalla riçerca fatta da Festugière sui Modes de composition des
Commentaires de Proclus, MH 20 ( 1 963) 77-100, nella quale l'autore stabilisce in questi
termini la differenza di livello e di forma tra il commentario di Olimpiodoro, discepolo
di Ammonio, e quello di Proclo: <<Quelques exemples suffiront à montrer ce caractère
évidemment scolaire du Commentaire d'Oiympiodore. Précisons meme: il s'agit, semble-t­
il, d'un cours élémentaire qui s'adresse à des débutants, auxquels on ne craint pas de dire
à plusieurs reprises les memes choses [ ... ] Ces exemples suffiront du meme coup à montrer
la difference entre l'exégèse d'Oiympiodore et celle de Proclus: c'est comme si l'on expliqu­
ait la meme texte à des élèves de sixième et à des candidats à l'agrégation de philosophie))
(p. 78 e 85).

12
2. L'ATTIVITÀ COMMENTARIA DI PORFIRIO

2. 1 . L 'interesse di Porfirio verso Aristotele

L'interesse di Porfirio nei riguardi di Aristotele è secondo solo a


quello nei riguardi del maestro Plotino. Contro i sette commentari plato­
nici 1 stanno i dieci aristotelici 2 , a cui si devono aggiungere il Commenta­
rio al7tEpì K:a-tacpa<JEroç Kaì a7tocpa<JEroç di Teofrasto e i due scritti intorno
al rapporto tra la filosofia di Platone e quella di Aristotele. Occorre infine
tener presente alcuni scritti teoretici, che solo formalmente possono non
essere considerati dei commentari, e che trattano 7tEpì uA.T)ç, 7tEpì \jf\)Xfjç
7tpòç B6T)�ov e 7tEpì téOv tfjç 'lfUXfjç ouvaJJ.ECOV. Di tutta questa ampia
fascia di scritti aristotelici di Porfirio sono giunti fino a noi soltanto
1'/sagoge alle Categorie e il Commentario alle Categorie per domanda e
risposta. Ciò spiega in parte, ma è al tempo stesso spiegato dal fatto che
Porfirio rimase legato fin dall'antichità al suo ruolo di esegeta della logica
aristotelica. In sostanza quasi il 90% della produzione aristotelica di
Porfirio è andata perduta. Per fortuna parte di queste opere perdute è
possibile reperirla nei commentari posteriori, come è il caso appunto del
Commentario alla Fisica. Di qui l'importanza e l'esigenza di una raccolta
di tali frammenti, che ancora è quasi tutta da realizzare. Ma vediamo
come si può ragionevolmente ricostruire nelle sue linee fondamentali il
quadro degli interessi di Porfirio verso i vari aspetti del pensiero di Ari­
stotele.
Porfirio fu il primo neoplatonico che rivelò autentici interessi per
il ruolo di Aristotele nell'ambito della speculazione e dell'insegnamento
neoplatonico. Prima di lui Plotino si era occupato di Aristotele, ma in
chiave polemica e in ogni caso con la coscienza che la posizione di
Aristotele dovesse rimanere subordinata e "superata" da quella di Plato­
ne.
La polemica antiaristotelica e antiperipatetica di Plotino comincia
là dove termina la polemica antignostica. I trattati-cerniera tra i due

13
momenti sono Enn. VI 7-8 (38-39) concernenti il punto piu alto toccato
dalla speculazione plotiniana ovverossia la problematica relativa all'Uno
e al Bene, cioè a Dio come Assoluto 3• A partire dal trattato 40 fino
all'ultimo, il 54, che ha appunto come titolo flepì 'taya'doù iì 'tOÙ év6ç,
l'atteggiamento di Plotino nei confronti di Aristotele è costantemente
polemico, anche se in maggiore o in minor misura. Ecco qualche esem­
pio. E nn. II l (40) 2, 12 ss. respinge la teoria aristotelica secondo la quale
il cielo è fatto di una quinta sostanza, diversa dalla terra, dal fuoco,
dall'aria e dall'acqua, a cui si dà il nome di a{'di)p 4• Enn. VI 1-3 (42-44)
è tutta una lunga confutazione - come si sa - della dottrina delle catego­
rie di Aristotele e degli stoici, nonché una dimostrazione della validità
di una logica che è una teoria generale dell'essere, comune - secondo
Plotino - a tutta la tradizione platonica e anzitutto allo stesso Platone.
Plotino dichiara esplicitamente di volere contrapporre una logica auten­
ticamente platonica alla logica peripatetico-stoica 5• In Enn. VI 2 (43)
1,3 ss. egli infatti dice di volere - dopo avere esaurito l'esame critico
della dottrina delle categorie aristotelico-peripatetico-stoica - esporre il
proprio punto di vista riconducendolo a quello di Platone: aK6À.Ou'dov
dv EiT) EbtEÌV, ti 1tO'tE TJJlÌV 1tEpÌ 'tOIJ'tOlV <pa(VE'tat 'tà �OKOÙV'ta TJJ.1ÌV 1tElp­
OlJ.1ÉVotç eiç 'TT) v IlÀ.fhrovoç avayetv Ml;av. La stessa intenzione è ribadita
all'inizio del successivo trattato, Enn. VI 3 (44) 1 , 1 ss. flepì JlÈV 'ti'jç
oùaiaç Ò7tTI �OKEÌ , Kai ci>ç cruJl<pcOvroç dv txm 1tpòç 'TT) v 'tOÙ 11À.fi'trovoç
06/;av, EipTJ'tat.
Ma nel trattato successivo, Enn. III 7 (45) 9, l ss., si ritorna a
combattere la fisica aristotelica, e precisamente la dottrina del tempo
come numero o misura del movimento 6• Plotino riprende alla lettera la
definizione aristotelica del tempo come apt'dJ.1Òç KlvTJ<1EOlç Ka'tà 'tÒ
1tp6'tepov Kaì ucr'tepov [Phys. 2 1 9 b 2], anche se la esamina distinguendola
nelle sue due parti: apt'dJ.Lòç nvi)creroç [Enn. III 7 (45) 9, l, dove si
aggiunge iì J.1É'tpov, come piu felice, j3éA.'ttOV, espressione rispetto ad
apt�J.Lòç, trattandosi di movimento continuo, cruvexoùç] e Ka'tà 'tÒ 1tp6'te­
pov Kaì ucr'tepov [Enn. III 7 (45) 9,55]. L'ultima parte del trattato 45 è
una solenne affermazione della dottrina platonica del tempo come "im­
magine dell'eternità" eiK6va Of: �EÌ 'tOÙ a{oovoç 'tÒV XP6VOV efvat (Enn.
III 7 ( 45) 1 1 ,46 s.].
La polemica antiaristotelica di Plotino si conclude con la critica
della nozione di dio come v6T)mç voi)creroç in E nn. V 3 ( 49) 5, dove viene

14
ripresa la stessa critica di Enn. VI 7 (38) 37 con un'evidente È7ttO"tpoq>ft
all'inizio stesso della polemica. Là, nel trattato 38, la polemica è diretta
e aspra. Oi J.l.ÈV oòv v6TJ<nV aùtQ> Mv'tEç 'tQ> ì..&ycp 'tO>V J.l.ÈV Uan6vwv Kaì
'trov él; a\)'tou oùK 85ocrav è un chiarissimo riferimento ad Aristotele,
Metaph. A 9, 1074 b 24 ss., dove si dice appunto che dio "pensa ciò che
è piu divino, ciò che vale di piu, e che non muta" [trad. Viano]. Ma
comunque, scrive Plotino, non trovando niente che valesse piu del pen­
siero, Aristotele afferma che dio rltv v6TJ<nV aù'tQ> aù'tou dvat [Enn. VI
7 (38) 37,4], come se egli dovesse essere piu venerando in virtu del
pensiero (Tfi VOft<JEt <J EJ.l.VO'tépou, 37,5) e come se il pensiero fosse superio­
re a colui che pensa e non fosse invece quest'ultimo a rendere venerando
il suo proprio pensiero (ili' oùK aù'tou <JEJ.l.WVOV'toç rltv v6TJmv 37,7).
Dio non può dunque essere pensiero che pensa se stesso - conclude
Plotino, dopo un ampio discorso dialettico che abbraccia almeno quattro
capitoli dello stesso trattato 38, dal 3 7 al 40 compreso - : il principio
assoluto non può non trascendere il pensiero, Nel bene non c'è dunque
il pensiero (où 51t év 'tQ> àya�Q> lÌ v6TJ<nç), perché questo è inferiore
(xetpov) al bene e si colloca in posizione diversa da lui (é'tépw�t lìv EÌTJ aù­
'tOU) 7•
Nel trattato 49, invece, la polemica antiaristotelica si presenta piu
sfumata, ma questa volta si tratta non già del rapporto tra il principio
primo e il pensiero, bensi dell'intelletto che è anche pensiero riflesso,
"intelletto che vede se stesso", vouç éau'tòv òpQ. [Enn. V 3 (49) 4 fine].
Chi conosce se stesso, osserva Plotino, dev'essere inteso in duplice modo:
come uno che conosce la natura discorsiva dell'anima, o come uno che,
a livello piu alto, conosce se stesso nell'intelletto divino. Ma questo atto
di conoscenza e di pensiero è un contemplare se stesso come facente
tutt'uno con l'intelletto divino, in una partecipazione tale che l'intelletto
divino è nostro e noi siamo dell'intelletto divino (KàKetvoç 'JÌJ.l.é'tEpoç Kai
l'JJ.l.E'tç ÈKEivou, 4, 26-27). In tal modo il pensare è una sola cosa col suo
oggetto CEv l'lpa OU'tW vouç Kai 'tÒ VOTJ't6v, 5, 26) 8• Ma questo non
giustifica la formula aristotelica secondo cui dio è pensiero che pensa se
stesso, o quanto meno questa teoria non è chiara in quel che vuole
significare ('H J.l.ÈV yàp v6TJ<nç - osserva Plotino - oiov 7tEptél;&t 'tÒ
VOTJ't6V, "' 'taÙ'tÒV 'tQ> VOTJ'tQ> E<J'tat, OÙ1t(l) Bè ò vouç Bi'jì..oç ÈaU'tÒV vorov,
5, 30-3 1 )9•
Col trattato 49 siamo già agli ultimi anni dell'attività produttiva e

15
anche della vita di Plotino, il 268-269: la vis polemica si è attenuata 10,
Porfirio è già partito per la Sicilia, sta per andarsene pure Amelio, e
Plotino si avvia a deporre la penna e a ritirarsi malato seriamente nella
tenuta dell'amico Zeto in Campania. Ma troviamo ancora un ultimo
lampo di critica antiaristotelica nel penultimo trattato, il 53, scritto ap­
punto nel 269 11• Oggetto della polemica è un'altra delle dottrine di Ari­
stotele che caratterizzano - anche agli occhi di un platonico del III sec.
d.C. - il suo "stile di pensiero", la nozione dell'anima come forma del
corpo. La definizione aristotelica è citata alla lettera: 'AvaYKaiov iipa 'tlÌV
'IIUXlÌV oùoiav dvat roç dBoç <JOOJla'toç <pU<JtlCOÙ BuvaJl&l çro'JÌV ÉXOV'toç
[... ] ÉV'tEÀtXEta 'Ji 7tpOO'fTJ <JOOJla'toç <pU<JtlCOÙ òpyaVtlCOÙ [De an. II l , 4 1 2 a
1 9-20. b 5-6] 'All' roç dBoç ÉV UÀ.TI É<J'tat ÉV 'téj) <JOOJla'tt; [.. ] 'téj) <pU<JtlCéj),
= .

òpyavtJCéj), BuvaJl&t çro'JÌv éxovn [Enn. I l (53) 4, 1 8. 24-25]. Intanto,


precisa Plotino, se voi aristotelici dite che l'anima è "sostanza" ('IIUXlÌV
oùoiav), ne consegue che non può non essere "forma separabile"
(xropt<J'tÒV dBoç, 4, 1 9). Ma poi c'è una ragione di principio perché
l'anima non possa ''mescolarsi" (Jl&JliX'Òat) ed è che anima e corpo sono
cose di natura del tutto diversa, come ad esempio una linea (ente geome­
trico astratto) e un colore (accidente fisico concreto). «Occorre cercare
poi, scrive Plotino, anche il modo della mescolanza, giacché potrebbe
risultare assolutamente impossibile, come se uno dicesse che si possono
mescolare una linea con un colore bianco, che sono cose diverse tra loro
per natura (&<J7t&p dv &t nç ì..éyot Jl&JliX'Òat ì..&uJCéj) ypaJlJlTJV, cpumv ciÀÀT) V
12.
IDn)»
In conclusione Plotino prende interesse per Aristotele, ma un inte­
resse di segno negativo, di discussione critica e di "assoggettamento" in
ordine ad una superiore metafisica che anche storicamente precede Ari­
stotele e ne è la "radice" o "matrice" prima, il platonismo appunto, di
cui egli, Plotino, si considera autentico é/;T)'YT)'ti)ç. Potrà sembrare para­
dossale, ma è un fatto che Aristotele agisce sul pensiero di Plotino tanto
piu efficacemente quanto piu è oggetto di polemica e di intenzionale
rigetto. Tutto ciò ovviamente non ha nulla a che vedere con la pur
possibile e tante volte tentata dimostrazione dell'influenza di Aristotele
sul pensiero di Plotino. Valga per tutte la pagina del Plotinus di Ar­
mstrong, dove si dà la prova della "verità" della <q>hrase in Porphyry's
biography which it is important that the student of Plotinus should re­
member, JCa'ta7t&7tUICVro'tat Bè (év 'toiç <JUYY pnJlJlnm) JCaì li M&'tà 'tà cpum-

16
Kà 'tOU 'Aplcr'tO'tÉAOuç 1tpayJ.La'ts{a 13• This is not far from the truth. Not
only the teaching of the Metaphysics but that of the De Anima, continua
Armstrong, is to be found firmly embedded in the Enneads. The resem­
blance in particular between VI.8 and Metaphysics A is very striking» 1 4•
Che alla base delle Enneadi, soprattutto di VI 8, sia "firmly embedded"
l'insegnamento di Aristotele - ammesso che ciò si debba intendere nel
senso di una dipendenza di Plotino da Aristotele (di <<historical orig}n,
nella fattispecie, of the conception of the One as Go<b> 1 5), come sembra
intendere Armstrong - non significa affatto che Plotino sia "aperto" e
"disponibile" a quell'insegnamento, nonostante la innegabile tradizione
medioplatonica orientata ad una riconciliazione tra Platone e Aristotele
(riconciliazione che non si può intendere se non come reazione alla
preconcetta avversione di alcuni platonici di quell'età, il II sec. d.C.) che
- sempre secondo Armstrong - Plotino trova nell'atteggiamento del suo
maestro, the mysterious Ammonius Saccas 1 6• Resta sempre, e in maniera
incontrovertibile, il fatto che proprio quei due trattati dell'Enn. VI 7-8,
che io ho considerato la "cerniera" tra la polemica antignostica e la

polemica antiaristotelica di Plotino, rappresentano il momento del pas­


saggio dall'aKJ.Li) della teoresi neoplatonica, la dottrina dell'Uno-Dio, alla
confutazione delle principali dottrine di Aristotele, confutazione che rag­
giunge il suo punto piu alto nei tre trattati dal 42 al 44 [Enn. VI 1 -3],
come si è visto. La prova che non sia Plotino la sede dell'armonizzazione
tra Platone e Aristotele in chiave neoplatonica si può trovare nei risultati
di una ricerca che P. Hadot ha presentato al convegno neoplatonico di
Roma (Accademia Nazionale dei Lincei, 5-9 ottobre 1 970) 17 e che con­
cerne L 'harmonie des philosophies de Plotin et d'Aristate se/on Porphyre
dans le commentaire de Dexippe sur /es Catégories, dove si dimostra che
Porfirio è la fonte dei libri II e III del commentario di Dessippo alle
Categorie «consacrés presque totalement» a risolvere le obiezioni di Pio­
tino ad Aristotele. È dunque Porfirio che compie la "storica operazione"
di un "innesto operativo" dell'aristotelismo nel corpus del platonismo,
che da questo punto in avanti non proverà piu impulsi di rigetto nei
riguardi di un pensiero già �ufficientemente assimilato e integrato. Ed è
significativo che è proprio sul libro A della Metafisica che Porfirio fa
leva per riportare la pace tra Aristotele e Plotino, quel libro che contiene
la dottrina, esplicitamente rifiutata da Plotino, di Dio come pensiero di
pensiero 1 8 • Vediamo allora se è possibile definire meglio l'atteggiamento

17
di Porfirio verso Aristotele, atteggiamento che dipende dal suo interesse
"positivo" e non piu polemico per un nuovo ruolo da attribuire alla
tradizione aristotelica in seno al neoplatonismo.
Dicevamo all'inizio di questo capitolo che l'interesse di Porfirio per
Aristotele è dimostrato dalla prevalenza dei suoi scritti dedicati a questo
filosofo su quelli dedicati a Platone: contro i sette commentari ad altret­
tanti dialoghi platonici, stanno i dieci commentari ad Aristotele, a cui
si devono aggiungere alcuni scritti teoretici su temi che sembrano di
ispirazione peripatetica. Tra gli scritti aristotelici di Porfirio, però, pre­
valgono quelli concernenti i trattati di logica e precisamente i trattati
introduttivi - almeno nella sistemazione tradizionale pervenuta ai neo­
platonici - e cioè le Categorie, il De interpretatione e gli Analitici primi.
Fra i trattati introduttivi di logica aristotelici uno, le Categorie, ha -
come si sa - il posto assolutamente preminente, giacché Porfirio vi ha
dedicato ben tre delle sue opere principali e tutte e tre paradigmatiche
del metodo scolastico che egli intese utilizzare nel programma d'insegna­
mento alla scuola di Plotino. Anzitutto la EicrayOYYJÌ ei.ç Tàç 'Aptcr'tO'tÉ­
Aouç Ka'tT)yopiaç 19, conosciuta nella tradizione manoscritta anche sotto
il titolo llepì 'tÒ>V 1tÉV'tE cprov&v 20, che è un breve ma densissimo scritto
introduttivo allo studio delle Categorie dedicato a un discepolo, Crisao­
rio, che vuole conoscere la "comunanza" e la "differenza" tra le cosiddet­
te cinque "voci" e cioè il genere, la specie, la differenza, il proprio e
l'accidente. Conoscere che cosa sia ciascuna di queste cinque voci è
necessario all'insegnamento della dottrina sia delle categorie sia della
definizione e in generale della divisione e della dimostrazione 21•
All'Eicrayroyf) Porfirio aggiunse un ampio Commentario alle Catego­
rie di Aristotele in sette libri, dedicato a Gedalio e andato perduto, nonché
un secondo scritto introduttivo Eiç Tàç 'Aptcr'to'téAouç Ka'tT)yopiaç Ka'tà
1tEi3mv Kaì èl.1t6Kptmv, questo rimastoci e pubblicato dal Busse assieme
all'Eicrayroyf). Questo secondo manuale di introduzione allo studio delle
Categorie di Aristotele corrisponde alla fase scolasticà elementare che
segue aii'Isagoge, in quanto fornisce una specie di expositio pura e sem­
plice del contenuto dell'opera aristotelica a chi ha già imparato quali
sono le significazioni (voces) che le categorie possono assumere nella
definizione e nella dimostrazione. La forma della "domanda e risposta"
- corrispondente a quella piu antica delle "quaestiones et solutiones",
seguita dopo da Damascio nella variante della forma per "dubitationes

18
et solutiones" - indica che Porfirio non ha ancora affrontato il vero
problema del "commentario" alle Categorie, dell'esposizione ampia e
dettagliata del testo aristotelico con tutte le relative discussioni esegetiche
ed ermeneutiche. In effetti doveva essere questo il carattere proprio del
Commentario a Gedalio perduto, se è vero che - come testimonia Sim­
plicio - Porfirio realizzò in questo scritto "non senza fatica [ouK a1t6vroc;]
una perfetta interpretazione [&ç;TtYTJ<rlv t& &vt&A.ii] del libro di Aristotele
e diede soluzione a tutte quante le obiezioni che erano state mosse alla
dottrina delle Categorie, aggiungendovi anche molte delle opinioni degli
stoici sulle categorie, a seconda che lo richiedesse la convenienza dell'ar­
gomento 22• Ecco allora il punto della questione: Porfirio scrive un Com­
mentario alle Categorie dove dà risposta e soluzione a tutte le obiezioni
e aporie sollevate dagli avversari della dottrina delle categorie di Aristote­
le. Chi sono questi avversari? Lo stesso Simplicio ce li descrive appena
prima. Anzitutto coloro che hanno voluto scrivere delle pure e semplici
aporie sulle cose che Aristotele dice nello scritto sulle Categorie, come
ad esempio Lucio. Poi coloro che, come Nicostrato, assumendo le aporie
dei primi (Lucio), hanno voluto muovere, contro quasi tutto ciò che si
trova nello scritto di Aristotele, delle obiezioni vere e proprie, con assolu­
ta irriverenza e con giudizi frettolosi e imprudenti. Infine coloro che
hanno condottdsulle Categorie delle analisi rigorose in forma di trattato,
come ad esempio Platino con i suoi tre trattati Sui generi dell'essere 23•
A tutte queste critiche piu o meno sfavorevoli risponde Porfirio con
argomentazioni atte a riabilitare le "ragioni" di Aristotele, anche contro
Platino, anzi soprattutto contro di lui. E che le risposte di Porfirio siano
soprattutto rivolte contro Platino si evince dal fatto che alla soluzione
delle obiezioni contro Aristotele (oltre che di Lucio e di Nicostrato a cui
quello si richiamava) - t&v &vGtciG&rov 7taG&v ÀUG&tc;- sono di volta in
volta aggiunte, secondo la pertinenza dell'argomentazione - Katà t'JÌV
Kotvroviav tou ì..&you -, le soluzioni delle obiezioni contro gli stoici -
1toìJJJ. Kaì t&v l:tro'CK&v OoyJ.Lcitrov -, e noi abbiamo già dimostrato che
Platino accomuna nella sua polemica contro la dottrina delle categorie
Aristotele e gli stoici 24•
È cosi che nasce nel neoplatonismo l'autentico interesse verso Ari­
stotele, intendo dire l'interesse "positivo", costruttivo e rivolto a fare di
Aristotele un punto di riferimento obbligato dell'insegnamento e dell'at­
tività di ricerca dei nuovi platonici. Solo con Porfirio, in sostanza, ha

19
inizio la "conversione" e la pacificazione tra platonismo e aristotelismo,
se consideriamo i tentativi dei platonici del secolo precedente (II d.C.)
soltanto degli "approcci non programmati" e comunque privi di consape­
volezza e intenzionalità. Tra un Albino e un Porfirio c'è un abisso in
ordine all'utilizzo dello strumento aristotelico in chiave platonica. Se
Albino e in genere i medioplatonici, ad eccezione dell'ala platonica in­
transigente capeggiata da Nicostrato e Attico, si rilevano inclini ad accet­
tare idee peripatetiche e a tentare "sintesi" platonico-aristoteliche, non
vuoi dire che essi abbiano già superato la convinzione della dipendenza
e della "inferiorità speculativa" dell'aristotelismo rispetto al platonismo,
ché anzi l'accettazione di elementi teorici aristotelici è per loro dimostra­
zione di tale dipendenza e filiazione cosi come lo è dello stoicismo.
Perdurava ancora nel II secolo d.C. la tesi di Antioco di Ascalona che
Aristotele e gli stoici fossero eredi di Platone e dell'antica Accademia.
In questo spirito ad esempio dev'essere vista la dottrina di Albino del­
l'identità tra VOTJT6v aristotelico e VOTJ'tli platonici, e la conseguente dot­
trina di Attico secondo la quale le idee platoniche altro non sono che
pensieri di dio 25• Con Porfirio muta la prospettiva del rapporto tra aristo­
telismo e platonismo: ferma restando la superiorità "teoretica" e "dialet­
tica" della dottrina platonica, viene a cessare la filiazione o dipendenza
da essa dell'aristotelismo, il quale si pone ora quale "propedeutica" allo
studio di Platone. Lo studio di Aristotele introduce allo studio di Platone
e tale eiaayrorfl è proprio quella dottrina delle categorie e della dimostra­
zione che Plotino aveva criticato e svalutato. Di qui la rivalutazione
appunto della logica peripatetica, operazione che è esclusivo e incontro­
vertibile merito di Porfirio fino ai piu tardi neoplatonici. Proclo, due
secoli dopo Porfirio, sosterrà che la logica aristotelica è strumento della
filosofia, la quale si identifica con la teologia platonica 26• A questo punto
hanno veramente inizio il vero "commentario neoplatonico ad Aristote­
le" nonché la sua funzione storica testimoniata da una secolare tradizione
tardo-antica e medievale. Ed ha ragione, dunque, Praechter quando assu­
me che c'è un salto di qualità tra il commentario ad Aristotele di Alessan­
dro di Afrodisia e quello di Porfirio, in quanto con il primo si tratta solo
di fare l'esegesi pura e semplice di Aristotele senza sollevare alcun proble­
ma, mentre con il secondo si tratta di aprire la logica aristotelica, ricono­
sciuta come la logica Ka't' �oxiJv, alla comprensione di un ambito piu
vasto e soprattutto di renderla utilizzabile per la scuola 27•

20
2.2. I Commentari aristotelici di Porfirio

Finora si è discusso del tentativo ben riuscito da parte di Porfirio


di invertire la tendenza prevalente tra i platonici del tardo ellenismo e
della prima età neoplatonica a "subordinare" l'aristotelismo al platoni­
smo. Con Porfirio tale subordinazione si orienu. e si trasforma in "stru­
mentalizzazione" dello studio di Aristotele in funzione teoretico­
scolastica neoplatonica. Ma tale processo inaugurato da Porfirio presenta
una valenza del tutto particolare e unidirezionale, quella della "strumen­
talizzazione" del vecchio "strumento" dell'aristotelismo e cioè della sua
logica (l'Organon appunto). L'intera storiografia antica, medievale e mo­
derna ha sempre sottolineato tale carattere della funzione attribuita da
Porfrrio in poi alla logica aristotelica, come se i neoplatonici non avessero
mai tenuto in conto - a parte qualche interesse transitorio e comunque
poco rilevante nella struttura e organizzazione del loro studio di Platone
- se non la sola logica di Aristotele. Il platonismo avrebbe avuto bisogno
di questo soltanto, potendo godere e utilizzare in proprio - cioè grazie
alla sua lunga tradizione dottrinale- una fisica (Timeo), una metafisica
o teologia (Parmenide, ma anche Fedro e Simposio), una psicologia (Alci­
biade 1), un'etica (Gorgia e Pedone), ecc. A rigore basterebbe al neoplato­
nico studiare, oltre alla logica aristotelica come propedeutica, due soli
Timeo e Parmenide. Leggiamo nel
dialoghi platonici, i dialoghi perfetti,
manuale scolastico anonimo Prolegomena in Platonis philosophiam
(V-VI secolo d.C.) che Giamblico riduceya i dodici dialoghi di Platone
necessari all'insegnamento della saggezza (otoarnc:aA.{aç 'ri\ç Ka'tà aocp{av,
per usare un'espressione che si trova già in Albino) 28 ai due suddetti, il
Timeo appunto che tratta di tutta la fisica (è1tì 1tdat 'toiç cpuatKoiç) e il
Parmenide che contiene la teologia ovvero la metafisica ('toiç '6soA.oyt­
Kotç) 29• Dunque Porfirio avrebbe svolto un ruolo di mediatore incontra­
stato tra platonismo e aristotelismo solo per la sua trascrizione della
logica aristotelica in chiave neoplatonica, cioè come introduzione allo
studio della filosofia platonica. Non essendosi mai voluto riconoscere
alcun grado di originalità di filosofo a Porfirio, si è ridotta la sua funzione
storica al solo ruolo di commentatore; ma su tale premessa, non potendo-

21
si negargli originalità di commentatore, si è riconosciuto solo il suo ruolo
originale a quella parte della sua attività commentarla che esulava dai
settori di interesse teorico propriamente tardoplatonici, cioè il settore
delle ricerche logiche: solo in questo campo infatti la tradizione medio-e­
neoplatonica denunciava un'assenza di autonomia e solo in questo cam­
po di studi l'operazione di Porfirio era riuscita a innovare veramente la
tradizione platonica. Per tutto il resto Porfirio era e rimaneva debitore
a Platino e agli esegeti platonici precedenti. Nessun commento porfiriano
ad Aristotele, quindi, che non fosse rivolto alla logica, poteva, in tale
quadro storiografico, apparire degno di considerazione e di rilievo stori­
co.
Ma è poi vero che Porfirio non abbia contribuito con altri suoi scritti
esegetico-ermeneutici su Aristotele alla costruzione della tradizione sco­
lastica neoplatonica tardoantica e medievale? Io sono convinto di si,
sono convinto cioè del fatto che altri commentari di Porfirio ad altri
scritti di Aristotele che non siano gli scritti di logica, rappresentano un
autentico contributo dato da lui alla comprensione e integrazione del­
l'aristotelismo all'interno del platonismo. Sono convinto in altri termini
che il "servizio" reso da Porfirio alle scuole neoplatoniche sia andato
ben al di là del ruolo di esegeta della logica aristotelica. Ecco dunque
l'interesse che mi spinge a raccogliere, sistemare e analizzare i frammenti
del suo perduto Commentario alla Fisica: verificare l'ipotesi dell'effica­
cia storica dell'esegesi porfiriana di Aristotele in un settore tradizional­
mente sterile 30 o ritenuto tale. Ma prima di entrare nel merito del proble­
ma specifico del Commentario alla Fisica, è bene dare uno sguardo
d'insieme all'attività commentarla di Porfirio relativamente all'intero
settore delle opere aristoteliche al di fuori della logica.
Cominciamo con il Commentario al "De anima". La Suda ci riferi­
sce due titoli: llpòç 'Aptcr-ro-réA.T)v 7t&pì -roii &Ìvat 't"IÌV 'I'UX'JÌV &v-r&Mx&tav
e ll&pì 'I'UXii<; 7tpòç B6T)�ov. Questi due titoli figurano ai numeri 33 e 34
della lista di Bidez 31, ma che si tratti di due scritti indipendenti non c'è
accordo tra gli studiosi di Porfirio. Infatti già P. Henry 32, seguito da
Beutler 33, ha ritenuto il primo titolo della Suda come una semplice indi­
cazione del contenuto dello scritto llpòç B6T)�ov; mentre secondo lo
Schwyzer 34 le cose stanno diversamente. In effetti l'ipotesi di Henry e di
Beutler poggia su debole base, piii precisamente sul fatto che Eusebio,
PE 1 5, 1 1 , dice che Porfirio scrisse 7tpòç �È -ròv &v-r&Mx&tav 't"IÌV 'I'UX'IÌV

