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BeltranV.-Las Ganancias Del Cid - Romancero Musica y Escritura Poetica en El Siglo XVI

Il capitolo 'Las ganancias del Cid' di Vicenç Beltran esplora la tradizione orale e scritta del romancero cidiano nel XVI secolo, analizzando le tracce lasciate da questo patrimonio culturale. Attraverso citazioni e parodie, l'autore delinea l'evoluzione del tema delle 'guadagni del Cid', evidenziando la ricchezza della tradizione popolare. Il lavoro si inserisce in una collana dedicata alla filologia iberica, che promuove studi critici e ricerche su espressioni letterarie ibero-romanze.

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BeltranV.-Las Ganancias Del Cid - Romancero Musica y Escritura Poetica en El Siglo XVI

Il capitolo 'Las ganancias del Cid' di Vicenç Beltran esplora la tradizione orale e scritta del romancero cidiano nel XVI secolo, analizzando le tracce lasciate da questo patrimonio culturale. Attraverso citazioni e parodie, l'autore delinea l'evoluzione del tema delle 'guadagni del Cid', evidenziando la ricchezza della tradizione popolare. Il lavoro si inserisce in una collana dedicata alla filologia iberica, che promuove studi critici e ricerche su espressioni letterarie ibero-romanze.

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Las ganancias del Cid. romancero, música y escritura poética en el siglo XVI

Chapter · January 2022

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1 author:

Vicenç Beltran
Accademia Nazionale dei Lincei
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Cauterio suave
Cauterio suave
Collana di filologia iberica fondata da Giuseppe Mazzocchi,
diretta da Paolo Pintacuda, dell’Università di Pavia.

¡Oh cauterio suave!


¡Oh regalada llaga!

Questa collana, la cui nascita e la cui crescita si devono alla fiducia e all’entusiasmo dell’editore,
raccoglie edizioni critiche, studi, repertori bibliografici. Senza preclusione di lingua o di cultura,
di spazio o di tempi, è aperta a tutte le espressioni letterarie di area ibero­romanza dalle origini a
oggi. Cauterio suave aspira a distinguersi per la concretezza dei contributi proposti e per il loro
rigore filologico. Ma tale rigore non sarà mai rigidezza: il cauterio che il filologo applica ai testi
che studia è bruciante, ma soave è lo splendore che ne riverbera sui documenti scoperti, ricostru-
iti, illustrati, e che da essi barbaglia un poco di luce anche sullo slancio, faticoso e solitario, di chi
li ha accostati con amore.

Ultimi volumi pubblicati:

11. Paolo Tanganelli, Le macchine della descrizione. Retorica e predicazione nel Barocco spagnolo
12. Pedro de Oña, Arauco domado, edizione di Ornella Gianesin
13. Giovanni Caravaggi, Agua secreta. Studi del Maestro sulla tradizione lirica iberica raccolti per
il suo ottantesimo compleanno
14. Paola Laskaris e Paolo Pintacuda (a cura di), Intorno all’epica ispanica
15. Hernando de Talavera, Invectivas o reprensiones contra el médico rudo y parlero, edizione di
Andrea Baldissera
16. Fray Diego de Valencia de León, Opera poetica, edizione di Isabella Proia
17. Andrea Zinato e Paola Bellomi (a cura di), Poesía, poéticas y cultura literaria
18. Marusca Francini e Paolo Pintacuda (a cura di), ¿Hablo mal? In ricordo di Giuseppe Mazzocchi
19. Andrea Baldissera (a cura di), Cancioneros del Siglo de Oro. Forma y formas / Canzonieri dei
Secoli d’oro. Forma e forme
“Con llama que consume y no da pena”

El hispanismo ‘integral’ de Giuseppe Mazzocchi

a cura di Andrea Baldissera, Paolo Pintacuda, Paolo Tanganelli


In copertina: carta moderna della Spagna di Nicolò Germanico, in Claudio Tolomeo,
Geografia, Ulm, 1482.

L’opera è stata pubblicata con i contributi di


Università degli Studi del Piemonte Orientale – Dipartimento di Studi Umanistici
Università di Pavia – Dipartimento di Studi Umanistici.

Il presente volume ha superato positivamente la procedura di referaggio (peer review),


condotta da revisori anonimi selezionati fra docenti universitari e/o esperti.

© Ibis, Como – Pavia 2022


www.ibisedizioni.it
I edizione: febbraio 2022
ISBN 978-88-7164-656-5
11 Premessa
15 Giuseppe Mazzocchi, “Io, Sancio, sono nato per vivere morendo, e tu per
morire mangiando”. Sancio Panza e don Chisciotte a tavola

Edad Media y Humanismo


37 Vicenç Beltran Pepió, “Las ganancias del Cid”. Romancero, música y escritura
poética en el siglo XVI
53 Antonio Chas Aguión, Series poéticas y anomalías en la transmisión textual
de PN1
69 María Jesús Lacarra, Testimonios recuperados de “Celestina” (Sevilla, 1569 y
Salamanca, 1573) y de una Glosa del Cartujano a las “Coplas” de Manrique
(Medina del Campo, 1569)
87 Miguel Ángel Pérez Priego, La poesía mariana del Marqués de Santillana
101 Isabella Tomassetti, Tradizione, frammentazione e “varia lectio”: due casi
emblematici
129 Andrea Zinato, “Siché zudei ebeno istis temporibus un’altra persecutione di
esser scaziati di Spagna…”: gli ebrei ispanici nei “Diarii” di Marin Sanudo
tra espulsione ed istituzione del Ghetto
Siglo de Oro
153 Álvaro Alonso, El “concilium daemonum” en la épica religiosa del Siglo de
Oro
169 Hélio J. S. Alves, Corte-Real, ¿el primer poeta-pintor del paisaje y de la
perspectiva?
187 Antonio Azaustre Galiana, La anotación de Manuel Ponce a la “Soledad
primera” de Góngora
201 Maria D’Agostino, “Con la fenice a prova”. Juan de la Vega traduttore di
Annibal Caro
221 Antonio Gargano, “Ernst ist das Leben, heiter ist die Kunst”. Per una lettura
dell’“Égloga III” di Garcilaso
237 Luciana Gentilli, “La esclava de su galán” di Lope de Vega: un appassionante
rompicapo tra complicanze e depistaggi
259 Davide Maffi, L’uomo che visse due volte. Nuovi spunti sulla vita di Alonso de
Contreras
273 Tonina Paba, Entre fe y política. Emblemática popular en la fiesta para el
Arzobispo Bernardo de la Cabra (Cagliari, 1642)
285 Maria Rosso, “Tuvo la verdad un camino”: “La Philosophía vulgar” de Mal
Lara, entre las paremias y Esopo
301 Marcial Rubio Árquez, Garcilaso, “Égloga II”: la écfrasis bélica

