P.
ENRICO ROSA
S. J.
S. Anselmo
di Aosta
Arcivescovo Cantuariense
e Dottore della Chiesa
Contributo storico
alle feste dell'ottavo centenario
( 1109-1909)
FIRENZE - 1909
Libreria Editrice
Fiorentina
P. ENRICO ROSA S. J.
S. ANSELMO DI AOSTA
ARCIVESCOVO CANTUARIENSE
E DOTTORE DELLA CHIESA
CONTRIBUTO STORICO
ALLE FESTE DELL'OTTAVO CENTENARIO
( 1109-1909)
0
SymPOR MORRISONS
FIRENZE
LIBRERIA EDITRICE FIORENTINA
1909
Br1325.55
HARVARD COLLEGE LIBRARY
TREAT FUND 1
Saul ,1927
Nihil obstat
5
Florentiae , die 29 Augusti 1909 .
Can . FRIDER . LAPINI, censor . 1
IMPRIMATUR
Florentiae, die 30 Augusti 1909.
Can . Alex . CIOLLI, Vic. Gen.
FIRENZE Stabilimento Tipografico San Giuseppe.
A · SUA · ECCELLENZA · REVERENDISSIMA
.
MONSIGNOR · VINCENZO · TASSO
DELLA · CONGREGAZIONE · DELLA .
MISSIONE
VESCOVO · DI · AOSTA
DELLE · FESTE · CENTENARIE
DI S .: ANSELMO
INIZIATORE · E · PROMOTORE · INDEFESSO
.
.
QUESTE PAGINE · CHE · ILLUSTRANO
LA · GLORIA · PIÙ · BELLA
DELLA SUA · DIOCESI
PREFAZIONE
« A sgombrare le tenebre dell'infedeltà e degli er
rori Iddio opera in modo meraviglioso e cosi dal prin
cipio del mondo nascente dispensa la sua misericordia
sempre e in ogni luogo, procurando alla sua Chiesa
ministri idonei, per cui ella profitti nelle virtù e attra
verso i flutti del secolo si avanzi alla gloria. E come
nella oscurità della notte, mentre altre stelle tramontano,
altre ne sorgono a rischiarare il mondo, cosi ad illu
strare la Chiesa succedono ai padri i figli, perchè per
essi propaghisi la cognizione e il culto di Dio di gene
razione in generazione. I santi appunto sono figli de
gli apostoli e dei profeti; che siccome successero loro
nella fede cosi ne ottennero l'eredità delle virtù e delle
opere meravigliose e la gloria della retribuzione eterna .
Fra essi rifulge come chiarissima stella il beato Anselmo,
arcivescovo di Cantuaria ; nè solamente illuminò l'orbe
latino; ma vibro i raggi della sua chiarezza sopra la
Chiesa nel concilio di Bari , al quale presedette il pon
tefice Urbano, convincendo l'errore detestabile dei Greci
intorno alla processione dello Spirito Santo.
Chi poi desidera vedere, ciò che non dubito essere
utile ad ognuno, quanto egli sia stato grande, rilegga
con diligenza i libri che egli scrisse per varie occasioni,
e le sue lettere ; scorra la storia scritta di lui e dei
moderni re degli Inglesi ; legga anche i due libri che
della vita e conversazione di lui scrisse Edmero mo
VI PREFAZIONE
naco e venerando prete, con istile chiaro e con ogni
verità, siccome uomo religioso che gli era stato molto .
famigliare; legga i miracoli che dopo il transito di lui il
Signore operò in modo mirabile, e veneri le grazie del
l'Altissimo che si fanno di frequente a memoria di lui.
Certamente, ciò che di Antonio ha detto altri prima di
me, io non temo di protestare pubblicamente di lui :
chè gran cosa è conoscere quale sia stato Anselmo. 1
1
Accostandomi dunque ai predetti monumenti di libri,
per grazia del Signore che non sempre rigetta i pec 1
catori dal farli banditori della sua gloria, ho procurato
stringere alcune cose della vita e della conversazione di
un si gran Padre, con succinta brevità e con parola ab
bastanza piana ; affinché, se non può taluno aspirare
all'abbondanza di tutto ciò che fu scritto da lui, o di lui,
da questa goccia di un si largo fiume possa gustare
almeno quanto sia buono, quanto dolce il Signore, quanto
beato, quanto necessario quegli che l'ha fedelmente ono
rato, il Padre Anselmo » . 1
Con questa schiettezza e semplicità di dettato Gio 1
vanni di Salisbury scriveva il prologo della vita di
Anselmo, da sè compendiata per ordine appunto del
più degno successore di lui nella sede Cantuariense e
poi martire della stessa causa , S. Tommaso Becket ; il
quale la volle presentata al Pontefice Alessandro III,
per ottenerne in forma autentica la glorificazione del
glorioso antecessore.
E tali sentimenti possiamo bene far nostri, parti
colarmente la conclusione ultima, a tanto più forte ra
gione, perché, se con l'avanzare dei secoli crebbero gli
scritti intorno alla vita ed alle dottrine di Anselmo,
non appare certo cresciuta di molto la cognizione del
l'indole propria, della dottrina e degli esempi di questo
santo. Anzi con gli scritti stessi, siamo per dire, è cre
sciuta la facilità di dimenticare le fonti primitive che
ce ne danno più viva e più scolpita l'immagine. Cosi
PREFAZIONE VII
almeno pare a noi, dopo avere speso non poco tempo
a consultare le opere successive, delle quali vorremmo
ben dare, a suo tempo, una ragionata recensione.
Alle fonti pertanto noi abbiamo attinto con parti
lare diligenza in questo studio, che incominciato prima
su la Civiltà Cattolica, quasi per sollievo e intramessa
di altre gravose trattazioni, abbiamo poi continuato a
parte, dopo che la recente Enciclica di Sua Santità
Pio X, venne a rendercelo, in qualche modo, più gra
dito e più doveroso.
E con tutto ciò, anzi per ciò appunto, non ci sa
remmo indotti cosi facilmente a pubblicare le poche cose
che di S. Anselmo abbiamo potuto scrivere fra mezzo
ad altri studii e lavori, se non fosse il pensiero della
scarsezza estrema di opere che ne trattino specialmente
in Italia , e del nostro debito di concorrere, sia pure con
un tenue contributo, alla glorificazione di un santo, che
per molte ragioni è caro al nostro cuore.
L'occasione delle feste iniziate per l'ottavo cente
nario dalla beata morte di Anselmo, e le cortesi insi
stenze dello zelantissimo vescovo di Aosta dettero l'ul
timo impulso a questa operetta, la quale dovette perciò
restringersi pure a determinati limiti di spazio e di
tempo.
Ciò valga di spiegazione al lettore, come varrà
di scusa e conforto all'autore nel suo rammarico sin
cero di dare cosi appena abbozzati, in un rapido schizzo
e troppo pallidamente, i cari lineamenti di un santo che
alla sua mente di studioso e di cristiano brillano come
un ideale di sapienza e di santità , come gloria insigne
dell'Italia e l'astro più bello delle nostre Alpi nell'età
di mezzo .
INTRODUZIONE
1
L'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO
( 1109-1909 ),
Il centenario di due santi dottori ; parallelo storico fra S. Giovanni Grisostomo
e S. Anselmo di Aosta . La dimenticanza di S. Anselmo in Italia.
La scena pietosa della fine di Anselmo nel 1109. L'epicedio del poeta con
temporaneo . Il pensiero dell'Italia nelle glorie di Anselmo. - Il nome
dell'Italia reso glorioso e caro dalle amabili doti del santo. La grazia
e la natura nell'indole a lui propria. – Il distintivo e i meriti singolari
di Anselmo, riconosciuti anche dai profani. L'immagine del santo,
nei suoi tratti più proprii , scolpita dalla recente enciclica Communium
rerum .
È poco più di un anno che le splendide feste cen
tenarie del grande vescovo e dottore della Chiesa orien
3
tale, S. Giovanni Grisostomo, venivano ad intrecciarsi
con quelle del giubileo sacerdotale del Pontefice romano
e tutta la Chiesa latina, e Roma specialmente, vi pren
deva parte più che a festa propria, in unione di amore
e di rito, coi nostri fratelli di Oriente. Ma quando, sul
l'entrare della primavera dell'anno andato, si spegneva
a Roma e in Italia l'ultima eco delle simpatiche feste,
anzi pure nel susseguente volgere dell'anno, niuno, fuori
di qualche solitario studioso, aveva pensato forse, niuno
certo pubblicamente preparato gli animi al prossimo
centenario di un altro gran dottore della Chiesa, a noi
1.
2 s. ANSELMO DI AOSTA
più vicino di tempo, di luogo, di sangue, di studii ; di
un pastore meno terso, meno eloquente del Boccadoro,
ma non meno dotto per i suoi tempi e, che è meglio,
non meno forte, né meno intrepido nella difesa della
verità e dei diritti della Chiesa , non meno eroico nella
lotta contro gli errori ed i vizi del suo tempo, contro
gli scandali dei grandi e dei principi della terra .
Parliamo di S. Anselmo d'Aosta, arcivescovo di Can
terbury e primate d'Inghilterra, degno per diversi ri
spetti di essere posto a confronto col patriarca di Co
stantinopoli, che l'aveva preceduto di più che sette
secoli nella lotta e nel trionfo .
Ambedue lasciando stare altri raffronti ac
coppiarono in sommo grado fino dal primo fiore degli
anni l'amore della scienza con quello della santità , l'ar
dore dello studio col fervore della pietà. Amendue
anelanti alla quiete laboriosa degli studii, alla serena
attività, alle altezze della vita religiosa e contempla
tiva : e pure amendue costretti a immischiarsi nelle
agitazioni torbide della vita, nel reggere e nel guidare
altrui. Amendue per indole e per virtù alieni da ogni
ombra di ambizione, e pure amendue portati dalla stessa
loro modestia ai supremi onori . Nemici di ogni contesa
amendue e pronti a sacrificare ogni cosa, salvo gli in
teressi della giustizia , per amore di concordia e di pace;
ma dalla coscienza dei loro doveri, amendue forzati a
contrasti coi ricchi, coi potenti, coi regnanti del secolo,
con gli uomini ambiziosi, rapaci o corrotti. L'uno e l'al
tro sublimato a dignità primaziale, non vi gode onori,
ma vi gusta amarezze; non trova riposo, ma lotta con
tinua ; e, prova anche più dolorosa, l'uno e l'altro è
abbandonato nella lotta, anzi perseguitato da sacerdoti
e da vescovi, suoi confratelli. L'uno e l'altro cerca aiuto
e trova protezione presso il Pontefice di Roma ; l'uno
e l'altro esule per la causa di Dio, e l'uno e l'altro
richiamato poi dall'esilio dagli stessi persecutori. Cosi
INTRODUZIONE . L'OTTAVO CENTENARIO 3
il ritorno alla sede fu per amendue glorioso trionfo ; ma
l'uno tuttavia, il patriarca di Costantinopoli , reduce dal
primo, incontrava tosto un secondo esilio e moriva in
terra straniera ; l'altro, il primate d'Inghilterra, due
volte esule e due volte reduce, al termine della prova
cadeva sotto il peso delle fatiche e degli affanni, pas
sando dalla terra al cielo.
Esempio l'uno e l'altro di grandezza eroica a fronte
di nemici potenti , di fortezza episcopale a fronte di fra
telli fiacchi e insipienti, di purezza ammirabile di vita
e di dottrina in mezzo agli erranti del secolo ; perciò
degni l'uno e l'altro dell'ammirazione e venerazione
dei secoli cristiani .
Ma in questo ebbero antecessori e seguaci : quello
che si mostra proprio a ciascuno, e li diversifica anche
fra loro due, è il pregio, unito alla santità, nell'uno di
padre e maestro dell'eloquenza cristiana fra i greci,
nell'altro di precursore e iniziatore della filosofia cri
stiana fra i latini.
Il primo, Giovanni Grisostomo, emulo dal gran Ba
silio e dei due Gregorii di Cappadocia, fu , se non il primo,
certo il più fortunato e il più celebre nello strappare
agli oratori pagani della Grecia le armi della parola,
volgendole con la irruente terribilità di Demostene e la
fluida soavità di Isocrate, a ornamento e a difesa della
religione di Cristo. Il secondo, Anselmo di Aosta, se
guace del grande Agostino e del magno Gregorio di
Roma, fu nelle tenebre dell'età di mezzo con due
altri sommi italiani, Lanfranco maestro e Lombardo
quasi discepolo il più ardito insieme e il più santo
fra la schiera di quegli antesignani in ritogliere ai filo
sofi gentili di Atene e di Roma le spoglie della sapienza
antica, per volgerle, con la dolce persuasiva di Platone
e la stringente dialettica di Aristotele, a « preludio ed
aiuto del cristianesimo » . Cosi egli parve schiudere una
via nuova alla filosofia cristiana, e preludere non solo,
4 S. ANSELMO DI AOSTA
ma preparare la sintesi meravigliosa della scolastica.
Sicché di lui afferma la liturgia ecclesiastica, essere evi
dente dai suoi libri che a fonti celesti egli attinse tanta
dottrina : a difesa della religione cristiana, a profitto
delle anime, a norma dei teologi tutti, che insegnarono
le sacre scienze col metodo della scuola.
Eppure il nome del Grisostomo è forse più ripe
tuto e più noto fra gli stessi popoli latini, fra lo stesso
clero d'Italia, che non il nome e il vanto di un An
selmo d'Aosta .
E pare naturale che l' oratore, anche tra i santi,
debba essere più popolare del filosofo e dello scienziato:
che il dottore dell'età classica dei Padri, quasi anello
tra la Chiesa greca e la latina, sia più celebrato che
il dottore dell'età medievale, vincolo di unione intel
lettuale tra la schiera dei Padri e quella dei maestri
della Scuola. Il che spiega, in parte, come nel conti
nuo festeggiarsi di centenarie ricorrenze, venuto ora
di moda universalmente, tanto poco siasi parlato fra
noi dell'ottavo centenario della morte del nostro grande
dottore, fino all'apparire della recente enciclica Com
munium rerum , che lo ricordava con si commoventi
parole al mondo cristiano.
Ciò spiega in parte, diciamo, ma non iscusa ; e noi
stavamo appunto ripensando, sul finire del dicembre,
a questa nostra inescusabile dimenticanza delle vere
glorie d'Italia, e ci proponevamo di parlarne a suo
tempo, quando ci giunse, gradita incitatrice, la voce
del vescovo lontano dai piedi delle Alpi, ove fu la
culla del filosofo e del santo (1 ). Allora ci parve de
(1) Lettera Pastorale di Monsignor GIOVANNI VINCENZO Tasso
della Congregazione della Missione, vescovo di Aosta, data l'8 di
INTRODUZIONE. L'OTTAVO CENTENARIO 5
bito stretto l'affrettare una nostra parola, la quale con
corresse in qualche modo a fare che più pronta e più
unanime rispondesse alla voce solitaria, che moveva
dalle Alpi lontane, l'eco di tutte le voci cattoliche, e
singolarmente della stampa cattolica, tra gli uomini di
pensiero e di azione, tra il clero e il laicato d'Italia.
Poichè nell'uno e nell'altro ordine, e nell'azione e nel
pensiero, e nella vita e nella scienza, parve sempre a
noi grande il nostro Anselmo di Aosta. E tanto più mi
rabile ci appare e nel pensiero e nell'azione fra il
tramonto del secolo undecimo e l'alba del duodecimo
quanto più attentamente consideriamo quei tempi di
torbidi e di transizioni, i quali nelle loro strane sin
golarità avevano pur tanto di comune coi nostri, mas
sime negli attentati che si movevano da principi cri
stiani contro i diritti e la libertà della Chiesa, negli
assalti che si davano da pensatori cattolici, da chierici
e da monaci come, ad es., da Roscellino coi suoi
Nominali - al dogma ed alla vera filosofia cristiana.
Ma nel farci a ricordare i meriti e le glorie di An;
selmo d'Aosta, il nostro pensiero ricorre tosto alla scena
pietosa di quei giorni, del quale rivive in quest'anno,
cembre 1908. Essa fa un caldo appello ai concittadini del Santo ,
anzi a tutti gli amatori delle glorie patrie, civili e religiose, e
propone loro un ricco programma di feste per questo ottavo cen
tenario dalla morte di S. Anselmo, trasferendone tuttavia oppor
tunamente le più solenni a più mite stagione, cioè all'entrare del
settembre. Il Santo Padre degnavasi approvare e benedire , per
lettera dell'E.mo Cardinale Segretario di Stato , i fervidi propositi
del novello vescovo di Aosta , ai quali non mancherà certo il più
lieto successo, grazie alla corrispondenza del clero e del popolo,
nè della valle sol nte ma di tutta la regione subalpina , anzi
come noi speriamo dell'Italia intera .
6 S. ANSELMO DI AOSTA
la memoria otto volte centenaria ; e particolarmente del
l'ultimo di, quando, secondo l'ingenuo linguaggio del
poeta medievale ,
Undecimo Maias resolutus carne Kalendas
Creditur Anselmus coelestibus associandus .
« In quegli ultimi giorni della sua vita — voltiamo
a verbo la candida narrazione del fido discepolo Ead
mero Anselmo, forte ancora di spirito, ma troppo fra
gile di carne, più non poteva recarsi a piedi all'oratorio.
E tuttavia desiderando assistere alla consecrazione del
corpo del Signore, che venerava con uno speciale af
fetto di devozione, vi si faceva portare in sedia tutti
i giorni. Dal che noi che lo servivamo sforzandoci di
ritrarlo, perchè egli ne veniva molto affaticato, appena
riuscimmo a vincerlo il quinto giorno innanzi alla sua
fine. Da quel di pertanto, giacendosi continuamente in
letto, con voce ansante esortava tutti che meritavano
accostarglisi, di vivere a Dio, ciascuno nel suo stato.
Era il giorno della Domenica delle Palme, e noi al so
lito sedevamo intorno a lui. Disse a lui dunque uno di
noi : « Signor Padre, secondo che ci è dato d' intendere,
te ne vai per Pasqua, lasciando il secolo, alla corte pa
squale del tuo Signore » (1 ). Rispose : « Io per me, se la
volontà di lui è in questo, obbedirò volentieri alla sua
volontà. Ma se volesse piuttosto che io mi rimanessi an
cora in mezzo a voi, almeno tanto che potessi finire la
questione che ho in mente su l'origine dell'anima, lo
accetterei con gratitudine, perchè non so se altri, morto
io, sarà per risolverla. Certo, se io potessi mangiare,
(1 ) Si allude al costume dei sovrani nel medio evo, i quali so
levano tenere gran corte a Pasqua convenendovi tutti i grandi, >
soggetti o feudatarii, per rendere omaggio al loro signore : e si
diceva la corte Pasquale. Il simile facevasi per Natale ed altre
solennità .
INTRODUZIONE . L'OTTAVO. CENTENARIO 7
spero che mi rimetterei. Perchè non provo dolore in
nessuna parte del corpo, se non che, sdegnandosi lo sto
maco per il cibo che non può soffrire, mi sento tutto
venir meno » .
Fattasi poi la sera della feria terza, non potendo
egli più rendere parola che si potesse intendere, pre
gato da Rodolfo, vescovo Roffense, che desse la sua as
soluzione e benedizione a noi che lo assistevamo, ed
agli altri suoi figli, e anche al re ed alla regina coi
Toro figliuoli, e a tutto il popolo della terra , che si era
tenuto nella sua obbedienza soggetto a Dio, alzò la de
stra quasi nessun male patisse, e fatto il segno della
santa croce, restò abbassando il capo dolcemente.
« E già – prosegue il buon Eadmero — l'adunanza
dei fratelli nella chiesa maggiore cantava le lodi mat
tutine, e uno di quelli che vegliavano intorno al Padre,
preso il testo degli Evangeli, si pone a recitare innanzi
a lui la Passione del Signore, che in quel giorno si do
veva leggere alla messa (la Passione secondo S. Luca,
prescritta per la feria quarta della settimana santa). Ma
come si giunse a quelle parole del Signore : Voi siete
quelli che avete continuato a stare meco nelle mie ten
tazioni, ed io altresì dispongo a vostro favore, del re
gno, come il Padre ne ha disposto a favore mio.... co
minciò ad ansare più del solito. Allora ci accorgemmo
che egli era già presso a morire, e dal letto fu deposto
sopra il cilicio e le ceneri .
E adunato intorno a lui tutto lo stuolo dei suoi figli,
rendendo l'ultimo spirito nelle mani del Creatore, si
addormento in pace. Passò sul far dell'alba della quarta
feria precedente la cena del Signore, l'anno dell'Incar
nazione millesimo centesimo nono, che fu l'anno deci
mosesto del suo episcopato, e della vita settuagesimo
sesto » .
Tale è il fatto di una semplicità sublime, che
chiuse la vita cosi variamente operosa ed agitata di
8 S. ANSELMO DI AOSTA
quel grande monaco, grande dottore e gran vescovo ; il
fatto di cui ora il mondo cattolico celebra la ricorrenza
otto volte centenaria .
E qui noi, ad otto secoli d'intervallo, ci sentiamo
per poco soprappresi da quei medesimi sentimenti che
commovevano allora i suoi figli. Di essi era interprete
il poeta contemporaneo, che ne piangeva la morte in
un ben semplice ma tenerissimo episodio . I suoi esa
metri rozzi e talora gonfi dello sforzo ingenuo di ver
seggiatore imperito, saranno certo spregevoli al lette
rato moderno; ma sono pure molto significanti, molto
cari allo studioso delle anime, più che delle parole :
« Del vescovo Anselmo, che da poco lamentiamo
defunto, la lettera nostra vorrebbe bene adattarsi alle
lodi.... E tuttavia è incerto, perchè la grande abbondanza
mi abbaglia che cosa dirò prima o che dopo.... E in
fine se riferirò di quanto splendore di sapienza riful
gesse quell'uomo, qual uomo mi crederà ? Tutti, se non
m'inganno, egli aveva vinto, gli uomini scelti ed egregi
che noi vediamo a questo tempo. Se a me non credi,
veduti i suoi opuscoli almeno, sarà impossibile negarmi
fede. Chi vorrà leggere i libri ch'egli ebbe scritto, vi
scorgerà quanto sia stato sapiente . E fu sapiente in vero
senso, quegli che sempre amò Cristo, che non mai pre .
stò ossequio al vizio. Poichè questa è la sapienza che
piace a Dio, quella che proibisce il vizio e insegna la
giustizia ... E nella giustizia veramente ebbe egli piena
vigoria. Per la giustizia, unita sempre a una santa pru
denza, volle piuttosto ritirarsi che sottoporre il collo a
un uomo vizioso contro il volere di Dio » ; per la giu
stizia « è cacciato dalla patria, patisce l'esiglio, co
stretto a sostenere lunghi viaggi » ; e infine, « forzato
dall'amore di essa virtù, una e due volte meritò di con
durre la lotta felicemente » .
INTRODUZIONE . L'OTTAVO CENTENARIO 9
Cosi encomiava il buon monaco, enumerando e
prima e poi, quasi alla rinfusa, le più care doti e le virtù
del suo padre e maestro, ma segnatamente l'amabilità
e la discrezione, non disgiunta mai da fortezza invitta,
quando cosi portava il dovere. Quindi lo chiamava egli
a ragione, nella cara sua enfasi, « principale sostegno
della fede e decoro della Chiesa, ariete che respinge con
due corna il nemico, pietra che brilla nell'immagine del
re eterno, gloria dell'episcopato » . E, poco sopra, il poeta
stesso l'aveva cantato come « cosa preziosa troppo,
cosa utile e bella, uomo chiaro, sapiente e onesto » ;
tanto che « il noto e l'ignoto, il sapiente insieme e
l'ignorante, e tutto il mondo del pari l'amavano : il suo
amore dolce non portava fastidio a nessuno e perché
più ammirassi l'efficacia della virtù in lui, era egli te
nuto caro anche dai suoi nemici. Vi aveva cioè degli
uomini, a cui era odiosa la sua causa; e pure lo loda
vano, che egli fosse buono. Difficilmente crederesti
quanto splendesse quell'uomo, nė lingua alcuna lo po
trà significare abbastanza. E Iddio stesso lo sa, che io
spero di dire cose vere, né lodando l'uomo voglio in
gannare alcuno. E chiamo Gesù in testimonio, nè m'in
ganna fallace opinione, che bene innocenti egli meno i
suoi giorni » .
E su questo tono va seguitando l'ingenuo disce
polo, nel cui rozzo carme vibra tanto palpito di affetto
e tanto candore di ammirazione, che noi lo vorremmo
porre tutto sott'occhio ai nostri lettori.
Ma ciò che non deve passare senza una gradita
meraviglia si è che il buon monaco, non meno che i
suoi mesti contemporanei, dei quali si fa egli l'inter
prete, dalla lontana Inghilterra volgevano primiera
mente il pensiero all'Italia, inneggiando alle glorie
10 S. ANSELMO DI AOSTA
scientifiche e religiose di Anselmo e piangendone la
morte amaramente. È l'Italia predicava egli « felice
tra tutte le parti del mondo » , perchè aveva meritato
di dare i natali a un tanto personaggio, e di nuovo
<<
infelice, perché aveva perduto un grande alunno,
rimasta orba di un si caro pegno » :
Felix Italia prae cunctis partibus orbis
Quae talem meruit progenuisse virum
Infelix iterum quae talem perdit alumnum
Infelix plane pignoris orba sui .
Ora, senza dubbio, le altre nazioni altresi, tutte le
nazioni cioè che fanno parte di una stessa famiglia ,
che è famiglia di Cristo, hanno dovere di conoscere e
di onorare Anselmo, quanto hanno diritto di gloriarsene
come di gloria domestica. E più particolarmente l'In
ghilterra, che l'ebbe primate e difensore invitto contro
la tirannide dei potenti ; la Francia, e in ispecie la Nor
mandia, che lo possedette per un quarto di secolo, lu
minare di scienza e di santità. Al che tutte le invita
appunto la recente parola del Pontefice. Ma prima fra
tutte ha dovere l'Italia che gli dette i natali , e nel
l'Italia il forte Piemonte e l'antica Augusta, di cui An
selmo è il figlio più glorioso. Anselmo rese illustre e
venerando il nome d’Italia, di quell'estremo lembo se
gnatamente che si stende a pie delle Alpi ; e lo rese
illustre, come il suo maestro Lanfranco , nella lontana
Normandia da prima e poi nell'Inghilterra, anzi in tutte
le parti del mondo cristiano.
Nè solo illustre rese Anselmo il nome italiano, come
il grande suo maestro Lanfranco : ma più ancora di
Lanfranco, ch'egli superò nelle doti del cuore, lo rese
amabile e caro alle nazioni straniere.
INTRODUZIONE . L'OTTAVO CENTENARIO 11
Ciò egli ottenne sopra tutto per un mirabile con
serto di doti intellettuali e morali, certamente raro in
ogni tempo, ma rarissimo in quell'età ; nobile tempera
mento di contemplazione e di azione, di scienza e di
pietà, di soavità e di forza . In ciò sta il distintivo
proprio dell'indole di Anselmo ; anzi, a così dire, il com
pendio di tutta la sua operosità religiosa, scientifica, pa
storale . E l'uno e l'altro si può ben credere espresso
vivamente in quelle parole del Signore ai suoi apostoli
che furono le ultime pronunziate al letto di morte del
venerando arcivescovo : « Voi siete che avete perse
verato meco nelle mie tentazioni » .
Certamente, all'efficacia della grazia deve l'uomo di
fede attribuire anzitutto questo cosi mirabile accordo di
virtù discordanti nell'apparenza , e singolarmente quella
tempra indomita e quella tenacità perseverante cosi del
l'ingegno nella speculazione, come dell'animo nell'azione,
che fecero di Anselmo un gran dottore e un gran santo.
Ma, noi sappiamo, la grazia non distrugge la natura :
la solleva anzi e la perfeziona .
Ora la natura ci si mostra in Anselmo per l'ap
punto, e nella fibra dell'animo e nell'indole dell'inge
gno, come di un figlio delle nostre Alpi : natura « più
che l’Alpe materna, austera » , ma condita sempre di
un sapore insolito di mitezza e di candore dolcissimo,
che fa tanto più strano contrasto con la ruvidezza di
quel secolo aspro.
In questa soavità egli fu superato, è vero, nel se
colo susseguente dal mellifluo abbate di Chiaravalle . Ma
Bernardo era più mistico ed asceta, che filosofo ; An
selmo fu egualmente l'uno e l'altro. Nè tuttavia l'aridità
della speculazione inaridi mai la vena della divozione ;
nè l'altezza dell'investigazione, sminui la umiltà e la
semplicità della conversazione; nè infine la universalità
della fama o la grandezza degli onori, l'affabilità e quasi
la bonarietà dei suoi modi. Cosi sotto il gelo apparente e
12 S. ANSELMO DI AOSTA
l'austera corteccia dell'alpigiano si cela sovente un vivo
tesoro di affetti intensi e gentili, di entusiasmi ardenti,
di propositi alti e indomiti, come sotto i ghiacciai delle
sue Alpi si celano immense ricchezze di acque che por
tano la fertilità alla valle .
Questo tesoro di affetti in Anselmo fu tale che
traspira da tutti i suoi atti, dai suoi scritti, dalle sue
lettere ; sicchè rapisce in ammirazione anche l'incre
dulo, il razionalista, il protestante, che per poco si faccia
a studiarlo nei documenti dell'età contemporanea . E pare
a noi questo un prodigio maggiore di quello accennato
sopra dal poeta contemporaneo, che la bontà di An
selmo strappasse le ammirazioni, anche dei nemici della
sua causa, i quali « lodavanlo perchè era buono » .
Quindi noi possiamo spesso far nostri, con qualche
debita modificazione ben facile a intendersi, i giudizi
stessi dei nostri avversarii .
Anche secondo essi , Anselmo di Aosta, e per il
pregio dell'ingegno e per l'indole morale, compete senza
dubbio coi più grandi uomini di quell'età . Anche se
condo essi egli fu « il più grande filosofo dell'età di
mezzo, fra il sesto e il tredicesimo secolo » . Secondo
essi pure, senza ombra di orgoglio, anzi con la mode
stia e per la modestia stessa del vero sapiente, del
santo, seppe essere originale in un tempo in cui gli.
ingegni anche più sodi si piegavano troppo umilmente
ad uno stampo comune, e fattisi per lo più imitatori
oltre il dovere, non si diversificavano spesso fra di loro
se non per la scelta delle autorità. Con la fede egli
ebbe idee tutte sue ; e se non diremo noi con lo scrittore
razionalista « che il suo cristianesimo fu irreprensibile,
ma individuale >> , riconosceremo tuttavia che la savia
indipendenza e l'arditezza stessa del suo ingegno giovó
INTRODUZIONE . L'OTTAVO CENTENARIO 13
non meno alla gloria del filosofo che ai progressi della
filosofia insieme e della religione.
Ma, ciò che più rileva al caso nostro, il raziona
lista stesso, sincero studioso di Anselmo, ci concede
che virtù lci e amabili di lui nulla scemano
all'austerità della sua vita , nulla alla vigoria delle sue
risoluzioni ; come l'austerità e la vigoria per nulla irri
gidiscono la franca naturalezza della sua santità e la
delicata cordialità della sua conversazione.
La fedeltà ostinata ai principii non mai prende
l'impronta, in lui, di una passione turbolenta : egli re
siste al potere che crede oppressivo, rigetta le transa
zioni che stima criminose, ma non mostra mai di com
piacersi nella lotta : sostiene questa come una prova ;
non la cerca quale un onore. Le dignità gli pesano
sempre come un triste fardello . Alla corte dei re, come
a piè del trono pontificale, egli si vede sempre aspi
rare con rammarico alla sua cella, invidiare al suo
passato l'oscurità e il lavoro, e serbare in mezzo alle
grandezze del mondo quell'amore del ritiro che si ad
dice al filosofo ed al religioso. Anselmo non era solo
un dottore magnifico, quale chiamavalo poi Abelardo :
fu sopra tutto un buon monaco, un forte vescovo, un
santo .
Per questi titoli diverși noi potremmo pure ardi
tamente, come lo storico stesso razionalista ( 1 ), con
siderare Anselmo quale uno dei migliori rappresen
tanti dello spirito del clero in una delle sue epoche
migliori. Perchè in lui si scorgono, sorti dall'umile stato
del monaco due personaggi : il filosofo ed il vescovo ;
un monaco è divenuto filosofo e vescovo ; il vescovo e
il filosofo un santo. Sicché a lui non si può negare
l'onore di personificare in certa guisa lo spirito della
Chiesa in ciò che ha di meglio nell'età di mezzo, nella
(1 ) CH. DE RÉMUSAT, Saint Anselme de Cantorbery. Paris 1853.
14 s . ANSELMO DI AOSTA
vita monastica e nell'autorità pastorale e nello studio
della scienza e nella professione della mistica e nella
pratica della santità.
Ora sotto quest'ultimo rispetto, ben più particolare
e più sacro, ce lo propone appunto a considerare, in
quest'anno stesso, la parola autorevole del Pontefice,
nella ricordata lettera enciclica del 21 aprile ; lettera
tutta paterna e vigorosa, che è il migliore elogio di
Anselmo . Essa ce lo esalta anzi tutto come un luminare
di santità e di dottrina venuto in tal fama, da meri.
tare che si scrivesse di lui : nessuno al mondo aver
potuto dire : Anselmo è a me inferiore, o mi somiglia ,
e però accetto a re, a principi, a Sommi Pontefici, non
chè ai suoi religiosi fratelli e al popolo fedele, anzi
avuto caro dagli stessi suoi nemici ( 1 ). Quindi pro
segue l'enciclica : « A lui, ancora abbate, scrisse il
grande e fortissimo Pontefice Gregorio VII lettere piene
di stima e di affetto, raccomandando sè e la Chiesa
cattolica alle orazioni di lui (2). A lui scrisse Ur
bano II, riconoscendone la prerogativa di religione e
di scienza (3). A lui e di lui molte volte Pasquale II
con particolare cordialità, esaltandone la riverenza
della devozione, la vigoria della fede, la insistenza
della sollecitudine pia, riconoscendone l'autorità della
religione e della sapienza (4), che lo persuadeva ad
annuire alle richieste della fraternità sua ; chiamandolo
ben anche sapientissimo e religiosissimo fra tutti i ve
scovi dell'Inghilterra » .
(1) Epicedion in obitum Anselmi (MIGNE, Patr . lat. CLVIII , 137) .
(2) Breviar . Rom . , die 21 Aprilis .
(3) In libr. II . Epist. S. Anselmi, ep . 32.
(4) In libr. III . Epist. S. Anselmi, ep . 74 et 42 .
INTRODUZIONE. - L'OTTAVO CENTENARIO 15
Grande elogio ; ma assai maggiore quello che l'en
ciclica soggiunge a confessione dei moderni pigmei :
Eppure agli occhi propri Anselmo non appariva mai
altro che omicciuolo spregevole, omiciattolo ignoto,
uomo di troppo poca scienza, di vita peccatore. Nè però
tanta modestia di animo ed umiltà sincerissima smi
nuiva punto l'altezza dei suoi pensieri e la grandezza
del cuore, come sogliono giudicare gli uomini depra
vati di vita e di giudizio, dei quali dice la Scrittura,
che l'uomo animale non capisce le cose dello spirito
di Dio (1 ). E, cosa ancora più mirabile, la magnani
mità e la costanza in vitta, benchè provata da tante
persecuzioni, contraddizioni, esigli, andò unita in lui ad
tale mitezza e amabilità che sopiva gli sdegni dei
suoi stessi avversarii e gliene conciliava infine gli animi
esacerbati. Sicché quei medesimi, a cui la sua causa
era molesta, lodavano lui, perchè era buono (2 ). Cosi
in lui si accordavano mirabilmente le parti che il mondo
stima falsamente inconciliabili e contraddittorie : sem
plicità e grandezza, umiltà e magnanimità, forza e soa
vità, scienza infine e pietà : onde come negli inizii cosi
in tutto il corso della sua vita religiosa era stimato da
tutti in singolar modo quale esemplare di scienza e di
santità » .
Ma ciò che più fa rilevare al nostro intento la pa
rola del Papa, si è che questo doppio merito, di scienza
e di santità , non andò ristretto fra le pareti dome
stiche o nel solo giro della scuola, ma si mostrò in
campo aperto, a splendido esempio e conforto insieme
della Chiesa ; si mostró fra le battaglie della vita, fra
« lotte fortissime a pro della giustizia e della verità » .
Per queste « egli di animo tutto propenso alla contem
plazione ed agli studii, dovette immergersi nelle più
(1) Cor . II , 14.
(2) Epicedion in obitum Anselmi.
16 S. ANSELMO DI AOSTA
svariate e più gravi occupazioni, anche in quelle del
governo della Chiesa, ed essere cosi travolto nelle più
torbide vicende dell'età sua agitata. D'indole dolce e
mitissima, per amore della sana dottrina e della santità
della Chiesa, dovette rinunziare alla vita di pace, alle
amicizie dei potenti, ai favori dei grandi, alla concorde
affezione, che prima godeva, dei suoi stessi fratelli di
vita religiosa e di episcopato ; vivere in contrasti diu
turni, in angustie di ogni fatta. Cosi , trovata egli l'In
ghilterra piena di odii e di pericoli, dovette resistere
vigorosamente contro re e principi usurpatori e tiranni
della Chiesa e dei popoli, contro ministri fiacchi e in
degni dell'ufficio sacro, contro l'ignoranza e i vizi dei
grandi e delle plebi, sempre acerrimo vindice della
fede e della morale , della disciplina e della libertà, della
santità quindi e della dottrina della Chiesa » ,.
Con questi e simili tratti, sparsi largamente in
tutta la lettera pontificia, ci viene quasi scolpita sotto
gli occhi la immagine propria, la caratteristica del
santo ; resa anche più viva e parlante dai molti passi
delle sue lettere, piene dei più nobili e vigorosi inse
gnamenti a tutela della morale e del dogma, della san
tità e della libertà della Chiesa di Dio.
Allo storico tuttavia, all'agiografo, al divoto sopra
tutto e al connazionale di Anselmo, resta ancora un
largo campo di studio e di considerazione : quello di
ricercare quasi a parte a parte gli speciali lineamenti
di questa nobile figura di dotto e di santo, di monaco e
di prelato, di uomo mitissimo e di lottatore fortissimo a
difesa della verità e della giustizia. Resta di studiarne
le vicende varie della vita, le fatiche, le lotte, gli inse
gnamenti, gli esempi, quali sono sparsi negli scritti di
INTRODUZIONE . L'OTTAVO CENTENARIO 17
lui e dei suoi contemporanei, a fine di proporselo non
ad ammirazione solo ma ad imitazione.
Questo non potremo noi fare in brevi pagine con
quella diligenza e particolarità, che l'argomento, finora
assai poco trattato in Italia, meriterebbe. Ma lo faremo
almeno succintamente, per sommi capi, i quali ci paiono
più necessarii ad essere lumeggiati sotto gli occhi dei
nostri contemporanei. Essi riusciranno, per altro, baste
voli a darci una idea conveniente, se non in tutto ade
guata, dell'indole e della missione, della santità e del
l'opera propria di Anselmo d'Aosta.
2.
CAPITOLO PRIMO.
ni fanciullo valdostano.
Nascita e famiglia di Anselmo. Puérizia del santo e casi provvidenziali oc
corsigli nella prima adolescenza. Sua prima educazione e profitto negli
studii . Suoi vivi desiderii della vita religiosa. I mirabili disegni
della Provvidenza sopra il fanciullo valdostano .
All'uscire dell'anno 1033 e all'entrare del 1034,.
quando l'Italia non erasi riayuta ancora dallo sfini
mento di una terribile carestia e dibattevasi tuttavia
fra tali convulsioni di discordie e di guerre che par
vero affatto insolite e spaventose anche a scrittori
contemporanei di quell ' età turbolenta, nasceva il fan
ciullo destinato a promuovere l'amore e gli studii della
pace, sebbene chiamato pure a combattere le lotte più
tremende per la verità e la giustizia.
Nasceva Anselmo in Augusta civitate, « città con
fine della Borgogna e della Lombardia » , dice il fedele
biografo di lui, Eadmero ; cioè dire l’Augusta Pretoria,
l'antica Augusta dei Salassi e la moderna Aosta, e non
l’Augusta dei Taurini, come pensò pure qualche erudito
che non ebbe seguito e meno ancora fondamento ( 1 ).
(1) I Torinesi medesimi saranno stupiti di sapere che vi furono
dotti i quali si proposero di attribuire alla loro città la gloria dei
natali di Anselmo . Cosi ci assicura il protestante VEDER nella sua
Dissertatio de Anselmo Cantuariensi (Lugduni Batavorum , 1832)
a pag . 16, nota : « Sunt, qui Thomam Unionatum secuti Anselmum
Augustae Taurinorum natum fuisse contendant. Hoc vero minus
20 S. ANSELMO DI AOSTA
E nacque Anselmo nella città per l'appunto, probabil
mente in quel borgo di S. Orso dove una ben fondata
tradizione ne addita ancora al forestiero il luogo e la
casa ; non già nel paese di Gressan, dove ebbe ad es
sere un feudo e forse la sede estiva dei genitori di
Anselmo ( 1 ).
Furono questi Gondolfo ed Ermemberga, amendue
nati nobilmente, dice il biografo antico, secondo la di
gnità del secolo, l'uno in Lombardia, l'altra in Au
gusta stessa, dove, impalmato Gondolfo, lo fece, come
parla quegli, di forestiero cittadino.
Nè è inverosimile ciò che altri scrisse, che la fa
miglia di Anselmo fosse imparentata altresi con la cre
scente casa di Savoia, se si giudica dalla persuasione che
ne espresse più tardi Umberto II, detto il « Rinforzato » ,
stato poi sovrano molto amorevole al santo.
Anselmo stesso, già arcivescovo di Canterbury ,
scrivendo al suo « riverito e carissimo signore Um
berto, conte e marchese » una lettera piena di cordia
probabile esse videtur » . E si appoggia egli all'autorità dei Bol
landisti , propriamente dell'Henschenio, il quale annotando Ead
mero , ove accenna alla patria di Anselmo, osserva che « est haec non
Augusta Taurinorum , ut intellexisse arguitur Thomas Unionatus ,
sed Augusta Praetoria, metropolis olim Salassiorum facta ab Au
gusto conditore, vulgo Aosta ac ducatus sub hodierno Pedemon
tio » . E come Aosta è detta qui città confine della Borgogna e
della Lombardia , cosi era già chiamata in antico , da Solino e da
Capella, limite dell' Italia . Quindi anche nell'età di mezzo Anselmo
di Aosta fu ritenuto sempre come italiano di origine , e tale de
nominato pure da Orderico Vitale nel libro quarto della sua Sto
ria. Cf. BOLLAND . 9, Acta Sanctor. April. II, p . 865 .
(1) Vedi su ciò l'opuscolo di Mons . Duc, già vescovo di
Aosta, il quale cerca di assodare l'antica tradizione della città.
ed escludere l'altra , certo più recente e poco fondata, di Gressan :
Maison Natale de Saint-Anselme, Docteur de l'Eglise, Archevêque
de Cantorbery, par Mgr . J.-A. Duc . Aoste, Imprimerie Louis
Mensio, 1901 .
I. IL FANCIULLO VALDOSTANO 21
lità nel ringraziare e di franca libertà nell'ammonire (1 ),
dopo avergli significato che « le lettere dalla sua de
gnazione indirizzategli aveva ricevuto con grande gau
dio, perchè trovate piene di onore e di amore e di
ricchezza di buona volontà » , soggiunge amorevol
mente : « Quanto grande onore è per me, che la vo
stra altezza, di cui i miei parenti godono essere sud
diti , si compiaccia di affermare che io gli sono unito
per consanguinità » (2).
Quindi si fa ad esortarlo con parole che mostrano
gran dimestichezza, e con si vivo sapore di opportu
nità che si direbbero di ieri : « Vedete, mio carissimo
signore, come la madre nostra, la Chiesa di Dio, dai
cattivi principi è conculcata ; come da quelli a cui fu
da Dio raccomandata quasi ad avvocati per sua difesa,
è tribolata per loro dannazione eterna ; con qual pre
sunzione costoro usurparono a proprio uso le cose di
lei, con quale empietà sprezzano e dissipano la legge
e la religione di lei. E mentre sdegnano di essere ob
bedienti ai decreti dell’Apostolico (ch'egli fa per difesa
della religione cristiana ) si mostrano certo disubbidienti
a Pietro Apostolo, di cui egli tiene le veci, anzi a Cristo,
il quale a Pietro raccomando la sua Chiesa. Cerchino,
dunque, coloro che disprezzano i decreti del vicario di
Pietro, e in lui di Pietro e di Cristo, altre porte del re
gno dei cieli ; chè certo non entreranno per quelle di
cui Pietro Apostolo tiene le chiavi. Dunque, mio si
gnore, non crediate che la Chiesa, che è nel vostro
principato, vi sia data in dominazione ereditaria , ma
in ereditaria riverenza e difesa . Amatela come vostra
( 1 ) Epist ., lib . III , ep . 65 . -
Cf. MiGnE, Pátr. lat. , vol. CLIX.
102-103.
(2) Quantus mihi est honor, cum vestra celsitudo, cuius se
homines gaudent esse parentes mei , dignatur dicere me sibi con
sanguinitate copulari !
22 S. ANSELMO DI AOSTA
madre, onoratela come sposa e amica di Dio. Perché
quelli che la conculcano, saranno fuori di lei concul
cati dai demoni ; quelli che la glorificano, saranno glorifi
cati in lei e con lei fra gli angeli. Saluto la reverenda
mia signora, vostra consorte, con la vostra figliuolanza,
ai quali ed a voi concedo in vera carità le orazioni no
stre e della nostra Chiesa. L'onnipotente Iddio cosi vi
diriga e protegga in questa vita, che vi promuova in
futuro alla beatitudine eterna » .
Cosi il santo arcivescovo. E noi, sebbene avvezzi
all'apostolica libertà di Anselmo, in questi, come in
altri passi della lettera, troviamo una insolita confi
denza, piena di affetto riverente ma tanto cordłale, che
ci pare bene una conferma della mutua dimestichezza,
più che di suddito e sovrano, tra l'arcivescovo e il
principe. Sono le parole di un santo e di un famigliare
insieme, degne di Anselmo e del glorioso principe della
casa antica, che voleva esser pura nelle sue origini
come le nevi delle sue montagne .
Ma lasciando star ciò su cui non abbiamo ora da
stenderci , il vero è che i genitori di Anselmo, se furono
quasi pari di nobiltà e di ricchezze, come ci assicurano
le memorie contemporanee, furono d'inclinazioni e di
maniere in qualche parte dissimili, e che pure ebbero,
>
a loro volta, qualche efficacia sull'indole e sui costumi
del figlio. Gondolfo, il padre, tipo del signorotto medie
vale, dedito alla vita secolaresca, era portato a bene
ficenza e a larghezza che dava nel prodigo, facendone
sfoggio con tanta liberalità signorile che da alcuni era
tacciato di sparnazzatore, come nota Eadmero. Ermem
berga invece, tipo della madre di famiglia, tutta intesa
al governo della casa, saggia dispensatrice delle sue
I. IL FANCIULLO VALDOSTANO 23
facoltà , di costumi irreprensibili, e tutti assennati : iuxta
rectam considerationem ratione subnixi. (1)
E ai colloquii materni si formò da primo il figlio
Anselmo, bambinello ancora, e v’intendeva l'animo con
diletto , cum puer parvulus esset, in quanto lo portava
l'età . In essi bene si ingentiliva il cuore di Anselmo,
mentre al cospetto della grandiosa maestà dei suoi monti
la puerile immaginazione si svegliava alle fantasie inno
centi, e l'anima bella si apriva agli alti pensieri delle
cose divine. Cosi, avendo udito narra Eadmero
come là su in cielo era un Dio solo che reggeva ogni
cosa e manteneva l'universo, pensò egli, siccome fan
ciullo cresciuto fra i monti, che il cielo stesse appog
giato alle montagne, che là fosse la corte di Dio, e che
per le cime dei suoi monti vi si potesse pervenire .
E com'egli andava spesso in questo pensiero, cosi vi
sognava la notte, e gli pareva di salire già su per quei
gioghi sublimi e di esservi ammesso alla corte del re
grande che vi comandava e di goderne le amorevolezze
e di cibarsi del suo pane bianchissimo che gli dava
meraviglioso conforto.... Ingenue fantasie che quell' in
nocente teneva per cosa vera e ripeteva seriamente ai
suoi. Ma in esse davasi, per cosi dire, il primo stimolo
ai voli del poderoso ingegno che sarebbesi un tempo
levato al di sopra dei suoi contemporanei, e schiudendo
(1) EADMER. , S. Anselmi Vita, lib. I, cap . I. È questo un
caso frequente in quell' età, come bene osserva anche il prote
stante FRANK (Anselm von Canterbury , Tubingen , 1842, p . 4) .
Mentre gli uomini si gettavano con ogni impeto di passione fra
lo strepito delle armi e nella vita agitata del secolo, con più an
siosa trepidazione le spose e le madri si raccoglievano in se stesse
e nel santuario della famiglia , volgendo le loro speranze al cielo .
Cosi fra i tumulti del secolo ferveva nel cuore della donna il de
siderio delle cose eterne, e dal cuore delle madri trasfondevasi
nel cuore dei figli, come avvenne , ad esempio , anche per Pietro
il Venerabile ee Bernardo di Chiaravalle , che furono, dopo Anselmo,
fra i più celebri e più santi monaci di quell' età.
24 S. ANSELMO DI AOSTA
loro vie nuove ma sicure, avrebbe tratto dietro a sė,
per gli spazii immensi della speculazione razionale, il
luminati dal sole della fede divina, tutta una schiera
di pensatori gloriosi.
Ma questa sarà l'opera di Dio : il fanciullo non
prometteva ancor tanto, sebbene a tutti caro per i suoi
buoni costumi , « che lo facevano amare da tutti in
gran maniera » .
Anzi fu un tempo che il fanciullo valdostano parve
dal fervore stesso della sua indole studiosa essere tratto
più che mai lontano dall'attuazione delle prime speranze
su di lui formate. Ecco come si narra il caso in un ma
noscritto della biblioteca vaticana, ignorato dal Remu
sat, ma accennato dal Delisle, dal Ragey, da altri, e da
noi pure consultato. Il venerabile uomo di Dio An
selmo, racconta il documento, mentre era tuttora fan
ciullo, com'egli soleva di poi raccontare, desiderava
grandemente essere istruito nelle lettere, e supplicava
assiduamente i suoi parenti di essere mandato alla
scuola. Onde, cosi disponendo la Provvidenza divina,
giunse ad ottenere ciò che implorava con tanto ardore.
Fu consegnato infine ad un suo consanguineo, perchè
lo istruisse con più attenzione ; e questi se lo chiuse in
casa per ammaestrarlo con maggiore studio e perché
dalla licenza di divagare al di fuori non venisse im
pedito dal fervore d’imparare. Ma rimanendo troppo
lungamente chiuso, andò quasi vicino ad impazzire .
Dopo un poco di tempo è ricondotto e restituito alla
madre. Il fanciullo allora, vedendo la folla dei fami
gliari a sè nuova, ebbe paura, e fuggiva il consorzio
di tutti e ne scansava anche la vista, e interrogato non
dava risposta. Vedendo queste cose la madre escla
mava piangendo : O povera di me ! ho perduto il figlio
mio ! E rivolgendo e ripensando fra se stessa che cosa
le convenisse di fare, trovò un salutare provvedimento.
Comando dunque a tutti i servi e a tutte le serve della
I. IL FANCIULLO VALDOSTANO 25
casa , che lo lasciassero fare qualunque cosa volesse, e
nessuno gli opponesse resistenza, ma se qualche cosa
egli ordinasse, questa si facesse senza ritardo. Cosi il
fanciullo, per grazia di Dio, ritorno alla primitiva dime
stichezza.
L'amore e il buon senso della madre cristiana
aveva insegnato alla nobile gentildonna medievale più
di psicologia e di pedagogia pratica che non avrebbero
sospettato i nostri moderni pedagoghi ; le aveva inse
gnato a riparare i danni e gli errori della gretta pe
dagogia dei professori utopisti di quell'età, intesi troppo
sovente, come quelli dell'età nostra, ad aggravare le
intelligenze puerili e ad opprimerle con la gravosa com
pressione e l'infinita molteplicità delle cognizioni. Il
fanciullo valdostano, cosi guarito, si ricorderà sempre
la lezione materna, a cui deve il suo avvenire, e saprà
bene a suo tempo attuarla nella sua opera di maestro
e di educatore, come vedremo.
Per allora, egli riapri l'anima ingenua alla gioia,
alla confidenza, all'espansione domestica e figliale : ri
tornò a quell'indole serena, amabile e giuliva , che
l'aveva reso caro a tutti fino dai primi suoi anni e fu
poi il distintivo della sua virtù, anche tra le asprezze
della vita monastica ed episcopale.
383
Rifioritogli il brio e la gaiezza, anche la piccola
immaginativa del fanciullo rifiori ; il piccolo cuore senti
rivivere gli affetti compressi e particolarmente rina
scere l'antica voglia d'imparare. Fu allora messo a stu
dio, secondo ogni probabilità, presso i monaci benedet
tini, che nella città stessa di Aosta avevano un priorato
dipendente dalla celebre abbazia di Fruttuaria. Ei
maestri religiosi, giusta la mite regola di S. Benedetto,
dovettero ben trattare il fanciullo valdostano in modo
26 S. ANSELMO DI AOSTA
assai diverso dal primo burbero precettore. Certo An
selmo ne conservava una dolce memoria, la quale se
fa onore al suo animo gentile, rende pure buona testi
monianza a quello dei monaci educatori ; ne professava
a Dio viva gratitudine e glie ne rendeva grazie nelle
sue infiammate orazioni , come in questa : « Potentissimo
Signore.... tu hai ispirato ai miei parenti che mi conse
gnassero allo studio delle lettere e alla società dei mo
naci ; tu hai dato a me, benchè ingrato, ingegno d'im
parare lettere, come a te piacque ( 1 ). >>
Da queste parole si conferma altresi la troppo la
conica notizia del biografo che « il fanciullo è messo
a studiare, vi impara e vi profitta in poco tempo gran
demente » ( 2).
E non profittava solo negli studii ; profittava anche
meglio nella virtù . Quindi non aveva ancora toccato il
quindicesimo anno, e già andava rivolgendo per la
mente in qual modo potrebbe meglio ordinare la sua
vita secondo Dio, e infine si fermò in questo concetto
che nella conversazione degli uomini non si desse vita
più eccellente di quella dei monaci. E conforme a questo
alto pensiero, il nobile fanciullo valdostano risolve, per
vivere più pienamente la sola vita dello spirito, di
fuggire il mondo e ritirarsi alla quiete solitaria del
chiostro ; ne implora ripetutamente la grazia, e nega
tagli dall'abbate che temeva le ire di Gondolfo, non
ne smette già egli il vigoroso proposito. Anzi, per otte
nere la grazia ad ogni modo, implora da Dio come
un favore l'infermità ; sperando che almeno per questo
mezzo l'abbate mosso a pietà l'avrebbe ricevuto una
volta. E cosa mirabile ! scrive Eadmero : perché fosse
chiaro quanto Anselmo potesse confidare anche nelle
( 1 ) Orat . XXXIX . MiGNE, 1. C. , 931 .
(2) EADMER . I. c. Traditur litteris , discit et in brevi plurimum
proficit.
I. IL FANCIULLO VALDOSTANO 27
altre cose di essere esaudito dalla pietà divina, Iddio
ascoltò le sue preghiere e gli mandò una buona infer
mità corporale. Ammalatosi dunque fortemente, il fan
ciullo manda all'abbate annunziandogli di essere in ti
more di morte e di voler morire monaco : si contentasse
di accettarlo in quell'estremo. Ma opponendosi nel
l'abbate il timore, che dicevamo, di offendere il padre di
Anselmo, non se ne fece nulla. E ciò non fu senza di
vina volontà, come già osservava il suo primo biografo;
giacchè Iddio, a cui non isfuggono le cose future, non
volle che il suo servo fosse rattenuto a vivere tra le
valli del nativo Piemonte, perchè lo destinava ad aiu
tare altri popoli e a compiere altre imprese di sua mag
gior gloria. Dopo ciò, riebbe Anselmo la sanità e non
dismise il forte proposito ; si dispose anzi ad attuarlo
con la grazia di Dio in tempi migliori.
E i tempi migliori si avvicinavano, come il sereno
dopo la tempesta; ma per vie lontane in tutto dall'ac
corgimento umano.
Circa questo tempo, sul finire cioè del 1049, men
tre la Chiesa gemeva da ogni parte e sotto l'oppres /
sione di principi e sotto il peso degli scandali di mini
stri indegni e il cumulo di altri abusi infiniti,, in Aosta
stessa, dove cresceva il pio fanciullo valdostano con si
belle speranze, scendeva un vescovo pellegrino, chia
mato da una piccola città di Lorena ad essere vescovo
di Roma, e con lui un giovane monaco, da lui tolto al
celebre monastero di Cluny ; scendeva il vescovo pieno
l'anima di profondo cordoglio e di angosciosa solleci
tudine « non tanto per la cura delle cose a sè commesse,
quanto per la cura delle anime » . Ma « in questa me
ditazione stando egli sospeso presso la città di Aosta
meritò la consolazione divina, mentre udi in rivela
28 S. ANSELMO DI AOSTA
zione risonare come una voce angelica che gli significo
con dolcezza ineffabile : « Dice il Signore : io penso
pensieri di pace e non di afflizione; invocherete me
ed io vi esaudiro, e porrò termine alla schiavitù vo
stra in tutti i luoghi » ( Geremia XXIX).. Dalla quale
pia consolazione animato e fatto più certo dell'aiuto
supremo, si mette a proseguire l'incominciato cammino,
e come si conveniva a persona di tanto merito, un'infi
nita moltitudine sopravvenendo da ogni parte, si fu ad
accompagnarlo. Ed ecco, fra essi, una serva di Dio, di
vita religiosa, gli si accosta e per divino impulso l'am
monisce con queste parole : « Appena avrai posto il
piede dentro il limitare della chiesa del principe degli
Apostoli, non sii immemore di ripetere queste parole
divine : Pace a questa casa e a tutti quelli che abitano
in essa » ( 1 ).
Il vescovo pellegrino a cui erano indirizzate que
ste divine parole di conforto e di pace, era Brunone
di Toul, il futuro Leone IX, grande iniziatore della ri
forma e promotore della pace anche fra gli strepiti della
guerra ; il giovine suo compagno si chiamava Ilde
brando, che col nome di Gregorio VII era destinato a
continuare eroicamente l'opera stessa di pace e di ri
forma religiosa e morale. Erano due grandi e santi per
sonaggi, fra i più provvidenziali di quell'età di mezzo.
Ma chi avrebbe detto, mentre sostavano essi a' piedi
delle nostre Alpi, che quivi stesso cresceva un fanciullo
pio e ingenuo che sarebbe tra pochi decennii il più in
(1 ) Vita S. Leonis, lib . II , 2. MIGNE, Patr. lat. CXLIII,
487-488 : « In qua meditatione apud urbem Augustam suspensus,
divinam promeruit consolationem .... Qua pia consolatione anima
tus et de superno adiutorio certior factus, coeptum iter perficere
aggreditur » . Cf. Ragay, Histoire de St. Anselme, p . 16 s . , contro
il ROHRBACHER, il quale credette che questa Augusta, di cui qui
2
parla Guiberto contemporaneo di Leone , fosse Augsburgo, detta
pure comunemente Augusta, ma qui esclusa dal contesto .
I. IL FANCIULLO VALDOSTANO 29
trepido sostenitore, il più costante e più fervido con
tinuatore e difensore della medesima loro causa ? Era
il figlio quindicenne del signorotto prodigo di quelle
valli ; era Anselmo, fino allora fanciullo mite, studioso,
2
piissimo, tanto dissimile dal padre Gondolfo, quanto si
mile alla madre Ermemberga .
Ma, purtroppo, indi a poco il fanciullo valdostano
pareva smentire e mandar fallite interamente cosi belle
speranze .
CAPITOLO SECONDO .
Il giovane profugo.
Primi traviamenti del giovane e contrasti col padre . – Fuga dalla casa paterna
e pericoli nel passaggio del Moncenisio . – Peregrinazioni del giovine pro
fugo nella Francia e sua dimora in Normandia. Disposizioni morali di
Anselmo ; l'astro ch'egli aspetta.
Il fanciullo, anche dopo la migliore educazione, è
sempre fragile cosa, massime quando passando dalla
fanciullezza mite e ritirata alla giovinezza più calda e
più libera, si trovi abbandonato a se stesso e al bollore
dell'età nell'anarchia dei tempi o nel dissolvimento della
famiglia , quale troppo spesso si avvera nell'età nostra
e quale si avverò per Anselmo .
Il padre prodigo e mondano aveva su di lui pen
sieri di mondo, poichè dava tanto a temere di volersi
opporre al desiderio religioso del figlio che il potente
abbate di Fruttuaria, stando alla congettura del Ma
billon, non ardi esaudirlo. Anselmo, che era figlio
unico di Gondolfo, dovette quindi, uscito di fanciullo ,
risentire più direttamente, com'è solito, l'efficacia del
padre che non della pia madre Ermemberga. Oltre a
ciò, la nobile e larga parentela, l'indole aperta ed ama
bile, l'avvenenza delle forme e la signorilità dei modi,
che fu a lui propria, venivano ad aprirgli e ad agevo
largli in gran maniera le vie della dissipazione.
« Mentre a lui sorrideva, dice il suo biografo Ead
mero, la sanità del corpo, l'età giovanile, la prosperità
32 S. ANSELMO DI AOSTA
del secolo, a poco a poco il fervore dell'animo comin
ciò a intiepidire dal religioso proposito, in tanto che
desiderava piuttosto entrare le vie del secolo, che ab
bandonarle per farsi monaco. Anzi, pure lo studio delle
lettere, in cui soleva già esercitarsi grandemente, co
minciò egli a posporre e a lasciarsi andare invece alle
frivolezze dei giovani » . Se non che da prima era trat
tenuto dalla pia affezione che aveva alla madre. Ma
defunta la madre, prima che Anselmo avesse toccato
i vent'anni , « subito la nave del suo cuore, come per
duta l'ancora, andò travolta quasi interamente fra le
correnti del secolo » . E il padre Gondolfo, come prima
gli aveva dato spinta con l'esempio della vita prodi
gale, cosi ora gli dava il tracollo con l'eccesso di una
odiosa severità. Egli, dopo la morte della sposa, o fosse
infermità di mente o fosse facilità di trascorrere agli .
estremi, proprio di quei tempi e di quelle nature bol
lenti onde il fiero castellano fini poi monaco non
aveva per il figliuolo se non dimostrazioni di avver
sione e di odio, riprovandone del pari, o più ancora,
le buone che le male azioni .
Cosi riviveva nel figlio, come nel padre, lo spirito
acerbo del secolo ; nè bastavano a raddolcirlo i dolci
modi dell'unica sorella Richera, nè l'affezione dei cugini
Aimondo, Folcerado e Raimondo, né le carezze del pic
colo Pietro, altro suo cugino a lui carissimo, e neppure
i conforti dei due zii materni Lamberto e Folceraldo.
A questi suoi cari , e segnatamente alla sorella ed agli
zii, Anselmo, tornato presto a miti consigli, serbò di poi
sempre la più tenera affezione (1 ), come appare dalle
( 1 ) ANSELM . Epist. lib . I , 18, 45-47 ; lib . III, 43 , 63, 66, 67 .
Cf. MIGNE, CLVIII , 1084, 1117 ss .; CLIX, 76 s . ។, 98 s . , 104 ss .
Notabili sono, specialmente a proposito dell'affezione tenerissima
della sorella Richera, sposatasi poi ad un nobile cavaliere per
nome Borgondio da cui ebbe un figliuolo chiamato pure Anselmo ,
II, IL GIOVANE PROFUGO 33
care lettere che loro scrisse, già monaco e arcivescovo
Cantuariense .
Allora , al malcontento domestico aggiungendosi
forse l'amore delle avventure, così frequente in quell'età,
il giovane si consiglia di lasciare la casa paterna, i suoi
monti e le sue valli, per cercare al di là un avvenire
lontano, misterioso, quale suole la passione dipingere
alla fantasia giovanile. Solo , con un chierico suo fami
gliare, mal provveduto delle cose bisognevoli alla vita,
si mette in cammino su per il Moncenisio.
Ma nel passare il monte, il giovine profugo, non
avvezzo alle fatiche, ebbe a venir meno : il viatico man
cava, ed egli dalla stanchezza cadeva omai si rifinito
che, non avendo altro, tentava di riparare le forze
mangiando la neve. Il domestico, di ciò avvedutosi,
n'ebbe dolore, e si fece a ricercare con diligenza nel
sacco, se per sorte non vi fosse cosa alcuna da man
giare ; ed ecco fuori di ogni speranza vi trova un pane
candidissimo : dal quale ristorato il giovine si sentì ria
vere, e quasi risuscitare a nuova vita.
Questo episodio di un viaggio cosi avventuroso è
l'unico narratoci dal primo biografo di Anselmo, che
l'udi certo dalla bocca di lui : ma esso mostrava tanta
corrispondenza con la visione della sua puerizia, che
il giovine profugo vi doveva scorgere a ragione la
mano di chi dirige le sorti degli uomini anche nei
minimi loro avvenimenti. Il razionalista dirà a tutta
spiegazione del fatto, che « in quei tempi il meravi
glioso sembrava sempre vicino anche ai più piccoli
le parole che Anselmo scriveva, già arcivescovo Cantuariense :
« Sorella dilettissima, io so che eccettuato il vostro sposo , non
vi è uomo al mondo , di cui desideriate tanto di conoscere e di
udire la salute e la prosperità, quanto di me e del figliuolo vostro
Anselmo , che sta con me : poiché io sono l'unico vostro fratello ,
ed egli l'unico vostro figliuolo » .
3.
34 S. ANSELMO DI AOSTA
casi della vita » , e si crederà perciò solo imparziale ( 1 ) ;
ma l' uomo ragionevole, il cristiano, dirà meglio che
<<
quando Iddio suscita un uomo straordinario investito
di una missione provvidenziale , si compiace a mostrare
la mano che lo conduce, rendendo trasparente il velo
dietro il quale si occulta » (2).
Cosi, affrontando disagi e pericoli d'ogni fatta, il
giovane profugo valicava le Alpi, dando un ultimo ad
dio alle valli native ed alla sua Augusta. E cosi l'Ita
lia assai presto « perdeva il suo alunno » (3), come
prima e poi ebbe a perderne altri non meno famosi
per quell'età, quali a nominare due soli che hanno
qualche attinenza con Anselmo in quanto precursore
della Scolastica il suo maestro Lanfranco di Pavia,
e il seguace Pietro di Novara, detto il Lombardo, senza
ricordare i due principi della Scuola, che li seguirono,
Tommaso di Aquino e Bonaventura di Bagnorea, i quali
spuntarono sotto il nostro cielo, ma fiorirono pure qual
che tempo sotto cielo straniero.
Era questo nelle condizioni dei tempi, diciamo
meglio, nelle disposizioni dei consigli divini ; che la
Francia destatasi allora ad un primo vivace risveglio
di studii, accogliesse il fiore degli ingegni, dei giovani
singolarmente più avidi di scienza. E a tale nobile
avidità attribuisce particolarmente Giovanni di Salis
bury il viaggio di Anselmo nella Francia, « all'avi-.
dità delle lettere, per le quali ardeva di un desiderio
immenso » (4).
(1) REMUSAT, Saint Anselme, p . 25.
(2) RAGEY, Histoire de Saint Anselme, vol . I, p . 27.
.
(3) Epicedion in obitum Anselmi : « Infelix (Italia) quae ta
lem perdit alumnum ! » .
(4) IOAN . SARESBER . , Vita S. Ans . , cap . 1 . MIGNE, Patr .
lat. CXCIX, 1040 : « Proficisci disponit in Galliam, litterarum
tractus aviditate , quarum desiderio immenso aestuabat » .
II . IL GIOVANE PROFUGO 35
Egli aveva allora passato già i vent'anni, e con l'ar
dore insieme e l'incostanza di quell'età, per un triennio
andò percorrendo la Borgogna, cioè, il paese che dai
confini dell'Italia stendevasi fra il Rodano e il Reno ;
indi la Francia propriamente detta, cioè nel senso ri
stretto del secolo XI, quella parte che aveva per sue
città principali Parigi, Reims ed Orleans ; e infine la
Normandia, dove sceglieva per ultimo la città di Avran
ches, allora già focolare di studii e d'insegnamento.
Le vicende di queste peregrinazioni del giovane
profugo non ci sono note in particolare; solo racco
gliamo dalle lettere di Anselmo che, stando in Avran
ches, egli aveva stretto amicizia col giovine coñte di
quella città , Ugo detto il Lupo ; e questa amicizia, ebbe
poi sopra la vita di amendue gli amici effetti inaspet
tati. Bene possiamo supporre, ciò che altri afferma
senza dubbio, che Anselmo cercasse pure in Avranches
le tracce di una scuola aperta, alcuni anni innanzi, da
un suo connazionale lombardo ; giacchè nei suoi tra
viamenti medesimi e nei suoi errori il giovane profugo
ci si dimostra spinto dalla nobile passione dello studio
e nato quindi a maggiori cose. Nè abbiamo noi ragione
di raffigurarcelo, come taluno si piacque dipingerlo ca
ricando le tinte, quasi figliuolo prodigo affamato solo di
piaceri o peggio, ingolfato nei vizi tutti del suo secolo,
e dalla inquietudine sola delle brame insoddisfatte tirato
infine a migliori consigli. Sarebbe questo, certamente, un
concetto esagerato, a cui le umili confessioni del monaco
e le lagrime pie del santo non danno un fondamento
storico che basti .
Non giovane dissoluto egli è da stimarsi, non >
abietto, nè molto meno scettico o lontano dalla fede che
aveva bevuto quasi col latte, sulle ginocchia della pia
madre Ermemberga. In una delle sue Orazioni, infatti,
ove egli dà più largo sfogo al dolore per i traviamenti
36 S. ANSELMO DI AOSTA
della sua giovinezza, rivolgendosi a Maria, le dice : « Sono
al tutto indegno, o Deifera santissima Maria, di acco
starmi a pregarti, ma aggiunge fiducia alla mia spe
ranza il ricordo dei molti che negarono Cristo e Te,
e pure infine convertiti meritarono per la Tua inter
cessione la pristina integrità della mente.... E benchè
io dopo il battesimo non abbia osservato bene la pro
fessione di vita cristiana, tuttavia non sono mai caduto
nella fossa della negazione nè col cuore, né con la
bocca. Grazie a Dio onnipotente, che per le tue sante
orazioni mi ha rattenuto »( 1 ). Cosi non andrebbe forse
lontano dal vero chi vedesse in queste parole un ac .
cenno allo scampato pericolo di quel razionalismo i cui
germi, sparsi già in Francia due secoli prima dalla filo
sofia di Scoto Erigena, ripullulavano allora più aperti
nelle negazioni e nei metodi di Berengario e della sua
scuola, come di poi in quelli di Roscellino, di Abelardo
e peggio ancora dei susseguenti Averroisti, che furono
i modernisti di quell'età. Ma il certo si è che Anselmo,
pure attendendo agli studii, non aveva l'animo fermo,
e potevasi dire di lui ciò che soleva poi dire di sè
un altro forte sabaudo, che egli stava aspettando il
suo astro .
E l'astro per lui spuntava dalla lontana Norman
dia, in capo a tre anni, da un monastero di quell'Or
dine benedettino, del quale Anselmo doveva essere lo
splendore : e a questo lo guidava, senza sua saputa , la
mano di Dio, quella forza misteriosa che sui travia
menti stessi del giovane fuggitivo maturava i grandiosi
disegni .
Erano i disegni di un meraviglioso rinnovamento
nella scienza e nella vita, i disegni delle più benefiche
operazioni della grazia nella salvezza dell'individuo e
della società cristiana. E da essi il giovane profugo
( 1 ) Orat. XLVII, al . XLVI . MiGNE, CLVIII, 945 .
II . IL GIOVANE PROFUGO 37
dalla casa paterna, il figlio ardito e fiero delle nostre
Alpi, doveva uscire addolcito e rinnovato a illuminare
il mondo con la luce della sua dottrina, a infervo
rarlo con la fiamma della sua parola e dei suoi esempi :
doveva uscire un dottore e un santo della Chiesa di Dio.
i
CAPITOLO TERZO .
Il giovane studioso .
Origini del monastero e della scuola Beccense : Erluino e Lanfranco. Venuta
di Anselmo al Bec e sua confidenza con Lanfranco . Costanza del gio
vane studioso nelle fatiche della scuola, e ritorno ai primi pensieri di
vita religiosa . Tre ideali di vita : il solitario , il monaco , il castellano ;
incertezze di Anselmo nella scelta del più perfetto. Ricorso a Mauri .
lio, arcivescovo di Roano, e preferenza data alla vita religiosa nel ce
nobio .
Tra le selve folte dell'antica Neustria occidentale,
che rimutato ancora il suo nome, dagli uomini del Nord
suoi feroci conquistatori si chiamava Normandia ; in
luogo ermo e silenzioso, lungo la corrente delle acque
che gli dette la denominazione (di radice scandinava )
del Bec (ruscello), un nobile guerriero, figlio dei primi
danesi invasori, chiamato Erluino, aveva fatto sorgere,
l'anno medesimo che nasceva Anselmo in Aosta, un
asilo di pace, di preghiera, di virtù : il monastero del
Bec. Egli stesso, il rude soldato, trasformato in monaco
e mite padre di monaci, lo reggeva da pochi anni, ma
con l'angoscia nel cuore : l'uomo di guerra e di affari,
il cavaliere più destro nelle armi che avesse la terra
normanna, sentivasi inetto al soave magistero dello
spirito, alla delicata cultura delle anime ; e di più co
stretto dalle necessità materiali del monastero a dimo
rarsene fuori troppo sovente, non aveva chi presedesse
40 s. ANSELMO DI AOSTA
al di dentro e vi mantenesse l'esatta osservanza della
religione ; ond'egli supplicava al Signore che volesse
alfine in viargli un aiuto sufficiente al bisogno ( 1 ). Iddio
l'esaudi : e l'aiuto venne più che sufficiente.
Nell'anno 1042 un chierico italiano, avviandosi dalla
città di Avranches a Roano, erasi inselvato sul far della
sera nella foresta al di là della Rilla, e incappato nei
ladroni che l'infestavano: questi, spogliatolo di tutto e
tiratogli il cappuccio del mantello sugli occhi, l'avevano
forviato e lasciatolo avvolto in una folta macchia del
bosco a piangervi la sua disgrazia. « Nel notturno si
lenzio ci narra il buon Milone Crispino, monaco Bec
cense – rientrato in sé, il chierico sfortunato, volle
2
rendere le debite lodi a Dio, e non potè, perchè non
l'aveva mai prima imparato. E volgendosi a Dio : Si
gnore Iddio diceva ho speso tanto tempo nello
studiare, struggendomi l'anima e il corpo, e ancora non
ho imparato come ti debba pregare e come renderti il
debito ossequio di lode . Liberami da questa tribola
zione ed io, col tuo aiuto, procurerò di correggere e
ordinare la mia vita per modo che sappia e possa ser
virti . » Spuntò l'aurora ; e su la prima luce del crepu
scolo il misero si fece udire da pietosi viandanti, dai
quali sciolto e rimesso in via, chiese loro in grazia che
gli additassero il monastero più vile e più povero che
conoscessero nel paese.
Gli fu additato quello appunto che fabbricava al
lora il soldato fattosi monaco, poco di là lontano : il
monastero del Bec . L'antico guerriero, già creato ab
bate, stava in quella occupato a costruire un forno, e
vi lavorava con le sue proprie mani ; quando il chie
(1) B. Lanfranci Cantuar. archiep. Vita, auct . Mil. CRISP . ,
сар . І. Cf. MiGNE, Patr . lat. , CL, 30 ss . Vita Herluini, auct .
GISL . CRISP . Cf. MIGNE 1. C., 643 . Il Chronicon Beccense
[ivi, 704] aggiunge qualche ricamo nelle circostanze, ma concorda
nella sostanza .
III. IL GIOVANE STUDIOSO 41
rico, giunto a lui : « Dio ti faccia salvo » gli disse .
E l'abbate : « Dio ti benedica >> rispose . « Sei tu lom
bardo ? » E quegli : « Si, sono » . E l'abbate : « Che cosa
vuoi ? » Voglio farmi monaco » . Allora l'abbate co
mandò a Rogerio, il quale faceva in disparte il suo
lavoro, che gli mostrasse il libro della regola. Lettala,
risponde quegli che l'osserverà volentieri con l'aiuto
di Dio. Il che udendo l'abbate e sapendo chi fosse e
d'onde, gli concedette ciò che chiedeva. E quegli, get
tandosi per terra cosi attraverso la bocca del forno,
ov'era l'abbate, gli baciò i piedi e ne ammirò fin d'al
lora e ne amò poi sempre l'umiltà dell'animo e la
gravità del contegno .
