Romano Book Porfirio e La Fisica Aristotelica
Romano Book Porfirio e La Fisica Aristotelica
FRANCESCO ROMANO
UNIVERSITÀ DI CATANIA
1985
SYMBOLON
STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE
direttore: Francesco Romano
FRANCESCO ROMANO
UNIVERSITÀ DI CATANIA
1985
Volume stampato con i fondi per la ricerca scientifica erogati dal Ministero della P.I.
OUJ.l.�a{VEl OÈ -rouvavriov eivat èbtEtpov "' roç Myoumv.
ou yàp oiS J.l.TJOÈV el;ro, à.ìJ,.''oiS àE( n e/;ro È<J't(,
'tOU'tO a1tEtp6v È<J'tlV.
Aristot. Phys. r 6, 206b 3 3
INDICE
9
modi di far proprie le opinioni dell'antico maestro. Per Porfirio, invece,
si tratta di aprire la logica aristotelica, riconosciuta ormai come la logica
Kat'é!;oxi)v, alla comprensione di un ambito scientifico-culturale piu va
sto, e soprattutto di renderla piu "sfruttabile" per la scuola. Porfirio -
scrive Praechter - dà inizio a una "neue Richtung" 4, rompendo col
tentativo compiuto dal medioplatonismo (Albino) di utilizzare la logica
aristotelica subordinandola a Platone 5• Porfirio, dunque, nel quadro già
operante dell' "esegesi" quale forma dominante dell'insegnamento filoso
fico almeno da un secolo, inaugura un indirizzo che durerà per tutti i
secoli in cui tale genere di lavoro scientifico resterà quasi esclusiva prero
gativa dell'insegnamento neoplatonico.
La tesi di Praechter, dicevo, è ancora valida, ma, aggiungo ora, ha
il limite di essere troppo legata a un'altra tesi che - a mio giudizio - non
può essere accolta oggi con la stessa sicurezza della prima: Porfirio, cioè,
incide profondamente nella storia del commentario neoplatonico e in
generale nella tradizione dell'attività "esegetica" della scolastica tardoan
tica, per via del fatto che, a differenza di Alessandro e di Albino, nel
commentario aristotelico, cioè, peripatetico, da un lato, e nello studio di
Aristotele da parte dei platonici, dall'altro, dà una nuova soluzione al
problema del significato e della funzione della logica aristotelica. Infatti,
sostiene Praechter, nell'insegnamento neoplatonico dopo Porfirio la let
teratura commentarla ha un ruolo privilegiato; nella letteratura commen
tarla predomina il commentario ad Aristotele; nel commentario ad Ari
stotele prevale l'opera logica di Aristotele; tra le opere logiche
aristoteliche hanno un posto preminente le Categorie. Tutto, dunque, si
incerniera sulla Houyrorfl di Porfirio alle Categorie: «Die Gesamtvorle
sung, conclude il Praechter, ware nach moderner Gepflogenheit etwa zu
betiteln: Erklàrung von Porphyrios' Eisagoge mit Einleitung in die Philo
sophie» 6• L'avviamento metodologico allo studio della fùosofia era, dun
que, l'esegesi e lo studio dell'esegesi porfiriana della logica di Aristotele.
Tale veduta storiografica di un forte condizionamento da parte del
l'esegesi di Porfirio della logica aristotelica su tutta la storia degli studi
neoplatonici fino al VI secolo, non è stata dopo Praechter piu abbandona
ta, anzi è divenuta uno dei principali topoi della storiografia sul pensiero
tardoantico e neoplatonico in particolare. L'ha ribadi ta da ultimo P.
Moraux nel vol. I della sua opera in progress su Der Aristotelismus bei
den Griechen, che è forse il primo serio tentativo di ricostruire la tradizio-
lO
ne del "commentario aristotelico" da Andronico di Rodi in avanti. Nella
Vorwort a questo volume, infatti, egli - tracciando un po' il programma
del suo lavoro - scrive che dopo il III secolo d.C. «iindem sic Ziele und
Tendenze des Kommentierens aristotelischer Schriften. Der Neuplatoni:
ker Porphyrios versucht, wier bereits einige Mittelplatoniker vor ihm,
bestimmte Teile der aristotelischen Philosophie fiir die Platoniker nutz
bar zu machen. Den Platonikem konnte z. B. die aristotelische Logik
grosse Dienste leisten. Porphyrios kommentierte also logische Schriften
des Aristoteles "ad usum Platonicorum")) 7• Anche per Moraux, dunque,
come per Praechter, l'incidenza dell'aristotelismo sulle scuole neoplato
niche dopo Porfirio si riduce al fatto che questi ha predisposto lo stru
mento metodico di una logica, quella aristotelica, usufruibile dai platoni
ci 8•
Ora, a me sembra che Praechter e tutti gli altri che lo hanno seguito
esagerino la portata di un fatto, che peraltro esiste e non è di poco rilievo,
il fatto cioè che l'EicrayroyJÌ Eiç 'tàç 'Aptcr'tO'tÉÀOuç KaTTrYOp{aç e gli altri
scritti esegetici sulla logica aristotelica di Porfirio siano divenuti nell'in
segnamento neoplatonico un "textbook" importante e decisivo. La verità
storica di questo fatto non può essere ampliata fino a costituire elemento
determinante per la valutazione generale dell'intera attività didattica
neoplatonica post-porfiriana, da cui sono nati quasi tutti i commentari
aristotelici - e non solo aristotelici - dei secoli IV-VI d.C. Anzitutto noi
siamo a conoscenza solo che ciò avvenne nella scuola di Ammonio figlio
di Ermia 9• Ma anche se il fenomeno si dimostrasse generalizzabile a
tutte le altre scuole neoplatoniche, resterebbe sempre il problema se e in
quale misura abbiano influito nell'insegnamento neoplatonico posteriore
a Porfirio gli altri suoi commentari aristotelici che sono andati perduti
ma che - come nel caso del "Commentario alla Fisica" - hanno lasciato
abbondantissime tracce negli scrittori che lo hanno utilizzato, come Sim
plicio e Filopono. Di qui l'esigenza, da me avvertita, di uno studio di
tali resti del Commentario di Porfirio alla Fisica di Aristotele, a cui è
dedicato il presente. studio. Ritengo che esistano le possibilità di appro
fondire per questa via - e forse di modificare - l'immagine di un Porfirio
maestro solo di logica aristotelica, oltre s'intende che di filosofia plotinia
na.
Il
NOTE
12
2. L'ATTIVITÀ COMMENTARIA DI PORFIRIO
13
momenti sono Enn. VI 7-8 (38-39) concernenti il punto piu alto toccato
dalla speculazione plotiniana ovverossia la problematica relativa all'Uno
e al Bene, cioè a Dio come Assoluto 3• A partire dal trattato 40 fino
all'ultimo, il 54, che ha appunto come titolo flepì 'taya'doù iì 'tOÙ év6ç,
l'atteggiamento di Plotino nei confronti di Aristotele è costantemente
polemico, anche se in maggiore o in minor misura. Ecco qualche esem
pio. E nn. II l (40) 2, 12 ss. respinge la teoria aristotelica secondo la quale
il cielo è fatto di una quinta sostanza, diversa dalla terra, dal fuoco,
dall'aria e dall'acqua, a cui si dà il nome di a{'di)p 4• Enn. VI 1-3 (42-44)
è tutta una lunga confutazione - come si sa - della dottrina delle catego
rie di Aristotele e degli stoici, nonché una dimostrazione della validità
di una logica che è una teoria generale dell'essere, comune - secondo
Plotino - a tutta la tradizione platonica e anzitutto allo stesso Platone.
Plotino dichiara esplicitamente di volere contrapporre una logica auten
ticamente platonica alla logica peripatetico-stoica 5• In Enn. VI 2 (43)
1,3 ss. egli infatti dice di volere - dopo avere esaurito l'esame critico
della dottrina delle categorie aristotelico-peripatetico-stoica - esporre il
proprio punto di vista riconducendolo a quello di Platone: aK6À.Ou'dov
dv EiT) EbtEÌV, ti 1tO'tE TJJlÌV 1tEpÌ 'tOIJ'tOlV <pa(VE'tat 'tà �OKOÙV'ta TJJ.1ÌV 1tElp
OlJ.1ÉVotç eiç 'TT) v IlÀ.fhrovoç avayetv Ml;av. La stessa intenzione è ribadita
all'inizio del successivo trattato, Enn. VI 3 (44) 1 , 1 ss. flepì JlÈV 'ti'jç
oùaiaç Ò7tTI �OKEÌ , Kai ci>ç cruJl<pcOvroç dv txm 1tpòç 'TT) v 'tOÙ 11À.fi'trovoç
06/;av, EipTJ'tat.
Ma nel trattato successivo, Enn. III 7 (45) 9, l ss., si ritorna a
combattere la fisica aristotelica, e precisamente la dottrina del tempo
come numero o misura del movimento 6• Plotino riprende alla lettera la
definizione aristotelica del tempo come apt'dJ.1Òç KlvTJ<1EOlç Ka'tà 'tÒ
1tp6'tepov Kaì ucr'tepov [Phys. 2 1 9 b 2], anche se la esamina distinguendola
nelle sue due parti: apt'dJ.Lòç nvi)creroç [Enn. III 7 (45) 9, l, dove si
aggiunge iì J.1É'tpov, come piu felice, j3éA.'ttOV, espressione rispetto ad
apt�J.Lòç, trattandosi di movimento continuo, cruvexoùç] e Ka'tà 'tÒ 1tp6'te
pov Kaì ucr'tepov [Enn. III 7 (45) 9,55]. L'ultima parte del trattato 45 è
una solenne affermazione della dottrina platonica del tempo come "im
magine dell'eternità" eiK6va Of: �EÌ 'tOÙ a{oovoç 'tÒV XP6VOV efvat (Enn.
III 7 ( 45) 1 1 ,46 s.].
La polemica antiaristotelica di Plotino si conclude con la critica
della nozione di dio come v6T)mç voi)creroç in E nn. V 3 ( 49) 5, dove viene
14
ripresa la stessa critica di Enn. VI 7 (38) 37 con un'evidente È7ttO"tpoq>ft
all'inizio stesso della polemica. Là, nel trattato 38, la polemica è diretta
e aspra. Oi J.l.ÈV oòv v6TJ<nV aùtQ> Mv'tEç 'tQ> ì..&ycp 'tO>V J.l.ÈV Uan6vwv Kaì
'trov él; a\)'tou oùK 85ocrav è un chiarissimo riferimento ad Aristotele,
Metaph. A 9, 1074 b 24 ss., dove si dice appunto che dio "pensa ciò che
è piu divino, ciò che vale di piu, e che non muta" [trad. Viano]. Ma
comunque, scrive Plotino, non trovando niente che valesse piu del pen
siero, Aristotele afferma che dio rltv v6TJ<nV aù'tQ> aù'tou dvat [Enn. VI
7 (38) 37,4], come se egli dovesse essere piu venerando in virtu del
pensiero (Tfi VOft<JEt <J EJ.l.VO'tépou, 37,5) e come se il pensiero fosse superio
re a colui che pensa e non fosse invece quest'ultimo a rendere venerando
il suo proprio pensiero (ili' oùK aù'tou <JEJ.l.WVOV'toç rltv v6TJmv 37,7).
Dio non può dunque essere pensiero che pensa se stesso - conclude
Plotino, dopo un ampio discorso dialettico che abbraccia almeno quattro
capitoli dello stesso trattato 38, dal 3 7 al 40 compreso - : il principio
assoluto non può non trascendere il pensiero, Nel bene non c'è dunque
il pensiero (où 51t év 'tQ> àya�Q> lÌ v6TJ<nç), perché questo è inferiore
(xetpov) al bene e si colloca in posizione diversa da lui (é'tépw�t lìv EÌTJ aù
'tOU) 7•
Nel trattato 49, invece, la polemica antiaristotelica si presenta piu
sfumata, ma questa volta si tratta non già del rapporto tra il principio
primo e il pensiero, bensi dell'intelletto che è anche pensiero riflesso,
"intelletto che vede se stesso", vouç éau'tòv òpQ. [Enn. V 3 (49) 4 fine].
Chi conosce se stesso, osserva Plotino, dev'essere inteso in duplice modo:
come uno che conosce la natura discorsiva dell'anima, o come uno che,
a livello piu alto, conosce se stesso nell'intelletto divino. Ma questo atto
di conoscenza e di pensiero è un contemplare se stesso come facente
tutt'uno con l'intelletto divino, in una partecipazione tale che l'intelletto
divino è nostro e noi siamo dell'intelletto divino (KàKetvoç 'JÌJ.l.é'tEpoç Kai
l'JJ.l.E'tç ÈKEivou, 4, 26-27). In tal modo il pensare è una sola cosa col suo
oggetto CEv l'lpa OU'tW vouç Kai 'tÒ VOTJ't6v, 5, 26) 8• Ma questo non
giustifica la formula aristotelica secondo cui dio è pensiero che pensa se
stesso, o quanto meno questa teoria non è chiara in quel che vuole
significare ('H J.l.ÈV yàp v6TJ<nç - osserva Plotino - oiov 7tEptél;&t 'tÒ
VOTJ't6V, "' 'taÙ'tÒV 'tQ> VOTJ'tQ> E<J'tat, OÙ1t(l) Bè ò vouç Bi'jì..oç ÈaU'tÒV vorov,
5, 30-3 1 )9•
Col trattato 49 siamo già agli ultimi anni dell'attività produttiva e
15
anche della vita di Plotino, il 268-269: la vis polemica si è attenuata 10,
Porfirio è già partito per la Sicilia, sta per andarsene pure Amelio, e
Plotino si avvia a deporre la penna e a ritirarsi malato seriamente nella
tenuta dell'amico Zeto in Campania. Ma troviamo ancora un ultimo
lampo di critica antiaristotelica nel penultimo trattato, il 53, scritto ap
punto nel 269 11• Oggetto della polemica è un'altra delle dottrine di Ari
stotele che caratterizzano - anche agli occhi di un platonico del III sec.
d.C. - il suo "stile di pensiero", la nozione dell'anima come forma del
corpo. La definizione aristotelica è citata alla lettera: 'AvaYKaiov iipa 'tlÌV
'IIUXlÌV oùoiav dvat roç dBoç <JOOJla'toç <pU<JtlCOÙ BuvaJl&l çro'JÌV ÉXOV'toç
[... ] ÉV'tEÀtXEta 'Ji 7tpOO'fTJ <JOOJla'toç <pU<JtlCOÙ òpyaVtlCOÙ [De an. II l , 4 1 2 a
1 9-20. b 5-6] 'All' roç dBoç ÉV UÀ.TI É<J'tat ÉV 'téj) <JOOJla'tt; [.. ] 'téj) <pU<JtlCéj),
= .
16
Kà 'tOU 'Aplcr'tO'tÉAOuç 1tpayJ.La'ts{a 13• This is not far from the truth. Not
only the teaching of the Metaphysics but that of the De Anima, continua
Armstrong, is to be found firmly embedded in the Enneads. The resem
blance in particular between VI.8 and Metaphysics A is very striking» 1 4•
Che alla base delle Enneadi, soprattutto di VI 8, sia "firmly embedded"
l'insegnamento di Aristotele - ammesso che ciò si debba intendere nel
senso di una dipendenza di Plotino da Aristotele (di <<historical orig}n,
nella fattispecie, of the conception of the One as Go<b> 1 5), come sembra
intendere Armstrong - non significa affatto che Plotino sia "aperto" e
"disponibile" a quell'insegnamento, nonostante la innegabile tradizione
medioplatonica orientata ad una riconciliazione tra Platone e Aristotele
(riconciliazione che non si può intendere se non come reazione alla
preconcetta avversione di alcuni platonici di quell'età, il II sec. d.C.) che
- sempre secondo Armstrong - Plotino trova nell'atteggiamento del suo
maestro, the mysterious Ammonius Saccas 1 6• Resta sempre, e in maniera
incontrovertibile, il fatto che proprio quei due trattati dell'Enn. VI 7-8,
che io ho considerato la "cerniera" tra la polemica antignostica e la
•
17
di Porfirio verso Aristotele, atteggiamento che dipende dal suo interesse
"positivo" e non piu polemico per un nuovo ruolo da attribuire alla
tradizione aristotelica in seno al neoplatonismo.
Dicevamo all'inizio di questo capitolo che l'interesse di Porfirio per
Aristotele è dimostrato dalla prevalenza dei suoi scritti dedicati a questo
filosofo su quelli dedicati a Platone: contro i sette commentari ad altret
tanti dialoghi platonici, stanno i dieci commentari ad Aristotele, a cui
si devono aggiungere alcuni scritti teoretici su temi che sembrano di
ispirazione peripatetica. Tra gli scritti aristotelici di Porfirio, però, pre
valgono quelli concernenti i trattati di logica e precisamente i trattati
introduttivi - almeno nella sistemazione tradizionale pervenuta ai neo
platonici - e cioè le Categorie, il De interpretatione e gli Analitici primi.
Fra i trattati introduttivi di logica aristotelici uno, le Categorie, ha -
come si sa - il posto assolutamente preminente, giacché Porfirio vi ha
dedicato ben tre delle sue opere principali e tutte e tre paradigmatiche
del metodo scolastico che egli intese utilizzare nel programma d'insegna
mento alla scuola di Plotino. Anzitutto la EicrayOYYJÌ ei.ç Tàç 'Aptcr'tO'tÉ
Aouç Ka'tT)yopiaç 19, conosciuta nella tradizione manoscritta anche sotto
il titolo llepì 'tÒ>V 1tÉV'tE cprov&v 20, che è un breve ma densissimo scritto
introduttivo allo studio delle Categorie dedicato a un discepolo, Crisao
rio, che vuole conoscere la "comunanza" e la "differenza" tra le cosiddet
te cinque "voci" e cioè il genere, la specie, la differenza, il proprio e
l'accidente. Conoscere che cosa sia ciascuna di queste cinque voci è
necessario all'insegnamento della dottrina sia delle categorie sia della
definizione e in generale della divisione e della dimostrazione 21•
All'Eicrayroyf) Porfirio aggiunse un ampio Commentario alle Catego
rie di Aristotele in sette libri, dedicato a Gedalio e andato perduto, nonché
un secondo scritto introduttivo Eiç Tàç 'Aptcr'to'téAouç Ka'tT)yopiaç Ka'tà
1tEi3mv Kaì èl.1t6Kptmv, questo rimastoci e pubblicato dal Busse assieme
all'Eicrayroyf). Questo secondo manuale di introduzione allo studio delle
Categorie di Aristotele corrisponde alla fase scolasticà elementare che
segue aii'Isagoge, in quanto fornisce una specie di expositio pura e sem
plice del contenuto dell'opera aristotelica a chi ha già imparato quali
sono le significazioni (voces) che le categorie possono assumere nella
definizione e nella dimostrazione. La forma della "domanda e risposta"
- corrispondente a quella piu antica delle "quaestiones et solutiones",
seguita dopo da Damascio nella variante della forma per "dubitationes
18
et solutiones" - indica che Porfirio non ha ancora affrontato il vero
problema del "commentario" alle Categorie, dell'esposizione ampia e
dettagliata del testo aristotelico con tutte le relative discussioni esegetiche
ed ermeneutiche. In effetti doveva essere questo il carattere proprio del
Commentario a Gedalio perduto, se è vero che - come testimonia Sim
plicio - Porfirio realizzò in questo scritto "non senza fatica [ouK a1t6vroc;]
una perfetta interpretazione [&ç;TtYTJ<rlv t& &vt&A.ii] del libro di Aristotele
e diede soluzione a tutte quante le obiezioni che erano state mosse alla
dottrina delle Categorie, aggiungendovi anche molte delle opinioni degli
stoici sulle categorie, a seconda che lo richiedesse la convenienza dell'ar
gomento 22• Ecco allora il punto della questione: Porfirio scrive un Com
mentario alle Categorie dove dà risposta e soluzione a tutte le obiezioni
e aporie sollevate dagli avversari della dottrina delle categorie di Aristote
le. Chi sono questi avversari? Lo stesso Simplicio ce li descrive appena
prima. Anzitutto coloro che hanno voluto scrivere delle pure e semplici
aporie sulle cose che Aristotele dice nello scritto sulle Categorie, come
ad esempio Lucio. Poi coloro che, come Nicostrato, assumendo le aporie
dei primi (Lucio), hanno voluto muovere, contro quasi tutto ciò che si
trova nello scritto di Aristotele, delle obiezioni vere e proprie, con assolu
ta irriverenza e con giudizi frettolosi e imprudenti. Infine coloro che
hanno condottdsulle Categorie delle analisi rigorose in forma di trattato,
come ad esempio Platino con i suoi tre trattati Sui generi dell'essere 23•
A tutte queste critiche piu o meno sfavorevoli risponde Porfirio con
argomentazioni atte a riabilitare le "ragioni" di Aristotele, anche contro
Platino, anzi soprattutto contro di lui. E che le risposte di Porfirio siano
soprattutto rivolte contro Platino si evince dal fatto che alla soluzione
delle obiezioni contro Aristotele (oltre che di Lucio e di Nicostrato a cui
quello si richiamava) - t&v &vGtciG&rov 7taG&v ÀUG&tc;- sono di volta in
volta aggiunte, secondo la pertinenza dell'argomentazione - Katà t'JÌV
Kotvroviav tou ì..&you -, le soluzioni delle obiezioni contro gli stoici -
1toìJJJ. Kaì t&v l:tro'CK&v OoyJ.Lcitrov -, e noi abbiamo già dimostrato che
Platino accomuna nella sua polemica contro la dottrina delle categorie
Aristotele e gli stoici 24•
È cosi che nasce nel neoplatonismo l'autentico interesse verso Ari
stotele, intendo dire l'interesse "positivo", costruttivo e rivolto a fare di
Aristotele un punto di riferimento obbligato dell'insegnamento e dell'at
tività di ricerca dei nuovi platonici. Solo con Porfirio, in sostanza, ha
19
inizio la "conversione" e la pacificazione tra platonismo e aristotelismo,
se consideriamo i tentativi dei platonici del secolo precedente (II d.C.)
soltanto degli "approcci non programmati" e comunque privi di consape
volezza e intenzionalità. Tra un Albino e un Porfirio c'è un abisso in
ordine all'utilizzo dello strumento aristotelico in chiave platonica. Se
Albino e in genere i medioplatonici, ad eccezione dell'ala platonica in
transigente capeggiata da Nicostrato e Attico, si rilevano inclini ad accet
tare idee peripatetiche e a tentare "sintesi" platonico-aristoteliche, non
vuoi dire che essi abbiano già superato la convinzione della dipendenza
e della "inferiorità speculativa" dell'aristotelismo rispetto al platonismo,
ché anzi l'accettazione di elementi teorici aristotelici è per loro dimostra
zione di tale dipendenza e filiazione cosi come lo è dello stoicismo.
