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Filomena Papaleo, Il Culto Micaelico Nella Provincia Di Salerno

Il documento analizza il culto micaelico nella provincia di Salerno, con particolare attenzione alla Grotta dell’Angelo di Pertosa-Auletta. Viene esplorata l'origine e la diffusione del culto in Italia meridionale, evidenziando la simbologia delle grotte e il loro significato spirituale. Inoltre, si discute l'importanza storica e culturale del culto dell'Arcangelo Michele, collegandolo a tradizioni religiose e pratiche di culto preesistenti.
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Filomena Papaleo, Il Culto Micaelico Nella Provincia Di Salerno

Il documento analizza il culto micaelico nella provincia di Salerno, con particolare attenzione alla Grotta dell’Angelo di Pertosa-Auletta. Viene esplorata l'origine e la diffusione del culto in Italia meridionale, evidenziando la simbologia delle grotte e il loro significato spirituale. Inoltre, si discute l'importanza storica e culturale del culto dell'Arcangelo Michele, collegandolo a tradizioni religiose e pratiche di culto preesistenti.
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Il culto micaelico nella provincia di Salerno

La Grotta dell’Angelo di Pertosa-Auletta

Filomena Papaleo

ISBN 9788894502039

© 2020 Riproduzione vietata, tutti i diritti ISBN 978-88-945020-3-9


riservati dalla legge sui diritti d’autore

FONDAZIONE MIdA
Località Muraglione 18/20
84030 Pertosa (SA)
www.fondazionemida.it 9 788894 502039
Il culto micaelico nella Provincia di Salerno
La Grotta dell’Angelo di Pertosa-Auletta

Filomena Papaleo
ISBN 9788894502015
© 2020 Riproduzione vietata, tutti i diritti
riservati dalla legge sui diritti d’autore
FONDAZIONE MIdA
Località Muraglione 18/20
84030 Pertosa (SA)
www.fondazionemida.it

impaginazione e grafica

di Romano Siniscalchi
Indice pag.

1. Le origini del culto micaelico e la sua diffusione


in Italia meridionale 9
1.1. Origini e caratteristiche del culto micaelico 9
1.2. La simbologia della grotta 11
1.3. Dal mitreo al santuario micaelico 12
1.4. Tra Bizantini e Longobardi: la diffusione del culto in Italia meridionale 15
1.4.1. Il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano (FG): la nascita
di un modello “internazionale” 16
1.4.2. La conquista longobarda della cavità 18
1.4.3. L’importanza del culto micaelico nell’Occidente medievale 19
1.4.4. Le imitazioni del modello garganico e la Via Sacra dei Longobardi 21
1.5. Santuari, grotte ed eremi dedicati all’Arcangelo Michele in Campania 25

2. Il Culto dell’Arcangelo nel Principato Longobardo di Salerno 29


2.1. La Grotta di San Michele sul Mons Aureus 29
2.2. Altri insediamenti rupestri nella provincia di Salerno 33
2.2.1. San Michele di Basso o di Mezzo a Carpineto di Fisciano 33
2.2.2. Sant’Angelo in Grotta a Nocera Inferiore 34
2.2.3. Grotta di San Michele ad Atrani 35
2.2.4. Sant’Angelo dell’Ospedale a Ravello 35
2.2.5. Sant’Angelo a Gete di Tramonti 36
2.2.6. Sant’Angelo a Campagna 37
2.2.7. San Michele a Valva 38
2.2.8. Sant’Angelo a Fasanella 38
2.2.9. Grotta di Sant’Angelo a Sala Consilina 39
2.2.10. San Michele alle Grottelle di Padula 41
2.2.11. La Grotta di San Michele a Montesano sulla Marcellana 42
2.2.12. San Michele a Valle dell’Angelo 43
2.2.13. Le grotte dedicate all’Arcangelo a Caselle in Pittari 43
3. Il santuario micaelico della Grotta dell’Angelo di Pertosa-Auletta 45
3.1. Origini, preesistenze e continuità di funzione 45
3.1.1. I primi culti praticati nella grotta 46
3.1.2. Divinità e culti pagani nella Grotta di Pertosa Auletta
prima di Michele 49
3.1.3 I reperti di età tardo-antica e medievale 51
3.2. Il monachesimo italo-greco e il culto micaelico nelle Grotte
di Pertosa-Auletta 52

Glossario 56
Catalogo dei Siti 57
Repertorio delle Immagini 75
Bibliografia 109
1. Le origini del Culto Micaelico e la sua diffusione
in Italia Meridionale

1.1. Origini e caratteristiche del culto micaelico

L
a devozione per l’Arcangelo Michele affonda le sue radici in Oriente, dove il
culto dei santi acquisisce, sin dai primi passi della diffusione della religione cri-
stiana, un’importanza tale da rendere necessario ribadirne l’inferiorità rispetto
alla figura di Cristo1. Il culto degli angeli, infatti, rappresenta un primo mezzo attra-
verso il quale recuperare alcuni aspetti del paganesimo e integrarli nel monoteismo
biblico, così da estendere con efficacia la conversione alla nuova religione di Stato
di una larga base sociale ancora fortemente legata ad un ricco e articolato mondo di
divinità ed eroi2.
Agli inizi della diffusione del culto, l’Arcangelo viene generalmente identificato
come patrono delle acque fluviali e curative, medico, guerriero a difesa del popolo
cristiano e psicopompo. Nonostante la figura dell’Archistratega celeste tragga origi-
ne dal mondo giudaico e, più nello specifico, dal sincretismo giudaico-babilonese3,
essa riunisce attributi e funzioni tipici di divinità pagane che, a seconda della con-
notazione geografica, ne influenzano e determinano gli aspetti cultuali.
La devozione, inizialmente, si caratterizza per la forte connotazione iatrica, ovvero
medica e curativa che rappresenta un retaggio della tradizione magico-ritualistica
di matrice babilonese e presenta stretta connessione con le proprietà taumaturgiche
delle acque sorgive. L’Arcangelo Michele progressivamente va a sostituirsi alle co-
siddette divinità “mediche” del pantheon greco-romano, quali Asclepio, Calcante,
Podalirio, ad Apollo, nella sua veste di traghettatore delle anime, e al frigio Attis, il
cui culto, legato al ciclo della vita e alla fertilità, presenta uno strettissimo legame
con l’ambiente montano e le cavità naturali4.
La creazione dei santuari micaelici, quindi, risultò particolarmente influenzata
dall’esistenza di determinate condizioni naturalistico-ambientali quali la presenza
di grotte, anfratti, alture, boschi e, più in generale, di spazi e ambienti che potevano
essere messi in relazione con la nascita di un fiume e più in generale con la presenza
dell’elemento acquatico. Le ricerche topografiche ed archeologiche hanno permesso
di individuare la prima zona di origine del culto nei territori occidentali dell’Asia
minore. Uno dei più antichi luoghi di culto dedicati all’Arcangelo è il santuario di
Chonae, città sorta sul sito dell’antica Colosse, corrispondente all’attuale Konya

1   Paolo, Col. 2, 18-19.


2   Monteleone 2007, pp. 139-141.
3   Mango 1986; Saxer 1985.
4   Per ulteriori approfondimenti circa il collegamento tra Attis e San Michele si rimanda a Mango 1986.

9
in Turchia. Questo santuario, fondato nel III d.C., divenne a partire dalla seconda
metà del V secolo una delle principali mete di pellegrinaggio in Oriente. Nonostan-
te un concilio avesse condannato aspramente la venerazione degli angeli, giudicata
atto di idolatria, tra il V e il VI secolo si assiste proprio nella regione dell’Asia Mi-
nore ad un progressivo proliferare di santuari dedicati a San Michele. In Bitinia, ad
esempio, sorse un importante santuario, successivamente restaurato dall’imperatore
Giustiniano, proprio in prossimità di una sorgente di acque termali, presso cui si
recavano pellegrini provenienti da Costantinopoli5. Altri santuari dedicati all’Arcan-
gelo sono stati identificati in Egitto, in particolare ad Alessandria, dove un santuario
dedicato a Saturno fu riconsacrato all’Arcangelo fra il 313 e il 326 d.C.6. Nella stessa
Costantinopoli il culto micaelico diventa funzionale alla celebrazione del potere im-
periale. Il successo che ebbe in Oriente, infatti, è strettamente legato alla diffusione
di racconti sulla conversione di Costantino che lebbroso e peccatore, sarebbe stato
guarito proprio grazie all’intervento dell’angelo taumaturgo. Proprio alla figura di
questo imperatore viene attribuita, secondo quanto riportato da Sozomeno nella sua
Storia Ecclesiastica, la riconsacrazione all’arcangelo Michele di un santuario prece-
dentemente dedicato al culto di Estia, situato nei pressi di Costantinopoli e identi-
ficato con l’Anaplous sul Bosforo. Il santuario viene descritto da questa fonte come
l’edificio religioso più importante fondato da Costantino nella capitale sul Bosforo,
famoso per le guarigioni miracolose ottenute attraverso l’incubatio, una pratica ma-
gico-religiosa ereditata dal culto di Asclepio7.
Pure nei pressi di Costantinopoli sorgeva una chiesa dedicata a San Michele in So-
sthenion, ricordata da Niceforo Callisto, Procopio di Cesarea, Costantino Porfiroge-
nito e Giovanni di Antiochia, i quali ne attribuiscono la fondazione ora a membri
della gerarchia ecclesiastica, ora ad esponenti del potere imperiale oltre che allo
stesso Costantino. Questa fondazione sostituì, secondo la tradizione, un tempio
dedicato a Zeus Sosthenios o ad un’altra divinità alata, come, ad esempio, Telesforo,
dio guaritore aiutante di Asclepio, e venne consacrata in un momento successivo
rispetto a quello di Anaplous. In aperta concorrenza con quest’ultimo, anch’esso
alimentò una tradizione che ne attribuiva la fondazione a Costantino. L’imperatore,
visitando l’antico tempio pagano, avrebbe interpretato la statua alata come un an-
gelo cristiano e, a seguito di una visione notturna, avrebbe innalzato in quel luogo
una chiesa dedicata all’Arcangelo. La fondazione di San Michele in Sosthenion può
essere inquadrata, cronologicamente, in una fase immediatamente precedente alla
fine del V secolo, dal momento che alcune testimonianze fanno riferimento ad una
visita a questo santuario dell’imperatore Anastasio I nel 515.
Tra il V e il VI secolo a Costantinopoli e nel territorio circostante vennero edificati

5   De Aedificiis 5,3,16-20.


6   Canella, Longo 2014, p. 240.
7   L’incubatio è una pratica magico-religiosa che consiste nel pernottare in un’area sacra per ricevere cure o
benedizioni durante il sonno.