Il chierico italiano, di cui si narra con tanta vi
vace schiettezza la conversione dal cronista Beccense,
era l'astro che dal fondo della Normandia doveva trarre
a sé e rimettere sulla strada di Dio il giovine suo con
nazionale, che vagava per la Francia famelico di scienza
e di avventure. Era Lanfranco di Pavia, di nobile pa
rentado lombardo egli pure ; il quale, formatosi in pa
tria alle scuole di retorica e di giurisprudenza che vi
fiorivano, aveva preso egli pure la via di Francia, aper
tovi scuola, fattovi fiera opposizione all'eretico Beren
gario e diventatovi maestro di gran nome .
Dai gravi casi occorsigli, mentre si avviava a Roano
nel 1042, Lanfranco, indottosi ad abbandonare il secolo,
brillò tosto e quale monaco e quale priore dei monaci
« come lucerna splendida nella casa di Dio » per fama
di dottrina e di pietà. « Cosi – ci dice con la sua ingenua
enfasi lo storico del monastero Beccense quando,
dopo tre anni di silenzio passati dalla scomparsa di
Lanfranco, la voce pubblica annunziò il fatto e lo sparse
per ogni dove come si fosse reso monaco l'uomo
venuto dall'Italia « che la latinità tutta da lui resti
tuita nell'antico stato di scienza, riconosceva, con de
>> la fama
bito amore e onore, quale maestro supremo
42 $. ANSELMO DI AOSTA
dilui preclarissima rese celebre per ogni parte della terra
il nome del Bec e del suo abbate Erluino. Accorrono i
chierici, i figli dei duchi, i più nominati maestri delle
scuole della latinità, i laici potenti, gli uomini di alta
nobiltà, e molti per amor di lui ne arricchiscono la
chiesa di doni . Nè solo i popoli latini, ma la Grecia
stessa, maestra della genti negli studii liberali, volen
tieri ascoltava ed ammirava i discepoli di lui » ( 1 ).
Il Bec divenne quindi, secondo la frase di Guglielmo
di Malmesbury, grande e famosa scuola di letteratura ;
magnum et famosum litteraturae gymnasium .
E oltre alla letteratura fiori l'arte, con una forte
infiltrazione di scuola italiana o lombarda, il cui soffio
passò di poi da quell'angolo remoto di Normandia ad
altre parti di Francia, anzi pure al di là della Manica
col conquistatore normanno.
Ma, ciò che più preme al nostro intento, vi fiori
mirabilmente lo studio della scienza, e più propriamente
della scienza sacra, avvivata da un alito potente di fede
e di pietà , che trasformò quel deserto luogo in un giar
dino di virtù, in un focolare di vita religiosa, massime
per tutta quella seconda metà del secolo undecimo.
Così dal monastero remoto di Normandia moveva
uno splendore insolito di scienza e di bontà ; una luce
(1) B. Lanfranci Vita, c . 1. II , n. 1-4 . Cf. MIGNE, Patr . lat .
CL, 28 ss .; « Fuit quidam vir magnus , Italia ortus , quem lati
nitas in antiquum ab eo restituta scientiae statum , tota supre
mum debito cum amore et honore agnoscit , nomine Lanfrancus.
Ipsa quoque in liberalibus studiis gentium magistra Graecia
discipulos illius libenter audiebat et admirabatur.... Rumor ut hoc
factum prodidit, longe lateque protulit, et fama viri praeclaris
sima Beccum et abbatem Herluinum brevi per terrarum orbem
extulit . Clerici accurrunt, ducum filii, nominatissimi scholarum
magistri Latinitatis , laici potentes » etc. Lo stesso si ripete
nella vita di Erluino , e così pure al libro sesto delle Historiae
ducum Northmannorum , cap . 8.
III . IL GIOVANE STUDIOSO 43
nuova che diramando lontani i suoi riverberi, infiam
mava a nobile entusiasmo le anime schive della me
diocrità nel secolo agitato e corrotto .
Fra tali anime era senza dubbio, Anselmo di Aosta,
il giovane italiano, profugo dalla casa paterna e da
quasi quattro anni ramingo per le terre di Francia.
Certo, traviato egli era e ben vano, quando sitibondo
di scienza e di gloria passava d'una in altra città, e
veniva da ultimo a stabilirsi nella città normanna di
Ayranches, ove fresca era la fama di Lanfranco che
vi aveva insegnato. Ma tanta sete di scienza era pure
indizio dell'indole generosa, e questa appunto traeva
allora il giovane ardente alla scuola del maestro, suo
connazionale, che dall'oscura solitudine irradiava tanta
luce di scienza e di bontà.
« Passati circa tre anni scrive Eadmero parte
in Borgogna, parte in Francia, va in Normandia, e si
ferma ad Avranches per qualche tempo : indi viene al
Bec, volendo vedere, parlare, coabitare con un mae
stro, per nome Lanfranco, uomo molto buono, vera
mente nobile per insigne religione e sapienza ; giacchè
la fama di lui si era stesa per ogni dove e gli con
duceva da tutte le parti del mondo i più nobili fra i
chierici. Anselmo dunque, accostatosi a lui e conosciu
tane la rara sapienza, si sottomette al suo magistero
e in poco gli diviene famigliare su tutti gli altri di
scepoli . »
Fin qui il biografo, e sopra le sue nude parole noi
possiamo bene ricostruire con verità il semplice intrec
cio del fatto e la vivezza della scena, fatta di bello
entusiasmo per una parte e di paterna affezione per
l'altra . Noi possiamo immaginarci il mite maestro,
l'uomo buono, il misericordiosissimo Lanfranco, come
11 S. ANSELMO DI AOSTA
lo chiamava poi Anselmo con affetto riverente (1 ), che
accoglie il nuovo venuto, figlio profugo d'Italia, e con
quella sua bonarietà lombarda, piena di accorgimento
e di finezza , discerne tosto fra la schiera dei curiosi,
dei dilettanti, dei clerici, dei ducum filii, che traevano
a lui, discerne in quel giovine e ardimentoso alpigiano,
famelico del pane della scienza, il discepolo del suo
cuore, se non anche il futuro continuatore della sua
scuola (2). E più ancora, noi possiamo raffigurarci il
contento vicendevole del discepolo e del maestro, con
la vicendevole corrispondenza di affetti che si avviò
allora e si venne sempre meglio stringendo, a mano
a mano che quelle due menti elette e quei due cuori
generosi si venivano l'uno all'altro rivelando. Sicché
Anselmo, avendo cominciato ad amare l'uomo dotto e
affabile, fini con amare il religioso ed il santo, nè solo
ad amarlo ma ad emularlo con riverenza mista di te
nerezza figliale.
Le stesse loro lettere superstiti, benchè poche, ce
ne rendono ancora qualche eco lontana : alcune anzi ci
sembrano spirare tuttora fresco il profumo di quella
santa fraternità di animi e di studii, che delizia le anime
religiose ma che il mondo ignora.
Certo, nel maestro e nel discepolo erano segnalate
del pari le doti della mente e del cuore ; come appare,
nonché dal loro epistolario, da tutta la loro operosità
scientifica e religiosa: queste li fecero amabili a tutti
in suolo straniero , e nella rozza Normandia e nella lon
tana Britannia.
(1 ) Epist. lib . I , ep . XIII. Cf. Migne, Patr. lat. , CLVIII, 1078 .
(2) GUGLIELMO DI MALMESBURY (De gestis Pontif. Angl . lib . I ,
ap . MIGNE, CLXXIX , 1480 ) fa supporre anzi che ben presto Lan
franco chiamasse il suo discepolo a parte del suo magistero : Cum
ergo ad Beccum venisset, non aspernanter a Lanfranco susceptus,
magnum ei levamentum ad scholas regendas fuit. Cf. RAGEY ,
Histoire de Saint Anselme, vol . I , p . 52 .
III . IL GIOVANE STUDIOSO 45
Delle une e delle altre doti, di mente e di cuore,
porgeva saggio fino dal bel primo il giovane valdostano
alla scuola di Lanfranco ; il suo storico ce lo rappre
senta « occupato notte e giorno nello studio e non solo
a udire ciò che voleva dal maestro, ma inteso ad am
maestrare gli altri con ardore, quando n'era pregato
Nel che insisteva egli con la indomita pertinacia della
sua schiatta, divorando incomodi e disagi d'ogni fatta,
come dice Eadmero, « affaticando il corpo, con le ve
glie, col freddo, con l'inedia » .
Ora questa forza, questo vigore di animo che fiacca
la carne e ritempra lo spirito, è sempre quello che
apre l'ala al pensatore non meno che al santo, per
chè si levino a volo e nella scienza e nella vita al
di sopra della schiera volgare. Col dominio di sè e
della materia l'uomo si rende idoneo agli alti pensieri,
alle magnanime risoluzioni : parlando il linguaggio cri
stiano, diciamo meglio, si rende atto a sentire le ispi
razioni della grazia, a capire e a compierne i disegni
divini .
Cosi ad Anselmo, che aveva passato allora i cin
que lustri, tornano a mente i propositi della sua prima
età, e con essi ben incalzante il pensiero che, attuandoli
nella vita religiosa, non avrebbe a patire maggiori
stenti di quei che allora pativa, ma non ne avrebbe
perduto il merito come allora lo perdeva. Al lampo del
pensiero succedeva la fiamma del desiderio, ma lan
guida ancora e offuscata dal fumo di ambizione umana,
com'era naturale in chi tornava, dopo lungo errare, sui
primi passi della via dello spirito. E questi particolari
noi ricordiamo, seguendo il candido suo biografo, per
46 S. ANSELMO DI AOSTA
chè troviamo in essi una pagina di cosi schietta psi
cologia, la quale fa onore e alla sincerità dell'agiografo
medievale, e più ancora all'umiltà ed al candore del
santo valdostano, che « queste cose volentieri soleva
narrare » .
Ripensava egli dunque e consultava seco stesso :
« Ecco, mi farò monaco . Ma dove ? Se a Cluny o al Bec,
tutto quel tempo che ho posto in apprendere lettere è
perduto. A Clugny la strettezza dell'ordine, al Bec l'emi
nenza di Lanfranco farà che io non possa giovare a
nessuno, nè valere a niente. Eseguirò dunque il mio
proposito in un luogo tale, dove io possa insieme e
mostrare il mio sapere e giovare a molti » . Il che rac
contando Anselmo, soleva bene aggiungere : « Non era io
domato ancora ; nè in me viveva il disprezzo del mondo :
sicchè ciò che diceva, a mio credere, mosso dalla ca
rità degli altri, io non avvertiva quanto fosse dannoso » .
Ma non tardó molto ad avvertirlo, e allora riprenden
dosi : « È questo esser monaco, diceva a sé, voler essere
anteposto agli altri, essere più onorato e più reputato
degli altri ? Non già. Smetti dunque ogni superbia, e
fatti monaco là dove, com'è giusto, per amor di Dio tu
sii l’ultimo, il più vile, il più dispregiato di tutti. Dun
que al Bec : Equidem Becci. Cosi, conchiudeva egli, io
qui non conterò per niente, trovandovisi colui che per
l'alto sapere e per la riputazione acquistata basta per
tutti ed è a tutti onorevole e caro » .
La conclusione era eroica ; e fu certo questo pro
posito il maggior trionfo per il giovane studioso e na
turalmente vago di dar prova dell'ingegno e della
scienza in quel secolo di primo risveglio e d'ingenuo
entusiasmo letterario.
Ma le angosce della deliberazione non avevano qui
fine: chè, siccome spesso negli uomini della montagna,
cosi nelle anime della tempra di Anselmo, sogliono
essere tanto più lunghe e più dolorose le deliberazioni,
III . IL GIOVANE STUDIOSO 47
quanto più vogliono essere le risoluzioni inconcusse,
quasi dovessero ritrarre nella costanza la fermezza irre
movibile della roccia nativa. E l'ora angosciosa della
consulta ci è accennata nella frase energica del confi
dente Eadmero, che la sua mente andava trascinata a
quel tempo per sentieri diversi di carriere opposte (1).
Ma il giovane studente non dimenticava il precetto della
Scrittura di prendere consiglio innanzi di appigliarsi
all' uno o all'altro. E molti amici egli aveva, ci fa sa
pere il suo biografo ; ma consigliere uno solo volle avere,
al quale affidarsi tutto in cose tali : e lo volle ben degno
della sua fiducia, « scegliendo appunto fra mille il pre
detto Lanfranco >> (2). Bell'esempio a quei tanti che o
non vogliono consiglio da nessuno o cercano consiglio
di tutti, e con ciò non vengono mai a capo di nulla.
*
Ma, tra questo mezzo, il fiero Gondolfo resosi mo
naco era morto, e il figlio unico restava erede e suc
cessore di tutte le facoltà paterne ; invitato in patria
dall'amore dell'unica sorella, degli zii, dei cugini ama
tissimi, dalla nostalgia dei suoi monti e delle sue valli ;
e di più allettatovi dal desiderio di una vita signorile
e cavalleresca, tutta dedita al sollievo dei poveri e de
gli oppressi.
A questo era il giovane portato non tanto dal
l'esempio della prodigalità paterna, quanto dall'impulso
di un cuore buono e generoso , che lo faceva compas
sionevole verso tutti, ed insieme da certa naturale al
(1) EADMER. , S. Anselmi Vita , cap . I, 7 [BOLLAND . Acta SS .,
21 Apr. , 864 s..; MIGNE, 1. c. 53 s . ] : « Raptabatur mens eius per
id temporis in alias sectandae semitas vitae » .
(2) Ibid.: « Amicos multos insuper habens , sed cui se totum
in istis committeret consiliarium unum, de mille videlicet praefatum
Lanfrancum eligens , venit ad eum » etc.
48 S. ANSELMO DI AOSTA
tezza d'animo che lo rendeva spregiatore della ric
chezza e giusto estimatore delle differenze di condizioni
sociali . Cosi di poi soleva egli contare ai suoi monaci,
per distornarli dall'usare a sè amorevolezze che fossero
di disagio agli altri , ovvero singolarità avverse alla per
fezione della vita comune e della povertà religiosa : so
leva contare come fin da giovine secolare egli non
poteva patire che alcuno degli amici avesse meno di
sé, e quando li vedeva mancare di cosa alcuna, di buona
voglia suppliva del suo, conforme al potere : perciocchè
sin d'allora gli dettava la ragione che tutte le ricchezze
del mondo furono create dal Padre di tutti a comune
utilità degli uomini, e che in legge di natura non toc
cano più ad uno che ad un altro (1 ).
Le quali parole hanno il loro senso nobile e vero ,
in bocca del cristiano ; ma hanno un senso, diremmo,
più mirabile e nuovo in bocca del giovane castellano
del secolo XI, quando tanti storici romanzieri ci di
pingono in ogni ricco castellano un tirannello .
Era dunque un nobile ideale quello che brillava
alla giovane fantasia di Anselmo : la vita del sire gen
tile, tra i suoi monti e le sue valli, protettore degli
indigenti, della vedova e del pupillo, difensore di ogni
causa generosa ; era il nobile ideale del cavaliere cri
stiano in quei secoli di rozza violenza. Forse, di più,
era il santo desiderio di emulare nell'eroismo la carità
di quell'altro suo gran compaesano, Bernardo di Men
tone, arcidiacono di Aosta (c. 923-1008), il quale ap
( 1) EADMER. , cap . IV . [MINE, I. c. 69 ]: « Sicut ipsemet re
ferre solitus erat, etiam quando adhuc in saeculari vita degebat,
eo circa alios amore fervebat , ut quemcumque sui ordinis minus
se habentem videret , eius inopiam de abundantia sui libens pro
posse suppleret. Iam enim tunc ratio illum docebat omnes divi
tias mundi pro communi hominum utilitate ab uno omnium Patre .
creatas et secundum naturalem legem nihil rerum magis ad hunc
quam ad istum pertinere » .
III . IL GIOVANE STUDIOSO 49
punto un secolo innanzi (962) aveva attuato sopra le
vette del grande e del piccolo S. Bernardo ciò che
per sorte Anselmo sognava di fare nella vallata sotto
stante ( 1 ). Cosi per tutte le valli dell'Alpe nativa si sa
rebbe stesa la fama del figlio di Gondolfo, il grido della
sua gentilezza e l'efficacia della sua beneficenza .
A questo sogno, del sire medievale, faceva con
trasto un altro ben diverso, quello del pensatore soli
tario, o per dire meglio, dell'asceta austero, che lo
spingeva alle asprezze del deserto, ai divini silenzi del
l'eremo : ideale di pace e di preghiera che affascinava
tante anime grandi in quella età torbida e appassionata.
Ma tra questo e quello sorrideva singolarmente al gio
vane perplesso l'ideale della vita religiosa del cenobio ,
professata dal suo maestro ; siccome quella che, secondo
le leggi del patriarca Benedetto, riuniva in sè il fiore
dell'una e dell'altra, la carità operosa della vita socie
vole e la pace contemplativa della vita solitaria, ac
coppiandovi lo studio ee il magistero della scienza umana
e della sapienza celeste.
Il meglio dunque e tra il meglio l'ottimo vagheg
giava il giovane nei suoi incerti pensieri. « Tra queste
tre cose cosi egli apriva l'animo suo al maestro
sappiate, o signor Lanfranco, che la mia volontà va
fluttuando ; ma io vi prego che voi mi stabiliate nella
migliore tra esse » (2).
(1) Anche GIOVANNI DI SALISBURY, l'amico e il sostenitore di
S. Tommaso Cantuariense, allude a ciò nella Vita B. Anselmi
(cap . II) , ch'egli scrisse per ordine del suo arcivescovo, seguendo
il precedente biografo Eadmero . Ma è anche più espressivo su
questo dubbio del giovane valdostano : « an expeteret eremum ,
an claustrum monachorum , an exc proprio patrimonio domum
construens, peregrinis pro facultate ac pauperibus ministraret » .
Cf. MIGNE, Patr. lat., CXCIX, 1012 .
(2) EADM. , cap . I, 7 : « In his tribus voluntatem meam , do
mine Lanfrance, fluctuare sciatis , sed precor ut in horum potis
simo stabiliatis » .
4.
50 S. ANSELMO DI AOSTA
Lanfranco non volle risolvere : rimise il tutto al
venerabile Maurilio, arcivescovo di Roano, e a lui ac
compagnò il fervido discepolo . Il quale narrava di poi,
come traversando la gran selva che soprastava al Bec,
sentivasi cosi tutto pieno di ardore e di fiducia nel
maestro, che se Lanfranco gli avesse detto : « restati
in questa selva e non uscirne finché vivrai » , senza
dubbio l'avrebbe ubbidito. Ma il vescovo solo doveva
decidere.
Ed è bello, ai nostri tempi quando l'indocile bal
danza dei giovani fa sprezzare comunemente il consi
glio dei pastori e dei savi, è bello vedere questi due
grandi uomini del secolo XI, rimettersi con tanto no
bile semplicità ed umile confidenza alla direzione ed
al senno del vescovo .
Nè il senno del vescovo esito. Maurilio aveva già
provato, dopo la vita del mondo, quella dell'eremo e
del chiostro, l'una e l'altra per più anni anche in Ita
lia, particolarmente a Firenze, chiamatovi per essere
riformatore ed abbate del monastero di S. Maria ( 1 ).
Nel giovane connazionale di Lanfranco ravvisò forse, egli
pure, un nuovo astro che sorgeva per l'ordine di S. Be
nedetto e per la sua scuola del Bec : certo non la vita
del deserto, ma quella del monastero gli consigliò.
E Anselmo fu monaco. Era allora nel fiore dei suoi
ventisette anni di età ; il 1060 .
Ma il giovane studioso della scuola del Bec, che
vuole fuggire gli onori e far dimenticare se stesso con
la gloria del maestro, ne sarà partecipe più che ogni
altro, e tanto maggiormente quanto più si sforza di re
starne lontano.
Quivi , per lo spazio di più che un trentennio, An
selmo di Aosta rifulgerà come la stella più fulgida del
(1 ) Cfr. Vita B. Maurilii, ap . MABILL . Acta SS. Bened. ,
saec . VI , part. II , p . 222 ss .; MiGNE , CXLIII, 1575 ss.
III . IL GIOVANE STUDIOSO 51
monastero Beccense, sorpassando per qualche parte la
gloria stessa del suo maestro .
Onde si può ben dire che gli anni di Anselmo fu
rono veramente gli anni più belli della celebre scuola
normanna e del suo monastero, fiorente di scienza e di
virtù, come ben a ragione esclamava già il buon mo
naco del Bec alla morte di Anselmo ( 1 ).
(1) Tu quoque coenobium quondam Beccence vigebas,
Dum tuus Anselmus dux fuit et monachus.
CAPITOLO QUARTO .
Il monaco .
La vita di Anselmo e l'apologia dell'ordine monastico . -
Amore di Anselmo
alla sua famiglia religiosa, e suoi rapidi avanzamenti in essa. -
Suoi
pregi ed esempi nei diversi gradi, e sue benemerenze verso lo stato reli
gioso . La sua mirabile efficacia nel monastero Beccense, descritta da
un contemporaneo.
Il nobile alpigiano d'Italia, che nel vigore dei suoi
ventisett'anni si rifugiava in quell'estremo angolo di
Francia, nel monastero normanno , per nascondersi al
l'ombra del suo maestro e connazionale Lanfranco,
appariva ben tosto, nella vita religiosa più assai che
nella vita del secolo, una mente eletta ed un gran
cuore. Nè solamente per l'indole soavissima e gentile
in quei secoli che noi chiamiamo di ferro, ma per la
tempra risoluta e vigorosa, mostravasi nato alle grandi
cose. L'anima squisita e forte si era venuta affinando
alle dure prove della vita, e dai passeggeri traviamenti
della gioventù agitata usciva anche più vigorosa e più
forte, come l'arbusto alpestre o il fiore della sua mon
tagna, abbassato per poco quando fischia il nembo e
turbina la bufera, tosto rialza più ardito il fusto, al
riapparire del sole, e stringe con più tenace presa le
sue radici alla rupe.
Cosi ritemprato, il giovane valdostano affrontava
subito, con intrepido eroismo, le nuove battaglie dello
spirito nell'ordine monastico, e cominciava tosto ad
essere di quest' ordine stesso, in quel secolo XI e fra
54 S. ANSELMO DI AOSTA
i rozzi Normanni, lo splendore, la guida, il modello, per
farsene poi a suo tempo il promotore indefesso e il di
fensore potente, come lo celebrarono a ragione i suoi
contemporanei ( 1 ).
Tutta la vita infatti e tutta l'operosità di Anselmo,
studiata nelle sue fonti più genuine e indubitate, ap
pare non solo modello, ma apologia vivente dello stato
religioso, e singolarmente delle beneficenze religiose
intellettuali e morali dell'ordine monastico, tanto ora
perseguitato in quelle stesse regioni di Francia, che
tanto ne andarono beneficate. Apologia vivente e trion
fale, che basta da sola a smentire le calunnie antiche
e sempre nuove, le quali ora più che mai vengono ri
cantate alle nostre orecchie ogni giorno e cosi accani
tamente, che in parte sono credute anche da anime
buone, ma troppo buone, e però solite fermarsi alla
superficie e piegare ad ogni vento di opinione. Fra tutte
queste calunnie, nondimeno, la vita di Anselmo smen
tisce quella singolarmente, che dello stato religioso
infama l'essenza stessa, lo spirito, la vita intima, rap
presentandolo quale vita gelida e disamorata d'ogni
puro affetto, vita di ozio infingardo, di oppressione ser
vile, di ignoranza abietta.
Nè solamente siffatte calunnie Anselmo smentisce
in sè con la prova più splendida, quella dei fatti, ma
le smentisce nella vita dei suoi monaci, dei quali di
viene ben presto duce e padre, secondo la frase del suo
contemporaneo. Le schiette pagine dei cronisti, le can
dide narrazioni del suo biografo e confidente Eadmero,
che Anselmo chiamava poi il « bastone della sua vec
chiaia » , e più ancora le care lettere del santo per quel
che dicono e per quel che lasciano intendere a chi le
legge con qualche attenzione, ci consentono di penetrare
(1) Ordinis ille decus princeps et semita nostri.
Currus et auriga, portus et aura fuit.
IV . IL MONACO 55
nel segreto recesso di quei chiostri del secolo XI e XII,
cui gli storici romanzieri descrivono talora cosi pau
rosamente ; ci consentono di coglierne quasi sul vivo
l'operosità mirabile, e sentire, diremmo, il palpito di
quella vita, vita continua di preghiera, di lavoro, di
studio, di fraterna amorevolezza e concordia.
È la vita, quella, di una famiglia spirituale, che
sente quanto sia buona cosa e gioconda che i fratelli
abitino insieme, che vuole stringere con più perfetto
nodo il vincolo che unisce tutti i figliuoli di Dio e vuole
approssimarsi alla immagine della famiglia celeste . Ivi
primeggia, come in ogni ordinata famiglia , un capo
che nel suo nome stesso di abbate ricorda il padre e
del padre ha, con l'autorità , la tenerezza ( 1 ) : indi a lui
subordinato, un altro monaco, col nome di priore, che
quasi primogenito nella famiglia, ha officio d’invigilare
e provvedere ai minori fratelli: e questi, cioè la schiera
tutta dei monaci, sotto il paterno reggimento dell'uno
e la fratelleyole cura dell'altro vivono lieti e sereni,
come figli nella casa del padre, non già, come altri li
rappresentano, trepidi e sdegnosi , quasi schiavi o servi
della gleba sotto la sferza del castellano medievale.
Quella vita è, insomma, una forma di attuazione
invidiabile dell'ideale evangelico ; ma sebbene tra le
più consentanee all'indole degli uomini e dei tempi,
( 1 ) « Gli abbati di questi tempi di austerità e di disordine
rassomigliavano ben poco a quegli oziosi , grassamente nutriti,
dei quali più tardi ha menato scherno la nostra letteratura bor
ghese e satirica : la loro amministrazione era laboriosa, e il ba
stone pastorale non restava punto immobile nelle loro mani » .
Cosi scriveva il razionalista Remusat , nella citata opera su San
ť Anselmo (cap . IV, p . 43) più di mezzo secolo fa ; e dopo i van
tati progressi dell'ultimo cinquantennio , udiamo tuttora gli stessi
scherni insipienti della letteratura borghese, ripetuti sempre in
Italia, come in Francia, dalla letteratura liberale, nonchè dalla
popolare e socialista, abbrutita nel materialismo .
56 S. ANSELMO DI AOSTA
niun savio conoscitore di questi e di quelli oserà pre
tendere che in tutta la sua bellezza ideale potesse ap
parire sempre incarnata nella realtà umana ; che mai
nessuna nube offuscasse la serenità di quel cielo ; nes
suna spina inasprisse la soavità di quel nido. Conver
rebbe, a presumere tanto, ignorare al tutto il cuore
umano, le deficienze della natura e le strane sorprese
che si celano nella più nobile insieme e più terribile
delle facoltà umane, la libertà dell'arbitrio. Stolto è
dunque lo storico e il critico che solo ai lati manche
voli, come alle ombre o alle macchie del quadro, re
stringe lo sguardo ; se pure è degno del nome di sto
rico, questo scarabeo della storia ! Eppure esso ha fatto
scuola ai nostri giorni, nè solo ha esso ammorbato dalle
cattedre la credula gioventù, ma collegandosi all'odio
anticristiano del settario, ha dettato leggi nei parlamenti
delle nazioni cristiane, e le ha fatte complici della più
enorme ingratitudine che ricordi la storia, immemori
dei grandi benefizii di ordine morale, intellettuale e ma
teriale, ridondati in ogni tempo da queste mirabili fa
miglie di anime, fiore e nerbo dei popoli cristiani.
Sotto questo rispetto ci si porge adunque, più che op
portuna, provvidenziale la memoria di Anselmo d'Aosta ;
perchè si ravvivi nel clero e nel popolo, con la ricor
danza delle virtù e delle opere di questo grande mo
naco del secolo XI, la stima e l'amore della vita cri
stiana non solo, ma dello stato religioso altresi, che
della vita cristiana coglie il fiore e matura il frutto
nella professione dei consigli evangelici .
*
Tale eccellenza della vita religiosa aveva senza
dubbio nell'animo il venerabile Maurilio, arcivescovo di
Roano, quando dava al giovane signore d'Aosta il con
siglio di prescegliere lo stato comune di vita religiosa
IV . IL MONACO 57
in quel secolo, cioè quella del monaco, alla vita per
rispetti diversi più appariscente e più ammirata, o del
l'eremo o del castello ospitale. E l'eccellenza mede
sima cercava il giovane volenteroso, quando, schivo
sempre della mediocrità in ogni cosa, come scrive di
lui il suo Eadmero, facevasi tutto intento a emulare
la vita di quelli che vivevano più religiosamente, e a
servire quindi in ogni cosa alla religione per modo
che la vita di lui splendeva come uno specchio di re
ligiosità. Di che ci parlano con verace ammirazione i
suoi contemporanei, rispetto agli inizi stessi della vita
religiosa di lui. Nè solo i suoi confratelli, ma anche
monaci di altri monasteri. Tale, ad esempio, Orderico
Vitale, monaco Uticense, scrivendo pieno di entusiasmo
verso quest'altro « italiano che, seguitando Lanfranco
al Bec, a guisa degli Israeliti , carico dell'oro e delle
ricchezze degli Egiziani, cioè a dire della secolare eru
dizione dei filosofi, entrava con ansioso desiderio la terra
di promissione >>
( 1 ).
Nè l'enfasi ingenua era già contraria alla verità.
Certo come una terra di promissione amò Anselmo,
allora e poi e sempre, il suo monastero normanno, ben
chè tanto remoto dalle sue valli e dai suoi monti nativi,
confinato in uno oscuro angolo di terra straniera. Egli
vi trovò fra le tempestose bufere del secolo undecimo,
un'oasi di pace, un caro nido. Cosi usava poi egli di
chiamarlo graziosamente : « il suo nido » ; e fra le gran
dezze della primaziale Cantuariense e fra le amarezze
della vita dell'esule, protestavasi con amabile candore
che portava sempre seco nel cuore il caro suo nido
(1) ORDERIC . VITALIS , Uticens. (di Ouche in Normandia)
Histor . eccles ., pars II , lib . IV, c. 16 (MIGNE, Patr. lat. CLXXXIV,
col. 344] : « Hic natione Italus , Lanfrancum secutus Beccum
expetiit , et instar Israelitarum auro divitiisque Aegyptiorum , id
est saeculari eruditione philosophorum onustus , terram repromis
sionis desideranter adiit » .
58 S. ANSELMO DI AOSTA
con tutti i suoi pulcini: tanto l'amore santo richia
mava sulle labbra del monaco austero, già sublimato
alla più alta dignità spirituale della lontana Inghilterra,
parole dolcissime, che hanno la soavità di una carezza,
verso ai suoi carissimi e desideratissimi signori e fra
telli della congregazione Beccense, figliuoli della sua
madre , da lui tutti amati e stretti al cuore, per quanto
si moltiplichino.... e i primogeniti e i generati dopo di
lui, siccome fratelli uterini » ( 1 ).
Tre anni appena trascorsi fra loro, il giovane mo
naco vedeva Lanfranco, suo maestro e priore del mo
nastero, promosso abbate del nuovo cenobio di Caen ,
fondato dal duca Guglielmo di Normandia ; ed egli,
benchè tra i più giovani di professione, costretto a suc
cedergli nel priorato ( 1063). Quindici anni passavano
ancora, e il venerando Erluino volava al cielo tra il
pianto dei suoi figli; e Anselmo gli sottentrava nel
l'amore di padre e nella dignità di abbate ( 1078). Vi
durava per altri quindici anni ; finché, da capo, indarno
ripugnante, si trovava forzato a seguire ancora il suo
maestro Lanfranco, ma in una carica ben più alta e più
tremenda, quella di arcivescovo Cantuariense, ( 1093) :
la quale carica egli sosteneva di poi per un'altra quin
dicina d'anni e poco più, anni non meno gloriosi, ma
più assai dolorosi, continuando sempre umile e austero,
nella stessa dignità di arcivescovo e di primate, la vita
del monaco .
( 1) Epist. lib. III , ep. 156 (MIGNE, CLIX , 189] : « Quamvis
corpore sim vobis absens cosi scrive ai suoi « dominis et fratri
bus charissimis et desideratissimis domno abbati Willelmo et san
ctae congregationi Beccensi » .
nidum tamen meum , Ecclesiam
dico Becci , cum omnibus pullis suis , mecum porto semper in corde
meo , et eam in orationibus et in omni bono desiderio, si quid
haec sunt , repraesento Deo » .
IV . IL MONACO 59
E del monaco medioevale, in tutte queste sue ascen
sioni , Anselmo raccoglieva in sè i pregi migliori ( 1 ), e
quelli pure che a prima fronte parrebbero incompos
sibili : raccoglieva cioè l'ottimo, secondo l'intento che
già si proponeva, allora che, giovane volenteroso, Aut
tuando nella scelta dei tre partiti, chiedeva al maestro
Lanfranco di essere stabilito nel migliore tra essi, nel
più perfetto : in eorum potissimo stabiliatis. Cosi ben
si vide in lui, novizio e giovane professo, l'asceta au
stero e insieme il fratello dolce e affabile, che si rende
caro a tutti ; nel priore, il lavoratore indefesso e il
provveditore instancabile, custode rigido ed esattore
soave della osservanza religiosa ; nell'abbate, il consi
gliere e il padre, autorevole non meno che amabile coi
suoi figli; e fra questo, educatore e maestro, filosofo e
mistico, scrittore e predicatore, promotore e riforma
tore della vita religiosa : il monaco insomma ideale del
secolo XI ; nel quale si prepara il vescovo intrepido,
difensore della dottrina, della santità e della libertà della
Chiesa ; in tutto, un santo e un apostolo, nè solo con
l'esempio della vita e la virtù della parola, ma con la
efficacia altresi dell’amplissima corrispondenza episto
lare, modello di soavità e di forza ad un tempo. Anzi
in questa corrispondenza stessa ci è dato pregustare ,
fra il secolo XI e XII del rude medio evo, un saggio di
quella dolcezza e candore, di quella vita e freschezza
(1 ) IOANN. SARESBER . , Vita S. Ans., cap . II . (MIGNE , Patr.
lat. , CXCIX, 1012) : Anselmus obliviscens eorum quae retro sunt,
et se ad Apostoli formam in anteriora semper extendens ( Phi
lipp . II) , studuit implere monachum , et emulationi sanctorum
tanta diligentia incumbebat ut esset in brevi perfectioribus imi
tandus .
60 S. ANSELMO DI AOSTA
di amicizia purissima che sarà il fascino di un altro
santo Dottore, figlio pure delle nostre Alpi, suddito e
amico degli stessi principi di Savoia, ma rapito più giu
stamente all'Italia dalla nazione sorella ; vogliamo dire
San Francesco di Sales .
Tutte queste parti concorrono insieme a integrare
il ritratto di quest'amabile figura di monaco, che gran
deggia su tante altre grandiose tra i confini dei due
secoli più fecondi dell'età di mezzo. Ed esse ci danno
modo d'intendere non pure l'ardente ammirazione dei
suoi contemporanei, ma l'ingenuo gloriarsene che face
vano i suoi monaci, e il gareggiare unanime delle con
gregazioni sorelle, particolarmente dei vicini monasteri,
a vederlo, a udirlo, ad ottenerne lettere e scritti.
Cosi certamente più conferi Anselmo al bene stesso
della Chiesa e della società nella vita religiosa che non
avrebbe potuto fare negli altri generi di vita, fra cui
ondeggiava, o di solitario contemplativo o di castellano
benefico, tutto inteso al sollievo dei poveri e dei pelle.
grini, emulando nella vita del secolo, come sopra dicem
mo, l'eroismo del santo suo compaesano, Bernardo di
Mentone.
Anzi, tale eroismo stesso, di vita contemplativa in
sieme e di vita operosa e caritativa , emulò Anselmo
nello stato monastico ; se pure non lo superò e per sè e
per l'indirizzo dato ai suoi monaci. Egli, è vero, parve
chiamato particolarmente a ravvivare nello stato mona
stico, in Francia e in Inghilterra, lo studio delle cose
celesti e della celeste contemplazione, senza sdegnare
quello della sapienza umana. Ma non meno riusci ad
accoppiarvi mirabilmente l'esercizio attivo delle opere
di carità e di misericordia, nominatamente di quella
propria dei cenobiti medievali, dei benedettini in ispe
cie : l'ospitalità gentile e la liberalità cortese, massime
verso i poveri e i pellegrini. Per l'uno e per l'altro
merito Anselmo dirozzò pazientemente, trasformò, in
IV . IL MONACO 61
gentili a poco a poco gli animi e i costumi dei suoi fieri
Normanni, dei monaci prima, e poi anche dei signori e
del popolo, per quanto si stendeva l'efficacia della sua
operosità religiosa.
Dell'uno e dell'altro non possiamo noi qui sten
derci a parlare degnamente, mostrandone le opere e i
frutti, dei quali, come scriveva ad Anselmo il grande
Pontefice Gregorio VII, giungeva la buona fragranza
fino al trono pontificale. Ma gioverà udirne almeno
un'eco lontana, in ciò che dell'abbate Beccense e dei
suoi religiosi scriveva un monaco di altro monastero,
già da noi citato : Orderico Vitale ( 1 ).
Egli esalta con vero entusiasmo di ammirazione il
successore di Erluino, il venerabile Anselmo, di nazione
italo, seguace di Lanfranco, e pieno di molteplice scienza
delle lettere ; il quale, per dono di Dio, lodevolmente
riempiè il prefato cenobio di dotti e devoti fratelli.
Nè poscia, prosegue egli, accresciuto il numero dei servi
di Dio, venne a mancare la copia delle sostanze ; ma
concorrendovi amici, nobili e parenti, onorevolmente
ne ridondava la necessaria abbondanza ai fratelli. Chie
rici e laici traevano a ricercare di consiglio il lodatis
simo saggio, e le dolci parole di verità, che sgorgavano
dalla bocca di lui, ai fautori della giustizia piacevano
quali discorsi dell'angelo di Dio . Egli attendeva in tutti
i modi alla celeste contemplazione , e come da copio
sissima sorgente di sapienza profondeva a ribocco i
melliflui rivi della sua dottrina. Le oscure sentenze
della sacra Scrittura indagó con solerzia, a voce e per
iscritto valorosamente dilucido, e i detti intricati dei
(1) ORDERIC. VITAL. , Histor. eccles ., p . II, lib . IV.
62 S. ANSELMO DI AOSTA
profeti utilmente appiano . Tutte le parole di lui erano
utili ed edificavano i benevoli uditori.
I docili discepoli conservarono in iscritto le lettere
e i discorsi tipici di lui ; coi quali essi abbondevol
mente dissetati giovarono non poco a sè e ad altri
molti ancora . Questo sperimentarono in molti modi Bo
sone e Guglielmo, suoi successori, i quali attinsero in
modo insigne ai trattati di cosi grande dottore, e larga
mente ne somministrarono la desiderabile bevanda agli
assetati .
Anselmo poi era affabile e mansueto, e a quanti
semplicemente lo interrogavano, rispondeva caritate
volmente. A preghiera di amici, pubblicò piamente
libri di una mirabile sottigliezza e profondità intorno
alla Trinità , alla verità, al libero arbitrio , alla caduta
del diavolo, e perché Iddio si è fatto uomo.
La fama della sapienza di questo didascalo, con
tinua Orderico Vitale, si divulgò per tutta la latinità,
e del nettare della buona opinione di lui, la Chiesa
occidentale andò nobilmente inebbriata. L'immenso in
cremento di arti liberali e di sacra letteratura, comin
ciato nella Chiesa Beccense per Lanfranco, per An
selmo crebbe magnificamente ; sicchè di qui uscirono
egregi dottori e provvidi nocchieri e guide spirituali,
ai quali furono commesse da Dio le redini della Chiesa
per governarla nello stadio di questo secolo ( 1). Cosi per
la buona usanza i cenobiti del Bec si resero a tal segno
dediti agli studii delle lettere e diligenti nel discutere
( 1) Fama sapientiae huius didascali per totam latinitatem
divulgata est, et nectare bonae opinionis eius occidentalis Ecclesia
nobiliter inebriata est . Ingens in Ecclesia Beccensi litteralium ar
tium et sacrae lectionis sedimen per Lanfrancum coepit et per
Anselmum magnifice crevit, ut inde plures procederent egregii
doctores et providi nautae et spirituales aurigae, quibus ad re
gendum in huius saeculi stadio divinitus habenae commissae sunt
Ecclesiae , etc.
IV . IL MONACO 63
e nel proporre questioni sane e utili discorsi, che tutti
per poco sembrano filosofi; dalla conversazione di essi,
anche di quelli che tra loro sembrano illetterati e si
chiamano rustici, possono imparare cose utili i gonfi
grammatici. Essi per l'affabilità mutua e la dolcezza
della carità vivono lieti nel servizio di Dio, e sono di
una religiosità instancabile, secondo che li ammaestra
la vera sapienza. Dell'ospitalità dei Beccensi non si
può parlare sufficientemente. Rispondano i Borgognoni
e gli Spagnoli e altri che vi convengono da lontano o
da vicino, e dicano senza inganno con quanta beni
gnità siano stati da essi ricevuti, e si sforzino d'imi
tarli in cose simili senza infingimenti. La porta dei
Beccensi è aperta ad ogni viaggiatore, e il loro pane
non viene negato ad alcuno che lo dimandi caritativa
mente. Ma che starò a dire più su essi ? Cosi li man
tenga perseveranti nel bene e li conduca al porto della
salute incolumi quegli che gratuitamente ha cominciato
e continua il bene che in essi risplende.
Fin qui il buon monaco, alle cui parole abbiamo
cercato di lasciare tutta la schiettezza primitiva e l'en
fasi ingenua, poiché in essa ogni mediocre conoscitore
degli uomini e dei tempi non solo vede ma sente quale
parte abbia e la verità della storia e la sincerità del
l'ammirazione .
E l'una e l'altra non meno traspare dai candidi
versi, onde il poeta contemporaneo ne piangeva la
morte in quella sua lagrimosa elegia ; piangeva « la
morte che aveva portato a molti un commune dolore,
che era stata una pubblica pena nella scomparsa di un
solo » . Ma soggiungeva ancora, più dolente : « E noi,
e noi miseri che abbiamo il nome di monaci ? A noi
sarà poi sempre proprio questo dolore . A noi si è dile
guata con la sua morte la speranza maggiore di vita ;
nè altri vi resta che a lui sia simile, che come lui possa
allietarci di pari onore, che come lui possa rialzare il
64 S. ANSELMO DI AOSTA
nostro capo » . E ciò, perchè come sopra ha detto,
agglomerando affettuosamente gli epiteti, Anselmo -
fu dell'ordine monastico il precipuo decoro, fu guida
e sostegno, difesa e rifugio ( 1 ).
( 1) Epicedion in obitum Anselmi :
Ordinis ille decus, princeps et semita nostri ,
Currus et auriga, portus et aura fuit.
CAPITOLO QUINTO .
Il superiore.
Arte del governare le anime , esimia in Anselmo . Opposizioni da lui vinte
sul principio del suo governo . Il caso del giovane Osberno . La pu
rezza e la forza dell'affetto religioso di Anselmo verso Osberno vivo e
defunto . Benignità del suo governo, e norme da lui scritte all'abbate
di S. Albano . Ansietà interne sedate da Maurilio di Roano. Cure
speciali del priore verso gl'infermi. – Fatti mirabili narrati da Eadmero .
Il credito di Anselmo per la efficacia della direzione delle anime e la
soavità del governo .
La potente efficacia e i larghissimi frutti della vita
e dell'opera di Anselmo nell'ordine monastico tra le
difficili condizioni del secolo XI , accennate sopra gene
ralmente, non si possono bene intendere senza cono
scere alquanto più in particolare la dote che in lui fu
esimia del governare, e del governare le anime reli
giose in ispecie. Egli attuò in sè l'idea del perfetto su
periore religioso ; per cui l'autorità non è onore, nè pa
dronanza ; è propriamente ministero e servitù, o se pure
è superiorità, è una superiorità di padre, non di si
gnore; amorevole, non dispotica. Certo, per questa amo
revolezza appunto, per questa paternità spirituale e
autorità di governo, dolce insieme e vigorosa, ci ap
pare tipo di superiore religioso Anselmo, e come priore
e come abbate del celebre monastero normanno.
Nel che fu tanto più ammirabile allora e tanto più
imitabile in ogni tempo, quanto più ardue e incresciose
5.
66 S. ANSELMO DI AOSTA
furono le opposizioni ch'egli ebbe ad incontrare nei suoi
inizi, e che sino dagli inizi egli vinse con un misto di
dolcezza e di forza, di bonarietà e di accorgimento,
veramente singolare in un giovane trentenne e stra
niero alla Normandia.
Quando egli, infatti, fu assunto all'officio di priore
della congregazione del Bec, oltre ogni aspettazione,
« parecchi fratelli dello stesso cenobio ci narra il
primo biografo e confidente di Anselmo - gli si fecero
emuli invidiosi, vedendosi preposto quello che per l'età
e per l'ordine della professione giudicavano doversi
loro posporre. Perciò turbati essi e turbando gli altri,
muovono scandalo, ingenerano dissensioni , nutrono sci
smi e fomentano avversioni » .
Essi confidavano, a quanto pare, di stancare il gio
vane priore e indurlo alfine a rassegnare la nuova ca
rica, mostrando insieme agli elettori e l'ingiustizia e
l'imprudenza della loro scelta, che sembrava tornasse
di peso e di disdoro ai più anziani. Un simile contra
sto erasi levato pure, com'è solito da principio, con
tro Lanfranco, e con tale esito che il lombardo aveva
formato già il proposito di sottrarsi alle ruvidezze di
quei normanni, ritirandosi a vita solitaria, nè desistette
altrimenti che per le lagrime e le suppliche del santo
vecchio Erluino. Quanto più forte sarebbe stato il con
trasto cosi dovevano sperare quei monaci a scuo
tere il giovane Anselmo più dolce, più modesto e quasi
timido ! Ma quei duri normanni mal conoscevano la tem
pra indomita e vigorosa di quell'indole, pure mitissima
e accondiscendente, del monaco valdostano. Egli attin
geva, del resto, la sua forza d'animo inflessibile a quella
dolcezza stessa, alla fonte anzi della dolcezza e della
forza, che è l'amore religioso, quell'amore forte come
la morte, onde ci parlano i libri santi.
Cosi « con quelli che odiavano la pace egli era
pacifico, e alle loro detrazioni rendeva il ricambio della
V. IL SUPERIORE 67
fraterna carità, amando meglio vincere la malizia col
bene, che essere vinto dalla malizia loro col male. Il
che per misericordia di Dio fu ottenuto ; giacchè essi
avvertendo come egli procedesse in tutti i modi con
semplicità e purità nelle sue azioni tutte, nè avere in
sè cosa che si potesse a buon diritto maledire , comin
ciarono, mutando in buona la volontà cattiva, ad emu
lare nel bene i detti e i fatti di lui » . Ma per chiarire
in qual modo ciò seguisse, Eadmero narra distesamente,
a modo di esempio, il caso di uno fra tutti, « accioc
chè, conosciuto per quale arte o inganno santo di An
selmo siasi quegli mutato dalla sua perversità, vengasi
a fare ragione in qual maniera siano stati da lui cor
retti anche gli altri » . Il caso mostra quanto tesoro di
affetto insieme e di senno pratico, di conoscenza del
cuore umano e di pazienza nell'educarlo si accogliesse
nell'anima del giovane priore del Bec. Tale si riscon
co
tra in qualche altro santo di secoli a noi più vicini,
che in diversi tempi ne sperimentò gli stessi frutti, e
sono i frutti dell'educazione religiosa, fatta di amore
santo, di longanimità e di pazienza.
Era dunque tra i monaci uno, di nome Osberno,
giovinetto di età, dotato di raro ingegno e di grande
abilità ad opere diverse e che in sè dava materia di
buona speranza. Ma oscuravano tali doti i suoi modi
molto perversi e più ancora l'odio rabbioso, che aveva
contro Anselmo, « odio da cane » , come parla il biografo.
Di tanto odio, quanto a sè, non si curava Anselmo ;
bene gli pesava che un si nobile soggetto di cui molto
frutto si poteva aspettare, fosse cosi male incamminato.
Per ridurlo dunque nel retto sentiero, cercò primiera
mente di guadagnarsi la volontà di lui e farselo con
fidente : con una santa astuzia cominciò a mitigare
68 S. ANSELMO DI AOSTA
l'animo del giovane, a usargli pie amorevolezze, a dissi
mulare benignamente le puerilità di lui, a concedergli
molte cose che si potevano, senza danno dell'ordine, tol
lerare ; sicchè in esse e l'età di lui avesse sfogo e l'animo
sfrenato si piegasse a mansuetudine. Gode il giovane di
tutto ciò e pian piano è intenerito e vinto : comincia
ad affezionarsi ad Anselmo, ad accettarne in buona
parte gli avvisi paterni. Di che avvedutosi il saggio
educatore, gli dimostra maggiore famigliarità che agli
altri, segue a favorirlo più che mai, a prevenirne i
bisogni, a non lasciarlo mancare di niente, e a venirlo
in tutti i modi istruendo ed esortando a camminare
sempre di bene in meglio. Dopo ciò, lo va distogliendo
a poco a poco dalle solite leggerezze, gli revoca destra
mente le già concedute licenze e per ogni modo procura
ridurlo a senno ed a maturità religiosa. Nè la solleci
tudine del superiore cadde vana ; ma più e più se ne
andarono radicando nel giovane e rafforzandosi gli am
monimenti salutari.
Allora, vedutosi pienamente sicuro della fermezza
di proposito del suo alunno, l'educatore passò a re
stringerlo vieppiù, troncando ciò che in lui restava di
puerile ; e se lo vedeva commettere cosa degna di ri
prensione, lo castigava non solamente con parole ma
anche con pene, fortemente. Ed Osberno ? Già certo e
sicuro dell'affetto paterno di Anselmo, sopporta ogni
cosa con animo tranquillo, si conferma nel proposito
di ogni religiosa osservanza, s'infervora nello studio
di ogni azione santa, tollera pazientemente dagli altri
le contumelie, gli obbrobrii, le detrazioni, serbando
verso tutti un affetto di sincera dilezione. Se ne ralle
gra il buon padre, più di quanto si possa dire a parole,
e ama il suo figliuolo con l' ardore santo della carità
più di quanto si possa credere. - Fin qui il biografo
contemporaneo, ed ogni semplice fedele intende l'origine
e la natura di tanto affetto dell'educatore religioso.
V. IL SUPERIORE 69
Ma il biografo razionalista dell'età moderna ( 1 ), am
mirando pure questo « amore santo ed austero che si
attacca all'anima e l'incatena mediante la sofferenza
stessa del corpo » , uscirà nella dimanda ingenua : « Non
è forse questo l'amore, quale l'insegnava Platone ? »
Noi sorridiamo mestamente e rispondiamo che, se Pla
tone o altro filosofo e pedagogo, pagano naturalista o
razionalista che si dica, ha potuto insegnare qualche
cosa di simile, Cristo solo ha potuto e ha fatto rifiorire
nel mondo un amore cosi puro, cosi nobile e divino :
quum huius nominis digna virtus nulla in terris exti
terit nec possit esse nisi per Christum, come parla
il Nostro Santo Padre Pio X nell'esordire stesso della
sua recente enciclica sul centenario di Anselmo (2).
Ma la spiritualità e la purezza dell'amore non ne
scema la delicatezza e la sensibilità, bensi la nobilita
e la raffina. Cosi si vide in Anselmo, il quale soleva
poi raccontare, piangendo, del suo Osberno, che men
tre prometteva di crescere a gran bene della Chiesa,
gli si infermò gravemente. « Avresti allora veduto
continua Eadmero — il buon padre,, l'amico del giovane
avventurato, notte e giorno assiso al letto dell'infermo,
porgergli di sua mano il mangiare ed il bere, prendere
sopra di sé i servigi tutti degli inservienti, fare in tutte
le cose le parti del vero amico, con estrema sollecitu
dine provvedere al corpo e pensare all'anima di lui » .
Ma tornata inutile ogni industria per la salute del corpo,
il discepolo si avvicinava alla fine; e il maestro sedu
togli a fianco lo prega con famigliare insistenza che,
se fosse possibile, dopo la morte gli volesse dare qual
( 1) Cf. REMUSAT , op . cit . p . 44 .
(2) Encycl. Communium Rerum , del 21 aprile 1909.
70 S. ANSELMO DI AOSTA
che nuova di lui : il moribondo promise e spirò. Il corpo
del giovane defunto, secondo l'usanza, lavato e vestito
e posto nel cataletto, si porta in chiesa : i monaci in
torno sedendo cantano i salmi per l'anima di lui. An
selmo, per fare più attenta e più calda orazione, si ri
tira in luogo più appartato della chiesa. Qui tra le
lagrime e i sospiri, oppresso dalla mestizia e dall'af
fanno, venne meno, e chiusi gli occhi dormiva legger
mente, quando vide in ispirito alquante persone di
aspetto venerabile, adorne di vesti candidissime, en
trare nella camera del defunto e quivi poste a sedere,
come per giudicarlo. Ma ignorando egli che sentenza
avessero data e aspettando con molta ansietà d'inten
dere il successo di quel giudizio ; eccoti Osberno simile
in faccia a chi ritorna in sè da qualche svenimento.
E il padre a lui : « Che ci è figliuolo ? come ti va ? »
A cui l'altro : « L'antico serpente per ben tre volte si
è levato sopra di me e tre volte è caduto sopra di sé,
e l'orsiero del Signore mi ha liberato » . Anselmo apri
gli occhi e Osberno disparve. Anselmo stesso poi go
deva di riferire questa risposta, ch'egli interpretava
cosi : che tre volte l'antico serpente si era levato con
tro Osberno, perchè l'aveva accusato primieramente
dei peccati commessi dopo il battesimo, innanzi che
fosse offerto dai suoi parenti al servizio di Dio nel
monastero ; secondariamente, di quelli che dopo l'in
gresso del monastero aveva fatto innanzi la professione
religiosa ; in terzo luogo, di quelli nei quali era incorso
dopo la professione sino alla morte . Ma tre volte l'accu
satore era caduto sopra di se medesimo ; perchè i falli
del secolo erano stati cancellati in virtù della prima
oblazione ; quelli del noviziato rimessi nella nuova con
secrazione per mezzo della professione; le colpe, com
messe dopo la professione, perdonate nello stesso tran
sito mediante la vera confessione e penitenza. Sicché
il demonio n'era andato confuso, vedendo riuscire vane
V. IL SUPERIORE 71
le sue astuzie a suo più grave tormento e a maggiore
condannazione ; e l'angelo di Dio aveva trionfato ; poi
chè spiegava Anselmo – gli orsieri di Dio sono gli
angeli buoni, che raffrenano i maligni spiriti, come gli
orsieri domano le belve.
Dopo ciò, Anselmo non restò dal mostrarsi vero
amico e padre del suo Osberno ; un anno intero disse
messa per lui ogni giorno, e se talora egli veniva im
pedito dal celebrare cercava chi supplisse. Nė pago a
tanto, mandava lettere per ogni parte, sollecitando pre
ghiere e messe per l'anima del suo Osberno, e le ot
tenne. Cosi, ad es., scriveva a un altro suo amico te
nerissimo, Gondolfo : « Saluta il signor Osberno che è con
voi, come nostro fratello diletto, invece del morto mio
dilettissimo Osberno : prego te e tutti i miei amici con
le minori parole che so, ma con l'affetto maggiore che
posso.... ovunque è Osberno, l'anima di lui è l'anima
mia. Io riceverò vivo per lui quello che morto potrei
sperare dagli amici; e cosi, morto me , se ne stiano essi
pure in ozio. Addio, addio, mio carissimo, e per renderti
il cambio della tua importunità, prego e prego e prego :
ricordati di me e non dimenticarti dell'anima del mio
diletto Osberno. Che se pare a te che ti carichi troppo,
dimenticati di me e ricordati di lui. Al signor Enrico
ho mandato un'altra lettera, ma scambiate i vostri nomi
per ogni cosa, e la tua sia sua e la sua sia tua » . Al
medesimo don Enrico similmente scriveva: « Poichè per
l'anima a me carissima del defunto nostro fratello
Osberno, non posso pregare Iddio né gli uomini tanto
che mi basti, di nuovo inculco a te che quanto scrivo
a Gondolfo per lei, lo dico a te.... Addio, e abbi l'anima
di Osberno come un'altra mia, non come di lui, ma la
mia » . E un'altra volta, riscriveva da capo a Gondolfo :
« Tutti quelli che sono affezionati a me essendo pure
a te, al quale sono affezionato io, ... mettili tutti intorno
a me nella stanza più interna della tua memoria, là
72 S. ANSELMO DI AOSTA
dove me ne sto io continuamente .... ma l'anima del mio
Osberno ti prego, mio caro, non mettila altrove che nel
mio cuore » ( 1 ).
Vedendo tanta tenerezza di amicizia, gli altri fra
telli si rimproveravano la propria freddezza , predica
vano felice Osberno che aveva incontrato un amico
cosi affettuoso nell'amarlo e cosi operoso nel suffragarlo;
e tutti facevano a gara di sottomettersi interamente ad
Anselmo, desiderando succedere, quasi per diritto ere
.
ditario nell'amicizia di lui, ad Osberno. Ma egli, dando
grazie a Dio della loro conversione, si fece tutto a tutti
per fare tutti salvi. Cosi la benignità di lui - conchiu
deva bene a questo proposito Giovanni Salisburiense -
guadagnò al Signore più cuori che non se avesse co
mandato con austerità e potenza.
« Nè tuttavia rimetteva egli punto del vigore del
l'ordine ; ma era più propenso a misericordia che a
crudezza. Perché se avesse dovuto essere condannato
per l'uno o per l'altro difetto, amava meglio, come di
ceva, di essere trovato innanzi a Dio troppo misericor
dioso che crudele. Conosceva egli bene che la sostenu
tezza e l'austerità ingenera piuttosto timore che amore.
Eppure senza l'amore non vi è ordine, perchè niuna
vera religione si dà senza carità. E certo non otterrai
per forza di essere amato ; questo ci è dato dalla mutua
fedeltà, dalla schietta benevolenza. A questo modo An
selmo, insistendo sempre nelle opere di carità e di mi
sericordia , raccoglieva grandissimo frutto per il Si
gnore » (2).
( 1 ) Epist. lib. I , 71 .
(2) IOANN . SARESBER, Vita S. Anselmi, cap . 4.
V. IL SUPERIORE 73
Anselmo, insomma, attuava in sè l'ideale di supe
A. riore religioso che egli descriveva ad uno dei suoi
CO amici più cari, a Don Paolo, assunto da Lanfranco
0: alla dignità abbaziale di S. Albano, dove i monaci in
ai glesi e rilassati vedevano di mal occhio imporsi un
TA abbate normanno e una regola austera : « Ciò che non
do potete dir loro con la parola, lo potete mostrare con
ti la vita. Poichè tanto più efficacemente il bene si per
11 suade con l'esempio che a parole, in quanto i buoni
costumi si amano in chi tace, la facondia si disprezza
0 in chi non opera. Studiatevi dunque di farvi amare da
tutti con la mansuetudine e la compassione, anzichè
el temere per una giustizia troppo austera e che mai non
perdoni a nessuno. Gli uomini di ogni condizione che
50 sono affidati a voi , abbiano la consolazione di trovarsi
1. raccomandati ad un padre e ad un pastore : non l'or
rore di vedersi consegnati ad un tiranno e ad un esat
1 tore . Si rallegrino i vicini che sia loro venuto dalla
2 parte di Dio un consigliere e un aiuto ; non abbiano a
2 lamentarsi che sia loro piombato dalla sinistra un in
i vasore di roba altrui od un persecutore. Vi sono infatti
3 molti prelati del nostro ordine, i quali , come per ansia
che non si perda il patrimonio di Dio nelle loro mani,
fanno che si cancelli la legge di Dio nei loro cuori.
Perchè tanto si affannano ad essere prudenti per non
venire ingannati da altri, che si rendono furbi da in
gannare altrui. Tanto sono guardinghi di non essere
prodighi e non disperdere irragionevolmente ciò che
hanno, che diventano avari, e le cose che hanno in
serbo, marciscono inutilmente . Con tanto studio si inge
gpano di guadagnare qualche cosa per i servi e i po
veri di Dio e per il luogo santo, che sempre tentano
di sottrarre ingiustamente qualche cosa a taluno. Cosi
74 S. ANSELMO DI AOSTA
sono animati dallo zelo di correggere gli stolti , che
vanno fino alla crudeltà o alla smania di raccogliere
danaro. Da queste colpe dunque si guardi la vostra
prudenza. Disponete per modo le cose esterne a voi
commesse, che il vostro interno sia ordinato sempre
giusta i comandamenti di Dio. Difendetevi da quelli
che vi danneggiano, per la prudenza, ma in guisa che
per la semplicità non vogliate nuocere ad alcuno....
Custodite i beni del monastero, ma non dimenticate
ciò che sta scritto : Date e vi sarà dato. Procurate an
che di accrescere questi beni , ma non vi cada di mente
il precetto : Non desiderare la roba d'altri. Riprendete
quelli che peccano, ma in modo tale che non vi sia
nè crudeltà nè avarizia » .
Ciò che egli scriveva ee diceva, praticava anzitutto
dal canto suo, e prima nell'officio di priore, come poi
nella dignità di abbate.
Eppure non contento di sè e dell'opera sua, come
è proprio sempre delle anime grandi che anelano al
più perfetto, amareggiato, dopo le contraddizioni in
terne, dalle distrazioni esterne, sempre crescenti, che
gl'impedivano la serenità della contemplazione e dello
studio, egli si disponeva di rinunziare al priorato, e
recavasi di nuovo per consiglio all' arcivescovo Mau
rilio. Ma questi gli rispondeva, con affettuosa risolu
tezza : « Non cercar questo, figliuolo mio carissimo, nė
voler sottrarti dall'aiutare altrui per attendere a te
solamente. E se a cura maggiore sarai chiamato non
ricusarti ; perché io so, e non andrà molto, che dovrai
salire più alto »
.
Oh, guai a me misero, esclamò An
<<
selmo ; vengo meno sotto il peso che porto, e non po
trò ricusarne un altro più grave ? » — L'arcivescovo non
si muove : ripete il comando, e il priore se ne ri
V. IL SUPERIORE 75
torna gemendo al monastero ; dove, non molto di poi,
l'unanime consenso dei fratelli doveva sollevarlo, in
vano ripugnante con gemiti, con lagrime e preghiere,
alla dignità abbaziale.
Ma non cade di animo : anzi, vinte le repugnanze
della natura e ogni resto di malumore domestico, si
rimette più vigorosamente all'azione di servire e di
provvedere, più che di sovrastare, ai suoi fratelli reli
giosi. « E allora scrive di nuovo Eadmero si
porse tale con tutti che da tutti era avuto in luogo di
padre carissimo. Egli con animo uguale soffriva i di
fetti e le debolezze di tutti e suggeriva a ciascuno ,
secondo che conosceva espediente, le cose necessarie ...
Aveva in uso di visitare frequentemente la casa degli
infermi, d'investigare con diligenza le infermità dei
singoli fratelli, e somministrare a ciascuno senza ri
tardo e senza tedio ciò che la malattia di ciascuno ri
chiedeva . E cosi era un padre ai sani, una madre agli
ammalati ; anzi ai sani ed agli ammalati era padre e
madre insieme » .
Da ciò s' intende la verità dell' esclamazione di
Eadmero : « O quanti nella loro infermità già disperati,
furono per la pietosa sollecitudine di lui ristabiliti nella
prima sanità ! » .
E anche in questo particolare abbiamo, della pie
tosa sollecitudine di Anselmo, un esempio che è un
piccolo idillio. Un vecchio decrepito, per nome Ere
waldo, prostrato dall'età e dalla malattia, privato del
l'uso delle membra, non aveva più altro di libero che
la lingua. Egli non voleva ricevere da altri cibo o be
vanda salvo che dal suo buon priore. E Anselmo faceva
da pietoso infermiero al vecchio Erewaldo, come aveva
fatto al giovinetto Osberno ; e postoglisi ai fianchi, lo
76 S. ANSELMO DI AOSTA
si vedeva, per esempio, con un grappolo d'uva in mano
spremere gli acini nella palma, e a goccia a goccia
stillarne il liquore su le labbra riarse del caro infermo.
Con tali squisitezze di carità, benedette certo dal con
corso divino, non è meraviglia ch'egli ottenesse effetti
che avevano del prodigioso, quale apparve a Giovanni
di Salisbury la pronta guarigione dello stesso buon vec
chio Erewaldo ( 1 ).
Non la sanità del corpo, ma la pace dell'anima
portò la carità di Anselmo ad un altro vecchio, dei più
antichi del monastero e dei più accaniti fra i suoi av
versari. Un giorno, mentre i fratelli riposavano al so
lito nell'ora meridiana, il vecchio dall' infermeria ebbe
una crisi; e cominció a dare gridi spaventosi, a dibattersi,
a tentare di fuggire, come dalla vista di figure orribili. Si
accorre : si trova il vecchio tutto pallido e tremante ; egli
risponde di trovarsi affannato e ristretto fra le braccia
di due lupi fierissimi, che stanno in punto di soffocarlo .
Uno dei monaci allora , Ricolfo il segretario , corre ad An
selmo che in quell'ora stava correggendo manoscritti,
come era suo solito. Anselmo rimanda tosto Ricolfo dal
l'ammalato ; indi, raccoltosi per poco a pregare in luogo
remoto, sopraggiunge in infermeria, leva la mano, fa
il segno della croce, dicendo : « Nel nome del Padre,
del Figliuolo e dello Spirito Santo » . Ed ecco l'amma
lato si acqueta, si rasserena e comincia tosto a ringra
ziare Iddio : narra che nell' entrare Anselmo e fare il
segno della croce, come una lancia di fuoco gli era
uscita dalla bocca e avventata contro quei lupi li
aveva atterriti e fugati incontanente . Allora Anselmo,
dolcemente accostatosi a lui, tratto seco delle cose del
l'anima, lo ridusse a dolore e a confessione di tutte le
una
(1) EADMERO , più vicino al fatto , vi accenna solo con
cara enfasi, in un'apostrofe ardita : « Quod tu , Herewalde, de
crepite senex , in te ipso percepisti o ... (lib . I, c . III) .
V. IL SUPERIORE 77
sue colpe, e datogli l'assoluzione, ne predisse la morte
vicina, per l'ora di nona. Sono l'ora, e i fratelli, alza
tisi dal riposo, furono tutti raccolti intorno al moribondo,
ed egli, deposto in terra secondo il rito monastico, reli
giosamente spirò.
Questi fatti crebbero certo l'autorità e il credito
del buon priore, più ancora che altri narrati pure dai
suoi monaci, come la pesca miracolosa di una trota di
insolita grandezza, e altra volta di uno storione affatto
straordinario, coi quali essi riconoscevano del pari in
Anselmo la cognizione di cose lontane e future. Ricolfo
poi, che gli faceva da segretario, raccontava un'altra
maraviglia : ed era che mentre una notte se ne andava
per i chiostri osservando l'ora di svegliare i monaci a
mattutino, passando per buona sorte innanzi la porta
del capitolo, vi pose dentro gli occhi e vide Anselmo
in orazione, cinto d'ogni intorno d'un fiammeggiante
cerchio di fuoco. Preso di stupore , per meglio accer
tarsi, era corso alla cella di Anselmo, e non vi scor
gendo nessuno, ritornò al capitolo e ben vi trovò di
nuovo Anselmo, ma non più l' inusitato splendore che
aveva lasciato. Cosi Ricolfo, il segretario.
Quindi il credito della santità di Anselmo, mentre
si distendeva per la Normandia tutta e per altri paesi
di Francia e di Fiandra, come di poi in Inghilterra, fa
ceva che da varie parti e nobili e studiosi, e dotti e sol
dati accorressero a lui in gran numero, per consecrarsi
sotto la guida di lui e col suo consiglio, al divino ser
vizio. Ma egli con molta prudenza si guardava di esor
tarli più a questo che a quel monastero, contentandosi
di animarli in generale allo stato religioso. E ciò per
chè, com'egli stesso dichiarava, entrando in qualche
monastero per impulso altrui e trovandovisi poi mole
78 S. ANSELMO DI AOSTA
lestati da tentazioni e da angustie, non avessero da mor
morare e vivervi scontenti, con attribuire ad altri la
loro impazienza . Non pochi tuttavia si fermavano al Bec,
allettativi dalla soavità della direzione di Anselmo, e
vi fiorirono in virtù, e parecchi ne uscirono a suo tempo
per governare altre chiese e monasteri , in Normandia
e in Inghilterra segnatamente, ma tutti si affezionarono
e restarono sempre affezionati al loro padre più che
figliuoli.
E la loro forza di amore che mai non venne meno,
e l'affettuosa riverenza e la confidenza rispettosa ha
certo dell'incredibile : essa fu ottimo frutto, com'è a
noi indizio evidente, dell'efficacia educativa di questo
insigne monaco e superiore di monaci, quale fu Anselmo
d'Aosta · nel secolo undecimo.
CAPITOLO SESTO .
L’educatore .
Doti di mente e di cuore proprie ad Anselmo . Sue cure speciali per i giovani
e loro ragione. Gara di confidenza e di amore . · Esempio di Bosone .
Ordine e metodo di soda pedagogia, seguito da Anselmo. Arte di
esemplificare ; similitudini e aneddoti . Soavità ed efficacia pratica del
l'opera educativa di Anselmo. Lezione da lui data ad un abbate se
vero .- L'amabilità da lui praticata e comunicata ai discepoli. Suo
carteggio con essi. – L'educazione dell'infanzia nel pensiero e nel cuore
di Anselmo.
Non può darsi in qualche grado di perfezione, nel
superiore religioso, l'arte di governare le anime senza
quella di educare. E come la prima fu tanto eccellente
in Anselmo, cosi non potè mancare la seconda. Anzi
questa gli dovette appunto communicare quel misto di
soavità e di forza, che fu tanto proprio di lui, e cioè
un nobile accordo di benignità e di rigore, di sempli
cità e di prudenza, di bonarietà e di accorgimento, che
conciliava insieme l'autorità e la confidenza. In ciò sta
certamente il segreto dell'educatore : magistero diffici
lissimo, che nessuna disciplina umana può far appren
dere degnamente e molto meno praticamente attuare.
Perciò questa prerogativa di ottimo educatore, che
per il suo secolo fu tanto singolare in Anselmo, benchè
nei secoli susseguenti assai poco conosciuta e meno pre
giata, pare a noi una delle proprietà della sua vita più
degne di ammirazione, particolarmente nel pieno secolo
undecimo e nei chiostri nascenti della rozza Normandia.
Ad essa occorrevano certo le doti dell'ingegno
perspicace e penetrante, al quale non isfuggivano i
80 S. ANSELMO DI AOSTA
problemi psicologici più complessi e più intimi , le crisi
delle anime, segnatamente delle anime giovanili, come
si usa parlare oggidi, o come parlava più semplice
mente il buon Eadmero, i costumi, le inclinazioni di
ogni sesso ed età. Egli li conosceva al lume della di
screzione, si che arrivava a penetrare i più intimi se
greti del cuore , ed insieme scopriva le origini e i semi
ei progressi dei vizi e delle virtù .
Ma più ancora vi concorrevano le doti del cuore.
A forza di amare, di compatire, di tollerare, a quel
modo che fece col giovane Osberno, egli si acquistò il
diritto di riprendere e di emendare. E lo faceva libe
ramente, con quella bonarietà insieme e longanimità
affettuosa che gli aveva guadagnati gli animi anche
dei suoi più avversi, quali erano al principio come
si disse — molti di quei duri normanni, quando il gio
vane italiano succedeva ad un altro italiano nella scuola
e nel priorato del monastero.
Che se egli cercava di promuovere tutti quelli che
aveva a suo carico, con particolare attenzione tuttavia
si affaticava in aiuto della gioventù. E di ciò è bello
intendere la ragione che soleva dare questo educatore
del secolo XI : che « siccome la cera quando è troppo
dura, o troppo molle non riceve appieno l'impronta ;
ma, s' ella é temprata del duro e del tenero, prende
fedelmente la figura del sigillo intera e nitida, cosi ap
punto vediamo nell'età dell'uomo.
« Prendi uno che dall'infanzia sino alla vecchiaia
sia allevato nelle frivolezze e che solo abbia gusto alle
cose materiali, ed entra con lui a trattare dei concetti
spirituali, della contemplazione divina, dei misteri ce
lesti e di simili altri ragionamenti : vedrai che quel tale
non potrà pure intendere di che tu parli: la cera è
VI . L'EDUCATORE 81
troppo indurata ; quella mente ha sempre avuto troppo
il altri pensieri ed altri disegni. Al contrario prendi un
bambino tenero di anni e di conoscenza, che non sa
ancora discernere il male dal bene ; neppur egli ti ca
pirà : è troppo molle e quasi liquida la cera ; non am
mette caratteri nė immagini . Tra questi due sta in
mezzo il giovane, convenevolmente temperato del te
nero e del sodo : se ti poni ad ammaestrarlo, ciò che
tu vuoi gli imprimerai nella mente. Il che avvertendo
io -— conchiudeva Anselmo — con maggior sollecitudine
invigilo alla cultura dei giovani , procurando di estirpare
in essi tutte le radici dei vizi, acciocchè di poi istruiti
convenientemente nell'esercizio delle virtù, vengano a
rendere in sè viva l'immagine dell'uomo spirituale » .
Cosi egli ; ma questa speciale sollecitudine e vigi
lanza sui giovani non aveva nulla di accigliato e di ar
cigno, nulla che valesse a stringere i cuori o a deprimere
e impaurire le fantasie giovanili : era cosa tutta paterna,
o per meglio dire, tutta materna : tutta volta ad allar
gare gli animi ed aprire le menti, penetrandovi quasi
entro, in tutti i più intimi ripostigli, per apportarvi,
conforme al bisogno, la luce, la direzione, il rimedio.
Quindi il savio educatore si studiava anzitutto a
guadagnare la confidenza dei sudditi ; e l'ottenne con
si gran frutto, che nessuno aveva segreti per lui, ma
ognuno si dava premura di rivelarglieli come un fan
ciullo farebbe e la similitudine è di Eadmero alla
sua madre dolcissima. Nella qual gara di figliale confi
denza particolarmente si esercitavano i giovinetti ( 1).
E a lui aprivano il loro cuore, glie ne scoprivano le
sofferenze, i propositi, le tentazioni. Succedevano pure,
i
(1) Eadm . 1. c . cap. III : << Quidquid secreti apud se quivis
illorum habebat, non secus quam dulcissimae matri revelare sa
tagebat. Verum tamen solers diligentia iuvenum hoc praecipue
exercebat » .
6.
82 S. ANSELMO DI AOSTA
fra quei giovanetti , propositi indiscreti, o male intesi ,
come suole avvenire tra la gioventù fervida ma ine
sperta e però tanto più bisognosa di direzione ; e un
caso d'ingenuo candore ci narra di uno fra essi il buon
Eadmero . Ma allora Anselmo ne sapeva leggere sul volto
l'ansietà angosciosa; con paterne interrogazioni ne ve
niva a scoprire l'origine ; con delicatezza pia e materna ,
talora con il semplice suo aspetto, vi porgeva il rimedio
e la guarigione.
Mirabile a questo proposito, fu ciò che gli successe,
già abbate, con un chierico giovinetto, per nome Bo
sone, il quale divenne appresso uno dei suoi discepoli
prediletti e fu da Jui introdotto come ingegnoso interlo
cutore nei suoi dialoghi. Questi, d'ingegno sottilissimo,
e sempre con tutta l'anima agitata da dubbi e da que
stioni le più astruse che nessuno valeva a snodargli,
venne al Bec per trattarne con Anselmo ; n'ebbe tanta
luce che s'innamorò di stare con lui e si rese monaco .
Ma ben presto eccolo riassalito da fortissime ansietà,
sbattuto da contrarii pensieri e col cuore in tempesta :
il giovane per poco non ne usciva di senno ; tanto più
che passati più giorni, la lotta interna non rimetteva
punto : s'inaspriva anzi peggio. Allora Bosone va ad
Anselmo e gli espone per minuto tutti quei tumulti,
quelle tempeste insolite del cuore angosciato. Anselmo
accoglie il giovane affannoso, ne ascolta ogni partico
larità, e con pio affetto gli dà questa sola risposta :
« Iddio ti aiuti » : indi senz'altro lo congeda. Stupito il
giovane si alza ; ma incontanente sente rifluire nel
l'anima tanta pace e tranquillità, che gli pare di es
sere trasformato in un'altro da quello di prima, com'egli
stesso raccontava, di poi, al primo biografo di Anselmo .
Nè solo svani allora del tutto quella perturbazione, ma
non ebbe mai più a rinnovarsi.
Simile efficacia di una breve parola, che ferisce l'a
nima e la trasforma, apparve del pari in altri autorevoli
VI. L'EDUCATORE 83
e grandi educatori, dei quali verranno alla mente di
ognuno i ricordi. Ma ciò non toglie che l'autorità del
l'uomo, quale si fosse, e la forza della sua voce o del
suo laconismo appaia una causa troppo sproporzionata
all'effetto , nel caso di Anselmo, massime per chi con
sideri tutte le circostanze, come la sola prontezza e la co
stanza di tale efficacia. Essa è dunque indizio ad ogni
animo docile e ragionevole dell'intervento misterioso
di una forza divina che rende operativa la debole voce
dell'uomo : è la grazia della parola che Iddio concede
a' suoi santi .
