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Casos de Família Arquivos Richthofen e Arquivos

Nardoni Abra os Arquivos Policiais Ilana Casoy


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Title: Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3

Author: Pietro Giannone

Release date: December 7, 2015 [eBook #50643]


Most recently updated: October 22, 2024

Language: Italian

Credits: Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the


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*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK ISTORIA CIVILE


DEL REGNO DI NAPOLI, V. 3 ***
ISTORIA CIVILE DEL
REGNO DI NAPOLI
VOLUME III
ISTORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI
DI

PIETRO GIANNONE

VOLUME TERZO

MILANO
PER NICOLÒ BETTONI
[Link]
INDICE
STORIA CIVILE
DEL
REGNO DI NAPOLI

LIBRO OTTAVO

Mentre l'Italia sotto la tirannide dell'ultimo Berengario e di Adalberto


suo figliuolo gemeva, gl'Italiani ridotti nell'ultime miserie, pensarono
di ricorrere ai soccorsi di Ottone figliuolo d'Errico Re di Germania, il
quale avendo domati i Sassoni ed i Schiavoni, aveasi per le sue
gloriose gesta acquistata fama non minore di quella di Carlo M., e
s'era renduto per tutta Europa celebre e rinomato. Accelerò l'invito
Adelaide vedova di Lotario, la quale possedendo la città di Pavia
assegnata a lei per dote dal marito Lotario [1]; ed essendo ancor
giovane e d'avvenenti maniere, fu fatta dimandare da Berengario per
isposa di suo figliuolo Adelberto: ma ricusando ella lo sposo, sopra il
suo rifiuto, Berengario la assediò in Pavia, la prese e la mandò
prigione nel castello di Garda: ella ebbe talento di fuggirsene, ed
implorò il soccorso del Re Ottone, offerendogli di prenderselo in
isposo e di cedergli le sue ragioni sopra il Regno d'Italia. Adelaide,
Porfirogenito [2], Luitprando [3] ed altri comunemente la riputano
figliuola di Berta e di Rodolfo Re della Borgogna; ma Lione
Ostiense [4] dice esser discesa da' Proceri della Toscana, ed il nostro
Anonimo Salernitano [5] la fa sorella di Gisulfo Principe di Salerno:
checchè ne sia, Ottone, a cui non erano ignote le sue virtù ed
avvenenza, tosto venne in suo soccorso, calò in Italia con potente
esercito, la liberò dall'oppressione di Berengario, ed invaghitosi della
di lei grazia e venustà, la sposò in moglie, e seco in Alemagna la
condusse, lasciando Corrado Duca di Lorena a perseguitar
Berengario e suo figliuolo, i quali furon costretti ad andare a ritrovar
Ottone in Alemagna e sottomettersi alla sua volontà [6]. Ottone
avendo ricevuto da essi il giuramento e l'omaggio, gli restituì ne' loro
Stati, eccettuato il Veronese e 'l Friuli, che furono da esso dati a suo
fratello Errico Duca di Baviera. Ma Berengario ed Adelberto appena
restituiti ne' loro Stati, cominciarono a cospirare contro Ottone, e
malmenare i suoi sudditi: affliggevano l'Italia con inudite oppressioni,
e maltrattavano il Papa, e tutti gli altri Vescovi e Signori d'Italia.
Portarono perciò eglino le loro querele e' lamenti ad Ottone, e lo
pregarono della sua protezione, invitandolo a calar di nuovo in Italia
per discacciarne questi tiranni. Il Papa ed i Romani gli offerirono il
Regno e la Corona imperiale: Valperto Arcivescovo di Milano gli offerì
parimente di volerlo incoronare ed ungerlo Re d'Italia; e gli
spedirono perciò una magnifica legazione.
Ottone assicurato del concorde animo di tutti gli Italiani, non volle
trascurare occasione così opportuna: ed avendo tenuta una Dieta in
Vormes, fece coronare in Aquisgrana Re di Germania Ottone II suo
figliuolo, che non avea più di sette anni; ed egli, stabilite le cose
d'Alemagna, avendo raunato un numeroso esercito, tosto
traversando la Baviera, per la via di Trento, insieme con Adelaide sua
moglie, in Italia portossi. Fu ricevuto dagl'Italiani con universale
applauso, e quantunque Adelberto avesse proccurato d'opporsegli
con considerabili forze, nulladimanco abbandonato da' suoi,
abbandonò anch'egli l'impresa, e fuggendo, non ebbe altro scampo,
se non di ricovrarsi nell'isola di Corsica [7]. Entrato per tanto Ottone
senza contrasto in Pavia, costrinse Berengario a fuggirsene con Villa
sua moglie e con tutta la sua famiglia: indi passando in Milano fu
ricevuto con incredibile giubilo da tutti i Milanesi. Allora l'Arcivescovo
Valperto memore della promessa fattagli, avendo convocato un
Concilio di Vescovi, al cospetto di tutta la città, ed in presenza di
tutti, fu Berengario con Adelberto privato del Regno, ed Ottone per
Re d'Italia proclamato: indi condotto nella chiesa di S. Ambrogio con
grande apparato e con solenne cerimonia, concorrendovi tutto il
Popolo, lo unse, e così consecrato sopra il suo capo pose la Corona
del ferro: così Ottone, che ora lo diremo Re di Germania insieme e
d'Italia, avendo in quest'anno 961 con tanta prosperità acquistato un
tanto Regno, con solenni giuramenti promise di voler difendere Italia
con tutti i suoi sforzi contro l'invasione di qualunque tiranno. Indi
tornato in Pavia si condusse nel seguente anno 962 coll'Arcivescovo
Valperto in Roma e con fioritissimo esercito, per ricevere dal Papa la
Corona imperiale: portò anche seco Adelaide, e fu da' Romani
ricevuto con non minore applauso ed allegrezza, che fu Carlo M. in
quella città introdotto. Pari fu il giubilo ed il concorso e l'ardente
desiderio de' Popoli di acclamarlo Imperadore d'Occidente: siccome
eguali furono le solenni cerimonie che Papa Giovanni XII volle usar
con Ottone, niente dissimili da quelle che praticò Lione con Carlo M.
Egli incontrato da Giovanni entrò nella chiesa del Vaticano, ove
essendo pronto ed apparecchiato tutto ciò che a sì augusta
cerimonia richiedevasi, fu dall'Arcivescovo Valperto presentato al
Pontefice, il quale tosto lo unse, e finalmente gli pose il diadema
imperiale, gridando intanto tutto il Popolo ivi accorso felicità e
vittoria ad Ottone Augusto Imperador Romano [8]: da poi avendo egli
solennemente giurato difender l'Italia contro i sforzi di Berengario, e
di chi avesse tentato perturbarla, in Pavia fece ritorno. Carlo Sigonio
narra, che Ottone fece ancora restituire al Papa alcune terre della
Chiesa, che nelle precedenti rivoluzioni d'Italia gli erano state
occupate; rapportando appresso, che Ottone III confermò le
donazioni, che da Carlo M. e da Lodovico Pio erano state fatte alla
Chiesa di Roma; onde mal fa il Chioccarelli [9], attribuendo questo
privilegio di confermazione ad Ottone I non al III, come fece il
Sigonio.
Ecco ciò che si dice traslazione d'Imperio dagl'Italiani a' Germani,
della quale pure i romani Pontefici vogliono esserne riputati autori,
non altrimenti che lo pretesero di quella nella persona di Carlo M.
[10]. Così l'Imperio d'Occidente essendo prima passato da' Franzesi
negl'Italiani, fu poi trasportato negli Alemani in persona d'Ottone,
che l'ebbe per li diritti della sua conquista e per l'elezion libera de'
Popoli oppressi, i quali non potevano trovare allora altro protettore,
che lui per liberarsi dalla tirannia di Berengario. Comunemente da'
nostri Scrittori [11] Ottone vien chiamato il primo Imperadore
tedesco, ancorchè prima di lui fosse stato, come s'è detto, Arnolfo;
perchè dicono, che da Lione VIII, R. P. nell'anno 974, col consenso di
tutti i Romani fu l'Imperio aggiudicato ad Ottone ed a tutti i suoi
successori in perpetuo, e fu l'Imperio romano con indissolubil nodo
unito col Regno germanico [12], ciò che non può dirsi d'Arnolfo, il
quale in quella rivoluzione di cose in mezzo a tante fazioni fu più per
istudio delle parti, che per libera ed universale acclamazione eletto
Imperadore.
CAPITOLO I.
Ottone riordina il Regno d'Italia: sue spedizioni contra i Greci;
ed innalzamento del contado di Capua in Principato.

