Riassunto Storia 2
Riassunto Storia 2
SEC. )
LA DOMUS ECLESIA DI DURA EUROPOS
Intorno al 250, le grandi comunità cristiane dell’impero non vivevano più nella clandestinità. Celebravano le
loro funzioni religiose, battezzavano, seppellivano i loro morti, assistevano i poveri e per questi scopi
possedevano beni legalmente acquisiti. Gli edifici di cui la comunità aveva bisogno dovevano soddisfare due
diverse esigenze: da un lato le attività propriamente religiose e il decoro sociale dei vivi e dall’altro il culto
dei morti. Tutto questo non si poteva avere in una casa privata, né in un appartamento messo a
disposizione della comunità, era necessario un edificio stabilmente attrezzato come sede della comunità.
Un edificio del genere era detto Domus ecclesia (centro comunitario). La sede comunitaria di Dura Europos,
quando fu costruita era una normale casa cittadina del tipo a peristilio, tra il 240 e il 250 subì diverse
trasformazioni intese a renderla più funzionale. Il divan dell’ala sud, cioè la sala ricevimento circondata su
tre lati da sedili, fu unificata con la stanza sud-ovest, in modo tale da accogliere dalle 50 alle 60 persone.
Una pedana rialzata per il vescovo si estendeva lungo il muro orientale e lì accanto una porta immetteva in
una piccola stanza con la funzione di sacrestia. Grandi porte si aprivano sul cortile e su una grande sala
dell’ala occidentale, questa sala che poteva accogliere 30 persone veniva usata per i catecumeni che
potevano, ascoltare senza vedere la messa dei fedeli. A nord troviamo un battistero rettangolare più piccolo
con all’interno addossata alla parete ovest una vasca sormontata da un baldacchino con decorazioni murali
connesse con la simbologia del battesimo.
TITULI
Titulus è un termine legale, derivato dalla lastra di marmo su cui era segnato il nome del prorpietario. Agli
inizi del IV secolo l’organizzazione parrochiale di Roma contava sui 25 tituli conosciuti con nomi come
titulus Clementis, titulus Byzantis, e simili e ognuno di questi tituli è assegnato ad un cardinale della Chiesa
di Roma come sua chiesa titolare.
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CATACOMBE
Gli usi funerari cristiani richiesero leggere modifiche della tradizione romana, la quale incoraggiava la
sepoltura per gruppi familiari senza tener conto delle credenze religiose individuali. L’uso cristiano invece,
almeno intorno al 200, esigeva che i fedeli fossero sepolti separatamente dei pagani. Una soluzione fu
trovata costruendo grandi cimiteri comunali, all’aperto oppure sotto terra. I cimiteri sotterranei, le
catacombe, presentavano in certi casi chiari vantaggi: ad esempio nel caso di prezzi elevati per i terreni in
superfice, oppure la presenza di roccia tenera, ma soprattutto nel caso in cui esistesse già uno scavo (una
cava o una cisterna). Il fatto che di rado tutte e tre queste condizioni si verifichino insieme in un unico
terreno limitò il sistema di catacombe a poche località cristiane della Sicilia, dell’Africa del Nord, di Roma e
di Napoli. Le differenze che da regione a regione si notano nel modo di costruire le catacombe sono
sensibili. A Siracusa ad esempio ampie gallerie formano una sorta di ragnatela con anguste diramazioni. A
Napoli e nell’Africa del Nord una galleria larga e dritta costituisce il centro della catacomba, di quando in
quando essa si allarga in uno spiazzo dove pilastri di roccia sorreggono il soffitto formando così una sorta di
baldacchino indipendente. A Roma strette gallerie formano un fitto tracciato a griglia, che spesso prende
l’avvio da un precedente gruppo di ipogei oppure da una cava di tufo. Due, tre o anche quattro piani si
sviluppano l’uno sull’altro, collegati da strette rampe, nelle pareti sono scavate anguste tombe sovrapposte
(loculi), chiuse con mattoni o lastre di marmo su cui si legge un nome e una benedizione. Dai corridoi si
diramano vani quadrati o poligonali, destinati a singole persone o famiglie facoltose, con alle pareti
arcosolia e nicchie per le lampade.
MARTYRIA
Gli scavi sotto la basilica di San Pietro a Roma hanno portato alla luce quello che sembrerebbe il più antico
martyrium che si conosca al centro di un sontuoso cimitero monumentale. Misura 5 metri per 7 e contiene
alcune tombe modeste, probabilmente resti di una dismessa zona di sepoltura precedente. Il recinto è
chiuso da un muro che passa al di sopra di una delle sepolture povere, il muro forma una nicchia che può
risalire all’epoca in cui è stato costruito, di fronte alla nicchia era posta un’edicola formata da due colonne
che sostenevano una lastra di pietra all’altezza di 1 metro e mezzo da terra, la nicchia continuava in alto
sopra l’edicola e forse era fiancheggiata da semicolonne e sormontata da un timpano. Martyria di forma
semplice furono in gran numero dopo le persecuzioni del 206 e del 303. Due vani della catacomba di
Callisto, che erano stati predisposti come sepoltura comune dei vescovi di Roma vennero uniti in un unico
ambiente intorno al 250. Iscrizioni dimostrano che il vano così ampliato, la cosidetta Cappella dei Papi era
un martytium ed nel IV secolo vi furono eretti un altare e transenne a delimitare il periptero. Un martyrium
molto più semplice, venne realizzato pressappoco nella stessa data di un cimitero cristiano che si trova
sotto la cattedrale medievale di Bonn. Si tratta di un sedile rettangolare all’aperto che circonda due blocchi
in muratura eretti sopra due tombe.
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COSTANTINO E L’ARCHITETTURA RELIGIOSA CRISTIANA DOPO IL 313 D.C.
BASILICHE COSTANTINIANE A ROMA: CARATTERISTICHE E NOMENCLATURA DELLE PARTI
Sotto Costantino il cristianesimo dovette trovarsi un’architettura nuova di maggior prestigio e di carattere
ufficiale, per ragioni sia pratiche che ideologiche questa nuova architettura non poteva svilupparsi
dall’architettura sacra dell’antichità pagana. E per questo venne riproposto un edificio che già faceva parte
dell’arhitettura pubblica e univa l’ambito religioso e i caratteri ufficiali: la basilica. Nella loro forma più
semplice, erano costituite da un ambiente unico e in certi casi suddiviso da supporti. In una versione più
complessa la navata centrale era circondata da navate laterali o da navette laterali, oppure correvano
parallelamente alla navata anziché circondarla sui quattro lati. Sotto Costantino gli architetti seppero
rispondere alle esigenze della liturgia cristiana, creando nuove varianti della basilica, da questi antefatti
sono derivate quattro caratteristiche che intorno al 300 erano ormai divenute tratti essenziali della basilica
cristiana: pianta rettangolare, asse maggiore longitudinale, tetto a travi a vista oppure coperto da un
soffitto piatto e una tribuna conclusiva dell’edificio che poteva essere di forma rettangolare o absidata.
S. GIOVANNI IN LATERANO
S. PIETRO IN VATICANO
Con una lunghezza complessiva all’interno di 119 metri, la lunghezza della navata di 90 metri e una
larghezza di 64 e con un colonnato di 25 colonne per lato che dividevano le navate, essa poteva contenere
un gran numero di fedeli. Queste imponenti dimensioni vengono spiegate dalla doppia funzione che doveva
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ricoprire l’edificio, infatti serviva al tempo stesso come santuario che accoglieva un martytium e come sala
per banchetti funebri. In San Pietro a differenza di qualsiasi altra cattedrale di epoca costatiniana, la navata
centrale e quelle laterali non si cocludevano semplicemente in una zona presbiteriale, erano invece tagliate
da una struttura trasversale con dei vani terminali a un livello ancora più basso, che aggettavano al di là
delle navate laterali un transetto continuo. Il transetto che custodiva i resti dell’apostolo all’interno di un
monumeto costituiva il centro dell’intero edificio, ed era isolato da una cancellata di bronzo e sovrastato da
un baldacchino sostenuto da quattro colonne tortili e da due altre colonne architravate che connettevano il
baldacchino agli angoli dell’abside. Inoltre il transetto era separato dalla navata centrale da un arco
trionfale, dalle navate laterali era invece separato da diaframmi di colonne.
Tutte sorgevano o vicino a un luogo che la presenza degli apostoli ha reso sacro (come San Sebastiano)
oppure vicino alla tomba di un grande martire (ad esempio San Lorenzo). In tutte il pavimento era coperto
da parte a parte di tombe e molti mausolei si addensavano intorno all’edificio, erano di forma basilicale,
con navata centrale e navate laterali e un portico d’entrata (nartece), le pareti della navata centrale che
sporgevano al di sopra dei tetti delle navate laterali erano sostenuti da pilastri o colonne. Infine in tutti
questi edifici le navate laterali continuavano intorno all’abside formando un deambulatorio, una struttura
da tempo ricorrente nei mausolei pagani. Il centro della venerazione, la tomba del martire sormontata da
un altare, in tutti questi edifici rimaneva nella catacomba, mentre all’esterno sorgeva l’edificio in cui i fedeli
desideravano essere sepolti e si adunavano per i banchetti funebri e per le funzioni in memoria dei martiri.
In epoca paleocristiana vengono ripresi anche gli schemi a pianta centrale, dei templi e dei ninfei, per la
realizzazione dei BATTISTERI e MAUSOLEI, a pianta ottagonale o circolare, con un percorso circolare
(deambulatorio) separato con un giro di colonne dal vano centrale, talvolta coperto con una cupola. Al
centro di questo vano sta la vasca per il battesimo (battistero) o il sarcofago del defunto (mausoleo)
Il mausoleo ha una pianta centrale con un vano circolare coperto da una cupola ed illuminato da dodici
finestre che si concludono ad arco, e definiscono una fascia luminosa intorno al tamburo. La cupola poggia
su 12 coppie di colonne, binate in senso radiale, disposte ad anello, con hanno capitelli
compositi di reimpiego ovvero, riutilizzate da costruzioni precedenti, esternamente invece le colonne
delimitano il perimetro del deambulatorio coperto da volte. La cupola dell'edificio era, in origine, ricoperta
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di mosaici, distrutti intorno al 1620 a causa della scarsa manutenzione, nel circolo più esterno era
rappresentata una scena fluviale nella quale puttini pescavano in acque in cui pullulavano pesci e crostacei;
dal fiume emergevano alcune isolette dalle quali si staccavano dei candelabri-cariatidi che raggiungevano a
raggiera il centro della cupola, decorato con un velario a conchiglia; da questi candelabri si distaccavano
alcuni racemi, che incorniciavano medaglioni disposti su due ordini circolari nei quali erano raffigurate
storie dell'Antico e del Nuovo Testamento. La pianta circolare di questo come di altri edifici paleocristiani
viene ripresa dai modelli provenienti dall'architettura romana, utilizzati in mausolei funebri o ninfei come il
cosiddetto tempio di Minerva Medica, dell'inizio del IV secolo.
BASILICHE-MARTYRION IN TERRASANTA
Seguendo lo schema che si era affermato a Roma nelle più antiche sale funerarie costantiniane, l’oggetto
della venerazione nei martyria cristologici della Terrasanta continuò ad essere fuori dalla sala in cui si
riunivano i fedeli. A Ramet el-Khalil presso Mamre il terebinto di Abramo, circondato da un grande muro di
recinzione, era stato venerato da pagani, ebrei e cristiani. Poco prima del 330 fu fatta costruire da
Costantino una piccola chiesa addossata a uno dei muri dell’antico recinto. Un lungo e stretto portico che
divideva il recinto serviva come atrio d’ingresso per la chiesa e i due cortili ai lati.
Scarsi frammenti ci rimangono degli edifici di Costantino sul Golgota. Tuttavia la pianta della basilica resta
chiara, propilei, atrio, basilica e la successiva corte a portici portavano passo passo a quello che era
l’elemento culminante del complesso, il sepolcro di Cristo. Le funzioni erano suddivise tra le varie zone e
conducevano dall’una all’altra. La navata centrale poggiava su grandi colonne ed era fiancheggiata su
entrambi i lati da due navatelle, queste a loro volta erano divise o da pilastri o da una fila di basse colonne
sollevate su plinti, come nella Basilica Lateranense, l’abside fiancheggiata da vani laterali, chiusa all’esterno
da un muro dritto e all’interno di forma semicircolare, aveva un diametro di soli 8 metri.
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BETLEMME CHIESA DELLA NATIVITA’
Un cortile lungo una trentina di metri, conduce a un atrio di 45 metri per 28 che terminava di fronte alla
chiesa con una serie di colonne più alte di un gradino, alla stregua di propilei. La navata centrale e le
quattro navatelle costituivano all’incirca un quadrato diviso da quattro file di colonne, attaccata al lato
orientale del vano basilicale sorgeva una costruzione ottagonale sollevata di tre gradini e contonata da vani
meno profondi intercalati da spazi triangolari, la navata centrale e quelle laterali presumibilmente
comunicavano con questo santuario attraverso archi. Al centro dell’ottagono tre gradini portavano a una
balaustra che protegeva un’ampia apertura circolare, attraverso la quale i visitatori poevano guardare nella
caverna in cui secondo la tradizione è avvenuta la nascita di Cristo.
Se si trattasse solo della pianta Sant’Appolinare Nuovo non sarebbe diverso dalle tante comuni basiliche,
eppure in questa pianta occidentale si trovano incorporati innumerevoli elementi orientali: la forma
poligonale dell’abside all’esterno da tempo comune a Ravenna è di origine egea, i capitelli portati da
Costantinopoli sono gli esatti corrispettivi di altri trovati a Nea-Anchialos, infine le lesene a contrafforte dei
muri esterni sono tagliate da una faccia di mattoni che s’incurva al di sopra delle finestre creando così un
intreccio marcato di elementi verticali e orizzontali; questo motivo che ricorda le chiese della Siria più che
quelle dell’Egee, è un indice del rapido ampliarsi degli orizzonti culturali dei costruttori di Ravenna.
L’ampiezza della navata in proporzione alla sua lunghezza è maggiore, la luce degli archi è
proporzionalmente più larga. D’altra parte l’altezza della navata è considerevolmente maggiore della sua
ampiezza per cui ne viene un senso di grande spazio, quest’impressione è accentuata dalla luce, mentre le
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finestre sono più piccole e più distanziate di quelle delle basiliche romane, le navatelle sono illuminate da
finestre larghe quanto quelle della navata centrale. Ma nulla contribuisce a definire la fisionomia di
Sant’Apollinare Nuovo quanto la sua sontuosa decorazione musiva. Nelle chiese romane la superfice di
muro tra gli archi e le finestre era occupata da singoli pannelli che rappresentavano episodi tratti dalla
Bibbia, invece a Sant’Apollinare Nuovo abbiamo lunghe file di figure che muovono verso l’abside: sul lato
sud santi che procedono dal palatium di Teodorico verso Cristo, sul lato nord sante che procedono dalla
Classis civitas verso la Madonna.
Costruito da Costantino in forma ottagonale con colonne angolari, illuminato da due file di finestre nel
muro esterno e coperto da un tetto in legno, fu completamente rifatto sotto papa Sisto. Due ordini trabeati
al centro, ognuno di otto colonne componevano un baldacchino ottogonale al di sopra del fonte. A loro
volta questi ordini erano sormontati dalle otto grandi finestre del tamburo e da un tetto in legno di forma
piramidale oppure da una legera cupola a incannucciato. Un deambulatorio ottagonale coperto da una
volta a botte circondava questo nucleo centrale, eleganti rivestimenti di marmo ricoprivano i muri e mosaici
ricoprivano la volta a botte; anche le finestre del tamburo pare fossero incorniciate da modanature in
stucco.