Perdurava ancora nel II secolo d.C. la tesi di Antioco di Ascalona che
Aristotele e gli stoici fossero eredi di Platone e dell'antica Accademia.
In questo spirito ad esempio dev'essere vista la dottrina di Albino del
l'identità tra VOTJT6v aristotelico e VOTJ'tli platonici, e la conseguente dot
trina di Attico secondo la quale le idee platoniche altro non sono che
pensieri di dio 25• Con Porfirio muta la prospettiva del rapporto tra aristo
telismo e platonismo: ferma restando la superiorità "teoretica" e "dialet
tica" della dottrina platonica, viene a cessare la filiazione o dipendenza
da essa dell'aristotelismo, il quale si pone ora quale "propedeutica" allo
studio di Platone. Lo studio di Aristotele introduce allo studio di Platone
e tale eiaayrorfl è proprio quella dottrina delle categorie e della dimostra
zione che Plotino aveva criticato e svalutato. Di qui la rivalutazione
appunto della logica peripatetica, operazione che è esclusivo e incontro
vertibile merito di Porfirio fino ai piu tardi neoplatonici. Proclo, due
secoli dopo Porfirio, sosterrà che la logica aristotelica è strumento della
filosofia, la quale si identifica con la teologia platonica 26• A questo punto
hanno veramente inizio il vero "commentario neoplatonico ad Aristote
le" nonché la sua funzione storica testimoniata da una secolare tradizione
tardo-antica e medievale. Ed ha ragione, dunque, Praechter quando assu
me che c'è un salto di qualità tra il commentario ad Aristotele di Alessan
dro di Afrodisia e quello di Porfirio, in quanto con il primo si tratta solo
di fare l'esegesi pura e semplice di Aristotele senza sollevare alcun proble
ma, mentre con il secondo si tratta di aprire la logica aristotelica, ricono
sciuta come la logica Ka't' �oxiJv, alla comprensione di un ambito piu
vasto e soprattutto di renderla utilizzabile per la scuola 27•
20
2.2. I Commentari aristotelici di Porfirio
21
si negargli originalità di commentatore, si è riconosciuto solo il suo ruolo
originale a quella parte della sua attività commentarla che esulava dai
settori di interesse teorico propriamente tardoplatonici, cioè il settore
delle ricerche logiche: solo in questo campo infatti la tradizione medio-e
neoplatonica denunciava un'assenza di autonomia e solo in questo cam
po di studi l'operazione di Porfirio era riuscita a innovare veramente la
tradizione platonica. Per tutto il resto Porfirio era e rimaneva debitore
a Platino e agli esegeti platonici precedenti. Nessun commento porfiriano
ad Aristotele, quindi, che non fosse rivolto alla logica, poteva, in tale
quadro storiografico, apparire degno di considerazione e di rilievo stori
co.
Ma è poi vero che Porfirio non abbia contribuito con altri suoi scritti
esegetico-ermeneutici su Aristotele alla costruzione della tradizione sco
lastica neoplatonica tardoantica e medievale? Io sono convinto di si,
sono convinto cioè del fatto che altri commentari di Porfirio ad altri
scritti di Aristotele che non siano gli scritti di logica, rappresentano un
autentico contributo dato da lui alla comprensione e integrazione del
l'aristotelismo all'interno del platonismo. Sono convinto in altri termini
che il "servizio" reso da Porfirio alle scuole neoplatoniche sia andato
ben al di là del ruolo di esegeta della logica aristotelica. Ecco dunque
l'interesse che mi spinge a raccogliere, sistemare e analizzare i frammenti
del suo perduto Commentario alla Fisica: verificare l'ipotesi dell'effica
cia storica dell'esegesi porfiriana di Aristotele in un settore tradizional
mente sterile 30 o ritenuto tale. Ma prima di entrare nel merito del proble
ma specifico del Commentario alla Fisica, è bene dare uno sguardo
d'insieme all'attività commentarla di Porfirio relativamente all'intero
settore delle opere aristoteliche al di fuori della logica.
Cominciamo con il Commentario al "De anima". La Suda ci riferi
sce due titoli: llpòç 'Aptcr-ro-réA.T)v 7t&pì -roii &Ìvat 't"IÌV 'I'UX'JÌV &v-r&Mx&tav
e ll&pì 'I'UXii<; 7tpòç B6T)�ov. Questi due titoli figurano ai numeri 33 e 34
della lista di Bidez 31, ma che si tratti di due scritti indipendenti non c'è
accordo tra gli studiosi di Porfirio. Infatti già P. Henry 32, seguito da
Beutler 33, ha ritenuto il primo titolo della Suda come una semplice indi
cazione del contenuto dello scritto llpòç B6T)�ov; mentre secondo lo
Schwyzer 34 le cose stanno diversamente. In effetti l'ipotesi di Henry e di
Beutler poggia su debole base, piii precisamente sul fatto che Eusebio,
PE 1 5, 1 1 , dice che Porfirio scrisse 7tpòç �È -ròv &v-r&Mx&tav 't"IÌV 'I'UX'IÌV
22
sbt6v-ra, cioè contro chi sostiene la dottrina peripatetica dell'anima
entelechia. Questo è uno solo dei nove frammenti rimastici in Eusebio
dello scritto di Porfirio contro Boeto. Ma che si tratti proprio del Boeto
peripatetico non si può arguire da questa sola testimonianza, ammesso
che lo sia. P. Moraux ha anzi dimostrato, con argomenti a mio avviso
convincenti, contro la communis opinio, che si tratta del Boeto stoico 35 •
Non si riesce, d'altra parte, a spiegare come mai nel titolo riferito dalla
Suda sia chiaramente espresso 7tpòç 'AptcrtotéA.T)v. Che la fonte della
Suda abbia inteso rendere esplicito l'si1t6v-ra di Eusebio? È possibile, ma
niente affatto certo, tanto piu che nello stesso Eusebio (ammesso che la
fonte della Suda o della sua fonte sia Eusebio) altri frammenti riferiscono
il nome dell'avversario di Porfirio, Boeto appunto. È quindi altamente
probabile che si tratti di due scritti indipendenti. Se è cosi, il primo di
essi, quello che la Suda intitola Ilpòç A ptcrtotéA.T)v 1tspl. -rou dvat TJÌV
'
23
le: Mustafa ben Abdallah Katib Jelebi, Lexicon bibliographicum et ency
c/opedicum, ed. G. Fluegel (Leipzig 1 835 ss.); Muhammed ibn Ishaq,
Fihrist, trad. tedesca di A. Miiller, Die Griechischen Philosophen in der
Arabischen Ueberlieferung (Halle 1 873); lbn Al-Qifti's Ta'rih Al
Hukama, ed. J. Lippert (Leipzig 1 903) (per tutti cf. J. Bidez, Vie de
Porphyre (Gand 1 9 1 3) 54*, 1 7 e 25; 56*, 1 9; 58*, 22). È difficile stabilire
di quale Etica aristotelica si tratti. Sembra che Porfirio abbia commenta
to l'Etica Eudemia e la Grande Etica: cosi almeno appare da una delle
succitate testimonianze arabe: Bidez, 54*, 22 ss. Kitàb-el-aklàc, ethica,
quorum duo libri ad magna moralia, octo ad parva pertinent [cioè al
l'EE]. In tutte le testimonianze, però, il commentario di Porfirio risulta
composto di dodici libri.
Dunque Porfirio svolse attività non indifferente di esegeta di opere
aristoteliche non di logica e tra queste, per ragioni forse un po' fortuite,
la Fisica lasciò maggiore traccia, grazie a Simplicio. Se questi avesse
scritto un ampio commentario sulla Metafisica di Aristotele, come ha
fatto con la Fisica, il De cae/o e le Categorie, forse avremmo saputo piu
di quanto non sappiamo sul commentario di Porfirio alla Metafisica. Si
sa del resto che i neoplatonici davano scarsa importanza alla Metafisica
aristotelica, che veniva oscurata dalla teologia platonica, e questo spiega
forse e in parte le scarse testimonianze su questo commentario di Porfi
rio.
24
i libri che trattavano della stessa materia, dando il primo posto alle
questioni di minor impegno per il lettore». A parte l'esempio di Apollo
doro di Atene, che riguarda scritti non filosofici, Porfirio aveva due
esempi di classificazione e ordinamento "ekdotico" di opere filosofiche:
quello di Trasillo per Platone (oltre che per Democrito) e quello di An
dronico per Aristotele. Sarebbe stato naturale scegliere il primo esempio
per l'affinità della materia (platonica nell'un caso e nell'altro), ma anche
per il suo significato paradigmatico (Platone è il riconosciuto comune
maestro di ogni neoplatonico). Si aggiunga la ragione, anche se di minore
importanza, della vicinanza nel tempo. Ha preferito invece l'esempio
aristotelico: attribuiva maggiore validità esemplificativa all'opera di An
dronico, o la ragione è da cercarsi in altro? Porfirio conosce Trasillo,
perché egli stesso lo cita, a proposito del proemio del 1tEpi 'tÉÀ.Ouç di
Longino in VP 20, come filosofo platonico di minor valore di Plotino
quanto a rigore scientifico e chiarezza di linguaggio (ciK:pij3eta). Se non
alla scuola di Plotino, egli ha certamente conosciuto Trasillo e la sua
opera alla scuola di Longino ad Atene. Perché allora non preferisce
l'esempio Trasillo? Rispondere perché era inferiore a Plotino come filo
sofo, mi sembra insufficiente, se non altro perché si trattava di esempio
di ordine filologico-editoriale e non teoretico. Ci dev'essere dell'altro
nella mente di Porfirio, e quest'altro non si può ridurre al semplice
ipotetico fatto della migliore valutazione che Porfirio poteva aver dato
del metodo classificatorio ed editoriale di Andronico rispetto a quello di
Trasillo. Cercherò di mostrare le ragioni di questa mia congettura.
Anzitutto il nome di Andronico circolava nel II sec. d.C. assieme
ad uno scritto a lui falsamente attribuito dalla tradizione, dal titolo 1tEpi
1tai}c'i>v 37• Questo fatto renderebbe nulla la ragione della distanza cronolo
gica tra Andronico e Trasillo, della quale si diceva pocanzi. Le ragioni
della preferenza di Porfirio sono dunque da ricercarsi o nella maggiore
validità esemplificativa della classificazione di Andronico o in altro,
dicevamo. Ritengo che la prima di queste ragioni abbia importanza, ma
non sia stata decisiva. Certamente l'esempio di Andronico era significati
vo per il fatto che egli aveva unificato in grossi trattati piccole trattazioni
aristoteliche prima ritenute e utilizzate come indipendenti tra loro 38•
Non solo, ma Andronico aveva il merito - agli occhi di Porfirio - di
avere composto dei Pinakes degli scritti raccolti di Aristotele, Pinakes
che con ogni probabilità: avevano un carattere sistematico ed erano corre-
25
dati di notizie sui titoli, l'autenticità, il contenuto e la struttura dei singoli
scritti di Aristotele 39• Tutto ciò corrisponde perfettamente al modo in
cui Porfrrio ha raccolto, classificato, sistemato, organizzato e presentato
i singoli trattati di Plotino.
Ma tutto ciò è ancora - a mio avviso - insufficiente a spiegare la
scelta di Porfirio: occorre pensare al significato meno formale e piu
sostanziale del rapporto tra Andronico e l'opera aristotelica, almeno se
condo la valutazione che ne potè aver dato Porfirio. In effetti Andronico
era il primo autentico éi;TJYTJTfJç di Aristotele, e, cosa ancora piu significa
tiva per Porfirio, il primo esegeta delle Categorie di Aristotele 40• Andro
nico era, inoltre, un esegeta che poneva lo studio della logica di Aristotele
a introduzione dello studio delle altre dottrine aristoteliche. Tale opinio
ne, che cioè lo studio della logica dovesse servire da introduzione allo
studio di Arì stotele in generale, è esplicitamente e concordemente attri
buita dalla tradizione neoplatonica ad Andronico di Rodi, il quale ap
punto si sarebbe per primo posto il problema x61'}sv apK'tÉOV 'tWV 'A pt
<J'tO'tEÀ.llCWV croyy paJ.LJ.ui'twv 41• Andronico, dunque, poteva rappresentare,
agli occhi di un neoplatonico alle prese con un problema di difficile
soluzione, qual era appunto quello di mettere ordine ad una notevole
massa di scritti nati in larga misura - come del resto quelli di Aristotele
- dall'insegnamento orale e dalla pratica del commento dei testi classici
o dei relativi Commentari, un esempio da seguire e da additare al lettore
_
che con la Vita Platini si accingeva allo studio del suo maestro già morto
da alcuni decenni. Nella sostanza Andronico aveva affrontato e risolto
lo stesso problema che Porfirio ora aveva di fronte: come ordinare gli
scritti di un filosofo non solo secondo la materia, e quindi secondo il
principio dell'economia, unificando il piu possibile i contenuti sotto gli
stessi titoli, ma anche e soprattutto secondo la piu corretta procedura
pedagogica, dal piu facile al piu difficile, dal piu strumentale al piu
approfondito speculativamente. Su queste premesse è possibile porre e
discutere concretamente il problema del rapporto che nel pensiero e nella
pratica didattica di Porfirio e secondo Porfirio sussisteva tra studio di
Aristotele e studio del pensiero neoplatonico.
Abbiamo visto che Andronico è ritenuto dalla tradizione storiografi
ca antica il primo, o tra i primi interpreti di Aristotele. Questo fatto pesa
anche sulla scelta di Porfirio, dal momento che - come è stato dimostrato
ampiamente dal Moraux - buona parte del metodo .. platonico" porfiria-
26
no, del nuovo orientamento, cioè, che il platonismo plotiniano aveva
assunto con Porfirio in virtu dell'innesto dell'aristotelismo in forma con
sapevole e scolasticamente producente, può farsi risalire ad Andronico.
Rinvio il lettore alle dense e magistrali pagine del Moraux 42, dove gli
strettissimi nessi che uniscono Porfirio a questo suo modello di commen
tatore peripatetico del I secolo a.C. sono messi in luce con tale chiarezza
e cosi convincenti argomentazioni da costituire, credo, contributo essen
zialmente definitivo. Mi limito qui a fare un esempio, perché esso è
strettamente connesso alla tematica di questo studio. Attraverso un'ana
lisi del De divisione di Boezio 43 il Moraux dimostra quanta parte della
teoria della Ota{p&mç di Porfirio abbia come fonte i11t&pì OtatpÉcr&coç di
Andronico 44• Noi vedremo quale importanza aveva dato Porfirio a tale
teoria nel suo Commentario alla Fisica, e quanto spazio lo stesso Simpli
cio ha fatto a questo aspetto dell'esegesi porfiriana.
Fin qui le ragioni per le quali appare chiaro - se non dimostrato in
modo pressoché definitivo, dopo le ricerche del Moraux - che Porfirio
costituisce il punto di svolta della presenza coscientemente operante di
Aristotele all'interno del pensiero e dell'insegnamento dei neoplatonici
fino al VI secolo e oltre. Si tratta adesso di vedere come di tale "funzione"
di Aristotele nel neoplatonismo Porfirio sia stato anche il teorizzatore.
Purtroppo siamo stati privati dalle vicende della storia della tradi
zione manoscritta di due tra le piu importanti opere di Porfirio, quelle
che trattavano della relazione tra la filosofia di Platone e la filosofia di
Aristotele. Della perdita almeno di una di tali opere dobbiamo particolar
mente rammaricarci, perché conteneva una dimostrazione della perfetta
concordanza tra le due filosofie, se non addirittura della loro unità: 1t&pì
'tOU 11iav dvat nìv I1À.d'tcovoç Kaì 'Aptcr'tO'tÉÀ.Ouç aip&mv. Si trattava di
un ampio trattato in 7 libri che con ogni probabilità costituiva la conti
nuazione della <l>WScrocpoç icr'top{a. L'ampiezza del libro e l'uso del termi
ne aip&mç lasciano supporre che Porfirio non si limitasse a parziali
aspetti di convergenza tra il pensiero di Aristotele e quello di Platone,
ma affrontasse il problema della sostanziale omogeneità e complementa-
27
rità delle due tradizioni, platonica e peripatetica, in polemica certamente
con coloro che in passato e al presente - forse anche lo stesso Plotino 45
- avevano tentato di approfondire il solco discriminatorio tra platonici
e peripatetici. Questo scritto costituiva certamente la presa di posizione
piu aperta e radicale da parte di Porfirio in favore di un definitivo e
costruttivo innesto di Aristotele nel corpo delle dottrine neoplatoniche
e nel corso di studi su di esso.
Fin qui il discorso - anche se a livello ipotetico - appare facile da
accettare. Dove invece sorgono il dubbio e l'incertezza è l'estensione
della base su cui Porfirio credeva di poter fondare l'unità di platonismo
e aristotelismo, ovverossia l'eventuale superamento dei confini della lo
gica aristotelica quale momento del pensiero aristotelico e del relativo
suo studio nella scuola neoplatonica. L'unità della dottrina di Platone e
di Aristotele era, cioè, nella mente di Porfirio tale da coinvolgere non
solo le fondamenta metodologiche e strumentali, ma anche le parti o
almeno alcuni parti della auvayoortl dottrinale platonico-aristotelica? In
una parola, l'unità di cui parlava Porfirio era unità reale di dottrina non
solo logica, ma anche fisica ed etica, secondo un modello di Btaipsmç
che risaliva agli stoici, ma che era ancora ritenuto valido e corretto?