10
15 santuari micaelici8. Una diffusione emblematica dell’importanza e del peso as-
sunti dalla devozione popolare verso questa figura, difficilmente arginabile da par-
te del clero e destinata a radicarsi profondamente nella cultura cristiano-bizantina
come pure a diffondersi con eguale intensità anche nell’universo romano-barbarico.
La diffusione del culto dell’angelo nella parte occidentale della penisola anatolica fu
promossa anche da Giustiniano che se ne servì per rafforzare il prestigio dell’autorità
imperiale9, mentre qualche decennio più tardi si sarebbe affermata, accanto a quella
del taumaturgo, la valenza militare di Michele, l’Archistratega, ovvero il generale
dell’armata celeste, posto a difesa della città di Costantinopoli dall’avanzata della
minaccia musulmana10.

1.2. La simbologia della grotta

S
i ritiene che il culto micaelico si sia diffuso in Occidente a seguito della guerra
greco-gotica, con la riconquista bizantina dell’Italia meridionale dopo la breve
vita del regno ostrogoto fondato da Teodorico. Come già accaduto in Oriente,
l’intervento di Giustiniano divenne fondamentale per la diffusione del culto. Qui,
per una sorta di “transfert di sacralità”11, iniziano a sorgere i primi santuari dedi-
cati, ad instar, ovvero ad imitazione di quelli orientali, sempre collocati in scenari
suggestivi che rispondevano a precise caratteristiche ambientali aderenti agli aspetti
devozionali. Il luogo che per antonomasia costituisce “habitat micaelico” è la grot-
ta, la cui forte connotazione simbolica ha rappresentato il principale attrattore per
le prime forme monastiche e anacoretiche della cristianità orientale. Nelle culture
precristiane, la grotta era ritenuta un luogo di nascita e rifugio, una metafora del
ventre materno che, allo stesso tempo, veniva naturalmente ad incarnare il luogo
di passaggio da una dimensione all’altra, acquisendo caratteri mistici e fortemente
sacrali. Nella simbologia cristiana, la grotta rappresenta la tutela della vita contem-
plativa, «espressione di una scelta consapevole di rifuggire da una dimensione di
agio e di comodità, per abbracciare quella scelta di nascondimento e di povertà fatta
già da Gesù Cristo, il quale secondo la tradizione successiva, già al momento del suo
nascere al mondo sarebbe stato accolto in una grotta»12. Tale spazio naturale è forte-
mente legato, quindi, al concetto di desertum, l’anti-città monastica, il luogo in cui
lo spazio della natura costituisce il mezzo per avvicinarsi a Dio, isolando l’anacoreta

8   Canella 2016, pp. 533-555.


9   Saxer 1985.
10   La stagione delle cosiddette “guerre arabo-bizantine” che vide fronteggiarsi i Califfati arabi e l’Impero
bizantino per l’egemonia sul Nordafrica e il Medio Oriente, ha coperto l’ampio arco temporale compreso tra il
VII e il XII secolo.
11   Canella 2016, p. 547.
12   Rizzone 2013, p. 163.

11
dalle tentazioni della vita mondana. Non a caso i maggiori esponenti del monache-
simo orientale vengono definiti “Padri del Deserto”, monaci, eremiti e anacoreti
che, a partire dal IV secolo, abbandonarono le città prediligendo una vita solitaria
nelle aree desertiche dell’Egitto, della Palestina e della Siria, ad imitazione di Gesù
che trascorse quaranta giorni nel deserto per vincere le tentazioni del diavolo con il
digiuno e la preghiera. La Siria bizantina, in particolare, costituisce una delle aree
in cui ha avuto maggiore diffusione la pratica dell’eremitismo e del monachesimo
rupestre, incoraggiata dalla natura carsica di questa regione13. Il culto micaelico,
sviluppatosi in concomitanza con l’espansione del monachesimo anacoretico, trova
spazio e diffusione proprio in virtù dell’ambiente rupestre. Il carattere apotropaico
e psicagogico14 dell’Arcangelo, unitamente al fascino esercitato nel mondo cristiano
dalle forme di monachesimo strettamente legate al simbolismo della grotta, tra-
sformò l’elemento ambientale in fattore fondamentale e imprescindibile. La grotta,
simbolo dell’abbandono della mondanità, dell’isolamento ascetico, appariva, infatti,
l’unico luogo in grado di garantire il distacco dai beni terreni ed esaltare le virtù
taumaturgiche del Santo, difesa da tutte le forme in cui il male poteva manifestarsi,
incluse quelle espressioni più subdole e nocive, come i disastri naturalistici o i morbi
letali. Le cavità sotterranee, d’altro canto, presentano un’ulteriore valenza. In quanto
vie d’accesso alle profondità della terra, dove risiedevano le entità diaboliche, esse
erano presidiate dall’Arcangelo che ne impediva il diffondersi in superficie. Acqua
e roccia diventano così gli strumenti attraverso cui Michele, il generale dell’esercito
celeste opera in difesa dell’uomo contro il maligno15.

1.3. Dal mitreo al santuario micaelico

I
l culto micaelico soppiantò, progressivamente, culti pagani particolarmente in-
terconnessi tra di loro e legati a spazi sacri peculiari. La scelta della grotta come
principale forma santuariale rispondeva, d’altronde anche alla necessità di con-
vertire rituali pagani ampiamente diffusi e difficili da sradicare, al culto cristiano.
Nello specifico, il culto micaelico si configura quale coerente erede di quello tribu-
tato a due divinità pagane, Attis e Mitra, la cui diffusione nella cultura greco-roma-
na costituisce un evidente esempio di sincretismo religioso tra Oriente e Occidente
16
(Fig.1)

13   Falcioni 2013, pp. 167-169.


14   Per carattere apotropaico e psicagogico si fa riferimento, rispettivamente, alle prerogative dell’Arcangelo
di allontanare il maligno e, allo stesso tempo, di privilegio di accompagnare e pesare le anime dei defunti
davanti a Dio il giorno del Giudizio universale.
15   Silvestrini 2014.
16   Nel caso di Attis e Mitra, si tratta di culti orientali assimilati dalla cultura romana tramite l’influenza
greca, a seguito dell’espansione dell’Impero. Entrambi i culti, giunti a Roma rispettivamente nel I secolo a.C. e
nel I secolo d.C., vennero adottati dalla popolazione dell’Impero e interpretati in chiave misterica.

12
Da Attis, paredro di Cibele, legato ai concetti di rinascita e fecondità, l’Arcangelo
eredita la dimensione bucolica e pastorale, oltre che lo scenario della pratica cultua-
le, costituito da montagne elevate ed impervie, gole profonde e grotte dove l’acqua
di stillicidio acquisisce connotazioni miracolose e salvifiche. Il rapporto di co-di-
pendenza tra Attis e Cibele, inoltre, rimanda al rapporto che in seguito si sarebbe
instaurato tra la Vergine, che proprio dalla Grande Madre eredita caratteristiche e
virtù, e l’Arcangelo Michele che, proprio come Attis, è protettore e guardiano della
più importante figura femminile della religione cristiana.
Più evidenti sono, tuttavia, i caratteri che legano le figure di Mitra e Michele. Il
culto di Mitra ebbe il suo massimo sviluppo soprattutto in Occidente, mentre in
Oriente la sua propagazione fu limitata ad aree specifiche, quali l’Egitto, l’Asia Mi-
nore e la Siria, qui in particolare la venerazione micaelica trova i suoi primi centri
di diffusione. Mitra, nato secondo il mito dalla roccia e, pertanto, fortemente con-
nesso ad un preciso ambiente naturale, la grotta appunto, è una divinità benefica
celeste, portatrice di luce e connessa al culto del Sole, protettrice degli uomini giusti,
esempio di coraggio e di eroismo, di giustizia e di fedeltà ai patti, nume tutelare
invincibile dei combattenti. Attraverso il mondo greco, il mitraismo raggiunse la
penisola italica ed il cuore dell’Impero romano, dove prosperò notevolmente, con
il favore del potere imperiale, pur rimanendo lontano dalla cosiddetta religione di
Stato. Il mitraismo a Roma rimase prerogativa di definiti gruppi sociali. Funzionari
dell’amministrazione imperiale, mercanti e soldati furono, infatti, coloro che veico-
larono questo nuovo culto promuovendone la diffusione, ma furono la complessità
e l’impegno previsto dal percorso iniziatico che lo caratterizzava, ad escludere natu-
ralmente le classi più povere e le donne. I gradi di iniziazione previsti dal culto mi-
sterico, sette in totale, venivano denominati ranghi ed erano connessi ad altrettanti
pianeti e divinità. Il terzo rango, denominato Miles (in latino “soldato”) e dedicato
a Marte, dio della guerra, spiega la fama che la figura di Mitra ebbe nell’esercito. Per
raggiungere tale rango il neofita doveva necessariamente diventare un soldato, trarre
la sua forza dall’esempio di Mitra, forgiando e potenziando il suo valore militare
contro il nemico in battaglia. Altra caratteristica di questo culto è una complessa
simbologia connessa al sacrificio del toro come strumento salvifico. La tauroctonia,
ovvero l’uccisione rituale del toro da parte del dio Mitra, costituisce un elemento
iconografico ricorrente 17. Il luogo di incontro dei seguaci era il mitreo, una cavità
naturale monumentalizzata o una costruzione ex novo che imitava lo spazio ipogeo.
Quando le condizioni lo consentivano, il mitreo era realizzato al di sotto di un edi-
ficio preesistente, in luoghi sotterranei, oscuri e privi di finestre, nelle vicinanze dei
quali vi era spesso una sorgente naturale o artificiale18. Tale scelta, che trae origine

17   Secondo alcuni l’uccisione del toro simboleggerebbe la forza del Sole all’uscita dalla costellazione del Toro
attribuendo alla morte dell’animale il potere di generare vita e fecondità.
18   Per ulteriori approfondimenti sul culto di Mitra si rimanda agli studi di Mastrocinque (Mastrocinque
1998 e segg.) e a Neri 2000, pp. 227-245.