Una enorme navata cilindrica poggia su un colonnato trabeato con capitelli ionici, gli alti muri della navata,
al di sotto delle ventidue finestre, originariamente rivestiti di lastre di marmo, può darsi che abbiano
sostenuto una cupola in materiale leggero. Questo nucleo centrale è circondato da un deambulatorio che si
apre in serie di cinque e sei archi sostenuti da colonne, queste arcate conducevano alternativamente, a
quatro cappelle alte e profonde (disposte a formare una croce) e presumibilmente a cortili scoperti con
piscine che si concludevano con portici ad archi. Nulla si sa della funzione originaria di Santo Stefano, ma il
fatto che fin dall’inizio fosse stato dedicato a Santo Stefano, nonché la sua forma circolare, fanno pensare
che fosse un martyrium che custodiva forse una reliquia del santo. Inoltre la pianta complessa, con il
compenetrarsi della forma rotonda e di quella a croce, può darsi che sia stata influenzata dall’Anastasis e
magari da altri martyria della Terrasanta.
San Lorenzo è un grandioso edificio tetraconco a doppio guscio: un guscio interno costituito dal vano
centrale è circondato da un guscio esterno, cioè deambulatori e gallerie. L’atrio rivolto verso la strada è
preceduto da propilei, la sua trabeazione al centro s’incurva a formare un arco, l’antico simbolo del potere
imperiale. Quattro torri sorgono agli angoli della chiesa, alte non più del tamburo quadrato che in origine
sovrastava lo spazio centrale. L’interno è altrettanto complesso, uno spazio centrale quadrato di 23 metri di
lato e alto originariamente circa 27 metri, è rimarcato agli angoli da quatro pilastri a forma di L. In antico
coperto da una torreggiante volta a crociera oppure da una cupola realizzata con vasi laterizi, questo nucleo
centrale si dilata ai lati in quattro ampie esedre a due piani, ognuna delle quali si affaccia a entrambi i piani
sul vano centrale attraverso cinque arcate. Nel XVI secolo il quadrato con angoli tagliati da archi, fu
trasformato in un’ottagono per sostenere tamburo e cupola ugualmente ottagonali. L’originario nucleo
centrale tetraconco è circondato dagli spazi subalterni delle navatelle e delle gallerie che formano una
doppia fascia spaziale, ognuna illuminata da una serie di ampie finestre. La struttura a doppio guscio, la
conseguente complessità del progetto spaziale e il sovrapporsi delle visuali contribuiscono, insieme coi
contrasti di luce e ombra, a creare un gioco di effetti di superba complessità.
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LE REGIONI COSTIERE DELL’EGEO
Nell’Egeo la basilica normale è solo fra i molti tipi, tutti molto più complessi del progetto: basilica
dalla pianta tipica, ma con gallerie al di sopra delle navate laterali, basilica con transetto a croce
con le ali circondate da navatelle su due o tre lati, oppure affiancate da un'unica navatella. Ognuno
di questi tipi di pianta prevale in una delle provincie principali della regione egea, accanto a queste
ci sono martyria e chiese di palazzo di grande varietà e forme: martyria a croce con bracci a navata
unica oppure divisi in più navate, martyria rotondi e circondati da deambulatori.
Lo stile architettonico della regione egea si esprime nella chiesa dell’Acheiropoieitos a Solonicco, costruita
intorno al 450-70. Fondamentalmente si tratta di una basilica ordinaria con delle gallerie, i cui muri esterni
in mattoni appaiono abbastanza semplici, ma tracce sulla facciata indicano che un vestibolo esterno
(exonartece) era fiancheggiato da basse torri che arricchivano e animavano la sagoma dell’edificio. Due
porte nel muro di fondo del nartece esterno immettevano in un nartece interno (esonartece), che a sua
volta si apriva con una triplice arcata (tribelon) nella navata. Vani d’angolo contribuivano a connettere
l’esonartece alle navate laterali e la sequnza delle navatelle, dei vani d’angolo e dell’esonartece finiva per
avvolgera la navata su tre lati, costituendo una zona sussidiaria che comunicava con la navata attraverso
archi sostenuti da colonne, ma transenne disposte tra le colonne impedivano un accesso diretto. Le gallerie
nella zona superiore ripetono questo motivo su tre lati: qui le colonne si accompagnano a quelle in basso
ma si differenziano per dimensione e decorazione, navatelle e gallerie sono illuminate da finestre divise in
tre, sei, otto parti, suddivise da pilastri con addosate due semicolonne l’una verso linterno e l’altra verso
l’esterno.
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Per quanto in rovina l’edificio si può ricostruire con facilità, l’atrio, circondato da portici, e accesibile dalla
faciata e dai lati; la breve navata con le colonne sollevate su stilobati; le navatelle con grandi finestre; le
gallerie che circondavano la navata maggiore su tre lati; le facciate del nartece che si apriva verso l’esterno
con un colonnato; l’abside aggettante all’esterno in forma poligonale; le decorazioni riccamente profuse
ovunque. La navata con ogni probabilità non aveva finestre ed era quindi relativamente buia, il primo
ordine di colonne alte 3 metri di prezioso marmo con capitelli teodosiani è sormontato da una trabeazione
che sosteneva nelle gallerie colonne più basse con capitelli ionici. Capitelli teodosiani coronano le colonne
del nartece, la trabeazione del nartece e della navata reca un fregio di acanto profondamente intagliato, i
muri delle navatelle erano di lastre di marmo, quelli delle gallerie erano presumibilmente dipinti, mentre il
catino dell’abside era decorato con un mosaico. Per quanto nella sua coerenza e nelle sue forme di base, la
decorazione ha tuttavia una nuova vita, determinata in gran parte dal contrasto tra il fondo scuro e i motivi
a rilievo, cioè dai contrasti tra luce e ombra, tra forme organiche e forme inorganiche.
Come avviene per l’Egeo, l’architettura delle città del Medio Oriente è conosciuta anzitutto attraverso la
documentazione frammentaria fornita dagli scavi. L’architettura delle chiese sugli altipiani della Siria e
dell’Asia Minore offrono un quadro più completo che nella maggior parte delle altre regioni del mondo
paleocristiano. Infatti nell’ottocento in seguito a studi sull’architettura di queste regioni attraverso il
concetto di progresso tecnico (tecnica utilizzata ancora oggi), ne è conseguito che le pesanti,compatte ma
di regola piccole chiese della Siria con le loro facciate fiancheggiate da due torri simmetriche, vengono
considerate, superando un abisso di sei secoli come i prototipi delle grandiose cattedrali romaniche della
Francia, con le loro piante e i loro elementi strutturali liberamente organizzati. Mentre le piccole chiese
degli altipiani dell’Asia Minore sono state interpretate come la fonte prima da cui sono derivati tutti gli
elementi essenziali dell’architettura religiosa medievale in Europa, la Cappadocia ad esempio si è detto che
ha dato alla Palestina, alla Grecia e all’Italia paleocristiane il martyrium a croce, il transetto a croce e il
transetto tripartito.
Qal’at Sim’an finanziato dall’imperatore Zenone, è l’esempio più grandioso di questa nuova fase
dell’architettura ecclesiastica in Siria. Si tratta di un martyrium a croce paragonabile a quello portato alla
luce dagli scavi ad Antiochia-Kaussie, ma come realizzazione Qal’at Sim’an supera tutto ciò che era stato
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costruito in precedenza, è di dimensioni imponenti, era progettato per accogliere grandi folle di pellegrini.
La parte centrale, in origine coperta in legno era sorta intorno alla colonna in cima alla quale San Simeone
Stiliata aveva passato l’ultima parte della sua vita. I quattro bracci anziché essere privi di navatelle
costituiscono ognuno una basilica a sé: i bracci a ovest e sud erano preceduti da vestiboli, mentre quello ad
est terminava con tre absidi. Tutte le parti dell’edificio si contrappongono l’una a l’altra, cordoni
chiaramente profilati sottolineano il basamento e si alzano a incorniciare gli stipiti delle porte e le finestre, i
fusti delle colonne si alzano da eleganti basi e sono coronati da capitelli rivestiti di foglie d’acanto.
All’esterno l’abside principale era articolata da due ordini di robuste colonne addosate e da un fregio ad
archetti pensili: due archetti con decorazione a conchiglia per ogni intercolumnio. Sulla facciata Sud, lesene
scanalate sostengono i tre fornici di un grandioso portale.
L’ARCHITETTURA BIZANTINA
L’età di Giustiniano rappresenta una svolta decisiva nella storia dell’architettura che trova ben pochi
equivalenti nelle altre epoche. Il mutamento risulta evidente non tanto nell’architettura dei palazzi o nella
forma dei capitelli, quanto nella concezione delle chiese; fino agli inizi del regno di Giustiniano la maggior
parte delle chiese in Oriente come in Occidente salvo qualche eccezione, era basata su un unico tipo di
edificio: la basilica, cioè un aula coperta con un tetto a travi con o senza navate. La pianta della basilica era
maturata nel campo degli edifici civili in Italia e tutti i mutamenti che si verificarono in seguito, prima negli
edifici publici romani e successivamente nell’architettura delle chiese, non furono altro che varianti di
questo vecchio tema. Gallerie, absidi, navate laterali multiple, narteci, atri e simili furono pensati
semplicemete per adattare il tipo alle nuove funzioni. La situazione cambia radicalmente nel VI secolo,
infatti l’architettura di Giustiniano in Oriente rompe la tradizione della basilica, volgendosi a edifici a pianta
centrale e coperti a volta. Da queste premesse gli architetti di Giustiniano creano un’architettura chiesistica
che costantemente si fonda su una pianta centrale e quasi sempre è coperta a volta e culmina in una cupola
centrale. Edifici di questo genere erano stati costruiti gia dal IV secolo, ma solo per esigenze particolari ed
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eccezionali come ad esempio un martyria o per chiese da palazzo. Ma è solo con Giustiniano che in tutti i
centri importanti dell’impero e indipendentemente da una funzione particolare la pianta centrale con
copertura in mattoni a volta e cupola diviene la norma per le chiese.
La costruzione di Santa Sofia fu il primo e più grandioso impegno che Giustiniano, insieme ai suoi architetti
si propose. La prima basilica era stata portata a termine nel 360 e rifatta tra il 404 e il 415 e fu
completamente distrutta dal fuoco nel 360 durante la rivolta di Nika, ricostruita in seguito da Giustiniano
come monumento alla sua vittoria. Com’è attualmete, Santa Sofia non corisponde più all’ edificio che fu
consacrato nel 537, questo perché la prima cupola molto ribassata e che forse continuava la curva dei
pennacchi, crollò nel 558. Fu sostituita da una cupola a costoloni più slanciata compiuta nel 563, ma la
costruzione di questa nuova cupola determinò altri numerosi mutamenti, la sua base d’imposta era stata
deformata dal peso della prima cupola, che aveva fatto si che i pilastri e i contrafforti si piegassero
all’indietro, che gli archi ad est e ad ovest si dilatassero e che gli archi laterali a nord e a sud si inclinassero
verso l’esterno. Ciò fu riequilibrato ampliando all’interno le ghiere degli arconi di destra e di sinistra e
ricostruendo in parte i pennacchi. La parte occidentale della seconda cupola crollò di nuovo nel 989 e fu
restaurata da un’architetto armeno, infine la parte orientale crollò nel 1346. Mutamenti più radicali furono
operati dai conquistatori turchi nel 1453: ai quattro angoli furono eretti minaretti, belli in sé ma in contrasto
con l’ampia curva della cupola, mausolei turchi furono attaccati alle fiancate dell’edificio, all’interno i
mosaici furono coperti con una tinta gialla e quattro enormi scudi con versetti del Corano furono appesi ai
pilastri che fiancheggiano l’abside e l’entrata. Il sistema strutturale di Santa Sofia è audace ma semplice, fu
tranciato un grande rettangolo di 71 metri e al suo interno quattro grandi pilastri s’innalzano agli angoli di
un quadrato, a 21 metri da terra si staccano quattro arconi quelli ad est e a ovest liberi, quelli a nord e sud
incorporati nei muri laterali della navata e difficilmente percepibili dall’interno, mentre all’esterno
sporgono decisamente al di sopra del tetto. Quattro pennacchi di forma leggermente irregolare collegano
gli archi, dall’apice degli archi e dal sommo dei quattro pennacchi che li collegano nasce la cupola
principale, una sorta di gigantesca conchiglia sostenuta da quaranta nervature collegate da quaranta
triangoli curvi. All’esterno quaranta piccoli contrafforti incorniciano quaranta piccole finestre, i pilastri a
nord e a sud s’innalzano al di sopra dei tetti delle navate laterali per controbilanciare le spinte laterali degli
archi a est e a ovest e, indirettamente della cupola maggiore. Forse in un secondo momento si decise di
introdurre elementi a forma di torre in cima a questi contrafforti in modo da assicurarli contro le spinte
della cupola e degli archi. D’altra parte non si sa fino a che punto le spinte longitudinali siano
controbilanciate dalle due grandi semicupole che si aprono a est e a ovest e che poggiano sui pilastri
principali e su due coppie di pilastri secondari . Indubbiamente queste semi cupole sono troppo sottili per
esercitare una forte controspinta, e infatti le loro sommità sono crollate più di una volta. Nondimeno come
dimostra la deformazione della base della cupola, la loro forza era sufficiente a neutralizzare la spinta della
prima cupola, che era più bassa. Mentre i catini absidali più piccoli che si aprono lungo gli assi diagonali
sulle campate delle semicupole, inseriti tra i pilastri che le sostengono, si limitano ad addossare il loro
sottile guscio alle semicupole senza neutralizzarne la spinta. Questo nucleo centrale composto di pilastri,
archi, cupole, semicupole e catini costituisce il nucleo interno di un edificio a doppio involucro. Simile a un
baldacchino esso si leva libero nello spazio, autonomo rispetto alle unità componenti circostanti,
analogamente navatelle, nartece e gallerie rimangono nell’insieme autonomi rispetto alle strutture portanti
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del nucleo interno. Le loro volte poggiano su colonne e pilastri liberi e sono legate ai pilastri e ai muri
principali solo da sottili volte a crociera e a botte. Altrettanto semplici e geniali sono i metodi costruttivi
adottati, solo gli otto pilastri sono costruiti in grandi blocchi di pietra, i muri in tutto il loro spessore sono
fatti di sottili mattoni affondati in letti di malta alti sino a 7 centimetri, attraversati da filari di pietra
collocati, chiaramente alla base delle volte. Mattoni messi di taglio anziché di faccia, con spessi letti di malta
formano delle volte straordinariamente sottili e leggere, essi si saldano ai muri in una massa elastica quasi
omogenea. La concezione della struttura si rivela al centro dell’edificio, stando sotto il culmine della cupola
il visitatore comincia ad afferrare il grande spazio, la sequenza delle forme spaziali si sviluppa sia in senso
centrifugo intorno a un asse centrale e sia longitudinalmente dalla zona d’entrata dell’abside, i giganteschi
pilastri che sostengono gli arconi del quadrato centrale e i pilastri secondari a est e a ovest, sono spinti
lateralmente dentro le navatelle e le gallerie, al loro posto l’occhio incontra lisci piani verticali. Arcate di
cinque luci accompagnano la navata su ogni lato, sormontate da arcate a sette luci nelle gallerie, sopra
ancora sembra che nel muro superiore si aprivano sette finestre sormontate a loro volta da un finestrone
unico, suddiviso da pilastri. Nei nicchioni a oriente e a occidente vi sono tre archi al piano terra, sopra a
questi all’altezza ve ne sono sette, seguono poi cinque finestre lungo il bordo del catino absidale e questo
ritmo viene ripetuto da altre cinque finestre alla base della semicupola orientale e di quella occidentale; il
ritmo ternario è di nuovo ripreso dalle tre aperture che si affacciano sulla navata dalla galleria ovest e dalla
doppia fila di finestere, tre per fila che si aprono sull’abside. Benchè articolate da questo ritmo di tre,
cinque e sette le unità spaziali non sono ben definite, ogni unità infatti si espande al di là di quelli che
sembrano essere i suoi naturali confini. I pilastri e i muri della navata sono rivestiti di lastre di marmo in tre
sezioni; nella prima, lastre di marmo verde affiancate da lastre di marmo grigio gialliccio con vene
purpuree, al di sopra porfido incorniciato da marmo scuro bluastro con venature gialle e infine la terza
sezione ripete la prima. I capitelli sono tutti fasciati di fogliame con lucenti foglie e ramoscelli di marmo che
spiccano contro le ombre dense del fondo. Cupole e semicupole, volte e intradossi splendevano di mosaici,
la prima cupola era coperta di un semplice mosaico d’oro, mentre la nuova cupola del 563 presentava una
grande croce, le finestre erano schermate da lastre di vetro presumibilmente colorato, come quelle trovate
a San Vitale a Ravenna, la luce doveva gradualmente aumentare dalla zona in ombra delle navate laterali,
alla zona più chiara delle gallerie e infine alla zona delle finestre della navata centrale. A prima vista le
navatelle e le gallerie appaiono spazi autonomi, tuttavia l’impressione dura solo fino a quando si osservano
nel senso della lunghezza, una visuale mai prevista. Invece sia le navatelle che le gallerie sono state pensate
come luoghi da cui vedere la navata, ma vista dalle navatelle e dalle gallerie la navata resta seminascosta da
diaframmi di colonne che si raddoppiano al centro dove altre due colonne sostengono le volte della doppia
campata. Tuttavia anche l’esterno non è meno straordinario, i volumi crescono l’uno sull’altro e l’occhio e
impercettibilmente guidato verso l’antecoro, di qui alla semicupola orientale e infine in alto alla cupola.