22
sbt6v-ra, cioè contro chi sostiene la dottrina peripatetica dell'anima­
entelechia. Questo è uno solo dei nove frammenti rimastici in Eusebio
dello scritto di Porfirio contro Boeto. Ma che si tratti proprio del Boeto
peripatetico non si può arguire da questa sola testimonianza, ammesso
che lo sia. P. Moraux ha anzi dimostrato, con argomenti a mio avviso
convincenti, contro la communis opinio, che si tratta del Boeto stoico 35 •
Non si riesce, d'altra parte, a spiegare come mai nel titolo riferito dalla
Suda sia chiaramente espresso 7tpòç 'AptcrtotéA.T)v. Che la fonte della
Suda abbia inteso rendere esplicito l'si1t6v-ra di Eusebio? È possibile, ma
niente affatto certo, tanto piu che nello stesso Eusebio (ammesso che la
fonte della Suda o della sua fonte sia Eusebio) altri frammenti riferiscono
il nome dell'avversario di Porfirio, Boeto appunto. È quindi altamente
probabile che si tratti di due scritti indipendenti. Se è cosi, il primo di
essi, quello che la Suda intitola Ilpòç A ptcrtotéA.T)v 1tspl. -rou dvat TJÌV
'

'lfUX'JÌV ev-rsMxstav non può non riferirsi al De anima di Aristotele. Anche


se non è certo, dunque, che si tratti di un vero e proprio commentario
al De anima, è quasi certo che Porfirio abbia fatto in questo scritto
oggetto della sua critica la psicologia aristotelica, cosi come fa con la
psicologia stoica e comunque non-platonica. Si aggiunga che - come ha
dimostrato il Dòrrie 36 almeno tre, se non cinque, delle Quaestiones
-

porfiriane avevano come oggetto la dottrina dell'anima e miravano a


difendere la psicologia platonica contro peripatetici e stoici.
Altro commentario di Porfirio a scritti non logici di Aristotele è
quello alla Metafisica, e precisamente al libro A in cui sono contenute
le obiezioni che Aristotele muoveva alla dottrina platonica delle idee.
Troviamo un paio di citazioni in Simplicio (De caelo 503, 34. 506, 1 3
Heiberg=CAG VII), che si riferiscono alla esegesi porfiriana a questo
libro della Metafisica, ma ciò non esclude che egli abbia commentato
anche altri libri della stessa opera di Aristotele. Simpl. de caelo 503, 32
ss. Heiberg (=CAG VII): [a proposito del numero dei movimenti degli
astri] ill' OOV Kal. 'tOU'tOU OotMvtoç 'tOU j.1.6VT)V aÙTJÌV [la luna] !l'lÌ ÉXStV
avf:À.(noucrav OÙ O"Uj.l.�a(vst Ò apr6j.1.6ç, KaÌ 'tOU'tO t6V 1:8 'AJ..é!;avopov KaÌ
-ròv Ilop<puptov 8-rapa!;sv tv -raiç siç -rò A Tfjç Msta<pootKi'jç crxoÀ.aiç.
Anche alla p. 506, 1 3 H. è citato Porfirio per lo stesso Commentario,
pur senza l'esplicita indicazione s{ç tò A Tfjç Ms-ra<pumKi'jç [a proposito
del calcolo numerico dei cicli astrali].
Si ha notizia da fonti arabe di un Commentario all'Etica di Aristote-

23
le: Mustafa ben Abdallah Katib Jelebi, Lexicon bibliographicum et ency­
c/opedicum, ed. G. Fluegel (Leipzig 1 835 ss.); Muhammed ibn Ishaq,
Fihrist, trad. tedesca di A. Miiller, Die Griechischen Philosophen in der
Arabischen Ueberlieferung (Halle 1 873); lbn Al-Qifti's Ta'rih Al­
Hukama, ed. J. Lippert (Leipzig 1 903) (per tutti cf. J. Bidez, Vie de
Porphyre (Gand 1 9 1 3) 54*, 1 7 e 25; 56*, 1 9; 58*, 22). È difficile stabilire
di quale Etica aristotelica si tratti. Sembra che Porfirio abbia commenta­
to l'Etica Eudemia e la Grande Etica: cosi almeno appare da una delle
succitate testimonianze arabe: Bidez, 54*, 22 ss. Kitàb-el-aklàc, ethica,
quorum duo libri ad magna moralia, octo ad parva pertinent [cioè al­
l'EE]. In tutte le testimonianze, però, il commentario di Porfirio risulta
composto di dodici libri.
Dunque Porfirio svolse attività non indifferente di esegeta di opere
aristoteliche non di logica e tra queste, per ragioni forse un po' fortuite,
la Fisica lasciò maggiore traccia, grazie a Simplicio. Se questi avesse
scritto un ampio commentario sulla Metafisica di Aristotele, come ha
fatto con la Fisica, il De cae/o e le Categorie, forse avremmo saputo piu
di quanto non sappiamo sul commentario di Porfirio alla Metafisica. Si
sa del resto che i neoplatonici davano scarsa importanza alla Metafisica
aristotelica, che veniva oscurata dalla teologia platonica, e questo spiega
forse e in parte le scarse testimonianze su questo commentario di Porfi­
rio.

2.3. Il problema dei rapporti tra p/atonismo e studio aristotelico in Porfi­


rio

Scrive Porfirio in VP 24: «Ritenni giusto anzitutto di non lasciare i


libri di Platino nello stesso ordine cronologico cosi come erano occasio­
nalmente venuti alla luce, e seguii l'esempio di Apollodoro di Atene e
di Andronico il Peripatetico, il primo dei quali raccolse le commedie di
Epicarmo in dieci volumi, il secondo gli scritti di Aristotele e di Teofrasto
distinguendoli in trattati secondo l'appartenenza alla stessa materia. Cosi
anch'io, continua Porfirio, avendo da ordinare 54 libri di Platino, li
suddivisi in sei gruppi di nove, provando peraltro anche il piacere per
la perfetta combinazione dei numeri 6 e 9, e accorpai in ciascuna enneade

24
i libri che trattavano della stessa materia, dando il primo posto alle
questioni di minor impegno per il lettore». A parte l'esempio di Apollo­
doro di Atene, che riguarda scritti non filosofici, Porfirio aveva due
esempi di classificazione e ordinamento "ekdotico" di opere filosofiche:
quello di Trasillo per Platone (oltre che per Democrito) e quello di An­
dronico per Aristotele. Sarebbe stato naturale scegliere il primo esempio
per l'affinità della materia (platonica nell'un caso e nell'altro), ma anche
per il suo significato paradigmatico (Platone è il riconosciuto comune
maestro di ogni neoplatonico). Si aggiunga la ragione, anche se di minore
importanza, della vicinanza nel tempo. Ha preferito invece l'esempio
aristotelico: attribuiva maggiore validità esemplificativa all'opera di An­
dronico, o la ragione è da cercarsi in altro? Porfirio conosce Trasillo,
perché egli stesso lo cita, a proposito del proemio del 1tEpi 'tÉÀ.Ouç di
Longino in VP 20, come filosofo platonico di minor valore di Plotino
quanto a rigore scientifico e chiarezza di linguaggio (ciK:pij3eta). Se non
alla scuola di Plotino, egli ha certamente conosciuto Trasillo e la sua
opera alla scuola di Longino ad Atene. Perché allora non preferisce
l'esempio Trasillo? Rispondere perché era inferiore a Plotino come filo­
sofo, mi sembra insufficiente, se non altro perché si trattava di esempio
di ordine filologico-editoriale e non teoretico. Ci dev'essere dell'altro
nella mente di Porfirio, e quest'altro non si può ridurre al semplice
ipotetico fatto della migliore valutazione che Porfirio poteva aver dato
del metodo classificatorio ed editoriale di Andronico rispetto a quello di
Trasillo. Cercherò di mostrare le ragioni di questa mia congettura.
Anzitutto il nome di Andronico circolava nel II sec. d.C. assieme
ad uno scritto a lui falsamente attribuito dalla tradizione, dal titolo 1tEpi
1tai}c'i>v 37• Questo fatto renderebbe nulla la ragione della distanza cronolo­
gica tra Andronico e Trasillo, della quale si diceva pocanzi. Le ragioni
della preferenza di Porfirio sono dunque da ricercarsi o nella maggiore
validità esemplificativa della classificazione di Andronico o in altro,
dicevamo. Ritengo che la prima di queste ragioni abbia importanza, ma
non sia stata decisiva. Certamente l'esempio di Andronico era significati­
vo per il fatto che egli aveva unificato in grossi trattati piccole trattazioni
aristoteliche prima ritenute e utilizzate come indipendenti tra loro 38•
Non solo, ma Andronico aveva il merito - agli occhi di Porfirio - di
avere composto dei Pinakes degli scritti raccolti di Aristotele, Pinakes
che con ogni probabilità: avevano un carattere sistematico ed erano corre-

25
dati di notizie sui titoli, l'autenticità, il contenuto e la struttura dei singoli
scritti di Aristotele 39• Tutto ciò corrisponde perfettamente al modo in
cui Porfrrio ha raccolto, classificato, sistemato, organizzato e presentato
i singoli trattati di Plotino.
Ma tutto ciò è ancora - a mio avviso - insufficiente a spiegare la
scelta di Porfirio: occorre pensare al significato meno formale e piu
sostanziale del rapporto tra Andronico e l'opera aristotelica, almeno se­
condo la valutazione che ne potè aver dato Porfirio. In effetti Andronico
era il primo autentico éi;TJYTJTfJç di Aristotele, e, cosa ancora piu significa­
tiva per Porfirio, il primo esegeta delle Categorie di Aristotele 40• Andro­
nico era, inoltre, un esegeta che poneva lo studio della logica di Aristotele
a introduzione dello studio delle altre dottrine aristoteliche. Tale opinio­
ne, che cioè lo studio della logica dovesse servire da introduzione allo
studio di Arì stotele in generale, è esplicitamente e concordemente attri­
buita dalla tradizione neoplatonica ad Andronico di Rodi, il quale ap­
punto si sarebbe per primo posto il problema x61'}sv apK'tÉOV 'tWV 'A pt­
<J'tO'tEÀ.llCWV croyy paJ.LJ.ui'twv 41• Andronico, dunque, poteva rappresentare,
agli occhi di un neoplatonico alle prese con un problema di difficile
soluzione, qual era appunto quello di mettere ordine ad una notevole
massa di scritti nati in larga misura - come del resto quelli di Aristotele
- dall'insegnamento orale e dalla pratica del commento dei testi classici
o dei relativi Commentari, un esempio da seguire e da additare al lettore
_
che con la Vita Platini si accingeva allo studio del suo maestro già morto
da alcuni decenni. Nella sostanza Andronico aveva affrontato e risolto
lo stesso problema che Porfirio ora aveva di fronte: come ordinare gli
scritti di un filosofo non solo secondo la materia, e quindi secondo il
principio dell'economia, unificando il piu possibile i contenuti sotto gli
stessi titoli, ma anche e soprattutto secondo la piu corretta procedura
pedagogica, dal piu facile al piu difficile, dal piu strumentale al piu
approfondito speculativamente. Su queste premesse è possibile porre e
discutere concretamente il problema del rapporto che nel pensiero e nella
pratica didattica di Porfirio e secondo Porfirio sussisteva tra studio di
Aristotele e studio del pensiero neoplatonico.
Abbiamo visto che Andronico è ritenuto dalla tradizione storiografi­
ca antica il primo, o tra i primi interpreti di Aristotele. Questo fatto pesa
anche sulla scelta di Porfirio, dal momento che - come è stato dimostrato
ampiamente dal Moraux - buona parte del metodo .. platonico" porfiria-

26
no, del nuovo orientamento, cioè, che il platonismo plotiniano aveva
assunto con Porfirio in virtu dell'innesto dell'aristotelismo in forma con­
sapevole e scolasticamente producente, può farsi risalire ad Andronico.
Rinvio il lettore alle dense e magistrali pagine del Moraux 42, dove gli
strettissimi nessi che uniscono Porfirio a questo suo modello di commen­
tatore peripatetico del I secolo a.C. sono messi in luce con tale chiarezza
e cosi convincenti argomentazioni da costituire, credo, contributo essen­
zialmente definitivo. Mi limito qui a fare un esempio, perché esso è
strettamente connesso alla tematica di questo studio. Attraverso un'ana­
lisi del De divisione di Boezio 43 il Moraux dimostra quanta parte della
teoria della Ota{p&mç di Porfirio abbia come fonte i11t&pì OtatpÉcr&coç di
Andronico 44• Noi vedremo quale importanza aveva dato Porfirio a tale
teoria nel suo Commentario alla Fisica, e quanto spazio lo stesso Simpli­
cio ha fatto a questo aspetto dell'esegesi porfiriana.
Fin qui le ragioni per le quali appare chiaro - se non dimostrato in
modo pressoché definitivo, dopo le ricerche del Moraux - che Porfirio
costituisce il punto di svolta della presenza coscientemente operante di
Aristotele all'interno del pensiero e dell'insegnamento dei neoplatonici
fino al VI secolo e oltre. Si tratta adesso di vedere come di tale "funzione"
di Aristotele nel neoplatonismo Porfirio sia stato anche il teorizzatore.

2.4. La teorizzazione porfiriana dell'uso neoplatonico di Aristotele

Purtroppo siamo stati privati dalle vicende della storia della tradi­
zione manoscritta di due tra le piu importanti opere di Porfirio, quelle
che trattavano della relazione tra la filosofia di Platone e la filosofia di
Aristotele. Della perdita almeno di una di tali opere dobbiamo particolar­
mente rammaricarci, perché conteneva una dimostrazione della perfetta
concordanza tra le due filosofie, se non addirittura della loro unità: 1t&pì
'tOU 11iav dvat nìv I1À.d'tcovoç Kaì 'Aptcr'tO'tÉÀ.Ouç aip&mv. Si trattava di
un ampio trattato in 7 libri che con ogni probabilità costituiva la conti­
nuazione della <l>WScrocpoç icr'top{a. L'ampiezza del libro e l'uso del termi­
ne aip&mç lasciano supporre che Porfirio non si limitasse a parziali
aspetti di convergenza tra il pensiero di Aristotele e quello di Platone,
ma affrontasse il problema della sostanziale omogeneità e complementa-

27
rità delle due tradizioni, platonica e peripatetica, in polemica certamente
con coloro che in passato e al presente - forse anche lo stesso Plotino 45
- avevano tentato di approfondire il solco discriminatorio tra platonici
e peripatetici. Questo scritto costituiva certamente la presa di posizione
piu aperta e radicale da parte di Porfirio in favore di un definitivo e
costruttivo innesto di Aristotele nel corpo delle dottrine neoplatoniche
e nel corso di studi su di esso.
Fin qui il discorso - anche se a livello ipotetico - appare facile da
accettare. Dove invece sorgono il dubbio e l'incertezza è l'estensione
della base su cui Porfirio credeva di poter fondare l'unità di platonismo
e aristotelismo, ovverossia l'eventuale superamento dei confini della lo­
gica aristotelica quale momento del pensiero aristotelico e del relativo
suo studio nella scuola neoplatonica. L'unità della dottrina di Platone e
di Aristotele era, cioè, nella mente di Porfirio tale da coinvolgere non
solo le fondamenta metodologiche e strumentali, ma anche le parti o
almeno alcuni parti della auvayoortl dottrinale platonico-aristotelica? In
una parola, l'unità di cui parlava Porfirio era unità reale di dottrina non
solo logica, ma anche fisica ed etica, secondo un modello di Btaipsmç
che risaliva agli stoici, ma che era ancora ritenuto valido e corretto?
È certo che Porfirio non dava lo stesso peso all'insegnamento della
logica aristotelica e a quello della fisica e dell'etica; ma questo non deve
far pensare che queste due aree di pensiero teorico rimanessero del tutto
escluse dal quadro di riferimento del modello porfiriano di unità tra
Platone e Aristotele. Occorre tuttavia trovare delle ragioni concrete per­
ché appaia, oltre che possibile, anche realmente e storicamente credibile.
Tenterò di farlo battendo due strade oblique, essendoci preclusa qualsiasi
prova diretta, una volta che lo scritto in questione di Porfirio è semplice­
mente citato dalla Suda e non possiamo quindi disporre di alcun fram­
mento o testimonianza.
Una di queste strade è Ierocle di Alessandria. Di lui possediamo,
oltre al Commentario ai versi aurei di Pitagora, ampi riassunti di un
trattato in sette libri 1tspi 7tpovo{aç x:ai si.J.LapJ.LÉVllç nei codd. 2 1 4 e 251
della Bibliotheca di Fozio 46• Nel presentare tale trattato, Fozio dice che
«l'intento dichiarato [è7tayy6À.(a] della presente ricerca [di Ierocle] è quel­
lo di trattare 'Sulla provvidenza e il destino', cercando di combinare
insieme l'opinione di Platone con quella di Aristotele [ tij IIMitoovoç Ml;n
x:aì 'AptototÉÀOuç auvBtatt'6SJ.1ÉVq>]; lerocle infatti vuole conciliare [auv-

28
a1t't81.V) le opinioni dei due filosofi non soltanto per quanto riguarda i
loro argomenti sulla provvidenza, ma anche quelli in cui essi concepisco­
no l'anima come immortale, e quelli in cui essi hanno filosofato sul cielo
e sul mondo [1tspi. oùpavou x:ai. x:OOJ.LOU 'tOU'totç 1tScplÀ.Oo6cpT)'tat]» 47• Dun­
que Ierocle vuole «mettere insieme», armonizzare le opinioni di Platone
e di Aristotele non soltanto a proposito della dottrina della provvidenza
e dell'anima, ma anche della fisica, nella sua duplice configurazione di
teoria del cielo e di teoria del cosmo (uranologia e cosmologia). E per
far ciò si mette a confutare <<tutti coloro che hanno messo in disaccordo
quei due pensatori», tendendo a dimostrare «che si sono allontanati il
piu possibile dal progetto dei due filosofi e dalla verità», alcuni per amore
di rivalità e per stupidità, altri perché schiavi di preconcetti e di ignoran­
za. Ierocle ritiene - continua Fozio - che su tale posizione gli studiosi
di Platone e di Aristotele si sono mantenuti <<fino a quando non ha
brillato la sapienza di Ammonio [J.LÉXptç O'tOU T) 'AJ.LJ.Lroviou oocp{a OtéÀaJ.L­
'IfEV] [... ] Questi infatti ha portato alla loro genuina purezza [otax:a'6apav­
'ta] le opinioni di quei due antichi filosofi, ha demolito [émoCJKsuaoaJ.Ls­
vov] le folli escrescenze da ambedue le parti e ha messo in evidenza
l'accordo di pensiero tra Platone e Aristotele sulle dottrine importanti e
piu necessarie [<JUJ.Lcprovov &v 'toiç &mx:a{pmç 'tE x:ai àvayx:ato'ta'totç]» 48•
Ierocle considerava, dunque, tra le dottrine importanti e piu necessarie
la dottrina fisica, e riteneva Ammonio, che nel cod. 2 5 1 - come vedremo
- è il maestro di Plotino e Origene, come il primo interprete della CJUJ.L­
cprovia teoretica tra Platone e Aristotele. È questo il punto su cui è da
discutere. Ma prima completiamo la testimonianza di Ierocle.
Verso la fine del suo riassunto del 1tspi. 1tpovo{aç x:ai. siJ.LapJ.LÉVT)ç,
Fozio traccia il sommario dei sette libri dell'opera ieroclea e scrive «[ ... ]
Il sesto libro prende in esame tutti i filosofi posteriori a Platone, compre­
so Aristotele che è il piu eminente di essi, fino ad Ammonio di Alessan­
dria, i cui discepoli piu illustri furono Plotino e Origene; prende in esame
dunque i filosofi posteriori a Platone che abbiamo detto, tutti quelli cioè
che si sono fatti un nome in filosofia, e dimostra che tutti quanti sono
della stessa opinione di Platone ['tOU'touç li1tav'taç ÒJ.LoOol;siv 't'ft
TIMi'trovoç Ka'taCJKsuru;st x:p{ost]; e quanti hanno tentato di rompere l'ac­
cordo dottrinale tra Platone e Aristotele, egli li colloca tra i filosofi di
poco conto e da rifuggire [... ] Plotino e Origene, e anche Porfirio e Giam-
blico e i loro successori [... ) fino a Plutarco d'Atene - di cui Ierocle dice

29
che è stato suo maestro in simili dottrine - tutti questi concordano con
la filosofia di Platone» 49• Dunque da Ammonio in poi i filosofi migliori,
quelli che Ierocle chiama "di stirpe divina - Ti'jç U:paç yevedç" come
Ammonio stesso, che anzi è �eo&i&aK'toç, concordano nel ritenere che
la filosofia di Aristotele è sostanzialmente conforme a quella di Platone,
hl contrario della folta schiera dei filosofi prima di Ammonio i quali
hanno cercato con tutte le macchinazioni possibili di metterli in conflit­
to so.
Il cod. 25 1 della Bibliotheca di Fazio contiene, accanto a estratti dal
II e dal III libro del 1tepi 1tpovoiaç, delle evidenti conferme di tali opinio­
ni storiografiche di Ierocle nonché la ribadita sua convinzione che «molti
discepoli di Platone e di Aristotele hanno impiegato il loro zelo e il loro
lavoro nel mettere in contraddizione i loro maestri a proposito delle loro
dottrine principali [... ] E tale sciagura ['tOU'tO 'tÒ 1t<i�oç] non cessò di
imperversare nelle scuole filosofiche fino ad Ammonio di Alessandria,
il discepolo di dio» 51• Fin qui Ierocle. Ma è mai credibile che sia stato
Ammonio Sacca a teorizzare per primo l'unità delle dottrine di Platone
e di Aristotele? Noi sappiamo dalla testimonianza di Cicerone - in que­
sto fonte piu credibile di Ierocle, per essere stato discepolo di Antioco
di Ascalona - che quest'ultimo era stato il primo platonico a sostenere
questa teoria: Platonis autem auctoritate, qui varius et multiplex et co­
piosus fuit, una et consentiens duobus vocabulis philosophiae forma
instituta est Academicorum et Peripateticorum, qui rebus congruentes
nominibus differebant. Nihil enim inter Peripateticos et illam veterem
Academiam differebat, abundantia quadam ingenii praestabat, ut mihi
quidem videtur, Aristoteles, sed idem fons erat utrisque et eadem serum
expetendarum fugiendarumque partitio 52• Non conosceva Ierocle questa
dottrina di Antioco? Può darsi. Ma sta di fatto che la sua ricostruzione
della tradizione platonica e aristotelica non risponde a verità.
Ma noi sappiamo che, oltre ad Antioco di Ascalona, anche Porfirio
ha sostenuto la tesi dell'unità del pensiero platonico e aristotelico, che è
appunto il titolo di un suo scritto perduto in sette libri, tanti quanti ne
conta il 1tepi 1tpovoiaç di Ierocle. Possiamo dubitare che Ierocle conosces­
se questo scritto di Porfirio? Difficilmente. Egli colloca Porfirio tra i
successori di stirpe divina di Ammonio, di cui seguono la dottrina del­
l'unità tra Platone e Aristotele, e tanto basta a creare sospetti. Ma Ierocle
doveva sapere anche che Platino non poteva trovarsi d'accordo con il

30
suo maestro Ammonio, dal momento che criticava vivacemente Aristo­
tele, ne respingeva alcune delle dottrine «importanti e piu necessarie>>,
come ad esempio quella delle categorie, e poneva Platone molto al di
sopra di Aristotele. Se si rigetta poi - come sembra ragionevole - la tesi
di Theiler, secondo la quale Ierocle avrebbe conosciuto direttamente
l'insegnamento di Ammonio attraverso la co/lectio Ammonii scholarum
di cui parla Prisciano Lydo nelle sue Solutiones ad Cosroem, lezioni che
sarebbero state raccolte da quel Teodoto, diadoco platonico che incon­
triamo in Longino, ap. Porph. VP 20, 40, allora è altamente probabile
che la fonte di Ierocle sia appunto lo scritto perduto di Porfirio 1tEpi 'tOÙ
Jliav dvat nìv 11M'trovoç Kai 'Aptcr'to'téì..ouç atpEmv.
Ilsetraut Hadot, con cui concordo in tutto ciò, spiega cosi la ragione
per cui Ierocle avrebbe evocato il nome di Ammonio in questo contesto.
«Dison tout d'abord que si Hiéroclès nomme Ammonius, cela n'impli­
que pas nécessairement, comme le veut Theiler, une connaissance perso­
nelle de l'einsegnement d'Ammonius [ ... ] On peut aussi bien, et avec
plus de vraisemblance encore, émettre d'autre hypothèses, comme par
exemple celle-ci qui n'est peut-etre pas la seule probable, mais qui est
une des explications possibles: Hiéroclès ne suivrait-il pas tout simple­
ment, dans son récit historique, le traité de Porphyre Sur l'unité de la
doctrine de Platon et d'Aristate? Ne serait-ce pas Porphyre lui-meme qui
désignait Ammonius Saccas comme le premier tenant de cette thèse, de
la meme manière qu'il avait ailleurs mentionné ce meme Ammonius,
maitre de Plotin, comme auteur d'un dogme très important concemant
l'union de l'ame avec le corps? D'ailleurs Plotin lui-meme, d'après Por­
phyre, prenait com me base de sa philosophie l'enseignement d'Ammo­
nius [... ] Mais il [Porphyre] n'aurait pas pu attribuer à Plotin un ròle
actif dans la tendance à harmoniser les doctrines aristoteliciennes et
platoniciennes; il semble qu' Ammonius se pretait mieux à une telle inter­
prétation)) 53•
In conclusione, se da una parte è piu che probabile che la fonte di
Ierocle sia Porfirio e, d'altra parte, appare chiaro da Fozio e dai suoi
estratti che la tesi di Ierocle era che Aristotele concordava con Platone
non soltanto nella dottrina della provvidenza e dell'immortalità dell'ani­
ma, ma anche sul terreno della fisica (uranologia e cosmologia) e delle
teorie «principali e piu necessarie)), allora è da ritenere altamente proba­
bile che nell'opera perduta Sulla identità di dottrine tra Platone e Aristate-

31
le, Porfirio giudicava che storiograficamente la au�<prov{a e l'unità tra
Platone e Aristotele andasse ben al di là della semplice complementarità
logico-metodologica tra le due filosofie e coinvolgesse le fondamenta
teorico-metafisiche stesse della duplice - ma al tempo stesso unitaria ­
tradizione platonico-peripatetica. Stava qui il nodo teoretico dell'opera­
zione compiuta da Porfirio, intesa a innestare organicamente - e non
piu rapsodicamente - l'aristotelismo nel corpus e nel curriculum studio­
rum del neoplatonismo.

32
NOTE

1 Ai seguenti dialoghi: Crati/o, Pedone, Parmenide, Sofista, Fi/ebo, Repubblica e Ti­


meo.
2 Isagoge alle Categorie, Commentario alle Categorie, Commentario alle Categorie
per domanda e risposta, Introduzione ai si/logismi categorici, Commentario al De Interpre­
tatione, Commentario ai Primi Analitici, Commentario al De A nima, Commentario alla
Fisica, Commentario alla Metafisica Libro A, Commentario all'Etica.
3 Cf. R. Wallis, Neoplatonism, (London 1 972) 45.
4 Cf. Aristot. De cae/. . A 3.
5 Sono coinvolti infatti nella critica non soltanto Aristotele e gli stoici, ma anche i
peripatetici, o .almeno la maggior parte di loro. I tre soggetti di tale attacco sono esplicita­
mente distinti dallo stesso Plotino: oi jltv OéKa - Aristotele; oi & EÀ.dnco - Stoici; oi w{co
tolhcov - Peripatetici, almeno quelli confutati da Dexippo. Cf. Enn. VI l (42) l , 1 1 - 1 3 e
relativo apparato critico.
6 Cf. Ariste t. Phys. d I l , 2 1 9 b 2 ss.
7 Enn. VI 7 (38) 40, 38 ss.
8 Cf. Aristot. Metaph. A 7, 1072 b 2 1 : taòtòv voiiç Kai VOT)t6v.
9 La sottolineatura è mia.
1 0 Forse per la ragione di cui parla Porfirio: nove trattati sono stati scritti quando già
gli venivano meno le sue energie ( VP 6,35). Ma questo vale piuttosto, soggiunge Porfirio,
per gli ultimi quattro, e quindi non per il 49.
1 1 1 Cf. J. Igal, La cronologia de la Vida de Platino de Porfirio (Deusto 1 972) 1 26.
1 2 Enn. I l (53) 4, 1 0- 1 2.