13
dalla nascita per petrogenesi del dio, era imprescindibile, data la natura misterica ed
iniziatica del culto. I principali topoi, ossia i temi peculiari della religione mitraica
in cui si riconoscono maggiori analogie con il Cristianesimo, sono la nascita del dio
in una grotta, il miracolo della fonte, secondo il quale Mitra avrebbe fatto scaturire
l’acqua da una roccia scoccando una freccia, il banchetto mitraico e Mitra che uc-
cide il toro19. In particolare, il legame del dio persiano con l’acqua come elemento
salvifico, con la roccia/grotta e con il toro, costituiscono proprio i caratteri predo-
minanti e distintivi del culto micaelico. La figura di Michele, infatti, non eredita da
Mitra soltanto il carattere guerresco e militare, ma anche la stretta connessione con
il potere curativo attribuito all’acqua. Ancora oggi sono innumerevoli i miracoli che
vengono attribuiti all’Arcangelo in stretta relazione con l’elemento acquatico. La
stessa leggenda di fondazione del santuario di Chonae, considerato il primo san-
tuario micaelico, vede la potenza miracolosa dell’Archistratega celeste esprimersi
attraverso la forza dell’acqua. Secondo quanto descritto nella Narratio de miraculo
a Michaele archangelo Chonis patrato, San Michele avrebbe protetto il suo primo
santuario dalla distruzione provocando con una virga - nient’altro che il caduceo,
emblema delle divinità mediche cui il Santo è generalmente associato - una frattura
nella roccia, in modo da assorbire tutta l’acqua del fiume che stava per inondare il
luogo. Dalla stessa frattura sarebbe poi sgorgata una sorgente miracolosa20 (Fig.2)
Un altro elemento che il culto micaelico sembra abbia mutuato dalla tradizione mi-
traica, seppure con sostanziali differenze, è proprio il toro. La presenza degli animali
in relazione con i santi nelle fonti agiografiche ed iconografiche medievali costituisce
elemento comune e spesso identitario della santità. La sua comparsa nella vicenda
esistenziale del santo ne realizza la trasformazione da antico simbolo di divinità
pagane in messaggero della Provvidenza. Mentre nella tauroctonia l’animale veniva
ucciso, sacrificato per generare nuova vita, nel racconto del Liber de Apparitione
Sancti Michaelis in Monte Gargano, che descrive proprio l’apparizione dell’Arcan-
gelo nella grotta del Gargano, l’animale diventa una sorta di suo messaggero. La
prima Apparitio dell’Arcangelo, infatti, è anticipata dall’episodio del toro. Gargano,
avendo notato che, dopo il pascolo, uno dei suoi tori non era rientrato nella stalla
con gli altri armenti, uscì a cercarlo con un gran numero di servi. Trovato l’animale
che pascolava da solo su di un monte nei pressi di una caverna, adirato, provò a col-
pirlo con una freccia avvelenata che tornò indietro colpendolo. A spiegare lo strano
avvenimento fu l’Arcangelo stesso che, in una visione al vescovo di Siponto, rivelò
l’intenzione di proteggere quella terra, così come aveva protetto il toro, e ordinò di
dedicare la grotta presso la quale pascolava l’animale al culto cristiano21 (Fig.3).
L’episodio agiografico dimostra l’influenza esercitata dalla tradizione mitraica nella

19   Gli aspetti iconografici tipici del culto mitraico che si individuano all’interno delle rappresentazioni
cristiane vengono analizzati in Testini 1979.
20   Monteleone 2007, pp. 142-144.
21   Otranto 1983.

14
definizione del culto micaelico. Anche la sede del culto misterico, il mitreo, ha con-
dizionato la scelta della tipologia santuariale micaelica. La simbologia della grotta e
il legame con l’Angelo, infatti, non dipendono soltanto dalla stretta interconnessio-
ne tra le cavità naturali e il monachesimo orientale, cui si deve la diffusione, come
vedremo, della venerazione per l’Arcangelo in Italia meridionale e, più in generale,
nell’Occidente cristiano, ma sono un retaggio ancestrale che affonda le radici nel
paganesimo più antico. In chiave cristiana, l’oscurità che celava gli adepti al culto
misterico muta, cambia significato, diventa la porta attraverso la quale il demonio
può scaturire dalle viscere della terra e tentare l’umanità. Non bisogna però sottova-
lutare le differenze semantiche sostanziali che i due culti attribuivano allo spazio sot-
terraneo. La grotta mitraica è un luogo segreto che non deve, in alcun modo, attirare
l’attenzione: è nascosta, ne è consentito l’ingresso a pochi eletti i quali soli possono
godere delle meraviglie custodite al suo interno. La grotta micaelica, al contrario,
può essere ornata anche da un unico altare, ma deve essere conosciuta da tutti. Nella
stessa Apparitio garganica, l’Arcangelo usa il toro per attrarre l’attenzione sul luogo
in cui vuole che gli si tributi il culto e ne dichiara il valore, ovvero lo spazio in cui
i peccati possono essere perdonati e le preghiere esaudite. Il potenziale salvifico del
luogo lo rende santo, emanazione diretta della potenza divina, ideale meta di pelle-
grinaggio e di raduno di tutti i fedeli.

1.4. Tra Bizantini e Longobardi: la diffusione del culto


in Italia meridionale

L
e prime attestazioni del culto nella nostra penisola si ritrovano lungo la via
Salaria, dove, a breve distanza da Roma, venne edificata una chiesa in onore
dell’Angelo22, e in Puglia, sul Monte Gargano. A Roma, in particolare, il culto
si diffuse già nel IV secolo come indica la costruzione della Basilica di San Michele
Arcangelo al VII miglio della via Salaria. Le prime attestazioni si rintracciano nel
Martirologio Gerominiano, nel De locis sanctis martyrum quae sunt foris civitatis
Romae23 e nel Liber Pontificalis24. Tali testimonianze, oltre a fornire importanti in-
dicazioni per la localizzazione del santuario portato alla luce nel corso di campagne
di scavo condotte nei primi anni del 2000 ne descrivono alcune caratteristiche. La
basilica era situata sulla collina di Castel Giubileo, nota nel Medioevo come mons
S. Angeli, ovvero monte di Sant’Angelo, nei pressi di una sorgente, rispettando uno

22   Martyrologium Hieronymianum, pp. 532-533.


23   Si tratta di un itinerario per pellegrini della fine del VII secolo. Redatta dal monaco irlandese Adamnano,
l’opera è basata sulle testimonianze personali di viaggio del monaco franco Arculfo in Terrasanta, cfr. Valenti-
ni, Zucchetti 1942, pp. 101-105.

24   Il Liber Pontificalis è una raccolta di biografie di pontefici avviata nel V secolo. Alla fine dell’Ottocento
apparve una delle prime edizioni del Liber Pontificalis a cura di Louis Duchesne (Duchesne 1886-1892),
considerata oggi l’edizione critica fondamentale.

15
schema che richiama i santuari micaelici diffusi in Oriente. Il luogo di culto, che, in
età medievale, venne progressivamente dimenticato, costituiva una pieve rurale de-
stinata alla cura animarum degli abitanti locali, ma era anche una tappa di sosta per i
pellegrini che si recavano a Roma. La presenza di una basilica dedicata all’Arcangelo
nei pressi dell’Urbe contribuì in maniera significativa alla diffusione del culto mi-
caelico in Italia centrale, nonostante il santuario romano non godette della fortuna
che, invece, fu riservata a Monte Sant’Angelo in Puglia25. La vicinanza alla sede
papale, unitamente allo stretto legame che la figura di Michele ha avuto, sin dalle
origini, con il potere imperiale, costituì anzi un limite per la diffusione popolare del
culto che trovò in area sipontina ampio spazio. La fortuna del santuario micaelico
di Monte Sant’Angelo è legata però anche alle vicende politiche della regione come
di tutto il Mezzogiorno peninsulare.

1.4.1. Il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano (FG): la nascita


di un modello “internazionale”

S
econdo la tradizione, la fondazione del santuario garganico risalirebbe all’e-
poca di papa Gelasio (492-496)26. Il santuario garganico (Fig. 4) è del tutto
aderente ai modelli orientali, a cominciare dalla scelta del sito e dalla sostitu-
zione che realizza di preesistenti culti pagani. Il Liber de apparitione Sancti Michaelis
in Monte Gargano, il testo agiografico dell’VIII secolo sopra menzionato, rivelatosi
fondamentale per la ricostruzione della storia del culto dell’Angelo sulla montagna
pugliese, ricorda come, prima dell’affermarsi del Cristianesimo, sul promontorio
garganico fossero onorate divinità quali Calcante e Podalirio, entrambe legate a ti-
pologie cultuali iatrico-divinatorie27. Ed è proprio la preesistenza di culti di analoga
finalità, oltre che le caratteristiche naturali del sito, a favorire l’attecchimento del
culto cristiano-micaelico in quest’area. Il Michele garganico pre-longobardo è es-
senzialmente signore delle acque e guardiano dei confini, esercita la sua forza ctonia
dominando l’ambiente e manifestando i suoi poteri divini attraverso la sua capacità
di far sgorgare le sorgenti dai monti. La grotta stessa diviene veicolo del suo potere
taumaturgico in quanto garante della dimensione sacrale, non solo in virtù dell’i-
solamento totale che consente di raggiungere a chi la frequenta, ma anche per il fa-
scino ancestrale che esercita sull’uomo. Il santuario garganico, per le peculiarità del
suo contesto morfologico-ambientale, diventò presto un vero e proprio “modello

25   Bianchini, Vitti 2003, pp. 218-242.


26  Secondo quanto ipotizzato invece da Giorgio Otranto, i legami economici e culturali tra l’Impero
bizantino e la Puglia settentrionale giustificherebbero una più precoce diffusione del culto in questa regione:
Otranto 1983, pp. 236-245.
27   Si fa riferimento a forme di culto che prevedono rituali legati alla potenza medica e curativa, iatrica per
l’appunto, degli elementi e alle capacità profetiche, divinatorie, trasmesse dalle divinità ad un luogo, un manu-
fatto, una pratica o una persona.

16
insediativo” per la diffusione del culto in Occidente, ponendosi all’origine di quella
che è stata definita da alcuni studiosi la “geografia del sacro”28. La grotta garganica,
infatti, divenne una delle più importanti mete di pellegrinaggio dell’Occidente cri-
stiano già a partire dalla fine del V secolo ispirando la trasformazione di numerosi
altri insediamenti rupestri e ipogei in altrettanti santuari cristiani, oggetto di grande
devozione da parte delle popolazioni locali. La sua fama si propagò ulteriormente
nei secoli successivi comportando attività di monumentalizzazione della cavità gar-
ganica fino al suo totale inglobamento nelle strutture murarie del santuario.
La struttura originaria doveva comprendere due cavità attigue, separate tra loro da
un setto roccioso: una più piccola e avanzata, di circa 3 m di profondità, e una
di dimensioni maggiori, in posizione arretrata rispetto alla prima, che si diramava
nelle viscere della montagna per circa 22 m, in direzione orientale, raggiungendo
nei punti di massima elevazione i 13,5 m di altezza. L’accesso diretto alla cavità era
reso difficoltoso dalla presenza di una depressione antistante all’imboccatura, aggi-
rabile attraverso due varchi posti alle estremità di quest’ultima. Il Liber de appari-
tione fornisce un’importante descrizione della prima struttura cultuale, descrivendo
come dalle pareti situate a nord dell’altare stillasse acqua dolce e benefica, ritenuta
in grado di guarire febbri persistenti. Il testo agiografico, inoltre, riporta il rinveni-
mento da parte dei Sipontini, all’interno di questa piccola apertura, di un’impronta
di piede di fanciullo sull’altare in pietra, attribuita all’Arcangelo Michele e segno
della sua personale consacrazione del sito. Per la presenza di questo segno, la grotta
venne chiamata Apodonia29. La basylica grandis riportata nel Liber viene collocata
invece nella grotta maggiore. Ad essa si accedeva attraverso gradini scavati nella
roccia ed era caratterizzata da una forma molto irregolare. La basylica poteva con-
tenere circa 500 fedeli e al suo interno, su di un rialzo naturale custodiva il vitreum
vas della stilla, ovvero un contenitore in vetro per la raccolta delle acque di stillici-
dio, presso il quale i pellegrini potevano entrare a contatto con le acque curative e
trarne giovamento. Per aggirare il setto roccioso che separava le due grotte, alla fine
del V secolo venne realizzata la cosiddetta longa porticus, un porticato lungo 18 m
che congiungeva i due ingressi posti alle estremità dell’imboccatura. Il porticato,
in pietrame e malta, era costituito da quattro campate con la volta a tutto sesto di
dimensioni differenti. Le prime tre campate si affacciavano nella cavità più estesa
mentre l’ultima comunicava direttamente con l’Apodonia. Le fonti riportano che
verso la metà del VI secolo, mentre la guerra greco-gotica imperversava, Artellaide,
giovane fanciulla costantinopolitana nipote del generale Narsete, si recò in pelle-
grinaggio presso il santuario garganico dove concesse ai Sipontini un contributo in

28   Otranto 2008, pp. 57-58.


29   L’etimologia del termine appare quanto mai complessa. L’ipotesi maggiormente accreditata, in base ad
una versione greca del Liber de Apparitione in cui la parola viene tradotta con la perifrasi π, letteralmente im-
pronta di piede, è che il termine sia stato coniato a partire dalla sua radice greca, che richiama manifestamente
il miracolo dell’impronta dell’Angelo. (Lagioia 2014, p. 184).