È certo che Porfirio non dava lo stesso peso all'insegnamento della
logica aristotelica e a quello della fisica e dell'etica; ma questo non deve
far pensare che queste due aree di pensiero teorico rimanessero del tutto
escluse dal quadro di riferimento del modello porfiriano di unità tra
Platone e Aristotele. Occorre tuttavia trovare delle ragioni concrete per
ché appaia, oltre che possibile, anche realmente e storicamente credibile.
Tenterò di farlo battendo due strade oblique, essendoci preclusa qualsiasi
prova diretta, una volta che lo scritto in questione di Porfirio è semplice
mente citato dalla Suda e non possiamo quindi disporre di alcun fram
mento o testimonianza.
Una di queste strade è Ierocle di Alessandria. Di lui possediamo,
oltre al Commentario ai versi aurei di Pitagora, ampi riassunti di un
trattato in sette libri 1tspi 7tpovo{aç x:ai si.J.LapJ.LÉVllç nei codd. 2 1 4 e 251
della Bibliotheca di Fozio 46• Nel presentare tale trattato, Fozio dice che
«l'intento dichiarato [è7tayy6À.(a] della presente ricerca [di Ierocle] è quel
lo di trattare 'Sulla provvidenza e il destino', cercando di combinare
insieme l'opinione di Platone con quella di Aristotele [ tij IIMitoovoç Ml;n
x:aì 'AptototÉÀOuç auvBtatt'6SJ.1ÉVq>]; lerocle infatti vuole conciliare [auv-
28
a1t't81.V) le opinioni dei due filosofi non soltanto per quanto riguarda i
loro argomenti sulla provvidenza, ma anche quelli in cui essi concepisco
no l'anima come immortale, e quelli in cui essi hanno filosofato sul cielo
e sul mondo [1tspi. oùpavou x:ai. x:OOJ.LOU 'tOU'totç 1tScplÀ.Oo6cpT)'tat]» 47• Dun
que Ierocle vuole «mettere insieme», armonizzare le opinioni di Platone
e di Aristotele non soltanto a proposito della dottrina della provvidenza
e dell'anima, ma anche della fisica, nella sua duplice configurazione di
teoria del cielo e di teoria del cosmo (uranologia e cosmologia). E per
far ciò si mette a confutare <<tutti coloro che hanno messo in disaccordo
quei due pensatori», tendendo a dimostrare «che si sono allontanati il
piu possibile dal progetto dei due filosofi e dalla verità», alcuni per amore
di rivalità e per stupidità, altri perché schiavi di preconcetti e di ignoran
za. Ierocle ritiene - continua Fozio - che su tale posizione gli studiosi
di Platone e di Aristotele si sono mantenuti <<fino a quando non ha
brillato la sapienza di Ammonio [J.LÉXptç O'tOU T) 'AJ.LJ.Lroviou oocp{a OtéÀaJ.L
'IfEV] [... ] Questi infatti ha portato alla loro genuina purezza [otax:a'6apav
'ta] le opinioni di quei due antichi filosofi, ha demolito [émoCJKsuaoaJ.Ls
vov] le folli escrescenze da ambedue le parti e ha messo in evidenza
l'accordo di pensiero tra Platone e Aristotele sulle dottrine importanti e
piu necessarie [<JUJ.Lcprovov &v 'toiç &mx:a{pmç 'tE x:ai àvayx:ato'ta'totç]» 48•
Ierocle considerava, dunque, tra le dottrine importanti e piu necessarie
la dottrina fisica, e riteneva Ammonio, che nel cod. 2 5 1 - come vedremo
- è il maestro di Plotino e Origene, come il primo interprete della CJUJ.L
cprovia teoretica tra Platone e Aristotele. È questo il punto su cui è da
discutere. Ma prima completiamo la testimonianza di Ierocle.
Verso la fine del suo riassunto del 1tspi. 1tpovo{aç x:ai. siJ.LapJ.LÉVT)ç,
Fozio traccia il sommario dei sette libri dell'opera ieroclea e scrive «[ ... ]
Il sesto libro prende in esame tutti i filosofi posteriori a Platone, compre
so Aristotele che è il piu eminente di essi, fino ad Ammonio di Alessan
dria, i cui discepoli piu illustri furono Plotino e Origene; prende in esame
dunque i filosofi posteriori a Platone che abbiamo detto, tutti quelli cioè
che si sono fatti un nome in filosofia, e dimostra che tutti quanti sono
della stessa opinione di Platone ['tOU'touç li1tav'taç ÒJ.LoOol;siv 't'ft
TIMi'trovoç Ka'taCJKsuru;st x:p{ost]; e quanti hanno tentato di rompere l'ac
cordo dottrinale tra Platone e Aristotele, egli li colloca tra i filosofi di
poco conto e da rifuggire [... ] Plotino e Origene, e anche Porfirio e Giam-
blico e i loro successori [... ) fino a Plutarco d'Atene - di cui Ierocle dice
29
che è stato suo maestro in simili dottrine - tutti questi concordano con
la filosofia di Platone» 49• Dunque da Ammonio in poi i filosofi migliori,
quelli che Ierocle chiama "di stirpe divina - Ti'jç U:paç yevedç" come
Ammonio stesso, che anzi è �eo&i&aK'toç, concordano nel ritenere che
la filosofia di Aristotele è sostanzialmente conforme a quella di Platone,
hl contrario della folta schiera dei filosofi prima di Ammonio i quali
hanno cercato con tutte le macchinazioni possibili di metterli in conflit
to so.
Il cod. 25 1 della Bibliotheca di Fazio contiene, accanto a estratti dal
II e dal III libro del 1tepi 1tpovoiaç, delle evidenti conferme di tali opinio
ni storiografiche di Ierocle nonché la ribadita sua convinzione che «molti
discepoli di Platone e di Aristotele hanno impiegato il loro zelo e il loro
lavoro nel mettere in contraddizione i loro maestri a proposito delle loro
dottrine principali [... ] E tale sciagura ['tOU'tO 'tÒ 1t<i�oç] non cessò di
imperversare nelle scuole filosofiche fino ad Ammonio di Alessandria,
il discepolo di dio» 51• Fin qui Ierocle. Ma è mai credibile che sia stato
Ammonio Sacca a teorizzare per primo l'unità delle dottrine di Platone
e di Aristotele? Noi sappiamo dalla testimonianza di Cicerone - in que
sto fonte piu credibile di Ierocle, per essere stato discepolo di Antioco
di Ascalona - che quest'ultimo era stato il primo platonico a sostenere
questa teoria: Platonis autem auctoritate, qui varius et multiplex et co
piosus fuit, una et consentiens duobus vocabulis philosophiae forma
instituta est Academicorum et Peripateticorum, qui rebus congruentes
nominibus differebant. Nihil enim inter Peripateticos et illam veterem
Academiam differebat, abundantia quadam ingenii praestabat, ut mihi
quidem videtur, Aristoteles, sed idem fons erat utrisque et eadem serum
expetendarum fugiendarumque partitio 52• Non conosceva Ierocle questa
dottrina di Antioco? Può darsi. Ma sta di fatto che la sua ricostruzione
della tradizione platonica e aristotelica non risponde a verità.
Ma noi sappiamo che, oltre ad Antioco di Ascalona, anche Porfirio
ha sostenuto la tesi dell'unità del pensiero platonico e aristotelico, che è
appunto il titolo di un suo scritto perduto in sette libri, tanti quanti ne
conta il 1tepi 1tpovoiaç di Ierocle. Possiamo dubitare che Ierocle conosces
se questo scritto di Porfirio? Difficilmente. Egli colloca Porfirio tra i
successori di stirpe divina di Ammonio, di cui seguono la dottrina del
l'unità tra Platone e Aristotele, e tanto basta a creare sospetti. Ma Ierocle
doveva sapere anche che Platino non poteva trovarsi d'accordo con il
30
suo maestro Ammonio, dal momento che criticava vivacemente Aristo
tele, ne respingeva alcune delle dottrine «importanti e piu necessarie>>,
come ad esempio quella delle categorie, e poneva Platone molto al di
sopra di Aristotele. Se si rigetta poi - come sembra ragionevole - la tesi
di Theiler, secondo la quale Ierocle avrebbe conosciuto direttamente
l'insegnamento di Ammonio attraverso la co/lectio Ammonii scholarum
di cui parla Prisciano Lydo nelle sue Solutiones ad Cosroem, lezioni che
sarebbero state raccolte da quel Teodoto, diadoco platonico che incon
triamo in Longino, ap. Porph. VP 20, 40, allora è altamente probabile
che la fonte di Ierocle sia appunto lo scritto perduto di Porfirio 1tEpi 'tOÙ
Jliav dvat nìv 11M'trovoç Kai 'Aptcr'to'téì..ouç atpEmv.
Ilsetraut Hadot, con cui concordo in tutto ciò, spiega cosi la ragione
per cui Ierocle avrebbe evocato il nome di Ammonio in questo contesto.
«Dison tout d'abord que si Hiéroclès nomme Ammonius, cela n'impli
que pas nécessairement, comme le veut Theiler, une connaissance perso
nelle de l'einsegnement d'Ammonius [ ... ] On peut aussi bien, et avec
plus de vraisemblance encore, émettre d'autre hypothèses, comme par
exemple celle-ci qui n'est peut-etre pas la seule probable, mais qui est
une des explications possibles: Hiéroclès ne suivrait-il pas tout simple
ment, dans son récit historique, le traité de Porphyre Sur l'unité de la
doctrine de Platon et d'Aristate? Ne serait-ce pas Porphyre lui-meme qui
désignait Ammonius Saccas comme le premier tenant de cette thèse, de
la meme manière qu'il avait ailleurs mentionné ce meme Ammonius,
maitre de Plotin, comme auteur d'un dogme très important concemant
l'union de l'ame avec le corps? D'ailleurs Plotin lui-meme, d'après Por
phyre, prenait com me base de sa philosophie l'enseignement d'Ammo
nius [... ] Mais il [Porphyre] n'aurait pas pu attribuer à Plotin un ròle
actif dans la tendance à harmoniser les doctrines aristoteliciennes et
platoniciennes; il semble qu' Ammonius se pretait mieux à une telle inter
prétation)) 53•
In conclusione, se da una parte è piu che probabile che la fonte di
Ierocle sia Porfirio e, d'altra parte, appare chiaro da Fozio e dai suoi
estratti che la tesi di Ierocle era che Aristotele concordava con Platone
non soltanto nella dottrina della provvidenza e dell'immortalità dell'ani
ma, ma anche sul terreno della fisica (uranologia e cosmologia) e delle
teorie «principali e piu necessarie)), allora è da ritenere altamente proba
bile che nell'opera perduta Sulla identità di dottrine tra Platone e Aristate-
31
le, Porfirio giudicava che storiograficamente la au�<prov{a e l'unità tra
Platone e Aristotele andasse ben al di là della semplice complementarità
logico-metodologica tra le due filosofie e coinvolgesse le fondamenta
teorico-metafisiche stesse della duplice - ma al tempo stesso unitaria
tradizione platonico-peripatetica. Stava qui il nodo teoretico dell'opera
zione compiuta da Porfirio, intesa a innestare organicamente - e non
piu rapsodicamente - l'aristotelismo nel corpus e nel curriculum studio
rum del neoplatonismo.
32
NOTE
1 3 Porph. VP 1 4
1 4 A.H. Armstrong, Plotinus (Cambridge 1 940, rist. Amsterdam 1 967) 6.
1 5 Armstrong, ibid.
16 Ibid., p. 7
1 7 Cf. Platino e il neoplatonismo in Oriente e in Occidente (Roma 1 974) 31 ss.
18 Cf. Enn. V 3 (49) 5, 28-3 1 .
1 9 I l titolo vero - cosi come è stato ricostruito dal Busse - è questo: Tiopcpupiou
dcraycorr'l toi3 <l>oivtKoç toi3 11aih]toii ID..convou toi3 AVICo1to/.{tou. Nel titolo, come si vede,
non compare dç tàç ' AptcrtotÉÀOuç KatTJyopiaç, che invece si trova nelle prime linee del
testo: «Ovtoç civaYKaiou, Kpooa6pu:, Kai Eiç TI) v téii v 1tapci 'Apun:otÉÀ.Et KatTJyoptéiiv 61.00-
0"ICaA{av 'tOU yvéiivat n yévoç Kai n lìlO.IpOpci IC'tÀ>�.
20 Questo secondo titolo è testimoniato da alcuni mss. come aggiuntivo al titolo princi
pale Tiopcpup{ou dcraycoyfJ.
33
2 1 a. Porph. lsag. l , 1-6 Busse. Cf. anche Arist. Top. A 4-5, dove si trova esplicitamente
la dottrina aristotelica delle voces. Che queste voces siano poi gli elementi delle definizioni
è chiarito da Mario Vittorino, Liber de definitionibus, 8, 34-9, 1 3 (riprodotto in P. Hadot,
Marius Victorinus (Paris 1 97 1 ) 338-339).
22 Kai 'tOOV tvatacrECilV 1taO"OOV À.OOEtç ( ... ] 1t0llà Kai 'tOOV l:'tffilKOOV tJC&t 00yl!li'tffiV Ka'tà
Tiiv Kotvffiviav 'toii MSyou 1tpomatop&v (Simpl. Cat. 2, 6 ss. Kalb.).
24 Cf. nota 5.
25 Cf. A.H. Armstrong, The Background ofthe Doctrine "That the lntellegibles are not
outside the lntellect", Entr. Hardt 5 ( 1 960 ( 1 957]) 393-425.
26 Procl. Th. Plat. I IO, 1 8 S-W.
27 K. Praechter, Die griechischen Aristoteleskommentare, cit., 520. Cf. ibidem, p. 52 1 ,
l'opinione di Praechter secondo la quale Porfirio rompe col tentativo compiuto dal medio
platonismo di utilizzare la logica aristotelica subordinandola a Platone.
38 P. Moraux, Der Aristotelismus etc. I 93: <<Die Angaben des Porphyrios ilber die
34
editorische Tiitigkeit des Andronikos haben sich im grossen und ganzen als richtig erwiesen.
Den antiken Verzeichnissen aristotelischer Schriften lassen sich niimlich lndizien entne
hmen, die diese Angaben in wesentlichen Punkten bestiitigen. Andronikos hat z. B. ldeinere,
vor ihm noch selbstiindige Abhandlungen zu gròsseren Traktaten vereinigt, und manche
dieser Traktate hat er mit neuen Titeln versehen».
39 Ibidem.
40 Cf. P. Moraux, Der Aristotelismus, etc. I 97 ss. Cf. anche H. Dòrrie, KlPauly I 349,
31 ss.
41 Cf. P. Moraux, Der Aristote/ismus, etc. I 79. Cf. pure l. During, Aristotle in the
biographical tradition (Gòteborg 1 957) 447.
42 P. Moraux, Der Aristotelismus, etc. I 45 ss.
43 Boeth. De Divisione, PL 64, 875 D ss.
44 A me sembra che Moraux sia riuscito a confutare su questo e altri punti l'opinione
contraria di altri studiosi, tra cui specialmente During, i quali ritengono che la ota{p&m.ç
neoplatonica presupponga un modello scolastico e non risalga al di là del V o IV secolo.
Cf. P. Moraux, Der Aristotelismus, etc. I 70 ss.
4S Non si dimentichi che Plotino aveva accolto le critiche anti-aristoteliche di Nico
strato, che del fronte del rifiuto di Aristotele era stato uno dei piu convinti assertori.
46 Cf. Phot. Bibl. , ed. R. Henry (Paris 1 959 ss.)
47 Phot. Bibl. , cod. 2 1 4, 1 7 l b 33-38 - III 1 2 5 Henry. La trad. ital. è mia. Cf. la
traduzi �ne francese dello stesso Henry e di Ilsetraut Hadot, Le problème du Néoplatonisme
alexandrin. Hiéroclès et Simplicius (Paris 1 978) 68.
48 Phot. Bibl. cod. 2 1 4, 1 7 1 b 38 ss. - III 1 25 - 1 26 H.
49 Phot. Bibl. cod. 2 1 4, 1 7 3a 1 8-40 - III 129-1 30 H.
so Cf. Phot. Bibl. cod. 2 1 4, 1 73a 30-32 - III 129 H.
S I Phot. Bibl. cod. 25 1 , 46 1 a 24-32 - VII 1 9 1 H.
52 Cic. Lucullus l 7- 1 8.
53 l. Hadot, cit. ., 75-76.
35
3. IL "COMMENTARIO ALLA FISICA" DI PORFIRIO
3. 1 . 1 . Le fonti
37
che giustamente Porfirio colloca all'interno della distinzione aristotelica
tra potenza e atto -, ricalca la soluzione che Platone dà nel Parmenide
al problema dell'uno e dei molti, e cioè la presenza nell'ente concreto
dell'uno (sostanza) e dei molti (accidenti) 3•
Per quanto riguarda la natura filologica delle fonti di cui trattiamo
e in particolare a proposito della domanda - in verità oggi molto proble
matica e sotto certi aspetti quasi inattuale 4 - se si tratti di "frammenti"
o di "testimonianze" ovvero in quale misura si abbia a che fare con fonti
dell'uno o dell'altro tipo, occorre dire subito e in via pregiudizialmente
metodologica che le vere e proprie citazioni del testo del Commentario
di Porfirio sono circa un terzo dei passi da me raccolti e che i rimanenti
luoghi sono testimonianze che spesso possono essere ritenute parafrasi
piu o meno compendiose. Tra le testimonianze-parafrasi si annovera il
piu lungo passo che Simplicio dedica a Porfirio, e cioè quello contenuto
nelle pp. 92-95 dell'ed. Diels, che - come vedremo nel Commentario
lo stesso Simplicio giudica <rn:O\)Ofjç �ta e che è una delle due sole
occasioni in cui Porfirio è chiamato cpiÀOGocpcò'ta·taç 5• I frammenti veri
e propri sono dunque circa la metà delle testimonianze. Ma vediamo in
quale rapporto qualitativo-contenutistico stanno i due raggruppamenti
di testi.
Di quelli che possiamo considerare frammenti veri e propri - cioè
citazioni del testo perduto di Porfirio - cinque trattano degli Eleati (del
discorso di Aristotele sugli Eleati, ovviamente) e otto-nove di teorie e
concetti propri di Aristotele. Questi ultimi sono si piu numerosi dei
primi, ma due o tre riguardano questioni di tradizione del testo aristoteli
co o comunque questioni puramente filologiche. Le testimonianze, inve
ce, abbracciano un piu ampio ventaglio tematico e precisamente si occu
pano di filosofi presocratici (del discorso di Aristotele sui presocratici,
ovviamente), di Platone e dei platonici e ovviamente anch'essi di teorie
e concetti propri di Aristotele. La maggior parte tuttavia, circa ventuno
su trentatré, contengono questioni, solo ermeneutiche, relative ai preso
cratici e ai platonici, mentre quelli che si riferiscono a questioni esclusi
vamente afferenti a teorie aristoteliche quasi una metà, cinque o sei,
vertono, ancora una volta, su problemi di tradizione del testo e comun
que di natura filologica. In conclusione, quindi, la maggior parte delle
fonti non riguardano la filosofia di Aristotele, ma il pensiero di lui sui
predecessori; e una buona metà dei testi che hanno come oggetto sempli-
38
cemente il pensiero di Aristotele (cioè la sua dottrina fisica) sono concen
trati su questioni filologiche. Tutto sommato, l'interesse di Porfirio appa
re orientato prevalentemente su problemi di storiografia o, meglio, di
dossografia aristotelica sui prearistotelici - soprattutto sugli Eleati -
nonché su problemi di filologia del testo della Fisica. È allora opportuno
a questo punto dire qualcosa su una possibile classificazione di merito
delle fonti di cui trattiamo.