1 3 Porph. VP 1 4
1 4 A.H. Armstrong, Plotinus (Cambridge 1 940, rist. Amsterdam 1 967) 6.
1 5 Armstrong, ibid.
16 Ibid., p. 7
1 7 Cf. Platino e il neoplatonismo in Oriente e in Occidente (Roma 1 974) 31 ss.
18 Cf. Enn. V 3 (49) 5, 28-3 1 .
1 9 I l titolo vero - cosi come è stato ricostruito dal Busse - è questo: Tiopcpupiou

dcraycorr'l toi3 <l>oivtKoç toi3 11aih]toii ID..convou toi3 AVICo1to/.{tou. Nel titolo, come si vede,
non compare dç tàç ' AptcrtotÉÀOuç KatTJyopiaç, che invece si trova nelle prime linee del
testo: «Ovtoç civaYKaiou, Kpooa6pu:, Kai Eiç TI) v téii v 1tapci 'Apun:otÉÀ.Et KatTJyoptéiiv 61.00-
0"ICaA{av 'tOU yvéiivat n yévoç Kai n lìlO.IpOpci IC'tÀ>�.
20 Questo secondo titolo è testimoniato da alcuni mss. come aggiuntivo al titolo princi­
pale Tiopcpup{ou dcraycoyfJ.

33
2 1 a. Porph. lsag. l , 1-6 Busse. Cf. anche Arist. Top. A 4-5, dove si trova esplicitamente
la dottrina aristotelica delle voces. Che queste voces siano poi gli elementi delle definizioni
è chiarito da Mario Vittorino, Liber de definitionibus, 8, 34-9, 1 3 (riprodotto in P. Hadot,
Marius Victorinus (Paris 1 97 1 ) 338-339).
22 Kai 'tOOV tvatacrECilV 1taO"OOV À.OOEtç ( ... ] 1t0llà Kai 'tOOV l:'tffilKOOV tJC&t 00yl!li'tffiV Ka'tà
Tiiv Kotvffiviav 'toii MSyou 1tpomatop&v (Simpl. Cat. 2, 6 ss. Kalb.).

23 Cf. Simpl. Cat. l , 1 8-2, 5 Kalb. Dell'atteggiamento di Plotino ovviamente Simplicio


nasconde l'aspetto polemico, che noi abbiamo già visto nell'esame di Enn. VI 1-3. È un
omaggio oltre che al ID..cotivoç lit 6 jliyaç (2, 3 Busse), forse anche al maestro di Porfirio,
che in questo stesso contesto Simplicio chiama 6 1taV'tffiV 1'!11tv 'tOOV KaUòv alnoç (2, 5-6 Kal­
bfleisch).

24 Cf. nota 5.
25 Cf. A.H. Armstrong, The Background ofthe Doctrine "That the lntellegibles are not
outside the lntellect", Entr. Hardt 5 ( 1 960 ( 1 957]) 393-425.
26 Procl. Th. Plat. I IO, 1 8 S-W.
27 K. Praechter, Die griechischen Aristoteleskommentare, cit., 520. Cf. ibidem, p. 52 1 ,
l'opinione di Praechter secondo la quale Porfirio rompe col tentativo compiuto dal medio­
platonismo di utilizzare la logica aristotelica subordinandola a Platone.

28 Albin. Prologos 1 49, 17 Hermann.


29 Anon. Proleg. 2 1 9, 26 s. Hermann - c.26, 1 2 s. Westerink.
30 Ho cercato di mostrare altrove (Porfirio di Tiro. Filosofia e cultura nel III secolo
d. C., Catania 1 979) quale fu il reale contributo di Porfirio allo sviluppo del platonismo
del III secolo (Plotino). Per la collocazione di Porfirio nel platonismo dei secoli successivi,
cf. A. Smith, Porphyry's Piace in Neoplatonic Tradition (The Hague 1974).

31 J. Bidez, Vie de Porphyre (Gent 1 9 1 3) 69•.


32 Les Etudes Classiques 6 ( 1 937) 1 6 1 s.
33 R. Beutler, Porphyrios, RE XXII l ( 1 953) 289.
34 H.-R. Schwyzer, Plotin, RE XXI ( 1 95 1 ) 582.
3S Cf. Paul Moraux, Der Aristotelismus bei den Griechen, I (Berlin-New York, 1 973)
172-176: «Der Umstand, dass Porphyrios im Fr. 6 die aristotelische Entelechie-Lehre
angreift und im Fr. 7 den Vorgleiche der Seele mit der Schwere und sonstigen Qualitàten
der Korper in sehr scharfer Form kritisiert, beweist auch nicht, dass seine Schrift gegen
einen Peripatetiker gerichtet war [ ... ] Nur dem Stoiker, dessen Thesen uber die Seele
Simplikios und Macrobius anftihren, und nicht dem Peripatetiker Boethos galt die au­
sftihrliche Widerlegung durch PorphyrioS» ( 1 76).

36 H. DOrrie, Porphyrios' Symmikta Zetemata (Munchen 1 959 [- Zetemata 20]) 9-1 1 .


37 Cf. P . Moraux, Der Aristotelismus etc. I 1 38 s. Di questo trattato si è fatta un'edizio­
ne critica ad opera di X. Kreuttner e C. Schuchhart in due Diss. di Heidelberg distinte
degli anni 1 883 e 1 884.

38 P. Moraux, Der Aristotelismus etc. I 93: <<Die Angaben des Porphyrios ilber die

34
editorische Tiitigkeit des Andronikos haben sich im grossen und ganzen als richtig erwiesen.
Den antiken Verzeichnissen aristotelischer Schriften lassen sich niimlich lndizien entne­
hmen, die diese Angaben in wesentlichen Punkten bestiitigen. Andronikos hat z. B. ldeinere,
vor ihm noch selbstiindige Abhandlungen zu gròsseren Traktaten vereinigt, und manche
dieser Traktate hat er mit neuen Titeln versehen».
39 Ibidem.
40 Cf. P. Moraux, Der Aristotelismus, etc. I 97 ss. Cf. anche H. Dòrrie, KlPauly I 349,
31 ss.
41 Cf. P. Moraux, Der Aristote/ismus, etc. I 79. Cf. pure l. During, Aristotle in the
biographical tradition (Gòteborg 1 957) 447.
42 P. Moraux, Der Aristotelismus, etc. I 45 ss.
43 Boeth. De Divisione, PL 64, 875 D ss.
44 A me sembra che Moraux sia riuscito a confutare su questo e altri punti l'opinione
contraria di altri studiosi, tra cui specialmente During, i quali ritengono che la ota{p&m.ç
neoplatonica presupponga un modello scolastico e non risalga al di là del V o IV secolo.
Cf. P. Moraux, Der Aristotelismus, etc. I 70 ss.
4S Non si dimentichi che Plotino aveva accolto le critiche anti-aristoteliche di Nico­
strato, che del fronte del rifiuto di Aristotele era stato uno dei piu convinti assertori.
46 Cf. Phot. Bibl. , ed. R. Henry (Paris 1 959 ss.)
47 Phot. Bibl. , cod. 2 1 4, 1 7 l b 33-38 - III 1 2 5 Henry. La trad. ital. è mia. Cf. la
traduzi �ne francese dello stesso Henry e di Ilsetraut Hadot, Le problème du Néoplatonisme
alexandrin. Hiéroclès et Simplicius (Paris 1 978) 68.
48 Phot. Bibl. cod. 2 1 4, 1 7 1 b 38 ss. - III 1 25 - 1 26 H.
49 Phot. Bibl. cod. 2 1 4, 1 7 3a 1 8-40 - III 129-1 30 H.
so Cf. Phot. Bibl. cod. 2 1 4, 1 73a 30-32 - III 129 H.
S I Phot. Bibl. cod. 25 1 , 46 1 a 24-32 - VII 1 9 1 H.
52 Cic. Lucullus l 7- 1 8.
53 l. Hadot, cit. ., 75-76.

35
3. IL "COMMENTARIO ALLA FISICA" DI PORFIRIO

3. 1 . Stato del testo

3. 1 . 1 . Le fonti

La fonte principale - forse unica, almeno allo stato delle nostre


conoscenze 1 - di ciò che ci resta del Commentario di Porfirio alla Fisica
aristotelica è Simplicio, che nel suo Commentario agli otto libri della
Fisica 2 ne riferisce numerosi e ampi frammenti accompagnati da parafra­
si, testimonianze e discussioni critiche. Quasi tutti i riferimenti di Simpli­
cio a Porfirio sono contenuti nel commentario ai primi quattro libri della
Fisica, corrispondente al vol. I dell'edizione Diels. Il libro A fa la parte
del leone con il maggior numero di riferimenti, circa i 2/3 del totale.
Seguono con un peso piu o meno uguale i libri BrdE. Tale sproporzione
induce a pensare - come vedremo - che Porfirio (o meglio l'utilizzazione
che Simplicio ne fa) aveva dato molto peso ad alcuni particolari problemi
della fisica aristotelica. Uno di essi è ad esempio quello relativo alla
critica aristotelica della teoria eleatica dell'Essere-Uno contenuta in Phy­
sica A 2. Il capitolo 2 del libro A, infatti, è oggetto di ben dodici frammen­
ti, il maggior numero in assoluto dei riferimenti di Simplicio a Porfirio
relativamente ad uno stesso capitolo della Fisica. Porfirio quindi deve
avere insistito molto sulla critica di Aristotele agli Eleati e questo si può
spiegare con l'enorme importanza che il problema dell'Uno aveva per i
platonici di età tardoantica, importanza corrispondente storicamente e
scolasticamente al ruolo preminente che da Porfirio in poi venne assunto
dal Parmenide platonico nella paideia e nella tradizione neoplatoniche
dei secoli IV-VI d.C. La conferma di ciò sta nel fatto che secondo Porfirio
- stando alla testimonianza di Simplicio - la soluzione data da Aristotele
al problema eleatico dell'Essere-Uno, e cioè la teoria secondo cui tanto
l'uno quanto l'essere si dicono 1toUaxéi>ç e non J.LOvaxéi>ç, - soluzione

37
che giustamente Porfirio colloca all'interno della distinzione aristotelica
tra potenza e atto -, ricalca la soluzione che Platone dà nel Parmenide
al problema dell'uno e dei molti, e cioè la presenza nell'ente concreto
dell'uno (sostanza) e dei molti (accidenti) 3•
Per quanto riguarda la natura filologica delle fonti di cui trattiamo
e in particolare a proposito della domanda - in verità oggi molto proble­
matica e sotto certi aspetti quasi inattuale 4 - se si tratti di "frammenti"
o di "testimonianze" ovvero in quale misura si abbia a che fare con fonti
dell'uno o dell'altro tipo, occorre dire subito e in via pregiudizialmente
metodologica che le vere e proprie citazioni del testo del Commentario
di Porfirio sono circa un terzo dei passi da me raccolti e che i rimanenti
luoghi sono testimonianze che spesso possono essere ritenute parafrasi
piu o meno compendiose. Tra le testimonianze-parafrasi si annovera il
piu lungo passo che Simplicio dedica a Porfirio, e cioè quello contenuto
nelle pp. 92-95 dell'ed. Diels, che - come vedremo nel Commentario ­
lo stesso Simplicio giudica <rn:O\)Ofjç �ta e che è una delle due sole
occasioni in cui Porfirio è chiamato cpiÀOGocpcò'ta·taç 5• I frammenti veri
e propri sono dunque circa la metà delle testimonianze. Ma vediamo in
quale rapporto qualitativo-contenutistico stanno i due raggruppamenti
di testi.
Di quelli che possiamo considerare frammenti veri e propri - cioè
citazioni del testo perduto di Porfirio - cinque trattano degli Eleati (del
discorso di Aristotele sugli Eleati, ovviamente) e otto-nove di teorie e
concetti propri di Aristotele. Questi ultimi sono si piu numerosi dei
primi, ma due o tre riguardano questioni di tradizione del testo aristoteli­
co o comunque questioni puramente filologiche. Le testimonianze, inve­
ce, abbracciano un piu ampio ventaglio tematico e precisamente si occu­
pano di filosofi presocratici (del discorso di Aristotele sui presocratici,
ovviamente), di Platone e dei platonici e ovviamente anch'essi di teorie
e concetti propri di Aristotele. La maggior parte tuttavia, circa ventuno
su trentatré, contengono questioni, solo ermeneutiche, relative ai preso­
cratici e ai platonici, mentre quelli che si riferiscono a questioni esclusi­
vamente afferenti a teorie aristoteliche quasi una metà, cinque o sei,
vertono, ancora una volta, su problemi di tradizione del testo e comun­
que di natura filologica. In conclusione, quindi, la maggior parte delle
fonti non riguardano la filosofia di Aristotele, ma il pensiero di lui sui
predecessori; e una buona metà dei testi che hanno come oggetto sempli-

38
cemente il pensiero di Aristotele (cioè la sua dottrina fisica) sono concen­
trati su questioni filologiche. Tutto sommato, l'interesse di Porfirio appa­
re orientato prevalentemente su problemi di storiografia o, meglio, di
dossografia aristotelica sui prearistotelici - soprattutto sugli Eleati -
nonché su problemi di filologia del testo della Fisica. È allora opportuno
a questo punto dire qualcosa su una possibile classificazione di merito
delle fonti di cui trattiamo.
È possibile anzitutto dare un taglio verticale secondo un criterio che
distingua tutte le fonti in tre gruppi. Il primo cQmprenderebbe tutti quei
luoghi del Commentario di Simplicio in cui il frammento o la testimo­
nianza di Porfirio appare come esegesi. Il secondo gruppo comprendereb­
be le fonti in cui il fr. o la test. appare come ermeneusi. Il terzo gruppo
comprenderebbe le fonti in cui si tratta di semplice filologia del testo
aristotelico. Alla prima classe che designeremo con A appartengono una
ventina di fonti; alla seconda, che designeremo con B, appartengono una
quindicina di fonti; alla terza classe, che designeremo con C, appartengo­
no una decina di fonti. Le classi A e B, però, potrebbero essere tagliate
orizzontalmente secondo un criterio che distingua la natura dell'esegesi
e dell'ermeneusi in pura o storica. In tal modo otterremmo il seguente
quadro:

Al A2
A Esegesi pura Esegesi storica

Bl B2
B Ermeneusi pura Ermeneusi storica

Filologia
c

39
Occorre subito chiarire che cosa io intendo in questa classificazione per
esegesi pura o storica, per ermeneusi pura o storica e per filologia; lo
faccio con degli esempi concreti. La fonte 1 5 ad esempio (non si fa qui
distinzione tra F e T) riguarda la critica che Aristotele muove a Melisso,
il quale cadrebbe nell'assurdo dicendo che ogni cosa - ad eccezione del
tempo e del divenire assoluto - ha un principio (un cominciamento),
come se, osserva Aristotele, non ci potesse essere un mutamento istanta­
neo o tutto d'un colpo (at}p6a Jl.E'taj3oA.i) Phys. A3, 1 86a 1 5- 1 6). Ci sono
=

infatti, obietta Aristotele, delle cose che mutano tutte d'un sol colpo,
come accade nella condensazione di un liquido. Ora Porfirio - stando
alla testimonianza di Simplicio - ha cercato di spiegare il significato
preciso che in questo luogo della Fisica Aristotele avrebbe il termine
at}p6ov, significato che sarebbe secondo Porfirio lo stesso che axpovov.
Simplicio continua dicendo che Porfirio sbaglia, giacché il senso di
at}p6ov coinvolge il tempo e non significa affatto "fuori del tempo", ma
semplicemente "che accade nello stesso tempo, simultaneamente, ÒJ.l.Où".
Siamo in questo caso in presenza di una pura esegesi porfiriana di un
testo aristotelico.
La fonte 20, invece, si riferisce a uno degli argomenti eleatici intesi
a mostrare che l'essere è uno, precisamente l'argomento della dicotomia.
In questo caso Porfirio - secondo la testimonianza di Simplicio (che
nella fattispecie è un vero e proprio frammento del Commentario porti­
riano alla Fisica aristotelica) - fa si l'esegesi del testo aristotelico che
riproduce l'argomentazione eleatica della dicotomia, ma al contempo
espone dettagliatamente, cioè riproduce e ricostruisce storicamente, il
discorso degli Eleati in proposito e per giunta accenna alle osservazioni
su di esso fatte da Senocrate. In questo caso, dunque, ci troviamo in
presenza di un'esegesi storica di un testo di Aristotele. Ed ecco ora due
esempi di ermeneusi, pura e storica.
La fonte 7, ad esempio, riguarda la &taipemç (articolazione del di­
scorso aristotelico, ovvero le varie aporie) che Aristotele fa in Phys. A2,
1 85b5 ss., quando prende ad esaminare le varie opinioni secondo le quali
l'essere si dice uno. In questo luogo, dice Simplicio, Aristotele adopera
una Otaipemç che è propria dell'uno e che quindi è ben distinta dalla
Otaipemç propria dell'essere. Porfirio invece - continua Simplicio - dà
un'interpretazione secondo la quale la Otaipemç delle aporie che Aristote­
le espone relativamente all'uno è perfettamente corrispondente a quella

40
relativa all'essere. Infatti, sostiene Porfirio, "anche l'uno ha molti signifi­
cati, e anzitutto tanti quanti ne ha l'essere, etc.". È chiaro che in questo
caso il commento di Porfirio - stando almeno alla testimonianza di
Simplicio, che qui riferisce un frammento del testo porfiriano - altro
non è che un tentativo ermeneutico puro e semplice di un discorso, o
meglio di una serie di argomentazioni diairetiche che Aristotele fa sul­
l'uno e i suoi molteplici significati. È questo che io classifico qui, per
convenzione, come "ermeneusi pura" da parte di Porfirio.
Se prendiamo, invece, la fonte 25, ad esempio, dove si tratta delle
critiche che Aristotele muove al principio dell'cim:tpov secondo Anassa­
gora, troviamo che Porfirio - secondo la testimonianza di Simplicio -
intende l'argomentazione di Aristotele sull'cin&tpov anassagoreo come
un discorso che coinvolge non solo Anassagora, ma anche Leucippo,
Democrito, Metrodoro e tutti coloro che dicono che i principi sono
infiniti. In questo caso, quindi, ci troviamo in presenza di un'ermeneusi
che si muove sul piano storico, che va cioè al di là della pura interpreta­
zione (non spiegazione) di un passo di Aristotele e che attribuisce a
questo un intendimento critico ben preciso relativamente a tutti i cosid­
detti "infinitisti" presocratici.
Se vogliamo, infine, fare qualche esempio di fonte che io classifico
come "filologia", un testo cioè del commentario porfiriano alla Fisica in
cui Porfirio non si preoccupa né di spiegare né di interpretare le parole
di Aristotele o di altri a cui Aristotele si richiama, ma si limita semplice­
mente a fare delle questioni filologiche, o di tradizione o di emendazione
del testo aristotelico, allora possiamo prendere, ad esempio, la fonte 37,
dove Simplicio riferisce che Porfirio - a proposito dell'espressione aristo­
telica 'tÒ 5& 5uv«il.l.&l Kai. èv't&À.&X&iQ., di Phys. r l ' 200b26-27 - corregge
la punteggiatura del testo fatta da Alessandro di Afrodisia, spostando la
virgola da dopo èv't&À.&X&{Q. a prima di Kai, in maniera tale che appaia
come Aristotele, secondo Porfirio, contrapponesse ciò che è in potenza
a ciò che è in atto.
Altro esempio. La fonte 32 tratta del commento al testo di Phys. B l ,
1 92b2 1 -22 o\J<TT) ç Ti;ç cpucr&wç ciPXfjç nvòç Kai ai't{aç 'tOÙ nv&tai}at Kai
TJP&I.l.&tv. Porfirio, riferisce Simplicio, sosteneva che il Ka{ che congiunge
filologicamente ciPXiiç nv6ç e ainaç non può essere accettato e che al
suo posto va sostituito un �. giacché - ragionava Porfirio - alcune cose,
come il fuoco, si muovono sempre per natura (movimento eterno) e non

41
sono quindi mai in quiete.
È del tutto evidente che in questi due ultimi esempi Porfirio si rivela
come un commentatore preoccupato esclusivamente di emendare il testo
tràdito o di renderlo piu comprensibile per via di operazioni di natura
prettamente filologica, anche se - come accade sempre in simili casi -
l'intervento del filologo coinvolge il senso del discorso o addirittura ne
è conseguenza voluta.
Per concludere, la classificazione che qui si propone ha il solo scopo
di sceverare le diverse "intenzioni" storiografiche (esegetiche, ermeneuti­
che, filologiche) di Porfirio commentatore della Fisica aristotelica, cosi
come appaiono dalla testimonianza di Simplicio, ed è quindi uno stru­
mento metodologico di tipo e valore convenzionali. La classificazione
delle fonti lascia, in ultima analisi, impregiudicato il problema del senso
e della portata storica del Commentario perduto porfiriano, senso e por­
tata che vanno ricercati in altre analisi di segno piu concretamente stori­
co-filosofico, quale ad esempio l'analisi sull'origine e la destinazione di
questo scritto porfiriano.

3. 1 .2. Il rapporto con Eudemo, Nicola, Alessandro e Temistio

Non sempre la testimonianza di Simplicio sul Commentario alla


Fisica di Porfirio si presenta isolata e priva di rapporti con altri Com­
mentari alla stessa Fisica; anzi spesso Simplicio collega, e talora intreccia,
l'opinione di Porfirio con quella di altri commentatori. Tra questi occu­
pano un posto di rilievo Alessandro e Temistio; ma compaiono anche
Eudemo e Nicola di Damasco.
I rapporti tra Porfirio e Alessandro - almeno nella ricostruzione che
ne fa o suggerisce al lettore Simplicio - sono presenti nelle fonti 4, 5,
1 8, 22, 24, 35, 37, 39, 40, 41, 42, 46 e 48. Un numero notevole di luoghi,
dunque, in cui le opinioni esegetiche di Porfirio ora concordano ora non
concordano con quelle del suo piu famoso predecessore. La maggior
parte di queste convergenze o divergenze di Porfirio da Alessandro con­
cernono questioni filologiche. Qualche esempio.
Simpl. Phys. 70, 1 1 ss. [= 4] commenta Aristot. Phys. A2, 1 85a 1 7
ss., dove si dice che gli Eleati meritano di essere presi in considerazione

42
giacché, pur non trattando di fisica, agitano problemi che interessano la
fisica. Il testo aristotelico è où J.u)v éùJ..'ém:tol) m:pì <pocreroç IJ.ÈV où, <pum­
Kà.ç oè anopiaç cru1J.j3a{vet ÀÉ'yEtv aùtoiç K'tÀ.. Simplicio dà prima l'esegesi
di Alessandro, il quale fa due casi di punteggiatura a seconda che la
virgola stia prima o dopo "où". Nel primo caso abbiamo questo senso
del discorso di Aristotele: [... Gli Eleati] parlano di natura, anche se non
pongono problemi di fisica. Infatti essi pur negando la natura, ne parlano
e quindi meritano di entrare nella discussione sulla fisica. Su tale punteg­
giatura concorda Porfirio, il quale infatti interpreta alla stessa maniera
il pensiero di Aristotele. Segue, nel commentario di Simplicio, l'esegesi
di Alessandro relativamente al secondo caso di punteggiatura: nepì <po­
creroç IJ.ÈV où, <pumKà.ç oè cinop{aç ·K-rÀ.. In questo secondo caso il senso
del discorso di Aristotele è quest'altro: [... Gli Eleati non parlano di natu­
ra, ma trattano ugualmente di problemi fisici, quindi etc. Quest'ultima
lezione è preferita dal Ross 6, ma è contestata, ad esempio, da A. Man­
sion, il quale preferisce la prima lezione di Alessandro che corrisponde
a quella di Porfirio e che io trovo anche in Tommaso d'Aquino 7•
Simpl. Phys. 399, 1 9 ss. [= 37] commenta Aristot. Phys. r l , 200b
26 ss., dove Aristotele affronta gli assiomi preparatori della definizione
generale di movimento. Il testo aristotelico è "Ecr-rt OTJ [n] 'tÒ IJ.ÈV ÉV'tEÀ.f:­
XE{Q. 1.16vov, -rò oè ouvaiJ.Et Kaì ÉV'tEÀ.f:XEiQ.. Questa è la lezione di Alessan­
dro, secondo la quale Aristotele distinguerebbe "ciò che è solo in atto"
da "ciò che è in potenza e in atto". Porfirio, dice Simplicio, respinge
questa volta la punteggiatura di Alessandro e fa un lungo discorso per
argomentare che Aristotele distingue "ciò che è in atto" da "ciò che è in
potenza", sicché "ciò che è solo in atto" è contrapposto a "ciò che è in
potenza" e non a "ciò che è in potenza e in atto", come vuole Alessandro.
Simplicio interviene a questo punto con la sua opinione e fa dipendere
la soluzione del problema dalla presenza o meno del 1.16vov: se il testo
originario aveva questo avverbio, come attestano la maggior parte dei
codici, allora ha ragione Alessandro e torto Porfirio; se invece mancava
tale avverbio, come attestano alcuni codici, allora è possibile accettare
la punteggiatura e l'interpretazione di Porfirio.
Questi due esempi dimostrano quale fosse l'importanza delle que­
stioni filologiche per l'esegesi degli antichi commentatori di Aristotele,
e mettono in evidenza anche come Porfirio abbia sottoposto a revisione
critica la tradizione ermeneutica peripatetica servendosi di un'esegesi

43
che sfruttasse tutte le risorse della scienza del testo. Insomma Porfirio
non soggiace ad alcuna autorità nel suo Commentario alla Fisica e assu­
me atteggiamenti di concordanza o discordanza dalla tradizione peripate­
tica, nella fattispecie da Alessandro di Afrodisia, che nel III secolo dove­
va rappresentare la suprema autorità in questo campo 8, a seconda che
ritenga fondata l'interpretazione che essa di volta in volta fornisce, specie
quando si tratti di questioni di basilare importanza per la comprensione
delle linee essenziali della filosofia di Aristotele, come è il caso della
definizione del movimento come "atto di ciò che è in potenza in quanto
tale" 9•
A conferma di tale "non allineamento" dell'esegesi porfiriana rispet­
to alla tradizione peripatetica stanno quei luoghi di Simplicio in cui è
possibile analizzare il rapporto tra il commentario 10 di Temistio e il
commentario di Porfirio alla Fisica. Anche qui si verifica un'alterna
convergenza-divergenza che passa al di sopra della distinzione scolastica
tra platonici e peripatetici. Infatti Simpl. Phys. 422, 20 ss., ad esempio
[= 40], commentando Aristot. Phys. r l , 20la 27 ss., dove si chiarisce
la definizione del movimento, dice che il testo tràdito è duplice: la lezione
di Aspasia e di Temistio è diversa da quella di Alessandro e di Porfirio.
Altre volte Temistio, invece, concorda con Porfirio, come quando in
Simpl. Phys. 4 1 4, 1 5 ss. [= 39 = Aristot. Phys. r l , 20l a 10] Alessandro,
Porfirio e Temistio 1 1 concordano nello scambiare a ragion veduta - nella
definizione aristotelica del movimento - i termini ÉV'tEÀÉXEta e évépyeta,
operazione che Simplicio respinge con seria motivazione esegetica. O
come quando in Simpl. Phys. 9 1 8, 1 1 ss. [= 48], a proposito della chiusa
di Aristot. Phys. E, Temistio concorda con Porfirio nel non tenere conto
dell'aggiunta di 1 3 linee che alcuni codici fanno a E 6, 23 l a 4 e che
Simplicio commenta seguendo l'esempio di Alessandro, che pure cono­
sce la discrepanza su questo punto dei manoscritti. In sostanza, il rappor­
to tra Porfirio e Alessandro e tra Temistio e Porfirio si presenta in un
quadro di "libera concorrenza" esegetica, rivelando un fatto importante
per la storia del commentario neoplatonico, e cioè che i moduli interpre­
tativi adoperati dai filosofi tardoantichi nella loro attività commentaria
- e di riflesso nel loro insegnamento - prescindono da vincoli di scuola
o tradizione e dipendono esclusivamente dall'intelligenza filologica e
filosofica di ciascun commentatore.
Accanto ad Alessandro di Afrodisia e a Temistio, che Simplicio cita

