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Paolo Gresti Riassunto Dei Tre Libri Necessari Per Sostenere Lesame Di Filologia Romanza

Il documento fornisce un riassunto dei tre libri necessari per l'esame di filologia romanza, focalizzandosi sull'origine e l'evoluzione del latino volgare e delle lingue romanze. Viene analizzata la diffusione del latino durante l'espansione dell'Impero Romano e le varie influenze linguistiche che hanno portato alla formazione delle lingue romanze moderne. Si discute anche delle fonti dirette e indirette del latino volgare, evidenziando la complessità del processo di differenziazione linguistica.

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Paolo Gresti Riassunto Dei Tre Libri Necessari Per Sostenere Lesame Di Filologia Romanza

Il documento fornisce un riassunto dei tre libri necessari per l'esame di filologia romanza, focalizzandosi sull'origine e l'evoluzione del latino volgare e delle lingue romanze. Viene analizzata la diffusione del latino durante l'espansione dell'Impero Romano e le varie influenze linguistiche che hanno portato alla formazione delle lingue romanze moderne. Si discute anche delle fonti dirette e indirette del latino volgare, evidenziando la complessità del processo di differenziazione linguistica.

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Paolo Gresti - riassunto dei tre libri necessari per sostenere


l'esame di filologia romanza
Lingue e Culture per il Turismo e la Cooperazione Internazionale (Università degli Studi
di Bari Aldo Moro)

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Paolo Gresti

Introduzione alla linguistica romanza

LATINO VOLGARE (Capitolo 1)


1.1 Introduzione
Alla base della Filologia romanza, vi è la speculazione linguistica: difatti il padre
fondatore della Filolofia, il tedesco Friedrich Diez, dedica una delle sue opere
alla grammatica delle lingue romanze, e sin dalla prima pagina proclama il
“latino volgare” la lingua dalla quale derivano tutte le altre lingue romanze; il
latino cioè parlato dal popolo, lontano da quello classico. La storia del latino
volgare è lenta e complessa, è legata all’Impero Romano, e sebbene abbia
lasciato una sterminata eredità linguistica negli altri idiomi odierni, non si è
diffusa a macchia d’olio nemmeno nei periodi più floridi dell’Impero Romano. Il
rapporto tra lingua coloniale e lingua della Madrepatria che si viene a creare
con un’invasione viene scandito da diversi fattori:
1) La lingua coloniale si adatterà a fattori ambientali della terra colonizzata;
2) La lingua di madrepatria può variare con l’arrivo di quella coloniale;
3) La lingua coloniale può subire variazioni che non intacchino quella di
madrepatria;
4) Le due lingue possono fondersi in una dialettizzazione;
5) I parlanti di una zona possono spostarsi contaminandone la parlata
(diaspora linguistica).

1.2. Espansione romana e romanizzazione


Schleicher definì il latino una lingua appartenente alla famiglia delle lingue
indoeuropee, assieme al greco, alle lingue germaniche, slave, celtiche,
baltiche, l’albanese e a buona parte di quelle italiche. Il latino, originariamente
parlato solo in Lazio, si diffuse grazie all’espansione dell’Impero Romano. Fu
esattamente nel 275 a.C. che i Romani completarono la loro prima fase
espansionistica, dopo aver sconfitto Pirro. Dopo aver conquistato quasi tutta la
Penisola Italica, vinte le guerre puniche si espansero senza freni, fino al regno
di Diocleziano (284-305 d.C.), quando iniziò una lenta crisi. Il latino si diffuse
grazie all’esercito ma anche grazie ai mercanti, nelle città. I studiosi hanno
chiamato Romània la zona nei quali oggi si parla una lingua romanza. Quanto
alla Romània submersa o perduta, ci si riferisce a quella parte in cui si parlò nel
corso del Medioevo delle lingue romanze (come il sud della Gran Bretagna,
dell’ex Jugoslavia e dei Balcani), ma oggi non più. Quanto alla Romània nuova,
s’intendono i territori di tradizione non-latina ma conquistati da paesi di lingua
romanza, oggi si parlano varianti di lingue romanze, a causa coloniale: è il caso
del francese canadese o africano, dello spagnolo americano, asiatico (filippino),

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del portoghese brasiliano e africano, e dell’italiano etiope, eritreo e somalo.


L’aggettivo romanus aveva originariamente un significato politico, come
cittadino; con le invasioni barbariche si andò poi a contrapporre all’aggettivo
barbarus per distinguere da un punto di vista prettamente linguistico i romani
che parlavo latino e i barbari che non lo parlavano. A romanus si accostò
romanicus (“fatto a Roma”), da cui derivò l’avverbiò romanice (“alla maniera
dei Romani”), da cui derivò a sua volta il francese antico romanz, che può
significare lingua volgare, componimento in volgare, discorso in volgare, che si
va poi a tradurre in romans (provenz.), romance (spagn.) o romanzo (ital.).

1.2 Il latino volgare


1.3.1 Il latino rustico
Hugo Schuschardt elaborò una teoria secondo la quale ci potesse essere una
relazione tra la data di conquista di una certa provincia, il latino “esportato” in
quella provincia dagli invasori e la lingua romanza che ne sarebbe poi sorta; ne
tracciò poi un albero genealogico in cui il tronco era il latino di Roma e i rami,
nati in momenti diversi, erano le lingue romanze. Tale teoria venne poi
contestata da Adams, il quale ne ribattè l’infondatezza sottolineando che non
può essere un solo evento a scaturire processi così lunghi ma che il processo è
ben più complesso, e che le province dopo esser state conquistate comunque
non rimanevano isolate, continuando a subire modificazioni linguistiche.
Oltretutto Adams ammonisce sull’errore di considerare anche il latino classico
come una lingua monolitica, fissa e invariabile: le variazioni linguistiche
esistono sin dalle prime testimonianze che abbiamo, per cui risulta anche
difficile credere che la ricostruzione del latino classico che abbiamo fatto fosse
davvero rispettata così rigidamente. Inoltre, molti studiosi si sono posti il
problema dell’efficacia dell’aggettivo volgare, che attribuirebbe quasi un valore
plebeo al latino romanzo, proponendo alternative come “popolare, non-
standard o Umgangsprache” cioè lingua “d’uso corrente”. Alla fine, Adams
convenne nell’usare volgare, consapevole che fosse una lingua orale e che
fosse soggetta alle variazioni diacroniche, diatopiche e diafasiche di ogni
lingua. Quanto al termine da usare, Cicerone usava vulgaris o plebeius sermo
per indicare un latino meno attento grammaticalmente. Ma tradizionalmente
l’aggettivo usato per “lingua scorretta” è sempre stato rusticus. Cicerone pare
che lo usi con un significato dispregiativo per distanziarlo dal sermo urbanus.
Ad ogni modo, pare che le differenze fossero più fonetiche che lessico-
sintattiche.
1.3.2 Latino volgare e latino classico
Come tutte le lingue d’uso, anche il latino volgare subisce variazioni diatopiche
(di spazio), diacroniche (di tempo) e diafasiche (di registro). La coesione
linguistica ha retto finché ha retto quella imperiale; alla sua caduta, le
differenze regionali si sono accentuate. C’è chi ha negato l’esistenza del
volgare, come c’è chi invece l’ha inteso cronologicamente in modo diverso: c’è
chi lo considera una lingua “figlia” del latino classico, come asserisce Manczak

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(che considera il volgare una fase intermedia tra il classico e le romanze), e chi
le considera lingue “sorelle” e contemporanee. Il problema è parecchio difficile
perché anche il latino classico non era già di per sé omogeneo tra le caste colte
che lo parlavano.