Stabilito Ottone nel regno d'Italia, furono rivolti tutti i suoi pensieri a
riordinarlo con migliori leggi ed istituti, non altrimente che fece Carlo
M. proccurò, calcando le sue pedate, ristabilirlo dopo tante
rivoluzioni in miglior forma: molte leggi di lui perciò si leggono, e
Goldasto [13] ne inserì molte ne' suoi volumi, per le quali non meno il
Regno germanico, che l'Italico fu riordinato. Non è però, come per
l'autorità del Sigonio credette l'Abate della Noce [14], che Ottone
avesse più distintamente di quello che fece Carlo M. stabilite leggi
sopra i Feudi; poichè il primo facitor di leggi feudali fu Corrado il
Salico, come diremo. Ma sopra queste nostre province assai
maggiore autorità acquistossi Ottone, che Carlo M. istesso, e la
sovranità, che vi esercitò fu di colui assai maggiore. Non erano i
nostri Principi longobardi, come il Principe di Benevento, quello di
Salerno ed il conte di Capua, in istato di opporsi alla sua
dominazione, siccome fecero Arechi e Grimoaldo Principi di
Benevento con Carlo M. e Pipino suo figliuolo; anzi dichiararonsi di
lui ligi e feudatarj, sottoponendo a lui i loro Stati, e riconoscendolo
Re d'Italia con quella medesima sovranità, che i loro maggiori
riconobbero gli antichi Re longobardi; e ciascuno di loro a gara
mostravasi tutto a lui ossequioso e riverente, per acquistarsi la sua
grazia e protezione.
Reggeva in questi tempi, come s'è detto, il principato di Benevento
ed il Contado di Capua Pandulfo Capo di ferro insieme con Landulfo
III, suo fratello, il quale tosto, che seppe che Ottone s'incamminava
verso Capua per assicurarsi maggiormente della fedeltà di questi
Principi, e di Gisulfo precisamente (il quale se bene, al creder
dell'Anonimo, era suo cognato, dava però di se qualche sospetto di
dipendere da' Greci, da' quali avea ricevuto l'onore del Patriziato) e
che seco conduceva Adelaide sua moglie, uscì loro incontro con
grande apparecchio, ed in Capua ove avea sua residenza condottigli,
furono da questo Principe splendidamente e con sommo onore
trattati [15]. Quivi, correndo l'anno 963, fermandosi, spedirono una
Legazione in Salerno al Principe Gisulfo, invitandolo con molti doni di
venire in Capua a riveder sua sorella. Gisulfo ancorchè dubbioso
sospettasse di qualche sinistro incontro, finalmente accompagnato
da' suoi verso quella città incamminossi, ed incontrato da Pandulfo e
Landulfo lo presentarono all'Imperador Ottone, il quale con molta
allegrezza surto dal Trono scese ad incontrarlo, ed abbracciatisi, si
baciarono con molti segni d'allegrezza. L'Imperadrice Adelaide (se
dee prestarsi fede all'Anonimo) veduto suo fratello corse ad
abbracciarlo, e strettasi al suo collo baciollo più volte,
rimproverandogli come senza lor invito non era venuto tosto a
riveder sua sorella: Gisulfo dopo abbracciamenti sì cari di sua sorella
e di suo cognato con grande sua allegrezza e di tutti i suoi
ritornossene in Salerno.
Allora fu, che Pandulfo Capo di ferro entrato in somma grazia
d'Ottone ottenne per imperial autorità, che il Contado di Capua fosse
innalzato ad esser Principato, e ad esser egli nomato Principe di
Capua, siccome da poi furono gli altri, che a lui succedettero in
Capua, e da questo tempo, non da Atenulfo I, cominciarono i Principi
di Capua, come dimostra il nostro Pellegrino. Al quale onore
successe da poi che Capua nell'anno 988 fosse stata parimente
innalzata ad esser metropoli, e che Giovanni fratello di Landulfo da
Vescovo ch'era di questa città, fosse stato sublimato in Arcivescovo
da Gio. XIII, come diremo più diffusamente quando della politia
ecclesiastica di questo secolo farem parola.
Così i nostri Principi riconobbero per lor Sovrano Ottone Imperadore
come Re d'Italia, il quale per quest'istesse ragioni intraprese di
scacciare dalla Puglia e dalla Calabria i Greci, che possedevano
queste province, e di ridurre anche il Ducato napoletano sotto la sua
dominazione.
Era in quest'anno 964 succeduto nell'Imperio di Oriente Niceforo
Foca, il quale mal sofferendo che Ottone avesse in Italia acquistata
tanta autorità, e che pensasse discacciar i Greci dalla Puglia e dalla
Calabria, aveva munite queste province con forti presidj. Erano
governate le città delle medesime da Straticò, magistrato, che
lungamente durovvi sino a' Catapani; ed in Bari città metropoli della
Puglia avea unito il maggior nerbo delle sue forze; nè meno poteva
soffrire, che non si dasse a lui altro, che il titolo d'Imperador de'
Greci, e che all'incontro Ottone prendesse quello d'Imperador de'
Romani.
Ma Luitprando Vescovo di Cremona suo intimo familiare consigliò ad
Ottone, che prima di sperimentar le armi contro Niceforo, volesse
tentare, se per mezzo d'una stretta parentela potesse da lui ottener
ciò che sarebbe stato incerto di ottenere per mezzo d'una dubbia e
crudel guerra; a questo effetto riputò mezzo assai pronto ed
efficace, se Niceforo volesse dare in moglie la Principessa Anna,
ovvero Teofania ad Ottone suo figliuolo, e per titolo di dote gli
concedesse le due province Puglia e la Calabria. Era questa
Principessa figliuola dell'Imperador romano Argiro e dell'Imperadrice
Teofania, la quale per un esecrabile parricidio avea avvelenato
Argiro, affinch'ella potesse sposarsi Niceforo. Allora fu, che Ottone
spedì in Costantinopoli una magnifica Legazione a Niceforo,