Literatura espiritual y mística


319 Anna Bognolo, Le sorelle di don Chisciotte: Teresa di Gesù e le lettrici di
romanzi cavallereschi
335 Elvezio Canonica, Lengua poética unitiva en la “Llama de amor viva” de San
Juan de la Cruz
353 Olga Perotti, Mali del corpo e mali dello spirito nel “Camino de perfección” di
Santa Teresa de Jesús
365 Encarnación Sánchez García, El ángel de la Transverberación de Santa
Teresa. Apuntes sobre su caracterización en el “Libro de la vida” y en los
primeros comentaristas y testimonios iconográficos
389 Danilo Zardin, Teresa di Gesù nella Lombardia di Cinque-Seicento
405 Paola Zito, Teresa, Giulia e le altre. Sante e finte sante allo specchio

Siglo XX
425 Daniela Aronica, Nell’officina di Almodóvar: la costruzione della storia da
“La visita” (1973) a “La mala educación” (2004)

8
447 Andrea Bresadola, “Un realismo crudo de mal gusto”: veti e censura all’opera di
Cesare Pavese nella Spagna franchista
469 Giovanni Caravaggi, Cadenze di un novembre di Antonio Machado
483 Antonio Carreira, Los orígenes de “Criticón”
493 Laura Dolfi, Su una lettera inedita di Dámaso Alonso a Oreste Macrí
503 Paola Laskaris, “Rojo y negro”: la voce di Ignazio Silone nella Spagna
franchista
523 Elena Liverani, Interazioni e confluenze tra arte e letteratura nell’ultima
produzione di Enrique Vila-Matas
543 Renata Londero, Elio Vittorini ricreatore del “Llanto” lorchiano
561 Valeria Tocco, “Os cus de Judas”: un romanzo nel suo fare
577 Monica von Wunster, “Madrid callejero” di José Gutiérrez Solana (1923)

Crítica del texto


595 Andrea Baldissera, Come si fa uno stemma. Il caso del Frontino “romanceado”
627 Rafael Bonilla Cerezo, Estemática y variantes de autor en “La Dulcíada”
657 Patrizia Botta - Aviva Garribba - Debora Vaccari, “Unica” corsinianos para
Beppe
693 Paola Elia, “Coplas” senza musica nel “Cancionero musical” 7-1-28 della
Biblioteca Capitular y Colombina di Siviglia (SV1)
721 Juan Montero, Sobre las ediciones antiguas del “Discurso de la verdad” de
Miguel Mañara (Notas para la edición crítica)
737 Paolo Tanganelli, Ecdotica degli originali: “Niebla” di Unamuno
759 Paolo Trovato, Qualche dato nuovo e qualche ipotesi sulla tradizione della
“Celestina”

Hispanismo ‘integral’
801 Lorenzo Baldacchini, Giuseppe Mazzocchi e la bibliografia
809 Anna Giulia Cavagna, Stampare in spagnolo a Genova
825 Paolo Cherchi, Il “Cane di Diogene” di Frugoni: un “Criticón” italiano?
841 Clive Griffin, Guido de Labezaris (1512-1580), gobernador de Filipinas, y la
Lilly “Historia”
859 María Luisa López-Vidriero Abelló, La lectura incunable de don Antonio
Pascual de Borbón
903 Martino Marangon, Tipografi pavesi verso l’età spagnola
909 Luca Milite, La fortuna di R.V.F. 135 nel primo Rinascimento (da Petrarca al
Bembo, e tra Italia e Spagna)

9
937 Anna Maria Negri, Perché Giuseppe amava Manzoni (Ancora sulla
Provvidenza, tra citazioni e memorie)
959 José Antonio Pascual - Emma Falque, La complicada vida de ‘estallar’,
‘explotar’, ‘explosionar’ hasta encontrar acomodo en los diccionarios
973 Paolo Pintacuda, “Per associazione”: novelle cervantine tradotte e stampate da
Ulderico Belloni nella Pavia di tardo Ottocento

999 Indice degli autori


1001 Indice dei nomi (a cura di Antonio Venturini e Luca Zaghen)

10
Vicenç Beltran Pepió
“Las ganancias del Cid”.
Romancero, música y escritura poética en el siglo XVI

Hace ya algunos años que Jesús Antonio Cid1 pudo reconstruir la proto-
historia de un romance cidiano recluido en la tradición oral antigua, aunque
(o, mejor aún gracias a que) había dejado huellas en diversos estratos de
la memoria escrita de aquellos tiempos. Comenzaré sintetizando su intere-
santísima exposición porque nos dará el marco idóneo para el estudio que
iniciamos.
Su investigación partía del Vocabulario de refranes de Gonzalo Correas,
que, entre sus muchas expresiones de origen romancístico2, registró “Las ga-
nancias del Cid”3, también documentadas en La pícara Justina; pudo conver-
tir en dístico esta sencilla expresión a través de una sátira, datada en 1575,
con múltiples citas romanceriles: “De las ganançias del Zid / señores no
ayais inbidia”. Por mi parte encuentro una catalanización paródica en una
obra quizá más antigua, El cortesano de Luis Milán: “Del galan de don Di-
mas, no us ne cal tenir enveja”4. Otros dos versos los obtenía de una parodia

1
J. A. Cid, Semiótica y diacronía del ‘discurso’ en el Romancero tradicional: “Belardos y Val-
dovinos” y “El Cid pide parias al moro”, “Revista de Dialectología y Tradiciones Populares”,
XXXVII, 1982, pp. 57-92.
2
El tema fue ya tratado por R. Menéndez Pidal, Romancero hispánico (Hispano-portu-
gués, americano y sefardí). Teoría e historia, en Obras completas, IX, Madrid, Espasa-Calpe,
1968, I, pp. 58-60; véase ahora H. O. Bizzarri, Refranes y romances: un camino en dos direc-
ciones, “Bulletin Hispanique”, CXIX, 2008, pp. 407-430.
3
G. Correas, Vocabulario de refranes y frases proverbiales (1627), ed. de L. Combet, revi-
sada por R. Jammes y M. Mir-Andreu, Madrid, Castalia, 2000, §1071.
4
L. de Milà, El cortesano, ed. de V. J. Escartí, estudis introductoris de V. J. Escartí i A.
Tordera, Valencia, Biblioteca Valenciana - Ajuntament - Universitat, 2001, I (“estudi i trans-
cripció”) p. 277. La obra se publica en 1561 pero se ambienta en la corte virreinal del duque

37
de 1671, La verdad en el potro y el Cid resucitado, con lo que la cita llegaba
a la cuarteta:

De las ganancias del Cid, buen Rey, no tengais codicia,


que quanto gana en vn año tanto, y mas pierde en vn dia5.