44
spesso assieme a Porfirio, altri due peripatetici piu antichi sono messi a
confronto con Porfirio nella testimonianza di Simplicio sul Commenta­
rio alla Fisica porfiriano. Si tratta di Eudemo e di Nicola di Damasco.
Il primo è citato da Simplicio a proposito del problema della divisione
tradizionale, che sembra risalga allo stesso Aristotele, degli otto libri della
Fisica a seconda del loro contenuto.
Simpl. Phys. 80 l , 4 ss. [ 45 = Proemio al libro V] scrive che Aristote­
=

le, dopo avere insegnato [libro III] che movimento è la stessa cosa che
mutamento, tanto che egli adopera i due termini indifferentemente 12,
intende nel libro V definire e mostrare che mutamento è nozione univer­
sale e movimento nozione particolare, che cioè mutamento è genere della
specie movimento. Il discorso sul movimento, dunque, contenuto nel
libro V è collegato con quello sul mutamento, anzi ne è la continuazione.
Perciò Aristotele e i suoi seguaci, conclude Simplicio, annoverarono an­
che questo libro V tra i cosiddetti libri di Fisica dei principi, mentre
chiamarono i rimanenti tre libri (VI-VIII) Fisica del movimento. Non
capisco, quindi, continua Simplicio, per quale ragione Porfirio, pur af­
frontando elegantemente (q>lÀoKt:U.roç) la questione della divisione dei
libri della Fisica e pur sapendo che tutti 1 3 chiamano i primi cinque libri
"Fisica" e gli altri tre "Sul movimento", affermò nondimeno che del
movimento trattano gli ultimi quattro libri, cioè i libri dal quinto all'otta­
vo. Ora, andando avanti, Simplicio nel Proemio al libro VI (p. 923, 7-8),
tornando sullo stesso argomento della divisione dei libri della Fisica,
chiarisce che tra i peripatetici che seguono Aristotele in questa divisione
ci sono, prima ancora di Andronico, Eudemo e Teofrasto. Infatti que­
st'ultimo, rispondendo a una lettera di Eudemo che gli chiede spiegazioni
su un codice manoscritto del V libro che gli sembra erroneo, risponde
che quei passi della Fisica su cui Eudemo chiede il suo parere o non
riesce a comprenderli bene o essi presentano una differenza insignificante
rispetto al testo tràdito. Segue la citazione di Phys. E 2, 226b 1 4- 1 6.
Quindi, conclude Simplicio, Teofrasto ritiene che il libro V appartiene
ai libri che vanno sotto il nome di Fisica. Della stessa opinione si capisce
che doveva essere Eudemo. Porfirio seguiva tale tradizione, ma anche
qui con una certa libertà di interpretazione, tanto da meritare il rimpro­
vero di Simplicio. Il qusale però non è esente neppure lui dallo stesso
"vizio", giacché oscilla a proposito di questa divisione dei libri della
Fisica. Infatti, mentre nel Commentario alla Fisica, luoghi citati 1\ divi-

45
de con la tradizione i primi 5 libri dagli altri 3, nel Commentario al de
cae/o 226, 1 9-23, forse sotto l'influenza dello stesso Porfirio, dà una
divisione 4+4, attribuendo tale suddivisione nientemeno allo stesso Ari­
stotele.
Sul rapporto Porfirio-Nicola di Damasco, infine, Simplicio in due
luoghi presenta una loro concordanza a proposito di Diogene di Apollo­
nia. Simpl. Phys. 1 49, 1 3 ss. e 1 5 1 , 2 1 ss. [= 22-23] riferisce infatti che
Porfirio attribuisce, cosi come prima di lui aveva fatto Nicola Damasce­
no, a Diogene di Apollonia l'opinione di cui parla senza citare nomi
Aristotele, Phys. A 3, 1 87a 1 4 ss., secondo la quale principio è qualcosa
di mezzo tra il fuoco e l'aria, ovvero qualcosa che è piu denso del fuoco
e meno denso dell'aria. L'opinione di Nicola, con la quale, secondo
Simplicio, Porfirio concorda, si trova espressa nel trattato "Sugli dei",
opera che doveva vertere certamente sulla teologia naturale dei primi
filosofi, come testimoniano altri frammenti di Nicola 1 5 • È da notare che
in questa occasione Simplicio (Phys. 1 5 1 , 23-24) chiama Porfirio "il piu
dotto dei filosofi" [6 7tOÀ.UIJ.atMo'ta'toç 'tÒ>V q>l.À.O<J6q>rov], appellativo che
non può significare altro, in tale contesto, se non che il maestro neoplato­
nico aveva una perfetta conoscenza della storia della filosofia e nella
fattispecie della filosofia aristotelica e della tradizione commentarla su
di essa. Probabilmente le notizie su Nicola Simplicio le trovava nello
stesso Porfirio, come sospetta Moraux 1 6•
Da questo quadro di testimonianze comparate sul Commentario
alla Fisica di Porfirio risulta chiaro il ruolo che esso ha svolto nella
ricostruzione che Simplicio ha tentato di fare della secolare tradizione
commentarla intorno alla Fisica aristotelica: il ruolo di Porfirio non
risulta - anche dagli scarsi frammenti conservatisi - inferiore a quello
esercitato dai piu grandi commentatori che lo hanno preceduto o seguito,
da Eudemo allo stesso Simplicio. A parte Eudemo, la cui grande opera
sulla Fisica non è da considerarsi un vero e proprio commentario ad
Aristotele, anche se a Eudemo si deve la piu antica recensione del testo
7
della Fisica di Aristotele 1 , l'unico commentatore della Fisica che in
Simplicio supera in numero di citazioni Porfirio è Alessandro di Afrodi­
sia. Gli restano di gran lunga al di sotto tutti gli altri commentatori,
Andronico di Rodi, Boeto di Sidone, Adrasto, Aspasio, Nicola di Dama­
sco, Temistio, nonché gli anonimi è/;11YI')'tai e Ù7tOIJ.VT)IJ.ano'tai che talora
compaiono in Simplicio. Ma è significativo il fatto che è proprio con

46
Alessandro che Simplicio mette piu frequentemente in rapporto Porfirio.
In conclusione, l'esame comparativo tra la testimonianza di Simplicio
su Porfirio commentatore della Fisica e quella sugli altri commentatori
dimostra che l'opera perduta di Porfirio ha esercitato una funzione scola­
stica e storiografica di notevole livello lungo la tradizione esegetica delle
scuole neoplatoniche, se Simplicio, che arriva per ultimo ha potuto con­
servare una cosi larga e significativa traccia.

3. 1.3. Il rapporto con Simplicio

Se è importante e significativo il fatto che nella testimonianza di


Simplicio il commentario di Porfirio si presenti spesso intrecciato o
comunque collegato con quello di altri commentatori, soprattutto di
Alessandro e di Temistio, altrettanto importante e significativo è, d'altra
parte, il fatto che spesso Simplicio istituisca un confronto anche tra sé e
Porfirio, facendo seguire e talora intercalando all'esposizione dell'esegesi
porfiriana la sua propria esegesi o punto di vista o valutazione critica su
di essa. Almeno in una quindicina di luoghi, tra quelli in cui Simplicio
cita o si riferisce al commentario porfiriano alla Fisica di Aristotele, è
presente un tale atteggiamento critico, e il piu delle volte di netta confuta­
zione o rigetto dell'opinione di Porfirio. Sicché si potrebbe dire che,
mentre il rapporto tra Porfirio e gli altri commentatori si presenta alter­
nativamente ora sotto il segno della concordanza ora sotto quello della
discordanza e in ogni caso come rapporto di relativa autonomia dal­
l'autorità dei predecessori o successori, il rapporto tra Simplicio e Porti­
rio, invece, offre un quadro piu rigido e uniforme, quasi sempre impron­
tato a revisione critica dell'esegesi porfiriana. Questo conferma e accresce
quel carattere di reciproca autonomia tra i commentatori della Fisica
aristotelica, che solo in apparenza contraddice alla unifonrtità della apo­
rematica filologica e storico-filosofica che li accomuna. Ma vediamo
qualche esempio di atteggiamento concreto da parte di Simplicio nei
confronti della posizione esegetica ed ermeneutica di Porfirio.
Simpl. Phys. l O, 25 ss. [ 2] riferisce un frammento del commentario
=

porfiriano, nel quale sono esaminati i vari modi di intendere il "princi­


pio" secondo Aristotele. Tali modi sono quattro, secondo Porfirio: tò é!;

47
o\S, come la materia, tò Katr o, come la forma, tò u<p' o\S, come l'efficiente,
tò ot' o, come il fine. A questo punto Porfirio afferma, continuando nella
sua interpretazione di Aristotele Phys. A l , 1 84a l O ss., che quanti sono
i modi di intendere il principio, tanti sono i modi di intendere la causa,
giacché principio e causa, quanto all'oggetto, significano la stessa cosa,
anche se quanto al concetto il principio "precede" la causa. La critica di
Simplicio attacca ambedue gli assunti di Porfirio: né principio e causa
si devono intendere nello stesso numero di modi [iaaxroç], né la nozione
di principio precede la nozione di causa. Infatti, argomenta Simplicio,
mentre tutto ciò che è causa è anche principio, non tutto ciò che è
principio è anche causa, come ad esempio il principio della strada, come
inizio della strada, non è causa della strada. D'altra parte, il principio
non precede concettualmente la causa, continua Simplicio, se è vero che
la causa precede necessariamente l'effetto, mentre il principio coesiste
[ouvu7tapxet] con ciò che esso reca a compimento.
Senza entrare nel merito della validità teoretica di tale critica, balza
evidente la drasticità della confutazione delle opinioni di Porfirio da
parte di Simplicio, tanto piu che essa arriva dopo che questi ha intercala­
to tra la citazione del commentario di Porfirio e la relativa critica, una
serie di osservazioni, anch'esse critiche, a Eudemo e ad Alessandro.
Ancor piu drastica è la critica di Simplicio Phys. 80, 28 ss. [ 7] nei =

confronti della tesi di Porfirio, secondo la quale i significati dell'uno sono


tanti quanti sono i significati dell'essere [tò ev 1to'JJ...à <JT)J.I.aivet [ ... ] ocra
Kaì 'tÒ ov]. Questa volta Simplicio fa precedere alla citazione di Porfirio
la sua presa di posizione. <<Aristotele si serve qui di una divisione, scrive
infatti Simplicio, che è propria dell'uno [cioè distinta nettamente dalla
divisione propria dell'essere] e non vuole significare, io credo, ciò che
su questo punto dice Porfirio. Infatti questi dice etc. [ .. . ]. Aristotele infat­
ti, conclude SimpliCÌo, ha distinto nel modo piu preciso [àKpt�É<J'tEpov]
la divisione propria dei significati dell'essere da quelli dell'uno>>. L'opi­
nione di Porfirio non trova scampo: Porfirio fonde e confonde due Otat­
péaetç che Aristotele ha nettamente distinte nella sua argomentazione
contro gli Eleati.
Altre volte la critica di Simplicio investe l'interpretazione storiogra­
fica di Porfirio, come quando ad esempio in Simpl. Phys. 1 63, 16 ss. [ =

24] viene respinta l'attribuzione a Democrito ed Empedocle dell'espres­


sione di Aristot. Phys. A 4, 1 87a 3 1 «[alcuni chiamano il divenire] l'aggre-

48
garsi e il disgregarsi)). Aristotele intende riferire questa tesi, a giudizio di
Simplicio, non già a Democrito ed Empedocle, ma ad Anassagora, giac­
ché - come dice Alessandro - lo stesso Aristotele in GC A l , 3 1 4a 1 3
ss. rimprovera Anassagora di non essersi reso conto del significato delle
parole quando chiama alterazione il processo di aggregazione e disgrega­
zione. In questo caso Simplicio fa appello all'autorità di Alessandro di
Afrodisia per respingere l'interpretazione di Porfirio. Ma questo appello
ad Alessandro è solo un conforto per chi - come Simplicio - ha a disposi­
zione anche il testo di Anassagora, il quale nel primo libro della sua
Fisica scrive testualmente che <<il nascere e il perire sono un aggregarsi
e un disgregarsi» 1 8•
Non contento di correggere Porfirio sul piano della interpretazione
storiografica dell'opera aristotelica, Simplicio lo affronta anche su quello
strettamente filologico. Ovviamente qui la difficoltà cresce, giacché Sim­
plicio deve combattere contro un esegeta particolarmente attrezzato, anzi
contro "il piu dotto dei filosofi" - come egli stesso riconosce 1 9 -. È il
caso di Simpl. Phys. 1 92, 29 ss. [ 28], dove si critica l'applicazione della
=

coppia di contrari. eccesso-difetto, oltre che alla categoria di sostanza,


anche alle altre categorie. A proposito del discorso di Aristotele in Phys.
1 89a I l ss. sul numero dei principi contrari, se due o tre o piu: «Non è
possibile, scrive Aristotele, che siano uno solo, giacché i contrari non
possono essere uno, né che siano infiniti, giacché in questo caso l'essere
non sarebbe intelligibile, ma anche perché [ed è questo il punto che
interessa i commentatori] esiste una sola coppia di contrari in ogni genere
[J.L(a 'tE ÈVUV't(rocnç ÈV 1tUV'tÌ yÉVEt ÈV(], e la SOStanza è Un genere ['JÌ O'oùoia
&v 'tt yévoç]». «Il grande Siriano, commenta Simplicio, sostiene: "Aristo­
tele intende qui forse per genere la categoria, e dice che essa ha una sola
coppia di contrari, perché, pur essendo molte le coppie di contrari, esse
sono sussunte sotto l'unica coppia eccesso-difetto, qualunque sia ciascu­
na categoria alla quale sia appropriata. Infatti sempre il superiore dei
contrari è l'eccesso, mentre l'inferiore è difetto. Vi è dunque un eccesso
nel quanto e un altro eccesso nel quale e un altro ancora nel dove o nello
stare. Infatti, dice Porfirio 20, quanti sono i modi di essere 2 1 , tanti sono
le coppie eccesso-difetto"». Simplicio contesta questa interpretazione di
Porfirio e di Siriano, appellandosi all'autorità di Ammonio di Alessan­
dria, il quale nega che in questo punto della Fisica Aristotele parli del
yévoç in senso proprio [Kllpiroç], né del genere prossimo né del genere

49
sommo. Sicché, conclude Simplicio, il "filosofissimo" Siriano sbaglia se
intende l'eccesso e il difetto in senso proprio, giacché in questo caso la
contrarietà sarà propria della sola quantità, come il piu e il meno. In
sostanza, allora, Simplicio accusa Siriano (e di riflesso Porfirio) di non
sapere distinguere il significato del termine yévoç e di confonderlo con
quello di Ka'tT)yopia. È un'accusa grave per tutti e due i commentatori,
tanto piu perché ambedue giudicati dallo stesso Simplicio con l'uso di
aggettivi di grado superlativo: 1tOÀ.UJla�Éatatoç e <ptÀOao<protatoç.
Ma la critica sul piano della esegesi strettamente filologica trova un
altro esempio in Simpl. Phys. 206, 3 ss. [ 29], a proposito dell'espressio­
=

ne aristotelica él; illl'JÀ.Olv yevvdv riferita sempre ai contrari (Aristot.


Phys. A 6, 1 89b 2 1 ). Aristotele sostiene - a conclusione del suo discorso
sul numero dei contrari - che non possono esistere che due soli principi
contrari e un terzo principio che fa da substratum ad essi. Infatti è suffi­
ciente un solo elemento che subisca l'azione dei contrari. Se invece le
coppie di contrari fossero due, e cioè se i principi fossero quattro, allora
dovremmo supporre un secondo substratum passivo, cosa che non è
necessaria. Se poi supponiamo che le due coppie di contrari «si generano
reciprocamente», otteniamo ugualmente una sola coppia di contrari.
Ora, Porfirio interpreta questa espressione aristotelica «se si generano
reciprocamente» come se Aristotele facesse l'ipotesi che un contrario di
una coppia generi un contrario dell'altra coppia, come se ad esempio,
date le coppie di contrari "rado-denso" e "caldo-freddo", uno dicesse che
il rado genera il caldo e il denso genera il freddo. In questo caso, infatti,
basterebbe la sola coppia rado-denso. Ma Porfirio sbaglia a dare tale
interpretazione, giacché essa sarebbe logicamente conseguente [àK6ì..ou­
�ov] solo se Aristotele dicesse él; illl'JÀ.Olv yevvà�at e non, come invece
scrive, él; illl'JÀ.Olv yevvdv. Insomma, Porfirio intende una forma attiva
come se fosse una forma passiva. In sostanza - sembra dire Simplicio
- Aristotele dà il senso della reciprocità e non della passività al rapporto
delle due coppie di contrari, contrariamente a quanto sembra intendere
Porfirio.
In qualche luogo Simplicio elogia Porfirio o ne accetta l'impostazio­
ne esegetica, come ad esempio in Simpl. Phys. 73, 2 ss. [ 5], dove si
=

segue la �haipemç che Porfirio dava delle obiezioni di Aristotele contro


la teoria eleatica dell'essere-uno, e cioè la distinzione tra la critica della
tesi eleatica ex parte entis e la stessa critica ex parte unius. «Ho reso in

50
tal modo la divisione di Aristotele [cioè l'articolazione della critica aristo­
telica] e la sua obiezione su ciascuna sezione della divisione - scrive
Simplicio - seguendo in larga misura Porfirio». O come in Simpl. Phys.
97, 5 ss. [= 1 3] dove si loda Porfirio per avere «interpretato correttamen­
te» 22 l'ironia ['tò livtYJ.LÉVov] espressa da Aristotele nella parole «come se
l'uno o l'essere potessero dirsi in un solo senso, quando si sa che gli enti
sono molti>> 23• Nell'un caso e nell'altro, tuttavia, l'elogio che Simplicio
rivolge a Porfirio risulta attenuato dal confronto rispettivamente con
Alessandro e con Eudemo. Infatti nel primo caso - la "divisione" porfi­
riana dell'argomentazione critica di Aristotele contro la teoria parmeni­
dea dell'essere-uno - Simplicio trova l'opinione di Alessandro "piu accu­
rata": E1tlJ.LEÀ.Scr'ta'toç 'AMI;av8poç. Nel secondo caso - l'interpretazione
brillante di Porfirio su Aristot. Phys. A 2, 1 85b 3 1 ss. - Simplicio informa
che anche Eudemo aveva dato la stessa interpretazione che troviamo in
Porffrio. Il che dimostra ancora una volta la prevalenza dell'atteggiamen­
to "critico" e "revisionista" del commentatore Simplicio nei confronti
del commentatore Porfirio.

3.2. Tentativo di sistemazione cronologica

Simpl. Phys. 1 35, l ss. [ = 1 8] - nonostante la sua affinità di contenu­


to col fr. 93 Sodano - non appartiene, a mio avviso, al Commentario al
Timeo di Porfirio, i cui frammenti sono stati raccolti dal Sodano 24•
Quest'ultimo non tiene affatto conto di questo testo simpliciano, mentre
annovera tra i frammenti certi Simpl. Phys. 247, 30-248, 1 8 25• Simpl.
Phys. 1 35 [= 1 8], infatti, si inserisce nel testo simpliciano dopo Alessan­
dro e prima della replica ad Alessandro e allo stesso Porfirio. Questi cita
esplicitamente il Timeo (e forse il riferimento va al suo Commentario
al Timeo) e ciò non si spiegherebbe se si trattasse dello stesso dialogo
che sta commentando. Del resto è evidente che Porfirio sta trattando del
passo di Aristotele Phys. A 3, 1 87a l , dove, nella critica agli Eleati e a
tutti quelli che fanno loro una qualche concessione, è coinvolto anche
Platone a proposito del non-essere che in certo modo è (non-essere come
alterità). Platone, scrive Porfirio - secondo la testimonianza di Simplicio
-, sosteneva che è anche il non-essere, ma che è in quanto non-essere,

51
e che questo "non-essere che è" non è l'assoluto essere, l'essere che sem­
pre è, ma la materia, la quale è in quanto riceve tutte le forme possibili,
ma non è nessuna cosa già formata (è un continuo fluire e trasformarsi).
È a questo punto che Porfirio cita Timeo 27 d, dove la materia è definita
come «ciò che sempre diviene e mai non è - 'tÒ ytyv61J.EVOV IJ.ÈV ae(, òv
OÈ oùOé7to'tE». La fonte 1 8, dunque, appartiene, a mio avviso, al Com­
mentario alla Fisica. Ma è possibile anche ricavare da questo frammento
una possibile collocazione cronologica dello stesso Commentario?
Mettiamo a confronto la testimonianza in questione con l'altra con­
tenuta in Simpl. Phys. 23 1 ,6 ss., che si riferisce esplicitamente a un altro
scritto di Porfirio, il 7tEpì uA.11ç. Il discorso verte anche qui sul concetto
platonico di materia, ma questa volta si riferisce a un lemma (Aristot.
Phys. 1 9 1 a 7) che riguarda la difficoltà di cogliere la nozione di materia
pinna o materia-soggetto per altra via che non sia quella dell'analogia.
La materia, scrive Aristotele, è uno dei tre principi assieme alla forma
e alla privazione.
Questo frammento del 1tEpì uA.11ç porfiriano, citato da Simplicio,
dipende da Moderato, in quanto in esso Porfirio presenta le opinioni del
neopitagorico, opinioni che lo stesso Simplicio ha immediatamente pri­
ma esposto sinteticamente. Il discorso di Porfirio è di questo tenore:
Platone afferma che quando la "ragione unitaria" (ò évtaioç Myoç) volle
costituire la generazione degli enti da se stessa, produsse "per privazione
di se stessa" la quantità di ogni cosa, privandola delle sue proprie ragioni
e forme. E questa quantità è detta da Platone priva di forma, di divisione
e di figura, ma capace di ricevere forma, figura, divisione e qualità e ogni
cosa del genere. A questa quantità - scrive ancora Porfirio - Platone
attribuisce una molteplicità di denominazioni: ricettacolo universale,
informe, indefinito, partecipe in modo oscurissimo dell'intelligibile, ap­
pena conoscibile solo per mezzo di ragionamento bastardo.
Porfirio, dunque, dipende da Moderato, ma ha ragione P. Hadot
quando afferma che egli presenta l'interpretazione della sua auctoritas
in termini neoplatonici: «Tout le vocabulaire est typiquement postploti­
nien» 26•
Il legame tra i due passi simpliciani ( 1 35= fonte 1 8 del Comm. alla
Fisica, e 23 1 fr. del 7tEpì uA.11ç) è inconfutabile. Basti osservare alcuni
=

termini comuni, quali ad esempio UIJ.Op<pov e aveioeov. Sullo sfondo dei


due testi, del resto, stanno il Timeo di Platone e la critica di Aristotele

52
alla dottrina platonica della materia. La testimonianza porfiriana su Mo­
derato è situata nel testo di Simplicio dopo una lunga testimonianza di
Plotino sulla 1tpokr1 UÀ.ll.
Porfirio conosceva Moderato fin dalla sua prima formazione filoso­
fica: lo cita nella sua Vita di Pitagora, probabilmente lo continuò a
leggere presso Longino, il quale cita Moderato assieme a Trasillo nel
Proemio al suo libro Sul fine, riferito dallo stesso Porfirio in Vita Platini
20, 7 1 -76. Ma è ragionevole supporre che l'uso che egli ne fa nello scritto
Sulla materia è posteriore, e risale con ogni probabilità al primo periodo
romano 27, se si accetta, come io accetto, la qualità postplotiniana del
vocabolario da lui adottato. Dunque il 7t&pì UÀ.ll<; e il Commentario alla
Fisica si collocano nello stesso periodo, quello posteriore all'incontro
con Plotino. Una ragione ulteriore di tale collocazione è desumibile dal
fatto che Porfirio - nel presentare la dottrina di Moderato - accentua la
teoria dell'immanenza delle idee nel nous, come si può arguire da Simpl.
Phys. 23 1 , 1 5: «Questa quantità e questa specie concepita secondo la
privazione della ragione unitaria, la quale contiene in sé tutte le ragioni
degli enti, sono paradigmi della materia dei corpi».
In conclusione, ritengo che è lecito collocare la redazione del Com­
mentario alla Fisica di Porfirio - assieme allo scritto Sulla materia,
ambedue perduti - negli anni immediatamente posteriori all'incontro
con Plotino e in ogni caso in un'età posteriore alla permanenza di Porfirio
presso la scuola di Longino ad Atene.

3.3. Sul metodo del "Commentario alla Fisica" di Porfirio

3.3. 1 . La "Sinossi"

L'ultima testimonianza di Simplicio sul Commentario alla Fisica


di Porfirio si trova alla pagina 9 1 8, 1 1 ss. Diels [ 48] e riferisce che
=

Porfirio - al pari di Temistio - ha preferito non prendere in considerazio­


ne un testo con il quale alcuni manoscritti chiudono il libro V della
Fisica di Aristotele. Si tratta, nella fattispecie, di Phys E 6, 23 1a 5- 1 7,
..

che gli editori moderni hanno pubblicato tra parentesi quadre, quindi

53
come una interpolazione (cf. ad es. Aristotelis Physica, ed. W.D. Ross,
OCT (Oxonii, rist. 1 960) ad loc. ; ma già nella prima edizione del 1 936).
Scrive Simplicio: «Qui si chiude questo quinto libro in alcuni manoscrit­
ti, ma in altri manoscritti è aggiunto il testo che riferirò subito dopo,
testo che né Porfirio preferisce cruvo\jliçetv, né Temistio 7tapacppaçetv.
Alessandro tuttavia, pur indicando che in alcuni manoscritti questa ag­
giunta non si trova, nondimeno la é/;TJ'YEÌ"tal>>. Ho lasciato i tre verbi non
tradotti pour cause e vedremo subito perché.
�\.lVO\jliçew in questo contesto non può non avere un preciso signifi­
cato tecnico: non può essere preso in senso generico, dal momento che
Simplicio distingue nettamente l'operazione di Porfirio da quella di Te­
mistio, e indirettamente anche dall'altra di Alessandro. �\.lVO\jliçetv indi­
ca il procedimento proprio di Porfirio, almeno relativamente al libro V
della Fisica, cosi come 7tapacppaçetv indica il procedimento proprio di
Temistio, e in questo caso relativamente all'intero suo scritto sulla Fisica
aristotelica (in quasi tutte le inscriptiones dei Mss. si trova il termine
tecnico di llapacppacnç. Cf. Praefatio all'ediz. di Schenkl in CAG V 2
[ 1 900]). Si tratta dunque di trovare il vero significato di cruvo\jliçetv,
prima di discutere se esso si debba estendere a tutto il Commentario o
alla sola parte relativa al libro V della Fisica.
L'interpretazione che ne dà l'editore, il Diels, è indicata nell'Index,
dove al riferimento di p. 9 1 8, 1 3 si legge: Physicorum synopsim scripsit
[sc.Porph.] (v.p. 1453 sub voce llopcpuptoç). Il Diels quindi intende la
notizia di Simplicio nel senso che Porfirio ha scritto della Fisica aristote­
lica una synopsis 2 8 • L'interpretazione del Diels sembra confermata da
un altro passaggio dello stesso Simplicio, dove si attribuisce appunto a
Porfirio una synopsis del V libro della Fisica: Simpl. Phys. 802,7 ss. [ =
45] «Mi meraviglio - scrive Simplicio - come il filosofissimo Porfirio
nella cruvo\jltç di questo libro V, pur indagando in modo brillante la
questione della divisione ecc.». Simplicio quindi chiama synopsis quella
scritta da Porfirio relativamente al libro V. Questa testimonianza si trova
nel Proemio al Commentario al libro V. Cosi all'inizio e alla fine del
Commentario di Simplicio noi troviamo testimoniata la procedura porti­
nana del cruvo\j/içetv. A questo punto sorge la domanda: sinossi è tutto
il commentario di Porfirio o solo la parte relativa al libro V? Prima di
rispondere, occorre prendere in esame una circostanza importante. In
Simpl. Phys. 801-802 [= 45], come abbiamo visto, la sinossi porfiriana

54
è riferita al fatto che c'è discordanza tra gli interpreti sul come sono da
dividersi gli otto libri della Fisica.
Aristotele - scrive Simplicio in questo prologo al libro V - dopo
avere insegnato nel libro III cosa significhi movimento in senso generale,
che cioè movimento è lo stesso che mutamento, ora, nel libro V, intende
definire e mostrare che mutamento è nozione piu generale, e movimento
nozione piu particolare, che cioè movimento è specie del genere muta­
mento. Ad esempio generazione e corruzione, come dirà Aristotele, scri­
ve sempre Simplicio, sono mutamenti, ma non movimenti. Aristotele,
dopo avere quindi distinto il movimento dal mutamento, presenta le
varie specie di movimento e questo discorso è collegato a quello piu
generale sul mutamento, anzi ne è la continuazitme, sebbene si trovi
inserito, tra questi due discorsi, quello intorno all'infinito, al luogo, al
vuoto, e al tempo. Perciò Aristotele e i suoi seguaci, conclude Simplicio,
annoverano anche questo libro V tra i cosiddetti libri di "Fisica dei
principi", cosi come sono soliti chiamare i successivi tre libri "Fisica del
movimento". Infatti, etc .. A questo punto troviamo la testimonianza su
Porfirio riferita sopra: Porfirio sa tutto questo, e tuttavia chiama "Fisica
dei principi" i primi quattro libri e "Fisica del movimento" gli ultimi
quattro.
C'è da precisare subito che anche Simplicio nel Commentario al De
cae/o, 226, 19 ss. (anteriore al Commentario alla Fisica) 29 aveva non solo
operato la stessa diairesis che ora rimprovera a Porfirio, ma l'aveva
attribuita allo stesso Aristotele. Ma c'è un altro commentatore, posteriore
e non meno autorevole, che riprende la diairesis porfiriana, Giovanni
Filopono, il quale nel suo Commentario al libr� A della Fisica, p. 2-3
Vitelli, scrive che Aristotele nei primi quattro libri tratta della materia,
della forma, del luogo e del tempo, e negli ultimi quattro del movimen­
to 30• Torniamo un momento sul significato del verbo cruvo\jliçstv. Il LSJ
- proprio con riferimento a Simpl. Phys. 9 1 8, 1 3 - registra il significato
di: bring into a generai view, e l'altro di sum up. Lo Stephanus dà il
significato di "in compendium redigo". È chiaro dunque che cruvo\jl(çstv
ha il significato di "riassumere", "compendiare", "ridurre un discorso in
un altro piu breve, ma che abbia lo stesso contenuto e valore".
Per il verbo 7tapacppliçstv, il LSJ registra il significato di «say the
same thing in other words», e il riferimento che ci interessa è a Ermogene
e Galeno, ambedue del II sec. d.C.