mandandovi per Ambasciadore il famoso Luitprando Vescovo di
Cremona a dimandarla: quegli che si rendè celebre al mondo non
meno per questa legazione, che per le molte sue opere, che ci ha
lasciate.
Riuscì però inutile l'ambasceria di Luitprando presso Niceforo, il
quale mal potendo ancora celare col medesimo l'astio, che covava
internamente contro Ottone, lo trattò indegnamente, e dopo averlo
fatto trattenere inutilmente quattro mesi in Costantinopoli, ne lo
rimandò senza conchiusione alcuna.
Intanto Ottone lusingato, che dovrebbero aver effetto i suoi disegni,
avea a se richiamato Ottone suo figliuolo, il quale fermatosi col
padre in Roma, fu associato in quest'anno 968 all'Imperio e dal
Pontefice era stato unto ed incoronato colla Corona imperiale. E
Niceforo in quest'istesso tempo, per ingannar maggiormente Ottone,
e perchè potesse riuscirgli il disegno, prima che ne rimandasse
Luitprando, gli mandò Ambasciadori offerendogli la sua parentela,
che avrebbe mandata la Principessa Teofania in Calabria; e che
perciò mandasse egli all'incontro gente quanto più tosto potesse in
Calabria per riceverla.
Ottone, a cui non era nota a bastanza la fede greca, il credè, e ne
scrisse anche a' Duchi di Sassonia, dando loro speranza, che in breve
avrebbe ricuperata la Puglia e la Calabria, e riportato in Germania
Ottone suo figliuolo già casato, e mandò tosto gente in Calabria per
questo fine; ma giunti a pena, furono improvisamente colti per
un'imboscata, che Niceforo fece lor preparare, ove molti restarono
morti e gli altri presi, furono in Costantinopoli fatti portar prigionieri.
Allora Ottone detestando i Greci, fieramente sdegnato invase i
confini della Calabria depredandola e ponendo sossopra tutta quella
provincia. In questa congiuntura s'unirono con lui i nostri Principi
longobardi, i quali come suoi Feudatarj erano obbligati seguirlo in
Guerra; e Pandulfo Capo di ferro si portò anche in Calabria contro i
Greci e contro i Saraceni, i quali erano stati da' Greci chiamati in lor
ajuto: e Gisulfo Principe di Salerno, ancorchè di sospetta fede per
l'aderenza, che teneva co' Greci, mostrò nondimeno in
quest'occasione (essendosi poco prima rimesso sotto la protezione e
clientela d'Ottone) di volerlo soccorrere in quest'impresa.
Fu pertanto ostinatamente combattuto co' Greci e Saraceni; e
mentre Pandulfo con Ottone era in Calabria, gli venne l'avviso, che il
Principe Landulfo suo germano era morto. Aveva costui tenuto il
principato di Benevento anni otto; e se bene di se avesse lasciato
Pandulfo suo figliuolo, nulladimanco Pandulfo tosto che seppe la di
lui morte, lasciando l'Imperadore in Calabria, si portò in Benevento
ed avendo escluso suo nipote, sublimò il Principe Landulfo suo
figliuolo, che perciò Landulfo IV fu detto [16].
Indi, essendosene Ottone ritornato in Ravenna, ottenne dal
medesimo nell'anno 969, molti ajuti per invadere la Puglia, siccome
con gli ajuti ricevuti da Ottone, e con alquanti giovani beneventani e
capuani, l'invase, e presso Bovino col suo esercito accampossi. Ma i
Greci usciti furiosamente dalla città, gli combatterono, e dopo una
dubbia pugna, finalmente restò Pandulfo vinto e fatto prigione da'
Greci. Erano questi sotto il comando d'Eugenio Patrizio, ch'era lo
Straticò, il quale tosto lo fece condurre prigioniero in Costantinopoli.
Intanto Gisulfo Principe di Salerno erasi avviato per soccorrere
Pandulfo; ma tardi giungendo o fosse stato per impedimenti avuti o
pure artificiosa malizia di moversi intempestivamente, tosto
ritornossene in Salerno.
I Greci spinti dal furor della vittoria invasero i confini di Benevento,
prendono Avellino e verso Capua s'inoltrano: e depredando tutto il
paese, cingono la città istessa, e per quaranta giorni la tennero
strettamente assediata.
Allora i Napoletani vedendo la fortuna de' Greci andar molto
prospera s'unirono presso Capua con Eugenio Patrizio. Presedeva in
questi tempi per Duca in Napoli Marino, la notizia del quale noi la
dobbiamo all'Anonimo Salernitano, poichè presso gli altri Scrittori
niuna memoria abbiamo, dopo Giovanni, de' Duchi di Napoli, che
fiorirono in questi tempi; e quella carta rapportata dal Summonte e
creduta per vera dal novello Istorico Giannettasio traduttor del
Summonte, dove si fa menzione di Oligamo Stella Duca, che 'l
Giannettasio lo fa successore di Giovanni e di Ginello Capece,
Baldassare Giovanne e Sarro Brancaccio Consoli, fu grossamente
supposta, così perchè in questi tempi l'uso de' cognomi non erasi
ancora ripigliato; come perchè il Capaccio [17] ed altri testificano
quella carta non essersi mai trovata fra le scritture delle Monache di
S. Sebastiano, ove fu finto conservarsi. Tanto che il nostro
Pellegrino [18] dice assai bene, che non è da sperare una interrotta
serie de' Duchi di Napoli, come d'Amalfi: nel che nè meno ci possono
giovare alcune antiche carte date in Napoli, non esprimendo altro
che i nomi ed i tempi de' greci Imperadori, alla dominazione de' quali
era questo Ducato sottoposto.
Marino co' suoi Napoletani presso Capua accampossi, nè si impiegò
ad altro, che a devastare il paese d'intorno con incendj e rapine;
Eugenio vedendo che inutilmente si raggiravano intorno Capua, e
temendo d'Ottone, di cui erasi sparsa voce, che con esercito