Ma l'uomo della materia, che non capisce le cose
dello spirito, troverà più comodo, e più scientifico, at
tribuire il tutto all'ignoranza degli uomini e dei tempi ;
o al più conchiuderà col biografo razionalista ( 1 ), che
« il credito morale di Anselmo produceva tali effetti,
che lo spirito del tempo amava di trovare miracolosi »
e che « se la leggerezza del tempo nostro permettesse
di dire ogni cosa, le ingenue storie dell'interno dei con
venti del secolo undecimo ci rivelerebbero ben molte
sofferenze, conosciute senza dubbio ancora dai confi
denti della malinconica gioventù dei nostri seminarii » .
Ora questa conclusione, per accennarvi almeno di pas
saggio, mostra quanto possa il pregiudizio del natura
lismo razionalistico e quale oscurità esso ingeneri an
che nelle menti elette : non lascia loro scorgere la
necessaria condizione e la sublime nobiltà di questa
lotta fra lo spirito e la materia, fra il senso e la ra
gione, in cui la virtù si corrobora e si perfeziona: lotta
che solo è gloriosa allo spirito e dolorosa alla carne,
quando lo spirito resiste e la ragione impera, repri
mendo il senso e costringendolo alla servitù della ra
gione. Che se la gioventù « allegra » delle scuole mo
derne di laicismo non conosce le sofferenze delle lotte
( 1) REMUSAT, 1. c . p . 47 s .
84 S. ANSELMO DI AOSTA
morali, ciò è solo perchè avvezza a cedere non cono
sce le battaglie e molto meno le vittorie dello spirito.
A queste sarebbe ufficio degli educatori addestrarla per
tempo, e procurarle, a costo pure di sofferenze passeg
gere, le gioie serene del trionfo morale, della vittoria
di sè e del vizio, la felicità della virtù e della buona
coscienza. Ma i più degli educatori laici abbandonano
questa nobile parte del loro ufficio ai « confidenti della
melanconica gioventù dei nostri seminarii » , della quale
essi ignorano le gioie intime e pure. Quindi l'una cre
sce pura e serena; l'altra intristisce fra il tripudio mor
boso della frivolezza o del vizio, che la sfibra innanzi
tempo, e non di rado l'avvelena e l'uccide.
Nè basta al vero educatore, nè bastava ad Anselmo,
preservare o risanare l'anima giovanile dalle infermità
più gravi, dalle cadute più o meno mortali, che sogliono
>
lasciarsi dietro una triste eredità di malori nella vita
fisica, intellettuale e morale . Egli la premuniva e la cor
roborava altresi contro le debolezze minori, contro le
inclinazioni scorrette, contro i difetti stessi dell'indole
e dell'età, sebbene sempre con la più savia discrezione.
Anzi, insegna egli che chiunque voglia troncare un
qualche gran vizio o peccato più grave, deve proce
dere al modo di chi vuole tagliare un albero grande.
Perchè, come questi procura prima di tagliare in giro
gli arbusti minori, perchè non gli possano fare ostacolo
mentre taglia l'albero stesso, cosi l'altro deve prima
estirpare i vizi minori, che si accostano a quel peccato,
affinché non gli portino impedimento nel distruggere il
peccato stesso » ( 1 ).
( 1) EADMER. Liber De S. Anselmi similitudinibus, cap . CXLVI
(MIGNE , CLIX , 685 ) .
VI . L'EDUCATORE 85
Fra tali vizi Anselmo denunziava singolarmente
come « cosa nemica delle anime » l'oziosità, e la voleva
esclusa con ogni rigore, insistendo perchè « ognuno
consideri come abbiamo da rendere ragione a Dio dei
singoli istanti della nostra vita , e però chiunque ha da
Dio una qualche grazia per una qualsiasi utilità, deve
metterla a frutto ovunque ne abbia la opportunità » ( 1 ).
E cosi dei trascurati, dei pigri, dei procrastinanti,
faceva egli pitture di una calzante vivezza. Odasi, ad
es., questa conservataci da Eadmero : - Vi sono alcuni ,
che quando ascoltano cosa che potrebbero ritenere con
frutto, dicono con disprezzo : « A che riterrò io questa
minuzia ? Non diverrò già io sapiente per cosa si pic
cola ; dunque perchè darmi questa fatica ? » Dicono
anche : « Ormai ho da riposarmi: vivrò come potró,
giacchè inutilmente attenderei ancora alla sapienza :
infine non andranno mica tutti a male quei che non
sono sapienti » . Questi e simili pretesti si mette in
nanzi il pigro e lo sciocco, nė si accorge che tali cose
gli suggerisce per sua perdizione l'antico avversario,
affinché per tutta la sua vita non attenda mai ad uti
lità qualsiasi, ma viva sempre e muoia nella negli
genza e nel torpore. E soggiungerà ancora : « Sono già
abbastanza dei sapienti nel mondo, abbastanza scrittori,
abbastanza di quelli che hanno perizia delle arti, non
occorre che io mi ci affatichi. » Di più, cresciuto negli
anni, aggiungerà : « Sono già uscito di fanciullezza, già
mi avvicino alla vecchiaia, nè potrei venire a gran
frutto nella scienza, se ora incominciassi a lavorare » .
Cosi va pensando fra sé e sė il pigro, e persevera nella
inerzia del suo torpore. E in modo somigliante va an
(1) Epist. III , 49. La stessa fuga dell'ozio raccomandava
egli vivamente al nipote , chiamato dal suo stesso nome An
selmo , « per sangue nipote, per amore figliolo suo carissimo »
(Epist. IV, 31) : Nullum tempus in otiositate transeas.
86 S. ANSELMO DI AOSTA
che talora arreticato il peccatore, e cosi mai non si
rialza ad operare il bene ( 1 ). ---
Altre volte portava l'esempio del povero che va
elemosinando : – Il povero, se è insipiente, quando ri
ceve un soldo o altro piccolo regaluccio, dice : « A che
mettere in serbo questo pocolino ? Non per questo di
venterò ricco. Lo spenderò dunque in pomi o in noci
o in qualche altra cosa che mi piaccia. Perchè non vo
glio farmi vedere ansioso di custodire cosi poca cosa » .
Di questo modo lo sciocco, trasandando le cose da
poco, non progredisce alle maggiori. Invece il povero,
che è saggio, custodisce quel poco che trova, e quanto
meno pensa di avere, tanto più desidera di ritenere,
acciocchè dal cumulo delle piccole cose possa una volta
giungere alle più grandi . Similmente deve fare per
l'appunto chi si sente povero di scienza e di bontà, se
intende di arrivare a qualche effetto dell'una e del
l'altra. Perchè siccome molti grani fanno la massa, e
molte gocce il fiume e molti soldi il ricco ; cosi molte
sentenze di scienza fanno ognuno sapiente e molte
azioni di bontà lo fanno buono (2).
Dalla oziosità diceva poi egli, a ragione, come na
scesse massimamente la detrazione e maldicenza, che
è vizio da fuggirsi grandemente, perché assai pernicioso
e, secondo l'antica sentenza clementina, un genere di
omicidio e un fomite di perdizione, ma particolarmente
>
di superbia, perchè « la superbia ha per proprio di vo
lere la singolarità » (3), o come noi diremmo ora,, l'egoi
smo congiunto alla depressione altrui. Questo, spiegava
il buon educatore, è un mangiarsi e mordersi a vicenda,
giacchè mangia l'uno l'altro e quasi fa in lui un
morso, ogni volta che uno sparlando di un altro, lo
( 1) De similitud ., cap . CLV (MiGNE, CLIX , 688) .
( 2 ) Ibid . , CLVI .,
(3) Ibid ., CXLVII, CL.
VI . L’EDUCATORE 87
avvilisce.... E così chi mangia un altro, sparlandone,
viene poi consumato da quello che egli brama lacerare
coi morsi della maldicenza » ( 1 ). Siffatte lezioni, del
resto, erano inculcate dal santo per ogni età, egual
mente pro nsa al fallire .
Altri difetti, consimili a questi, perseguitava An
selmo più specialmente nelle anime giovanili per com
pierne la educazione; e fra tutti, la ciarla, la scompo
stezza, la sfacciataggine. Questi ultimi egli combatteva
con particolare studio non certo per gravità intrinseca
di colpa o di malizia che abbiano o presuppongano in
sė ; ma per la disposizione dell'animo che significano o
che a lungo andare ingenerano, dando a sperare poco
di buono .
Al contrario, ottimi indizi di migliore riuscita erano
per lui i pregi opposti : « la taciturnità, per cui il gio
vane sa tacere prima di parlare; la compostezza, per
cui non rivolge gli occhi qua e là con leggerezza, non
agita mani e piedi, ma contiene tutte 'le membra del
corpo con decoro ; la verecondia, onde si vergogna in
nanzi alle persone quando fa qualche azione proibita, e
tutto pieno di rossore dimostra che se ne vergogna » (2) .
A queste tre virtù voleva egli che il giovane si sfor
zasse, perchè ciascuna di esse l'avrebbe aiutato molto
a profittare: il tacere e l'ascoltare all'acquisto della
scienza e al progresso nella vita dello spirito ; la com
postezza delle membra alla fermezza e serenità della
mente e quindi alla padronanza di sé e de' suoi atti ;
la verecondia alla sincerità ed alla pienezza del pen
timento, quando cadesse in qualche fallo. E il tutto
( 1 ) Ibid . CLVIII .
( 2) Ibid ., CXI.
S. ANSELMO DI AOSTA
spiegava l'amabile educatore con similitudini graziose
e talvolta bonarie, da imprimere più addentro le ragioni
nelle giovani intelligenze.
Cosi per dimostrare che il giovane, tacendo e ascol
tando la dottrina dei sapienti, acquista a poco a poco
la sapienza, e per via delle loro parole crescendo passo
passo , giunge alla pienezza della vita dello spirito, egli
recava la similitudine degli alimenti : « A quel modo
diceva che per via di alimenti diversi la vita del
corpo giunge al suo pieno svolgimento, cosi mediante
precetti dissimili si svolge la vita dello spirito. Perché
prima il bambino è allevato col semplice latte della
madre, poi con qualche altro, poi con la pappa, poi con
le molliche di pane, e quindi con le croste, finchè possa
nutrirsi di cibo sodo. E cosi del pari è indirizzato prima
a credere in Dio, poi ad amarlo e a temerlo, poi a ope
rare bene, indi a patire anche le contrarietà, finchè
da ultimo gli si possa ingiungere un qualsiasi precetto
sicuramente » ( 1 ).
E a conferma di ciò allegava con bel garbo un'al
tra celebre comparazione, quella già usata dal satirico
romano, ma ben meglio di lui applicandola all'educazione
della gioventù : « Il giovinetto impregnato una volta
appieno di una dottrina spirituale, pare simile ad un
vaso nuovo. Perchè, come il vaso nuovo impregnato di
una buona bevanda, difficilmente ne perde il sapore,
ancorché riempito poi di un'altra di diverso sapore,
cosi il cuore giovanile, bene impregnato di spirituale
insegnamento, difficilmente ne perde la dolcezza, an
che quando si trovi poscia occupato in negozi di mondo
per cagione dell'uffizio a cui attende. Se invece tra
scura di ascoltare tacendo le parole dei saggi, non sa
lirà mai a nessuna cognizione della vita spirituale. E
come soggiungeva poi chi manca del proprio col
( 1 ) Ibid. , CXLI .
VI . L'EDUCATORE 89
tello, resta a buon dritto con la fame, se non vuole ta
gliarsi il cibo con un coltello altrui, cosi quegli che
manca di scienza propria, a ragione si muore di fame
spirituale quando non voglia, tacendo, giovarsi della
scienza degli altri » .
Similmente, ad emendare gli animi irrequieti e fa
cili a dare in atti scomposti od iracondi, inculcava la
posatezza conforme all'età, additando la similitudine
dell'acqua e dei riflessi del sole : Vedete, diceva loro ;
se l'acqua è tranquilla, ricevendo il raggio del sole da
una parte, ne manda pure tranquillo il riflesso dall'al
tra parte su qualche muro. Cosi l'anima tranquilla, se
riceve per le orecchie la parola di qualcuno, la rende
anche tranquilla per le labbra. Invece, se l'acqua è
agitata, riflette pure agitato il raggio ; e cosi l'anima
turbata rende turbata la parola, anzi ogni altra azione
al di fuori. Acciocchè dunque – conchiudeva egli
pervenga il giovane alla tranquillità dell'anima, della
parola e dell'opera, deve contenere le membra tutte
in una decorosa compostezza » ( 1 ).
In modo anche più vivace e pittoresco li veniva
poi distornando dai sogni vani dell'ambizioso e del su
perbo : « Quelli che agognano gli onori di questo mondo
- diceva egli -
fanno come i fanciulli che inseguono le
farfalle . Poiché le farfalle, quando volano, non seguono
mai una via diritta, ma si agitano qua e là, e quando
2
sembrano posarsi in qualche punto, non vi si fermano
a lungo. E quando i fanciulli vogliono prenderle si af
fannano a correre presto dietro di loro ; e perchè non
badano ai piedi ma alle farfalle, talvolta cadono nella
fossa e si fanno un gran male. Ma per lo più, quando
le vedono posate in qualche luogo, camminano piano
piano e con cautela per poterle afferrare. E mentre ciò
fanno si fregano le mani e si dicono a bassa voce l'un
( 1) Ibid . CXL ss .
90 S. ANSELMO DI AOSTA
l'altro : Ecco, ora le avremo, ora le avremo. Ma quando
facendosi più vicini tentano di pigliarle, le farfalle se
ne volano via. Che se qualche volta essi arrivano a pi
gliarle, fanno festa per niente, quasi che avessero gua
dagnato un gran che » . – E dopo questa graziosa pit
tura, il buon maestro procedeva a mostrare a parte
come la similitudine si avverasse in quelli che cercano
gli onori del secolo, ossia quei beni dove non è consi
stenza, e quindi nè felicità vera, nè vera grandezza .
Per contrario, li veniva egli spronando in bel modo
a proporsi un più degno e nobile intento, l'acquisto della
virtù ; ma ne dava insieme il modo pratico e la via
sicura, spiegandola, ad esempio, con quest'altro raf
fronto, lasciatoci parimente dal fido discepolo Eadmero :
« Chi tende alle virtù deve operare a modo del giar
diniere. Il giardiniere che vuole piantare i fiori consi
dera prima la natura del terreno e delle piante, per
sapere ove piantarle. Perché, se la natura del terreno
e delle piante non si accorda, queste non potranno cre
scere nè fruttificare in modo alcuno. Similmente chi
vuole fare una piantagione di virtù , deve, studiando
se stesso, prevedere bene in qual luogo deve piantarle.
Perchè se il luogo sarà vizioso, le virtù stesse si vol
geranno in vizi » .
Non meno lodevole e non meno efficace era un'altra
particolarità dell'arte educativa, o più generalmente
dell'amabilità spontanea di Anselmo: quella di cogliere
ammaestramento dai casi più ordinarii, dai fatti più
umili della vita. Che se l'orgogliosa pedagogia mo
derna non aggiungesse troppo spesso al superbo disde
gno l'ignoranza di ciò che è antico e cristiano, tro
verebbe molto di che umiliarsi e profittare, vedendo
praticato con ingenua naturalezza da quegli spregiati
+
VI . L'EDUCATORE 91
monaci del medio evo ciò che essa non ha ancora ot
tenuto dai suoi vantati istitutori . Parliamo dell'educare
l'uomo per tempo e a gradi ad una convenevole ma
turità di pensieri, di atti e di parole ; dell'addestrarne
la mente alla gravità della riflessione, non per ripie
garne l'animo nell'egoistica ammirazione di se stesso,
ma per fargli trarre frutto dall'esperienza della vita .
Parliamo sopratutto del formargli il cuore a sentimenti
umani e delicati, senza molle sentimentalismo, ma per
gentile impulso di animo cristiano; onde sgorghi natu
ralmente, senza esagerazioni e senza sforzo, quel ri
guardo stesso ragionevole verso le creature irrazionali
soggette all'uomo, senza che un tale riguardo usurpi il
luogo dell'amore, che l'uomo deve solo al suo simile o
al suo superiore. In Anselmo ne abbiamo accenni ed
esempi di una squisita delicatezza, e taluno da potersi
mettere a raffronto con quelli più noti e più popolari
del santo Poverello di Assisi.
Tali sono, per via d'esempio, i due aneddoti nar
ratici da chi fu testimone di veduta, ed accaduti ad
Anselmo quando, già sublimato alla dignità di arcive
scovo e di primate, faceva viaggio per l'Inghilterra .
Una volta i garzoni ch'egli nutriva, occorsa loro per
via una lepre, presero a darle la caccia coi cani ; e la
lepre, dopo aver tentato per diverse parti la fuga, venne
a riparare e a nascondersi fra i piedi del cavallo, su
cui sedeva il buon padre. Egli vedendo che la povera
bestia aveva cercato rifugio presso di lui, tirò le redini
e fermò il cavallo. I cani la circondavano, e conos
sequio poco grato, dice Eadmero, la leccavano di qua
e di là, ma non la potevano trarre di sotto al cavallo,
nė portarle danno. Ciò vedendo, gli astanti ne facevano
le meraviglie, e alcuni della comitiva ridevano e ne me
navano festa vedendo la lepre omai presa. Ma Anselmo,
tutto intenerito : « E voi ridete ? disse loro. Ma la povera
bestiola non ride già, nè fa festa. I nemici d'ogni intorno
92 S. ANSELMO DI AOSTA
la cingono, ed essa, nell'ansietà di salvare la vita, è
ricorsa a noi per aiuto. Il medesimo appunto avviene
all'anima dell'uomo : appena uscita del corpo, i maligni
spiriti, suoi nemici, che l'avevano prima perseguitata
per infiniti rigiri e vie storte di vizi e di errori, se ne
stanno pronti a rapirla, e mentre la poverella mira in
torno tutta ansiosa e tremante, aspettando soccorso,
quelli menano risa e tripudio, se la veggono spogliata di
meriti e di difesa » . - Ciò detto, Anselmo spinse il ca
vallo, e ad alta voce ritenne i cani, comandando che alla
povera lepre non si desse molestia ; e la lepre allora,
libera da ogni danno, saltando e correndo, se ne tornò
ai campi ed alle selve, dond'era uscita. E noi – con
chiude il buon Eadmero, che era allora fra quei gio
vinotti briosi noi, posti giù gli scherzi, restammo non
poco animati per quella cosi pietosa liberazione del
timido animale e continuammo più alacri il nostro
viaggio .
Un'altra volta vide Anselmo un fanciullo che gio
cava su la strada con un suo uccellino : questo col pie
de impigliato ad un filo, si sforzava di volar via, ma
il fanciullo tenendolo per il filo, si prendeva piacere di
allargarlo di quando in quando, e sul più bello del vo
larsene, tirarlo a sè e farlo cadere. Anselmo, vedendo
ciò, compati cordialmente al povero uccellino, e desi
derò molto di vedere rompersi quel filo e l'uccello ri
volare in libertà. Ed eccoti, il filo si rompe, l'uccello se
ne vola, e il ragazzo piange. Ma il padre gioisce, e
chiamati noialtri, racconta Eadmero : « Avete voi posto
mente, ci dice, al gioco di questo ragazzo ? » E rispon
dendo noi che si, egli soggiunse : « Appunto simili
scherzi fa il diavolo a molti peccatori; li tiene attac
cati ai suoi lacci, ed a suo piacere trastullando, li tira
ora in questo ora in quel vizio.... Ad essi avviene tal
volta che facendo riflessione sopra la loro vita, la de
plorino e si propongano di ritrarsene. E già, come l'uc
VI . L'EDUCATORE 93
cello, si danno a credere di volarsene liberi. Ma perchè
il nemico li tiene legati per il filo della mala consue
tudine, mentre fanno per volare, sono di nuovo trasci
nati indietro negli stessi peccati. E ciò avviene più volte.
Nè arrivano a liberarsi del tutto, se non con grande
sforzo ed ispeciale aiuto della grazia di Dio, rompen
dosi il filo della consuetudine viziosa » .
In questa forma semplice e quasi bonaria mostrava,
coi tesori di tenerezza del suo buon cuore, un'accor
tezza d'ingegno al tutto educativa e pratica, nello spia
nare e rendere quasi palpabili, ai giovinetti singolar
mente, le più astruse dottrine speculative e morali,
come è questa della forza strapotente dell'abito cattivo,
il quale si volge quasi in natura e tiene inceppata la
volontà umana .
Che poi un tale moraleggiare di Anselmo non avesse
nulla di gravoso, di affettato o di ostico, lo vediamo dalla
gaiezza sua e de' suoi discepoli, nonchè dalla prontezza e
dall'assiduità onde si davano ad ascoltarlo. Ed egli, già
divenuto arcivescovo, non disdegnava d'intrattenerli so
vente in famigliari ed utili discorsi, anche durante la re
fezione, prendendone argomento o dalla stessa lezione
sacra o dalle interrogazioni dei presenti. Su ciò è gra
zioso l'esempio, che ne dà Eadmero, di un monaco pro
curatore, il quale « profittandosi dell'opportunità del
pranzo » , cominciò a dolersi della sua disavventura che,
fattosi monaco per attendere solo a Dio ed alla vita
eterna, fosse costretto ad occuparsi in molti affari seco
lareschi, a conteggiare , a litigare con rischio dell'anima.
Anselmo gli mostrò il suo torto con la similitudine del
mulino posto sopra un rapido fiume: e al mulino trag
gono molti macinatori, ma alcuni più negligenti lasciano
cadere tutta la farina nell'acqua, altri solo una parte ;
94 S. ANSELMO DI AOSTA
altri meglio avveduti, come conviene, la raccolgono
tutta. « Il molino è la vita presente, la macina le azioni
degli uomini. Perchè, siccome la macina, quando lavora,
va sempre attorno e continuamente raggirando in se
medesima, cosi gli atti umani ritornano per l'ordinario
ai loro tempi. Per esempio, gli uomini arano, seminano,
mietono, macinano, fanno il pane, mangiano. Ecco la
macina ha fatto il suo giro. Riposa essa forse ? No, per
certo : si torna allo stesso : si ara , si semina, si miete,
si macina, si fa il pane e si mangia. Queste cose ogni
anno si ripetono ad un modo, facendo a guisa di macina
il loro giro » . Ora di queste e simili azioni necessarie,
che costituiscono la perpetua monotonia della vita, altri
perdono in tutto o in parte il frutto, cioè il merito, per
chè le fanno malamente o con intento meramente ter
reno ; altri invece non ne lasciano andar nulla a male,
perchè le compiono con retto fine e con perfezione.
Con ciò il savio educatore chiariva bonariamente
quello che è il punto più vitale della moralità : che
l'essenza della vita perfetta non è già nello scansarsi
dalle azioni necessarie ed imposte dalla rettitudine o
dalle esigenze del consorzio umano, sia di ubbidienza,
sia di convenienza ; è nella forma dell'adempierle, a
norma della rettitudine, additata dalla ragione e chia
rita dalla fede.
Del resto , ci assicura il buon Eadmero, « se io vo
lessi farlo sentire, come noi l'udivamo quasi tutti i giorni
discorrere, intorno all'umiltà, alla pazienza, alla man
suetudine, all'ubbidienza, e ad altre innumerevoli e pro
fonde sentenze, vi sarebbe da fare un'altra opera » .
A noi viene certo il rammarico sincero che il buon
Eadmero non abbia fatta quest'altra opera, se pure di
essa non è un tentativo il libro di lui, citato sopra, in
torno alle similitudini di s. Anselmo. Ma ad altri verrà
pure la curiosità già prevenuta a questo punto dall'ac
corto Eadmero : « Quando dunque mangiava egli ? dirà
VI. L'EDUCATORE 95
qualcuno. Mangiava certo , pur conversando, ma par
camente tanto che ti saresti meravigliato, come vivesse.
E tuttavia confessava, e noi ci accorgemmo essere vero,
che mentre era occupato a qualche lunga discussione,
mangiava più del solito senza avvedersene , giacchè noi,
che gli sedevamo più vicini, gli venivano somministran
dogli occultamente le vivande . Quando invece desinava
privatamente e non occorrevano questioni da sciogliere,
assaggiato appena, si restava, e tutto intento alla lezione
aspettava gli altri. Che se accorgevasi che per il suo
aspettare qualcuno affrettavasi o altri smetteva di man
giare, riprendeva l'uno e l'altro, e con affetto insisteva
perchè a tutto loro comodo, e senza soggezione alcuna,
continuassero il lavoro. E avvertendo poi altri che man
giavano di buon animo, il soavissimo padre li guar
dava con affabile gaiezza, e godendone in gran ma
niera, alzata un pochino la mano destra, li benediceva,
dicendo ; Buon pro vi faccia » ( 1 ).
Questo semplice aneddoto, in un santo cosi austero
con se stesso, compie per noi il ritratto dell'amabile
educatore e superiore: ce lo fa vedere nell'intimità fa
migliare, non in atto del solenne pedagogo o del perpe
tuo aristarco 0o dell'ascetico tetro , come se lo fingerebbe
il volgo degli istitutori moderni ; ma quale educatore
amorevole, quale padre e maestro pieno di soavità e di
discrezione: tipo del superiore e dell'educatore religioso.
E il suo esempio, l'opera sua, la sua dottrina educativa
in quei tempi era provvidenziale.
(1) EADMER. , libr. II, c . 16 : « Dum alicui longae disputa
tioni occupatus erat magis solito nescienter edebat, nobis qui
propinquiores sedebamus , clanculo panem ei nonnumquam sub
ministrantibus .... Ubi autem aliquos libenter edentes advertebat ,
affabili vultus iucunditate, super eos aspiciebat , et adgaudens le
vata modicum dextra benedicebat eis , dicens : Bene faciat vobis » .
96 S. ANSELMO DI AOSTA
Se ai tempi nostri, infatti , l'educazione pecca d'ordi
nario per soverchia mollezza, ai tempi di Anselmo pen
>
deva alla rigidezza, conforine alla ruvida tempra di que
gli uomini di ferro. Quindi anche nei monasteri , partico
larmente della Normandia, non era cosi raro incontrare
priori ed abbati d'una severità cruda e d’una rigidezza
inflessibile . E ciò anche verso i fanciulli che vi si edu
cavano a parte, o per consecrarli in perpetuo alla re
ligione o per trarneli a suo tempo cristianamente al
levati .
Intorno a questi il primo biografo di Anselmo ci ha
pure conservato un aneddoto, che vogliamo qui ripor
tare quasi a verbo, ( 1 ) perchè il più istruttivo anche ai
moderni educatori : -- Un abbate, che era in grande opi
nione di religiosità, trattando con Anselmo del governo
monastico, fra le altre cose venne a parlare dei giova
netti che si allevavano nei monasteri . E su tale proposito,
il rigido abbate usci a dire : « Dimmi, di grazia, padre,
che faremo noi di costoro ? sono perversi ed incorreg
gibili : giorno e notte non cessiamo di batterli, e sem
pre si vanno facendo peggiori »» , — Di ciò maravigliato
Anselmo : -- « Non cessate di batterli ? rispose ; e quando
sono poi grandi, come vi riescono ? » Grossolani,
disse l'altro, e bestiali » . Allora Anselmo : « O come
bene impiegate le spese vostre in fare di uomini be
stie ! » « E che ci possiamo far noi ? replicò l'abbate.
(1) Ci accostiamo quindi alla versione fedelissima che ne dette
già, nel secolo XVI, uno dei primi educatori e letterati della Com
pagnia di Gesù, il p . GIAN PIETRO MAFFEI celebre autore delle
Vite di diciasette confessori di Cristo, fra le quali si trova pure,
compendiata e rimaneggiata con certa libertà, la « Vita di Santo
Anselmo arcivescovo di Cantuaria , scritta da Edinero (Eadmero
o Edmero ) suo convittore » .
VI. L'EDUCATORE 97
In tutti i modi cerchiamo di costringerli a far profitto,
e non ci giova niente » . - « Li costringete ? soggiunse
Anselmo. Dimmi un poco, padre abbate, se tu mettessi
una pianta nel tuo giardino, e tosto la rinchiudessi d'ogni
intorno, di maniera che non potesse distendere i suoi
rami, e dopo un anno l'andassi a cavare da quella stret
tura , come la troveresti ? Certamente coi rami storti,
intricati e rinvolti. E di ciò chi avrebbe la colpa se
non tu stesso che immoderatamente la rinserrasti ? Il
medesimo appunto voi fate coi vostri alunni. Sono stati
piantati nel giardino della Chiesa per crescere e dar
frutti a Dio. Ma voi altri con ispaventi, minacce e fla
gelli di modo li angustiate che gli infelici non hanno
pure un tantino di libertà. Sicché, indiscretamente op
pressi, vanno producendo e fomentando fra sè pensieri
cattivi e imbrogliati a guisa di spine, e li nutriscono e
li stabiliscono di maniera che non vi giova poi sorte
alcuna di rimedio e di sostegno per disinvolgerli e rad
drizzarli. E perché non sentono in voi altri niente di
amore e di pietà nè viscere di soavità verso di loro,
non possono formare alcun buon concetto nè confidenza
alcuna in voi , ma si persuadono che tutte le cose vo
stre nascono da odio e da malignità. E quindi misera
bilmente procede, che quanto si fanno maggiori di età,
tanto crescono in avversione e sospetto, sempre incli
nati e propensi ai vizi ; e siccome in nessuno ricono
scono segni di vera carità , cosi non possono mirare al
suno se non con gli occhi torti e con mal viso. Ma, per
amor del Signore, vorrei che mi diceste, per qual ca
gione verso di loro siete tanto spietati? Non sono forse
uomini ; non sono della stessa natura che voi ? Ora vor
reste voi, se foste in luogo loro, essere trattati in co
testa guisa ? Ma sia pure. Volete voi con le sole verghe
e battiture educarli ai buoni costumi ? Avete forse visto
mai un orefice, solamente con percosse formare una
bella figura di una piastra d'oro e d'argento ? Non credo.
7.
98 S. ANSELMO DI AOSTA
Che cosa dunque ? Per figurarla , col suo strumento ora
gentilmente la batte e la preme, ora con discreto ri
lievo dolcemente la innalza e la informa. Cosi voi, se
volete introdurre nella puerizia buoni costumi, conviene
che insieme con le repressioni dei castighi, usiate del
pari i sollievi e gli aiuti di una paterna tenerezza ed
amore » .
A questo punto l'abbate : « Che sollievo, che aiuto ?
esclamò. Ci affatichiamo noi ad astringerli a pesi gravi
e maturi » . - « Sta bene, riprese Anselmo. E il pane
e ogni altro cibo sodo è giovevole e buono a chi è ba
stante a valersene. Ma prova un poco tu a darlo, in
luogo di latte, ad un bambino in fasce, e vedrai che
ne rimarrà anzi soffocato che ristorato. Perchè questo ?
Non accade che io lo dica : è chiaro da sé. E tuttavia
è da ritenere che siccome il corpo fragile e il gagliardo
hanno il loro cibo differente e proporzionato ; così l'anima
debole e la forte ricercano il vitto a misura e a qua
lità. La forte si diletta e si pasce del duro e del so
stanzioso, cioè della pazienza nelle tribolazioni, della
repressione di illeciti desiderii, dell'amore dei nemici
e di altre cose tali. Ma quella che è debole e ancora te
nera nel servizio divino, ha bisogno di latte, cioè di es
sere trattata con dolcezza, con benignità, con misericor
dia, con allegro sembiante, con sofferenza piena di carità
e con altre si fatte maniere. Se voi in questo modo vi
accomodaste ai vostri infermi e ai vostri robusti, con
la grazia del Signore per quanto è in voi, tutti li gua
dagnereste » .
Udite queste lezioni, l'abbate usci in sospiri escla
mando con dolore : « Veramente noi abbiamo errato dal
vero cammino, e non si è levato per noi il sole della
discrezione » . Quindi prostrato in terra, ai piedi di
Anselmo, confessò di avere sino allora fatto male, di
essere ben reo ; chiese perdono del passato, e promise
emendazione per l' avvenire.
VI. L'EDUCATORE 99
Queste cose abbiamo scritto , conchiuderemo anche
noi con Eadmero il minuto aneddoto, acciocchè per
esse riconosciamo di quanto pietosa discrezione e di
quale discreta compassione fosse verso di tutti Anselmo.
Per l’una e per l'altra egli fu grande educatore, e
non solo dei giovani, ma anche degli adulti, propor
zionando a tutti in giusta misura, com'egli insegnava
doversi fare, l'alimento proprio.
Tale è veramente, secondo che riconobbero anche
scrittori razionalisti o protestanti ( 1 ), la filosofia, del
l'educazione : quella che procede per via di ragione e
di bontà. E spettava appunto alla grande intelligenza
di Anselmo il comprendere che per dominare le anime
è necessario l'amarle .
Ma appunto perché li amava, studiavasi egli e riu
sciva ad insegnare ai suoi cari alunni il segreto stesso
che egli possedeva, di farsi amare. E dovunque andas
sero mai non li perdeva di vista ; scriveva loro let
tere dolcissime, gioiva delle buone loro notizie , se ne
congratulava con ogni cordialità, ma particolarmente
quando intendeva che essi, per la loro virtù dolce ed
amabile, si facevano voler bene da tutti. Ecco, ad esem
pio, come scriveva ad uno di quei giovani religiosi, a
lui più cari, al suo diletto « fratello e figliuolo » Mau
rizio, che Lanfranco aveva accolto con altri parecchi in
Inghilterra, e non voleva sapere di rimandarglielo :
(1) Cf. REMUSAT, op . cit . , p . 64. Di ciò danno lode ad An
selmo anche il FRANK, Anselm von Canterbury (Tübingen, 1842) ,
p. 10 ; il WEDER, De Anselmo Cantuariensi (Lugduni Batavorum ,
1832), p . 22 ; ed altri non pochi scrittori acattolici . Anche più di
stesamente ne trattano F. R. HASSE, Anselm von Canterburg, vol. I.
Das Leben Anselm (Leipzig 1843) , II. Die Lehre Anselm (Leipzig
1852) ; M. E , Li and times of St. Anselm (Lo 1882) .
100 S. ANSELMO DI AOSTA
« Perciò stesso che io, benchè ti desideri e tu lo
desideri, non ti posso aver meco, non ti amo già meno,
anzi di più ; perchè mentre vedo che tu sei amato dai
maggiori e dai migliori di me, tanto che non ti vogliono
lasciar partire, capisco che tu sei degno di essere amato
di più. Sicché io resto quasi in dubbio se debba godere
maggiormente che tu sappia renderti cosi amabile, ov
vero dolermi che della presenza di persona cosi amabile
io non posso godere. Ma poichè io so che non debbo
amarti tanto per cagione mia quanto per cagione tua,
sciolta la questione si fa certo che devo meglio congra
tularmi della presenza dei beni che tu hai, che non con
tristarmi dell'assenza della tua persona, in cui sono io.
E alfine, io ho sempre desiderato e, come tu sai, studiato
con ogni mio potere, sinchè tu fosti con me, di renderti
amabile a Dio e alle buone persone : nè il mio desiderio
intiepidi, sebbene il mio studio non poté operare se non
per quanto tempo tu fosti con me. Del resto , non puoi
tu essere in ogni luogo dove sei ben voluto ; ma ovun
que tu sia, puoi farti ben volere ed essere buono » .
Fin qui Anselmo.
Ma il suo caro Maurizio non sapeva consolarsi :
aveva sempre il cuore e la mente alla Normandia
e al suo dolce maestro del Bec. Anselmo con altre let
tere torna a consolarlo ed esortarlo a pazienza, mo
strando insieme quanto fosse nobile, disinteressato e
puro il suo affetto .
« Sempre io ti desidero, dilettissimo figliuolo, e che
tu sempre desideri me io non ne dubito. Ma perché
nessuno di noi due è padrone di sè, nè l'uno è dell'al
tro vicendevolmente se non per l'affetto della carità,
ti consiglio e ti esorto che finchè quelli cui la divina
disposizione ci ha dato a superiori, comanderanno che
noi siamo separati, non cerchiamo contro la loro vo
lontà, di accelerare la nostra convivenza, e se benigna
mente consentiranno al nostro desiderio, non vi po
VI . L'EDUCATORE 101
niamo dilazione.... Che se il nostro signor arcivescovo
non accondiscende di buon animo a chi ne lo supplica,
ma con qualche rammarico lo permette solo a chi glielo
estorce, non piace nè al signor abbate nè a me che tu
ritorni a questo modo ».
E un'altra volta, ribattendo il punto, gli scrive :
« Sebbene, quanto più io ti amo, e più anche desidero
di averti meco, tuttavia ti amo ancora di più per la
ragione che non ti posso avere. Perché, siccome io non
ti amo per riguardo mio, ma di Dio e di te, più ti voglio
bene perché ti diporti in modo che quei ti posseggono,
difficilmente vorrebbero rimandarti .... Ti prego dunque
come fratello, e ti ammonisco come figliuolo carissimo,
con quella cura e quella diligenza che tu sei ben con
sapevole di avere io avuto sempre per te, che tu pro
fitti più e più nei buoni costumi, e tolleri con me
pazientemente, siccome disposizione divina, la nostra
separazione, finchè cosi vorrà il nostro signore e padre,
il venerabile arcivescovo Lanfranco; né in conto alcuno
diminuisca quello per cui io ti amo maggiormente. Per
ché, sebbene molto ti ami e desideri che, conversando
meco, ti stringa a me, ben più desidero tuttavia che tu
in modo indissolubile ti attenga ai buoni costumi » ( 1 ).
Cosi egli, col linguaggio affettuoso ma virile del
l'educatore cristiano.
E Lanfranco, di cui qui parla Anselmo, lo cono
sceva. Quindi assunto alla cattedra primaziale di Can
terbury, chiese tosto ed ottenne i migliori monaci del
Bec per la riforma del monastero Cantuariense e di
altri monasteri dell’Inghilterra. E fu quello uno strappo
doloroso al cuore di Anselmo, non meno che al cuore
dei suoi cari discepoli ; e della vivezza di quel dolore
abbiamo un'eco affettuosa nelle più care lettere di An
selmo.
( 1 ) Epist. I , 60 , 65 , 70 .
102 s. ANSELMO DI AOSTA
Lanfranco stesso poi inviava all'amico dall'Inghil
terra i giovani di migliori speranze, o bisognosi di cor
rezione, come il suo stesso nipote Lanfranco insieme
con un amico di lui per nome Guido e poi Osberno e
il costui cugino Holvardo, ed altri ; perchè si formas
sero alla scuola di Anselmo. Ma formati in termine di
alcuni anni, glieli ritoglieva. E ciò dava sempre una
gran pena all'animo squisitamente sensibile dell'educa
tore, già teneramente affezionatosi a loro, come di
chiara egli stesso, scrivendo di uno di essi all'arcive
scovo Lanfranco : « Don Osberno, cui l'autorità vostra
comanda che le sia rimandato, lo confesso, tanto si
era stretto all'anima mia col vincolo dell'affetto, che
il mio cuore non ne tollera, senza un certo strappo, la
separazione » ( 1 ). Nè perciò vi resisteva egli o tergiver
sava ; giacchè nell'opera educativa, come già vedemmo,
data la sua parte al cuore, prendeva a norma la ra
gione e la fede.
Di che un'altra prova anche più commovente ab
biamo nella risposta che scriveva, eletto arcivescovo ,
« ai suoi dolcissimi e per affetto figliuoli, i giovani e i
fanciulli Beccensi che gli mandarono loro lettere in In
ghilterra » (2). È una risposta tenerissima di padre che
prende commiato dai figli, ma insieme di educatore che
inculca ai suoi alunni la forte lezione del sacrifizio .
(1 ) Epist. I, 57 : « Domnus Osbernus , quem ad se reduci
auctoritas vestra iubet , fateor, adeo menti meae glutino dilectio
nis adhaeserat, ut eius separationem cor meum nonnisi cum qua
dam sui scissura toleret » .
(2) Epist. IV, 17 : Anselmus vocatus archiepiscopus , dulcis
simis et dilectionis filiis suis , iuvenibus et adolescentibus Beccen
sibus, qui ei suas in Angliam miserunt epistolas : Dei et suam ,
quantum valet, si quid valet, benedictionem .
VI . L'EDUCATORE 103
Eccola nella sua viva freschezza : « Ho letto nelle vo
stre lettere il carissimo e dolcissimo vostro affetto verso
chi è amato da voi e vi ama : le ho lette spesse volte,
le vostre lettere, e spesse volte, alla considerazione del
vostro amore, mi sono sentito commovere pietosamente
fino al più intimo del cuore, e riempirmi la faccia di
un profluvio di lagrime. A eiò sarebbe bastato l'amore
di uno solo di voi ; ma tanto più pienamente e più
fortemente mi commoveva, quando io pensava nelle vo
stre parole al cuore e all'affetto simile degli altri che
non hanno scritto . Così il vostro amore si è talmente
immedesimato con l'anima mia, che essa non vi può
ripensare attentamente, senza risentire una grande fe
rita per il violento strappo e per la separazione dai
suoi diletti figliuoli. Quanto a ciò che mi significate,
di desiderare d'essere sempre con me, certamente lo
desidero anch'io. Ma perchè Iddio ha disposto altrimenti
da quello che noi desideriamo, nè io vedo opportuno
alle anime vostre, le quali amo come la mia e me
n'è testimonio la vostra coscienza che voi possiate
starvene con me ; vi prego, vi esorto, vi consiglio, che
tolleriate meco in pazienza questa disposizione superna,
e con la tollerenza mitigando la malinconia vostra, ve
niate a mitigare anche la mia ; perchè la vostra ma
linconia è malinconia mia, e la consolazione vostra è
consolazione mia.
E questo non dico solo a voi, figliuoli dolcissimi,
ma a tutti quelli che con voi sentono lo stesso dispia
cere per l'assenza di chi li amava e n'era amatissimo.
Io so che vi sarebbe di grande consolazione se speraste
di potere vivere ancora per qualche tempo con me in
questa vita. Ma quanto maggiore consolazione dobbiamo
dunque avere, se speriamo di vivere e rallegrarci in
sieme in eterno nella vita futura ! Consolatevi dunque,
figliuoli miei, consolatevi e sottomettetevi alla volontà
di Dio, il quale sa meglio di voi stessi ciò che a voi
104 S. ANSELMO DI AOSTA
sia espediente. Cosi Iddio vi renderà maggior bene per
questa vostra pazienza, di quel che non vi potrebbe
venire dalla mia presenza. Siate certi che nessuna di
stanza di luoghi , nessuna lunghezza di tempo, come io
spero in Dio, potrà strappare dal mio cuore la tenerezza
del vostro amore » .
Ma non possiamo finire questo argomento, il quale
ci darebbe luogo ad una ben più ampia trattazione, senza
toccare di ciò che il più moderno e il più copioso tra
i biografi di Anselmo ha scritto e per il merito della
sua erudizione e della sua pietà ha persuaso a molti :
che « l'educazione dell'infanzia aveva per lui poca at
trattiva.... la sua anima communicativa portata alle con
fidenze intime e serie non trovava bastevole eco in que
sta età, e la sua natura meditativa e profonda l'inclinava
poco a imprimere le sue gravi lezioni sopra la sabbia
mobile dell'anima dei fanciulli. Egli soffriva di vedere
che esse non discendevano abbastanza profondo, che
non vi lasciavano se non deboli impronte e invece di
penetrare nella sostanza stessa di queste anime, non
facevano altro che sdrucciolarvi alla superficie » ( 1 ).
Queste considerazioni hanno del vero e più del
verisimile, ma si fanno per sorte valere di premesse ad
una conclusione troppo più generale e assai meno vera :
che Anselmo, senza trascurare l'educazione dei fanciulli
di più tenera età, la rimettesse per intero ad altri mo
naci a sè soggetti.
Certo, Anselmo confessava candidamente che a lui
tornava molesto l'insegnare i rudimenti della gramma
tica, e ciò mostra che l'aveva sperimentato (2). Ma sa
(1) RAGEY 7, Histoire de Saint Anselme, vol. I, p . 101 .
( 2) Epist. I , 55 .
VI . L'EDUCATORE 105
rebbe stato veramente irragionevole che egli vi avesse
speso più tempo, affaticando il grande ingegno in cosa
che altri molti potevano fare, mentre è officio del buon
educatore non l'arrogarsi di volere egli eseguire ogni
cosa, ma l'adattarsi a ripartire saviamente il lavoro. È
vero altresi che egli non faceva troppo assegnamento
sopra la virtù puerile e la educazione di quella prima
età , ancora troppo molle e non suscettibile di forma co
stante. Ma se questi erano principii pedagogici dell'alta
sua mente, in sè verissimi, non inaridivano punto la
tenerezza del suo cuore; nè attenuavano la sollecitu
dine materna dell’educatore. Oltre alla lezione da lui
data al rigido abbate, di cui sopra si disse, lo mostrano
le affettuose raccomandazioni ch'egli fa nelle sue let
tere ; e bastino a prova queste che, già arcivescovo ed
esule, scriveva fra mille cure al priore Ernulfo in In
ghilterra :
« Ai nostri fratelli siate voi la lettera nostra per
salutarli, esortarli, confortarli secondo la prudenza che
Iddio vi ha dato.... Quanto ai giovinetti ed ai fanciulli,
ti prego che me li saluti con dolcezza tutti ad uno ad
uno segretamente e da parte nostra, e intimiate loro
che tengano viva nei loro cuori la memoria della no
stra ammonizione, come sapete » (1 ). E un'altra volta :
« Ai fanciulli ed ai bambini, ricordate famigliarmente,
ad uno ad uno, l'affetto del mio cuore, che io soleva
loro dimostrare e che ancora mantengo ; e pregateli,
insistendovi dolcemente, perchè siano memori della no
stra ammonizione >> (2).
( 1 ) Epist. IV , 40 : Adolescentiores et pueros precor ut sin
golos secrete et ex nostra parte dulciter salutes , et ut nostrae me
mores sint monitionis , cordibus eorum, sicut scitis , intimetis » .
(2) Ibid. 58 « Adolescentibus et infantibus singulis familia
riter affectum dilectionis meae, quam illis solebam ostendere, et .
quam adhuc servo, commendate ; ut memores sint monitionis
meae,9 obsecrando dulciter rogate » .
106 S. ANSELMO DI AOSTA
Così anche di poi, fra le ansie dell'esiglio e nei mo
menti tragici della lotta, il gran primate d'Inghilterra
non dimenticava i bambini e i fanciulli che si educa
vano nel monastero della sua cattedrale, sotto le cure
di monaci da sè formati allo spirito di dolcezza e di
risolutezza virile. E la tenerezza dell'accento e la vi
vezza delle raccomandazioni danno bene a congetturare
la parte personale che il nobile educatore prendeva già
prima, e come priore e come abbate, alla formazione di
quelle più tenere speranze della Chiesa e della società ,
quali erano i fanciulli e i giovanetti che si allevavano
in quei secoli alle scuole dei monasteri e delle catte
drali. Anche per questo rispetto adunque — checchè sia
della poca attrattiva naturale, a lui attribuitagli senza
troppo fondamento per quanto a noi pare - egli è certo
che S. Anselmo fu coi suoi principii e col suo insegna
mento pedagogico, ma sopra tutto con l'esempio, il più
grande educatore del suo secolo.
CAPITOLO SETTIMO .
L'asceta .
Laboriosità di vita e altezza di contemplazione. Digiuni , veglie e orazioni
di Anselmo. Il suo misticismo vero e cristiano . Sua grave infer
mità e visione simbolica. Missione di apostolato monastico , esercitata
da S. Anselmo, e suoi documenti di spirito.
Il primo segreto dell'efficacia di Anselmo, come su
periore e come educatore, fu l'esempio. Egli precedeva
i suoi monaci in tutto : nella costanza della custodia
dell'ordine, nell'osservanza della pietà religiosa, nella
prontezza del salmodiare, nell'austerità del vitto, nella
diuturnità delle veglie e in tutte le altre asprezze in
somma della vita monastica. E a queste aggiungeva
poi le fatiche delle alte speculazioni, i lavori delle tra
scrizioni e correzioni dei manoscritti, l'intensità delle
letture assidue, particolarmente dei libri sacri e delle
opere del grande dottore S. Agostino, e l'applicazione
dell'insegnare, del consigliare e del rispondere a quanti
ricorrevano a lui, fosse a voce od in iscritto, oltre alle
cure molteplici del governo che gli toccavano come
priore prima e poi come abbate. La sua era perciò
una vita austera, occupatissima e travagliata, anche
senza ricordare qui le prove sostenute dal suo mona
stero a quel tempo, come il tentativo fatto dal conte
di Meulan di infeudarlo alla sua casa, come altre ben
gravi tribolazioni toccategli di dentro e di fuori.
Nė la carica di priore o di abbate gli fu d'incen
tivo a rilassare tanta strettezza di austerità e di os
108 S. ANSELMO DI AOSTA
servanza ; più tosto gli fu di sprone a stringere sem
pre più il rigore verso se stesso, mentre verso gli altri
apriva il cuore a maggior larghezza di compassione e
benignità di affetto, quale abbiamo descritto sopra nel
superiore e nell' educatore.
Di che parla il suo biografo con sincera ammira
zione. « Appena fu assunto all'ufficio di priore -- egli
scrive Anselmo trovandosi in maggiore libertà di
servire a Dio, si dette a spendere tutto sè e tutto il suo
tempo all'onore di lui, ed a sbandire interamente dal
suo pensiero il secolo e tutti i suoi affari. Quindi av
venne che occupato sempre in Dio solo e nelle scienze
celesti, sali a tanta altezza di contemplazione divina
che , aprendogliene Iddio i segreti, giunse a pene
trare in questioni le più oscure, e non mai prima sciolte,
intorno alla natura divina ed alla nostra fede ; indi a
chiarirle e con ragioni aperte mostrar vere e cattoliche
le cose ch'egli diceva. Poichè egli aveva tanta fede alle
Scritture divine che riteneva con irremovibile fermezza
di cuore nulla essere in esse che uscisse comechessia dal
tenore di solida verità. Per il che egli con sommo studio
venivasi applicando a meritare d’intendere col ragionare
della mente, conforme alla propria fede, le verità che in
quelle sentiva essere nascoste da profonda oscurità . Ma
fra le altre difficoltà che lo stringevano e lo tenevano
sospeso, una era in che modo i profeti avessero insieme
veduto le cose passate e le future, come se fossero loro
presenti, ed in che modo con tanta fermezza le avessero
potuto predicare e scrivere. In questa difficoltà stava egli
una notte tutto immerso, innanzi all'ora di mattutino; ed
eccoti che di letto affissati gli occhi verso la parte del
dormitorio e del tempio, per mezzo delle stesse mura
vede chiaramente i monaci , che l'avevano per officio,
andare qua e là per i preparativi del mattutino, e in
torno all'altare e al coro apprestare i libri, accendere
i lumi, e all'ultimo uno di loro pigliare la corda e so
VII. L'ASCETA 109
nare la campana , ed a quel suono tutti i fratelli balzare
di letto e recarsi alla chiesa. Quindi, tutto meravigliato,
venne egli a comprendere come a Dio era facilissima
cosa mostrare ai profeti in ispirito le cose distanti ; poi
chè a lui era conceduto di mirarle con gli occhi del
corpo fra tanti ostacoli » .
L'aneddoto di questa visione mattutina, su cui in
siste Eadmero e dopo lui Giovanni di Salisbury, ci dà
indizio di quell'acume singolare di Anselmo e di quel
l'assiduità di speculazioni, in cui si affissava e notte e
giorno, in ogni istante che avesse tregua e riposo dalle
altre sue cure . Ma ci dà luogo sopra tutto a congetturare
il raccoglimento intenso dell'asceta, il rapimento su
blime del mistico e le illustrazioni divine del santo.
Nè l'anima cristiana vi troverà dell'incredibile e
del nuovo : l'occhio limpido è il premio di un cuor puro ;
la visione dello spirito è il frutto della materia soggio
gata. Cosi Anselmo con la repressione dalla carne si era
venuto disponendo a tanta grazia di intuito spirituale, e
quasi guadagnandosi, con le lotte della mortificazione,
la luce e la gioia serena della contemplazione.
Ma qui il suo biografo e confidente Eadmero, che
n'era stato anche testimone per l'ultima parte della
vita del maestro, si protesta che non può entrare in
particolari. Anzi « delle sue mortificazioni corporali —
egli dice — dei suoi digiuni, cioè, e delle sue veglie io
stimo meglio tacere che parlarne. Che cosa infatti po
trei dire io del suo digiunare? Egli fino dall'inizio del
suo priorato prese a macerare il suo corpo con una
si estrema astinenza che non solo andò estinto in lui
ogni incentivo d'intemperanza, ma non sentiva più nė
fame nel differire il nutrimento né diletto nel pren
derlo, come se in lui fosse venuto totalmente a man
110 S. ANSELMO DI AOSTA
care il sentimento del gusto. E tuttavia — soggiunge
il suo biografo egli mangiava come fanno gli altri
uomini, sebbene parcamente al sommo, ben sapendo che
il suo corpo non si poteva altrimenti sostenere senza
il cibo » . Nelle quali parole si accenna bene una circo
stanza , che in quel secolo in cui gli estremi occorrevano
si frequenti, è più che mai ammirabile : come cioè An
selmo scansava nel suo tenore stesso di austerità ogni
eccesso irragionevole, e non negava a sè il necessario ,
mentre concedeva agli altri assai più del necessario,
cioè tutto il convenevole, con una santa larghezza di
cuore .
Austerissimo era del pari nell'astinenza del sonno .
Il giorno spessissime volte non gli bastava per dare
soddisfazione a quanti ricorrevano a lui per consiglio
e per indirizzo : vi aggiungeva sovente molte ore della
notte. E di notte pure attendeva a un lavoro di cui la
posterità dovrebbe essergli bene riconoscente, come af
ferma anche il razionalista Remusat ( 1 ) ; a emendare
cioè i manoscritti, che a quel tempo correvano da per
tutto guasti oltremodo (2) : dei quali faceva poi egli fare
buone copie, e ne arricchiva la biblioteca del monastero
cominciata da Lanfranco, e talora anche ne regalava i
monasteri amici, o almeno li prestava loro con generosa
prontezza. Un'altra parte della notte poi andava nelle
orazioni pie e nelle meditazioni sante, fra le quali si
levava spesso alla contemplazione della beatitudine
somma, struggendosi, com'è proprio delle anime grandi,
nel desiderio della vita perenne, per una parte, e per
l'altra nel dolore delle miserie di questa vita mortale,
dei proprii falli, se vi erano, e degli altrui. Quindi —
conchiude Eadmero — appena egli prendeva un poco di
(1) Saint Anselme, p . 41 .
(2) EADMER. , Vita S. Anselmi, lib . I, cap . II : « Praeterea li
bros qui ante id temporis nimis corrupti ubique terrarum erant,
nocte corrigebat » .
VII . L'ASCETA 111
sonno avanti l'ora di mattutino, e spesso nulla affatto.
Le preghiere poi, ch'egli, ad istanza dei suoi amici,
pose in iscritto, mostrano con quanta sollecitudine e
con quale affetto e di timore e di speranza e di amore
egli parlasse ed insegnasse agli altri di parlare a Dio
ed ai suoi santi. « Solo che vi sia chi le intenda
esclama il suo fedele biografo e io spero che in esse
e per mezzo di esse verrà a sentire l'affetto del cuore
di lui e insieme il profitto suo proprio » .
Eadmero parla qui certo, per l'esperienza propria
e dei suoi contemporanei, fra i quali ebbero una gran
diffusione le pie meditazioni e orazioni del suo santo
maestro. Anselmo veramente era venuto scrivendole, una
dopo l'altra, secondo l'occasione e le richieste, solo ad
uso proprio e de' suoi intimi ; intendeva che valessero
come di stimolo « a eccitare l'anima all'amore e al ti
more di Dio e all'esame di se stessa » , e però voleva
che « non fossero lette nello strepito ma nella quiete,
non affrettamente, ma posatamente, con meditazione at
tenta e morosa, e neppure ciascuna di esse fosse letta
per intero, ma solo quel tanto che il lettore sentisse
utile ad accendersi nell'affetto della preghiera » ( 1 ). In
esse, infatti, egli precorrendo i più grandi maestri di
orazione, tracciava come una norma sicura di pregare
seguendo l'impulso del suo cuore semplice e pieno di
Dio. Ma insieme ci mostrava e l'alto suo pensare e il
suo squisito sentire, anzi ci lasciava per poco un ri
tratto intimo di tutta l'anima, quasi in tante pagine
strappate al libro della sua vita.
Le pie orazioni e meditazioni, sebbene scritte pri
mieramente per gli intimi di Anselmo, passarono ben
presto d'una in altra mano, d'uno in altro monastero,
ed ebbero tale accoglienza, che all'asceta del Bec
giunse affatto inaspettata e lo colmo di confusione, mi
(1) Orat., prologus.
112 S. ANSELMO DI AOSTA
sta pure ad una gioia sincera. La commozione fu par
ticolarmente viva nel monastero di « Casa di Dio >>
( Chaise-Dieu) nel fondo dell'Auvergne, ove due giovani
formati alle lettere e di ottima indole, Rogerio e Gu
glielmo, e dopo essi altre persone ne avevano portato
la notizia e fattovi gustare « la dolcezza del nome e
della pietà » di Anselmo. Durando, il venerabile ab
bate, ne scrisse « al signor Anselmo » una lettera af
fettuosissima, ed Anselmo gli rispose con un'altra non
meno affettuosa che umile, concedendogli quanto l'ab
bate dimandava e stringendo più intimamente il vincolo
dell'affetto tra le due congregazioni sorelle ( 1 ).
Ma non ci pare da omettere che, ad intervallo di
otto secoli, anche il razionalista sente che « queste pre
ghiere non sono senza eloquenza e che le anima una
fiamma spirituale degna di un mistico » . Disgraziato
però l'uomo, che non intende le cose dello spirito ! egli
confonde tosto la contemplazione e l'estasi dei nostri
santi col sogno sterile delle menti oziose, o al più con
una suggestione che ecciti l'anima ad un ideale insus
sistente, e fa l'onore ad Anselmo di attribuirgliela in
qualche grado come a mistico o « ad anima piamente
esaltata » ( 2 ) .
In ben altro senso deve dirsi mistico ed asceta il
nostro Anselmo: in quel senso vero e tutto cristiano,
onde Giovanni di Salisbury scriveva di lui che « cro
cifisso al mondo ed alle sue concupiscenze, aveva i pen
sieri solo alle cose celesti e nell'operare faceva quello
solamente che giovava alla vita eterna. Né i costumi
( 1 ) Epist. I, 51 , 52.
(2) REMUSAT, op . cit . ។, p . 41 s .
VII . L'ASCETA 113
degli uomini egli aveva a specchio di vita, ma la pa
rola di Dio, giacchè la Scrittura divina, com'egli usava
dire, è la norma ottima del viver bene. E quattro erano
le fonti, da cui potevano scaturire a lui i rivoli della
giustizia : la meditazione assidua della legge di Dio, la
esecuzione prudente, la predicazione fedele e la ora
zione devota » . In queste cose occupandosi Anselmo,
al crescere di onore e di grado, studiavasi altresi di
crescere più e più nel merito , e « da buon soldato di
Cristo, militare con sempre maggiore fedeltà al suo
Signore
Quindi ciò che di Martino fu scritto, i due biografi
di Anselmo vogliono che si affermi per certissimo di
Anselmo, che « su le labbra di lui non venne mai meno
Cristo, o la giustizia o la pace o tutto ciò che si aitiene
alla vera vita. E d'altra parte, aveva egli in orrore,
sopra quanto dire si possa, ogni ombra di peccato ; si
che bene spesso affermava con ogni sincerità, che se
egli avesse innanzi agli occhi dall'un canto l'orrore del
peccato, dall'altro il dolore del castigo eterno, con la
necessità di scegliere o questo o quello, senza dubbio
alcuno avrebbe eletto piuttosto le pene eterne che l'of
fesa divina. - Anzi aggiungeva anche questo, ch'egli ac
cetterebbe prima, puro ed innocente, il fuoco eterno, che
non imbrattato di colpe il regno dei cieli. E di questo
suo dire rendeva la ragione, che Iddio ama, ovunque
sieno, gl'innocenti e i buoni ; al contrario odia e dete
sta qualsiasi malizia. Certo, del resto, la giustizia somma
non beatifica i malvagi, e la somma bontà non fa miseri
i suoi amici » ( 1 ). Cosi egli, in cui il fervore dell'asceta
non veniva a smentire o a sminuire nè l'esattezza del
teologo, nè l'altezza del pensatore cristiano.
( 1 ) Eadm . 1. c . lib . II . IOANN . SARESB . 1. c . cap . III .
8.
114 S. ANSELMO DI AOSTA
Fra queste austerità e fatiche fu colto talora da gravi
infermità, ma in esse dette prova sempre di quella co
stante eguaglianza di animo, che è il più sicuro saggio
dell'asceta vero, del santo ; egli si mantenne sempre il
medesimo in Dio : in Deo semper idem existens, come
parla bene Eadmero col linguaggio del suo maestro.
E Iddio lo favori una volta, durante l'infermità,
di una visione intellettuale, che a lui tracciò quasi
un programma di vita, e venne poi sovente ricordata
nella letteratura ascetica . Vide un gonfio e precipitoso
torrente, riboccante di tutte le brutture della terra che
vi correvano da ogni parte : e questo trascinava nelle
sue torbide acque tutto ciò che gli si parava d'innanzi,
travolgendo confusamente insieme e uomini e donne,
e ricchi e poveri. Impietosito allo spettacolo, Anselmo
chiede di che si sfami e si disseti la turba infelice dei
travolti. Gli è risposto, che di quelle acque stesse fetide
e limacciose. « Come è ciò ? esclama egli inorridito :
per la stessa dignità di uomo, chi è che non si vergo
gni d' inghiottire tal fango ? « Non ti meravigliare
- gli risponde la sua guida questo che tu vedi è il
torrente del mondo, e in esso vanno involti e traspor
tati gli uomini del mondo, gli schiavi del senso. Ma
eccoti il porto : vuoi tu vedere quale sia il vero stato del
monaco ? » « Voglio »
rispose Anselmo. — E quegli:
« Guarda >>» riprese. - EAnselmo guardò, ed ecco din
nanzi un mirabile chiostro, le mura interne rivestite di
argento finissimo, in mezzo una prateria smaltata di
erba verdeggiante, argentea, delicatissima e tale che si
piegava dolcemente sotto i passi di chi la premeva e
tosto dolcemente si rialzava : il luogo tutto amenità e
letizia. Anselmo lo scelse tosto per sua abitazione.
Ma la guida a lui : « Orgů , vuoi tu vedere quale sia
VII. L'ASCETA 115
la vera pazienza ? » – Ed egli con gesti e con parole
si affannava a rispondere , mostrandone ardentissimo
desiderio. Senonchè la visione disparve ed egli tornò
in sé, mesto e desolato, senza risposta .
Ma la risposta l'aveva sott'occhio : non altro veden
dosi innanzi che la triste realtà, la monotonia incresciosa
della vita , dovette allora intendere praticamente, come
pazienza vera è per l'appunto il sopportare quella vita
reale, monotona in sè e faticosa , sebbene abbellita e ras
serenata dalla contemplazione celeste e dalla virtù re
ligiosa.
Quindi conchiude Eadmero -
intendendo e ri
volgendo seco stesso le due visioni, del mondo e del chio
stro, si studiò sempre meglio di fuggire l'errore dell'uno
e amare la bellezza dell'altro : e perciò tutto si diede ad
attuare in sè ed a proporre altrui nella forma più de
gna l'idea perfetta della vita religiosa e della vera pa
zienza. Nè a torto parve questa la missione prima di An
selmo, come fu per ordine di tempo, cosi in ragione di
importanza e di efficacia .
*
Fra tanti esempi che ne occorrono nelle lettere e
nella vita di Anselmo, accenniamo solo a quel capitolo
che riporta il suo primo biografo, di una lettera da lui
scritta a un giovane religioso, entrato di recente nella
congregazione di Cluny, per nome Lanzone, divenuto poi
monaco e priore di gran santità in Inghilterra . Ai nostri
tempi di irrequietezza morbosa, anche tra le anime
buone, di mal composti desiderii e di scontento, le parole
di Anselmo tornano più che mai opportune. Egli premu
nisce dunque il giovane non solo contro le battaglie
scoperte della passione ribelle e dello spirito del male,
ma altresì contro le tentazioni coperte sotto specie di
bene. Per queste l'animo, che non s'indurrebbe mai
116 S. ANSELMO DI AOSTA
per niun conto al peccato manifesto e all'odio della vita
che ha eletto, viene a poco a poco scosso col tedio della
conversazione o del luogo, nel quale di presente si trova.
Quindi, egli prosegue con fine psicologia, « la mente di
stratta in pensieri tristi o di mutare la residenza, o, se
questo non si può, di riprendere e biasimare i buoni
principii della sua determinazione, non ha facoltà di
raccogliersi né di aspirare a quel termine di virtù, al
quale dovrebbe con tutte le forze distendersi. Percioc
ché, dispiacendogli il fondamento, ossia il proposito da
sė posto, non si sa condurre ad alzarvi sopra l'edifizio .
Onde segue che siccome un arboscello trapiantato più
volte, ovvero, dopo piantato di fresco con molte scosse
inquietato, non può mettere le radici, e cosi presto ina
ridisce, nè giunge a dare frutto alcuno ; cosi l'infelice
monaco, se di proprio capriccio e non per disposizione
dei superiori si trasferisce or qua or là, o pure stando
nella casa medesima, se la lascia venire a tedio ed a
disgusto, non si può radicare nell'amore di Dio, ma
fatto languido ad ogni azione religiosa, mai non viene
ad arricchirsi dei frutti delle opere buone. Al tempo
stesso, vedendosi egli andare cosi di male in peggio, se
pure a questo egli ripensa, dà sempre la colpa agli altri ;
e di questa maniera ogni di maggiormente abborrisce
quelli coi quali vive e conversa » . Per la qual cosa,
conchiudeva Anselmo , essere necessario che ognuno stia
contento a quello stato o a quel luogo che gli è toccato ,
se pure non fosse tale che egli vi si trovasse come for
zato a vivere malamente ; e in quello doversi ognuno
sforzare con ogni studio di stabilirsi nella vera carità,
guardandosi di giudicare i costumi o le usanze pubbli
che private , ancorché gli sembrino inutili, quando non
si oppongano apertamente ai precetti di Dio. « E il re
ligioso , aggiungeva egli, poiché ha avuto grazia di riti
rarsi in porto, quale egli sia, dalle pericolose tempeste
del mondo , fugga di aprire in quel porto la entrata ai
VII. L' ASCETA 117
venti impetuosi della leggerezza e della impazienza ; ac
ciocchè l'anima sotto il riparo della costanza e della
mansuetudine se ne stia ferma ed intenta insieme e alla
sollecitudine del timore ed alla dilettazione dell'amore
di Dio ; poichè l' uno con la cautela custodisce, l'altro
con la soavità perfeziona » .
Cosi anche l'austerità dell'asceta e l'ardore del mi
stico non oscurava in Anselmo il giudizio dell'uomo
pratico e del religioso discreto .
Ma, cosa ancora più notabile, non isminuiva nep
pure, ingentiliva anzi mirabilmente la naturale bontà e
delicatezza dell'uomo di cuore, l'affettuosa tenerezza
del fratello e dell'amico. E su ciò in particolare vo
gliamo qui aggiungere qualche cenno.
)
CAPITOLO OTTAVO .
L'amico .
Amabilità di Anselmo nella sua vita e nelle sue lettere . Sua amicizia ri.
verente, di discepolo a maestro, e sua corrispondenza con Lanfranco.
I doni dell'arcivescovo e la gratitudine del monaco ; mutua stima e con
fidenza . Altre amicizie di Anselmo più famigliari e commoventi ;
loro indole ed ostensione. – Esempi di amicizia religiosa : Ernosto, Gi
sleberto, Maurizio . L'amicizia più ideale : Anselmo e Gondolfo.
È frequente il pregiudizio che l'austera rigidezza
della vita venga a irrigidire gli affetti, come l' aridità
degli studii a inaridire il cuore. Ma particolarmente a
proposito degli asceti e dei santi, crede il volgo comu
nemente che essi debbano per poco spogliarsi d'ogni
senso affettuoso od umano, solo perché si propongono
di nobilitarlo e santificarlo : crede un assurdo che l'asceta
rigido possa dirsi un amico affettuoso.
Anche in ciò l'indole e la vita, troppo male dimen
ticata, di Anselmo dà una nuova mentita all'errore del
secolo. Abbiamo visto i suoi contemporanei tutti intenti
a dipingerlo amabile, conversevole e grazioso, fino ad
assicurarci, come già fu detto, che i suoi nemici stessi,
nell'atto di avversare la sua causa, ne lodavano la per
perchè egli era buono » . I suoi biografi poi ne
sona , «
narrano commossi le graziosità dell'amico, le cortesie
del fratello e la pia condiscendenza del padre, con una
manifesta compiacenza, anche maggiore di quella onde
ci ricordano distesamente le austerità dell'asceta.
120 S. ANSELMO DI AOSTA
Egià assai efficacemente ci mostrano in lui tenerezze
di amico, anzi di fratello e di padre, i detti e i fatti
di lui riportati ad altro proposito altrove. Ma in modo
più eloquente ce lo dimostrano le lettere di Anselmo,
poichè in esse parla egli stesso, parla il suo cuore . Sic
chè di esse generalmente noi possiamo ben dire ciò che
papa Pasquale II diceva di quelle a sè scritte nel
l'anno 1102 : che sono « lettere soavissime scritte con
la penna dell' amore . Poichè non altro la penna ha
impresso nella carta se non ciò che ha intinto alla fonte
dell'amore » ( 1 ).
E lo stesso razionalista, benchè a torto diffidente
della sincerità dell'affetto in persone di chiesa, è pronto
a confessare che « l'unzione di Anselmo è di cuore e
non di stile. I suoi principii sono rigorosi, ma il suo
tono non è ; e il rigorismo dei suoi scrupoli — noi di-.
remmo più giustamente la sua delicatezza di coscienza
- è temperato dalla tenerezza della sua anima » ( 2 ).
Il razionalista trova che in ciò Anselmo si avvantag
giava sopra il maestro suo Lanfranco, e che se egli
pure « prescriveva sovente ai suoi fedeli perfezioni im
possibili » quali appaiono certo i consigli di perfezione
religiosa a chi ignora l'efficacia dell'aiuto superiore,
quello della grazia divina --- si rattristava quando te
meva di non essere amato dai suoi ; s'impietosiva per
tutti quelli che era costretto a punire ; ne diveniva il
confidente e il padre ; si spendeva tutto a loro profitto,
a profitto particolarmente, come si è detto, dei giovani
affidati alle sue cure .
( 1 ) PASCHAL. II, Epist. LXXXV (MiGNE, t . 163) : « Suavissi
mas dilectionis tuae suscepimus litteras charitatis calamo scriptas .
Neque enim aliud chartae calamus indidit, quam quod de fonte
charitatis intinxit » .
(2) REMUSAT, 1. c . , p . 93 .
9
VIII . L'AMICO 121
Ma non ostante qualche diversità di indole e di
criterii, fra Anselmo e Lanfranco, manifestatasi poi an
che maggiormente nella vita pubblica dell'arcivescovo
e del primate, Anselmo serbó sempre per il maestro
vegeta e fresca l'amicizia dei suoi verdi anni. Era però
essa un'amicizia tutta piena di stima, di riconoscenza
e di venerazione, quale di discepolo a maestro, o come
scrivevagli Anselmo, a « signore e padre da doversi
molto riverire con amore e amare con riverenza » .
Dopo tre anni di dolce convivenza, il maestro gli
era stato rapito dal fianco, e partendo per l'abbazia di
Caen , gli lasciava con l'ufficio di priore il suo proprio
calice, in pegno di amicizia, forse anche in simbolo di
sacrifizio . Tuttavia , i due amici si trovavano ancora non
troppo lontani, sopra il medesimo suolo normanno . Sette
anni appresso la separazione si fece ben maggiore per
la lontananza del luogo e per l'altezza della dignità
primaziale di Canterbury, a cui Lanfranco si vide por
>
tato di forza, dopo che alla morte del venerabile arci
vescovo Maurilio aveva ricusato costantemente di suc
cedergli nella sede di Roano. Se il dolore s'inacerbi in
Anselmo per la nuova separazione, andò pure misto ad
un vivo senso di gioia per l'esaltazione del maestro ; e
la maggiore lontananza delle persone, come succede fra
gli amici veri, ravvicinò e strinse anche più intima
mente quelle due anime grandi . Quindi scriveva l'umile
monaco al gran primate d'Inghilterra, dopo reso gloria
a Dio che aveva sollevato la fiaccola sul candelliere :
« Benchè tante inaspettate mutazioni di cose si sforzino
spesso di sottrarvi a me, tuttavia mai non varranno,
per non dire a disgiungere l'una dall'altra le nostre
anime cosi unite, almeno a strappare da voi l'anima
mia a voi cosi stretta. Perciò, a tacere ciò che voi sa
122 s. ANSELMO DI AOSTA
pete e io non dubito, quando pure voi non mi portaste
nel cuore, non mi potreste fuggire : chè certo non po
tete voi abbandonare chi vi segue col cuore ovunque
andiate, e ovunque si fermi, si tiene abbracciato a voi
col cuore » . Cosi Anselmo.
Ma anche nella sua nuova dignità, Lanfranco mo
strava di amare sempre meglio l'antica affettuosa di
mestichezza, e scendeva a tratti di confidenza fraterna,
che toccavano il cuore di Anselmo. Tale fu quello, che
nella medesima circostanza della promozione, usò con
Anselmo ; con una di quelle commissioni che si fanno
a voce, lo richiese piacevolmente per mezzo di don Er
nosto, amico carissimo ad entrambi , di volergli resti
tuire un suo bel regalo di una coppa preziosa. Anselmo,
tutto contento, gli rispondeva nella lettera già citata,
in questi termini scherzosi : « La coppa cara, che, a me
più caro , voi carissimo avete regalato, come il sig. Er
nosto mi ha riferito, diceste con allegra benignità e ami
chevole confidenza di rivolere. Or bene, io non vi re
stituisco il vostro regalo, per non essere meno obbligato
a voi in qualsiasi modo. Ma volentierissimo vi faccio un
dono di ciò che ho più caro al mondo » . E conchiu
deva : « Il rammarico della vostra assenza sempre più
cresce in me ; ma l'amore, di cui un tempo mi foste
ben consapevole, non mai decresce » ( 1 ).
Altri doni poi e largizioni opportune veniva fa
cendo l'antico monaco del Bec ai suoi diletti confratelli ;
e allora tosto « il fratello Anselmo suo » si affrettava
a ringraziarlo in nome di tutti : « Grazie grandi vi ren
diamo scriveva una volta con la nostra lettera per
i grandi doni che abbiamo ricevuto dalla vostra lar
( 1 ) Epist., lib . I , 1 ss .
VIII. L'AMICO 123
ghezza ; ma assai maggiori le serbiamo nel cuore per i
maggiori che sappiamo essere pronti nella vostra buona
volontà. Perché, mentre dalla sola spontanea abbon
danza della vostra benignità ridondano al vostro servo
tanti doni, si fa chiaro abbastanza con quanta ricchezza
il benigno vostro affetto si effonderebbe dall'intimo, se
qualche necessità del vostro figlio diletto lo esigesse ;
il che dico senza impudenza, e non senza ben certa co
noscenza. E quantunque voi sappiate bene che non fate
tutto questo ad un ingrato, tuttavia non mi rincresce
di scrivervi, che io desidero e desiderando prego e pre
gando propongo che non lo abbiate da fare ad uno che
non lo merita » .
Ma una « benedizione » sopra tutto giunse provvi
denziale, poco tempo dopo che Anselmo era stato pro
mosso alla dignità di abbate ; e furono venti lire invia
tegli per mano dell'abate Erberto. Quell’anno i poveri
monaci erano a grandi strettezze, perché, come scri
veva Anselmo, « troppo ci hanno esausto le compre fatte
a caro prezzo, dei legumi e dell'avena e di parecchie
terre, fatte dopo la morte del signor abbate Erluino,
per tacere di una grossa campana, che da una rotta e
da un'altra stonata abbiamo improvvidamente comin
ciato e solo a gran fatica potuto finire, aggiungendo e
spendendo molto più di quello che avevamo pensato
prima ; e cosi di più altre cose nelle quali abbiamo
fatte molte spese, oltre alle predette » . Quindi piace
volmente fa sapere l'abbate all'arcivescovo che alle sue
venti lire era toccata per l'appunto la sorte delle spi
ghe piene e delle vacche grasse del sogno di Faraone.
Non molto tempo dopo, torna Anselmo a ringra
ziare Lanfranco in nome di tutti « i suoi conservi e
signori del cenobio beccense » , assicurando il « suo re
verendo signore e padre benignissimo » che « se grandi
grazie esprimevano, immense gli serbavano in cuore » .