17
denaro per la ristrutturazione del luogo di culto30. L’importanza del racconto risiede
nel fatto che dà notizia della necessità di restauri all’interno del santuario, e proprio
al pieno VI secolo risale la realizzazione della navata, elevata tra la longa porticus e la
caverna maggiore. La navata, di pianta trapezoidale, venne realizzata ad una quota
maggiore rispetto all’altezza massima del porticato, in modo da chiudere trasversal-
mente e longitudinalmente la caverna rendendo più agevole il passaggio alla cavità
più piccola. Con la costruzione della navata, realizzata grazie al riempimento della
depressione antistante l’imboccatura già parzialmente colmato dalla realizzazione
della longa porticus, l’accesso all’Apodonia era reso più funzionale.
Con la conquista longobarda cominciarono i primi interventi che modificarono
sostanzialmente la naturale morfologia della cavità allo scopo di ottenere nuovi spazi
funzionali all’esercizio liturgico e alla sosta per i pellegrini. I due ambienti rupe-
stri furono collegati mediante l’abbattimento del setto roccioso che le separava e la
conseguente realizzazione di una scalinata monumentale. Quest’ultima, coperta da
volte a botte, attraversava interamente la navata trapezoidale e, riducendo notevol-
mente il dislivello tra l’Apodonia e la basylica grandis, realizzava un percorso unico
facilitando il passaggio da un ambiente all’altro31. Il complesso venne ulteriormente
ristrutturato nell’XI secolo e nella seconda metà del XIII secolo, sotto la dominazio-
ne angioina, epoca a cui risalgono le modifiche più sostanziali alle strutture origina-
rie nonché l’interramento delle fabbriche di età altomedievale32.

1.4.2. La conquista longobarda della cavità

L
’arrivo dei Longobardi nel contesto garganico si colloca nell’ultimo quarto
del VI secolo, a seguito della fondazione del Ducato di Benevento ad opera
di Zottone nel 570. Le mire espansionistiche longobarde si spinsero più volte
in direzione dell’area sipontina, territorio controllato dall’Impero bizantino, dove
il santuario micaelico attirò la loro attenzione33. La figura dell’Arcangelo Michele
giocò un ruolo fondamentale nella conversione dei Longobardi alla religione cristia-
na. Dopo la loro discesa nella nostra penisola e la conquista dei territori dell’Italia
settentrionale, per poter affermare il proprio dominio e porsi in continuità con i
dominatori precedenti, i Longobardi fecero propri i costumi dei Romani converten-
dosi al Cristianesimo nella forma ariana. Venuti a contatto con la figura dell’Archi-
stratega celeste, il popolo longobardo ritrovò nel santo cristiano i caratteri guerrieri
di Wotan, dio della guerra e del valore militare. La conquista del Gargano e del suo
santuario avvenne per gradi. Secondo quanto riportato da Paolo Diacono, monaco

30   Bertelli 1995, pp. 537-542.


31   Trotta, Renzulli 2003, pp. 736-738.
32   Donvito et alii 2012, p. 134.
33   Campione 2007b.

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benedettino e storico del popolo longobardo attivo nell’VIII secolo, nella Historia
Langobardorum34, nel 642 Alone, duca di Benevento, effettuò una spedizione contro
un manipolo di Slavi sbarcati sulla costa adriatica in prossimità di Siponto, venen-
do catturato e, in seguito, ucciso. A seguito di tale avvenimento, il suo successore
Radoaldo inflisse un’aspra sconfitta agli Slavi e instaurò rapporti di non belligeranza
con i Sipontini. Riconoscendo in questa alleanza una minaccia per i propri interessi
economici e politici, i Bizantini misero a ferro e fuoco il Monte Gargano per im-
pedire ai Longobardi di appropriarsi del Michaelion. Lo scontro tra le due potenze,
tuttavia, ebbe come risultato la vittoria longobarda che, a partire dal 650, determinò
una progressiva crescita e diffusione del culto dell’Arcangelo Michele che divenne
così il “santo patrono” di questo popolo. Il culto micaelico presso i Longobardi ac-
quisì in questo modo un valore “istituzionale” quale strumento utile a legittimare
la conquista e l’esercizio del potere nei confronti del popolo. Assieme ai numerosi
interventi di ristrutturazione del santuario garganico, i Longobardi presero a ride-
finire, a partire dal IX secolo, i caratteri e le pratiche devozionali connesse a questo
culto. Alla data tradizionale del 29 settembre, ad esempio, sostituirono l’8 maggio
come giorno ufficiale delle celebrazioni dedicate all’Arcangelo e della dedicazione
del santuario micaelico, facendo risalire a quel giorno una delle tre apparizioni di
Michele e la stessa vittoria di Grimoaldo I (647-671), duca di Benevento, sui Bizan-
tini. A seguito dell’annessione del Gargano al Ducato di Benevento, la venerazione
dell’Arcangelo si irradiò in tutti i territori longobardi, in quella che la storiografia ha
definito Langobardia Minor35.

1.4.3. L’importanza del culto micaelico nell’Occidente medievale

N
el VI secolo si assiste ad una vera e propria svolta nella dimensione assun-
ta dalla diffusione del culto micaelico. La fama del santuario sul Monte
Gargano, infatti, diede vita a pellegrinaggi che, col trascorrere del tempo,
interessarono un numero sempre maggiore di fedeli, attratti sia dalla sua fama tau-
maturgica che dallo scenario suggestivo offerto dal suo sito. Testimonianze signi-
ficative della celebrità raggiunta dal santuario garganico nell’Occidente medievale
sono ampiamente offerte dalle iscrizioni e dai graffiti lasciati dai pellegrini lungo la
facciata destra della longa porticus (Fig. 5). Queste tracce dimostrano chiaramente
come tra il VII e l’VIII secolo la grotta micaelica costituisse ormai una meta di
pellegrinaggio per diversi popoli europei, in particolare per Franchi, Angli, Sassoni,
Germani, ottenendo rinomanza su scala “internazionale”36. Per avere un’idea di qua-

34  Paolo Diacono (1992).


35   Con il termine Langobardia Minor la tradizione storiografica ha da sempre designato i domini longobardi
dell’Italia centro-meridionale, comprendente i ducati di Spoleto e Benevento.
36   Laghezza 2007.

19
le fosse il raggio d’azione raggiunto dalla celebrità di questo santuario, un notevole
interesse rivestono le iscrizioni in caratteri runici. Cinque di queste, incise a cor-
done, riportano i nomi di altrettanti pellegrini, alcuni di provenienza sicuramente
anglosassone, altri, invece, di origini franche o, addirittura scandinave37. Certo è che
tutte queste iscrizioni, databili con sicurezza a partire dall’VIII secolo, collocano il
santuario micaelico di Monte Sant’Angelo tra le tappe degli itinerari più frequentati
dai pellegrini europei diretti verso la Terra Santa, con una significativa attestazione
della presenza anglosassone e celtica38. Queste stesse testimonianze si rivelano utili
anche per definire i gruppi sociali di appartenenza dei pellegrini. L’alfabeto runico,
infatti, era strettamente legato a pratiche magico-rituali, appannaggio di un ristretto
gruppo di individui, e il suo utilizzo lascia ipotizzare che tali iscrizioni possano esse-
re state eseguite da membri del clero. Questa ricostruzione sembra confermata dalla
presenza di antroponimi anglosassoni.
Il livello d’istruzione, la provenienza e la categoria sociale d’appartenenza di coloro
che giungevano presso il santuario sipontino appare comunque molto eterogenea39,
legata a forme di pellegrinaggio differenti i cui protagonisti possono essere identifi-
cati tanto con i maggiori esponenti del potere laico ed ecclesiastico, quanto con gli
strati più umili della società.
Tra le iscrizioni più interessanti si ricorda quella di Eadrhid Saxo vir honestus, rin-
venuta immediatamente al di sotto dell’epigrafe commemorativa che menziona il
duca longobardo Romualdo II (706-731) e sua moglie Guneperga. La posizione
dell’iscrizione, riferibile, secondo quanto lo stesso autore dichiara, ad un uomo an-
glosassone, unitamente alla qualifica di vir honestus, che nel mondo longobardo
rimandava spesso a piccoli proprietari terrieri, fa ipotizzare che il pellegrino fosse
molto vicino agli ambienti della corte ducale40.
La funzione dei graffiti lasciati dai pellegrini ha certamente intenti commemorativi
oltre che devozionali. Sono testimonianza e memoria del proprio passaggio, sono
il simbolo materiale del rispetto di un “patto” stretto con Dio e, nel caso specifico
di Monte Sant’Angelo, con l’Arcangelo Michele, manifestando la propria fede nel
cammino e la volontà di espiare i propri peccati concependo il pellegrinaggio come
forma penitenziale. Dal punto di vista simbolico, le iscrizioni garganiche possono
essere comparate ai Libri Vitae, registri all’interno dei quali, durante il Medioevo, i
fedeli scrivevano il proprio nome in rappresentazione della propria anima, per essere
ricordati e commemorati in vita e dopo la morte41.