numerosissimo di Alemanni, Sassoni e Spoletini verso Capua
s'incamminava per soccorrerla, perchè non fossero colti in mezzo,
pensò d'abbandonar l'assedio ed in Salerno ritirossi, accolto da
Gisulfo, che lo trattò, sin che ivi si trattenne, con molta splendidezza,
avverando per questo fatto il concetto, che di lui aveasi di non
essersi mai distaccato da' Greci, e che simulatamente mostrasse
aderire alle parti d'Ottone, e che perciò così tardi mandasse il
soccorso a Pandulfo. Eugenio dopo essersi trattenuto in Salerno
alquanti giorni fece ritorno in Puglia [19]: nè passarono molti giorni
che sopraggiunse in Capua l'esercito numerosissimo d'Ottone, e non
trovati ivi i Greci, si mise a porre sossopra, ed a devastare tutto il
territorio dei Napoletani, ed unito co' Capuani cinse di stretto assedio
la città di Napoli. Ma non potendo espugnarla, ritornarono in dietro,
e sopra Avellino, che era in poter de' Greci, a' quali poco prima s'era
reso, s'accamparono, nè si travagliò molto, che tosto fu dai
Beneventani ricuperata, indi in Benevento se ne tornarono, con
proposito di passar in Puglia per discacciarne da questa provincia i
Greci, ove tenevano raccolte tutte le loro forze, e che in Bari s'erano
con numerosi presidj fortificati.
Non è da tralasciarsi in questo luogo, ciò che trattando della politia
ecclesiastica in appresso più diffusamente diremo, che fermato
l'esercito d'Ottone in Benevento in quest'anno 969, prima
d'accingersi a sì dubbia impresa, e di muovere l'armi terrene, parve
ad Ottone cominciare di là onde conviensi, cioè di ricorrere agli ajuti
del Cielo. Era stato fin qui la Chiesa di Benevento governata da'
Vescovi; ma ora Giovanni XIII, ciò che aveva fatto un anno prima di
Capua, volle, a contemplazion d'Ottone e de' Principi Pandulfo e
Landulfo, far il medesimo di Benevento; l'innalzò perciò a metropoli,
e per suffraganee le assegnò molte Chiese, ed il primo Arcivescovo,
che vi constituì in quest'anno 969, fu Landulfo, a cui concedette l'uso
del Pallio, e confermogli le Chiese sipontina e garganica. Mentre
adunque l'esercito d'Ottone accingevasi a quest'impresa, Landulfo
Arcivescovo con sacra cerimonia celebrò solennemente la messa, che
fu da tutti intesa, e dopo questo furono dal medesimo Arcivescovo
comunicati del Corpo e del Sangue del Signor Nostro Gesù Cristo:
indi ricevuta la benedizione dallo stesso Prelato, s'avviarono con
grande allegrezza verso la Puglia [20]. Ove è da notare che in questi
tempi era ancora ritenuta in queste nostre parti ed in Italia la
Comunione sotto l'una e l'altra specie, ed ammettevansi tutti alla
participazione così del Corpo, come del Sangue, nè presso noi, se
non in tempi più bassi, fu quella tolta.
L'esercito d'Ottone, che si componeva di Beneventani, Alemanni,
Sassoni e Spoletini, giunto in Ascoli fu incontrato da Abdila Patrizio,
che con buon numero di Greci pretese attaccarlo, poichè Eugenio per
la sua estrema crudeltà era stato da' suoi preso e mandato in
Costantinopoli prigione. Fu combattuto ferocemente presso Ascoli, e
finalmente furono i Greci vinti e, fatto un gran bottino, se ne
ritornarono i Beneventani trionfanti in Avellino [21].
Intanto Ottone indrizzò le sue genti verso Napoli, le quali nel
contorno depredaron tutto il bestiame, e mentre Ottone se ne
ritornava, fu tutta dolente ad incontrarlo Aloara moglie del Principe
Pandulfo, con un suo figliuolo, pregandolo della liberazione di suo
marito, che in Costantinopoli era da Niceforo crudelmente trattato in
oscura prigione [22]. Ottone tosto ritornò in Puglia, nella quale diede
guasti grandissimi, cinse di stretto assedio Bovino, e molti luoghi
d'intorno fece brugiare; ma mentre queste cose succedevano in
Puglia, Niceforo in quest'anno 970, fu di morte violenta tolto al
Mondo; poichè Teofania sua moglie insieme con Giovanni Zimisce
crudelmente lo fecero ammazzare, ed in questo istesso anno
Giovanni fu eletto Imperadore d'Oriente. Giovanni rivocando ciò che
il suo predecessore aveva fatto, tosto sprigionò Pandulfo, l'assolvè e
lo mandò in Puglia, raccomandandolo anche ad Ottone, che nei suoi
Stati lo riponesse. Zimisce volle aver amicizia con Ottone, e (ciò che
avevagli negato Niceforo) gli mandò Teofania, perchè si sposasse
con Ottone suo figliuolo, la quale fu condotta in Roma, ove con
molta splendidezza fu da Ottone sposata, ed Augusta
proclamata [23]. Giunto Pandulfo in Bari, fu tosto chiamato da
Ottone: Abdila glielo mandò assai onorificamente, e ricevuto da
Ottone fu restituito ne' suoi Stati e nella pristina dignità: laonde
Pandulfo per gratificare Giovanni della libertà donatagli, tanto si
adoperò con Ottone che gli fece abbandonar l'impresa: onde fatta la
pace, Ottone si ritenne d'invadere la Puglia e la Calabria, e queste
province perciò non furon mai da Ottone conquistate, come si
diedero a credere molti Scrittori contro ciò che narra l'Anonimo,
scrittore contemporaneo. Partì Ottone, ed in Francia fece ritorno, nè
più potè rivedere queste nostre regioni; poichè sopraggiunto poco da
poi dalla morte, nell'anno 973, finì i giorni suoi, ed acquistatosi per le
cose maravigliose adoperate il soprannome di Magno, meritò esser
comparato a Carlo il Grande.
CAPITOLO II.
Ottone II succede al padre; disordini nel Principato di Salerno,
nel quale finalmente vi succede Pandulfo.