È possibile anzitutto dare un taglio verticale secondo un criterio che
distingua tutte le fonti in tre gruppi. Il primo cQmprenderebbe tutti quei
luoghi del Commentario di Simplicio in cui il frammento o la testimo
nianza di Porfirio appare come esegesi. Il secondo gruppo comprendereb
be le fonti in cui il fr. o la test. appare come ermeneusi. Il terzo gruppo
comprenderebbe le fonti in cui si tratta di semplice filologia del testo
aristotelico. Alla prima classe che designeremo con A appartengono una
ventina di fonti; alla seconda, che designeremo con B, appartengono una
quindicina di fonti; alla terza classe, che designeremo con C, appartengo
no una decina di fonti. Le classi A e B, però, potrebbero essere tagliate
orizzontalmente secondo un criterio che distingua la natura dell'esegesi
e dell'ermeneusi in pura o storica. In tal modo otterremmo il seguente
quadro:
Al A2
A Esegesi pura Esegesi storica
Bl B2
B Ermeneusi pura Ermeneusi storica
Filologia
c
39
Occorre subito chiarire che cosa io intendo in questa classificazione per
esegesi pura o storica, per ermeneusi pura o storica e per filologia; lo
faccio con degli esempi concreti. La fonte 1 5 ad esempio (non si fa qui
distinzione tra F e T) riguarda la critica che Aristotele muove a Melisso,
il quale cadrebbe nell'assurdo dicendo che ogni cosa - ad eccezione del
tempo e del divenire assoluto - ha un principio (un cominciamento),
come se, osserva Aristotele, non ci potesse essere un mutamento istanta
neo o tutto d'un colpo (at}p6a Jl.E'taj3oA.i) Phys. A3, 1 86a 1 5- 1 6). Ci sono
=
infatti, obietta Aristotele, delle cose che mutano tutte d'un sol colpo,
come accade nella condensazione di un liquido. Ora Porfirio - stando
alla testimonianza di Simplicio - ha cercato di spiegare il significato
preciso che in questo luogo della Fisica Aristotele avrebbe il termine
at}p6ov, significato che sarebbe secondo Porfirio lo stesso che axpovov.
Simplicio continua dicendo che Porfirio sbaglia, giacché il senso di
at}p6ov coinvolge il tempo e non significa affatto "fuori del tempo", ma
semplicemente "che accade nello stesso tempo, simultaneamente, ÒJ.l.Où".
Siamo in questo caso in presenza di una pura esegesi porfiriana di un
testo aristotelico.
La fonte 20, invece, si riferisce a uno degli argomenti eleatici intesi
a mostrare che l'essere è uno, precisamente l'argomento della dicotomia.
In questo caso Porfirio - secondo la testimonianza di Simplicio (che
nella fattispecie è un vero e proprio frammento del Commentario porti
riano alla Fisica aristotelica) - fa si l'esegesi del testo aristotelico che
riproduce l'argomentazione eleatica della dicotomia, ma al contempo
espone dettagliatamente, cioè riproduce e ricostruisce storicamente, il
discorso degli Eleati in proposito e per giunta accenna alle osservazioni
su di esso fatte da Senocrate. In questo caso, dunque, ci troviamo in
presenza di un'esegesi storica di un testo di Aristotele. Ed ecco ora due
esempi di ermeneusi, pura e storica.
La fonte 7, ad esempio, riguarda la &taipemç (articolazione del di
scorso aristotelico, ovvero le varie aporie) che Aristotele fa in Phys. A2,
1 85b5 ss., quando prende ad esaminare le varie opinioni secondo le quali
l'essere si dice uno. In questo luogo, dice Simplicio, Aristotele adopera
una Otaipemç che è propria dell'uno e che quindi è ben distinta dalla
Otaipemç propria dell'essere. Porfirio invece - continua Simplicio - dà
un'interpretazione secondo la quale la Otaipemç delle aporie che Aristote
le espone relativamente all'uno è perfettamente corrispondente a quella
40
relativa all'essere. Infatti, sostiene Porfirio, "anche l'uno ha molti signifi
cati, e anzitutto tanti quanti ne ha l'essere, etc.". È chiaro che in questo
caso il commento di Porfirio - stando almeno alla testimonianza di
Simplicio, che qui riferisce un frammento del testo porfiriano - altro
non è che un tentativo ermeneutico puro e semplice di un discorso, o
meglio di una serie di argomentazioni diairetiche che Aristotele fa sul
l'uno e i suoi molteplici significati. È questo che io classifico qui, per
convenzione, come "ermeneusi pura" da parte di Porfirio.
Se prendiamo, invece, la fonte 25, ad esempio, dove si tratta delle
critiche che Aristotele muove al principio dell'cim:tpov secondo Anassa
gora, troviamo che Porfirio - secondo la testimonianza di Simplicio -
intende l'argomentazione di Aristotele sull'cin&tpov anassagoreo come
un discorso che coinvolge non solo Anassagora, ma anche Leucippo,
Democrito, Metrodoro e tutti coloro che dicono che i principi sono
infiniti. In questo caso, quindi, ci troviamo in presenza di un'ermeneusi
che si muove sul piano storico, che va cioè al di là della pura interpreta
zione (non spiegazione) di un passo di Aristotele e che attribuisce a
questo un intendimento critico ben preciso relativamente a tutti i cosid
detti "infinitisti" presocratici.
Se vogliamo, infine, fare qualche esempio di fonte che io classifico
come "filologia", un testo cioè del commentario porfiriano alla Fisica in
cui Porfirio non si preoccupa né di spiegare né di interpretare le parole
di Aristotele o di altri a cui Aristotele si richiama, ma si limita semplice
mente a fare delle questioni filologiche, o di tradizione o di emendazione
del testo aristotelico, allora possiamo prendere, ad esempio, la fonte 37,
dove Simplicio riferisce che Porfirio - a proposito dell'espressione aristo
telica 'tÒ 5& 5uv«il.l.&l Kai. èv't&À.&X&iQ., di Phys. r l ' 200b26-27 - corregge
la punteggiatura del testo fatta da Alessandro di Afrodisia, spostando la
virgola da dopo èv't&À.&X&{Q. a prima di Kai, in maniera tale che appaia
come Aristotele, secondo Porfirio, contrapponesse ciò che è in potenza
a ciò che è in atto.
Altro esempio. La fonte 32 tratta del commento al testo di Phys. B l ,
1 92b2 1 -22 o\J<TT) ç Ti;ç cpucr&wç ciPXfjç nvòç Kai ai't{aç 'tOÙ nv&tai}at Kai
TJP&I.l.&tv. Porfirio, riferisce Simplicio, sosteneva che il Ka{ che congiunge
filologicamente ciPXiiç nv6ç e ainaç non può essere accettato e che al
suo posto va sostituito un �. giacché - ragionava Porfirio - alcune cose,
come il fuoco, si muovono sempre per natura (movimento eterno) e non
41
sono quindi mai in quiete.
È del tutto evidente che in questi due ultimi esempi Porfirio si rivela
come un commentatore preoccupato esclusivamente di emendare il testo
tràdito o di renderlo piu comprensibile per via di operazioni di natura
prettamente filologica, anche se - come accade sempre in simili casi -
l'intervento del filologo coinvolge il senso del discorso o addirittura ne
è conseguenza voluta.
Per concludere, la classificazione che qui si propone ha il solo scopo
di sceverare le diverse "intenzioni" storiografiche (esegetiche, ermeneuti
che, filologiche) di Porfirio commentatore della Fisica aristotelica, cosi
come appaiono dalla testimonianza di Simplicio, ed è quindi uno stru
mento metodologico di tipo e valore convenzionali. La classificazione
delle fonti lascia, in ultima analisi, impregiudicato il problema del senso
e della portata storica del Commentario perduto porfiriano, senso e por
tata che vanno ricercati in altre analisi di segno piu concretamente stori
co-filosofico, quale ad esempio l'analisi sull'origine e la destinazione di
questo scritto porfiriano.
42
giacché, pur non trattando di fisica, agitano problemi che interessano la
fisica. Il testo aristotelico è où J.u)v éùJ..'ém:tol) m:pì <pocreroç IJ.ÈV où, <pum
Kà.ç oè anopiaç cru1J.j3a{vet ÀÉ'yEtv aùtoiç K'tÀ.. Simplicio dà prima l'esegesi
di Alessandro, il quale fa due casi di punteggiatura a seconda che la
virgola stia prima o dopo "où". Nel primo caso abbiamo questo senso
del discorso di Aristotele: [... Gli Eleati] parlano di natura, anche se non
pongono problemi di fisica. Infatti essi pur negando la natura, ne parlano
e quindi meritano di entrare nella discussione sulla fisica. Su tale punteg
giatura concorda Porfirio, il quale infatti interpreta alla stessa maniera
il pensiero di Aristotele. Segue, nel commentario di Simplicio, l'esegesi
di Alessandro relativamente al secondo caso di punteggiatura: nepì <po
creroç IJ.ÈV où, <pumKà.ç oè cinop{aç ·K-rÀ.. In questo secondo caso il senso
del discorso di Aristotele è quest'altro: [... Gli Eleati non parlano di natu
ra, ma trattano ugualmente di problemi fisici, quindi etc. Quest'ultima
lezione è preferita dal Ross 6, ma è contestata, ad esempio, da A. Man
sion, il quale preferisce la prima lezione di Alessandro che corrisponde
a quella di Porfirio e che io trovo anche in Tommaso d'Aquino 7•
Simpl. Phys. 399, 1 9 ss. [= 37] commenta Aristot. Phys. r l , 200b
26 ss., dove Aristotele affronta gli assiomi preparatori della definizione
generale di movimento. Il testo aristotelico è "Ecr-rt OTJ [n] 'tÒ IJ.ÈV ÉV'tEÀ.f:
XE{Q. 1.16vov, -rò oè ouvaiJ.Et Kaì ÉV'tEÀ.f:XEiQ.. Questa è la lezione di Alessan
dro, secondo la quale Aristotele distinguerebbe "ciò che è solo in atto"
da "ciò che è in potenza e in atto". Porfirio, dice Simplicio, respinge
questa volta la punteggiatura di Alessandro e fa un lungo discorso per
argomentare che Aristotele distingue "ciò che è in atto" da "ciò che è in
potenza", sicché "ciò che è solo in atto" è contrapposto a "ciò che è in
potenza" e non a "ciò che è in potenza e in atto", come vuole Alessandro.
Simplicio interviene a questo punto con la sua opinione e fa dipendere
la soluzione del problema dalla presenza o meno del 1.16vov: se il testo
originario aveva questo avverbio, come attestano la maggior parte dei
codici, allora ha ragione Alessandro e torto Porfirio; se invece mancava
tale avverbio, come attestano alcuni codici, allora è possibile accettare
la punteggiatura e l'interpretazione di Porfirio.
Questi due esempi dimostrano quale fosse l'importanza delle que
stioni filologiche per l'esegesi degli antichi commentatori di Aristotele,
e mettono in evidenza anche come Porfirio abbia sottoposto a revisione
critica la tradizione ermeneutica peripatetica servendosi di un'esegesi
43
che sfruttasse tutte le risorse della scienza del testo. Insomma Porfirio
non soggiace ad alcuna autorità nel suo Commentario alla Fisica e assu
me atteggiamenti di concordanza o discordanza dalla tradizione peripate
tica, nella fattispecie da Alessandro di Afrodisia, che nel III secolo dove
va rappresentare la suprema autorità in questo campo 8, a seconda che
ritenga fondata l'interpretazione che essa di volta in volta fornisce, specie
quando si tratti di questioni di basilare importanza per la comprensione
delle linee essenziali della filosofia di Aristotele, come è il caso della
definizione del movimento come "atto di ciò che è in potenza in quanto
tale" 9•
A conferma di tale "non allineamento" dell'esegesi porfiriana rispet
to alla tradizione peripatetica stanno quei luoghi di Simplicio in cui è
possibile analizzare il rapporto tra il commentario 10 di Temistio e il
commentario di Porfirio alla Fisica. Anche qui si verifica un'alterna
convergenza-divergenza che passa al di sopra della distinzione scolastica
tra platonici e peripatetici. Infatti Simpl. Phys. 422, 20 ss., ad esempio
[= 40], commentando Aristot. Phys. r l , 20la 27 ss., dove si chiarisce
la definizione del movimento, dice che il testo tràdito è duplice: la lezione
di Aspasia e di Temistio è diversa da quella di Alessandro e di Porfirio.
Altre volte Temistio, invece, concorda con Porfirio, come quando in
Simpl. Phys. 4 1 4, 1 5 ss. [= 39 = Aristot. Phys. r l , 20l a 10] Alessandro,
Porfirio e Temistio 1 1 concordano nello scambiare a ragion veduta - nella
definizione aristotelica del movimento - i termini ÉV'tEÀÉXEta e évépyeta,
operazione che Simplicio respinge con seria motivazione esegetica. O
come quando in Simpl. Phys. 9 1 8, 1 1 ss. [= 48], a proposito della chiusa
di Aristot. Phys. E, Temistio concorda con Porfirio nel non tenere conto
dell'aggiunta di 1 3 linee che alcuni codici fanno a E 6, 23 l a 4 e che
Simplicio commenta seguendo l'esempio di Alessandro, che pure cono
sce la discrepanza su questo punto dei manoscritti. In sostanza, il rappor
to tra Porfirio e Alessandro e tra Temistio e Porfirio si presenta in un
quadro di "libera concorrenza" esegetica, rivelando un fatto importante
per la storia del commentario neoplatonico, e cioè che i moduli interpre
tativi adoperati dai filosofi tardoantichi nella loro attività commentaria
- e di riflesso nel loro insegnamento - prescindono da vincoli di scuola
o tradizione e dipendono esclusivamente dall'intelligenza filologica e
filosofica di ciascun commentatore.
Accanto ad Alessandro di Afrodisia e a Temistio, che Simplicio cita
44
spesso assieme a Porfirio, altri due peripatetici piu antichi sono messi a
confronto con Porfirio nella testimonianza di Simplicio sul Commenta
rio alla Fisica porfiriano. Si tratta di Eudemo e di Nicola di Damasco.
Il primo è citato da Simplicio a proposito del problema della divisione
tradizionale, che sembra risalga allo stesso Aristotele, degli otto libri della
Fisica a seconda del loro contenuto.
Simpl. Phys. 80 l , 4 ss. [ 45 = Proemio al libro V] scrive che Aristote
=
le, dopo avere insegnato [libro III] che movimento è la stessa cosa che
mutamento, tanto che egli adopera i due termini indifferentemente 12,
intende nel libro V definire e mostrare che mutamento è nozione univer
sale e movimento nozione particolare, che cioè mutamento è genere della
specie movimento. Il discorso sul movimento, dunque, contenuto nel
libro V è collegato con quello sul mutamento, anzi ne è la continuazione.
Perciò Aristotele e i suoi seguaci, conclude Simplicio, annoverarono an
che questo libro V tra i cosiddetti libri di Fisica dei principi, mentre
chiamarono i rimanenti tre libri (VI-VIII) Fisica del movimento. Non
capisco, quindi, continua Simplicio, per quale ragione Porfirio, pur af
frontando elegantemente (q>lÀoKt:U.roç) la questione della divisione dei
libri della Fisica e pur sapendo che tutti 1 3 chiamano i primi cinque libri
"Fisica" e gli altri tre "Sul movimento", affermò nondimeno che del
movimento trattano gli ultimi quattro libri, cioè i libri dal quinto all'otta
vo. Ora, andando avanti, Simplicio nel Proemio al libro VI (p. 923, 7-8),
tornando sullo stesso argomento della divisione dei libri della Fisica,
chiarisce che tra i peripatetici che seguono Aristotele in questa divisione
ci sono, prima ancora di Andronico, Eudemo e Teofrasto. Infatti que
st'ultimo, rispondendo a una lettera di Eudemo che gli chiede spiegazioni
su un codice manoscritto del V libro che gli sembra erroneo, risponde
che quei passi della Fisica su cui Eudemo chiede il suo parere o non
riesce a comprenderli bene o essi presentano una differenza insignificante
rispetto al testo tràdito. Segue la citazione di Phys. E 2, 226b 1 4- 1 6.
Quindi, conclude Simplicio, Teofrasto ritiene che il libro V appartiene
ai libri che vanno sotto il nome di Fisica. Della stessa opinione si capisce
che doveva essere Eudemo. Porfirio seguiva tale tradizione, ma anche
qui con una certa libertà di interpretazione, tanto da meritare il rimpro
vero di Simplicio. Il qusale però non è esente neppure lui dallo stesso
"vizio", giacché oscilla a proposito di questa divisione dei libri della
Fisica. Infatti, mentre nel Commentario alla Fisica, luoghi citati 1\ divi-
45
de con la tradizione i primi 5 libri dagli altri 3, nel Commentario al de
cae/o 226, 1 9-23, forse sotto l'influenza dello stesso Porfirio, dà una
divisione 4+4, attribuendo tale suddivisione nientemeno allo stesso Ari
stotele.
Sul rapporto Porfirio-Nicola di Damasco, infine, Simplicio in due
luoghi presenta una loro concordanza a proposito di Diogene di Apollo
nia. Simpl. Phys. 1 49, 1 3 ss. e 1 5 1 , 2 1 ss. [= 22-23] riferisce infatti che
Porfirio attribuisce, cosi come prima di lui aveva fatto Nicola Damasce
no, a Diogene di Apollonia l'opinione di cui parla senza citare nomi
Aristotele, Phys. A 3, 1 87a 1 4 ss., secondo la quale principio è qualcosa
di mezzo tra il fuoco e l'aria, ovvero qualcosa che è piu denso del fuoco
e meno denso dell'aria. L'opinione di Nicola, con la quale, secondo
Simplicio, Porfirio concorda, si trova espressa nel trattato "Sugli dei",
opera che doveva vertere certamente sulla teologia naturale dei primi
filosofi, come testimoniano altri frammenti di Nicola 1 5 • È da notare che
in questa occasione Simplicio (Phys. 1 5 1 , 23-24) chiama Porfirio "il piu
dotto dei filosofi" [6 7tOÀ.UIJ.atMo'ta'toç 'tÒ>V q>l.À.O<J6q>rov], appellativo che
non può significare altro, in tale contesto, se non che il maestro neoplato
nico aveva una perfetta conoscenza della storia della filosofia e nella
fattispecie della filosofia aristotelica e della tradizione commentarla su
di essa. Probabilmente le notizie su Nicola Simplicio le trovava nello
stesso Porfirio, come sospetta Moraux 1 6•
Da questo quadro di testimonianze comparate sul Commentario
alla Fisica di Porfirio risulta chiaro il ruolo che esso ha svolto nella
ricostruzione che Simplicio ha tentato di fare della secolare tradizione
commentarla intorno alla Fisica aristotelica: il ruolo di Porfirio non
risulta - anche dagli scarsi frammenti conservatisi - inferiore a quello
esercitato dai piu grandi commentatori che lo hanno preceduto o seguito,
da Eudemo allo stesso Simplicio. A parte Eudemo, la cui grande opera
sulla Fisica non è da considerarsi un vero e proprio commentario ad
Aristotele, anche se a Eudemo si deve la piu antica recensione del testo
7
della Fisica di Aristotele 1 , l'unico commentatore della Fisica che in
Simplicio supera in numero di citazioni Porfirio è Alessandro di Afrodi
sia. Gli restano di gran lunga al di sotto tutti gli altri commentatori,
Andronico di Rodi, Boeto di Sidone, Adrasto, Aspasio, Nicola di Dama
sco, Temistio, nonché gli anonimi è/;11YI')'tai e Ù7tOIJ.VT)IJ.ano'tai che talora
compaiono in Simplicio. Ma è significativo il fatto che è proprio con
46
Alessandro che Simplicio mette piu frequentemente in rapporto Porfirio.