37   Per un approfondimento del tema si rimanda a Arcamone 2007.


38   Spiezia 2006, p. 83.
39   Waldispühl 2020, pp. 137-138.
40   Spiezia 2006, pp. 86-87.
41   Waldispühl 2020, p. 138.

20
1.4.4. Le imitazioni del modello garganico e la Via Sacra dei Longobardi

L
a crescita dell’importanza del culto micaelico nel resto dell’Italia e dell’Euro-
pa medievale fu determinata dall’esportazione del modello garganico e am-
piamente favorita dai Longobardi. Sebbene il culto micaelico fosse diffuso
a Roma e in Italia centrale già nel V secolo, fu solo in Puglia che la venerazione
all’Arcangelo raggiunse uno sviluppo tale da attrarre pellegrini da tutto l’Occidente
cristiano, fino a diventare modello d’ispirazione per numerosi altri contesti. Nume-
rosi sono i santuari che imitano nella disposizione degli spazi e nelle caratteristiche
funzionali il Michaelion sipontino. Secondo la tradizione lo stesso Castel Sant’Ange-
lo a Roma sarebbe stato realizzato ad imitazione della grotta del Monte Gargano. Si
narra, infatti, che, l’Arcangelo Michele apparve a papa Gregorio Magno in occasio-
ne di una processione per invocare la fine della peste che imperversava a Roma. Nel
luogo dell’apparizione, avvenuta in cima al Mausoleo di Adriano, il pontefice avreb-
be così ordinato la costruzione di un oratorio dedicato all’Arcangelo che ricordasse
le fattezze della grotta garganica42. Il caso di Castel Sant’Angelo risulta emblematico
dell’influenza esercitata dal modello garganico, dalla morfologia così caratteristica
del suo spazio sacro che avrebbe eletto l’ambiente ipogeo a luogo preferenziale per
venerare l’Arcangelo.
In Europa il culto attecchì maggiormente in Francia e in Gran Bretagna. In quest’ul-
timo paese, in particolare, si distinguono quattro santuari, localizzati in Northum-
bria, ai confini con la Scozia, fondati tra la fine del VII e l’VIII secolo43. Il culto si
diffuse in maniera abbastanza uniforme nell’isola a partire dall’XI secolo, spesso
associato ad altri culti, in particolare a quello mariano44. In Francia, invece, il culto
micaelico si irradiò attraverso il corridoio del Rodano a partire dal VI secolo. Le
prime fondazioni dedicate all’Arcangelo vennero edificate a Arles ed a Lione, mentre
le prime consacrazioni presso siti d’altura, sia in cima a torri, come nel caso del mo-
nastero di Saint-Maur de Glanfeuil (Maine-et-Loire), sia sulle mura di città come
Reims o Le Mans, risalgono al secolo successivo. Fu, tuttavia, solamente a partire
dalla prima metà dell VII secolo che il culto si diffuse a macchia d’olio in tutto il
territorio francese, portando alla fondazione di grandi santuari come Saint-Michel-
en-l’Herm, edificato dopo il 682 nella Loira, lungo la costa atlantica, Saint-Mihiel,
in Lorena, costruito tra il 708 e il 709, e Saint Michel d’Honau, fondato nel 721 in
Alsazia45.

42   Bouet 2016, p. 60.


43   Nonostante la datazione appaia coerente con la presenza di pellegrini anglosassoni in area garganica, i
primi santuari micaelici britannici sembrano riprendere, nella forma, solo in parte i caratteri del Michaelion di
Monte Sant’Angelo. I luoghi di culto dedicati a Michele in quest’area, infatti, si distinguono per la vicinanza a
cimiteri, fiumi e sorgenti piuttosto che collocarsi nelle cavità naturali.
44   Sulle fondazioni micaeliche in territorio anglosassone si rimanda a Jones 2007.
45  Bouet 2016, pp. 60-61.

21
Sia le fondazioni francesi che quelle anglosassoni si devono alla volontà delle più
alte sfere del potere laico ed ecclesiastico. Tuttavia le fonti disponibili ricordano in
maniera significativa come tutti i santuari micaelici più antichi sorti nei territori
dell’antica Gallia furono realizzati al ritorno dei loro fondatori dal pellegrinaggio al
Monte Gargano.
I santuari ad instar Gargani, ossia costruiti ad imitazione del santuario pugliese,
divennero di moda tra il X e il XII secolo. La grotta, il bosco, la montagna, l’acqua,
la roccia, tutti quegli elementi naturali che caratterizzavano il santuario garganico
si dovevano ripetere per ogni nuova fondazione, nell’Italia centro-meridionale, in
particolare in Molise, come in Lazio e Campania, oltre che nel resto dell’Europa.
Uno dei primi e più celebri esempi di transfert di sacralità e di imitazione dalla grotta
garganica è proprio Mont Saint-Michel au péril de la mer, in Normandia, fonda-
to per volere di Oberto, vescovo di Avranches, che, spinto da una visione onirica
dell’Arcangelo, avrebbe inviato alcuni uomini al Gargano per prelevare pietre e re-
liquie da utilizzare per consacrare il nuovo santuario in Normandia46. La letteratura
agiografica descrive spesso la pratica del prelievo di pignora, frammenti rocciosi di-
staccati dalle pareti del santuario garganico utilizzati per trasferire fisicamente nelle
nuove fondazioni le medesime virtù miracolose attribuite alla grotta garganica. In
particolare, la Revelatio ecclesiae sancti Michaelis archangeli in Monte Tumba47, fonte
anonima dedicata proprio alla fondazione di Mont-Saint-Michel, mostra tra i suoi
scopi, quello di attestare l’autenticità delle reliquie del Monte Gargano trasportate
in Normandia. Secondo questa narrazione, il vescovo Oberto avrebbe inviato dei
chierici presso il Monte Gargano per procurarsi un brandello del mantello dell’An-
gelo e un pezzo della roccia su cui Michele avrebbe lasciato la sua impronta48.
In concomitanza con la ripresa del movimento eremitico e della consacrazione della
cripta garganica nel 1021, la proliferazione di santuari ad instar determinò la nascita
della cosiddetta “via dell’Angelo” che congiungeva il santuario garganico a Mont-
Saint-Michel, al santuario di Saint-Michel d’Aiguilhe a Puy-en-Velay, edificato su
di un importante snodo della via francigena e dedicato nel 962, e al santuario di
San Michele alle Chiuse, o Sacra di San Michele, in Piemonte49. Lungo questa via
sorsero hospitia e xenodochia e, in funzione del pellegrinaggio vennero edificati mo-
nasteri, come quello di San Leonardo di Siponto, strettamente funzionale ai flussi di

46  Sensi et alii 2006, pp. 55-57.


47   Bouet, Desbordes 2009.
48   Laghezza 2007, pp. 99-100; Otranto 2003. L’acquisizione di questi “frammenti sacri” non è docu-
mentata solo per i santuari d’Oltralpe. Anche per realtà più vicine alla Puglia, come ad esempio il santuario
dedicato all’Arcangelo presso il Mons Aureus ad Olevano sul Tusciano è stata ipotizzata la presenza di reliquie
provenienti dalla grotta garganica, evidentemente utilizzate per rafforzarne ulteriormente il ruolo di meta di
pellegrinaggio (Di Muro 2011, p. 47).
49   Per ulteriori informazioni sulla Via dell’Angelo si rimanda ai lavori di Giorgio Otranto (Otranto 1999,
2003 e 2009).

22
pellegrini che percorrevano questi itinerari50.
Se, dunque, originariamente il santuario garganico venne considerato una sorta di
“tappa intermedia” per i pellegrini che da Roma volevano raggiugere la Terra Santa,
la diffusione del culto micaelico in Occidente e il successo avuto dal “modello in-
sediativo” del santuario garganico in Italia come in Europa, ne decretarono la fama
come meta di pellegrinaggio autonoma. Un contributo fondamentale a questo svi-
luppo lo diede certo la civiltà longobarda che elesse Monte Sant’Angelo a “santuario
nazionale” concependo anche la realizzazione di una via sacra in grado di collegare
i principali centri del potere del Ducato di Benevento con il Gargano. Nacque così
quella che viene comunemente denominata Via Sacra Langobardorum, termine con
il quale sono indicati i percorsi che collegavano i possedimenti longobardi dell’Italia
meridionale con l’area sipontina51. Le vie che raggiungevano il santuario garganico
ricalcavano in gran parte i principali assi viari romani, in particolare la via Appia che
da Roma giungeva sino a Taranto e Brindisi, passando per Capua e Benevento, e la
via Traiana che collegava il versante tirrenico con la costa adriatica, attraversando il
centro dell’antica Aecae – presso Troia (FG) – raggiungendo, con la cosiddetta Via
Litoranea, Bari e Brindisi (Fig. 6).
Il collegamento diretto tra Benevento e Siponto era costituito proprio da un diverti-
colo che, snodandosi dalla via Traiana all’altezza di Aecae, sfruttava il naturale corso
del torrente Celone, evitando il passaggio, altrimenti obbligato, per Lucera (FG).
L’importanza dei pellegrinaggi verso Roma e Gerusalemme, e la posizione strategica
di Monte Sant’Angelo all’interno di questi cammini, favorì lo sviluppo di vie di
collegamento tra l’Europa settentrionale ed i Paesi del sud del Mediterraneo. Questa
fitta rete di collegamenti, che prende il nome di via francigena, determinò, a sua
volta, la nascita di pellegrinaggi “in linea”52 diretti ai più famosi santuari micaelici
d’Occidente.
Una fonte importante per la ricostruzione degli ambienti originari santuariali è la
letteratura di viaggio di età medievale53. Tra i testi odeporici più rappresentativi fi-
gura sicuramente l’Itinerarium Bernardi Monaci Franci (Fig. 7). Il racconto di questo
pellegrinaggio, probabilmente composto nel IX secolo54, descrive il viaggio verso

50   Sensi 1999.


51   Sulle vie di pellegrinaggio medievali e sulla cosiddetta Via Sacra dei Longobardi si veda Bertelli 2007;
Corsi 2000; Aulisa 1999; Stopani 1992; Rajna 1912.
52   Con le espressioni di pellegrinaggi “in linea” e “a rete” si riprende una definizione dello studioso Alain
Guerreau elaborata sulla base del bacino di utenza dei cammini. Pertanto, i pellegrinaggi in linea possono
essere definiti come pellegrinaggi “internazionali” che legano luoghi diversi, spesso accomunati dalla stessa
dedicazione, mentre i pellegrinaggi a rete includono tutti quei cammini “locali”, che interessano territori geo-
graficamente vicini e gli strati più umili della popolazione (Guerreau 1982).
53   Detta anche narrativa di viaggio o odeporica, fa riferimento a testi letterari, resoconti e raccolte di notizie,
relativi ai viaggi, inclusi i pellegrinaggi. Numerosi sono gli studi su questo genere letterario, si ricordano Ber-
tolucci Pizzorusso 2011, pp. 9-26; Albuquerque García 2011, pp. 15-34; Bueno, Rouxpetel 2009, pp.
1-11; Peyer 2009; Otranto 2009; Valentini, Zucchetti 1942.
54   L’Itinerarium Bernardi venne pubblicato per la prima volta nel 1672 e successivamente nel 1879 in Itinera