Durante le celebrazioni i fedeli erano per lo più ammasati nelle navatelle e nelle gallerie e vedevano solo
parti dell’edificio, così come solo parzialmente potevano vedere la solenne celebrazione delle funzioni.
Invece i due poteri entravano in chiesa insieme dall’ingresso minore per raggiungere i posti loro destinati, il
patriarca e il clero nel santuario, l’imperatore e la sua corte nel recinto imperiale nella navatella sud. La
navata quindi era un palcoscenico sul quale la processione avanzava, lungo un solenne percorso, dalla porta
reale alla solea e lungo questa verso il bema. Il clero emergeva per la lettura delle Scritture e raggiungeva
l’ambone, che sorgeva all’inizio della solea, sotto il bordo orientale della grande cupola.
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Molto vicina a Santa Sofia, come pianta e particolari, anche se non come qualità è la chiesa dei Santi Sergio
e Bacco, una variante più semplice dell’edificio a doppio involucro. La pianta ottagonale a prima vista
sembra differire dalla pianta composita di Santa Sofia, tuttavia la differenza è solo appartente e in Santa
Sofia sono presenti tutti gli elementi di un ottagono a doppio involucro: la cupola centrale, le nicchie che
protrudono, le navatelle e le gallerie tutt’intorno. Ma queste componenti sono state per così dire smontate
e ricomposte per il luogo, per la semplice ragione che le dimensioni volute per la grande chiesa di
Giustiniano rendevano impossibile l’attuazione radiale di una pianta ottagonale. L’edificio fu inserito a forza
in un’area irregolare tra il palazzo di Hormisdas e la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, l’aggiunta della chiesa
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dei Santi Sergio e Bacco fece si che le due chiese diventassero una chiesa doppia con nartece, atrio e
propilei in comune, che si estendevano sul davanti di entrambi gli edifici, inoltre la chiesa dei Santi Sergio e
Bacco comunicava sia con la basilica che con il palazzo imperiale, attraverso portici aperti su entrambi i
piani, venendo così a costituire il centro dell’intero complesso. Costruito tutto in mattoni con spessi letti di
malta e rinforzato con catene di blocchetti di pietra, l’edificio è sostenuto da otto pilastri che formano un
ottagono inserito in un quadrilatero irregolare. Nicchioni rettangolari e semicircolari alternati collegano tra
loro i pilastri e penetrano negli spazi periferici di un deambulatorio e di sovrastanti gallerie che circondano
l’edificio, l’uno e l’altro interrotti, in asse con l’ingresso, da un antecoro e da un’abside. Coppie di colonne
nella curva delle nicchie sostengono un architrave al piano inferiore e tre archi all’altezza delle gallerie. Lo
spazio centrale è sormontato da una cupola ad ombrello a sedici spicchi, nei quali quelli rettilinei, a filo con
la parete si alternano con segmenti curvi. Il principio ispiratore è quindi simile a quello di Santa Sofia, lo
spazio centrale, che a prima vista si comprende facilmente, perde la sua chiarezza quando viene visto dal
deambulatorio e dalle gallerie. Lo spazio si espande nelle nicchie e dalle nicchie nel deambulatorio, ma è
definito da semplici diaframmi, infatti gli intercolumni delle nicchie come pure dietro di esse, gli archi dei
muri esterni distolgono l’occhio dal vano centrale e lo guidano, attraverso il deambulatorio, in spazi il cui
rapporto con quello centrale rimane incomprensibile. Al pian terreno, i capitelli ondulati sono ricoperti
interamente da girali d’acanto spinoso che incorniciano il monogrammo di Giustiniano e croci, l’intradosso
dell’architrave è a cassettoni e decorato con rosette, quadrati e punte di diamante, l’architrave triplo è
sormontato da un motivo di perline e fuselli che è seguito a sua volta da un motivo di ovoli,dardi e viticci
profondamente intagliato, sicchè le foglie e i viticci spiccano nettamente contro il fondo scuro.
RAVENNA S. VITALE
San Vitale è stato spesso considerato un edificio assai simile alla chiesa dei Santi Sergio e Bacco, infatti la
sua pianta è abbastanza vicina a quella della chiesa constantinopolitana: il nucleo centrale ottagonale,
coperto da una volta sostenuta da otto pilastri ed arconi, le due zone sovrapposte con deambulatorio e
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matroneo che lo circondano, le sette nicchie tra i pilastri che reggono la cupola centrale e che sorgono
dall’anello circostante e nell’ottavo lato il presbiterio quadrato e l’abside più bassa e aggettante che
attraversa la fascia del deambulatorio e della galleria. I capitelli provenivano anch’essi dai marmorai del
Proconneso, ma per quest’ultimi fu usato un modello diverso, poiché quelli usati a Costantinopoli erano da
tempo passati di moda; quelli a tronco di cono con carnose palmette di loto incorniciate di vimini
richiamano San Polieucto e solo i densi e aguzzi racemi su altri capitelli a tronco di cono o a lobi ondulati
richiamano la chiesa dei Santi Sergio e Bacco. L’edificio è stato realizzato da maestranze locali e in gran
parte in materiale locale, ma con mattoni diversi da quelli spesso usati precedentemente a Ravenna e in
tutta l’Italia settentrionale, ed erano sottili e lunghi imitando quelli di Costantinopoli. La volta che copre il
vano centrale è costruita non in mattoni posti di taglio ma con la tecnica occidentale dei vasi laterizi
parzialmente infilati l’uno dentro l’altro, anche la pianta e l’alzato differiscono dalla chiesa dei Santi Sergio e
Bacco: l’anello del deambulatorio e del matroneo non erano a volte e di conseguenza acquistava una
maggiore importanza il vano centrale cioè il baldacchino centrale e il presbiterio, le parti cioè dove si
concentrano le decorazioni musive, il rivestimento dei pilastri in marmo a ricche venature, i capitelli più
elaborati e l’opus sectile del pavimento. Qui viene abbandonato il ritmico alternarsi di nicchie rettangolari e
semicircolari che caratterizza la pianta dei Santi Sergio e Bacco, mentre la successione di nicchie
semicircolari conferisce una nuova unità all’insieme, quest’unità è accentuata dalle proporzioni dell’edificio,
che si sviluppa molto più in verticale, dalla disposizione delle arcate sia nella zona superiore che in quella
inferiore delle nicchie e dall’agilità degli archi che le sovrastano. All’esterno, basse cappelle circolari
fiancheggiano l’abside poligonale, dall’abside l’occhio sale ai tetti delle gallerie, del presbiterio e infine al
tetto del vano centrale. Quando il visitatore attraversa l’ampio quadriportico quadrangolare dell’atrio ed
entra nel lungo e stretto nartece, non si accorge della posizione anomala del nartece stesso, posto fuori
asse tocca un solo angolo del muro perimetrale dell’edificio, esso comunica col deambulatorio attraverso
spazi subordinati di forma triangolare.
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L’ARCHITETTURA BIZANTINA DOPO GIUSTINIANO (VI-XI SEC.)
CENNI SULLE TIPOLOGIE: AULA, TRICONCO, PILASTRI LIBERI, CROCE GREGA, QUINCONCE
Appare nel VII secolo e costituisce l’inizio dello schema cosiddetto “a croce inscritta”, molto diffuso
nell’architettura bizantina del periodo macedone. Si tratta di organismi il più delle volte a tre navate, con
abside semicircolare non sporgente tipico delle chiese della Siria oppure poligonale sporgente come accade
per le chiese di Bisanzio, a volte anche le navate minori hanno un’abside, oppure terminano in due
ambienti autonomi come prothesis e diaconicon.
TRICONCO
Chiesa con pianta centralizzata, il cui centro della composizione è la zona presbiteriale trilobata, su cui si
innesta una sola navata (aula). Sul quadrato del presbiterio si innalza la cupola, mentre i tre lobi sono
costituiti da altrettante absidi voltate
QUINCONCE
E’ una chiesa a cinque cupole formata da una cupola centrale che poggia su quattro colonne o pilastri,
connessi da volte a botte o a crociera, disposte a formare una croce greca. Questo sistema, è inscritto in un
quadrato, i quattro quadrati risultanti dall’intersezione sono coperti con vele o crociere, ma anche con
cupole più piccole. L’interno ha così una forma centralizzata, perfettamente simmetrica, a cui si aggiunge, a
est, un bema tripartito, generalmente terminante in tre absidi.
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CHIESA A CROCE GRECA
E’ la più semplice per concezione e composizione, quattro robusti pilastri segnano gli angoli del quadrato
centrale: pieni oppure cavi su due piani, comprendono piccole campate con volte a crociera, i pilastri
sostengono le volte a botte dei quattro bracci della croce, ognuno chiaramente distinto e tutti di profondità
più o meno uguale. Una cupola su pennacchi parte dagli apici delle volte a botte ed è racchiusa in un basso
tamburo forato solo da poche finestre. Il braccio oriantale, che a volte continua in una seconda e breve
campata serve come area presbiteriale, concluso da un’abside è fiancheggiato da vani laterali con absidiole.
La Cattolica di Stilo, rientra nella tipologia della chiesa a croce greca inscritta in un quadrato, tipica del
periodo medio-bizantino. All'interno quattro colonne di materiale e altezze diverse dividono lo spazio in
nove parti, all'incirca di pari dimensioni, il quadrato centrale e quelli angolari sono coperti da cupole, i
tamburi sono rivestiti da quadrelli in cotto disposti a reticolato, interrotti da una cornice a denti di sega sulle
finestre, la cupola centrale invece è leggermente più alta ed ha un diametro maggiore. Su un lato sono
presenti tre absidi a strapiombo sulla valle circostante e poggiano su un basamento contraffortato
realizzato con pietrame e laterizio. L’esterno si presenta come un cubo di 7,80x7,30 m per un’altezza al
sommo della cupola centrale di 7 m, interamente costruita con filari di mattoni su alti letti di malta, in
contrapposizione con la tecnica di costruzione calabrese che preferiva l’utilizzo del pietrame come si può
vedere dal contrafforte che regge la zona absidale.
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PREROMANICO E PROTOROMANICO
E’ un’architettura di corte, promossa dalla famiglia imperiale e dall’alto clero, l’aspetto più evidente di
questa architettura è la ripresa dei modi tardo-antichi e delle forme classicheggianti, l’imitazione delle
forme e dei monumenti romani. L’architettura diventa un segno del potere imperiale, perché: sul territorio
simboleggia fisicamente la presenza del sovrano, la cui sede privilegiata è Aquisgrana, ma che tende a
muoversi all’interno dell’Impero, per meglio controllarlo, mentre sul piano politico e ideologico testimonia
la fusione della tradizione culturale romana con la civiltà e spiritualità cristiana delle origini.
La Cappela Palatina di Aquisgrana eretta da Carlo Magno faceva parte di un grande complesso al centro
della nuova capitale, sorto quale sede del potere imperiale e composto principalmente da un grande atrio
porticato situato sulla fronte della Cappella, di una lunga galleria che collegava l’atrio all’Aula Regia e da
una serie di piazze con le sedi dell’amministrazione dello Stato. Il progetto a cui la Cappella Palitina si è
ispirato è certamente la chiesa di S. Vitale a Ravenna anch’essa cappella di palazzo, le due cappelle hanno in
comune l’impianto ottagonale, il peribolo anulare avvolgente su due piani con i trifori ad archi su colonne e
la doppia copertura costituita da una cupola con tetto sovrapposto. Ma le differenze esistenti e riscontrabili
fra le due architetture sono tali da determinare delle caratterizZazioni linguistiche profondamente diverse.
Infatti l’organismo del S. Vitale è costituito da un ossatura agile e relativamente esile, mentre qullo di
Aquisgrana risulta molto più robusto con pilastri e muri di forte spessore, e analogamente la cupola del
primo si presenta come una struttura leggera, composta da anelli di tubi fittili, mentre l’altra è costituita da
una normale calotta di muratura di medio spessore. Poi molto evidente è la diversità nello sviluppo in
altezza, poiché l’architetto Eudo di Metz, seguendo la tendenza carolingia e poi germanica dello sviluppo in
verticale del Westwerk e dei santuari, costituisce quattro piani di aperture aumentando l’altezza del vano
fino a renderlo quasi turriforme. Ma la vera e radicale differenza tra i due interni monumentali risiede nella
conformazione data nelle pareti dell’ottagono, che ad Aquisgrana sono allineate secondo i piani che
formano l’invaso prismatico, mentre a Ravenna si incurvano in profondità a costituire le grandi nicchie
forate dal portico e dalla loggia sovrapposta, ed è proprio questa conformazione che definise S. Vitale come
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la massima espressione dell’architettura bizantina nella sua versione ravennate. Del tutto diverso è invece il
carattere figurativo della Cappella Palatina dove gli effetti di immaterialità delle superfici e delle strutture
sono rigorosamente banditi, qui infatti il grande vano verticale si pone in forma di prisma eretto e misurato,
nettamente definito e realizzato con i volumi esatti, il taglio netto dei pilastri e degli archi, gli spigoli vivi e le
cornici affilate.
