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Esame Bibliografia

Jacques Ibert, compositore francese nato nel 1890, ha avuto una carriera musicale influente, vincendo il Prix de Rome nel 1919 e diventando direttore dell'Académie de France a Villa Medici. La sua musica, caratterizzata da una varietà di generi e stili, riflette una fusione di tradizione e modernità, mantenendo un forte legame con la musica classica. Ibert ha scritto opere, balletti e concerti, contribuendo significativamente alla musica francese e al suo sviluppo nel XX secolo.

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Esame Bibliografia

Jacques Ibert, compositore francese nato nel 1890, ha avuto una carriera musicale influente, vincendo il Prix de Rome nel 1919 e diventando direttore dell'Académie de France a Villa Medici. La sua musica, caratterizzata da una varietà di generi e stili, riflette una fusione di tradizione e modernità, mantenendo un forte legame con la musica classica. Ibert ha scritto opere, balletti e concerti, contribuendo significativamente alla musica francese e al suo sviluppo nel XX secolo.

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Conservatorio “G. Verdi” di Como | A.A.

2023/2024
Strumenti e Metodi della Ricerca Bibliografica
M° Marcoemilio Camera

Candidato: Luca Fornasa

Jacques Ibert, Concertino da Camera

Ibert, jacques (François Antoine Marie) (b Parigi, 15 Agosto 1890; Parigi, d 5 febbraio 1962).
compositore francese.
Suo padre lavorava nel campo delle esportazioni, mentre la madre era una talentuosa Pianista che si
formò studiando con Marmontel e Le Couppey, entrambi insegnanti al conservatorio di Parigi.
Suonava spesso Mozart, Chopin e Bach, compositori che il figlio apprezzava particolarmente. Ibert
viene Introdotto a quattro anni allostudio del violino, successivamente prese lezioni di pianoforte da
Marie Dhéré (1867-1950), che ebbe un notevole impatto nella sua vita: grazie a lei fu introdotto alla
famiglia Veber, di cui entrò a farne parte spostandosi. Dopo la laurea in pianoforte, Ibert decise di
dedicarsi totalmente alla composizione, guadagnandosi parallelamente da vivere come insegnante,
pia ista accompagnatore scrivendo programmi di sala. Divenne i oltre Pianista nei cinema e iniziò a
scrivere Canzoni, alcune delle quali pubblicate sotto lo pseudonimo di William Berty. Nel 1910
iniziò a studiare armonia al conservatorio di parigi, nella classe di Emilie Pessard, contrappunto con
Gédalge nel 1912 e composizione con Paul Vidal nel 1913.
Gédalge in questi tre anni di studio fu l'insegnante che ebbe una maggiore influenza sul giovane
compositore; Ibert lo descrive come un "grande dispensatore consigli e un grande amico".
Nonostante la sua cattedra in conservatorio si limitasse al contrappunto, Gédalge dispensava ai suoi
allievi anche consigli di orchestrazione, organizzando classi private per i migliori di loro. Fu in
questa classe che Ibert conobbe Honegger e Milhaud.
Ibert non era un membro dei Les Six, un gruppo unito più dalle osservazioni dei critici che da una
reale affinità di estetica musicale. Nonostante il desiderio di entrare nel gruppo, le circostanze
resero la cosa impossibile, in quanto prima la guerra e poi la vittoria del Prix de Rome lo tennero a
lungo lontano da Parigi.
Durante la prima guerra mondiale fu prima infermiere, poi barelliere al fronte, in seguito ufficiale
navale di stanza a Dunkirk.
La sua vittoria alla prima partecipazione al Prix de Rome nel 1919, fu un traguardo notevole, se si
tengono conto dei quattro anni di interruzione forzata dall'attività musicale.
La carriera di Ibert come compositore ormai è lanciata, grazie anche al sostegno della moglie