Indi con amabile piacevolezza gli narra come l'abbate
124 S. ANSELMO DI AOSTA
beccense si è servito dell ' oro inviato al fratello An
selmo, perché ne facesse un calice, e adopera intanto
il calice usato già da Lanfranco stesso e lasciatogli da
lui quando gli succedeva nel priorato. 1
Altre volte Lanfranco, al suo « diletto che lo amava
con riverenza, culto e affetto di amore, come servo e
figliuolo » non mandava « doni preziosi » , ma secondo
la bella espressione di Anselmo, mandava « una scusa
più preziosa ancora » . Perché soggiungeva egli
<
quella scusa che avete fatto a me, tale quale essa fu,
mentre si fa da un tanto uomo a uno cosi piccolo, mi
è un regalo molto più prezioso della porpora e del
l'oro. E questo regalo, certamente, voi mi avete fatto
non perchè credeste che io ne avessi bisogno, giacchè
non ignorate quanto mi sta riposto nel cuore ; ma per
chè la vostra graziosità non ha potuto patire che il
nunzio se ne tornasse vuoto da lei a me. E se quando
ricevo i vostri regali non ho bisogno di raccomanda
zione, non avendo il menomo dubbio che non mi siano
fatti con amore ; neppure quando mi mancano, ho bi
sogno di scusa, poiché sono certo che cessano per qualche
giusta ragione che io stesso, se la sapessi con voi, con
voi approverei » ( 1 ).
Più ancora andava commosso Anselmo e rallegra
vasi quando il maestro gli inviava giovani a lui cari ,
da istruire e da educare, come sopra narrammo; sopra
tutto quando gli mandò il suo stesso nipote, e il costui
amico Guido ; e poi un monacello alquanto discolo e
ricalcitrante che meritava una buona lezione, per nome
Osberno, un nome che toccava il cuore di Anselmo. Al
ricevere il nepote del grande Lanfranco, tutto il mo
( 1) Epist. II , 1 , 2 ss .
| VIII . L'AMICO 125
nastero fu in festa, e Anselmo ne espresse tutta la sua
gioia al maestro : « Grazie alla paterna vostra dilezione....
grazie vi rendiamo perchè tanto ci amate ; grazie perchè
tanto di noi vi fidate ; grazie perché un tal pegno a noi
affidate . E queste cose vi dico non solo per me , ma per
tutta la nostra congregazione » ( 1 ).
Bello è poi il vedere con quanta sollecitudine egli
venga informando il primate d'Inghilterra degli studii
di Lanfranco e degli altri suoi giovani amici, dei loro
progressi nella scienza e nella virtù, dei loro mali di
testa e degli altri incomodi ch'egli descrive quasi con
accuratezza di medico o, per meglio dire, di padre (2).
« Se tanto facilmente io potessi dettare e scrivere,
come parlare, -
scrive egli al « suo padre desidera
tissimo > Lanfranco - non mancherebbe mai copia di
mie lettere a colui al quale tanto spesso parla il mio
cuore, se non quando vi fosse per me una carestia di
persone che le recassero. Ma poichè tante cose vi sono
che m’impediscono dal dettare.... prego la vostra pa
terna dignità che non si sdegni con me, se raramente
gli giungono lettere del suo servo. Perché sebbene la
penna, per il cessar della mano, irruginisce, non sia mai
che per il tacere della lingua intiepidisca l'affetto . Ma,
lasciando queste cose, vengo a parlarvi, secondo che la
mia coscienza mi detta, del mio amatissimo e amantis
simo nipote vostro, della cui condotta so che voi vor
reste avere sempre presente la notizia » .
E qui egli sfoga il suo buon cuore, lodando il di
scepolo : che si guarda da ogni trasgressione, che pare
a tutti irreprensibile, che si studia di essere umile e
benigno, affezionato alla quiete, al silenzio , all'orazione ;
che meritamente è caro a tutti. Indi passa a narrare
con vivo senso di compassione il mal di capo che ad
(1 ) Epist. I, 19.
(2) Ibid ., 31 .
126 s. ANSELMO DI AOSTA
dolora il giovinetto, con tutti i sintomi che lo prece.
dono e lo accompagnano ; invoca le cure, o i consigli
almeno, di un medico di sua fiducia, del signor Alberto,
che stava allora con l'arcivescovo al di là della Ma
nica. « Don Guido invece sta bene, e applicato alla cura
dei fanciulli, dà prova di una cara obbedienza e di una
strenua umiltà.... Il vostro Osberno poi prosegue An
selmo - s'impingua mirabilmente per l'affetto della pietà
condito di ilarità, e cresce anche in modo lodevole ogni
giorno nella scienza per l'insistenza dello studio e la
chiarezza di mente e la tenace memoria. Non solo dun
que perchè ci unisce del pari la vostra paterna dilezione
in un amore fraterno, ma anche perché i suoi meriti
lo esigono, noi siamo tanto contenti e stretti nella gioia
della vicendevole affezione che ormai non possiamo più
essere separati senza un certo strappo delle nostre due
anime e senza una ferita del cuore » . Ma, sgraziata
mente, anche Osberno soffre di testa, e Anselmo ne
informa per minuto l'arcivescovo lontano.
Similmente carissime per la riverenza, la ricono
scenza e l'affetto, sono le altre lettere tutte e dicias
sette ne giunsero fino a noi - di Anselmo a Lanfranco ;
onde non è meraviglia che questi e le desiderasse e le
gustasse cosi vivamente, come si esprimeva egli stesso,
dopo versato nel cuore dell'antico discepolo l'angoscia
del suo cuore : « Ho ricevuto con gioia la vostra lettera
inviatami per via di don Roberto e con più gioia an
cora l'ho letta. Ma non vi posso esprimere per iscritto,
con quanto piacere io la vada gustando nel leggerla e
la rilegga per meglio gustarla » . Quindi Lanfranco stesso
confidavasi con Anselmo, come fece particolarmente
quando nel suo viaggio a Roma dopo la consecrazione
episcopale, nel 1071 , ripasso per il suo caro monastero
del Bec ; gli apriva il cuore addolorato dai tanti mali
della Chiesa еe delle anime a lui affidate ; gl’inviava, coi
suoi doni, frequenti lettere e ambasciate , ne implorava
VIII . L'AMICO 127
i consigli e le preghiere. « Pregate e fate pregare tutti
i nostri amici che Iddio onnipotente mi faccia produrre
frutti più copiosi ovvero richiami l'anima mia da que
sta prigione del corpo » .
Certo, al Bec si pregava molto per Lanfranco, e
quando si udi che il venerando uomo giaceva infermo,
Anselmo gli riscriveva in nome suo e di tutta la con
gregazione, il comune dolore e le preghiere incessanti
che si offrivano a Dio per la sua salute ; « poichè, di
ceva egli, la vostra infermità noi teniamo in conto di
tribolazione nostra, e la vostra sanità come nostra sal
vezza ; nè solamente a noi, ma alla Chiesa nostra ma
dre, in quanto si può estendere il vostro nomé, vediamo
che è necessaria la vostra vita » ( 1).
Fu questa l'ultima lettera di Anselmo che veniva
a consolare il maestro sul suo letto di morte, come
l'aveva sempre confortato in vita. La morte poneva il
suggello eterno alla loro amicizia ; ma prima di partire
dalla prigione della carne '» , la grande anima di Lan
franco aveva presentito e predetto nel discepolo il fu
turo successore (2).
Che se commovente è questo esempio di amicizia,
in cui il cuore di Anselmo si effonde nelle amabili ef
fusioni di un affetto filiale, riverente e ossequioso ; anche
più commoventi sono altri, in cui le parti si cambiano
e l'amicizia di Anselmo prende, secondo i casi, ora il
tono della confidenza fraterna, ora quello di una tene
rezza tutta paterna che ne tempera la dignitosa gra
vità o la severità austera . In questi casi l'animo di lui
pare che non trovi più ritegno nelle sue candide espan
( 1 ) Epist. II , 53 .
(2) EADMER. c . lib . I.
128 S. ANSELMO DI AOSTA
sioni : il suo stile stesso, anche fra i giri alquanto con
torti del suo latino medioevale, procede più nitido, spi
gliato e franco ; mentre la parola scende lene e dolce,
secondo la frase di un contemporaneo, come uno sgorgo
di miele. Essa è l'espressione del suo cuore buono e af
fettuoso, insensibile alle lodi, sensibilissimo all'affetto.
« Della lode che non mi tocca cosi scriveva egli
nella sua risposta a Waleramno - il mio cuore non si
gloria ; ma dell'affezione che sempre si deve amare,
rende grazie e si rallegra » ( 1 ). In modo simile scriveva
al suo « riverito e carissimo signore Umberto , nella
lettera già citata : « Veramente tutto il bene che si dice
di me e delle cose mie devesi tenere per poco o nullo
in verità, ma la vostra benevolenza merita rimunera
zione non minore che se fosse vero » (2). E più cara
mente ancora e più spesso manifestava egli questo suo
sentimento ai suoi monaci fratelli. Così ogni dimostra
zione di affetto, un atto di confidenza, una visita, un
saluto destava nel suo cuore un ricambio di cordialità
schietta, ingenua, quasi di fanciullo, e gli strappava non
di rado, anche fra mezzo alle sue infinite occupazioni e
sollecitudini, una di quelle sue lettere piene di viva gra
titudine e di candida affezione.
Quindi è che nelle quattrocento e cinquanta lettere,
o poco o meno, pervenute fino a noi e non sono altro
che una parte, come ben si vede, di quelle uscite dalla
sua mano, o, per meglio dire, dal suo cuore – egli ci
ha lasciato il più bel ritratto della sua anima , non meno
che i più cari esempi delle forme più varie di amici
zia : varie , diciamo , di grado , d'intensità e, aggiunge
remmo anche , di colorito , ma tutte schiette e cordiali .
(1) ANSELM. De Sacram . diversitate . Ad Waleramni querelas
responsio (MIGNE, Patr . lat. CLVIII, 551) . « De laude quae ad
me non pertinet cor meum non gloriatur; sed de dilectione, quae
semper amanda est, gratias agendo laetatur » .
(2) Epist., lib . III , 65 Vedi sopra, cap . I , p . 20 s . 1
VIII . L'AMICO 129
Né ci appaiono già le amicizie di lui ristrette od
esclusive, come sono quelle che muovono dall'amore
di se stesso o dall'impulso cieco del sentimento ; ma
bensi larghe, indulgenti, generose, come un riverbero
di quella carità divina che ama le anime e le solleva
alla sua amicizia senza accettazione di persone. Certo ,
egli abbracciava in esse primieramente i suoi religiosi
fratelli; ma stendevasi poi ugualmente a quelle di al
tre congregazioni e monasteri, indi anche alle persone
del secolo, ecclesiastici e laici , di ogni ordine e con
: dizione. Ed egli le cercava, queste nobili amicizie, le
coltivava, le rammentava e ne godeva con una tanta
compiacenza che farà stupire forse qualche anima ri
gida, di spiritualità molto trascendente e poco illumi
nata ; ma, considerata bene, edifica e commuove. La
ragione è perchè di tali amicizie sentiva ben egli la ra
dice purissima, e ne vedeva i fiori e ne coglieva i frutti,
che nulla avevano di terreno. Il nostro mondo contem
poraneo, educato alle amicizie passionate, morbose, ne
vrasteniche, dagli scatti convulsi, dagli impulsi nervosi ,
dall'affetto posticcio e passeggero, come ogni altra im
pressione organica, seguite spesso dalle irrimediabili
rotture ; il nostro mondo non può intendere, nonché gu
stare, le amicizie sublimi dei santi : resta scettico e irride
allo spettacolo di queste amicizie, cosi calde insieme e
serene, cosi dolci e pure, cosi spirituali e cosi forti, quali
fiorivano sotto l'alito della religione nel chiuso recinto
dei chiostri medievali . Ma l'osservatore sincero, lo sto
rico imparziale, non resta freddo nè incredulo : sa che
da quelle società dei secoli di mezzo, che gli ignoranti
disprezzano, noi avremmo pure da imparare qualche
cosa per la nostra vita intima e spirituale.
9.
130 S. ANSELMO DI AOSTA
Quando Anselmo, nell'ardore della sua giovinezza,
entrava a Santa Maria del Bec, vi trovava, come ab
biamo udito da lui, un caro « nido » e in esso una fami
glia raccolta intorno a un venerabile vecchio, all'abate
Erluino, ed al maestro Lanfranco. Era una famiglia di
fratelli, maggiori e minori, ai quali tosto si affezionava
il suo cuore, ma in modo particolare ai migliori tra
essi, quali erano, ad es., Ernosto, Enrico, Gisleberto,
Gondolfo. Ora questi appunto gli erano presto sottratti
da Lanfranco, quando passò a Caen e di poi in Inghil
terra. Ma questa circostanza stessa, provocando fra gli
amici lontani una più cordiale corrispondenza, dette
luogo ad Anselmo di sfogare la sua cara amicizia e a
noi di conoscerla più intimamente. Don Ernosto, pas
sato in Inghilterra e creato ben presto vescovo di Ro
chester, per le ansie del governo e le gravi infermità
si veniva consumando fra atroci dolori, che lo trassero
immaturamente alla tomba . Anselmo informatone e da
relazioni altrui e da lettere dell'amico, gli scriveva ri
petutamente consolandolo col più sublime linguaggio
della fede. « All'antico compagno e fratello con vicen
devole ed uguale famigliarità amato , ora signore e pa
dre riverito con amore, il fratello Anselmo » confessava
tutta « l'umana mestizia » che contristava il suo cuore
pèr i dolori del corpo, ma insieme ricordava « la leti
zia spirituale » per il profitto dell'anima di un si caro
amico ; e infine pregava il suo dolcissimo padre e rive
rito signore « a non dimenticarsi del fedele suo servo,
assente di corpo, ma unito a lui col pensiero » ( 1 )).
( 1) Epist. I, 44 ; IV ,> 120. Questa seconda lettera, rigettata in
appendice dagli editori, è certo la prima lettera che Anselmo
scrivesse all'amico durante la sua infermità .
VIII. L'AMICO 131
E in un'altra precedente già egli aveva protestato al suo
« signore e fratello carissimo Ernosto »» , che a tacere
di quanta compassione provava nell'animo per lui, gli
era in testimonio la coscienza che volentieri ne avrebbe
preso sopra di sè tutta la passione » .
Più frequente fu il carteggio con gli altri. Don En
rico specialmente, originario d'Italia, passato al mona
stero di S. Salvatore di Canterbury, ebbe insieme con
Gondolfo, le più intime confidenze del santo in parec
chie lettere, che sono tra le più care del suo epistolario
intimo : e Anselmo voleva che fossero comuni ai due
amici, si che ognuno ritenesse come sue quelle dell'altro.
A lui scrive Anselmo, congratulandosi cordialmente
della buona fama che ne veniva al di qua del mare,
onde « il cuore del suo amico s'infiammava in tanto
maggiore desiderio di vederlo e di goderne, giacchè il
fuoco dell'amore aveva fuso in una le loro anime » ( 1 ).
Un'altra volta lo dissuade da un viaggio in Italia che
ne avrebbe messo a repentaglio la virtù religiosa (2) ;
un'altra gli raccomanda il suo caro Maurizio, uno dei
giovani a lui più affezionati che egli mandava in In
ghilterra a richiesta dell'amico e per vedere di gua
rirlo da uno strano mal di testa, sotto la cura del
signor Alberto diletto amico nostro » (3) ; e gli dice :
« Che Maurizio trovi me in voi, mentre io per voi quasi
lo abbandono.... Fate dunque al nostro Maurizio da fra
tello Anselmo, ed io farò al vostro Holvardo da don En
rico » . Nè manca poi altra volta di ringraziarlo per le
delicatezze usate al « comune fratello nostro Maurizio » ,
e l'assicura che fa di tutto per contraccambiarlo nei mo
naci di S. Salvatore, che stavano al Bec ; giacché molti
ne passavano dall'Inghilterra, come già fu accennato,
per formarvisi alla scienza ed alla disciplina religiosa
nella scuola di Anselmo. Tra essi , oltre Holvardo, nomi
( 1 ) Epist. I , 5. ( 2) Ivi , 15 . (3) Ivi , 25 .
132 S. ANSELMO DI AOSTA
nato qui sopra, era quell'Osberno suo cugino, di cui pure
si disse altrove, che aveva dato molto da fare al priore
Enrico; ma guadagnato ben tosto dalla paterna affezione
di Anselmo e rinsavito se ne tornò poi alla sua Can
tuaria. E Anselmo allora accompagnava il « suo diletto
don Osberno » con le più calorose raccomandazioni al
l' « amico carissimo don Enrico » rammentandogli « che
non mai era tanto necessario il dimostrare benignità,
come in una nuova e tenera conversione » . La muta
zione, tuttavia, del giovane Osberno, operata dall'ama
bilità di Anselmo, non tardò ad assodarsi, e fece di lui
un monaco esemplare, che fu per tredici anni il più
grande predicatore delle virtù del suo maestro in In
ghilterra, e sempre in affettuosa corrispondenza con lui.
Ma la corrispondenza di don Enrico si fece più in
sistente, quando una grave prova venne a ferirlo nel
più vivo : un dissidio con l'arcivescovo Lanfranco, al
quale era stato messo in mala voce dagli invidiosi e
dai rilassati. Le risposte di Anselmo si fanno più tenere
insieme e più forti, inculcandogli, a nome anche del
l'abate Erluino, obbedienza e pazienza. « Su queste due
colonne, dunque, io, vostro fratello ed amico, vi consi
glio e vi supplico che tutta la fermezza della vostra vita
si appoggi.... » (1 ).
Con la pazienza e l'obbedienza don Enrico trionfo
degli ostacoli, racquistò la grazia di Lanfranco e, imi
tando la benignità dell'amico, ne fu poi valido soste
gno nel governo dei monaci della chiesa cantuariense .
Più tenera, quasi di padre, fu l'affezione che An
selmo portò a Gisleberto, nobile giovinetto normanno,
dai suoi genitori, Crispino ed Eva, amicissimi di An
(1 ) Epist. I , 54, 64 .
VIII. L'AMICO 133
selmo e di tutta la congregazione beccense, consecrato
a Dio sino dalla prima età, e cresciuto, si può dire, sotto
gli occhi del santo, che l'amava e lo venerava come
un fiore d'innocenza. Lanfranco lo volle al di là della
Manica ; Anselmo lo lasciava partire, ma molto a ma
lincuore, e descriveva a Lanfranco il sacrifizio che
questa partenza gli costava al cuore.
E non meno costava la separazione a Gisleberto ;
ond' egli inviava al suo buon amico, per consolarsene ,
piccoli regali e ne aveva in ricambio qualcuna di quelle
sue lettere più esuberanti di affetto, in cui il gusto let
terario si lascia volentieri vincere dal cuore (1 ). Ma que
sta tenerezza andava unita ad un'umile riverenza, come
vediamo particolarmente dalle lettere scritte a Gisle
berto, dopo che fu eletto abbate di Westminster, nelle
quali Anselmo congratulatosi con lui : « Molto più
gli dice - è da sperare di te e dei tuoi simili, la cui
vita è cresciuta nella santa conversazione, che non di
me e dei miei simili, la cui vita fu un tempo guasta
dalla conversazione del secolo >> (2).
Giovine come Gisleberto e come lui entrato al Bec,
vicino al tempo che vi entrò Anselmo maturo d'anni
e di studii , fu Maurizio, già nominato sopra, il quale
ebbe una diecina di lettere scrittegli da Anselmo, e
pare che tenesse la raccolta anche delle altre. Egli
aveva imparato sotto Anselmo i primi rudimenti delle
lettere e amava il suo maestro con tutta la forza del
(1) Epist., II, 13 ; I, 75 ; II, 16.
(2) Allude qui Anselmo alla differenza tra i monaci oblati e
i conversi, quelli dedicatisi alla religione fino dall'infanzia, questi
entrativi in età matura e dopo una vita secolaresca. La quale dif
ferenza , che dava talora occasione o pretesto a qualche dissapore
tra i monaci, Anselmo soleva spiegare con una similitudine , pa
ragonando gli oblati agli Angeli che non furono mai peccatori ,
ma neppure tentati, e i conversi ai santi che hanno a piangere
delle cadute, ma hanno pure vinto grandi tentazioni: sicchè nes
suno ha di che inorgoglire e spregiare gli altri .
134 S. ANSELMO DI AOSTA
cuore giovine e puro. E n'era riamato da Anselmo, come
« amico, fratello, figliuolo carissimo » ; i nomi più dolci
che Anselmo sapesse trovare . Quando poi per il fiero
mal di capo che sopravvenne a travagliarlo, ebbe a
mutar l'aria di Normandia con quella d'Inghilterra , il
buon maestro lo congedo con un fascio di lettere di rac
comandazione , al signore medico Alberto, al signor En
rico priore, a Erluino già monaco del Bec, a Lanfranco,
a Gondolfo ; si tenne sempre con lui in affettuosa co
municazione , e gli scriveva con bella grazia :
« Perché non si creda da taluno che per qualsiasi
occasione l'amore nostro vicendevole intiepidisca, penso
che convenga farlo brillare di quando in quando con
biglietti, quasi scintille che scocchino da ambe le parti » .
Ma se volessimo enumerare gli esempi di amicizia
dolce e vigorosa, che ci dette l'asceta austero del Bec
nel pieno medioevo, dovremmo riportare per poco la
parte più bella e più attraente del suo epistolario.
**
L'esempio, tuttavia, di amicizia più bello, più sim
patico, diremmo quasi ideale, fu tra Anselmo e Gon
dolfo suo compagno di religione e poi di episcopato.
Una cara descrizione ce ne dà la vita di questo ultimo,
divenuto poi vescovo di Rochester (1). Gondolfo en
trava al Bec l'anno stesso in cui vi entrava Anselmo
« che noi abbiamo veduto esaltato alla sede di Can
tuaria per la sua straordinaria santità e la sua scienza
meravigliosa » ; amendue si strinsero in una amicizia
cosi intima che Anselmo godeva di chiamarsi un altro
Gondolfo, e Gondolfo metteva il suo piacere a dirsi un
altro Anselmo ; erano un cuore ed un'anima : si trat
(1) Cf. Vita Gondulfi, ep. Roffensis, auctore monaco roffensi
coaetaneo . MiGNE, Patr. lat. , CLIX , 812 ss .
VIII . L'AMICO 135
tenevano spesso in colloquii spirituali con pia e vicen
devole commozione ; si esortavano l'un l'altro a salire
la vetta faticosa della perfezione ; l'un l'altro gareggia
vano con santa emulazione, massimamente a chi sor
geva primo per la divina salmodia della notte ; lontana
sempre dai loro cuori e dalla loro lingua ogni maldi
cenza contro i prelati o contro i fratelli ; lontano il
mormorare, « a cui altri assai facilmente trascorrono »
intorno al vitto o al vestire ; ogni loro studio era nel
cercare Iddio con la mortificazione e l'esercizio delle
virtù più perfette. - In questi tratti l'anonimo contem
poraneo ci dà l'idea di un'amicizia soda e religiosa,
che non esclude il sentimento, ma lo purifica e lo tra
sforma, opponendosi a quelle amicizie particolari e fu
tili, che, quale mero pascolo dell'egoismo travestito,
sono interdette e al monaco dalla regola e ad ogni
animo virile dalla ragione.
Ma ancora meglio che nel biografo noi vediamo nelle
lettere di Anselmo lo specchio di questa amicizia puris
sima ( 1 ). Passato appena insieme un triennio, il buon
Gondolfo, era condotto da Lanfranco, il quale l'aveva
pure carissimo, a Caen, e dopo sette anni a Canterbury .
Allora comincia il carteggio di Anselmo, che è un mo
dello per questo genere di corrispondenza famigliare:
non molti consigli, non ammonizioni , non discussioni con
l'amico Anselmo ne conosceva già troppo bene la
virtù -- ma schietta e calda espansione dell'animo fra
--
terno ; con una perpetua variante o quasi un ritornello
dei concetti medesimi d' incrollabile amicizia. Uno dei
più frequenti è questo, che, sebbene assenti, restavano
uniti sempre, e non abbisognavano pure di scriversi :
« Io e tu non abbiamo bisogno di esprimerci i nostri af
fetti vicendevoli con le lettere.... scriveva Anselmo. -
Perchè la tua ee la mia anima non possono essere lontane,
( 1) Cf. Epist. lib . I, 4, 7 , 14, 26, 33, 50, 69, ecc.
136 S. ANSELMO DI AOSTA
ma sono strette sempre fra loro : non ci manca altro se
non la presenza del corpo. E a che ti descriverò io in
carta la mia affezione, mentre tu ne serbi l'immagine
vera assiduamente nell'intimo del tuo cuore ? E che
cosa è altro l'affezione tua per me se non un riflesso
della mia affezione per te ? » .
Ma Gondolfo, tempra meno speculativa e più sen
timentale, non voleva intendere molto di questa filo
sofia dell'amicizia : voleva lettere del suo Anselmo e
non n'era mai sazio : ora glie lo ripeteva per via di
ambasciate, ora lo stimolava con lettere, ora lo stuz
zicava con regali e ad ogni occasione si lamentava
di non veder mai queste lettere. Ma Anselmo rispon
deva al suo « fratello carissimo e amico certissimo » :
« Perchè con tanto dolore, come sento, ti lamenti
tu di non vedere mai mie lettere, e con tanto amore
mi dimandi di riceverne spesso, mentre hai sempre con
te l'anima mia ? Tacendo tu, io so che tu mi vuoi bene,
e tacendo io, tu sai che io lo voglio a te. Tu sai che
io non dubito di te, e io so che sei certo di me » .
Certo lo sapeva bene Gondolfo, ma godeva di udir
selo ripetere .con quelle parole che gli andavano al
l'anima : « Quando propongo di scriverti, o anima di
lettissima dell'anima mia, quando propongo di scriverti,
sono incerto da che punto incominciare la mia conver
sazione. Tutto quello che io sento di te è dolce e caro
al mio cuore : tutto quello che io auguro a te è ciò
la mia mente imagina di meglio.... Come potrò io di
menticarmi di te ? Quegli che mi è impresso nel cuore,
come il sigillo nella cera, come potrà cancellarsi dalla
memoria ? » Quindi « tutti quelli che venivano dal
signor Gondolfo, riferivano che il signor Gondolfo de
siderava lettere » di Anselmo. E questi bene sapendo
ch'egli « non voleva leggervi altro se non la rinnovata
espressione della vicendevole amicizia » , tornava a scu
sarsi, rincalzando l'argomento, che non solo ciò era inu
VIII . L'AMICO 137
tile, ma impossibile. « Ecché ? vuoi tu vedere scritto in
carta , ciò che amendue portiamo scolpito nell'intimo
dell'anima, se nè occhio vide, nè orecchio udi, ma solo
>
il cuore può intendere quanto affetto si serbino a vi
cenda i cuori che si amano ?... Con quali parole dunque
e con quali lettere sarà descritto il mio e il tuo amore ?
E tuttavia, tu insisti con me inopportunamente perchè
faccia quello che non è possibile farsi. Basti a noi la
coscienza nostra, per cui siamo consapevoli che ci
amiamo l'un l'altro. E cosi ti ami Iddio onnipotente e
col suo amore ti protegga in modo, che da te o in te o
attorno a te non si faccia se non ciò che a lui piace e
a te è spediente » . Cosi Anselmo, da amico e da santo.
Ma tardava egli a mandare lettere e saluti più del
solito ? Gondolfo gli inviava allora dalla lontana Inghil
terra regali e commissioni. E Anselmo piacevolmente :
« Quando tu non puoi con le preghiere scuotere la mia
pigrizia a mandarti lettere di saluti, ti volti ad un altro
spediente, e mi scuoti coi tuoi doni, perchè almeno ti
mandi ringraziamenti: e se le cortesie non mi muovono
a scrivere, mi spinga almeno il pudore a ringraziare.
Grazie dunque alla tua carità, la quale è dolce al mio
cuore; grazie non tanto quanto mi sono cari i tuoi regali,
ma quanto mi è più cara la tua affezione con cui sono
fatti e conditi e a me saporosi i tuoi regali.... » . E un'al
tra volta : « Insiste e insiste con me il confidente della
sua seconda anima, cioè della mia, perchè volino e vo
lino spesso al di là del mare le mie lettere, quasi volesse
conoscere lo stato della mia amicizia. Ma che cosa la
mia lettera ti potrà dire che tu non sappia , o mia se .
conda anima ? Entra nella stanza del cuore del tuo vero
amico. Certo non siamo pari nella somiglianza della
vita : perchè, lo confesso, sebbene con rossore, la mia
tiepidezza è ben superata dal fervore della tua carità ;
ma certo non siamo al tutto dissimili nella qualità della
vicendevole affezione » .
138 S. ANSELMO DI AOSTA
Da queste parole ben si scorge quanta mutua stima
e religiosa gravità nobilitasse la tenerezza di questa sin
golare amicizia di due santi. E meglio si vide quando
Gondolfo venne innalzato alla dignità vescovile. Allora
il fratello Anselmo, benchè « sempre suo » muta lin
guaggio e scrive al « già fratello dilettissimo ora dol
cissimo padre, Gondolfo » una lettera dignitosamente
affettuosa, di congratulazione insieme e di condoglianza,
con riverenti raccomandazioni e conforti, preceduti dal
l'augurio di « adempiere in modo l'officio episcopale,, da
non perdere il beneficio eterno » . « Da una parte
egli scrive — voglio congratularmi con la vostra pa
ternità, perchè la divina grazia ha mostrato che le piace
la vostra vita passata , mentre si degna ora annoverarvi
tra i principi della sua Chiesa. Ma dall'altra parte sono
costretto a condolermi con la vostra fraternità, giacchè
perciò stesso che siete maggiormente esaltato, venite
aggravato da maggiore tribolazione » . Ma di qui l'amico
e il santo passa tosto ai pensieri della fede, da cui in
tende come della tribolazione stessa non deve tanto con
dolersi per l'affanno che reca , quanto congratularsi per
la perfezione e le speranze che apporta, secondo la pa
rola dell'Apostolo ( 1 ).
Dopo ciò, le lettere si fanno più rare, più sobrie :
pare che Anselmo senta sempre più « la dignità del
vescovo e la riverenza del santo » . Ma non vuole in
tiepidito il fervore della « primitiva famigliarità e fa
migliare amicizia » ; e perciò, scrive egli, « per quanto lo
strenuo vescovo e il codardo monaco siano separati da
dignità e da meriti, sempre tuttavia Gondolfo e An
selmo sono uniti dalla famigliare affezione » .
Passeranno pochi anni, e « il codardo monaco » sarà
chiamato anch'egli tra i principi della Chiesa alla tri
bolazione ed alle lotte dell'episcopato, superiore in di
( 1 ) Epist. I, 69 .
VIII . L'AMICO 139
gnità e in meriti ; ma avrà sempre « lo strenuo vescovo »
l'amico certissimo, il fratello carissimo ai suoi fianchi,
unico suo difensore rimastogli sempre fedele tra i ve
scovi della Britannia .
Gondolfo, indole dolcissima di santo, simpatico a
tutti, come l'altra anima di Anselmo, resterà sempre in
Inghilterra a sostenerne le parti, lo accoglierà festoso
al ritorno dal duplice esiglio, lo aiuterà nell'opera della
ristaurazione religiosa, e l'avrà infine consolatore nella
sua ultima infermità e ministro degli estremi onori resi
alla sua salma. Un anno dopo, Anselmo, « l'altra anima
di Gondolfo » , lo raggiungerà nella patria che non cono
sce la separazione nè la morte.
1
CAPITOLO NONO.
Il maestro .
Primo fondamento e tirocinio del magistero di Anselmo ; il trivio e il quadri
vio. – Modestia del maestro e suoi consigli di formazione letteraria : eser
cizi di grammatica, studio di autori classici, uso di scrivere e parlare cor
retto . Suoi criterii nella trascrizione dei manoscritti antichi. Studio
della Scrittura e delle scienze sacre ; esempio di Guiberto , poi abbate di
Nogent. — Operosità del maestro nella diffusione della cultura monastica,
anche fuori della sua congregazione : dono e prestito di libri fra i monasteri.
Ai nostri giorni l'uffizio del maestro è tutto e solo
di istruire, se pure non è talora di pervertire : in altri
tempi, che ora si chiamano barbari, era principalmente
di educare. L'istruzione non era allora che una parte,
una continuazione dell'opera educatrice. Ma era una
parte che si riguardava pure come necessaria, impor
tantissima, e secondo i tempi occupava un luogo più
o meno largo in ogni istituzione ecclesiastica e reli
giosa . Nella congregazione beccense, dopo la venuta
dei due grandi italiani che la nobilitarono, anche gli
gli studii presero un impulso che per quel secolo fu
straordinario .
La scuola apertavi da Lanfranco divenne in breve,
come già dicemmo, la più celebre del secolo undecimo
in Francia e in Normandia. Anselmo era venuto a fre
quentarla, circa l'anno 1060 ; ma, senza saperlo, si trovo
chiamato a continuarla. Fino dal principio la sua sma
nia d'imparare non gli dava riposo nè giorno nè notte,
secondo che abbiamo udito da Eadmero, e lo faceva
142 S. ANSELMO DI AOSTA
pendere dal labbro di Lanfranco, mentre la sua innata
cortesia lo moveva a partecipare con ogni affetto agli
altri, che lo interrogavano, le cose imparate. Posto questo
sodo fondamento e primo tirocinio di magistero, ben
presto Lanfranco rimise a lui una parte dell'insegna
mento ; e dovette essere quella che poi Anselmo confes
sava candidamente essergli stata sempre molesta, degli
elementi della grammatica e della « declinazione » 0
spiegazione degli autori. Ma in capo a tre anni, tra
sferito Lanfranco al nuovo monastero di Caen, Anselmo
restò solo, e potè allora imprimere alla scuola beccense
un indirizzo e quasi un'impronta sua propria, che per
fezionò certo quella del primo maestro . Il fatto è che
i frutti crebbero di tanto che nei contemporanei se ne
leggono le grandi meraviglie. L'affetto intenso che il
cuor buono di Anselmo aveva per i suoi alunni, l'ama
bilità che egli usava nell'insegnar loro, la soave com
municativa della sua parola , la famigliarità dolce e
quasi bonaria, che traeva irresistibilmente a lui le menti
e i cuori dei giovani, dovevano senza dubbio conferire
molto all'efficacia della sua scuola. Ma altri vantaggi
pure dovettero essere proprii al metodo in se stesso,
particolarmente alla forma più ampia e più libera del
dialogismo, in cui possiamo vedere con ragione ritratte
al vivo le lezioni del maestro.
A noi lontani di più che otto secoli da quel rigo
glio di cultura nascente, a noi regolati, per non dire
inceppati per ogni parte, dalla convenzione e dal pro .
gramma, è difficile, è impossibile anzi, formare un
concetto giusto di quel che fossero quelle scuole del
secolo XI, la scuola di Anselmo. In quelle scuole il
maestro era tutto, e si moveva con assoluta libertà.
E tuttavia è ben noto che, non ostante questa libertà
individuale dei maestri e la conseguente varietà delle
scuole, il loro programma, il primo programma medie
vale, non usciva da quelle due grandi tracce, del trivio
IX . IL MAESTRO 143
e del quadrivio ; comprendendo il primo grammatica,
retorica o arte del dire, dialettica , o arte del ra
gionare e discutere ; il secondo aritmetica , geometria,
astronomia e musica, ristrette alla scarsa suppellettile
della scienza medievale. Solo più tardi si aggiungeva
a parte la teologia e, con questa connessa, la filosofia ,
le quali talvolta si trovano ridotte, parzialmente, o alla
dialettica o più specialmente alla grammatica, intesa
questa nella generica significazione attribuitale nell'età
di mezzo, di qualsiasi cognizione letteraria anche sacra .
Ora se Anselmo aveva percorso e da fanciullo e
da giovane secolare tutto l'arringo della formazione
letteraria e scientifica del suo tempo, non era certo
avaro del comunicare la sua scienza, come già aveva
mostrato nel secolo ( 1 ). Che se in ciò egli evitava la
ostentazione, questo è proprio del vero sapiente. Certo,
in tale senso, avendogli un suo « amico carissimo » per
nome Avesgoto, ricordato il verso di Persio : « il tuo
sapere è nullo se un altro non sa che tu sai » ; Anselmo
glielo ritorceva graziosamente, mostrandogli al contra
(1) Vedi sopra, capitolo terzo : Il giovane studioso . Que
st'ordine, o programma di studii , seguito da Anselmo , ci è pure
accennato dall'encomiatore degli abbati Beccensi , Pietro, monaco
di Saint-Pierre sur Dive, nel villaggio di Auge in Normandia
(sec . XII) ; il quale scrisse in versi bonarii anche la vita di An
selmo (PETRUS DIVENSIS, Abbatum Beccensium Historia , in Mar
TENII et DURANDII Collectione Vet. Script. et Monum . Tom . VI ,
p . 99 ; v. anche presso il MIGNE, col titolo : Gesta septem abbatum
Beccensium , nel tomo 184, col . 1709 ss . ) :
Qui post decursis aevi puerilibus annis,
Applicatus studiis, imbutus et artibus ipsis,
Primitus at trivio ceu postulat Ordo Scholaris ,
Postea quadrivio , quo quisque stupet popularis,
Summos ipse brevi doctores aequiparavit.
144 S. ANSELMO DI AOSTA
rio , che « il tuo sapere è nullo se un altro sa quale
sia » ; indi soggiungeva: « Quanto a ciò che mi chiedete,
perché la fama di Lanfranco e di Guitmondo voli per
il mondo più della mia, certo è perchè non ogni fiore
olezza di odore pari alla rosa , quantunque rosseggi di
pari colore » ( 1 ). La fuga dell'ostentazione era quindi
in lui dettata dal senso di una squisita modestia, non
suggerita dall'alterigia dell'egoista o dalla svogliatezza
del pigro o dalla ritrosia del timido e del dappoco.
In questa medesima lettera ad Avesgoto noi vediamo
quanto cordialmente egli si scusa di non potere prender
cura di un giovane, dall'amico raccomandatogli ad am
maestrare ; perchè, dice egli, « di uno studio siffatto,
in cui possa profittare quel vostro caro di cui mi scri
vete, io non ho licenza, nè intenzione, nè opportunità,
come l' ebbi un tempo » . Lo studio di cui qui si parla,
vuol essere molto verisimilmente quello già accennato
del declinare ossia commentare e analizzare gli autori,
che apparteneva per l' appunto alla prima gramma
tica. Da esso aveva esordito Anselmo nel suo insegna
mento e duratovi, sinchè i progressi della scuola e le
nuove cure del governo l'ebbero consigliato o costretto
di rimettere questa parte inferiore e piu elementare ad
altri maestri. Cosi, più tardi, vediamo Guido, l'amico
del giovane Lanfranco, preposto da Anselmo, già priore,
alla guida e all'istruzione dei fanciulli del monastero.
Ma ai suoi nuovi ed agli antichi alunni il maestro
non restava d'inculcare lo studio di questa parte, mo
lesta ma necessaria, della formazione letteraria e scien
tifica . Nè solamente intendeva in esso la notizia delle
(1 ) Epist. lib . I, 16 : « Ad id quod mihi dicitur in epistola
vestra : Scire tuum nihil est, nisi te scire hoc sciat alter, respon
deo : Scire meum nihil est, si quale sit hoc, sciat alter. Quod vero
quaeritis cur fama Lanfranci atque Guitmundi plus mea per or
bem volet ; utique quia non quilibet flos pari rosae fragrat odore,
etiamsi non dispari fallat rubore » . 1
IX . IL MAESTRO 145
regole grammaticali, o delle leggi universali del pen
siero, ma la cognizione degli autori classici, anche pro
fani, l'interpretazione e l'analisi dei loro libri, la let
tura assidua e la ripetizione delle cose lette e udite.
Cosi questo studio - e comprendevasi anche sotto il
titolo onorifico di « scienza del declinare » o più sem
plicemente « declinazione » - sebbene fatto empirica
mente e senza la dotta ricercatezza di molte scuole mo
derne, addestrava la mente alla riflessione ed all'analisi,
non meno che al gusto del bello e del buono. Nė però
recava scapito, come segui purtroppo in altri tempi
e più nei nostri, alla gravità e purezza del costume gio
vanile ; poichè su questo punto è facile intenderlo
il maestro era inesorabile : voleva esclusi al tutto
quegli autori e quei passi, in cui apparisse qualsiasi
bruttura, com' egli raccomanda al suo caro Maurizio .
Ma ascoltiamo lui stesso in una di quelle preziose sue
lettere, cosi utili per la cognizione della sua vita intima,
dei suoi metodi e della sua scuola, che egli scriveva
al discepolo, da Lanfranco chiamato in Inghilterra :
« Ho sentito che vai a scuola dal signor Arnolfo .
Se ciò è vero, ne sono contento ; perché, come tu stesso
hai sperimentato in parte, ho sempre desiderato il tuo
profitto, ed ora lo desidero più che mai . Ho sentito pure
che egli è molto valente nella declinazione, e tu sai che
a me fu sempre gravoso il declinare ai fanciulli: e per
ciò so che tu sotto di me hai profittato nella scienza
del declinare meno assai di quello che ti sarebbe con
venuto. Ti esorto dunque e ti prego, e come a figliuolo
carissimo ti comando che tu studii di declinare diligen
tissimamente tutto ciò che avrai udito leggere da lui
ed ogni altro passo che potrai. Nè ti vergognare di stu
diare in questo modo anche quelle cose di cui non credi
aver bisogno, come se ora cominciassi di fresco un tale
studio ; perché con questo e riterrai più sicuramente le
cose che sai , imprimendotele di nuovo con udirle da lui,
10.
146 S. ANSELMO DI AOSTA
e sotto il magistero di lui, se in qualche punto prendi
abbaglio, lo correggerai, e se qualche cosa ignori, la im
parerai . Ma se egli non t'insegna nulla, e ciò è per tua
negligenza, mi dispiace, e voglio che tu faccia quanto
puoi perchè egli ti dia lezioni, particolarmente sopra
Virgilio e sopra altri autori che con me non hai letto,
eccettuati quelli in cui è sentore di qualche bruttezza.
Che se per qualche tuo impedimento non puoi avere
lezioni da lui, almeno studiati di declinare quanti più
puoi di quei libri che hai letto, in tutte quelle ore che
puoi, e con ogni diligenza, come sopra ti ho detto, dal
principio sino alla fine. Fa vedere anche allo stesso no
stro carissimo amico questa lettera, nella quale lo prego
brevemente ma vivamente di volerti bene e mostrarti
quanto io posso stare certo nella sua vera amicizia, e
lo assicuro che quanto farà a te non lo farà ad altri
che al mio cuore. È già infatti da gran tempo che egli
ed io siamo certi della vicendevole amicizia, se egli è
cosi buono da ricordarsi ciò che io non dimenticherò
mai. Salutalo da nostra parte, col maggiore rispetto, e
saluta il signor priore e il mio signor Gondolfo e gli altri
signori e fratelli nostri che sono con te. Addio, figliuolo
mio dolcissimo, e non disprezzare il consiglio di chi ti
ama con affetto di padre. Addio » ( 1 ).
Da questa affettuosa epistola è facile argomentare
i buoni criterii grammaticali e letterarii del maestro, e
conoscerne le ragioni . È innegabile, del resto, che An
selmo aveva famigliari gli autori antichi, li leggeva, li
analizzava e commentava ai suoi scolari, nè rifuggiva
dagli scrittori pagani, nei quali rifulgesse il bello ge
nuino, che è splendore del vero e del buono, che non
offusca nell'anima il candore della bellezza divina.
Ma ben a ragione aborriva da quelli in cui ostenta i
suoi colori chiassosi la bruttezza morale : in quibus ali
( 1 ) Epist. I , 55.
IX . IL MAESTRO 147
qua turpitudo sonat, come scrive egli con frase ener
gica, la quale accenna a negare meritamente il vanto
di vera bellezza artistica, di perfezione letteraria, a co
>
tali scritti, che l'uomo onesto non può lodare come belli,
senza detestarli come turpi.
Allo studio degli autori voleva il maestro che an
dasse congiunto l'esercizio dello stile, come allora di
cevasi, di dettare, ossia scrivere per esercizio di scuola :
il che, secondo l'antico detto dell'oratore romano, era
bene considerato come « punto capitale » di tutta la
istituzione letteraria, sebbene dai più trascurato perchè
gravoso . Ma con quel suo istinto pratico ed educatore,
che abbiamo già veduto, insisteva Anselmo che non
si desse il vantaggio al poetare o verseggiare, quale
usava già nelle scuole del secolo XI ; ma piuttosto
all'esercizio dello scrivere in prosa. E l'avvertimento
è utile, certamente, non meno per la formazione della
mente al gusto letterario, che per quella dell'animo alla
gravità dei propositi e alla praticità dei pensieri. Nel
che pure il nostro monaco valdostano del medio evo
si accordava, senza forse addarsene, con l'oratore ro
mano dell'età antica, a insegnare ma con ben più alto
pensiero, che non « impariamo per la scuola, ma per
la vita » .
Molto significanti per questo rispetto, e assai pra
tiche ci paiono, ad esempio, le lettere ch'egli scriveva,
già arcivescovo, ad Anselmo suo nipote (1 ). Questi, pri
mogenito di Borgondio e di Richera, dai suoi genitori
consecrato a Dio, era venuto con lo zio in Inghilterra,
dove ebbe a superare una lunga e grave infermità ; e
con lui si trovava pure nell'esiglio, a Lione, d'onde
( 1 ) Epist., lib. IV,, 31, 52, 114. – Cf. lib . III, 43, 66 , 67, 77.
148 S. ANSELMO DI AOSTA
Anselmo ne scriveva alla sorella ed al cognato le più
consolanti notizie. Da parecchie lettere di Anselmo ve
diamo quanto egli avesse caro quest'unico rampollo
della sua famiglia, giacchè tutta l'altra figliuolanza di
Richera e di Borgondio si era spenta negli anni teneri
dell'innocenza, come si raccoglie da una lettera di An
selmo alla sorella ed al cognato, dove caramente ne li
consola . In una lettera che inviava dall'esiglio al priore
Ernolfo ed agli altri suoi monaci Cantuariensi, « racco
mando egli scrive — alla vostra carità il mio nipote
Anselmo, come mio sangue, affinché riesca ad imparare
e a custodire il suo tenore di vita » . E intende appunto
della vita religiosa ed esemplare, di cui altrove gli dà
lode, come si disse. Ma, venendo più particolarmente
al punto della formazione letteraria , cosi scriveva al
nepote stesso : « Poichè io ti amo in modo singolare
fra tutti i miei consanguinei, desidero che tu faccia
profitto innanzi a Dio e innanzi a tutti. Perciò ti esorto
e ti comando, come a figliuolo dilettissimo, perché tu
ti studii con sollecitudine di compiere a perfezione quello
per cui ti ho lasciato in Inghilterra, e non passi briciolo
di tempo nell'ozio. Applicati massimamente a declinare
e a conoscere la forza della grammatica ; ed esercitati
maggiormente nella prosa che nei versi. Sopra tutto
custodisci bene i tuoi atti e costumi innanzi agli uomini
e il tuo cuore innanzi a Dio ; affinchè, quando io ti ri
veda, a Dio piacendo , possa rallegrarmi del tuo profitto
e tu della mia allegrezza . Sta bene ; e raccomanda a
Dio il corpo e l'anima tua » ( 1 ).
Il simile ripete in altra lettera, con altri preziosi
avvertimenti , che egli insieme congiunge, e letterarii e
ascetici: fuga dell' ozio, cura del proprio profitto, stu
dio della grammatica, esercizio giornaliero di scrivere
e parlare correttamente : « Avvezzati a dettare ogni
(1) Epist., IV, 31 .
IX . IL MAESTRO 149
giorno, massimamente in prosa ; e non amare troppo
di scrivere difficile, ma in istile piano e ragionevole.
Sempre, salvo che ti costringa la necessità, parla in
latino. Sopra ogni altra cosa sta attento ai buoni co
stumi ed alla gravità. Fuggi la loquacità, perchè l'uomo
profitta più tacendo e ascoltando e riflettendo che cosa
possa imparare dai detti e dalla vita degli altri , che
non mostrando la sua scienza con la verbosità, senza
esservi costretto da necessità » ( 1 ).
Molti vedranno con istupore questo monaco austero
dare tanta importanza agli studii letterarii, ed anche
a quello più elementare dello scrivere correttamente e
con facilità, si che poco maggiore sembra darla allo stu
dio delle virtù. Cosi congiunge egli l'una con l'altra rac
comandazione ; come fa pure in un'altra letterina più
breve, a modo di biglietto, ove torna a dire al « suo
nipote carissimo » ; « Non ho io da ricordare la mia
affezione e la mia cura per te, giacchè la natura stessa
te ne persuade per me. Ti esorto, ti ammonisco, ti co
mando di attendere ai buoni costumi ed alla scienza,
e che dopo la grazia di Dio, ti ingegni quanto puoi, di
profittare in meglio, restandoti ora dove sei, finchè io
con la disposizione di Dio ordini altrimenti >> ( 2).
Ma non si stupiranno di queste calde raccomanda
zioni quanti conoscono come per Anselmo, e general
mente per quegli spregiati monaci del medio evo, lo
studio era parte di educazione religiosa ; era anzi, nel
suo intento precipuo, scala di orazione, cioè di eleva
zione della mente in Dio, non meno che strumento
di benemerenze a pro della società civile e religiosa.
Fra tali benemerenze è quella della conservazione dei
( 1 ) Ivi , 114 . (2) Ivi , 52 .
150 S. ANSELMO DI AOSTA
capilavori dell'antichità, scientifici e letterarii, e della
trascrizione dei manoscritti.
Ora veggasi, a modo di esempio, con quale criterio
indirizzava Anselmo i suoi alunni anche in questo la
voro. Egli chiedeva al suo Maurizio l'Aforismo di Ippo
crate con le glosse, e un'altra opera di medicina sui
Polsi, ch'egli, del resto, mostra già di conoscere e che
verisimilmente consultava per le pronte cure da lui
solite usarsi verso i suoi fratelli infermi, e dai suoi
biografi tanto esaltate, come udimmo altrove: « Se
puoi scrivere tutte le glosse dell'Aforismo, ne ho pia
cere ; se no, ti avverto di non lasciare indietro i nomi
greci o inusitati che vi sono. Ma quel tempo che tu
deliberi di prendere nel trascrivere il libretto intorno
ai Polsi, amo meglio che tu lo impieghi a finire bene
tutto quello che sta nell’Aforismo. Perchè la scienza
del libretto stesso non è utile se non a quelli che se
ne occupano con uso frequentissimo e diligentissimo.
Che se dopo l'Aforismo puoi fare qualche cosa anche
di questo , lo ricevo volentieri. Ma per l'uno e per l'al
tro ti avverto principalmente che quanto avrai fatto
sia corretto con uno studio e una squisitezza tale da
essere degno che si dica perfetto. Poichè io preferisco
di uno scritto sconosciuto e inusitato una sola parte
intera ma conforme a verità, che il tutto guasto da
falsità » ( 1 ). Uno studioso moderno di edizioni critiche
potrebbe forse parlare troppo diversamente da questo
monaco del secolo undecimo ?
Ma lo studio delle lettere e degli autori profani, è
troppo evidente che non poteva esser fine : era solo
un mezzo al santo maestro. Nè egli perciò l'additava
(1) Ivi I , 51 .
IX . IL MAESTRO 151
quasi meta, ma quale passo o via di transizione ad una
più alta e più degna cultura : a quella delle scienze sa
cre. Fra esse primeggiava lo studio dei libri santi, e
come a questo egli applicò l'animo con intensa fede e
con vivo ardore fino dagli inizi della sua vita religiosa,
secondo che già udimmo dal suo biografo Eadmero ;
cosi vi spronava e vi guidava gli altri con un indirizzo
più che mai pratico ed efficace. Nè ciò costumava egli
solo coi suoi monaci, ma con quelli altresi di altre con
gregazioni o monasteri, ai quali usava recarsi, invita
tovi a gara dagli abbati , per tenervi conferenze e ragio
namenti di spirito .
E anche di questo recheremo un esempio che viene
a confermare per altra via le notizie generali del bio
grafo, ed è quello che narra di sé Guiberto, allora gio
vine monacello del monastero flaviacense di S. Germero
(Flavigny) presso Beauvais, e poi colto abbate di No
vigento (Nogent sur Coucy) nella diocesi di Laon ( 1 ).
Questi, d'ingegno svegliatissimo, di temperamento gra
cile, di fantasia briosa e vivacissima ma sbrigliata, erasi
tuffato disordinatamente nella lettera degli autori pro
fani, e nominatamente dei poeti, senza discernimento al
cuno, e riportatone nuovi stravolgimenti d'immagina
zione e altri più gravi danni intellettuali e morali.
Anselmo che « prima di essere abbate e di poi, veniva
famigliarmente, in grazia della sua religiosità e dottrina,
al monastero Flaviacense » , pose ben tosto gli occhi in
quel giovinetto intelligente ma irrequieto; e, come narra
lo stesso Guiberto, con tanta benignità e diligenza si
pose ad istruirlo, e con tanta insistenza vi lavorava
intorno, come se Guiberto solo fosse stato la cagione
unica e singolare delle sue frequenti visite al monastero.
Al primo aprirglisi che fece quel giovine cuore, conobbe
(1) GUIBERT. DE NOVIGENTO , De vita sua, I, c . 16. MIGNE ,
Patr. lat. CLVI , 874 .
152 S. ANSELMO DI AOSTA
egli bene che a Guiberto occorreva ben altro che lo
studiare i poeti: lo avviò dunque allo studio della Scrit
tura santa, ma ad uno studio profondo e pratico dietro
i passi di S. Gregorio Magno; glie ne venne schiudendo
il senso molteplice, letterale, allegorico, morale e ana
gogico ; infine gli dette lume ed impulso a valersi di tutte
le altre sue cognizioni antecedenti, degli studii stessi
letterarii e filosofici per la migliore intelligenza, inter
pretazione ed esposizione della Scrittura divina. Tolti,
ad esempio, alcuni capitoli dell'evangelio, mostrava egli
come dividerli, analizzarli, dichiararli, e li commentava
quindi in modo razionale, conforme alle regole ed ai
principii di una sana filosofia . Con ciò addestrava pra
ticamente il discepolo al metodo arduo di applicare da
sè le leggi della logica, del pensiero umano general
mente, all'interpretazione della parola divina. Onde il
buon monaco riconosceva poi che « in questi studii
aveva egli avuto a suo maestro precipuo l ' abbate
Beccense, oriundo delle parti transalpine, cioè dalla
regione Augustana, uomo incomparabile negli insegna
menti e nella vita santissimo » . Quindi, continua Gui
berto : « Io presi di poi ad emulare i sentimenti di lui
con altri commenti simili , per quanto poteva » . E frutto
di questi sforzi che egli continuò poi sempre, ma con
'maggiore libertà quando divenne abbate di Nogent, fu
rono i suoi commentarii sopra la Scrittura, dove egli
con le sue proprie ritrasse pure diverse qualità e non
poche idee del suo amato maestro ( 1 ).
Nè solamente aiutava di consiglio i monaci, ma fa
voriva anche di libri i monasteri diversi ; sebbene in
ciò la carità del religioso vinceva certo lo zelo del mae.
(1) Cf. RAGEY , Histoire de St. Anselme, vol. I , p . 129 ss .
IX . IL MAESTRO 153
stro. E vi fu una volta che qualcuno dei suoi alunni,
male interpetrando la mente del maestro, richiese in
dietro al monaco Rodolfo i libri imprestatigli e forse
troppo lungamente ritenuti, con parole tali da dargli a
intendere che mai più non dovesse sperare simili pre
stiti in avvenire : durezza alienissima dal troppo buon
cuore di Anselmo. Non si può dire quanto ne andassero
mortificati Rodolfo ed i suoi confratelli, i quali si affretta
rono a restituire i libri e a porgere le loro scuse ad
Anselmo. Ma egli ne restò ben più afflitto di loro, quando
intese dall'abbaglio, e ne scrisse tosto per dissiparlo, al
« signore e dolcissimo fratello, don Rodolfo » una let
tera riboccante di tutta la cordialità e dolcezza del suo
buon cuore. In essa egli esprime tutta la « pietosa com
passione e la tristezza penosissima » che lo trafisse per
quel fatto ; e soggiunge : « Assolutamente non può sof
frire l'animo mio, affezionatissimo a voi e agli altri si
gnori nostri dilettissimi della congregazione vostra , anzi
come più volentieri dico, se vi contentate della
congregazione nostra, assolutamente, ripeto, non può sof
frire che abbiate anche solo il sospetto essere mai uscito
dalla mia bocca che non vi presteremo più i nostri li
bri.... Anche la lettera che vi fu mandata per la resti
tuzione dei libri, né io comandai che fosse fatta a quel
modo, nè ho saputo che fosse stata cosi scritta, se non
quando me lo riferirono quelli che riportarono i libri....
Volentieri dunque vi manderemo, quando li richiede
rete, quali siano i libri o piuttosto le cose tutte che noi
abbiamo : e quelli che voi avete dei nostri libri, ve li
lasceremo finchè ne avete bisogno
Cosi egli ; e di qui noi vediamo abbastanza quale
scambio di libri si facesse tra quegli studiosi e quelle bi
blioteche nascenti del secolo XI. Ma altri cenni ne occor
rono ancora nell' epistolario di Anselmo. Cosi l'abate
Durando scrive ad Anselmo e gli richiede, in segno di
154 S. ANSELMO DI AOSTA
fraternità, le epistole di S. Paolo ( 1 ). Anselmo riscrive allo
stesso monaco Rodolfo, e lo prega in nome del « reve
rendo priore Helgoto » , loro comune amico, a trascriver
gli con le note musicali l' antifonario, cosa che l'amico
riconosce bene essere di qualche fatica (2) : risponde a
Giovanni e a Bosone, desolati perchè credevano di aver
gli smarrito certi quaderni importanti ; li consola e loro
promette anche gli scritti di musica, prestati al mona
stero di Caen : « Quanto alla musica che dimandate, la
ridomanderemo dal priore Cadomense, a cui l' abbiamo
imprestata, e ve la manderemo al più presto che po
tremo » (3). Da questi e da altri non pochi cenni sparsi
quasi a caso, ma tanto più significanti, noi raccogliamo
la vivace operosità del maestro e dentro e fuori i limiti
del suo monastero ; massimamente il suo zelo per la
trascrizione, la diffusione e lo studio degli scritti antichi,
fino a quelli di liturgia e di musica , che in quel secolo
undecimo, di ritorno alle melodie gregoriane, massime
nei cenobii dell'ordine benedittino, avevano grande im
portanza artistica e scientifica non meno che religiosa.
Il merito più proprio, nondimeno, e più celebrato
nell'insegnamento di Anselmo fu lo studio del dogma
e dei suoi fondamenti, della credibilità della fede e
dei suoi misteri, e con ciò l'applicazione della filosofia
alla dottrina sacra per eccellenza , alla teologia. Questo
merito gli guadagnò appunto il titolo di fondatore, o
precursore, della Scolastica. E di ciò dobbiamo pur dire
qualche cosa, in quanto lo consente l'indole del nostro
lavoro .
( 1 ) Epist., I , 61 . ( 2) Ivi , I , 21 . (3) Ivi , II, 50.
CAPITOLO DECIMO .
II Precursore .
La Allosofia vera e la falsa nel secolo XI ; atteggiamento di Anselmo contro gli
abusi e i traviamenti dei filosofi contemporanei . Disposizioni morali
e intellettuali , da lui richieste come previe allo studio della sapienza :
predominio della ragione sopra il senso e la immaginazione. – Umiltà
intellettuale e fermezza dottrinale nella polemica. Arditezza e origi
nalità di Anselmo come filosofo ; suo doppio intento ; diverso , rispetto
agli infedeli ed ai credenti . L'intelligenza della fede e sua coerenza
con l'incomprensibilità del mistero nella dottrina anselmiana. Metodo
scolastico nell'insegnamento ; esercizio di dialettica , ordine e passaggio
dall'analisi alla sintesi ecc. Varietà delle opere di Anselmo, senza
stretta unità di sistema scientifico ; suo merito proprio , rispetto alla sco
lastica, di esserne stato il precursore.
Quando nel suo linguaggio enfatico lo storico nor
manno ci dice che Anselmo « era entrato nella terra di
promissione – la solitudine del Bec – carico delle spo
glie degli Egiziani, cioè dire della secolare erudizione
dei filosofi » non esprime solo un fatto ; esprime un giu
dizio. E il giudizio era comune a quell'età, che riguar
dava la filosofia come una cosa profana, una spoglia di
egiziani, un'arma tolta agli avversarii. La filosofia
vera non era la speculativa ; era la pratica, era la
vita perfetta , quella del monaco segnatamente. Questo
concetto, in ciò che ha di vero e di profondo, anzi il
nome stesso di filosofia applicato alla conversazione del
solitario e del cenobita, non era nuovo : noi lo troviamo
già comune fra i padri orientali , e frequentissimo nel
Grisostomo. Ma nell'età di Anselmo tutta di fede, più
che di speculazione scientifica, questo sentimento che
156 S. ANSELMO DI AOSTA
aveva penetrato profondamente gli animi cristiani, ve
niva talvolta esagerato o frainteso fino alla esclusione
e alla condanna della filosofia speculativa, massime alla
vista delle contraddizioni pratiche di una filosofia su
perba. Senza andare a questo eccesso, un contempora
neo di Anselmo, Ildeberto di Tours, nell'anno 1100, scri
veva a Guglielmo di Champeaux, il famoso filosofo del
realismo esagerato, e che fu, secondo alcuni, discepolo
di Anselmo ( 1 ), quando rinunziata la sua carica in Parigi,
si ritirò fra i canonici regolari di S. Vittore : « Della tua
conversazione, si rallegra ed esulta l'anima mia, rin
graziandone colui del quale è un dono questo, che tu
hai cominciato, ora finalmente, a filosofare ; poichè finora
non avevi sapore di filosofo, mentre dalla scienza ac
quistata dai filosofi non attingevi per te grazia di co
stumi » (2). E quando, non molti anni dopo, Abelardo,
discepolo di Guglielmo, condannato dal sinodo di Sens,
ritirossi a Cluny , si ebbe somiglianti congratulazioni da
Pietro il Venerabile, che n'era abbate. Nè diverso era
il sentimento del grande « chierico » lombardo, di Lan
franco, quando si faceva piccolo innanzi al pio « laico »
Erluino e gli si dava per discepolo.
Nè altro quello di Anselmo stesso, quando già ad
dottrinato nella scienza del suo secolo, preferiva a tutte
le altre la congregazione del Bec, perchè quivi la so
praeminente prudenza del maestro avrebbe offuscato
quella del discepolo e toltagli ogni occasione di com
parsa e di gloria.
Anselmo, tuttavia, come i grandi uomini dell'età
sua, era lontanissimo dal disprezzare la secolare erudi
( 1) Anche il CANTÙ (Storia Universale, t . VI, lib . XI , lib . XI,
cap . XXVI) chiama Guglielmo di Champeaux e Anselmo di Laon 1
« scolari di S. Anselmo » . Se ciò è vero che accertato non è -
Guglielmo si sarebbe di poi allontanato non poco dalla dottrina
del maestro , nella questione degli Universali particolarmente.
(2) HILDEB . Opera (ed. BEAUGENDRE ), ep . I.
X. IL PRECURSORE 157
zione dei filosofi in se stessa, quantunque ne parli tal
volta con minore stima di fronte ai frequenti abusi che
ne vedeva farsi, e per rispetto alla importanza ben
altrimenti maggiore che a ragione egli attribuiva alla
scienza sacra e più alla pratica filosofia della vita vir
tuosa. Voleva egli bene che quella non fosse anteposta,
molto meno disgiunta o contrapposta a questa ; come
troppe volte accadeva anche in quei secoli di fede, come
accadde tra i contemporanei stessi di Anselmo, a Be
rengario, a Roscellino ed ai loro seguaci , come nell'età
susseguente ad Abelardo, e poi ad Amalrico, a Davide
di Dinant e a tutta la schiera più tardiva degli Aver
roisti .
Contro un simile abuso, che travolse la ragione e
la scienza umana per volerla innalzare su la divina,
insorgeva l'uomo di fede e con tutte le sue forze pro
testava il maestro religioso ; mentre, come a preambolo
della maggiore fra le sue opere teologiche, cosi a fon
damento e a principio della sua scuola doveva mettere
il debito di prevenire il pericolo. E ciò faceva col « re
primere la presunzione di coloro che con nefanda te
merità osano disputare contro qualcuna di quelle cose
che la fede cristiana confessa , perchè non la possono
afferrare con l'intelletto, e piuttosto con una superbia
insipiente giudicano non potere essere in modo alcuno
quello che non arrivano a capire, anzichè confessare
con umile sapienza potersi dare molte cose che essi
non arrivano a comprendere. Poichè nessun cristiano
soggiungeva egli — deve disputare come non esista
ciò che la Chiesa cattolica crede col cuore e confessa
con la bocca ; ma sempre ritenendo la stessa fede in
dubitatamente, amandola e vivendo secondo essa, deve
cercare umilmente, in quanto può, la ragione come esi
sta. Se può capire, renda grazie a Dio ; se non può, non
vi metta le corna per cozzare, ma chini la testa per
venerare. Perchè più presto l'umana sapienza confidando
158 S. ANSELMO DI AOSTA
in se potrebbe, cozzandovi, rompersi le corna, che non
puntandovi con forza, svellere questa pietra » .
Cosi egli, e di ciò che scriveva, egli mostrava gli
effetti nelle aberrazioni dei contemporanei che la storia
ricorda e che si rinnovano di secolo in secolo da quelli i
quali, secondo la grafica descrizione di lui, « appena
hanno incominciato quasi a mettere fuori le corna di una
scienza presuntuosa di sė, prima che abbiano messo le
ali spirituali mediante la sodezza della fede, sogliono
levarsi con presunzione alle questioni più alte della fede.
Onde avviene che mentre sregolatamente si sforzano di
ascendere innanzi tempo per via dell'intelligenza, per
difetto dell'intelligenza stessa siano portati a discen
dere in multiformi errori » . Il caso di costoro che di
sputano contro la verità della fede, confermata dai santi
Padri, era senz'altro paragonato da Anselmo a quello di
pipistrelli e civette che non vedono il cielo se non di
notte, e che pure osassero discutere sui raggi del sole in
pieno meriggio contro le aquile che si affissano in quegli
splendori senza battere ciglia » ( 1 ).
Quindi richiedeva egli anzitutto, per lo studio della
sapienza , disposizioni previe, altre morali ed altre in
tellettuali : nel che si allontana, da una parte e per im
menso tratto, dai dialettici puri e molto più dai dialet
tici ereticali, com'egli li chiama, quale fu Roscellino ; e
per altro lato si accosta, senza confondersi in tutto, ai
puri mistici e asceti, quale era stato di preferenza un
altro italiano, quasi contemporaneo, S. Pier Damiani,
l'intrepido cooperatore e l'amico d'Ildebrando (dal 1006
al 1072). È noto, del resto, che gli stessi filosofi antichi,
come Socrate, Platone, Aristotile, ricercavano anche, per
(1) De fide Trinitatis, praefatio ; cap . I,
X. IL PRECURSORE 159
lo studio della sapienza, disposizioni morali, che quasi
condizionassero lo spirito a sollevarsi dalla materia. E i
filosofi cristiani, come S. Agostino e tutta la schiera
dei padri, ben volentieri riconoscevano quel barlume
di verità che lampeggiò in questo alla mente dei filo
sofi, ma non avevano bisogno di allegare la costoro
autorità dove parla cosi insistente la voce della ragione
e della fede. Se dunque all'autorità dei filosofi non ri
corre il dottore di Aosta, su questo punto, ma a quella
della sapienza rivelata, della Scrittura ee dei padri, non
perciò dovrà attribuirsi alla dottrina di lui od al suo
indirizzo, il carattere esclusivamente mistico e la man
canza di ogni distinzione tra l'oggetto della fede e quello
della filosofia, che sarebbe quanto dire, nel linguaggio
moderno, la negazione di ogni valore scientifico .
Le disposizioni morali su cui insisteva il maestro
del Bec, sono quelle che concorrono a formare la buona
coscienza, la gravità dei costumi ; le disposizioni intel
lettuali, quelle che danno la gravità del senno col pre
dominio della ragione sopra l'immaginazione fallace.
Chi delle une o dell'altre è manchevole, cioè « non ha
acquistato gravità di costumi e di senno » - proclamava
egli aperto - opera temerariamente se s'immerge nelle
intricate questioni delle cose divine e rischia « discor
rendo con incauta leggerezza per i rigiri molteplici dei
sofismi di dare nel laccio di qualche tenace falsità » ( 1 ).
E ciò intende Anselmo segnatamente delle questioni della
Scrittura sacra, ma anche più generalmente di tutte le
questioni di ordine spirituale. Cosi dalla discussione
di questioni siffatte, egli voleva nel modo più risoluto,
allontanati i dialettici ereticali del suo tempo, e ne as
segnava questo motivo appunto, che tocca le dispo
sizioni intellettuali e morali ad un tempo : perché
<<
nelle loro anime la ragione che deve essere principe e
(1 ) De fide Trin . praefatio .
160 S. ANSELMO DI AOSTA
giudice di quante cose sono nell' uomo, si trova cosi
involta nelle immaginazioni corporali , che da queste non
>
può distrigarsi, nè vale a sceverare da queste stesse le
cose che ella sola e pura deve contemplare » ( 1 ).
Questo dominio della ragione sopra le illusioni della
immaginazione - onde la potenza vigorosa dell'astrarre,
dello speculare e del raziocinare metodicamente – fu
per la rinascente filosofia il forte impulso delle ricerche,
degli studii e delle costruzioni scientifiche, da cui sorse
il grande edifizio della scolastica. Per questo la sco
lastica giunse, indi a meno di due secoli, al suo colmo
con la Somma del dottore di Aquino che ne fu il prin
cipe, come Anselmo il precursore . E quando questo
venne mancando a poco a poco, la filosofia fatta serva
dell'immaginazione, declinò rapidamente e trascino seco
nel traviamento la teologia speculativa. Allora si andò
fino a pretendere di non ammettere se non ciò che può
essere afferrato dal senso o dalla fantasia adombrato :
fu questa la morte della speculazione razionale, e si
chiamò progresso .
Infatti, per uno dei soliti paradossi o strani feno
meni della psicologia umana, l'orgoglio intellettuale è
anche il naturale compagno di questa servilità della
ragione all'immaginazione ed al senso, com'è il costante
pedissequo dell'ignoranza e dell'errore .
Da esso pertanto il saggio maestro del Bec pre
muniva, a ragione, i discepoli, e con la parola e con
l'esempio. Egli insegnava loro quell'umiltà intellettuale,
quella modestia scientifica, che non è solo virtù, ma
fiore insieme e frutto di scienza vera . Di questa mo
destia spirano fragranza le trattazioni tutte dello scrit
( 1) Ivi , c. I.
X. IL PRECURSORE 161
tore, come dovevano spirare le lezioni del maestro, di
cui quelle sono l'eco lontana. E similmente le lettere
ne portano le tracce, quelle lettere, ad esempio, ove egli
parla del suo Monologio ( 1 ). Bisogna leggere con quale
schiettezza e quasi timidità egli l'invia al suo maestro
Lanfranco. « Se a voi piacerà..... da voi abbia il titolo,
avendone l'approvazione; e per mano vostra si dia a
don Maurizio, vostro servo e mio diletto fratello e con
servitore, il quale è uno di quelli per cui instanza sopra
tutto l'ho composto. Ma se diversamente piacerà al
l'esame vostro, la copia che vi mando non si renda nė
a me, nè al detto fratello, ma venga tolta di mezzo, 7
sia da qualche elemento rovinata o gettata nell'acqua
o bruciata o lacerata. E qualunque sia il giudizio che
a voi piacerà meglio, vi prego di farmelo noto in qual
che modo ; affinché la copia, che ho ritenuto, non ab
bia altra sorte da quella che ho inviato » . Cosi Anselmo ;
e al suo Maurizio notificava pure : « Lo scritto che ho
composto a istanza tua e di alcuni altri fratelli e che
tu mi preghi di dovere trasmettere a te, lo mando, per
mano di don Roberto da esaminare all'arcivescovo no
stro signore e padre, e con lettera lo prego che, se non
ordinerà che si debba distruggere, renda a te la copia
che riceve >
Passato poi il libro, non senza qualche difficoltà ,
alla revisione di Lanfranco, Anselmo scriveva al mae
stro un'altra umilissima lettera , protestandosi « grato
della paterna ammonizione » ; e un altra del pari
umilissima ne scriveva all'abbate Rainaldo, che molto
da lontano gli mandava chiedendo « quell' opuscolo » .
A lui Anselmo spiegava più particolarmente qualche
espressione che poteva essere fraintesa, lo pregava di
non mostrare l'opuscolo « a uomini ciarlieri e litigiosi ;
ma a' ragionevoli e quieti » ; che se alcuno di questi mo
( 1 ) Epist. I, 63, 65 ; cf. ep. 68, 74 ; IV , 102.
11 .
162 S. ANSELMO DI AOSTA
vesse opposizione la quale paresse degna di risposta,
gliela facesse conoscere per lettere sue o dell'opposi
tore ; affinché -
dice egli bene « serbato dall' una
parte e dall'altra la pace della carità e l'amore della
verità, o io sia corretto dalla critica di lui o egli dalla
mia risposta » .
Di simile modestia vediamo pure un esempio nella
polemica di Anselmo col monaco Gaunilone, a propo
sito dell'altra operetta che poi intitolò Proslogio, e della
celebre argomentazione in essa allegata per dimostrare
la esistenza e gli attributi divini . Che se in un altro suo
trattato più teologico e più polemico, intorno alla fede
della Trinità ed alla Incarnazione del Verbo, usò pa
role ben forti e vibrate contro i suoi avversarii « ere .
ticamente dialettici » e massime contro quel « certo chie
rico di Francia » che era il canonico Roscelino di
Compiègnes, ciò fu perchè essi abusavano appunto del
l'apparenza della dialettica ad oscurare le verità della
fede e della vanità della loro fama usurpata a sedurre
le anime deboli.
Del resto, non impugna egli la persona, ma l'er
rore, e fino dal principio ci dichiara : Se quel tale
che ha profferito la sentenza ereticale, è tornato alla
verità per la correzione divina, non creda punto che
io in questa lettera parli contro di lui , perchè egli
non è più quegli che era. Se prima era tenebre, ora è
luce ; e non occorre riprovare le tenebre che più non
sono, ma si approvare la luce che risplende » . Ed an
che in questa battaglia di idee la modestia del dotto
si congiunge alla fermezza del credente, e gli strappa
questa bella dichiarazione, che fa onore all'una e al
l'altra : « Prego che nessuno pensi aver io presunto
tanto, quasi che credessi la fortezza della fede cristiana
abbisognare dell'aiuto della mia difesa. Perchè se io,
omiciattolo spregevole, mentre esistono tanti uomini
santi e sapienti, tentassi scrivere qualche cosa per con
X. IL PRECURSORE 163
fermare la solidità della fede cristiana, come se questa
abbisognasse della mia difesa, potrei sembrare certa
mente presuntuoso e ridicolo. Cosi , se gli uomini mi ve
dessero carico di pali e di funi e simili arnesi con cui si
usano legare e raffermare le cose vacillanti, affannarmi
intorno al monte Olimpo, per assodarlo si che non va
cillasse nè diroccasse per la spinta di qualcuno ; sa
rebbe meraviglia se si rattenessero dal ridere e dal
deridermi. Quanto più, se io mi facessi a voler puntel
lare con le mie ragioni e assodare, quasi fosse vacil
tante, quel monte grande che ha riempito la terra, tanti
uomini santi e sapienti che godono di trovarsi bene as
sodati sopra la eterna sua fermezza, possono indegnarsi
con me, e attribuire il mio sforzo non a serietà di stu
dio, ma a leggerezza boriosa » ( 1 ).
Da siffatte disposizioni e criterii intellettuali e mo
rali parrebbe che Anselmo avesse dovuto sentirsi ri
tratto dalle audacie delle analisi, dalla sottigliezza delle
ricerche, dai voti della speculazione. E non fu cosi. Nė
diremo noi troppo generalmente che Anselmo si con
trapponesse per la sua arditezza e originalità al mae
stro Lanfranco, rattenuto ancora dai pregiudizi dell'età
di mezzo in un'ingiusta diffidenza verso la filosofia. Di
questi pregiudizi non troviamo la prova cosi manifesta ,
come ad altri pare, nella sentenza del maestro di An
selmo, il quale con l'Apostolo « non vitupera l'arte di
disputare, ma l'uso perverso dei disputanti » , cioè dei
dialettici, e teme a ragione che con questa « filosofia,
cioè dialettica e vuota fallacia , conforme alla tradizione
degli uomini , quale un Aristotile » , possa taluno ingan
nare od essere facilmente ingannato, quando non prenda
(1) De Fide Trinitatis, cap . I.
