CAPITOLO 1
1. La concezione classica della letteratura: mimesis e finzione
● Dall’antichità al XVIII secolo, la letteratura è stata concepita come imitazione
(mimesis) delle azioni umane tramite il linguaggio.
● In questa visione, la letteratura è un racconto (muthos), quindi una finzione
verosimile: né vera né falsa, ma credibile, un “mentir-vero”.
● Aristotele, nella Poetica, include tra i generi poetici solo epica e tragedia (narrativa e
drammatica), escludendo la poesia lirica e didattica, in quanto non rientranti nel
modello di finzione narrativa.
2. Genette e la fictionalité
● Il critico Gérard Genette parla di “poetica essenzialista” o costitutivista, che vede la
finzione come un tratto costitutivo della letteratura.
● La fictionalité, secondo Genette, è lo statuto ontologico del contenuto letterario, non
un tema.
● Questa concezione si basa sulla finzione come forma del contenuto, cioè come
modello astratto che organizza il significato.
3. Il contributo di Hjelmslev
● Il linguista Louis Hjelmslev distingue:
○ Sostanza del contenuto: le idee;
○ Forma del contenuto: come le idee sono organizzate;
○ Sostanza dell’espressione: suoni o segni materiali;
○ Forma dell’espressione: organizzazione dei segni.
●
● In questa griglia, la finzione letteraria è la forma del contenuto, ciò che definisce il
modello narrativo-letterario classico.
4. Crisi del modello classico nel XIX secolo
● Nel XIX secolo, la centralità della poesia lirica — che esprime l’io del poeta — rompe
la definizione aristotelica di letteratura come narrazione fittizia.
● La finzione smette di essere condizione necessaria per la letterarietà.
● Tuttavia, l’opinione comune continua a considerare la letteratura come globalmente
finzione, anche se teoricamente non è più un criterio sufficiente.
1. Dalla finzione all’autonomia estetica
● A partire dal XVIII secolo, si afferma una nuova definizione di letteratura: non più
come finzione (mimesis) ma come arte fine a se stessa, basata sul bello e
sull’autonomia estetica.
● La letteratura diventa autoreferenziale, non più imitazione della vita, ma riscatto dalla
vita, come nelle visioni romantiche di Proust e Sartre.
2. La concezione formalista
● Questa visione si collega a una concezione formalista: la letteratura si distingue per
un uso speciale del linguaggio.
○ Il linguaggio comune è referenziale, pratico, trascurato. E’ più denotativo
○ Il linguaggio letterario è espressivo, connotativo, immaginativo, quindi
autotelico (ha fine in sé).
●
● Citando Valéry: la letteratura è “una manifestazione del linguaggio che ritorna su se
stesso”, mentre Foucault parla di una “intransitività radicale”.
3. Dalla forma del contenuto alla forma dell’espressione
● Secondo Genette, si passa da una definizione essenzialista basata sulla forma del
contenuto (finzione narrativa), a una basata sulla forma dell’espressione (uso
particolare del linguaggio).
● La letteratura diventa dunque arte verbale, fondata non sul cosa dice, ma su come lo
dice.
4. Il contributo dei formalisti russi
● I formalisti russi (Jakobson, Šklovskij) introducono il concetto di letterarietà, ossia ciò
che rende un testo letterario.
○ Šklovskij parla di “straniamento” (ostranenie): la letteratura rinnova la
percezione rendendo il linguaggio inusuale.
○ Jakobson definisce la letteratura come esperimento dei “possibili del
linguaggio”.
● L’opera letteraria è vista come combinazione di procedimenti formali che creano
discontinuità rispetto alla lingua d’uso.
5. Verso una scienza della letteratura
● I formalisti auspicano una teoria oggettiva della letteratura, fondata su invarianti
formali.
● La teoria della letteratura, distinta dalla critica impressionistica, si propone come
scienza, basata sulla linguistica e poi sullo strutturalismo.
● Si oppongono a chi vede la letteratura come:
○ documento storico,
○ espressione soggettiva dell’autore,
○ rappresentazione del reale.
Letterarietà o pregiudizio: una critica al concetto formalista di letteratura
1. Critica alla definizione formalista di letterarietà
● I formalisti russi, come Jakobson, avevano definito la letterarietà come ciò che
distingue la lingua letteraria da quella comune, basandosi sul concetto di
straniamento (ostranenie).
● Tuttavia, non esistono elementi linguistici esclusivamente letterari: la letteratura usa
gli stessi materiali del linguaggio comune, organizzandoli in modo diverso.
● L’effetto letterario dipende da grado e dosaggio, non da tratti esclusivi. Anche testi
non letterari (es. pubblicità) usano tratti tipicamente “letterari”, a volte anche meglio.
2. Problemi del concetto di letterarietà
● Alcuni testi letterari sono linguisticamente ordinari; ciò mette in discussione l’idea che
lo straniamento definisca l’essenza della letteratura.
● L’assenza di marcatori letterari potrebbe paradossalmente essere essa stessa un
marcatore, ma ciò crea una contraddizione logica.
● La pubblicità, che usa forti meccanismi di straniamento, finirebbe allora per essere la
forma più alta di letteratura: un esito inaccettabile.
3. La letterarietà come pregiudizio ideologico
● La preferenza per lo straniamento riflette gusti soggettivi: i formalisti valorizzavano la
poesia futurista, quindi la loro teoria era selettiva e ideologica.
● Ogni definizione di letteratura include giudizi di valore impliciti, come anche in
Barthes, che contrappone testi “leggibili” (tradizionali, realistici) a testi “scrivibili”
(sperimentali, stranianti).
4. La posizione di Genette
● Anche Genette riconosce i limiti del concetto di letterarietà:
○ Essa riguarda solo una parte della letteratura, soprattutto la poesia
(“dizione”), non la narrativa o la drammaturgia (“finzione”).
○ La letteratura è una realtà eterogenea, non riducibile a un’essenza unica o
universale.
1. L’aporia della definizione di “letteratura”
• La definizione di “letteratura” è circolare: un testo è considerato letterario solo
perché la lingua e la cultura che lo usano accettano di chiamarlo tale.
• Qualsiasi tentativo di dare una definizione ultima del termine si risolve in un gioco
tautologico: la letteratura è ciò che viene riconosciuto come tale.
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2. Il ruolo della società e del contesto
• È la società, con le sue istituzioni (editori, critici, professori, lettori colti), a stabilire
quali testi assumono uno statuto letterario, spesso rimuovendoli dal loro contesto
originario.
• Paradossalmente, il contesto originario di un testo può negarne la letterarietà:
un documento nato come pratico o didascalico può diventare letterario solo se la
società successiva lo rilegge in quella chiave.
• Quindi, la letterarietà è una funzione secondaria e acquisita, non originaria né
intrinseca.
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3. Le conseguenze per lo studio della letteratura
• Non tutto ciò che si può dire su un testo letterario appartiene allo studio letterario:
ad esempio, l’analisi storica, biografica o sociologica può essere utile ma resta
esterna alla letterarietà.
• Anche strumenti come la stilistica o la linguistica non riescono pienamente a
definire il letterario:
• Il “stile” stesso è un concetto scivoloso, fondato su differenze linguistiche
che non sono di per sé letterarie, ma solo significative.
• Deviazione dalla norma o forma espressiva non bastano a fondare una
definizione oggettiva di “letterarietà”.
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4. Una petizione di principio
• In conclusione, “la letteratura è la letteratura”: ovvero, ciò che viene riconosciuto
come tale da una certa comunità di lettori e istituzioni.
• Il canone letterario (cioè l’elenco di testi ritenuti degni di studio) è instabile, storico
e ideologico.
• Non si può dedurre una definizione essenziale della letteratura dal canone
stesso: la sua estensione non ci dice nulla sulla sua natura.
CAPITOLO 2
1. Il problema dell’autore negli studi letterari
Il ruolo dell’autore è una delle questioni più controverse e centrali nella teoria della
letteratura. Il nodo riguarda l’intenzione autoriale: essa è pertinente per comprendere il
significato di un testo? O è irrilevante?
2. Due posizioni storiche: l’antica e la moderna
● Posizione antica (positivista, filologica, storicista):
○ L’autore è al centro dell’opera.
○ Il significato del testo coincide con l’intenzione dell’autore.
○ Capire un’opera significa ricostruire ciò che l’autore voleva dire.
● Posizione moderna (formalismo, New Criticism, strutturalismo):
○ L’intenzione dell’autore è irrilevante.
○ I New Critics parlano di intentional fallacy (“errore intenzionale”): affidarsi
all’intenzione dell’autore è un falso metodo critico.
○ L’interpretazione deve concentrarsi sul testo stesso, non su chi lo ha scritto.
3. La terza via: il lettore
● Una posizione più recente mette al centro il lettore:
○ Il significato nasce nell’atto della lettura, non è stabilito né dall’autore né
intrinseco al testo.
○ Questo approccio si avvicina alla reader-response criticism e alla
decostruzione.
4. L’autore come bersaglio della teoria
● L’autore è diventato un “capro espiatorio” nelle teorie del Novecento:
○ Simboleggia l’umanesimo e l’individualismo, che molte scuole teoriche
(strutturalismo, post-strutturalismo) hanno voluto superare.
○ L’eliminazione dell’autore ha permesso di rendere autonome le scienze
letterarie da discipline esterne come la psicologia o la storia.
5. Due modelli opposti di approccio
● Chi esclude l’autore: privilegia l’autonomia del testo e la letterarietà.
● Chi lo include: vede il testo come un mezzo per accedere alla coscienza dell’autore,
anche se questa può essere più o meno consapevole.
6. Tre testi guida per comprendere il dibattito
● Prologo del Gargantua di Rabelais:
○ Ironizza sulla ricerca di senso nascosto e sull’uso dell’allegoria medievale.
○ Illustra l’ambiguità del rapporto tra testo e intenzione.
● Il Contro Sainte-Beuve di Proust:
○ Rifiuta la critica biografica.
○ Sostiene che l’opera nasce da un “io profondo”, distinto dall’autore sociale e
mondano.
● Apologo Pierre Menard autore del Chisciotte di Borges:
○ Dimostra che lo stesso testo può avere significati diversi se scritto da autori
diversi in contesti diversi.
○ La variabilità dell’intenzione e del contesto cambia il senso, anche se le
parole sono identiche.
LA TESI DELLA MORTE DELL’AUTORE
1. Due tesi contrapposte sull’autore
● Tesi intenzionalista: L’intenzione dell’autore è il criterio centrale per determinare il
significato del testo. Questo è stato il paradigma tradizionale nella scuola, nella
critica accademica e nella filologia storica.
● Critica alla tesi intenzionalista: Se il senso di un testo è interamente racchiuso
nell’intenzione dell’autore, la critica letteraria diventa superflua: non c’è più bisogno di
interpretazione né di teoria, solo di spiegazione storica.