55
Nello Stephanus però si trova una serie di significati che ci sembrano
piu illuminanti per il problema che ci interessa. Infatti si dice che 7ta­
paq>paçco significa "eodem sermone utens, aliquid latius et explicatius
eloquor". Il riferimento è a Pseudo-Plutarco, Vita Homeri. Piu sotto lo
Stephanus, dopo aver citato le opinioni di Fabius, obietta «esse 7tapaq>pa­
mç potius addere quam demere». 11apaq>paçetv può significare, dunque,
«parlare, usando lo stesso discorso, in modo piu ampio e piu esplicito».
'EI;T)yetcr'dat ha per tutti e due i dizionari il significato di: expound,
interpret (LSJ), e di explicare, exponere, enarrare e simili (Steph.).
Dunque O"UVO'lfiçetv e 7tapaq>paçetv differiscono soprattutto perché
il primo indica "abbreviazione" e l'altro "ampliamento" dello stesso
discorso. Porfirio avrebbe "riassunto" laddove Temistio avrebbe "am­
pliato". Non c'è dubbio che O"UVO\jfiçetv è verbo meno adatto, quindi,
dell'altro, 7tapaq>paçetv, a indicare un commentario. Non si vede come
si possa fare un commento di un testo procedendo per <JUvo\jftç; mentre
è ammissibile che un commento si possa fare procedendo per 7tapaq>pa­
mç. Il discorso di Simplicio relativo al libro V della Fisica nel Commen­
tario perduto di Porfirio difficilmente può essere quindi riferito a tutto
il Commentario: è piu ragionevole pensare che Porfirio ha fatto una
sinossi del solo libro V. Ma è ipotizzabile il perché? Vediamo.
Si sa che Porfirio ritiene raggruppabili gli otto libri della Fisica
secondo il criterio 4+4 e non 5+ 3, cosi come fa tutta la tradizione peri pa­
tetica e - stando alla testimonianza di Simplicio (cosa molto inverosimi­
le) - lo stesso Aristotele. Porfirio va controcorrente, dunque, e Simplicio
se ne meraviglia molto ('dauJ.Laçco), anche perché stima Porfirio "filosofis­
simo" (q>IÀOcroq>oHa-rov). È lecito pensare, allora, che Porfirio abbia fatto
il Commentario ai primi quattro libri che egli, come del resto gli altri,
intitola 7tEpì apxrov, e abbia "compendiato" il libro V in omaggio alla
tradizione che riteneva questo libro parte integrante del gruppo 1tepì
apxci>v, ma che egli ritiene invece parte dell'altro gruppo dei libri m:pì
Ktvitcrecoç. Un compromesso? Penso di si! Tanto piu che non risulta da
Simplicio che Porfirio abbia commentato, dopo la sinossi del libro V,
gli ultimi tre libri. Il suo nome, infatti, scompare - dopo questo luogo
che stiamo esaminando - dalla testimonianza simpliciarta, ed è incredi­
bile che Simplicio non ne faccia piu parola, conoscendo anche questa
eventuale parte del Commentario porfiriano.

56
3. 3.2. Metodo filologico e metodo ermeneutico

In 3. 1 . 1 . ho tentato una classificazione approssimativa e convenzio­


nale dei testi, frammenti e testimonianze, relativi al Commentario alla
Fisica di Porfirio. Ho distinto tre gruppi di diversa natura a seconda
delle diverse "intenzioni storiografiche" del commentatore 31, esegetiche,
ermeneutiche e filologiche. Il risultato di questa classificazione è che le
testimonianze sul Commentario alla Fisica hanno almeno un duplice
carattere formale: da un lato testimoniano dell'impegno esegetico­
ermeneutico di Porfirio relativamente al testo aristotelico (vedremo subi­
to in quale direzione), dall'altro sono inoppugnabile prova della capacità
di penetrazione analitico-filologica che Porfirio rivela nella maggior parte
della sua opera e della quale egli stesso talvolta mette in rilievo gli ele­
menti strutturali. Metodo ermeneutico 32 e metodo filologico sono, dun­
que, fattori compresenti e caratterizzanti di questo come di altri scritti
porfiriani. Si tratta ora di approfondire il loro rapporto interno, in ordine
alla natura propria e specifica del Commentario alla Fisica. Cominciamo
col mostrare piu dettagliatamente la "qualità" del metodo filologico di
Porfirio.
La prima cosa che è possibile osservare è il fatto che Porfirio appare
sempre consapevole della "strumentalità" della filologia rispetto alla filo­
sofia. Dico appare, ma potrei dire che Porfirio è effettivamente e piena­
mente consapevole della giustezza di tale funzione del metodo filologico,
cosi come si evince dal noto passaggio del libro I della sua De philosophia
ex oraculis 33, dove egli fissa scrupolosamente e inequivocabilmente le
linee della sua ricerca filologica relativamente alla ricostruzione del con­
testo degli oracoli. Un testo - scrive Porfirio - deve essere conservato
integro nel suo contenuto di pensiero, e per far ciò non si deve né aggiun­
gere né togliere nulla ad esso, a meno che non si sia costretti a rendere
chiaro e comprensibile il pensiero contenuto nel testo medesimo, essendo
tale comprensione il fine primario della lettura del testo. La "akribeia"
filologica è dunque in Porfirio funzione della ermeneutica; il filologo
deve garantire la "genuinità" del testo riducendo la sua forma tràdita a
quella che è ragionevole presumere sia l'autentico "pensiero" dell'autore

57
del testo 34• Filologia, dunque, quale strumento della filosofia. E qui cade
a proposito una prima considerazione storico-critica. Porfirio ci presenta
in Vita Platini 14,20 il conflitto di fondo esistente tra due scuole e due
metodi neoplatonici, rappresentati rispettivamente da Plotino e da Lon­
gino. Plotino, dopo la lettura di due scritti inviatigli da Longino, emise
quel pesante giudizio sull'amico ateniese che tutti sappiamo: Longino è
si filologo, ma nient'affatto filosofo. Il fatto testimonia di una polemica
in atto tra due scuole e due modi di fare filosofia: il modo di Longino
inteso a chiarire e analizzare la struttura formale del testo per ridurlo
alla sua purezza linguistica e retorico-letteraria, senza preoccupazioni per
il contenuto filosofico e per la sua coerenza e misura interna; il modo
di Plotino inteso a cogliere il nucleo di pensiero contenuto in un testo
al di là della sua struttura retorico-linguistica, senza la preoccupazione
cioè di ridurre prima quest'ultima alle sue rigorose dimensioni filologi­
co-formali (Plotino, si sa, era trascurato persino nell'ortografia). Non è
certamente lecito radicalizzare troppo la differenza tra le due procedure
di ricerca, ma è ragionevole supporre che tra le due scuole esistesse un
effettivo conflitto metodologico che si ripercuoteva nella costruzione o
ricostruzione della dottrina platonica (e non solo platonica) propria delle
due compagini scolastiche neoplatoniche. Come si presenta la posizione
di Porfirio in tale conflitto? Porfirio si rivela come uno che mira a supera­
re le "ragioni" del conflitto tra metodo filologico e metodo filosofico (o
ermeneutico), e non tanto per motivi di irenismo, data anche la sua
collocazione - in certa misura mediatrice - tra il vecchio e il nuovo
maestro, quanto per motivi di convinzione teorica, nel senso che riteneva
compatibili, con funzioni distinte, i metodi in questione. Plotino era
troppo fine filologo (anche per merito dell'insegnamento di Longino) per
non valutare l'importanza dell'acribia filologica nell'indagine filosofica
e storica, ma era anche troppo interessato all'ermeneutica filosofica per
non considerarla di primaria importanza nell'attività di ricerca di un
platonico. Occorreva quindi attribuire il giusto posto e il giusto peso a
ciascuno dei due metodi, nell'interesse della dignità scientifica dell'opera
del filosofo, che era poi un far rivivere lo spirito dell'antico maestro,
Platone, al quale in ultima analisi poteva farsi risalire la stessa polemi­
ca 3s. Nel conflitto tra filosofia e retorica Platone aveva, infatti, difeso i
diritti della prima senza annientare i vantaggi della seconda, denunzian­
do di quest'ultima soltanto le sue storture e le sue esasperazioni tecnicisti-

58
che e neutralistiche. Ma veniamo ora all'esame del metodo filologico
porfiriano cosi come si presenta nei frammenti e nelle testimonianze del
Commentario alla Fisica. Riprenderemo alla fine il discorso sui motivi
reali che hanno indotto Porfirio a tentare un superamento di quel conflit­
to, cercando di valutarne la incidenza nel Commentario in questione.
Le fonti da me classificate come "filologiche" [ = C] sono dieci in
tutto, cioè un quinto del totale, ma sufficienti a darci un'idea del metodo
filologico seguito da Porfirio nel commentare la Fisica aristotelica. Di
due fra�menti, il 32 e il 37, ho già discusso, adducendoli come esempi
di trattamento filologico del testo aristotelico da parte di Porfirio 36• Gli
altri confermano i risultati dell'analisi e precisamente il carattere rigoro­
samente "strumentale" della filologia porfiriana. Ma procediamo con
ordine e per esemplificazione.
Simpl. Phys. 70, I l ss. [= 4] concerne due modi di punteggiatura di
un passo aristotelico (Phys. A 2, 1 85a 1 8) cosi come viene tramandata
da Alessandro di Afrodisia. Porfirio sostiene una delle due lezioni in
funzione di una certa interpretazione del discorso di Aristotele, interpre­
tazione che Simplicio giudica "molto ragionevole". Lo spostamento di
una virgola prima o dopo una particella negativa, anche se rovescia il
senso letterale di un testo, può, dunque, servire al filosofo per fornire
una esegesi "piu ragionevole" di un'altra. Ed è appunto questo l'uso
strumentale della filologia di cui Porfirio dà prova, senza cadere in distor­
sioni o sconvolgimenti del discorso filosofico. Dello stesso contesto Te­
mistio - ci informa sempre Simplicio - dà una esegesi diversa da quella
di Porfirio, accogliendo la punteggiatura alternativa testimoniata da
Alessandro 37• È possibile dunque far quadrare il significato di un testo
dal punto di vista filosofico pur con opposte analisi filologiche; il che
darebbe sufficiente ragione, a mio avviso, della procedura rigorosamente
"strumentalista" di Porfirio. Ma un esempio ancora piu chiaro della
gestione "strumentale" della filologia da parte di Porfirio è fornita da
Simpl. Phys. 414, 1 5 ss. [ = 39]. In questa fonte si discute del noto passag­
gio della Fisica aristotelica relativo alla definizione del movimento: "atto
di ciò che è in potenza in quanto tale" 38• Il problema filologico qui nasce
dell'ambiguità dei manoscritti che hanno ora èv't"EÀiXEta ora èvépyeta.
Porfirio - questa volta con il conforto di Alessandro - interpreta il passo
considerando i due termini come equivalenti, pur distinguendoli nel
senso del "già compiuto" [= èvépyeta] e del ••non ancora compiuto" [=

59
ÉV'tEÀ.tXEta]. Simplicio rovescia il senso di tale distinzione tra i due termi­
ni. Ma quel che conta di notare qui è che Porfirio "strumentalizza" l'uso
filologico del metodo esegetico all'interpretazione filosofica del testo. Ma
si dà anche il caso - talvolta - che il filologo-filosofo debba correggere
"radicalmente" il testo in funzione di una verità storica legata allo stesso
testo, ed è appunto quello che Porfirio fa a propostio della fonte 43.
Si sta trattando della dimostrazione aristotelica secondo la quale il
vuoto non esiste. Occorre dimostrare, scrive Aristotele, non già che l'aria
è qualcosa e non è il vuoto di cui parlano gli uomini comuni, bensi che
non esiste alcun intervallo [ouianJJ.LU] che sia altro dai corpi 39, cioè che
non c'è tra i corpi intervallo che sia diverso dagli stessi corpi, sia che lo
si consideri separato oppure esistente in atto [oihe xropta'tòv oÙ'tE évepye­
iq.. òv]. Su quest'ultimo inciso verte il problema filologico. Porfirio correg­
ge il testo in OÙ'tE axropta'tOV UU'tÒ>V OÙ'tE xropta't6V - né non separato da
essi (dai corpi) né separato. La correzione di Porfirio sarebbe giustificata
dall'accenno che nello stesso contesto Aristotele fa a Democrito e ai
pitagorici 40• Infatti il primo considera il vuoto intercalato [cixropta'tov]
tra i corpi (un diverso immanente), gli altri separato da essi [xropta't6v]
(un diverso trascendente). La correzione dal punto di vista filologico è
forte, ma non è irragionevole, come del resto sono costretti a riconoscere
sia Simplicio, il quale scrive che la lezione di Porfirio «non è priva di
fondamento razionale» [EXEt ot Kaì aunJ ì..&yov] 4 1 , sia il Ross, il quale
scrive che «Porphyry's reading is a interesting one» 42• È questo un esem­
pio lampante di metodo filologico strumentale: il testo viene mutato in
funzione della maggiore chiarezza del senso filosofico, ma sulla base di
oggettive ragioni di contenuto.
Ma in Porfirio il metodo filologico non è certamente quello che
prevale sul metodo piu propriamente ermeneutico, sul metodo cioè che
serve ad affrontare le questioni di contenuto filosofico del testo aristoteli­
co e che, come vedremo, costituiscono il fine primario del commentario
porfiriano.
I frammenti che trattano di problemi di interpretazione del testo
della Fisica di Aristotele sono numerosi e - come si è già osservato -
possono essere classificati in due gruppi, rispettivamente di ermeneusi
pura e di ermeneusi storica. Prescindiamo per il momento da questa
bipartizione e proviamo a dare qualche esempio di metodo ermeneutico
porfiriano in generale. Cominciamo dai primi due frammenti che atten-

60
gono al problema generale dei principi come oggetto proprio della scienza
fisica secondo Aristotele.
Porfirio discute approfonditamente il significato generale del discor­
so di Aristotele secondo cui «anche a proposito della scienza fisica occor­
re tentare di definire [otop{cra<ri}at] anzitutto ciò che concerne i principi
[tà 1tepi tàc; cipxlic;]» 43• E la discussione di Porfirio - almeno cosi come
viene presentata da Simplicio - appare finalizzata a sceverare le diverse
dimensioni ermeneutiche del discorso di Aristotele, quali ad esempio
quella del rapporto tra fisica e metafisica (ambedue trattano dei principi,
ma con quale differenza?); quella del significato o dei significati del
termine ciPXiJ anche in relazione ai termini crtmxetov e aitia; la dimensio­
ne del senso epistemologico del problema dei principi (quali sono i vari
modi di conoscenza scientifica secondo i principi), ecc. Porfirio in buona
sostanza sembra orientato a tenere distinta la Fisica dalla Metafisica,
riservando solo a quest'ultima la vera e propria indagine sui principi.
Ma egli è interessato molto anche a discriminare la posizione aristotelica
sui principi dalla corrispettiva platonica. A un certo punto infatti, dopo
aver riassunto i quattro modi in cui si può intendere il principio secondo
Aristotele 44, Porfirio aggiunge che Platone a questi quattro modi ne
aveva aggiunto altri due: principio è ciò relativamente a cui paradigma;
=

ed è ciò per mezzo di cui strumento. Tutto ciò sta a dimostrare che
=

Porfirio adopera un metodo ermeneutico impegnato a fondo in un'azione


di escavazione delle ragioni sostanzialmente dottrinali su cui è possibile
e doveroso impostare la lettura del testo della Fisica aristotelica. Non si
tratta solo di chiarire o emendare il testo aristotelico, ma anche di dare
ad esso una "dimensione di lettura filosofica" che lo renda idoneo a
fornire al filosofo platonico (nella fattispecie al discepolo destinatario
del Commentario) spunti e ragioni di formazione dottrinale nonché di
elevazione morale, in altre parole motivi sufficienti di preparazione alla
lettura dei testi platonici e quindi di predisposizione all'acquisizione
della dottrina neoplatonica (non si dimentichi che il modello di insegna­
mento platonico è dato - per Porfirio - da Plotino). Cosi si spiega perché
gli elementi filosofici presenti nel testo aristotelico, su cui Porfirio si
sofferma particolarmente, sono, da un lato, quelli relativi alle conseguen­
ze teoretiche e storiche della filosofia eleatica (almeno un terzo dei fram­
menti da me classificati come ermeneutici riguarda appunto gli Eleati),
e, dall'altro, alcune critiche di Aristotele a Platone, soprattutto a proposi-

61
to del non-essere, e quindi sempre in rapporto con la speculazione eleati­
ca. Un solo esempio tra i piu significativi.
A proposito della diairesis del discorso che Aristotele fa quando
prende a esaminare le varie opinioni secondo cui l'essere si dice uno [ =

fonti 6-7], Porfirio sostiene che anche l'uno ha molti significati e precisa­
mente tanti quanti ne ha l'essere; interpretazione questa che Sirnplicio
contesta dicendo che invece Aristotele adopera una diairesis che è pro­
pria dell'uno e non dell'essere. La questione non è di scarso rilievo dal
punto di vista teorico. Infatti il metodo ermeneutico di Porfirio mira in
questo caso ad amalgamare la dottrina dell'uno con quella dell'essere, e
non è questo un compito facile, dal momento che appare a prima vista
contraddittorio sostenere una polisemanticità dell'uno. Una tale proble­
rnatica è stata sempre presente nella tradizione peripatetica: l'aristoteli­
smo si qualifica - a differenza del platonisrno - in virtu di una sua
incompatibilità con l'univocità dell'essere di ispirazione eleatica. Ancora
ai giorni nostri si discute su tali terni e basti per tutti citare gli articoli
recentissimi del Couloubaritsis 45•
Per concludere, il metodo ermeneutico usato da Porfirio nel Com­
mentario alla Fisica è lo strumento di una ricerca teoretica finalizzata
primariamente a rendere commensurabili la metafisica platonica e la
metafisica aristotelica. Per ottenere tale risultato Porfirio compie due
operazioni complementari: da un lato accentua il carattere rnetafisico
della Fisica dei principi aristotelica, eliminando in tal modo le piu
eclatanti ragioni di conflitto con la dottrina platonica dei principi 46,
dall'altro attenua la ascendenza eleatica - almeno quella che tale appari­
va nella lunga tradizione del platonisrno fino a Plotino - della metafisi­
ca platonica, favorendo in tal modo una interpretazione in direzione
anti-univocistica dell'essere e dell'uno e quindi una strurnentalizzazio­
ne della Fisica aristotelica alla metafisica platonico-neoplatonica. Il
tutto viene realizzato con lo "strumento" di un rigoroso e raffinato
metodo filologico.
Era questo il modo migliore in cui Porfirio riteneva si potesse supe­
rare la polemica tra Plotino e Longino sull'esegesi dei testi platonici,
aristotelici e - forse anche - stoici, e al contempo avviare verso sbocchi
nuovi e piu produttivi l'annosa questione - dibattuta soprattutto nel I
e II secolo d.C. - della "compatibilità" tra Platone e Aristotele 47•

62
NOTE

1 Scrive Beutler, RE 22, l ( 1 953) col. 284, 28, che «die Araber kennen die Schrifu),

cioè il Commentario alla Fisica perduto di Porfirio.


2 Simplicii, in Aristotelis Physicorum libros Commentaria, edidit H. Diels (Berolini,
Reimer 1 882-1 895) (- Commentarla in Aristotelem Graeca IX-X), 2 volumi per complessi­
ve 1 463 pagine oltre alle due Prefationes e agli Indices. Il testo occupa 1 366 pagine.
3 Cf. fr. 1 4 - Si mp!. Phys. IO l ,25ss. - Aristot. Phys. A 2, 1 85b29ss.
4 Si va sempre piu attenuando il criterio - un tempo rigoroso - di una distinzione
traframmenti e testimonianze relativamente alle opere perdute degli antichi scrittori. Tra
i molti esempi che qui potrei addurre, basti quello della raccolta dei "resti" di Democrito
ad opera di S. Luria (Leningrado 1 970).
s L'altra è costituita da Simpl. Phys. 802,7, che chiude il proemio al Commentario
del libro E, in cui si discute sulla �ltn.{pemç degli otto libri della Fisica. La citazione non è
registrata nell'Index del Diels.
6 Aristotle's Physics, A revised text with introduction and commentary by W.D. Ross
(Oxford 1 936). Il Ross non registra né nell'apparato critico ad locum né nell'Analysis né
nel Commentary l'altra lezione. Cf. anche Aristote Physique Texte établi et traduit par H.
Carteron, T .l (Paris 1 952 2), e la ristampa dell'ediz. Ross negli Oxford Oassical Texts ( 1 950
ss.).
7 S. Thomae Aquinatis, In octo libros de physico auditu sive physicorum Aristotelis,
Commentaria, Editio novissima, cura ac studio P. Fr. Angeli ac M. Pirrotta O.P. (Napoli
1 953) 1 8: Sed quoniam de natura quidem, non autem naturales defectus etc.
8 Si ricordi che Alessandro era letto e studiato nella scuola di Plotino. Cf. Porph. VP
1 4.
9 Aristot. Phys. r l, 20 l a l l .
10
Quello che dalla tradizione è chiamato Paraphrasis (edita nei CAG V/2 ( 1 900) a
cura di H. Schenkl). Si tratta nella sostanza di un commentario continuo in cui mancano
i vari lemmi relativi al testo di Aristotele, lemmi che tuttavia è possibile ricostruire sotto
la parafrasi che ne fa Temistio. Ad esempio al lemma del Commentario di Simplicio 422,
20 ss. 1'! l\è toii l\uvciJ.LEl Òvtoç, 5-rn.v ÈvtEAExÉU� ov Èvt:prii , oiJx TI n.IYtò cill'n Kl.VT)'tOV, ldVT)cr{ç
È<m, corrisponde la seguente parafrasi di Temistio 70, 33 ss. 6-tn.v lll'l n lilla ov èvepyt:iq
lluvciJ.LEt lilla n. l'l ÈVÉpyt:tn. all'toii, � Kn.W lluvciJ.LEl Ècrn, ldVT)cri� t<mv.
11 Simplicio li cita nell'ordine rispettando la cronologia.
12 Simpl. Phys. 80 1 , 5-6 cilltn.qx)pwç è1t' ÈKt:ivou t!jl Ti'j� Klvi!cr&roç Kn.i ti'j� J.lt:'tn.� oì..i'j �
ÒVOJ.lD.'tl XPllCJciJ.LEVoç.

63
13 xav'tec;, cioè Aristotele e i suoi seguaci.
14 Cf. pure 4, 1 1 - 1 5 e 6,4- 10.
15 Cf. H.J. Drossaart Lulofs, Nicolaus Damascenus on the philosophy of Aristotle.
Fragments ofthe first five books transl. from the Syriac with an introduction and commen­
tary (Leiden 1969 2) 8-9, 17-19. Sulla questione cf. P. Moraux, Der Aristotelismus bei den
Griechen, I (Berlin 1 973) 45 1 ss.
1 6 P. Moraux, Der Aristotelismus etc., cit., p. 45 1 .
17 Cf. P. Moraux, Der Aristotelismus etc., cit., p. IO. La lista dei piu antichi commenta-
tori di Aristotele che ci offre il Moraux si apre con Andronico.
l8
Simpl. Phys. 1 63, 20 ss. = Anaxag. 8 17 DK.
19 Simpl. Phys. 1 5 1 , 23-24.
20 Sembra che sia sempre Siriano a parlare.
2 1 Non sembra avere altro significato qui l'espressione ooaxooc; 'tò 6v.
22 KaÀ.Òlç potrebbe qui intendersi in senso forte come "brillantemente" e "felicemente"
o "in modo ineccepibile" e simili. Cf. Plat. Parm. 1 28 b l , dove KaÀ.Òlç è in endiadi con
e�: ((Tu infatti - dice Socrate a Parmenide - nei tuoi versi dici che il tutto è uno e ce ne
dai prove brillanti ed efficaci [Kai 'tmhwv 'tBKj.L�pta xaptxn KaÀ.Òlç 'tE Kai e�])) (trad. Zadro,
ed. Laterza). Si tenga conto del fatto che si tratta in Simplicio, e in Porftrio, dello stesso
tema dell'uno parmenideo.
2 3 Aristot. Phys. A 2, 1 85 b 31 s.
24 Cf. Porphyrii, In Platonis Timaeum Commentariorum Fragmenta, collegit et dispo­
suit A. R. Sodano (Neapoli 1 964).
2 5 Cf. fr. 92 Sod. Ritengo che anche questo secondo passaggio di Simplicio non possa
con certezza essere assegnato al Commentario al Timeo: tutta l'argomentazione del Sodano
- e prima di Waszink - poggia sul concetto di materia come "grande e piccolo", nozione
che è ripresa da Calcidio, la cui fonte sarebbe appunto Porfirio.
26 Pierre Hadot, Porphyre et Victorinus I 166, nota l .
27 Sulla cronologia piu attendibile, i o h o espresso l a mia opinione i n Porfirio di Tiro
(Catania 1979) 1 1 4.
28 Della stessa opinione è lo Zeller (III 25 697, nota), il quale, sulla base di Simpl.
Phys. 9 1 8, 1 3, scrive che lo scritto di Porfirio sulla Fisica di Aristotele ((muss demnach im
wesentlichen eine verkiirzende Bearbeitung gewesen seiiD).
29 Cf. Augustin Mansion, lntroduction à la Physique Aristotélicienne (Louvain-Paris
1 945 2) 55, nota 5.
30 Philop. Phys. 2 Vitelli: ccEssi [gli elementi generali e comuni che sono oggetto della
Fisica di Aristotele] sono cinque: materia, forma [dooc;], spazio ['t6xoc;], tempo e movimen­
to. E Aristotele nei quattro libri insegna i primi quattro, mentre negli ultimi quattro libri
insegna che cosa è il movimento [ ... ])).
3 1 Ritengo che, comunque si voglia valutare l'attività commentarla di un filosofo
tardoantico, la sua valenza principale resta quella di un'attività storiografica, trattandosi

64
di un lavoro di utilizzazione e sfruttamento di una tradizione storica rispetto alla quale il
commentatore conserva una pili o meno consapevole dipendenza. Con questo non si vuole
minimamente aderire al vecchio pregiudizio, secondo cui i filosofi tardoantichi (ma secon­
do alcuni anche quelli di età ellenistica) sarebbero quasi esclusivamente dei "ripetitori" di
dottrine antiche. Sul valore di trasformazione e di novità nella continuità del neoplatoni­
smo, rinvio al mio saggio: Neoplatonismo e nuove forme di teoresi platonica, sta in F.
Romano, Studi e ricerche sul neoplatonismo (Napoli 1 983) 9 ss.
3 2 Uso qui il termine come comprensivo anche dell'aspetto pili propriamente esegeti-
co.
33 P. 109 Wolff.
34 Cf. F. Romano, Porfirio di Tiro. Filosofia e cultura nel III secolo d.C. (Catania 1 979)
1 9 1 ss.
35 Sul problema dei rapporti filosofia-retorica in Platone è utile e istruttivo fare una
lettura comparativa del Gorgia e del Fedro. Cf. F. Adorno, Introduzione a Platone (Roma­
Bari 1 978) IV l : Retorica e dialettica.
36 Cf. 3. 1 . 1 . fine.
37 L'editore moderno, il Ross, accoglie la lezione di Temistio senza accennare a quella
di Porfirio. Cf. W.D. Ross, Aristotle's Physics, (Oxford 1936), Commentary ad loc., 467.
38 Aristot. Phys. III l , 20 l a I O.
39 È scorretta la traduzione di Russo: "Pertanto, si dovrebbe dimostrare non già che
l'aria è qualcosa, ma che non c'è altro intervallo tra i corpi etc.". La traduzione corretta di
oulC �crn ouiO""t'T) j.la i!tEpov t&v crroj.ldtrov è: "non c'è intervallo diverso dai corpi", che
significa cosa ben diversa da quella che lascia intendere la traduzione Russo. a. Ross, op.
cit., Analysis, p. 378: «but that there is not an interval different from bodieS».
40 Questi ultimi senza citarli espressamente.
41 Simpl. Phys. 648,22 [- 43].
42 Ross, op. cit. Commentary ad loc., 582.
43 Aristot. Phys; A l , 1 84a 14 ss.
44 Ciò di cui - materia; ciò secondo cui - forma; ciò da cui - l'efficiente; ciò per cui

- fine.
4 5 L. Couloubaritsis, L 'Etre et l'Un chez Aristote, Revue de Philosophie Arcienne l
( 1 983) 49-98; 2 ( 1 983) 143-1 95.
46 L'espressione non vuole avere qui una significazione analoga a quella che essa ha
acquisito nella storiografia moderna con la ricerca sugli agrapha dogmata.
47 Cf. F. Romano, Porfirio di Tiro (Catania 1 979) 39.