In conclusione, l'esame comparativo tra la testimonianza di Simplicio
su Porfirio commentatore della Fisica e quella sugli altri commentatori
dimostra che l'opera perduta di Porfirio ha esercitato una funzione scola
stica e storiografica di notevole livello lungo la tradizione esegetica delle
scuole neoplatoniche, se Simplicio, che arriva per ultimo ha potuto con
servare una cosi larga e significativa traccia.
47
o\S, come la materia, tò Katr o, come la forma, tò u<p' o\S, come l'efficiente,
tò ot' o, come il fine. A questo punto Porfirio afferma, continuando nella
sua interpretazione di Aristotele Phys. A l , 1 84a l O ss., che quanti sono
i modi di intendere il principio, tanti sono i modi di intendere la causa,
giacché principio e causa, quanto all'oggetto, significano la stessa cosa,
anche se quanto al concetto il principio "precede" la causa. La critica di
Simplicio attacca ambedue gli assunti di Porfirio: né principio e causa
si devono intendere nello stesso numero di modi [iaaxroç], né la nozione
di principio precede la nozione di causa. Infatti, argomenta Simplicio,
mentre tutto ciò che è causa è anche principio, non tutto ciò che è
principio è anche causa, come ad esempio il principio della strada, come
inizio della strada, non è causa della strada. D'altra parte, il principio
non precede concettualmente la causa, continua Simplicio, se è vero che
la causa precede necessariamente l'effetto, mentre il principio coesiste
[ouvu7tapxet] con ciò che esso reca a compimento.
Senza entrare nel merito della validità teoretica di tale critica, balza
evidente la drasticità della confutazione delle opinioni di Porfirio da
parte di Simplicio, tanto piu che essa arriva dopo che questi ha intercala
to tra la citazione del commentario di Porfirio e la relativa critica, una
serie di osservazioni, anch'esse critiche, a Eudemo e ad Alessandro.
Ancor piu drastica è la critica di Simplicio Phys. 80, 28 ss. [ 7] nei =
48
garsi e il disgregarsi)). Aristotele intende riferire questa tesi, a giudizio di
Simplicio, non già a Democrito ed Empedocle, ma ad Anassagora, giac
ché - come dice Alessandro - lo stesso Aristotele in GC A l , 3 1 4a 1 3
ss. rimprovera Anassagora di non essersi reso conto del significato delle
parole quando chiama alterazione il processo di aggregazione e disgrega
zione. In questo caso Simplicio fa appello all'autorità di Alessandro di
Afrodisia per respingere l'interpretazione di Porfirio. Ma questo appello
ad Alessandro è solo un conforto per chi - come Simplicio - ha a disposi
zione anche il testo di Anassagora, il quale nel primo libro della sua
Fisica scrive testualmente che <<il nascere e il perire sono un aggregarsi
e un disgregarsi» 1 8•
Non contento di correggere Porfirio sul piano della interpretazione
storiografica dell'opera aristotelica, Simplicio lo affronta anche su quello
strettamente filologico. Ovviamente qui la difficoltà cresce, giacché Sim
plicio deve combattere contro un esegeta particolarmente attrezzato, anzi
contro "il piu dotto dei filosofi" - come egli stesso riconosce 1 9 -. È il
caso di Simpl. Phys. 1 92, 29 ss. [ 28], dove si critica l'applicazione della
=
49
sommo. Sicché, conclude Simplicio, il "filosofissimo" Siriano sbaglia se
intende l'eccesso e il difetto in senso proprio, giacché in questo caso la
contrarietà sarà propria della sola quantità, come il piu e il meno. In
sostanza, allora, Simplicio accusa Siriano (e di riflesso Porfirio) di non
sapere distinguere il significato del termine yévoç e di confonderlo con
quello di Ka'tT)yopia. È un'accusa grave per tutti e due i commentatori,
tanto piu perché ambedue giudicati dallo stesso Simplicio con l'uso di
aggettivi di grado superlativo: 1tOÀ.UJla�Éatatoç e <ptÀOao<protatoç.
Ma la critica sul piano della esegesi strettamente filologica trova un
altro esempio in Simpl. Phys. 206, 3 ss. [ 29], a proposito dell'espressio
=
50
tal modo la divisione di Aristotele [cioè l'articolazione della critica aristo
telica] e la sua obiezione su ciascuna sezione della divisione - scrive
Simplicio - seguendo in larga misura Porfirio». O come in Simpl. Phys.
97, 5 ss. [= 1 3] dove si loda Porfirio per avere «interpretato correttamen
te» 22 l'ironia ['tò livtYJ.LÉVov] espressa da Aristotele nella parole «come se
l'uno o l'essere potessero dirsi in un solo senso, quando si sa che gli enti
sono molti>> 23• Nell'un caso e nell'altro, tuttavia, l'elogio che Simplicio
rivolge a Porfirio risulta attenuato dal confronto rispettivamente con
Alessandro e con Eudemo. Infatti nel primo caso - la "divisione" porfi
riana dell'argomentazione critica di Aristotele contro la teoria parmeni
dea dell'essere-uno - Simplicio trova l'opinione di Alessandro "piu accu
rata": E1tlJ.LEÀ.Scr'ta'toç 'AMI;av8poç. Nel secondo caso - l'interpretazione
brillante di Porfirio su Aristot. Phys. A 2, 1 85b 3 1 ss. - Simplicio informa
che anche Eudemo aveva dato la stessa interpretazione che troviamo in
Porffrio. Il che dimostra ancora una volta la prevalenza dell'atteggiamen
to "critico" e "revisionista" del commentatore Simplicio nei confronti
del commentatore Porfirio.
51
e che questo "non-essere che è" non è l'assoluto essere, l'essere che sem
pre è, ma la materia, la quale è in quanto riceve tutte le forme possibili,
ma non è nessuna cosa già formata (è un continuo fluire e trasformarsi).
È a questo punto che Porfirio cita Timeo 27 d, dove la materia è definita
come «ciò che sempre diviene e mai non è - 'tÒ ytyv61J.EVOV IJ.ÈV ae(, òv
OÈ oùOé7to'tE». La fonte 1 8, dunque, appartiene, a mio avviso, al Com
mentario alla Fisica. Ma è possibile anche ricavare da questo frammento
una possibile collocazione cronologica dello stesso Commentario?
Mettiamo a confronto la testimonianza in questione con l'altra con
tenuta in Simpl. Phys. 23 1 ,6 ss., che si riferisce esplicitamente a un altro
scritto di Porfirio, il 7tEpì uA.11ç. Il discorso verte anche qui sul concetto
platonico di materia, ma questa volta si riferisce a un lemma (Aristot.
Phys. 1 9 1 a 7) che riguarda la difficoltà di cogliere la nozione di materia
pinna o materia-soggetto per altra via che non sia quella dell'analogia.
La materia, scrive Aristotele, è uno dei tre principi assieme alla forma
e alla privazione.
Questo frammento del 1tEpì uA.11ç porfiriano, citato da Simplicio,
dipende da Moderato, in quanto in esso Porfirio presenta le opinioni del
neopitagorico, opinioni che lo stesso Simplicio ha immediatamente pri
ma esposto sinteticamente. Il discorso di Porfirio è di questo tenore:
Platone afferma che quando la "ragione unitaria" (ò évtaioç Myoç) volle
costituire la generazione degli enti da se stessa, produsse "per privazione
di se stessa" la quantità di ogni cosa, privandola delle sue proprie ragioni
e forme. E questa quantità è detta da Platone priva di forma, di divisione
e di figura, ma capace di ricevere forma, figura, divisione e qualità e ogni
cosa del genere. A questa quantità - scrive ancora Porfirio - Platone
attribuisce una molteplicità di denominazioni: ricettacolo universale,
informe, indefinito, partecipe in modo oscurissimo dell'intelligibile, ap
pena conoscibile solo per mezzo di ragionamento bastardo.
Porfirio, dunque, dipende da Moderato, ma ha ragione P. Hadot
quando afferma che egli presenta l'interpretazione della sua auctoritas
in termini neoplatonici: «Tout le vocabulaire est typiquement postploti
nien» 26•
Il legame tra i due passi simpliciani ( 1 35= fonte 1 8 del Comm. alla
Fisica, e 23 1 fr. del 7tEpì uA.11ç) è inconfutabile. Basti osservare alcuni
=
52
alla dottrina platonica della materia. La testimonianza porfiriana su Mo
derato è situata nel testo di Simplicio dopo una lunga testimonianza di
Plotino sulla 1tpokr1 UÀ.ll.
Porfirio conosceva Moderato fin dalla sua prima formazione filoso
fica: lo cita nella sua Vita di Pitagora, probabilmente lo continuò a
leggere presso Longino, il quale cita Moderato assieme a Trasillo nel
Proemio al suo libro Sul fine, riferito dallo stesso Porfirio in Vita Platini
20, 7 1 -76. Ma è ragionevole supporre che l'uso che egli ne fa nello scritto
Sulla materia è posteriore, e risale con ogni probabilità al primo periodo
romano 27, se si accetta, come io accetto, la qualità postplotiniana del
vocabolario da lui adottato. Dunque il 7t&pì UÀ.ll<; e il Commentario alla
Fisica si collocano nello stesso periodo, quello posteriore all'incontro
con Plotino. Una ragione ulteriore di tale collocazione è desumibile dal
fatto che Porfirio - nel presentare la dottrina di Moderato - accentua la
teoria dell'immanenza delle idee nel nous, come si può arguire da Simpl.
Phys. 23 1 , 1 5: «Questa quantità e questa specie concepita secondo la
privazione della ragione unitaria, la quale contiene in sé tutte le ragioni
degli enti, sono paradigmi della materia dei corpi».
In conclusione, ritengo che è lecito collocare la redazione del Com
mentario alla Fisica di Porfirio - assieme allo scritto Sulla materia,
ambedue perduti - negli anni immediatamente posteriori all'incontro
con Plotino e in ogni caso in un'età posteriore alla permanenza di Porfirio
presso la scuola di Longino ad Atene.
3.3. 1 . La "Sinossi"
che gli editori moderni hanno pubblicato tra parentesi quadre, quindi
53
come una interpolazione (cf. ad es. Aristotelis Physica, ed. W.D. Ross,
OCT (Oxonii, rist. 1 960) ad loc. ; ma già nella prima edizione del 1 936).
Scrive Simplicio: «Qui si chiude questo quinto libro in alcuni manoscrit
ti, ma in altri manoscritti è aggiunto il testo che riferirò subito dopo,
testo che né Porfirio preferisce cruvo\jliçetv, né Temistio 7tapacppaçetv.
Alessandro tuttavia, pur indicando che in alcuni manoscritti questa ag
giunta non si trova, nondimeno la é/;TJ'YEÌ"tal>>. Ho lasciato i tre verbi non
tradotti pour cause e vedremo subito perché.
�\.lVO\jliçew in questo contesto non può non avere un preciso signifi
cato tecnico: non può essere preso in senso generico, dal momento che
Simplicio distingue nettamente l'operazione di Porfirio da quella di Te
mistio, e indirettamente anche dall'altra di Alessandro. �\.lVO\jliçetv indi
ca il procedimento proprio di Porfirio, almeno relativamente al libro V
della Fisica, cosi come 7tapacppaçetv indica il procedimento proprio di
Temistio, e in questo caso relativamente all'intero suo scritto sulla Fisica
aristotelica (in quasi tutte le inscriptiones dei Mss. si trova il termine
tecnico di llapacppacnç. Cf. Praefatio all'ediz. di Schenkl in CAG V 2
[ 1 900]). Si tratta dunque di trovare il vero significato di cruvo\jliçetv,
prima di discutere se esso si debba estendere a tutto il Commentario o
alla sola parte relativa al libro V della Fisica.
L'interpretazione che ne dà l'editore, il Diels, è indicata nell'Index,
dove al riferimento di p. 9 1 8, 1 3 si legge: Physicorum synopsim scripsit
[sc.Porph.] (v.p. 1453 sub voce llopcpuptoç). Il Diels quindi intende la
notizia di Simplicio nel senso che Porfirio ha scritto della Fisica aristote
lica una synopsis 2 8 • L'interpretazione del Diels sembra confermata da
un altro passaggio dello stesso Simplicio, dove si attribuisce appunto a
Porfirio una synopsis del V libro della Fisica: Simpl. Phys. 802,7 ss. [ =
45] «Mi meraviglio - scrive Simplicio - come il filosofissimo Porfirio
nella cruvo\jltç di questo libro V, pur indagando in modo brillante la
questione della divisione ecc.». Simplicio quindi chiama synopsis quella
scritta da Porfirio relativamente al libro V. Questa testimonianza si trova
nel Proemio al Commentario al libro V. Cosi all'inizio e alla fine del
Commentario di Simplicio noi troviamo testimoniata la procedura porti
nana del cruvo\j/içetv. A questo punto sorge la domanda: sinossi è tutto
il commentario di Porfirio o solo la parte relativa al libro V? Prima di
rispondere, occorre prendere in esame una circostanza importante. In
Simpl. Phys. 801-802 [= 45], come abbiamo visto, la sinossi porfiriana
54
è riferita al fatto che c'è discordanza tra gli interpreti sul come sono da
dividersi gli otto libri della Fisica.
Aristotele - scrive Simplicio in questo prologo al libro V - dopo
avere insegnato nel libro III cosa significhi movimento in senso generale,
che cioè movimento è lo stesso che mutamento, ora, nel libro V, intende
definire e mostrare che mutamento è nozione piu generale, e movimento
nozione piu particolare, che cioè movimento è specie del genere muta
mento. Ad esempio generazione e corruzione, come dirà Aristotele, scri
ve sempre Simplicio, sono mutamenti, ma non movimenti. Aristotele,
dopo avere quindi distinto il movimento dal mutamento, presenta le
varie specie di movimento e questo discorso è collegato a quello piu
generale sul mutamento, anzi ne è la continuazitme, sebbene si trovi
inserito, tra questi due discorsi, quello intorno all'infinito, al luogo, al
vuoto, e al tempo. Perciò Aristotele e i suoi seguaci, conclude Simplicio,
annoverano anche questo libro V tra i cosiddetti libri di "Fisica dei
principi", cosi come sono soliti chiamare i successivi tre libri "Fisica del
movimento". Infatti, etc .. A questo punto troviamo la testimonianza su
Porfirio riferita sopra: Porfirio sa tutto questo, e tuttavia chiama "Fisica
dei principi" i primi quattro libri e "Fisica del movimento" gli ultimi
quattro.
C'è da precisare subito che anche Simplicio nel Commentario al De
cae/o, 226, 19 ss. (anteriore al Commentario alla Fisica) 29 aveva non solo
operato la stessa diairesis che ora rimprovera a Porfirio, ma l'aveva
attribuita allo stesso Aristotele. Ma c'è un altro commentatore, posteriore
e non meno autorevole, che riprende la diairesis porfiriana, Giovanni
Filopono, il quale nel suo Commentario al libr� A della Fisica, p. 2-3
Vitelli, scrive che Aristotele nei primi quattro libri tratta della materia,
della forma, del luogo e del tempo, e negli ultimi quattro del movimen
to 30• Torniamo un momento sul significato del verbo cruvo\jliçstv. Il LSJ
- proprio con riferimento a Simpl. Phys. 9 1 8, 1 3 - registra il significato
di: bring into a generai view, e l'altro di sum up. Lo Stephanus dà il
significato di "in compendium redigo". È chiaro dunque che cruvo\jl(çstv
ha il significato di "riassumere", "compendiare", "ridurre un discorso in
un altro piu breve, ma che abbia lo stesso contenuto e valore".
Per il verbo 7tapacppliçstv, il LSJ registra il significato di «say the
same thing in other words», e il riferimento che ci interessa è a Ermogene
e Galeno, ambedue del II sec. d.C.
55
Nello Stephanus però si trova una serie di significati che ci sembrano
piu illuminanti per il problema che ci interessa. Infatti si dice che 7ta
paq>paçco significa "eodem sermone utens, aliquid latius et explicatius
eloquor". Il riferimento è a Pseudo-Plutarco, Vita Homeri. Piu sotto lo
Stephanus, dopo aver citato le opinioni di Fabius, obietta «esse 7tapaq>pa
mç potius addere quam demere». 11apaq>paçetv può significare, dunque,
«parlare, usando lo stesso discorso, in modo piu ampio e piu esplicito».
'EI;T)yetcr'dat ha per tutti e due i dizionari il significato di: expound,
interpret (LSJ), e di explicare, exponere, enarrare e simili (Steph.).
Dunque O"UVO'lfiçetv e 7tapaq>paçetv differiscono soprattutto perché
il primo indica "abbreviazione" e l'altro "ampliamento" dello stesso
discorso. Porfirio avrebbe "riassunto" laddove Temistio avrebbe "am
pliato". Non c'è dubbio che O"UVO\jfiçetv è verbo meno adatto, quindi,
dell'altro, 7tapaq>paçetv, a indicare un commentario. Non si vede come
si possa fare un commento di un testo procedendo per <JUvo\jftç; mentre
è ammissibile che un commento si possa fare procedendo per 7tapaq>pa
mç. Il discorso di Simplicio relativo al libro V della Fisica nel Commen
tario perduto di Porfirio difficilmente può essere quindi riferito a tutto
il Commentario: è piu ragionevole pensare che Porfirio ha fatto una
sinossi del solo libro V. Ma è ipotizzabile il perché? Vediamo.
Si sa che Porfirio ritiene raggruppabili gli otto libri della Fisica
secondo il criterio 4+4 e non 5+ 3, cosi come fa tutta la tradizione peri pa
tetica e - stando alla testimonianza di Simplicio (cosa molto inverosimi
le) - lo stesso Aristotele. Porfirio va controcorrente, dunque, e Simplicio
se ne meraviglia molto ('dauJ.Laçco), anche perché stima Porfirio "filosofis
simo" (q>IÀOcroq>oHa-rov). È lecito pensare, allora, che Porfirio abbia fatto
il Commentario ai primi quattro libri che egli, come del resto gli altri,
intitola 7tEpì apxrov, e abbia "compendiato" il libro V in omaggio alla
tradizione che riteneva questo libro parte integrante del gruppo 1tepì
apxci>v, ma che egli ritiene invece parte dell'altro gruppo dei libri m:pì
Ktvitcrecoç. Un compromesso? Penso di si! Tanto piu che non risulta da
Simplicio che Porfirio abbia commentato, dopo la sinossi del libro V,
gli ultimi tre libri. Il suo nome, infatti, scompare - dopo questo luogo
che stiamo esaminando - dalla testimonianza simpliciarta, ed è incredi
bile che Simplicio non ne faccia piu parola, conoscendo anche questa
eventuale parte del Commentario porfiriano.