1.3.3 Cronologia dell’evoluzione

Prima della crisi, tutti i parlanti erano bene o male concordi e consapevoli di
parlare latino. I fenomeni che disgregarono questa convinzione, dando un lento
parto alle lingue romanze sono:

1. La caduta dell’opposizione quantitativa: a partire dal III secolo d.C. le lingue


parlate davano sempre meno peso alla lunghezza (quantità) delle vocali latine -
che nel latino classico era basilare- e sempre più peso al timbro (apertura o
chiusura dei suoni vocalici);

2. La scomparsa delle consonanti finali: la -m finale latina scompare


precocemente (e tutt’oggi nessuna lingua romanza la conserva); la -s e la -t
s’indeboliscono più tardivamente: in alcuni casi rimangono ma il più delle volte,
rimangono silenti (come il francese);

3. L’indebolimento delle consonanti intervocaliche: la -b- s’indebolisce fino a


confondersi con la -v-, e più tardivamente seguirà la -t- che si confonderà in -d-;

4. L’affricazione: lo yod (preceduto o meno da consonante) si fricativizza come


in Giovi/Iovi, Ziaconus/ Diaconus;

5. La caduta della declinazione; si diffonde lentamente un senso di confusione


per il sistema dei casi, con confusioni tra dativo e genitivo, tra accusativo e
nominativo, specialmente dal IV-V sec;

6. Nuove forme verbali romanze; viene a crearsi un nuovo tempo futuro in


romanzo, con la confusione tra -b- e -v- in laudavit (con confusione dunque tra
il futuro laudabit e il perfetto laudavit), e viene creata la forma perifrastica del
passivo sum laudatus soppiantando il classico laudor.

Distinguiamo dunque mutamenti precoci (prima del VI sec.) e mutamenti


tardivi (dal VI al IX sec.). Dal V secolo possiamo già vedere testimoniate sulle
iscrizioni le variazioni geografiche del latino nelle varie zone romanze, ed
avendo visto quanto lento sia stato questo processo, possiamo asserire con
sicurezza che la creazione delle lingue romanze non si stato un evento
traumatico. Tutto ciò viene inaugurato e consumato nel period della renovatio
carolingia, cioè nel periodo della riforma scolastica di Carlo Magno -e la

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fondazione della scuola palatina- che accentuò la differenza tra latino classico e
lingue romanze e confluì al Concilio di Tours dell’813, col quale si decise che il
clero dovesse predicare le omelie in volgare, cosicché i fedeli potessero
ricevere la Parola nella sua interezza comunicativa.

1.4 Le fonti del latino volgare


1.4.1 Le fonti dirette
1.4.1.1 Grammatici latini

I grammatici latini che si sono cimentati nella correzione delle forme scorrette
sono tantissimi: da Appio Claudio a Paolo Diacono. Una delle maggiori opere
pervenuteci è l’Appendix Probi, un manualetto anonimo che elenca le forme
scorrette che iniziavano ad insinuarsi nel parlato di quell’epoca. È stimata
un’origine al V-IV sec.

1.4.1.2 Autori latini antichi, classici e tardi

Interessanti sono le commedie di Plauto, ricche di scelte non classiche (come il


maschile che soppianta il neutro, e l’uso di lessico volgare anziché classico), e
soprattutto il Satyricon di Petronio, romanzo frammentario noto soprattutto per
l’episodio della Cena Trimalchionis, incentrata sulla figura del liberto
Trimalchione, non particolarmente colto, a abile nella sua scalata sociale.
Esemplari, infine, le Epistolae ad familiares di Cicerone, lettere che scrive ai
suoi familiari in cui accosta ad un registro non colto, forme perifrastiche che
anticipano le strutture delle lingue romanze correnti.

1.4.1.3 Iscrizioni latine

Iscrizioni murarie o tombali hanno rivelato importanti variazioni ed evoluzioni


volgari del latino classico in tempi non sospetti: destano sorpresa quelle
rinvenute sui muri degli scavi di Pompei -appartenente al pieno stadio
imperiale romano- in cui già ritroviamo sincopi, diminutivi, cadute delle -m
finali, sonorizzazioni delle consonanti intervocaliche, monottongazioni dei
dittonghi ecc…

1.4.1.4 Glossari

L’iniziatore del genere dei lessicografi e glossografi è Pompeo Festo; trattasi di


vocabolari antichi in cui veniva spiegato in latino il significato di termini volgari
che stavano affiorando. Uno dei glossari più generosi è quello di Reichenau.

1.4.1.5 Trattati tecnici, storie e cronache

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Trattati d’architettura, medicina, veterinaria, farmacologia, cucina, agricoltura,


mineralogia, ma anche storie e cronache storiche di valore contenutistico
scadente, ma di valore dimostrativo sul piano dell’evoluzione della lingua
ineccepibile.

1.4.1.7 Autori cristiani

Per gli autori cristiani, l’obiettivo prioritario era chiaramente quello di arrivare
a quante persone possibili: dunque abbassano il registro e abbandonano la
classicità e il rigore del latino classico e favoriscono le parlate popolari.
Tuttavia, verso metà del IV secolo i testi si fanno più colti e letterari con
Sant’Agostino e San Girolamo.

1.4.2 Le fonti indirette

La sola consultazione delle fonti sopraccitate non ci permetterebbe di


ipotizzare un idioma “madre” di tutte le lingue romanze: un’ipotesi di lemma
latino volgare viene confermata solo se viene riscontrata la variazione in tutte
(o gran parte) delle lingue romanze. Ad esempio, il passaggio dal latino classico
POSSE al volgare POTERE lo deduciamo dalle forme odierne del verbo nelle
lingue romanze, ma finché non avranno una fonte scritta che lo attesterà,
rimarranno pur sempre delle -molto probabili- ipotesi. Ci sono inoltre casi in cui
la somiglianza collettiva di un lemma tra le varie lingue romanze non giustifichi
un’origine latina volgare, come giardino (it.)/jardin (fr.)/jardim (po.), tutti
derivanti dal francese jardin, a sua volta derivato dal fràncone gart.