65
4. CONCL USIONE

A chiusura delle considerazioni metodologiche con le quali spiegavo


- nell'Introduzione - le ragioni di fondo che mi hanno spinto a raccoglie­
re e presentare i frammenti e le testimonianze del Commentario perduto
alla Fisica aristotelica di Porfirio, azzardavo - forse con un po' di presun-'
zione - l'ipotesi che la mia ricerca potesse modificare in parte l'immagine
tradizionale di un Porfrrio maestro solo di logica aristotelica - oltre, si
intende, che di filosofia plotiniana. Non è facile sradicare certi miti
costruiti attraverso secoli di storiografia filosofica. Ma alla fine del mio
lavoro, nel quale ho cercato - forse senza riuscirvi appieno - di mostrare
l'importanza e l'i:Qfluenza che avrebbe esercitato il Commentario alla
Fisica di Porfirio nel quadro dell'attività dei commentatori neoplatonici
a lui posteriori, primo fra tutti Simplicio, desidero trarre qualche conclu­
sione a favore della mia ipotesi di lavoro.
L'ampiezza di quest'opera perduta di Porfirio non dovette essere
inferiore a quella di altri piu famosi scritti dello stesso genere. Non solo,
ma il metodo esegetico ed ermeneutico del maestro neoplatonico si pre­
senta, nelle testimonianze simpliciane e nel relativamente non indiffe­
rente numero di frammenti in esse contenuti, pieno non solo di vigore
filologico (come del resto c'era da aspettarsi da un filologo come Porti­
rio), ma anche di impegno speculativo. Io ho cercato di far vedere come
la filologia porfiriana sia in questo caso altamente ed efficacemente "stru­
mentale" rispetto all'indagine filosofica sui piu scottanti temi della dottri­
na fisica di Aristotele. Il fatto che Simplicio, che è sempre attento lettore
critico delle opinioni dei commentatori che egli utilizza, spesso sia co­
stretto a riconoscere la "ragionevolezza" delle ipotesi e delle interpreta­
zioni di Porfirio, sta a dimostrare che il lavoro di quest'ultimo meritava
tutta la considerazione possibile come modello di lavoro storiografico,
che del resto si era, nell'arco di oltre cinque secoli - dopo Andronico di
Rodi -, moltiplicato notevolmente. È vero si che Porfirio è interessato
a sfruttare l'esegesi di Aristotele a fini di scuola e quindi in funzione
della teoresi neoplatonica; ma è anche vero che - come ho tentato di
dimostrare - egli non ha interesse di "sottovalutare" Aristotele per "so-

67
pravvalutare" Platone, giacché egli si muove, anche a proposito della
Fisica (come aveva fatto a proposito della Logica), in direzione opposta
a quella di alcuni medioplatonici (che avevano avuto peraltro largo credi­
to nella scuola di Plotino) che si erano dichiarati programmaticamente
nemici "Contro coloro che intendono interpretare Platone per mezzo di
Aristotele" (è il titolo, come si sa, di uno scritto perduto di Attico). Lo
scopo di Porfirio era proprio quello di studiare e far studiare Aristotele
in preparazione allo studio di Platone: lo aveva fatto con la Logica e
tutto lascia pensare che lo abbia fatto anche con la Fisica. Il fatto poi
che Porfirio, a quanto è dato di vedere da alcune fonti qui raccolte (fonti
1-2), abbia tenuto ad accentuare la differenza "epistemologica" tra Fisica
e Metafisica di Aristotele in funzione di un piu accentuato distacco tra
la metafisica aristotelica e quella platonica, sta a significare che l'interesse
per la fisica aristotelica - anche se a livello strumentale - non era meno
sentito, da parte sua, di quello per la logica.
L'impegno ermeneutico che Porfirio assunse in questo suo Com­
mentario alla Fisica è dimostrato anche dal suo rapporto con gli altri
commentatori, soprattutto con Alessandro di Afrodisia. Mai Porfirio
sottostà all'autorità di Alessandro, che peraltro di autorità in questo
campo ne aveva già accumulato abbastanza, ai tempi di Porfirio (era del
resto letto anche nella scuola di Roma). Il "non-allineamento" di Porfirio
è anch'esso spia del valore che egli attribuiva al suo lavoro esegetico
sulla Fisica aristotelica, e di conseguenza dell'influenza che ha dovuto
esercitare sui commentatori posteriori. Temistio, ad esempio, pur nell'al­
ternarsi della sua concordanza o discordanza, si dimostra sempre attento
lettore delle proposte soprattutto filologiche di Porfirio, come ad esempio
a proposito della spinosa questione intorno alla differenziazione semanti­
ca tra &vt&ì..éxem ed &vépyeta [ fonte 39].
=

Alla luce di tali considerazioni Porfirio appare come uno che ha


rovesciato di segno - dal negativo al positivo - l'interesse che i primi
neoplatonici (Plotino in ispecie) avevano dimostrato verso Aristotele.
Che lo abbia fatto con i suoi vari - e di diverso livello - commentari
agli scritti logici è cosa da tempo - fin dall'età medievale - assodata e
da tutti riconosciuta e lodata; che lo abbia fatto anche con un lavoro
dello stesso genere storiografico (a parte la questione della sinossi o meno
che ho discusso a 3.3. 1.) sulla Fisica di Aristotele, appare altamente
probabile. Del resto l'intreccio, che è testimoniato da alcune fonti da me

68
discusse in questo lavoro [fonte 1 8], tra questo Commentario alla Fisica
e il Commentario al Timeo, anche questo perduto, sta ancora una volta
a significare che Porfirio avesse tutto l'interesse a discutere la cosmologia
platonica mettendola a confronto con la fisica aristotelica, e quindi attra­
verso un processo di progressiva preparazione e di approfondimento
speculativo che partisse da Aristotele per arrivare a Platone. Se potessimo
oggi leggere lo scritto perduto di Porfirio m:pì 'tOU J.Liav &lvat nìv
IU.ci'tcovoç Kaì 'Apta'tO'tÉÀ.Ouç a'lpsmv, forse potremmo dare maggiore
forza probativa a tali argomenti. Ma è un fatto che la tesi di Porfirio in
questo campo non poteva fondarsi esclusivamente sulla debole base di
una "logica aristotelica come propedeutica allo studio di Platone", anche
perché la dura critica contro la teoria delle categorie avviata da alcuni
medioplatonici e perseguita "ferocemente" da Plotino, non poteva lascia­
re indifferente Porfirio, come del resto qualsiasi altro filosofo neoplatoni­
co.
In conclusione, ritengo che uno studio piu sistematico e approfondi­
to di questi testimonia sul Commentario alla Fisica di Porfirio giovi a
ridimensionare - se non a modificare radicalmente - l'immagine stono­
grafica tradizionale di un Porfirio soprattutto - se non del tutto - legato
al suo ruolo di esegeta della logica aristotelica.

69
Appendice

PORFIRIO

Commentario alla "Fisica " di Aristotele


Frammenti e Testimonianze*

71
•1 fr. e le test. non sono qui raccolti in sezioni separate per le ragioni a cui ho accennato
nel corso del presente lavoro, ma anche per dare l'idea della sequenza dei lemmi aristotelici,
trattandosi di un commentario continuo e non tematico [cf. F. Romano, Genesi e strutture
del commentario neoplatonico, in F. R., Studi e ricerche sul neoplatonismo (Napoli, Guida,
1 983) 49 ss.).
Per ciascuna fonte, oltre al numero progressivo, saranno fatti due riferimenti: l'uno
relativo al Commentario alla Fisica di Simplicio, l'altro relativo al lemma della Fisica di
Aristotele.

72
l

Simpl. Phys. 9, 1 0-27 [= Aristot. Phys. A l , 1 84a 1 0 ss.]

Porfirio dice che ricercare se esistono principi della fisica non è


compito del fisico, bensi di colui che si è già elevato al di sopra della
fisica. Infatti il fisico si serve di principi già dati. Ma si potrebbe dire
ancora meglio che è compito di colui che si eleva al di sopra della fisica
il ricercare quali siano i principi. Infatti né il geometra né il medico
dimostrano i propri principi, ma si servono di quelli che sono e cosi
come essi sono. Come mai allora i fisici, quasi tutti, ricercano i principi
della fisica? Forse perché gli enti fisici sono composti e hanno principi,
ed è compito del fisico dimostrare quali siano tali principi, come anche
è compito del medico dimostrare che il corpo umano è composto di
quattro elem�nti, o è compito del grammatico dimostrare che il discorso
è composto di ventiquattro elementi. Quale potenzialità, poi, ciascuno
degli elementi abbia, è compito di colui che si eleva al di sopra della
fisica dimostrarlo, del musico, ad esempio, a proposito delle lettere, del
fisiologo 1 , a proposito del corpo umano, del metafisico, a proposito dei
principi fisici. Perciò Aristotele, dopo avere mostrato che sono principi
della fisica la materia e la forma, dice che la materia si conosce per via
analogica 2, sebbene il metafisico la dimostri per via causale. "In merito
al principio formale, dice infatti Aristotele, se sia uno o molti e quale
sia o quali siano, è opera della metafisica il definirlo con precisione;
sicché rimandiamo la ricerca al momento opportuno" 3•

1 Questo termine comprende, in questo contesto, sia il fisico sia il medico.


2 Cf. Aristot. Phys. A7, 1 9 l a8, dove l'ultmcdj.U:vov diventa UltOKEtl!iVTJ !pli<nç.
3 Cf. Aristot. Phys. A9, 1 92a34-b l . Il rinvio di Aristotele è a Metaph. Z e A 7-9.

73
2

Simpl. Phys. 1 0,25-1 1 ,29 [= Aristot. Phys. A l , 1 84a1 0 ss.]

Porfirio dal canto suo dice: «[Aristotele] dice che un primo modo
di intendere il principio si ha quando significa punto di partenza del
movimento: tale è "il principio da cui" [à<p'oÒ], come l'inizio di una
strada; cosi anche la chiglia di una nave, o la pietra di fondazione di una
casa. A tale primo significato si contrappone il principio come termine.
Un altro modo di intendere il principio è "ciò per opera di cui" [ù<p'oÒ],
come ad esempio la natura è principio per gli enti naturali o l'arte per
gli enti artificiali. Principio si può intendere anche "ciò per cui" [oÒ
�v&Ka], come ad esempio la vittoria per la gara. In un altro modo ancora
si dice principio "ciò da cui qualcosa ha origine in quanto è prima e
immanente", come ad esempio le pietre e il legno sono principio della
casa in quanto materia di cui è fatta. Principio sono infine anche la forma
esteriore 1 e la figura, e in generale la specie. Ma Aristotele, considerando
la forma solo nella materia, chiamava questa principio, mentre Platone,
concependo accanto a tale forma immanente nella materia anche la for­
ma separata dalla materia, ha introdotto il principio paradigmatico. Se­
condo Aristotele, dunque, il principio si dice in quattro modi: "ciò di
cui una cosa è fatta" [ti; oÒ], come la materia, "ciò secondo cui" [Ka�'o],
come la forma, "ciò ad opera di cui" [ù<p'oÒ], come l'agente ['tò notouv],
"ciò per cui" [ot'<S], come il fine. Secondo Platone, invece, principio si
dice anche "ciò in relazione a cui" [npòç <S], come il paradigma, e "ciò
per mezzo di cui" [ot'oÒ ], come lo strumento. Quanti sono i modi di dire
il principio, tanti sono i modi di dire la causa. Ambedue, principio e
causa, mentre significano la stessa cosa relativamente all'oggetto, invece
differiscono relativamente alla nozione: infatti, dice Porfirio, mentre il
principio è concepito tale in quanto sta prima, invece la causa è tale in
quanto produce qualcosa e reca ad effetto ciò che sta dopo di sé, e ancora
differiscono perché la causa è principia/e in potenza e il principio è finale
in potenza 2• Perciò la nozione di principio precede la nozione di causa.

74
Ma i principi si dicono in altrettanti modi quanto le cause, ma non in
tutto e per tutto, bensi alcuni, ad esempio si dicono principi di generazio­
ne, come materia e forma o efficiente e paziente o quel singolo elemento
che ciascuno dei fisici prende in considerazione; altri invece principi di
conoscenza come, ad esempio, le premesse immediate e indimostrabili 3;
altri ancora principi di sostanza come, ad esempio, il limitato e l'illimita­
to di cui parlavano i Pitagorici, oppure il dispari e il pari; altri infine
principi di attività come, ad esempio, l'efficiente e il fine)).[Simplicio
prima risponde ad Alessandro. Quindi risponde a Porfirio]. A Porfirio
c'è da dire che: l . dal momento che anch'egli li tiene distinti, la causa e
il principio non si dicono nello stesso numero di modi, bensi, mentre
ogni causa è anche principio, invece il principio di una cosa, come ad
esempio della strada o dello spettacolo, non si può chiamare causa; 2. la
nozione di principio non precede la nozione di causa, se è vero che la
causa precede necessariamente l'effetto, mentre il principio, sia esso pre­
so come parte che sta prima o come elemento, coesiste con la cosa che
esso reca a compimento.

1 JLOpqn'l qui non può essere sinonimo di tiooç, che si trova nello stesso contesto di di-
scorso.
2 La causa ha il potere di far cominciare, il principio di portare a termine.
3 Quelle del ragionamento sillogistico. Cf. Aristot. An. post. A3, 72b20 ss.

75
3

Simpl. Phys. 43,26-44, 1 0 [= Aristot. Phys. A 2, 1 84b20 ss.]

Che Aristotele pensasse che Democrito supponeva che i principi


fossero omogenei e della medesima sostanza, e li chiamava atomi diversi
per figura e al tempo stesso per forma, tutti gli interpreti sono concordi.
Quanto invece all'espressione di Aristotele "o anche contrari" 1 , Porfirio
e Temistio sono dell'opinione che essa sia in correlazione con l'espressio­
ne "o cosi come Democrito", e si riferisca ad Anassagora. E infatti tra
coloro che sostengono che i principi sono infiniti di numero, Democrito
suppone che gli atomi siano della stessa sostanza in quanto concepiti
secondo un unico genere, il pieno, e dice che differiscono per figura, per
posizione e per ordine, mentre Anassagora pone i principi come contrari
per sostanza. Infatti Anassagora, ponendo tra le omeomerie il caldo e il
freddo, il secco e l'umido, il rado e il denso, e tutte le altre coppie di
contrari per qualità, dice che da tali principi omeomerici sono da distin­
guersi le omeomerie che secondo lui sono principi [cioè fuori dalla con­
trarietà], essendo propriamente la contrarietà concepibile nella qualità e
non nelle figure. [Segue l'esegesi di Alessandro, diversa da quella di
Porfirio e Temistio].

1 Non soltanto differenti. Questo luogo della Fisica è controverso, soprattutto sotto
il profilo filologico. Cf., per la storia della tradizione e delle interpretazioni, Ross, Aristot/e's
Physica, Oxford "1 936, Comm. ad /oc..

76
4

Simpl. Phys. 70, 1 1 - 1 7 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85a1 7 ss.]

E con tale punteggiatura [m:pì cpooecoç [ ... ], où cpucrucà] sembra sia


d'accordo anche Porfirio, che cosi interpreta il passaggio aristotelico:
<<Nondimeno, poiché il discorso degli Eleati verte sulla natura, anche se
essi la negano [cioè la considerano un'illusione dell'opinione e non una
realtà] in quanto non la riconoscono, anche se, cioè, le loro aporie non
sono di ordine "naturale", occorre tuttavia discutere un poco su di loro».
E questa interpretazione - continua Simplicio - è molto ragionevole, se
è vero che Melisso, come Aristotele diceva prima, ha posto anche come
titolo ad un suo trattato il seguente: "Sulla natura o sul non-essere".
[Segue l'altra lezione riferita da Alessandro].

Simpl. Phys. 73,2-4 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85a20 ss.]

Ma io ho reso in tal modo la divisione di Aristotele [cioè con queste


articolazioni di discorso] e le sue obbiezioni a ciascuna sezione della
medesima divisione, seguendo in larga misura Porfirio. [Segue l'opinione
di Alessandro. Dopo di che si riprende l'opinione di Porfirio. Ma cf. nr.6].

77
6

Simpl. Phys. 74,5- 1 8 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85a20 ss.]

Giustamente Porfirio dice che la domanda posta da Aristotele all'ini­


zio, e cioè "se tutte le cose sono sostanza o quantità" 1, vuol significare
questo, cioè se essi [gli Eleati] dicono 2 che il nome è uno mentre le cose
sono molte, oppure dicono anche che tutte le cose sono una sola cosa 3
e che questa è ovviamente indivisibile, come ad esempio un unico uomo
o un unico cavallo. Coloro infatti che dicono genere o specie, poiché
ciascun genere o specie si dice di molti, concordano nel dire che esiste
la molteplicità. Se infatti Aristotele non avesse voluto porre in questo
senso la domanda, che bisogno avrebbe avuto di affermare come premes­
sa che l'essere si dice in molti modi? Se poi era chiaro, per coloro che
sostengono tale tesi, che essa è assurda, e cioè che sotto un unico nome
sono posti direttamente 4 una molteplicità di cose, allora non bisogna
meravigliarsi se Aristotele, a completamento della sua divisione, ha po­
sto in evidenza l'assurdità della tesi. Ma perché Aristotele ha contraddet­
to tale assurdità, e non ha invece tollerato di porsela come domanda?
Insomma l'intera tesi di coloro che dicono che l'essere è uno, se la si
recepisce cosi superficialmente, è paradossale e incongruente, e nondime­
no Aristotele la ritenne degna di confutazione, perdonando alla sempli­
cioneria di coloro che la sostenevano 5•

1 Cf. Aristot. Phys. A 2, l 85a22-23.


2 Accetto la correzione di <1'1101. in <pam di Torstrik, in analogia con il AtyoU<nv della
linea seguente.
3 mivta llv. Cf. ad esempio Zenone A22DK e Melisso A5 [- MXG 2,975b25].
4 eu�Uç. cioè univocamente, senza tener conto della polisemanticità del nome essere.
5 Tutto il passaggio sembra una parafrasi da Porfirio. Subito dopo viene riferita da
Simplicio l'esegesi di Eudemo con citazioni testuali

78
7

Simpl. Phys. 80,23-30 [= Aristot. Phys. A 2, 1 8 5b5 ss.]

Aristotele si serve qui di una divisione che è propria dell'uno e non


vuole significare - io credo, dice Simplicio - ciò che su questo punto
dice Porfirio. Questi infatti dice: «Anche l'uno ha molti significati, e
anzitutto tanti quanti ne ha anche l'essere, e coloro i quali distinguono
l'uno pressappoco negli stessi modi che l'essere, possono argomentare
interrogando gli Eleati in che modo dicono che l'essere è uno, se come
sostanza o come qualità o in qual altro modO)) 1 • Aristotele infatti, conti­
nua Simplicio, in modo assolutamente preciso ha ammesso che una cosa
è la divisione dei significati dell'essere, altra cosa quella dell'uno: l'uno
infatti è uno o per genere o per specie o per numero [... ].

1 Cf. Aristot. Metaph. A 6, 1 0 1 6a32 ss.

Simpl. Phys. 82,28-32 [ Aristot. Phys. A 2, l 85b 1 9 ss.]


=

Sicché il ragionamento e la ricerca non verteranno piu sulla doman­


da se l'essere è uno, bensi se è nulla, se è vero che di ciascuna cosa
l'affermazione e la negazione saranno ugualmente vere, o, come inferisce
Porfirio, se è vero che ciò che è non è. Infatti, cosi come l'uomo è il
non-uomo, saranno ugualmente veri anche l'essere e il non-essere.

79
9

Simpl. Phys. 83,6- 1 9 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85b l l ss.]

Aristotele, dopo avere risposto alla prima sezione della divisione,


quella cioè che dice che l'essere è uno cosi come il continuo, prima di
risolvere le rimanenti sezioni della divisione, con l'inserire un'aporia a
proposito dell'intero e della parte, se cioè essi sono cosa identica o diver­
sa, o piuttosto se sono ambedue una cosa sola, ha reso in tal modo il
suo discorso meno chiaro. Porfirio dice che tale aporia era stata avanzata
come aporia di chi gli avrebbe potuto rimproverare di avere parlato di
tre soli modi di esistere dell'uno e di non avere aggiunto il quarto modo,
che alcuni introducevano, ritenendo che la parte non continua, rispetto
ad altra parte, e l'intero sono uno, come ad esempio la mano di Socrate
e Socrate sono uno; modo che non coincide con nessun altro dei modi
dell'uno detti prima. Aristotele, dunque - dice Porfirio -, confuta prima
costoro in quanto hanno un'opinione assurda 1 , e passa quindi a confuta­
re la sezione della divisione che tratta dell'uno come indivisibile. E la
confutazione di costoro è la seguente, secondo Porfirio: «Se la mano
destra di Socrate e Socrate sono uno, e d'altra parte la mano sinistra di
Socrate e Socrate sono pure uno; allora la mano destra e la mano sinistra
saranno uno. Questo infatti [dice Porfirio] vuoi significare Aristotele con
le parole "se ciascuna delle due parti è uno con l'intero in quanto è
indivisibile, allora anche le due parti saranno uno tra loro"» 2• [Segue
l'esegesi di Alessandro].

1 Cf. Aristot. Phys. A 2, 1 85a30.


2 Le (( ... >> sono mie. Il Diels mette tra apici "... " tutto il passaggio, senza fare distinzione
tra le parole di Porfirio e quelle di Aristotele.

80
10

Simpl. Phys. 85,8-1 1 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85b 1 1 ss.]

Porfirio dal canto suo ritiene che l'intera aporia [quella relativa alla
parte e all'intero. Cf. nr.9] concerna proprio queste parti continue, nono­
stante Aristotele aggiunga precisamente le parole "e sulle parti non­
continue" 1 •

1 Cf. Aristot. Phys. A2, l 85b 14. Credo che la tesi di Porfirio sia questa: l'aporia relativa
all'esempio 1 Socrate - mano destra - mano sinistra l è valida per le parti sia continue
che non-continue. Insomma Porfirio penserebbe che in fondo, ai fini dell'aporia, anche le
pani non-continue (come, ad esempio, mano destra o mano sinistra) possono ricondursi
alle pani continue, in quanto fanno pane dell'uno-intero. Cf. per questo la fonte nr. I l .

11

Simpl. Phys. 86, 1 0-2 1 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85b 1 1 -1 2]

Questo fatto [il fatto che Aristotele aggiunga le parole "ma forse non
riguarda questo nostro discorso" = 1 85b1 1- 1 2] ha indotto Porfirio a dire
che il discorso inserito da Aristotele incidentalmente a questo punto è
rivolto contro coloro che aggiungono un quarto modo di dire l'uno. Ma
non esiste un quarto modo; esso è piuttosto una sezione dell'aporia che
vuole mostrare uno il continuo. Perciò Aristotele pensa all'intera aporia
quando dice "c'è d'altronde un'aporia a proposito della parte e del tutto,
se la parte e il tutto sono uno o molti", e aggiunge solo che è assurda la
conseguenza per coloro che dicono che sono uno, e che anche questi

81
sbagliano (infatti dicono giusto coloro che affermano che sono cose diver­
se), e che questo ragionamento sembra confutare la tesi secondo la quale
il continuo è molti e divisibile in parti sempre divisibili. Mi meraviglio
che Aristotele, scrive Simplicio, abbia contraddetto quei significati del­
l'uno, che anche Parmenide dice che possiede l'essere uno. E infatti [... ]
[Segue la citazione di Parmenide].

12

Simpl. Phys. 92,26-97,8 [= Aristot. Phys. A 2, 1 8 5b25 ss.]

Poiché Porfirio si è diffuso 1 in maniera originale su questo luogo di


Aristotele, è opportuno non tralasciare le sue opinioni, sia quelle che
sintetizzano, sia quelle che fanno aggiunte al testo di Aristotele.
Allora Porfirio dice: «Aristotele, dopo avere esaurito il quadro delle
difficoltà relative a ciascuno dei significati dell'uno, aggiunge un'ulteriore
aporia che potrebbe essere sollevata contro di sé. Qualcuno infatti potreb­
be dire: Tu, Aristotele, hai sollevato queste aporie sulla base della pre­
messa che l'uno si dice in molti modi, cosi come l'essere; ma se cadesse
tale premessa, probabilmente tu non potresti sollevare tali aporie. A
costoro Aristotele ha dato una risposta rigorosa e che al tempo stesso
non fu tenuta presente da tutti gli interpreti, dicendo che se non si suppo­
nesse che l'essere si dice in dieci modi, allora non solo Parmenide e
Melisso, ma anche tutti gli altri ne resterebbero sconcertati. Infatti noi
dobbiamo sapere in quale specie di uno propriamente ci imbattiamo.
Ma non è forse altrettanto evidente che, in quanto uno, questo è concepi­
to come qualcosa di semplice e privo di parti e indivisibile? Quando
dunque dicessero che l'animale è uno secondo il genere ma molti secondo
la specie, o che l'uomo è uno secondo la specie ma molti secondo il
numero, o che Socrate è uno in atto ma molti in potenza e cioè secondo
le parti e gli accidenti, forse che non nominerebbero l'uno secondo il
nome, mentre non sarebbero affatto d'accordo secondo la nozione del-

82
l'uno? Infatti in questi casi esiste un gran numero di punti di vista,
quand'anche genere o specie si dica al singolare, e cosi come la stessa
molteplicità anche la cavalleria, quand'anche si dica al singolare, indica
molteplicità. A ragione dunque nasceva su questo punto una certa aporia,
come ad esempio anzitutto l'aporia sui soggetti e gli accidenti. Se infatti
si dice Socrate è bianco, come può questa proposizione indicare l'uno?
Infatti o il bianco non è niente, e allora non sarà nulla il predicato di
Socrate; oppure è vero che anche il bianco esiste, e allora perché la
proposizione Socrate è bianco non sarà due? Se infatti il predicare il
bianco di Socrate è nulla, non sarà a maggior ragione nulla il fatto che
Socrate sia soggetto? L'uno e l'altro, infatti, Socrate e bianco, esistono.
La stessa cosa vale anche per l'uno in atto e i molti in potenza. Cosa
diremo, infatti, che le parti di Socrate non sono nulla? E come mai allora
non sarà nulla anche l'intero, dal momento che l'intero è composto dalle
parti? Diremo invece che le parti esistono? E come mai allora Socrate
non è molti? Lo stesso discorso vale anche a proposito del genere e della
specie. Animale"infatti come accidente di uomo, o uomo come accidente
di Socrate non sono nulla né l'uno né l'altro? E allora come diremo che
l'animale differisce dal non-animale, o l'uomo dal cavallo? Animale è
invece qualcosa? E allora come l'uomo non sarà molti, essendo sia uomo
sia animale? E poi, perché uomo può essere accidente di Socrate, e Socra­
te non può essere accidente di uomo? Grande fu dunque la perplessità,
non soltanto nei confronti di Parmenide, ma senz'altro nei riguardi di
tutti coloro i quali consideravano l'essere come sinonimo e lo ritenevano
identico all'uno, e non erano perciò capaci di conservare nella sua purez­
za la nozione dell'uno. Perciò Licofrone non adoperava la particella
copulativa "è" in quanto da essa derivava qualcosa di assurdo, e alcuni
mutavano in verbi i predicati volendo significare che le forme verbali
hanno un valore inferiore all'essere, e anzi sono accidenti. I seguaci della
scuola di Eretria, invece, dicono che nulla si può predicare di nulla, ma
solo una cosa di se stessa, come l'uomo-uomo. Ma né i primi né questi
ultimi sfuggono al problema, perché l'uomo come tale sarebbe oggetto
di ricerca. Ma essi non dicono che è opportuno fare tale ricerca. Infatti
è molti, se è vero che in atto è diviso, mentre ora dicono che esiste come
uno. Ma il discorso riguardava anche la ricerca sull'indivisibile e le parti.
Dunque è qualcosa o niente, finché è diviso in parti? Sicché il problema
non si risolve.