56
3. 3.2. Metodo filologico e metodo ermeneutico
57
del testo 34• Filologia, dunque, quale strumento della filosofia. E qui cade
a proposito una prima considerazione storico-critica. Porfirio ci presenta
in Vita Platini 14,20 il conflitto di fondo esistente tra due scuole e due
metodi neoplatonici, rappresentati rispettivamente da Plotino e da Lon
gino. Plotino, dopo la lettura di due scritti inviatigli da Longino, emise
quel pesante giudizio sull'amico ateniese che tutti sappiamo: Longino è
si filologo, ma nient'affatto filosofo. Il fatto testimonia di una polemica
in atto tra due scuole e due modi di fare filosofia: il modo di Longino
inteso a chiarire e analizzare la struttura formale del testo per ridurlo
alla sua purezza linguistica e retorico-letteraria, senza preoccupazioni per
il contenuto filosofico e per la sua coerenza e misura interna; il modo
di Plotino inteso a cogliere il nucleo di pensiero contenuto in un testo
al di là della sua struttura retorico-linguistica, senza la preoccupazione
cioè di ridurre prima quest'ultima alle sue rigorose dimensioni filologi
co-formali (Plotino, si sa, era trascurato persino nell'ortografia). Non è
certamente lecito radicalizzare troppo la differenza tra le due procedure
di ricerca, ma è ragionevole supporre che tra le due scuole esistesse un
effettivo conflitto metodologico che si ripercuoteva nella costruzione o
ricostruzione della dottrina platonica (e non solo platonica) propria delle
due compagini scolastiche neoplatoniche. Come si presenta la posizione
di Porfirio in tale conflitto? Porfirio si rivela come uno che mira a supera
re le "ragioni" del conflitto tra metodo filologico e metodo filosofico (o
ermeneutico), e non tanto per motivi di irenismo, data anche la sua
collocazione - in certa misura mediatrice - tra il vecchio e il nuovo
maestro, quanto per motivi di convinzione teorica, nel senso che riteneva
compatibili, con funzioni distinte, i metodi in questione. Plotino era
troppo fine filologo (anche per merito dell'insegnamento di Longino) per
non valutare l'importanza dell'acribia filologica nell'indagine filosofica
e storica, ma era anche troppo interessato all'ermeneutica filosofica per
non considerarla di primaria importanza nell'attività di ricerca di un
platonico. Occorreva quindi attribuire il giusto posto e il giusto peso a
ciascuno dei due metodi, nell'interesse della dignità scientifica dell'opera
del filosofo, che era poi un far rivivere lo spirito dell'antico maestro,
Platone, al quale in ultima analisi poteva farsi risalire la stessa polemi
ca 3s. Nel conflitto tra filosofia e retorica Platone aveva, infatti, difeso i
diritti della prima senza annientare i vantaggi della seconda, denunzian
do di quest'ultima soltanto le sue storture e le sue esasperazioni tecnicisti-
58
che e neutralistiche. Ma veniamo ora all'esame del metodo filologico
porfiriano cosi come si presenta nei frammenti e nelle testimonianze del
Commentario alla Fisica. Riprenderemo alla fine il discorso sui motivi
reali che hanno indotto Porfirio a tentare un superamento di quel conflit
to, cercando di valutarne la incidenza nel Commentario in questione.
Le fonti da me classificate come "filologiche" [ = C] sono dieci in
tutto, cioè un quinto del totale, ma sufficienti a darci un'idea del metodo
filologico seguito da Porfirio nel commentare la Fisica aristotelica. Di
due fra�menti, il 32 e il 37, ho già discusso, adducendoli come esempi
di trattamento filologico del testo aristotelico da parte di Porfirio 36• Gli
altri confermano i risultati dell'analisi e precisamente il carattere rigoro
samente "strumentale" della filologia porfiriana. Ma procediamo con
ordine e per esemplificazione.
Simpl. Phys. 70, I l ss. [= 4] concerne due modi di punteggiatura di
un passo aristotelico (Phys. A 2, 1 85a 1 8) cosi come viene tramandata
da Alessandro di Afrodisia. Porfirio sostiene una delle due lezioni in
funzione di una certa interpretazione del discorso di Aristotele, interpre
tazione che Simplicio giudica "molto ragionevole". Lo spostamento di
una virgola prima o dopo una particella negativa, anche se rovescia il
senso letterale di un testo, può, dunque, servire al filosofo per fornire
una esegesi "piu ragionevole" di un'altra. Ed è appunto questo l'uso
strumentale della filologia di cui Porfirio dà prova, senza cadere in distor
sioni o sconvolgimenti del discorso filosofico. Dello stesso contesto Te
mistio - ci informa sempre Simplicio - dà una esegesi diversa da quella
di Porfirio, accogliendo la punteggiatura alternativa testimoniata da
Alessandro 37• È possibile dunque far quadrare il significato di un testo
dal punto di vista filosofico pur con opposte analisi filologiche; il che
darebbe sufficiente ragione, a mio avviso, della procedura rigorosamente
"strumentalista" di Porfirio. Ma un esempio ancora piu chiaro della
gestione "strumentale" della filologia da parte di Porfirio è fornita da
Simpl. Phys. 414, 1 5 ss. [ = 39]. In questa fonte si discute del noto passag
gio della Fisica aristotelica relativo alla definizione del movimento: "atto
di ciò che è in potenza in quanto tale" 38• Il problema filologico qui nasce
dell'ambiguità dei manoscritti che hanno ora èv't"EÀiXEta ora èvépyeta.
Porfirio - questa volta con il conforto di Alessandro - interpreta il passo
considerando i due termini come equivalenti, pur distinguendoli nel
senso del "già compiuto" [= èvépyeta] e del ••non ancora compiuto" [=
59
ÉV'tEÀ.tXEta]. Simplicio rovescia il senso di tale distinzione tra i due termi
ni. Ma quel che conta di notare qui è che Porfirio "strumentalizza" l'uso
filologico del metodo esegetico all'interpretazione filosofica del testo. Ma
si dà anche il caso - talvolta - che il filologo-filosofo debba correggere
"radicalmente" il testo in funzione di una verità storica legata allo stesso
testo, ed è appunto quello che Porfirio fa a propostio della fonte 43.
Si sta trattando della dimostrazione aristotelica secondo la quale il
vuoto non esiste. Occorre dimostrare, scrive Aristotele, non già che l'aria
è qualcosa e non è il vuoto di cui parlano gli uomini comuni, bensi che
non esiste alcun intervallo [ouianJJ.LU] che sia altro dai corpi 39, cioè che
non c'è tra i corpi intervallo che sia diverso dagli stessi corpi, sia che lo
si consideri separato oppure esistente in atto [oihe xropta'tòv oÙ'tE évepye
iq.. òv]. Su quest'ultimo inciso verte il problema filologico. Porfirio correg
ge il testo in OÙ'tE axropta'tOV UU'tÒ>V OÙ'tE xropta't6V - né non separato da
essi (dai corpi) né separato. La correzione di Porfirio sarebbe giustificata
dall'accenno che nello stesso contesto Aristotele fa a Democrito e ai
pitagorici 40• Infatti il primo considera il vuoto intercalato [cixropta'tov]
tra i corpi (un diverso immanente), gli altri separato da essi [xropta't6v]
(un diverso trascendente). La correzione dal punto di vista filologico è
forte, ma non è irragionevole, come del resto sono costretti a riconoscere
sia Simplicio, il quale scrive che la lezione di Porfirio «non è priva di
fondamento razionale» [EXEt ot Kaì aunJ ì..&yov] 4 1 , sia il Ross, il quale
scrive che «Porphyry's reading is a interesting one» 42• È questo un esem
pio lampante di metodo filologico strumentale: il testo viene mutato in
funzione della maggiore chiarezza del senso filosofico, ma sulla base di
oggettive ragioni di contenuto.
Ma in Porfirio il metodo filologico non è certamente quello che
prevale sul metodo piu propriamente ermeneutico, sul metodo cioè che
serve ad affrontare le questioni di contenuto filosofico del testo aristoteli
co e che, come vedremo, costituiscono il fine primario del commentario
porfiriano.
I frammenti che trattano di problemi di interpretazione del testo
della Fisica di Aristotele sono numerosi e - come si è già osservato -
possono essere classificati in due gruppi, rispettivamente di ermeneusi
pura e di ermeneusi storica. Prescindiamo per il momento da questa
bipartizione e proviamo a dare qualche esempio di metodo ermeneutico
porfiriano in generale. Cominciamo dai primi due frammenti che atten-
60
gono al problema generale dei principi come oggetto proprio della scienza
fisica secondo Aristotele.
Porfirio discute approfonditamente il significato generale del discor
so di Aristotele secondo cui «anche a proposito della scienza fisica occor
re tentare di definire [otop{cra<ri}at] anzitutto ciò che concerne i principi
[tà 1tepi tàc; cipxlic;]» 43• E la discussione di Porfirio - almeno cosi come
viene presentata da Simplicio - appare finalizzata a sceverare le diverse
dimensioni ermeneutiche del discorso di Aristotele, quali ad esempio
quella del rapporto tra fisica e metafisica (ambedue trattano dei principi,
ma con quale differenza?); quella del significato o dei significati del
termine ciPXiJ anche in relazione ai termini crtmxetov e aitia; la dimensio
ne del senso epistemologico del problema dei principi (quali sono i vari
modi di conoscenza scientifica secondo i principi), ecc. Porfirio in buona
sostanza sembra orientato a tenere distinta la Fisica dalla Metafisica,
riservando solo a quest'ultima la vera e propria indagine sui principi.
Ma egli è interessato molto anche a discriminare la posizione aristotelica
sui principi dalla corrispettiva platonica. A un certo punto infatti, dopo
aver riassunto i quattro modi in cui si può intendere il principio secondo
Aristotele 44, Porfirio aggiunge che Platone a questi quattro modi ne
aveva aggiunto altri due: principio è ciò relativamente a cui paradigma;
=
ed è ciò per mezzo di cui strumento. Tutto ciò sta a dimostrare che
=
61
to del non-essere, e quindi sempre in rapporto con la speculazione eleati
ca. Un solo esempio tra i piu significativi.
A proposito della diairesis del discorso che Aristotele fa quando
prende a esaminare le varie opinioni secondo cui l'essere si dice uno [ =
fonti 6-7], Porfirio sostiene che anche l'uno ha molti significati e precisa
mente tanti quanti ne ha l'essere; interpretazione questa che Sirnplicio
contesta dicendo che invece Aristotele adopera una diairesis che è pro
pria dell'uno e non dell'essere. La questione non è di scarso rilievo dal
punto di vista teorico. Infatti il metodo ermeneutico di Porfirio mira in
questo caso ad amalgamare la dottrina dell'uno con quella dell'essere, e
non è questo un compito facile, dal momento che appare a prima vista
contraddittorio sostenere una polisemanticità dell'uno. Una tale proble
rnatica è stata sempre presente nella tradizione peripatetica: l'aristoteli
smo si qualifica - a differenza del platonisrno - in virtu di una sua
incompatibilità con l'univocità dell'essere di ispirazione eleatica. Ancora
ai giorni nostri si discute su tali terni e basti per tutti citare gli articoli
recentissimi del Couloubaritsis 45•
Per concludere, il metodo ermeneutico usato da Porfirio nel Com
mentario alla Fisica è lo strumento di una ricerca teoretica finalizzata
primariamente a rendere commensurabili la metafisica platonica e la
metafisica aristotelica. Per ottenere tale risultato Porfirio compie due
operazioni complementari: da un lato accentua il carattere rnetafisico
della Fisica dei principi aristotelica, eliminando in tal modo le piu
eclatanti ragioni di conflitto con la dottrina platonica dei principi 46,
dall'altro attenua la ascendenza eleatica - almeno quella che tale appari
va nella lunga tradizione del platonisrno fino a Plotino - della metafisi
ca platonica, favorendo in tal modo una interpretazione in direzione
anti-univocistica dell'essere e dell'uno e quindi una strurnentalizzazio
ne della Fisica aristotelica alla metafisica platonico-neoplatonica. Il
tutto viene realizzato con lo "strumento" di un rigoroso e raffinato
metodo filologico.
Era questo il modo migliore in cui Porfirio riteneva si potesse supe
rare la polemica tra Plotino e Longino sull'esegesi dei testi platonici,
aristotelici e - forse anche - stoici, e al contempo avviare verso sbocchi
nuovi e piu produttivi l'annosa questione - dibattuta soprattutto nel I
e II secolo d.C. - della "compatibilità" tra Platone e Aristotele 47•
62
NOTE
1 Scrive Beutler, RE 22, l ( 1 953) col. 284, 28, che «die Araber kennen die Schrifu),
63
13 xav'tec;, cioè Aristotele e i suoi seguaci.
14 Cf. pure 4, 1 1 - 1 5 e 6,4- 10.
15 Cf. H.J. Drossaart Lulofs, Nicolaus Damascenus on the philosophy of Aristotle.
Fragments ofthe first five books transl. from the Syriac with an introduction and commen
tary (Leiden 1969 2) 8-9, 17-19. Sulla questione cf. P. Moraux, Der Aristotelismus bei den
Griechen, I (Berlin 1 973) 45 1 ss.
1 6 P. Moraux, Der Aristotelismus etc., cit., p. 45 1 .
17 Cf. P. Moraux, Der Aristotelismus etc., cit., p. IO. La lista dei piu antichi commenta-
tori di Aristotele che ci offre il Moraux si apre con Andronico.
l8
Simpl. Phys. 1 63, 20 ss. = Anaxag. 8 17 DK.
19 Simpl. Phys. 1 5 1 , 23-24.
20 Sembra che sia sempre Siriano a parlare.
2 1 Non sembra avere altro significato qui l'espressione ooaxooc; 'tò 6v.
22 KaÀ.Òlç potrebbe qui intendersi in senso forte come "brillantemente" e "felicemente"
o "in modo ineccepibile" e simili. Cf. Plat. Parm. 1 28 b l , dove KaÀ.Òlç è in endiadi con
e�: ((Tu infatti - dice Socrate a Parmenide - nei tuoi versi dici che il tutto è uno e ce ne
dai prove brillanti ed efficaci [Kai 'tmhwv 'tBKj.L�pta xaptxn KaÀ.Òlç 'tE Kai e�])) (trad. Zadro,
ed. Laterza). Si tenga conto del fatto che si tratta in Simplicio, e in Porftrio, dello stesso
tema dell'uno parmenideo.
2 3 Aristot. Phys. A 2, 1 85 b 31 s.
24 Cf. Porphyrii, In Platonis Timaeum Commentariorum Fragmenta, collegit et dispo
suit A. R. Sodano (Neapoli 1 964).
2 5 Cf. fr. 92 Sod. Ritengo che anche questo secondo passaggio di Simplicio non possa
con certezza essere assegnato al Commentario al Timeo: tutta l'argomentazione del Sodano
- e prima di Waszink - poggia sul concetto di materia come "grande e piccolo", nozione
che è ripresa da Calcidio, la cui fonte sarebbe appunto Porfirio.
26 Pierre Hadot, Porphyre et Victorinus I 166, nota l .
27 Sulla cronologia piu attendibile, i o h o espresso l a mia opinione i n Porfirio di Tiro
(Catania 1979) 1 1 4.
28 Della stessa opinione è lo Zeller (III 25 697, nota), il quale, sulla base di Simpl.
Phys. 9 1 8, 1 3, scrive che lo scritto di Porfirio sulla Fisica di Aristotele ((muss demnach im
wesentlichen eine verkiirzende Bearbeitung gewesen seiiD).
29 Cf. Augustin Mansion, lntroduction à la Physique Aristotélicienne (Louvain-Paris
1 945 2) 55, nota 5.
30 Philop. Phys. 2 Vitelli: ccEssi [gli elementi generali e comuni che sono oggetto della
Fisica di Aristotele] sono cinque: materia, forma [dooc;], spazio ['t6xoc;], tempo e movimen
to. E Aristotele nei quattro libri insegna i primi quattro, mentre negli ultimi quattro libri
insegna che cosa è il movimento [ ... ])).
3 1 Ritengo che, comunque si voglia valutare l'attività commentarla di un filosofo
tardoantico, la sua valenza principale resta quella di un'attività storiografica, trattandosi
64
di un lavoro di utilizzazione e sfruttamento di una tradizione storica rispetto alla quale il
commentatore conserva una pili o meno consapevole dipendenza. Con questo non si vuole
minimamente aderire al vecchio pregiudizio, secondo cui i filosofi tardoantichi (ma secon
do alcuni anche quelli di età ellenistica) sarebbero quasi esclusivamente dei "ripetitori" di
dottrine antiche. Sul valore di trasformazione e di novità nella continuità del neoplatoni
smo, rinvio al mio saggio: Neoplatonismo e nuove forme di teoresi platonica, sta in F.
Romano, Studi e ricerche sul neoplatonismo (Napoli 1 983) 9 ss.
3 2 Uso qui il termine come comprensivo anche dell'aspetto pili propriamente esegeti-
co.
33 P. 109 Wolff.
34 Cf. F. Romano, Porfirio di Tiro. Filosofia e cultura nel III secolo d.C. (Catania 1 979)
1 9 1 ss.
35 Sul problema dei rapporti filosofia-retorica in Platone è utile e istruttivo fare una
lettura comparativa del Gorgia e del Fedro. Cf. F. Adorno, Introduzione a Platone (Roma
Bari 1 978) IV l : Retorica e dialettica.
36 Cf. 3. 1 . 1 . fine.
37 L'editore moderno, il Ross, accoglie la lezione di Temistio senza accennare a quella
di Porfirio. Cf. W.D. Ross, Aristotle's Physics, (Oxford 1936), Commentary ad loc., 467.
38 Aristot. Phys. III l , 20 l a I O.
39 È scorretta la traduzione di Russo: "Pertanto, si dovrebbe dimostrare non già che
l'aria è qualcosa, ma che non c'è altro intervallo tra i corpi etc.". La traduzione corretta di
oulC �crn ouiO""t'T) j.la i!tEpov t&v crroj.ldtrov è: "non c'è intervallo diverso dai corpi", che
significa cosa ben diversa da quella che lascia intendere la traduzione Russo. a. Ross, op.
cit., Analysis, p. 378: «but that there is not an interval different from bodieS».
40 Questi ultimi senza citarli espressamente.
41 Simpl. Phys. 648,22 [- 43].
42 Ross, op. cit. Commentary ad loc., 582.
43 Aristot. Phys; A l , 1 84a 14 ss.
44 Ciò di cui - materia; ciò secondo cui - forma; ciò da cui - l'efficiente; ciò per cui
- fine.
4 5 L. Couloubaritsis, L 'Etre et l'Un chez Aristote, Revue de Philosophie Arcienne l
( 1 983) 49-98; 2 ( 1 983) 143-1 95.
46 L'espressione non vuole avere qui una significazione analoga a quella che essa ha
acquisito nella storiografia moderna con la ricerca sugli agrapha dogmata.
47 Cf. F. Romano, Porfirio di Tiro (Catania 1 979) 39.
65
4. CONCL USIONE
67
pravvalutare" Platone, giacché egli si muove, anche a proposito della
Fisica (come aveva fatto a proposito della Logica), in direzione opposta
a quella di alcuni medioplatonici (che avevano avuto peraltro largo credi
to nella scuola di Plotino) che si erano dichiarati programmaticamente
nemici "Contro coloro che intendono interpretare Platone per mezzo di
Aristotele" (è il titolo, come si sa, di uno scritto perduto di Attico). Lo
scopo di Porfirio era proprio quello di studiare e far studiare Aristotele
in preparazione allo studio di Platone: lo aveva fatto con la Logica e
tutto lascia pensare che lo abbia fatto anche con la Fisica. Il fatto poi
che Porfirio, a quanto è dato di vedere da alcune fonti qui raccolte (fonti
1-2), abbia tenuto ad accentuare la differenza "epistemologica" tra Fisica
e Metafisica di Aristotele in funzione di un piu accentuato distacco tra
la metafisica aristotelica e quella platonica, sta a significare che l'interesse
per la fisica aristotelica - anche se a livello strumentale - non era meno
sentito, da parte sua, di quello per la logica.
L'impegno ermeneutico che Porfirio assunse in questo suo Com
mentario alla Fisica è dimostrato anche dal suo rapporto con gli altri
commentatori, soprattutto con Alessandro di Afrodisia. Mai Porfirio
sottostà all'autorità di Alessandro, che peraltro di autorità in questo
campo ne aveva già accumulato abbastanza, ai tempi di Porfirio (era del
resto letto anche nella scuola di Roma). Il "non-allineamento" di Porfirio
è anch'esso spia del valore che egli attribuiva al suo lavoro esegetico
sulla Fisica aristotelica, e di conseguenza dell'influenza che ha dovuto
esercitare sui commentatori posteriori. Temistio, ad esempio, pur nell'al
ternarsi della sua concordanza o discordanza, si dimostra sempre attento
lettore delle proposte soprattutto filologiche di Porfirio, come ad esempio
a proposito della spinosa questione intorno alla differenziazione semanti
ca tra &vt&ì..éxem ed &vépyeta [ fonte 39].