J. A. Cid sondea después un sector de la tradición oral moderna del ro-


mance de Belardos y Baldovinos que, entre otras variantes de la misma ex-
presión, ha conservado literalmente el primero de los dísticos en un grupo
de versiones localizadas en Trás-os-Montes, los valles leoneses de Fornela y
Ancares y Asturias6. El final de la exploración es muy rico en datos sobre la
tradición antigua: documenta una síntesis de ambos dísticos en dos centones
de fines del siglo XVI y del XVII: “Cuanto el Cid ganó en un año / todo lo
perdió en un día”7 y una contrafactura amorosa aplicada al tema de la ena-
morada muerta en el Cancionero musical de Palacio:

De la vida de este mundo non vos tome gran codicia,


que quien piensa bibir un año no bive tan sólo un día8.

Como observaba el editor de este cancionero, Josep Romeu Figueres, el


primer verso de este romance fue citado por Costana (muerto en 1504) entre
los que un grupo de ministriles tañía para él que (poeta y cantor documenta-
do en la capilla musical de los Reyes Católicos) seguramente los cantaba9; en

de Calabria y Germana de Foix, muerta en 1536.


5
Todas estas citas van analizadas en la primera parte del artículo de J. A. Cid, op. cit., pp.
57-62.
6
Ibidem, pp. 62-68.
7
Ibidem, pp. 77-81, de donde proceden los datos que siguen.
8
Cancionero musical de Palacio, ed. musical de H. Anglès [vols. 1 y 2] y literaria de J.
Romeu Figueras [vols. 3A y 3B], Barcelona, Consejo Superior de Investigaciones Científicas,
1947-1965, n. 121, vol. 3B, p. 305.
9
“Al tiempo que se levanta”, en Cancionero general de Hernando del Castillo, ed. de J.
González Cuenca, Madrid, Castalia, 2004, n. 126. Para su identificación documentalmente
verificable con un comendador de la orden de Santiago incluido en la nómina de la capilla
real véase V. Beltran, La Reina Católica, los poetas y el limosnero. La corte literaria de Isabel
la Católica, en Actas del VIII Congreso de la Asociación Hispánica de Literatura Medieval,
Santander, Universidad Internacional Menéndez Pelayo, 22-26 de Septiembre de 1999, ed.
de M. Freixas, S. Iriso, F. Fernández, Santander, Consejería de Cultura del Gobierno de
Cantabria - Año Jubilar Lebaniego - Asociación Hispánica de Literatura Medieval, 2000 I,
pp. 353-364 (hoy en V. Beltran, “Pruébase por escritura”. Poesía y poetas del cuatrocientos,
Alcalá de Henares, Universidad de Alcalá - Instituto Universitario de Investigación Miguel

38
palabras de J. A. Cid, “a fines del siglo XV los versos de un romance del Cid
no sólo eran populares sino que se habían utilizado como pie para una de las
primeras composiciones vueltas ‘a lo divino’ que se conocen”10.
Quien puso en la pista de la versión más conocida del romance fue Pedro
de Padilla en otra contrafactura, más cercana que la anterior al texto de par-
tida, incluida en su Romancero de 1583:

De las ganancias de Amor, señores, no ayáys cudicia,


que quanto bien da en vn año todo lo quita en vn dia.
Por el val de la esperanza […]11.

El último verso sí que remite a un romance del Cid bien conocido, “Por
el val de las estacas”, conservado con este mismo prólogo (luego estudia-
remos otro testimonio) en el conocido como Cancionero de Wolfenbüttel12:

De las ganançias del çid Señores no aya[i]s codiçia


que quanto gana en vn año todo lo pierde en vn dia
con quinientos cavalleros que lleva en su conpania
por el val de las estacas pasa el cid a mediodia13.

El balance de esta investigación reveló la forma completa y hasta enton-


ces desconocida de un romance largamente divulgado desde fines del siglo
XV; pudo demostrar además que alguna forma del mismo era ya conocida y
valorada en la época de los Reyes Católicos pues fue la base de un romance
trovadoresco, contrafactura suya, y seguía cumpliendo la misma función en
tiempos de Pedro de Padilla.

de Cervantes, 2015).
10
J. A. Cid, op. cit., p. 78, aunque hago la observación de que, a pesar de lo que parece,
no se trata de una contrafactura religiosa, sino amorosa.
11
Uso la edición P. de Padilla, Romancero, ed. de J. J. Labrador Herraiz y R. A. Di Fran-
co, México, Frente de Afirmación Hispanista, 2010, n. 48.
12
Fue descubierto por Antonio Rodríguez-Moñino que lo juzgó “el cartapacio poético
de un músico toledano del siglo XVI, Juan de Peraza”, a tenor de una nota de posesión de la
última página; véase A. Rodríguez-Moñino, Cinco notas sobre romances, en La transmisión
de la poesía española en los Siglos de Oro: doce estudios, con poesías inéditas o poco conocidas,
ed. de E. M. Wilson, Barcelona, Ariel, 1976, pp. 215-229 (p. 217; publicado previamente en
“Anuario de Letras”, II, 1962, pp. 15-26) y su Romances de la ‘ensalada’ de Praga, en ibidem,
pp. 231-240 (pp. 237-238; publicado previamente en “Hispanic Review”, 31, 1963, pp. 1-7).
El cancionero está en vías de publicación por J. Labrador Herraiz y Ralph Di Franco.
13
Cito por mi propia transcripción, que va completa en el cuadro n. 1.

39
Han pasado casi cuatro décadas desde el estudio de J. A. Cid; a pe-
sar de las dificultades de aquella época, antes de la revolución digital, él
pudo disponer de cinco fuentes antiguas: el Cancionero de Wolfenbüttel
(Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, ms. Cod. Guelf 75. 1 Aug. 8,
Peraza, ff. 136r-137r, después de 1570, íncipit “De la ganancia del Cid”),
hoy de libre acceso en red; el Cancionero de Elvas (Elvas, Biblioteca Públia
Hortênsia, ms. 11973, ca. 1550-1575, segunda parte con foliación indepen-
diente, sin partituras, ff. 2r-3v), hoy también en red; la Segunda parte dela
Silua de varios romances (2S50, ff. XLVIIJr-v, publicada en 1550), hoy dis-
ponible en facsímil gracias al proyecto del Frente de Afirmación Hispanis-
ta14; la Rosa española de Joan Timoneda (RE, Valencia, Joan Navarro, 1573,
ff. XXXIXr-XLr), hoy también en facsímil gracias al mismo proyecto15; y
una versión glosada, Madrid, Biblioteca Nacional de España, Mss. 5602,
compilado en el segundo cuarto del siglo XVI, recientemente estudiado y
publicado16 y consultable en red (5602, ff. 22r-23v); el texto del romance
en este manuscrito fue extractado por Agustín Durán17, aunque con tantas
correcciones que lo vuelven inútil para la compulsa. Esta misma glosa fue
impresa por Hugo de Mena en el pliego 652 (652, datado en 1568)18, hoy