2. Il conflitto tra antichi e moderni
● Negli anni Sessanta, la disputa tra storici della letteratura (antichi) e nuovi critici
(moderni) si è giocata tutta intorno al ruolo dell’autore.
● Tutti i concetti tradizionali della letteratura (genere, stile, valore) derivano, in ultima
analisi, dall’intenzione d’autore.
● Al contrario, i “contro-concetti” della teoria moderna derivano dalla morte dell’autore.
3. La prospettiva di Roland Barthes
● L’autore è una figura moderna, nata nel tardo Medioevo con l’umanesimo, la Riforma
e l’individualismo borghese.
● Secondo Barthes, l’autore è visto come confessore della propria opera, che viene
letta come espressione della sua soggettività e biografia.
● A questa concezione egli oppone:
○ La scrittura impersonale, espressa da Mallarmé, Valéry, Proust, il surrealismo
e la linguistica moderna.
○ L’autore diventa un “io grammaticale”, non una persona psicologica (concetto
ripreso da Benveniste).
○ Il testo è intertestuale, un “tessuto di citazioni” e non un prodotto originario di
un’intenzione singola.
4. Implicazioni della morte dell’autore
● L’analisi critica tradizionale perde centralità: non esiste più un senso oggettivo e
unitario da ricostruire.
● Viene esaltato il ruolo del lettore: è lui che tiene insieme il significato del testo.
● Questo passaggio teorico accompagna il clima politico e culturale del 1968, segnato
da movimenti antiautoritari.
● Prima di “uccidere” l’autore, si è dovuto identificarlo con la figura borghese,
riducendo l’analisi al dato biografico.
5. Michel Foucault: “Che cos’è un autore?”
● L’autore non è solo una persona, ma una “funzione”: un dispositivo discorsivo creato
storicamente per controllare il senso e l’autorità dei testi.
● La funzione-autore è una costruzione sociale e ideologica che cambia col tempo.
● L’autore è quindi una proiezione critica, non una realtà essenziale.
6. Ambiguità della morte dell’autore
● La fine dell’autore produce:
○ Polisemia del testo
○ Promozione del lettore
○ Libertà interpretativa
● Ma apre anche una nuova ambiguità: il lettore diventa forse il nuovo autore?
● Si rischia una specularità tra “nuova critica” e storia letteraria: l’una elimina l’autore
dopo averlo ridotto a causa esterna; l’altra lo esalta come origine.
● Si confondono due accezioni di autore:
○ Autore biografico/storico (sociologico, canonico)
○ Autore ermeneutico (intenzionale, criterio d’interpretazione)
VOLUNTAS E ACTIO
Il problema dell’intenzione d’autore: tra volontas e actio
La questione dell’intenzione dell’autore è un tema antico e complesso, che attraversa la
filosofia, la retorica e la teologia. Oggi viene spesso ricondotta al dualismo tra pensiero e
linguaggio, ma ha radici molto più profonde.
Origini antiche del problema
● Platone (nel Fedro) propone una gerarchia tra pensiero (dianoia), parola (logos) e
scrittura, dove ogni passaggio rappresenta un allontanamento dall’origine autentica
del pensiero.
● Aristotele, nella Poetica, distingue tra il contenuto narrativo (muthos) e la sua
espressione (lexis), dando origine al dualismo tra contenuto e forma.
● La retorica classica, infine, distingue tra inventio (la ricerca delle idee) e elocutio (la
formulazione linguistica), aprendo così alla possibilità di separare l’intenzione
concettuale dall’espressione linguistica.
Voluntas vs Scriptum nella retorica
Nella tradizione retorica e giuridica latina (come evidenzia Kathy Eden), si afferma una
distinzione fondamentale tra:
● Voluntas (intenzione) dell’autore
● Scriptum (testo scritto, atto)
Per interpretare correttamente i testi, i retori cercavano ambiguità stilistiche che
permettessero di risalire dalla lettera alla volontà: lo stile diventava così indizio
dell’intenzione. Tuttavia, questo metodo portava spesso a confondere due distinzioni:
● Quella giuridica tra voluntas e scriptum
● Quella stilistica tra senso proprio e figurato
Agostino e l’ermeneutica spirituale
Sant’Agostino riprende la distinzione giuridica tra significato delle parole (significatio) e
intenzione dell’autore (voluntas). Nella sua De Doctrina Christiana, afferma che l’intenzione
dell’autore ha un valore superiore rispetto al testo scritto (scriptum), paragonando la loro
relazione a quella tra anima e corpo: la lettera è il corpo, ma lo spirito è ciò che vivifica.
Questa visione riflette una gerarchia etica: lo spirito è superiore alla carne, così come
l’intenzione è superiore alla lettera. Agostino prende posizione a favore della letteratura
spirituale, senza però negare il rispetto per la lettera, che è il punto di partenza
dell’interpretazione.
La distinzione paolina: lettera e spirito
Agostino si rifà a San Paolo, che oppone gramma (lettera) a pneuma (spirito): la “lettera
uccide, ma lo spirito vivifica”. Questa dicotomia ha origine nella retorica giuridica, dove si
deve giustificare la “nuova Legge” evangelica rispetto a quella mosaica. La lettura cristiana
del testo sacro trasforma la distinzione giuridica in una ermeneutica teologica.
Confusione tra interpretazione spirituale e figurata
Sebbene Agostino mantenga teoricamente separate le due distinzioni:
● Giuridica (voluntas/scriptum → spirito/lettera)
● Stilistica (senso proprio/senso figurato)
…nella pratica ermeneutica spesso le due si sovrappongono, generando confusione tra
l’interpretazione spirituale (cercare lo spirito nella lettera) e quella figurativa (distinguere tra
senso proprio e traslato).
Due problemi distinti
1. Intenzione psicologica (voluntas) – legata all’inventio, alla ricerca dell’idea e
all’intenzione dell’autore.
2. Oscurità semantica (stile) – legata all’elocutio, cioè alla formulazione linguistica e alla
distinzione tra senso letterale e figurato.
ALLEGORIA E FILOLOGIA
Allegoria e filologia: due approcci ermeneutici e una questione centrale
1. L’allegoria come interpretazione ambigua
L’allegoria è da sempre una forma di lettura ambigua e difficile da collocare nei modelli
retorici classici:
● Per Cicerone e Quintiliano, non era chiaro se appartenesse all’inventio (intenzione) o
all’elocutio (stile).
● Essa si basa su due binomi:
○ Giuridico: voluntas (intenzione) vs scriptum (testo scritto)
○ Stilistico: senso proprio vs senso figurato
●
L’allegoria tradizionale è un metodo esegetico che si attiva quando l’intenzione dell’autore è
irrecuperabile: serve ad attualizzare testi lontani nel tempo, interpretandoli secondo un
nuovo contesto o un decoro moderno.
Esempi classici:
● Il termine greco hyponoia indicava il “senso nascosto” che veniva attribuito a Omero
già nel VI sec. a.C.
● I Padri della Chiesa leggevano il Vecchio Testamento come anticipazione del Nuovo,
e trovavano profezie cristiane in Omero, Virgilio e Ovidio.
In questo senso, l’allegoria è un atto anacronistico, dove l’intenzione moderna del lettore
sostituisce quella originaria dell’autore. Essa rappresenta un atto di appropriazione più che
di fedeltà.
2. Il problema dell’intenzione
Il nodo centrale resta: quale significato conta?
Quello intenzionale dell’autore antico o quello attualizzato dal lettore moderno?
● Rabelais, nel prologo del Gargantua, affronta apertamente questa tensione. Da un
lato invita a un’interpretazione “più alta” (allegorica), dall’altro raccomanda di
attenersi alla lettera del testo.
○ Critica chi attribuisce ad Omero intenzioni cristiane: non è sbagliato leggerci
qualcosa di nuovo, ma è sbagliato dire che Omero volesse dire quel
qualcosa.
○ Rabelais difende il principio per cui l’autore non è responsabile delle letture
estranee alla sua intenzione.
●
Questa posizione ricalca la distinzione retorica tra:
● Interpretazione giuridica (voluntas vs scriptum, spirito vs lettera)
● Interpretazione stilistica (senso figurato vs senso proprio)
3. La svolta con Spinoza e la nascita della filologia moderna
Bisogna attendere Baruch Spinoza (XVII sec.) perché emerga con chiarezza un principio
nuovo:
● Nella Tractatus theologico-politicus, Spinoza propone di leggere la Bibbia come un
documento storico, da interpretare in base al contesto originario, non alle esigenze
religiose o ideologiche dei lettori successivi.
Nasce così la filologia moderna, che si fonda su due principi:
● Prevenire l’anacronismo esegetico
● Far prevalere ragione e contesto sull’autorità e sulla tradizione
Questo approccio rappresenta un ritorno al pragmatismo giuridico della retorica antica.
4. La questione oggi: testi giuridici e costituzionali
Il problema dell’intenzione e del contesto non è superato né astratto, ma ancora attuale,
soprattutto in ambito giuridico:
● Esempio emblematico: l’interpretazione della Costituzione americana.
○ Originalismo: interpretare i testi secondo il contesto e l’intenzione originari.
○ Allegorismo: adattare il significato del testo alle esigenze e ai valori del
presente.
●
Entrambe le posizioni estreme risultano problematiche:
● L’allegorismo rischia di negare la stabilità del testo.
● L’originalismo rischia di imprigionare i diritti dei vivi nell’intenzione dei morti.
Molti studiosi oggi riconoscono che l’idea di un senso unico e oggettivo è illusoria.
L’interpretazione di un testo, giuridico o letterario, è storica e politica allo stesso tempo.
FILOLOGIA ED ERMENEUTICA
1. Origini e trasformazioni dell’ermeneutica
● Ermeneutica: inizialmente disciplina ausiliaria della teologia, dedicata esclusivamente
ai testi sacri.
● A partire dal XIX secolo, diventa una scienza generale dell’interpretazione applicata
a tutti i testi, grazie allo sviluppo della coscienza storica e all’influenza del
protestantesimo.
● L’ermeneutica diventa così il fondamento della filologia moderna e degli studi
letterari.
2. Schleiermacher: il fondatore dell’ermeneutica filologica
● Sostiene che la letteratura è alienata dal suo mondo originario: il senso autentico
dell’opera è quello iniziale.
● L’ermeneutica deve ricostruire l’intenzione originaria, contro le interpretazioni
allegoriche e anacronistiche.
● L’interpretazione corretta passa attraverso:
○ Ricostruzione storica e linguistica del contesto originale.
○ Centralità della linguistica storica, che individua l’area linguistica comune tra
autore e pubblico.
○ Rifiuto dell’idea che un testo possa voler dire qualcosa che non poteva dire
originariamente.
●
3. Il limite della filologia: la critica all’approccio storicista
● Il principio allegorico, che legge nuovi significati nei testi, ha più forza storica del
filologico.