Rosette, scultrice figlia del pittore Jean Veber e sorella di Michael Veber, scrittore e librettista
conosciuto con lo pseudonimo di Nino.
La prima esecuzione di un lavoro di Ibert si tenne il 22 ottobre 1922 al Concert Colonne, La
Ballade de la geôle de Reading, condotta da Pierné. Il successo di Ibert continuò il 6 gennaio 1924
con Escales, eseguita dalla Lamoureux Orchestra diretta da Paray. Questi due lavori permisero a
Ibert di espandere la sua popolarità al grande pubblico, sia in Francia che all'estero. Su consiglio del
suo editore Alphonse Leduc, scrisse due raccolte per pianoforte, Histoires e Les Rencontres, che lo
aiutarono a espandere ulteriormente la sua fama. Il primo lavoro di Ibert a sbarcare all'Opéra, nel
1925, fu proprio un balletto tratto da Les Rencontres. Il successo nel 1927 della sua opera buffa
Angélique lo confermerà infine come uno dei più affermati compositori della sua generazione. La
carriera di Ibert inoltre spaziò dalla partecipazione a lavori su commissione alla conduzione della
propria musica, sia in Francia che all'estero. Nel 1937 il governo lo promosse a direttore della
Académie de France a Villa Medici, scelta che causò un certo scalpore in quanto tradizionalmente i
candidati vengono selezionati tra i membri dell'istituto di Francia. Ibert, felice della importante
posizione, si dedicò anima e corpo in questo ruolo e si dimostrò un eccellente ambasciatore della
cultura francese in Italia, sempre supportato dalla moglie. Nonostante viaggiare tra Roma e Parigi
causò spesso i convenienti e fatica fisica, Ibert si innamorò di Villa Medici e della calma atmosfera
che si respirava. Mantenne la posizione di direttore fino alla fine del 1960, escludendo l'interruzione
causata dalla seconda guerra mondiale. Questo in particolare fu un periodo difficile per Ibert, in
quanto nel 1940 il governo Vichy mise al bando la sua musica, ed egli fu costretto a rifugiarsi ad
Antibes, nel sud della Francia dove continuò a comporre, producendo lavori come Quartetto d'Archi
e Le songe d'une nuit d'été.
Dopo aver vissuto in Svizzera per alcuni mesi tra il 1942 e il 1943 ritornò in Francia, stabilendosi in
Alta Savoia fino all'agosto del 1944, quando il generale de Gaulle lo fece richiamare a Parigi. Nel
1955 accettò l'incarico di amministratore della Reunion des Théâtres Lyrique Nationaux, che lo
mise a capo sia dell'Opéra che dell'Opéra-Comique. Dopo meno di un anno però fu costretto a
dimettersi a causa di problemi di salute. Due mesi dopo fu eletto all'Accademia di belle Arti, per
riempire la poltrona vacante a seguito della morte di Ropartz.
La musica di Ibert abbraccia una grande varietà di generi, esplorando nel profondo la diversità delle
emozioni umane.
La sua musica poteva essere allegra e festosa (come il celebre Divertissement tratto da Un chapeau
de paille d'Italie), lirica e ispirata o descrittiva ed evocativa (come Escales), spesso tinta di un
sottile e gentile umorismo.
Non oltrepassò mai i confini della musica atonale o seriale, e solo molto raramente quelli della
politonalità, e gli elementi essenziali del suo linguaggio musicale, come quelli dell'armonia, si
ricollegano strettamente alla tradizione classica. Faceva vasto uso di accordi di nona, undicesima e
tredicesima, accordi alterati e con note aggiunte. La sua modernità è evidente anche nella scrittura
contrappuntistica, elemento trainante di molte sue opere, e anche il senso tonale si mantiene forte
grazie all'utilizzo di cadenze tradizionali. L'influenza e addirittura citazioni di altri compositori sono