=
68
discusse in questo lavoro [fonte 1 8], tra questo Commentario alla Fisica
e il Commentario al Timeo, anche questo perduto, sta ancora una volta
a significare che Porfirio avesse tutto l'interesse a discutere la cosmologia
platonica mettendola a confronto con la fisica aristotelica, e quindi attra
verso un processo di progressiva preparazione e di approfondimento
speculativo che partisse da Aristotele per arrivare a Platone. Se potessimo
oggi leggere lo scritto perduto di Porfirio m:pì 'tOU J.Liav &lvat nìv
IU.ci'tcovoç Kaì 'Apta'tO'tÉÀ.Ouç a'lpsmv, forse potremmo dare maggiore
forza probativa a tali argomenti. Ma è un fatto che la tesi di Porfirio in
questo campo non poteva fondarsi esclusivamente sulla debole base di
una "logica aristotelica come propedeutica allo studio di Platone", anche
perché la dura critica contro la teoria delle categorie avviata da alcuni
medioplatonici e perseguita "ferocemente" da Plotino, non poteva lascia
re indifferente Porfirio, come del resto qualsiasi altro filosofo neoplatoni
co.
In conclusione, ritengo che uno studio piu sistematico e approfondi
to di questi testimonia sul Commentario alla Fisica di Porfirio giovi a
ridimensionare - se non a modificare radicalmente - l'immagine stono
grafica tradizionale di un Porfirio soprattutto - se non del tutto - legato
al suo ruolo di esegeta della logica aristotelica.
69
Appendice
PORFIRIO
71
•1 fr. e le test. non sono qui raccolti in sezioni separate per le ragioni a cui ho accennato
nel corso del presente lavoro, ma anche per dare l'idea della sequenza dei lemmi aristotelici,
trattandosi di un commentario continuo e non tematico [cf. F. Romano, Genesi e strutture
del commentario neoplatonico, in F. R., Studi e ricerche sul neoplatonismo (Napoli, Guida,
1 983) 49 ss.).
Per ciascuna fonte, oltre al numero progressivo, saranno fatti due riferimenti: l'uno
relativo al Commentario alla Fisica di Simplicio, l'altro relativo al lemma della Fisica di
Aristotele.
72
l
73
2
Porfirio dal canto suo dice: «[Aristotele] dice che un primo modo
di intendere il principio si ha quando significa punto di partenza del
movimento: tale è "il principio da cui" [à<p'oÒ], come l'inizio di una
strada; cosi anche la chiglia di una nave, o la pietra di fondazione di una
casa. A tale primo significato si contrappone il principio come termine.
Un altro modo di intendere il principio è "ciò per opera di cui" [ù<p'oÒ],
come ad esempio la natura è principio per gli enti naturali o l'arte per
gli enti artificiali. Principio si può intendere anche "ciò per cui" [oÒ
�v&Ka], come ad esempio la vittoria per la gara. In un altro modo ancora
si dice principio "ciò da cui qualcosa ha origine in quanto è prima e
immanente", come ad esempio le pietre e il legno sono principio della
casa in quanto materia di cui è fatta. Principio sono infine anche la forma
esteriore 1 e la figura, e in generale la specie. Ma Aristotele, considerando
la forma solo nella materia, chiamava questa principio, mentre Platone,
concependo accanto a tale forma immanente nella materia anche la for
ma separata dalla materia, ha introdotto il principio paradigmatico. Se
condo Aristotele, dunque, il principio si dice in quattro modi: "ciò di
cui una cosa è fatta" [ti; oÒ], come la materia, "ciò secondo cui" [Ka�'o],
come la forma, "ciò ad opera di cui" [ù<p'oÒ], come l'agente ['tò notouv],
"ciò per cui" [ot'<S], come il fine. Secondo Platone, invece, principio si
dice anche "ciò in relazione a cui" [npòç <S], come il paradigma, e "ciò
per mezzo di cui" [ot'oÒ ], come lo strumento. Quanti sono i modi di dire
il principio, tanti sono i modi di dire la causa. Ambedue, principio e
causa, mentre significano la stessa cosa relativamente all'oggetto, invece
differiscono relativamente alla nozione: infatti, dice Porfirio, mentre il
principio è concepito tale in quanto sta prima, invece la causa è tale in
quanto produce qualcosa e reca ad effetto ciò che sta dopo di sé, e ancora
differiscono perché la causa è principia/e in potenza e il principio è finale
in potenza 2• Perciò la nozione di principio precede la nozione di causa.
74
Ma i principi si dicono in altrettanti modi quanto le cause, ma non in
tutto e per tutto, bensi alcuni, ad esempio si dicono principi di generazio
ne, come materia e forma o efficiente e paziente o quel singolo elemento
che ciascuno dei fisici prende in considerazione; altri invece principi di
conoscenza come, ad esempio, le premesse immediate e indimostrabili 3;
altri ancora principi di sostanza come, ad esempio, il limitato e l'illimita
to di cui parlavano i Pitagorici, oppure il dispari e il pari; altri infine
principi di attività come, ad esempio, l'efficiente e il fine)).[Simplicio
prima risponde ad Alessandro. Quindi risponde a Porfirio]. A Porfirio
c'è da dire che: l . dal momento che anch'egli li tiene distinti, la causa e
il principio non si dicono nello stesso numero di modi, bensi, mentre
ogni causa è anche principio, invece il principio di una cosa, come ad
esempio della strada o dello spettacolo, non si può chiamare causa; 2. la
nozione di principio non precede la nozione di causa, se è vero che la
causa precede necessariamente l'effetto, mentre il principio, sia esso pre
so come parte che sta prima o come elemento, coesiste con la cosa che
esso reca a compimento.
1 JLOpqn'l qui non può essere sinonimo di tiooç, che si trova nello stesso contesto di di-
scorso.
2 La causa ha il potere di far cominciare, il principio di portare a termine.
3 Quelle del ragionamento sillogistico. Cf. Aristot. An. post. A3, 72b20 ss.
75
3
1 Non soltanto differenti. Questo luogo della Fisica è controverso, soprattutto sotto
il profilo filologico. Cf., per la storia della tradizione e delle interpretazioni, Ross, Aristot/e's
Physica, Oxford "1 936, Comm. ad /oc..
76
4
77
6
78
7
79
9
80
10
Porfirio dal canto suo ritiene che l'intera aporia [quella relativa alla
parte e all'intero. Cf. nr.9] concerna proprio queste parti continue, nono
stante Aristotele aggiunga precisamente le parole "e sulle parti non
continue" 1 •
1 Cf. Aristot. Phys. A2, l 85b 14. Credo che la tesi di Porfirio sia questa: l'aporia relativa
all'esempio 1 Socrate - mano destra - mano sinistra l è valida per le parti sia continue
che non-continue. Insomma Porfirio penserebbe che in fondo, ai fini dell'aporia, anche le
pani non-continue (come, ad esempio, mano destra o mano sinistra) possono ricondursi
alle pani continue, in quanto fanno pane dell'uno-intero. Cf. per questo la fonte nr. I l .
11
Questo fatto [il fatto che Aristotele aggiunga le parole "ma forse non
riguarda questo nostro discorso" = 1 85b1 1- 1 2] ha indotto Porfirio a dire
che il discorso inserito da Aristotele incidentalmente a questo punto è
rivolto contro coloro che aggiungono un quarto modo di dire l'uno. Ma
non esiste un quarto modo; esso è piuttosto una sezione dell'aporia che
vuole mostrare uno il continuo. Perciò Aristotele pensa all'intera aporia
quando dice "c'è d'altronde un'aporia a proposito della parte e del tutto,
se la parte e il tutto sono uno o molti", e aggiunge solo che è assurda la
conseguenza per coloro che dicono che sono uno, e che anche questi
81
sbagliano (infatti dicono giusto coloro che affermano che sono cose diver
se), e che questo ragionamento sembra confutare la tesi secondo la quale
il continuo è molti e divisibile in parti sempre divisibili. Mi meraviglio
che Aristotele, scrive Simplicio, abbia contraddetto quei significati del
l'uno, che anche Parmenide dice che possiede l'essere uno. E infatti [... ]
[Segue la citazione di Parmenide].
12
82
l'uno? Infatti in questi casi esiste un gran numero di punti di vista,
quand'anche genere o specie si dica al singolare, e cosi come la stessa
molteplicità anche la cavalleria, quand'anche si dica al singolare, indica
molteplicità. A ragione dunque nasceva su questo punto una certa aporia,
come ad esempio anzitutto l'aporia sui soggetti e gli accidenti. Se infatti
si dice Socrate è bianco, come può questa proposizione indicare l'uno?
Infatti o il bianco non è niente, e allora non sarà nulla il predicato di
Socrate; oppure è vero che anche il bianco esiste, e allora perché la
proposizione Socrate è bianco non sarà due? Se infatti il predicare il
bianco di Socrate è nulla, non sarà a maggior ragione nulla il fatto che
Socrate sia soggetto? L'uno e l'altro, infatti, Socrate e bianco, esistono.
La stessa cosa vale anche per l'uno in atto e i molti in potenza. Cosa
diremo, infatti, che le parti di Socrate non sono nulla? E come mai allora
non sarà nulla anche l'intero, dal momento che l'intero è composto dalle
parti? Diremo invece che le parti esistono? E come mai allora Socrate
non è molti? Lo stesso discorso vale anche a proposito del genere e della
specie. Animale"infatti come accidente di uomo, o uomo come accidente
di Socrate non sono nulla né l'uno né l'altro? E allora come diremo che
l'animale differisce dal non-animale, o l'uomo dal cavallo? Animale è
invece qualcosa? E allora come l'uomo non sarà molti, essendo sia uomo
sia animale? E poi, perché uomo può essere accidente di Socrate, e Socra
te non può essere accidente di uomo? Grande fu dunque la perplessità,
non soltanto nei confronti di Parmenide, ma senz'altro nei riguardi di
tutti coloro i quali consideravano l'essere come sinonimo e lo ritenevano
identico all'uno, e non erano perciò capaci di conservare nella sua purez
za la nozione dell'uno. Perciò Licofrone non adoperava la particella
copulativa "è" in quanto da essa derivava qualcosa di assurdo, e alcuni
mutavano in verbi i predicati volendo significare che le forme verbali
hanno un valore inferiore all'essere, e anzi sono accidenti. I seguaci della
scuola di Eretria, invece, dicono che nulla si può predicare di nulla, ma
solo una cosa di se stessa, come l'uomo-uomo. Ma né i primi né questi
ultimi sfuggono al problema, perché l'uomo come tale sarebbe oggetto
di ricerca. Ma essi non dicono che è opportuno fare tale ricerca. Infatti
è molti, se è vero che in atto è diviso, mentre ora dicono che esiste come
uno. Ma il discorso riguardava anche la ricerca sull'indivisibile e le parti.
Dunque è qualcosa o niente, finché è diviso in parti? Sicché il problema
non si risolve.
83
Quindi solo Aristotele ha visto come si deve risolvere tale e tanta
aporia. Gli enti infatti, egli dice, sono enti non tutti alla stessa maniera;
perciò il loro genere non è l'essere tout court. Ma, mentre questo [cioè
l'essere in generale] può essere tale quale è e sussistere in sé e per sé
secondo la sua propria caratteristica, gli enti invece non partecipano
dell'essere tutti allo stesso modo, ma in un modo o nell'altro secondo
l'essere che è in essi, e dipendono dal loro rapporto con l'essere. Infatti
il padre e il figlio sono tali per caso, e cosi pure il signore e il servo.
Perciò l'essere si dice in molti modi; senonché tutto ciò che non è sostan
za è accidente della sostanza, secondo la quale si caratterizza anche il
soggetto. Perciò alcuni, come gli Stoici, negano l'esistenza di ciò che non
sia evidente. Ma chi dice che cosi come la sostanza anche il resto è uno,
sbaglia ancora di piu, perché renderà gli enti molteplici e li ammucchierà
come corpi indivisibili. Chi invece dice ora che gli enti sono per il fatto
che sono pensati in funzione della sostanza e sono insieme con essa, ora
che sono per il fatto che non possono sussistere senza di essa, costui ha
già raggiunto una posizione corretta. Seguendo dunque la tesi secondo
la quale esistono vari modi di dire l'uno, noi non diremo piu che l'uno
è molti, giacché le parti di Socrate si dicono uno in modo diverso da
come si dice uno Socrate. Infatti Socrate mostra per se stesso la sua
propria peculiarità, mentre le sue parti non sussisterebbero senza l'intero
[cioè senza Socrate], ma esistono in quanto sono con l'intero. Quindi
Socrate resta uno. Parimenti Socrate non diviene molti in virtu della
specie [Socrate è uomo], essendo insieme anche uomo, per il fatto che
la specie non sussiste mai in se stessa, né l'uomo sussiste cosi come
sussistono le sostanze prime, ma in modo diverso. Ma non si può neppu
re dire che l'uomo al di fuori di Socrate sia assolutamente nulla, cioè che
sia una parola superflua [un pleonasmo], anche se non è tale e quale è
Socrate, ma che è in Socrate e con Socrate. Infatti l'essere non è omonimo
cosi come le cose casuali, ma come ciò che deriva dall'uno. E il bianco
è bianco quando sia proprietà di altro, e perciò abbia l'essere nell'essere
dell'altro. Come infatti la superficie di un corpo, essendo quale è il corpo,
prende l'essere dal corpo stesso, allo stesso modo occorre intendere anche
la sussistenza degli altri enti [accidentali]; infatti questi sussistono in
quanto sono di altro. Perciò "Socrate è bianco" non è piu molti, cioè se
stesso e le sue parti. Infatti Socrate è costituito non già dal fatto che certe
altre cose si uniscono insieme, cosi come si uniscono i buoi al giogo o
84
gli uomini in una piazza, bensi dal fatto che, essendo soggetto, egli ha
gli accidenti che sussistono in tanto in quanto sono di altro [cioè di
Socrate] e sono anche in virtu di quell'altro. Ché se fossero molti e
insieme con altro diverso da essi, parlo ovviamente degli accidenti, allora
il problema resterebbe ancora. Di qui emerge l'aporia dell'essere e del
non-essere. Infatti, la sostanza è essere nel senso che gli accidenti che
sono in essa non sono, ma in un altro senso anch'essi sono in quanto
sono [accidenti] della sostanza. Tu potresti dire che anche l'uno è molti,
ma non nel senso che anche i molti sono cosi come l'uno; infatti i molti
non nascono per moltiplicazione di tante unità. La stessa cosa vale per
le parti di Socrate; infatti anche queste non sono cosi come è Socrate.
Ma esse, in quanto parti di esso, sono anche in virtu del suo essere.
Né Socrate è anche animale e uomo cosi come è rispetto alle sue parti,
e neppure è Socrate e uomo e animale. Questo è quel che facevano coloro
che ponevano l'essere come sinonimo, oppure coloro che negavano ogni
cosa che fosse altro dall'essere, dicendo che l'essere è uno. Socrate dunque
non è tre né uno solo. Infatti le cose diverse da Socrate non sono nulla,
perché anch'esse sono in virtu dell'essere di Socrate, anche se non come
è lui. E cosi di nuovo Socrate è molti e non molti, ma uno; ma è non
quell'uno che si mantiene assolutamente puro anche dalla combinazione
concettuale, ma come l'uno che fa essere un'unica sussistenza e porta a
un'unica sostanza, non come il mattone che è unico in quanto è uno di
nome, ma in virtu del fatto che fa esistere un'unità e comporta la presen
tazione di qualcosa che è questa cosa qui. Infatti i molti sono uno, se si
intende l'uno secondo omonimia, cosi come Aristotele per primo pensò.
Dunque gli enti sono molti anzitutto nelle categorie, quali ad esempio
la sostanza, la qualità ecc., e secondo tutte le categorie sono ora in poten
za ora in atto, e ancora sono molti per genere, per specie e per numero.
Ma sono molti - oltre a ciò - anche per divisione, per nozione e per
nome. E non è assurdo il fatto che la stessa cosa si presenti ora in un
modo ora in un altro, ed è detta uno, mentre sotto altro aspetto è molti,
ed è insieme uno e molti, termini che non sono certo qui contraddittori.
E la ragione è che né l'essere né l'uno si dicono in un solo modo, ma
ciascuno in molti modi. Non avendo capito questo, dice Aristotele, i
suoi predecessori sono rimasti perplessi, alcuni di loro dicendo che gli
enti sono molti e infiniti e separati gli uni dagli altri, altri invece che
sono uno, ma uno o nel senso di un solo essere come qualcosa di semplice
85
e inesteso, o nel senso di molti uno come un coro; ma, come si diceva,
l'essere è uno e non uno, come abbiamo spiegato».
Sono queste, dunque, le cose che io ritengo [continua Simplicio]
degne in se stesse di molto studio relativamente sia alle ricerche fisiche
sia alla divisione delle categorie, e che il filosofissimo Porfirio ha brillan
temente scritte, prendendo spunto forse, per queste sue considerazioni,
dall'espressione aristotelica "come se l'uno o l'essere si dicessero in un
solo modo, mentre gli enti sono molti".
13
86
14
87
15
1 La precisazione è necessaria perché Melisso sosteneva che solo il divenire della cosa
ha un principio, non il divenire in assoluto.
2 ex Porphyrio etiam priora repetivisse videtur - cf. p. 1 0,25 ss. -, scrive Diels in
apparato. In effetti è chiaro che qui Simplicio polemizza contro Porfirio sull'interpretazione
di à�p6ov. L'ci>ç llop<puplOç f!Kooot non può significare altro che Porfirio pensa il contrario
di quello che crede Simplicio; non si spiegherebbe altrimenti l'olJ.lal.
88
prima particella, come mostrerà lo stesso Aristotele nel libro Z 3 di questo
medesimo trattato, la Fisica, dicendo: "Neppure della cosa che ha subito
mutamento, c'è una qualche parte che sia mutata prima delle altre". Ma
ancora piu chiaramente Aristotele ha scritto queste stesse cose nell'ulti
mo libro della Fisica 4: "Allo stesso modo accade in qualsiasi alterazione:
non è vero, infatti, che, se ciò che si altera è divisibile all'infinito, per
ciò stesso anche l'alterazione lo sia, bensi quest'ultima avviene spesso
d'un sol colpo, come ad esempio la condensazione".
16
89
17
90
18
Porfirio dice che Platone sostiene che esiste anche il non-essere, che
esiste ovviamente come non-essere. Infatti Platone dichiara che, mentre
l'essere oggettivo è l'idea e che questa è effettivamente sostanza, invece
la materia suprema, prima, amorfa e priva di specificazione, da cui pro
vengono tutte le cose, esiste, ma non è nessuno degli enti. Essa infatti,
concepita in se stessa, è in potenza tutte le cose, e non è niente in atto.
Ciò che risulta dalla forma e dalla materia, in quanto partecipa della
forma è qualcosa ed è qualificato secondo la forma, in quanto partecipa
della materia e si trova a causa di essa in un continuo fluire e trasformar
si, non è - al contrario - né semplice né stabile. Perciò Platone nel
Timeo, distinguendo questi due elementi [forma e materia], dice: "Quale
è l'essere che sempre è e che non ha nascimento, e quale quello che
sempre si genera e mai non è?" 2• Egli dice che anche il non-essere è, ma
non che il non-essere è l'essere, né che l'essere è il non-essere, ché non
sono opposti per contraddizione. Infatti non è possibile che l'uomo sia
al tempo stesso non-uomo, mentre è vero dire che è non-cavallo.
91
19
20
92
procedendo sempre tale divisione, è chiaro, egli dice, che o resterebbero
delle ultime grandezze piccolissime e indivisibili e infinite di numero, e
l'intero sarebbe composto di parti piccolissime, e infinite di numero;
oppure l'essere svanirebbe e si dissolverebbe nel nulla, e sarebbe compo
sto di nulla. Conseguenze tutte e due assurde. Dunque, l'essere sarà
divisibile e resterà uno. E infatti, poiché esso è in tutto e per tutto uguale,
se fosse indivisibile sarebbe divisibile ugualmente in tutto, e non già qua
si, là no. Ma poniamo che l'essere sia diviso in tutto e per tutto; è chiaro
ancora una volta che non rimarrà nulla, e sarà scomparso, e se sarà
composto, sarà composto ancora una volta di nulla. Se infatti restasse
qualcosa, vorrebbe dire che non sarà stato diviso in tutto e per tutto.