● Paradosso: in nome della storia, la filologia nega la storia stessa, ignorando il valore
di ciò che un testo ha significato nel tempo.
● La filologia è così rigidamente antistorica: esclude la storia della ricezione come
parte del significato.
4. Il “circolo ermeneutico” di Schleiermacher
● Metodo basato su una dinamica tra:
○ Ipotesi iniziale sull’intero testo
○ Analisi delle parti
○ Ritorno a una comprensione modificata del tutto
●
● Presuppone un testo coerente, ma ciò è spesso irrealistico.
● L’empatia divinatoria è fragile: pretende di colmare in un solo atto lo scarto tra
passato e presente.
5. Dilthey, Husserl, Heidegger: la crisi del metodo filologico
● Dilthey: distingue tra spiegazione (scientifica) e comprensione (umana). La filologia
non può spiegare un testo con l’intenzione d’autore, ma solo comprenderlo nel
vissuto.
● Husserl: l’intenzionalità della coscienza rende impossibile un’oggettiva empatia. Ogni
interpretazione è influenzata da una pre-comprensione.
● Heidegger: ogni comprensione è storicamente situata, condizionata dal Dasein
(esserci). Non possiamo mai “ritornare” oggettivamente al passato. La pre-
comprensione è ineluttabile.
6. Gadamer: ermeneutica come “fusione di orizzonti”
● In Verità e metodo, Gadamer sostiene che:
○ Non è possibile ricostruire il senso originario in modo oggettivo.
○ L’intenzione d’autore non esaurisce mai il significato di un testo.
○ Il senso di un testo si forma nel dialogo tra passato e presente.
○ La comprensione è una dialettica tra domanda e risposta: interpretiamo un
testo dal nostro orizzonte, ma cercando anche la domanda originaria a cui
esso rispondeva.
○ L’interpretazione è un processo storico in divenire, non un atto chiuso.
●
7. Conseguenze: dalla filologia alla storia della ricezione
● Dopo Gadamer, il senso di un testo:
○ Non coincide con quello dell’autore né dei suoi contemporanei.
○ Incorpora anche la storia delle interpretazioni e delle letture successive.
○ È un atto contestuale, che cambia con il tempo e con i lettori.
INTENZIONE E COSCIENZA
1. Intenzione d’autore: il nodo centrale
● L’intenzione d’autore è centrale in ogni atto interpretativo, anche nei dibattiti che ne
proclamano la “morte”.
● Il problema dell’intenzione precede quello dell’autore come figura storica: interessa il
voler dire del testo, non l’autore biografico.
2. Critica della coscienza (Scuola di Ginevra)
● Georges Poulet e la scuola di Ginevra leggono il testo come espressione di una
coscienza profonda.
● L’opera è il prodotto di un progetto interiore, una visione del mondo unitaria, spesso
inconsapevole.
● L’interpretazione richiede empatia, per rivivere l’atto creativo, anche attraverso testi
non letterari (lettere, appunti).
● Questo approccio, però, ignora il contesto storico a favore di una lettura immanente e
fenomenologica.
3. Barthes, Picard e il paradosso dell’autore che ritorna
● In L’homme racinien (1963), Roland Barthes cerca un’unità profonda nell’opera di
Racine, attraverso le sue figure.
● Raymond Picard critica Barthes per usare categorie psicologiche o metafisiche, non
letterarie, e per confondere l’autore con l’opera.
● Barthes, pur proclamando il ritorno al testo, vi fa ritornare l’autore sotto forme
implicite (strutture profonde, pensiero indeterminato).
4. La morte dell’autore e la svolta post-strutturalista
● In La morte dell’autore (1967), Barthes nega ogni centralità dell’intenzione: il
linguaggio diventa l’unico vero protagonista.
● L’opera è spogliata da ogni contingenza storica e si apre a una pluralità di letture non
ancorate all’autore o al contesto.
● Barthes va oltre Gadamer: non c’è più dialogo tra orizzonti, ma una cesura radicale
tra testo e origine.
● La letteratura è definita come un’esperienza in cui il linguaggio è un problema, non
uno strumento.
5. Stanley Fish e il primato del lettore
● In Is There a Text in This Class? (1980), Stanley Fish sostiene che il significato
dipende dal lettore, non dal testo o dall’autore.
● Ogni interpretazione è valida solo all’interno di una comunità interpretativa.
● Il lettore sostituisce l’autore come centro dell’interpretazione, e il testo diventa un
evento più che un oggetto.
IL METODO DEI PASSI PARALLELI
1. Cos’è il metodo dei passi paralleli?
● Il metodo dei passi paralleli (Parallelstellenmethode) consiste nel chiarire un passo
oscuro di un testo attraverso altri passi dello stesso autore piuttosto che ricorrere ad
autori diversi.
● Si basa sull’idea che l’autore sia coerente con sé stesso e che si possano trovare,
nel suo corpus, elementi utili a chiarire ambiguità o oscurità.
● È una forma implicita di fede nell’intenzione d’autore: si presume che l’autore abbia
un’intenzione unitaria, rintracciabile nel testo stesso.
2. Funzionamento ermeneutico
● Interpretare un testo implica cogliere differenze su uno sfondo di ripetizioni: la
comprensione nasce dal confronto tra elementi simili.
● Il metodo è considerato elementare e fondativo, come la commutazione in fonologia
per identificare unità minime.
3. Origini e applicazioni storiche
● San Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologica, applica il metodo alle Scritture:
ogni verità oscura deve essere confermata da un passo chiaro.
● È una reazione contro l’eccesso di allegorie, e afferma la centralità del contesto
letterale, anticipando una concezione filologica.
● Anche Agostino suggeriva prudenza nell’uso della metafora e preferiva il senso
letterale salvo necessità ermeneutica.
4. Teorizzazione moderna (Meier, 1757)
● Georg Friedrich Meier, nel Saggio generale dell’interpretazione, distingue tra:
○ Parallelismo verbale: identità di parole tra due passi.
○ Parallelismo reale: identità o somiglianza di significato tra passi con parole
diverse.
○ Parallelismo misto: somiglianza sia di parole che di senso.
●
● Meier preferisce il parallelismo di contenuto, anche se è più soggettivo, perché dire
una cosa in modo diverso può significare dire qualcos’altro (problema della
sinonimia).
5. Ulteriori sviluppi: Chladenius
● Johann Martin Chladenius amplia la tipologia dei parallelismi:
○ Parallelismo d’intenzione: ciò che l’autore vuole dire (intenzione) al di là delle
parole usate.
○ Parallelismo di costruzione (legamento): ripetizione formale o sintattica, come
un motivo ricorrente.
●
6. Sintesi concettuale
● Il metodo è fondato sul principio della coerenza interna dell’opera e sull’ipotesi che il
testo sia interpretabile attraverso se stesso.
● Ogni tipo di parallelismo ha un grado diverso di oggettività: quelli basati su parole
sono più controllabili, quelli sul significato o sull’intenzione più interpretativi e meno
verificabili.
STRAIGHT FROM THE HORSE’S MOUTH
1. Esiste una coerenza interna all’autore
● Il metodo si basa sull’idea che un autore tende a usare le parole e i concetti in modo
coerente nel tempo e nei diversi testi.
● Per questo motivo, si privilegiano i passi dello stesso autore rispetto a quelli di altri
autori per chiarire un termine oscuro.
2. L’autore è il miglior interprete di sé stesso
● Si assume che l’autore stesso sia il “testimone” più vicino alla propria opera: nessun
altro può chiarirne meglio il significato.
● Questo spiega perché un passo parallelo dello stesso autore, anche distante nel
tempo, abbia più peso di uno di un autore contemporaneo.
3. L’intenzione d’autore, pur negata a parole, agisce nei fatti
● Anche se teoricamente molti critici rifiutano l’idea di ricostruire l’intenzione d’autore,
in pratica il metodo dei passi paralleli la presuppone: se si cerca il significato di un
termine nella stessa voce dell’autore, si sta implicitamente assumendo che ci sia un
filo intenzionale o concettuale continuo.
● Il caso esemplare è la disputa su I Gatti di Baudelaire: anche i critici contrari
all’intenzionalismo (come Riffaterre) ricorrono di fatto al metodo, pur criticandolo.
4. La langue prevale sulla parole
● Il riferimento a langue (lingua come sistema) e parole (uso individuale) evidenzia che
ciò che conta è il codice linguistico e culturale dell’autore, non solo l’atto specifico di
scrittura.
● Tuttavia, l’uso costante del metodo anche oltre la dimensione sistemica implica un
ritorno implicito alla soggettività dell’autore.
5. Il parallelismo verbale non è oggettivo
● Il parallelismo verbale (uso identico di parole in contesti diversi) è spesso considerato
più oggettivo, ma il testo sottolinea che non garantisce lo stesso significato: una
parola può cambiare senso da un contesto all’altro.
INTENZIONE O COERENZA
Sintesi dei concetti principali:
1. Parallelismo = Intenzione + Coerenza
○Applicare il metodo dei passi paralleli significa presumere un’intenzione
coerente: senza questa, il parallelismo tra due passi risulta fragile, casuale, e
quindi critico.
2. Coerenza o contraddizione = struttura riconoscibile
○Anche la contraddizione, se riconoscibile, è una forma di coerenza, perché
suggerisce un’evoluzione, una rottura, un principio organizzativo. Ma se
manca sia la coerenza che la contraddizione, il parallelismo perde ogni valore
probatorio.
3. Generi e tropi: due ostacoli
○Illusione dei generi: non tutti i testi sono tenuti alla stessa coerenza (una
poesia non è un trattato).
○ Illusione metaforica: usare una parola in senso figurato in un punto non
significa che la stessa parola abbia lo stesso senso altrove.
4. Intenzione ≠ Premeditazione
○L’intenzione non va intesa come progetto cosciente, ma come intenzione in
atto, ossia forma, tensione, logica interna del testo, spesso inconsapevole.
5. Barthes e la contraddizione
○ Anche Barthes, teorico della “morte dell’autore”, ricade nel metodo dei passi
paralleli in S/Z, citando un altro testo di Balzac. Questo dimostra che nessun
critico può rinunciare davvero all’intenzione o almeno a una forma di
coerenza dell’autore.
6. Critica della coscienza, tematica, psicocritica
○ Tutti questi approcci usano i passi paralleli per individuare strutture profonde,
visioni del mondo, trame psichiche: quindi presuppongono intenzione, anche
inconscia.
I DUE ARGOMENTI CONTRO L’INTENZIONE D’AUTORE
1. L’intenzione d’autore non è pertinente
● Non vi è garanzia che il significato di un testo coincida con l’intenzione dell’autore.
● Anche se l’autore esprime un’intenzione, essa può divergere dal senso effettivo del
testo.