23
la Terrasanta compiuto tra l’867 e l’870 da Bernardo, che si autodefinisce monaco
di nazionalità franca, accompagnato dallo spagnolo Teudemondo e dal campano
Stefano.
Il viaggio inizia a Roma, dove i tre monaci si recano per ricevere la benedizione di
papa Nicolò I (858-867) e la sua autorizzazione a compiere il viaggio. Il pellegrinag-
gio prende inizio dal Monte Gargano, di cui il monaco lascia una breve descrizione.
La grotta-chiesa garganica, secondo quanto riportato, «disponeva di più altari e po-
teva contenere una sessantina di persone; al suo interno, verso Oriente, era esposta
un’immagine di San Michele, mentre sul lato meridionale, sull’altare del sacrificio
eucaristico, pendeva un vaso, nel quale venivano deposte le offerte: a capo della co-
munità, costituita da molti fratres, era l’abate Benignato».
Dopo la visita al santuario micaelico, i tre monaci raggiungono la Terrasanta imbar-
candosi da Taranto e facendo scalo ad Alessandria d’Egitto. Rientrati in Italia, i tre
monaci si recano in pellegrinaggio presso il santuario micaelico sul Mons Aureus a
Olevano sul Tusciano descritto come «una grotta con sette altari: al di sopra vi è una
densa boscaglia. A causa della oscurità nessuno può entrare in questa grotta se non
accendendo delle lampade. Qui era abate Valentino». Il viaggio prosegue poi verso
Roma, dove il monaco franco abbandona i suoi compagni per proseguire, da solo,
al Monte Tomba in Normandia. Mont Saint-Michel si presenta, attraverso le parole
di Bernardo, in tutta la sua magnificenza: «collocato su un monte che si protende
verso il mare per due leghe. Sulla sommità di questo monte c’è la chiesa dedicata a
s. Michele e intorno a quel monte, due volte al giorno, cioè al mattino e alla sera, si
frange il mare e gli uomini non possono salirvi fino a quando il mare non si ritira.
Ma nel giorno festivo di s. Michele, il mare, nel frangersi attorno al monte, non
si congiunge, ma si arresta a mo’ di muro a destra e a sinistra. E in questo giorno
solenne tutti quelli che vengono per pregare possono raggiungere il monte a tutte le
ore: cosa che non è possibile negli altri giorni. Qui è abate il bretone Finimonte55».
All’interno dell’Itinerarium Bernardi, inoltre, sono presenti innumerevoli riferimen-
ti ad episodi e tradizioni legati al culto dell’Arcangelo che ben attestano, assieme alle
accurate descrizioni dei più importanti santuari micaelici altomedievali, la devozio-
ne di Bernardo e dei suoi compagni per San Michele. Devozione condivisa, sulla
scorta dei numerosi racconti di viaggio diffusi sia prima che dopo l’anno Mille, da
tutto l’Occidente cristiano.
Ritornando agli itinerari dei pellegrinaggi micaelici, nelle Marche, in Umbria e nel
Lazio, come anche in Campania e in Molise, i luoghi di culto erano posti in posi-
zioni particolarmente strategiche, in prossimità di importanti vie di comunicazione,
come, ad esempio, la via Annia-Popilia o la via Cassia, svolgendo senza dubbio il
ruolo di snodo sia per i pellegrini che per i pastori che conducevano le greggi in

Hierosolymitana et descriptiones Terrae Sanctae bellis sacris anteriora et latina lingua exarata, cfr. Tobler 2018.
55   Le descrizioni dei tre santuari micaelici, tratte dall’ Ititinerarium Bernardi, sono riportate in Otranto
2009, p. 130.

24
transumanza. A ridosso delle strade percorse dai pellegrini, questi luoghi assolveva-
no alla funzione di ospizio durante tutto l’arco dell’anno e, alcuni di questi acquisi-
rono un’importanza tale da divenire, nel tempo, meta di pellegrinaggio a loro volta.
La frequentazione dei santuari posti in posizione eminente, ai margini dei pascoli,
seguiva i tempi della transumanza, concentrandosi tra maggio e settembre, in base
alle direttrici del trasferimento del bestiame dai pascoli estivi a quelli invernali e vi-
ceversa. Il forte radicamento del culto garganico lungo i tratturi percorsi dalle greggi
in transumanza, preponderante lungo la fascia adriatica per via del collegamento,
attraverso Abruzzo e Molise, tra Marche e Umbria con la Puglia, si deve, tra le altre
cose, alla presenza dell’acqua, utilizzata a scopo terapeutico per guarire uomini e ani-
mali56. All’interno di questo scenario, la Campania si configura come una delle re-
gioni maggiormente interessate dalla presenza di santuari micaelici. Una spiegazione
a questa evidenza può essere individuata nella morfologia del territorio campano,
caratterizzato specie nel suo settore meridionale da numerose cavità naturali. Un
ruolo importante in questa diffusione tra il IX e il X secolo, e proprio relativamente
a questa parte della regione, fu svolto anche dal legame fortissimo esistente con il
fenomeno del monachesimo italo-greco.

1.5. Santuari, grotte ed eremi dedicati all’Arcangelo Michele


in Campania

T
ra l’VIII e il IX secolo l’Italia meridionale è stata interessata da una capillare
diffusione di santuari collegati al culto micaelico. Nel perimetro del Ducato
di Benevento sono stati identificati circa duecento luoghi di culto consacrati
all’Arcangelo, «localizzati in un triangolo che ha per vertici Gaeta, Policastro e il
Gargano»57. In particolar modo la Campania risulta essere la regione dell’Italia me-
ridionale più ricca di grotte e di luoghi di culto intitolati all’Arcangelo.
Delle chiese rupestri attestate nella regione ben 28 presentano strutture cultuali,
come vasche e bacini scavati nella roccia o realizzati ex novo, o conservano, nell’in-
dicazione toponomastica, l’intitolazione all’Arcangelo. La maggior parte dei san-
tuari campani dedicati all’Arcangelo si datano tra il IX e il X secolo e quasi tutti
presentano un legame più o meno diretto con il santuario garganico, testimoniato
dall’imitazione dei rituali praticati nel Michaelion sipontino, come l’incubatio e la
raccolta delle acque di stillicidio, oltre che dalle fonti che riportano la pratica del
prelievo dei pignora. Tra le chiese rupestri in cui si evidenzia maggiormente questo
transfert di sacralità si segnalano il santuario di San Michele in cima al Monte Faito,
posto in posizione dominante rispetto al territorio di Castellammare di Stabia, San
Michele presso Preturo di Montoro Inferiore, con affreschi e una vasca per racco-

56   Sensi 2007, pp. 250-262.


57   Righetti Tosti-Croce 1985, pp. 11-33.

25
gliere le acque miracolose sgorganti dalla roccia, e la grotta-santuario sul Monte
Faliesi a Forino.
I santuari micaelici si localizzano sui rilievi appenninici e subappenninici (Fig. 8)58.
Ad eccezione dei santuari di Olevano sul Tusciano (SA) ed Avella (AV), caratteriz-
zati da strutture monumentali realizzate all’interno delle cavità naturali, i luoghi di
culto dedicati in Campania all’Arcangelo sono accomunati dalla presenza di uno o
più altari, di vasche per l’accumulo di acqua di stillicidio e, in percentuale minore,
da interventi architettonici, come la realizzazione di edicole votive in muratura o di
scalinate per favorire il passaggio dei fedeli. Quello che caratterizza e differenzia i
santuari micaelici di questa regione è proprio l’apporto di minimi interventi archi-
tettonici nell’utilizzo delle cavità. Queste ultime vengono abbellite, principalmente
mediante la realizzazione di affreschi e motivi decorativi, testimonianza della devo-
zione dei pellegrini e della committenza. Fatta eccezione per i santuari della costie-
ra amalfitana, posizionati all’interno dei centri abitati o nelle immediate vicinanze
degli stessi, i Michaelia della regione si contraddistinguono per la distanza dalle aree
urbane. Essi, infatti, appaiono arroccati su rilievi, in posizione strategica rispetto alle
vie di comunicazione principale e a pascoli e tratturi legati alla transumanza (Fig.8).
L’attestazione più antica di santuari micaelici in Campania risale al VI secolo ed è
data dalle lettere di papa Gregorio Magno (540 - 604)59. Una delle sue epistole fa
menzione di un oratorio di Sant’Arcangelo, situato a Napoli nel Castro Lucullano60,
cittadella monastica sorta nei pressi della tomba dell’eremita Severino61, la cui salma
venne traslata a Napoli nel 49562.
In tutta la Campania un contributo determinante alla diffusione della devozione
micaelica si deve, come già evidenziato per la Puglia, alla cultura longobarda. Un

58   Ebanista 2006, pp. 389-390. Nella Campania settentrionale sono distribuiti tra il Roccamonfina, dove
è il santuario di S. Michele di Gualana a Fasani di Sessa Aurunca, il Monte Maggiore, con le grotte di S.
Michele a Camigliano e S. Michele a Liberi, e il Matese, con S. Michele a Raviscanina, S. Michele a Curti di
Gioia Sannitica e S. Michele a Faicchio. Nella parte centrale della regione si trovano, invece, i santuari di S.
Michele a Maddaloni, S. Michele ad Avella, Sant’Angelo a Scala, S. Michele a Serino, S. Michele a Preturo di
Montoro Inferiore, S. Michele di Basso a Calvanico, S. Michele di Mezzo a Carpineto di Fisciano, S. Angelo
in Grotta a Nocera Inferiore, S. Michele a Faito, Grotta dei Santi e S. Michele ad Atrani, S. Angelo dell’Ospe-
dale a Ravello, S. Angelo a Gete di Tramonti, S. Michele ad Olevano sul Tusciano, S. Angelo a Campagna, S.
Michele a Valva, ubicati tra i Monti Tifatini, il Monte Partenio, il Monte Terminio, i Monti Lattari e i Monti
Picentini. Nella Campania meridionale, infine, il culto micaelico trova la sua area di diffusione principale tra il
Massiccio degli Alburni, il Cilento e il Vallo di Diano, con S. Michele a Sant’Angelo a Fasanella, S. Michele a
Sala Consilina, S. Michele alle Grottelle a Padula, S. Michele a Montesano sulla Marcellana, S. Michele a Valle
dell’Angelo, S. Michele a Caselle in Pittari e le Grotte dell’Angelo di Pertosa e Auletta.
59   Recchia 1996-99.
60   GREG. Registrum, I, 23, a. 591. È stato ipotizzato che l’ubicazione del Castro Lucullano è da collocarsi tra
la zona di Marechiaro, Gaiola e Nisida e l’odierno Pizzofalcone.
61   Il monaco Severino dopo un periodo di vita eremitica in Oriente, rientrò in Occidente per evangelizzare
il Norico, provincia romana corrispondente all’attuale Austria centrale. Le sue vicende sono note attraverso la
Vita Severini, composta da uno dei suoi discepoli, Eugippio, nel 511.
62   Urso 2017, p. 43.