164 S. ANSELMO DI AOSTA
altra guida nello studio dei misteri divini, come succe
deva a Berengario ed ai suoi. Molto più ci pare futile
il conchiudere tragicamente che « per lui ( Lanfranco)
come per molti padri della Chiesa, Aristotile fosse il
nemico » ( 1 ). Non un nemico era lo Stagirita, ma un
filosofo della ragione che doveva rimanere al suo po
sto, non essere collocato sul piedestallo divino, nè fatto
giudice della parola rivelata, nè maestro della fede.
Ma pure ammesso che Lanfranco, nonchè avere la
filosofia in quella diffidenza che altri vuole, ne usasse
anzi vigorosamente a ribattere gli assalti degli eretici,
è certo tuttavia che per l'indole sua propria e dei tempi
andava in ciò ritenuto, e quasi solo astrettovi dall'in
tento polemico. Il discepolo fu meglio ardito, e si spinse
assai più avanti del maestro : volle usata la filosofia e
applicato tutto il nerbo della ragione allo studio della
fede non solo per l'intento polemico, ma altresi per l'in
tento apologetico e positivo : prima cioè a confutare
l'insipienza e a fiaccare la durezza dei non credenti,
indi a pascere e a confortare i credenti (2). Quanto ai
non credenti, Anselmo insegnava bene che « la nostra
fede si vuole difendere per via di ragione » , ma non
già per discutere con essi la profondità della nostra
fede, ma per mostrarne la ragionevolezza del nostro
credere, e quindi l'irragionevolezza e la colpa della
loro incredulità, o come si esprime il dottore, « si deve
mostrare ad essi ragionevolmente quanto essi ci disprez
zano irragionevolmente » .
Ma poichè contro di essi non era la lotta giorna
liera, com'è ai tempi nostri, non fa meraviglia che il
( 1) RAGEY, Histoire de St. Anselme, vol. 1 , p . 114 ss .
(2) De fide Trinitatis, praefatio. Quivi S. Anselmo presup
pone per indubitato che la ratio fidei deve servire : 1) ad confu
tandam insipientiam et frangendam duritiam infidelium ; 2) et ad
pascendum eos qui, iam corde mundato, eiusdem fidei ratione (quam
post eius certitudinem debemus esurire) delectantur.
X. IL PRECURSORE 165
maestro non si fermasse nella dimostrazione di quelli
che noi chiamiamo preamboli della fede, come dei mo
tivi di credibilità e dell'obbligo di credere ; anzi nep
pure segua recisa e nitida la distinzione tra il concetto
di essa fede e quello della ragione o della filosofia, tra
l'ambito e l'oggetto proprio dell'una e quello dell'altra .
Nè però li confonde insieme, perchè non sente il
bisogno di fare distinzioni scolastiche fra loro, e molto
meno di separarli. Egli presuppone sempre l'impossibi
lità della opposizione fra la ragione e la fede, come
una verità fondamentale e indiscutibile tra i fedeli.
Quindi segue che contro di essi la fede non si vuole
difendere per via di ragione, essendo già fondata so
pra un motivo ben più alto e più infallibile : l'autorità
della parola divina. « Questa - secondo che Anselmo in
-
segna della Scrittura sacra contiene in sé, almeno
implicito, il seme di quanto noi predichiamo di utile
alla salute spirituale. Essa come non osteggia nessuna
verità, cosi non favoreggia nessun errore. Se dunque
una verità si deduce apertamente dalla ragione, e la
Scrittura non vi contraddice in nessuna parte, per ciò
stesso che essa non nega ciò che dalla ragione si af
ferma, la verità si ammette per l'autorità di lei . Ma
se essa ripugna indubitatamente al nostro sentire, ben
chè la nostra ragione sembri a noi inespugnabile, è da
credere che non è fondata punto nella verità . Cosi dun
que la Scrittura sacra contiene l'autorità di ogni verità
che la ragione deduce, quando essa o apertamente l'af
ferma o in nessun modo la nega » ( 1 ).
(1 ) De concordia praescientiae Dei cum libero arbitrio, capi
tolo VI (al . XVI). - MiGNE , CLVIII , 528 .
166 S. ANSELMO DI AOSTA
Ma se nel credente non occorre difendere, anzi è
da presupporre, come fondamento incrollabile, la fede;
conviene tuttavia che della fede si conosca sempre me
glio l'indole e l'oggetto, la conformità e la trascendenza
rispetto alla ragione: che insomma vi segua l'intelli
genza : intellectus fidei. Questa è condizione naturale
della mente umana, quantunque sia l'intelligenza par
ziale in questa vita e quasi framezzata tra le oscurità
della fede e gli splendori della visione : « Come il retto
ordine esige, dice Anselmo, che noi crediamo la pro
fondità della fede cristiana, prima che presumiamo di
scuterle con la ragione, cosi pare a me negligenza, se
dopo che siamo confermati nella fede, non ci studiamo
d'intendere ciò che crediamo » (1 ).
Questo intendimento che la fede cerca secondo il
dottore di Aosta importa primieramente la conoscenza
di quali siano le verità che noi crediamo, cioè del con
tenuto della fede, e più generalmente dell'esistenza del
dogma, o vogliamo dire della dottrina cristiana, di tutto
l'insegnamento della Chiesa. Nè su ciò può sorgere dif
ficoltà . Ma Anselmo intende qualche cosa di più : l'in
ternarsi quasi nella sostanza stessa del dogma, scru
tarne la natura, ricercarne le ragioni altissime in quanto
può e tentarne in qualche modo (aliquatenus) una certa
spiegazione. Quindi egli intitolò su le prime il suo Mo
nologio « esempio di meditazione intorno alla ragione
della fede » e il Proslogio « la fede che cerca d'inten
dere » (2). Anzi talora va fino a parlare di ragioni ne
( 1 ) Cur Deus homo, cap . II .
(2) Proslog. , proem . « Unicuique suum dedi titulum , ut prius
exemplum meditandi de ratione fidei, et sequens fides quaerens in
tellectum diceretur.
X. IL PRECURSORE 167
cessarie, e tali che prescindendo dalla rivelazione ap
paiono dimostrative. Il che non farebbe difficoltà per
quell'ordine di verità rivelate, che la ragione umana
può con le forze naturali conoscere in qualche modo,
come l'esistenza di Dio e dei divini attributi, dalla con
siderazione della creazione visibile. Ma trattandosi di
misteri propriamente detti, come della Trinità e del
l’Incarnazione, è un assurdo pretendere di dimostrarli
con prove razionali necessarie in vero e proprio senso,
per chi ne ammette la incomprensibilità.
Ora la incomprensibilità del mistero propriamente
tale è, fuori d'ogni dubbio, fortemente inculcata nella
dottrina anselmiana, e perciò la necessità delle ragioni
2
non tocca punto il nodo intimo del mistero (quomodo
sit), ma al più la sola esistenza di esso. E anche in que
sto caso, non vuol essere necessità assoluta di evidenza
della verità, ma di congruenza somma, di evidenza della
credibilità, poiché tutto il ragionare del teologo muove
sempre dal fatto soprannaturale della rivelazione e
della fede, come tutto l'investigare del fisico muove
dai fatti esteriori, e quello dello psicologo dai fatti in
teriori, che l'uno e l'altro presuppone e l'uno e l'altro
cerca di spiegare nelle loro leggi, non già nella recondita
loro essenza o nei loro modi più intimi che sfuggono
all'osservazione.
Cosi Anselmo non presume di spiegare o dimo
strare il mistero, ma di coglierne il senso in quanto
può, e le divine armonie, di cui egli sente bene che
non giunge all'anima viatrice se non un' eco lontana :
« Non tento, o Signore, - cosi esclama egli in quella
sua alta introduzione al Proslogio non tento di pe
netrare la tua altezza ; perchè in nessun modo oso met
terle al paragone la mia intelligenza ; ma desidero di
conoscere in qualche modo la tua verità, cui il mio
cuore crede e ama. Nè cerco io, infatti, di intendere
per credere, ma credo per intendere. Anzi , questo me
168 S. ANSELMO DI AOSTA
desimo io credo, che non intenderei se non credessi » ( 1 ).
E vi è di più, che per Anselmo lo studio e l'insegna
mento è meditazione, e l'investigazione è soliloquio
dell'anima (monologio) o meglio anche, colloquio con
Dio ( proslogio ): come tale, richiede una illustrazione
interna, l'illuminazione soprannaturale della grazia, e
per questa illustrazione diviene una specie di rivelazione
o di ispirazione superna (2).
Benchè dunque Anselmo non mostri ancora quel
rigore di termini e di concetti, che fu poi vanto della
Scolastica susseguente, egli, per questo suo atteggia
mento fondamentale sopra tutto, di filosofo e di teologo,
può ben dirsene il precursore .
Ma Anselmo fu precursore della Scuola anche per
un altro rispetto in quell'età singolarissimo : per l'at
trattiva e per il metodo dell'insegnamento, secondo la
condizione dei tempi, il più scientifico insieme e il più
didattico. Per quanto noi possiamo argomentare dalle
sue opere e dalla sua corrispondenza, resi famigliari i
discepoli ai molesti esercizi del « declinare » e del
« dettare » o comporre, come sopra si è detto, non
isdegnava egli di venirli addestrando pazientemente
( 1) Proslogion , cap . I sub fin .
(1) Questo riconosce anche il FRANK (op . cit . p . 95) , che
l'invenire di Anselmo è per parte di Dio un aperire e un revelare, e
ciò si vede, ad es . , dal capitolo primo del Cur Deus homo, e dalla
prefazione del De fide Trinitatis. « Par egli credibile che siasi
ardito di rappresentare l'uomo che scrisse queste ammirabili pa
role , quale razionalista cristiano ! » Così scriveva il Montalembert
nella sua introduzione alla storia di S. Bernardo , più di mezzo
secolo fa , riportando alcuni di questi passi del Dottore di Aosta.
Ma quanto più incredibile è che siasi ripetuta la folle accusa,
anche recentemente, da scrittori che si davano per cattolici e
rappre tanti della cultura moderna del clero in Italia e fuori !
X. IL PRECURSORE 169
a quelli più aridi della dialettica. Di che vediamo un
esempio nel trattato Del Grammatico, il quale, contra
riamente a ciò che sembrerebbe a noi promettere il
titolo, non tocca la grammatica, ma una pura questione
di logica, con un lungo e sottile esercizio di argomen
tazione.
Da queste, certamente, egli avviava gli scolari ad
altre questioni più alte e che toccano insieme la teo
logia e la filosofia. Tali, ad es., quella della definizione o
del concetto esatto della verità , della libertà dell'arbi
trio, dell'origine del bene e del male, in connessione con
le verità della fede, quali la prescienza divina e la ca
duta degli angeli. Di che pure ci danno saggio tre al
tre trattazioni di Anselmo, da lui volute disporre «« non
secondo il tempo della loro composizione, ma secondo
che la loro materia e la somiglianza della forma di di
scussione ricercava » . E per questa forma, che è quella
del dialogo, si aggiunse, ultima in ordine di tempo, la
trattazione Perchè Dio -uomo, da lui compiuta solo du
rante l'esiglio, nella quiete della villa Sclavia, presso
Capua in Italia. Nè certamente in altra forma che di
famigliare conversazione furono proposte le dottrine
tanto più ardue e sublimi, che Anselmo o svolge o ac
cenna nelle altre sue opere, com' egli stesso afferma di
quelle concernenti la essenza divina e altre questioni
affini, nella prefazione del suo Proslogio. Cosi queste
opere, ma specialmente i cinque dialoghi, come già fu
bene osservato ( 1), ci fanno quasi assistere alle lezioni
di Anselmo.
Si sente in verità, leggendo questi dialoghi meta
fisici, che quelle questioni, quelle risposte, quel mae
stro e quei discepoli non sono una finzione, sono una
realtà storica, come realtà storica è quell'Anselmo che
risponde e quel Bosone che interroga nell'ultimo, che
(1) RAGEY, 1. c . p . 133 ss .
170 S. ANSELMO DI AOSTA
è il più teologico e il più discusso : Perché Dio uomo.
Noi ci dimentichiamo per poco di leggere un libro : ci
ritroviamo quasi in mezzo ad una scuola, intenti alla
parola viva del maestro. E il maestro non lascia dav
vero sonnecchiare il discepolo : gli tiene l'occhio sopra ,
lo interroga, lo eccita, lo riscuote di continuo e passo
passo lo tira dietro a sè, da una questione ad un'altra,
dall'una all'altra difficoltà , finchè la luce sia fatta , piena
e gioconda, in ogni docile intelligenza : « Hai soddi
sfatto anche ai bambini » esclama allora il discepolo
« Hai dimostrato con tarta evidenza che io non posso
non vedere » .
Quindi noi possiamo argomentare perchè tanto at
traente riuscisse la conversazione e l'insegnamento del
maestro del Bec, anche quando si internava nelle spi
nose e minute questioni della dialettica. Ma ben più
doveva essere quando si levava quasi a volo verso le
sublimi speculazioni della dogmatica cristiana, come
nel De Trinitate, e della stessa essenza divina, come
nel Monologion e nel Proslogion, i due suoi grandi
capilavori di filosofia cristiana ; nei quali lascia la forma
dialogica del maestro e impenna le ali del contem
plativo.
Cosi anche l'attrattiva del filosofo doveva sgorgare
dalla vivacità della sua communicativa, dalla lucidezza
delle idee, dalla semplicità della esposizione, spoglia de
gli ornati o della vana pompa di erudizione, nella quale
sfoggiava , ad es., prima di lui Berengario e dopo di
lui Abelardo. Ma sopra tutto doveva provenire dalla
profonda sua persuasione e da quel suo ordine schietto,
lucido, naturale, che è dote di chi padroneggia la ma
teria e senza vanto cerca di renderla accessibile agli
altri. Cosi nei trattati didattici di Anselmo è mirabile
X. IL PRECURSORE 171
l'attenzione del maestro a proporzionare le idee che
egli esprime alle menti che le devono ricevere. Anzi
da essi è facile raccogliere come la proprietà più sin
golare del suo metodo fosse quella appunto di condurre
la mente a formarsi, e a chiarirsi da sè le idee, ad ana
lizzarle accuratamente, nè solo accertare l'esattezza dei
ragionamenti del maestro, ma a trovarli quasi da sè.
Quindi pure quel suo avvedimento, divenuto poi
proprio dei maestri della Scolastica, di procedere dalle
cose più note alle meno note : di che egli faceva con
fessare al discepolo i vantaggi sperimentati nella ri
cerca della verità (1 ).
Vero è che questo processo didattico lo trae spesse
volte per le lunghe, e quasi l'avvolge in molesti rigiri,
che alla impazienza dei maestri , e più alla insofferenza
degli scolari moderni riuscirebbero intollerabili. Ma è
un processo che giunge alla meta, ed è l'unico efficace
come a chi voglia far guadagnare un'ardua vetta, al
viaggiatore infermo non occorre il sentiero più rapido,
ma la via più piana. In ciò specialmente il precursore
della Scolastica tiene più del socratico e del platonico,
che non dell'aristotelico ; sicchè, leggendo quei suoi
dialoghi, la mente corre naturalmente al maestro ate
niese, che il maestro del Bec dovette verisimilmente
conoscere e studiare . Che se tale studio e conoscenza
si vorrà negare come troppo mirabile in un monaco
del secolo XI, più mirabile pare a noi, senza confronto,
l'esservisi di tanto accostato, per solo impulso dell'alta
mente divinatrice. Ma è innegabile che Anselmo dovette
conoscere altresi Aristotele, e specialmente averne fa
migliare la dialettica. Di questa egli si valeva magi
stralmente nè già per un futile sollazzo intellettuale o
(1 ) Dialog. de veritate, cap . IX (al . X ) :: Mag. A qua (veri
tate significationis) ideo incoepi ut te a notioribus ad ignotiora
perducerem .... Disc. Profuit mihi quia hoc ordine me du
xisti ,
172 S. ANSELMO DI AOSTA
per la puerile vanità di sillogizzare, come fu costume
di molti filosofi e allora e poi, da cui egli si tenne al
tutto lontano ; ma per la formazione delle intelligenze,
per una ginnastica intellettuale, a premunirsi dall' er
rore e a fortificarsi nella ricerca e nel possesso della
verità.
Quindi egli veniva esercitando il discepolo a di
stinguere i sensi diversi dei termini e delle proposi
zioni, a scoprirne le equivocazioni frequenti, a riguar
dare l'idea sotto i molteplici suoi rispetti, ad assaggiare
degli argomenti il forte e il debole, nè solo a coglierli
superficialmente. Con ciò lo avvezzava pure all'analisi,
e dall'analisi lo riconduceva alla sintesi, com'è neces
sario per fare scienza. E cosi diceva egli al discepolo:
« E d'uopo che tu non sii contento solo d'intendere ad
una ad una le cose che dirò, ma che tu le raccolga
tutte insieme con la memoria, quasi sotto un'unica
occhiata » ( 1 ).
Tutto ciò, e specialmente questo suo insistere su la
necessità della sintesi , ci mostra bene in Anselmo il pre
cursore della Scolastica ; ci farebbe anzi aspettare da
lui e presentare vicina quella grandiosa sintesi della
filosofia e della teologia cattolica, che è la gloria della
Scuola. Essa è vicina, e sarà preparata, ma non fu ten
tata , nonché compiuta, da Anselmo.
2
Egli è certo che Anselmo, data l'occasione e spar
samente, ebbe da toccare e da sciogliere nel suo inse
gnamento le principali questioni della filosofia e della
teologia cattolica ; sebbene con prudente criterio, che
( 1) De casu diaboli, cap . XII : « Opus est ut tu ea quae di
cam non sis contentus singula tantum intelligere , sed omnia si
mul memoria quasi sub uno intuitu colligere
X. IL PRECURSORE 173
molti susseguenti scolastici fino ai nostri giorni ebbero
il torto di non imitare, tenne l'occhio singolarmente
su le controversie correnti, come quella celeberrima
degli Universali, che toccava i fondamenti della scienza,
e più ancora su gli errori contemporanei, che toccavano
la fede, il culto, la liturgia, la morale. Di tutte le que
stioni siffatte possiamo ben credere che non sono altro
se non un saggio quelle che ci restano da lui trattate
nelle opere pervenute fino a noi. Anche da questo saggio
tuttavia non sarebbe difficile trarre gli elementi da svol
gere in un tutto, e quasi in un proprio sistema, di soda
dottrina teologica, se il far ciò fosse cosa di un capi
tolo e non piuttosto di un'opera scientifica, già tentata
da altri e che sarebbe pure da ritentarsi con merito.
Ma non è meno vero che il dottore di Aosta mai
non dovette intendere di formare col suo insegnamento ,
nonché tramandare ai posteri, un corpo di dottrina, un
sistema propriamente detto, di teologia ragionata, come
poi fece, indi a meno di due secoli , un altro italiano
nella Somma teologica . Nel senso a noi solito, di si
stema dottrinale, neppure il termine di teologia occorre
nelle opere di Anselmo, sebbene egli fu un gran teo
logo, come gran filosofo, per i suoi tempi. Anche le tre
prime trattazioni, ricordate sopra, della verità, del li
bero arbitrio, della caduta del diavolo, dove tratta
pure dell'essenza e della origine del male, sebbene in
massima parte filosofiche, sono da lui date come « per
tinenti allo studio della Sacra Scrittura » (1 ). Col qual
nome egli vuole intendere per poco tutta quanta la
dottrina sacra, che non aveva allora universalmente
nell'uso un nome suo proprio, come non aveva ancora
quel suo proprio sistema ordinato e scientifico d' inse
gnamento, chiamato poi scolastico per eccellenza.
(1) De veritate, prologus . MIGNE, 1 . c . 467 .
174 S. ANSELMO DI AOSTA
Il merito, dunque, e il vanto proprio di Anselmo
fu quello additatoci appunto dalla recente enciclica di
Pio X : di avere gettato i fondamenti, di avere incul
cato un sano indirizzo negli studii filosofici e teologici ;
di avere insomma sparso il seme più largamente, dal
quale poi maturarono i frutti col concorso delle fatiche
dei susseguenti dottori, fino al grande principe della
scuola, S. Tommaso d'Aquino. Egli quindi precedette
con l'aprire il sentiero della speculazione a difesa della
fede cattolica, e per conchiudere con le parole della
stessa enciclica, « a siffatta difesa ben si può dire che
sia stato da Dio suscitato, per additare con l'esempio,
con la voce, con gli scritti la via sicura.... ed essere
guida e norma di quei maestri cattolici che dopo lui
insegnarono le sacre lettere col metodo della Scuola .
Sicchè egli non a torto fu stimato e celebrato come il
loro precursore » .
Ma è tempo ormai che usciamo dalle pareti dome
stiche della scuola e del chiostro, per considerare An
selmo nella sua vita apostolica, quale uomo di azione
e di lotta in campo aperto.
1
.
CAPITOLO UNDECIMO.
L' Apostolo .
Missione sociale e apostolica di S. Anselmo, dentro e fuori le mura del chio
stro . - Sue relazioui con la società normanna, e grazia propria del suo
apostolato . - Sua missione speciale a pro della Chiesa d'Inghilterra .
Primi viaggi da lui fatti nell'isola ; sua predicazione e conversazione .
Sua dolce attrattiva e suoi frutti : il premio del mite di cuore .
Fu certo singolare il merito e la gloria di Anselmo
come guida, educatore e maestro delle anime fra le
mure del chiostro, dove egli ebbe ad esercitare il più
fruttuoso apostolato, conforme all'ideale monastico, di
esempio santo e di preghiera, di studio e di lavoro ; un
apostolato per cui accoppiava in sè con mirabile nesso
e ravvivava in altri con potente efficacia il doppio me
rito della contemplazione e dell'azione, in quanto lo
portavano le condizioni degli uomini e dei tempi. Ma
questa gloria medesima e questo merito rifulge di uno
splendore più vivo e più vero, se si consideri alla luce
della missione sua propria, di riformatore e di maestro,
non solo rispetto all'ordine monastico in particolare, ma
rispetto alla società cristiana in generale, sull'uscire del
secolo XI e all'entrare del XII. Certo la missione prov
videnziale di Anselmo, come quella dei grandi riforma
tori di quell'età, era una missione sociale nel più vero
e più ampio senso della parola ; nè già solo in quanto
scientifica e civile, ma più ancora e primieramente in
quanto religiosa e pastorale, mentre era ordinata sopra
tutto a custodia e a difesa della dottrina e della morale,
della libertà e della disciplina della Chiesa.
176 S. ANSELMO DI AOSTA
Tale appunto ci viene descritta nella recente en
ciclica pontificia ; e tale già apparve ai contemporanei
ed ai posteri; tale particolarmente al dotto Giovanni
di Salisbury, che per desiderio di Tommaso Becket, ne
scriveva in rapido compendio la vita e la esordiva con
questa medesima considerazione. « Iddio opera mirabil
mente nella sua Chiesa, e come da . principio, cosi nel
processo dei secoli va destando a sua difesa e sussidio
ministri idonei, onde si conserva e propaga nel mondo
la cognizione e il culto di Dio. Fra essi Anselmo ri
fulse come astro splendidissimo, che illustrò l'Occidente
e vibrò i suoi raggi fino alla Grecia, confutandone
l'errore » .
Anselmo può, senza dubbio, chiamarsi, in un vero
e proprio senso , uomo di azione e apostolo ; nè solo di
poi nella sua vita di primate e nelle sue grandiose lotte
di dottore e di vescovo della Chiesa, ma anche prima
nella sua vita di monaco, di priore e di abbate.
Poiché la Provvidenza che aveva eletto Anselmo ad
essere guida ed esemplare, più che ad una o ad altra
generazione di monaci, a tutto un immenso popolo di
anime, anzi ai pastori stessi della Chiesa nei tempi più
difficili, lo mise ben presto, per quelle vie semplici in
sieme e misteriose che sono il suo segreto, lo mise al
contatto di quella società ch'egli aveva fuggito. Nè tanto ,
diciamo, dei piccoli e degli umili , a cui la soavità del
l'indole e della virtù lo ravvicinava naturalmente, ma
dei grandi, dei principi, dei re della terra, da cui la
sua modestia e l'amore della solitudine lo teneva guar
dingo, e infine pure dei vescovi più illustri e degli stessi
Pontefici sommi chiamati a governare la Chiesa in quel
secolo, di tre Pontefici che portavano i nomi, grandi
nella storia, di un Gregorio VII e di un Urbano II, come 1
più tardi di un Pasquale II, che lo sostenne poscia fra
le lunghe lotte del suo ministero episcopale.
XI. L'APOSTOLO 177
Già il venerando Erluino, impedito dalla decrepita
età, aveva rimesso assai per tempo al giovane priore
la cura altresi dei negozi esterni del monastero : il che
costringeva Anselmo ad uscire sovente dalla sua cara
solitudine, a fare aspri viaggi e a trattare col mondo.
Noi vediamo allora il monaco italiano accolto, festeg
giato e amato da nobili famiglie normanne, come fosse
uno dei loro, più che amico, figliuolo e figliuolo primo
genito. Per tale, ad esempio, lo riguardava, e volevalo
chiamato, il signore Guglielmo Crispino, e sopra tutto
Eva, sua sposa, ascritti amendue tra i famigliari e be
nefattori del Bec. Anselmo andava commosso di tanta
pia affezione che trovava nei cuori di quei duri nor
manni ; onde ne scriveva di poi, con parole di candida
compiacenza che mostrano come il suo cuore buono
godesse di quella intimità ; scriveva in Aosta agli ama
tissimi zii Lamberto e Folcerado, rimettendoli per no
tizie ad uno di quei nobili signori che nel suo passag
gio per Aosta erasi fatto latore delle sue lettere : « Vi
prego di volere informare, mediante il latore di questa
nostra lettera, il figliuolo vostro dello stato di vostra
salute ; e da lui, se vi piace, potete sapere le cose che
mi - riguardano. Perchè, sebbene questo signore, che si
degna di essere nostro nunzio, sia molto ricco ed uno
dei più nobili fra i Normanni, egli tuttavia con sua
madre e i suoi fratelli e la sorella si sono stretti a me
con tanta famigliarità di affetto che non mi chiamano
altrimenti che figlio la madre e fratello i figli, se non
che di pari concordia mi hanno concesso la dignità di
primogenito » ( 1 ).
(1) Epist. I. 18. Cf. Epist. II, 9. Dal contesto e dalla sto
ria appare che il latore era figlio di Guglielmo Crispino..
12.
178 S. ANSELMO DI AOSTA
Con simile confidenza scriveva pure, già arcive
scovo Cantuariense, ai suoi « dilettissimi in Cristo figli »
i monaci del Bec : « Siate anche memori in che modo
io soleva sempre acquistare amici alla chiesa Beccense,
e con questo esempio adoperate a farvi degli amici da
ogni parte, seguitando l'opera buona dell'ospitalità,
usando benignità con tutti, e dove manca il potere del
l'opera, porgendo la grazia della parola affabile. Nè cre
diate mai di avere abbastanza degli amici ; ma, siano
poveri siano ricchi, tutti uniteveli nell'amore di frater
nità , perchè ciò possa non solo conferire all'utile della
vostra Chiesa , ma condurre alla salute di coloro che
voi amate » ( 1 ).
Da queste candide parole noi possiamo bene argo
mentare la grazia e la impronta propria dell'opera apo
stolica di S. Anselmo . E la grazia era tanta che, an
cora giovine priore, egli stringeva a sé per condurli a
Dio e alla religione i cuori più indurati, e più assai,
divenuto abbate, quando cresciuto in merito come in
fama di santità, era consultato ed ascoltato da vescovi
e da principi, a bene delle anime loro e dei loro sog
getti. Cosi noi lo vediamo chiamato, nel 1087, al letto
di morte del fiero Guglielmo il Conquistatore, e solo da
infermità sopraggiuntagli impedito di assistere alle ul
time agonie del duca morente il quale era stato im
petuoso nelle passioni, come poi ardente nella fede e
nel pentimento.
* *
Ma l'opera apostolica di Anselmo d'Aosta doveva
doveva essere spesa anzitutto per il bene della Chiesa
d'Inghilterra e particolarmente della sua sede prima
ziale di Cantuaria, illustrata già da un altro gran figlio
(1) Epist. III , 18.
XI. L'APOSTOLO 179
di Benedetto, dal discepolo di Gregorio Magno, il mo
naco Agostino. Tale fu, senza dubbio, il sentimento vi .
vissimo dei contemporanei di Anselmo, non meno che
dei posteri suoi ammiratori, ed è espresso talora con
una ingenua enfasi, che farà sorridere un lettore su
perficiale, ma che commuove invece lo studioso sincero.
Cosi, ad es., l'autore del carme in lode di S. Anselmo :
« Se dai tuoi meriti sostenuta non fosse l’Anglica terra,
crollerebbe oppressa dal peso del suo vizio. Ella per i
tuoi meriti, io lo riconosco, si regge e reggerà, e per
le tue preghiere avviene che non cada » ( 11 ). Nė meno
candidamente lirico nella sua mestizia elegiaca parla il
cantore dell'epicedio, già citato, volgendosi in partico
lare alla sua Cantuaria : « Canzia,, tu davi una volta , al
tempo del presule Anselmo, spettacolo venerando per
tutto il mondo. Il mondo era minore di te : la tua fama
volava per tutti i popoli, amica ai buoni, odiosa ai tri
sti. A te il monaco, il clero e il popolo accorreva per
essere istruito, mentre il tuo Anselmo buono era in
vita... Ora giaci incolta nella vedovanza di tanto pa
store. Ora la tua fronte si corruccia, raggrinzata di ru
ghe scabrose.... Ora china la testa, che prima si ergeva
a guisa di torre eccelsa, soggiaci a miseranda rovina » (2).
Dopo otto secoli d'intervallo, che accumularono su
la nobilissima isola e sopra la illustre sua sede prima
ziale un tanto maggiore cumulo di rovine fino a sepa
rarla dal centro vitale dell'unità religiosa nel mondo,
gli ingenui sfoghi dei poeti medievali hanno un' eco di
(1) Cf. MiGNE, CLVII, 135 :
Fulta tuis meritis si non foret Anglica terra
Corrueret vitii pondere quassa sui .
Illa tuis meritis, fateor, valet atque valebit
Atque tuis precibus ne cadat efficitur.
(2) Epicedion in obitum Anselmi (ibid . , 140) :
Cantia, tu quondam totum veneranda per orbem
Praesulis Anselmi tempore signa dabas ....
180 S. ANSELMO DI AOSTA
pianto, immensamente più doloroso, più amaro, nel no
stro cuore, nel cuore di ogni figlio della Chiesa !
Ma le rovine delle età susseguenti e la tristezza
dell'ora presente non devono far dimenticare le passate
benemerenze del vescovo italiano per quell'isola lon
tana, e particolarmente la sua mite e vigorosa operosità
pastorale .
La prima volta che Anselmo vide l'Inghilterra fu
l'anno stesso della sua ordinazione ad abbate ( 1079).
Egli vi si tragittò costrettovi dai negozi del monastero,
il quale aveva in quell'isola molte possessioni donate
gli dai recenti signori normanni. Ma certo vi andò an
che allettatovi da un'altra causa, che ben parve al buon
Eadmero, non infirmior ista ; dal desiderio di rivedere
e di intrattenersi, familiari affatu, col suo maestro e
connazionale Lanfranco. Vero è che dal godimento, ben
chè santo, della dolce intimità del maestro si strappava
bentosto l'austero monaco per attendere ai ministeri più
gravi che ricercavano la sua presenza, come per gio
vare alla salute ed alla edificazione delle anime che
ne potevano approfittare.
E qui Eadmero ci fa sapere com'egli, allora giovi
netto monaco, ebbe grazia « secondo la misura della
sua piccolezza » di entrare non poco addentro nella
beata famigliarità di lui : quindi ci dà insieme più par
ticolari ragguagli , i quali sono ottimo indizio di ciò
che facesse Anselmo in altre simili occasioni. Da essi
noi vediamo quel suo zelo ardente e operoso, ma sem
pre dolce e discreto, che fu la impronta propria della
sua vita, prima nella solitudine del chiostro, e poi fra
lo strepito del mondo.
Primi a farne esperienza nell'isola britannica fu
rono i monaci del Santo Salvatore, cioè della chiesa
XI. L'APOSTOLO 181
cattedrale e del monastero annessovi di Cantuaria, stati
i primi e più fervorosi ad accoglierlo. La conferenza
che loro fece Anselmo al suo primo giungere, per ren
dere loro grazie della festosa accoglienza, è piena di
opportunità, di garbo e di dolcezza, si che il giovinetto
Eadmero coi suoi confratelli ne andò rapito, e lo ve
diamo dal sunto grazioso che ne lasciò : - chi fa la carità
guadagna più che chi la riceve : questi ha un vantag
gio che passa, verbi gratia, honorem unum , prandium
unum ......... quegli ha un bene che resta , la grazia, il
merito .
Ma dimorando poi fra quei monaci, parecchi giorni,
come uno di loro – prosegue il biografo presente a ciò
che narra ogni di o nel capitolo o nel chiostro egli
diceva con bella facondia cose mirabili e per quei tempi
non più udite, intorno alla vita e alle costumanze dei
monaci ; e privatamente altresi trattava in altre ore
con quelli che erano di più profondo ingegno, propo
nendo questioni alte sui libri divini ed anche sui libri
umani, e dichiarando le questioni proposte.
Di qui trascorrendo a visitare le terre della chiesa
Beccense sostava ai diversi monasteri di monaci, di ca
nonici , di religiose, anzi pure alle corti dei nobili si
gnori, secondo che la ragione o la convenienza portava.
E vi era accolto sempre con molta festa ed onore. Ma
quid ille ? dimanda il buon Eadmero. E risponde pia
namente : « Al solito suo si prestava dolce ed affabile
con tutti accomodandosi al genio ed alle usanze di cia
scheduno in quanto poteva senza peccato. E si acco
modava in ciò, secondo l'esempio dell' Apostolo, per
guadagnare tutti, non solo quelli che vivevano senza
la legge del beato Benedetto, come si credeva, ma quelli
altresi che dediti alla vita secolaresca in molte cose
vivevano senza la legge di Cristo. Sicché i cuori di
tutti si volgevano ad amarlo, e si riempivano di una
avidità famelica di udirlo » .
182 S. ANSELMO DI AOSTA
Ed egli conformava poi i suoi detti ad ogni con
dizione di persone, per modo che gli uditori confessa
vano non potersi dire cosa più convenevole ai loro co
stumi. Ai monaci, ai chierici, ai laici egli dispensava
ricordi proporzionati alle qualità ed allo stato di cia
scheduno. I monaci ammoniva di non disprezzare né
anco i minimi falli o trasgressioni dell'ordine loro, e
confermava l'ammonimento con la graziosa similitudine
del vivaio, in cui se piccole fessure si aprono e non si
riparano, l'acqua pian piano scorre via ed i pesci
muoiono : e cosi nelle religioni quando non si tiene
conto delle colpe leggiere, a poco a poco si viene spe
gnendo il fervore. I chierici ammaestrava come doves
sero mantenere la professione, che con lo stesso loro
nome facevano, di volere solo Iddio per loro sorte ed
eredità, avvisandoli di stare all’erta , che per negligenza
del loro dovere non venissero a perdere l'eredità di Dio
ed a cadere in quella del demonio. E similmente ai co
niugati dava istruzioni le più proporzionate e prudenti,
intorno alla mutua dilezione ed agli altri doveri tutti,
proprii dell'uno e dell'altro coniuge vicendevolmente.
Nè in questa sua forma o di ammonire o di istruire
o di insegnare procedeva egli all'usanza di altri; e da
capo l'osservazione è di Eadmero, il quale si direbbe
che voglia pungere i conferenzieri del secolo XX , più
che i dialettici del secolo XII. Ma tutto al contrario
proponeva Anselmo cose altissime sotto esempii volgari
e notorii ; indi le confermava con potenti e manifeste
ragioni; sicchè, rimossa ogni dubbiezza, le radicava nella
mente e nel cuore degli uditori ( 1 ).
(1) Vita Anselmi, lib . I, cap . VI : Haec autem ..... non eo ut
aliis mos est docendi modo exercebat, sed longe aliter, singula
quaeque sub vulgaribus et notis exemplis proponens, solidaeque
rationis testimonio fulciens, etc. Il simile scrive GIOVANNI DI
SALISBURY. Vita S. Anselmi, cap . V : Familiare siquidem habebat
probatis moribus exemplisque vulgaribus asserere , et sermonem,
XI . L'APOSTOLO 183
È questa veramente la dote propria di vera e con
sumata sapienza, come altri bene avverti. E tale rifulge
nei dottori e padri più segnalati della Chiesa, nomina
tamente nel grande S. Giovanni Grisostomo, per rispetto
all'eloquenza popolare cristiana, e per rispetto alla stessa
trattazione scientifica, nel grande principe della Scuola,
S. Tommaso d'Aquino. Poiché la sapienza vera del pre
dicatore e del maestro cristiano non si studia di essere
gonfia, non contorta, altezzosa o torbida : cerca anzi di
essere piana e semplice nella stessa sublimità, leale e
retta nell'astrusità, ma sopra tutto, in quanto può lo
sforzo umano, communicativa e limpida, siccome un
raggio di quella sapienza divina, da cui riverbera ogni
luce di verità nell'intelletto, ogni calore di bontà nel
cuore della creatura umana. Quindi anche l'eloquenza
che ne sgorga è l'unica veramente efficace, veramente
sacra.
Nè diversa dalla predicazione pubblica era in An
selmo la conversazione privata, che fu tanta parte del
suo apostolato ee di abbate e di vescovo. Gioiva pertanto
chiunque poteva godere del colloquio di lui : ognuno
trovava in lui pronto il consiglio ne' suoi dubbii ; sic
chè, fino da quel primo suo viaggio, ci dice Eadmero,
non vi fu conte in Inghilterra, o contessa, non persona
alcuna potente che non si recasse a grande sventura
spirituale, se gli avveniva di non potere ascoltare, ono
rare e favorire l'abbate Beccense. Anzi lo stesso re Gu
glielmo che quasi a tutti pareva « rigido e formidabile,
con Anselmo era tanto inclinato ed affabile che in sua
presenza , a stupore di tutti , diventava un altro » .
non ut multa scire et facundus videretur, auditoribus ut profice
rent , intimare . Altrove l'autore stesso , quantunque troppo ge
neralmente, si lamenta dei suoi contemporanei : Nostri autem ad
ostentationem scientiae suae sic suos instituunt auditores ut non
intelligantur ab eis . Metalogicus, II, c. 17 .
184 S. ANSELMO DI AOSTA
Nell'amabile abbate Beccense avveravasi quindi
splendidamente la parola del Maestro: « Beati i miti,
perchè essi possederanno la terra.... Beati i pacifici per
chè saranno chiamati figliuoli Dio » ( 1 ). Sicché di que
sta medesima popolarità e favore, che aveva incontrato
presso tutti il suo buon padre, scrivendo Eadmero, as
sicura che non era cosa da stupirne molto per quelli
che ne conoscevano i costumi ; giacchè « dalla conver
sazione di lui, ovunque egli fosse, sgorgava una soavità
cosi amabile che trascinava tutti nella sua amicizia e
famigliarità » .
Nè tanta soavità era mollezza di animo, ma for
tezza di proposito e vittoria dell'orgoglio innato, di
quell’amor proprio cioè, che nell'età moderna, ove più
universalmente impera, abbiamo bisogno di chiamare
con vocabolo nuovo egoismo. Per tale forza di animo e
vittoria di sè il monaco severo spogliavasi d'ogni sua
esterna rigidezza, e si studiava di fare, in quanto poteva
senza colpa, ciò che andava a grado agli altri . Per que
sto pure a nessuno voleva essere gravoso, a nessuno mo
lesto, quantunque gli fosse talora convenuto rallentare
perciò alquanto della severità e della disciplina mo
nastica. Estimava egli maggior bene con santa equità
condiscendere agli altri, quando l'ordine della discre
zione glielo insegnava, anzichè stando sul rigore alie
narli. Il che parve, ed era certo, cosa mirabile in quel
l'età, cosi rigida e ferrea, anche nei suoi santi. Sicché
noi conchiude qui ingenuamente il suo biografo -
« noi non possiamo sapere che cosa sentiranno e di
ranno di ciò quelli che dopo di noi ne udranno o leg
geranno ; ma certo noi che abbiamo potuto vedere il
( 1) MATTEO , V, 4, 9.
XI . L'APOSTOLO 185
suo modo di vita, tanto maggiormente lo stimiamo lo
devole » .
Il giudizio de' posteri, e che più importa, quello
della Chiesa, non fu altro da quello del buon Eadmero
e de' suoi contemporanei inglesi del secolo XI e XII.
Nè poteva essere diversamente, posta l'evidenza mira
bile dell'efficacia pratica e dei frutti singolari dell'apo
stolato mite e soave di Anselmo, nella vita, nella pre
dicazione, nella conversazione coi grandi e coi piccoli,
coi religiosi e coi laici .
Dopo questo primo viaggio cosi fruttuoso del 1079,
come ci dice Eadmero, « l'Inghilterra divenne fami
gliare ad Anselmo e secondo che portava la varietà
delle occorrenze, fu da lui visitata » . Nè per altri mo
tivi certamente, né con frutto minore la visitò di poi ;
tanto più che veniva Iddio autenticando l'opera del mite
ed umile suo inviato, anche con fatti prodigiosi, quali
ci narrano con ogni candore i suoi contemporanei più
fededegni ( 1 ).
Per questo modo la Provvidenza lo veniva pure
disponendo a ben più ardue fatiche e aprendogli in
sieme un più largo campo di glorioso apostolato, del
quale dobbiamo ora discorrere alquanto più distesa
mente .
( 1) Cf. EADM . Vita S. Anselmi, cap . VI. (MIGNE, Patr. lat.,
158, col . 77 ss . ) . Miracula S. Anselmi (ibid . 120 ss . ) .
-
CAPO DUODECIMO .
Il Vescovo eletto .
Viaggio di Anselmo in Inghilterra, l'anno 1092, per la fondazione di Chester,
e sua prima visita infruttuosa a re Guglielmo II, detto il Rosso. – Ma
lattia del re, e forzata elezione di Anselmo ad arcivescovo di Canterbury.
Resistenze dei monaci e dolore di Anselmo ; primi semi di dissidio
col re Guglielmo : la pecorella e il toro aggiogati al carro del governo .
L'anno 1092, morto già da quattro anni il maestro
e amico Lanfranco, gemendo vedovata la Chiesa Càn
tuariense, e tiranneggiando l'Inghilterra Guglielmo il
rosso, figlio del Conquistatore, che ne lasciava abban
donate le chiese per ispogliarle, Anselmo vi si ricon
dusse con indicibile ripugnanza , dopo lunghe resistenze
e strani contrasti. Egli fu vinto solo dalle preghiere dei
suoi monaci e dalle insistenti suppliche di molti signori
di Inghilterra, ma principalmente del potentissimo conte
di Cestria (Chester), Ugo di Avranches. Eragli costui
amico di giovinezza e di studio, fino dal tempo cioè che
Anselmo, giovine secolare come Ugo, percorrendo i paesi
della Francia, l'aveva incontrato ad Avranches e stret
tosi con lui in una di quelle nobili amicizie di giovani
cavalieri medievali . Quell'amicizia vibrava tuttavia, e
vibrò sempre calda e giovanile, sotto la maglia ferrea
del guerriero normanno, benchè traviato dal bollore
delle passioni, come vibrava sotto il ruvido saio del
monaco valdostano : essa consigliava ad Ugo di confi
dare ai discepoli dell'amico il monastero di Chester, e
sforzava Anselmo ad esaudirlo, conducendogli in per
188 S. ANSELMO DI AOSTA
sona una piccola colonia di monaci. Il santo giunse a
Canterbury - e il buon Eadmero, contro il suo solito,
se ne ricorda qui il giorno con precisione - la vigilia
della Natività di Maria . Ma gridando molti e monaci e
laici , quasi presaghi del futuro, ch'era giunto in lui il
sospirato arcivescovo, egli se ne parti di gran mattino,
senza volervi pure soprastare a celebrar quella festa,
che era nel medioevo, com'è noto, fra le più care e
le più solenni al popolo cristiano.
Le ripugnanze dell'umile abbate erano troppo giu
stificate; le condizioni della Chiesa d'Inghilterra da
cui Lanfranco aveva potuto a mala pena con l'immenso
credito a lui proprio, sradicare e tener lontani gli abusi
più enormi del clero, i disordini del popolo, le usurpa
zioni dei grandi e del re stesso le condizioni erano
tali che ricercavano un nuovo Lanfranco, o piuttosto,
per le mutate circostanze, ricercavano un Ildebrando,
una tempra cioè di lottatore sperimentato, vigoroso, in
domito, che potesse tener petto e fiaccare le corna a
quel toro che v'imperversava alla sfrenata.
E il toro indomito, come lo chiamava poi Anselmo
a ragione, era quel « re rosso » , Guglielmo II, che anche
storici liberali dipingono quale uomo di una grossezza
quasi bestiale, cieco all'ordine soprassensibile, stupido
alla moralità, violento e superbo nell'uso del potere,
abietto con semplicità feroce e con piacevolezza impu
dente ; uomo ridicolo e tiranno tetro ( 1 ). A lui si recò
tosto Anselmo, e da lui ricevuto a grande onore, gli
parlò con apostolica libertà, non per gli interessi con
culcati de' suoi monaci, bensi per quelli più universali
della Chiesa e del popolo oppresso. Ma il frutto fu poco
su quella natura ribelle.
(1) SILVESTRO CENTOFANTI , Sant'Anselmo di Aosta e il suo
storico francese signor Remusat, nell'Archivio storico italiano. Nuova
Serie, t. II (1855), 125 . Cf. CHARLES DE REMUSAT, Saint An
selme de Cantorbéry (Paris 1853), p 122 ss .
XII . IL VESCOVO ELETTO 189
Dopo qualche tempo, Anselmo chiese di tornare in
Normandia, ma n'ebbe reciso diniego dal despota. Per
una dimostrazione più energica del loro malcontento,
che già Eadmero sospettava sarebbe apparsa bene strana
ai posteri, i grandi, nel Natale dell'anno stesso 1092, di
mandarono licenza al re, di far pregare in tutto il re
gno, perchè il Signore gli mutasse la volontà e sugge
risse la scelta di un degno arcivescovo .
Il re rosso ne fu indignato, ma permise, protestando
tuttavia che, per quanto la Chiesa pregasse, egli non
resterebbe mai dal fare a proprio senno. Ad Anselmo,
invano ripugnante, viene commesso dai vescovi pre
senti il determinare la formola e il modo delle preci ;
egli lo fa con plauso universale, e le preghiere inco
minciano « per le chiese tutte dell'Inghilterra » . Ma il
Rosso continua a farsene giuoco , e « per il Volto santo
di Lucca, giura , che nè Anselmo nè altri sarà arcive
scovo , ma egli solo » .
Tra questi spergiuri è colto da infermità, si ag
grava, e già corre agli estremi. Allora vescovi, abbati,
signori gli si fanno intorno ; lo esortano a pentirsi , e per
meglio riuscirvi, mandano per Anselmo, ritiratosi allora
da Chester a Glocester. Egli accorre , ma vuole si fac
cia cominciare il re dall'umile confessione, e dalla sin
cera promessa di riparazione. Il re a tutto consente :
prende anzi mallevadori i vescovi della sua promessa
presso Dio ; se ne stende l'editto, e col regio sigillo si
autentica : liberi i prigionieri, i debiti tutti condonati,
perdonate le offese, promesse al popolo buone leggi,
buona giustizia, buon governo.
Ma sopra ogni cosa premeva l'elezione di un de
gno pastore della chiesa Cantuariense, « madre comune
190 S. ANSELMO DI AOSTA
di tutto il regno » . Al suggerimento altrui risponde il
re, che l'animo suo era appunto su questo pensiero ; e
fra la sospensione generale, pronunzia, e a voce con
corde proseguono tutti acclamando, Anselmo il più de
gno. L'umile abbate trema, impallidisce ; e mentre si
vuole trascinarlo al re, protesta e con irremovibile sforzo
resiste. I vescovi lo prendono in disparte, e cercano di
commuoverlo : invano. Il re ne va contristato e lo sup
plica fino alle lagrime : tutto inutile. Se ne inteneriscono
gli astanti, e s'irritano contro Anselmo ; lo sgridano, lo
incalzano, gli rinfacciano di voler essere causa, per
quella sua pazzia » , di tutti i disordini, i delitti, le
<<
oppressioni che si aggraveranno sull'Inghilterra. Nella
angoscia mortale, il mite abbate si volge ai suoi due
compagni , Baldovino ed Eustachio : « Ah fratelli miei,
perchè non mi soccorrete ? » E Baldovino : « Se è vo
lontà di Dio, chi siamo noi da resistervi ? » Alle parole
seguirono le lagrime e alle lagrime larghi fiotti di san
gue, che sgorgarono dalle narici per lo schianto del do
lore : « Veh ! come presto il tuo bastone si è spezzato >>
esclama Anselmo a Baldovino, dolorosamente. Allora il
re fa premura agli astanti che si gettino ai piedi del
l'abbate ostinato ; ma questi si prostra con essi e non
cede. I vescovi, omai pentiti di aver dato cosi retta alle
sue rimostranze, gridano : « Un pastorale, un pastorale » .
E afferrano il monaco per il braccio destro, e altri lo
tirano innanzi riluttante, altri lo sospingono, e lo ap
pressano al letto dell'infermo; il re gli porge il bastone.
Anselmo chiude la mano, ricusando. I vescovi si fanno
a schiuderla con tanto sforzo che gli strappano gemiti
di dolore , e non riuscendovi, gli tengono accosto alla
mano serrata il pastorale, stringendoglielo fra il pollice
e l'indice ; quindi, sollevato l'eletto, lo portano quasi di
peso alla chiesa, mentre la moltitudine grida : Viva il
vescovo ! viva il vescovo ! e nella chiesa s'intona il
Te Deum .
XII . IL VESCOVO ELETTO 191
Il paziente è quasi fuori di sè dal dolore : con
tinua a protestare, a piangere. E il fremito del sin
ghiozzo e le convulsioni del dolore sono tali che in
quietano alfine gli astanti, i quali per tranquillarlo, se
condo l'uso dei tempi, lo aspergono e gli dànno a bere
dell'acqua benedetta . Ma dopo tutto, l'eletto persiste a
dichiarare nullo quanto si è fatto ; tornato al re, gli an
nunzia ch'egli non morrà di quella malattia, ma guarito
dovrà annullare l'elezione fatta ; indi ai vescovi : « Sa
pete voi che cosa volete fare ? Volete aggiogare in
sieme ad un aratro un toro indomito e una pecorella
debole e vecchia . Che ne avverrà ? L'indomabile ferocia
del toro trascinerà, lacerandola fra triboli e spine, la
pecora debole, senza che questa valga ad arrestarlo,
nè ad essere utile a sé o ad altri » i
Avvennero queste cose il giorno 6 marzo del 1093.
Cosi conchiude Eadmero questa parte della sua narra
zione (1 ), da noi compendiata rapidamente, perché ri
trae molto bene al vivo l'indole degli uomini e dei
tempi.
Dopo ciò, fu uno scambio di lettere vivacissimo dal
l'una parte e dall'altra della Manica : lettere del re , dei
signori, dei vescovi d'Inghilterra al duca di Norman
dia, all'arcivescovo di Roano, ai monaci del Bec, per
informarli della elezione e averne la loro buona ap
provazione : risposte dei normanni dolorose, energiche,
quasi risentite, specialmente dei monaci. Questi, e so
pra tutti i giovani, erano desolati, esterrefatti: protesta
vano contro il re, contro Gondolfo, già loro confratello
e allora vescovo di Rochester, contro Anselmo stesso,
( 1 ) Historia Novorum , lib. I ( MIGNE, Patr. lat ., t. CLIX,
569 segg .).
192 S. ANSELMO DI AOSTA
il quale aveva egli pure scritto loro per tranquillarli e
per congedarsi paternamente. I soliti maligni, che mai
non mancano, dentro e fuori del monastero, andarono
fino a spargere che le resistenze di Anselmo erano state
una finta . Ciò feri Anselmo nel più vivo, nel più de
licato del suo cuore di monaco e di padre : ribatté la
stupida malignità con nobile indegnazione, per la co
scienza del suo dovere di salvare dallo scandalo i de
boli, difendendo l'onore di chi aveva da precedere agli
altri con l'insegnamento e con l'esempio. I monaci in
fine vi si arresero, benchè a malincuore ; l'arcivescovo
poi mandò ordine formale ad Anselmo di accettare la
consecrazione episcopale. E similmente vi consentiva,
non senza pio rammarico, il duca normanno.
Invece il Rosso, riavutosi, ritrattò le promesse e
ricominciò tosto a mal fare . « Per il santo volto di Lucca
SE
protestavasi egli con l'amico più caro di Anselmo,
Gondolfo, arcivescovo di Rochester - Iddio non mi
avrà buono per il male che mi ha fatto » . Anselmo andò
a lui, a Douvres, e gli pose recise le sue condizioni : re
stituzione di tutti i beni della Chiesa Cantuariense, in
gerenza assoluta e indipendente dell'autorità episcopale
in tutti gli affari religiosi ; soggezione debita alla Sede
apostolica e riconoscimento del legittimo Pontefice Ur
bano II.
Il re mostra di accettare, ma indi a poco rimette
innanzi pretensioni : che Anselmo gli consenta almeno
di ritenere quei beni di chiesa, che erano andati ripar
titi fra i suoi cortigiani dopo la morte di Lanfranco.
Il diniego di Anselmo fu il primo seme di dissidio ; ma
non disgiunto nell'abbate da un intimo senso di gioia
per la speranza di sottrarsi all'onore di ogni prelazione,
giacchè fra quel mentre aveva egli già rinviato al Bec,
con la verga abbaziale, la rinunzia ad ogni monastica
dignità. Passato cosi molto tempo fra le speranze e il
timore, in termine di sei mesi, il re, forzato dai clamori
XII . IL VESCOVO ELETTO 193
di tutti i buoni, si piegò alfine; richiamò Anselmo a sé,
in Windsor, e gli fece le debite promesse. Anselmo do
vette allora cedere anch'egli, prestargli l'omaggio , come
aveva fatto il suo maestro Lanfranco, e riceverne l'in
vestiturà feudale. Dopo questa, all'uscire del settembre,
faceva la sua entrata solenne nella città e sede Can
tuariense, con immensa gioia del clero, dei monaci, del
popolo tutto, e all'entrare del dicembre aveva la con
secrazione episcopale con l'intervento di tutti i vescovi
d'Inghilterra.
La mite pecorella era aggiogata per sempre al toro
indomito : lo spettacolo della lotta e del suo esito so
vrumano riempirà di stupore il mondo e di gloria l'isola
remota, ma più singolarmente la sua sede primaziale
Cantuariense ; spettacolo di lotta e di trionfo che strap
pava ai suoi contemporanei quel grido di plauso, del
quale sono eco gli ingenui versi, da noi altrove citati,
del cantore medievale ( 1 ).
(1) Cantia, tu quondam totum veneranda per orbem
Praesulis Anselmi tempore signa dabas....
13 .
을
CAPITOLO TREDICESIMO.
Il perseguitato .
Le ansie della previsione e i prodromi della persecuzione. Le prime rimo
stranze di Anselmo le dure ripulse di Guglielmo il Rosso. La que
stione del pallio e le pretensioni del re inglese. – Assemblea di Rockin
gham , convocata per decidere : Anselmo, abbandonato dai vescovi, e sua
indomita costanza . Serena pace e mite dolcezza di Anselmo tra gli
affronti; simpatie del popolo per lui e per la sua causa . Contegno op
posto dei vescovi e dei baroni : Anselmo chiede il salvacondotto per l'esi
glio . Conclusione del dramma di Rockingham : consiglio dei baroni e
tregua fra il re e l'arcivescovo fino alla Pentecoste . - Rottura della tre
gua per parte del re, con nuove persecuzioni . La legazione di Gual
tiero, vescovo di Albano, e riconoscimento di Urbano II in Inghilterra .
- La gran corte di Pentecoste a Windsor e la pace apparente del Rosso
con Anselmo.
La cerimonia del pallio - Canterbury , e nuove tribola
zioni . La questione del viaggio a Roma e del ricorso al Papa . Le
scene di Windsor e di Winchester : scelta fra il giuramento di non ap
pellazione e l'esiglio ; risposte fortissime di Anselmo e sua dolcezza verso
il persecutore.
La persecuzione dei malvagi, com'è la sorte pro
messa da Cristo a tutta la sua Chiesa in generale, cosi
è la sorte di ciascuno dei più degni suoi figliuoli, dei
suoi pastori e dei suoi santi in particolare. Ma per al
cuni fra essi, come per Anselmo di Aosta, la sorte ge
nerale diviene immensamente più dura e perciò anche
più gloriosa, mentre la gloria degli individui ridonda
più ancora nella società divina che li ha formati eroi,
e sopra tutto nello Spirito divino, che ha prescelto a
cose grandi i piccoli e i deboli per confondere i forti.
Anselmo, « monaco del Bec per l'affetto, ed arci
vescovo di Cantorbery per la forza » ܕ, sentiva con l'umiltà
dei santi tutta la ingenita sua debolezza, la esagerava
196 S. ANSELMO DI AOSTA
anzi agli occhi proprii ed agli altrui, la protestava in
nanzi ai vescovi ed al monarca per allontanare da se
il peso del governo in tempi cosi difficili per la so
cietà religiosa e civile della nazione anglosassone, ti
ranneggiata dai conquistatori normanni. Egli prevedeva
la tempesta e ne piangeva amaramente, inconsolabil
mente, giorno e notte, tanto che ebbe a soffrirne per
dita della vista. Perciò raccomandavasi pure ai suoi
confratelli e figliuoli : « Quando mi scrivete, non sia
<
troppo gracile la scrittura, perchè le molte lagrime del
giorno e della notte mi rendono penoso il leggere » (1 ).
Ma il prevedere e il piangere non gli scemavano
coraggio ; perchè il suo coraggio era in Dio e questo
nella debolezza e nella prova si rassoda (2).
E la tempesta si scatenò ben presto : il vescovo
eletto divenne il perseguitato per la giustizia ; e tanto
più animoso andò incontro alle umiliazioni, alle spo
gliazioni, agli esilii, quanto più timido e restio erasi con
dotto a prendere sopra di sè il peso degli onori, della
primazia e del comando.
Il « re rosso » era cupido di danaro, nervo della
guerra, ch'egli voleva muovere al fratello Roberto, al
di là della Manica. Anselmo, com'era suo debito in quei
tempi, gli offri un presente convenevole, ma non esor
bitante . Erano cinquecento libbre d'argento : al re in
dettato dai suoi cortigiani parvero una miseria . Lo fece
intendere ad Anselmo ; richiese da lui mille o mille du
cento libbre, e perchè alla prepotenza si aggiungesse
l'affronto, gli fece rimandare indietro il primo dono.
( 1 ) Epist. III , 15 .
(2) Ciò si vede specialmente nelle lettere commoventi, scritte
da lui appena eletto vescovo e nei primi tempi del suo episco
pato , che sono le prime del libro terzo dell'epistolario di Anselmo .
XIII . IL PERSEGUITATO 197
Anselmo, recatosi dal re, cerca d'indurlo a conten
tarsi di quel tanto che per le condizioni dei tempi po
teva offrirgli un vassallo ecclesiastico, nè volesse esi
gere altro con la violenza . -- « Per via di amichevole
libertà soggiungeva potrai avere a tuo utile me e
tutte le cose mie ; ma a titolo di servitù non avrai nè la
mia persona nė le mie cose » . « Tienti le cose tue
rispose il Rosso indispettito – a me bastano le mie :
non voglio le tue prediche ; vattene » , – Se ne andò
Anselmo, e : « Benedetto Iddio — esclamava – che ha
salvato la mia riputazione. Se il re avesse accettato
il mio presente , si sarebbe detto che io gli pagava il
prezzo dell'episcopato » . E senza più, fece distribuire
ai poveri di Cristo il danaro ricusato, per la salute del
l'anima del re.
Poco tempo appresso, il re, già stando sull'imbar
carsi ad Hastings per tragittare in Normandia, il pri
mate venne, come gli altri vescovi, per salutarlo e be
nedire al suo viaggio. Ma di questa occasione e del
ritardo di un mese che il vento contrario frappose alla
partenza, egli si giovò per fare rimostranze al re, che
prima di recarsi a guerreggiare in Normandia, dovesse
dare qualche pensiero alla ristaurazione della religione
in Inghilterra, e lasciare ordine che si ripigliasse la ce
lebrazione dei concilii , sospesi dal giorno del suo avve
nimento al trono. – « A ciò penserò io, quando piacerà
a me, e non a te, rispose Guglielmo. E poi -- soggiungeva
in tono di scherno - di che parlerai tu nel concilio ? » —
Anselmo pacatamente rispondeva che a reprimere le
unioni incestuose e le dissolutezze nefande, per cui
tutta la terra pareva ormai voler divenire una Sodoma.
- « E che cosa ne guadagnerai ? — chiedeva il Rosso
con voce beffarda » . « Per me nulla rispondeva An
selmo — ma per l'onore di Dio e per il tuo qualche cosa
ne spererei » , - « Basta : non voglio che me ne parli
più » -- conchiuse il tiranno. E Anselmo allora desistette
198 S. ANSELMO DI AOSTA
da ciò, ma continuò rammentando al re le tante abba
zie vacanti, in cui per la mancanza di superiori la di
sciplina dei monaci rilassava, e rappresentandogli il
pericolo della dannazione eterna, ove proseguisse ad
impedire la nomina degli abbati.
Di questo libero parlare indispetti il Rosso come
di un affronto . « E che importa a te ? esclamò in
furiato . Forse che le abbazie non sono cosa mia ?
Oh bella ! tu fai pure ciò che vuoi delle tue ville ed
io non farò ciò che voglio delle mie abbazie ? » « Tue
sono replica Anselmo – perché le custodisca e le
difenda come patrono ; non perchè le devasti come in
vasore. Noi sappiamo che esse sono di Dio, perchè i
suoi ministri vi abbiano onde vivere, non perchè ser
vano alle tue spedizioni e alle tue guerre. A te non
mancano rendite e dominii per sopperire al bisogno.
Rendi dunque alla Chiesa ciò che è suo » . « Sta si
curo che questo tuo parlare mi disgusta grandemente,
risponde il re. Mai il tuo predecessore avrebbe osato
parlare in questo modo a mio padre. Io non farò nulla
in tuo favore » .
Anselmo capi che era indarno l'insistere e si ritirò.
Ma per amor di pace e per evitare maggiori mali, inviò
indi a poco i vescovi dal re, a supplicarlo di restituir
gli la sua grazia, o almeno significargli il motivo del
suo disgusto. Guglielmo replicò : « Di niuna cosa l'in
colpo ; ma non perciò voglio concedergli la mia grazia
perché non so a qual titolo » .
I vescovi consigliano ad Anselmo di placare il re,
consegnandogli le cinquecento libbre d'argento già of
ferte e promettendogliene altrettante . — « Lungi da me
questo ! – rispose Anselmo – i miei tributarii furono
già spogliati dopo la morte di Lanfranco : sono omai
al verde ; dovrò io spogliarli ancora o piuttosto, dopo
che sono già spogliati, strappare loro la pelle ? E poi,
al re io devo fede ed onore ; gli farò io tale disonore da
XIII . IL PERSEGUITATO 199
comprarne la grazia con vile moneta, come si farebbe
d'un cavallo o d’un asino ? Del resto, le cinquecento lib
bre già sono in mano dei poveri ; io non ne posso più
disporre » .
La risposta fu riferita al re, e costui di rimando gli
fece dire : « Ieri l'odiava molto ; oggi l'odio ancora di
più ; e ch'egli lo sappia bene, dimani e per l'avvenire
l'odierò sempre e sempre più acerbamente. Nè mai
io lo terrò in conto di mio arcivescovo e di mio padre.
Non voglio le sue preghiere ; le rigetto. E vada egli
dove vuole, né aspetti qui per darmi la sua benedi
zione, prima della partenza : non so che farmene ».
Noi lasciammo allora la corte in tutta fretta
conchiude Eadmero – abbandonando il re a se stesso.
Egli si tragittò in Normandia, vi fece grandi spese, ma
non venne a capo di sottometterla, e se ne ritornò in
Inghilterra, dopo avere fallito nella sua impresa » ( 1094).
Ma tornatovi appena, preparava nuove persecuzioni
al primate. Questi aveva il debito, durante l'anno che
seguiva alla sua consacrazione, di recarsi a Roma per
ricevervi dalle mani del Sommo Pontefice l'insegna
della sua primazia e il simbolo di unione con la Sede
romana : il pallio arcivescovile. Ma, per uscire del re
gno, gli conveniva chiederne buona licenza al monarca.
A lui dunque si presentó Anselmo, annunziandogli il
suo proposito di condursi a Roma, per chiedervi il pal
lio dal Papa . « Da qual Papa lo vuoi chiedere ? »
interrogó ruvidamente il Rosso. – E alludeva all'anti
papa Guiberto, che si opponeva col nome di Clemente III
al legittimo Pontefice Urbano II. « Da Urbano »
risponde Anselmo, stupito non poco di quella domanda ;.
giacchè egli, prima di accettare il vescovado, come si
disse, aveva posto per condizione il riconoscimento del
200 S. ANSELMO DI AOSTA
legittimo Papa - « Io non l'ho ancora riconosciuto per
Papa riprese con violenza il tiranno - e non è mio
costume, come non fu mai di mio padre, di lasciare che
si nomini in Inghilterra un Papa senza mia scelta e
permissione. Chiunque pretenda arrogarsi un tal diritto,
non si rende meno colpevole verso di me che se ten
tasse di strapparmi la corona » .
Anselmo con soavità e fermezza ricordó al mo
narca la condizione da se posta e l'accettazione del re,
quando lo volle innalzato alla dignità di arcivescovo.
Ma la verità, con l' evidenza del loro torto, rinfocola
l'odio ai tristi. Guglielmo, non avendo che ridire, dette
in furore e prese a gridare, schizzando fuoco dagli
occhi, contro il primate : Sappi -- gridava – che
non puoi conservare la fedeltà che devi a me con l'ob
bedienza alla Sede apostolica, contraria alla mia vo
lontà » .
Il primate non si turbó, nè cedette : protestò anzi
che non resterebbe mai dal suo proposito di obbedienza
debita al Capo della Chiesa, per quali si fossero per
secuzioni e minacce. Ma, volendo sperimentare ogni
via di pace, chiese al re di sottoporre la questione al
giudizio dei vescovi, degli abbati e dei grandi del re
gno, convocati a parlamento. Soggiungeva tuttavia, con
quella sua nobile schiettezza e indomita costanza di pro
posito, che quando l'assemblea avesse dichiarato non
potersi accordare insieme le due obbedienze, al sovrano
ed al pontefice, egli avrebbe preferito allontanarsi dal
regno con l'esiglio , anzi che rinunziare, anche per un'ora
sola, all'obbedienza che doveva a Pietro nel suo suc
cessore .
*
Si fermò il giorno per l'assemblea, la terza dome
nica di quaresima 11 marzo 1095, e il luogo, la chiesa
del castello di Rockingham. Quivi Anselmo fece una
XIII. IL PERSEGUITATO 201
pacata esposizione della grave controversia : le sue con
ferenze col re, il suo proposito di recarsi ai piedi di
Urbano II, il divieto avutone, quindi la stretta in cui
si trovava, con somma angoscia del cuore, o di rinne
gare il vicario di Pietro o di mancare alla volontà del
monarca .
I vescovi esitavano a rispondere : si schermivano
con dire che Anselmo stesso doveva decidere, egli uomo
prudente nel Signore e solo amante del bene : che se
voleva rimettersi al re, i vescovi avrebbero preso a
cuore tutti i vantaggi di lui come proprii, e ad ogni
modo erano pronti di riferire al re, se a lui piacesse,
l'esposizione da lui fatta. Anselmo acconsenti a questa
ultima proposta , di riferirne al re. Questi rispose che
era domenica ; aspettassero il dimane e fra tanto An
selmo si ritirasse.
Al giorno appresso, il perseguitato arcivescovo si
ripresenta all'assemblea, torna a richiederla di consi
glio ; ma gli si fa intendere la stessa risposta, che do
vesse cominciare dal rimettersi in tutto al monarca, ne
poterglisi dare, in ogni caso, il consiglio di fare contro
alla volontà del principe. Ciò detto, i prelati chinarono
il capo vergognosi.
Anselmo sfavilló di nobile indegnazione, alzò gli
occhi al cielo e con voce forte gridò : « Poichè voi,
pastori del popolo cristiano, voi che vi chiamate prin
cipi dei popoli, non volete dare consigli a me, vostro
capo , se non conforme alla volontà di un solo uomo ;
io farò ricorso al pastore supremo e principe di tutti,
ricorrerò all'Angelo del buon consiglio, e in questo ne
gozio che è mio, o piuttosto di Dio e della sua Chiesa,
avrò da lui il consiglio che dovrò seguire. Egli ha detto
al più beato degli Apostoli : Tu sei Pietro, e su questa
pietra io edificherò la mia Chiesa , e le porte dell' in
ferno non prevarranno contro di lei ; e io ti darò le
chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che tu legherai
202 S. ANSELMO DI AOSTA
su la terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scio
glierai su la terra sarà sciolto nei cieli. Ed egli disse
aitresi a tutti gli Apostoli insieme : Chi ascolta voi,
ascolta me ; chi sprezza voi, sprezza me. Queste pa
role che noi teniamo come dette principalmente al beato
Pietro e in lui agli altri Apostoli, noi stimiamo dette al
successore del beato Pietro, e mediante lui agli altri
vescovi che tengono il luogo degli Apostoli ; non già
ad un imperatore, a un re, a un duca, ad un conte. In
qual cosa, tuttavia, dobbiamo noi essere sottomessi ai
principi della terra e servirli ? L'Angelo stesso del gran
consiglio ce lo insegna quando dice : Date a Cesare
quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio. Que
ste sono le parole, questi i consigli di Dio. Io li accetto
nè intendo di allontanarmene in nulla. Sappiate dunque
tutti che in tutto ciò che è di Dio, io renderò obbedienza
al Vicario di Pietro, e in tutto quello che è temporale,
servirò fedelmente, il meglio che potrò , al re mio si
gnore » .
Questo parlare energico gettò lo sgomento nella ti
mida assemblea. Tutti si levarono a precipizio, quasi
fuori di sè : era da ogni parte un bisbigliare, un mor
morare, un fremere ; per poco sarebbesi detto, al ve
dere quella tumultuosa adunanza l'osservazione è del
testimone di vista, Eadmero — sarebbesi detto che voles
sero accordarsi tutti a gridare la morte all'arcivescovo.
Ma si contentarono infine di protestare che nessuno ri
porterebbe quelle parole al re. Quindi uscendo in di
sordine si condussero da Guglielmo ; Anselmo li segui,
nė osando alcuno aprir bocca, ripetė egli il discorso
fatto, senza niuna ombra di esitazione.
Guglielmo dette in eccessi di furore ; quindi, richia
mati ripetutamente a sè vescovi e baroni, passò con essi
la giornata a consulta . Tutti avevano abbandonato An
selmo, eccetto il suo caro amico, Gondolfo, vescovo di
Rochester ; né i più l'avevano abbandonato per malva
XIII . IL PERSEGUITATO 203
gità o per mal animo che avessero contro di lui, ma chi
per debolezza, chi per ignoranza, chi per servilità verso
il monarca o per interesse. Quindi si vedevano tutti con
fusi, altri in disparte, altri divisi in piccoli capannelli,
venire discutendo ; e per tutto quel lunedì, 12 marzo,
disputarono come accordare ogni cosa, stando in buona
con l'arcivescovo e non offendendo il re. Ma non vi
trovavano riuscita ; e del resto, pochissimi giungevano
a darsi conto della gravità immensa di quella contro
versia, la quale, senza la resistenza indomita del per
seguitato arcivescovo, avrebbe accelerato di cinque se
coli la funesta separazione dell'Inghilterra dalla vera
Chiesa di Cristo .
Stanco di quelle interminabili dispute, il mite per
seguitato se ne ritorna alla chiesa del castello, e dopo
avere pregato fervidamente , spossato ma sereno china
il capo alla parete e si addormenta placidamente. Sul
far della sera, cercandolo i vescovi, seguiti da alcuni
signori, lo trovarono, con loro grande stupore, in quel
suo dolce sonno, e riscotendolo : « Orsů gli ripete
vano pensaci bene : tutto il regno è contro di te ;
ritirati dal mal passo ; rinunzia all'ubbidienza di Urbano,
il quale non può giovarti, se il re ti avversa, nè pre
giudicarti, se il re ti favoreggia : scoti il giogo : sii libero
come si conviene ad un arcivescovo Cantuariense, e
sta agli ordini del re » .
Bene si accorse Anselmo di che libertà parlassero
quei servi della tirannide governativa : la libertà di es
sere schiavo delle passioni e dei capricci della potestà
laica, che è privilegio dello scisma, frutto della ribel
lione all'autorità spirituale del Vicario di Cristo e della
sua Chiesa : quella libertà che poi toccò ai vescovi an
glicani staccatisi da Roma cinque secoli dopo e che an
204 S. ANSELMO DI AOSTA
cora li incatena oggidi allo Stato. Risponde dunque :
« Ben v’intendo ; ma, per non dire del resto, io non vo
glio in conto alcuno rinunziare all'ubbidienza del Sommo
Pontefice. Ma il giorno declina : rimettiamo, se non vi
dispiace, a domani il negozio. Io vi ripenserò e vi ri
sponderó ciò che Iddio si degnerà d'ispirarmi
A tali parole, come narra sempre il testimone di que
ste scene, i vescovi entrarono in sospetto che il primate
rallentasse, o non sapesse più che si dire . Se ne torna
rono quindi al re, e lo stimolarono a non concedere in
dugio, ma a portare tosto sentenza definitiva. Il più
caldo, in tutto questo dibattersi, era Guglielmo di Dur
ham, uomo di grande facilità di parole, ma di niuna
vera prudenza : egli fomentava la discordia e aizzava
il re contro il perseguitato, agognandone la rovina per
usurparne il grado e la dignità. Il re applaudiva al
l'abbietto cortigiano, e con lui intendeva a perdere l'ar
civescovo in ogni modo, o disonorandolo innanzi a tutto
il regno, se egli avesse ceduto con rinunziare al legit
timo Papa, o forzandolo a dimettersi, ove persistesse a
resistere. Voleva egli solo, il Rosso, aver in mano ogni
potere, e con ciò dominare i vescovi tutti col loro pri
mate come suo zimbello. Era il degno antecessore di
Enrico II, o peggio ancora di Enrico VIII, di Elisabetta
e loro successori.
Il vescovo cortigiano si strinse dunque intorno ad
Anselmo ; e passava dalle preghiere alle insistenze, alle
petulanze, alle minacce. « Nė darti a credere - soggiun
geva che si tratti di un giuoco da parte nostra ; no :
o tu rispondi immediatamente alle parole del nostro si
gnore, o aspettati in sull'istante la sentenza che merita
la tua presunzione » . Era ciò un mettere a dura prova
c
la pazienza del perseguitato. Ma Anselmo rispondeva
con severa dignità : « Se v'ha taluno che voglia provare
come io per non voler rinunziare all'ubbidienza verso
il Sommo Pontefice della venerabile e santa Chiesa Ro
XIII . IL PERSEGUITATO 205
mana, violi la fedeltà e il giuramento che mi legano
al re della terra , tragga innanzi e, in nome del Signore,
mi troverà pronto a rispondergli come debbo e dove
io debbo » .
Allora i vescovi si guardarono in faccia ; nė avendo
che replicare, furono da capo intorno al re, loro padrone.
Avevano capito , tardi, che il primate non poteva es
sere giudicato né condannato da altri che dal papa.
Intanto, al rompere di questa tempesta d'insulti contro
il perseguitato, un mormorio era corso per le file della
moltitudine assistente : tutti a voce bassa borbottavano,
deplorando le tante ingiurie che si rovesciavano sopra
un uomo di tanto merito. Ma nessuno osava parlar forte
per timore del tiranno. Tuttavia, un cavaliere vi fu che
usci dalla folla, si fece in mezzo e presentatosi ad An
selmo, gli si prostrò ginocchioni d'innanzi, e : « Mon
signore e padre mio — esclamò - i vostri figliuoli vi
supplicano, per la mia bocca, di non lasciarvi turbare
da quanto vi è stato detto, ma di ricordarvi del beato
Giobbe, il quale dal suo letamaio vinse il demonio e
vendicó Adamo vinto dal demonio in paradiso » . – A
questa candida esortazione dell'anima di fede, il volto
del buon Padre si rasserena : egli comprende che le sim
patie del suo popolo stanno per lui. « E noi
confessa Eadmero - ci sentimmo pieni di gioia e di tran
quillità, confidandoci nella parola della Scrittura divina
che la voce del popolo è roce di Dio. Ma che farò io ?
Se riferissi in particolare le minacce, gli obbrobrii, le
menzogne, che Anselmo ebbe a sostenere, temerei di
essere tacciato di esagerazione. Egli, per devozione alla
Santa Sede, sopportava tutto in pazienza, ed aiutandolo
Iddio, confutava ogni cosa vittoriosamente, dimostrando
com'egli era nella verità e in tutto questo affare aveva
Iddio dalla sua » .