MODIFICHE TIPOLOGICHE, SPAZIALI, FUNZIONALI NEI SISTEMI BASILICALI DELLE GRANDI ABBAZIE
L’impegno innovativo della cultura architettonica carolingia trova il suo primo e più importante
compito nell’interpretazione della tipologia della basilica delle grandi chiese e questo sviluppo
risulta realizzato in modo esemplare nell’abbazia di Fulda; questa grande chiesa presentava una
risoluzione architettonica contraddistinta da un grande transetto continuo situato sul lato Ovest,
fortemente sporgente rispetto alle navate minori e dotate di testate con pareti o intercolumni
divisori, un impianto che si definiva come un richiamo diretto all’organismo del S. Pietro
costantiniano di Roma, questo rivela il preciso intendimento di creare al Nord, nel cuore
dell’impero, una fedele immagine della basilica vaticana chiamata a rappresentare una forma
ispirata dalla purezza e spiritualità dei primi secoli cristiani. La risoluzione adottata a Fulda in modo
così netto e deciso non costituisce un esempio isolato, poiché la forma del transetto continuo e
sporgente compare già nell’abbazia di Saint-Denis, ma l’abbazia di Fulda reca anche un’altra e più
singolare innovazione, quella dell’aggiunta di un secondo abside situato ad oriente in immediato
contatto con il transetto, ciò è dovuto alla necessità di poter dispore in aggiunta all’altare
maggiore situato sul presbiterio occidentale, di un altro presbiterio come santuario dove sistemare
le reliquie di san Bonifacio, fondatore del monastero. Questa nuova e più importante modifica
recata alla tipologia basilicale, incide direttamente e fortemente sui modi con i quali è possibile
esercitare la fruizione visiva dell’opera architettonica, l’aggiunta del secondo abside e la
conseguente mancanza della porta d’ingresso situata sull’asse di simmetria dell’edificio obbligano
ad entrare attraverso altre porte situate sui fianchi o sulle testate esistenti a lato dell’abside, tale
diversa condizione d’ingresso esclude a chi entra la possibilità di afferrare, immediatamente nelle
sue linee essenziali, l’immagine dell’interno, che si può cogliere unicamente lungo il percorso
assiale di penetrazione della nella navata. In tal modo questa nuova forma di chiesa-basilica
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richiede la sostituzione del consueto modo di fruizione visiva, semplice e monodirezionato, con
una lettura multipla, bivalente e alternata, che introduce alcuni elementi di ambiguità figurale.
WESTWERK
La forma bivalente delle basiliche a cori contrapposti non costituisce la sola innovazione adottata
nell’architettura chiesistica dell’età carolingia, poiché ad essa occorre aggiungere una creazione
certamente singolare e fortemente caratterizzata, il westwerk. Si tratta di una forma-struttura
nuova o del tutto diversa conferita al corpo anteriore della chiesa, il quale visto dall’esterno
appare costituito da un blocco imponente di alte torri (di solito due laterali e una centrale più
grande) che includono tre o quattro piani fuori da terra, con il pian terreno interamente destinato
a vestibolo e conformato come un grande portico su colonne o pilastri. L’impulso formativo che ha
ispirato questa risoluzione architettonica specialmente per quanto riguarda le dimensioni e
l’ubicazione del westwerk è con ogni evidenza quello di contrapporre alla consueta emergenza
volumetrica della zona presbiteriale, una concentrazione di masse murarie altrettanto imponenti,
così da conferire alla chiesa il profilo di un grande corpo allungato e rettilineo, rafforzato agli
estremi dalla complessa e variata concentrazione di due possenti strutture, simili quasi a fortezze;
una nuova forma architettonica tipicamente germanica.
CRIPTE
L’età carolingia segna per l’Occidente il primo sviluppo della cripta intesa come insieme di uno o
più vani complementari alla chiesa, ricavati nel sottosuolo in corrispondezza del presbiterio. Essa
trova origine nelle grandi tombe apostoliche realizzate nelle grandi basiliche romane in età
costantiniane , più tardi a partire dal VII secolo assume oltre alla funzione sepolcrale, quella di
custodia di reliquie e di sacre memorie. L’inizio della realizzazione delle cripte in Occidente è
indicato nella costruzione della cripta semianulare della basilica vaticana di S. Pietro, composta da
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un corridoio radente alla superfice interna della fondazione absidale e da un altro corridoio
rettilineo posto lungo l’asse della chiesa che portava alla tomba dell’apostolo. La capacità creativa
del Nord Europa si rivela in un ampia varietà e ricchezza di soluzioni, come ad esempio la cripta
con pianta a triplice croce caudata della basilica carolingia di Steinbach, quella con planimetria a
doppio pettine di Saint-Médard di Soissons.
Un’altro monumento che mostra il fedele ricordo delle forme architettoniche romano-classiche è
la Torhalle di Lorsch edificio d’ingresso dell’area dell’omonimo monastero reale. Qui il portico del
piano terra costituisce una diretta ripresa del motivo romano dell’ordine arcuato, con una
semplice cornice al posto della trabeazione, ripresa dal Teatro di Marcello e dal Colosseo, e con
una sorprendente imitazione del capitello composito, disformato ma aderente al modello. La
fronte del piano superiore radicalmente diversa, è invece decorata da un ordine di sottili lesene
sormontate da timpani triangolari acuti.
La disgregazione dell’impero carolingio provoca il parziale ma rilevante arresto delle attività edilizie fra la
metà del IX e la metà del X secolo, specialmente nell’impero germanico, dopo circa un secolo di silenzio ed
inerzia, l’eredità culturale dell’impero carolingio passa direttamente all’impero germanico (il Sacro Romano
Impero della nazione germanica) cioè al Regnum Francorum degli imperatori Sassoni o degli Ottoni.
L’architettura ottoniana reca il proprio inconfondibile carattere di architettura aulica, semplice e solenne, le
scelte linguistiche di certo direttamente controllate dai committenti, sono rivolte a valorizzare la schietta
essenzialità delle strutture e ad ottenere effetti di maestosa imponenza, dal taglio deciso delle alte pareti e
dal ritmo delle pilastrate, gli effetti realizzati sono quelli di una forma architettonica esattamente
proporzionata, fortemente composta e scandita, semplice e severa di alta dignità sacrale. Il processo di
sviluppo dell’architettura ottoniana trova anzitutto motivazione nelle nuove richieste d’ordine pratico
riguardante l’esercizio del culto. I mutamenti e gli sviluppi della liturgia tendono a diversificare le diverse
funzioni religiose con dirette conseguenze su dimensionamento e sulla destinazione degli spazi interni,
mentre l’ormai diffusissima venerazione delle reliquie e l’espansione e del culto per i Santi si riflettono nella
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moltiplicazione degli altari da sistemare in ubicazioni adeguate. L’esigenza di poter disporre di uno spazio
più ampio ove ospitare il clero, porta ad inserire un vano rettangolare e profondo tra crociera e abside
chiamato coro, nello stesso tempo però le grandi chiese ottoniane perdono le funzioni politico-civili
conferite ed espresse nel Westwerk carolingio, che si trasforma in Wesrbau e Westturm complessi muniti di
torri posti a costruire il prospetto occidentale che più tardi assumeranno la tipica forma delle facciate a due
torri, largamente impiegata in età romanica e gotica. La forma architettonica delle grandi chiese ottoniane è
fondata sopra una concezione geometrica dello spazio limpida ed essenziale che nella sua versione più
matura (il cosidetto tipo a crociera regolare) reca il quadrato dell’incrocio fra navate , coro e transetto ,
delimitato da quattro archi uguali, che si estende a scandire tutti gli spazi della stessa navata e transetto,
nel caso del transetto basso, l’incrocio è invece risolto con una aggregazione di volumi geometrici
differenziati mediante la riduzione dell’altezza dell’innesto delle due ali della navata traversa.
S. MICHELE A HILDESHEIM
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regolarità propria alle corrispondenze geometriche fondamentali.
CATTEDRALE DI SPIRA
L'aula della cattedrale di Spira è suddivisa in tre navate da una serie di pilastri con semicolonne addossate.
La navata centrale, alta 33 metri, appare molto luminosa grazie alle grandi monofore delle pareti laterali e
piuttosto slanciata grazie alla mancanza di matroneo o del triforio. La cappella principale della chiesa è
costituita dalla Doppelkapelle o Cappella Doppia, costruita a partire dal 1050, si compone di due vani
sovrapposti con pianta quadrata divisa in tre navate da quattro colonne romaniche dai capitelli finemente
scolpiti. Sono comunicanti con l'apertura ottagonale della campata centrale del soffitto divisorio.
La Unterkappelle (Cappella Inferiore), al piano terra, è dedicata a Sant'Emmerano ed utilizzata
come battistero; la Oberkapelle (Cappella Superiore), coperta da volte a crociera, è dedicata a Santa
Caterina e vi si espongono le reliquie, fra le quali quelle di San Pirmino. Come in gran parte delle grandi
chiese coeve, anche la cattedrale di Spira presenta un transetto, quest'ultimo, di notevoli dimensioni, è
dotato di due cappelle semicircolari (una per braccio) sulle pareti in fondo alle navate laterali.
Nella crociera, all'intersezione fra la navata centrale, il transetto e l'abside, vi erge una cupola ottagonale
coperta da semplice volta a ombrello in cui si aprono delle monofore con arco a tutto sesto. La chiesa, in
realtà, è priva di una vera e propria facciata, poiché, il corpo delle tre navate è preceduto dal
tipico westwerk, costituito da tre campate, ognuna abbinata ad uno dei tre portali del tempio ed è possibile
suddividerlo in tre piani sovrapposti: nartece, spazio interno illuminato da un rosone (al centro) e da
due monofore ai lati e una galleria di archetti ciechi.
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L’ARCHITETTURA ROMANICA. IL CONTESTO EUROPEO TRA XI E IL XII SECOLO.
IL NUOVO CONTESTO SOCIO ECONOMICO E CULTURALE DOPO L’ANNO MILLE
Con l’inizio del romanico vi è la rinascita dell’architettura e come diretta conseguenza la rinascita delle città,
nascono nuovi centri urbani con criteri urbanistici diversi da quelli classici, anche quando la città sorge su un
precedente impianto romano: posizione dominante, forma chiusa, per lo più circolare con un impianto ad
anelli concentrici e mura di cinta che ne seguono lo sviluppo e una maglia urbana irregolare, con strade
anguste e tortuose, poli principali costituiti dal castello e dalla cattedrale (o abbazia) e poli minori costituiti
dagli altri luoghi pubblici.
LE CHIESE DI PELLEGRINAGGIO
La maggiore più rilevante realizzazione del romanico in Francia nei secoli XI e XII, è costituita dalla
costruzione delle così dette chiese di pellegrinaggio, sedi di santuari situati lungo le strade che,
muovendo dalle diverse regioni, scavalcano i Pirenei a Roncisvalle e a Somport, e attraversano la
Navarra e le Asturie, raggiungendo la meta finale del più celebre santuario di Santiago de
Compostela in Galizia, attaverso questo percorso arrivavano nelle varie regioni non solo i fedeli-
pellegrini di tutta Europa ma anche mercanti e correnti culturali. L’elaborazione di questo nuovo
tipo di edilizia chiesistica spetta alla Francia centrale, dove la ricerca compositiva, muovendosi dal
tema della cripta e del sovrapposto coro-presbiteriale, sviluppa un processo di definizione che si
conclude nella chiesa di Saint-Martin di Tours, basilica voltata mediante tre importanti innovazioni
l’adozione dello chevet a coro deambulato, la scelta della navata cieca con il conseguente rilievo
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conferito alla galleria e la trasformazione del transetto in un grande corpo trasversale su tre
navate, analogo ed in tutto simile al corpo longitudinale delle navate. Le innovazioni introdotte
nelle tipologie, nell’organismo statico-costruttivo e nella risoluzione architettonica dell’edificio sul
finire del X secolo e durante la prima metà dell’XI, si diffondono rapidamente nell’intero territorio
francese, trovando diversità di applicazione dovute alle diverse tradizioni e condizioni ambientali,
in tal modo il coro deambulato, la struttura a pilastri composti e la copertura a volta diventano di
generale impiego. Ma le risoluzioni acquisite non sono accolte come definitive e accettate per
lungo tempo, infatti è possibile individuare nuove tendenze nella progettazione delle grandi
chiese, la prima delle quali riferita alla risoluzione del problema dell’illuminazione diretta delle
navata centrale delle chiese di pellegrinaggio, attraverso un delle pareti della stessa navata tale da
consentire l’apertura di finestre nel tratto verticale del muro superiore alla galleria, mantenendo la
copertura a botte. Altrove invece vi è la tendenza a liberare la sommità della navata centrale dal
pesante ingombro delle strutture di contraffortamento collocate sui fianchi, si trasforma nello
sforzo di restituire alla navata centrale la sua originaria preponderanza dimensionale, strutturale e
prospettica. E’ un processo di semplificazione, con la rinunzia alla presenza del sistema distribuito
e portante dei matronei e con l’apparente ritorno alla tipologia della basilica su tre navate,
direttamente illuminata nella navata centrale, ma l’esigenza di mantenere la copertura a volta
comporta la necessità di trasformare la struttura del vano unico in un sistema statico dotato di un
equilibrio autonomo, assicurato da muri continui di forte spessore, contrafforti esterni e carichi
verticali sulle strutture spingenti.