facilmente riscontrabili osservando i suoi lavori: lo stile di Debussy in Persée et Andromède,
l'omaggio a Dukas in La Ballade de la geôle de Reading, la sua ammirazione per Roussel
rispecchiata in Ouverture de fête, e la citazione di Bartók in Symphonie concertante. Ma la
tenerezza è l'ironia, il lirismo e la burla sono caratteristiche distintamente sue.
Anche i lavori drammatici rappresentano una parte importante del suo lascito artistico.
Ad inizio carriera contribuì con entusiasmo alla scrittura di musica da film e allo sviluppo della
musica via etere.
Attratto dal teatro, scrisse sette balletti, due dei quali, Diane de Poitiers e Le chevalier errant, videro
la collaborazione della ballerina Ida Rubinstein; inoltre, cinque dei suoi lavori sinfonici furono
riadattati per essere coreografati. Compose sei opere, due delle quali in collaborazione con
Honegger, suo caro amico. In Angélique, una delle due opere scritte su libretto del cognato Nino,
cercò di rinnovare il genere dell'opera buffa; come altri suoi contemporanei, come Poulenc,
Milhaud e Sauguet, Ibert si ispirò a Chabrier nel tentativo di far rivivere lo stile classico francese
della melodia pulita, struttura chiara e freschezza nell'ispirazione. Nella sua prima collaborazione
con Honegger, L'aiglon, Ibert dimostra la sua capacità di adattare la scrittura alla situazione sociale
e politica in corso: in quel periodo infatti la Francia era governata dal fronte popolare, e lo stile
operistico doveva essere allo stesso tempo semplice per essere accessibile al grande pubblico, ma
abbastanza sofisticato da mantenere alto il nome dei due compositori e non deludere gli ammiratori,
e per fare ciò entrambi sfruttarono al massimo la loro maestria.
Ibert fu attratto fin da subito dalla melodie francese, infatti la maggior parte dei suoi componimenti
di questo genere furono scritti nel decennio tra il 1920 e il 1930, mentre in seguito scrisse canzoni
solo per opere liriche, teatrali, cinematografiche e radiofoniche. Si dedicò molto anche alla scrittura
per strumenti solisti: scrisse trenta pezzi per pianoforte, oltre che per flauto, arpa, chitarra, violino,
violoncello, fagotto, tromba e saxofono. Il suo Quartetto d'Archi fu inciso innumerevoli volte, ed
eseguito insieme ai quartetti di Debussy e Ravel. Tuttavia fu nei lavori per orchestra che convogliò
la sua massima ispirazione, come nei tre concerti, due sinfonie (di cui una incompiuta) e otto
movimenti sinfonici. Qui la sua scrittura è sempre brillante e sicura, e lo stile conciso è
caratterizzato da equilibrio e chiarezza nella forma. L'orchestrazione è sempre trasparente e tende ad
evitare inutili complessità, dimostrando una grande conoscenza delle possibilità dei singoli
strumenti.
La testimonianza di articoli e interviste ci forniscono uno spaccato della sua idea della musica
francese e di un suo possibile sviluppo futuro. Ha difeso la musica da film, criticando le difficili
condizioni di lavoro dei compositori. Espresse la sua incertezza sul futuro dell'opera, sia come
genere che come istituzione. Le sue idee, come la sua musica, esprimono la sua tendenza di libertà
ed evasione che gli hanno impedito di aderire a movimenti estetici di qualsiasi tipo. L'onestà e il
coraggio nell'esprimere la sua personale visione gli permisero di apprezzare le realtà musicali più
diverse, dall'ammirazione per Wagner, alla creatività dirompente di Schoenberg, fino all'interesse
per la musica concreta, i cui effetti sonori furono inseriti in Don Quichotte, per rappresentare gli
scricchiolii dei mulini a vento e il rumore della battaglia.
Grove Dictionary of Music and Musicians, volume 12 pp. 42-43, traduzione a cura di Luca Fornasa