83
Quindi solo Aristotele ha visto come si deve risolvere tale e tanta
aporia. Gli enti infatti, egli dice, sono enti non tutti alla stessa maniera;
perciò il loro genere non è l'essere tout court. Ma, mentre questo [cioè
l'essere in generale] può essere tale quale è e sussistere in sé e per sé
secondo la sua propria caratteristica, gli enti invece non partecipano
dell'essere tutti allo stesso modo, ma in un modo o nell'altro secondo
l'essere che è in essi, e dipendono dal loro rapporto con l'essere. Infatti
il padre e il figlio sono tali per caso, e cosi pure il signore e il servo.
Perciò l'essere si dice in molti modi; senonché tutto ciò che non è sostan­
za è accidente della sostanza, secondo la quale si caratterizza anche il
soggetto. Perciò alcuni, come gli Stoici, negano l'esistenza di ciò che non
sia evidente. Ma chi dice che cosi come la sostanza anche il resto è uno,
sbaglia ancora di piu, perché renderà gli enti molteplici e li ammucchierà
come corpi indivisibili. Chi invece dice ora che gli enti sono per il fatto
che sono pensati in funzione della sostanza e sono insieme con essa, ora
che sono per il fatto che non possono sussistere senza di essa, costui ha
già raggiunto una posizione corretta. Seguendo dunque la tesi secondo
la quale esistono vari modi di dire l'uno, noi non diremo piu che l'uno
è molti, giacché le parti di Socrate si dicono uno in modo diverso da
come si dice uno Socrate. Infatti Socrate mostra per se stesso la sua
propria peculiarità, mentre le sue parti non sussisterebbero senza l'intero
[cioè senza Socrate], ma esistono in quanto sono con l'intero. Quindi
Socrate resta uno. Parimenti Socrate non diviene molti in virtu della
specie [Socrate è uomo], essendo insieme anche uomo, per il fatto che
la specie non sussiste mai in se stessa, né l'uomo sussiste cosi come
sussistono le sostanze prime, ma in modo diverso. Ma non si può neppu­
re dire che l'uomo al di fuori di Socrate sia assolutamente nulla, cioè che
sia una parola superflua [un pleonasmo], anche se non è tale e quale è
Socrate, ma che è in Socrate e con Socrate. Infatti l'essere non è omonimo
cosi come le cose casuali, ma come ciò che deriva dall'uno. E il bianco
è bianco quando sia proprietà di altro, e perciò abbia l'essere nell'essere
dell'altro. Come infatti la superficie di un corpo, essendo quale è il corpo,
prende l'essere dal corpo stesso, allo stesso modo occorre intendere anche
la sussistenza degli altri enti [accidentali]; infatti questi sussistono in
quanto sono di altro. Perciò "Socrate è bianco" non è piu molti, cioè se
stesso e le sue parti. Infatti Socrate è costituito non già dal fatto che certe
altre cose si uniscono insieme, cosi come si uniscono i buoi al giogo o

84
gli uomini in una piazza, bensi dal fatto che, essendo soggetto, egli ha
gli accidenti che sussistono in tanto in quanto sono di altro [cioè di
Socrate] e sono anche in virtu di quell'altro. Ché se fossero molti e
insieme con altro diverso da essi, parlo ovviamente degli accidenti, allora
il problema resterebbe ancora. Di qui emerge l'aporia dell'essere e del
non-essere. Infatti, la sostanza è essere nel senso che gli accidenti che
sono in essa non sono, ma in un altro senso anch'essi sono in quanto
sono [accidenti] della sostanza. Tu potresti dire che anche l'uno è molti,
ma non nel senso che anche i molti sono cosi come l'uno; infatti i molti
non nascono per moltiplicazione di tante unità. La stessa cosa vale per
le parti di Socrate; infatti anche queste non sono cosi come è Socrate.
Ma esse, in quanto parti di esso, sono anche in virtu del suo essere.
Né Socrate è anche animale e uomo cosi come è rispetto alle sue parti,
e neppure è Socrate e uomo e animale. Questo è quel che facevano coloro
che ponevano l'essere come sinonimo, oppure coloro che negavano ogni
cosa che fosse altro dall'essere, dicendo che l'essere è uno. Socrate dunque
non è tre né uno solo. Infatti le cose diverse da Socrate non sono nulla,
perché anch'esse sono in virtu dell'essere di Socrate, anche se non come
è lui. E cosi di nuovo Socrate è molti e non molti, ma uno; ma è non
quell'uno che si mantiene assolutamente puro anche dalla combinazione
concettuale, ma come l'uno che fa essere un'unica sussistenza e porta a
un'unica sostanza, non come il mattone che è unico in quanto è uno di
nome, ma in virtu del fatto che fa esistere un'unità e comporta la presen­
tazione di qualcosa che è questa cosa qui. Infatti i molti sono uno, se si
intende l'uno secondo omonimia, cosi come Aristotele per primo pensò.
Dunque gli enti sono molti anzitutto nelle categorie, quali ad esempio
la sostanza, la qualità ecc., e secondo tutte le categorie sono ora in poten­
za ora in atto, e ancora sono molti per genere, per specie e per numero.
Ma sono molti - oltre a ciò - anche per divisione, per nozione e per
nome. E non è assurdo il fatto che la stessa cosa si presenti ora in un
modo ora in un altro, ed è detta uno, mentre sotto altro aspetto è molti,
ed è insieme uno e molti, termini che non sono certo qui contraddittori.
E la ragione è che né l'essere né l'uno si dicono in un solo modo, ma
ciascuno in molti modi. Non avendo capito questo, dice Aristotele, i
suoi predecessori sono rimasti perplessi, alcuni di loro dicendo che gli
enti sono molti e infiniti e separati gli uni dagli altri, altri invece che
sono uno, ma uno o nel senso di un solo essere come qualcosa di semplice

85
e inesteso, o nel senso di molti uno come un coro; ma, come si diceva,
l'essere è uno e non uno, come abbiamo spiegato».
Sono queste, dunque, le cose che io ritengo [continua Simplicio]
degne in se stesse di molto studio relativamente sia alle ricerche fisiche
sia alla divisione delle categorie, e che il filosofissimo Porfirio ha brillan­
temente scritte, prendendo spunto forse, per queste sue considerazioni,
dall'espressione aristotelica "come se l'uno o l'essere si dicessero in un
solo modo, mentre gli enti sono molti".

1 tmOpaj.16vtoç. Si tratta di un termine tecnico con forte valenza retorica. Tò tmtpéxov


in Hermogeni m;pl. l.Beoov I , p. 1 50 est Forma dicendi oratoria, quae facit orationem amplam
et ltt:ptPoì..tK"rlv ( ... ], quum dirimitur propositio interpositis sententiis [ThLG III 1 859].

13

Simpl. Phys. 97,4-8 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85b29 ss.]

Sicché, se si dovrà risolvere anche l'aporia che nasce dagli accidenti


[se nella definizione di una cosa, ad esempio di uomo, i suoi cannotati
sono accidentali o no, ad esempio l'essere bipede di uomo. L'aporia è
che, essendo l'accidente solo possibile, e quindi non necessario, l'uomo
potrebbe non essere bipede], Porfirio pensò e interpretò correttamente
[x:aMr>ç] l'ironia espressa da Aristotele nelle parole "come se l'uno o
l'essere potessero dirsi in un solo senso, mentre gli enti sono molti"
[Aristot. Phys. A 2, 1 85b 3 1 -32]; anche Eudemo ha mostrato in qualche
modo di avere la stessa opinione, concludendo che la soluzione di Aristo­
tele sta nella distinzione tra l'essere in potenza e l'essere in atto.

86
14

Simpl. Phys. 1 0 1 ,25-1 02, 1 5 [= Aristot. Phys. A 2, 1 85b29 ss.]

La soluzione di Aristotele, che Porfirio mette in evidenza, è anch'es­


sa relativa ai sensibili, ma nasce dalla differenza degli enti non in quanto
sono sinonimi, ma in quanto derivano dall'uno. E perciò la sostanza,
che per sua natura sussiste per sé ed è perciò soggetto [degli accidenti,
che non sussistono in sé], resta quello che è e grazie ad essa l'intero è
uno. Gli accidenti, invece, o le parti sussistenti nella sostanza e nell'inte­
ro, si presentano come molteplicità, non in quanto è l'uno [della sostan­
za] a moltiplicarsi (giacché gli accidenti non aggiungono alcunché all'uno
della sostanza, appunto per il fatto che non possono sussistere in sé), ma
come se quella che si è moltiplicata fosse una certa "sussistenza rilassata"
dell'essere. Infatti la sostanza non viene moltiplicata da tali unità [cioè
dagli accidenti]. È opportuno anche tener conto del fatto che questa stessa
soluzione fa vedere anche la ragione per la quale non è la sostanza in
rapporto alla qualità, ma la qualità in rapporto alla sostanza, e che un
conto è la sostanza, un altro conto gli accidenti. Ma anche se i generi e
le specie e gli acciqenti sono secondari rispetto alla sostanza che è indivi­
sibile, in quanto sussistono in essa, che cosa sarebbe in se stessa una
sostanza indivisibile concepita separatamente dai suoi accidenti? Socra­
te, infatti, come potrebbe essere senza l'uomo e il vivente, gli accidenti
che lo realizzano come Socrate, se è vero che tali cose secondarie [gli
accidenti] sono enti cosi come sono enti le parti che sono secondarie
rispetto all'intero, sebbene siano completive dell'intero? Esistono infatti
anche queste che sono le parti della sostanza indivisibile, essendo questa
un insieme e sostanziandosi appunto in virtu di tale insieme. Perciò la
sostanza non è nessun paradigma primordiale della interezza degli enti
indivisibili, perché questi sussistono in virtu di un insieme e l'anima li
conosce per impressione derivante dalla sensibilità, proiettando la sin­
drome di essi nella costituzione di un unico concetto.

87
15

Simpl. Phys. 1 06,27- 1 07, 1 1 [= Aristot. Phys. A 3, 1 86a1 3 ss.]

Poiché anche le cose che si alterano si dice che divengono, e che


anche l'alterazione è un certo divenire (il bianco infatti viene dal nero e
il caldo dal freddo), su tali opinioni Aristotele dice che non è vero che
tutto ciò che diviene ha un unizio relativamente alla cosa che diviene 1,
bensi è vero che alcune cose cominciano ad alterarsi tutte d'un colpo
nell'insieme delle loro parti, come accade per le cose che si condensano,
il cui cambiamento per condensazione non ha inizio in una data parte,
ma le parti tutte insieme cominciano a condensarsi d'un sol colpo e
procedono nella condensazione tutte d'un colpo [se si accetta l'omissione
del ms.F - come io credo si dovrebbe fare, per semplificare il discorso
- si ha: ma tutte insieme le parti si condensano d'un colpo], poiché,
come io credo, ci�p6ov non significa fuori del tempo, come intende
Porfirio 2, il quale si sforza di dimostrare che l'alterazione di cui parla
Aristotele è atemporale, bensi significa tutte le parti contemporaneamen­
te. La condensazione, infatti, come l'illuminazione dell'aria, non avviene
fuori del tempo, ma ha inizio temporalmente in una determinata parte
del tempo, e le particelle subiscono l'effetto dell'alterazione tutte d'un
colpo. In altri termini qualsiasi parte si altera d'un sol colpo, anche
quando essa è divisibile all'infinito, e non subisce alterazione in una sua

1 La precisazione è necessaria perché Melisso sosteneva che solo il divenire della cosa
ha un principio, non il divenire in assoluto.
2 ex Porphyrio etiam priora repetivisse videtur - cf. p. 1 0,25 ss. -, scrive Diels in
apparato. In effetti è chiaro che qui Simplicio polemizza contro Porfirio sull'interpretazione
di à�p6ov. L'ci>ç llop<puplOç f!Kooot non può significare altro che Porfirio pensa il contrario
di quello che crede Simplicio; non si spiegherebbe altrimenti l'olJ.lal.

88
prima particella, come mostrerà lo stesso Aristotele nel libro Z 3 di questo
medesimo trattato, la Fisica, dicendo: "Neppure della cosa che ha subito
mutamento, c'è una qualche parte che sia mutata prima delle altre". Ma
ancora piu chiaramente Aristotele ha scritto queste stesse cose nell'ulti­
mo libro della Fisica 4: "Allo stesso modo accade in qualsiasi alterazione:
non è vero, infatti, che, se ciò che si altera è divisibile all'infinito, per
ciò stesso anche l'alterazione lo sia, bensi quest'ultima avviene spesso
d'un sol colpo, come ad esempio la condensazione".

3 Aristot. Phys. Z5, 236a27 s.


4 Aristot. Phys. 93, 253b23 s.

16

Simpl. Phys. 1 1 6,6-20 [= Aristot. Phys. A 3, 1 86a24 ss.]

Porfirio, riferendo anch'egli, come credo, le parole dei parmenidei


e quelle di Aristotele, e volendo far parlare su di esse uno che volesse
esporre fedelmente le dottrine di Parmenide, scrive quanto segue. «Il
discorso di Parmenide è di questo tenore: se c'è qualcos'altro dal bianco,
esso è il non-bianco, e se c'è qualcos'altro dal bene, esso è il non-bene,
e se c'è qualcos'altro dall'essere, esso è il non-essere. Ma il non-essere
non è niente. Dunque esiste soltanto l'essere. Dunque l'essere è uno. E
infatti, se gli enti non fossero uno, ma piu, certamente differirebbero tra
loro o per l'essere o per in non-essere. Ma non possono differire né per
l'essere (infatti secondo lo stesso essere sono uguali, e gli uguali in quanto
uguali sono indifferenti e non si dànno come enti diversi, e i non diversi
sono uno), né per il non-essere. Le cose che differiscono, infatti, devono
anzitutto essere, mentre le cose che non sono, neppure differiscono tra
loro. Pertanto se le cose poste come piu non possono differire né essere
diverse tra loro né per l'essere né per il non-essere, è chiaro che tutto
sarà uno e tale uno sarà ingenerato e incorruttibile». In verità - continua
Simplicio - Aristotele subito dopo sembra che menzioni allo stesso modo
di Porfirio il ragionamento di Parmenide [ ...].

89
17

Simpl. Phys. 1 22,23-1 23,8 [= Aristot. Phys. A 3, 1 86a32 ss.]

Adrasto, volendo spiegare cosa significhi l'espressione aristotelica


o1tep ov 1, non va molto piu in là delle cose esposte fin qui. Ma io credo
che sia meglio non trascurare le cose dette da lui, che sono utili, e delle
quali fa cenno anche Porfirio. Adrasto dice che di tutte quante le cose
esistono i soggetti, e che le loro proprietà esistono nei loro soggetti.
Propriamente parlando, ciascuna delle sostanze prime fa da soggetto,
come ad esempio un certo uomo, ad esempio Socrate, o questa pietra.
Piu in generale soggetto è tutto ciò di cui si può per natura predicare
qualcosa d'altro. Infatti un bianco o una grammatica non sono mai per
sé soggetti, ma sono in un soggetto, in questo determinato corpo, o in
questa determinata anima.

1 Si tratta di un luogo di non facile lettura. La traduzione di A.Russo [Aristot. Opere,


Bari, Laterza, 1 973, p. 8) è ambigua: ((È indispensabile, altresi, per gli Eleati porre non solo
che l'uno indica l'essere in relazione al quale esso sia predicato, ma anche porre l'essere
in sé e l'uno in sé>>. La traduzione piu corretta e chiara è la seguente: <(()ccorre allora
considerare non solo che l'essere, comunque lo si predichi, significa uno, ma anche [in
questa identità di essere-uno) quale significato ha l'essere in quanto essere e l'uno in quanto
UnO)).

90
18

Simpl. Phys. 1 35, 1 - 1 4 1 [= Aristot. Phys. A 3, 1 87a 1 ]

Porfirio dice che Platone sostiene che esiste anche il non-essere, che
esiste ovviamente come non-essere. Infatti Platone dichiara che, mentre
l'essere oggettivo è l'idea e che questa è effettivamente sostanza, invece
la materia suprema, prima, amorfa e priva di specificazione, da cui pro­
vengono tutte le cose, esiste, ma non è nessuno degli enti. Essa infatti,
concepita in se stessa, è in potenza tutte le cose, e non è niente in atto.
Ciò che risulta dalla forma e dalla materia, in quanto partecipa della
forma è qualcosa ed è qualificato secondo la forma, in quanto partecipa
della materia e si trova a causa di essa in un continuo fluire e trasformar­
si, non è - al contrario - né semplice né stabile. Perciò Platone nel
Timeo, distinguendo questi due elementi [forma e materia], dice: "Quale
è l'essere che sempre è e che non ha nascimento, e quale quello che
sempre si genera e mai non è?" 2• Egli dice che anche il non-essere è, ma
non che il non-essere è l'essere, né che l'essere è il non-essere, ché non
sono opposti per contraddizione. Infatti non è possibile che l'uomo sia
al tempo stesso non-uomo, mentre è vero dire che è non-cavallo.

1 Su questa fonte cf. la discussione critica in 3.2. del presente studio.


2 Plat. Tim. 27d, trad. Adorno, UTET, Torino, 1 970 2 ad loc.

91
19

Simpl. Phys. 1 36,33- 1 37, 1 0 [= Aristot. Phys. A 3, 1 87al ss.]

Porfirio osserva giustamente che Platone non introduce il non-essere


assoluto, e dice che nel Sofista egli presenta come non-essere l'essere
generato, di cui parla nel Timeo [27d] quando dice: "E quale è quello
che sempre si genera e mai non è". Questa osservazione di Porfirio mi
sembra - dice Simplicio - degna di attenzione. Platone infatti sembra
che trovi il non-essere non nella differenziazione dei sensibili, ma in
quella delle specie intellettive. Non diceva infatti in un luogo [Sofista
248e], a proposito degli enti materiali e sensibili, queste parole: "E allora,
per Zeus? Ci faremo davvero convincere facilmente che movimento e
vita e anima e intelligenza non sono veramente presenti nell'essere che
compiutamente è, e che esso né vive né pensa, ma venerabile e santo,
privo d'intelletto, se ne sta immobile e fisso?" [trad. Cambiano, UTET
Torino 198 1 ]. Ad Alessandro e a Porfirio insieme io dico - continua
Simplicio - che non sarebbe poi cosi chiaro che Aristotele rimproveri
di avere introdotto il non-essere assoluto a Platone, il quale dice che
quello che egli introduce è un certo non-essere.

20

Simpl. Phys. 1 39,24- 1 40,26 [= Aristot. Phys. A 3, 1 87a l ss.]

Porfirio dice che anche l'argomento della dicotomia è di Parmenide,


il quale cerca di dimostrare con essa che l'essere è uno. Porfirio scrive
cosi: «Diversa era l'argomentazione di Parmenide intesa a dimostrare
attraverso la dicotomia che l'essere è uno solo e che esso è privo di parti
e indivisibile. Se infatti fosse divisibile, dice Parmenide, si potrebbe
dividere in due parti e ciascuna delle due parti ancora in due parti, e

92
procedendo sempre tale divisione, è chiaro, egli dice, che o resterebbero
delle ultime grandezze piccolissime e indivisibili e infinite di numero, e
l'intero sarebbe composto di parti piccolissime, e infinite di numero;
oppure l'essere svanirebbe e si dissolverebbe nel nulla, e sarebbe compo­
sto di nulla. Conseguenze tutte e due assurde. Dunque, l'essere sarà
divisibile e resterà uno. E infatti, poiché esso è in tutto e per tutto uguale,
se fosse indivisibile sarebbe divisibile ugualmente in tutto, e non già qua
si, là no. Ma poniamo che l'essere sia diviso in tutto e per tutto; è chiaro
ancora una volta che non rimarrà nulla, e sarà scomparso, e se sarà
composto, sarà composto ancora una volta di nulla. Se infatti restasse
qualcosa, vorrebbe dire che non sarà stato diviso in tutto e per tutto.
Sicché, anche da ciò è chiaro, dice Parmenide, che l'essere sarà indivisibi­
le e privo di parti e uno. Senocrate dal canto suo concedeva come valida
la prima conseguenza logica, che cioè se l'essere è uno, è anche indivisibi­
le, e non concedeva che l'essere è tout court indivisibile. Perciò di nuovo
sosteneva [contro Parmenide] che l'essere non è uno solo, ma piu. Ovvia­
mente affermava che l'essere non è divisibile all'infinito, ma divisibile
in tanti atomi. E questi atomi non sono privi di parti e piccolissimi, ma
sono divisibili per quantità e materia e muniti di parti, mentre quanto
alla forma sono atomi e primi elementi,- supponendo Senocrate che esi­
stano delle prime linee indi visibili e delle prime superfici e solidi compo­
sti da quelle linee. Senocrate pensa, dunque, di potere risolvere l'aporia
derivante dalla dicotomia e, insomma, dalla partizione e divisione all'in­
finito, con l'introduzione delle linee indivisibili, che egli riduce semplice­
mente a grandezze indivisibili, evitando che l'essere, una volta concepito
come divisibile, si dissolva e perisca nel non-essere, rimanendo le linee
indivisibili, di cui sono costituiti gli enti, impartibili e indivisibili». Po­
trebbe darsi benissimo - riprende Simplicio - che in queste parole di
Porfirio ci sia una citazione testuale dell'argomentazione della dicoto­
mia, con la quale per le conseguenze assurde della divisibilità si arriva
all'essere indivisibile e uno. Ma è opportuno stabilire se l'argomento sia
di Parmenide o non piuttosto di Zenone, come pensa anche Alessandro.
Infatti negli scritti di Parmenide non si parla di un tale argomento, e
d'altra parte la maggior parte delle testimonianze attribuisce a Zenone
l'aporia della dicotomia. E anche negli argomenti di Aristotele relativi
al movimento [Phys. VI 9] l'aporia della dicotomia è citata come.di Zeno­
ne.

93
21

Simpl. Phys. 1 4 1 ,24-29 1 [= Aristot. Phys. A 3, 1 87a1 ss.]

Ma occorre dire cosi come dice Porfirio, che «un conto è che il
continuo sia divisibile all'infinito, altro conto è che sia effettivamente
diviso in una infinità di parti>>. Infatti la divisione può sempre aver luogo
e ciò significa il suo essere all'infinito, invece mai è possibile che una
volta che essa abbia avuto luogo, abbia anche termine, poiché se cessa
vuol dire che è finita. Infatti c'è differenza tra il fatto che una cosa sia
divisa in un'infinità di parti e il fatto del dividere qualcosa all'infinito.

1 Questa fonte è legata alla controversa identificazione degli fvtm di 1 87a l , i quali
accettano - secondo Aristotele - ambedue gli argomenti eleatici ( l . che l'essere è uno in
senso assoluto; 2. che l'essere è uno perché la molteplicità che nascerebbe della sua divisibi­
lità all'infinito porterebbe al non-essere, argomento di Zenone). Alessandro, Porfirio e
Temistio pensano che si tratti di Platone e di Senocrate; Simplicio è d'accordo su Senocrate,
ma non su Platone, [cf. Simpl. Phys. 1 37,7-20, dove si dice che Platone non crede nell'à7tl..éiiç
J.l.lÌ 6v, ma nel J.l.lÌ 6 n]; Ross pensa si tratti degli atomisti, sulla base di un confronto con
Aristot. GC 324b35-325a32, dove Aristotele spiega l'atomismo come derivante da argo­
mentazioni eleatiche (cf. D.Ross, Aristot. Phys., Oxford 1 936, Comm. p. 479 ss.).
Si cf. anche Simpl. Phys. 453-454, dove Porfirio è citato a proposito del Filebo (argo­
mento dell'infinito per addizione di frazioni). Cf. anche la critica di Aristotele in Phys. r
6, e Ross ad loc..

94
22

Simpl. Phys. 1 49, 1 1 - 1 8 [= Aristot. Phys. A 4, 1 87al 2 ss.]

Anche Aristotele crede che sia Anassimandro quello che ha posto


come principio, accanto agli elementi, una certa natura diversa dal corpo.
Tuttavia Porftrio dice che quando Aristotele distingue nettamente coloro
che considerano corpo il substrato senza definirlo, da coloro che lo consi­
derano o uno dei tre elementi [acqua, aria, fuoco] 1 o qualcos'altro di
intermedio tra fuoco e aria, vuole dire che è Anassimandro che chiama
corpo il substrato in modo indeterminato, senza cioè definirne la specie,
né come fuoco, né come acqua, né come aria. Il qualcosa di intermedio
anche Porfirio come Nicola di Damasco, lo attribuisce a Diogene di
Apollonia.

1 Aristotele in Metaph. 969a6-9 dice che nessuno dei primi filosofi considera la terra
COme Ùlt01CE{J1EVOV.

23

Simpl. Phys. 1 5 1 ,20-30 [= Aristot. Phys. A 4, 1 87a 1 2 ss.]

Poiché i piu testimoniano che Diogene di Apollonia pone come


primo elemento l'aria, cosi come fa Anassimene, mentre Nicola di Da­
masco, nel suo trattato Sugli dei, testimonia che Diogene mostra che il
principio è qualcosa di intermedio tra fuoco e aria, e con Nicola concorda
anche il piu dotto dei filosofi, Porfirio, bisogna sapere che questo Diogene
scrisse parecchie opere (come egli stesso ricorda nel suo scritto Sulla

95
natura, quando dice che ha scritto Contro ifisici 1 , che egli chiama Sofisti,
nonché una Meteorologia 2, nella quale dice di avere parlato anche intor­
no al principio, e ancora Sulla natura dell'uomo 3). Ora, nel suo scritto
Sulla natura, che è l'unica sua opera pervenuta sino a me, si propone di
mostrare con molteplici argomenti che nel principio da lui posto c'è
molta intelligenza.

1 Si tratta veramente di uno scritto che recava questo titolo? Non mi sembra impossibi­
le, ma il Diels non pare di questo parere.
2 Si tratta di un Commentario ai Meteorologici di Aristotele?
3 Si tratta anche qui di uno scritto che recava questo titolo? Questo lo crede anche il
Diel s.

24

Simpl. Phys. 1 63, 1 6-20 1 [ = Aristot. Phys. A 4, 187a29 ss.]

Porfirio attribuisce ad Anassagora l'espressione "Tutte le cose erano


insieme", ad Anassimene l'espressione "Il divenire è l'alterarsi", a Demo­
crito e ad Empedocle l'espressione "[Il divenire] è l'aggregarsi e il disgre­
garsi". Ma Anassagora, continua Simplicio, dice chiaramente nel primo
libro della Fisica che il nascere e il perire sono aggregarsi e disgregarsi,
e scrive cosi [B 1 7 DK].

1 Aristotele dice che alcuni affermano che dall'uno che le contiene nascono le coppie
di contrari per divisione. Tra costoro c'è Anassimandro e tutti coloro che - come Empedo­
cle e Anassagora - dicono che gli enti sono uno e molti [t:v Kai ttolla - 1 87a21-22]. A
1 87a26 Aristotele continua dicendo che Anassagora, a quanto pare, sostiene che questi
molti sono infiniti. Tale assunto si basa - dice Aristotele - sul fatto che Anassagora accetta
l'opinione dei fisici secondo cui dal nulla non nasce nulla: où ytyvo�Jivou ooosvòç EK toii
J.ll'l ovtoç (Stà toiito yàp outw À.t)'OIX7!V [ ]). È evidente che MyoiX7!v non può essere solo
.••

Anassagora, ma anche i fisici a cui si ispira. Di qui l'esigenza degli antichi interpreti di
trovare chi sono questi fisici.

96
25

Simpl. Phys. 1 65,8- 1 0; 1 66,3-5 [= Aristot. Phys. A 4, 1 87b7]

Questa argomentazione di Aristotele coinvolgerebbe, come dice Por­


firio, Leucippo Democrito Metrodoro e tutti coloro che dicono che gli
elementi sono infiniti [.. ]. .

Occorre sapere che Porfirio, come dicevo, ritiene che la replica di


Aristotele coinvolge tutti coloro che sostengono che gli elementi sono in­
finiti.

26

Simpl. Phys. 1 88, 32- 1 89, 1 [= Aristot. Phys. A 5, 1 88b30]

Porfirio, certo in maniera piu conveniente, attribuisce ad Anassime­


ne questa opinione che dice: Terra e acqua è tutto ciò che nasce e cresce.

Philop. Phys. 125, 27-30

Porfirio dice che Senofane era dell'opinione che principi sono il


secco e l'umido, cioè la terra e l'acqua, e fornisce una sua citazione che
dimostra tale opinione: Terra e acqua è tutto ciò che nasce e cresce 1•

1 Senofane B 29 DK. Il Diels, sia in nota al fr. di Senofane sia in apparato a Simplicio,
accetta la testimonianza di Filopono contro quella di Simplicio. A me la correzione di
Diels [Simpl. nennt irrtlimlich Anaximenes. Richitig Philop.] non sembra pacifica.

97
27

Philop. Phys. 1 30,5- 1 2 Vitelli [= Aristot. Phys. A 6, 1 89a l l ss.]

Dunque io dico a questo proposito 1 che, anche se prendo in conside­


razione la sostanza in sé, voglio dire la sostanza universalissima, le cose
hanno questa o quell'altra figura in base alle differenze. Infatti è stato
detto, e giustamente, che i generi precedono le differenze nella generazio­
ne e coesistono con esse dopo la generazione. Nella generazione dell'uo­
mo, infatti, prima nasce il corpo nella materia, poi in tale substrato
corporeo si innesta come in una materia seconda l'animale, e infine in
questo animale si genera come in una materia prossima la specie umana,
ed è questa la ragione per cui Porfirio diceva che i generi, relativamente
alle differenze, svolgono la funzione di materia 2 •

1 A proposito, cioè, di chi dice che il "genere" si riferisce alla sostanza universalissima,
in altre parole "ogni possibile genere di sostanza".
2 Potrebbe questa parte della testimonianza riferirsi al perduto nepi i\A.T]ç dello stesso
Porfirio.

98
28

Simpl. Phys. 1 92,29- 1 93, 1 1 [ = Aristot. Phys. A 6 , 1 89a 1 1 ss.]