14
Una primera aproximación al problema de la documentación y transmisión del roman-
ce en este testimonio se dio ya en V. Beltran, Segunda parte dela Silua de varios romances […],
México, Frente de Afirmación Hispanista, 2017, pp. 9-162 (pp. 80-83), con el facsímil del
texto. Entonces no me interesaba tanto su transmisión posterior, sino solo su posible origen,
y carecía de la perspectiva que he adquirido después sobre el modo de transmisión de las
versiones musicales.
15
Rosas de romances. II. Rosa española. Rosa real, México, Frente de Afirmación Hispa-
nista, 2020, con estudio introductorio de V. Beltran, pp. 91-99 para este romance.
16
N. Marino, El “Cancionero de la corte de Carlos V” y su autor, Luis de Ávila y Zúñiga,
Madrid - Frankfurt, Iberoamericana - Vervuert, 2018, n. XX, pp. 138-143, con errores en la
transcripción del romance; para la datación del manuscrito véanse las pp. 15-32.
17
J. A. Cid, op. cit., p. 82. Publicado, como dice este autor, en el Romancero general o
colección de romances castellanos anteriores al siglo XVIII recogidos, ordenados, clasificados
y anotados por Agustín Durán, Madrid, Atlas, 1945, “Biblioteca de Autores Españoles” 10 y
17, n. 750, pp. 491b-492a. Con sus referencias genéricas habituales, dice simplemente haber-
lo sacado de la glosa que empieza “Entre Castilla y León” en un manuscrito de la Biblioteca
Nacional; revisando el Catálogo de manuscritos de la Biblioteca Nacional con poesía en caste-
llano de los siglos XVI y XVII, coordinado por M. Sánchez Sánchez y dirigido por P. Jauralde
Pou, Madrid, Arco Libros, 1998, no figura ningún otro testimonio ni de la glosa ni del roman-
ce, por lo que la identificación de este manuscrito puede considerarse segura.
18
Véase la descripción en A. Rodríguez-Moñino, Nuevo diccionario bibliográfico de plie-
gos sueltos poéticos. Siglo XVI, ed. corregida y actualizada por A. L.-F. Askins y V. Infantes,
Madrid, Castalia - Editora Regional de Extremadura, 1997, n. 652, que se ha de completar

40
en edición facsímil19. Como se puede juzgar, desde entonces ha cambiado
radicalmente la disponibilidad de estos testimonios. Por otra parte, la in-
formación recogida hoy por J. J. Labrador y R. Di Franco en la Bibliografía
de la poesía áurea20 nos permite ampliar este elenco con otro testimonio:
la glosa “Vosotros, nobles guerreros”, contenida en la Flor de romances y
glosas (Flor, publicada en 1578)21, limitada a ocho octosílabos pero con el
interés añadido de documentar los dos primeros dísticos que hasta ahora
solo conocíamos a través de Peraza:

De las ganancias del Cid


señores no ayays codicia […]
Quanto el Cid ganaua vn año
lo daua todo en vn dia […]
Por el vall de las estacas
passo el Cid a medio dia
Pisando la tierra seca,
o quan bien que parescia.

Durante el siglo XVI la transmisión romancística se realiza a través de


diversos canales: copias manuscritas (poco frecuentes para el romancero tra-
dicional e inexistentes en este caso), impresiones (en la doble vía del libro y
del pliego, con peculiaridades, posibilidades e intereses distintos para cada
uno de ellos) y glosas, aparte naturalmente, del canto. Estoy persuadido de
que la naturaleza de estos canales (especialmente la transmisión oral) ha sido
mal comprendida y de que ignoramos aún muchos aspectos del modo y
condicionantes de su puesta en papel; el objetivo de este estudio será docu-

con el Suplemento al Nuevo Diccionario bibliográfico de pliegos sueltos poéticos (siglo XVI) de
Antonio Rodríguez-Moñino, por A. L.-F. Askins y V. Infantes, ed. de L. Puerto Moro, Vigo,
Academia del Hispanismo, 2014.
19
Pliegos poéticos españoles de la Biblioteca Universitaria de Cracovia, estudio de M. C.
García de Enterría, Madrid, Joyas Bibliográficas, 1975, n. 8. Fue publicada por G. Piacentini
- B. Periñán, Glosas de romances viejos. Siglo XVI, Pisa, ETS, 2002, §49.I.
20
Esperamos la pronta aparición de una nueva versión de su vieja Tabla de los principios
de la poesía española. XVI-XVII, prólogo de A. L.-F. Askins, Cleveland, Cleveland State Uni-
versity, 1993, ampliamente superada por el estado actual de su base de datos, y deseamos
vivamente que esta sea puesta a directa disposición de los investigadores.
21
Flor de romances, y Glosas, Canciones, y villancicos. Agora nueuamente todo recopilado
de diuersos y graues autores..., Zaragoza, Juan Soler, 1578; no teniendo acceso al original, uso
la transcripción Flor de romances, glosas, canciones y villancicos. Zaragoza 1578, fielmente
reimpresa del ejemplar único con un prólogo por A. Rodríguez-Moñino, Oxford, Dolphin
Book, 1954, pp. 162-165.

41
mentar un caso muy significativo de transmisión oral pero no siempre tradi-
cional (en el sentido que da a este concepto la escuela tradicionalista) de este
romance durante el siglo XVI, de la que he expuesto otros casos durante los
últimos años. Trataré pues en estas páginas de analizar las diversas versiones
en busca de los vectores de su triple o cuádruple vía de circulación: el canto,
la impresión (pliego y romancero) y la glosa.
Hemos de subrayar que 5602 y 562 contienen una misma glosa (“Quan-
do en Castilla y León”), por lo que han de partir con casi seguridad de un
mismo texto. En el cuadro n. 1 he transcrito el primero; el romance22 registra
en el pliego las variantes siguientes (la numeración de referencia es la de los
dísticos):

1b pasa 5602 : passo 562.


4b vuesa venida 5602 : vuestra llegada 562.
9b a castilla 5062 : en c. 562.
14a que quanto a esso 5602 : que en quanto a e. 562.
17b se os daria 5602 : me plazia 562.