Foto: https://www.bruzanemediabase.com/it/esplorazione/artisti/ibert-jacques

Ibert, Jacques-François-Antoine. Compositore franc. (Parigi, 15-VIII-1890- ivi, 5-II-1962).


Entrato a 20anni nel Cons. di Parigi, vi studiò armonia con E. Pessard, contrappunto e fuga con A.
Gédalge (1912) e compos. con P. Vidal (1913), vincendo il Grand Prix de Rome nel 1919 con la
cantata Le poète et la fée. Partito per Villa Medici nel 1920, vi si trattenne per 3 anni, alternando il
soggiorno romano con viaggi attraverso l'Italia, Spagna e Tunisia. Conseguita la notorietà con
alcune op. composte a Roma ed eseguite in Francia, cui fece seguito una copiosa e varia
produzione, fece ritorno a Villa Medici nel 1937 come direttore dell'Accademia di Francia a Roma,
restandovi fino al 1940 e riassumendo la carica nuovamente dal 1946 al '60. Dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale viaggiò in Europa ed America, dirigendo spesso opere proprie. Nel 1950
tenne un corso di composizione a Tanglewood; nel 1955 ebbe la nomina a direttore dell'unione dei
Théâtres Lyriques di Parigi e nel 1956 fu eletto membro dell'Académie, succedendo a G. Ropartz.
Questo artista fu qualificato un tradizionalista perché rimase legato alle caratteristiche dell'arte
francese: senso della forma, concisione e chiarezza di espressione, eleganza di stile. Nondimeno,
egli non osservava le norme classiche per un senso di rispetto delle convenzioni, ma perché le
giudicava fondamenti indispensabili di qualsiasi opera musicale e vi trovava una base indissociabile
da un'espressione originale, libera da ogni formalismo. D'altra parte, egli stesso spiega chiaramente:
« La musi ca contemporanea non può limitarsi a vane combinazioni di timbri e di suoni, né piegarsi
a non essere più un'arte espressi va, ma un semplice risultato di ricerche scientifiche. Ciò che è
innanzitutto importante in musica, è la qualità del discorso; e i materiale, se dev'essere nuovo, non
può essere sufficiente a provocare l'evoluzione del linguaggio o della sintassi ». Di conseguenza,
egli volle scrivere « secondo le esigenze della sensibilità », senza esclusioni, affermando che « tutti
i sistemi sono buoni, purché vi si metta della musica ». La qualità e l'eterogeneità della sua produz.
hanno dimostrato la fondatezza di questa posizione in cui egli conciliò il rigore e la sua fantasia
personale. Nessun lavoro illustra questa armonia tra la precisione del tecnico e l'ispirazione
dell'artista meglio del Quartetto, ma quasi tutti i suoi intendimenti sono raggiunti nella maggior
parte delle sue partiture: la chiarezza struttura le, tematica e sonora dei concerti, concepiti come
giochi strumentali in cui una parte importante è affidata ai fiati; lo spirito mordace delle mus. di
scena; la raffinata poesia dei pezzi per pianoforte. Le partiture di più ampie dimensioni, la maggior
parte delle quali non stabilisce una distinzione netta tra i generi sinf. e drammatico, traducono in
suoni la ricchezza di una tavolozza orchestrale mirabilmente abbinata ai differenti soggetti prescelti:
asprezza di toni nella Ballade de la geôle de Reading. pittoresco nelle Escales, lirismo nella
Symphonie marine. J. 1. ha dimostrato altrettanta sobrietà e lo stesso senso del divertissement in 6
op. liriche con le quali ha voluto reagi re contro «i teatro naturalista o verista e il suo codazzo di
orrori»; infine, ha attuato la sintesi delle sue preoccupazioni mus. e delle sue idee personali
(denotanti un grande amore per la vita, curiosità per l'esotismo, vasta cultura letteraria) in un
«coreodramma» o «epopea coreografica», Le chevalier errant. Posta a metà strada tra l'op. e il
balletto, questa parti tura che evoca Don Chisciotte concretizza le aspirazioni basi lari del suo
autore: romanticismo del soggetto; simbolismo post-romantico che mette in rilievo le reazioni
contraddittorie dell'uomo di fronte alla tragedia della sua condizione: riflesso poetico di una
espressione di una forma mantenute perfino nei momenti di maggiore violenza lontane dagli eccessi
di linguaggio e di stile
Deumm-dizionario della musica e dei musicisti, pp. 673-674