IL SORGERE DELLE LINGUE ROMANZE E LA CLASSIFICAZIONE (Capitolo 2)

2.1 Ragioni della differenziazione delle lingue romanze

Nell’analizzare la differenziazione tra le varie lingue romanze, si tiene conto di


tre fattori:

1.Fattore cronologico: col tempo tutte le lingue, lentamente, si evolvono in


quanto impercettibilmente la lingua cambia di generazione in generazione;

2. Fattore geografico: quando un popolo invade un altro popolo di un’altra


zona, chi prova ad accostarsi alla nuova lingua inserirà involontariamente i
tratti caratteristici della lingua madre. Se sopravvive la lingua del popolo
invasore, quella del popolo invaso gli funge da substrato; se sopravvive quella
degli invasi, quella degli invasori gli funge da superstrato; si ha un adstrato
quando entrambe le lingue si influenzano orizzontalmente. Il latino volgare,
prima di scomparire, ha interagito con alcuni superstrati (dei popoli che
invasero e distrussero l’Impero Romano), come influenze germaniche sul
francese o arabe sullo spagnolo, e molti substrati (dei popoli invasi dall’Impero
per espansione):

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a. Dialetti italici dell’Italia centrale e settentrionali;

b. Illirico nelle Puglie, Dalmazia e Veneto;

c. Greco nella Magna Grecia;

d. Etrusco in Campania, Lazio, Romagna e Toscana;

e. Ligure; f. Celtico;

g. Tracio e gotico in Romania (Dacia).

3. Fattore stilistico: mutamenti tra la lingua scritta e quella orale


(quest’ultima più soggetta a modifiche di natura socio-culturale).

2.2 La classificazione delle lingue romanze

Lo studioso H. Lausberg propon una divisione delle lingue romanze di tipo


geografico: Romània occidentale (Iberoromania, Galloromania, Retoromania,
Italia settentrionale), Romània orientale (Italia centrale, Italia meridionale,
Romania e Dalmazia) e Sardegna. Le principali lingue romanze sono:

1. Francese: l’odierno francese letterario è il francese dell’altàsocietà parigina


unificato nel XVII secolo, con le sue evoluzioni avvenute nei secoli successivi.
Tra le varianti, differenziamo le lingue settentrionali (vallone e piccardo), le
lingue occidentali (normanno settentrionale e meridionale), le lingue sud
occidentali (pittavino), le lingue sud orientali (borgognone) e le orientali
(champenois); tutte queste sono raggruppate nella definizione di lingua d’oïl. Il
più antico testo in “francese” sono i Giuramenti di Strasburgo (842), che è
anche il primo assoluto in volgare.

2. Provenzale/Occitano: la lingua medievale della Francia meridionale, che


ebbe grande successo con la nascita della lirica trobadorica ma che venne poi
soppiantata dalla lingua francese del nord (sopra detta); Francesco I, attraverso
l’Ordonnance de Villers-Cotterets (1539) rese obbligatorio l’uso del francese
negli atti pubblici, soppiantando il latino per tutelare i ceti meno colti, ma di
fatto,soppiantò anche qualsiasi altra minoranza nazionale, come appunto il
provenzale.

3. Catalano: dal IX secolo si crea un centro politico-culturale attorno al conte


(poi re) di Barcellona, elevando il catalano a lingua ufficiale della casata
d’Aragona. I forti rapporti con la Francia lasciano nel francese importanti
impronte. Con l’unificazione dei regni di Castiglia e Aragona del 1479, il
castigliano iniziò per poi soppiantare definitivamente il catalano con la
proclamazione a lingua ufficiale nel 1714. Oggi il catalano è una delle lingue
nazionali della Spagna.

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4. Spagnolo: lo spagnolo odierno si basa sul castigliano. Durante la


dominazione araba, la Penisola Iberica era divisa tra regni cristiani (che parlano
lingue romanze) nel nord e regni arabi nel sud (che comunque avevano dei
piccoli dialetti romanzi, soffocati dalla lingua ufficiale che era l’arabo, che sono
i dialetti mozarabici, da mozarabe, suddito degli arabi). Con il lento processo
della Riconquista, si riafferma il castigliano nazionalmente. Ad oggi, dati i suoi
grandi domini coloniali, è la lingua romanza più parlata nel mondo.

5. Portoghese e galego: nel Medioevo, erano due varianti della lingua


portoghese-galega, lingua letteraria di prestigio. Quando nel 1095 la contea
(poi regno) di Portogallo si separò dalla Galizia, le due lingue hanno preso due
strade diverse. La lingua attuale si basa su quella di Lisbona, capitale dal XV
secolo. Il portoghese brasiliano ha importanti differenze di tipo lessicale e
fonetico, e riprende caratteristiche arcaiche della lingua europea. Il galego,
dapprima tralasciato, diventa lingua ufficiale in Spagna nel corso degli anni
Settanta.

6. Retoromanzo (o ladino): cadono sotto questo gruppo varie lingue parlate in


territori disomogenei e alternati da zone germanofone. Il retoromanzo è diviso
in tre gruppi:

a. Occidentale: suddiviso in sursilvano, sottosilvano, surmirano, alto e basso


engadino. Nella regione della Raetia si diffuse sempre di più il tedesco;

b. Centrale: costituito dal ladino dolomitico;

c. Orientale, cioè il friulano.

7. Romeno: parlato principalmente in Romania e Moldavia. Fino al 1840 era


scritto in caratteri cirillici, e l’area in cui si parla è suddivisibile in 4 zone:
dacoromeno (Romania), macedoromeno, megleoromeno e istroromeno. I
romeni hanno vissuto fino al VI secolo in contatto con gli Slavi, loro popolo
conquistatore, che li ha molto influenzati in più ambiti.

FONETICA (Capitolo 4)

4.1 Foni, fonemi, allofoni

La fonetica studia le caratteristiche fisiche dei suoni, la cui unità di misura è il


fono; la fonologia studia le funzioni che i foni hanno all’interno del proprio
sistema linguistico, e la sua unità di misura è il fonema (che è un fono collocato
nel suo sistema linguistico, e caratterizzato da tratti distintivi. Attraverso le
coppie minime, si riesce ad opporre parole singole che hanno una minima
differenza dietro la quale si cela una totale variazione di significato: questo può
avvenire con un’apertura o chiusura delle vocali (accètta-accétta), di una
sordità o sonorità delle consonanti (pende-bende), ma mai per quantità (cioè

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non esistono, in italiano, coppie minime che differenzino due parole in base alla
lunghezza o brevità vocalica; ciò accade in latino e in inglese, e.g. sheep-ship).
Gli allofoni invece sono i vari suoni che possiamo ottenere dalle varie posizioni
assunte dal fonema, come la n che varierà il suono in nano o anca.