De esta serie (he omitido las variantes gráficas, muy numerosas) solo in-
teresa el error conjuntivo del dístico 4b, que rompe la asonancia en -ía. En
conjunto la copia del romance transmitida en el manuscrito parece más con-
servadora que la del pliego, por lo que en adelante me basaré solo en ella.
Si ahora comparamos las tres versiones contenidas en el cuadro n. 1 ve-
remos que 5602 y Elvas coinciden en toda la extensión de Pedraza excepto
en el prólogo (“De las ganançias del çid ... que lleva en su conpania”) cu-
yos cuatro primeros versos comparte con Flor. Que estos versos pertenecen
al romance desde su origen nos lo acredita su propia estructura interna,
pues explicita el inicio lógico de la acción, el cobro de las parias; desde este
punto de vista este romance es fiel reflejo del comienzo perdido del Poema
del Cid23, por lo que muy bien puede representar la derivación final de un
largo proceso oral. Más simple es el caso de Flor (no incluido en el cuadro),
de cuyos ocho dísticos glosados los dos primeros coinciden con el prólogo
privativo de Peraza; contienen sin embargo una variante interesante: donde
este dice “todo lo pierde en un dia”, Flor ofrece “lo daua todo”, precisan-

22
Respecto a la glosa, en el estudio que dediqué a estas versiones en mi Rosa de romances.
II. Rosa española. Rosa real, p. 92, señalé además un error en el orden de los vv. 27-28 en 5602,
así como errores particulares de ambos que impiden una dependencia directa.
23
Me parecen muy acertadas y sugestivas las observaciones al respecto de J. A. Cid, op.
cit., p. 90.

42
do la generosidad del personaje (virtud cortés muy valorada desde la baja
Edad Media) y evitando la tacha de inconsciente que Peraza puede sugerir;
el tercer dístico de Flor coincide con el cuarto de Peraza (o sea el dístico ini-
cial de 6502 y Elvas). Más interés tiene el cuarto: “pisando la tierra seca / o
quan bien que parescia”: si observamos su equivalente, el segundo dístico de
5602, vemos que tiene un paralelo próximo en Peraza, pero en Elvas enlaza
los versos 1 y 4 de dos dísticos sucesivos; ahora bien, el primero de estos
versos contiene una alusión a Babieca que aparece en Elvas y no en Peraza.
Nos hallamos ante los restos de una tradición muy creativa que recorta y
reinterpreta los versos independientemente.
Por otra parte, que durante los siglos XVI y XVII este romance se trans-
mitió sin cesar con este preámbulo nos lo acreditan también las huellas in-
directas arriba descritas (Cancionero musical de Palacio y Padilla). Dejando
ahora de lado Flor (que solo contiene los primeros dísticos), en el sector
central del romance las tres versiones proceden de un mismo modelo pero
en el final Peraza ha perdido una larga conclusión que conservan 5602 y
Elvas, coincidentes en líneas generales; el corte del texto en un punto era
uno de los procedimientos usados por los músicos para reducir su exten-
sión (de ahí el romance trunco) y esta es una característica que comparten
ambos cancioneros: Elvas es una colección musical, datable hacia el tercer
cuarto del siglo XVI24, cuyas obras van musicadas excepto un breve sector
final de poemas exentos entre los que se copia el nuestro; Juan Peraza, por
su parte, era un reputado músico que (si se trata del mismo y no de un ho-
mónimo) tenemos documentado en 1546 al servicio del duque de Calabria25
y más tarde en la catedral de Toledo desde 1570: allí servía, según una nota
de posesión, cuando lo subscribió26, fecha en torno a la que cabe datar el
cancionero27. Nos hallamos por tanto ante una versión que corría cantada
hasta que dos glosadores (Flor y 6502) recortaron (cada uno por su parte)

24
M. P. Ferreira, Cancioneiro da Biblioteca Públia Hortênsia de Elvas, Lisboa, Instituto
Português do Património Cultural, 1989, p. 8.
25
Recibió sueldo en 1546 según R. Freund Schwartz, En Busca de Liberalidad: Music
and Musicians in the Courts of the Spanish Nobility, Urbana, University of Illinois at Urbana-
Champaign, 2001, p. 296.
26
“Este livro / es de juan / peraza mu/sico de la / santa igle/sia de tole/do”, hoja de papel
encolada en la tapa posterior.
27
Para el cancionero remito a las escasas notas que le dedicó A. Rodríguez-Moñino
(véase la nota 12); para la biografía del músico, J. Ruiz Jiménez, La dinastía de los Peraza.
Nuevos datos para la biografía de Jerónimo Peraza II, “Cuadernos de Arte de la Universidad
de Granada”, 26, 1995 pp. 56-63.

43
los dísticos fundamentales sobre los que elaboraron su glosa. El texto de
origen no era ninguno de estos dos; 5602 se acerca a Peraza en el dístico nú-
mero 3 y coincide con él en la sucesión de los favores que el moro le ofrece
(dísticos 5 y 6) aunque ha perdido el siguiente; por el contrario, su versión
de origen conservaba el final que Peraza ha perdido y coincidía con Elvas
en la mención de Babieca (dístico 2). Aunque no conservemos evidencias
de que se trataba ya de una versión cantada, nada tiene de extraño pues el
truncamiento, la supresión de dísticos y su anteposición o posposición eran
recursos habituales de los músicos para adaptar las letras de origen28, así
como la selección drástica de unos pocos hemistiquios resultaba indispen-
sable a los glosadores, que habían de dedicar una décima castellana a cada
dístico29: difícilmente podían superar la veintena so pena de enfrentarse a la
composición de un poema de más de doscientos versos30.
A este proceso no se le pueden aplicar las mismas concepciones que a
una transmisión escrita pues es de naturaleza muy distinta y mucho más
creativo. Ni siquiera cabe pensar en un “arquetipo” o “antígrafo”; yo apli-
caría la imagen de una constelación de versiones memorizadas por uno o
más ejecutantes cuyo conjunto, más o menos organizado en dísticos, podía
articularse de modo distinto (adiciones, supresiones, anticipaciones, pospo-
siciones, permutaciones) según el momento, el público o los gustos del can-
tor; un modelo semejante al que describieron M. Parry31 y A. Lord32 para la
ejecución de la épica en Yugoeslavia aunque, en este caso, lo que hilvanaba
el ejecutante no eran fórmulas, sino dísticos, de ahí su carácter sentencioso
y su capacidad de independizarse (un ejemplo sería el núcleo “mi descanso