Foto: https://www.villamedici.it/direttori/ibert-jacques/

Concertino da Camera

Il Concertino da Camera vide la luce in un periodo particolarmente fortunato per il suo creatore.
Dopo il debutto nel 1922 con La Ballade de la geôle de Reading, seguita da Escales nel 1924 e
l'approdo all'Opéra di Parigi nel 1925 con un balletto tratto da una sua raccolta per pianoforte, Les
Rencontres, Jacques Ibert si era guadagnato una certa fama in patria, affermadosi come uno dei
migliori compositori della sua generazione.
Il Concertino da Camera è considerato un punto di riferimento nel repertorio classico per saxofono.
L'organico originale, oltre al saxofono contralto, prevede flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno,
tromba, violino, viola, violoncello e contrabbasso, anche se è molto celebre l'adattamento per
saxofono e pianoforte. Fu scritta per il saxofonista tedesco Sigurd Rascher (1907-2001), che
presentò il primo movimento il 2 maggio 1935, mentre la prima dell'opera si tenne l'11 dicembre
1935 a Winterthur, in Svizzera. Rascher, uno dei più grandi virtuosi di questo strumento e figura
chiave dello sviluppo del saxofono in ambito classico, in una lettera del 1972 descrive così la genesi
dell'opera: «[...]Io non ho mai commissionato nessun lavoro! Ho suonato per il sig. Ibert e lui ha
adorato il mio stile, ne era entusiasta, e ha composto il Concertino con molto impeto e gioia! Non
mi meraviglio che lo abbia definito il suo “figlio prediletto”». Altri importanti saxofonisti
espressero parole di elogio verso il lavoro di Ibert: Marcel Mule (1901-2001) , professore di
saxofono al conservatorio di Parigi dal 1942 al 1968, eseguì il Concertino da Camera il 14 gennaio
1936 e lo descrisse come “un punto di riferimento per il saxofono e l'orchestra”, mentre Jean-Marie
Londeix (1932) lo inserisce nella lista delle opere essenziali per lo strumento.
Il Concertino da Camera si divide in due movimenti, ma possiamo identificare tre sezioni distinte,
caratterizzate da una diversa indicazione agogica (veloce-lento-veloce). Generalmente nella forma
concerto queste tre sezioni rappresentano i tre movimenti, ma a causa della brevità della parte lenta
(solo 54 battute), Ibert la collega senza soluzione di continuità alla terza parte, usandola come
episodio di apertura creando un collegamento tematico.
Il primo movimento, Allegro con moto, presenta una struttura A-B-A, contornata da un'introduzione
e una coda. Il tema principale, che ruota intorno alla tonalità di Do maggiore, viene presentato dal
saxofono a battuta 9; un tema dal carattere ritmico e quasi aggressivo, che crea un senso di
instabilità a causa dei numerosi accenti posti in controtempo. Il tema si ripete a battuta 17,
leggermente variato. La seziona A si conclude a battuta 51, dopo una improvvisa scalata verso il
registro sovracuto del sax e la ripresa del tema da parte degli archi a creare un momento di
transizione verso la sezione B.
il primo tema della sezione B risulta molto in contrasto con il precedente, essendo lirico e cantabile,
mentre da battuta 95 inizia un passaggio in sedicesimi che conduce al climax di questa sezione. Da
battuta 122 il tema passa agli archi, mentre il saxofono esegue in sottofondo dei rapidi e ondulatori
movimenti in sedicesimi. Il solista riemerge a battuta 154, per una breve coda che conclude la
sezione B con una scala cromatica discendente, che scompare con un repentino decrescendo fino al
pianissimo. Da battuta 190 la sezione A si ripete interamente fino alla coda a battuta 234, dove il
saxofono riprende del materiale dell'introduzione e termina il movimento con un salto di ottava in
fortissimo.
Come abbiamo visto, il secondo movimento inizia con un Larghetto, una melodia lenta e cantabile
in tonalità di Mi maggiore. Il compositore indica questa parte come un quasi recitativo, dieci battute
in cui il saxofono suona da solo senza accompagnamento, e l'esecutore è libero di poter giocare con
la metrica. L'orchestra entra a battuta 11, con un accordo di Mi minore 7/b11, dissonante ed
evocativo. Quest'ultima prende parola a battuta 33, portando al climax della sezione, mentre il sax
tace. Il saxofono rientrerà a battuta 50, con un breve fraseggio che conclude la prima parte del
movimento.
La seconda parte, Animato molto, è scritto in forma sonata. Il primo tema in La maggiore è
presentato dagli archi, e subito ripreso dal saxofono a battuta 9. Il secondo tema (in contrasto con il
primo come prevede la forma sonata) viene eseguito dal saxofono da battuta 25, e ripreso variato a
battuta 31. La transizione inizia a battuta 68, e qui sempre il saxofono guida la modulazione da La
maggiore a Sol# maggiore.
La sezione dello sviluppo inizia a battuta 81, e prevede un lungo passaggio in sedicesimi prima del
saxofono, seguito dall'orchestra che crea un andamento giocoso, facendo rimbalzare un tema in
ottavi tra i vari timbri degli strumenti, fino a una cascata di semicrome che conducono alle ultime
cinque battute del saxofono, che introducono la cadenza, costruita su intervalli basati sulla scala
ottofonica.
Nella ripresa, a battuta 149, il primo tema in La maggiore viene eseguito dal saxofono, e subito
dopo dall'orchestra a battuta 157. il secondo tema ritorna da battuta 170, seguito da una coda a
battuta 202.
Infine, l'opera si conclude con un passaggio che richiama brevemente le sincopi in controtempo che
caratterizzano il tema principale del primo movimento, terminando con un salto ascendente di due
ottave, colorato da un rapidissimo arpeggio, quasi un'acciaccatura, prima dell'ultima nota, accentata,
insieme a tutta l'orchestra.