4.2 L’accento

In latino esisteva sia la quantità vocalica, ma anche quella sillabica, necessaria


per determinare la posizione dell’accento nelle parole. La legge della penultima
stabilisce che, in tutte le parole plurisillabiche, l’accento cada sulla penultima
sillaba quando questa è lunga, altrimenti sulla terzultima. Una sillaba è sempre
lunga quando è chiusa (terminante cioè per consonante), e lo è anche se
questa è aperta (terminante per vocale) quando contiene una vocale lunga; se
la vocale contenuta nella sillaba aperta è una vocale breve, anche la sillaba
stessa sarà breve. Dunque, tutte le sillabe sono lunghe, escluse quelle aperte
con vocale breve. Generalmente, l’accento del latino classico ha mantenuto la
sua posizione nelle romanze, eccezion fatta per:

1. Proparossitoni latini (ìntegrum – intero);

2. Parole latine con iati con e o i toniche nella terzultima (filìolum – figliòlo/
mulìerem – mòglie/ parìetem – parète);

3. Alcuni verbi composti che hanno spostato l’accento dal prefisso al radicale
del verbo, a volte restituendo la vocale tematica (rènegat – rinnéga/ dìsplicet –
dispiàce);

4. Metaplasmi di coniugazione (fùgere – fuggìre);

5. Altri casi particolari non coerenti in tutte le lingue romanze (ficàtum – fègato,
hìgado MA ficàt in romeno).

4.3 Dal sistema quantitativo al sistema timbrico

È un’evoluzione panromanza (quindi relativamente antica) il passaggio dal


sistema quantitativo -che in latino classico opponeva molte coppie minime- al
sistema timbrico -che nelle attuali lingue romanze tende ad opporre parecchie
coppie minime-; ciò non accade per lo spagnolo, che non ha differenze tra la e
e la o aperte o chiuse, come accade spesso in italiano.

4.4 Vocalismo

4.4.1 Vocalismo tonico: evoluzione spontanea

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È il processo che ha portato all’evoluzione delle vocali dal latino alle romanze.
In alcuni casi il processo è stato una semplice perdita di qualità (il sistema
sardo ad esempio ha 5 vocali, che non variano di quantità); il sistema italico
invece contempla 7 vocali, data la variazione di quantità possibile per le vocali
e e o. Nel passaggio da latino alle romanze però, ci sono stati anche altri
cambiamenti, come per l’italiano la presenza -attestata da tempi più remoti
sino anche al XIX secolo- dei dittonghi /jè/ o /wò/ preceduti anche da cons. + r o
da palatali /gl/ o /g/ dolce, come in brieve, figliuolo, giuoco… In francese O e U
si evolvono nel dittongo ou; il catalano evolve I e E in e ad ovest, e nella schwa
ad est. Quanto ai dittonghi latini (gli unici erano AE, OE e AU), i primi due si
sono presto monottongati in e (coelum – cielo), mentre AU ha mostrato più
resistenza, monottongandosi più tardivamente in rari casi in o chiusa (caudam
– coda), ma nella maggiorparte in ò aperta (aurum – òro).

Dittongamento L’evoluzione del vocalismo ha portato anche ad un


dittongamento sulla cui origine gli esperti sono ancora discordi: questo
fenomeno, assente in provenzale e portoghese, così si comporta nelle altre
lingue:

(1) Spagnolo: dittongano la O e la E sia in sillaba aperta che chiusa (BONUM-


BUENO/TERRAM-TIERRA);

(2) Italiano: dittongano la O e la E solo in sillaba aperta (BONUM-BUONO ma


TERRAM-TERRA);

(3) Francese: al dittongamento della O ed E, si aggiungono anche altri dittonghi


(REGEM-ROI/PEDEMPIED);

(4) Romeno: dittonga la E in ie (FERRUM-FIER/PECTUS-PIEPT)

4.5 Consonantismo

Il consonantismo delle lingue romanze è diverso in parte da quello del latino


classico: si perde innanzitutto l’h, che già si era indebolita nel periodo più tardo
(come testimoniano epigrafi con scritture erronee con abere o ic), un’h
completamente scomparsa in italiano avendo perso il suo valore fonetico, o
rimasta come un latinismo grafico senza alcun valore fonetico in altre lingue
romanze (da HOMINEM a homme, hombre); in italiano distingue graficamente
le forme coniugate del verbo avere da preposizioni o congiunzioni omofone. È
curioso che le lingue romanze abbiano sviluppato suoni inesistenti e
sconosciuti al latino classico, come c e g dolci, ts e z rispettivamente sorda e
sonora ed altre. La gu dura non esisteva all’inizio della parola ma solo ad inizio
sillaba all’interno della parola (cioè in lingua ma non in guarda), fonema che si
è evoluto in b in romeno o sardo (da lingua a limba).

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4.5.1 Consonanti iniziali

4.5.1.1 Consonanti semplici

Nel trattamento delle consonanti semplici all’interno della parola, la Romània si


divide in due: quella occidentale (francese, provenzale, spagnolo, portoghese,
catalano e italiano settentrionale) e quella orientale (italiano e romeno); in
generale nell’Italia orientale si conservano di più le consonanti intervocaliche,
mentre in quella occidentale si leniscono (fino a sonorizzarle, spirantizzarle o
addirittura dileguarle). a) Occlusive labiali; la sonora /-b-/ si è fricativizzata in /-
v-/. In origine la /-v-/ era una “u” semiconsonantica divenuta poi un suono
bilabiale (come quello spagnolo), che nella lingua parlate si evolse in /-v-/ che il
romeno ha dileguato e l’italiano ha mantenuto. Nelle lingue iberoromanze, il
suono bilabiale è rimasto, la cui grafia è possibile sia con b sia con v. In casi
come il francese paon (da pavonem), abbiamo un dileguo. Quando alla sorda /-
p-/, venne sonorizzata e spirantizzata nella Romània occidentale (da RIPAM a
riba in pr.); b) Occlusive dentali; la sonora /-d-/ viene conservata nell’orientale,
e sonorizzata, spirantizzata o dileguata nella Romània occidentale (da videre a
voir/ver); così anche la sorda /-t-/ (da fatam a fée/ hada).; c) Occlusive velari; la
corsa /-c-/ si palatizza davanti alle vocali palatari e e i, ma non in sardo (kentu -
cento). L’affricata palatale sorda c (/tsh/) si mantiene nell’orientale, ma si
evolve nell’occidentale in affricate dentale sorda /ts/, che si evolve
ulteriormente nelle galloromanze e portoghese in sibilante /z/, nel castigliano
nell’interdentale /th/, ad es. PLACERE in plaisir (/z/), plazer (/z/), placer (/th/).
Anche la G velare si palatizza davanti a vocali palatari come e e i, ma nella
Romània occidentale può rimanere tale, trasformarsi in yod o dileguarsi
(SAGITTAM in saeta, saetta/LEGEM in loi, ley); davanti a vocali velari (a, o e u),
la sorda C sonorizza o spirantizza, la sonora G spirantizza (AMICAM in
Amiga/Amie, NEGARE in nier); d) Fricative labiali; la /-f-/ viene trattata a volte
come se fosse a inizio parola, a volte come un’intervocalica, e dunque si
mantiene in Romània orientale e sonorizza o dilegua in occidentale (DEFENSAM
in difesa MA dehesa in spagnolo); e) Fricative alveolari (sibilanti); la /-s-/ latina
era sorda: si conserva tale nella Romània orientale, mentre si sonorizza in
quella occidentale (per poi desonorizzarsi di nuovo in spagnolo).