Sicché, anche da ciò è chiaro, dice Parmenide, che l'essere sarà indivisibi
le e privo di parti e uno. Senocrate dal canto suo concedeva come valida
la prima conseguenza logica, che cioè se l'essere è uno, è anche indivisibi
le, e non concedeva che l'essere è tout court indivisibile. Perciò di nuovo
sosteneva [contro Parmenide] che l'essere non è uno solo, ma piu. Ovvia
mente affermava che l'essere non è divisibile all'infinito, ma divisibile
in tanti atomi. E questi atomi non sono privi di parti e piccolissimi, ma
sono divisibili per quantità e materia e muniti di parti, mentre quanto
alla forma sono atomi e primi elementi,- supponendo Senocrate che esi
stano delle prime linee indi visibili e delle prime superfici e solidi compo
sti da quelle linee. Senocrate pensa, dunque, di potere risolvere l'aporia
derivante dalla dicotomia e, insomma, dalla partizione e divisione all'in
finito, con l'introduzione delle linee indivisibili, che egli riduce semplice
mente a grandezze indivisibili, evitando che l'essere, una volta concepito
come divisibile, si dissolva e perisca nel non-essere, rimanendo le linee
indivisibili, di cui sono costituiti gli enti, impartibili e indivisibili». Po
trebbe darsi benissimo - riprende Simplicio - che in queste parole di
Porfirio ci sia una citazione testuale dell'argomentazione della dicoto
mia, con la quale per le conseguenze assurde della divisibilità si arriva
all'essere indivisibile e uno. Ma è opportuno stabilire se l'argomento sia
di Parmenide o non piuttosto di Zenone, come pensa anche Alessandro.
Infatti negli scritti di Parmenide non si parla di un tale argomento, e
d'altra parte la maggior parte delle testimonianze attribuisce a Zenone
l'aporia della dicotomia. E anche negli argomenti di Aristotele relativi
al movimento [Phys. VI 9] l'aporia della dicotomia è citata come.di Zeno
ne.
93
21
Ma occorre dire cosi come dice Porfirio, che «un conto è che il
continuo sia divisibile all'infinito, altro conto è che sia effettivamente
diviso in una infinità di parti>>. Infatti la divisione può sempre aver luogo
e ciò significa il suo essere all'infinito, invece mai è possibile che una
volta che essa abbia avuto luogo, abbia anche termine, poiché se cessa
vuol dire che è finita. Infatti c'è differenza tra il fatto che una cosa sia
divisa in un'infinità di parti e il fatto del dividere qualcosa all'infinito.
1 Questa fonte è legata alla controversa identificazione degli fvtm di 1 87a l , i quali
accettano - secondo Aristotele - ambedue gli argomenti eleatici ( l . che l'essere è uno in
senso assoluto; 2. che l'essere è uno perché la molteplicità che nascerebbe della sua divisibi
lità all'infinito porterebbe al non-essere, argomento di Zenone). Alessandro, Porfirio e
Temistio pensano che si tratti di Platone e di Senocrate; Simplicio è d'accordo su Senocrate,
ma non su Platone, [cf. Simpl. Phys. 1 37,7-20, dove si dice che Platone non crede nell'à7tl..éiiç
J.l.lÌ 6v, ma nel J.l.lÌ 6 n]; Ross pensa si tratti degli atomisti, sulla base di un confronto con
Aristot. GC 324b35-325a32, dove Aristotele spiega l'atomismo come derivante da argo
mentazioni eleatiche (cf. D.Ross, Aristot. Phys., Oxford 1 936, Comm. p. 479 ss.).
Si cf. anche Simpl. Phys. 453-454, dove Porfirio è citato a proposito del Filebo (argo
mento dell'infinito per addizione di frazioni). Cf. anche la critica di Aristotele in Phys. r
6, e Ross ad loc..
94
22
1 Aristotele in Metaph. 969a6-9 dice che nessuno dei primi filosofi considera la terra
COme Ùlt01CE{J1EVOV.
23
95
natura, quando dice che ha scritto Contro ifisici 1 , che egli chiama Sofisti,
nonché una Meteorologia 2, nella quale dice di avere parlato anche intor
no al principio, e ancora Sulla natura dell'uomo 3). Ora, nel suo scritto
Sulla natura, che è l'unica sua opera pervenuta sino a me, si propone di
mostrare con molteplici argomenti che nel principio da lui posto c'è
molta intelligenza.
1 Si tratta veramente di uno scritto che recava questo titolo? Non mi sembra impossibi
le, ma il Diels non pare di questo parere.
2 Si tratta di un Commentario ai Meteorologici di Aristotele?
3 Si tratta anche qui di uno scritto che recava questo titolo? Questo lo crede anche il
Diel s.
24
1 Aristotele dice che alcuni affermano che dall'uno che le contiene nascono le coppie
di contrari per divisione. Tra costoro c'è Anassimandro e tutti coloro che - come Empedo
cle e Anassagora - dicono che gli enti sono uno e molti [t:v Kai ttolla - 1 87a21-22]. A
1 87a26 Aristotele continua dicendo che Anassagora, a quanto pare, sostiene che questi
molti sono infiniti. Tale assunto si basa - dice Aristotele - sul fatto che Anassagora accetta
l'opinione dei fisici secondo cui dal nulla non nasce nulla: où ytyvo�Jivou ooosvòç EK toii
J.ll'l ovtoç (Stà toiito yàp outw À.t)'OIX7!V [ ]). È evidente che MyoiX7!v non può essere solo
.••
Anassagora, ma anche i fisici a cui si ispira. Di qui l'esigenza degli antichi interpreti di
trovare chi sono questi fisici.
96
25
26
1 Senofane B 29 DK. Il Diels, sia in nota al fr. di Senofane sia in apparato a Simplicio,
accetta la testimonianza di Filopono contro quella di Simplicio. A me la correzione di
Diels [Simpl. nennt irrtlimlich Anaximenes. Richitig Philop.] non sembra pacifica.
97
27
1 A proposito, cioè, di chi dice che il "genere" si riferisce alla sostanza universalissima,
in altre parole "ogni possibile genere di sostanza".
2 Potrebbe questa parte della testimonianza riferirsi al perduto nepi i\A.T]ç dello stesso
Porfirio.
98
28
99
29
l tç a>.>.:fiÀ.Wv yewà�al.
2 tç cill�À.Wv yewàv.
30
Porfirio dal canto suo intende la materia come sostanza, e dice che
di essa c'è una sola coppia primaria di contrari, perché la sostanza è
genere e in ogni genere c'è una sola coppia primaria di contrari. Dice
infatti cosi: «In ogni genere c'è una sola coppia primaria di contrari. Ma
anche la sostanza è un genere. Quindi anche in essa c'è una sola coppia
di contrari. Ma la materia è sostanza; sicché anche per essa c'è una sola
coppia primaria di contrari. E se vi fossero piu coppie, esse di distingue
rebbero per un prima e un dopo, non per il genere: "Infatti - dice Aristo
tele - in ogni genere c'è sempre un'unica coppia di contrari")). [Segue la
critica di Simplicio a tale opinione di Porfirio ].
100
31
101
la questione se secondo Platone la materia non sia principio. In che
modo, invece, Platone dicesse che la materia è grande e piccolo e non
essere, credo sia stato chiaro da quel che si è detto fin qui.
32
33
1 02
dal momento che ha in sé la specie che è piu natura [della materia] 1 • Il
ragionamento principale di Aristotele è questo - secondo Porfirio : La -
natura è, in ogni cosa naturale, causa del suo essere ciò che si dice che
sia; ma la causa dell'essere ciò che una cosa si dice che sia, è la causa
dell'essere in entelechia 2 e non solo in potenza; ma la causa dell'essere
in atto ciò che si dice che sia, è la specie (dBoç); dunque la natura è la spe
cte.
34
1 03
35
1 La seconda maniera di intendere il xapà j.LUCpOV comincia con un Kai lillcoç a 344,6.
104
36
1 È ormai chiaro, scrive Aristotele, che le cause sono quattro, dal momento che ogni
nostro perché (ouì ·d] si può ridurre o al concetto (al che cosa una cosa è - n éunv], o al
primo movente (1Cl\fi1uav 7tpcò'tov], o al fine [nvoç fvtKa], o alla materia [uA.T)].
37
1 05
nelle varie categorie. Ciò che è in potenza, infatti, non esiste in dieci
modi, ma in un unico modo. La materia, infatti, nel suo senso piu alto,
cioè semplicemente l'essere in potenza, è unica [cioè si dice in un solo
modo]. Sia ciò che è in entelechia, che è poi il composto, come ad
esempio una statua, sia la stessa entelechia, che è il semplice, come ad
esempio la specie ['tò ellioç], Aristotele li prende ambedue in dieci modi
[cioè secondo le dieci categorie]. Forse Aristotele dice che anche ciò che
è in potenza esiste in dieci modi. Infatti egli, proseguendo, cosi si espri
me: "Fatta distinzione, secondo ciascun genere, tra ciò che è in entelechia
e ciò che è in potenza" 1 ». Porfirio, dunque, ritiene che in Aristotele
l'espressione "solo in entelechia" si contrapponga all'espressione "in po
tenza", e non all'espressione "in potenza e in entelechia". E probabilmen
te Porfirio trae questa congettura dalle parole di Aristotele che dice:
"Fatta distinzione, secondo ciascun genere, tra ciò che è in entelechia e
ciò che è in potenza". Ma - prosegue Simplicio -, se, come riferisce la
maggior parte dei manoscritti, anche il testo originale era questo: "Esiste
ciò che è soltanto in entelechia, e ciò che è in potenza e in entelechia, e
il questo qui, e il tanto, e cosi via", allora è chiaro che l'avverbio "soltan
to" dimostra che la distinzione passa tra "in entelechia soltanto" e "in
entelechia e in potenza insieme", come intendono Alessandro e Temistio.
Infatti, se Aristotele contrapponesse semplicemente ciò che è in entele
chia e ciò che è in potenza, senza assumere ciò che è in entrambi i modi,
per quale ragione egli aggiungerebbe il "soltanto" a "in entelechia"? E
come si giustificherebbe - dopo la distinzione - la spiegazione di Aristo
tele che dice: il questo qui, il tanto? Se tuttavia, come riferiscono alcuni
libri, il testo fosse questo: "Esiste ciò che è in entelechia, e ciò che è in
potenza, e ciò che è in entelechia è il questo qui, e il tanto", allora si
potrebbe anche usare la punteggiatura cosi come intende Porfirio 2•
Ora, perché mai Aristotele distingue soltanto ciò che è in entelechia
nelle dieci categorie, mentre anche ciò che è in potenza è considerato in
tutti i generi, come anche ammette lo stesso Porfirio, il quale mette in
rilievo l'espressione di Aristotele che dice: "Fatta distinzione, secondo
ciascun genere, tra ciò che è in entelechia e ciò che è in potenza"? Forse
dunque la distinzione iniziale passa tra ciò che è soltanto in entelechia
e ciò che è in entelechia e in potenza, e quest'ultimo Aistotele dice che
si può distinguere nelle dieci categorie. Infatti, a ciò che è soltanto in
entelechia, e che è la specie immateriale e intelligibile, non si può accor-
1 06
dare né il dove né il quando né lo stare, mentre ciò che è in entelechia
e in potenza insieme può essere pensato secondo ciascun genere, come
ad esempio secondo la qualità una cosa può essere ora in atto bianca o
calda, quando ha già assunto questa specie la bianchezza e il calore, ora
in potenza quando non lo è ancora bianca o calda, ma può diventarlo.
Probabilmente perché le cose stanno cosi, dunque, Aristotele dice quelle
parole: "Fatta distinzione, secondo ciascun genere, tra ciò che è in entele
chia e ciò che è in potenza".
38
Il quarto assunto propone che ciascuna delle cose dette nelle quali
c'è movimento, cioè la sostanza e la qualità e la quantità e il dove, esiste
in duplice modo in tutto ciò che la possiede. E infatti ciò che partecipa
della sostanza, partecipa o come ciò che possiede la forma o come ciò
che ne è privo, e ciò che partecipa della qualità partecipa secondo l'uno
o l'altro dei contrari inerenti alla qualità. E infatti, secondo il colore,
partecipa o del bianco o del nero; secondo il sapore, o del dolce o del
l'amaro; secondo le qualità tattili, o del caldo o del freddo. Riguardo alla
quantità e al dove vale lo stesso discorso, essendo evidente che le cose
che si trovano tra due contrari si trovano ordinati all'interno del rapporto
1 07
tra i due contrari. Il grigio, infatti, è bianco rispetto al nero, e nero rispetto
al bianco. Ma gli interpreti intendono forma e privazione non come cose
che Aristotele dice a proposito della sola sostanza, ma anche a proposito
della quantità, della qualità e del dove, perché sembra loro che in tutte
queste categorie il peggiore dei contrari è la privazione. «Come infatti
[dice Porfirio], a proposito della sostanza, la statua è forma, mentre lo
stato informe del bronzo è privazione, cosi, a proposito della qualità, il
bianco è forma, mentre il nero è privazione, e la virtu è forma, mentre
il vizio è privazione, e, a proposito della quantità, il perfetto è forma,
mentre l'imperfetto è privazione, e, a proposito del dove, l'alto e il leggero
sono forma, mentre il basso e il pesante sono privazione. Perciò anche
le cose peggiori sono della natura del basso e del pesante, e anche la
vecchiaia, ad esempio, fa diventare curvi, e la malattia appesantisce, e
le cose divine sono l'alto, mentre le mortali sono il basso. Anche la virtu
prende etimologia dal "sollevare in alto", mentre il vizio la prende dal
"piegare", e il piegare e il piegato sono il basso)). È questa la filologia di
Porfirio a proposito di questo luogo della Fisica aristotelica. Ma forse
Aristotele - continua Simplicio - ha posto la forma e la privazione piu
propriamente in rapporto alla sostanza, mentre ha proposto le coppie
dei contrari in rapporto alle altre categorie. E infatti Aristotele contrappo
ne l'imperfetto o al perfetto, come suo contrario minore, o al commensu
rabile, come suo contrario maggiore, dicendo che ambedue queste coppie
di contrari sono secondo la quantità e assumendo anche le coppie di
contrari proprie della qualità e del movimento locale. Ma se qualcuno
dicesse 1 che è piu appropriato dire che in ciascuna coppia di contrari il
meglio è per la forma e il peggio per la privazione, costui non direbbe
cosa scorretta, giacché è del tutto evidente che la specie o la forma attiene
soprattutto alla sostanza.
108
39
1 09
proprio, non si tratta di un qualsiasi atto, ma di quell'atto che si dà di
ciò che è già compiuto e che è secondo ciò che è in atto e che è in
entelechia. Dunque l'entelechia è, propriamente parlando, duplice: l'una
è l'entelechia in quanto forma compiuta in quiete, come quando si dice
entelechia l'anima; l'altra è l'entelechia in quanto atto secondo questa
forma compiuta in quiete. Se talvolta l'atto è detto da Aristotele entele
chia tout court, anche in questo caso è detta cosi in quanto ogni cosa che
agisce compie atti secondo la sua propria natura, imperfetta o perfetta
che sia tale natunl. Porfirio dice, invece, che il movimento è entelechia
imperfetta [cioè non ancora realizzata] 3, e atto perfetto [cioè già compiu
to]. E in verità, se è atto di ciò che è in potenza, e ciò che è in potenza
è l'imperfetto, come potrebbe l'atto di ciò che è imperfetto essere atto per
fetto?
40
1 10
entelechia, ovvero la sua forma realizzata] 1, ma in quanto è mobile".
Secondo Alessandro e Porfirio, invece, il testo è il seguente: "Il movimen
to si dà di ciò che è in potenza, quando qualcosa che è in entelechia si
attua, o come sé o come altro, in quanto è mobile" 2•
41
Del resto bisogna sapere che sia Temistio sia Porfirio, nell'interpre
tare questo luogo della Fisica di Aristotele, dànno un'interpretazione
anche di questa espressione 1 •
42
111
43
Porfirio, dal canto suo, non scrive "né separato né in atto", bensi
"né non-separato dai corpi né saparato". Egli dice testualmente: <<Infatti
Democrito concepiva il vuoto non-separato, perché il tutto non è conti
nuo, dal momento che i corpi sono intramezzati di vuoto. Separato
concepiscono il vuoto, invece, coloro i quali, come i Pitagorici, parlano
di un vuoto esterno al mondo, lasciando il tutto continuo)). Io ritengo
preferibile - scrive Simplicio - la prima lezione; ma anche questa di
Porfirio ha un suo fondamento razionale.
44
chiaro che le parti della linea sono linee, non già punti.
1 Come lo stesso Aspasio riconosce. Infatti «il tempo, egli dice, non è parte del movi
mento, perché misura il movimento secondo l'istante, che è limite del movimento, ma
non già parte di esso)) [728,6-7].
1 12
45
1 Questa fonte fa parte del Proemio di Simplicio al suo commento al libro V della
Fisica. Il riferimento a questo passo non è registrato nell'Index del Diels alla voce Tioplpu
pwç, forse perché non si tratta di un vero e proprio commento a un lemma aristotelico,
bensi di una questione generale relativa al libro V.
Questa fonte è discussa da noi a 3.3. 1 .
113
46
1 14
47
1 Il testo vulgato di Aristotele è diverso [cf. ed. Ross: dv OAÀ.Otoito ÒIJ.IIÀCi>ç) rispetto
48
1 15
BIBLIOGRAFIA
l. FONTI
ALBINO, Pro/ogos, ed. Hermann [= PLAT. Dia/. (Leipzig 1 907 [ 1 853]) VI 147 ss.].
ANONYMOUS, Prolegomena, ed. Westerink (Amsterdam 1 962).
ARISTOTELE, Opera (Oxford Classical Texts).
ARISTOTELE, Physics, ed. Ross (Oxford 1936).
ARISTOTELE, Opere, trad. ital. (Bari, Laterza, 1 973).
BOEZIO, De divisione (PL 64).
CICERONE, Lucul/us, ed. Plasberg (Lipsiae 1 922, rist. Stuttgart 1961 ).
FILOPONO, In Aristotelis Physicorum libros, ed. Vitelli [= CAG XVI-XVII ( 1 887 s.)].
FOZIO, Bibliotheca, ed. R. Henry (Paris 1 959 ss.).
NICOLA DAMASCENO, On the Philosophy ofAristot/e. Fragments, ed. Drossaart Lulofs
(Leiden 1 9692).
PLATONE, Opera, ed. Bumet (Oxford 1 900- 1 907).
PLATONE, Opere, trad. ital. (Bari, Laterza, 1 974).
PLOTINO, Enneades, ed. mi. Henry-Schwyzer (Oxford 1 964 ss.).
PORFIRIO, De philosophia ex oracu/is, ed. Wolff (Berlin 1 856, rist. Hildesheim 1 962).
PORFIRIO, Vita Platini, ed. H-S2, vol. I (Oxford 1 964) 1 -4 1 .
PORFIRIO, lsagoge et in Aristotelis Categorias, ed. Busse [- CAG IV, l ( 1 887.)].
PORFIRIO, In Platonis Timaeum, ed. Sodano (Napoli 1 964).
PORFIRIO, Symmikta Zetemata, ed. Doerrie (Mimchen 1 959).
PROCLO, In Platonis Theologiam, ed. Saffrey-Westerink (Paris 1 968 ss.).
SIMPLICIO, In Aristotelis Physicorum libros, ed. Diels [- CAG IX-X [ 1 882-1 895)].
SIMPLICIO, In Aristotelis De cae/o, ed. Heiberg [- CAG VII [ 1 894)].
SUIDAS, Lexicon, ed. Adler (Lipsiae 1 928 ss., rist. Stuttgart 1 967 ss.).
TEMISTIO, In Aristotelis Physica paraphrasis, ed. Schenkl [- CAG V 2 ( 1 900)].
TOMMASO D'AQUINO, In octo libros de physico auditu sive physicorum Aristotelis Com-
mentaria, ed. Angeli-Pirrotta (Napoli 1 953).
1 19
II. LETTERA TURA
120