28
Las intervenciones de músicos y glosadores fueron ya observadas por J. A. Cid, op.
cit., pp. 85-87 y 89; las de los músicos han sido objeto de análisis en V. Beltran, Romances
y músicos, en N. Aranda García, A. M. Jiménez Ruiz y Á. Torralba Ruberte (eds.), M. Jesús
Lacarra (coord.), Literatura medieval hispánica: “Libros, lecturas y reescrituras”, San Millán de
la Cogolla, Cilengua, 2019, pp. 105-131.
29
Para el mecanismo de la glosa de romances, I. Tomassetti, La glosa, Historia de la
métrica medieval castellana, coord. por F. Gómez Redondo en colaboración con C. Alvar, V.
Beltran y E. García-Blanco, San Millán de la Cogolla, CiLengua, 2016, pp. 605-631.
30
Ciertamente hay glosas más largas, como la del romance trovadoresco “Allá en el monte
Parnaso” que consta de 43 estrofas (Segunda parte del cancionero general, Zaragoza, Esteban
de Nájera, 1552, que cito por la transcripción de A. Rodríguez-Moñino, Valencia, Castalia,
1956. ff. XXVIIr-XXXVv), pero son raras; las dos glosas que le siguen tienen trece y once.
31
M. Parry, L’épithète traditionelle dans Homère. Essai sur un problème de style homéri-
que, París, Les Belles Lettres, 1928.
32
A. B. Lord, The Singer of Tales, ed. de S. Mitchell y G. Nagy, Londres - Cambridge
(Mass.), Harvard University Press, 2000.

44
son las armas…”33) o su transmigración de una trama romancística a otra
afín (la inserción de “De las ganancias del Cid…” en el ciclo moderno de
Valdovinos). Con este modelo resulta fácil explicar las mutaciones de nues-
tras versiones sin sujetarnos a una derivación lineal de una a otra, que resul-
taría inaplicable a estos casos por sus incongruencias.
Dejemos ahora la transmisión musical para pasar a la vida literaria de
nuestro romance, iniciada en la Segunda parte dela Silua de varios romances
(2S50), cuyo texto se puede ver en el cuadro n. 2, y culmina en la Rosa espa-
ñola (RE)34. Ya J. A. Cid había anotado las escasas variantes que se dan entre
ambos textos, de las que destaco estas tres:

v. 20: no demuestres couardia RE : no muestres tu couardia 2S50


v. 31: mas si tu eres lo que dizes RE : mas si eres qual tu hablas 2S50
v. 40: sin le hazer descortesia RE : sin le hazer cortesia 2S50

Es corriente que Timoneda refunda incluso a fondo los romances que


toma de otros autores, aunque su afición le llevaba más a los de tema amo-
roso y clásico que a los de historia de España; como se puede ver, en este
caso las variantes son muy pocas y poco profundas por lo que lo consideraré
copia de 2S50.
Los primeros dieciséis versos impresos, ya sin el prólogo Peraza-Flor
(“De las ganancias del Cid”), corresponden grosso modo con el principio
de Peraza y Elvas (cuadro n. 2) e incluyen lo que podríamos llamar “la
cabalgada del Cid”; quizá la pérdida del viejo comienzo sea el cambio de-
terminante del nuevo rumbo que toma la acción: si en las versiones mu-
sicales el moro ofrecía al Cid entrar a su servicio y este lo rechazaba para
reclamarle las parias, en la impresa estos motivos son substituidos por otro
totalmente nuevo: el desafío entre el Cid y el moro (que ya no se llama
Adarte sino Audallá); ahora queda en primer plano una justa caballeresca,
deportiva y gratuita, muy cercano al espíritu de los romances moriscos cu-
yas primicias aparecen en 2S50 y fueron plenamente desarrolladas en las
Rosas de romances. Si hubiese conservado la oferta del moro y el rechazo

33
Forma parte del romance “Moriana en el castillo” pero aparece citado en El cortesano
(ed. cit., p. 334) y lo encuentro como romance independiente en el Cancionero Masson, en
diversos romanceros desde el Cancionero de romances de Amberes y en los pliegos 434 (=
435) y 951.5.
34
En el estudio preliminar de V. Beltran, Segunda parte dela Silua de varios romances, pp.
82-83, se puso ya de relieve que el texto de esta edición carecía de precedentes relativamente
próximos en ninguna versión.

45
del Cid, motivos centrales de las versiones musicales, estos resultarían in-
coherentes con el nuevo desarrollo argumental; de ahí también la soledad
del moro, que en los romances musicales se acompañaba de 300 o 500
jinetes, y la aparición de sus “ricas ropas”, que es innovación de tipo mo-
risco. Si la versión de que partió 2S50 hubiese contenido el prólogo, que
introduce el tema de las parias y da entrada al resto, este cambio habría
resultado mucho más difícil.
Analicemos la parte común a todas las versiones (cuadro n. 2). Elvas con-
tiene al comienzo dos dísticos descriptivos, el primero sobre Babieca y el se-
gundo sobre las armas, Peraza suprime el primero, escamoteando al caballo;
2S50 conserva un dístico descriptivo con el nombre del moro que ya estaba
en Peraza (aunque se llama de otro modo) pero se ha perdido en Elvas. Más
cambios: los tres testimonios conservan la mención a Constantina (puerta
de entrada en tierras musulmanas) pero las dos versiones musicales la sitúan
después de los versos descriptivos y antes del encuentro con el moro, 2S50
lo sitúa inmediatamente después del dístico introductivo. Pudiera ser con-
secuencia de un diseño compositivo típico de un poeta, convirtiéndolo en
punto de arranque de todos los elementos descriptivos que siguen en torno
a la figura del Audallá, pero la posposición en 2S50 del dístico relativo a
Babieca y su supresión en Peraza me inducen a pensar que su modelo no fue
ninguna de estas dos versiones, sino otra versión musical que conservaba,
trasponía y omitía elementos de las que conocemos.
Si se acepta esta conclusión, nos encontraremos con la aparente paradoja
de que todas las realizaciones “literarias” del romance (las glosas y las re-
fundiciones) derivan de las versiones musicales cuyos testimonios directos e
indirectos durante los siglos XVI y XVII inventarió J. A. Cid y, si se puede
generalizar esta hipótesis, resulta que el interés de los poetas por el roman-
cero derivaba del éxito que en la sociedad del momento tenían las versiones
cantadas, que no siempre se pueden identificar con las que hoy juzgaríamos
folklóricas. Es cierto que este romance (a diferencia de tantos otros que he
tenido oportunidad de estudiar durante los últimos años) tiene una factura
tradicional pero no podemos olvidar que este era un rasgo de oficio que
podía ser compartido por poetas con o incluso sin formación literaria; en el
romancero, por la anonimia generalizada y por su escasa integración en el
canon poético y musical (pocos son los romances del siglo XVI conservados
con su melodía)35 o, sencillamente, porque no se ha estudiado, el fenómeno