La condizione per poter accettare la consueta divisione per regioni dell’architettura romanica in Francia
nell’ultimo quarto dell’XI e nel XII secolo è quella di considerare i gruppi di monumenti che presentano
caratteri comuni, quale frutto di correnti di cultura architettonica e figurativa, distinte dalle corrispondenti
sedi territoriali e tali da offrire la presenza di un’autonomia linguistica unitaria e caratterizzata. Nella
Borgogna dopo Cluny, il monumento più rappresentativo è l’abazia di Vezelay, importante centro di
pellegrinaggio e dedicata a Maria Maddalena, edificata in tre fasi ( dal 1104 al 1132 le navate, dal 1135 al
1151 il nartece su due piani e dal 1190 al 1215 il transetto e il coro gotico) e nella quale si conclude il già
detto processo di semplificazione rivolto a restituire all’organismo una struttura semplice ed essenziale,
specialmente mediante la rinunzia alla galleria. Anche la regione dell’Alvernia presenta una produzione,
architettonica qualificata, omogenea e con ben definiti caratteria propri. Il modello organico adottato è
quello di una chiesa su navate,con la navata cieca coperta a botte, con matronei a semibotte rampante,
coro deambulato dotato di cappelle radiali, transetto sporgente con cappelle orientate e paramenti esterni
con disegni geometrici a colori di ascendenza islamica. Si tratta di una tipologia che assume un proprio
spiccato carattere, per la costante presenza di un alto massiccio centrale, posto a coprire la zona mediana
del transetto e a servire da base ad una slanciata torre ottagonale; il corpo della chiesa risulta così
fortemente sopraelevato al di sopra delle altre coperture da costituire il motivo centrale e dominante
dell’intero impianto. Un’altra singolare proprietà delle chiese alverniate è costituita dalla distinzione
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(visibile negli interni) fra il vano vero e proprio della crociera e le zone a contatto, ottenute mediante la
costruzione di quattro muri, sorretti dalle arcate terminali dei bracci della croce; muri forati da trifore
interne, che sorreggono la calotta sottostante alla torre. Il monumento che meglio rappresenta i caratteri
alveniati è Notre-Dame –du-Port di Clermont-Ferrand. Nel cuore dell’Aquitania per risolvere il problema
riguardante la realizzazione della copertura a volta nelle chiese, vi è l’abbandono del criterio di
subbordinare la forma e la collocazione della copertura a volta alla predeterminata posizione dei piedritti di
sostegno, assegnando invece la preferenza al metodo di vincolare la posizione, dimensione e forma delle
strutture verticali ad un modello prefissato di copertura. La scelta di tale modello rivela l’esistenza di un
concreto rapporto della cultura aquitanica con l’arte bizantina, poiché la cellula compositiva assunta quale
elemento fondamentale di queste chiese è costituita da quattro arcate poste sui lati di un quadrato di base,
a sostegno di altrettanti pennacchi sferici, coronati da un cerchio orizzontale in funzione di base di una
calotta emisferica; essa ripete perciò un modulo architettonico usato per secoli nell’impero d’Oriente,
anche se provvede in forme romaniche robuste e schiette, e con l’aggiunta di motivi di raccordo con le
pareti. L’architettura di questa regione utilizza tale modulo compositivo per realizzare chiese ad una navata
costituite da una successione di calotte eguali o quasi, allineate lungo un asse rettilineo, con l’aggiunta di un
coro absidale. A Poitou, l’intera regione adotta la tipologia della chiesa a sala, sulla traccia segnata dalla
costruzione dell’abbazia di Saint-Savin-sur-Gartempe, ma con un più deciso carattere di organismo a navata
cieca: tre navate su pilastri a tutta altezza, volta a botte sulla navata grande con anelli anche a sesto acuto,
navate laterali a crociera o a semibotti rampanti e torre quadrata sulla crociera. E’ invece la Normandia a
presentare un complesso di monumenti tra i più numerosi e rappresentativi. La prima opera normanna è
l’abbazia di Bernay, iniziata nel secondo decennio dell’XI secolo e completata intorno alla metà del secolo, i
suoi caratteri specifici sono il transetto e il coro triplice, entrambi benedettini, che riprendono le
disposizioni adottate a Cluny II, e la presenza, per la prima volta del camminamento ricavato nello spessore
dei muri alla quota delle finestre. Ma Bernay reca anche una diversa e nuova interpretazione architettonica
della navata, qui realizzata come un grande vano ricavato fra due muri continui e paralleli, interrotti
soltanto da brevi arcate di comunicazione con i vani contigui; in tal modo il muro sostituisce il pilastro o la
colonna, il pieno della parete prevale sul vuoto delle arcate, mentre anche le testate dei piloni di crociera
mostrano delle spalle altrettanto larghe e sporgenti; si tratta di una proposta per un modo differente di
articolare lo spazio interno che non ha avuto seguito.
CLUNY
La prima abbaziadi Cluny fondata nel 910, sorgeva sui terreni di caccia di Guglielmo di Aquitania in
Borgogna, era una chiesa di modeste dimensioni infatti tra il 955 e il 1044 la chiesa fu ricostruita e indicata
come Cluny II, mostrava un ampio presbiterio, con absidi anche sul transetto, e un coro allungato, tripartito
e con deambulatorio. La chiesa di Cluny, divenuta il luogo di maggiore richiamo monastico ed anche
ecclesiale della cristianità, divenne troppo piccola per l'affluenza dei fedeli. Nel 1088 l'abate Ugo decise la
costruzione della terza chiesa abbaziale (Cluny III) che costituì l’impianto più grandioso realizzato durante
tutto il Medioevo, dotato di cinque navate su 187m di lunghezza, coro deambulato con cappelle radiali,
grande nartece e sette torri; un monumento in cui l’intervento dei grandi abati nell’ideazione ed esecuzione
del progetto appare decisivo. L’originalità di questo organismo risiede non solo nella straordinaria
complessità del suo insieme, che si riflette nella grande varietà di visuali e di effetti prospettici degli interni,
ma anche nella tendenza ad aumentare in modo ancor più accentuato l’altezza della navata rispetto alla
larghezza, nella generale adozione del sesto acuto negli archi e nelle volte, nell’introduzione di un nuovo
sistema di illuminazione e di un diverso proporzionamento delle strutture. La navata centrale coperta a
botte acuta ad anelli, mostra una nuova partitura dovuta alla grande altezza delle arcate, che riduce
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fortemente la superficie della parete sovrastante, nella quale, abolito il matroneo o galleria, trovano posto
un falso triforio e una fascia continua di finestre situate alla sommità, che versa un abbondante flusso
luminoso nella zona alta del vano, lasciando il resto in penombra. Nelle navate laterali, le agili proporzioni e
le forme a sesto acuto degli archi e delle volte presentano modi di carattere pregotico, mentre nell’ordine
di lesene scanalate del triforio e dei corrispondenti capitelli, risultano evidenti i richiami a forme e modi
romano-classici.
NOTRE-DAME A JUMIEGES
Nella grande abbazia di Notre-Dame de Jumieges, risulta definito il sistema architettonico normanno della
navata che regola la partitura generale dell’interno sviluppato su tre piani: in basso reca la doppia cadenza
dovuta all’accoppiamento di due archi intervallati da una colonna e inquadrati da due pilastri con
semicolonne addossate che si innalzano fino alla quota del tetto; al di sopra vi è la galleria (o matroneo)
segnata da trifore aperte sulla navata e sormontate dalle corrispondenti finestre. Questo imponente
organismo lungo 88 metri ed alto 25, ora quasi ridotto ad un enorme rudere, alterato in età gotica con la
costruzione di un grande coro deambulato, rivela per diversi tratti la perdurante influenza della cultura
germanica e dell’arte ottoniana, quali principalmente: la copertura a tetto, la presenza di un massiccio
occidentale con una facciata a due torri (facciata armonica) ed una grande loggia rivolta verso l’interno.
IL ROMANICO IN INGHILTERRA
INFLUENZE DELL’ARCHITETTURA NORMANNA
La cultura architettonica franco-normanna è già presente in Inghilterra prima del 1066 e ciò era
testimoniato dalla esistenza dell’abbazia di Westminster, eretta nel 1045-65, ma successivamente
ricostruita. Dopo quella data l’assunzione delle tipologie edilizie e delle forme architettoniche franco-
normanne diventa pienamente operante, e l’accettazione più rilevante riguarda gli aspetti rilevabili nelle
tipologie edilizie; l’adozione del coro triplice cluniacense, risulta prevalente e quasi generale, secondo una
risoluzione in cui i vani laterali del coro sono l’immediato e fedele prolungamento delle collaterali, oltre il
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transetto e la crociera. La presenza del coro deambulata è invece limitata a poche occasioni. Ma la diversità
di sviluppi e di risultati tra l’architettura anglonormanna e quella della Normandia risulta subito evidente
dal confronto fra i sistemi adottati per la copertura dei grandi vani corrispondenti alle navate maggiori delle
cattedrali. L’innovazione realizzata a Durham, (Inghilterra) comprende coro e navate con volte a sesto acuto
su crociere nervate, non trova un seguito. Le grandi chiese inglesi, nel confronto con quelle francesi,
presentano dimensioni metriche molto maggiori, con il corpo delle navate fortemente allungato ed il
transetto assai sporgente. In esse, il sistema architettonico delle navate rispetta la tradizionale orditura di
tre piani sopra pareti spesso molto alte, con gallerie grandi come le navate laterali, pilastri con rilevanti
spessori murari, arcate profonde articolate in archi multipli, pilastri con 3-4 colonne addossate in
profondità, claristorio fortemente traforato secondo elaborati sviluppi del mur épais. In alcuni casi tale
ordinamento si estende con effetti grandiosi alle braccia del transetto.
CATTEDRALE DI DURHAM
La forma architettonica di quest’opera è quella di un edificio dai caratteri ancora romanici, salvo che per le
conformazioni delle volte, data la concezione struttiva espressa nell’impiego di grandi spessori murari, per il
senso possente di massa plastica conferito ai giganteschi piloni cilindrici, agli archi compressi, agli enormi
pilastri posti a scandire il ritmo grandioso dell’intera immagine. La costruzione di questa chiesa madre
dell’architettura normanna inizia nel 1093 e nella fase iniziale comprende l’esecuzione delle prime volte a
crociera su costoloni, eseguite nelle navate laterali del coro; innovazione decisiva e determinante per i
futuri sviluppi dei sistemi di copertura sull’intera area normanna. L’organismo originario di Durham
composto di un grande corpo di tre navate con gallerie sopra sostegni alterni, ampio transetto doppio e
sporgente e coro triplice, fornisce con la datazione delle sue parti una cronologia che segna la realizzazione
dell’impianto chiesastico interamente coperto con volte, nella sua forma compiuta e definitiva (coro 1093-
99, navate 1099-1128, volte del coro 1099-1104, volte della navata 1128-33). Specialmente il coro che
realizza le prime grandi volte a crociera su costoloni, le quali formano gli archi d’ogiva trasversali e diagonali
a sesto acuto, costituisce un’acquisizione basilare della tecnica costruttiva e nello stesso tempo un
fondamentale sviluppo linguistico, che inizia la fase preparatoria dell’arte gotica. Con l’assunzione di questo
nuovo tipo di copertura la forma complessiva del grande vano della navata e del coro anticipa nella vista
d’insieme il carattere e la forma che saranno propri agli interni delle cattedrali gotiche. Poi la fondamentale
scelta del tipo di volta realizzata a Durham, segna anche il momento in cui il problema di assicurare la
solidità della copertura spingente della navata centrale si trasforma nel problema statico generale di
garantire la stabilità dell’intera chiesa.
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CATTEDRALE DI ELY
Costruita nel 1083 dall’abate Simeone all’interno di un ambiente monastico del X secolo sorto
probabilmente sui resti di una costruzione religiosa precedente, ha una pianta cruciforme con un ulteriore
transetto nella parte occidentale parallelo al corpo longitudinale (è la Cappella della Madonna realizzata in
stile gotico). Il transetto, come il corpo longitudinale, sono tripartiti da pilastri con semicolonne e, nel loro
punto d’intersezione, si erge una torre posto sotto una cupola ad ombrello, superato il transetto, la parete
del corpo longitudinale risulta movimentata da robusti contrafforti. Il nartece è massiccio, scandito da 3
campate quadrate e più largo del corpo longitudinale, presenta una torre scalaria centrale a base quadrata
fiancheggiata da 4 rotonde laterali di cui, però, le due a sinistra non più esistenti. Come la cattedrale di St.
Albans, l’edificio è decorato con arcate a sesto acuto che si sviluppano su tre registri sovrapposti.
Si denomina architettura cistercense quella sviluppata dai monaci cistercensi nella costruzione delle
loro abbazie a partire dal XII secolo. Tutte le abbazie hanno un'architettura simile, la chiesa si orientava in
direzione est-ovest con il presbiterio a est, il chiostro si addossava alla chiesa, l'ala est del chiostro si
dedicava agli alloggi dei monaci con la sala capitolare a pian terreno e il dormitorio al primo piano con due
scale, una che scende all'interno della chiesa e l'altra nel chiostro; nell'ala opposta alla chiesa si disponeva il
refettorio e la cucina, nell'ala ovest (normalmente, con accesso indipendente dal chiostro), un edificio di
due piani era destinato ai conversi e ai magazzini con accesso indipendente nella parte posteriore della
chiesa. L'abbazia di Casamari è uno dei più importanti monasteri italiani di architettura gotica cistercense,
la pianta dell'abbazia è simile a quella dei monasteri francesi, l'entrata passa attraverso una porta a doppio
arco, all'interno si trova un giardino la cui parte centrale è occupata dal chiostro, di forma quadrangolare,
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con quattro gallerie a copertura semicilindrica. Dal chiostro si accede alla chiesa che è a pianta basilicale a
tre navate. E infine l'Abbazia di Fossanova che costituisce il più antico esempio d'arte gotica cistercense in
Italia e, assieme all'Abbazia di Casamari una delle sue più alte espressioni. La pianta del complesso
abbaziale è simile a quella di Casamari e dei complessi francesi, ma il vero punto di forza del complesso
abbaziale di Fossanova è la sua chiesa, che si presenta in una spettacolare e severa grandiosità,
la facciata (che doveva essere preceduta da un portico) è semplice ma maestosa, con
un portale fortemente strombato. Il portale è poi costituito da un arco a sesto acuto nella cui lunetta è
ripreso il motivo del rosone, mentre nella parte inferiore, un mosaico sostituisce un'iscrizione dedicata
a Federico Barbarossa. La chiesa ha una pianta cruciforme in cui il braccio longitudinale si sviluppa secondo
un asse mediano ed è diviso in tre navate, ed è attraversato perpendicolarmente dal transetto. La
lunghezza della navata centrale è scandita nella prima parte da sette campate rettangolari e termina con
il presbiterio e l'abside che formano un unico corpo rettangolare. Dal centro del transetto si erge il tiburio a
pianta ottagonale, elevato di due piani e sormontato dalla lanterna, che sostituiva il campanile, nei due
bracci, invece, sono ricavate quattro piccole cappelle: dalle due a sinistra dell'altare scende la scala con la
quale i monaci dal dormitorio passavano direttamente in chiesa.
IL ROMANICO IN ITALIA
ITALIA SETTENTRIONALE: RAPPORTI CON IL ROMANICO EUROPEO E CON L’IMPERO
Nel grande quadro dell’architettura romanica considerato nel suo insieme, l’Italia costituisce con evidenza
terra di confine e quindi destinata a ricoprire il ruolo di filtro per la selezione delle diverse e numerose
influenze mediterranee e orientali, con la funzione di valutare e mediare gli apporti esterni e di trasmetterli
alle diverse sedi della cultura occidentale, dopo averne sperimentato l’applicazione. Nella grande area
padana che comprende tutto il Settentrione escludendo soltanto Venezia e la laguna, i maestri costruttori
lombardi avevano da tempo elaborato e poi diffuso oltralpe, gli elementi caratterizzanti il linguaggio
architettonico romanico sperimentando anche largamente le relative tipiche strutture murarie. Ma intorno
alla metà dell’XI secolo, gli architetti lombardi restano ancora fedeli alla tradizione dell’impianto basilicale
coperto e tetto, e ciò forse per incertezze o timori sulle difficoltà di realizzare risoluzioni tecnico-costruttive
sin ora mai tentate, o forse anche per la mancanza di convinzione sulla necessità tecnica ed estetica di
adottare una copertura a volta. Nello stesso tempo si verifica la diffusione nell’area padana di motivi e
tipologie impiegati oltralpe, quali l’abside deambulato con due torri e il transetto anteriore. Una fase
intermedia, prima della costruzione delle volte sulla navata maggiore, è rappresentata dall’introduzione
degli arconi trasversali messi a sostegno del tetto, quale struttura di collegamento murario fra le pareti
verticali, embrione e primo elemento costruito della futura volta. L’architettura lombarda raggiunge la
completezza dell’organismo statico-costruttivo interamente coperto a volta fra il 1090 e il 1120 ad opera
dei maestri milanesi, e sono questi ultimi che vi introducono un nuovo elemento di importanza decisiva
qual è il costolone squadrato posto a costituire gli arconi diagonali delle volte a crociera o ogive, questo allo
scopo di razionalizzare la struttura rialzandone il vertice, articolandola secondo i materiali ed il tessuto
murario e differenziando le funzioni statiche delle nervature di sostegno da quelle affidate alle vele.