4.5.2 Consonanti all’interno della parola

4.5.2.1 Consonanti semplici

Nel trattamento delle consonanti semplici all’interno della parola, la Romània si


divide in due: quella occidentale (francese, provenzale, spagnolo, portoghese,
catalano e italiano settentrionale) e quella orientale (italiano e romeno); in
generale nell’Italia orientale si conservano di più le consonanti intervocaliche,

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mentre in quella occidentale si leniscono (fino a sonorizzarle, spirantizzarle o


addirittura dileguarle).

a) Occlusive labiali; la sonora /-b-/ si è fricativizzata in /-v-/. In origine la /-v-/


era una “u” semiconsonantica divenuta poi un suono bilabiale (come quello
spagnolo), che nella lingua parlate si evolse in /-v-/ che il romeno ha dileguato
e l’italiano ha mantenuto. Nelle lingue iberoromanze, il suono bilabiale è
rimasto, la cui grafia è possibile sia con b sia con v. In casi come il francese
paon (da pavonem), abbiamo un dileguo. Quando alla sorda /-p-/, venne
sonorizzata e spirantizzata nella Romània occidentale (da RIPAM a riba in pr.);

b) Occlusive dentali; la sonora /-d-/ viene conservata nell’orientale, e


sonorizzata, spirantizzata o dileguata nella Romània occidentale (da videre a
voir/ver); così anche la sorda /-t-/ (da fatam a fée/ hada).;

c) Occlusive velari; la corsa /-c-/ si palatizza davanti alle vocali palatari e e i, ma


non in sardo (kentu - cento). L’affricata palatale sorda c (/tsh/) si mantiene
nell’orientale, ma si evolve nell’occidentale in affricate dentale sorda /ts/, che si
evolve ulteriormente nelle galloromanze e portoghese in sibilante /z/, nel
castigliano nell’interdentale /th/, ad es. PLACERE in plaisir (/z/), plazer (/z/),
placer (/th/). Anche la G velare si palatizza davanti a vocali palatari come e e i,
ma nella Romània occidentale può rimanere tale, trasformarsi in yod o
dileguarsi (SAGITTAM in saeta, saetta/LEGEM in loi, ley); davanti a vocali velari
(a, o e u), la sorda C sonorizza o spirantizza, la sonora G spirantizza (AMICAM in
Amiga/Amie, NEGARE in nier);

d) Fricative labiali; la /-f-/ viene trattata a volte come se fosse a inizio parola, a
volte come un’intervocalica, e dunque si mantiene in Romània orientale e
sonorizza o dilegua in occidentale (DEFENSAM in difesa MA dehesa in
spagnolo);

e) Fricative alveolari (sibilanti); la /-s-/ latina era sorda: si conserva tale nella
Romània orientale, mentre si sonorizza in quella occidentale (per poi
desonorizzarsi di nuovo in spagnolo).

Consonanti + iod

Nelle lingue romanze, la consonante + yod provoca sempre un’evoluzione:

- N+yod; in tutte le lingue si palatizza in /gn/, come in VINEAM-VIGNA, tranne


nel romeno che rimane solo lo yod (VINEAM-VIE);

- L+yod; in italiano e portoghese produce una /gl/ (in portoghese/lh/), indebolita


in francese e romeno in /j/, e in spagnolo in /x/ (FOLIAM-foglia, folha, feuille,
hoja);

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- T+yod; in provenzale, spagnolo antico e portoghese diventa una /z/ sonora,


che si desonorizza in /th/ in spagnolo corrente; in antico francese si evolse in
/ts/, a sua volta evoluto in /z/ sonora o /s/ sorda, mentre in italiano una /ts/
sorda o /g/ sonora (PLATEAM-piazza,place,plaza,plasa);

- D/G+yod; nella Romània orientale s’evolve in /ts/ sorda, mentre ad occidente


diventa /g/ palatale sonora o si riduce a yod (HODIE-oggi,hui,uei,hoy,hoje,azi);

- S+yod; nelle galloromanze e in portoghese, lo yod si inverte in iz; in spagnolo


si ha una /s/ sorda, in romeno una /sh/ palatale sorda, mentre in italiano una
/tsh/ o /dsh/ (BASIARE-baciare,baiser,besar, beijar);

- C+yod; si palatizza o assimila ovunque (FACIEM-faccia,face,fatz,haz);

- R+yod; in genere si ottiene jr, mentre in italiano lo yod (AREAM-


aia,aire,aira,era,eira,arie).

1. Lenizione: con questo fenomeno le consonanti intervocaliche si


indeboliscono, in particolare le occlusive. Quest’ultimo elemento ha interessato
soprattutto la penisola iberica, la Francia e l’Italia Settentrionale. Inoltre questo
fenomeno non tocca le lingue orientali. La lenizione può verificarsi quando: la -s
intervocalica passa a /z/, le consonanti doppie sorde diventano semplici (pp →
p), le consonanti sorde diventano sonore (t → d; p → b), le consonanti occlusive
sorde diventano sonore o si annullano (k → g, Ø);

2. Palatalizzazione: questo fenomeno si ha quando il suono di una consonante


si sposta dal velo al palato. I vari fonemi che subiscono la palatalizzazione non
sono uguali in tutte le lingue romanze, poiché già in latino questo
procedimento incominciò ad affermarsi;

3. Spiranizzazione: fenomeno che porta i fonemi /b/ e /w/ del latino classico a
passare in latino volgare alla pronuncia fricativa labiale sonora. Questo
fenomeno avviene in gran parte delle lingue romanze. Per esempio da
“habere” si passa a “avere” oppure da “caballum” si passa a cavallo.

Gruppi consonantici primari

Seguono le evoluzioni gruppi formati da nasale+consonante, consonante+L e


velare+consonante:

 Nasale+consonante; generalmente questo gruppo si conserva, e la


nasale nasalizza in francese la vocale che la precede; nei dialetti italiani
meridionali, questi gruppi si assimilano (in nn o mm), mentre con NT e
MP, viene sonorizzata la seconda consonante (piommo, mannare,
monno, tammurru); il gruppo NG tratta la G compie ad inizio parola, o si
evolve in /gn/; v

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 Consonante+L; seguono la stessa evoluzione;


 Velare+consonante; il gruppo KT già si semplifica nel volgare con la
caduta della velare; in italiano si assimila ed in romeno si evolve in PT,
mentre nel resto della Romània si sviluppa in uno yod che spesso si
palatizza. Mentre il gruppo KS si assimila in italiano o si evolve nella
palatale /sh/, e in uno yod nelle galloromanze, o ancora in /ps/ nel
romeno.
Gruppi consonantici secondari

I gruppi consonanti secondari si formano a causa della sincope di una vocale


atona, postonica o interfonica: la caduta di questa vocale fa sì che si incontrino
queste consonanti (succede specialmente in francese che ha subito varie
sincopi vocaliche); in parte succedeva già nel latino volgare (VETULUS-VETLU-
VECLU-VECCHIO). Il francese adotta inoltre la Loi des trois consonnes quando ci
si trova dinanzi a gruppi consonantici tripli, che comporta la caduta della
consonante intermedia (legge che non vale per r e l). Alcuni gruppi sviluppano
l’epentesi, cioè l’aggiunta di una “consonante di transizione” (INSULA-INSLA-
ISCLA-ISCHIA), o in francese NUMERUS-NOMBRE.