35
Véase el inventario de M. Querol Gavaldá, Importance historique et nationale du ro-
mance, en Musique et poésie au XVIe siècle. Colloques Internationaux du Centre National de

46
ha pasado más desapercibido pero entre las letras de villancicos tradiciona-
les conservamos pastiches muy logrados debidos a la pluma de poetas y dra-
maturgos como Gil Vicente y Lope de Vega o Góngora (y quizá de músicos
como Juan Vázquez) que pueden confundirse con productos estrictamente
tradicionales: el estilo tradicional no era sino una técnica compositiva y no
hay ningún inconveniente para que un poeta la pueda aprender si sirve a un
público interesado.
Como es lógico, las formas impresas también pudieron dejar descenden-
cia: es posible que el nombre del moro en estas versiones, “Audallá” o “Ab-
dallá” haya inspirado36 el romance entre morisco y ariostesco “Cuando el rojo
y claro Apolo”, publicado por Lucas Rodríguez37, que luego reelaboró Pedro
de Padilla en el también cidiano “Seis años tuvo a Coimbra”38. Los caminos
del romancero son sumamente intrincados y quizá sea el momento de recor-
dar cuántas veces fueron musicados los romances nuevos y, más en particular,
los de Lope de Vega39, alguno de los cuales pasó a la tradición oral40. Las

la Recherche Scientifique, París, Éditions Centre National de la Recherche Scientifique, 1954,


pp. 299-327, a los que cabe añadir algunos más. El hecho se explica fácilmente si pensamos
que la estructura melódica de los romances era muy sencilla por lo que en general había de
interesar a los músicos más como punto de partida de variaciones que como estructura de
composiciones de nuevo cuño; de ahí que cuando el romancero nuevo los pone de moda
en todos los círculos de poder, los romances suelan acompañarse con estructuras musicales
propias de otros géneros, como el villancico.
36
Así lo propone M. S. Carrasco Urgoiti, Vituperio y parodia del romance morisco en el
romancero nuevo, en Culturas populares: diferencias, divergencias, conflictos. Actas del Colo-
quio celebrado en la Casa de Velázquez, los días 30 y 1-2 de diciembre de 1983, Madrid, Univer-
sidad Complutense, 1986, pp. 115-138 (p. 132) y lo acepta Antonio Rey Hazas en el estudio
preliminar al Romancero de P. de Padilla, op. cit., p. 75.
37
L. Rodríguez, Romancero historiado (Alcalá, 1582), ed. de A. Rodríguez-Moñino, Ma-
drid, Castalia, 1967, pp. 114-115; el nombre aparece en los vv. 22, 65 y 83 y se repite después.
38
P. de Padilla, op. cit., n. 24.
39
M. Querol Gavaldá, Cancionero musical de Lope de Vega, Barcelona, Consejo Superior
de Investigaciones Científicas - Instituto Español de Musicología, 1986.
40
P. Bénichou, Romancero judeoespañol de Marruecos, Madrid, Castalia, 1968 pp. 319-
324, y M. Alvar, Romances de Lope de Vega vivos en la tradición oral marroquí, “Romanische
Forschungen”, 63, 1951, pp. 282-305 (reimpreso en El judeo español I. Estudios sefardíes,
Alcalá de Henares, Universidad de Alcalá, 2003, pp. 259-280); revisado en M. Alvar, El
romancero morisco, en El romancero. Tradicionalidad y pervivencia, Barcelona, Planeta, 1970,
pp. 93-142 (pp. 108-126). Aunque no siempre se acepta que las versiones marroquíes estén
tradicionalizadas (D. Catalán et al., Catálogo general del romancero pan-hispánico. 1A. Teoría
general y metodología del romancero pan-hispánico. Catálogo general descriptivo, Madrid, Se-
minario Menéndez Pidal, 1984, II, §59), han pasado a la tradición oral y sufrido muchas de
sus transformaciones por lo que vale también como ejemplo de los procesos aquí estudiados.

47
tradiciones orales y escritas se entrecruzan también en la poesía oral de los
pueblos iletrados41.
Este planteamiento es coincidente con algunas conclusiones del análisis
de J. A. Cid:

la mayoría de los cambios que más llaman la atención en los textos de Por
el val de las Estacas no obedecen a un proceso de tradicionalidad oral, por
más que sea ésta la que en última instancia explica la transmisión de este ro-
mance [y respecto a] la versión del ms. Pedraza […] sería impensable en una
tradición oral no mediatizada un desenlace como el de este texto, terminado
abruptamente […] Es claro que se trata de un corte artificial al que no puede
ser ajeno el hecho de hallarnos ante una versión anotada por un músico42.

Si no me engaño, nos hallamos ante un caso arquetípico de un tipo de


composición y transmisión romanceril que no había sido todavía tomado en
consideración: el que corría en boca de músicos profesionales o ministriles,
encargados de amenizar las fiestas y solemnidades de la buena sociedad de
la época, la que podía pagarles mediante un empleo fijo en su capilla (fueron
proverbiales las de los duques de Alba, los Guzmán duques de Medina Si-
donia y la del duque de Calabria) o mediante un contrato para actuaciones
puntuales, objeto por el que se organizaban en grupos específicos hoy bien
conocidos43. Pero esta es historia de que me he ocupado en otro lugar44.

41
Para una visión actualizada de estos problemas, tan apartadas de los planteamientos de
los oralistas tradicionales hasta Paul Zumthor e incluso después, véase R. Finnegan, Literacy
and Orality. Studies in the Technology of Communication, Oxford, Basil Blackwell, 1988, y J.
M. Foley, How to Read an Oral Poem, Urbana - Chicago, University of Illinois Press, 2002.
42
J.A. Cid, op. cit., p. 84 y 86. Véase el análisis pormenorizado de los procedimientos
típicos de cada tipo de transmisión en la p. 89.
43
C. Martínez Gil, Ofrécese compañía de ministriles para tocar en fiestas (sobre la forma-
ción de una compañía de ministriles en Toledo en 1668), “Revista de Musicología”, 19, 1996,
pp. 105-132, y C. Bejarano Pellicer, El mercado de la música en la Sevilla del Siglo de Oro,
Sevilla, Universidad de Sevilla - Fundación Focus-Abengoa, 2013, cap. 4.1.
44
Véase Poesía oral y tradicionalización durante el siglo XVI y Romances y ministriles, en
prensa.