Vedute fallire le sue speranze, il re sfogò il di
spetto contro i suoi vescovi più ligi, perché con tutte
206 S. ANSELMO DI AOSTA
le loro buone promesse, non avevano approdato a nulla.
I vescovi non sapevano più che dire : quello di Dur
ham, sopra tutto, incespicava, balbettava compassio
nevolmente, che sarebbesi preso per un uomo inetto.
Confusione dei vili, che nella lotta per la verità e la
giustizia non conoscono altra via da quella della fuga,
delle concessioni e dei compromessi !
La notte pose fine alla lotta col trionfo del perse
guitato.
* *
Ma al dimane la lotta ricominciò più accanita. Di
buon mattino, Anselmo era già in chiesa aspettando ; ma
gli altri stavano raccolti intorno al re, proponendogli,
ciascuno a sua volta, un qualche ripiego per la condanna
di Anselmo : nessuno riusciva a contentarlo pienamente.
Finalmente venne Guglielmo di Durham, il quale con
sigliava di opprimerlo con la forza , perché non si po
teva con le ragioni ; quindi spogliarlo delle sue inse
gne e cacciarlo dal regno. I baroni protestarono, che
questo provvedimento dispiaceva loro in estremo : in
tendevano essi bene che l'arcivescovo era pure un si
gnore, il primo anzi , del regno, e se egli veniva cosi
lasciato alla balia delle persecuzioni violente del tiranno,
tutti vi sarebbero stati esposti alla pari e il re solo
arbitro del tutto .
Ma il Rosso tornò ad arrabbiare ; e : « Se que
sto non vi piace, che cosa vi piacerà dunque ? gri
dava nelle smanie del furore. Finchè io vivrò, non
soffrirò mai uguale nel mio regno. Andate, andate,
consigliatevi tra voi ; perchè, per il Volto santo di
Dio, se voi non lo condannerete a mia volontà , io
condannerò voi » . « Io non so però riprese Ro
berto uno dei suoi favoriti più intimi non so vera
mente che cosa pensare delle nostre deliberazioni. Noi
XIII . IL PERSEGUITATO 207
ci affanniamo tutta la giornata ad accordarci, a discu
tere, e mentre noi ci veniamo sfiatando, egli si addor
menta placidamente, e quando noi l'affrontiamo, con
un semplice muovere di labbra soffia via, quasi tele di
ragno, tutti i nostri ragionamenti » . - « E voi, vescovi,
che cosa dite ? » riprese a gridare Guglielmo. — I ve
scovi, dopo qualche tergiversare, dichiararono alfine di
non potere nè giudicare né condannare il loro primate,
quande pure si fosse trattato di un fallo, di che non vi
era allora neppure l'ombra. — « Ma allora, che resta
da fare ? Se non potete giudicarlo, non potrete almeno
ricusargli ogni obbedienza, rompere ogni relazione di
amicizia con lui ? » « Oh questo si, noi lo possiamo,
se voi l'ordinate » . Fatelo dunque, presto ! – con
chiuse il re chè, quanto a me, io comincio subito
a negargli tutto nel mio regno, pace, sicurezza , ubbi
dienza, nè lo voglio più tenere in conto di mio arcive
scovo e padre spirituale » .
I prelati, benchè i più a malincuore e alcuni solo
in parte, si arresero, e ne portarono l'annunzio al pri
mate. Egli li attendeva in chiesa tranquillo e sereno
nella preghiera. Ma, inteso la loro pubblica dichiara
zione, che dava compimento alla precedente defezione,
fece questa risposta nobile e dignitosa, veramente de
gna di un santo : « Ho capito. Sottraendomi ogni obbe
dienza, fedeltà e amicizia che voi mi dovete come a
vostro primate e padre spirituale, perchè io voglio con
servare l'obbedienza e la fedeltà che devo al beato
Pietro , principe degli Apostoli, voi fate male. Ma non
piaccia a Dio che io vi renda il contraccambio. Al con
trario, mostrandovi un amore di padre e di fratello, io
vi terrò sempre per miei fratelli e per figliuoli della
nostra santa madre, la Chiesa Cantuariense, e mi stu
dierò di ritrarvi, se voi non metterete ostacolo, dall'er
rore in cui siete caduti per timore, e di ricondurvi con
quel potere che il Signore mi ha dato, ad una vita santa.
208 S. ANSELMO DI AOSTA
Quanto al re poi, che mi toglie ogni sicurezza nel suo
regno e nega di ricevermi per suo arcivescovo e suo
padre spirituale, io gli prometto invece, per quanto di
pende da me, sicurezza intera e ogni maniera di ser
vigi, prendendomi, se egli lo consente, una cura paterna
dell'anima sua, ma sempre restando fedele al servigio
di Dio e serbando intatta la potenza, la dignità e l'au
torità di arcivescovo, quali siano le vessazioni esteriori
a cui possa io venire sottoposto
Udita si nobile risposta, il re non si commosse ;
volle anzi dai baroni la rinunzia stessa che avevano
fatta i prelati. Ma i laici, più avveduti, pararono il colpo
e risposero ad una voce : « Noi non siamo stati mai
suoi vassalli ; non abbiamo punto da ritirare un giura
mento che non abbiamo fatto . Ma egli è nostro arcive
scovo ; a lui appartiene governare la cristianità in que
sto paese, e però noi, che siamo cristiani, non possiamo
sottrarci all'autorità di lui ; tanto più che non appare
macchia nella sua vita, che possa spingerci a operare
altrimenti »
Il re dissimulò il dispetto per questa inaspettata
resistenza ; nė ardi insistere per non irritare i baroni.
I vescovi deboli, al confronto, si sentirono bruciare la
faccia di vergogna . E oltre la confusione e il rimorso che
li amareggiava, si vedevano fatti bersaglio della ripro
vazione popolare, e alcuni anche di nuove persecuzioni
del re. Poichè questi, temendo che gli sfuggissero di mano,
cercava di aggiogarseli sempre più strettamente, ora con
avvilirli ora con esaltarli indebitamente, secondo i casi
o piuttosto secondo i gradi del loro tradimento. Gon
dolfo solo, tra i vescovi, restava ancora a fianco del
l'amico .
Anselmo si vide allora aperte le vie dell'esiglio ; non
esito : si dispose anzi ad entrarvi risolutamente. Chiese
quindi un salvacondotto al re, per condursi coi suoi
amici a qualche porto di mare e passare la Manica.
XIII. IL PERSEGUITATO 209
Ma questa dimanda gettò il re nella incertezza. Egli
aveva potenti nemici al di qua e più al di là dello
stretto : questi cresciuti in audacia per la recente di
sdetta della sua spedizione di Normandia, potevano
trarre nuova baldanza dall'esiglio cosi ingiusto del pri
mate, che era il primo tra i signori del regno e stima
tissimo da ambe le parti per merito di santità e di
scienza . Queste ed altre ragioni politiche l'indussero a
ricercare di consiglio i suoi baroni. Essi per quella sera
consigliarono al re di lasciare che l'arcivescovo si ri
tirasse in pace e si rimettesse la risposta al dimani.
La terza giornata di Rockingham era finita : i pre
lati si ritrassero confusi ; i baroni tristi; molti, fra i
più amici del perseguitato, disperavano di salvarlo . Il
primate, sempre dolce e sereno, aspettava la sentenza
come una liberazione, a temeva solo che la politica
spietata del Rosso gli nogasse anche il conforto del
l'esiglio. E cosi fu per allora. Al primo mattino, ecco
già gli inviati del re a chiedere di Anselmo e invitarlo
alla chiesa. Egli li segui, tranquillo; ma altrettanto erano
essi tristi e commossi : procedevano in silenzio, con
passo affrettato, con aria pensosa, come se andassero
essi alla sentenza. Già Anselmo é i suoi monaci ave .
vano preso posto, e si guardavano attorno con impa
zienza ; tutto era vuoto in giro ; non sapevano che
pensare. Ad un tratto, entrano a schiere i baroni, e
alcuni vescovi insieme : uno dei signori prende la pa
rola a nome di tutti e fa questa proposta al primate : che
vi fosse tregua fra lui e il re, lasciando ogni cosa nella
condizione in cui si trovava, fino ad un termine posto.
Questo termine fu poi fissato all'ottava della Pentecoste.
Era impossibile non accettare. E Anselmo, pure non
dissimulando ai baroni la sua poca fiducia in quella pace
14 .
210 S. ANSELMO DI AOSTA
precaria, accetto « nell'interesse della pace, ma con
servando sempre il rispetto e l'obbedienza che doveva
al signore Urbano, pontefice della Sede apostolica » .
Tale fu lo scioglimento di questo che fu ben detto
« il dramma terribile di Rockingham » e fini, se non con
la vittoria compiuta , certo con un primo vantaggio del
vescovo perseguitato. Eppure l'anima sua mite era in
preda alle più angosciose trepidazioni, e queste sfogava
con dolce espansione in parecchie sue lettere. Ma con
particolare confidenza lo fece in una più affettuosa e
più intima « al signore e amico carissimo, il reverendo
arcivescovo di Lione, Ugo » , il quale era anche legato
del Pontefice nelle Gallie ( 1 ). Nè solo per isfogo del suo
dolore, ma per tranquillità della coscienza delicata egli
scrive all'amico, ricercandolo di consiglio e protestan
dogli il suo proposito di perdere ogni cosa piuttosto
che rinnegare l'Apostolico, cioè dire il Papa legittimo,
Urbano II .
E l'Apostolico non abbandonerà nella lotta il suo
fedele .
Tornato alla sua sede, l'arcivescovo ebbe tosto a
vedere come le persecuzioni continuavano più acerbe : i
vassalli della sua Chiesa erano maltrattati con ogni
maniera di vessazioni ; colpiti di esiglio due suoi reli
giosi, e perfino cacciato dall'Inghilterra il suo amico
intimo e consigliere fedelissimo, il monaco Balduino.
Questi era il braccio destro di Anselmo nel maneggio
degli affari secolareschi, a lui intollerabili, mentre l'ac
corto normanno vi era espertissimo e sicuro ; onde la
cacciata di Balduino, come ci assicura il segretario
Eadmero, fu un'atroce ferita al cuore di Anselmo.
(1 ) Epist. III , 24 .
XIII . IL PERSEGUITATO 211
Egli non aveva più caro sollievo, fra tante amarezze
e persecuzioni, se non « dopo avere compiuto in ogni
cosa e rispetto a tutti i suoi doveri ciò che gli dettava
la coscienza '» ܕ, raccogliersi a respirare un poco nella
tranquilla dimora de'suoi monaci e con essi intrattenersi
a parlare dei doveri della vita religiosa. Nè fuggiva lo
scherzo innocente e quasi bonario, che è talora una
bella veste di umiltà e di cordialità sincera. Cosi di
ceva una volta, sorridendo, ai suoi religiosi : « Io sono
come il gufo : quando se ne sta il gufo chiuso coi suoi
pulcini, è felice; ma quando n'esce in mezzo agli altri
uccelli, è tosto inseguito, perseguitato a colpi di becco,
e si trova male » .Ma passava tosto al serio e commo
vendosi fino alle lagrime, al ripensare il pericolo del
l'anima in mezzo alle continue sue lotte, dava in ge
miti dolorosi e : « Almeno voi esclamava con le
parole di Giobbe almeno voi, amici miei, abbiate
compassione di me ; abbiate compassione di me, chè
la mano di Dio mi ha colpito » . Ed altre volte prote
stava che ben più volentieri sarebbesi veduto tra i
fanciulli di un monastero , affaticato forse nell'officio a
lui si molesto del « declinare » che non primate di tutta
l'Inghilterra. Da ciò i suoi nemici, e talora anche gli
amici, traevano cagione di rimproverargli il troppo
amore alla solitudine, e di stimarlo quasi inetto alle
lotte della vita, o certo meglio fatto per vivere chiuso
tra i suoi monaci e i suoi libri, che non alla testa del
l'episcopato di una gran nazione. Ma il primo a dare
loro ragione era Anselmo, il quale tanto più se ne
crucciava, temendone per l'anima sua, e ne scriveva
dolorosamente, anche più tardi, al Sommo Pontefice
l' umile confessione ( 1).
( 1 ) Epist . III , 37 .
212 S. ANSELMO DI AOSTA
Il Papa Urbano II intanto era stato riconosciuto
legittimo da due chierici del re, Girardo e Guglielmo,
inviati a Roma dal Rosso, per informarsene accorta
mente, prevenirlo contro il primate e ottenerne il pal
lio, non già per Anselmo, ma per chi piacesse meglio
al re. Urbano dovette bene presentire l' insidia : certo
la svento . Non ai due inviati del re consegnò il pal
lio, ma ad un suo legato, che mando con essi in In
ghilterra, Gualtiero, vescovo di Albano. La politica
astuta del normanno aveva fallito innanzi alla rettitu
dine semplice dell' Apostolico .
Il legato nondimeno, approdato in Inghilterra, vi
segui una condotta che dette molto a dire allora e poi .
Noi vi scorgiamo, almeno in germe, una diplomazia che,
se non veramente ingiusta, certo appare, sulle prime,
ben poco simpatica. Egli attraversò Canterbury senza
darsi a conoscere, scanso di vedervi Anselmo, non mo
strò di adoperarsi punto in favore del perseguitato.
Andò diffilato dal re, gli parlò solo di ciò che potesse
ingenerargli fiducia ; del primate che soffriva per la
causa del Papa, nulla. La gente mormorava : i soste
nitori di Anselmo e del Papa scotevano il capo : « Oibo !
che dire ? — Eadmero ne aveva uditi e ripetuti i la
menti . Se Roma antepone l'oro e l'argento alla giu
stizia, quale sollievo vi troveranno i perseguitati nella
loro oppressione ? » Anselmo stesso ne scrisse una let
tera piuttosto severa al legato ( 1 ).
Questi, nondimeno, con quel suo accorgimento di
plomatico, aveva guadagnato il terribile Rosso, e otte
nuto da lui il riconoscimento e la proclamazione di
Urbano come legittimo successore di San Pietro, per
( 1 ) Epist. III , 36 .
XIII . IL PERSEGUITATO 213
tutta l'estensione dei regni britanni. Allora solo si fece
parola di Anselmo : il re ne chiese, quasi in premio
dell'azione da sè fatta , la deposizione, e per maggiore
liberalità promise ancora una sovvenzione annuale. Ma
il legato fu irremovibile : se prima aveva mostrato fred
dezza verso il perseguitato, ora, in nome del Papa rico
nosciuto legittimo, lo voleva difeso, conservato nella
sua sede, ornato del pallio. Guglielmo si fece livido di
rabbia ; si trovava colto nelle reti della sua politica
con una nuova sconfitta . E non c'era riparo : gli con
venne rodersi , bestemmiando in segreto e papa e pri
mate e legato, ogni cosa : il toro infuriava, ma la vec
chia pecorella l'aveva vinto .
La Pentecoste era vicina, il termine della tregua
spirava ; era forza venire ad un componimento. I cor
tigiani tutti avvisavano che si dovesse, almeno per
finta, celebrare una riconciliazione pubblica. Tanto più
che i fremiti di sommosse non tacevano ancora fra
molti vassalli potenti ; alcune province al di qua della
Manica bollivano di odii, prossime a scoppiare in ri
bellione aperta ; e al di là un'armata minacciosa di navi
normanne stava quasi sulle ancore, e poteva soprag
giungergli da un momento all'altro, fra levante e mez
zodi, quando il re fosse intento a reprimere la solleva
zione del nord .
Il Rosso, fingendo la pace, volle almeno che gli
fruttasse buona somma di danaro . Anselmo da Mort
lake, ove erasi condotto per celebrarvi la Pentecoste,
fu invitato di avvicinarsi a Windsor, dove si teneva
la corte. Giunto a Heisa, ebbe visita di quasi tutti i
vescovi, che gli proposero di riguadagnarsi la grazia
del re con qualche offerta . Egli rispose, come altra
volta, che non farebbe mai al suo sire un tale affronto :
214 S. ANSELMO DI AOSTA
sarebbe provare col fatto che l'amicizia di lui era ve
nale ; egli non dimandava altro se non di essere trattato
come arcivescovo e padre, sotto l'obbedienza del no
stro signore Urbano papa ; se il re non lo vuole, la
tregua spira quel giorno appunto ; gli si conceda un
salvocondotto fino al mare , ed egli penserà al resto.
Non dirai altro di più che questo ? chiesero i vescovi.
- Non altro, rispose. — Ma insomma, il signor nostro
Urbano papa, a preghiera del signor nostro il re, gli
ha mandato un vescovo da Roma col pallio arcivesco
vile : pensate voi che cosa dovete al re per cosi grande
beneficio . — Un benefizio ! esclamò Anselmo ; Iddio, che
legge nel mio cuore, sa in quale conto io lo tenga !
Ma quale sia il vostro pensiero, vi conviene pagare al
meno quel tanto che avreste speso per il viaggio di
Roma. Neppure questo ! Non darò niente, non farò
niente per pagamento : queste sono discussioni inutili ;
finiamola .
Guglielmo era omai impegnato, a grande suo dispetto,
dovette dare gratuitamente quella finta di amicizia che
voleva farsi pagare cara dal suo perseguitato. E a cat
tivo giuoco fece buon viso : lo chiamò a Windsor e lo
accolse, in vista, con ogni buona grazia : al cospetto
dei vescovi e dei baroni dichiaro che gli rendeva tutta
la sua benevolenza ; lo riconobbe per arcivescovo Can
tuariense, padre spirituale di tutto il regno ; gli promise
libertà piena di esercitare il suo ministero in tutti i
paesi della Britannia. In un'assemblea, anzi, alla quale
assisteva una grande moltitudine, si mise a fare una
conversazione intima e delle più graziose col primate,
a grande stupore e consolazione di tutti ; sicchè il le
gato Gualtiero, sopravvenendo in buon punto, gridò,
ricordando il salmo (131): « Ecco quanto è cosa buona
e gioconda che i fratelli stiano uniti insieme » . Indi,
assisosi con essi, citò altre parole della santa Scrittura
XIII . IL PERSEGUITATO 215
in lode della pace felicemente redintegrata , come a lui
pareva.
Ma venne poi la questione delicata del pallio. Dai
cortigiani si voleva che Anselmo lo ricevesse dalle mani
del re, per mostrare almeno in questo la sua deferenza.
E non era quella mera questione di etichetta o di ce
rimoniale, come ad altri parve: era ben più e meglio,
come sembrò ad Anselmo. Egli perciò ridusse al silenzio
i mal destri cortigiani, osservando che il pallio non era
dono dell'autorità regia, ma dell'autorità pontificia, della
sovranità di S. Pietro. Sicchè egli, rivendicati ad uno
ad uno tutti i suoi diritti contrastatigli, ottenne che il
pallio fosse deposto sopra l'altare della chiesa del Sal
vatore di Canterbury, e che l'arcivescovo stesso se lo
prenderebbe di quivi come dalle mani di S. Pietro. -
« Non ci sarà permesso qui di ricordare che Napoleone
prese cosi la corona imperiale di sopra l'altare di No
stra Signora, non volendola ricevere da mano mor
tale ? » Cosi il razionalista Remusat ( 1). Ma è futile
il ravvicinamento storico, chi non ne consideri il con
trapposto ; poichè in uno fu eccesso di orgoglio e di
dominio, nell'altro impulso di magnanimità e desiderio
di ordinata subordinazione . Onde la lezione della sto
ria è questa, che in sé, come nelle loro manifestazioni
esterne, si danno sovente vizi pessimi che hanno quasi
l'ombra o la vicinanza della virtù : non ne hanno la
vera nobiltà nè la vera grandezza.
Anselmo se ne parti dunque onoratissimo per Can
terbury ad aspettarvi il legato Gualtiero. Questi vi fece
la sua entrata solenne, preceduto da una gran pro
( 1 ) Saint Anselme, p . 219 .
216 S. ANSELMO DI AOSTA
cessione, la domenica 10 giugno 1095, e portando il
pallio in una cassetta d'argento. All'entrare nella me
tropoli, l'arcivescovo gli fu incontro, vestito degli abiti
pontificali, ma nudo i piedi, per riverenza al simbolo
sacro che gli veniva da Pietro. Accompagnò quindi il
legato, con magnifico corteggio per le vie di Canterbury
fino alla cattedrale . Qui giunto, Gualtiero apre la cas
setta, ne trae il pallio e lo depone sull'altare. L'arci
vescovo assiste ginocchioni, pregando ; indi si leva, gli
occhi umidi di lagrime, s'appressa all'altare e ne prende
con riverenza il simbolo sacro, come se l'avesse rice
vuto da Cristo medesimo, lo bacia commosso e, risceso
l'altare, lo dà a baciare a quanti gli stanno d' intorno ;
infine se ne riveste e torna all'altare, ove celebra la
messa con tutta la maestà pontificale. Cosi il persegui
tato aveva un'ora di trionfo, ma anche in essa mante
neva tutto il suo pio contegno, dell'anima umile e piena
di fede, grande nella semplicità. Egli, del resto, pre
sentiva vicino lo scoppio di una nuova tempesta , ne
esponeva i suoi ansiosi presentimenti al Sommo Ponte
fice Urbano II, nella lettera stessa in cui lo ringraziava
del pallio ricevuto, e ne implorava soccorso nel nau
fragio che temeva ( 1 ).
Non passarono molti mesi, e i prodromi della tem
pesta cominciavano a rumoreggiare. Eravamo nei giorni
in cui un sacro fuoco di entusiasmo correva per tutti
i popoli cristiani, e dalle corti dei re, dai castelli dei
nobili, dai casolari degli umili e fin dei servi della gleba
suscitava schiere di eroi che si armavano della croce
per volare alla liberazione di Terra Santa .
Il Rosso non era uomo da sentire cosi nobili entu
siasmi e correre a disinteressati ardimenti . Non cosi Ro
berto, suo fratello, duca di Normandia, il quale prese la
croce e cedette a Guglielmo il godimento della Norman
( 1 ) Epist. III , 37 .
XIII . IL PERSEGUITATO 217
dia, mediante lo sborso di dieci mila marchi d'argento.
Ma per rifarsi di tale somma, Guglielmo tornò ai latroci.
nii delle chiese : « non perdonò a ornamenti, non a vasi
sacri, non a casse preziose di reliquie, non ai libri degli
Evangelii, che fossero ricchi d'oro o d'argento » . An
selmo vi recò il suo contributo, con dugento marchi,
ma provvedendo che non ne andasse punto gravata la
sua chiesa.
Preso possesso della Normandia, Guglielmo ne fu
richiamato a precipizio dalla sommossa degli antichi
Gallesi. Alla spedizione dovette concorrere Anselmo,
come signore feudatario ; inviò il suo contingente di
militi. Il re parti senza farne richiamo; ma tornato
vittorioso dal paese di Galles, prese a gridare che i
soldati dell'arcivescovo erano mal forniti ed inetti ; e
a lui fece dire che l'avrebbe citato innanzi alla sua
corte come feudatario infedele. Anselmo intese ove pa
rava il colpo e si dispose a nuove lotte. Vedeva, di più,
con rammarico angoscioso, come ne scriveva al Papa,
crescere ogni giorno le vessazioni dei buoni, le spo
gliazioni delle chiese e delle abbazie, e, ch'era peggio,
il rilassamento della disciplina e la dissolutezza dei
costumi in ogni parte del regno, tra il clero e il popolo,
i piccoli e i grandi. Era necessario venire alle riforme,
e su queste doveva intendersi con un'autorità maggiore
di quella dei re, con l'autorità del vicario di Cristo.
Al papa, dunque, risolvette Anselmo di recarsi « per
averne consiglio intorno all'anima propria ed all'ufficio
ingiuntogli » .
Era l'anno 1097 e si teneva la corte plenaria di
Pentecoste a Windsor. « Essendosi pertanto recato, An
selmo, a corte per le feste, e avendo spiato con dili
genza, a mensa ed altrove, le disposizioni del re, non
218 S. ANSELMO DI AOSTA
conservò più nessuna speranza di vederlo emendare.
Passate le feste, si trattò, giusta l'usanza, degli affari
del regno, e i cortigiani cercavano già a quale via ri
correre per fare cadere Anselmo, allora aggravato dal
l'accusa che abbiamo detto, con una condanna che lo
forzasse a pagare al re una grossa somma, ovvero ad
implorare la sua misericordia . In questo tempo, Anselmo
chiamò a sè alcuni signori della corte e li pregò di
significare al re, che trovandosi egli a estrema neces
sità, desiderava, con sua buona licenza, recarsi a Roma.
Il re fu attonito di tale dimanda : « Niente affatto
grido – egli non ha commesso peccato da obbligarlo
a chiederne l'assoluzione dal Papa, nè ha bisogno di
consultarlo. Io so che è più capace di dar egli consigli al
Papa che non bisognoso di riceverne » , - Queste parole
furono riportate ad Anselmo. Egli rispose : « Il re ha il
potere in mano : dice quello che piace a lui . Ma se
non mi vuole concedere questa volta il permesso, me
lo concederà forse altra volta. Quanto a me, rinnoverò
le dimande » .
E le rinnovo di fatto più d'una volta. Cosi nel mese
di agosto, e anche allora Guglielmo tornò a negare .
Ma infine per sottrarsi alle insistenze del primate, lo
rimise ad un'altra assemblea da tenersi nel prossimo
ottobre in Winchester. Sperava con ciò di stancare il
prelato. Ma non conosceva l'uomo, che la persecuzione
fortificava .
Ecco infatti, nell'ottobre seguente, Anselmo tra i
primi a Winchester, e dritto al suo scopo si ripresenta
al re, con la stessa dimanda. Il Rosso va, al solito, su
le furie. « Che quest'uomo mi annoia ! — grida esaspe
rato — vede bene che non gli accorderò mai ciò che
mi chiede, e non resta di stancarmi con le sue intolle
XIII . IL PERSEGUITATO 219
rabili insistenze. Io gli comando di finirla, e per avermi
stancato ormai troppe volte, stia pronto a darmene sod
disfazione in giudizio » .
« Oh questo poi no rispondeva Anselmo a chi
gli riportava le parole . Sappia anzi il re che io sono
pronto a mostrargli che la mia domanda è giusta nè
egli può rigettarla senza essere ingiusto » .
« Non ammetto ragioni - mandava a replicargli
Guglielmo. — S'egli parte, abbia per certo che io confi
scherò tutti i beni dell'arcivescovado, e non lo riguar
derò più come arcivescovo » . Allora si levò alla
corte come una tempesta, continua Eadmero. Chi gri
dava da una parte, chi dall'altra : infine alcuni consi
gliarono di prendere tempo e rimettere l'affare al do
mani ; gli altri si resero al loro avviso, e l'arcivescovo
perseguitato se ne tornò alla sua stanza.
Temevasi a ragione che in Winchester si rinnovas
sero le scene violente di Rockingham . Certo , la causa
era la medesima : quella del Papato e della libertà della
Chiesa, nelle sue comunicazioni col Vicario di Cristo.
Era la lotta tra l'unità del cattolicismo e la divisione
dello scisma, avviata dal conquistatore normanno e ag
gravata dal Rosso per la bramosia di dominare a capric
cio e Chiesa e Stato ; la lotta che poi continuerà fra Tom
maso Becket ed Enrico II, che costerà il sangue a questo
successore di Anselmo ; la lotta che pur troppo, sotto
altri deboli e indegni successori, strapperà la bella Chiesa
d'Inghilterra dal centro della vita e dell'unità, riducen
dola a uno scheletro di membra sparse, da cui pullula
un formicaio di sette e di errori senza riparo.
Ma a Rockingham le ragioni di Anselmo erano
evidenti ; a Winchester non apparivano se non alle
menti più perspicaci. Quindi là egli aveva dalla sua i
baroni ed il popolo ; qui nessuno, salvo i pochi suoi
monaci . Da essi accompagnato, venne il mattino dopo
alla sala degli affari: i cortigiani gli furono d'intorno
220 S. ANSELMO DI AOSTA
per sapere la deliberazione che la notte e la riflessione
gli avessero consigliato. Rispose, ch'egli non poteva
dubitare come il viaggio propostosi fosse a lui doveroso,
per rispetto alla salute propria, ai vantaggi della santa
Chiesa, all'onore stesso e bene spirituale del re : ne
voleva dunque il permesso . Quanto al permesso ,
è inutile parlarne : il re non lo concederà mai »
« Se non vuole concederlo, io me lo prenderó, poiché
noi leggiamo nella Scrittura santa : Meglio è obbedire
a Dio che agli uomini » .
Allora Walchelino di Winchester, con ironia :
« Veramente il re e tutti sanno che tu sei duro a ce
dere ; ma quando si tratta di gettare, per un viaggio a
Roma, gli onori e le ricchezze di un arcivescovado
Cantuariense, si può ben credere senza temerità che
resterai al tuo posto » . « Si ? » – gli ribattè Anselmo,
con voce ferma, con viso acceso, alzando il capo se
veramente, e fissando gli occhi scintillanti su quel
l'anima di cortigiano : nè altro disse. Ma l'unica parola
e il silenzio e il fiero sguardo del mite perseguitato
valevano un lungo discorso. E l'intesero i cortigiani e
l'intese il re, il quale si venne a ritrovare in grande
impaccio, come e peggio che nei terribili giorni di Ro
ckingham .
I vescovi avrebbero ben potuto ritrarnelo, ma in
quei tempi di servilismo, invece di essergli guida, gli
erano per lo più di zimbello. E ciò concorre appunto
a giustificare la lotta dei santi e dei Papi contro le
ingerenze dei principi laici nel governo della Chiesa e
nella elezione dei suoi pastori. Anselmo allora chiamò
a sè i quattro vescovi , presenti a corte, e loro disse :
« Voi siete vescovi e prelati della Chiesa di Dio. Pro
mettetemi di consultare a mio proposito i diritti di Dio
XIII . IL PERSEGUITATO 221
e della sua giustizia con altrettanta fedeltà e cura,
quanta voi mettete nel consultare a pro d'altrui i diritti
e le usanze di un uomo mortale » . Quelli chiesero di
trarsi in disparte a deliberare fra loro, e spedirono in
tanto due di essi a prendere l'imbeccata dal re. Intesisi,
tornarono dal loro primate, con queste parole che la
penna sacerdotale si vergogna di scrivere : « Signore
nostro padre, noi sappiamo che tu sei uomo religioso e
santo, tutto dato alle cose celesti. Ma noi, lo confessiamo,
vincolati al secolo per i nostri parenti che sostentiamo
e per altre cose terrene che amiamo, non possiamo sol
levarci alla tua altezza, nè schernire il mondo come
tu fai. Ma se tu vuoi scendere alla nostra condizione
ci daremo pensiero dei tuoi vantaggi, come dei nostri .
Se invece a Dio solo vorrai attendere, resterai solo, per
parte nostra, adesso , come per il passato ; giacchè
non vogliamo noi mancare alla fedeltà debita al re » .
« Dite bene rispose Anselmo, ribattendo l'ironia.
Andate dunque dal vostro padrone ; io mi terrò a Dio » .
I vescovi fiacchi non se lo fecero ripetere, e Anselmo,
« per cosi dire, restò solo » .
Indi a poco, eccoti da capo i quattro vescovi con
alquanti baroni. Tornavano dal re e ne portavano l' ul
tima parola : « Il re ti fa sapere che l'hai troppo spesso
annoiato , esasperato, tormentato coi tanti lamenti... Ed
ecco ora di nuovo tu manchi apertamente alla tua pro
messa e alla fedeltà giurata minacciando di recarti a
Roma senza suo consenso : cosa inaudita nel suo regno...
Vuole egli dunque e comanda che tu giuri di non mai
appellarti, per quale sia ragione, alla Sede di S. Pietro;
ovvero che te ne esca subito dal regno » . Dissero
e partirono .
Anselmo, consigliatosi alquanto coi suoi, venne egli
stesso a dare la risposta al re : « Ho promesso , « lo so,
di rispettare le vostri leggi e consuetudini, ma si trat
tava di quelle che sono secondo Dio e la rettitudine. »
222 S. ANSELMO DI AOSTA
- I re e i grandi protestano che non vi era stata pa
rola nè di Dio né di rettitudine. « Ecchè ? inter
rompe Anselmo ; se di Dio e di rettitudine non c'era
menzione, di che cosa dunque ? A Dio non piaccia che
un cristiano osservi mai leggi od usanze contrarie alla
giustizia »» .
A questa uscita fu un sordo mormorio per tutta
l'udienza, uno scrollare di capo e un insolentire con
tro Anselmo, senza potersi formar parola da confutarlo.
Ed egli prosegui : « E perché pretendete che sia con
trario ai vostri usi che io mi rechi a consultare il
beato Pietro nel suo successore per la salute dell'anima
mia e il governo della mia Chiesa ? Io dichiaro che que
sti usi ripugnano a Dio ed alla giustizia, e perciò si deb
bono sprezzare da ogni servo di Dio... E potrei provare
che io sono il più fedele al re, operando cosi. Ma non
occorre : ogni fedeltà promessa all'uomo ha la sua mal
laveria, ben si sa, dalla fede debita a Dio... E voi, o sire,
tollerereste voi che qualcuno dei vostri vassalli potente
e ricco frastornasse uno dei suoi uomini dalla fedeltà e
dal servizio dovuto a voi ? » « Oh ! oh ! ecco la pre
dica, ecco la predica gridarono insieme il re e il
conte Roberto di Meulan. E tutti i cortigiani a far coro
alle grida, alle proteste, e coi clamori voler chiudere la
bocca al primate .
Ma, fra tale chiasso, Anselmo se ne restava seduto
con gli occhi bassi, con volto sereno e tutto dolce, come
non sentisse. Cosi attese che fossero stanchi dal gri
dare, e poi riprese tranquillo, come dianzi: « All'ordine
che mi si dà di giurare che non appellerò mai più,
checchè sia per avvenire, al beato Pietro e al suo vi
cario, io rispondo che un tale ordine non dovrebbe ve
nire da chi è cristiano. Giurar questo è un abiurare
il beato Pietro : abiurare Pietro è indubitatamente un
abiurare Cristo che lo ha stabilito principe della sua
Chiesa ; e abiurare Cristo in grazia vostra, o re, è un
XIII . IL PERSEGUITATO 223
peccato di cui nessun giudizio della vostra corte mi
potrebbe assolvere » , - Si, si< replicò Roberto di
Meulan esasperato - andatevene pure da Pietro ; ma
-
noi non lasceremo passare quello che voi sapete » .
E Anselmo : « Dio sa quello che vi resterà , e quanto
vi potrà essere di utile, mentre io mi affretterò di cor
rere alla soglia degli Apostoli » . Disse, e levatosi ,
tornò nella sala, donde era venuto. I messaggeri del re
gli tennero dietro, intimandogli che non dovesse por
tar via niente delle cose del re. « Ho vesti, caval
catura, mobilio... si pretende forse che tutto questo appar
tenga al re ? Ebbene, che egli lo sappia, io me ne andro
a piedi e nudo, anzi che rinunziare alla partenza . »
Il re n'ebbe vergogna, e protestò ch'egli non aveva
inteso questo ; ma certo manderebbe al porto, in ter
mine di undici giorni, un suo fidato a significargli che
cosa permetteva a lui ed ai suoi di portarsene seco.
Ordinate cosi le cose prosegue Eadmero noi
volevamo tornarcene alla nostra dimora. Ma Anselmo,
usato a possedere l'anima sua nella pazienza, ritornò al
re con viso gaio e allegro : « Sire, io parto — gli disse
Ma per la grazia di Dio, io non cesserò di amare egual
mente la salvezza dell'anima tua ; desidero anzi, se non
la ricusi , di darti la benedizione di Dio e la mia, come
un padre spirituale a un suo diletto figliuolo, come arci
vescovo di Canterbury al re d'Inghilterra « Non
la ricuso » riprese il re, e chinò il capo, mentre il
vescovo alzava la mano a benedirlo .
Queste cose avvenivano l'anno 1097 dalla In
carnazione del Figliuolo di Dio, la quinta feria innanzi
agli idi di ottobre » ( 1 ) ; cioè al mezzo appunto del mese
che segnava per Anselmo il cominciamento della sua
vita di esule per la causa di Dio.
(1) ÉADMER. , Historia nov ., lib . II ; Vita S. Anselmi, lib . II .
• ܕ
CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
L'esule .
Gli ultimi addii e la partenza dell'esule . Aneddoti della sua navigazione e
del susseguente viaggio per la Francia. – Viaggio pericoloso e da inco
gnito in Italia . Accoglienza dell'esule in Roma e sua residenza nella
villa Sclavia (moderna Liberi ), presso Capua.Parte da lui avuta nel
concilio di Bari, particolarmente contro l'errore dei Greci. Ritorno
di Anselmo a Roma, e suo intervento al concilio romano ( 1099). Di.
mora dell'esule a Lione fino alla morte di Guglielmo il Rosso ; suo ri
chiamo e glorioso ritorno in Inghilterra dopo un triennio di esiglio (1100 ).
Nel secolo undecimo, come nel vigesimo, i perse
cutori della Chiesa, cercavano di palliare la loro esosa
persecuzione col mantello delle ragioni di Stato, della
politica : essi gettavano sui perseguitati oltre il danno,
lo scherno o l'apparenza almeno del torto. Il Rosso,
coi suoi normanni d'oltre Manica, fecero questo con
Anselmo, come altri persecutori lo fecero e lo fanno
sotto i nostri occhi al di qua della Manica. Ma noi dob
biamo vedere come il perseguitato, uscitone con l' esi
glio volontario per la causa di Dio e della sua Chiesa,
opera forti cose, e trionfa anche nella umiliazione.
Da Winchester Anselmo ritornò tosto a Canterbury
per fare gli addii e partirsene. Adunò i suoi monaci,
fece loro un commovente discorso, paragonando i reli
giosi a soldati scelti, a cavalieri del re celeste ; indi
s'ingegnò di consolarli ; ma il pianto soffocò la voce.
E con lui piansero i suoi figli, tutta la sua famiglia spi
rituale . Ripreso animo, dette loro la sua benedizione e
il bacio di pace : poi, ristoratosi con la preghiera nel
15.
226 S. ANSELMO DI AOSTA
suo oratorio, venne alla cattedrale, ove l'attendeva una
folla immensa di popolo ; in mezzo alle lagrime ed ai
gemiti universali, tolse dall'altare il cordone e la bi
saccia del pellegrino, si mise in via, seguito per lungo
tratto, in silenzio doloroso, dal suo popolo ; e il giorno
stesso giungeva, con Baldovino ed Eadmero, al porto di
Douvres.
Quivi dovettero attendere quindici giorni, e con
doloroso stupore si vedevano sempre a' fianchi un in
viato del re, Guglielmo di Warlewast. Ma peggio fu il
quindicesimo giorno, quando, mutato il vento, i mari
nai premevano per la partenza. - Allora — scrive
Eadmero sareste ati testimoni di una scena vera
mente compassionevole. Ayreste veduto Gugliemo di
Warlewast arrestare sul lido, come un fuggitivo e un
reo di qualche delitto, il padre della patria, il primate
di tutta l'Inghilterra, e in nome del suo padrone inti
margli di non mettersi in mare prima di avergli mo
strato ad una ad una le cose che recava seco. Si tra
sportarono dunque innanzi a lui le casse e i bagagli ;
si aprirono innanzi a lui, si misero tutti sossopra e si
frugarono tutti con la speranza di trovarvi danaro, in
nanzi ad una moltitudine, che assisteva stupefatta a
questo strano spettacolo e malediceva a una siffatta
vessazione malvagia. Alfine, quando si furono messi tutti
a soqquadro i bagagli e non trovatovi nulla di quello
che si cercava, Guglielmo di Warlewast, molto indi
spettito della disdetta, diede ad Anselmo ed ai suoi com
pagni il permesso di partire.
Ma il re si vendicò tristamente, al suo solito ; gitto
subito le unghie sui beni dell'arcivescovo ; annullò tutti
gli atti e i decreti da lui fatti per la sua diocesi, e
succiò da quella povera chiesa e dai suoi vassalli quanto
più sangue poteva.
XIV. L'ESULE 227
Messa vela e allontanatisi già dalla riva, i passeg
geri videro i marinai borbottare fra loro animatamente,
e indi a poco mormorare alto e protestare che con quel
vento, fattosi allora allora contrario, era forza voltare
indietro e tornare donde erano partiti. Anselmo, inteso
ciò, n'ebbe a gemere di dolore ; ma tosto immolando
a Dio le sue speranze, esclamò rassegnato : « Se all’on
nipotente Iddio per i suoi giusti giudizi, piaccia di ri .
mandarmi alle mie passate miserie, piuttosto che la
sciarmi andare là dove ho proposto di pervenire, faccia
egli e disponga ogni cosa a suo beneplacito ! io sto ap
parecchiato a fare la volontà di lui, poichè non sono
mio ma suo » . E detto questo, s'inteneri e pianse. Ma,
in quel punto che i marinai riguadagnavano la spiaggia,
ecco levarsi un vento dalla parte opposta, gonfiar le
vele e forzarli a riprendere il primo loro corso. Quindi,
veleggiando fortunatamente, in breve spazio giunsero
a dar fondo nel porto, allora frequentatissimo , di Wis
sant, a mezzodi di Boulogne. Nello sbarcare, i marinai
chiamarono in disparte Baldovino, e gli mostrarono una
maraviglia , cioè un'apertura di due piedi nella carena,
la quale, dicevano essi, non aveva fatto acqua, finchè
Anselmo era stato in nave. E da Baldovino stesso ebbe
di poi il fatto Eadmero che ce lo narra.
Da Wissant Anselmo passò al monastero di S. Ber
tino, e di qui, indi a cinque giorni, a Saint-Omer, dove
incontrò una gran moltitudine da benedire e da cresi
mare, come fece a preghiera dei canonici di quella
città. Ma la sera della partenza, mentre tutta la comi
tiva era sul montare a cavallo, ecco una giovanetta, che
piangendo chiede anch'essa di essere confermata . An
selmo vuole esaudirla ; ma tutti protestano che non è
possibile, senza esporsi ai pericoli del viaggiare di notte
228 S. ANSELMO DI A OSTA
e ad altri rischi ; allontanano la fanciulla e forzano il
buon arcivescovo a partire. Fatto, nondimeno, un breve
tratto, egli ricominciò a pensarvi, e dolersene, ad ac
cusare se stesso di quella condiscendenza come di ec
cessiva durezza, e ne concepi cosi vivo rammarico che
per tutta la vita, com'egli confessava , non cessò di pen
tirsene con tutta l'anima.
Questo semplice aneddoto mostra bene il cuore di
Anselmo, quale noi già conosciamo, e così lo mostrano
altri molti casi del suo viaggio narratici dal suo fedele
compagno. Ma su di essi non possiamo noi fermarci.
Quello che fu continuo e mirabile, e quasi ricompensa
all'esule della sua fedeltà alla Chiesa ed al Papa, è
l'entusiasmo potente, universale, unanime che l'accolse
e l'accompagnò per tutto il viaggio, massime sopra il
suolo di Francia. Uomini e donne, ricchi e poveri, no
bili e popolani accorrevano in folla a incontrare l' esule
volontario : processioni di clero, di monaci , di popolo fe
stante ; strepito di trombe, suono di cantici, sventolare
di stendardi ; le dimostrazioni tutte insomma dell'entu
siasmo di un popolo si trovavano come improvvisate al
suo passaggio . Il duca di Borgogna, che forse gli mo
veva incontro, come parve ad Eadmero, per ispogliarlo ,
si senti a un tratto quasi trasformato e commosso alla
sua presenza : « Non l'aspetto di un uomo, ma il volto
di un angelo diceva poi il duca pentito sfavilla
in lui » .
Attraversando la Francia, Anselmo rendevasi al
celebre monastero di Cluny, dove era abbate un suo
amicissimo, Ugo, discepolo di S. Odilone e stato mae
stro di due Papi . Di qui si conduceva poi tosto a Lione,
dove il forte arcivescovo, chiamato pure Ugo, legato del
Papa e intimo di Anselmo, lo aspettava e l'accoglieva
XIV . L'ESULE 229
come fratello. Una malattia e le difficoltà del cammino,
cresciute a dismisura per le persecuzioni dei seguaci
di Enrico IV e del suo antipapa Guiberto, indussero
Anselmo a scrivere al Papa prima di mettersi in viag
gio per Roma. Ma giunta la risposta del Papa, che ve
lo chiamava senza indugio, si mise in via, sotto abito
di semplice monaco e accompagnato solo dai due suoi
fidi, Baldovino ed Eadmero .
Ospitando sconosciuti presso i monaci sentivano
talora discorrere dei casi dell'arcivescovo di Canter
bury, che si diceva già arrivato a Piacenza, ma poi
costretto di ritornarsene indietro. Cosi in un monastero
presso Susa l'abbate li interrogò d'onde fossero, e sa
puto che del Bec : « Ditemi, di grazia — richiese egli
fratelli miei, vive ancora quell' Anselmo vostro abbate,
uomo caro a Dio e a tutti i buoni ?... » È stato costretto
a divenire arcivescovo in un altro regno, rispose Baldo
vino. – L'ho sentito dire ; ma che cosa fa egli al pre
sente ? come sta ? – Veramente dacché è rivenuto,, io
non l'ho più veduto al Bec, ma si dice che stia bene
dov' egli è. – Io prego per lui il Signore di dargli
buona salute, conchiuse il buon abbate. Anselmo intanto,
sedutosi in disparte, tirava il cappuccio su la testa e
abbassava gli occhi per non darsi a conoscere. Nel
monastero poi di S. Michele della Chiusa celebrarono
la Pasqua, e quindi , ripreso il cammino, nell'aprile
del 1098, giunsero a Roma.
L'accoglienza che dette Urbano II all'esule perse
guitato fu, oltre ogni dire, cordiale . Gli fece dare due
stanze nel palazzo stesso del Laterano, l' onorò di una
udienza delle più solenni , e quando Anselmo fu per
prostrarglisi innanzi, egli lo rizzò, lo abbracciò e bació
caramente, ed in presenza dei prelati , dei nobili romani
230 S. ANSELMO DI AOSTA
e di altri molti che vi assistevano, ne disse tante lodi
che Anselmo ne arrossiva tutto per modestia e non
aveva ardire di levare gli occhi da terra. Interrogato
però dal Papa, espose accuratamente lo stato delle chiese
d'Inghilterra, ed in particolare della Cantuariense. Il
Papa con benigne parole promise che avrebbe a cuore
il negozio. E infatti scrisse tosto, e fece anche scrivere
da Anselmo, lettere pressantissime al re Guglielmo.
Mentre se ne aspettava l'esito - che il primate
meglio conoscente degli uomini e delle cose d'Inghil
terra, già aveva ben previsto e pronuziato Anselmo
per volere del Papa, recavasi presso Giovanni, già suo
monaco al Bec e poi richiamato da Urbano II, siccome
chierico della Chiesa romana, e divenuto abbate di
S. Salvatore presso Telese. Questi, vedendo il suo buon
maestro assai mal ridotto per le fatiche del viaggio e
i calori della stagione, lo condusse in una villa del suo
monastero, per nome Sclavia , non lungi da Capua, dove
è ancor oggi vivissima la devozione ad Anselmo, quan
tunque dopo gli ultimi rivolgimenti del secolo passato
abbia avuto mutato il suo nome, antico e storico, in
quello di Liberi. Sopra quell'alto poggio ameno, dal
l'aria pura e dal limpido cielo, il santo si senti riavere,
riprese le sue usanze monastiche, non solo, ma i suoi
studi prediletti e pose fine al trattato, prima appena ab
bozzato, intorno alle ragioni altissime della Incarna
zione divina, dal titolo : Perchè Dio uomo.
Con un fatto prodigioso poi egli veniva al soccorso
di quei popolani scarsissimi di acque, facendo loro sco
prire una copiosa e limpidissima fonte, che raccolta in
un pozzo di non molta profondità segui poscia, con ab
bondanza perpetua, a sovvenire alle necessità ed anche
alle infermità di molti, e si chiama ancora ai nostri
giorni il pozzo di S. Anselmo.
Ma intanto Ruggero duca delle Puglie coi suoi nor
manni , assediando la vicina Capua, volle abboccarsi con
XIV. L'ESULE 231
Anselmo, e lo fece venire al suo accampamento, dove
gli rizzò delle tende presso una chiesuola abbandonata.
L'esule con la sua amabilità si guadagnò il cuore del
duca, dei suoi soldati, e fin dei saraceni mercenarii,
molti dei quali stavano anzi per convertirsi, quando
ne furono impediti dal conte siciliano che li aveva as
soldati. Una notte Anselmo cadde in una gran cisterna
che stava li presso, malamente chiusa, e al grido di
« santa Maria » ch'egli invocò nel cadere, accorse Ead
mero, che narra il fatto, e gli altri, ma lo trovarono
sorridente e lo trassero fuori incolume .
Poco dopo venne pure al campo normanno il Papa,
Urbano II, e si abboccò di nuovo con l'esule. Ma alla
preghiera di lui che volesse scaricarlo del grave peso
della dignità arcivescovile e fargli grazia di ritirarsi
all'antica sua quiete e libertà religiosa, il Pontefice
negó recisamente di aderire ; anzi l'invitó al vicino
concilio di Bari, dove sarebbesi anche trattata la sua
causa.
**
Il concilio si apriva nell' ottobre dell'anno stesso,
e vi convenivano da centoottantatre vescovi presieduti
dallo stesso Urbano II. Gli atti ne andarono perduti,
ma dagli storici di Anselmo, Guglielmo di Malmesbury
e meglio ancora Eadmero, che vi accompagnò il suo
arcivescovo, noi ne conosciamo le principali discussioni
intorno al dogma ed alla disciplina, per la parte avu
tavi dall' esule. Il Papa vi aveva trattato narra Ead
mero — con altrettanta forza di ragione che di eloquenza
parecchie questioni concernenti la fede cattolica, quando
una discussione fu sollevata dai Greci , i quali cerca
vano di provare con l'autorità delle Scritture, il loro
errore su la processione dello Spirito Santo, che sia
dal Padre solo e non anche dal Figliuolo . Urbano II ri
232 S. ANSELMO DI AOSTA
spose loro con forti argomentazioni, traendo pure al
cune delle sue prove, come parve ad Eadmero che le
udi, dal trattato di Anselmo intorno ai misteri della Tri
nità e della Incarnazione. I greci tuttavia, continua
vano opponendo sempre sottigliezze e sofismi.
A un punto fattosi più accesa la discussione, il Papa
gridò : « Padre e maestro Anselmo, arcivescovo degli
Inglesi, dove sei tu ? » . Anselmo erasi posto a sedere
alla rinfusa con gli altri , ed io ai suoi piedi, soggiunge
Eadmero – Alla parola del Papa, rizzandosi subito :
« Eccomi » rispose. E il Papa : « Che fai ? perchè stai
in silenzio ? Vieni ti prego ; ascendi qua, e vieni a di
fendere la tua e la nostra madre contro i greci, come
un uomo che Iddio ha mandato qua per questo fine » .
A queste parole fu un mormorio per tutta l'assem
blea, uno stupire e un dimandarsi l'un l'altro chi
fosse e d'onde. Il Papa, avuto vicino a sè l'arcivescovo,
ne fece nota all'assemblea la santità e la dottrina le
persecuzioni e l'esiglio sostenuto per la giustizia. Di
poi, accingendosi già Anselmo a parlare, parve meglio
di rimandare il suo discorso al dimane, quando le menti
sarebbero meglio preparate e disposte.
E cosi il giorno dopo, aperta la sessione, ecco il santo
dottore sorgere presso il Papa, innanzi a tutti, e discu
tere la questione in modo cosi lucido e vittorioso che
non vi fu persona nel concilio che non si desse per
soddisfatta. La dottrina allora esposta contro i greci
fu poscia da Anselmo ampliata e chiarita nel trattato
che scrisse, qualche tempo appresso, ad insistenza di
amici, su la processione dello Spirito santo ; trattato
che fece noto il suo nome e la sua scienza anche in
Grecia . Senza riassumerla - chè ci porterebbe troppo
in lungo - ci basti il dire che questa opera è tra gli
scritti teologici più insigni di quell' età che a lui meri
tarono il titolo di dottore e di difensore della verità cat
tolica, mentre prepararono la via alla dilucidazione
XIV . L'ESULE 233
maggiore della teologia nella grandiosa sintesi della sco
lastica. Certo, dopo che l’ebbe udito, Urbano esclamo :
« Benedette le tue labbra e le parole delle tue labbra ! » .
E dopo ciò, fu pronunziato anatema contro quanti non
volessero aderire a quello che egli aveva insegnato.
Quindi si passò alla causa del re d'Inghilterra.
Anselmo taceva, ma gli accusatori e le accuse abbon
davano. Jl Papa vi aggiunse le sue, narrando le inu
tili prove da sè fatte per ridurre con la persuasione il
tiranno. Egli e tutta l'assemblea con lui già stava per
fulminare scomunica contro il Rosso. Ma Anselmo si
levò di tratto, si gettò ginocchioni innanzi al Papa, lo
supplicò di sospendere ancora la sentenza, e l'ottenne
a mala pena. La vittima supplicava per il suo carne
fice, e tutti quei vescovi ne andarono attoniti, allo spet
tacolo di tanta bontà e magnanimità dell' esule perse
guitato.
Anselmo, tornato poi a Roma col Papa, vide soprag .
giungere Guglielmo di Warlewast, con la risposta, che
il re ricusava di ammettere le rimostranze del Papa e
le ragioni dell'arcivescovo. Il Papa minacciò da capo
la scomunica ; ma Guglielmo riusci a placarlo, anzi, per
varie vie guadagnati parecchi intercessori alla corte,
ne ottenne una nuova dilazione, cioè dal Natale del 1098,
in cui erasi allora, fino alla festa di S. Michele del
l'anno seguente. Anselmo si tratteneva fra tanto in
Roma, onoratissimo dal Papa, dai cittadini e dai fore
stieri, massime dai pellegrini inglesi, come il secondo
personaggio dopo il Papa, come un santo. Anche i cit
tadini fautori dello scisma, avendo un giorno tentato
d'inpadronirsene, si trovarono rattenuti dal suo sguardo
e compresi di tanto rispetto alla sua presenza che si la
sciarono cader le armi e ne implorarono la benedizione.
234 S. ANSELMO DI AOSTA
Nella Pasqua del 1099 si tenne un altro concilio, che
fu di cencinquanta vescovi, in Roma ; e vi si rinnova
rono i decreti di Piacenza e di Clermont contro la si
monia e il matrimonio dei preti. Ma leggendo quei ca
noni, il focoso Ringero, vescovo di Lucca, fece pure una
sfuriata a favore di Anselmo, battendo per tre volte
in terra col pastorale, stringendo le labbra e i denti . A
cui Urbano : « Basta cosi, fratel Ringero, basta : vi prov
vederemo » . « Bisogna pure, ripigliò Ringero ; altri
<<
menti la causa sarà portata al tribunale del giudice
sempre giusto » . Il Papa chiuse poi il Concilio con ful
minare anatema contro chi desse o ricevesse l'investi
tura dei beni ecclesiastici da mani laiche, o portasse
omaggio ai laici per dignità della Chiesa. Erano decreti
che toccavano appunto la causa di Anselmo, e tutti gli
astanti gridarono in coro : « Cosi sia, cosi sia ! » .
Anselmo, dopo il Concilio romano, vedendo che la
sentenza sarebbesi ancora tirata in lungo, se ne tornò
a Lione, presso Ugo, suo amico e confidente. Quivi si
trovava, non come ospite, ma come in casa sua, e tosto
riprendeva i suoi studii filosofici e teologici, scrivendo
appunto in quel tempo le sue alte speculazioni intorno
alla concezione verginale ed al peccato originale, e in
torno all'umana redenzione. Cosi ricorda il suo segre
tario Eadmero, al quale aveva egli ottenuto dal Papa
di assoggettarsi come a superiore, per merito di obbe
dienza : tanto era la semplicità religiosa e l'umiltà cri
stiana in quel cuore magnanimo e in quell'altissimo
ingegno, che era la maraviglia dei suoi contemporanei
E scrisse bene a questo proposito il Montalembert ; che
qui noi vediamo in quale sorgente ritemprava Anselmo
il suo genio e il suo coraggio »» .
XIV . L'ESULE 235
Nei primi tempi del suo ritorno a Lione, l'esule vi
apprese la morte, avvenuta il 29 luglio, di Urbano II,
e l'elezione, seguita un quindici giorni appresso , di Pa
squale II, stato pure come Urbano, monaco di Cluny.
La seppe anche il re Guglielmo ed esclamò : « Chi se
ne affligge venga in odio a Dio ! E come è sog
giunse tosto – il nuovo Papa ? » Rispostogli che per di
verse parti simile ad Anselmo : « Per il volto di Dio, se
è tale, non è buono a niente .... Ma a me poco importa :
ormai sono libero e faró quelle che mi aggrada » . Quindi
negò di riconoscere il nuovo Papa, segui ad opprimere
la Chiesa, ad angariare i popoli, a sfidare le minacce,
a schernire gli avvertimenti dei suoi fedeli, a bravare
la stessa vendetta divina. E questa lo raggiunse in ma
niera misteriosa, che la storia non ha potuto accertare
quanto fosse casuale : il giorno 2 agosto 1100 il re Rosso,
uscito a caccia e snidata la fiera, gridava ad uno dei
suoi compagni, Gualtiero Tyrrel: « Tira, per il diavolo,
tira » . E al punto stesso, una freccia , o di mano di Gual
tiero o di altri, volava al petto del Rosso e gli passava
il cuore .
Cadde « come un feroce cinghiale colpito a morte » ;
il corpo grondante sangue fu posto sopra una carretta
da carbonaio, e trasportato a Winchester. Non un suono
di preghiere per lui , non uno squillo di campane, « le
quali sono pure sonate a lungo e molte volte nelle ese
quie anche dei più miseri poverelli e delle donnic
ciuole » ; non un obolo, dei tanti tesori da lui spremuti
dal sangue del popolo, speso a sollievo dell'anima sua .
Anselmo, inteso la morte orribile del suo persecu
tore, stette prima come attonito, esterrefatto ; indi scop
piò in lagrime cosi amare, che i suoi compagni stessi ,
Baldovino ed Eadmero, ne furono stupiti.- « Ah ! - escla
236 S. ANSELMO DI AOSTA
mava egli, vorrei piuttosto esser morto io stesso , che
sapere morto il re a quella maniera ! » .
Né tardarono a giungere d'Inghilterra lettere e mes
saggi del fratello e successore di Guglielmo, Enrico,
soprannominato per il suo amore alle lettere il « Chie .
rico » o anche il « bel Chierico » ; e con esse lettere dei
baroni del regno, che supplicavano Anselmo di ritor
nare e gli mostravano come tutti gli affari del regno
soffrissero per l'assenza del primate.
Anselmo non pose tempo in mezzo : ne dette avviso
al pontefice, protestandogli che era uscito dall'Inghil
terra per l'amore e l'onore di Dio e della Chiesa, nė
per altro motivo sarebbevi rientrato ; indi riprese il
mare prestamente, e il 23 di ottobre, smontato a Dou
vres, dond' era salpato tre anni prima esule tribolato,
rientrava in Inghilterra vincitore glorioso.
CAPITOLO QUINDICESIMO.
Il vincitore .
I trionfi di Anselmo nel suo primo ritorno ; amore della Chiesa da lui ispirato
alla « buona regina , Matilde, e agli altri grandi della terra . Sue nuove
lotte contro l'astuzia di Enrico, soprannominato il « Bel Chierico » ; suo
nuovo osiglio. - Anselmo innanzi a Pasquale II ; lettera di lui ad Enrico
e sua vittoria nel ricorso dei vescovi pentiti . Vittoria ultima e deci.
siva, nella riconciliazione sincera del re e nel trionfale ritorno del vin
citore ( 1106 ). Il trionfo della vecchia debole pecorella sopra i due tori
indomiti, e suoi frutti; delce e serena morte del primate (21 aprile 1109).
Dopo otto secoli : la parola di Anselmo e la parola del Papa .
Il ritorno d' Anselmo fu un vero trionfo, seguito
da altri che n'erano il frutto. Uno dei primi fu il di
niego del primate di ricevere l'investitura dal re e pre
stargli l'omaggio, siccome cosa interdetta dall'ultimo
concilio di Roma. Su ciò Enrico non osò far violenza :
chiese un indugio fino a Pasqua, perchè se ne consul
tasse il Papa.
Intanto Anselmo riebbe dal re le terre, i diritti,
le rendite del suo arcivescovado, con tutti gli onori
che spettavano a quel grado. E fu questo un secondo
trionfo che a lui dette campo di esercitare più larga
mente e con più efficacia il suo ministero episcopale a
bene della sua sede e di tutta la nazione .
Un altro fu quello di pacificare la ribellione che
molti nobili già macchinavano contro il re a favore del
fratello di lui Roberto, duca di Normandia, ricordando
loro la santità del giuramento che avevano fatto ad
Enrico. Anzi per merito di lui si venne poi ad un com
238 S. ANSELMO DI AOSTA
ponimento fra le due parti, il quale impedi gli orrori
della guerra civile e riamicò i due figli del Conquista
tore normanno .
Nė meno prezioso, benchè d'indole ben diversa,
fu il beneficio che egli fece ad Enrico, approvando e
benedicendo il matrimonio di lui con Edith , chiamata
poi Matilde, discendente dagli antichi re anglosassoni
e stata chiusa in un monastero da fanciulla per sot
trarla all'invasione normanna. L' avervi preso il velo,
benché per forza , sembrava fare ostacolo al matrimo
nio, e questo apparente impedimento veniva esagerato
dal partito dei conquistatori, che vedevano di mal oc
chio il loro re impalmare una donzella della schiatta
dei vinti. Anselmo, esaminato il caso con ogni accura
tezza, dichiarò libera Matilde in un concilio di vescovi ;
indi, sfidando le dicerie di molti che l'accusavano qui di
debole condiscendenza, come prima di ostinata durezza,
l'uni con Enrico e l'incoronò regina. E fu Matilde ve
ramente il buon angelo del re normanno, come fu sem
pre la consolatrice del suo popolo, che aveva provato
con lei le amarezze delle sventure e che la chiamava
poi la sua buona regina Matilde. Ma sopra tutto ella fu
la confidente di Anselmo, « venerando signore e padre >>
dell'anima sua, al quale ben sapeva ella quanto do
vesse, e glielo protestava in lettere piene di venerazione
e di confidenza figliale (1 ). E il santo giovavasi di cosi
ottime disposizioni per inculcare sempre alla sua :« rive
rita regina e carissima figliuola » l'amore della Chiesa
e la difesa dei suoi diritti divini .
Questa , del resto, era la virtù ch'egli inculcava
sopra ogni altro ai principi ed ai potenti, come si vede,
ad esempio , dalle sue lettere a Umberto II, conte di
Moriana e di Savoia, suo parente, a Roberto II conte di
(1 ) Vedi specialmente Epist. III, 55, e la risposta di Anselmo,
ivi ep . 57 .
XV . IL VINCITORE 239
Fiandra, alla contessa Clemenza sua sposa, alla con
tessa Matilde di Toscana, a Murierdarco, re d'Irlanda,
a Baldovino, fratello e successore di Goffredo Buglione
nel regno di Gerusalemme, e ad altri . Le quali lettere
nobilissime sono scritte con tanta vivezza di affetto,
energia di stile e freschezza di pensiero, che sembrano
dei nostri giorni ; e parecchie ebbero appunto l'onore
di essere citate a tratti, come opportunissime alle con
dizioni presenti della società e della Chiesa, nella re
cente enciclica di Pio X.
E un tanto amore alla Chiesa ebbe ben presto
mostrar di nuovo alla prova delle contraddizioni e delle
lotte il mite animo di Anselmo. Egli non aveva ora
più tanto a combattere con l'aperta violenza propria
del « Rosso » , ma con le insidie coperte, i rigiri e le
mene del « Bel-Chierico » . Costui aveva ben finto di ri
mettersi a Roma; ma giunta la negazione recisa di Pa
squale II, rispondeva alle insistenze del primate : « Che
importa a me di ciò che dicesi a Roma ? Io non intendo
mutare le usanze dei miei predecessori, nè sopportare
nel regno persona che non sia mia » . E cedendo i ve
scovi e ripugnando il solo Anselmo, si manda al Papa
una nuova ambasceria , a denunziargli che, se persisteva,
il primate sarebbe ricacciato in esiglio e l'Inghilterra
sottratta all'obbedienza del Pontefice. Questi ributto
con isdegno le proposte e le minacce ; scrisse for
tere di rimprovero al re, di incoraggiamento all'arci
vescovo .
Enrico al ricevere gli inviati, convocò il parla
mento a Londra, per il S. Michele del 1102 : ripetė
l'intimazione ad Anselmo : ubbidisse od uscisse dal re
gno. Il primate allegò le lettere del Papa ; i tre vescovi,
tornati da Roma, dichiararono su la loro parola, che il
240 S. ANSELMO DI AOSTA
Papa aveva consentito a viva voce le investiture al re
inglese, finchè si governasse da principe buono ; Bal
duino, inviato d' Anselmo, negava alto che ciò fosse
vero. Anselmo, temendo per la sua delicatezza di dare
una pubblica mentita ai tre vescovi, chiese una terza
ambasceria a Roma, per chiarire l'equivoco.
A mezzo la Quaresima dell'anno 1103, giungeva la
risposta del Papa. Ma il re non volle udirla, ben sa
pendola contraria ; nè Anselmo poteva aprire le lettere
del Papa senza l'intervento del re, che diversamente
l'avrebbe accusato di averle alterate. Cosi la questione
restava in sospeso. Ma ecco il re propone al primate
di recarsi egli stesso a Roma per trattare la causa ;
tutto il parlamento fa plauso alla proposta ; Anselmo ac
cetta, forzato, quella forma palliata di esiglio, ma pro
testa innanzi a tutti fortemente : « Abbiate per certo che
se posso giungere fino al Papa, non gli consiglio nulla
di contrario all'onor mio nè alla libertà della Chiesa
Con ciò alla prima vittoria seguiva un secondo esiglio
e a questo nuova confiscazione dei beni suoi e de' suoi
vassalli, rapine, sacrilegi, violenze, disordini d'ogni fatta ;
onde uno scatenarsi dell'opinione pubblica contro il
santo, alla cui fuga - cosi dicevasi erano da attri
buirsi tanti mali. Molti, e anche degli amici e dei monaci
stessi di Anselmo, gliene scrivevano lettere lamentevoli,
spesso esagerate, talora ingiuste. Egli vi rispondeva,
per togliere ogni scandalo, portava le sue ragioni con
ogni chiarezza e vigore ; e alcune di quelle sue lettere
sono un modello della vivace eloquenza epistolare di
un uomo mite ed affettuoso, ma forte ed intrepido nella
causa di Dio .
Nè trascurava del resto , anche dal lontano esiglio,
gli interessi della sua diocesi, la sollecitudine dell'os
servanza monastica, dell'educazione dei giovani, del
sollievo dei poveri, e generalmente dell'adempimento
di tutte le cure pastorali. Per queste egli affidavasi al
XV . IL VINCITORE 241
l'amico suo Gondolfo, vescovo di Rochester, l'unico
rimastogli sempre fedele, e il più simile ad Anselmo.
Anselmo, partito dall'Inghilterra il 27 aprile 1103,
era giunto a Roma nell'autunno; ma prima di lui vi
era giunto l' inviato dal re , Guglielmo di Warlewast.
Amendue furono accolti da Pasquale II, e innanzi a lui
difesero l'uno la causa della libertà della Chiesa, l'al
tro quello della ingerenza laicale. Il Warlewast, come
l'altra volta, aveva subornato parecchi della corte con
largizioni e favori : presa baldanza, chiuse il suo dire
proclamando che « il suo signore, il re degli Inglesi ,
non consentirebbe mai alle investiture, ne andasse pure
del suo regno » . Ma Pasquale ribatté energicamente :
« Ed io, innanzi a Dio, dico che neppure a costo della
sua testa, Pasquale Papa gli permetterà di averle im
punemente »
Tuttavia Pasquale scrisse ancora in termini conci
lianti al monarca, esentando lui dalla scomunica perso
nale, ma non i vescovi investiti da lui. Anselmo parti
da Roma per tornarsene alla sua sede con lettere del
Papa che gli confermavano tutti i diritti primaziali; e
dalla grande contessa Matilde di Toscana aveva aiuti e
guida nel passaggio degli Appennini, come ne aveva
avuto prima efficace sostegno e raccomandazioni presso
il Papa. E Anselmo, animo gentilissimo, gliene scriveva
di poi lettere di vive grazie e inviavale anche, in pe
gno di stima e di gratitudine, le sue Meditazioni ; dono
ben degno di amendue quelle anime, in cui la tene
rezza della pietà era pari alla fermezza del coraggio
nella difesa della giustizia e della libertà della Chiesa.
Giunto a Lione, verso il Natale, Anselmo ebbe dal
Warlewast il messaggio del re che gli interdiceva di
mettere piede in Inghilterra a quelle condizioni . An
16.
242 s . ANSELMO DI AOSTA
selmo capi e si fermò di nuovo presso l'amico suo Ugo.
Di qui egli, per sedici mesi, prosegui in quanto poteva
con l'operosità epistolare la sua missione apostolica nel
l'Inghilterra.
Ecco, ad esempio, come scriveva al re, quel mitis
simo santo : « Vostra Altezza mi manda la sua amicizia
e mi dice che se io intendessi governarmi con voi come
Lanfranco si diportava con vostro padre, vi riuscirei
più caro nel regno di qualsiasi altra persona del mondo.
Della vostra amicizia e buona volontà vi rendo grazie.
Quanto a vostro padre ed a Lanfranco, rispondo che
nel battesimo nė in altra mia ordinazione io non ho
mai promesso di osservare la legge o la consuetudine
del padre vostro o di Lanfranco, ma la legge di Dio e
di quegli ordini sacri che ho ricevuti . Io pure godrei
di servire a voi più che a qualsiasi altro principe della
terra ; ma per niun conto io voglio rinnegare la legge
di Dio .
Di più , io non oso né debbo tacervi che Dio vi
chiederà conto, non solo del principato regio, ma anche
della primazia dell'Inghilterra. Questo doppio peso vi
schiaccerà. A nessun altro più che al re conviene sog.
gettarsi alla legge di Dio, e nessuno incontra maggior
pericolo a sottrarsene. Non io sono, ma la santa Scrit
tura che dice : Potentes potenter tormenta patientur et
fortioribus fortior instat cruciatus. Nella vostra lettera
io scorgo un indugiare sconveniente per l'anima vostra
e per la Chiesa di Dio. Se ritardate ancora, io che non
difendo già la causa mia, ma quella commessami da
Dio, non ardirò più di aspettare ad appellarne a Dio.
Non mi vogliate costringere a gridare, mio malgrado, a
Dio : Sorgi, o Signore, e giudica la tua causa » . Cosi
Anselmo al re Enrico, nell'aprile del 1105 ( 1 ).
( 1 ) Epist. III , 95 : - .... Respondeo quod neque in baptismo,
neque in aliqua ord ne mea promisi me servaturum legem
XV . IL VINCITORE 243
FO
In questo mentre il Papa aveva fulminato scomu
nica contro il conte di Meulan e solo minacciatola al
I
re. Anselmo si disponeva già egli a pronunziarla: il che
rallegrò i nemici di Enrico e dette qualche timore a
costui. Quindi il re procurato un abboccamento col santo,
Ta
il 21 luglio 1105 all'Aigle in Normandia, vi simulava
una pubblica riconciliazione con Anselmo, e con essa
frastornava dal suo capo la tempesta. Ma proseguiva
0.
di fatto a spadroneggiare nelle vessazioni, a tal segno
che gli stessi vescovi fiacchi e fino i tre prevaricatori
Ee detti sopra, quali avevano travisato l'esito della loro
LO
missione a Roma, non trovarono altro riparo che ricor
e rere ad Anselmo ; e fu questa per il primate un'altra
e delle sue più nobili vittorie .
*
3
Ma ad essa doveva seguire ben presto l'ultima e
decisiva . E segui allorquando, tornati i messi che, dopo
l'abboccamento dell'Aigle, erano stati deputati a Roma
dalle due parti, recarono il finale giudizio del Papa.
Mantenuta la proibizione delle investiture, si permet
teva, per modo di concessione provvisoria, ad Anselmo
di assolvere ed ordinare coloro che prestassero omaggio
al re ; sino a tanto che riuscisse all'arcivescovo di stor
nare il re da questa sua pretensione. Il re, contento
di avere ottenuto qualche cosa, rinunziava allora di
buon animo alle investiture, indi anche alle tasse arbi
trarie sul clero, alle rendite delle chiese vacanti, al
vel consuetudinem patris vestri vel Lanfranci, sed legem Dei et
omnium ordinum quos suscepi.... Anche allora, come già os
servava bene il Montalembert , i nemici della Chiesa si facevano
forti dell'autorità di un grand’uomo contro quella del capo della
Chiesa, del Papa. Ma la risposta dei figli genuini della Chiesa,
dei veri cattolici, era allora, come di poi , fino ai tempi nostri ,
quella stessa di Anselmo .
244 S. ANSELMO DI AOSTA
censo imposto dal Rosso su tutte le altre ; e sincera
mente mutato, si riconciliava alfine col suo primate.
La riconciliazione fu celebrata con gioia univer
sale, al Bec, dov'erasi condotto Enrico, il giorno del
l’Assunta, l'anno 1106.
Dopo ciò, Anselmo pressato dai suoi medesimi an
tichi avversarii, felicemente ravvedutisi, quali il conte
di Meulan e lo stesso Warlewast, tornò in Inghilterra,
accolto veramente quale vincitore, dai suoi popoli, dai
chierici e dai laici dagli umili e dai grandi, ma sopra
tutti dalla buona regina Matilde, fuori di sė dalla gioia
per quel sospirato ritorno « del padre alla figlia, del
padrone all'ancella, del pastore all'agnella » . La faccia
della chiesa Cantuariense, anzi di tutte le chiese d' In
ghilterra parve subito trasformarsi rapidamente, dispa
rendone tosto, fra gli altri disordini, tutti gli agenti del
fisco che le dissanguavano .
Cosi Anselmo, la vecchia e debole pecorella, era
rimasto vincitore dei due tori indomiti, con lui aggio
gati, del re Rosso e del re Bel-Chierico, della violenza
e dell'astuzia. Nel breve triennio che segui, dal ritorno
alla quieta sua fine, già da noi toccata altrove ( 1 ), il vin
citore raccolse i frutti delle sue grandiose lotte e delle
sue vittorie, nella efficacia dell'opera pastorale singo
larmente, e nella repressione degli abusi . Fra questi il
più inaspettato e doloroso al cuore di Anselmo, dopo
tante lotte, fu il tentativo ambizioso dell'arcivescovo
Tommaso di York, inteso a sottrarsi alla supremazia
dell'arcivescovo Cantuariense. Il primate, con la stessa
conscienziosa fermezza onde aveva resistito ai re della
terra, si oppose alle pretensioni ingiuste del suo con
( 1 ) Vedi sopra, p . 6 ss .
XV . IL VINCITORE 245
fratello, e tornate vane le vie della persuasione, fece
nuovo ricorso alla Sede apostolica. Che se egli per la
presta sua morte non vide in questo il trionfo della sua
causa, né il ravvedimento dell'arcivescovo, preparo
l'uno e l'altro in modo che egli solo n'ebbe il merito
e il vanto, riconosciutogli da tutti unanimemente.
Ma questo dolce e fortissimo atleta nel campo del
pensiero e dell'azione, questo difensore invitto della
verità e della libertà della Chiesa di Dio, questo mo
dello di monaco, di dottore e di vescovo, non doveva
godere lungamente i frutti delle sue vittorie su questa
terra ; e non ancora passati tre anni dal suo ritorno in
Inghilterra, egli volava, dolce e sereno come era vis
suto, a raccoglierne il premio che non marcisce. Era
l'alba del mercoledi santo, 21 aprile 1109.
Ma dopo otto secoli egli vive ancora ; egli vive e ri
parla innanzi noi . Riparla nella sua vita, nelle sue opere,
ne' suoi scritti, e riparla più ancora nella commovente
lettera che il Pontefice Sommo scriveva quest'anno
m
medesimo, dopo otto secoli appunto dalla sua fine, alla
Chiesa tutta, quasi a nome e col linguaggio di Anselmo.
E con questa lettera, ricordata già più volte e quasi
commentata in molti punti nel corso dell'opera, noi vo
gliamo chiudere questa nostra qualsiasi rassegna delle
glorie e dei meriti di Anselmo, perchè sia a tutti la
più istruttiva insieme e la più salutare.
APPENDICE
LA PAROLA DI PIO X
nell'ottavo centenario di S. Anselmo di Aosta
Non si è dileguata ancora dall'animo cristiano la
memoria dell'eco vivissima di commozione che, all'en
trare dell'ottobre 1903, vi suscitava la prima Enciclica
del Nostro S. Padre Pio X ( 1 ), in cui vibrava quasi tre
pida ancora e commossa dal pianto la sua voce, men
tre tutto il mondo cattolico era in fremito di gioia per
la sua recente esaltazione.