Consonanti finali

Distinguiamo tra le consonanti in posizione finale primaria (cioè del latino) e


quelle in posizione finale secondaria (cioè già nelle romanze).

Posizione finale primaria

Alcune finali erano già articolate debolmente in latino, e la loro caduta è stata
testimoniata alla massima potenza in italiano, e alla minima in francese,
collocandosi tutte le altre lingue romanze tra questi due poli. v -m; già durante
la Repubblica veniva pronunciata debolmente; è caduta in tutte le lingue
romanze, lasciando qualche traccia nei monosillabi (REM-rene,rien); v -n;
generalmente è caduta dappertutto (NOMEN-nome,nom); v -s; durante il
periodo repubblicano, essa veniva pronunciata come una s se seguita da
vocale o consonante con la quale poteva formare gruppo. Cadde invece
laddove si trovava seguita da consonanti alle quali era impossibile legarsi; in
linea di massima, la Romània occidentale la conserva, mentre invece l’orientale
la converte in i (NOS-noi,nous,nos); v -t; già caduta nel latino volgare in tutte le
zone, si è mantenuta nel francese fino al 1100 circa. Ora la mantiene solo nella
desinenza della 3° persona plurale dei verbi (CANTANT-cantano MA chantent);
v -r; nei polisillabi subisce una metatesi, passando all’interno della parola
(SEMPER-sempre/QUATTOR-quattro).

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Posizione finale secondaria

C’è da tener conto che le consonanti diventate finali nelle romanze possono
aver subito modificazioni e non essere più quelle del latino; inoltre molte lingue
romanze accettano consonanti finali solo se queste sono possibili anche in
latino. Nelle lingue romanze, le consonanti diventano finali specialmente a
causa della caduta della vocale finale, specialmente nelle galloromanze; in
questo caso, si ricorre spesso alla desonorizzazione della consonante
(GRANDEM-grant in antico francese).

MORFOLOGIA (Capitolo 5)

5.1 Introduzione

La morfologia analizza la struttura e la forma delle parole, ed i processi che le


fanno evolvere. Questa branca distingue:

• Lingue analitiche o isolanti: cioè lingue in ci ogni parola consiste in un unico


morfema, come il vietnamita;

• Lingue agglutinanti, che aggiungono piccole particelle chiaramente


identificabili e segmentabili per dare il senso di numero, genere, caso ecc…,
come fanno il turco o il finlandese;

• Lingue sintetiche o flessive, che introducono queste particelle all’interno della


parola, flettendola come fa il latino, che evolvendosi nelle romanze, si evolve in
lingue analitiche (che comunque conservano vari elementi tipicamente
flessivi).

5.2 Morfologia nominale

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5.2.1 I casi e le declinazioni

Il latino parlato riduce molto il numero dei casi, mantenendo solo il nominativo
e usando l’accusativo con preposizioni per rimpiazzare gli altri casi. Questo
sistema bicasuale è stato poi abbandonato dalle lingue romanze, rimanendo in
quelle galloromanze sino al Medioevo. Il romeno invece, ancora mantiene due
casi, uno che accoppia nominativo e accusativo, ed una che accoppia il
genitivo e il dativo. Alcune lingue romanze inoltre, usano differenziano il
complemento oggetto dal complemento oggetto animato usando una
preposizione (come le iberoromanze che usano a).

Il latino parlato tende a ridurre molto il numero di casi rispetto al latino


classico: in sostanza rimangono il nominativo come soggetto e l’accusativo
come caso obliquo, che con l’uso delle preposizioni, può svolgere anche le
funzioni del dativo, del genitivo, dell’ablativo. In seguito, le lingue romanze
hanno eliminato anche questa flessione bicasuale, che resiste nelle lingue gallo
romanze, ma solo nella fase medievale. Fa eccezione il rumeno, che ha
azzerato la differenza tra nominativo e accusativo, ma mantiene ancora una
distinzione tra nominativo-accusativo da una parte e genitivo-dativo dall’altra.

5.2.1.1 Prima declinazione

E’ una declinazione piuttosto ricca, spiccatamente femminile; e pochi infatti


sono sostantivi maschili di questa declinazione e ancora meno quelli che sono
sopravvissuti nelle lingue romanze.

5.2.1.2 Seconda declinazione

Per i maschili singolari, il nominativo in -us si distingue nettamente


dall’accusativo in -um, e tale distinzione si conserva nella declinazione
bicasuale gallo-romanza medievale. Nelle lingue romanze moderne, prevale poi
l’accusativo. Per quanto riguarda il plurale, spagnolo e portoghese proseguono
l’accusativo -os, il francese mantiene solo la -s come marca del plurale, mentre
l’italiano e i rumeno proseguono con la -i.

5.2.1.3 Terza declinazione

I sostantivi della 3° declinazione si distinguono in:

 parisillabi, sostantivi i cui il nominativo singolare ha lo stesso numero di


sillabe del genitivo;
 imparisillabi sostantivi n cui nominativo singolare ha una sillaba in meno
rispetto al genitivo. Alcuni sostantivi della terza declinazione sono passati
alla seconda (os,<ossum/vas<vasum). Alcuni nominativi plurali in -es<-i
(abbates<abbati/sapientes<sapienti).

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5.2.1.4 Quarta declinazione

Il passaggio dei nomi della 4° declinazione alla 2° è testimoniato dalle iscrizioni


e da altre fonti del latino volgare, per esempio per i sostantivi passus,cantus,
portus.

Un caso particolare è il maschile fructus che aveva nel latino volgare, un


plurale in -a come fosse un neutro, il quale però diventa in alcune lingue un
femminile singolare (in italiano la frutta). I sostantivi femminili della 4°
declinazione possono seguire tre strade nel passaggio dal latino alle lingue
romanze: restano femminili e passano alla 1° declinazione (nurus<nura in
italiano nuora), restano femminili e mantengono le desinenze della 4° (manus
in italiano mano), diventano maschili e passano alla 2° declinazione (ficus e
pinus sono femminili ma diventano maschili nelle lingue romanze).

5.2.1.5 Quinta declinazione

Il passaggio alla 1° declinazione dei sostantivi della 5° è determinato dal fatto


che nomi che appartenevano a quest’ultima erano tutti femminili, esattamente
come la maggior parte dei nomi della 1°.