Essendo morto in quest'anno Ottone il Grande, Ottone II suo


figliuolo, che vivente il padre era stato associato all'imperio, cominciò
a regger solo il Regno d'Italia, e ad esercitare quivi tutta quella
sovranità, che suo padre aveasi acquistata, la quale sopra queste
nostre province assai più accrebbesi per la discordia de' nostri
Principi longobardi; poichè mentre Pandulfo Capo di ferro restituito
in Capua sua sede, insieme con Landulfo IV suo figliuolo, che sedeva
in Benevento, reggevano questi due Principati, accaddero in Salerno
sì strane revoluzioni e sconvolgimenti, che posero sossopra tutto
quel Principato. Origine di tanti mali fu la soverchia fidanza, ch'ebbe
Gisulfo con suoi congiunti, i quali da esuli ch'erano, avendo voluto
richiamargli ed ingrandirgli, portarono con inaudita ingratitudine la
ruina del suo Stato.
Atenulfo II quegli, che, come si disse, discacciato da Capua erasi
ricovrato in Salerno sotto Guaimaro II suo genero, lasciò più figliuoli,
ch'esuli insieme col padre lungo tempo eran andati raminghi. Uno
d'essi Landulfo chiamato, si ricovrò prima col padre in Salerno, da
poi andossene ad abitare in Napoli; ma da poi ad intercessione di
Gaidelgrima sua sorella, moglie che fu di Guaimaro II, e madre di
Gisulfo I. fu da questo Principe ch'era suo nipote, per non disgustarsi
sua madre richiamato in Salerno; e Gisulfo oltre averlo
affettuosamente accolto diedegli anche il Contado di Consa; ma
perch'era un uomo assai crudele ed insoffribile, i Consani non
potendolo più soffrire, lo discacciarono da Consa, nè Gisulfo potè
tollerarlo guari in Salerno, onde discacciato bisognò che di nuovo in
Napoli facesse ritorno con la sua casa: avea procreati Landulfo
quattro figliuoli, Guaimaro, Indolfo, Landulfo e Landenulfo.
Accadde, che mentre Landulfo con questi suoi figliuoli erano in
Napoli, Gisulfo s'ammalasse, onde Gaidelgrima sua madre, toltolo a
tempo cominciò tutta dolente e lagrimosa a piangere, di che Gisulfo
accortosi, dimandò, che s'avesse: ella rispose immantinente; piango,
perchè avendo perduto mio marito, ora veggo te infermo: nè ho chi
in tanta amaritudine possa consolarmi, poichè anche il mio fratello è
da me lontano: che dunque, rispose Gisulfo, avrò da fare? che si
richiami, replicò ella, con tutta la sua famiglia. Gisulfo vinto dalle
lagrime di sua madre, che si richiami le rispose: e risanato da quella
infermità, fu Landulfo tosto richiamato in Salerno, e portò seco tre
suoi figliuoli, lasciando in Napoli Landulfo uomo d'ingegno astuto e
pieno d'inganni.
Fu accolto Landulfo dal Principe con molti segni di stima, di molti
poderi l'arricchì, e restituigli ancora il Contado di Consa; e niente
prevedendo di ciò che poteva accadergli, l'innalzò tanto, che narra
l'anonimo Salernitano [24] suo contemporaneo, che lo costituì dopo
lui nel primo grado in Salerno. Co' suoi figliuoli fu ancora
liberalissimo, a Guaimaro diede il Contado di Marsico nel Principato
di Salerno, concedendogli quasi tutte le ragioni ed emolumenti del
suo fisco. Ad Indolfo donò il Contado di Sarno. A Landenulfo il
Contado di Lauro, pure nel Principato di Salerno; ed essendosene
costui poco da poi morto nell'anno 971 fu richiamato da Napoli
Landulfo, al quale Gisulfo concedè il Contado stesso di Lauro, non
senza indignazione de' Salernitani e de' Nobili di quella città, che
vedevano con tanta imprudenza di Gisulfo sublimati questi Principi.
Landulfo padre, entrato in tanta grandezza, tosto cominciò a pensar
modi, come potesse invadere il Principato di Salerno: egli vedutosi
con tante forze si proccurò ancora il favore de' Duchi d'Amalfi e di
Napoli, perchè l'assistessero a quest'impresa ed ajutato da quelle de'
suoi figliuoli, e da Landulfo precisamente uomo accorto ed astuto,
avendo con alquanti congiurato il modo, una notte, avendo corrotti i
custodi, ebbe modo d'entrare nel Palazzo del Principe: ivi avendo
preso l'infelice Gisulfo insieme con l'infelice Principessa Gemma sua
moglie, figliuola d'Alfano ed agnata di Lamberto Duca di Spoleto,
furono imprigionati, e dando a sentire agli altri essere stati
ammazzati, fu la città posta sossopra. I Salernitani credutigli morti si
posero in somma costernazione, nè sapendo che si fare in tanta
revoluzione, furono costretti di giurare per Principe Landulfo lor
tiranno, il quale temendo non si scoprisse esser vivi Gisulfo e la
Principessa Gemma, tosto gli fece levare da Salerno ed in Amalfi gli
fece condurre; indi, discacciati che gli ebbe, assunse anche per