48
Cuadro n. 1

Peraza [+ Flor vv. 1-4 y 7-10] 65022 Elvas3

De las ganançias del çid


Señores no aya[i]s codiçia
que quanto gana1 en vn año
todo lo pierde en vn dia
con quinientos cavalleros
que lleva en su conpania
por el val de las estacas (1) por el bal de las estacas Por el val de las estacas
pasa el cid a mediodia pasa el zid a medio dia Passa el Cid al medio dia,
(2) en su cavallo bauieca En su cauallo Babieca:
Que gruessa lança traya

49
davale el sol en las armas Dauale el sol en las armas,
o quan bien que relucian o quan vien que parezia O quan bien que parecia.
a man derecha le deja A mano derecha dexa
el castillo de costantina Castillo de Costantina.
yvase para jaen Por en medio de la plaça
y a toda el andalucia Su seña lleua tendida.
a buscar el moro adarte
que enojado le tenia
el moro adarte que lo supo (3) el rey moro que lo supo Des qu’esto supiera el moro,
a recebirlo salia a recebirlo salia A recebirlo salia,
con quinientos de a caballo Con trezientos caualleros,
a reçebillo salia La flor de la moreria.
bien seay[s] venido cid (4) dijo vien vengas el Cid Bien seas venido ô el Cid
buena sea vuestra venida buena sea vuesa venida Buena sea tu venida:

1 2 3
el gana Extracto los versos citados en la glosa Los signos de puntuación y acentos están
en el original.
si venis a ganar sueldo (5) que si quereys ganar sueldo Si vienes buscar muger,
doblado se os daria yo muy bueno hos lo daria Darte é vna hermana mia.
y si venis por muger (6) ho si venis por muger Si vienes tornarte moro,
daros e vna ermana mia daros he vna hermana mia Grandes mercedes te haria.
si os venis a tornar moro Si vienes a ganar sueldo
yo por mejor lo tendria Doblado te lo daria.
yo no vengo a ganar sueldo (7) que no quiero vuestro sueldo No vengo buscar mujer,
que no le gane en mi vida nj de nadie lo queria Que dona Ximena es biua.
ni vengo yo por muger (8) que no vengo por mujer Ni vengo tornarme moro,
que doña jimena es viua que yo viba la tenia Qu tu fé exalçaria.
ni me vengo a a tornar moro Ni tan poco a ganar sueldo,
que mejor lei es la mia Que no lo gané en mi vida.
mas vengo yo por las parias (9) vengo a que pagues las parias Mas vengo a buscar las pareas,
de ese buen rei de castilla que tu deues a castilla Que deues al rey de Castilla.
tres anos eran pasados Yo no deuo nadie [sic] al rey,
que tu no se las enbias Antes el a mi deuia.
esas parias el buen cid (10) no te las dare yo el çid Paguesme las pareas Moro,

50
son las que no llevarias çid yo no te las daria Sea luego en este dia:
(11) si mi padre las pago Que si no me las pagares,
hizo lo que deuia (…) Muy caro te costaria:
(12) y si por bien no las das Que te correré las tierras
por mal te las tomaria Desde Cordoua a Seuilla.
(13) no lo haras tu buen zid Y te tallaré los panes,
que yo buena lanza auia Las bestias los pascerian.
(14) que quanto a esso rey moro Y te prenderé por la barua,
creo nada te debia Lleuarté preso a Castilla.
(15) que si buena lança tienes No te enojes tu buen Cid
por buena tengo la mia Que burlando lo dezia
(16) mas da sus parias al rey Que si pareas deuo al rey
a ese vuen rey de Castilla Dobladas te las daria.
(17) que por ser vos mensajero
de buen grado se os daria
Cuadro n. 2

2S50 Peraza Elvas


Por el val de las estacas (…) por el val de las estacas Por el val de las estacas
el buen Cid pasado hauia pasa el cid a mediodia Passa el Cid al medio dia,
En su cauallo Babieca:
Que gruessa lança traya
davale el sol en las armas Dauale el sol en las armas,
o quan bien que relucian O quan bien que parecia.
a la mano yzquierda dexa a man derecha le deja A mano derecha dexa
la villa de Constantina el castillo de costantina Castillo de Costantina.
en su cauallo Bauieca yvase para jaen Por en medio de la plaça
muy gruessa lança traya y a toda el andalucia Su seña lleua tendida.
va buscando al moro Audalla a buscar el moro adarte

51
que enojado le tenia que enojado le tenia
trauesando vn antepecho
por vna cuesta arriba
daua le el sol en las armas
o quan bien que parescia
vido yr al moro Audalla el moro adarte que lo supo Des qu’esto supiera el moro,
por vn llano que alli hauia a recebirlo salia A recebirlo salia,
armado de fuertes armas con quinientos de a caballo Con trezientos caualleros,
muy ricas ropas traya a reçebillo salia La flor de la moreria.
daua le vozes el Cid bien seay[s] venido cid Bien seas venido ô el Cid
desta manera dezia buena sea vuestra venida Buena sea tu venida:
esperes me moro audalla si venis a ganar sueldo Si vienes buscar muger,
no muestres tu couardia doblado se os daria Darte é vna hermana mia.
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a las vozes que el cid daua y si venis por muger Si vienes tornarte moro,
el moro le respondia daros e vna ermana mia Grandes mercedes te haria.
muchos tiempos ha el cid si os venis a tornar moro Si vienes a ganar sueldo
que speraua yo este día yo por mejor lo tendria Doblado te lo daria.
porque no hay hombre nascido yo no vengo a ganar sueldo No vengo buscar mujer,
de quien yo me escondería que no le gane en mi vida Que dona Ximena es biua.
porque desde mi niñez ni vengo yo por muger Ni vengo tornarme moro,
siempre huy de couardia que doña jimena es viua Qu tu fé exalçaria.
alabarte moro Audalla ni me vengo a a tornar moro Ni tan poco a ganar sueldo,
poco te aprouecharia que mejor lei es la mia Que no lo gané en mi vida.
mas si eres qual tu hablas mas vengo yo por las parias Mas vengo a buscar las pareas,
en esfuerço y valentía de ese buen rei de castilla Que deues al rey de Castilla.
a tiempo eres venido tres anos eran pasados Yo no deuo nadie [sic] al rey,
que menester te seria que tu no se las enbias Antes el a mi deuia.

52
estas palabras diziendo esas parias el buen cid Paguesme las pareas Moro,
contra el moro arremetia son las que no llevarias Sea luego en este dia:
encontrole con la lança Que si no me las pagares,
y en el suelo lo derriba Muy caro te costaria:
cortarale la cabeça Que te correré las tierras
sin le hazer cortesia. Desde Cordoua a Seuilla.
Y te tallaré los panes,
Las bestias los pascerian.
Y te prenderé por la barua,
Lleuarté preso a Castilla.
No te enojes tu buen Cid
Que burlando lo dezia
Que si pareas deuo al rey
Dobladas te las daria.

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