5.2.1.6 Declinazione bicasuale gallo-romanza

Le lingue gallo-romanze medievali hanno conservato una declianzione


bicasuale che distingue un caso soggetto da un caso obliquo. Lo schema per i
sostantivi maschili segue quello della 2° declinazione: si avrà una -s finale al
caso soggetto singolare e al caso obliquo-plurale; non avranno alcuna
desinenza il caso obliquo singolare e il caso soggetto plurale. I sostantivi che a
seguito della caduta della vocale finale terminano comunque in -s o in -z
rimangono indeclinabili.

Il caso soggetto plurale deriva la -s dalla desinenza latina arcaica -as presente
nel latino volgare. Spesso vengono mantenuti gli impari sillabe della 3°
declinazione. In questi casi, il caso soggetto singolare deriva direttamente dal
nominativo latino.

Con l’evoluzione della lingua, le 5 declinazioni vanno via via impoverendosi nel
latino parlato, le quali vennero esemplificate con la prima che inglobò tutte le
parole femminili della III, IV e V declinazione (oltre a mantenere le parole che
già appartenevano alla prima), e la seconda inglobò tutte quelle maschili della
III, della IV e le rarissime della IV (oltre a quelle che già le appartenevano).

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L’articolo determinativo

La presenza dell’articolo determinativo è una novità per il latino, che lo


ignorava. In tutta la Romània si usa ILLE, ma in Sardegna IPSE. Prima la
posizione era indifferente, ma poi andò consolidandosi la posizione precedente
al sostantivo. Il romeno invece mantiene l’articolo posposto e fuso al sostantivo
(ochiu-l). Quanto all’italiano, prima veniva usato lo in ogni caso, che diventava l
quand’era preceduto da vocale. Gli venne poi anteposta una vocale
d’appoggio, più precisamente una i, evolvendosi in il. Per il plurale, il consueto
li veniva passato a iato con uno yod, che provocò gli che abbiamo anche oggi.

5.3 Morfologia verbale

Le forme nuove

La nuova morfologia verbale introduce nuove forme verbali:

Il futuro romanzo

Il latino classico dovette evolversi per la sua “scomodità”: aveva due forme
(una per la I e II coniugazione, una la III e la IV), ed ed era uguale al perfetto, e
pronunciato quasi uguale all’imperfetto, data la fricativizzazione di /-b-/ con /-
v-/ che confondeva CANTABIT con CANTAVIT. Per rispondere a quest’ambiguità
il latino s’evolse con una perifrasi formata dall’infinito del verbo seguito
dall’indicativo presente di un verbo che esprimesse dovere o intenzione, come
HABERE, VELLE, DEBERE (nel sardo) o VENIRE. HABEO fu il più usato, che
quando precedeva l’infinito poteva esser distanziato da una preposizione
(come HABEO AD CANTARE, che si evolve nell’italiano meridionale in aggi’a
candà), e quando lo seguiva si fondeva all’infinito stesso (CANTARE HABEO-
canterò): scomponendo infatti il futuro, troveremo nelle lingue romanze che la
parte finale non è altro che il presente del verbo avere
(canter-ò/chanter-ai/cantar-é).

Il condizionale

Il condizionale segue la stessa formazione del futuro ma con l’imperfetto di


HABEO, cioè HABEBAM, creando poi le forme sintetiche nella loro evoluzione
com’è successo per il futuro, dando ad esempio cantarìa in spagnolo. L’italiano
invece ha preferito l’uso del perfetto HABUI -poi evoluto in HEBUI- (CANTARE
HEBUIcanterei), sebbene la Scuola Siciliana adottasse “cantaria”; nei dialetti
italiani meridionali ed in antico provenzale troviamo la forma cantàra, evoluta
dal piuccheperfetto classico CANTAVERAM (che corrisponde al nostro
trapassato remoto) che perde il suo valore di trapassato e acquisisce quello
condizionale.

Il passato prossimo

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Forma presente in tutte le lingue romanze, predomina nel francese e nell’Italia


settentrionale in detrimento del passato remoto, situazione che invece si
ribalta se guardiamo all’Italia meridionale, al Portogallo e all’America Latina.
Quanto alla costruzione, si accostano i due ausiliare ESSERE e HABERE al
participio passato, forma non del tutto sconosciuta già nel latino classico. Il
primo ausiliare è stato generalmente usato per gli intransitivi ed il secondo per
i transitivi; quanto alle iberoromanze, esse si sono contese HABERE e TENERE,
per poi adottarsi il primo in spagnolo (he venido) ed il secondo in portoghese
(tenho vindo).

Il passivo romanzo

L’evoluzione del latino in lingue romanze ha portato all’estinzione della forma


sintetica del passivo classico LAUDOR (sono lodato), in favore a forme
perifrastiche del participio passato seguito dall’ausiliare ESSERE (LAUDATUS
SUM). La diffusione del passato prossimo ha facilitato questo processo. Nelle
iberoromanze, viene sottolineata la differenza tra il processo dell’azione (la
puerta es cerrada/la porta viene chiusa) dal suo risultato finale (la puerta está
cerrada).

IL LESSSICO (Capitolo 7)

7.1 Introduzione

Il lessico mostra più di altri l’innovazione che c’è stata dal latino classico alle
romanze, in quanto è l’elemento che più facilmente subisce variazioni. Il
serbatoio originario del lessico delle lingue romanze è il latino classico, che con
l’aggiunta di parlate rustiche, influenze di sostrati e superstrati, calchi e prestiti
arriviamo ai lessici odierni. Capiamo dunque che l’arricchimento del lessico è
sia sincronico che diacronico. Un posto particolare è occupato dal romeno, il
quale essendo stato romanizzato tardi ha ancora imponenti influenze delle
lingue slave, dovute anche al fatto che fino a metà del XIX secolo ancora
veniva scritto in cirillico. L’imponente influenza che ha avuto subito dopo dal
francese ha fatto sì che si “romanizzasse” maggiormente.

7.2 Substrato, superstrato e adstrato. I prestiti

Il substrato è la forza che esercita la lingua di un popolo conquistato nel


conservare i suoi tratti tipici contro l’egemonia della lingua del popolo
conquistatore; il superstrato invece è la forza che esercita la lingua del popolo
conquistatore che cerca di imporsi su una lingua del popolo conquistato che
evidentemente è più forte, sicché riesce a resistere e a non essere scacciata. In
entrambi i casi abbiamo un rapporto verticale, cosa che non succede con gli

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adstrati, lingue contemporanee che orizzontalmente si influenzano senza che ci


sia una matrice di espansionismo militare, ma perché geograficamente e
politicamente vicine; è il caso del francese nell’Europa settecentesca, o
del’inglese di oggi, egemonia dovuta al successo economico americano. I
vocaboli entrati in una nuova lingua per mezzo del superstrato o dell’adstrato
sono i prestiti, i quali possono essere acclimatati (cioè adattati foneticamente e
morfologicamente alla lingua d’accoglienza, come cliccare da to click), o
radicali (cioè adottati così come sono, come computer, golpe o sac-à-poche).
Spesso si ha un prestito per definire qualcosa che concretamente era
sconosciuto alla cultura del popolo che accoglieva linguisticamente il prestito,
come accadde per il cibo esportato in Europa dal Nuovo Mondo. Un tipo
particolare di prestito è il calco: il calco formale prevede la traduzione di
un’espressione straniera con parole autoctone della lingua che riceve il calco
(come grattacielo o rascacielos dall’ingl. Skyscraper); il calco semantico invece
fa sì che una parola già esistente in una lingua acquisisca un ulteriore
significato alla maniera di come succede nella lingua egemone (come
realizzare che, per calco, significano anche “comprendere” come succede con
l’ingl. To realise).