26
autore anonimo del IX secolo descrive una grotta-santuario realizzata ad instar Gar-
gani su un monte tra Capua, Teano ed Alife, identificato con Monte San Michele
nel comune di Liberi in provincia di Caserta63. La grotta fu consacrata nell’859 a
seguito della vittoria dei Longobardi sui Bizantini a Capua. All’interno della grotta,
Ilario, vescovo di Teano, su esortazione di Landolfo, vescovo di Capua, fece erigere,
secondo la cronaca, un numero non specificato di altari, caratteristica principale del
santuario garganico e delle altre grotte trasformate in luogo di culto a sua imitazio-
ne64.
Ma è soprattutto la provincia di Salerno a distinguersi per la fitta presenza di san-
tuari micaelici. Da quello più noto del Monte Raione ad Olevano sul Tusciano, ai
santuari micaelici nel territorio di Calvanico, dove sono presenti interi complessi
montuosi dedicati all’Arcangelo. Presso Pizzo San Michele, in particolare, si segnala
la chiesa di San Michele di Cima. Più in basso, nel territorio di Fisciano, si attesta
la presenza di una chiesa rupestre dedicata al Santo, denominata San Michele di
Mezzo.
Degli oltre 28 santuari identificati con certezza ancora oggi meta di pellegrinaggio,
ben 16 sono ubicati nel salernitano, in particolare lungo la fascia costiera e nell’en-
troterra sud-orientale. La venerazione di San Michele è presente sia nei territori
tradizionalmente posti nell’area di influenza bizantina, come la Costiera Amalfitana,
sia nei territori dominati dai Principi longobardi di Salerno.
La Campania, pertanto, appare come la regione meridionale più interessata da que-
sto fenomeno devozionale, distinguendosi sia per l’antichità delle testimonianze
storiche ad esso riferite che per il numero veramente rilevante di santuari, nella
stragrande maggioranza rupestri (Fig. 9)65 .

63   Waitz 1978, pp. 467- 488. L’autore cui si fa riferimento è l’anonimo compositore delle Chronica Sancti
Benedicti Casinensis, opera probabilmente redatta dai monaci dell’abbazia di Montecassino, databile al X
secolo.
64   Otranto 2007, pp. 390-391.
65   Martin-Hisard 1994.

27
2. Il Culto dell’Arcangelo nel Principato Longobardo
di Salerno

2.1 La Grotta di San Michele sul Mons Aureus

L
a Grotta di San Michele si apre sul versante sud-occidentale del Monte Raio-
ne, lungo la medio-alta valle del Tusciano (Fig. 10).
Questo Michelaion conobbe una grande fortuna soprattutto a partire dal IX
secolo. Una testimonianza della notorietà del santuario è restituita, come è stato già
ricordato sopra, dall’Itinerarium Bernardi Monachi, il resoconto di un viaggio verso
la Terra Santa redatto da un monaco franco che si fermò ad Olevano proprio sulla
via di ritorno da Gerusalemme intorno all’anno 870. Rimasto colpito dal contesto
ambientale e dalle strutture del santuario, oltre che dalla morfologia della grot-
ta stessa, Bernardo ha lasciato una suggestiva descrizione della cavità, che descrive
come un luogo in cui «nemo potest intrare nisi accensis luminibus»66.
La testimonianza del monaco Bernardo colloca il Michaelion salernitano tra i loca
sanctorum più celebri dell’Occidente cristiano, al pari dei santuari micaelici di Mon-
te Sant’Angelo e Mont Saint-Michel, all’interno dei più importanti circuiti di pel-
legrinaggio che avevano come meta finale da un lato la stessa Roma e dall’altro la
Terrasanta67 (Fig. 11).
Il sito di Olevano è ricordato anche dall’anonimo autore del Chronicon Salerni-
tanum68 quale rifugio del vescovo Pietro II (855-861) in fuga dopo la caduta in
disgrazia del fratello, il principe di Salerno Ademario69. Le fonti che provengono
dal secolo XI, attestano l’importanza di questo santuario come sede episcopale in-
dipendente dalla Chiesa salernitana, definito dalle fonti “sanctam sedem” e i suoi
rettori denominati “episcopi”70. Il sito si articola in due spazi funzionali distinti, uno
interno alla cavità, dove si sviluppa il santuario vero e proprio, l’altro all’esterno,
dove sono stati individuati un monastero, i resti di un piccolo villaggio e strutture
difensive che si trovano a mezza costa e sbarrano i sentieri che conducono alla grotta
(Figg. 12-13).
Il percorso penitenziale si snoda all’interno della grotta, dove viene scandito dalla
presenza di un battistero e di sei sacelli o cappelle, identificabili con i septem altaria

66   Avril, Gaborit 1967.


67   L’importanza rivestita dal sito di Olevano per il culto micaelico, ma anche quale meta di pellegrinaggio,
è ulteriormente sottolineata proprio dal fatto che il racconto di Bernardo fa menzione per il contesto italiano
soltanto del santuario di San Michele del Gargano e delle basiliche degli Apostoli a Roma.
68   Cronaca anonima composta nel X secolo che narra le vicende dei principati longobardi di Benevento e
Salerno tra l’VIII e il X secolo, cfr. Westerbergh 1956, p. 103, cap. 101.
69   Di Muro 2011, p. 8.
70   Ibidem, p. 9.

29
descritti dal monaco franco Bernardo71 (Fig. 14).
Alla luce delle indagini archeologiche condotte nei primi anni Duemila, è oggi pos-
sibile fornire una descrizione diacronica delle vicende insediative del complesso,
che appaiono articolate in quattro fasi. La prima fase insediativa della cavità si data
tra la metà del VI e gli inizi del VII secolo, con la costruzione all’imboccatura della
cavità di un grande muro dello spessore di circa 80 cm, realizzato secondo la tecnica
della muratura a sacco, con una tessitura costituita da pietre calcaree locali di me-
die dimensioni. A questa fase risale anche la realizzazione, sempre all’interno della
grotta, di piccoli recinti funzionali al culto, che costituiscono il primo nucleo del
santuario72. La seconda fase si data tra gli ultimi decenni dell’VIII secolo e la prima
metà del IX. In questi anni l’intera area di accesso al santuario venne modificata con
la regolarizzazione delle asperità delle pareti rocciose e del piano di calpestio e la rea-
lizzazione di strutture in muratura in luogo dei recinti realizzati nella precedente fase
costruttiva. Nella parte orientale venne realizzato l’edificio di dimensioni maggiori,
di pianta rettangolare e articolato su due piani, mentre al centro dell’imboccatu-
ra venne edificato uno scalone monumentale che determinò sostanziali modifiche
nell’area, precedentemente utilizzata con destinazione sepolcrale73.
La scala in pietra costituiva l’asse del complesso santuariale e conduceva, dopo aver
oltrepassato un edificio probabilmente utilizzato come ricovero per i pellegrini, ad
una cappella, la cosiddetta cappella B, finemente decorata con stucchi e affreschi, la
cui realizzazione è databile all’VIII secolo (Figg. 15-16).
Al termine del percorso devozionale, nella parte più interna della cavità, venne rea-
lizzato un ultimo sacello absidato, (cappella G), all’interno del quale doveva essere
conservata una reliquia particolarmente importante, come testimonia la presenza di
una fenestrella confessionis, ossia un’apertura che consentiva la visione o il contatto
tra fedele e reliquia.
All’interno dell’abside sono state rinvenute centinaia di iscrizioni, per lo più croci
graffite o incisioni riguardanti i nomi dei pellegrini, grazie alle quali è possibile ri-
salire ai luoghi di origine di coloro che si recavano al santuario olevanese. Accanto
ad antroponimi di tradizione longobarda come Rotfrid, infatti, compaiono evidenti
tracce di antroponimia di origini franche, come Pipinus 74(Fig. 17).
Una volta giunti presso l’ultima cappella, i pellegrini percorrevano il braccio orien-
tale della grotta per raggiungere una piccola vasca in muratura, utilizzata, analoga-
mente a quanto avveniva nel santuario garganico, per raccogliere le acque prove-
nienti da una sorgente interna. L’acqua sorgiva, considerata taumaturgica sin dall’età
protostorica, veniva raccolta e bevuta dai pellegrini, come sembrano testimoniare

71   Vedi supra par. 1.4.4.


72   Di Muro 2011, pp. 11-12.
73   Sembra tuttavia che l’area non abbia perso completamente la sua funzione sepolcrale. Ancora per questa
fase sono state individuate alcune sepolture.
74   Di Muro, Lamanna 2006, pp. 374-376.

30
pratiche e consuetudini attestate da fonti della prima età moderna. Alla fine del IX
secolo, nella terza fase di ampliamento e rifacimento del santuario, venne edificato
un battistero (Fig. 18). L’aula battesimale, a pianta rettangolare, era interamente
intonacata. Venne realizzata, nella parte occidentale del vano, una vasca circolare,
identificata come fonte battesimale, all’interno della quale sono stati individuati
quattro fori centrali che permettevano il defluire dell’acqua in un canale coperto da
una volta a botte75.
La presenza di un fonte battesimale all’interno o in prossimità di un luogo di culto
dedicato all’Arcangelo non è una cosa insolita. Numerosi, infatti, sono i rimandi al
nesso tra Michele e il rito del battesimo sia all’interno dei Vangeli sinottici che in
quelli apocrifi. Tale legame trova un paralello in Oriente, in particolare nei Micha-
elia di Huarte in Siria, e di Chonae in Frigia, per i quali è documentata la presenza
di battisteri76.
L’ultima fase di monumentalizzazione del sito si colloca tra la seconda metà del X e
gli inizi dell’XI secolo. In questo momento si verifica la demolizione e la riqualifica-
zione funzionale degli edifici altomedievali posti all’ingresso della cavità. La Cappel-
la dell’Angelo (Edificio A) venne ampliata con il prolungamento delle pareti laterali.
Lo scalone monumentale lasciò posto a nuovi edifici per l’accoglienza dei pellegrini,
e venne sostituito da una scalinata, di accesso al sagrato della cappella dell’Angelo,
ancora oggi ben conservata.
La complessità e l’articolazione degli spazi di questo santuario riflettono la longevi-
tà della sua frequentazione. La presenza di un monastero all’esterno della cavità si
spiega con la necessità di custodire il santuario ma anche di organizzare l’accoglienza
dei pellegrini. Il flusso di questi ultimi non dovette essere trascurabile se ha reso ne-
cessaria la realizzazione di ricoveri e di strutture di servizio organizzate alla stregua
del modello garganico. Le indagini archeologiche hanno evidenziato come il com-
plesso rupestre abbia assolto a diverse funzioni nel corso dei secoli. Era certo meta
di pellegrinaggio ma era anche una sede episcopale ed oltre ad assolvere funzione
battesimale era anche luogo di sepoltura, come testimonia il cimitero posto sul pia-
noro tra l’ingresso della cavità e una piccola cappella decorata con stucchi77. Essere
seppelliti all’interno o in prossimità del santuario costituiva un privilegio destinato
a pochi, certamente ai monaci e ad alcuni esponenti dell’aristocrazia longobarda78. I
numerosi reperti rinvenuti nel santuario datano la sua frequentazione tra il VII e il
XII secolo e sono tanto riferibili a produzioni locali, attestando la presenza di attività
artigianali prossime e funzionali alla vita del monastero e del complesso santuariale,
tanto a contesti anche molto lontani, come alcuni oggetti di lusso provenienti dall’I-

75   Di Muro 2011, pp. 14-16.


76   Ibidem, pp. 60-61.
77   Capodanno, Salerno 1992.
78   Per ulteriori approfondimenti sulla funzione cimiteriale del santuario olevanese si rimanda a Di Muro
2017.