● Wimsatt e Beardsley (Intentional Fallacy):
○ Se l’opera non coincide con l’intenzione: l’intenzione non è utile.
○ Se l’opera coincide con l’intenzione: l’intenzione è superflua.
○ Unico criterio valido: l’opera in sé, non le intenzioni dell’autore.
●
2. L’opera sopravvive all’autore
● Le opere letterarie continuano a produrre significato nel tempo, ben oltre il contesto
originario e le intenzioni dell’autore.
● Il testo vive di una storia di ricezioni e interpretazioni, non può essere ridotto a una
funzione del suo autore.
● L’intenzionalismo rischia di negare la letterarietà stessa del testo, che risiede nella
sua capacità di durare, di parlare al presente.
MA… QUESTI ARGOMENTI REGGONO DAVVERO?
a. Ambiguità del concetto di “intenzione”
● L’intenzione non va intesa come progetto lucido e consapevole, ma come “intenzione
in atto”, come tensione interna del testo.
● Il circolo ermeneutico (Gadamer) ci insegna che comprensione e precomprensione si
influenzano reciprocamente: non si tratta di scegliere tra autore e lettore, ma di
connettere il passato al presente.
b. La lingua come sistema (Saussure) non basta
● L’idea che il testo sia pura langue (sistema anonimo), e non parole (espressione
individuale), elimina il soggetto.
● Ma i testi non sono del tutto anonimi, e mantengono tracce di una soggettività, che la
critica cerca sempre, anche inconsciamente (vedi Barthes stesso).
c. Il testo come oggetto autonomo: un’illusione?
● Gadamer e Ricoeur sostengono che il testo si emancipa dall’autore.
● Tuttavia, parlare di “intenzione del testo” (intentio operis) è una metafora, un
solecismo: se il testo è privo di coscienza, non può avere intenzioni.
● In realtà, queste espressioni riportano surrettiziamente in scena l’autore, sotto
mentite spoglie.
CONCLUSIONE: UNA TERZA VIA
Non serve scegliere tra soggettivismo e oggettivismo, tra autore o lettore. L’intenzione:
● Non è l’intenzione lucida dell’autore-biografia, ma neppure è del tutto eliminabile.
● È una funzione ermeneutica, una ipotesi di coerenza che consente la comprensione.
● Non si tratta di “sapere cosa voleva dire l’autore”, ma di presumere che un testo non
sia un prodotto del caso, e che in esso si possa rintracciare un senso, magari
implicito, latente, evolutivo, che emerge nel dialogo tra testo, autore, contesto e
lettore.
RITORNO ALL’INTENZIONE
1. Che cos’è l’intenzione d’autore?
Non va identificata con:
● La biografia dell’autore: non basta sapere chi fosse, né cosa gli accadde.
● Il suo disegno consapevole: spesso l’autore non ha piena coscienza del significato
che genera.
● La sua premeditazione artistica: può anche smentirsi, contraddirsi, cambiare idea.
Potrebbe includere:
● La coerenza implicita del testo, anche se non pienamente voluta.
● La disponibilità a riconoscere significati non previsti, ma compatibili con il proprio
orizzonte creativo.
● La struttura profonda, tematica, stilistica, linguistica che percorre l’opera, anche in
modo latente o inconscio.
2. La critica agli anti-intenzionalisti
L’attacco all’intenzione si rivela insufficiente o incoerente, perché:
● Se si è indifferenti all’intenzione dell’autore, si rischia di esserlo anche al significato
del testo stesso.
● L’idea che un testo “non dica mai quello che il suo autore voleva dire” è estremista e
rinuncia a ogni forma di interpretazione fondata.
● I due argomenti classici (non pertinenza e sopravvivenza) non sono logicamente
cogenti e si fondano su una concezione troppo rigida o riduttiva dell’intenzione.
3. Verso una nozione più solida di intenzione
La soluzione non sta nel restaurare un intenzionalismo ingenuo, ma nel riformulare
l’intenzione come categoria ermeneutica:
● Un’ipotesi di senso, non una certezza.
● Una funzione regolativa, non una prova oggettiva.
● Un punto d’equilibrio tra testo, autore, ricezione e contesto.
SENSO NON E’ SIGNIFICATO
Punto chiave: “Senso non è significato”
La distinzione proposta da Eric Hirsch tra senso (meaning) e significato (significance) serve
proprio a sciogliere il nodo tra intenzionalismo e ricezione contemporanea, mostrando che:
● Il senso è ciò che il testo vuol dire in un dato momento originario, secondo
l’intenzione d’autore, il contesto linguistico e culturale.
● Il significato è ciò che il testo può significare in contesti successivi, per lettori diversi,
epoche diverse, sensibilità diverse.
L’inferenza contestata
“Se un’opera continua a parlarci anche se l’autore non intendeva dirci ciò che noi oggi vi
leggiamo, allora l’intenzione d’autore non è un criterio interpretativo valido.”
Hirsch confuta questa inferenza mostrando che:
● L’efficacia contemporanea di un’opera (il suo significato) non cancella il suo senso
originario.
● Il fatto che un’opera sia ancora “viva” oggi non implica che non ci fosse un’intenzione
originaria; implica piuttosto che il senso originario può entrare in relazione con nuovi
contesti e generare significati attuali.
● La ricezione muta, ma lo fa a partire da qualcosa di relativamente stabile, che è
appunto il senso.
Il caso Montaigne come controesempio
La satira dei Cannibali ha:
● Un senso originario ben definito: critica della civiltà europea e difesa paradossale
della “nobiltà” dei selvaggi.
● Un significato attuale: può ancora colpirci oggi perché analoghi squilibri o ipocrisie
sopravvivono.
Non è che oggi leggiamo qualcosa di totalmente altro: è perché il senso originario mantiene
un legame con i nostri valori attuali che la satira ci “parla”. Questo contraddice l’idea
secondo cui l’opera sopravvive nonostante l’intenzione originaria: sopravvive perché il senso
può essere riattivato.
INTENZIONE NON E’ PREMEDITAZIONE
1. L’intenzione non è un piano cosciente e dettagliato
● Un autore non ha in mente ogni effetto o implicazione delle parole che sceglie.
● Tuttavia, ciò non significa che non abbia intenzione: ogni atto linguistico, come
insegna Austin, comporta una dimensione illocutoria, cioè un intento attivo nel
compiere un’azione tramite il linguaggio (promettere, chiedere, evocare, ecc.).
2. L’intenzione coincide con il senso effettivamente prodotto
“L’intenzione è quello che egli voleva dire con le parole che ha usato.”
● Non si identifica né con il progetto mentale dell’autore, né con i suoi obiettivi
biografici o morali.
● L’intenzione coincide con ciò che viene effettivamente detto nel testo, non con ciò
che l’autore avrebbe voluto dire in astratto.
● Il testo stesso è la realizzazione dell’intenzione, anche se non è detto che l’autore ne
fosse pienamente consapevole nei dettagli.
3. L’intenzionalismo corretto si fonda sul senso realizzato, non sul pensiero
antecedente
Questo ribalta l’obiezione classica dei critici dell’intenzionalismo (Wimsatt, Beardsley), che
confondevano l’intenzione con un elemento esterno, inaccessibile e privato. Invece:
● L’intenzione è interna al testo.
● Non è qualcosa da cercare fuori dal testo, ma nel modo in cui il testo agisce
linguisticamente.
Sintesi
L’intenzione non è premeditazione, ma azione linguistica.
L’intenzione non è un disegno astratto, ma il senso realizzato attraverso il testo.
Interpretare è cogliere l’atto illocutorio implicito nel testo, quindi comprendere l’intenzione
come senso in atto.
LA PRESUNZIONE DI INTENBZIONALITA’
Hai messo a fuoco un nodo cruciale: l’interpretazione ha per oggetto il senso (ciò che il testo
vuole dire), non il significato (ciò che può voler dire oggi); ha per oggetto l’intenzione (ciò che
è stato detto con quelle parole), non il progetto (ciò che l’autore aveva pianificato o
desiderava esprimere). Questo consente di evitare gli estremi sterili di:
● Intenzionalismo rigido → che riduce il testo a ciò che l’autore pensa di aver
detto.
● Anti-intenzionalismo assoluto → che sgancia il testo da ogni volontà
umana e lo dissolve nel gioco infinito delle interpretazioni.
Punto centrale:
Un’opera ha senso solo in quanto è frutto di un atto intenzionale. Le parole “vogliono dire
qualcosa” perché sono state usate da un essere umano con un’intenzione comunicativa.
Anche le interpretazioni più creative o contemporanee presuppongono questa intenzionalità
originaria, altrimenti il testo sarebbe una pura combinazione aleatoria di segni.
Risposta alla domanda implicita:
Lo studio letterario dovrebbe tentare di rendere i significati attuali compatibili con l’intenzione
dell’autore?
Sì, ma non nel senso di forzarli a coincidere. Piuttosto:
● L’intenzione d’autore fornisce un vincolo interpretativo, un orizzonte di senso che
impedisce letture arbitrarie.
● I significati attuali sono legittimi se dialogano con il senso originario, non se lo
ignorano o lo contraddicono deliberatamente.
CAPITOLO 3
IL MONDO
1. Il concetto di mimesis e la sua evoluzione
La riflessione sul rapporto tra letteratura e realtà ha origini antiche e prende avvio dal
concetto greco di mimesis, tradotto comunemente come “imitazione”, ma in realtà dotato di
una gamma semantica molto ampia che comprende anche “rappresentazione”, “finzione”,
“illusione” e “verosimiglianza”. In Aristotele, la mimesis è il principio fondante della poetica:
l’arte imita le azioni umane, ma non in modo pedissequo – bensì per selezione,
idealizzazione e universalizzazione, rendendo l’opera verosimile e significativa.
Nel corso della tradizione occidentale, questo concetto si è trasformato molteplici volte. Erich
Auerbach, in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, ne ricostruisce la storia come
un lungo processo di evoluzione del rapporto tra linguaggio letterario e realtà storica, da
Omero fino a Virginia Woolf, tenendo salda l’idea che la letteratura parli del mondo.
2. La crisi del referente: dalla mimesis alla semiosis
Nel XX secolo, soprattutto a partire dallo strutturalismo e dal post-strutturalismo, la teoria
letteraria ha messo in crisi il concetto stesso di mimesis, negando che la letteratura abbia
come referente il mondo esterno. Si afferma il primato della forma, del linguaggio, del
significante. La letteratura non rappresenta la realtà: non è mimesis ma semiosis, cioè un
sistema autoreferenziale di segni che si riferiscono ad altri segni, e non a un mondo esterno.
In questa visione, la letteratura non ha contenuto: è un gioco combinatorio di codici e
convenzioni. La referenza diventa una finzione, un’illusione che ostacolerebbe la
comprensione della letteratura “in sé”, svincolata da ogni idea di realismo.