collega al Principato Landulfo suo figliuolo in quest'istesso anno 972
ovvero 973.
Presedeva in questi tempi per Duca in Amalfi Mansone Patrizio, ed in
Napoli, come si disse, Marino Patrizio. Questi intesi della congiura,
subito che udirono essere stato Gisulfo da Salerno scacciato,
vennero in Salerno con alquante truppe per soccorrere Landulfo, e
stabilmente fermarlo nel Principato [25]. Non si vide maggiore
ingratitudine di quella che usò Marino Duca di Napoli in
quest'incontri, il quale dimenticatosi tosto de' beneficj ricevuti da
Gisulfo, dimenticatosi ancora de' tanti giuramenti fatti di soccorrerlo,
ora s'unisce col tiranno per discacciarlo dalla sede.
Ma furono questi disegni ed iniqui consigli dissipati ben tosto; poichè
ricredutisi i Salernitani, che Gisulfo e la Principessa Gemma non eran
morti, ma vivi erano in Amalfi, tosto cominciarono a tumultuare e a
fremere contro essi medesimi di tanta credulità e de' passi che avean
dati. S'aggiunse ancora, che Indolfo, che aveva veduto assunto per
collega al Principato Landulfo suo fratello, e di lui niun conto tenersi,
contro ciò che il padre con più sacramenti gli avea promesso,
cominciò ad aspirare al Principato, sollecitando perciò Marino Duca di
Napoli, che l'ajutasse in quest'impresa: fu perciò, per sedare in parte
i tumulti, risoluto di prendere Indolfo e mandarlo in Amalfi, siccome
preso che fu, nascostamente fu mandato in quella città: e tolto
l'oppositore, i Salernitani furono costretti a giurare a Landulfo il
Giovane, Principe assai crudele e scaltro. Ma con pernizioso consiglio
richiamato non molto da poi Indolfo in Salerno, questi dissimulando
il torto, cominciò a rendersi i Salernitani benevoli, co' quali
profusamente trattava, e ridotti al suo partito i più principali e'
congiunti del Principe Gisulfo, cominciò ad insinuar loro, che
discacciati i tiranni si dessero a Pandulfo Capo di ferro, il quale
saprebbe colle sue forze restituirgli Gisulfo, ed intanto proccurassero
fortificarsi ne' Castelli, affinchè alla venuta di Pandulfo potessero
tosto portargli ajuto e soccorso. In fatti molti Proceri salernitani, e
fra gli altri gl'istessi Riso e Romoalt, due celebri personaggi, pentitisi
di quanto aveano cooperato nella congiura, si portarono in Amalfi
avanti i Principi discacciati, ed ivi con molti giuramenti e pianti
dolutisi del torto, che si era a loro fatto, promisero fare ogni sforzo di
ritornargli nella pristina dignità.
Il Principe Pandulfo invitato da' congiunti del Principe Gisulfo e da'
Salernitani, i quali in varj castelli s'erano fortificati per ricever il suo
ajuto, compassionando il caso di quell'infelice Principe, che era suo
consobrino, prese con incredibile allegrezza l'impegno di restituire
Gisulfo in Salerno; ed avendo unito alquante sue truppe s'incamminò
verso Salerno. Fu incontrato da Indolfo, che gli cercò per se il
Contado di Consa; ma Pandulfo dichiarandosi che non poteva ciò
fare; questi pien di mestizia pensò tornare in Salerno, ove fu preso
da' suoi stessi ed a Landulfo consignato. Intanto Capo di ferro
unitosi co' Salernitani, che stavano ne' castelli, espugnò tutti i luoghi
del Principato di Salerno, depredando il paese intorno, ei cinse
Salerno di stretto assedio. I Landulfi padre e figliuolo gli fecero molta
resistenza, e non fidandosi de' Salernitani valevansi di Mansone
Patrizio, che tenevan presso di loro nel Palazzo co' suoi Amalfitani, ai
quali diede la custodia delle torri che circondavano la città; ma non
poteron lungo tempo resistere alle forze di Pandulfo, il quale
finalmente nell'anno 974 l'espugnò, e discacciati i tiranni, non per se
occupolla, ma in quest'istesso anno la restituì al legittimo Principe.
Gisulfo e Gemma, o perchè così fra di loro fossero convenuti o pure
per gratitudine di tanti beneficj, non tenendo figliuoli, adottaronsi
per loro figliuolo Pandulfo figliuolo di Pandulfo, che vollero anche
istituirlo Principe di Salerno, e Gisulfo volle averlo per Compagno nel
Principato insin che visse, cioè sin all'an. 978 [26]. Ed egli morto in
quest'anno, restando Pandulfo successore in Salerno, volle anche
Pandulfo suo padre assumere il titolo di Principe insieme col figliuolo,
onde si fece, che nella persona di Pandulfo Capo di ferro s'unissero
tre titoli, e fosse detto Principe insieme di Capua, di Benevento, e di
Salerno. Quindi l'Anonimo Salernitano, che in questi tempi vivea, e
che fin qui continuò la sua istoria, che a questo Principe dedicolla, in
un carme che compose in lode del medesimo, lo chiamò Principe di
queste tre città dicendogli:

Tempore praeterito Tellus divisa maligno


Unitur tuo ecce, tuente Deo [27].

Siccome il valore e prudenza di Atenulfo I potè far argine alla ruina


de' Longobardi, la quale per le tante rivoluzioni e disordini di queste
province, era imminente; così ora la potenza di Pandulfo Capo di
ferro trattenne alquanto il corso della loro caduta; ma s'avrebbe
potuto sperare dal valore di questo Principe qualche buon frutto, se
non avesse già poste profonde radici quella pessima usanza de'
Longobardi di partir ugualmente i loro Stati tra' loro figliuoli, i quali
se bene presentemente si vedevano ne' titoli uniti in una sola
persona, non è però, che Capo di ferro non avesse aggiudicato il
Principato di Benevento a Landulfo IV, suo figliuolo, e quello di
Salerno a Pandulfo altro suo figliuolo. Tutti i Principi longobardi della
razza di Landulfo I Conte di Capua, que' di Benevento ancora e gli
altri di Salerno, ebbero costume di provvedere tutti i loro figliuoli di
proprj Feudi; e se bene nel principio gli amministravano indivisi,
ancorchè ciascuno riconoscesse la sua parte, e sotto le medesime
leggi; nulladimanco la condizione umana dovea portare per
conseguenza la discordia fra di loro, onde poi divisi in fazioni diedesi
agli esterni pronta occasione d'occupargli. Le massime della politica
s'apprendevano allora dalla Scrittura Santa, non avendo per la
barbarie de' tempi altri libri donde fossero meglio istrutti: essi
leggendo quivi l'ammonizione di Davide, dicente, non esservi cosa
più gioconda, che habitare fratres in unum, si regolavano da questo
detto: ma non vedevano che ciò era ben da desiderare, e conseguito
da tenersi caro; ma per la condizione umana era difficile a porsi in
pratica; e potevano dalla medesima scrittura apprendere, che ogni
regno diviso, per se stesso sì dissolverebbe. Comunque siasi non gli
dava il cuore che al primogenito si dasse tutto, per ciò fattosi luogo
alla successione, la città principale era ritenuta dal primogenito, e gli
altri fratelli erano investiti di Contadi ed altri Feudi, de' quali per
essere i possessori della stessa razza, da dependenti Signori, che ne
erano, se ne rendevano assoluti. Così abbiam veduto di Radelchiso
Principe di Benevento, il quale avendo da Caretruda generati dodici
figliuoli, oltre Radalgario, che gli succedette, gli altri furono tutti
Conti. Lo stesso accadde del Principato di Salerno, il quale, come si è
detto, diviso da Gisulfo, con indignazione de' Salernitani, in tanti
Contadi tra i figliuoli di Landulfo, fu veduto possedersi da tanti, oltre
i Proceri salernitani, i quali ne' loro castelli viveano ben fortificati con
assoluto ed independente arbitrio.
Ma sopra tutto il Principato di Capua patì questa deformazione;
poichè dalla razza d'Atenulfo, come dal cavallo trojano ne uscirono
tanti Conti e Signori, che riempierono non meno Capua, che
Benevento di Contadi e Signorie. Del sangue di questo Principe
uscirono i Conti di Venafro, di Sessa, d'Isernia, di Marsico, di Sarno,
di Aquino, di Cajazza, di Teano e tanti altri. Li quali se bene, come si
è altre volte detto, nel principio fossero stati conceduti in Feudo,
nulladimanco poi ciò che era loro stato dato in amministrazione
passò in signoria; ed insino a questi tempi la cosa era comportabile,
perchè la concessione per la morte o fellonia del Conte, restava
estinta, nè il Contado passava all'erede; ma in questi tempi
indifferentemente praticavasi, per la ragione altrove rapportata, che
passasse a' figliuoli ed eredi, concedendosi l'investiture pro se et
haeredibus, siccome tra gli antichi monumenti si legge investitura
fatta nell'anno 964 in Capua da Pandulfo Capo di ferro, e da Landulfo
suo figliuolo della città d'Isernia colle sue pertinenze a Landulfo e
suoi eredi [28].
Così concedendosi tanti Contadi e Feudi, non solo vennero a
multiplicarsi e poi dividersi in tante parti, ma investendone quelli del
medesimo loro sangue, si invogliavano ad aspirare alla signoria
independente, e posero con ciò in iscompiglio e disordine gli Stati,
che per ultimo restarono preda d'altre nazioni.
§. I. Cognomi di famiglie restituiti presso di noi, che per lungo tempo
erano andati in disuso.