S.AMBROGIO A MILANO
S. Ambrogio a Milano presenta un corpo a tre navate iniziato intorno al 1080, ma coperto con volte solo
dopo il distastroso terremoto del 1117. La partitura della grande navata impiega la tipologia delle chiese di
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pellegrinaggio a navata cieca, in quanto bloccata dalle collaterali e dalle sovrapposte gallerie; ma nello
stesso tempo ne modifica profondamente le proporzioni rinunziando agli effetti dello slancio verticale
impresso al vano negli esempi francesi, ed adotta invece una conformazione bassa, larga e priva di luci delle
arcate, delle volte e dei matronei. La forza delle membrature che scandiscono con ritmo largo e grave la
grandiosa successione delle campate cupoliformi risalta nella luce radente che penetra dagli arconi della
facciata; in contrasto con l’ombra diffusa nelle navatelle e gallerie. La magistrale e originalissima risoluzione
della facciata composta da una loggia su grandi arcate, corrisponde ad una pianta rettangolare, su tre
navate senza transetto.
DUOMO DI MODENA
Il monumento più importante dell’area emiliana è il duomo di Modena, eretto tra il 1099 ed il 1110 circa dal
lombardo Lanfranco, formato da tre absidi senza transetto, articolato su campate doppie di pilastri alterni
a colonne, falsi matronei, grande cripta ed alto presbiterio, e il nuovo tipo di facciata disegnato secondo il
profilo basilicale della chiesa. L’interno è stato poi gravemente alterato mediante la sostituzione della
originaria copertura ad arconi trasversali e tetto con pesanti volte a crociera a sesto acuto e costoloni e con
l’inclusione di uno pseudo transetto basso e di un enorme rosone sulla facciata; le facciate esterne
sviluppano il ritmo agile e slanciato di una serie continua di archi triforati, che come una grande fascia
avvolgente ingloba e unifica facciata,fianchi e abside. L’originalità dell’opera di Lanfranco è quella di aver
tradotto in linguaggio lombardo (romanico) una concezione figurativa che non è più romanica, perché ha
rinunziato alle motivazioni d’ordine statico-strutturale della forma architettonica e le ha sostituite con la
poetica della rigorosa definizione stereometrica del vano, del solido spaziale cristallino,della sintesi
volumetrica dell’oggetto. Riprendendo il motivo degli arconi trasversali a sostegno del tetto, Lanfranco
rifiuta la copertura a volta, rinunziando così alla poetica romanica della massa-struttura, e vi contrappone
una visione ritmica di spazi e superfici, priva di tessitura strutturali e senza primari e diretti riferimenti
d’ordine statico e costruttivi.
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ITALIA CENTRALE: CARATTERI ORIGINALI E PERMANENZE IN TOSCANA
Posta a confronto con l’arte lombarda, l’architettura dell’età romanica in Toscana si distingue nettamente,
sia per la diversa concezione dell’oggetto costruito, sia per la disparità del gusto e del linguaggio esercitati,
che nello stesso tempo differiscono fortemente dalle forme e risoluzioni adottate nelle altre zone del
Centro-Sud. Nella produzione architettonica toscana, si mantiene fin nell’età gotica la propria salda
autonomia fondata sopra una inconfondibile poetica.
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grandioso il ritmo e le forme delle antiche basiliche, non trova riscontro nella spigolosa durezza che
caratterizza i pilastri del sovrastante matroneo, costituiti da filari di marmo bianchi e scuri, di ascendenza
araba; un altro contrasto non risolto resta vivo nell’accostamento delle arcate a semicerchio poggiate su
colonne classiche, con gli archi acuti ad altissimo piedritto, anch’essi di tipo arabo, delle navate minori. Ma
il vero punto debole dell’intero monumento e della sua immagine figurata è la cupola; presenza intrusiva
ed incongrua, forse non prevista in origine: impostata senza una specifica giustificazione sopra una pianta
ovale troppo allungata e sorretta all’interno da ingombranti arconi, mostra all’esterno un profilo ridotto,
goffo e smagrito. Una perfetta unità di volumi architettonici, di forme figurate, di partiture parietalie di
dettagli decorativi lega ed unisci in un solo armonico complesso il battistero e il campanile di Pisa alla stessa
cattedrale. Il battistero iniziato da Deotisalvi nel 1153 come un grande volume cilindrico e situato di fronte
al duomo sul medesimo asse di simmetria, ripete sopra la superfice esterna, nelle forme e dimensioni, la
partitura esterna del duomo, istituendo così una risposta precisa e diretta tra i due monumenti; l’organismo
possiede una struttura anulare articolata su due piani con il vano cilindrico centrale coperto da una cupola
conica; il coronamento esterno e la semi cupola avvolgente sono il risultato di rifacimenti eseguiti nella
seconda metà del XIV secolo, che mediante l’inserimento di una esile e frantumata decorazione gotico-
fiorita hanno profondamente alterato l’armonia originale dell’opera.
Monumento fiorentino di primaria importanza per questo periodo è la chiesa benedettina di S. Miniato al
Monte, basilica a tre navate senza transetto, composta da un telaio strutturale simile a quello ideato da
Lanfranco per il teatro modenese: ogni tre archi su colonne la partitura reca un pilastro composto quale
sostegno di un arcone trasversale. Qui come anche nel battistero, alla richiesta di riprendere e mantenere
la continuità della tradizione classica, si sovrappone l’esigenza di realizzare una rigorosa geometrico-
spaziale del vano: la forza di gravità, e con essa il peso delle muraglie, non è più, come nel romanico, il
fattore agente che porta a definire la struttura muraria nella figurazione, la quale trova invece la propria
determinazione nella sintesi volumetrica dell’oggetto, sentito come solido spaziale cristallino, in una visione
ritmica di superfici geometriche composte secondo una figurazione unitaria. Così, le murature costruite
risultano tradotte e risolte in pure grafiche architettoniche, nel cromatismo delle tarsie che assumono il
ruolo di una definizione lineare del piano cromatico, secondo una risoluzione di matrice bizantina, perché
risolve la profondità in superfice; ma qui, nella concretezza della visione diretta e nell’ambito della cultura
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fiorentina, risulta totalmente rinnovato. L’interno di S. Miniato sarebbe stato figuralmente perfetto, se
l’altissimo e doppio presbiterio e l’ampia cripta sottostante, dovuti certo ad influenze lombarde, non
avesserro rotto la mirabile unità architettonica del vano, spezzando la continuità strutturale, spaziale e
prospettica dell’immagine. Quanto alla facciata, la sua qualità formale risiede nelle singole parti, ciascuna
considerata per sé, poiché esse non costituiscono unità, data la mancanza di dialogo tra l’ordine inferiore
delle arcate e l’ordine superiore tetrastilo, e tra il timpano sovrapposto e gli spioventi laterali. Il battistero
di S. Giovanni è il monumento più studiato e discusso fra tutti, l’edificio su pianta ottagonale, del diametro
di 25 metri, presenta all’esterno un rivestimento marmoreo sviluppato in tre ordini sovrapposti, l’interno
coperto da una cupola a padiglione, reca nel piedritto due ordini architettonici sovrapposti, dove quello
inferiore risulta composta da lesene angolari e colonne isolate disposte a triforoio, che si proiettano sulla
parete di fondo, rimasta in posizione arretrata a formare la rappresentazione allusiva di una peristasi
avvolgente, testimonianza di una presumibile aspirazione ad una forma centrica anulata per l’intera cerchia
muraria. Il richiamo formale è all’architettura romano-classica, ma questo protorinascimento fiorentino si
fonde integrandosi con il cromatismo degli intarsi marmorei, sviluppati e distesi secondo precise grafie di
forme geometriche pure ed elementari, che ricoprono pareti esterne ed interne mediante rivestimenti di
marmi bianco e verde di Prato.
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ITALIA MERIDIONALE: INFLUSSI BIZANTINI, ARABI E NORMANNI IN PUGLIA, CALABRIA E SICILIA
Questo è il momento in cui il Mezzoggiorno si apre alle influneze delle culture d’oltremare; l’influsso
esercitato dalla cultura araba, mediato dai centri della Siciliae trasmesso specialmente mediante la città
marinara di Amalfi, si manifesta in opere in cui gli elementi nuovi ed importanti risultano inseriti e spesso
trasfusi in modi diversi, originando variete commistioni con le forme locali. Così avviene nel portico
frontale di S. Angelo in Formis e nella cattedrale di Amalfi: opere di carattere disomogeneo e di tipo
frammentario, frutto di una produzione episodica. In altri casi invece, il linguaggio architettonico arabo
appare quasi integro e l’opera omogenea, come nel cortile e nell’ingresso-torre della casa Rufolo di Ravello
e nel quadriportico del duomo di Salerno che presenta il carattere e le forme di una moschea. Quanto alla
penetrazione delle forme e dei modi più propriamente bizantini, essa è maggiore nelle regioni ioniche della
penisola, dove il tipo organico centrico su pianta quadrata, croce inscritta, quattro cupole angolari e la
centrale maggiore, trova applicazione nelle due piccole chiese, della Cattolica di Stilo e di S.Marco di
Rossano Calabro. Negli altri casi l’influenza greco-basiliana si combina con le correnti islamiche provenienti
dalla Sicilia, in monumenti nei quali il motivo bizantino centrale e determinante, (cupola) si fonde con le
risoluzioni di tipo benedettino-cluniacense, del coro multiplo absidato. A sua volta la tradizione della forma
basilicale sul modello cassinese, torna a prevalere nelle grandi navate della cattedrale di Gerace, dove però
la conformazione del transetto e del coro con cupola ed absidi mostra complessi richiami lombardi e anche
bizantini. L’edificio capostipite e quasi prototipo delle cattedrali e delle grandi chiese pugliesi nell’età
romanica è S. Nicola di Bari organismo a tre navate su archi e colonne, transetto ampio e profondo, gallerie
a trifore e finestre superiori, absidi celati da muro esterno, tetto sulla navata centrale e volte su quelle
laterali, a questo si aggiunge l’invenzione della nuova partitura data alle fiancate che sono sorrette da
profondi arconi sormontati da loggiati coperti e ornati da arcatelle. La sobrietà dell’insieme e delle parti, nel
sicuro rapporto proporzionale fra navata e transetto, realizza l’essenzialità della struttura e la qualità della
forma. E ciò perché è possibile suppore che, intorno alla fine dell’XI secolo, i grandi committenti e i maestri
costruttori delle Puglie, di fronte all’esigenza di un adeguamento delle loro attività dei livelli raggiunti ed
alle innovazioni realizzate nei maggiori centri dell’Europa occidentale, abbiano rifiutato la troppa
tradizionale e scontata risoluzione romano-cassinese, adottando invece le forme padano-lombarde:
partiture, elementi architettonici, linguaggio, senso della massa muraria e delle articolazioni strutturali;
tutto questo, però senza accettare il sistema voltato. La conquista normanna della Sicilia riporta l’isola in
diretto contatto con la civiltà e cultura occidentale, ma in quel momento storico, dopo due secoli di
dominio arabo, la Sicilia si definisce depositaria di una propria cultura figurativa e architettonica, sviluppata
sotto l’influenza da un lato delle forme bizantine del tempi dei Macedoni e dei Comnei, filtrate attraverso la
Grecia e le sedi basiliane calabresi, e dall’altro dai modi linguistici e decorativi arabi, provenienti dalle ricche
fonti dell’Egitto e dele Magreb, così che i conquistatori normanni, di fronte alle espressioni formali di
queste civiltà mature e superiori, cercano e riescono, incredibilmente, ad assimilare in un sincretismo
figurale espresso in numerose opere di alta qualità artistica. Il primo monumento in ordine di tempo che
più di ogni altro reca nei dettagli i caratteri dell’arte araba e testimonia l’influenza bizantina è la chiesa di S.
Giovanni degli Eremiti di Palermo. Ma il tema architettonico che si manisfesta determinante
nell’architettura siciliana del XI secolo è quello dell’innesto della cupola sull’area del presbiterio, in
presenza del coro longitudinale delle navate; innesto realizzato mediante un tamburo cilindrico esterno
sormontato da una calotta estradossata.
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L’ARCHITETTURA GOTICA
IL NUOVO CONTESTO POLITICO, SOCIALE, CULTURALE
Dopo la rinascita del 1000, in corrispondenza della stabilizzazione politica europea e della creazione dei
grandi Stati Nazionali, dell’incremento demografico e dello spostamento della popolazione dalla campagna
alla città vi è un aumento della produzione edilizia e una maggiore varietà di tipologie edilizie a seguito
dello sviluppo economico e del miglioramento del tenore di vita da cui deriva l’esigenza di una tecnologia e
di un repertorio comune. Il gotico individua un livello unitario, europeo, della cultura architettonica, che
interessa l’aspetto tecnologico-organizzativo.
La tipologia gotica trova le sue origini e sviluppa, con alcune significative innovazioni, la tipologia romanica
della chiesa a tre navate con transetto e coro deambulato con cappelle radiali. Il suo percorso evolutivo
tende a una progressiva uniformità delle parti e dei ritmi, nonché a una compattezza planimetrica
attraverso la progressiva fusione delle unità spaziali (corpo basilicale, transetto, presbiterio, coro), che nel
romanico apparivano ben distinte. La pianta basilicale a tre o cinque navate, perfettamente orientata, con
la navata centrale maggiore e composta modularmente attraverso una successione uniforme di campate
coperte a volta. Il transetto è un altro elemento che durante il gotico subisce pesanti modifiche, infatti
durante il romanico il transetto ha una struttura e volume definiti e dà agli edifici una forma a croce mentre
in età gotica il transetto tende a fondersi col corpo basilicale ed ha una sporgenza limitata. Negli esempi
del primo gotico permane la tradizione del transetto sporgente, affiancato da cappelle laterali o con testate
arrotondate come avviane ad esempio nelle chiese di Noyon e di Laon, successivamente il transetto, dalla
testata definitivamente rettilinea, tende a “ritirarsi”, diminuendo notevolmente la sporgenza, spesso
allineata a quella delle cappelle radiali del coro o sporge di appena una campata, ma nonostante questa
drastica riduzione di volume il transetto è comunque individuato all’esterno da una facciata monumentale
con portale e rosone, oltre che dalla volumetria. Il coro gotico, compreso l’abside, ha una maggiore
profondità rispetto al romanico, ma mostra la stessa tipologia, inizialmente si pone come naturale
prosecuzione delle navate come avveniva nel romanico, successivamente si allarga di una campata,
connettendosi al transetto. Il carattere principale del gotico è l’innovativo sistema strutturale: punto di
arrivo della sperimentazione è la creazione di una gabbia strutturale. In questo modo tutto ciò che è
superfluo alla statica può essere eliminato: le pareti possono essere sostituite da grandi finestre ( la luce
diventa elemento simbolico e architettonico). I problemi principali da risolvere per rendere sempre più
ardite le costruzioni sono legati alla luce ovvero la distanza tra i supporti verticali, che impegna la capacità
portante delle volte e l’altezza legata alla stabilità globale del complesso.
La chiesa di St.Denis costruita per la prima volta nel V secolo, venne fatta ricostruire durante l’età carolingia
dall’abate Furlad nel 754-775, e successivamente subì pesanti modifiche durante il periodo gotico per
volere dell’abate Suger che fece modificare la facciata e il coro nel 1140. In origine il coro era collegato alla
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basilica antica: attraverso un prolungamento circondato da un doppio deambulatorio, di dimensioni pari al
transetto originario, la separazione avvenne tramite colonne, per connettersi anche formalmente alla
vecchia basilica, in questo modo le pareti potevano essere svuotate, realizzando l’ideale mistico di Suger
della luce piena nell’edificio, a somiglianza della Gerusalemme Celeste. Nel XIII secolo le colonne furono
sostituite da pilastri, per migliorare la stabilità della struttura, forse indebolita dalla rapidità di costruzione,
o forse dalla eccessiva sottigliezza delle colonne e furono anche aggiunti degli archi rampanti.