3. L’autoreferenzialità del testo
Una delle espressioni più estreme di questa svolta è la teoria dell’autoreferenzialità del testo
letterario, sintetizzata nel motto: “la poesia parla della poesia”. I testi letterari, in questa
visione, non rappresentano il mondo, ma riflettono su se stessi, sul proprio funzionamento,
sul proprio linguaggio. Il significato nasce nel gioco delle relazioni interne al testo e tra i testi:
si passa dalla referenza alla intertestualità, dal mondo alla letteratura come sistema chiuso.
4. La sopravvivenza della mimesis nel bisogno di referenza
Nonostante questa frattura teorica, rimane una domanda ineludibile: perché leggiamo? Se
davvero la letteratura non parla più del mondo, se è autoreferenziale, che interesse ha per
noi lettori?
Il testo suggerisce che, in realtà, il desiderio di referenza persiste. Prendiamo ad esempio la
satira: è un genere che presuppone un legame diretto con una realtà socio-culturale precisa,
verso cui esercita una funzione critica. Il suo effetto deriva dal riconoscimento di un contesto
reale, anche se mutato nel tempo. È grazie a un’analogia tra il contesto originario e quello
attuale che opere satiriche del passato continuano a interpellarci.
5. Il paradosso della mimesis: sovversiva o repressiva?
Il testo mette infine in luce un paradosso interpretativo fondamentale:
● Per Platone, la mimesis è sovversiva: un doppio allontanamento dalla verità, un
inganno che destabilizza l’ordine.
● Per Barthes, la mimesis è repressiva: non destabilizza, ma rafforza il vincolo sociale,
legittimando l’ideologia dominante. Il realismo, in questa prospettiva, è una forma di
doxa, di opinione comune, che nasconde la sua costruzione.
Quindi, la mimesis può essere vista sia come pericolo per la verità, sia come suo garante
apparente: a seconda della prospettiva teorica, essa assume una funzione opposta –
strumento di emancipazione o di controllo.
6. Verso una sintesi?
Questa tensione irrisolta – tra rappresentazione del mondo e autoreferenzialità, tra
contenuto e forma – rimane uno dei nuclei centrali della teoria letteraria contemporanea. Le
due istanze non si escludono necessariamente, ma possono coesistere in una dialettica: la
letteratura può essere letta come costruzione formale autonoma, ma anche come specchio
(critico, filtrato, deformato) del mondo e della società.
CONTRO LA MIMESIS
1. La critica alla “mimesis” e il ruolo del linguaggio
Tradizionalmente, il concetto di mimesis (dal greco “imitazione”) definiva la letteratura come
una rappresentazione del mondo. La mimesis, nella tradizione aristotelica, implica l’idea che
l’arte e la letteratura imiti la realtà, producendo una rappresentazione verosimile o una
finzione che simula il mondo reale. Tuttavia, le teorie letterarie moderne mettono in
discussione questa concezione, sostenendo che il testo letterario non imita la realtà, ma
piuttosto produce significati all’interno di un sistema di segni.
Ferdinand de Saussure, uno dei fondatori della linguistica strutturale, afferma che il segno
linguistico è arbitrario: non c’è un legame naturale tra la parola e l’oggetto che essa
rappresenta. La significazione dipende dal rapporto differenziale tra i segni, cioè dalla
loro posizione in un sistema di opposizioni (come il concetto di “alta” in opposizione a
“bassa”). In altre parole, il linguaggio non rimanda direttamente alla realtà esterna, ma crea
significati all’interno di sé. Questo implica che non esiste un referente al di fuori del
linguaggio, e la realtà viene sempre interpretata attraverso il linguaggio.
Anche Charles S. Peirce sviluppa una teoria simile, affermando che il legame tra segno e
referente è sempre mediato dall’interpretazione. In questo senso, la semiosi (il processo di
significazione) è “illimitata” perché ogni segno rimanda a un altro, senza mai arrivare a un
referente finale. Il mondo non è dato in modo diretto attraverso il linguaggio, ma è
continuamente interpretato.
2. Jakobson e la funzione poetica
Roman Jakobson, uno dei principali teorici della linguistica strutturale, distingue tra funzione
referenziale e funzione poetica del linguaggio. La funzione referenziale è orientata al
contenuto e al mondo esterno, mentre la funzione poetica è orientata al messaggio
stesso, cioè alla forma e alla struttura del linguaggio. Secondo Jakobson, la funzione
poetica è dominante in letteratura, poiché la letteratura non si limita a rappresentare il
mondo, ma crea significati attraverso l’uso particolare del linguaggio.
Tuttavia, questo approccio ha dei limiti, come sottolineato da Nicolas Ruwet, che ha
tradotto e criticato il lavoro di Jakobson. Una delle critiche principali riguarda l’assenza di
una definizione chiara di “messaggio” e la difficoltà nel comprendere se la funzione poetica
si riferisca alla forma o al contenuto del messaggio. Nonostante questa mancanza di
precisione, la posizione di Jakobson è stata accettata, e si è privilegiato l’aspetto formale
del linguaggio, anziché il suo contenuto referenziale.
3. Barthes e la mimesis come “avventura del linguaggio”
La teoria di Roland Barthes, in particolare nel suo articolo fondamentale “Introduzione
all’analisi strutturale dei racconti”, rifiuta completamente l’idea che la letteratura debba
essere vista come una rappresentazione della realtà. Secondo Barthes, il racconto non è
una rappresentazione mimetica, ma un gioco linguistico. Egli sostiene che ciò che
avviene in un racconto non è altro che linguaggio, e il linguaggio stesso è un’avventura
che non ha alcun legame necessario con la realtà. In questo senso, la letteratura non
“rappresenta” il mondo, ma crea significati attraverso l’uso del linguaggio.
Barthes si ispira a Stéphane Mallarmé, che affermava che il linguaggio si sostituisce al
reale. Secondo Barthes, il linguaggio letterario non deve essere letto come una copia della
realtà, ma come un’autocostruzione del significato. La letteratura diventa così
autoreferenziale, ossia parla di sé stessa e non della realtà.
4. Conclusioni: il superamento della mimesis
Queste teorie si oppongono alla concezione tradizionale della letteratura come imitazione
della realtà, sostenendo che la letteratura è una pratica semiotica e autocontenuta, dove il
linguaggio crea significati senza fare riferimento diretto alla realtà esterna. La funzione
poetica e la narrazione diventano centrali, mentre la referenza alla realtà viene
considerata secondaria o addirittura irrilevante.
La critica alla mimesis ha portato a una comprensione della letteratura come un campo
autonomo, dove il significato è costruito e non rappresentato. Le teorie contemporanee
della letteratura, influenzate dalla linguistica strutturale, rifiutano l’idea che i testi debbano
essere letti come una finestra sul mondo reale e pongono l’accento sul linguaggio come un
sistema di segni che produce significati indipendentemente dalla realtà che questi segni
potrebbero rappresentare.
LA MIMESIS DENATURALIZZATA
1. La mimesis nella teoria letteraria classica
Aristotele e la Poetica
● La mimesis per Aristotele non è semplice imitazione della realtà, ma
rappresentazione verosimile di azioni umane.
● L’interesse non è rivolto alla riproduzione oggettiva della realtà, ma alla costruzione
di una trama coerente (muthos), che organizzi logicamente i fatti per generare
significato.
● Aristotele distingue tra:
○ Tragedia: rappresentazione in forma diretta delle azioni.
○ Epopea: narrazione in forma indiretta.
●
● La poesia lirica viene esclusa, perché priva di finzione e quindi di mimesis.
● L’accento è posto non sull’oggetto rappresentato, ma sul mezzo e sul modo della
rappresentazione: il linguaggio, la sintassi, la composizione narrativa.
Verosimile e necessario
● Aristotele distingue tra:
○ Necessario (phusis): ciò che appartiene alla natura.
○ Verosimile (eikos): ciò che può accadere, cioè l’umanamente possibile, che
ha potere persuasivo.
●
● Il verosimile è radicato nella dimensione etica e sociale: ciò che è conveniente,
decoroso, accettabile per una determinata società.
2. La mimesis nella teoria moderna e postmoderna
Lo slittamento interpretativo
● A partire dal XX secolo, la teoria letteraria ha stravolto il concetto aristotelico di
mimesis, reinterpretandolo alla luce del pensiero strutturalista e semiotico.
● La mimesis viene ridotta a convenzione linguistica o culturale, e la sua connessione
con la natura (eikos) viene rimpiazzata dal consenso sociale (doxa).
● Il verosimile non è più ciò che è possibile secondo natura, ma ciò che è credibile
secondo l’opinione comune o le ideologie dominanti.
Dal reale al linguaggio: semiosis vs. referenza
● Con autori come Saussure e Peirce, si afferma l’idea che non c’è più referenza
diretta al reale: ogni significato nasce da relazioni differenziali tra segni o da catene
infinite di interpretazioni.
● La letteratura, per la teoria, non rappresenta la realtà, ma gioca con il linguaggio
(semiosis).
● Si afferma così la visione autoreferenziale: la letteratura parla solo di se stessa
(Barthes, Mallarmé), e ogni pretesa di realismo è vista come illusione ideologica.
3. Critica della teoria moderna: la mimesis tradita
La contraddizione teorica
● La teoria antimimetica si è spesso rifatta ad Aristotele per giustificare la sua
posizione, pur tradendo il significato originario del suo pensiero.
● Si è passati da una mimesis come rappresentazione razionale e strutturata del
possibile, a una mimesis come costruzione ideologica e autoreferenziale, svuotata
del legame con il reale.
Il ruolo della narrazione e l’oblio della descrizione
● Influenzati da Levi-Strauss e dalla linguistica strutturale, i teorici hanno privilegiato la
narrazione come struttura sintattica, a scapito della descrizione, che sarebbe troppo
legata al contenuto e alla referenza.
● Questo ha portato a una narratologia formale che ignora la dimensione
rappresentativa del linguaggio letterario.
IL REALISMO: RIFLESSO O CONVENZIONE
Realismo e mimesis: da riflesso a convenzione
1. Mimesis, realismo e ordine borghese
● La mimesis, cioè l’imitazione o rappresentazione della realtà, è storicamente
connessa al realismo, e per estensione al romanzo come genere dominante della
modernità.
● Il romanzo si sviluppa insieme all’individualismo moderno e alla borghesia, dentro un
contesto sociale capitalistico. Di conseguenza, il realismo viene letto anche come
una forma ideologica che supporta e naturalizza l’ordine borghese.
● Criticare il realismo, e quindi la mimesis, significa mettere in discussione l’ideologia
dominante e la sua presunta “neutralità” estetica.
2. La posizione di Auerbach
● In Mimesis, Auerbach afferma che la letteratura occidentale ha come compito
centrale quello di rappresentare la realtà in maniera autentica, attraverso le
esperienze vissute dagli individui e i conflitti sociali.