Dal numero di tanti Feudi e Contadi posseduti da varie famiglie,


sursero i cognomi per disegnarle; poichè i Longobardi non avendo
cognomi per denotare le particolari famiglie, dalle città e terre che
possedevano ed ove aveano fermata residenza, presero i cognomi; e
cominciossi tratto tratto in queste nostre parti a restituire il costume
degli antichi Romani; i quali cognomi se bene in questi tempi degli
ultimi nostri Principi longobardi si cominciassero a restituire,
succeduti da poi i Normanni, questi furono che gli accrebbero in
immenso, onde si restituirono in tutti i cognomi, che diedero da poi
distinzione alle famiglie.
I Romani, che non conobbero Feudi trassero i cognomi altronde, non
da' luoghi che forse avessero i loro maggiori posseduti. Ma come che
presso i medesimi la pastorizia e l'agricoltura era avuta in molta
riputazione, moltissime famiglie trassero il cognome dalle cose
rusticane a queste appartenenti: quindi i Latuzj, i Melj, gli Frondisj, i
Fabj, i Pisoni, i Lentuli ed i Ciceroni; e dalla pastorizia, i Bubulci, i
Bupecj, Juvenci, i Porzj, Scrofe, Pilumni, Juni, Satirj, Tauri, Vituli,
Vitellj, Suilli, Capriani, Ovini, Caprillj, Equini ed altri, de' quali fece
lungo Catalogo il Tiraquello [29].
Anche presso i medesimi sortirono le famiglie il cognome dalla
natura, che ora propizia, ora inimica deformò loro il corpo o l'animo
d'alcun vizio, o l'arricchì di qualche speziale avvenenza, o di buon
costume: così dalla larghezza de' piedi, surse il cognome de' Planci;
dalla grassezza, quello de' Grassi; dagli capegli l'altro de' Cincinnati;
da' nasuti, i Nasoni e tanti altri. Sovente da' costumi, come Metello
Celere, dalla sua celerità; altronde dal caso, come Valerio Corvino;
altrove dal luogo conquistato, come Scipione Affricano, e così degli
altri [30].
Ma presso questi ultimi nostri Longobardi per la maggior parte i
cognomi sursero dalle città e castelli, che i loro antenati
possederono, e ne' quali essi trasferivano la loro abitazione, ed ivi
dimoravano in tutto il tempo della loro vita. Così dal castello di
Presensano surse il cognome di Presensano, la qual famiglia insieme
col castello mancò in Capua dopo il tempo del Re Roberto. Così
ancora presso Erchemperto [31], Marino in cognominato Amalfitano,
perchè presideva in Amalfi, della quale città fu Duca; e presso il
medesimo Autore [32], Landulfo fu appellato Suessulano, perchè
presideva a Suessula; e da Lione Ostiense [33] Gregorio fu
cognominato Napoletano, perchè fu Duca di Napoli; e il medesimo
Autore [34] cognominò Landulfo di Santa Agata (del quale più innanzi
parleremo) non per altro, perchè fu Conte di quella città. E poichè
tutti questi Proceri da Capua, dalla prosapia d'Atenulfo discesero,
perciò presso gli Scrittori di questi tempi furono anche detti Nobili
capuani, onde surse il cognome della illustre Famiglia capuana, e
furon detti per lungo tempo Nobili capuani tutti coloro che furono
della razza de' Conti e Principi di Capua, ancorchè fossero divisi in
più famiglie, come il dimostra con somma accuratezza il
diligentissimo Pellegrino [35]: quindi si fece che alcuni ritenessero
anche da poi il cognome di Capuani o di Capua; ed altri dai luoghi
che possedevano, ancorchè dell'istesso genere, si cognominarono.
Così la famiglia di Sesto surse dal castello di questo nome nel
Contado di Venafro, che da' Conti di questo luogo e da Pandulfo, al
quale fu dato il cognome di Sesto, uscì, della quale parla Pietro
Diacono [36]; la qual famiglia sotto il Re Guglielmo II ancor si legge
essersi mantenuta con sommo splendore, ed occupare i primi posti
della milizia, come potrà osservarsi presso Luigi Lello [37].
E quelle tre famiglie di Franco, di Citello e di Roselle, siccome furono
della gente longobarda, così ancora devono reputarsi esser surte
dalla razza d'Atenulfo Principe, e da' luoghi posseduti da' loro
antenati esser derivate, ben lo dimostra il Pellegrino; e molte altre
famiglie longobarde, che trassero l'origine da questi Principi di Capua
e da Atenulfo, anche discacciati i Longobardi, si mantennero in
queste nostre parti sotto i Normanni, come più distintamente diremo
innanzi, quando de' Popoli di questa Nazione ci tornerà occasione di
trattare: tanto che ebbe a dire Lione Ostiense, che Atenulfo, ed i
suoi descendenti per molte loro generazioni, tennero il Principato per
cento settantasette anni in questi nostri contorni di Benevento e di
Capua; poichè per molto tempo ne' Principati di Capua e di
Benevento molti Baroni furono del sangue d'Atenulfo, che Signori di
varj Feudi, stabiliron le loro particolari famiglie, dandosi a' loro
congiunti l'investiture di molti Feudi, e sursero quindi in tutta l'Italia
Cistiberina molti Conti e Baroni, ed altri Nobili; e l'istesso si fece nel
Principato di Salerno. Parimente la famiglia Colimenta, donde pruova
il Pellegrino esser surta la famiglia Barrile, non altronde, che dal
castello Colimento, che ora diciamo Collemezzo, deriva; siccome il
cognome della nobil famiglia Gaetana, da Gaeta; poichè da Lione [38]
Ostiense Gaetani sono appellati coloro, che come Duchi tennero la
città di Gaeta. Così ancora il cognome della illustre famiglia di
Aquino, non altronde, che da' Conti di quella città è surto; siccome
quelle de' Sangri, de' Sanseverini, degli Acquavivi e tante altre, dalle
città, e terre da' loro maggiori possedute derivarono [39].
Anche presso questi ultimi nostri Longobardi sursero i cognomi, se
bene più di rado, da' nomi de' loro progenitori: così la famiglia
Atenulfo ebbe tal nome da Atenulfo, padre che fu di Pietro Cardinal
di Santa Chiesa; e moltissime altre. Trassero eziandio i cognomi
origine da' Magistrati ed Uffizj, così ecclesiastici, come secolari, e per
qualche mestiere da' loro antenati esercitato: la famiglia
Mastrogiudice quindi, al dir di Freccia [40], ebbe origine: siccome
quella de' Doci, degli Alfieri, de' Conti, de' Ferrari, Cavalcanti,
Filastoppa e tante altre. Da' costumi ancora e dalla propria indole;
da' colori, dagli abiti, dalle barbe, dal mento; dalle piante, fiori,
animali, e da tante altre occasioni ed avvenimenti che sono
infiniti [41].
Ma egli è da avvertire, che questa usanza di tramandar i cognomi a'
posteri, perchè meglio si distinguessero le famiglie, cominciò sì bene
appo noi nel fine di questo X secolo, ma molto di rado; onde nei
diplomi ed altre carte di questi tempi, assai di rado si leggono
cognomi. Si frequentarono un poco più nel XI e XII secolo appo i
Normanni; ma nel XIII e XIV furono talmente disseminati e stabiliti,
che comunemente tutte le persone, ancorchè di basso lignaggio, si
videro avere proprj cognomi, con tramandargli a' loro posteri e
discendenti [42].
§. II. Spedizione infelice d'Ottone II contro a' Greci, e morte di
Pandulfo Capo di ferro.

Il costume de' nostri ultimi Longobardi, in tante parti di dividere i


loro Stati, cagionò finalmente la loro ruina, e diede pronta e spedita
occasione a' Normanni di discacciarli da queste nostre province;
perchè questi Baroni, ancor che riconoscessero le investiture dei loro
Contadi da' Principi di Capua e di Benevento e di Salerno,
nulladimanco essendo dell'istessa razza d'Atenulfo, e molti aspirando
a' Principati stessi di Capua, di Benevento e di Salerno, donde alcuni
n'erano stati discacciati; ancorchè, come si è detto, Pandulfo Capo di
ferro col suo valore e felicità reggesse insieme con Landulfo IV e
l'altro Pandulfo suoi figliuoli Capua, Benevento e Salerno;
nulladimeno morto Capo di ferro in Capua l'anno 981 [43]
cominciarono di bel nuovo in queste province le rivoluzioni e'
disordini. S'aggiunse ancora, che Pandulfo, il quale avea proccurato,
che fra gl'Imperadori d'Oriente con quelli d'Occidente si mantenesse
una stabile e ferma amicizia, appena mancato, si videro rotte tutte le
corrispondenze, e rinovate l'antiche gare; poichè Ottone II che mal
sofferiva la Puglia e la Calabria essere in mano dei Greci sotto
gl'Imperadori Basilio e Costantino, che erano al Zimisce succeduti nel
977, disbrigatosi come potè meglio degli affari di là de' monti,
armato, coll'Imperadrice Teofania calò in Italia in quest'anno 980 [44].
Erasi, come si disse, già introdotto costume, che quando
gl'Imperadori d'Occidente venivano in Italia, presso Roncaglia
fermati, luogo non molto lontano da Piacenza, ivi solevano intimar le
Diete, ove univansi i Duchi, Marchesi e Conti di molti luoghi d'Italia, i
Magistrati delle città, ed anche l'Ordine ecclesiastico per trattar degli
affari d'Italia più rilevanti: si esaminavano le querele de' sudditi
contro i potenti: si davano l'investiture de' Feudi: si decoravano molti
Baroni di titoli: si stabilivano molte leggi attenenti ancora allo Stato
ecclesiastico, ed a' precedenti mali davasi qualche compenso. Ottone

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