Quella voce esordiva con le parole dolorose di An
selmo, vir sanctissimus, costretto contro 'sua voglia e
ripugnante a ricevere l'onore dell'episcopato : e dal
santo arcivescovo di Cantuaria il novello Pontefice si
protestava « affatto disuguale di merito » , ma non po
teva negarsi del pari uguale di sentimento, del pari
compreso di umile angoscia, di pia trepidazione, di ras
segnata confidenza. Quella voce narrava ai figli, con l'ac
cento di nobile mestizia, col candore di semplicità pa
terna, che era tutto proprio del santo valdostano, le
( 1) Epist . Enc . E supremi Apostolatus cathedra, del 4 ot
tobre 1906 .
248 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
lacrime, i gemiti, i ruggiti dell'ambascia del cuore
umile e mite, sollevato alla più formidabile dignità della
terra, nè poteva passare senza destare nei figli un senso
profondo di corrispondenza figliale.
Ma al conoscitore ed ammiratore del grande arci
vescovo, quella voce faceva sorgere, accanto all'imma
gine mite e dolcissima del santo dottore, la visione lon
tana del novello Pontefice, la faceva balzare quasi agli
occhi dell'anima, scolpita e vivente nei tratti medesimi
che brillavano in Anselmo: mitezza e forza , semplicità
e grandezza, umile trepidazione di sé e incrollabile
fiducia in Dio : nesso di virtù discordanti che il mondo
ignora ma il soffio dello Spirito di amore avviva, conci
lia e stringe nelle anime con la carità che è il vin
colo della perfezione (1 ); onde si avvera nel mondo delle
anime, in diversa forma o più divina, l'enigma antico
d'insolubile apparenza, che fa sgorgare dal forte la
dolcezza : de forti egressa est dulcedo (2) ; e si av
vera in diversa forma, diciamo, e più divina, perchè
più prossima e quasi imitazione di quella per cui la
divina Sapienza con fortezza attinge da un capo al.
l'altro e con dolcezza dispone le cose tutte ai suoi fini
grandiosi (3).
E di ciò una conferma tutta speciale e che per di
versi rispetti desterà in ogni figlio docile della Chiesa
una nuova e più viva compiacenza, si aggiunge nella
recente enciclica pontificia , per cui si continua, si esplica
e sotto nuova luce grandeggia il pensiero medesimo, i
sensi, il medesimo programma sublime di pontificato.
Il centenario ottavo della morte del medesimo Anselmo
d'Aosta ne dette opportuna l'occasione ; ma lo spirito di
Anselmo, il suo cuore, il suo programma di bontà e di
( 1) Coloss . III , 14 .
(2) Giudici XIV, 14 .
( 3 ) Sap. VIII, 1 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 249
forza , programma schivo dei rigiri e superiore a tutte le
arti della piccola sapienza umana, politica o diplomatica
che sia, ne dettero tutta la ispirazione : ispirazione di
dolcezza paterna e di fortezza pontificale.
Quindi le effusioni commoventi del cuore di Padre,
onde esordisce il Pontefice, communium rerum inter
acerbas vices : e quindi le voci di lode e di azioni di
grazie alle generosità degli uni, di tenero compatimento
alle sventure degli altri ; le voci di congratulazione ai
deboli, di consolazione ai perseguitati, e di rimprovero
ai persecutori, ma sopra tutto le voci d'insegnamento
e di monito solenne per tutti, e per tutti dichiarazione
solenne sempre più spiegata, vigorosa, energica dei prin
cipii stessi di soavità e di forza, di grandezza e di sem
plicità apostolica, che fino dagli inizii illustrarono ogni
atto del pontificato, ogni manifestazione del cuore del
Pontefice .
E il cuore del Pontefice pare a noi non po
teva meglio manifestarsi che nel cuore e nel linguaggio
di Anselmo : cuore e linguaggio affettuoso e forte, sem
plice e dignitoso , e cosi opportuno ai tempi nostri , così
vivo e vibrante , che sembra quasi di sentirne ancora
caldo il soffio dello zelo , il palpito della carità . Con
questo cuore e questo linguaggio il Nostro Santo Padre
tocca sul vivo le miserie dell'età presente , mettendole
a riscontro con quelle di altri tempi ; deplora la
doppia guerra che si muove alla Chiesa , al regno
di Dio su la terra, guerra esterna e guerra interna ,
guerra occulta e guerra palese ; dell’una e dell'altra
svela le arti, le macchinazioni , le stragi ; dell’una e del
l'altra addita i pericoli e suggerisce rimedi e consiglia
provvedimenti , pratici , vigorosi , opportuni a tutte le fasi
della lotta, a tutte le condizioni dei tempi, a tutte le
250 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
disposizioni e gli stati diversi dei contemporanei, mas
simamente dei figli prediletti della Chiesa.
Poichè -è bene ricordarlo ripetutamente
-
non
ai vescovi solo è rivolta questa parola del Papa, ma
al popolo tutto della famiglia di Cristo , e più diretta
mente ai più potenti, ai più autorevoli e però più re
sponsabili ; vogliamo dire ai principi di questo secolo,
ai grandi, ai consiglieri, agli arbitri delle nazioni ; più
francamente ai più colpevoli tra essi, a quelli che mag
giormente perseguitano la Chiesa.
Ma singolarmente manifesta pare a noi la cura spe
ciale e amorosa che ha il cuore del Pontefice per le
tenere anime più esposte ai pericoli della doppia guerra
che si combatte, quali sono i giovani ardenti, ma ine
sperti, e sopra tutto quelli che si allevano alle speranze
del sacerdozio.
Per tutti il cuore e il labbro del Papa, del mite e
forte Pio X, ha parole vive, salutari e paterne, anche
quando suonano dolorose e severe : parole non ispirate
a sensi umani, ma al sentimento solo dell'alta sua mis
sione soprannaturale, dettate dalla trepida sollecitudine
della Famiglia che il Maestro divino volle a lui affidata,
e dalle crescenti necessità dei tempi, che corrono fuor
di modo esiziali alla religione ed alla morale, alla fede
ed alla scienza, alla Chiesa ed alla patria. Nè altro in
fatti esse rivendicano se non i diritti più sacri di Dio
e del suo Cristo su la terra, gli interessi supremi del
regno di Dio nelle anime, che non sono interessi solo
della società religiosa, della Chiesa, ma della società
civile altresi , interessi tutti dipendenti dalla tutela della
santità, della libertà, della dottrina sincera della Chiesa,
che è l'oggetto e l'intento precipuo della presente enci
clica pontificia.
E noi sappiamo che, come quelle del Maestro, le
parole del suo Vicario in terra, le parole del Papa, forti
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 251
e soavi, tutte e sempre sono parole di vita e di vita
eterna ( 1 ).
Con lo spirito della fede e della buona volontà, a
cui sono fatte le promesse della sapienza e della vita,
noi ascolteremo dunque e mediteremo queste parole,
ma più ancora ci studieremo tutti, ciascuno per la
sua parte, di attuarle nella pratica, alla quale sono
primieramente ordinate giacché non gli ascoltatori, ma
gli esecutori saranno giustificati (2), né l'uditore oblioso,
ma il facitore operoso per il suo ben fare sarà beato (3).
( 1 ) Ioan . , VI , 64 .
(2) Rom . , II , 13 .
(3) Iacob . , I, 23 .
LITTERAE ENCYCLICAE
VENERABILIBUS FRATRIBUS PATRIARCHIS PRIMATIBUS
ARCHIEPISCOPIS EPISCOPIS ALIISQUE LOCORUM ORDINARIIS
PACEM ET COMMUNIONEM CUM APOSTOLICA SEDE HABENTIBUS
PIUS PP . X
VENERABILES FRATAES SALUTEM ET APOSTOLICAM BENEDICTIONEM
Communium rerum inter asperas vices additasque
nuper domesticas, quibus animus Noster dolore premitur,
plane recreat ac reficit christiani populi universi recens
conspiratio pietatis, quae adhuc esse non desinit spectacu
lum mundo et angelis et hominibus ( 1 ) , a praesenti facie
malorum forte excitata promptius, sed ab una denique
causa profecta, Iesu Christi Domini Nostri caritate . Quum
enim huius nominis digna virtus nulla in terris exstiterit
nec possit esse nisi per Christum , Ipsi uni accepti refe
rendi sunt fructus qui ab ea dimanant inter homines
etiam in fide remissiores aut religioni infensos, in quibus
Fra le acerbità de ' tempi e le recenti domestiche calamità
che opprimono l'animo Nostro di dolore, Ci è di grato conforto
la gara unanime, onde tutto il popolo cristiano è stato testè, e
continua ad essere spettacolo mondo e agli angeli e agli uo
mini (1) . La qual gara, se dalla vista delle presenti sventure poté
avere eccitamento più pronto, come da causa unica provenne
dalla carità di Gesù Cristo Signor Nostro . E poichè la carità de
gna di tal nome non è fiorita nel mondo nè può fiorire se non
per Cristo , da Cristo solo dobbiamo riconoscere ogni frutto che
ella reca fra noi , anzi pure fra gli stessi uomini rilassati nella
fede o nemici alla religione , ne 'quali se appare qualche vestigio
(1) I Cor ., IV,7 9.
254 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
si quod exstat vestigium verae caritatis, id omne huma
nitati a Christo illatae debetur, quam totam exuere et a
christiana societate propulsare nondum valuerunt.
Hac tanta contentione quaerentium Patri solatia et
fratribus opem in communibus et privatis aerumnis, com
motis Nobis vix verba suppetunt, quibus grati animi sen
sus exprimamus . Quos etsi non semel singulis testati su
mus, haud remorari voluimus gratiae publice referendae
officium exsequi , apud vos primum , Venerabiles Fratres,
et per vos apud fideles omnes , quicumque sunt vigilantiae
vestrae concrediti .
Sed libet etiam gratum animum profiteri palam filiis
carissimis, qui , ex omnibus terrarum orbis partibus, tot
ac tam praeclaris amoris et observantiae significationibus
quinquagenariam sacerdotii Nostri memoriam sunt prose
quuti. Quae quidem humanitatis officia , non tam Nostra ,
quam Religionis et Ecclesiae causa delectarunt, quod im
pavidae fidei testimonium exstiterint et quasi publica ho
noris significatio Christo Ecclesiaeque debiti, per obsequium
2
ei exhibitum , quem Dominus familiae suae praepositum
di carità vera, è tutto merito di quella civiltà che Cristo è ve
nuto a portare nel mondo e che essi on SO riusciti ancora a
scacciare in tutto da sé e dalla società cristiana .
Di tanto pietoso concorso di tutte le anime cristiane gareg
gianti a conforto del Padre e a sollievo de' fratelli nelle comuni
e private tristezze, è commosso e riconoscente il Nostro cuore
più che non si possa esprimere a parole. E sebbene già più volte
l'abbiamo significato in particolare a' singoli, non vogliamo ora
tardare di rendere a tutti pubblicamente le più vive azioni di
grazie, a voi prima, o Venerabili Fratelli, indi per mezzo vostro
ai fedeli tutti alle vostre cure affidati .
E parimente intendiamo protestare pubblicamente la Nostra
gratitudine per tante e così luminose dimostrazioni di amore e
di ossequio che Ci diedero i Nostri figli carissimi in ogni parte
del mondo cattolico, in occasione del Nostro giubileo sacerdotale .
Esse riuscirono gratissime al Nostro cuore, non tanto per il ri
guardo Nostro , quanto per quello della religione e della Chiesa ,
perchè furono testimonianza di fede, intrepidamente professata ,
quasi a riparazione sociale e ad ossequio pubblico reso a Cristo
ed alla sua Chiesa nella persona di Colui che il Signore ha po
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 255
voluit. Sed et alii idem genus fructus haud mediocris
causam laetitiae attulerunt. Nam et saecularia solemnia
institutarum in America Septemtrionali dioecesium occa
sionem obtulerunt immortales Deo gratias agendi ob ad
ditos catholicae Ecclesiae tot filios ; et Britannica insula
nobilissima spectaculo fuit ob instauratum suos intra fines
pompa mirifica honorem Eucharistiae sanctissimae, adstante
Venerabilium Fratrum Nostrorum corona cum ipso Legato
Nostro ac populo confertissimo; et in Galliis afflicta Ec
clesia lacrimas detersit mirata splendidos Augusti Sacra
menti triumphos, Lourdensi maxime in urbe, cuius cele
britatis origines gavisi sumus quinquagenario apparatu
solemni fuisse commemoratas . Ex his aliisque norint omnes
persuasumque habeant catholici nominis hostes, splendi
diores quasdam ceremonias, exhibitum Augustae Dei Ma
tri cultum , honores ipsos Pontifici Summo tribui solitos ,
eo tandem spectare ut in omnibus magnificetur Deus ; ut
sit omnia et in omnibus Christus ( 1 ) ; ut, regno Dei in
terris constituto , sempiterna comparetur homini salus .
sto a governare la sua famiglia. Ma anche altri frutti, per que
sto rispetto , Ci confortarono grandemente. Cosi le feste, onde
tante diocesi del Nord dell'America ricordarono con religiose so
lennità il primo centenario della loro erezione , benedicendo il
Signore, che aveva chiamato tante anime alla luce della verità
nel seno della cattolica Chiesa ; così lo stupendo omaggio, ripri
stinato a Cristo presente nella divina Eucaristia, da migliaia e
migliaia di credenti col concorso di molti Nostri Venerabili Fra
telli e del Nostro stesso Legato , sul suolo della nobilissima isola
d'Inghilterra ; e cosi anche le consolazioni della perseguitata
Chiesa di Francia al mirare gli splendidi trionfi dell'Augusto Sa
cramento, particolarmente nel Santuario di Lourdes , delle cui
origini godemmo pure di vedere celebrato cosi solennemente il
cinquantesimo anniversario Per questi e altri fatti è bene appaia
a tutti, e si persuadano i nemici della fede cattolica, come lo
splendore delle cerimonie e il culto della Augusta Madre di Dio ,
e gli stessi filiali omaggi resi al Pontefice Sommo , sono tutti
rivolti in fine alla gloria di Dio e alla salute degli uomini mede
simi col trionfo del Regno di Dio in mezzo a loro, perchè sia
Cristo ogni cosa e in tutti (1) .
(1) Coloss., III , 11 .
>
256 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
Exspectandus divinus hic de singulis ac de universa
hominum societate triumphus non alius est nisi aberran
tium a Deo ad Ipsum reversio per Christum , ad hunc
autem per Ecclesiam suam ; quod quidem Nobis esse pro
positum , vel primis Nostris Apostolicis Litteris E supremi
Apostolatus Cathedra ( 1 ) , et saepe alias, aperte declaravi
mus . Hunc reditum cum fiducia suspicimus ; ad hunc ma
turandum consilia Nostra sunt et vota conversa , tamquam
ad portum , in quo praesentis etiam vitae procellae con
quiescant. Atque hoc nimirum quod publice redditi Eccle
siae honores velut indicio, Deo bene iuvante, sint redeun
tium gentium ad Christum et Petro Ecclesiaeque arctius
adhaerentium , officia humilitati Nostrae persoluta libenti
gratoque animo excepimus .
Haec autem cum Apostolica Sede caritatis necessitudo
etsi non eodem semper aut ubique se gradu prodidit nec
uno significationis genere, nihilominus divinae Providen
tiae consilio factum videtur, ut eo devinctior exstiterit,
quo iniquiora, uti modo sunt, tempora sive sanae doctri
nae, sive sacrae disciplinae , sive ecclesiae libertati decur
rerunt. Coniunctionis id genus exempla sancti viri prae
Questo trionfo di Dio su la terra, che deve avverarsi negli
individui e nella societá, sta appunto in quel ritorno degli uo
mini a Dio mediante Cristo , e a Cristo mediante la Chiesa, che
noi abbiamo annunziato come il programma del Nostro Pontifi
cato nel rivolgervi la prima volta la parola E supremi Apostola
tus Cathedra ( 1), e di poi altre volte ripetutamente. A questo ri
torno fiduciosi Noi miriamo e ad affrettarlo indirizziamo i Nostri
propositi e desiderî , come ad un porto in cui si quietino anche
le tempeste della vita presente . Nè per altro motivo , appunto ,
Ci sono grati gli omaggi resi alla Chiesa nella Nostra umile per
sona, se non perchè, con l'aiuto di Dio , sono indizio di tale ri.
torno delle nazioni a Cristo e di più intensa e pubblica adesione
a Pietro e alla Chiesa .
La quale intensità di adesione non è certo d'ogni età e
d'ogni condizione d'uomini nel grado stesso o nelle stesse ma
nifestazioni esteriori . Ma certo si può ben dire ch'essa per una
disposizione provvidenziale diviene tanto maggiore, quanto più
( 1 ) Encyclica, diei 4 Octobris MDCCCCIII.
VELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSEMMO DI AOSTA 257
buerunt iis tempestatibus, quum aut exagitaretur Christi
grex , aut aetas vitiis difflueret ; quibus malis opportune
Deus obiecit illorum virtutem atque sapientiam . Ex iis
unum commemorare hisce Litteris maxime iuvat, cuius in
honorem hoc ipso anno apparantur saecularia solemnia ,
expleto a beatissimo eius exitu octavo saeculo . Is est Au
gustanus doctor Anselmus, catholicae veritatis adsertor et
sacrorum iurium propugnator acerrimus , tum qua mona
chus et Abbas in Gallia, tum qua Cantuariensis Archie
piscopus et Primas in Anglia. Nec alienum esse arbitra
mur, post acta splendido ritu solemnia doctorum Gregorii
Magni et Ioannis Chrysostomi, quem alterum occidentalis,
alterum orientalis Ecclesiae iubar admirati suspicimus,
aliud intueri sidus, quod, si a prioribus differt in clari
tate (1 ), illorum tamen progressiones aemulando, haud in
firmiorem lucem exemplorum doctrinaeque diffundit. Quin
etiam eo potentiorem quodammodo dixeris, quo nobis pro
prior Anselmus aetate , loco , indole , studiis, et quo magis
avversi corrono i tempi , sia contro la sana dottrina o contro la
disciplina sacra o contro la libertà della Chiesa . E di siffatta
unione ci diedero esempio in altri secoli i Santi all'infuriare
delle persecuzioni contro il gregge di Cristo o all' imperversare
dei vizî nel mondo, mentre a questi mali Iddio venne opponendo
conforme al bisogno , la loro virtù e sapienza . Fra tali Santi uno
soprattutto vogliamo ora ricordare, del cui glorioso transito ri
corre quest'anno l'ottavo centenario , S. Anselmo d'Aosta, Dot
tore della Chiesa, della dottrina e dei diritti della Chiesa acerrimo
difensore, prima quale monaco e abbate in Francia, indi quale
arcivescovo Cantuariense e quale primate in Inghilterra. Nè certo
sarà inopportuno , dopo le feste giubilari celebrate con insolita
splendidezza a onore di due altri santi Dottori della Chiesa,
Gregorio Magno e Giovanni Grisostomo , splendore l'uno della
Chiesa occidentale e l'altro della orientale, fermarci pure a con
templare quest'altra stella che, se differisce in chiarezza ( 1) dalle
due precedenti , emulandole tuttavia nelle sue ascensioni, vibra
intorno luce di dottrina e di esempî non meno efficace . Che anzi
la potrebbe dire taluno sotto qualche rispetto più efficace, in
quanto Anselmo maggiormente si accosta a noi , di tempo , di
( 1 ) I, Cor. , XV , 41 .
17.
258 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
accedunt ad horum similitudinem temporum sive luctae
genus, sive pastoralis actionis forma ab ipso in usum de
ducta , sive instituendi ratio , per se , per discipulos tradita
et scriptis maxime confirmata , ex quibus habita est norma
ad defensionem christianae religionis, animarum profec
tum , et omnium theologorum , qui sacras litteras schola
stica methodo tradiderunt ( 1 ) . Quare sicut in noctis caligine
aliis occidentibus stellis, aliae ut mundum illustrent oriun
tur, sic ad Ecclesiam illustrandam Patribus filii succedunt,
inter quos beatus Anselmus velut clarissimum sidus ef
fulsit.
Ac vere quidem in media aevi sui caligine , vitiorum
errorumque laqueis impliciti , optimo cuique inter aequales
visus est suae fulgore doctrinae ac sanctitatis praelucere.
Fuit enim fidei princeps et decus Ecclesiae... gloria ponti
ficalis, qui sui temporis omnes vicerat electos egregiosque
viros ( 2) Idem et sapiens et bonus et sermone reful
gens, ingenio clarus (3) , cuius fama eo usque progressa
est, ut merito scriptum sit, non fuisse in terris quemquam ,
schiatta, d'indole, di studî, e più somigliano ai tempi nostri sia
il genere di lotte superate, sia la forma di azione pastorale da
lui attuata, sia il metodo d'insegnamento applicato e largamente
promosso per sè, per i suoi discepoli , e per i suoi scritti , tutti
composti a difesa della religione cristiana , a profitto delle anime
e a norma di tutti i teologi, che poi insegnarono le sacre lettere
col metodo della scuola ( 1 ) . Onde, come nell'oscurità della notte ,
mentre altre stelle tramontano , altre ne sorgono a rischiarare il
mondo , cosi ad illustrare la Chiesa succedono ai Padri i figli.
Fra essi rifulse, come astro chiarissimo, Sant'Anselmo .
E certamente , fra le tenebre di errori e di vizi dell'età in
cui visse, apparve Anselmo ai migliori suoi contemporanei quale
un luminare di santità e di sapere . Fu egli infatti come un prin
cipale sostegno della fede, uno splendore della Chiesa .... una gloria
dell'episcopato, un uomo che tutti avea superato i migliori perso
naggi del suo tempo (2) . Sapiente buono, dicitore splendido,
chiaro ingegno (3), venne in tal fama, da meritare che si scri
vesse di lui , nessuno al mondo aver potuto dire : Anselmo è a me
(1) Breviar. Rom ., die 21 Aprilis .
(2) Epicedion in obitum Anselmi. (3) In Epitaphio.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 259
qui dicere vellet : me minor Anselmus est similisve mihi (1 ) ;
acceptus ob haec regibus, principibus, Pontificibus Maxi
mis . Nec suis modo sodalibus ac fideli populo , sed carus
habebatur hostibus ipse suis (2) . Ad eum etiam tum Abba
tem litteras existimationis et benevolentiae plenas misit ma
gnus ille ac fortissimus Pontifex Gregorius VII , quibus se
et Ecclesiam catholicam eius orationibus commendabat (3) .
Eidem Urbanus II religionis ac scientiae praerogativam
adseruit (4) . Pluribus, iisque amantissimis litteris, Pascha
lis II reverentiam devotionis, fidei robur et piae sollicitu
dinis instantiam extulit laudibus, eius auctoritate religionis
ac sapientiae (5) facile adductus ut fraternitatis suae postu
lationibus annueret, quem praedicare non dubitavit om
nium Angliae episcoporum sapientissimum ac religiosis
simum .
Nec tamen aliud esse sibi videbatur nisi contemptibilis
homuncio , ignotus homunculus, homo parvae nimis scien
tiae , vita peccator. Cumque de se tam demisse sentiret, non
hoc tamen impediebatur quominus alta cogitaret, contra
inferiore, o mi somiglia (1) : onde riusci egli accetto a re, a prin
cipi , a Sommi Pontefici, nonchè ai suoi religiosi fratelli e al po
polo fedele, anzi avuto caro dagli stessi suoi nemici (2 ) . A lui ,
ancora abbate, scrisse il grande e fortissimo Pontefice Grego
rio VII lettere piene di stima e di affetto, raccomandando sè e la
Chiesa cattolica alle orazioni di lui ( 3 ). A lui scrisse Urbano II ,
riconoscendone la prerogativa di religione e di scienza (4) . A lui
e di lui molte volte Pasquale II con particolare cordialità, esal
tandone la riverenza della devozione, la vigoria della fede, la in
sistenza della sollecitudine pia, riconoscendone l'autorità della
religione e della sapienza (5) , che lo persuadeva ad annuire alle
richieste della fraternità sua ; chiamandolo ben anche sapientis
simo e religiosissimo fra tutti i vescovi dell'Inghilterra.
Eppure agli occhi propri Anselmo non appariva mai altro
che omicciuolo spregevole, omiciattolo ignoto, uomo di troppo
poca scienza, di vita peccatore . Nè però tanta modestia di animo
ed umiltà sincerissima sminuiva punto l'altezza dei suoi pensieri
(1) Epicedion in obitum Anselmi. ( 2) Ibid .
(3) Breviar. Rom ., die 21 Aprilis .
(4) In libro II Epist. S. Anselmi, ep. 32 .
(5) In lib . III Epist. S. Anselmi, ep . 74 et 42.
260 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
ea quae malis moribus opinionibusque depravati homines
iudicare solent, de quibus sacrae litterae : Animalis... homo
non percipit ea quae sunt spiritus Dei ( 1 ) . Illud vero plus
habet admirationis, quod eius magnitudo animi et invicta
constantia, tot molestiis, impugnationibus, exsiliis tentata ,
ea cum lenitate fuit et gratia coniuncta, ut vel ipsorum
iram frangeret qui ei succenserent, eorumque sibi benevo
lentiam conciliaret . Ita , quos eius causa gravabat, lauda
bant tamen quod bonus ipse foret (2) .
Fuit igitur in eo admirabilis quadam earum partium
conspiratio et consensus, quas plaerique falso arbitrantur
secum ipsas necessario pugnare nec ullo pacto posse com
poni ; nudo candori consociata granditas, animo excelso
modestia , fortitudini suavitas, pietas doctrinae ; adeo ut,
quemadmodum in instituti sui tirocinio, ita etiam in omni
vita, mirum in modum tamquam sanctitatis et doctrinae
exemplar ab omnibus haberetur ( 3 ).
Neque vero duplex haec Anselmi laus intra domesticos
parietes aut magisterii se fines continuit, sed , quasi e mi
litari tabernaculo , processit in solem et pulverem. Nacto
e la grandezza del cuore, come sogliono giudicare gli uomini de
pravati di vita e di giudizio , dei quali dice la Scrittura , che
l' uomo animale non capisce le cose dello spirito di Dio (1) . E, cosa
ancora più mirabile, la magnanimità e la costanza invitta, ben
chè provata da tante persecuzioni, contradizioni, esigli, andò
unita in lui ad una tale mitezza e amabilità che sopiva gli sde
gni dei suoi stessi avversarî e gliene conciliava infine gli animi
esacerbati . Sicché quei medesimi, a cui la sua causa era molesta ,
7
lodavano lui , perchè era buono (2) .
Così in lui si accordavano mirabilmente le parti che il mondo
stima falsamente inconciliabili e contradittorie : semplicità e gran
dezza, umiltà e magnanimità, forza e soavità , scienza infine e
pietà ; onde, come negli inizii così in tutto il corso della sua vita
religiosa era stimato da tutti in singolar modo, quale esemplare
di santità e di dottrina (3) .
Nè questo doppio merito di Anselmo si restrinse fra le pa
reti domestiche o nel giro della scuola, ma di qui, come da mi
litare palestra , uscì a mostrarsi in campo aperto . Poichè, avendo
( 1) I Cor . II, 14 . (2) Epicedion in obitum Anselmi.
(3) Breviar. Rom . die 21 Aprilis.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 261
enim quae diximus tempora, pro iustitia et veritate fuit
ei dimicandum acerrime. Cumque naturae vi ad ea studia
ferretur maxime quae in rerum contemplatione versantur,
in plura et gravia negotia coniectus est, et, sacro assumpto
regimine, in medium devenit rerum certamen atque discri
men . Et qui miti ac suavi erat ingenio, studio tuaendae
doctrinae ac sanctitatis Ecclesiae compulsus est a tranquil
lae vitae incunditate recedere, principum virorum amici
tiam gratiamque deserere, dulcissima vincula , quibus cum
sodalibus religiosae familiae sociisque laboris episcopis iun
gebatur, abrumpere, diuturnis conflictari molestiis , omne
genus angustiis premi. Gravissimis enim odiis ac periculis
circumseptum locum expertus est Angliam , ubi enixe illi
obsistendum fuit regibus ac principibus, quorum arbitrio
erant Ecclesiae sortes gentiumque permissae ; ignavis aut
indignis officio sacro ministris ; optimatibus plebique rerum
omnium ignaris atque in pessima quaeque vitia ruentibus ;
imminuto numquam ardore, quo fidei, morum , Ecclesiae
disciplinae ac libertatis, eiusque propterea doctrinae ac
sanctitatis exstitit vindex ; plane dignus hoc altero memo
rati Paschalis praeconio : « Deo autem gratias, quia in te
Anselmo incontrato tempi cosi difficili, come accennavamo , ebbe
a sostenere lotte fortissime a pro della giustizia e della verità.
Egli di animo tutto propenso alla contemplazione ed agli studî
dovette immergersi nelle più svariate e gravi occupazioni, anche
in quelle del governo della Chiesa, ed essere così travolto nelle
più torbide vicende dell'età sua agitata. D'indole dolce e mitis
sima, per amore della sana dottrina e della santità della Chiesa,
dovette rinunziare alla vita di pace , alle amicizie dei potenti , ai
favori dei grandi, alla concorde affezione, che prima godeva, dei
suoi stessi fratelli di vita religiosa e di episcopato ; vivere in
contrasti diuturni, in angustie di ogni fatta . Cosi, trovato egli
l'Inghilterra piena di odii e di pericoli , dovette resistere vigoro
samente contro re e principi usurpatori e tiranni della Chiesa e
dei popoli , contro ministri fiacchi o indegni dell'officio sacro , con
tro l'ignoranza e i vizi dei grandi e delle plebi ; sempre acerrimo
vindice della fede e della morale, della disciplina e della libertà ,
della santità quindi e della dottrina della Chiesa di Dio ; ben
degno perciò di quest ' altro encomio del già citato Pasquale :
« Sieno grazie a Dio , perchè in te perdura sempre l'autorità del
262 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
« semper episcopalis auctoritas perseverat, et inter barbaros
>
* positus, non tyrannorum violentia, non potentum gratia,
« non incensione ignis , non effusione manus a veritatis an
« nuntiatione desistis » . Et rursus : « Exultamus, inquit,
.
« quia gratia Dei tibi praestante auxilium , te nec minae
« concutiunt nec promissa sustollunt » ( 1 ) .
Ex his omnibus, Venerabiles Fratres, aequum est Nos
etiam cum Decessore Nostro Paschali , lapsis ab illa aetate
saeculis octo , laetitiam percipere, eiusque voci resonare,
gratias Deo persolventes. Simul vero cohortari vos iuvat
ad hoc sanctitatis doctrinaeque lumen intuendum , quod ,
in Italia ortum , Gallis affulsit plus annos triginta ; Anglis
supra quindecim ; Ecclesiae denique universae communi
praesidio ac decori fuit .
Quod si opere et sermone excelluit Anselmus, hoc est,
si vitae pariter doctrinaeque palaestra, si contemplandi vi
et agendi, alacritate, si dimicando fortiter et sectando pa
cem suaviter, splendidos Ecclesiae triumphos comparavit
et insignia in civilem societatem beneficia contulit, haec
omnia ex eo sunt repetenda, quod in omni vitae cursu
« vescovo e sebbene posto fra barbari , non cessi dall'annunziare
« la verità nè per violenza di tiranni , nè per favore di potenti ,
«« nè per accensione di fuoco , nè per oppressione di mano
E altra volta : « Esultiamo, perchè dandoti aiuto la grazia di Dio,
« nè le minacce ti scuotono , nè le promesse ti smuovono » ( 1).
Per queste cose tutte è ben giusto che anche Noi, Venera
bili Fratelli , ad otto secoli d'intervallo , esultiamo , come il Nostro
Predecessore Pasquale, e, facendo eco alla sua voce, rendiamo
grazie a Dio . Ma insieme Ci è caro di confortar voi pure a fis
sare lo sguardo a questo luminare di dottrina e di santità, che
sorto in Italia, rifulse per più di un trentennio alla Francia, per
più di quindici anni all'Inghilterra ; e in fine alla Chiesa tutta,
quale comune presidio e decoro .
Che se grande fu Anselmo nelle opere e nelle parole, se cioè
nella scienza e nella vita, nella contemplazione e nell'azione,
nella pace e nella lotta procurò - splendidi trionfi alla Chiesa e
vantaggi insigni alla civile società, tutto si ha da riconoscere
(1 ) In lib . III Epist. S. Anselmi, ep . 44 et 74.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 263
doctrinaeque ministerio Christo et Ecclesiae quam firmis
sime adhaeserit.
Haec mentibus defigenda curantes in tanti Doctoris
commemoratione solemni , praeclara inde hauriemus, Vene
rabiles Fratres, et quae admiremur et quae imitemur exem
pla. Plurimum quoque ex ea contemplatione accedet robo
ris ac solatii ad sacrii ministerii partes, arduas plerumque
ac sollicitudinis plenas, viriliter explendas, ad impense
curandum ut omnia instaurentur in Christo , ut in omnibus
formetur Christus ( 1 ) , maxime in iis, qui in spem sacer
dotii succrescunt ; ad constanter propugnandum Ecclesiae
magisterium ; ad obnitendum strenue pro Christi sponsae
libertate , pro sanctitate iuris divinitus constituti, pro jis
denique omnibus, quaecumque sacri Principatus defensio
postulat.
Nec enim vos latet, Venerabiles Fratres, quod saepe
Nobiscum complorastis, quam tristia sint in quae incidimus
tempora , et rerum Nostrarum quam sit iniqua conditio.
Ipsius doloris, quem ex publicis infortuniis incredibilem
dalla sua intima adesione a Cristo e alla Chiesa in tutto il corso
della sua vita e del suo magistero .
Queste cose rammemorando, Venerabili Fratelli , con parti
colare studio nella solenne ricordanza di un tanto Dottore , ne
ritrarremo preclari esempi e da ammirare e da imitare . Anzi da
tale considerazione attingeremo altresi un vivo incoraggiamento
e conforto nelle cure affannose del governo della Chiesa e della
salute delle anime, per non venir mai meno al nostro debito di
cooperare con ogni sforzo , perchè siano ristaurate tutte le cose
in Cristo, perchè sia formato Cristo nelle anime tutte ( 1) , massi
mamente in quelle che sono la speranza del sacerdozio , per so
stenere costar emente la dottrina della Chiesa, per difendere in
fine strenuamente la libertà della sposa di Cristo , la santità dei
suoi diritti divini, la pienezza insomma di quei presidî che la
tutela del sacro Pontificato richiede .
Perocchè, voi vedete , Venerabili Fratelli , e ne avete spesso
gemuto con Noi , quanto siano tristi i tempi in cui siamo caduti ,
quanto gravose le condizioni in cui dobbiamo trovarci . Anche fra
gli infortuni pubblici che ne recarono estremo affanno, Ci siamo
(1) Galat . , IV , 19 .
264 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
cepimus, refricatum est vulnus probrosis criminationibus
clero conflatis, quasi segnem adiutorem in ea ' se calami
tate praebuerit ; interiectis impedimentis ne benefica Eccle
siae virtus pateret miseris filiis ; eius ipsa materna cura
et providentia contempta. Alia plura silemus, quae in Ec
clesiae perniciem aut versute et callide agitata sunt, aut
nefario ausu patrata , publici violatione iuris, atque omni
naturalis aequitatis et iustitiae lege despecta. Idque iis in
locis accidisse gravissimum est, in quae illatae ab Ecclesia
humanitatis abundantior amnis influxit. Quid enim tam
inhumanum quam ut e filiis , quos Ecclesia quasi primo
genitos aluit fovitque in ipso suo vel flore vel robore , non
dubitent quidam in Matris amantissimae sinum sua tela
convertere ? Nec est cur admodum recreet aliarum con
ditio regionum, ubi varia quidem belli facies est, furor
idem, aut iam exardescens, aut ex occultae coniurationis
tenebris mox erupturus. Hoc enim est consiliorum ulti
mum , apud gentes in quas maiora christianae religionis
beneficia promanarunt, omnibus iuribus Ecclesiam despo
liare ; cum ipsa sic agere, quasi non sit genere ac iure
perfecta societas, qualem nostrae Reparator instituit ; huius
sentiti inacerbire il dolore da avventate calunnie contro il clero ,
quasi che si fosse mostrato indolente al soccorso nella calamità ;
dagli ostacoli frapposti perchè non apparisse la benefica azione
della Chiesa a pro di figli desolati ; dal disprezzo della sua stessa
cura e provvidenza materna. Non parliamo poi di altre opere tri
sti , a danno della Chiesa o macchinate con subdola astuzia o con
empio ardimento consumate, calpestando ogni diritto pubblico,
ogni legge anzi di equità e di onestà naturale . Il che massima
mente fu enorme eccesso di malvagità in quei paesi che ebbero
già dalla Chiesa maggiore luce di civiltà. Perchè qual prova più
brutale che vedere tra quei figli, cui la Chiesa crebbe e acca
rezzò quasi suoi primogeniti , suo fiore e suo nerbo , vederne al
cuni drizzare furiosi le armi contro il seno della Madre che li ha
tanto amati ? – E non v'ha molto da consolarci per lo stato di
altri paesi : la guerra medesima, benchè in varia forma, o infu
ria o minaccia per via di tenebrose macchinazioni. Si vuole in
somma universalmente , nelle nazioni che più debbono alla cri
stiana civiltà, spogliare la Chiesa dei suoi diritti, si vuole trattarla
come non fosse punto , di natura e di diritto , società perfetta ,
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 265
regnum excindere, quod etsi praecipue ac directo animos
attingit, haud minus ad horum sempiternam salutem quam
ad civilis utilitatis incolumitatem pertinet ; omnia moliri ut
imperantis Dei loco effrena dominetur, mentito libertatis
nomine , licentia . Dumque id assequantur, ut per domina
tum vitiorum et cupiditatum pessima omnium instauretur
servitus, ac praecipiti cursu cives ad extrema delabantur ;
- miseros autem facit populos peccatum ( 1 ) , – clamitare
non cessant : nolumus hunc regnare super nos (2) .
Hinc religiosorum sodalium sublatae familiae, quae
magno semper Ecclesiae praesidio atque ornamento fue
runt, et humanitatis doctrinaeque sive inter barbaras gentes
sive inter excultas provehendae principes exstiterunt; hinc
prostrata et afflicta christianae beneficentiae instituta ; hinc
habiti ludibrio sacri ordinis viri , quibus aut ita obsistitur
ut eorum plane concidant vires, aut ad publica magisteria
vel omnino intercluditur vel satis impeditur iter ; aut in
institutione iuventutis nullae relictae sunt partes; hinc
christiana omnis actio publicae utilitatis intercepta ; egregii
quale fu istituita da Cristo medesimo , riparatore della nostra na
tura ; si vuole annientato il suo regno che, sebbene primariamente
e per diretto riguardi le anime, non giova però meno alla loro
salvezza eterna che alla sicurezza della civile prosperità ; si vuole
con ogni sforzo che in luogo del regno di Dio spadroneggi , sotto
mentito nome di libertà, la licenza. E pur di far trionfare con
l'impero delle passioni e dei vizi la pessima di tutte le schiavitù,
trascinando a precipizio nell'estrema rovina i popoli perchè il
peccato fa miseri i popoli — ( 1 ) non si cessa di gridare : Non vo
gliamo che egli regni sopra di noi (2) .
Quindi cacciati da paesi cattolici gli Ordini religiosi , che
furono alla Chiesa in ogni tempo di ornamento e difesa , e pro
motori delle opere più benefiche di scienza e di civiltà fra le na
zioni barbare e le civili ; quindi indeboliti o ristretti al possibile
i suoi benefici istituti, sprezzati e derisi i suoi ministri , anzi ri
dotti , ove sia dato , all'impotenza, all'inerzia ; chiuse loro o rese
in estremo difficili le vie della scienza e del magistero , massime
nell'allontanarli gradatamente dall'istruzione ed educazione della
gioventù ; attraversate le opere cattoliche tutte di pubblica utilità ;
( 1 ) Prov. , XIV , 34 . (2) Luc ., XIX , 14 .
266 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
e populo viri catholicam fidem apertius profitentes nullo
in honore numerove positi, procacibus iniuriis lacessiti,
exagitati quasi genus infimum atque abiectissimum , serius
ocius visuri diem , quo , recrudescente hostili vi legum , nec
sibi licebit in rebus ullis misceri , quibus publica vitae
actio continetur. Huius interim auctores belli , tam atroci
ter callideque suscepti, non alia dictitant se causa moveri ,
nisi libertatis amore ac studio provehendae humanitatis,
quin etiam patriae caritate , haud secus mentiti atque ipso
rum parens, qui homicida erat ab initio, qui cum loquitur
mendacium, ex propriis loquitur, quia mendax est ( 1 ) , et
in Deum atque in hominum genus inexplebili odio suc
census. Protervae sane frontis homines, qui verba dare
nituntur et incautis auribus insidias facere . Nec enim eos
dulcis amor patriae aut anxia de populo cura, aut ulla
recti honestique species ad nefarium bellum impellunt, sed
vesanus in Deum furor in eiusque admirandum opus, Ec
clesiam . Ex concepto eiusmodi odio , tamquam ex venenato
fonte , scelerata illa consilia erumpunt Ecclesiae opprimen
scherniti, perseguitati o depressi anche i laici egregi , di profes
sione apertamente cattolica , quasi classe inferiore o reietta, fin
chè venga il giorno, che si vuole affrettato con leggi sempre più
inique e con abbietti provvedimenti , di deferirli come nemici dello
Stato e sbandirli anche dalle ultime manifestazioni sociali . E si
vantano gli autori di questa guerra, tanto subdola insieme e
spietata , di muoverla per amore di libertà , di civiltà, di progresso ;
e, a crederli , pure per carità di patria : simili anche in questa
menzogna al loro padre, il quale fu omicida fin da principio, e
quando parla con bugia , parla da par suo, perchè egli è bugiardo (1 )
e ardente di odio insaziabile contro Dio e contro il genere umano .
Uomini di fronte proterva costoro , che cercano di dar parole e
tendere insidie agli ingenui. Non dolce amore di patria, o an
siosa cura del popolo , non altro nobile intento o desiderio di cosa
buona che sia, muove costoro alla guerra accanita ; ma odio cieco
contro Dio e contro quella società divina che è la Chiesa. Da
questo odio prorompe l'insano proposito di veder fiaccata la Chiesa
ed esclusa dalla vita sociale : da questo odio l'ignobile sfogo di
gridarla morta e tramontata, mentre non si cessa di oppugnarla ;
( 1 ) IOAN ., VIII, 44 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 267
dae summovendaeque a coniunctione societatis humanae ;
inde ignobiles voces clamitantium eam esse demortuam ,
quam nihilominus oppugnare non desinunt; quin etiam eo
audaciae insaniaeque procedunt, ut omni libertate spolia
tam criminari non dubitent quod in hominum genus, quod
in rempublicam utilitatis conferat nihil. Idem infensus
animus efficit, ut illustriora Ecclesiae atque Apostolicae
Sedis beneficia vel astute dissimulent, vel silentio praete
reant ; forte etiam occasionem arripiant injiciendae suspi
cionis et influendi callido artificio in aures animosque mul
titudinis , acta dictave singula Ecclesiae aucupantes eaque
traducentes quasi totidem impendentia civitati pericula,
quum contra dubitari non possit, quin germanae libertatis
et exquisitioris humanitatis incrementa a Christo maxime,
per Ecclesiam , profecta sint.
In huius impetum belli , ab externis hostibus illati, a
quibus alibi quidem acie apertaque dimicatione, astu alibi
abstrusisque insidiis, attamen ubique Ecclesiam oppugnari
conspicimus, ut vigiles essent curae vestrae conversae,
Venerabiles Fratres, quum saepe alias tum vos praecipue
monuimus allocutione in sacro Concistoro habita XVII
Cal . Ianuarias anno MDCCCCVII.
anzi pure l'audacia e la insensatezza di rinfacciarle, dopo spo
gliatala d'ogni libertà , che per nulla più conferisca al benessere
della società, alla felicità della patria. Dallo stesso odio viene
pure l'astuto dissimulare o il tacere affatto le più aperte bene
merenze della Chiesa e della Sede Apostolica , se pure non si ri
volgono le Nostre beneficenze in argomento di sospetti, d'insi
nuazioni, di suggestioni , che s'infiltrano con arte astuta negli
orecchi e negli animi della moltitudine, spiando e travisando
ogni atto e detto della Chiesa, quasi fosse un pericolo imminente
alla società ; invece di riconoscere, com'è indubitato, che i pro
gressi della genuina libertà e della civiltà più sincera sono da
Cristo principalmente, per opera della Chiesa .
Di questa guerra che freme al di fuori , mossa da nemici
esterni, per la quale o ad oste schierata e con aperte battaglie, o
con arte subdola e coperte insidie, dappertutto scorgiamo la Chiesa
pigliata di assalto, abbiamo più volte premunito la vostra vigi
lanza , Venerabili Fratelli , e ancora nella Nostra Allocuzione pro
nunziata in Concistoro il 16 dicembre 1907.
268 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
Verum haud severe minus quam dolenter denuntian
dum cohibendumque Nobis est aliud belli genus intestini
quidem ac domestici, sed eo funestioris quo latet occul
tius. Hanc machinati sunt pestem perditi quidam filii, in
ipso Ecclesiae sinu delitescentes ut eum dilacerent. Horum
tela in Ecclesiae animam , tamquam in trunci radicem , conii
ciuntur, ut certo ictu ac destinato feriant. Est enim ipsis
propositum christianae vitae doctrinaeque turbare fontes ;
sacrum fidei depositum diripere ; per pontificiae auctorita
tis et episcoporum contemptum divinae institutionis fun
damenta convellere ; novam Ecclesiam formam imponere,
novas leges , nova jura describere , prout pessimarum quas
profitentur opinionum portenta desiderant; totam denique
divinae Sponsae deformare faciem , vano fulgore perculsi
>
recentioris cuiusdam humanitatis, hoc est , falsi nominis
scientiae, a qua cavere iterato nos iubet Apostolus his
verbis : « Videte ne quis vos decipiat per philosophiam et
inanem fallaciam secundum traditionem hominum , se
« cundum elementa mundi et non secundum Christum » .
Hac philosophiae specie atque inani eruditionis falla
cia, ad ostentationem parata et cum summa iudicandi au
Ma con non minore severità e dolore abbiamo dovuto de
nunziare e reprimere un altro genere di guerra, intestina bensi
e domestica , ma quanto meno palese ai più, tanto maggiormente
pericolosa. Mossa da figli snaturati, che si annidano nel seno
stesso della Chiesa per lacerarlo silenziosamente, questa guerra
mira più direttamente alla radice, all'anima della Chiesa : mira
ad intorbidare le sorgenti tutte della pietà e della vita cristiana,
ad avvelenare le fonti della dottrina, a disperderne il deposito
sacro della fede ; a sconvolgere i fondamenti della costituzione
divina : volta in dileggio ogni autorità cosi dei Romani Pontefici
come dei Vescovi ; a dare nuova forma alla Chiesa, nuove leggi ,
nuovi diritti , secondo i placiti di mostruosi sistemi, insomma
tutta deformare la bellezza della Sposa di Cristo , per il vano ba
gliore di una nuova coltura, che è scienza di falso nome, da cui
l'Apostolo ci mette in guardia ripetutamente : « Badate che nes
« suno vi aggiri per mezzo di una filosofia vuota e ingannatrice,
« secondo la tradizione degli uomini, secondo i principii del mondo
« e non secondo Cristo » .
Da questa falsa filosofia e da questa mostra di vuota e fal
lace erudizione , congiunta ad una somma audacia di critica, se
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 269
dacia coniuncta , capti nonnulli evanuerunt in cogitationi
bus suis ( 1 ) , et, bonam conscientiam... repellentes, circa
fidem naufragaverunt (2) ; alii ancipiti cogitatione distracti ,
opinionum quasi fluctibus obruuntur, nec ipsi sciunt ad
quod litus appellant ; alii otio et litteris abutentes, difficiles
nugas inani labore consectantur; quo fit ut a studio rerum
divinarum et a sinceris doctrinae fontibus abducantur.
Neque vero exitiosa ista labes , quae ab incensa morbosae
novitatis libidine modernismi nomen accepit, etsi denun
tiata saepius, et ipsa fautorum intemperantia suis integu
mentis nudata , cessat gravi detrimento esse christianae
reipublicae. Latet virus inclusum in venis atque in visce
ribus huius nostrae societatis, quae a Christo et ab Eccle
sia descivit ; maxime vero uti cancer serpit inter succre
scentem sobolem , cui et rerum experientia minima est et
insita ingenio temeritas. Nam , cur ita se gerant , non ea
sane causa est quod solida polleant exquisitâque doctrina ;
siquidem rationem inter et fidem nulla potest esse vera
dissensio (3) ; sed quod ipsi de se mirabiliter sentiunt ;
quod pestifero quodam huius aetatis afflati spiritu , sub
dotti alcuni, svanirono nei loro pensieri ( 1 ) , e, rigettata la buona
coscienza, fecero naufragio intorno alla fede (2) ; altri si vanno di
battendo miseramente tra i flutti del dubbio, nè sanno essi me
desimi a qual lido approdare ; altri , sprecando e tempo e studi ,
si perdono dietro a ciance astruse , onde poi si alienano dallo
studio delle cose divine e dalle sincere fonti della dottrina . Nè ,
sebbene denunziato già più volte e smascheratosi infine per gli
eccessi medesimi dei suoi fautori, questo semenzaio di errori e
di perdizione (che ebbe volgarmente dalla sua smania di malsana
novità il nome di modernismo) cessa di essere male gravissimo e
profondo. Esso cova latente , come veleno , nelle viscere della so
cietà moderna, alienatasi da Dio e dalla sua Chiesa , e massima
mente serpeggia come cancro in mezzo alle giovani generazioni,
naturalmente più inesperte e spensierate . Non è esso infatti una
conseguenza di studi serii e di scienza vera , giacchè non vi può
essere dissenso vero tra la ragione e la fede (3) ; ma è effetto del
l'orgoglio intellettuale e dell'aria pestifera, che si respira , di igno
( 1 ) Rom . , I , 21 . (2) Tim ., I , 19 .
(3) Concil . Vatic., Constit. Dei filius cap . 4 .
270 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
impuro quasi caelo crassoque vivunt ; quod rerum sacra
rum cognitionem , quam aut nullam habent aut confusam
atque permixtam , stulta cum arrogantia coniungunt. Cui
contagioni fovendae sublata in Deum fides ab eoque defectio
alimenta suppeditant. Nam quos caeca ista novarum rerum
libido transversos agit , ji facile putant satis esse sibi vi
rium, ut, vel aperte vel simulate, iugum omne divinae
auctoritatis excutiant et religionem sibi fingant iuris natu
rae finibus fere circumscriptam ac suo cuiusque ingenio ac
comodatam , quae christianae speciem nomenque mutuetur,
re autem ab ipsius vita et veritate quam longissime abest .
Atque ita ex aeterno bello adversus divina omnia su
scepto nova bella seruntur, mutata dimicandi ratione ;
idque eo periculosius , quo callidiora sunt arma fictae pie
tatis , ingenui candoris , incensae voluntatis, qua factiosi
homines nituntur amice componere res disiunctissimas,
hoc est labilis humanae scientiae deliramenta cum fide di
vina , et cum saeculi nutantis ingenio Ecclesiae dignitatem
atque constantiam .
Haec Nobiscum conquesti , Venerabiles Fratres, non
idcirco animum despondetis nec spem omnem abiicitis.
ranza o cognizione tumultuaria delle cose di religione , mista alla
stolta presunzione di parlarne e discuterne . E tale infezione ma
lefica è poi fomentata dallo spirito dell'incredulità e della ribel
lione a Dio ; onde chiunque è preso da questa cieca frenesia di
novità pretende bastare a sè stesso, scuotere da sè palesemente
o ipocritamente ogni giogo di autorità divina, foggiandosi poi a
capriccio una sua religiosità vaga , naturalistica, individuale, che
del cristianesimo simuli il nome e la parvenza , non ne abbia punto
la verità e la vita .
Ora in tutto ciò non è difficile ravvisare una delle tante forme
della guerra eterna che si combatte contro la verità divina, e che
ora si muove tanto più pericolosamente, quanto più insidiose sono
le armi palliate di religiosità nuova, di sentimento religioso , di
sincerità, di coscienza, onde uomini ciarlieri si affannano a cer
care conciliazione tra le cose più disparate, come tra il delirare
della scienza umana e la fede divina, tra l'ondeggiare frivolo del
mondo e la dignitosa costanza della Chiesa.
Ma se tutto ciò voi vedete e con Noi deplorate amaramente ,
Venerabili Fratelli , non però ne cadete di animo , o v'indebolite
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 271
Compertum vobis est, quam gravia christianae reipublicae
certamina remotiores aetates, quamquam huic nostrae dis
similes , attulerint. Qua in re iuverit in Anselmi tempora
mentem animumque referre, quantum ex annualibus con
stat, sane difficillima. Fuit enim vere dimicandum pro aris
et focis, hoc est, pro publici sanctitate iuris , pro libertate ,
humanitate, doctrina, quarum rerum tutela uni erat Eccle
siae commissa : cohibenda principum vis, quibus commune
erat ius et fas omne miscere ; extirpanda vitia, excolendae
mentes, ad civilem cultum revocandi homines , veteris im
manitatis non dumobliti ; excitanda cleri pars aut remis
sius agentis aut intemperantius; cuius ordinis haud pauci,
principum arbitrio et pravis artibus electi , horum domi
natui tamquam servi subesse atque in omnibus morigerari
solerent .
Hic erat rerum status in iis maxime regionibus, qui
bus in iuvandis maiorem Anselmus operam curamque col
locavit, sive doctoris magisterio, sive exemplo religiosae
vitae, sive Archiepiscopi ac Primatis assidua vigilantia et
industria multiplici. Eius namque singularia beneficia in
di speranza . Voi non ignorate quanto gravi lotte abbiano recato
al popolo cristiano altri tempi, benchè diversi certamente dai no
stri . Basta che ritorniamo per poco col pensiero all'età in cui
visse Anselmo, così piena di difficoltà, come appare dagli annali
della Chiesa. Vi fu allora veramente da lottare per la religione e
la patria , cioè a dire per la santità del diritto pubblico , per la
libertà, la civiltà , la dottrina, di cui la Chiesa sola era maestra
e vindice alle nazioni; vi fu da rintuzzare la violenza di principi ,
che si arrogavano di conculcare i diritti più sacri ; da sradicare
i vizi , l'ignoranza, la rozzezza del popolo stesso, non ancora spo
gliato in tutto dell'antica barbarie e ricalcitrante bene spesso al
l'opera educatrice della Chiesa ; infine da rialzare una parte del
clero, o fiacco o sregolato nella sua condotta, siccome quello che
non di rado era scelto a capriccio e con perversa elezione da prin
cipi , da essi dominato e ad essi ligio in ogni cosa .
Tale era lo stato delle cose segnatamente in quei paesi , a
cui benefizio spese Anselmo l'opera sua in modo più speciale, sia
con l'insegnamento del maestro , sia con l'esempio del religioso ,
sia con la vigilanza assidua e la molteplice industria dell'Arci
vescovo e del Primate . Poichè sopra tutto sperimentarono i sin
272 APPENDICE .
LA PAROLA DI PIO X
primis expertae sunt Galliae provinciae ac Britannicae in
sulae , paucis ante saeculis illae in potestatem redactae Nor
mannorum , hae in sinum Ecclesiae receptae. Utraque gens,
crebris agitata seditionibus externisque bellis divexata , >
causam relaxandae disciplinae, quum principibus eorum
que imperio subiectis, tum clero populoque attulerunt.
His de rebus graviter queri numquam destiterunt eius
aevi summi viri , quo in numero vetus Anselmi magister
idemque in Cantuariensi sede decessor, Lanfrancus ; at
potissimum Romani Pontifices, quorum unum commemo
rasse sit satis, invicto animi robore virum , iustitiae pro
pugnatorem impavidum , Ecclesiae iurium ac libertatis con
stantem adsertorem , pervigilem disciplinae cleri custodem
ac vindicem , Gregorium septimum . Horum studia et exem
pla aemulatus Anselmus, doloris vocem altius attollens, ad
suae principem gentis , qui ipso propinquo et amico glo
riari solebat, haec scribit : « Videtis , mi charissime do
mine, qualiter mater nostra Ecclesia Dei , quam Deus pul
chram amicam et dilectam sponsam suam vocat, a malis
principibus conculcatur; quomodo ab his, quibus ut advo
golari benefizi di lui le province della Gallia, che erano cadute
da pochi secoli in potere dei Normanni, e le isole Britanniche, da
pochi secoli venute alla Chiesa. Le une e le altre, state già tanto
sconvolte da rivoluzioni interne e da guerre esterne, dettero oc
casione a rilassatezza nei regnanti e nei sudditi, nel clero e nel
popolo.
Di simili abusi del loro secolo menavano forti lamenti gli
uomini insigni di quell'età, come Lanfranco , già maestro e poi
predecessore di Anselmo nella sede Cantuariense ; e più ancora i
Pontefici Romani, fra i quali basti ricordare l'invitto Gregorio VII,
campione intrepido della giustizia nella difesa della libertà della
Chiesa e della santità del clero . Forte del loro esempio ed emulo
del loro zelo , se ne doleva pure energicamente Anselmo, così scri
vendo ad un principe sovrano della sua gente, e che godeva dirsi
a lui congiunto di consanguinità e di affetto : « Vedete, mio ca
« rissimo signore, in qual modo la Chiesa di Dio , nostra madre,
« che Iddio chiama sua bella amica e sposa diletta, è calpestata
« dai principi malvagi ; in qual modo è tribolata per loro danna
« zione eterna da quelli ai quali fu raccomandata da Dio come a
« protettori che la difendessero ; con quale presunzione questi
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 273
catis ad tuitionem a Deo commendata est, ad eorum aeter
nam damnationem tribulatur ; qua praesumptione in pro
prios usus ipsi usurpaverunt res eius; qua crudelitate in
servitutem redigunt libertatem eius : qua impietate con
temnunt et dissipant legem et religionem eius. Qui cum
dedignantur Apostolici decretis ( quae ad robur christianae
religionis facit) esse obedientes , Petro utique apostolo,
cuius vice fungitur, imo Christo , qui Petro commendavit
suam Ecclesiam, se probant esse inobedientes... Omnes
namque qui nolunt subiecti esse legi Dei , absque dubio
deputantur inimici Dei » ( 1 ) . Haec Anselmus ; cuius uti
nam voces pronis auribus excepissent, non modo qui for
tissimo illi principi successerunt, eiusque nepotes, verum
etiam alii reges ac populi , quos tanto amore complexus
est , tot praesidiis communivit ac beneficiis exornavit.
Tantum interim abfuit ut in eum excitatae molestia
rum procellae , direptiones , exsilia, conflictationes, praeser
tim in episcopi munere , virtutis eius nervos eliderent, ut
ipsum Ecclesiae atque Apostolicae Sedi arctius devinxerint .
Quare ad memoratum Pontificem Paschalem scribens, an
« medesimi usurparono ai loro proprii usi le cose di lei ; con quale
« crudeltà riducono a schiavitù la libertà di lei , con quale em
« pietà sprezzano e disperdono la legge e la religione di lei . Ma
essi , sdegnando di essere ubbidienti ai decreti dell'Apostolico ,
« fatti a difesa della religione cristiana, si convincono certo di
« subbidienti a Pietro Apostolo , del quale egli tiene le veci , anzi
« a Cristo , il quale a Pietro raccomando la sua Chiesa.... Perchè
quelli che non vogliono essere soggetti alla legge di Dio , senza
« dubbio sono riputati nemici di Dio » (1 ). Così egli , e cosi l'aves
sero ascoltato sempre i successori e nepoti di quel fortissimo prin
cipe, l'avessero ascoltato altri sovrani e popoli da lui tanto amati,
premuniti, beneficati.
Ma le persecuzioni medesime, gli esigli , le spogliazioni, gli
stenti e le fatiche di lotte accanite, particolarmente nella sua vita
episcopale, non solo mai non iscossero , ma sembrarono sempre
radicare in Anselmo più profondo l'amore della Chiesa ee dell'Apo
stolica Sede . Non temo l'esiglio, non la povertà, non i tormenti,
( 1) Epist. lib. III , ep . 65 .
18 .
274 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
gustiis pressus curisque distentus : non timeo, inquit, exi
lium, non paupertatem , non tormenta, non mortem, quia
ad haec omnia, Deo confortante, paratum est cor meum
pro Apostolicae Sedis obedientia et Matris meae Ecclesiae
Christi libertate ( 1 ) . – Ad patrocinium et opem Cathedrae
Petri confugit, eo consilio, ne unquam religionis ecclesia
sticae et apostolicae auctoritatis constantia aliquatenus per
me aut propter me debilitetur, prout litteris datis ad illu
stres Ecclesiae Romanae antistites duos ipse significat. Ra
tionem autem causamque subiicit , in qua pastoralis forti
tudinis ac dignitatis conspicua Nobis eminet nota : « Malo
enim mori et, quamdiu vivam, omni penuria in exilio gra
vari , quam ut videam honestatem Ecclesiae Dei , causa mei
>
aut meo exemplo , ullo modo violari » (2) .
Ecclesiae igitur honestas illa, libertas, integritas, tria
haec dies noctesque sancti viri obversantur animo; pro
harum incolumitate Deum effusis lacrimis , precibus, sacri
ficiis fatigat ; his provehendis vires omnes intendit et resi
stendo acriter et patiendo viriliter ; haec actione, scriptis,
non la morte, perche confortandomi Iddio, a tutte queste cose è
preparato il mio cuore per l'obbedienza della Sede Apostolica e per
la libertà della Chiesa di Cristo, madre mia (1 ) , cosi egli scriveva
al Nostro Predecessore Pasquale in mezzo alle sue prove più an
gosciose. Che se egli ricorre per protezione ed aiuto alla Catte
dra di Pietro , ciò è solo per questo : affinchè mai per mio mezzo
e per mia causa resti indebolita la costanza della religiosità eccle
siastica e dell'apostolica autorità , com'egli significa scrivendo a
due prelati illustri della Chiesa Romana. E ne assegna questa ra
gione , che è per Noi la tessera della fortezza e dignità pastorale :
<<
Voglio piuttosto morire, e finchè avrò vita, andare piuttosto op
« presso da ogni sorta di penuria nell'esiglio, anzichè vedere of
« fuscata in qualsiasi modo , per mia causa o per mio esempio ,
« l'onoratezza della Chiesa di Dio » (2) .
Questa onoratezza, libertà e purità della Chiesa ha egli sem
pre in cima dei suoi pensieri ; questa affretta coi sospiri , con le
preghiere, i sacrificii; questa promuove ad ogni potere, sia nella
resistenza vigorosa, sia nella pazienza virile , e la difende con
l'azione , con gli scritti e con la voce. Questa medesima racco
(1 ) Epist., lib . III , ep . 73 . (2) Ibid . lib . IV , ep 47 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 275
voce tuetur. Ad eam defensionem sodales religiosos , an
tistites , clerum populumque fidelem suavibus iisque gra
vibus excitat verbis , usus etiam severioribus in eos prin
cipes, qui Ecclesiae iura et libertatem ingenti cum sua
suorumque iactura proculcarent.
Nobiles illae sacrae libertatis voces , quum valde hoc
tempore opportunae , tum dignae plane sunt iis , quos Spi
ritus Sanctus posuit episcopos regere Ecclesiam Dei ( 1) ,
ne tum quidem fructu vacuae quum , vel ob intermortuam
fidem vel collapsos mores vel praeiudicatas opiniones, ob
seratis auribus excipiuntur. Ad nos potissimum , Venera
biles Fratres, uti probe nostis, divina illa monitio refertur :
Clama, ne cesses , quasi tuba exalta vocem tuam (2) ; idque
maxime ubi etiam Altissimus dedit vocem suam (3) , per
naturae fremitum terrificasque calamitates expressam ; vo
cem Domini concutientis terram ; ingratam nostris auribus
vocem alte insonantem , quod aeternum non sit, nihil esse ;
Non enim habemus hic manentem civitatem , sed futuram
inquirimus (4) ; iustitiae vocem pariterque misericordiae,
manda con forti e soavi parole ai monaci suoi fratelli, ai vescovi
ai chierici, a tutto il popolo fedele ; ma con più di severità a quei
principi, che più la calpestavano a immenso danno loro proprio
e dei loro sudditi .
Ora tali nobili voci di sacra libertà tornano bene opportune
ai nostri giorni, su le labbra di quelli che lo Spirito Santo ha
posto a reggere la Chiesa di Dio ( 1 ) ; tornano opportune anche
quando, per la fede illanguidita o la perversità degli uomini o la
cecità dei pregiudizii, non avessero da trovare ascolto . A Noi è
rivolta (e voi ben lo sapete, Venerabili Fratelli ) , a Noi è rivolta
in singolar modo la parola del Signore : Grida, non darti riposo :
alza quale tromba la tua voce (2) . E massimamente allora che an
che l'Altissimo fece udire la sua voce (3) nello stesso fremito della
natura e nelle tremende calamità : voce del Signore che scuote la
terra, voce che suona monito terribile per insegnarci la lezione
dura alle nostre orecchie, che quanto non è eterno, è un nulla,
e che non abbiamo qui città stabile ma andiamo cercando la fu
tura (4) : voce però non solo di giustizia, ma di misericordia e di
( 1 ) Act ., XX , 28 . ( 2) ISAI . , LVIII , 1 .
(3) Ps ., XVII , 14 . (4) Hebr., XIII, 14 .
276 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
devias nationes ad recti bonique tramitem revocantis . In
huiusmodi publicis infortuniis altius nobis extollenda vox
est ; grandia fidei documenta non infimis modo inculcanda ,
sed summis et beate viventibus et gentium arbitris et ad
scitis in consilia regendarum civitatum ; proponendae omni
bus firmissimae illae sententiae, quarum veritatem cruentis
historia notis confirmavit, cuius generis haec : « Miseros
autem facit populos peccatum » (1 ) — « Potentes autem po
tenter tormenta patientur » (2) ; atque item quod est in
Ps. II : « Et nunc reges intelligite, erudimini qui iudicatis
terram ... Apprehendite disciplinam , ne quando irascatur
Dominus, et pereatis de via iusta » . Harum autem commi
nationum exitus exspectandi sunt acerbissimi, quum publica
grassatur iniquitas, quum ab iis qui praesunt et a reliquis
civibus in eo delinquitur maxime, quod e medio pellitur
Deus et a Christi Ecclesia desciscitur ; qua ex duplici aver
sione rerum omnium perturbatio sequitur et infinita prope
miseriarum seges quum singulis tum universae reipublicae.
Quod si talium scelerum affines esse silendo et acquie
scendo possumus, prout non raro fit etiam a bonis, sacri
salutare richiamo alle nazioni traviate. Fra queste pubbliche sven
ture noi dobbiamo gridare più alto e intimare le verità grandi
della fede non solo ai popoli , agli umili , agli afflitti, ma ai po
tenti altresi , ai gaudenti, agli arbitri e consiglieri delle nazioni;
intimare a tutti le grandi verità , che la storia conferma con le sue
terribili lezioni di sangue ; come questa che «.il peccato fa mi
« seri » ( 1) — « I potenti saranno tormentati potentemente » (2j onde
quel monito del Salmo II : « Or dunque, 0o re, fate senno ; lascia
« tevi ammonire , o giudici della terra. Servite a Dio con timore....
« Abbracciate la disciplina affinchè il Signore non si sdegni , e
« voi andiate perduti nella vita » . E di tali minacce sono da aspet
tarsi più acerbe le conseguenze , quando le colpe sociali si molti
plicano, quando il peccato dei grandi e del popolo sta anzitutto
nella esclusione di Dio e nella ribellione dalla Chiesa di Cristo :
duplice apostasia sociale, che è fonte lacrimevole di anarchia, di
corruzione , di miserie senza fine per gli individui e per la società .
Che se di colpe siffatte noi possiamo divenire partecipi col
silenzio stesso e con l'indolenza, cosa pur troppo non rara anche
( 1 ) Prov ., XIV , 34 . (2) Sap ., VI 7.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 277
pastores sibi quisque dicta putent aliisque opportune com
mendent quae ad potentissimum Flandriae principem ab An
selmo scripta leguntur : « Precor, obsecro, moneo , consulo ,
* ut fidelis animae vestrae, mi Domine, et ut in Deo vere
« dilecte , ut numquam aestimetis vestrae celsitudinis minui
dignitatem , si sponsae Dei et matris vestrae Ecclesiae ama
* tis et defenditis libertatem ; nec putetis vos humiliari, si
« eam exaltatis, nec credatis vos debilitari si eam robora
« tis . Videte , circumspicite; exempla sunt in promptu ; con
siderate principes qui illam impugnant et conculcant, ad
« quid proficiunt, ad quid deveniunt ? Satis patet; non eget
« dictu » (1 ) . Quod idem luculentius etiam expressit, pari
vi ac suavitate verborum , his ad Balduinum regem Hiero
solymitanum scriptis : « Ut fidelissimus amicus precor vos,
* moneo , obsecro et Deum oro quatenus sub lege Dei vi
* vendo voluntatem vestram voluntati Dei per omnia sub
datis. Tunc enim vere regnatis ad vestram utilitatem , si
* regnatis secundum Dei voluntatem . Ne putetis vobis , si
* cnt multi mali reges faciunt, Ecclesiam Dei quasi domino
fra i buoni, ognuno dei sacri Pastori stimi detto a sè per la di
fesa del suo gregge, ed agli altri inculchi opportunamente ciò che
Anselmo scriveva al potente principe delle Fiandre : « Prego, scon
« giuro, aminonisco , consiglio, quale fedele dell'anima vostra, mio
Signore e come in Dio veramente amato , che non crediate mai
« vada sminuita la dignità dell'altezza vostra, se amate e difen
« dete la libertà della sposa di Dio e madre vostra , la Chiesa ;
« nè pensiate di umiliarvi , se l'esaltate, nè crediate d'indebolirvi ,
« se la fortificate . Vedete , guardate intorno : gli esempi sono alla
« mano ; considerate i principi che la impugnano e la conculcano,
« a che cosa profittano, a che punto giungono ? È chiaro abba
« stanza : non occorre dirlo » ( 1) . E questo spiega anche più chia
ramente, con la sua solita forza e soavità insieme, al forte Bal
dovino , re di Gerusalemme : « Siccome amico fedelissimo vi prego ,
« vi ammonisco , vi scongiuro , e prego Iddio , che vivendo sotto la
legge di Dio , sottomettiate per tutte le cose la volontà vostra
« alla volontà di Dio. Perché allora voi regnate in verità per vo
« stro bene, se regnate secondo la volontà di Dio. Nė datevi a
<<
credere, come fanno molti cattivi re, che a voi la Chiesa di Dio
(1) Epist., lib . IV, ep. 12 .
278 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
« ad serviendum esse datam , sed sicut advocato et defen
« sori esse commendatam » . Nihil , MAGIS DILIGIT DEUS IN
HOC MUNDO QUAM LIBERTATEM ECCLESIAE SUAE . « Qui ei vo
lunt non tam prodesse quam dominari, procul dubio Deo
« probantur adversari . Liberam vult esse Deus sponsam
« suam , non ancillam . Qui eam sicut filii matrem tractant
* et honorant, vere se filios eius et filios Dei esse probant.
« Qui vero illi quasi subditae dominantur, non filios, sed
« alienos se faciunt, et ideo iuste ab haereditate et dote
* illi promissa exhaeredantur » ( 1 ) . Ita e sancto Viri
pectore fervidus in Ecclesiam amor erumpit; ita eminet
studium libertatis tuendae, qua nihil est magis in gerenda
christiana republica necessarium , nihil Deo carius, ut ab
eodem egregio Doctore affirmatum est brevi illa et vibranti
sententia : nihil magis diligit Deus in hoc mundo quam li
bertatem Ecclesiae suae . Nec est quidquam , Venerabiles Fra
tres, quo mens animusque Noster pateat apertius, quam ver
borum quae retulimus crebra usurpatio.
« sia stata data come a signore perchè vi serva, ma raccoman
« data come ad avvocato e a difensore. NULLA AMA IDDIO MAG
« GIORMENTE IN QUESTO MONDO , CHE LA LIBERTÀ DELLA SUA
« CHIESA . Quelli che vogliono a lei non tanto giovare quanto do
<<
minare, senza dubbio mostrano di contrariare a Dio . Iddio vuole
« che la sua sposa sia libera, non già schiava. Quei che la trat
« tano e la onorano come figli, mostrano di essere veramente
figliuoli di lei e figliuoli di Dio . Quelli invece che la padroneg
giano quasi soggetta , si rendono a lei non figli ma stranieri , e
<
però giustamente vanno esclusi dalla eredità e dalla dote a lei
« promessa » ( 1 ) . Cosi egli sfogava l'animo suo pieno di amore
per la Chiesa ; cosi mostrava il suo ardore per la difesa della li
bertà, tanto necessaria nel governo della famiglia cristiana e cara
a Dio, come affermava lo stesso egregio Dottore in quella concisa
ed energica sentenza : Nulla ama Iddio maggiormente in questo
mondo che la libertà della sua Chiesa. Nè possiamo Noi , Venera
bili Fratelli , aprirvi meglio l'animo Nostro che ripetendo queste
belle parole .
(1 ) Epist . , lib . IV , ep . 8.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 279
Ab ipso pariter mutuari monita libet ad principes pro
ceresque conversa. Sie enim ad reginam Angliae Matildam
scribit : « Si recte , si bene , si efficaciter ipso actu vultis
« reddere grates, considerate reginam illam quam de mundo
« hoe sponsam sibi illi placuit eligere ... Hanc, inquam , con
« siderate ... hanc exaltate, honorate, defendite, ut cum illa
« et in illa sponsa Deo placeatis et in aeterna beatitudine
« cum illa regnando vivatis » ( 1 ) . Tum vero maxime quum
in filium aliquem terrena potestate inflatum incideritis, aut
amantissimae Matris oblitum , aut suave eius imperium de
trectantem , haec memoria ne excidant: « Ad vos pertinet...
* ut haec et huiusmodi... frequenter opportunae importune
« suggeratis ; et ut non dominum , sed advocatum , non pri
vignum , sed filium se probet esse Ecclesiae consula
« tis » (2) . Nostri namque muneris est, idque praecipue nos
decet, alia haec nobili paternoque sensu ab Anselmo dicta
suadere atque in hominum animis defigenda curare : « Cum
« audio aliquid de vobis quod Deo non placet et vobis non
expedit, si vos monere negligo , nec Deum timeo, nec vos
E parimente opportuni ci cadono altri avvertimenti dallo
stesso Santo inculcati ai potenti. Così , ad es . , scriveva alla re
gina d'Inghilterra Matilde : « Se volete rettamente , bene ed effi
« cacemente rendere grazie col fatto stesso a Dio , prendete in
« considerazione quella Regina che a lui piacque scegliersi sposa
« di questo mondo .... Questa, dico , considerate , questa esaltate,
a onorate, difendete, perchè possiate con questa e in questa sposa
piacere a Dio, e con lei vivere regnando nella beatitudine
« eterna » (1) . E massimamente quando v'incontriate in qualche
figlio che gonfio della potenza terrena vive immemore della ma
dre , o a lei avversario o ribelle , allora è da ricordare che : « a voi
appartiene il suggerire di frequente, opportunamente ed impor
« tunamente questi ed altri siffatti avvertimenti, e suggerire che
<<
egli mostri di essere non padrone ma avvocato , non figliastro
« ma figliuolo della Chiesa » ( 2) . A noi pure , a noi sopra tutto ,
conviene inculcare quell'altro detto di Anselmo , cosi nobile e pa
terno : « Quando sento qualche cosa di voi che non piace a Dio
« e a voi non è spediente, se tralascio di ammonirvi, non temo
( 1) Epist.,. lib . III , ep . 57 . (2) Epist., ep . 59 .
280 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
« diligo sicut debeo » ( 1 ) . Si autem auditum sit nobis
quia ecclesias, quae in manu vestra sunt , aliter tractatis
quam illis expediat et animae vestrae, tunc, Anselmum imi
tati , debemus iterum rogare et consulere et monere , « ut
« haec non negligenter mente pertractetis, et si quid vobis
« conscientia vestra in his corrigendum testabitur, corri
« gere festinetis (2) . -- Nihil enim est contemnendum quod
« corrigi possit, quia Deus exigit ab omnibus, non so
* lum quod male agunt, sed etiam quod non corrigunt
« mala quae corrigere possunt. Et quanto potentiores sunt
« ut corrigant, tanto districtius exigit ab illis Deus, ut se
« cundum potestatem misericorditer impensam bene velint
« et faciant... Si autem non omnia simul potestis , non de
« betis propter hoc quin a melioribus ad meliora studeatis
« proficere, quia bone proposita et bonos conatus Deus so
« let benigne perficere et beata plenitudine retribuere » (3) .
Haec aliaque id genus, ab ipso fortiter sapienterque
regum et potentissimorum hominum auribus Ecclesiaeque
<<
Iddio , e non amo voi come debbo (1 ) » . E specialmente quando
ci venisse all'orecchio che trattate le chiese, che sono in vostro po
tere, diversamente da quello che conviene ad esse e all'anima vo
stra, allora dovremmo , imitando Anselmo, di nuovo pregare e
consigliare e ammonire « che ripensiate a queste cose con dili
« genza e se la vostra coscienza vi attesterà essere in esse qual
« che cosa da correggere, vi affrettiate a correggerla (2) . Poi .