Raccolta delle fonti

• The Concertino da Camera by Jacques Ibert (1890-1962) is considered by numerous sources


to be a cornerstone of the saxophone repertoire. The work was written for legendary
German-born saxophonist Sigurd Rascher (1907-2001), who premiered the first movement
on May 2, 1935, and the full work on December 11, 1935. According to Rascher, Ibert spoke
of the work as his “favorite child.” Eminent French saxophonist Marcel Mule (1901-2001),
professor of saxophone at the Paris Conservatory from 1942-1968, also gave early
performances of the work as early as January 14, 1936. Mule described the Concertino da
Camera as “a landmark for saxophone and orchestra.” Among numerous other performer-
teachers, Jean-Marie Londeix (b. 1932) lists the work as essential class repertoire.
Matthew T. James, “Extemporizing Reawakened: Saxophonist Branford Marsalis's Approach to the Cadenza for
Concertino da Camera for Alto Saxophone and Eleven Instruments by Jacques Ibert” (Dissertation Prepared for the
Degree of Doctor of Musical Arts, University of North Texas, 2006), p. 12. (Fonte: RILM)

• Sigurd Rascher has contributed greatly to the future of the sax ophone. He is responsible for
many of the better compositions written for the instrument. In a recent letter, Mr. Rascher
disclosed how the original seed was planted in Jacques Ibert's mind to create the Concertino
da Camera. One particular saxophone authority mistakably suggested in his record liner
notes, that Mr. Rascher had commissioned the piece. In the letter, Mr. Rascher
demonstratively declared: "I never 'commissioned' the work! i.e.--'ordered and paid for'--in
fact: I never commissioned any work! I played for M. Ibert--he liked my playing, he was
enthusiastic about it and he composed the Concertino with elan and joy! No wonder he
spoke of it as his 'favorite child'!"
James Riggs, “An Analysis of Jacques Ibert’s Concertino da Camera for Alto Saxophone and Eleven Instruments”
(Master’s Thesis, North Texas State University, 1972), pp. 5-6. (Fonte: UNT Digital Library)

• Although the Concertino da Camera is written in two movements, it actually is made up of


three separate entities. Much like its predecessor, the concerto, which almost always has
three movements, the Concertino da Camera (little concerto) is made up of fast, slow and
fast sections. In the concertino form . . . "the slow movement is generally much shorter, and
in many instances, a lyrical form." It happens however, that the beautiful slow section of the
Concerto da Camera is so brief (54 measures), that Ibert has connected the fast and brilliant
third section to this opening slow section without a break. Thematically this final section is
an outgrowth of the second.
Ibidem, p. 10.

• Concertino da Camera was composed in 1935 and dedicated to German-American


saxophonist Sigurd Rascher. It was premiered on December 11, 1935 in Winterthur,
Switzerland. After its first performance, Rascher performed it frequently in Europe and
America with different orchestras and conductors. In this specific work, Ibert employed
impressionism, neo-classicism, and other prevailing music styles of that time. This work
was composed for alto saxophone and eleven instruments which include flute, oboe,
clarinet, bassoon, horn, trumpet, violin, viola, cello, and double bass. The first movement is
marked Allegro con moto and is in enlarged ternary form, ABBA, with an introduction and a
coda. The tonal center of this movement is C major. Theme I of this movement is presented