Ma il grande Siriano dice: "Aristotele forse chiama genere la catego­


ria, e dice che essa ha un'unica coppia di contrari, poiché, anche se sono
molte le coppie di contrari, esse si riducono a un'unica contrarietà: ecces­
so-difetto, la quale si intende poi propriamente secondo ciascuna catego­
ria. Infatti il superiore dei contrari è sempre eccesso, mentre l'inferiore
è difetto. V'è dunque un eccesso nel "quanto", un altro nel "quale", un
altro nel "dove", nello "stare". «Quanti sono i modi dell'essere, dice
Porfirio, tante sono le coppie di eGcesso-d.ifetto». Forse, dice Siriano,
qualcuno potrebbe soggiungere [a queste parole di Porfirio] «nel caso
che ogni categoria potesse ammettere una tale coppia di contrari»". Ma
Ammonio diceva che qui, nel passo di Aristotele in oggetto, non si parla
del genere in senso proprio, né del genere prossimo, né del genere sommo
(la contrarietà, infatti, secondo le differenze di ambedue questi generi,
produce la generazione e la corruzione), ma si dice quello che anche
Alessandro stabilisce verso la fine della sua esegesi di questo testo aristo­
telico, e cioè che Aristotele chiama qui genere unico il substrato unico
[dei contrari]. Infatti Aristotele è solito chiamare genere anche la natura
che soggiace ad ogni cosa. Dunque cosi come è concepibile un'unica
coppia di contrari per il numero, quella del pari e del dispari, e un'unica
coppia di contrari per il gusto, quella del dolce e dell'amaro, e per la
superficie, il liscio e il ruvido, alla stessa maniera è concepibile un'unica
coppia di contrari per la sostanza, e cioè la forma e l'informe, il quale
ultimo Aristotele chiama privazione [Segue la critica di Simplicio a Siria­
no].

99
29

Simpl. Phys. 206,3-8 [== Aristot. Phys. A 6, 1 89b2 1 ]

Porfirio dal canto suo intende l'espressione "generarsi reciproca­


mente" come se l'una coppia di contrari generasse l'altra, come se uno
dicesse: principi sono rado-denso, caldo-freddo, e poi dicesse: il caldo si
genera dal rado, il freddo si genera dal denso. Basterebbe infatti la coppia
di contrari rado-denso. Ma tale interpretazione sarebbe stata logicamente
coerente se Aristotele avesse detto: sono generate reciprocamente 1 ; ma
qui Aristotele dice: si generano reciprocamente 2•

l tç a>.>.:fiÀ.Wv yewà�al.
2 tç cill�À.Wv yewàv.

30

Simpl. Phys. 207, 1 2- 1 8 [== Aristot. Phys. A 6, 1 89b22 ss.]

Porfirio dal canto suo intende la materia come sostanza, e dice che
di essa c'è una sola coppia primaria di contrari, perché la sostanza è
genere e in ogni genere c'è una sola coppia primaria di contrari. Dice
infatti cosi: «In ogni genere c'è una sola coppia primaria di contrari. Ma
anche la sostanza è un genere. Quindi anche in essa c'è una sola coppia
di contrari. Ma la materia è sostanza; sicché anche per essa c'è una sola
coppia primaria di contrari. E se vi fossero piu coppie, esse di distingue­
rebbero per un prima e un dopo, non per il genere: "Infatti - dice Aristo­
tele - in ogni genere c'è sempre un'unica coppia di contrari")). [Segue la
critica di Simplicio a tale opinione di Porfirio ].

100
31

Simpl. Phys. 247,30-248,20 [= Aristot. Phys. A 9, 1 92a3 ss.]

Poiché Aristotele ricorda in molti luoghi che Platone chiama la ma­


teria "grande e piccolo", occorre sapere che Porfirio testimonia che Der­
cillide nel libro XI de' La filosofia di Platone, là dove si parla della
materia, non fa altro che trascrivere le parole di Ermodoro, discepolo di
Platone, ricavandole dal suo trattato su Platone, dal quale risulta che
Platone, concependo la materia sulla base dell'infinito e indefinito, mo­
strava che essa si fonda su ciò che implica il piu e il meno, di cui fa parte
anche il grande e il piccolo. Infatti dopo avere detto [se. Ermodoro? 1]:
«Platone dice che degli enti, alcuni sono per sé, come ad esempio uomo
e cavallo, altri sono in relazione ad altro, e di questi ultimi, alcuni sono
in relazione ai contrari, come ad esempio bene in relazione a male, altri
sono in relazione a qualcosa [di diverso, ma non contrario], e di questi
ultimi, alcuni sono definiti, altri indefiniti», soggiunge: <<Anche le cose
che si dicono come "grande in relazione a piccolo" hanno tutte il piu e
il meno; è possibile anzi che esse siano estese come piu grande o piu
piccolo all'infinito. Allo stesso modo anche il piu largo e il piu stretto,
e il piu pesante e il piu leggero e tutte le altre cose del genere si possono
estendere all'infinito. Le cose che si dicono, invece, secondo l'uguaglian­
za e la stasi e l'armonia non implicano il piu e il meno, mentre i loro
contrari si. Esiste infatti il piu disuguale del disuguale e il piu mosso del
mosso e il piu disarmonico del disarmonico. Sicché tutti gli enti che si
trovano in coppie correlative - a differenza del singolo elemento - impli­
cano il piu e il meno. Sicché instabile e informe e infinito e non-essere
si dicono tali per negazione dell'essere. A tali enti non compete né il
principio né la sostanza, ma il muoversi in un certo disordine. Infatti è
chiaro che l'essere è in un modo la causa in senso stretto, in un altro è
l'agente, cosi anche il principio, mentre la materia [in quanto non-essere]
non può essere principio. Perciò Platone affermava anche che il principio
è uno solo [cioè l'essere))). Ma - conclude Simplicio - fra poco ci porremo

101
la questione se secondo Platone la materia non sia principio. In che
modo, invece, Platone dicesse che la materia è grande e piccolo e non­
essere, credo sia stato chiaro da quel che si è detto fin qui.

1 Su Errnodoro e su questo luogo di Simplicio cf. K. Gaiser, Platons ungeschriebene


Lehre ( ! 963) 495 s. - fr. 3 1 ; A.J. Festugière, Révél. IV 307 ss.; W. Theiler, lsonomia, Hrsg.
Mau-Schmidt, 9 1 ss.

32

S�mpl. Phys. 264,27-32 [= Aristot. Phys. B l, 1 92b2 1 s.]

Giustamente dunque Porfirio fa questa osservazione: <<Forse nel­


l'espressione "[essendo la natura] principio e causa del muoversi e dell'es­
sere in quiete", la particella 'e' può essere assunta come se fosse un 'o',
per il fatto che alcune delle cose naturali si muovono sempre e non sono
mai in quiete. E non parlo, dice Porfirio, del corpo divino (esso infatti
trascende le cose generate), bensi del fuoco che mai è in quiete, perché
si muove sempre o dal basso verso l'alto o circolarmente. Alcune cose
naturali, invece, hanno insieme la natura dell'uno e dell'altro [cioè sono
ora in movimento ora in quiete]».

33

Simpl. Phys. 277,24-31 [= Aristot. Phys. B l , 193b l 5]

Porfirio intende l'espressione aristotelica "la forma è piu natura della


materia" come riferita al composto, il quale, anche se non è propriamente
natura, ma per natura, nondimeno è piu natura che la materia,

1 02
dal momento che ha in sé la specie che è piu natura [della materia] 1 • Il
ragionamento principale di Aristotele è questo - secondo Porfirio : La -

natura è, in ogni cosa naturale, causa del suo essere ciò che si dice che
sia; ma la causa dell'essere ciò che una cosa si dice che sia, è la causa
dell'essere in entelechia 2 e non solo in potenza; ma la causa dell'essere
in atto ciò che si dice che sia, è la specie (dBoç); dunque la natura è la spe­
cte.

l Cf. 283,34-37 = 34.


2 Adoperiamo qui questo termine per conservare la distinzione con l'altro termine
atto [= tvépy&ta], dal momento che tutto il discorso di Aristotele e di Porfirio si gioca
proprio su tale distinzione linguistico-concettuale.

34

Simpl. Phys. 283,34-37 [ = Aristot. Phys. B 2, 1 93b22] 1

Se è vero, come interpreta Porfirio, che l'espressione di Aristotele


"la forma è piu natura della materia" si riferisce al composto, allora è
chiaro che il composto non è natura in senso proprio (infatti natura in
senso proprio non è niente di ciò che non è semplice), ma è natura piu
della materia, perché ha in sé la specie, che è appunto natura piu della ma­
teria 2 •

1 Il discorso, tuttavia, si riferisce piu propriamente a 193b6-7.


2 Questo chiarisce il discorso di 277,25-27 [- 33], dove il testo è difficoltoso, come
del resto mostra l'apparato filologico relativo in Diels.

1 03
35

Simpl. Phys. 343,2-344,5 [= Aristot. Phys. B 2, 1 97a27]

La precisa distinzione tra fortuna buona e cattiva vale anche tra


fortuna e sfortuna. E infatti ovunque la particella &u aggiunge la grandez­
za e l'eccellenza. Ad esempio noi diciamo illustre non chi ha fama in
una qualsiasi maniera, ma chi la ha in sommo grado; la stessa cosa vale
per colui che è intelligente. Parimenti anche la particella Buç significa la
grandezza in senso contrario. Ma, che la fortuna stia nella grandezza, lo
dimostra - io credo - implicitamente Aristotele quando cosi sillogizza:
La fortuna e la sfortuna, anche quando mancano per un pelo il massimo
bene o il massimo male, sono sempre fortuna o sfortuna. Le cose che
sono per un pelo non sono per niente meno di ciò che si dice che siano;
esse restano nella grandezza, perché nelle grandezze il "per un pelo" non
sembra far venir meno l'interezza. Dunque la fortuna e la sfortuna si
dicono tali in quanto hanno grandezza. E proprio Porfirio e Alessandro
si muovono secondo questa prima interpretazione 1 , che cioè il "per un
pelo" dev'essere considerato in questo luogo aristotelico non in riferi­
mento a colui che per un pelo raggiunge o perde la fortuna, bensi a colui
che coglie per un pelo l'intero male o l'intero bene, perché noi chiamiamo
fortunato alla stessa maniera sia colui che coglie per un pelo il massimo
bene, sia colui che coglie l'intera grandezza [del bene], e chiamiamo
sfortunato alla stessa maniera chi coglie per un pelo il massimo male,
come se il "per un pelo" non significasse niente.

1 La seconda maniera di intendere il xapà j.LUCpOV comincia con un Kai lillcoç a 344,6.

104
36

Simpl. Phys. 362, 1 1 - 1 3 [= Aristot. Phys. B 7, 1 98a2 1 ss.] 1

Dice Porfirio: «Mentre il perché causale [Btà ti] si può presentare


in quattro modi, il perché finale [nvoç �V&Ka] invece si può domandare
soltanto nell'unico modo finale. Ad esempio: Perché [nvoç �v&Ka] com­
battono? Per [iva] dominare)). [Segue l'opinione di Alessandro di Afrodi­
sia].

1 È ormai chiaro, scrive Aristotele, che le cause sono quattro, dal momento che ogni
nostro perché (ouì ·d] si può ridurre o al concetto (al che cosa una cosa è - n éunv], o al
primo movente (1Cl\fi1uav 7tpcò'tov], o al fine [nvoç fvtKa], o alla materia [uA.T)].

37

Simpl. Phys. 399, 1 9-400,2 1 [= Aristot. Phys. 1 l , 200b26 ss.]

Porfirio, dice Simplicio, non accetta la punteggiatura che Alessandro


usa come se ci fosse contrapposizione tra l'espressione "solo in atto" e
l'espressione "in potenza e in atto". Dice Porfirio: <<Aristotele, infatti,
dopo aver detto che alcune cose sono in atto e altre in potenza, riprenden­
do il discorso sulle cose che sono in atto, dice "e in atto sono il questo
qui, il tanto, e cosi via". Ciò che è in potenza, invece, non si distingue

1 05
nelle varie categorie. Ciò che è in potenza, infatti, non esiste in dieci
modi, ma in un unico modo. La materia, infatti, nel suo senso piu alto,
cioè semplicemente l'essere in potenza, è unica [cioè si dice in un solo
modo]. Sia ciò che è in entelechia, che è poi il composto, come ad
esempio una statua, sia la stessa entelechia, che è il semplice, come ad
esempio la specie ['tò ellioç], Aristotele li prende ambedue in dieci modi
[cioè secondo le dieci categorie]. Forse Aristotele dice che anche ciò che
è in potenza esiste in dieci modi. Infatti egli, proseguendo, cosi si espri­
me: "Fatta distinzione, secondo ciascun genere, tra ciò che è in entelechia
e ciò che è in potenza" 1 ». Porfirio, dunque, ritiene che in Aristotele
l'espressione "solo in entelechia" si contrapponga all'espressione "in po­
tenza", e non all'espressione "in potenza e in entelechia". E probabilmen­
te Porfirio trae questa congettura dalle parole di Aristotele che dice:
"Fatta distinzione, secondo ciascun genere, tra ciò che è in entelechia e
ciò che è in potenza". Ma - prosegue Simplicio -, se, come riferisce la
maggior parte dei manoscritti, anche il testo originale era questo: "Esiste
ciò che è soltanto in entelechia, e ciò che è in potenza e in entelechia, e
il questo qui, e il tanto, e cosi via", allora è chiaro che l'avverbio "soltan­
to" dimostra che la distinzione passa tra "in entelechia soltanto" e "in
entelechia e in potenza insieme", come intendono Alessandro e Temistio.
Infatti, se Aristotele contrapponesse semplicemente ciò che è in entele­
chia e ciò che è in potenza, senza assumere ciò che è in entrambi i modi,
per quale ragione egli aggiungerebbe il "soltanto" a "in entelechia"? E
come si giustificherebbe - dopo la distinzione - la spiegazione di Aristo­
tele che dice: il questo qui, il tanto? Se tuttavia, come riferiscono alcuni
libri, il testo fosse questo: "Esiste ciò che è in entelechia, e ciò che è in
potenza, e ciò che è in entelechia è il questo qui, e il tanto", allora si
potrebbe anche usare la punteggiatura cosi come intende Porfirio 2•
Ora, perché mai Aristotele distingue soltanto ciò che è in entelechia
nelle dieci categorie, mentre anche ciò che è in potenza è considerato in
tutti i generi, come anche ammette lo stesso Porfirio, il quale mette in
rilievo l'espressione di Aristotele che dice: "Fatta distinzione, secondo
ciascun genere, tra ciò che è in entelechia e ciò che è in potenza"? Forse
dunque la distinzione iniziale passa tra ciò che è soltanto in entelechia
e ciò che è in entelechia e in potenza, e quest'ultimo Aistotele dice che
si può distinguere nelle dieci categorie. Infatti, a ciò che è soltanto in
entelechia, e che è la specie immateriale e intelligibile, non si può accor-

1 06
dare né il dove né il quando né lo stare, mentre ciò che è in entelechia
e in potenza insieme può essere pensato secondo ciascun genere, come
ad esempio secondo la qualità una cosa può essere ora in atto bianca o
calda, quando ha già assunto questa specie la bianchezza e il calore, ora
in potenza quando non lo è ancora bianca o calda, ma può diventarlo.
Probabilmente perché le cose stanno cosi, dunque, Aristotele dice quelle
parole: "Fatta distinzione, secondo ciascun genere, tra ciò che è in entele­
chia e ciò che è in potenza".

l Cf. Aristot. Phys. r l , 201 a9.


2 Perché manca il solo.

38

Simpl. Phys. 406, 1 9-407, 1 1 [= Aristot. Phys. r l , 20 la3 ss.]

Il quarto assunto propone che ciascuna delle cose dette nelle quali
c'è movimento, cioè la sostanza e la qualità e la quantità e il dove, esiste
in duplice modo in tutto ciò che la possiede. E infatti ciò che partecipa
della sostanza, partecipa o come ciò che possiede la forma o come ciò
che ne è privo, e ciò che partecipa della qualità partecipa secondo l'uno
o l'altro dei contrari inerenti alla qualità. E infatti, secondo il colore,
partecipa o del bianco o del nero; secondo il sapore, o del dolce o del­
l'amaro; secondo le qualità tattili, o del caldo o del freddo. Riguardo alla
quantità e al dove vale lo stesso discorso, essendo evidente che le cose
che si trovano tra due contrari si trovano ordinati all'interno del rapporto

1 07
tra i due contrari. Il grigio, infatti, è bianco rispetto al nero, e nero rispetto
al bianco. Ma gli interpreti intendono forma e privazione non come cose
che Aristotele dice a proposito della sola sostanza, ma anche a proposito
della quantità, della qualità e del dove, perché sembra loro che in tutte
queste categorie il peggiore dei contrari è la privazione. «Come infatti
[dice Porfirio], a proposito della sostanza, la statua è forma, mentre lo
stato informe del bronzo è privazione, cosi, a proposito della qualità, il
bianco è forma, mentre il nero è privazione, e la virtu è forma, mentre
il vizio è privazione, e, a proposito della quantità, il perfetto è forma,
mentre l'imperfetto è privazione, e, a proposito del dove, l'alto e il leggero
sono forma, mentre il basso e il pesante sono privazione. Perciò anche
le cose peggiori sono della natura del basso e del pesante, e anche la
vecchiaia, ad esempio, fa diventare curvi, e la malattia appesantisce, e
le cose divine sono l'alto, mentre le mortali sono il basso. Anche la virtu
prende etimologia dal "sollevare in alto", mentre il vizio la prende dal
"piegare", e il piegare e il piegato sono il basso)). È questa la filologia di
Porfirio a proposito di questo luogo della Fisica aristotelica. Ma forse
Aristotele - continua Simplicio - ha posto la forma e la privazione piu
propriamente in rapporto alla sostanza, mentre ha proposto le coppie
dei contrari in rapporto alle altre categorie. E infatti Aristotele contrappo­
ne l'imperfetto o al perfetto, come suo contrario minore, o al commensu­
rabile, come suo contrario maggiore, dicendo che ambedue queste coppie
di contrari sono secondo la quantità e assumendo anche le coppie di
contrari proprie della qualità e del movimento locale. Ma se qualcuno
dicesse 1 che è piu appropriato dire che in ciascuna coppia di contrari il
meglio è per la forma e il peggio per la privazione, costui non direbbe
cosa scorretta, giacché è del tutto evidente che la specie o la forma attiene
soprattutto alla sostanza.

1 Come, ad esempio, Porfirio.

108
39

Simpl. Phys. 4 14, 1 5-4 1 5,9 [= Aristot. Phys. r l , 20 1 a9 ss.)

È opportuno sapere che Aristotele, definendo all'inizio del suo di­


scorso il movimento, lo chiama atto del mobile in quanto mobile; Ales­
sandro, Porfirio, Temistio e altri, invece, facendo l'esegesi di tale defini­
zione, sapendo che Aristotele poco dopo chiama il movimento
entelechia, e avendo trovato in alcuni manoscritti la seguente lezione:
"Il movimento è entelechia di ciò che è in potenza in quanto tale",
sostituiscono nella definizione del movimento entelechia ad atto [evtEÀ.é­
XEta invece di evépyeta), come se in Aristotele fossero la stessa cosa.
Forse - spiega Simplicio - Aristotele intende entelechia in rapporto al
movimento che si è già compiuto. E se talvolta applica questo termine
[evtEÀ.éXEta] nel senso di atto [evépyeta], lo fa non nel senso di un atto
qualsiasi, ma nel senso di atto che è già compiuto, nel senso che ha già
la sua realizzazione, perché ogni cosa allora si trova nella perfezione di
sé quando compie gli atti secondo la sua propria natura. Perciò Aristotele
- continua Simplicio - definisce anche l'anima "entelechia del corpo
naturale e organico che ha la vita in potenza" 1 , non già in quanto l'anima
è atto, ma in quanto la perfezione del corpo è secondo l'anima. Non è
certo senza motivo che Aristotele chiama il movimento che non è ancora
in sé, senz'altro atto e non entelechia. A tale proposito infatti anche
Alessandro sa bene che, se il movimento è chiamato da Aristotele entele­
chia di ciò che è in potenza, è chiamato entelechia in tanto in quanto è
atto in sé compiuto di ciò che è in potenza, cosi come, relativamente
agli habitus, perfezione dell'habitus è l'atto secondo l'habitus. Ma, mentre
l'atto relativo all'habitus non fa cessare l'habitus, bensi lo rende piu
perfetto, invece l'atto di ciò che è in potenza in quanto è in potenza,
realizzandolo nell'atto fa venire meno ciò che è in potenza. Dunque non
sarebbe, propriamente parlando, entelechia di ciò che è in potenza. Infat­
ti, come si è detto, il termine entelechia mostra che esso significa letteral­
mente "la condizione [lo status, fxeta 2) , di ciò che è interamente compiu­
to [toù EVtEÀOùç]", e quando viene detto con riferimento all'atto in senso

1 09
proprio, non si tratta di un qualsiasi atto, ma di quell'atto che si dà di
ciò che è già compiuto e che è secondo ciò che è in atto e che è in
entelechia. Dunque l'entelechia è, propriamente parlando, duplice: l'una
è l'entelechia in quanto forma compiuta in quiete, come quando si dice
entelechia l'anima; l'altra è l'entelechia in quanto atto secondo questa
forma compiuta in quiete. Se talvolta l'atto è detto da Aristotele entele­
chia tout court, anche in questo caso è detta cosi in quanto ogni cosa che
agisce compie atti secondo la sua propria natura, imperfetta o perfetta
che sia tale natunl. Porfirio dice, invece, che il movimento è entelechia
imperfetta [cioè non ancora realizzata] 3, e atto perfetto [cioè già compiu­
to]. E in verità, se è atto di ciò che è in potenza, e ciò che è in potenza
è l'imperfetto, come potrebbe l'atto di ciò che è imperfetto essere atto per­
fetto?

l Aristot. de an. B l , 412a27.b5.


2 Respingo la correzione auvéxeta che Diels fa della lezione dei libri, in analogia con
278,8.
3 Cf. Aristot. Phys. e 5, 257b8 s.

40

Simpl. Phys. 422, 1 9-24 [= Aristot. Phys. r l, 20la27]

Il testo di questo luogo viene tramandato in due lezioni diverse.


Secondo Aspasio, Temistio e la maggior parte dei manoscritti, il testo è
il seguente: "Il movimento si dà di ciò che è in potenza, quando ciò che
è in entelechia si attua non in quanto è ciò che è [cioè secondo la sua

1 10
entelechia, ovvero la sua forma realizzata] 1, ma in quanto è mobile".
Secondo Alessandro e Porfirio, invece, il testo è il seguente: "Il movimen­
to si dà di ciò che è in potenza, quando qualcosa che è in entelechia si
attua, o come sé o come altro, in quanto è mobile" 2•

1 Cf. nr. 39.


2 Il testo presenta notevolissime difficoltà. Cf. Ross, ad loc. , ma anche le differentissi­
me traduzioni di Russo (ed. Laterza, Roma-Bari, ad loc.), Carteron (ed. Les Belles Lettres,
ad loc.) e L. Couloubaritsis, L'avènement de la science physique (Bruxelles, Ousia, 1 980)
282.

41

Simpl. Phys. 428,3-5 [= Aristot. Phys. r l , 20 1 b 1 4]

Del resto bisogna sapere che sia Temistio sia Porfirio, nell'interpre­
tare questo luogo della Fisica di Aristotele, dànno un'interpretazione
anche di questa espressione 1 •

1 Cf. Aristot. 20 l b I O ss.

42

Simpl. Phys. 587,8- 1 5 [= Aristot. Phys. � 4, 2 1 2a26 ss.]


Anche Porfirio [come Alessandro] dice che il basso è duplice: <<Infatti
[egli scrive] o è il limite del centro, che è il luogo, oppure è lo stesso
centro, la cui estremità è il luogo. Parimenti anche l'alto è duplice: o è
il limite dell'estremità, come ad esempio dell'etere, che è il luogo, oppure
è la stessa estremità, che è l'etere>>. E sembra - continua Simplicio - che
Porfirio usi l'espressione "limite del centro" o al posto dell'espressione
aristotelica "limite contenente in direzione del centro", o assumendo il
limite della terra, sia esso esterno che interno, in quanto accoglie e avvol­
ge, come luogo corrispondente all'estremità dell'etere. Infatti noi chia­
miamo basso sia la terra sia ciò che è dentro la terra.

111
43

Simpl. Phys. 648, 1 7-23 [= Aristot. Phys. L1 6 , 21 3a32 s.]

Porfirio, dal canto suo, non scrive "né separato né in atto", bensi
"né non-separato dai corpi né saparato". Egli dice testualmente: <<Infatti
Democrito concepiva il vuoto non-separato, perché il tutto non è conti­
nuo, dal momento che i corpi sono intramezzati di vuoto. Separato
concepiscono il vuoto, invece, coloro i quali, come i Pitagorici, parlano
di un vuoto esterno al mondo, lasciando il tutto continuo)). Io ritengo
preferibile - scrive Simplicio - la prima lezione; ma anche questa di
Porfirio ha un suo fondamento razionale.

44

Simpl. Phys. 728,9- 1 5 [= Aristot. Phys. L1 1 1 , 220a l 8 ss.]

Se, dunque, il tempo è distinto dal movimento 1 , anche i loro limiti


saranno distinti. Credo, dunque, scrive Simplicio, che sia migliore la
lezione riferita da molti manoscritti e che anche Porfirio e Temistio
mostrano di conoscere, e che è la seguente: "È chiaro ancora che l'istante
non è né una parte del tempo né la divisione del movimento, cosi come
i punti non lo sono della linea. Parti di una linea sono, invece, le due
linee [nelle quali può essere divisa]". Infatti - continua Simplicio è -

chiaro che le parti della linea sono linee, non già punti.

1 Come lo stesso Aspasio riconosce. Infatti «il tempo, egli dice, non è parte del movi­
mento, perché misura il movimento secondo l'istante, che è limite del movimento, ma
non già parte di esso)) [728,6-7].

1 12
45

Simpl. Phys. 802,7-1 3 [ = Ari stot. Phys. E] 1

Mi meraviglio come il filosofissimo Porfirio, nella sinossi che ha


fatto di questo libro V della Fisica, pur indagando in maniera brillante
la questione della divisione degli otto libri dell'opera aristotelica e del
perché tutti chiamano i primi cinque "Fisica" e gli altri tre "Sul movi­
mento", nondimeno dica che trattano del movimento gli ultimi quattro
libri, dal quinto all'ottavo, e che questi hanno quindi come sottotitolo
[come titolo speciale] "Sul movimento".

1 Questa fonte fa parte del Proemio di Simplicio al suo commento al libro V della
Fisica. Il riferimento a questo passo non è registrato nell'Index del Diels alla voce Tioplpu­
pwç, forse perché non si tratta di un vero e proprio commento a un lemma aristotelico,
bensi di una questione generale relativa al libro V.
Questa fonte è discussa da noi a 3.3. 1 .

113
46

Simpl. Phys. 864, 1 5-27 [= Aristot. Phys. E 2, 226b l ]

Alessandro e Temistio, dunque, pensano che Aristotele abbia conce­


pito il piu e il meno solo in rapporto al mutamento nella qualità forse
perché il piu e il meno appartengono propriamente alla qualità. Porfirio,
invece, dice: .«Poiché in ogni movimento c'è il piu e il meno (e infatti
c'è estensione o contrazione sia nel movimento secondo il luogo, sia in
quello secondo l'accrescimento o la diminuzione, sia in quello secondo
l'alterazione), allora Aristotele fa la ricerca di quale genere è necessario
porre il movimento secondo il piu e il meno, e dice che il mutamento
nella medesima specie non è altro che alterazione nel piu e nel meno.
Infatti la specie di movimento in cui si verificherebbe il mutamento in
piu o in meno è il movimento secondo la qualità» 1 • Dopo aver detto
questo a proposito del movimento secondo la qualità, Porfirio dà anche
lui la sua interpretazione del testo di Aristotele. Ma, a quanto pare,
Porfirio perviene a questa opinione esegetica per il fatto che Aristotele
in nessun luogo cerca di dimostrare che il piu e il meno appartengono
propriamente al solo movimento secondo la qualità.

1 È per questa ragione che Aristotele parla di alterazione.

1 14
47

Simpl. Phys. 896,7- 1 0 [= Aristot. Phys. E 4, 228b 1 9 ss.]

Dopo aver detto che in ogni movimento ci può essere "uniformità


o non-uniformità", Aristotele aggiunge: "E infatti una cosa si può alterare
in modo uniforme 1 e muoversi secondo un percorso uniforme [e<p'òJ.La­
À.Ou]", o su un percorso uniforme [e<p'ÒJ.LCIÀQ>], come scrivono Alessandro
e Porfirio \ "come ad esempio nel moto circolare o in quello rettilineo".

1 Il testo vulgato di Aristotele è diverso [cf. ed. Ross: dv OAÀ.Otoito ÒIJ.IIÀCi>ç) rispetto

a questo che troviamo in Simplicio: ciUotoito l!.v tt ÒIJ.IIÀCi>ç.


2 La differenza non sembra andare al di là della pura forma letterale. l dativi che
seguono [ICl)KI..cp i\ eù�Ei�] pare che appartengano ad Alessandro e a Porfirio [nel testo
vulgato sono tutti genitivi], perché subito dopo Simplicio dà il genitivo.

48

Simpl. Phys. 9 1 8, 1 1 - 1 5 [= Aristot. Phys. E 6, 231 a2 ss.]

A questo punto termina il libro V in alcuni manoscritti, ma in altri


c'è un'aggiunta di cui diremo qui di seguito, aggiunta che né Porfirio
preferisce includere nella sua sinossi, né Temistio nella sua parafrasi.
Alessandro tuttavia, pur indicando che in alcuni manoscritti questa ag­
giunta non si trova, nondimeno ne fa l'esegesi.

l Cf. anche 802,8 - 45.

1 15
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