● Secondo lui, il realismo è un progetto progressivo di fedeltà all’esperienza umana,
non una maschera ideologica.
3. Critica della mimesis come trasparenza
● A partire dal Novecento, molti teorici hanno messo in discussione questa idea:
○ Michel Foucault, in Le parole e le cose, critica la metafora della trasparenza
linguistica, cioè l’illusione che il linguaggio possa rappresentare la realtà
senza mediazioni.
○ Jacques Derrida demolisce l’idea del linguaggio come “presenza”, cioè come
veicolo immediato del reale.
○ In generale, la teoria post-strutturalista sostiene che ogni rappresentazione è
costruita, mediata, interpretata, mai neutrale.
●
4. Il realismo come codice, non riflesso
● La teoria letteraria contemporanea non vede più il realismo come un riflesso del
reale, ma come un sistema di convenzioni formali e testuali, non più “naturale” di altri
generi.
● Il realismo ha delle regole: non rappresenta il mondo “così com’è”, ma lo organizza
secondo un codice narrativo che appare naturale perché culturalmente interiorizzato.
● La stessa idea che il linguaggio possa “copiare” la realtà è oggi considerata una falsa
coscienza linguistica.
5. Jakobson: la definizione formale del realismo
● Roman Jakobson, linguista strutturalista, nel 1921 propone una definizione formale
del realismo:
○ Il realismo privilegia figure retoriche come metonimia e sineddoche (relazioni
di contiguità).
○ Al contrario, Romanticismo e Simbolismo prediligono la metafora (relazioni di
somiglianza).
●
● Nel 1956, Jakobson conferma questa visione in Due aspetti del linguaggio e due tipi
di afasia, affermando che:
○ L’autore realista costruisce il racconto attraverso digressioni metonimiche,
collegando l’intreccio a dettagli ambientali e psicologici.
○ Si compiace nell’uso della sineddoche, cioè nel mostrare il tutto attraverso
una parte (es. un oggetto che evoca un’intera classe sociale).
●
6. L’influenza della pittura astratta
● La teoria letteraria francese (Barthes, Lévi-Strauss) si ispira all’astrattismo pittorico, e
considera il realismo solo come una delle tante convenzioni artistiche, al pari delle
regole della tragedia classica o del sonetto.
● In questo contesto, la narrazione viene privilegiata rispetto alla descrizione (che è più
legata alla mimesis e alla referenza).
● L’eccessiva astrazione, tuttavia, rischia di negare il contenuto semantico del testo,
ILLUSIONE REFERENZIALE E INTERTESTUALITA’
1. La crisi del referente
● La linguistica di Saussure sostiene che la lingua è un sistema di forme, non di
sostanze: le parole non hanno alcun legame naturale con le cose che indicano.
● Da questo principio segue che il linguaggio non può “copiare” la realtà, ma solo
costruire significati per differenza tra i segni.
● Se la lingua è un sistema chiuso di segni arbitrari, la letteratura non può
rappresentare il reale: può solo simulare questa rappresentazione.
2. L’illusione referenziale
● Secondo Roland Barthes, l’idea che la letteratura riproduca il mondo è solo
un’illusione, costruita da strategie linguistiche.
● In S/Z Barthes afferma che un testo non è eseguibile come un copione, quindi non
fornisce un accesso diretto al reale.
● La letteratura manipola i segni in modo da occultare la convenzionalità del codice
linguistico, creando un effetto di naturalità, che egli chiama effetto di reale.
3. Semiosi, non mimesis
● Per Barthes e la teoria post-strutturalista, non c’è un referente che preceda il
linguaggio. Il “reale” non è qualcosa di dato, ma è costruito narrativamente,
attraverso la semiosi.
● La semiosi è un processo illimitato dove ogni segno rimanda ad altri segni, non a una
realtà esterna: non c’è copia del mondo, ma solo costruzione di senso.
4. Dal mondo ai testi: l’intertestualità
● Poiché ogni testo è fatto di altri testi, la letteratura non parla del mondo ma di altri
discorsi, di altre rappresentazioni.
● È il concetto di intertestualità: ogni testo è un crocevia di citazioni, allusioni,
stereotipi, cliché, stili e generi precedenti.
● Quello che chiamiamo “realtà” è in realtà un codice, un montaggio di elementi testuali
già dati.
5. Verosimiglianza come codice
● La verosimiglianza diventa allora l’unica forma accettabile di rapporto con la realtà:
non ciò che è vero, ma ciò che sembra plausibile in base a un codice condiviso.
● Un esempio è il locus amoenus, ricorrente nella letteratura antica e rinascimentale:
usato anche per descrivere terre esotiche, non rappresenta l’America o l’Oriente
reali, ma riproduce modelli retorici tradizionali.
6. La seconda generazione della teoria letteraria
● La prima generazione (anni ’60-’70) si concentra sulla immanenza del testo, sulla
sua struttura linguistica chiusa.
● La seconda generazione (anni ’80 in poi) si apre all’intertestualità, ma non per
recuperare la realtà: si apre alla biblioteca, cioè all’insieme della tradizione testuale e
culturale.
● Il mondo resta fuori dal testo: il testo si collega ad altri testi, non alla realtà esterna.
● la sua capacità di dire qualcosa sul mondo.
SIAMO PASSATI DALLO STRUTTURALISMO AL POSTSTRUTTURALISMO
1. Dallo strutturalismo al post-strutturalismo
● Lo strutturalismo concepiva il testo come struttura chiusa, analizzabile in termini di
sistema, regole e funzioni linguistiche.
● Il post-strutturalismo rompe questa chiusura, ponendo il testo in una rete dinamica di
relazioni: non esistono testi isolati, ma ogni testo è parte di un tessuto più ampio di
significati, voci e altri testi.
2. Kristeva e la nascita dell’intertestualità
● Julia Kristeva, nel 1966, conia il termine intertestualità, reinterpretando il pensiero di
Bachtin.
● Per Kristeva: “Ogni testo si costruisce come mosaico di citazioni; ogni testo è
assorbimento e trasformazione di un altro testo”.
● L’intertestualità sposta il focus dalla teoria del testo alla produttività testuale, cioè alla
sua capacità di generare significati attraverso i legami con altri testi.
3. Il dialogismo di Bachtin
● Michail Bachtin propone una visione più aperta e socialmente radicata del testo.
● Il dialogismo è la relazione tra un enunciato e altri enunciati: ogni discorso risponde a
discorsi precedenti e chiama altri discorsi.
● Bachtin distingue tra:
○ Opera monologica (es. Tolstoj): una voce dominante, stile unitario.
○ Opera polifonica (es. Dostoevskij): molteplici voci in dialogo, maggiore
apertura al reale.
●
● Nella sua visione, la realtà sociale e storica è inscritta nel testo attraverso la pluralità
delle voci.
4. Genette e la riduzione formale
● Gérard Genette definisce l’intertestualità come una “relazione di compresenza tra
testi”, cioè la presenza effettiva di un testo in un altro (citazioni, allusioni, plagio,
ecc.).
● Questa definizione riduce la portata del dialogismo bachtiniano, spostando il focus su
relazioni puramente formali tra testi.
● L’intertestualità diventa così un gioco interno ai testi, distaccato dalla realtà.
5. Riffaterre e la perdita della referenza
● Michael Riffaterre porta all’estremo questa visione autoreferenziale: la letteratura non
parla del mondo, ma di altri testi.
● Secondo lui:
○ Il contesto (cioè il reale) è fuori dal testo e irrilevante.
○ L’intertesto (i legami con altri testi) è la vera fonte di significato.
○ Solo la lettura intertestuale produce significanza (cioè valore letterario); la
lettura lineare produce solo senso (come nei testi non letterari).
●
● La referenza, quindi, è sostituita dal riconoscimento di codici, generi, stereotipi: il
mondo non esiste più per la letteratura, solo la biblioteca.
6. Dal dialogismo all’intertestualità minore
● Il dialogismo di Bachtin era un’apertura al mondo, alla storia, alla società, alla
pluralità ideologica.
● Nella sua evoluzione verso la teoria francese, si è verificato un progressivo
isolamento del testo:
○ Da struttura dialogica radicata nella realtà → a sistema chiuso di
citazioni.
●
● La conseguenza: l’intertestualità non è più relazione con il mondo, ma relazione fra
testi, autosufficienza del linguaggio.
I TERMINI DELLA DISCUSSIONE
1. Intenzione e interpretazione
• Ogni testo letterario è un atto illocutorio, cioè compie un’azione (promettere,
minacciare, rispondere) attraverso le parole, secondo John Austin.
• Interpretare significa ricostruire l’intenzione dell’autore, ma l’intenzione non è
premeditazione: non implica conoscere ogni dettaglio o avere un progetto definito.
• L’intenzione va intesa come ciò che l’autore voleva dire usando quelle parole, non
come un disegno mentale precedente alla scrittura.
• L’interpretazione riguarda quindi il senso del testo, non semplicemente il significato
linguistico o il progetto conscio dell’autore.
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2. Mimesis e realtà
• Secondo la tradizione classica (Aristotele), la mimesis è rappresentazione del
verosimile, non del vero: ciò che può accadere per natura o per convenzione umana.
• La teoria letteraria moderna ha messo in crisi la mimesis, sostituendola con la
semiosis, cioè con l’idea che la letteratura non rappresenta la realtà ma costruisce
significati attraverso i segni.
• Si è passati dalla letteratura come imitazione della natura alla letteratura come
autonomo sistema di segni, autoreferenziale.
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3. Critica della mimesis
• Con Saussure e Peirce si afferma che non esiste una relazione diretta tra parole e
cose: il linguaggio è arbitrario e relazionale.
• Barthes e Jakobson propongono che la letteratura non descrive il mondo, ma
costruisce il messaggio focalizzandosi sulla forma e non sulla referenza.
• Levi-Strauss, Barthes e la narratologia francese hanno privilegiato la narrazione
rispetto alla descrizione, riducendo l’interesse per la rappresentazione del reale.
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4. Realismo e ideologia
• Il realismo è stato a lungo legato alla rappresentazione della realtà, soprattutto nel
romanzo borghese e ottocentesco.
• Ma per la teoria moderna, il realismo è solo un codice tra altri, un’illusione
generata da convenzioni testuali.
• Barthes parla di “effetto di reale”: ciò che ci sembra realistico è solo una
costruzione retorica e intertestuale.
• Foucault e Derrida criticano l’ideologia della trasparenza, cioè l’illusione che il
linguaggio possa riflettere direttamente il mondo.
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5. Illusione referenziale e intertestualità
• Secondo la linguistica saussuriana, la lingua è forma, non sostanza: non può
rappresentare direttamente il mondo.
• Barthes afferma che il referente è prodotto della semiosi, non un dato esterno. I
testi non si riferiscono alla realtà, ma ad altri testi.