L’EVOLUZIONE DEL GOTICO IN FRANCIA: NOYON, LAON, SENS, PARIS, REIMS, CHARTRES, SAINTE-
CHAPELLE
Intorno al 1175 nella Francia settentrionale son ancora in piena attività i cantieri delle cattedrali e delle
grandi chiese della generazione successiva a quella di Saint-Denis e di Sens: il quadro che si presenta è
tutt’altro che omogeneo ed evidenzia non solo un periodo di ampio sperimentalismo, ma una divergenza di
scelte che riflettono tradizioni e preferenze artistiche profondamente diverse. Una prima differenza, subito
evidente, riguarda gli schemi di pianta, compatti e privi di transetto, o con bracci appena sporgenti dal filo
delle navate laterali, nella regione di Parigi, mentre a Nord, in Piccardia, le planimetrie sono complesse, con
corpi trasversali imponenti, organizzati in due varianti: con bracci a terminazione curvilinea, o con bracci
bracci rettangolari molto sviluppati. Ma le differenze più indicative riguardano soprattutto il trattamento
delle superfici interne, le vaste pareti della navata centrale, per le quali a Laon ma anche a Noyon è
evidente l’impiego di una griglia, di elementi lineari, costituita da fasci di colonnette che si innalzano fino
all’imposta delle volte, dalle cornici orizzontali, dalle arcatelle delle gallerie e dai trifori o dalle articolazioni
delle finestre; queste membrature fisicamente corpose risaltano, dai piani fondali, a loro volta definiti
alternativamente in termini di luce e ombra. Invece nella cattedrale di Parigi l’effetto è diverso: le
articolazioni della parete appaiono come disegnate, o ritagliate in una membrana sottile, tendenzialmente
smaterializzata, ma pur sempre riconoscibile nella sua qualità di superfice connettiva continua. Se a ciò si
aggiunge il diverso uso della luce, che a Parigi si diffonde omogena, mentre a Laon si concentra con effetti
di contrasto drammatico, è chiaro che i due edifici attestano concezioni progettuali in gran parte divergenti.
L’unico carattere comune alle costruzioni religiose iniziate in questi anni è la volontà di conferire all’edificio
il massimo sviluppo in altezza. Nel quindicennio 1175-90 altre impotanti novità sul piano tecnico e formale
vengono sperimentate o perfezionate, nei cantieri di Laon o dell’area parigina. A Parigi, conclusi i lavori del
coro, si iniziò la costruzione della navata, e venne deciso di provvedere al contraffortamento delle volte con
archi rampanti, probabilmente in due serie sovrapposte, una corrispondente alle finestre delle tribune,
l’altra al claristorio: non si trattava di una novità assoluta, perché gli archi rampanti nascosti dentro il
volume dei sottotetti, erano stati adottati in precedenza allo stesso scopo, ma l’architetto di Notre-Dame li
collocò opportunamente ad una quota più elevata, probabilmente suggerita dall’esperienza del coro,
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realizzato con pareti di spessore esiguo, dove presumibilmente le strutture di contraffortamento nascoste
nel sottotetto erano risultate inadeguate. Distrutta in seguito da un’incedio Notre-Dame di Chartres, fu
immediatamente ricostruita ma con un’organismo architettonico del tutto trasformato, il nuovo progetto
prevedeva un’alzato di tre piani, come a Bourges, ma con rapporti completamente diversi, il maestro di
Chartres realizza un equilibrio di sapore classico, che si manifesta nell’identica altezza attribuita al piano
delle arcate e al claristorio. La rinunzia alle tribune necessaria per dare ampiezza alle finestre, trova
giustificazione, sul piano formale, nella volontà semplificatrice, espressa anche dalla decorazione, ma non
certo in una professione di modestia, contraddetta dalle dimensioni gigantesche. Gli ultimi anni del XII
secolo, vedono affermarsi un diverso tipo di devozione, un’esigenza di partecipazione visiva alla
celebrazione del sacrificio sull’altare, impone che i fedeli siano raccolti tutt’insieme nella navata, con lo
sguardo rivolto verso quella meta luminosa. Pertanto anche tale aspetto consente e suggerisce l’abolizione
delle tribune. Le campate assumono una forma rettangolare e sono coperte con volte quadripartite, per cui
viene a mancare la necessità dell’alternanza dei pilastri; a Chartres però mantenuta ancora, forse per
timore di un’eccessiva monotonia. La dimensione gigantesca delle finestre alte circa 14 metri, ha
presuposto che la navata centrale sovrasti nettamente quelle laterali: la soluzione, resa possibile
dall’impiego degli archi rampanti, comporta l’abbandono del profilo esterno gradonato, in favore di un
alzato tanto semplice quanto grandioso, a due soli livelli. I massicci contrafforti trasferiscono all’esterno il
ritmo interno delle campate, suggerendo la presenza di un colossale sistema di elementi trasversali, che
sembrano tagliare l’intero edificio. Anche il disegno degli archi rampanti si adegua alla nuova dimensione,
nella forma di una doppia ghiera collegata da una raggiera di colonnette, il disegno varia in corrispondenza
del coro, per adattarsi alla presenza di doppie navate laterali, che richiesero doppi archi rampanti con un
sostegno intermedio. Nella cattedrale di Reims, invece si adotta, insieme al modello dell’alzato, anche il
pilastro di Chartres, ma con una correzione: le quattro colonnette del primo ordine hanno un capitello alto
quanto quello del nucleo centrale, per cui, allo spiccato delle arcate e delle sovrastanti colonnine, troviamo
una fascia continua scolpita con ricche forme naturalistiche e sormontate da un unico abaco. Il corpo
longitudinale è più lungo, il transetto meno sporgente, ed il coro, con un solo ambulacro presenta cinque
cappelle serrate l’una all’altra. Ma le variazioni maggiormente significative riguardano la struttura della
parete delle cappelle e delle navate laterali, aperta in un passaggio murario all’altezza delle finestre, che ne
mette in evidenza il formidabile spessore e soprattutto il disegno delle aperture. La novità in questo inedito
tipo di finestra a traforo si avverte sia dall’interno che dall’esterno dell’edificio, dove grazie alla sua
ripetizione costante, nel claristorio e nelle navate laterali, il motivo contribuisce a creare l’effetto di unità
della struttura; cui concorrono anche gli alti contrafforti verticali, conclusi da pinnacoli fortemente acuti,
che con i loro vertici raggiungono la stessa altezza delle aperture superiori. Come a Chartres anche Reims è
caratterizzata dall’assoluto equilibrio tra slancio verticale e solidità materica delle strutture, inoltre mai
come a Reims, l’architettura gotica ha cercato una rigorosa corrispondenza tra proiezione esterna e spazio
interno e nello stesso tempo la massima unità e chiarezza espressiva, mediante la ripetizione di elementi
riassuntivi a grande scala: i contrafforti sono ritmicamente disposti lungo tutto il perimetro a ribadire la
divisione interna delle campate e le facciate del transetto ribattono la loro divisione in piani, la tripartizione
dell’alzato in arcate, triforio e finestre. La Sainte-Chapelle fu costruita per custodire la reliquia della corona
di spine e altre reliquie acquistate da Luigi IX, si eleva su una cappella inferiore più bassa aperta al culto
suddivisa in tre navate e coperta a volte con archi ribassati contraffortati all’interno, la sala superiore
invece,è formata da un unico ambiente absidato,con cinque campate coperte a crociera, è completamente
aerea grazie ai contrafforti esterni e al ricorso a catene metalliche all’interno della muratura in modo tale
da ridurre la struttura a uno scheletro invisibile.
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ABBAZIA DI WESTMINSTER A LONDRA
La ricostruzione nel 1245 dall’abbazia di Wesrminster a Londra, venne iniziata su un impianto ispirato al
modello francese nella disposizione del coro, con ambulacro e cinque cappelle radiali, ma stretto e alto,
come la navata dell’abbazia di Royaumont, da cui potrebbe derivare anche il disegno del triforio, che
conserva le proporzioni di una galleria ed è illuminato dall’esterno; le finestre sono del tipo di Reims ed
anche le volte sono realizzate alla francese senza il ricorso alla tecnica del muro spesso. Il primo architetto,
Henry di Reynes rimane però fedele per altri aspetti alle tradizioni costruttive insulari: pilastri e colonnette
in marmo scuro, forma appuntita e molto profilata degli archi acuti, lieve arretramento delle finestre
superiori che accentua la continuità orizzontale del piano del triforio. Le testate interne dei transetti, con
quattro piani di arcate sovrapposte, cieche e luminose, rimandano ancora a schemi tradizionali normanni,
ma l’originario disegno del rosone Nord era nuovissimo, riprendendo direttamente quelli di Saint-Denis o di
Parigi. Lo stesso atteggiamento eclettico è comune ai costruttori della sala capitolare, impostata secondo il
tradizionale modello inglese con pilastro centrale, che nei trafori delle finestre rivela invece la conoscenza
delle più recenti esperienze parigine.
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"effetto luminescente" nei mesi estivi, per cui la soluzione preferita fu quella di mantenere strutture in
massiccia muratura, più fresche, sulle quali si stendevano preziose decorazioni ad affresco. Si ebbe quindi in
Italia un compromesso tra romanico e gotico, senza eccessivi slanci in altezza e riduzioni scheletriche delle
masse murarie.
Il modello della navata unica era stato impiegato frequentemente nelle regioni della Francia meridionale,
durante i secoli XI e XII, anche per edifici di grande impegno e prestigio; i Cistercensi, coerentemente con
gli obiettivi di severità perseguiti nei loro programmi edilizzi, dettero ulteriore sviluppo a questa tipologia,
ed aprirono la strada a ulteriori varianti nei sistemi di copertura e di contraffortamento delle eventuali
volte. A partire dagli ultimi anni del XIII secolo gli ordini mendicanti si trovarono impiegati nella
realizzazione di chiese di grandi dimensioni, con la conseguente rinunzia all’ideale di povertà professato.
Per la copertura delle loro chiese a navata unica, gli ordini mendicanti si attennero al sistema più semplice
ed economico della struttura lignea a capriate, ma adottarono anche una variante con archi trasversali
acuti sui quali poggiano direttamente i correnti longitudinali del tetto, tipologia che conobbe una larga
diffusione e dette luogo anche a suggestivi risultati spaziali. Ma sembra che già prima, intorno al 1245, i
Domenicani di Barcellona avessero realizzato una chiesa coperta con volte a crociera: dedicata a Santa
Caterina, a navata unica con cappelle laterali, aperte tra i contrafforti e comunicanti mediante arcate di
dimensioni modeste e l’adozione di eleganti dettagli rayonnant contribuiva a creare l’effetto di legerezza e
novità dell’impianto. Altrettanto originali sono gli insediamenti degli ordini mendicanti in Italia, in
particolare nell’area lombarda e padana, dove si innestano nella locale tradizione cistercense, ma con
un’ulteriore semplificazione degli ordini costruttivi, questa volontà si manifesta anche negli adattamenti di
chiese preeseistenti, che rappresentano una prima fase dell’isediamento dei frati; come a Milano, dove
l’edificio romanico del S. Eustorgio, viene trasformato in una Hallenkirche. Nelle regioni centrali della
penisola, dove i nuovi ordini erano nati e avevano trovato subito un propizio terreno di sviluppo, gli edifici
attualmenti conservati sono in generale il frutto di ristrutturazioni o di rifacimenti, realizzati a partire dagli
ultimi anni del XIII e soprattutto nel XIV secolo. Nel 1240 nella chiesa di S. Francesco di Cortona, prende
forma una soluzione di straordinari qualità dimostrativa, nella quale l’ideologica rinunzia al superfluo
divenne precisa opzione di gusto e alimenta una nuova concezione figurativa: navata unica coperta a tetto,
semplice e squadrata, pareti alte e nude forate da grandi finestre, coro con volta a crociera su pianta
quadrata, affiancato da due cappelle minori dello stesso tipo. In ulteriori esempi, altre cappelle possono
aggiungersi ai lati del coro oltre le prime due, o aggregarsi in forma di pseudo-transetto.
Nel 1228 cominciarono i lavori della basilica di Assisi destinata ad accogliere le spoglie dell’omonimo Santo.
La basilica è un impianto a due piani, previsti fin dall’origine, perché la collocazione della chiesa, su un
terreno in fortissima pendenza, rendeva necessario porre la quota pavimentale della chiesa a circa 11 metri
sopra il piano di campagna, in modo da garantire alla facciata, rivolta e legata alla città, l’opportuna
prevalenza dimensionale sulle abitazioni più vicine, e insime l’indispensabile distacco, che suggerisce per la
chiesa e il convento, l’immagine di roccaforte spirituale assoluta e suprema. Insieme al transetto vennero
portate a termine le prime tre campate della chiesa inferiore, con il loro sistema di volta basse e
fortemente scandite, articolate da pesanti costoloni, che testimoniano l’adesione dei costruttori al
linguaggio aggregativo tardoromanico sviluppatosi nei centri dell’Italia settentrionale e media; ma un
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sostanziale mutamento di progetto dovette verificarsi nel momento, o nel corso, nella realizzazione della
chiesa superiore, con la decisione di creare un organismo del tutto nuovo. La variante in corso d’opera è
documentata dalla costruzione dei contrafforti cilindrici della navata, che risultano, almeno fino a una certa
altezza, applicati posteriormente ai corrispondenti tratti di muro. Motivi e forme di dettaglio della chiesa
superiore (trafori e capitelli), indicano una diretta derivazione dalla Francia del Nord, come pure l’adozione
di un sistema costruttivo sostanzialmente a scheletro, perché le superfici finestrate della navata presentano
uno spessore di appena 60 cm, quasi senza rilevanza ai fini statici. Forme così programmaticamente nuove,
una variazione di gusto tanto radicale e improvvisa, non sono attribuibili solo all’intervento di un nuovo
maestro e al cambiamento delle maestranze attive nel cantiere: esse suggeriscono una precisa richiesta e
presa di posizione da parte dei committenti, che probabilmento intesero dare forma nel monumento-
simbolo del francescanesimo all’immagine moderna e internazionale dell’ordine. Tuttavia Roma
rappresenta un importante polo di riferimento per la progettazione di Assisi: la decorazione pittorica, come
pure il grande transetto, con il sepolcro del santo, e forse la scelta dell’abside rivolto a Occidente (come in
S. Pietro) rimandano alla città dei papi. Ma l’architettura esterna che non è gotica, costituisce una risposta
originale e di grande qualità ad un difficile problema di corrispondenza-contrapposizione tra interno e
esterno, risolto in termini di forme volumetriche elementari e di sottili effetti cromatici.