« chè nulla è da trascurare di ciò che si può correggere , mentre
« Iddio chiede conto a tutti non solo del male che fanno, ma an
« che del non correggere i mali che possono correggere . E quanto
« hanno più potere da correggere, tanto più rigorosamente Iddio
esige da essi, che secondo la potestà loro comunicata miseri
cordiosamente , vogliano e facciano bene.... Che se voi non po
« tete fare tutte le cose al ternpo stesso , non dovete per questo
« smettere lo sforzo di profittare dal meglio al meglio , perchè
« Iddio suole benignamente condurre a perfezione i buoni pro
<<
positi e i buoni sforzi e con beata pienezza retribuirli » (3) .
Questi ed altri simili moniti ។, sapientissimi e santissimi , che
Anselmo dava anche ai signori ed ai re della terra, bene pos
( 1) Epist., lib . IV , ep . 52 .
> (2) Ibid . , lib . IV , ep . 52 .
(3) Ibid . lib. III, ep . 142.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 281
principibus apprime conveniunt, quibus veritatis, iustitiae,
religionis est commissa defensio . Multa quidem attulit im
pedimenta dies, totque Nobis iniecti sunt laquei , ut iam
vix reliquus sit locus ubi liceat expedite ac tuto versari.
Dum enim impunitae rerum omnium licentiae fraena re
mittuntur, acri pertinacia com pedibus Ecclesia constringi
tur, et, retento ad ludibrium libertatis nomine, novis in
dies artibus omnis vestra clerique actio praepeditur, ita ut
nihil habeat admirationis, quod non omnia simul potestis
ad homines ab errore et vitiis revocandos, ad malas con
suetudines removendas , ad veri rectique notiones in men
tibus inserendas, ad Ecclesiam denique tot pressam augu
stiis relevandam .
Sed est cur animum erigamus. Vivit enim Dominus ef
ficietque ut diligentibus Deum omnia cooperentur in bo
num ( 1 ) . Ipse a malis bona derivabit, eo splendidiores
largiturus Ecclesiae triumphos , quo pervicacius nisa est
opus Eius intercipere humana perversitas. Est hoc admi
rabile divinae Providentiae consilium ; hae sunt in prae
.senti rerum ordine investigabiles viae eius (2) ; non enim
sono ripeterli pastori e principi della Chiesa, come naturali di
fensori della verità, della giustizia, della religione nel mondo.
Certo gli ostacoli sono venuti accumulandosi , ai nostri tempi enor
memente, si che appena resta luogo dove muoversi senza impac
cio e senza pericolo . Perchè , mentre il vizio e l'empietà si lasciano
spadroneggiare per ogni dove con irrefrenata licenza, con fiera
ostinazione si mettono i ceppi alla Chiesa, e ritenuto a scherno
il nome di libertà, con sempre nuove arti si moltiplicano impe
dimenti all'opera vostra e a quella del vostro clero : sicchè niuna
meraviglia se non potete fare tutte le cose insieme a correzione dei
traviati, a soppressione degli abusi , a promozione dalle rette idee
e del retto vivere, a sollievo infine dei mali che aggravano la Chiesa.
Ma confortiamoci: vive Iddio e farà che tutte le cose si vol
gano in bene per quelli che amano Dio (1 ) : anche da questi mali
egli trarrà il suo bene, e sui tanti ostacoli , opposti dalla umana
perversità, farà rifulgere più splendido il trionfo dell'opera sua e
della sua Chiesa. È questo il consiglio mirabile della sapienza di
vina : queste le investigabili sue vie (2) nel presente ordine di Prov
( 1 ) Rom .,. VIII , 28 . ( 2) Ibid ., XI , 33.
282 APPENDICE -
LA PAROLA DI PIO X
cogitationes meae, cogitationes vestrae, neque viae vestrae,
viae meae, dicit Dominus ( 1 ) , – ut ad Christi similitudi
nem Ecclesia in dies propius accedat et expressam referat
Ipsius imaginem , tot ac tanta perpessi, ita ut quodammodo
adimpleat ea quae desunt passionum Christi (2) . Quocirca
eidem in terris militanti haec est divinitus constituta lex,
ut contentionibus, molestiis, angustiis perpetuo exerceatur,
quo vitae genere queat per multas tribulationes ... intrare
in regnum Dei (3) , et.Ecclesiae in caelo triumphanti tan
dem aliquando se adiungere.
Ad rem Anselmus Matthaei locum illum : « Compulit
« Iesus discipulos suos ascendere in naviculam » , sic expla
nat: Iuxta mysticam intelligentiam summatim describitur
« Ecclesiae status ab adventu Salvatoris usque ad finem sae
« culi... Navis igitur IN MEDIO MARIS IACTABATUR FLUCTIBUS ,
* dum Iesus in montis cacumine moraretur ; quia ex quo
« Salvator in caelum ascendit, sancta Ecclesia magnis tri
« bulationibus in hoc mundo agitata est, et variis perse
« cutionum turbinibus pulsata , ac diversis malorum ho
videnza , poichè i pensieri miei non sono i pensieri vostri ; nè le
vie vostre, le vie mie , dice il Signore (1 ), — che la Chiesa di Cristo
rinnovi sempre più in sè la vità del suo Istitutore divino , il quale
tanto pati, e in certo modo dia compimento a ciò che rimane dei
patimenti di Cristo (2) . Quindi la sua condizione di militante in
terra è quella appunto di vivere in mezzo alle distrette , alle lotte,
alle molestie continue, e cosi entrare nel regno di Dio per la via .
di molte tribolazioni (3) , ricongiungendosi con quella già trion
fante nei cieli .
Il che ci spiega pure assai opportunamente Anselmo nella
sua omelia sopra le parole di S. Matteo : « Gesù obbligò i suoi
discepoli a montare nella navicella . Secondo la intelligenza mi
« stica viene descritto sommariamente lo stato della Chiesa dalla
« venuta del Salvatore sino alla fine del mondo .... La nave dun
« que ERA SBATTUTA DAI FLUTTI IN MEZZO AL MARE, mentre
« Gesù dimorava su la vetta del monte ; perchè da quando il
« Salvatore ascese al cielo , la santa Chiesa è stata agitata da
grandi tribolazioni in questo mondo , sbattuta da svariate tem
« peste di persecuzioni, e da perversità diverse di uomini mal
( 1 ) ISAI . , LV , 8. ( 2) Coloss ., I , 24 . (3) Act. , XIV, 21 .
>
NELL'OTTAVO. CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 283
« minum pravitatibus vexata, vitiisque multimode tentata .
« ERAT ENIM EI CONTRARIUS VENTUS, quia flatus malignorum
spirituum ei semper adversatur, ne ad portum salutis per
« veniat; obruere eam nititur fluctibus adversitatum saeculi,
« omnes quas valet contrarietates ei commovens » ( 1 ) .
Vehementer igitur errant qui Ecclesiae statum sibi fin
gunt ac sperant omnium perturbationum expertem , in quo ,
rebus ad voluntatem fluentibus, nullo repugnante sacrae
potestatis auctoritati atque imperio, frui liceat quasi otio
iucundissimo. Turpius etiam decipiuntur qui, falsa et inani
spe ducti potiundae huiusmodi pacis, Ecclesia res et iura
dissimulant, privatis rationibus postponunt, iniuste demi
nuunt, mundo, qui totus in maligno positus est ( 2) , assen
tatur per speciem captandae gratiae fautorum novitatis et
conciliandae iisdem Ecclesiae, quasi lucis cum tenebris aut
Christi cum Belial ulla possit esse conventio . Sunt haec ae
gri somnia, quorum vanae species fingi nunquam desierunt,
nec desinent quamdiu aut ignavi milites erunt, qui, simul,
ac viderint hostem , abiecto scuto fugiant, aut proditores,
<<
vagi vessata e da vizi in molti modi tentata . PERCHÈ LE ERA
« CONTRARIO IL VENTO , mentre il soffio degli spiriti maligni l'av
« versa continuamente , affinché non giunga al porto della salute ;
« tenta di travolgerla sotto i flutti delle avversità del secolo , mo
<<
vendole tutte le contrarietà che può ( 1 ) » .
Errano dunque gravemente coloro che si perdono di fede
nella tempesta , perchè vorrebbero per sè e per la Chiesa uno stato
permanente di piena tranquillità , di prosperità universale , di ri
cognizione pratica e unanime del sacro suo potere senza con
trasti . E molto peggio e turpemente errano quelli che s'illudono
di guadagnarsi questa pace effimera col dissimulare i diritti e gli
interessi della Chiesa, col sacrificarli ad interessi privati , con l'at
tenuarli ingiustamente, col piaggiare il mondo che tutto sta sot
toposto al maligno (2) , sotto specie di riconciliarsi i fautori della
novità e ravvicinarli alla Chiesa ; quasi fosse possibile una com
posizione o accordo tra la luce e le tenebre, fra Cristo e Belial .
È questa un'allucinazione vecchia quanto il mondo, ma è mo
derna sempre e durevole nel mondo, finchè vi resteranno soldati
o deboli o traditori che al primo colpo o gettano le armi o scen
( 1 ) Hom ., III . (2) I. IOAN., V, 19.
284 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
qui festinent cum inimico pacisci , hoc est in re nostra , cum
Dei atque humani generis hoste infensissimo.
Vestrum igitur est, Venerabiles Fratres, quos christia
nae plebis pastores ac duces divina Providentia constituit ,
curare pro viribus ut in pravum hunc morem prona aetas
omittat, flagrante tam saevo in Religionem bello , turpi so
cordia torpescere, neutris in partibus esse, per ambages et
compromissa divina atque humana iura pervertere , inscul
ptamque in animo retineat certam illam ac definitam Chri
sti sententiam : Qui non est mecum, contra me est (1 ) . Non
quod patərna caritate abundare minime oporteat Christi mi
nistros, ad quos maxime pertinent Pauli verba : omnibus
omnia factus sum , ut omnes facerem salvos (2) , aut quod
nunquam deceat paullum etiam de suo iure decedere, quan
tum liceat et animorum postulet salus. Offensionis huius
nulla cadit in vos certe suspicio, quos Christi caritas ur
get . Verum aequa ista deditio nullam habet violati officii
reprehensionem , atque aeterna veritatis et iustitiae funda
menta ne minimum quidem attingit.
dono a patteggiare col nemico , che qui è il nemico irreconcilia
bile di Dio e degli uomini .
A voi spetta dunque, Venerabili Fratelli , che la divina Prov
videnza ha costituito pastori e guide del popolo cristiano , a voi
spetta il resistere fortissimamente contro questa funestissima ten
denza della moderna società di addormentarsi in una vergognosa
inerzia, tra l'imperversare della guerra contro la religione, cer
cando una vile neutralità, fatta di deboli ripieghi e di compro
messi , tutto a danno del giusto e dell'onesto , immemore del detto
reciso di Cristo : Chi non è con me, è contro di me (1 ) . Non già
che i ministri di Cristo non debbano abbondare in carità pa
terna, poichè ad essi massimamente si riferiscono le parole del
l'apostolo : Mi son fatto tutto a tutti per tutti far salvi (2) ; non
giả che non convenga il cedere anche talora dello stesso proprio
diritto , in quanto è- lecito ed è richiesto dal bene delle anime. Di
tale mancanza certo non cade il sospetto in voi , che siete spro
nati dalla carità di Cristo . Ma è questo un equo condiscendere ,
che si fa senza detrimento anche minimo del dovere , nè tocca
punto i principii immutabili ed eterni della verità e della giustizia.
( 1 ) MATTH . , XII , 30 . ( 2 ) I. Cor . , IX , 22 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 285
Sic nempe factum legimus in Anselmi , seu potius in
Dei Ecclesiaeque causa , pro qua illi tamdiu fuit ac tam
aspere dimicandum . Itaque, composito tandem diuturno
dlssidio , Decessor Noster, quem saepe memoravimus, Pa
schalis, his eum verbis extollit : « Hoc nimirum tuae ca
« ritatis gratia tuarumque orationum instantia factum cre
dimus, ut in hac parte populum illum , cui tua sollicitudo
« praesidet,, miseratio superna respiceret » . – De paterna
vero indulgentia, qua idem Summus Pontifex sontes exce
pit, haec habet : « Quod autem ... adeo condescendimus, eo
« affectu et compassione factum noveris, ut eos qui iace
bant erigere valeamus. Qui enim stans iacenti ad suble
* vandum manum porrigit, numquam iacentem eriget, nisi
« et ipse curvetur. Ceterum , quamvis casui propinquare in
« clinatio videatur, statum tamen rectitudinis uon amit
« tit » (1 ) .
Haec Nobis vindicantes a piissimo Decessore Nostro ad
Anselmi solatium prolata, dissimulare nolumus tamen an
xias animi dubitationes, quibus vel optimi inter sacros pa
Cosi leggiamo che avvenne nella causa di Anselmo, o piut
tosto nella causa di Dio e della Chiesa, per cui Anselmo ebbe a
sostenere cosi lunghe e cosi aspre lotte . Sicché, composto alfine
il lungo dissidio , scriveva a lui il Nostro Predecessore Pasquale II :
Noi crediamo siasi ottenuto appunto in grazia della tua carità
« e per l'insistenza delle tue orazioni, che la misericordia divina
« in questa parte volgesse lo sguardo a quel popolo al quale pre
« siede la tua sollecitudine » . E quanto alla pietosa condi
scendenza, usata dal Pontefice verso i colpevoli, soggiungeva :
Quanto poi all'aver tanto accondisceso, sappi che si è fatto per
« tale affetto e compassione , che noi possiamo rialzare quelli che
« erano a terra. Poichè se chi sta in piedi porge la mano al ca
« duto per rialzarlo, non lo rialzerà mai, se non si pieghi egli
« pure alquanto . Del resto , quantunque il piegarsi paia un av
« vicinarsi alla caduta, non perde tuttavia l'equilibrio della ret
« titudine ( 1) » .
Ma nel far Nostre queste parole del Nostro piissimo Prede
cessore, dette a consolazione di Anselmo, non vogliamo dissimu
lare il sentimento vivissimo del pericolo, che apprendono anche
( 1 ) In libro III Epist. S. Anselmi, ep . 140.
286 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
stores aliquando distinentur in ancipiti consilio aut remis
sius agendi aut resistendi constantius. Cuius rei argumento
esse possunt angores, trepidationes, lacrimae sanctissimo
rum hominum , quibus magis explorata erat animorum re
giminis gravitas receptique in se periculi magnitudo. Lu
culentum vero testimonium Anselmi vita suppeditat, cui a
grato pietatis et studiorum secessu , ad amplissima munia ,
difficillimis temporibus, uti diximus, adscito, fuerunt acer
bissima quaeque subeunda. Cumque tot curis esset impli
citus, nihil magis verebatur, quam ne suae populique saluti ,
Dei honori , Ecclesiae dignitati satis foret per se consultum .
His autem cogitationibus confictatum animum, eundemque
propter defetionem plurimorum , e numero etiam sacrorum
antistitum , gravi dolore incensum nihil magis recreabat,
quam collocata in Dei ope fiducia et quaesitum in Eccle
siae sinu perfugium . Itaque in naufragio positus... procel
lis irruentibus, ad sinum matris Ecclesiae confugiebat, a
Romano Pontifice petens pium et promptum adiutorium et
solamen (1 ) . Divino autem fortasse consilio factum est, ut
gli ottimi fra i pastori della Chiesa, di trascorrere oltre il giusto
o nella condiscendenza o nella resistenza. E di tale apprensione
sono argomento altresi le ansie, le trepidazioni , le lagrime di
uomini santissimi , i quali maggiormente sentivano la terribile
gravità del governo delle anime e la grandezza del pericolo . Ma
n’è argomento sopra tutto la vita di Anselmo , il quale , strappato
alla solitudine della vita claustrale e degli studi , per essere sol
levato a dignità altissima in tempi difficilissimi, si trovò in preda
a sollecitudini ed angosce le più tormentose, fra cui nulla più
temeva che di non fare abbastanza per la salute dell'anima sua
e del suo popolo , per l'onore di Dio e della sua Chiesa. Nè fra
tali ansietà sbattuto e di più vivamente addolorato per l'abban
dono colpevole di molti , anche di confratelli nell'episcopato, tro
vava egli altro maggiore conforto che nella fiducia in Dio e nel
ricorso alla Sede Apostolica. Quindi posto nel naufragio e al rom
pere delle tempeste, si rifugiava nel seno della Chiesa madre sua,
invocando dal Pontefice Romano pietoso e pronto l'aiuto e il con
forto (1 ). E perciò forse permise Iddio in un tanto uomo, pieno
( 1) Epist., lib. III , ep . 37 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 287
singulari sapientia et sanctitate vir tot adversis urgeretur.
Per eas enim aerumnas exemplo ac solatio nobis esse po
tuit in sacro ministerio laborantibus et in maximas diffi
cultates coniectis, ita ut unicuique nostrum liceat idem
sentire ac velle quod Paulus : « Libenter ... gloriabor in infir
« mitatibus meis, ut inhabitet in me virtus Christi. Propter
« quod placeo mihi in infirmitatibus meis...; cum enim in
« firmor, tunc potens sum » ( 1 ) . His non aliena sunt quae
ad Urbanum II scribit Anselmus: « Sancte Pater, doleo me
« esse quod sum , doleo me non esse quod fui. Doleo me
« esse episcopum , quia peccatis meis facientibus non ago
« Episcopi officium . In loco humili aliquid agere videbar;
« in sublimi positus, praegrandi onere pressus, nec mihi
« fructum facio , nec utilis alicui existo. Oneri quidem suc
« cumbo, quia virium , virtutum , industriae, scientiae tanto
« officio competentium inopiam , plusquam credibile videa
* tur, patior. Curam importabilem cupio fugere, pondus
« relinquere; Deum e contrario timeo offendere. Timor Dei
« illud me suscipere compulit, timor idem onus idem me
« retinere compellit... Nunc, quia voluntas Dei me latet , et
pure di sapienza e di santità, pene cosi angosciose, perchè fosse
a noi di conforto insi me e di esempio fra le maggiori difficoltà
e le angustie del ministero pastorale ; si che avverisi in ciascuno
di noi il sentimento di S. Paolo : « Volentieri mi glorierò nelle mie
« infermità, affinché abiti in me la potenza di Cristo. Per il che
« ini compiaccio nelle mie infermità .... poiché quando sono de
bole, allora sono potente » ( 1 ) . Nè alieni da questi sono i senti
menti che Anselmo esprimeva ad Urbano II : « Santo Padre , sono
« addolorato di essere quello che sono : addolorato di non essere
« quello che fui ; sono addolorato di essere vescovo , perchè, in
« causa dei miei peccati , non compio l'officio di vescovo . In umile
« stato mi pareva di fare qualche cosa ; posto in luogo sublime,
« aggravato da peso stragrande , non faccio frutto per me e non
« sono utile ad alcuno . Io soccombo al peso, perchè più di quanto
« sembri credibile, soffro penuria di forze, di virtù, d'industria ,
« di scienza, convenevoli a tanto officio . Bramo di fuggire la cura
<<
insopportabile, di lasciare il peso : temo al contrario di offen
« dere Iddio . Il timore di Dio mi sforzò ad accettare , il timore
« stesso mi sforza a ritenere lo stesso peso .... Ora, poichè la vo
(1) II Cor., XII, 9, 10 .
288 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
quid agam nescio , errabundus suspiro, et quem rei finem
imponere debeam ignoro » (1 ) .
Divinae sic bonitati placuit, vel eximiae sanctitatis vi
ros non ignorare , quae sua sit naturalis infirmitas, ut per
suasum sit omnibus , si quid ipsi praeclare egerint, id su
pernae virtuti esse totum tribuendum , atque ut per animi
demissionem adducantur homines ad Ecclesiae auctoritatem
impensiore studio colendam . Id Anselmo aliisque contigit
episcopis pro Ecclesiae libertate ac doctrina dimicantibus,
duce Sede Aposiolica : qui obedientiae suae hunc fructum
retulerunt, ut ex certamine victores discederent, suoque
exemplo divinam sententiam confirmarent: vir obediens lo
quetur victoriam (2) . Consequendi autem huiusmodi prae
mii spes maxima illis affulget, qui Christi personam gerenti
sincero animo pareant in iis omnibus, quae aut regimen
animorum spectent aut administrationem christianae reipu
blicae aut alia cum his aliqua ratione coniuncta ; quoniam
de sedis Apostolicae auctoritate pendent filiorum Ecclesiae
directiones et consilia (3).
« lontà di Dio mi è occulta, e io non so che fare , vado errando
« fra sospiri e non so come mettere fine a questo affare » (1 ) .
Cosi suole Iddio far sentire anche agli uomini santi la de
bolezza nativa, per meglio manifestare in essi la forza della virtù
divina, e col sentimento umile e verace della insufficienza indi
viduale, mantenere più salda l'adesione concorde all'autorità della
Chiesa. E ciò si vede appunto in Anselmo e in altri vescovi suoi
contemporanei, che combatterono a difesa della libertà e dottrina
della Chiesa sotto la guida della Sede Apostolica. Essi riporta
rono per frutto della loro obbedienza la vittoria nella lotta , con
fermando col loro esempio la sentenza divina, che l'uomo obbe
diente can eru vittoria (2) . E la speranza di tale premio risplende
a quelli sopra tutto che obbediscono a Cristo nel suo Vicario in
quelle cose tutte che si riferiscono o al reggimento delle anime
od al governo della Chiesa o che vi sono in qualche modo con
giunte: giacchè dall'autorità della Sede Apostolica dipendono le
direzioni e i consigli dei figliuoli della Chiesa (3) .
( 1 ) Epist . , lib . III , ep . 37 . ( 2 ) Prov . , XXI , 28 .
(3) Epist., lib . IV , ep . 1 .
។
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 289
Hoc genere laudis Anselmus quantum praestiterit, quo
ardore, qua fide coniunctionem cum Petri sede retinuerit,
ex his licet colligere, quae ad eundem Paschalem Pontifi
cem ab eo scripta leguntur: « Quanto studio mens mea
« Sedis Apostolicae reverentiam et obedientiam pro sua
« possibilitate amplectatur, testantur multae et gravissi
« mae tribulationes cordis mei , soli Deo et mihi notae....
A qua intentione spero in Deo, quia nihil est quod me
« retrahere possit. Quapropter, in quantum mihi possibile
« est, omnes actus meos eiusdem auctoritatis dispositioni
dirigendos, et ubi opus est, corrigendos volo commit
« tere » . ( 1 ) .
Eadem viri firmissimam voluntatem acta eius omnia et
scripta testantur, in primisqne litterae illae suavissimae,
quas caritatis calamo scriptas (2) dicit memoratus Deces
sor Noster Paschalis . Nec vero suis ipse litteris pium modo
adiutorium et solamen implorat (3 ) , sed non intermissas pre
ces adhibiturum se Deo pollicetur, ut cum ad Urbanum II
In questo genere di virtù quanto siasi segnalato Anselmo ,
con quale ardore e fedeltà abbia conservato sempre unione per
fetta con la Sede Apostolica , si può anche argomentare da ciò
che si legge scritto da lui allo stesso Pontefice Pasquale : « Con
« quanto studio la mia mente , secondo il suo potere si stringa
« nella riverenza e nell'ubbidienza alla Sede Apostolica , lo atte
« stano le molte e gravissime tribolazioni del mio cuore , note a
« Dio solo ed a me .... Da tale intenzione spero in Dio non es
« servi cosa che valga a ritrarmi . Perciò , in quanto mi è possi
bile , voglio rimettere tutti gli atti miei alla disposizione del
« l'autorità stessa, perchè li diriga e , ove sia bisogno , li cor
« regga » ( 1 ) .
E la medesima fermezza di volontà ci mostrano le azioni ,
gli scritti , le lettere particolarmente di lui , che il Nostro Prede
cessore Pasquale disse scritte con la penna della carità (2) . Ma
nelle sue lettere al Pontefice egli non implora solo pietoso aiuto
e conforto (3) , ma promette preghiera assidua con parole teneris
sime di affetto filiale e di fede inconcussa , come quando ancora
( 1) Epist., lib . IV , ep . 5 .
(2) In lib . III Epist. S. Anselmi, ep . 74 .
(3) Ibid . , ep . 37.
19.
290 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
Beccensis Abbas scriberet his verbis amantissimis usus :
* Pro vestra et Romanae Ecclesiae tribulatione, quae no
< stra et omnium vere fidelium est , non cessamus orare
« Deum assidue, ut mitiget vobis a diebus malis, donec
« fodiatur peccatori fovea. Et certi sumus, etiamnum no
« bis moram videatur facere, quoniam non relinquet virgam
« peccatorum super sortem iustorum , quia haereditatem
< suam non derelinquet, et portae inferi non praevalebunt
« adversus eam » ( 1 ) .
Quibus alisque id genus ab Anselmo scriptis mirifice
delectamur, tum ob instauratam viri memoriam , quo nemo
sane huic Apostolicae Sedi devinctior, tum ob excitatam
recordationem coniunctissimae voluntatis vestrae, Venera
biles Fratres, in dimicationis non dispari genere, litteris
aliisque officiis quamplurimis declaratae .
Mirum profecto quantum roboris ac firmitatis accepit,
desaevientibus longo saeculorum cursu in christianum no
men procellis, coniunctionis ista necessitudo, qua sacrorum
antistites et fidelis grex arctius in dies Romano Pontifici
adhaeserunt ad haec usque tempora , quibus ardor ille adeo
abbate Beccense scriveva ad Urbano II : « Per la tribolazione vo
« stra e della Chiesa Romana, che è tribolazione nostra e di
« tutti i veri fedeli, non restiamo di pregare Iddio assiduamente
perchè mitighi a voi i giorni cattivi , finchè sia scavata al pec
« catore la fossa . E noi siamo certi , ancorchè sembri a noi ritar
dare , che Iddio non lascerà lo scettro dei peccatori sopra la
« eredità dei giusti ; che non abbandonerà la sua eredità , e che
« le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei » (1) .
Ora Noi da queste e simili altre lettere di Anselmo pren
diamo mirabile conforto non solo per la rinnovata memoria del
Santo così devoto a questa Sede Apostolica , ma altresi per la
rinfrescata ricordanza delle lettere vostre e delle altre vostre in
numerevoli testimonianze di devozione , o Venerabili Fratelli, in
simili lotte e in simili dolori .
Certo è cosa mirabile come l'unione dei vescovi e dei fedeli
col Pontefice Romano si è venuta stringendo sempre più intima
mente fra lo strepitare delle tempeste, scatenatesi lungo i secoli
contro il nome cristiano , ed ai nostri tempi si è fatta cosi una
( 1 ) In libro II Epist. S. Anselmi, ep. 33.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 291
succrevit, ut divino quodam prodigio videantur voluntates
hominum in tantum consensum potuisse coalescere. Quae
quidem amoris et obsequii conspiratio dum Nos plurimum
erigit planeque confirmat, Ecclesiae decori est ac praesidio
validissimo. Sed hoc nempe maior in nos antiqui serpentis
invidia conflatur, quo praestantius est delatum beneficium ;
eoque graviores in nos irae colliguntur impiorum homi
num , quo acrius hi rei novitate percelluntur. Nec enim si
mile quidquam in reliquis consociationibus admirantur, nec
facti rationem cernunt ullam , sive a publicis causis sive ab
alia quavis humana re petitam , nec secum reputant subli
mem Christi precationem , cum discipulis postremum di
scumbentis, eventu comprobatam .
Summa igitur ope niti oportet, Venerabiles Fratres, ut
apte cohaerentia cum capite membra solidiore in dies nexu
obstringantur, divinarum rerum ratione habita , non terre
strium, ita ut omnes unum simus in Christo. Ad hunc fi
nem si velis remisque contendemus, functi erimus optime
delato nobis officio provehendi Christi operis et regni eius
in terris dilatandi. Huc spectat suavis illa petitio, qua Ec
clesia caelestem Sponsum urget assidue, in qua Nostrorum
summa votorum continetur : « Pater sancte, serva eos in
nime e cordiale , che appare sempre più cosa divina . Essa é ap
punto la nostra maggiore consolazione, com'è gloria e presidio
validissimo della Chiesa. Ma quanto più eccellente è il benefizio,
tanto più ci è invidiato dal demonio e tanto più odiato dal mondo ,
il quale non conosce nulla di simile nelle società terrene, nè può
spiegarselo con le sue ragioni politiche ed umane, essendo l'adem
pimento della sublime preghiera stessa di Cristo, fatta nell ' ul
tima Cena .
È necessario pertanto , Venerabili Fratelli , di sforzarci con
ogni studio a custodire e a rendere sempre più intima e cordiale
questa unione divina tra il Capo e le membra, non mirando a
considerazioni umane, si bene a ragioni divine, affinché tutti
siamo una cosa sola in Cristo . Con rinvigorire questo nobile sforzo
noi adempiremo sempre meglio la nostra sublime missione, che
è di essere continuatori e propagatori dell'opera di Cristo e del
suo regno in terra. E perciò appunto la Chiesa va ripetendo nei
secoli la preghiera amorosa dello Sposo celeste che è pure il
sospiro del Nostro cuore più acceso : « Padre santo , custodisci
292 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
« nomine tuo, quos dedisti mihi , ut sint unum sicut et
« nos >>
(1).
Hae autem industriae propositam habent defensionem ,
non modo contra externas impugnationes in acie dimican
tium ut Ecclesiae iura et libertatem labefactent, sed etiam
contra domestici atque intestini belli pericula, cuius rei su
perius incidit mentio, quum doluimus esse genus hominum
quoddam , qui subdolis opinionum commentis nitantur Eccle
siae formam ac naturam ipsam immutare penitus, doctrinae
integritatem violare, disciplinam omnem pessumdare. Serpit
>
adhuc per hos dies memoratum illud virus infecitque non
paucos, etiam sacri ordinis homines , praesertim iuvenes,
inquinato, uti diximus, quasi aëere afflatos, quos effrenata
novitatis libido praecipites agit ac respirare non sinit.
Sunt etiam in his qui , tardioris ingenii et intemperan
tis animi spectaculum exhibentes, quiquid affert incrementi
dies jis disciplinis quae in adspectabilis naturae investiga
tione versantur et ad praesentis vitae utililatem aut com
moditatem pertinent, ea , tamquam nova tela, in veritatem
« nel tuo nome quelli che mi hai dati , affinchè siano una cosa
« sola come noi » ( 1) .
Ma è necessario questo sforzo , non solo per opporci agli
assalti esterni di quei che combattono alla scoperta contro la
libertà e i diritti della Chiesa ; è necessario ancora per ovviare
ai pericoli interni , che ci vengono appunto dal secondo genere
di guerra che abbiamo deplorato sopra, quando ricordammo quella
classe di traviati , che si sforzano con subdoli sistemi di scon
volgere dalle fondamenta la costituzione ed essenza stessa della
Chiesa , di macchiarne la purità della dottrina e rovesciarne la
disciplina tutta. Anche in questi giorni continua a serpeggiare il
veleno stesso , che già si è infiltrato in molti pure del clero , gio
vani massimamente, come abbiamo detto , infetti dall'atmosfera
ammorbata per la sfrenata smania di novità che li travolge nel
l'abisso e li affoga .
Di più per una deplorabile aberrazione i progressi stessi
per sè buoni , nelle scienze positive e nella prosperità materiale,
dånno occasione e pretesto d'insolentire con una intollerabile su
perbia contro le verità divine a molti deboli ingegni disposti
( 1) IOANN ., XVII , 11 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 293
divinitus traditam , per summam astutiam et arrogantiam
intorqueant . Hi meminerint, incautae novitatis fautorum
quam variae fuerint ac discrepantes sententiae de rebus
ad agnitionem animi et ad moderandam vitam plane ne
cessariis , cognoscantque, hanc esse humanae superbiae
constitutam poenam , ut constent sibi nunquam , et in ipso
cursu ante obruantur, quam portum veritatis conspicere
potuerint . Sed hi fere ne ipso quidem sui exemplo didice
runt de se tandem sentire demissius atque amovere consi
lia... et omnem altitudinem extollentem se adversus scien
tiam Dei, et in captivitatem redigentes omnem intellectum
in obsequium Christi (1 ) .
Quin etiam a nimia arrogantia in contrarium vitium
delapsi sunt, eam philosophandi rationem secuti, quae , de
omnibus dubitando, quasi noctem quandam rebus offundit ,
et agnosticismum professi cum errorum comitatu multiplici
atqua infinita prope sententiarum varietate inter se mire
pugnantium ; quo opinionum conflictu evanuerunt in co
gitationibus suis... dicentes enim se esse sapientes, stulti
facti sunt (2) .
dalla passione all'errore . Costoro dovrebbero invece ricordare le
molteplici disdette e contradizioni frequenti dei fautori d'incaute
novità nelle questioni di ordine speculativo e pratico più vitali
per l'uomo ; e riconoscere come questa appunto è la punizione
dell'orgoglio umano , di non essere mai coerente a se stesso e di
naufragare miseramente prima di scorgere il porto della verità .
Ma essi , neppure della propria esperienza hanno saputo profit
tare, per umiliarsi e distruggere le macchinazioni.... e ogni alte
rezza che si levi contro la scienza di Dio, e riducendo in soggezione
ogni intelletto a ossequio di Cristo ( 1) .
Anzi trascorsero costoro dall'uno estremo all'altro , dal pre
sumere al disperare , seguendo quel metodo di filosofia, che du
bitando di ogni cosa, tutto avvolge nelle tenebre ; onde la pro
fessione dell'agnosticismo contemporaneo con altre siffatte dottrine
assurde; secondo un'infinità di sistemi discordanti fra loro e con
la retta ragione : sicchè svanirono nei loro pensieri.... poichè di
cendo di essere sapienti, diventarono stolti ( 2) .
( 1) II . Cor. , X, 4, 5. Rom ., I , 21 , 22 .
294 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
Grandibus interim ac fucatis istorum verbis , novam sa
pientiam quasi caelo delapsam reconditasque discendi vias
pollicentium , iuvenum pars labare paulatim atque averti
coepit ; quod idem olim accidit Augustino, manicheorum
fraudibus circumvento . Verum de funestis hisce insanien
tis sapientiae magistris , de ipsorum ausibus, deceptionibus,
fallaciis satis diximus in Encyclicis Litteris datis die VIII
mensis Septembris auno MDCCCCVII , quarum initium Pa
>
.scendi dominici gregis .
Illud hoc loco animadvertisse iuverit, quae memoravi
mus pericula, graviora quidem nunc esse atque imminere
propius; non tamen jis penitus absimilia quae Anselmi tem
pore Ecclesiae doctrinae impendebant. Considerandum prae
terea, pari propemodum nobis praesidio ac solatio esse posse
Anselmi doctrinam ad tutelam veritatis, atque apostolicum
eius robur ad Ecclesiae iurium ac libertatis defensionem .
Atque heic persequi omittentes quaenam remotae illius
aetatis fuerit humanitas, qui cleri populique cultus, brevi
ter attingemus creatum eo tempore ingeniis periculum du
plex , eo quod in opposita extrema decurrerint.
Le loro grandiose parole tuttavia, le loro gonfie proposte di
nuova sapienza quasi caduta dal cielo , di sistemi moderni , scos
sero molti giovani , come già quelle dei Manichei , Agostino, e li
travolsero, più o meno inconsapevoli, lungi dalla retta strada.
Ma di tali funesti maestri di sapienza insana e de' loro tentativi ,
delle loro illusioni , dei loro sistemi erronei e perniciosi abbiamo
detto assai distesamente nella Nostra Lettera enciclica dell'otto
settembre 1907, Pascendi dominici gregis.
Ora ci giova notare che, se i pericoli ricordati sono più gravi
e più imminenti ai nostri giorni, non sono però totalmente di
versi da quelli che minacciavano la dottrina della Chiesa ai tempi
di Anselmo. E così pure è da considerare come nell'opera sua
di Dottore , noi possiamo trovare quasi un pari aiuto e conforto
per la tutela della verità, come per la difesa della libertà e dei
diritti lo troviamo nella sua fortezza apostolica.
Sanza rammemorare qui partitamente tutte le condizioni in
tellettuali del clero e del popolo in quell'età lontana, era peri
coloso singolarmente un doppio eccesso a cui trascorrevano gli
ingegni .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 295
Fuerunt enim inepti homines et vani, qui leviter ac
permixte eruditi, cognitionum indigesta mole gloriarentur,
inani philosophiae vel dialecticae specie decepti . Hi quidem
per inanem fallaciam scientiae nomine obtectam, sperne
bant sacras auctoritates, « nefanda temeritate audent di
« sputare contra aliquid eorum quae fides christiana con
« fitetur, ... et potius insipienti superbia iudicant nullatenus
« posse esse quod nequeunt intelligere, quam humili sa
pientia fateantur esse multa posse quae ipsi non valeant
comprehendere .... Solent enim quidam cum coeperint
<<
quasi cornua confidentis sibi scientiae producere, ne
« scientes quod si quis aestimat se scire aliquid , nondum
« cognovit quemadmodum oporteat eum scire, antequam
« habeant per soliditatem fidei alas spiritales, praesumendo
« in altissimas de fide quaestiones assurgere. Unde fit ut
* dum ... praepostere prius per intellectum conantur ascen
* dere , in multimodos errores per intellectus defectum co
« gantur descendere » ( 1 ) . Atque horum similia exempla
complura hodie quoque versantur ante oculos .
Alcuni più leggeri e vanitosi , nutriti di una superficiale
erudizione, si gonfiavano, oltre ogni credere , nella loro indigesta
cultura. Quindi sedotti per una larva di filosofia e di dialettica ,
vuota e fallace , che passava sotto nome di scienza, « sprezzavano
« le autorità sacre , con nefanda temeritå osavano disputare con
« tro l'uno e l'altro dei dogmi che la fede cristiana professa....
« e con insipiente orgoglio giudicavano piuttosto non essere pos
« sibile quanto non potevano intendere, anzichè confessare con
« umile sapienza potervi essere molte cose che essi non valevano
« a comprendere.... Sogliono infatti certuni , appena hanno inco
« minciato quasi a mettere fuori le corna di una scienza presun
« tuosa di sé , non sapendo che se alcuno stima di sapere
qualche cosa, non ha conosciuto ancora in qual modo egli lo
« debba sapere , prima che abbiano messe le ali spirituali me
« diante la sodezza della fede, levarsi con presunzione alle que
« stioni più alte della fede. Onde avviene che mentre.... srego
golatamente si sforzano di ascendere innanzi tempo per via
« dell'intelligenza, per difetto dell'intelligenza stessa siano por
« tati a discendere in multiformi errori » ( 1 ) . E di simili abbiamo
gli esempi tristissimi sotto gli occhi !
( 1 ) S. ANSELM ., De fide Trinitatis, cap . 2.
296 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
Alii contra, remissioris animi , multorum casu perculsi
qui naufragium in fide fecerunt, et periculum veriti scien
tiae quae inflat, eo devenerunt ut omnem philosophiae usum ,
forte etiam solidam quamvis de sacris rebus disputationem
defugerent.
Media inter utramque partem catholica consuetudo con
sistit, aeque aversata et priorum arrogantiam , a Gregorio IX
aevo insequenti reprehensam , qui spiritu vanitatis ut uter
distenti ... fidem conantur plus debito ratione adstruere
naturali ... adulterantes verbum Dei philosophorum figmen
tis ( 1 ) , et horum negligentiam , qui nulla investigandi veri
cupiditate trahuntur, neque curant per fidem ad intellectum
proficere (2) , praesertim si eorum offieii ratio postulet catho
licae fidei contra tot congestos errores defensionem .
Ad quam suscipiendam divinitus excitatus videtur An
selmus, ut exemplo, voce, scriptis tutum. iter ostenderet,
christianae sapientiae latices ad commune bonum deriva
ret, duxque esset ac norma doctoribus, qui post ipsum
Altri per contrario, timidi o neghittosi , spaventati per giunta
>
dal naufragio di molti nella fede e dal pericolo della scienza che
gonfia, andavano fino ad escludere ogni uso di filosofia, se non
anche ogni studio di ragionata discussione nelle dottrine sacre.
Fra i due eccessi sta di mezzo la usanza cattolica, la quale,
come detesta la presunzione dei primi che gonfi come otri dallo
spirito di vanità (giusta il parlare di Gregorio IX nell'età susse
guente) si sforzavano più del debito, di stabilire la fede con ra
gione naturale, adulterando la parola di Dio con fantasie di filo
sofi ( 1) , cosi riprova la negligenza dei secondi , troppo alieni
dagli studi razionali , e non curanti di far profitto, per via della
fede, nell'intelligenza (2) , massime quando loro spetti per debito
di officio di difendere la fede cattolica contro gli errori insorgenti
da ogni parte.
A siffatta difesa ben si può dire che sia stato da Dio su
scitato Anselmo per additare con l'esempio, con la voce , con gli
scritti la via sicura, a comune vantaggio schiudere le fonti della
sapienza cristiana ed essere guida e norma di quei maestri cat
( 1 ) GREGOR . IX, Epist. « Tacti dolore cordis » ad theologos
Parisien ., 7 Iul . 1228 .
(2) In libro II Epist. S. Anselmi, ep . 41 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 297
saeras litteras scholastica methodo tradiderunt ( 1 ) quorum
ipse praecursor merito est nuncupatus et habitus.
Quamquam haec non ita sunt accipienda quasi Augu
stanus doctor primo statim gressu fuerit philosophiae ac
theologiae fastigia consequutus aut ad summorum viro
rum Thomae ac Bonaventurae famam processerit. Horum
enim sapientiae seriores fructus multa dies et coniunctus
magistrorum labor maturarunt . [psemet Anselmus, qua erat
modestia sapientium propria, non minus quam celeritate
ac subtilitate mentis, nihil a se scriptum edidit nisi oblata
occasione, aut aliorum auctoritate compulsus, monetque
constanter : si quid diximus quod corrigendum sit, non re
nuo correctionem (2) ; quin etiam , ubi res citra fidem po
sita sit et in quaestione versetur, non vult discipulum sic
his quae diximus inhaerere ut ea per inaciter teneas, si
quis validioribus argumentis haec destruere et diversa va
luerit, astruere ; quod si contigerit, saltem ad exercitatio
nem disputandi nobis haec profecisse non negabis (3) .
tolici che dopo di lui insegnarono le sacre lettere col metodo della
Scuola ( 1) . Sicchè egli non a torto fu stimato e celebrato come il
loro precursore .
Nè con ciò vuole intendersi che il Dottore di Aosta abbia
raggiunto di primo tratto il colmo della speculazione teologica o
filosofica, ovvero anche la fama dei due sommi maestri Tommaso
e Bonaventura. I frutti posteriori della sapienza di questi ultimi
non maturarono se non col tempo e mediante il concorso delle
fatiche di molti dottori . Anselmo stesso , modestissimo com'è pro
prio dei veri sapienti , del pari che dotto e perspicace, non ebbe
mai a pubblicare niuno dei suoi scritti se non per occasione data ,
o per impulso altrui , e in essi protesta che se qualche cosa vi sia
da correggere, egli non ricusa la correzione (2) , anzi , quando la
questione è controversa, nè connessa alla fede, non vuole che il
discepolo aderisca per tal modo alle cose che ha detto da ritenerle
pertinacemente, anche quando altri con più validi argomenti sa
pesse distruggere queste e stabilire opinioni diverse ; il che se avve
nisse, basterà che non neghi avere giovato le cose dette a esercizio
di discussione (3) .
( 1) Breviar . Rom . die 21 Aprilis .
(2) Cur Deus homo, lib . II , cap . 23 .
( 3) De Grammatico, cap . 21 sub finem .
298 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
Nihilominus multo plura est adeptus quam aut ipse
speraret aut alius quisquam de se polliceretur. Adeo nam
que profecit, ut eorum qui sequuti sunt gloria nihil eius
laudi detraxerit, ne ipsius quidem Thomae nobilitas, quam
vis huic non omnia probata fuerint ab ipso conclusa, alia
etiam retractata sint planius atque perfectius. Anselmo ta
men hoc maxime tribuendum , quod is investigationi stra
verit viam , timidiorum suspiciones diluerit, incautos a pe
riculis totus praestiterit, pertinacium cavillatorum damna
propulsaverit, qui ab ipso sic iure designantur : illi .... no
stri temporis dialectici, imo dialectice haeretici ( 1 ) , quorum
intellectus esset suis deliramentis et ambitioni mancipatus .
De extremis hisce ait : Quumqne omnes, ut cautissime
ad sacrae paginae quaestiones accedant, sint commonendi,
2
illi utique nostris temporis dialectici.... prorsus a spiri
tualium quaestionum disputatione sunt exsufflandi. Quam
vero subdit ratio, apte cadit in hodiernos eorum imitato
res, a quibus absurda illa recinuntur: « In eorum quippe
« animabus ratio, quae et princeps et iudex omnium de
« bet esse quae sunt in homine , sic est in imaginationibus
Ma pure Anselmo ottenne più che non isperasse egli o che
altri presumesse : ottenne tanto che la gloria dei susseguenti
Dottori e dello stesso Tommaso d'Aquino non oscurò la gloria
del predecessore, anche quando l'Aquinate non ne abbia accet
tate le conclusioni tutte, o veramente abbia aggiuntovi compi
mento e precisione . Anselmo ebbe il merito di aprire il sentiero
della speculazione, di allontanare i sospetti dei timidi , i pericoli
degli incauti , i danni dei rissosi e sofisti, o dialettici ereticali , del
suo tempo , come li denomina egli giustamente, nei quali la ra
gione era schiava dell'immaginazione e della vanità (1) .
Contro questi ultimi egli osserva, che mentre tutti sono da
avvertire che si accostino con cautela grandissima alle questioni
della Scrittura sacra, questi dialettici del tempo nostro .... sono da
rimuovere al tutto dalla discussione di questioni spirituali. Ę la
ragione che ne assegna è più che mai opportuna a quelli che li
limitano ora sotto i nostri occhi , ricantandone gli errori : « Nelle
« loro anime, infatti, la ragione che deve essere principe e giu
« dice di quante cose sono nell'uomo, si trova cosi involta nelle
(1) De fide Trinitatis, cap . 2.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 299
« corporalibus obvoluta , ut ex eis se non possit evolvere
« nec ab ipsis ea, quae ipsa sola et pura contemplari de
bet, valeat discernere » ( 1 ) . Nec aliena videntur huic tem
pori verba, quibus id genus philosophos ridet, « qui quo
« niam quod credunt intelligere non possunt, disputant
« contra eiusdem fidei a sanctis Patribus confirmatam ve
« ritatem : velut si vespertiliones et noctuae non nisi in
* nocte caelum videntes, de meridianis solis radiis disce
« ptent contra aquilas solem ipsum irreverberato visu in
« tuentes » (2) . Quapropter et hoc loco et alibi (3) depra
vatam eourum opinionem reprehendit, qui philosophiae
plus aequo concedentes , ius illi adserebant theologiae cam
pum pervadendi. Huic insaniae se opponens egregius Do
ctor suos cuique fines constituit utrique disciplinae, ac
satis monet , quodnam sit munus et officium rationis na
turalis in rebus quae doctrinam divinitus revelatam attin
gunt : Fides.... nostra, inquit , contra impios ratione defen
denda est.. - At quomodo et quousque ? – Verba quae
sequuntur aperte declarant: illis .... rationabiliter ostenden
dum est quam irrationabililer nos contemnant (4) . Philoso
< immaginazioni corporali , che da queste non può distrigarsi , nė
« vale a sceverare da esse le cose che ella sola e pura deve con
« templare » ( 1 ) . Nė meno opportunamente ai nostri tempi egli de
ride cotesti falsi filosofi, « i quali , perchè non possono capire ciò
« che credono, disputano contro la verità della fede stessa, con
« fermata dai santi Padri ; come se vipistrelli e civette, che non
« vedono il cielo se non di notte, disputassero dei raggi del sole
« nel suo meriggio , contro aquile che fissano il sole senza bat
« tere ciglio (2) . Quindi pure egli condanna qui ed altrove (3)
la perversa opinione di coloro, che troppo concedendo alla filo
sofia, le attribuivano il diritto d'invadere il campo della teologia.
A tale stoltezza opponendosi egli , accenna bene i confini propri
dell’una e dell'altra e insinua abbastanza quale sia l'officio della
ragione nelle cose della fede: La nostra fede, egli dice , si ha da
difendere per via di ragione contro gli empi. Ma in qual modo
e fino a qual segno ? Ci è chiarito dalle parole che seguono : Si
deve mostrare ad essi ragionevolmente quanto essi ci disprezzino
irragionevolmente (4) . Precipuo officio della filosofia è quello per
(1 ) De fide Trinitatis, cap . 2 . (2) Ibid .
(3) In libro II Epist. S. Anselmi, ep . 41 . (1 ) Ibid .
300 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
phiae igitur munus est praecipuum , in perspicuo ponere
fidei nostrae rationabile obsequium, et, quod inde conse
quitur, officium adiugendae fidei auctoritati divinae altis
sima mysteria proponenti, quae plurimis testata veritatis
indiciis, credibilia facta sunt nimis . Longe aliud ab hoc
theologiae munus est, quae divina revelatione nititur et
in fide solidiores efficit eos qui christiani nominis honore
se gaudere fatentur ; « nullus quippe christianus debet di
sputare quomodo, quod catholica Ecclesiacorde credit et
ore confitetur, non sit ; sed semper eandem fidem indubi
tenter tenendo, amando et secundum illam vivendo, humi
liter quantum potest, quaerere rationem quomodo sit. Si
potest intelligere, Deo gratias agat ; si non potest, non im
mittat cornua ad ventilandum , sed submittat caput ad ve
nerendum » ( 1 ) .
Quum igitur vel theologi quaerunt vel fideles petunt
de fide nostra rationes , non his fundamentis, sed revelantis
Dei auctoritate nituntur, hoc est, ut habet Anselmus : « si
< cut rectus ordo exigit ut profunda christianae fidei quae
« mysteria dicuntur, credamus priusquam ea praesumamus
tanto di dimostrare la ragionevolezza della nostra fede e il debito
che ne conseguita , di credere all'autorità divina che ci propone
misteri altissimi , i quali , per la testimonianza dei tanti segni di
credibilità, sono oltremodo degni di fede. Assai diverso è l'officio
proprio della teologia cristiana, la quale si fonda sopra il fatto
della rivelazione divina e rende più solidi nella fede quelli che
già professano di godere dell'onore del nome cristiano. Onde è
ben chiaro che « nessun cristiano deve disputare come non sia
« ciò che la Chiesa cattolica crede col cuore e confessa con la
« bocca ; ma tenendo sempre indubitatamente la stessa fede,
« amando e vivendo secondo essa , deve cercare, in quanto può ,
« la ragione, come sia . Se può capire, renda grazie a Dio ; se non
può , non impunti le corna a cozzare, ma abbassi il capo a ve
« nerare » ( 1) .
Quando dunque i teologi cercano e i fedeli chiedono ragioni
intorno alla nostra fede, non è per fondare in esse la loro fede,
che ha per fondamento l'autorità di Dio rivelante ; ma tuttavia,
secondo il parlare di Anselmo « come il retto ordine esige che
« noi crediamo le profondità della fede cristiana , prima che pre
( 1 ) De fide Trinitatis, cap . 2 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 301
ratione discutere , ita negligentia mihi videtur, si postquam
* confirmati sumus in fide, non studemus quod credimus ·
* intelligere » ( 1 ) . De illa profecto intelligentia loquitur, de
qua Vaticana Synodus (2) ; alio enim loco sic disserit :
Quamvis post Apostolos, sancti Patres et Doctores no
« stri multi tot et tanta de fidei nostrae ratione dicant....
* non omnia quae possent, si diutius vixissent, dicere po
« tuerunt, et veritatis ratio tam ampla tamque profunda
* est, ut a mortalibus nequeat exhauriri; et Dominus in
* Ecclesia sua, cum qua se esse usque ad consummatio
« nem saeculi promittit, gratiae suae dona non desinit im
« pertiri . Et ut alia taceam , quibus sacra pagina nos ad in
* vestigandam rationem invitat, ubi dicit : nisi credideritis
« non intelligetis, aperte nos monet intentionem ad intel
« lectum extendere , cum docet qualiter ad illum debeamus
« proficere » . Nec est praetereunda ratio quam addit extre
mam : « inter fidem et speciem intellectum quem in hac
« vita capimus , esse medium , ideoque quanto aliquis ad
« sumiamo discuterle con la ragione, cosi pare a me negligenza,
« se dopo che siamo confermati nella fede, non ci studiamo di
« intendere ciò che crediamo ( 1) » . E intende qui Anselmo di quella
intelligenza onde parla il Concilio Vaticano ( 2). Poichè, com'egli
dimostra altrove , « benchè dopo gli Apostoli molti nostri santi Pa
« dri e Dottori dicano tante e cosi grandi cose della ragione di
« nostra fede.... non poterono tuttavia dire tutte le cose che avreb
« bero potuto , se fossero vissuti più a lungo ; e la ragione della
« verità è cosi ampia e cosi profonda che dai mortali non si può
« esaurire ; e il Signore non cessa d'impartire i doni della grazia
« sua nella sua Chiesa , con la quale promette di essere fino alla
« consumazione del secolo . E per tacere di altri passi onde la
« Scrittura Sacra c’invita a investigare la ragione, in quello ove
« dice che se non crederete , non capirete, ci ammonisce aperta
« mente di estendere l'intento alla intelligenza, mentre c’insegna
* come dobbiamo ad essa avanzarci » . Nè da trascurarsi è pure
l'ultima ragione ch'egli soggiunge : « tra la fede e la visione es
« sere di mezzo l'intelligenza , che possiamo avere in questa vita,
( 1 ) Constit . Dei Filius, cap . 4 .
(2) De fide Trinitatis, Praefatio .
302 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
« illum proficit, tanto eum propinquare speciei ad quam
« omnes anhaelamus ( 1 ) » .
Solida haec, – ut alia praetereamus, – per Anselmum
philosophiae ac theologiae iacta sunt fundamenta ; haec in
posterorum usum ab ipso fuit studiorum ratio proposita ,
quam sequuti deinde sapientissimi viri Scholasticorum prin
cipes , in quibus maxime doctor Aquinas, magnis incremen
tis ditarunt, illustrarunt, expoliverunt, ad eximium Eccle
siae decus atque praesidium . Haec autem de Anselmo
commemorasse placuit, Venerabiles Fratres , quod optatam
Nobis occasionem attulerunt vos iterum cohortandi ut sa
luberrimos christianae sapientiae fontes, ab Augustano do
ctore primum reclusos, ab Aquinate locupletatos uberrime,
sacrae iuventuti pervios esse curetis. Qua in re memoria
ne excidant quae Decessor Noster fel. rec . Leo XIII (2) .
Nosque ipsi documenta dedimus, quum saepe alias , tum
etiam Encyclicis Litteris die VIII mensis Septembris anno
MDCCCCVII , queis initium Pascendi dominici gregis.
« e quando più alcuno in essa profitta, tanto più si accosta alla
visione, alla quale tutti aneliamo ( 1 ) .
Con questi e simiglianti principii Anselmo gettò i fonda
menti del sano indirizzo negli studii filosofici e teologici , indirizzo
che poi altri sapientissimi personaggi , principi della scolastica,
fra cui massimamente il dottore di Aquino, seguirono, accreb
bero , illustrarono e perfezionarono a grande onore e difesa della
Chiesa . E su questo merito di Anselmo abbiamo insistito volen
tieri , Venerabili Fratelli, per avere una nuova e desiderata oc
casione di inculcarvi che procuriate di ricondurre la gioventù, del
clero segnatamente, alle fonti saluberrime della sapienza cristiana,
schiuse fra i primi dal dottore di Aosta e arricchite in gran copia
dall'Aquinate. Al qual proposito non si dimentichino le istruzioni
del Nostro Predecessore Leone XIII di felice ricordanza (2) e le
Nostre stesse , ripetute molte volte e anche nella già ricordata En
ciclica Pascendi dominici gregis.
( 1 ) Cur Deus homo, lib . I , cap . 2 .
(2) Encycl. Aeterni Patris, diei 4 Augusti MDCCCLXXIX .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 303
Patent heu nimium ruinae , quae, neglectis hisce stu
diis aut nec certa nec tuta via susceptis , effossae sunt ,
quum non pauci , etiam e clero, nec idonei nec parati , mi
nime dubitarint praesumendo in altissimas de fide quae
stiones assurgere ( 1 ) . Quae una cum Anselmo lugentes,
eius verba usurpamus, ita graviter monentis : « Nemo ergo
« se temere immergat in condensa divinarum quaestionum ,
« nisi prius firmus sit in soliditate fidei, conquisita mo
* rum et sapientiae gravitate , ne per multiplicia sophisma
« tum diverticula incauta levitate discurrens, aliqua tenaci
illaqueetur falsitate » (2) . Cui levitati si faces acce
dant cupiditatum , ut fere fit, actum est de studiis gravio
>
ribus ac de integritate doctrinae . Inflati enim insipiente
superbia, qualem in haeretice dialecticis dolet Anselmus,
contemptui habent sacras auctoritates, id est divinas Lit
teras , Patres, Doctores, de quibus verecundioris ingenii iu
dicium non esse poterit aliud nisi hoc : Nec nostris nec
futuris temporibus ullum illis parem in veritatis contem
Troppo apertamente si va confermando ogni giorno più, per
la triste esperienza, il danno e la rovina dell'aver trascurato sif
fatti studi o preso a farli senza metodo fermo nè sicuro ; mentre
prima di essere idonei o preparati, molti presunsero discutere le
più alte questioni della fede ( 1 ) . Il che, deplorando con Anselmo,
ne ripetiamo insieme le forti raccomandazioni : « Niuno temera
« riamente s'immerga nelle intrigate questioni delle cose divine ,
« se prima non ha acquistato , con la sodezza della fede, gravità
<<
di costumi e di senno, acciocchè discorrendo con incauta leg
« gerezza per i rigiri molteplici dei sofismi, non dia nel laccio di
qualche tenace falsità » (2) . E questa incauta leggerezza, ove sia
scaldata, come spesso avviene, al fuoco delle passioni , è la rovina
totale dei serî studî e della integrità della dottrina. Poichè gonfi
di quella superbia insipiente, lamentata da Anselmo nei dialettici
ereticali del suo tempo , essi disprezzano le sacre autorità ee delle
sante Scritture e dei Padri e dei Dottori , dei quali direbbe invece
un ingegno più modesto le parole rispettose di Anselmo : « Ne
« ai nostri tempi nè ai futuri speriamo altri pari a quelli nella
(1 ) De fide Trinitatis, cap . 2 . (2) Ibid .
304 APPENDICE -
LA PAROLA DI PIO X
platione speremus ( 1 ) . Nec maiore in pretio habent Eccle
siae monita vel Pontificis Maximi , eos ad meliorem fru •
gem revocare conantium , pro rebus dare verba solliciti et
in fictum obsequium proni , quo fuco auctoritatem sibi et
plurimorum gratiam concilient . Fore autem ut hi ad sa
niora consilia se referant vix ulla spes affulget, quod ei
dicto audientes esse detrectent , cui « domino et Patri uni
« versae Ecclesiae in terra peregrinantis .... divina Provi
« dentia .... vitam et fidem christianam custodiendam et
« Ecclesiam suam regendam commisit ; ideoque ad nullum
« alium rectius refertur, si quid contra catholicam fidem
oritur in Ecclesia , ut eius auctoritate corrigatur ; nec ulli
« alii tutius , si quid contra errorem respondetur, ostendi
* tur, ut eius prudentia examinetur ( 2) »» . Atque utinam per
duelles isti , qui se candidos, apertos, omnis officii retinen
tissimos , usu rerum et religionis praeditos, operosa fide
pollentes tam facile profitentur, sapienter ab Anselmo di
cta percipiant, eius exemplo institutoque se gerant, idque
contemplazione della verità (3) » . Nè fanno maggior conto del
l'autorità della Chiesa e del Sommo Pontefice, quando si adoperi
di richiamarli a miglior senno , sebbene a parole siano talora ben
larghi in proteste di soggezione, finchè cioè sperano con queste
di coprirsi , guadagnando credito e protezioni. Ora tale sprezzo
chiude quasi la via ad ogni fondata speranza di resipiscenza de
gli erranti ; mentre essi negano obbedienza a Colui al quale « la
« divina Provvidenza , come a signore e Padre della Chiesa tutta
« pellegrinante in terra ,.... ha commesso la custodia della vita e
« della fede cristiana e il governo della sua Chiesa ; e perciò ove
insorga cosa nella Chiesa contro la fede cattolica, a nessun al
« tro va riferita più giustamente, perchè dall'autorità di lui sia
« corretta ; nè ad altri con più sicureza viene mostrato quello che
« si risponde contro l'errore, perchè dalla prudenza di lui sia esa
« minato » ( 1 ) . Ma Dio volesse che cotesti miseri traviati , i quali
hanno spesso in bocca le belle parole di sincerità, di coscienza,
di esperienza religiosa , di fede sentita , vissuta e via dicendo, im
parassero da Anselmo e ne intendessero le sante dottrine , ne imi
( 1) De fide Trinitatis, Praefatio .
(2) S. ANSELM ., De nuptiis consanguineorum , cap. I.
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 305
maxime in animo defigant: « Prius ergo fide mundandum
* est cor.... et prius per praeceptorum Domini custodiam
« illuminandi sunt oculi .... et prius per humilem obedien
* tiam testimoniorum Dei debemus fieri parvuli, ut disca
« mus sapientiam .... Et non solum ad intelligendum altiora
« prohibetur mens ascendere sine fide et mandatorum Dei
obedientia , sed etiam aliquando datus intellectus sub
* trahitur et fides ipsa subvertitur, neglecta bona con
* scientia » ( 1) .
Quod si turbulenti homines ac protervi pergent causas
errorum ac dissidii serere, doctrinae sacrae patrimonium
diripere, violare disciplinam , venerandas consuetudines ha
bere ludibrio, quas velle convellere genus est haeresis (2) ,
ipsam denique divinam Ecclesiae constitutionem funditus
evertere ; iam videtis, Venerabiles Fratres, quam sit Nobis
advigilandum ne tam dire pestis christianum gregem , adeo
que teneriores foetus, inficiat. Hoc a Deo non intermissis
precibus flagitamus, interposito Augustae Dei Matris pa
tassero i gloriosi esempî ; sopra tutto bene si scolpissero nell'animo
questo suo detto : « Prima è da mondare il cuore con la fede, e
«
prima da illuminare gli occhi mediante l'osservanza dei precetti
« del Signore, .... e prima con l'umile obbedienza alle testimonianze
« di Dio , dobbiamo farci piccoli , per imparare la sapienza . E non
« solamente , tolta la fede e la obbedienza dei comandamenti di
Dio, la mente è impedita di salire a intendere verità più alte ,
« ma ancora alle volte la intelligenza data , viene sottratta e la
« fede stessa sovvertita, se si trascura la buona coscienza (1 ) » .
Che se gli erranti continueranno ostinati a spargere cause
di dissensioni e di errori , a disperdere il patrimonio della dottrina
sacra della Chiesa, a impugnarne la disciplina, a schernirne le
venerande consuetudini , cui il voler distruggere è una specie di
eresia , giusta il detto di Anselmo (2) , e abbatterne dalle fonda
menta la stessa divina costituzione , tanto più strettemente dob
biamo invigilare Noi , Venerabili Fratelli , e allontanare dal Nostro
gregge e dalla parte più tenera di esso in particolare , che è la
gioventù , una peste cosi esiziale. Questa grazia imploriamo da
Dio con preghiere incessanti, interponendo il validissimo patro
(1 ) S. ANSELM . , De nuptiis consanguineorum , cap . I
(2) De fide Trinitatis, cap . 2.
20.
306 APPENDICE LA PAROLA DI PIO X
trocinio validissimo , deprecatoribus etiam adhibitis trium
phantis Ecclesiae beatis civibus , praesertim Anselmo, chri
stianae sapientiae fulgido lumine ac sacrorum iurium om
nium incorrupto custode strenuoque vindice. Quem gratum
est iisdem compellare verbis, quibus etiam tum in terris
degentem compellat sanctissimus Decessor Noster Grego
rius VII : « Quoniam fructuum tuorum bonus odor ad nos
* usque redoluit, quam dignas grates Deo referimus , et te
« in Christi dilectione ex corde amplectimur, credentes, pro
« certo , tuorum studiorum exemplis Ecclesiam Dei in me
« lius promoveri, et tuis similiumque tibi precibus etiam
« ab instantibus periculis , Christi subveniente misericor
« dia, posse eripi .... Unde volumus tuam tuorumque fra
* ternitatem assidue Deum orare, ut Ecclesiam suam et
« Nos , qui ei licet indigni praesidemus, ab instantibus
« haereticorum oppressionibus eripiat, et illos errore di
« misso , ad viam veritatis reducat » ( 1) .
Talibus freti praesidiis et studio vestro confisi, apo
stolicam benedictionem , caelestis auspicem gratiae et sin
cinio dell'Augusta Madre di Dio ed anche l'intercessione dei beati
cittadini della Chiesa trionfante, di S. Anselmo in specie, fulgido
lume di cristiana sapienza, custode incorrotto e forte vindice di
tutti i sacri diritti della Chiesa. Al quale Ci piace rivolgere qui
su l'ultimo le parole che a lui vivente scriveva il nostro santo
Predecessore Gregorio VII : « Poichè l'olezzo delle tue opere
buone è giunto fino a noi , ne rendiamo degne grazie a Dio, e ti
« abbracciamo di cuore nell'amore di Cristo , credendo per certo
« che dagli esempi tuoi la Chiesa di Dio è avvantaggiata in me
glio e per le preghiere tue e dei simili a te potrà essere anche
« liberata dai pericoli che le stanno sopra, soccorrendoci la mi
* sericordia di Cristo. Quindi preghiamo la tua fraternità di sup
plicare a Dio assiduamente, affinchè sottragga la sua Chiesa e
Noi, che sebbene indegni la governiamo , dalle istanti oppres
« sicni degli eretici , e questi riconduca, abbandonato l'errore,
« alla via della verità (1 ) .
Da tanta protezione sostenuti , e fiduciosi della vostra cor
rispondenza, a voi tutti , o Venerabili Fratelli , al clero ed al po .
(1) In libro II Epist. S. Anselmi, ep . 31 .
NELL'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO DI AOSTA 307
gularis Nostrae benevolentiae testem , vobis omnibus, Ve
nerabiles Fratres, universoque clero et populo singulis com
misso peramanter in Domino impertimus .
Datum Romae apud S. Petrum , in festo S. Anselmi,
die XXI mensis Aprilis anno MDCCCCIX , Pontificatus No
stri sexto .
PIUS PP . X.
polo a ciascuno di voi affidato , auspice della grazia celeste e te
stimonio della Nostra speciale benevolenza, impartiamo con ogni
affetto nel Signore l'apostolica benedizione .
Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno festivo di Sant'An
selmo , 21 aprile 1909 , l'anno sesto del Nostro Pontificato .
PIUS PP . X.
INDICE E SOMMARIO DELL ' OPERA
Prefazione . Pag. V-VII
INTRODUZIONE
L'OTTAVO CENTENARIO DI S. ANSELMO
( 1109-1909 )
Il centenario di due santi dottori ; parallelo storico fra S. Giovanni Grisostomo
e S. Anselmo di Aosta. -
La dimenticanza di S. Anselmo in Italia.
La scena pietosa della fine di Anselmo nel 1109. L'epicedio del poeta con
temporaneo . Il pensiero dell'Italia nelle glorie di Anselmo. -Il nome
dell'Italia reso glorioso e caro dalle amabili doti del santo..- La grazia
e la natura nell'indolo a lui propria. – Il distintivo e i meriti singolari
di Anselmo, riconosciuti anche dai profani. L'immagine del santo ,
nei suoi tratti più proprii, scolpita dalla recente enciclica Communium
rerum . Pag. 1-17
CAPITOLO PRIMO .
Il fanciullo valdostano .
Nascita e famiglia di Anselmo. Puerizia del santo e casi provvidenziali oc
corsigli nella prima adolescenza. Sua prima educazione e profitto negli
studii . Suoi vivi desiderii della vita religiosa. I mirabili disegni
della Provvidenza sopra il fanciullo valdostano Pag. 19-29
CAPITOLO SECONDO .
Il giovane profugo.
Primi traviamenti del giovane e contrasti col padre . – Fuga dalla casa paterna
e pericoli nel passaggio del Moncenisio . – Peregrinazioni del giovine pro
fugo nella Francia e sua dimora in Normandia. Disposizioni morali di
Anselmo ; l'astro ch'egli aspetta . Pag. 31-37
310 INDICE E SOMMARIO DELL'OPERA
CALITOLO TERZO .
Il giovane studioso .
Origini del monastero e della scuola Beccense : Erluino e Lanfranco . – Venuta
di Anselmo al Bec e sua confidenza con Lanfranco . Costanza del gio
vane studioso nelle fatiche della scuola, e ritorno ai primi pensieri di
vita religiosa . Tre ideali di vita : il solitario, il monaco, il castellano ;
incertezze di Anselmo nella scelta del più perfetto . Ricorso a Mauri.
lio , arcivescovo di Roano , e preferenza data alla vita religiosa nel ce
nobio . Pag. 39-51
CAPITOLO QUARTO .
Il monaco .
La vita di Anselmo e l'apologia dell'ordine monastico. Amore di Anselmo
alla sua famiglia religiosa, e suoi rapidi avanzamenti in essa. — Suoi
pregi ed esempi nei diversi gradi, e sue benemerenze verso lo stato reli
gioso . La sua mirabile efficacia nel monastero Beccense , descritta da
un contemporaneo . Pag. 53-64
CAPITOLO QUINTO .
Il superiore .
Arte del governare le anime , esimia in Anselmo . Opposizioni da lui vinte
sul principio del suo governo . Il caso del giovane Osberno . - La pu
rezza e la forza dell'affetto religioso di Anselmo verso Osberno vivo e
defunto . Benignità del suo governo , e norme da lui scritte all'abbate
di S. Albano . Ansietà interne sedate da Maurilio di Roano . Cure
speciali del priore verso gl'infermi. - Fatti mirabili narrati da Eadmero .
Il credito di Anselmo per la efficacia della direzione delle anime e la
soavità del governo Pag. 65-78
CAPITOLO SESTO .
L'educatore .
Doti di mente e di cuore proprie ad Anselmo . Sue cure speciali per i giovani
e loro ragione . Gara di confidenza e di amore . Esempio di Bosone .
-
Ordine metodo di soda pedagogia, seguito da Anselmo. Arte di
esemplificare; similitudini e aneddoti . Soavità ed efficacia pratica del
l'opera educativa di Anselmo . Lezione da lui data ad un abbate se
vero . L'amabilità da lui praticata e comunicata ai discepoli . Suo
carteggio con essi . – L'educazione dell'infanzia nel pensiero e nel cuore
di Anselmo Pag. 79-106
INDICE E SOMMARIO DELL'OPERA 311
CAPITOLO SETTIMO .
L'asceta .
Laboriosità di vita e altezza di contemplazione . Digiuni , veglie e orazioni
di Anselmo. Il suo misticismo vero e cristiano . Sua grave infer
mità e visione simbolica . Missione di apostolato monastico , esercitata
da S. Anselmo, e suoi documenti di spirito. Pag. 107-117
CAPITOLO OTTAVO .
L'amico .
Amabilità di Anselmo nella sua vita e nelle sue lettere . Sua amicizia ri.
verente, di discepolo a maestro, e sua corrispondenza con Lanfranco.
I doni dell'arcivescovo e la gratitudine del monaco ; mutua stima è con
fidenza . Altre amicizie di Anselmo più famigliari e commoventi ; loro
indole ed estensione . – Esempi di amicizia religiosa : Ernosto, Gisleberto,
Maurizio . L'amicizia più ideale : Anselmo e Gondolfo . Pag . 119-139
CAPITOLO Noxo .
Il maestro .
Primo fondamento e tirocinio del magistero di Anselmo ; il trivio e il quadri.
vio. – Modestia del maestro ) e suoi consigli di formazione letteraria : eser
cizi di grammatica, studio di autori classici , uso di scrivere e parlare cor
retto . - Suoi criterii nella trascrizione dei manoscritti antichi . Studio
della Scrittura e delle scienze sacre ; esempio di Guiberto, poi abbate di
Nogent. Operosità del maestro nella diffusione della cultura mona
stica , anche fuori della sua congregazione : dono e prestito di libri fra i
monasteri Pag . 141-154
CAPITOLO DECIMO .
Il precursore .
La filosofia vera e la falsa nel secolo XI ; atteggiamento di Anselmo contro gli
abusi e i traviamenti dei filosofi contemporanei. Disposizioni morali
e intellettuali , da lui richieste come previe allo studio della sapienza :
predominio della ragione sopra il senso e la immaginazione . Umiltà
intellettuale e fermezza dottrinale nella polemica. Arditezza e origi
nalità di Anselmo come filosofo ; suo doppio intento ; diverso , rispetto
agli infedeli ed ai credenti . L'intelligenza della fede e sua coerenza
con l'incomprensibilità del mistero nella dottrina anselmiana. Metodo
scolastico nell'insegnamento ; esercizio di dialettica, ordine e passaggio
dall'analisi alla sintesi ecc . Varietà delle opere di Anselmo, senza
stretta unità di sistema scientifico ; suo merito proprio , rispetto alla sco
lastica , di esserne stato il precursore Pag. 155-174
312 INDICE E SOMMARIO DELL'OPERA
CAPITOLO UNDECIMO .
L'Apostolo.
Missione sociale e apostolica di S. Anselmo, dentro e fuori le mura del chiostro.
Sue relazioni con la società normanna , e grazia propria del suo aposto
lato . Sua missione speciale a pro della Chiesa d'Inghilterra. Primi
viaggi da lui fatti nell'isola ; sua predicazione e conversazione. Sua
dolce attrattiva e suoi frutti : il premio del mite di cuore . Pag . 175-185
CAPITOLO DUODECIMO .
Il Vescovo eletto .
Viaggio di Anselmo in Inghilterra, l'anno 1092, per la fondazione di Chester,
e sua prima visita infruttuosa a re Guglielmo II, detto il Rosso.
Malattia del re, e forzata elezione di Anselmo ad arcivescovo di Can
terbury. Resistenze dei monaci e dolore di Anselmo ; primi semi di
dissidio col re Guglielmo : la pecorella e il toro aggiogati al carro del
governo . Pag. 187-193
CAPITOLO TREDICESIMO .
Il perseguitato.
Le ansie della previsione e i prodromi della persecuzione. Le prime rimo
stranze di Anselmo e le dure ripulse di Guglielmo il Rosso. La que
stione del pallio e le pretensioni del re inglese. – Assemblea di Rockin
gham , convocata per decidere : Anselmo, abbandonato dai vescovi, e sua
indomita costanza . Serena pace e mite dolcezza di Anselmo tra gli
affronti; simpatie del popolo per lui e per la sua causa . Contegno op
posto dei vescovi e dei baroni : Anselmo chiede il salvacondotto per l'esi
glio . Conclusione del dramma di Rockingham : consiglio dei baroni e
tregua fra il re e l'arcivescovo fino alla Pentecoste. Rottura della tre
gua per parte del re , con nuove persecuzioni . - La legazione di Gual
tiero, vescovo di Albano, e riconoscimento di Urbano II in Inghilterra.
La gran corte di Pentecoste a Windsor e la pace apparente del Rosso
con Anselmo . La cerimonia del pallio a Canterbury , e nuove tribola
zioni . La questione del viaggio a Roma e del ricorso al Papa. Le
scene
Windsor e di Winchester : scelta fra il giuramento di non ap
pellazione e l'esiglio ; risposte fortissime di Anselmo e sua dolcezza verso
il persecutore Pag . 195-223
CAPITOLO QUATTORDICESIMO .
L'esule .
Gli ultimi addii e la partenza dell'esule. Aneddoti della sua navigazione
e del susseguente viaggio per la Francia. Viaggio pericoloso e da
incognito in Italia. Accoglienza dell'esule in Roma e sua residenza
nella villa Sclavia ( moderna Liberi ) , presso Capua. Parte da lui avuta
INDICE E SOMMARIO DELL'OPERA 313
nel concilio di Bari , particolarmente contro l'errore dei Greci . Ri
tornu di Anselmo a Roma, e suo intervento al concilio romano (1099 ).
Dimora dell'esule a Lione fino alla morte di Guglielmo il Rosso ;
suo richiamo e glorioso ritorno in Inghilterra dopo un triennio di esi .
glio (1100 ) Pag. 225-236
CAPITOLO QUINDICESIMO .
Il vincitore .
I trionfi di Anselmo nel suo primo ritorno ; amore della Chiesa da lui ispirato
alla « buona regina » Matilde , e agli altri grandi della terra. Sue nuove
>
lotte contro l'astuzia di Enrico, soprannominato il « Bel Chierico » ; suo
nuovo esiglio . Anselmo innanzi a Pasquale II ; lettera di lui ad Enrico
e sua vittoria nel ricorso dei vescovi pentiti. Vittoria ultima e deci.
siva, nella riconciliazione sincera del re e nel trionfale ritorno del vin
citore (1106 ). Il trionfo della vecchia debole pecorella sopra i due tori
indomiti, e suoi frutti ; delce e serena morte del primate (21 aprile 1109 ). —
Dopo otto secoli : la parola di Anselmo e la parola del Papa. Pag . 237-245
APPENDICE
La parola di Pio X nell'ottavo centenario di S. Anselmo di Aosta Pag . 247-307