• L’intertestualità (Kristeva) nasce come concetto dinamico e dialogico (Bachtin), ma
viene ridotta a combinazione formale di testi da Genette e Riffaterre.
• Per Riffaterre, l’unica vera referenza nella letteratura è l’intertesto: la letteratura
parla solo di sé e degli altri testi.
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6. I termini della discussione
• Si contrappongono due visioni:
• Tradizione mimetica: la letteratura rappresenta la realtà.
• Tradizione teorica moderna: la letteratura è un sistema chiuso di segni che
parla solo di sé stessa.
• Ma questa alternativa è riduttiva. È possibile pensare a modi alternativi di
intendere la referenza, che non siano né imitazione diretta né puro gioco
autoreferenziale.
CRITICA DELLA TESI ANTIMIMETICA
1. La critica alla tesi antimimetica di Barthes
Barthes, nel saggio S/Z, attacca l’idea che il romanzo – anche quello più realista – possa
davvero “rappresentare” la realtà. Sostiene che un testo letterario non è eseguibile come un
copione o un manuale: non si può applicare in modo diretto alla realtà, e quindi non ha
referenzialità. Ma questa tesi è considerata fuorviante, perché riduce il realismo a una
capacità operativa immediata, come se la letteratura fosse destinata a essere messa in
scena passo per passo. L’argomento appare debole: persino un manuale tecnico è difficile
da seguire senza errori, e nessuno pretende che un romanzo sia un manuale pratico.
2. Il “barometro” e l’effetto di reale
Nel celebre saggio L’effet de réel, Barthes prende come esempio un barometro citato da
Flaubert in Un cuore semplice. Il dettaglio non ha funzione apparente nella trama, e Barthes
lo interpreta come un segno inutile che serve solo a creare l’illusione di realtà. Non
comunica alcuna informazione narrativa, ma funziona come una strizzata d’occhio realista:
rende verosimile il racconto, fingendo un’aderenza alla realtà che in realtà è solo
convenzione.
Secondo Barthes, il realismo è un codice che si maschera da natura, un sistema di segni
che costruisce l’illusione referenziale facendo credere che il linguaggio rimandi direttamente
al reale.
3. La critica di Christopher Prendergast
Prendergast smonta l’argomento di Barthes sottolineando le sue contraddizioni logiche:
● Se Barthes afferma che la referenza è un’illusione, sta comunque parlando del reale,
quindi implicitamente ammette che la realtà esista e che se ne possa parlare.
● Barthes, inoltre, ricorre a metafore teatrali e retoriche (come “collusione” o
“allucinazione”) per sostenere la sua tesi: è una drammatizzazione teorica che
convince più per stile che per solidità logica.
● L’“effetto di reale”, descritto come un’allucinazione linguistica, è paragonato alla
sospensione dell’incredulità di Coleridge, che però non è un inganno, ma una scelta
cosciente del lettore.
4. Il punto di vista di Riffaterre
Riffaterre offre una distinzione chiave:
● Nel linguaggio quotidiano, le parole rimandano verticalmente a oggetti reali.
● Nel linguaggio letterario, la significazione è orizzontale: le parole interagiscono fra
loro all’interno del testo, e il significato emerge dal tutto, non dal legame diretto col
reale.
Riffaterre sostiene che:
● La letteratura non è referenziale: non parla del mondo, ma del proprio linguaggio e
degli altri testi (intertestualità).
● L’unica “referenza” che conta in letteratura è intertestuale.
● L’effetto di reale, quindi, non è illusione nel senso patologico barthesiano, ma una
costruzione semiotica interna al testo.
L’ARBITRARIETA’ DELLA LINGUA
1. L’influenza della linguistica di Saussure e Jakobson sulla teoria letteraria
La teoria letteraria francese, in particolare quella di Barthes, si fonda sull’interpretazione
arbitraria della linguistica di Saussure e Jakobson. Barthes, influenzato da questi pensatori,
sviluppa una lettura che nega la referenzialità del linguaggio, sostenendo che il linguaggio
non ha accesso diretto alla realtà, ma è un sistema di convenzioni, un prodotto arbitrario. Si
concentra sulla funzione poetica del linguaggio a scapito della sua funzione referenziale.
Tuttavia, Saussure non affermava che la lingua fosse arbitraria in senso assoluto. Egli
sosteneva che il legame tra significante (la forma del segno) e significato (il concetto che
esso esprime) fosse arbitrario, ma non la lingua nel suo complesso. In altre parole, il sistema
linguistico è arbitrario solo nel modo in cui segni (parole) sono associati ai significati, ma non
è arbitrario nel senso che non parli mai della realtà.
2. La teoria di Saussure: Il valore e la significazione
Nel “Corso di linguistica generale”, Saussure parla di significante e significato come due
elementi separati che si combinano per formare il segno linguistico. Tuttavia, l’arbitrarietà del
segno non implica che il linguaggio non parli del mondo. Il capitolo su “Il valore” di Saussure
è fondamentale: il valore di un segno dipende dalle relazioni che esso intrattiene con altri
segni nel sistema linguistico. La lingua non rappresenta un “oggetto” esterno, ma crea una
rete di significazioni attraverso relazioni interne tra i segni.
La metafora di Saussure del “foglio di carta” è importante per comprendere la teoria della
significazione: il linguaggio non è una riproduzione del mondo, ma una selezione di
segmenti da un continuum di suoni e idee. Saussure propone che l’origine della lingua
consista in un ritaglio arbitrario di concetti e suoni, ma questo non esclude che il linguaggio
possa comunque riferirsi al mondo attraverso il suo sistema di segni e valori.
3. Barthes e l’estensione del concetto di arbitrarietà
Barthes, riprendendo le idee di Saussure, generalizza l’arbitrarietà a tutto il linguaggio, non
solo al legame tra significante e significato, ma anche alla produzione del senso. Per
Barthes, il linguaggio è un sistema arbitrario e convenzionale che non ha legami diretti con
la realtà, ma costruisce una visione del mondo che è interamente determinata dal codice
linguistico. La lingua, dunque, non è neutra o trasparente, ma costituisce una visionarietà del
mondo che limita e condiziona la nostra percezione del reale.
Questo approccio porta Barthes a criticare l’idea che la lingua possa rappresentare la realtà.
Egli applica l’idea di Sapir-Whorf (relativismo linguistico) per sostenere che il linguaggio non
solo costruisce significato, ma modella la nostra esperienza della realtà. La lingua non è un
mezzo per accedere alla verità del mondo esterno, ma un strumento che crea una realtà
propria.
4. La “tirannia” del linguaggio e la critica all’ideologia
Barthes, in linea con la sua concezione della lingua come sistema arbitrario e
convenzionale, afferma che il linguaggio è una forma di potere. Parlando del “fascismo della
lingua”, sostiene che la lingua è una legislazione: essa non è solo un mezzo di
comunicazione, ma un sistema di classificazione che sottomette gli individui. La lingua non è
solo un veicolo di pensiero, ma uno strumento ideologico che limita e condiziona la nostra
percezione del mondo.
In questo senso, Barthes riflette su come il linguaggio sia un sistema che maschera la
propria arbitrarietà, facendoci credere che il mondo sia come appare, quando in realtà la
lingua è un dispositivo di potere. La critica all’ideologia diventa parte integrante della teoria
linguistica, poiché ogni classificazione linguistica è oppressiva.
5. La transizione dalla teoria linguistica alla teoria letteraria
Con la teoria letteraria, si passa da una sospensione ingenua della lingua come
“trasparente” rappresentazione del mondo, a un sospetto assoluto nei confronti del
linguaggio e della sua capacità di rappresentare la realtà. L’approccio di Saussure ha aperto
la strada a un pensiero binario e dicotomico che esclude la possibilità di una relazione
diretta tra linguaggio e realtà.
Barthes, e con lui tutta la teoria letteraria francese, ha sviluppato una visione della lingua
come potere assoluto, un codice che determina ciò che possiamo pensare e dire. Tuttavia,
questa posizione porta a una carenza di realtà nella letteratura, perché il linguaggio viene
visto come una struttura autosufficiente che non è più legata al mondo esterno.
6. La critica alla visione dicotomica e la necessità di reintrodurre la realtà
Per uscire dalla logica binaria del pensiero linguistico che separa arbitrariamente la lingua
dal mondo, è necessario riconoscere che, se l’essere umano ha sviluppato la facoltà
linguistica, l’ha fatto per parlare delle cose del mondo, non solo per costruire significati
interni al linguaggio stesso.
Reintrodurre un po’ di realtà nella teoria letteraria significa riconoscere che la lingua può
ancora riferirsi al mondo e che non tutte le interpretazioni linguistiche sono puramente
arbitrarie. La sospensione assoluta della realtà in letteratura può essere superata solo se si
esce dalla logica totalmente arbitraria del linguaggio e si ammette che la lingua, pur essendo
arbitraria, è anche un mezzo per interpretare il mondo, non solo per costruire significati
chiusi e autoriferiti.
LA MIMESIS COME RICONOSCIMENTO
1. Nuova lettura della mimesis aristotelica
Negli ultimi decenni è emersa una terza via interpretativa della mimesis aristotelica. Essa
rifiuta sia l’idea classica di mimesis come copia del reale, sia quella post-strutturalista di
letteratura autoreferenziale. In questa nuova prospettiva, la mimesis è vista come un’attività
cognitiva e creativa, non come una semplice riproduzione.
● Aristotele, nella Poetica (cap. IV), afferma che l’uomo imita per natura e che
attraverso l’imitazione apprende. Dunque, la mimesis è un processo conoscitivo
attivo, non una copia passiva del mondo.
2. Northrop Frye: la mimesis come configurazione intelligibile del reale
Frye, in Anatomia della critica, rivaluta tre elementi della Poetica aristotelica per liberare la
mimesis dal concetto di copia:
● Mythos: l’intreccio degli avvenimenti. Non è una cronaca, ma un ordine narrativo che
dà senso a ciò che accade.
● Dianoia: il tema o pensiero che unifica gli eventi narrati, permettendo al lettore di
cogliere il significato globale dell’opera.
● Anagnorisis: il riconoscimento da parte dell’eroe. Frye lo estende anche al lettore,
che attraverso la lettura riconosce il senso profondo della storia.
Critica: Frye confonde il riconoscimento interno alla finzione (anagnorisis dell’eroe) con
quello esterno (del lettore), sovrapponendo due livelli distinti.
3. Paul Ricoeur: la mimesis come attività narrativa e temporale
Ricoeur, in Tempo e racconto, riprende e amplia l’idea aristotelica di mimesis, definendola
attività mimetica:
● La mimesis non è copia, ma costruzione dell’intrigo (mythos) che rende intelligibile la
successione temporale degli eventi.
● Il racconto è un modello di concordanza, che trasforma la temporalità informe della
vita in una struttura narrativa comprensibile.