in m. 9 by the saxophone. This theme is in a four-measure phrase and is powerful, with
constant dynamic changes, leaps, and stepwise motion. The slur from eighth-notes to the
sixteenth-notes of the next beat produces a uneven feeling, which is an interesting rhythmic
feature. According to Liley’s research, it could be considered “a reflection of the general
interest of French composers of the 1920s and 1930s in American jazz.” Theme I repeats at
m. 17, except for the last two measures. The A section ends with the strings playing the first
theme as a transition at m. 51, and then at m. 61 the trumpet plays an ending phrase,
followed by the horn playing the same material. The material is passed to the saxophone
and starts the B section. Theme II uses contrasting material and characterized by a slower
harmonic rhythm than Theme I. The melody is lyrical and singable. The fast-moving
sixteenth-notes from mm. 95 to 116 lead to the climax of Section B, followed by the theme
in the strings from m. 122 coupled with the saxophone playing fast sixteenth-notes. The B
section concludes with a coda in m. 154, which features a staccato chromatic scale with an
extreme decrescendo. Then, section A is repeated entirely by the saxophone in m. 190. The
codetta section starts at m. 234, in which the saxophone plays the material of the
introduction and then ends the movement with two powerful eighth-notes. The second
movement is marked Larghetto, which is a slow and lyrical movement. It is through-
composed and based on a tonal center of E-major with non-functional harmony. The
beginning of the movement is marked Quasi recitativo, which is an unaccompanied section
that is ten measures. The orchestra enters at m. 11 by playing an E minor chord with a flat
eleventh, which is a typical chord used in impressionism. The orchestra takes over from the
saxophone at m. 33 and presents additional material, bringing the movement to a climax.
The saxophone reenters at m.50 with a very soft dynamic level, and brings the movement to
an end. The third movement is marked Animato molto and starts immediately after the
second movement without any rest. This movement is in sonata-allegro form. The first
theme is presented by the strings in A major, and the saxophone enters in m. 9 with the same
material. The contrasting second theme is presented at m. 25 by the saxophone and repeated
with slight revision at m. 31. It is characterized by slower harmonic rhythm than the first
theme. The transition starts at m. 68 where the saxophone focuses on A and finally shifts to
G-sharp, leading to the development section, which is the same motion as the beginning of
the second movement. The development section starts at m. 82 in E minor, first presented by
orchestra and followed by the saxophone at m. 95. At the end of the development section, a
chromatic transformation of the first theme is played by the saxophone, which brings the
movement to a cadenza that is based on the intervals of the octatonic scale. The
recapitulation starts at m. 149, during which the first theme in A major is presented by the
saxophone and is then taken over by the orchestra at m. 157. The second theme is presented
at m. 170, followed by the coda at m. 202, using material from the second theme. Finally,
the movement ends at m. 217 by using syncopation and material from the first theme.
Cehuai Zhang, Graduate recital in saxophone, (Dissertations and Theses, University of Northern Iowa, 2017) pp. 5-8
(Fonte: scholarworks.uni.edu)
Materiale aggiuntivo