7.3 Il latino

Dal latino classico, maggior serbatoio delle lingue romanze, non ritroviamo più
parecchie parole; questo potrebbe esser dovuto al fatto che già all’epoca si
trattasse di parole in disuso, oltre alla tendenza di sopravvivenza, tra due
parole di significato affine, solo di una delle due che poi era quella più usata dai
parlanti (pulcher sostituito da bellus, o loqui da fabulare nelle iberoromanze e
da parabolare nell’italiano e catalano). Il latino soppiantato rimane però in
aggettivi linguisticamente dotti, come vulnerabile da vulnus, ferita. Tra le
parole affini, spesso hanno la meglio parole dal significato più marcato, o quelle
foneticamente più sostanziose. Spesso hanno avuto la meglio parole di origine
rustica (caballum per equum; casam per domum), o dei diminutivi (come
avicellum per avem, da cui uccello), ma anche dall’uso di prefissi (sub-flare per
flare, soffiare).

7.4 Il greco

L’apporto del greco è stato notevole: ha agito da adstrato col latino classico,
ma di fatto ha avuto molte ed importanti influenze anche sul latino volgare,
soppiantando le opzioni classiche (come Petra su Lapis nella sua evoluzione in
pietra, piedra, pierre; Colaphus su Ictus nella sua evoluzione in colpo, coup,
golpe). Particolarmente nel lessico cristiano, il greco ha avuto la meglio perché
la nuova religione arrivò a Roma proprio grazie alla cospicua comunità ellenica

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(tracce come Episcopus, Presbyter e Diabolus che danno vescovo, obispo/


presbitero,preste/ diavolo, diable, diablo).

7.5 . Il substrato

Data l’espansione del latino, le lingue di substrato sono tantissime. Il latino era
l’ineludibile lingua che regolava gli uffici, le scuole e tutte le istituzioni
imperiali, per cui i popoli conquistati dovettero soppiantare gradualmente la
loro lingua autoctona per far spazio al latino: ma il processo era lungo, e nel
frattempo il latino della zona si saturava di tutti quei caratteri di sostrato che
sopravvivevano come ultima traccia di una lingua che stava morendo
schiacciata dal latino. I maggiori sostrati latini sono il Venetico, il Celtico, il
Ligure, l’Etrusco, l’Osco-Umbro, il Messapico e il Siculo, tutte lingue che hanno
reso dei lasciti difficilmente individuabili, anche a causa del fatto che sono
lingue che conosciamo pochissimo e sulle quali procediamo ad ipotesi: come
quella che la gorgia toscana sia un lascito etrusco, non è che un’ipotesi.

7.5.1 La penisola iberica

La regione dell’Hispania iniziò ad essere romanizzata molto anticamente e


gradualmente. Lì la ripartizione linguistica del territorio era già complessa, per
la presenza dei baschi (ad oggi l’unica non-indoeuropea ad esser
sopravvissuta). Forse provenivano dal Nordafrica; al loro sostrato è attribuito il
passaggio dalla /f-/ alla /h-/, come in FABULARE-hablar, FACERE-hacer,
FORMOSUS-hermoso. Al sostrato celtico invece la trasformazione di -CT- in -IT,
come NOCTE-noite in portoghese.

7.5.2 . Il celtico

La più importante lingua di sostrato per il latino è il celtico, parlato nella Gallia
e gran parte del’Italia settentrionale. La graduale conquista del territorio
transalpino ha provocato un diverso livello di romanizzazione, più precoce e
capillare al sud. Forse anche per questa maggior profondità di processo è più
accennata la differenza tra latino parlato e scritto.

7.6 Il superstrato

7.6.1 Le lingue germaniche

I contatti tra romani e germanici sono antichi: durante l’Impero i cittadini


romani convivevano coi soldati e schiavi delle popolazioni germaniche (Goti,
Visigoti, Ostrogoti, Franchi, Longobardi), e da queste ne hanno assorbito parte
del lessico. La quantità di germanismi è dovuta all’intensità di contatto tra le

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popolazioni: questa è stata maggiore per i Galli e gli Italici rispetto agli Iberici,
sicché i germanismi saranno più frequenti nel francese e nell’italiano (gran
parte degli italici deriva dai francesi) che nello spagnolo o nel portoghese; nel
dettaglio la Francia ha avuto particolare legame coi Franchi -si noti l’appellativo
“Francia”.

7.6.2 L’arabo

Nel 711 si compì l’invasione araba dell’intera Penisola Iberica; gli arabi
superarono anche i Pirenei approdando in Francia, dove però vennero fermati a
Poitiers da Carlo Martello; gli arabi chiamano mozàrabes i cittadini autoctoni
iberici, che svilupparono un bilinguismo tale da poter permettere l’ingresso di
molti arabismi. In Sicilia si ebbe una dominazione araba, ma di minor portata,
per cui non ci fu un assorbimento di arabismi in italiano della portata dello
spagnolo. Gli arabismi sono riconoscibili perché iniziano in al- o a-, che è
l’articolo arabo agglutinato al sostantivo. Gli arabismi del francese e del
romeno sono infatti arrivati indirettamente dall’italiano o dalle iberoromanze. A
livello di lessico, spesso indicano cibo o arti importate dal mondo arabo.

7.7. Le parole popolari e le parole dotte

La linguistica distingue tra parole popolari (parole che hanno subito la normale
evoluzione fonetica e morfologica al volgare) e parole dotte (che sono state
usate solo in ambienti colti, da gente consapevole delle loro radici latine e che
hanno dunque mantenuto il loro carattere classico); ci sono poi le semidotte
(assunte dalla lingua popolare in epoca molto alta, potendo dunque compiere
parzialmente l’evoluzione che hanno invece compiuto pienamente quelle
popolari). È facile riconoscere una dotta da una popolare quando è evidente
una contrapposizione fonetica (come tra integro e intero), ma non in altri casi
in cui la sola contrapposizione fonetica non basta, specialmente nell’italiano
che ha subito meno variazioni dal latino rispetto alle altre romanze. Spesso si
ha anche una differenza di significato da una trafila popolare ad una dotta: in
questo caso si tratta di allotropi, come VITIUM che dà il popolare vezzo ed il
dotto vizio.

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