La chiesa domenicana di S. Maria Novella è impostata su un modello di pianta derivata dal modello
bernardino-cistercense, ma il richiamo non va oltre lo schema planimetrico: attribuiscono all’edificio un
inedita ariosità e unità spaziale, che è assolutamente mendicante, la snellezza dei pilastri, l’altezza delle
arcate, le proporzioni quasi da Hallenkirche (ad ogni campata della navata maggiore ne corrisponde una,
stretta e lunga in ciascuna delle navate laterali, che sono alte oltre due terzi del vano centrale). Alla novità
dell’effetto contribuisce contribuisce la disposizione delle luci, concentrate sotto le arcate; e contribuiva
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anche il colore originariamente diffuso sulle vele e sugli intradossi degli archi, trasformandone il significato
da sistema architettonica a parafrasi della volta celeste. La veduta prospettica longitudinale, rivolta verso il
fondale luminoso dell’abside, è allusivamente accentuata dall’ampliamento dimensionale delle campate
prossime alla facciata; sebbene nel caso specifico sia difficile stabilire se questo sia un effetto previsto già
nel progetto iniziale, o il risultato di una variante nel corso di una esecuzione protrattasi per alcuni decenni,
è certo che l’interesse a manipolare la visione dello spazio mediante accorgimenti luministici, pittorici o
prospettici è vivo nei cantieri dell’Italia centrale alla fine del Duecento.
Anche più labile che per S. Maria Novella è il riferimento al tipo cistercense della pianta di Santa Croce,
perché cinque cappelle su ogni braccio del transetto, ai lati del coro, rappresentano un numero mai
raggiunto nelle chiese di Citeaux, e perché l’abside pentagonale ha un deciso carattere rayonnant. La scelta
dell’architetto che la tradizione fiorentina identifica con Arnolfo di Cambio, di impiegare una copertura a
capriate, chiarisce definitivamente il significato dell’edificio, che rimanda alla concezione mendicante
dell’aula nuda e severa, con tetto ligneo: in effetti Santa Croce è leggibile come estrema sublimazione della
chiesa-fienile. Le navate laterali, estranee a questa tipologia, si presentano ambiguamente quasi come
ampie cappelle comunicanti, e gli archi trasversali che le dividono in campate, con copertura a doppio
spiovente e colmo perpendicolare all’asse dell’edificio, legittimano questa interpretazione; all’esterno il
trattamento delle fiancate, caratterizzato da una serie di timpani triangolari come sul lato absidale, rafforza
la medesima suggestione. L’effetto complessivo interno è di totale unità dello spazio, e al risultato
contribuiscono l’estrema leggerezza della struttura, la snellezza dei pilastri ottagonali, il ridotto spessore
della luminosa parete forata da semplici finestre al di sopra del cornicione orizzontale che corre verso il
transetto dove si impenna verso l’alto; le arcate amplissime non sono elemento di divisione, ma con il loro
ritmo invitano e accompagnano l’osservatore in direzione dell’abside, come fa, volgendo in alto lo sguardo,
la serrata successione delle capriate, che definiscono un’ideale superfice piena, altrettanto aerea e
immateriale. Sul fondo l’enorme parete del transetto conferma l’impressione, cui già induce l’osservazione
della pianta, di un corpo separato e diverso, gigantesco schermo davanti al quale si svolge, o sul quale si
proietta il dramma della messa, meta desiderata e irraggiungibile alla progressione delle navate.
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S. MARIA DEL FIORE A FIRENZE
Dopo una prima fase di interventi alla esistente e ancora funzionante cattedrale di S. Reparata nel 1296 gli
organi cittadini decisero di avviare i lavori per dar vita ad un nuovo e più ampio complesso chiesistico.
Accogliendo quanto ne ha scritto il Vasari il nuovo progetto attribuito ad Arnolfo di Cambio, architetto già
noto per la costruzione della chiesa di Santa Croce e di Palazzo Vecchio. Verso oriente l’organismo centrale,
planimetricamente e volumetricamente assai complesso, era, e lo è tuttora, costituito da un vasto spazio
ottagonale coperto da una grande cupola a padiglione; dalla quale poi si configura uno schema a triconco
con tre grandi corpi poligonali anch’essi coperti a padiglione. Questo sistema si articola ulteriormente in
una progressiva dilatazione spaziale: ciascuno dei cinque lati di ciascun elemento del triconco si apre infatti
in un corrispondente numero (cinque) di cappelle minori su pianta rettangolare. Verso occidente si
protende invece un sistema basilicale a tre navate ed a quattro campate, con coperture a crociera
composte di archi a sesto acuto. In base a tale progetto, e sotto la direzione di Arnolfo, era stato dato avvio
a una prima fase di lavori consistente nella realizzazione del muro di facciata occidentale e un primo tratto
dei muri del corpo longitudinale condotti sino ad una certa altezza. Dopo un periodo di scarsa attività
seguito alla morte del maestro nel 1334, su progetto di Giotto, si inizia a costruire il campanile: uno snello
parallelepipedo a base quadrata, distaccato dalla chiesa e suddiviso, lungo l’altezza da cornici marcapiano
con una terminazione verso l’alto prevista da una guglia assai pronunciata, al rivestimento marmoreo a tre
colori, si accompagnava un doppio ordine di formelle a bassorilievo e tutta un’altra serie di elementi
decorativi. Alla metà del XIV secolo, tutto ciò che era stato realizzato durante la prima e la seconda fase di
lavori, sia quanto previsto nel progetto arnolfiano per la chiesa, sia quanto, del campanile delineato da
Giotto, ha finito per suscitare varie perplessità: di ordine statico, di carattere funzionale e perfino di qualità
dell’immagine. La prosecuzione del campanile venne affidata ad Andrea Pisano e Francesco Talenti e a vari
loro collaboratori. Ne è risultata una modifica del progetto giottesco con il raddoppio degli schemi di
impaginato e del correlato sistema decorativo in ciascuno dei livelli superiori, e con la creazione di un
ballatoio di forme innovative, senza che il lessico adottato tradisse peraltro gli elementi stilistici giotteschi.
Anche se nel frattempo Firenze aveva consolidato il suo ruolo di potenza politica di primario livello,
permanevano peraltro non poche difficoltà economiche e di organizzazione del cantiere. Così, mentre poco
per volta diminuisce l’impegno per il campanile, e si finirà per non realizzarne la progettata terminazione a
guglia, cresce sempre di più invece, l’interesse pubblico per la chiesa. Ora si voleva una chiesa più ampia e
prestigiosa di quanto inizialmente previsto: per accogliere un gran numero di fedeli e perché in essa
potessero adeguatamente svolgersi le future impegnative e fastose cerimonie ufficiali. Dopo la creazione di
varie commissioni formate dai promotori dell’iniziativa (l’Arte della Lana), da esponenti del governo e da
pittori viene deliberata la ripresa dei lavori sotto la guida di Francesco Talenti. Il nuovo progetto, come già
detto, risulta di concezione omologa a quello arnolfiano, ma se ne distacca per più aspetti: soprattutto per
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la maggiore ampiezza dimensionale di ciascuna delle sue parti, infatti nel corpo longitudinale, pur se
permangono le tre navate e le quattro campate, queste sono molto più grandi e presumibilmente più alte
di quelle originarie, con un effetto di maggiore e più ariosa spazialità dell’insieme. Ora lo spazio sembra
alludere a quello della chiesa a sala, effetto che è ulteriormente incrementato dall’altezza dei pilastri e delle
volte, nonché dalla circostanza che la navata principale supera quelle laterali soltanto della misura della
freccia dell’arco d’ogiva. Scompare anche la serie dei motivi a doppio spiovente che, lungo il corpo
longitudinale, caratterizzava i fronti delle navate minori denunciandone la struttura a campate con crociera
coperte a tetto. Diversità si colgono anche nella zona orientale che risulta a sua volta dilatata in ogni
componente rispetto ai propositi originari: sia perché l’accresciuta dimensione dell’ottagono centrale si
ripercuote sulle parti ad esso geometricamente e spazialmente correlate, sia perché, all’esterno queste
parti vengono racchiuse fino al livello di imposta delle cupole minori entro un poliedrico snodarsi di pareti
lisce. Di tale nuovo progetto la committenza fissa, accuratamente, sia le dimensioni complessive, sia le
proporzioni in ampiezza ed altezza delle parti principali, sia le caratteristiche formali del claristorio e della
navata principale, sia, infine le fasi e le modalità esecutive. Solo tra la prima e la seconda decade del
Quattrocento saranno completate tutte le strutture sino all’imposta della cupola e inizierà la vicenda della
sua problematica realizzazione.
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DUOMO DI ORVIETO
In Italia centrale, nella cattedrale di Orvieto iniziata nel 1290, si registrano già tra il 1308 e il 1338
importanti episodi architettonici. Un preteso allarme circa le condizioni statiche della parte orientale della
chiesa, in gran parte edificata in corrispondenza di un terreno di fondazione, oggettivamente alquanto
scosceso, ha indotto la committenza a rivolgersi alla consulenza e direzione di Lorenzo Maitani. L’architetto
intervenne realizzando due grandi arconi di contraffortamento esterno lungo le direttrici delle due testate
del transetto, e altri due speroni in corrispondenza della linea d’asse della navata principale e del suo
prolungarsi con gli archi di crociera tra navata e transetto. Ma l’episodio più significativo, ed emblematico,
dell’emergere, tanto nella cultura dei committenti quanto in quella dei tecnici, di un nuovo clima culturale
nella conduzione del cantiere della cattedrale di Orvieto, è il complicato processo progettuale da cui è
dipesa la costruzione della facciata. Dopo un primo disegno di progetto di incerta attribuzione, il Maitani
prepara nel 1310 un secondo disegno, in questo, che salvo varianti non essenziali verrà poi effettivamente
realizzato, la facciata della cattedrale, risultando da un procedimento progettuale del tutto autonomo in
quanto non vincolato con il resto dell’edificio, viene proposta come elemento architettonico distinto dal
corpo della chiesa. Essa presenta infatti un fronte molto più largo di quello del corpo longitudinale a tre
navate, ed ha, rispetto ad esso, un’altezza molto maggiore, l’intero impaginato delle sue molte componenti
figurali, può così essere liberamente coordinato secondo un principio progettuale fondato sostanzialmente
sul sistema ad quadratum, il quale però, si articola e vivifica poi anche in base ad un ulteriore tracciamento
di secondo ordine, rispetto a quello fondamentale, che richiama il sistema ad triangulum. L’intero processo
compositivo è fondato su ribaltamenti o rotazioni di figure geometriche e sulle loro interrelazioni ed
intersezioni. La facciata, in tal modo, risulta in sostanza appartenere più allo spazio urbano, che all’edificio
chiesastico di cui è invece parte integrante. Alla scala e nella dimensione dell’episodio orvietano questa
soluzione appare innovativa: l’intera facciata si presenta infatti come una sorta di retablo a scala urbana,
contribuendo così ad accentuare ulteriormente il carattere di fuori scala che la cattedrale assume nei
confronti dell’intero tessuto cittadino.
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DUOMO DI SIENA
Un’importante episodio, per l’architettura gotica italiana, è la decisione di non dar seguito al grandioso
progetto di ampliamento della cattedrale di Siena intrapreso con grave insuccesso statico nei primi decenni
del Trecento; ma di riprendere invece i lavori della chiesa sviluppando su nuova base planimetrica lo
schema preesistente. Ne scaturisce una soluzione complessa che riconduce l’impianto al tipo della croce
latina; e che, essendo il tratto orientale a tre navate e quattro campate contro le tre navate e cinque
campate del corpo longitudinale, porta in pratica la cupola su base esagonale a diventare il centro del
sistema architettonico. E ciò anche se il carattere apparentemente simmetrico ed unitario dello spazio dei
bracci del transetto è poi negato dalla presenza di due torri scalari che ne occupano rispettivamente una
campata meridionale e una settentrionale. La terminazione rettangolare in ciascuno dei bracci di croce
trova alcuni riscontri nella soluzione trecentesca del duomo di Orvieto. E’ però più logico pensare che la
soluzione sia stata dettata da considerazioni di carattere pratico, ed è comunque da sottolineare che la
scelta adottata riesce a mediare tra le istanze di continuità logistica e quelle di un più aggiornato clima
culturale. L’opera venne completata tra il 1369 e il 1377 con la continuazione della facciata già in
precedenza impostata da Giovanni Pisano attorno al 1300. Così la facciata stessa appare come un fortunato
equilibrio tra i temi ed i tracciati del livello inferiore ove si aprono i tre portali, e quelli, molto più
geometrizzanti ed apparentati a temi di carattere europeo, e forse più propriamente francese, negli
elementi scultorei non meno che in quelli architettonici: nelle edicole per alloggiare le statue ed in altri
motivi che riecheggiano all’esterno i temi interni di gallerie, trifori e balaustre; e che richiamano appunto
l’architettura d’oltralpe.
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CENNI SUI CARATTERI DELL’ARCHITETTURA CIVILE: I PALAZZI PUBBLICI, CASTELLI RESIDENZIALI
Contemporaneamente a Siena il cantiere del palazzo pubblico consente di mettere in evidenza l’attenzione
che i committenti e le autorità preposte rivolgono al decoro e alla qualità urbana, anche mediante
l’adozione di nuovi strumenti operativi, definibili di carattere urbanistico: nel 1297 una normativa comunale
stabilisce precise limitazioni al tipo e alle caratteristiche delle aperture delle case affaciate sulla piazza del
Campo ed ai materiali da impegnare. Tale strumento progettuale si rivela così efficace da consentire, con la
sua semplice ripetizione, il controllo dei successivi ampliamenti apportati al nucleo originale, costituito dal
blocco centrale squadrato, alto quattro piani, cui vennero aggiunte, nel 1307-10, le due ali più basse e poi la
snella Torre del Mangia: è evidente il valore simbolico-politico della costruzione, mentre nulla, malgrado il
coronamento a merli del prospetto, fa pensare a un edificio fortificato. Diverso carattere ha il quasi
contemporaneo Palazzo Vecchio di Firenze, iniziato nel 1299 e costruito con insolita rapidità. L’impiego del
bugnato rustico, la prevalenza assoluta dei pieni, il camminamento su mensole che corona il poderoso
volume parallelepipedo, conferiscono alla costruzione un deciso aspetto militare, che ricorda i precedenti
esempi del Palazzo dei Priori di Volterra e del Bargello di Firenze. Gli altri palazzi pubblici dell’Italia centrale
e settentrionale, sorti eccezionalmente numerosi ed importanti, dopo il 1250, a testimoniare il fiorire della
vita comunale nei centri della penisola, sono caratterizzati in genere da un maggior senso di apertura verso
l’esterno, mediante ampi porticati al piano terreno, o grandi finestre e logge con scalinate esterne al piano
superiore, che tolgono pressoché ogni aspetto militare a queste costruzione, in cui gli elementi gotici
rimangono tuttavia poco evidenziati: fa eccezione la loggia ad archi intrecciati che fiancheggia il Palazzo dei
Papi di Viterbo, il quale, per il resto, riprende il modello stabilito nel Palazzo del Capitano del Popolo di
Orvieto intorno al 1250: essenzialmente un’unica grande sala, innalzata su un piano inferiore, che a
Orvieto, originariamente si apriva in una serie di arcate e volte a botte, a mettere in comunicazione due
piazze adiacenti. Per la copertura della sala fu adottata una struttura lignea su archi trasversali di appoggio,
nel margine superiore conformati a timpano: si tratta di una soluzione destinata a un notevole successo,
ripetuta non solo a Orvieto, ma anche a Viterbo, a Todi, a Perugia. L’origine risale senza dubbio ad impianti
cistercensi, nei quali fu usata da prima per coprire dormitori e refettori.
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Palazzo Vecchio a Firenze
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INDICE
S. Vitale pag 14
51
Chiese di pellegrinaggio pag 25
Cluny pag 27
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