Ricoeur distingue tre fasi della mimesis:
● Mimesis I: precomprensione del mondo da parte del narratore/autore.
● Mimesis II: configurazione narrativa vera e propria (l’intreccio).
● Mimesis III: ricezione del lettore/spettatore, che riconosce il senso e ricostruisce la
coerenza della storia.
4. Il racconto come forma di conoscenza
Ricoeur e Frye concordano su un punto centrale: il racconto è una forma di conoscenza. È
uno strumento che:
● Organizza il tempo umano, creando una temporalità narrativa.
● Produce senso, trasformando eventi disordinati in storie coerenti.
● Incrementa il sapere comune attraverso l’esperienza e la riflessione.
5. Terence Cave e l’approccio euristico alla mimesis
Terence Cave, in Recognitions, recupera la funzione euristica della mimesis senza
confondere i livelli narrativi.
● Mette al centro l’anagnorisis come momento culminante dell’identità dell’eroe.
● Collega la mimesis al paradigma cinegetico (cioè della caccia agli indizi), ripreso da
Carlo Ginzburg: il lettore è un investigatore che ricostruisce il senso della narrazione
attraverso tracce e segni.
I MONDI DI INVENZIONE
1. Critica alla concezione semplificata della referenza
● La teoria letteraria (soprattutto strutturalista e post-strutturalista) ha attaccato la
mimesis partendo da una visione manichea della referenza: o la parola si riferisce a
qualcosa di reale, oppure è pura illusione o allucinazione.
● Oggi però si riconosce che questa concezione è troppo rigida: ci sono modi più sottili
per comprendere come il linguaggio possa riferirsi anche a oggetti fittizi.
2. Come funziona la referenza nei testi letterari
● Il linguaggio letterario sfrutta le proprietà referenziali della lingua comune: nomi
propri, deittici, indizi.
● Ma per la logica, perché ci sia referenza, ci deve essere esistenza: una frase può
riferirsi a qualcosa solo se questo “qualcosa” esiste davvero.
● In letteratura questo non avviene sempre:
○ Luoghi reali (es. Parigi) sono referenziali.
○ Personaggi fittizi (es. papà Goriot) non esistono, ma sono trattati dal lettore
come se esistessero.
●
3. Le teorie degli atti linguistici (Austin e Searle)
● John Austin escludeva la letteratura dagli atti linguistici veri e propri: per lui la poesia
o la narrativa non hanno serietà illocutoria, sono giochi linguistici senza forza reale.
● John Searle definiva le affermazioni nella finzione come asserzioni finte, non
impegnative, perché non vincolano chi parla a verità o prova.
● Tuttavia, nella letteratura si trovano atti linguistici realistici (ordini, promesse,
affermazioni) che, pur essendo fittizi, funzionano internamente al testo come se
fossero veri.
4. Filosofia analitica, mondi possibili e mondi di invenzione
● La filosofia analitica ha proposto una soluzione attraverso il concetto di mondi
possibili:
○ Un’affermazione può essere considerata referenziale se è compossibile con il
nostro mondo.
○ Esempio: Papà Goriot alle 8:30 in rue Dauphine è accettabile perché
verosimile, compatibile con il reale.
○ Papà Goriot che disegna cerchi quadrati no, perché infrange la logica interna
del mondo reale e narrativo.
●
5. La logica della finzione
● I mondi di invenzione sono una variante dei mondi possibili: luoghi costruiti dalla
narrazione, internamente coerenti, in cui il lettore sospende volontariamente
l’incredulità.
● La letteratura costruisce un mondo in cui i referenti fittizi “esistono” in modo
funzionale: sono coerenti e verosimili, anche se non reali.
● Finché il testo mantiene questa coerenza, il lettore accetta la finzione come se fosse
vera.
IL MONDO DEI LIBRI
1. Il libro è un mondo: la tesi di Barthes
● In Critica e verità, Roland Barthes afferma che il libro è un mondo.
○ Ne deriva che lo scrittore, davanti al mondo, e il critico, davanti al libro, si
troverebbero nella stessa condizione linguistica: entrambi creano discorsi su
un mondo.
○ Barthes usa questa analogia per equiparare critica e scrittura, negando una
gerarchia tra letteratura di primo grado (l’opera) e di secondo grado (la
critica).
●
2. Contraddizioni e paradossi interni alla teoria
● Tuttavia, Barthes sostiene anche che lo scrittore non parla davvero del mondo,
perché il linguaggio è impotente di fronte al reale.
○ Lo scrittore, quindi, non descrive il mondo, ma parla di un altro libro.
●
● Ne deriva un paradosso: se tra scrittore e mondo c’è sempre il filtro del libro, allora
anche il critico non è mai davanti a un’opera originaria, ma a un libro che è già
mondo.
○ La formula “il libro è IL mondo” non regge logicamente.
○ Piuttosto, la premessa diventa: “il libro è UN mondo” o addirittura “il mondo è
già un libro”.
○ Questo giustifica la visione di un linguaggio autoreferenziale e conferma
l’identificazione tra critico e scrittore solo se il mondo stesso è leggibile come
testo.
●
3. Il rifiuto della realtà: disconoscimento e ambiguità
● Il rifiuto teorico della referenza non è mai assoluto:
○ È simile a ciò che Freud chiama disconoscimento: una negazione apparente
che convive con una convinzione latente che il libro parli comunque del
mondo, o ne costituisca un frammento.
●
● I teorici, pur dichiarando la fine della referenza, continuano a interessarsi al realismo,
fingendo che ciò che leggono sia letteratura pura, ma in realtà mantenendo vivo il
legame con la rappresentazione del mondo.
4. Narratologia e mito: una lettura “pulita” della realtà
● La narratologia ha fornito gli strumenti per continuare a leggere romanzi realistici,
salvando le apparenze moderniste:
○ Ci si può occupare di testi rappresentativi senza ammettere che essi parlano
della realtà.
○ Questo atteggiamento crea una sorta di alibi ideologico, che permette di
restare nel campo del mito.
○ Il mito è una forma ambigua: “ci si crede e non ci si crede”.
●
5. Mallarmé e il limite della referenza
● Spesso si cita Mallarmé: “tutto al mondo finisce in un libro”, a sostegno
dell’autonomia della letteratura.
● Ma Paul de Man chiarisce: neanche Mallarmé elimina il reale:
○ Anche se tende a limitare la referenza, la sua poesia non raggiunge mai il
punto zero della rappresentazione.
○ La poesia rimane mimetica, cioè legata al mondo, anche quando vi si
avvicina per negarlo.
●
6. Conclusione: la letteratura come via di mezzo
● L’invito finale è a superare la logica binaria:
○ Descrizione vs. narrazione, rappresentazione vs. significazione, realismo vs.
formalismo: sono dicotomie sterili che non colgono la complessità
dell’esperienza letteraria.
●
● La letteratura è invece un “luogo di passaggio”, una zona intermedia, in cui si
mescolano referenza e invenzione, realtà e finzione.
Idea centrale
La teoria secondo cui il libro è un mondo cerca di negare il rapporto con la realtà, ma in
verità non fa che riformulare quella relazione in modo più sottile. La letteratura non è né pura
finzione né pura referenza: è uno spazio di mediazione che continua a parlare del mondo
anche quando lo nega.
1. Dilthey: Comprendere, non spiegare
Wilhelm Dilthey ridimensiona le pretese oggettive della filologia positivista, opponendo alla
“spiegazione” scientifica la “comprensione” (Verstehen), più adeguata all’ambito delle
scienze umane. Secondo lui:
● I testi non possono essere spiegati solo attraverso le intenzioni dell’autore.
● L’obiettivo della critica è capire l’esperienza umana di cui il testo è espressione.
2. Husserl e la crisi dell’empatia
Con Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia:
● L’attenzione si sposta sull’intenzionalità della coscienza (ogni atto di coscienza è
“coscienza di qualcosa”);
● Questo rompe l’idea di una empatia diretta con l’autore o con il passato;
● La soggettività dell’interprete diventa centrale, rendendo problematica l’illusione di
un’oggettiva “rivivibilità” del passato.
3. Heidegger: il circolo come condizione esistenziale
Martin Heidegger radicalizza il circolo ermeneutico:
● Ogni interpretazione parte da una precomprensione, cioè da un orizzonte storico-
esistenziale specifico;
● È impossibile capire il passato senza che il presente lo influenzi: la nostra esistenza
(Dasein) condiziona ogni comprensione;
● Il pregiudizio (non in senso negativo) è inevitabile: siamo sempre situati in una storia
che ci precede.
4. Gadamer: Verità, metodo e storicità della comprensione
Hans-Georg Gadamer, in Verità e metodo, porta a maturazione il pensiero ermeneutico:
● La comprensione è sempre storicamente situata: nessun lettore può sfuggire al
proprio orizzonte culturale;
● Non si può ricostruire l’intenzione originaria dell’autore o il significato originario del
testo;
● Ogni volta che un testo è letto, assume nuovi significati: il senso non è fisso, ma si
costruisce nel dialogo tra passato e presente.
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Roland Barthes e la morte dell’autore
Barthes critica la concezione tradizionale di letteratura come espressione di una intenzione
cosciente e volontaria dell’autore. Secondo lui:
● Ciò che rende un testo letterario tale non è l’intenzione lucida dell’autore, ma una
logica interna, spesso inconscia, che si sviluppa nel testo stesso.
● Sebbene proclamasse il ritorno al testo, Barthes non elimina del tutto la figura
dell’autore, riconoscendo che spesso la nuova critica ha solo rafforzato il suo ruolo.
Con il saggio “La morte dell’autore”, Barthes estromette l’autore dal centro
dell’interpretazione:
● Non è più l’intenzione dell’autore a dare senso al testo;
● Il testo è un campo di significati aperto, il cui senso si produce nel linguaggio e nella
lettura attuale.
Barthes vs Gadamer
● Gadamer vedeva ancora la comprensione come una fusione di orizzonti tra il
passato (testo, autore) e il presente (lettore).
● Barthes invece rompe definitivamente il legame tra opera e origine, affermando che
l’opera è priva di contingenza, cioè indipendente dal suo autore e dal suo contesto.
Dal poststrutturalismo alla decostruzione
Con Barthes si passa dallo strutturalismo (analisi oggettiva della struttura del testo) al
poststrutturalismo o decostruzione, dove:
● Il testo è un gioco infinito di significati,
● Il senso non è fisso, ma si costruisce ogni volta nella lettura.
Stanley Fish e il lettore come centro
● Fish porta all’estremo queste idee: nel suo saggio “C’è un testo in questa classe?”,
afferma che non esiste un significato oggettivo del testo.
● Ogni lettore costruisce un significato diverso: non ci sono criteri assoluti per dire se
un’interpretazione è giusta o sbagliata.
● Il lettore sostituisce l’autore come fonte di senso.