• They will also play some other music of mine and there may be a recording project. Do you
know Sigurd Rascher? He wants to play my saxophone concerto.
James Riggs, “An Analysis of Jacques Ibert’s Concertino da Camera for Alto Saxophone and Eleven Instruments”
(Master’s Thesis, North Texas State University, 1972), p. 3. Estratto di un'intervista a J. Ibert [New York Times (July 9,
1950), Section 2X, p. 7.]

• With such a promising beginning, we might expect a vast store of early original solo works.
But such is not the case. While there were saxophone soloists traveling through Europe as
early as 1848, it is evident that arrangements made up the bulk of their repertoire. It was not
until the early part of this century that Debussy was commissioned to compose his
saxophone work, Rapsodie for Orchestra and Saxophone. But from this regeneration, the
saxophonists' repertoire has grown to include almost uncountable sonatas, concerti, and
chamber works. Not surprising is the fact that most major works have been inspired, but not
paid, through the playing of certain soloists. The repertoire would be poorer today had not
composers such as Ibert (Concertino da Camera), Larsson (Concerto), Martin (Ballade),
Glazunov (Concerto), Husa (Concerto), Dahl (Concerto), etc., been introduced to the
saxophone by way of a true virtuoso.
The Saxophone: a Soloist's Instrument by K. DEANS. This article was originally presented as part of a lecture-recital at
the MTNA Los Angeles convention in March , 1974. (fonte: Jstore)

• For very good college players Ibert's breezy Concertino da Camera (1935), Milhauds light
and busy Scaramouche,and Villa-Lobos showy Fantasia (1949) are the best of an otherwise
dreary lot L. A fourth possibility Paul Creston's Sonata, Op 19, a work of Considerable
rhythmic vitality, but hardly firstrate. All of these have very difficult piano parts, which
compound the perennial problem of finding an accompanis
M. Rasmussen e D. Mattran, A teacher's guide to the literature of woodwind instrument, Brass and Woodwind
Quarterly, 1966 (Fonte: Internet Archive)

• There are thousands of works written for the saxophone. Unfortunately, a lot of them in my
estimation are not great pieces. If we only had a [Johannes] Brahms sonata or a [Wolfgang
Amadeus] Mozart concerto, we would be very fortunate. Consequently, my favorite pieces
were not originally written for the saxophone, but are transcriptions. However, some of our
best orchestral works with saxophone would include a Concerto by Alexander Glazounov,
written in the mid-1930s, Concertino da Camera by French
composer Jacques Ibert, a Sonata by Paul Creston, and a Sonata by Bernard Heiden
written in the late thirties
D. W. Roe, P. Brodie, Classical Sax: Conversation with Paul Brodie, Music Educators Journal, Vol. 70, No. 7 (Mar.,
1984), p. 43 (Fonte: JStore)

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