31
raq, dall’Africa del Nord, dalla Sicilia, da Roma. Si tratta di altrettante testimonian-
ze che suggeriscono l’origine eterogenea dei frequentatori del santuario come pure
le eventuali reti di scambio in cui lo stesso era coinvolto.
Numerose ipotesi sono state avanzate sullo scopo del pellegrinaggio al santuario del
Mons Aureus. Un ampio consenso degli specialisti converge nell’attribuirgli un carat-
tere prettamente penitenziale, con forti connotazioni funerarie, iatriche e taumatur-
giche. Il cammino tortuoso e irto cui venivano costretti i pellegrini per raggiungere
il Michelaion olevanese costituisce metafora della sofferenza umana e del percorso
di espiazione del penitente, la cui assoluzione era affidata all’intervento del santo. Il
culto di San Michele, nella sua veste di taumaturgo e difensor Dei, veniva collegato
anche alla liberazione dalla possessione demoniaca, ragion per cui il pellegrinaggio
annuale verso il santuario olevanese, così come attestato dalle fonti documentarie,
doveva rappresentare un modo per “prevenire” i peccati e le tentazioni del demo-
nio79.
Le vie d’accesso al santuario, inoltre, sono disseminate di edifici di culto intitolati
a santi guaritori, considerati nella tradizione religiosa come liberatori dal demonio
(Fig. 19).
Lungo la via Campanina, una delle strade secondarie che si diramavano dalla conso-
lare Annia-Popilia, percorrendo il cammino che da Campagna giungeva alla Grotta
di San Michele, erano state erette le chiese di San Cataldo, San Silvestro, San Mar-
tino, Sant’Angelo a Furano, Sant’Agata, Santa Lucia e Sant’Antonino, tutte figure
legate all’Archistratega celeste nella liberazione dalla possessione demoniaca, ma an-
che nella sua funzione taumaturgica80. Già nella vicina Eboli i pellegrini potevano
fare tappa presso la chiesa di San Pietro alli Marmi, dove, a partire dal IX secolo,
erano custoditi i resti di San Berniero, protettore degli ossessi e degli indemoniati.
La presenza di intitolazioni collegate alla liberazione dagli ossessi e alle capacità
taumaturgiche tracciava un vero e proprio “spazio iatrico” funzionale al percorso
tortuoso e pieno di pericoli che veniva, grazie alla presenza di Santi e guaritori, tra-
sformato in strumento di redenzione per il fedele. Questo “cammino terapeutico”
contribuiva a definire il Michelaion del Tusciano come luogo salvifico81. I luoghi di
culto minori disseminati lungo i tratturi e le strade secondarie che conducevano al
santuario erano a loro volta oggetto di venerazione e tracciavano, assieme alla grotta
micaelica, un cammino rituale cadenzato lungo tutto l’arco dell’anno, costituito
da micro-pellegrinaggi, feste e processioni. Le varie chiese, infatti, erano punto di
riferimento importante per i piccoli villaggi pedemontani e il calendario religioso

79   Di Muro 2019, pp. 116-117.


80   Ibidem, pp. 140-146.
81   Tracce documentarie e fonti materiali, secondo quanto riportato in Di Muro 2019 e alla luce delle
indagini archeologiche più recenti, tramandano la pratica, da parte dei pellegrini, di portare al collo pietre,
simbolo dei propri peccati e quindi del valore penitenziale del pellegrinaggio. Queste, presumibilmente, una
volta compiuto il cammino, venivano deposte all’interno della grotta come segno di espiazione.

32
scandiva il ritmo delle attività agropastorali. Non è un caso se le commemorazioni
religiose venivano svolte in precisi momenti coerenti con i cicli agrari e della transu-
manza, quali la semina e la vinificazione, il riposo dei campi, l’inizio della raccolta
dei prodotti, l’alpeggio, la mietitura, il ritorno dai pascoli d’altura e la raccolta delle
olive82. Il santuario olevanese, pertanto, risulta fortemente legato al mondo agro-pa-
storale e alla presenza di reticoli viari importanti, caratteristica che l’eremo condivide
con gli altri luoghi di culto dedicati all’Arcangelo Michele presenti nel salernitano.

2.2 Altri insediamenti rupestri nella provincia di Salerno

L
a devozione per l’Arcangelo nella provincia di Salerno si irradia in area costie-
ra, nel Golfo di Salerno e nell’entroterra. Particolarmente interessati da questo
fenomeno devozionale risultano essere i Monti Alburni e la Valle del Tanagro
(Fig. 20).
I santuari micaelici salernitani, tra i quali, come sottolineato in precedenza, spicca
il Michelaion olevanese, si concentrano prevalentemente in prossimità dell’antica
consolare romana a Regio ad Capuam, anche nota come Annia-Popilia, una evidenza
che permette di ipotizzare, da un lato, l’esistenza di percorsi devozionali connessi
all’area garganica e alla cosiddetta via Sacra Langobardorum, dall’altro l’esistenza di
pellegrinaggi su scala locale legati al mondo agropastorale e ai ritmi della transu-
manza. All’interno di un territorio così circoscritto, da sempre crocevia di popoli
e culture grazie alla sua posizione strategica, la devozione all’Arcangelo Michele as-
sume caratteri peculiari, in parte esito della coesistenza di comunità, usi e costumi
diversi, fonte di nuove tradizioni e nuove forme cultuali.

2.2.1 San Michele di Basso o di Mezzo a Carpineto di Fisciano

I
l santuario di San Michele di Mezzo, in Campania, è situato a 592 m s.l.m., sui
monti di Carpineto, nella zona Scarpa del Monte Torello, nel comune di Fiscia-
no (Fig. 21).
Il santuario è stato edificato all’interno di una cavità, sede di un insediamento mo-
nastico preesistente, secondo la tradizione di origine italo-greca, successivamente
inglobato all’interno dello stesso durante le fasi di monumentalizzazione dell’edi-
ficio83. Il nucleo del santuario rupestre è la grotta che si articola su due livelli (Fig.
22). L’ingresso è costituito da una porta incorniciata in gesso posta al di sotto di un
porticato arcato, che introduce immediatamente nella prima “sala”. In questo am-

82   Ibidem, pp. 144-145.


83   Sul legame tra questo insediamento e la presenza monastica italo-greca si rimanda a Caffaro 1996.

33
biente, sul lato opposto all’ingresso, si trovano un altare e diverse nicchie, con affre-
schi raffiguranti l’Arcangelo. A sinistra dell’altare è posizionato un pozzo di raccolta
delle acque di stillicidio. Attraverso delle scale curve si accede all’altra sala, posta a
quota inferiore, nella quale è presente un altare, databile tra il XVIII e il XIX secolo.
Salendo un’altra rampa di scala si arriva all’interno della chiesa, il cui primo impianto
risalirebbe al XVIII secolo. Il nucleo originario era costituito da una piccola cappella
risalente probabilmente al VII secolo84. Inizialmente la cavità fungeva da ricovero
per i pellegrini, il cui passaggio è testimoniato dalla presenza di pitture rupestri in
seguito incorniciate per mantenerne la memoria a mo’ di dipinto, ancora oggi deno-
minati, nella tradizione popolare, “quadrilli”. A confermare l’origine italo-greca del
sito potrebbe essere la presenza di un affresco, collocato sopra l’altare medievale, che
riproduce l’iconografia della Madonna Odigitria, letteralmente “colei che indica la
strada”, ossia il Cristo bambino che tiene in braccio, protettrice di Costantinopoli
e particolarmente venerata dai monaci bizantini che ne diffusero il culto in tutta
l’Italia meridionale85. Una serie di informazioni disponibili per questo santuario mi-
caelico, anche se alcune di dubbia attendibilità, rimanderebbero ad alcuni passaggi
illustri, quale quello di Papa Gregorio VII che avrebbe visitato il santuario durante
il suo esilio a Salerno nell’XI secolo, e quello di Bernardo di Chiaravalle, in missione
presso i Sanseverino un secolo più tardi86. Tuttavia le prime notizie storiche sulla fre-
quentazione del Michelaion di Carpineto risalgono al XVII secolo fanno menzione
del santuario come S. Angelo in Panicola, associando quindi il luogo di culto alla
presenza di coltivazioni cerealicole. La Grotta di San Michele di Mezzo si pone in
stretta relazione con la chiesa di San Michele di Cima, posta a breve distanza, con la
quale realizza e conclude il percorso di espiazione dei pellegrini i quali dalla grotta,
percepita dall’immaginario collettivo quale sede di entità demoniache, raggiungono
la cima del monte per ottenere la grazia divina. Tradizionalmente, il santuario era
metà di pellegrinaggio il lunedì in Albis e il 29 settembre87.

2.2.2 Sant’Angelo in Grotta a Nocera Inferiore

L
a chiesa di Sant’Angelo ad Cryptam sorge a ridosso di un’ampia grotta che si
apre sul monte Albino, in una propaggine del quartiere Casale del Pozzo, nel
comune di Nocera Inferiore. Il santuario venne edificato tra il 1080 e il 1086
per volere di Pietro Pappacarbone, terzo abate della Badia della Santissima Trinità
di Cava de’ Tirreni. L’edificio di culto aveva, inizialmente, funzione di ospizio per
i monaci del monastero cavense. La chiesa è costituita da tre navate e presenta una

84   Caffaro 1996, pp. 107-110.


85   Noia 2006.
86   Grisci 1962.
87  Caffaro 1980.

34
struttura quadrata con quattro colonne romane di reimpiego che reggono le arcate
a tutto sesto ed un portale d’ingresso, in tufo grigio nocerino, ricavato da un arco
ogivale. L’accesso alla grotta è invece consentito dal giardino esterno adiacente alla
struttura. Dal punto di vista planimetrico, la chiesa presenta due piccole navate
laterali; addossata alla parete destra si trovava una lastra tombale raffigurante Gio-
vanni de Haya, abate della Santissima Trinità di Cava dal 1316 al 133188. Durante i
recenti lavori di ristrutturazione è stato portato alla luce un affresco risalente al XIII
secolo raffigurante una Madonna con Bambino e accanto San Nicola89.

2.2.3 Grotta di San Michele ad Atrani

A
nche il Ducato di Amalfi, rimasto politicamente e culturalmente sempre
legato all’Impero bizantino, fu interessato dalla diffusione di santuari dedi-
cati all’Archistratega. La Costiera amalfitana e i Monti Lattari sono ricchi di
insediamenti rupestri ed hanno costituito, tra il X e l’XI secolo, un luogo di incontro
tra due concezioni monastiche differenti, quella del monachesimo italo-greco, a
vocazione ascetica, e quello occidentale, o latino, a vocazione cenobitica, di cui i Be-
nedettini della vicina Badia di Cava de’ Tirreni costituivano i principali esponenti.
Fuori dal tessuto urbano, in prossimità dei confini con Ravello, la chiesa rupestre di
San Michele de Porta venne edificata in una rientranza naturale del monte Civita,
adattandosi alla conformazione naturale della parete rocciosa. La fondazione di que-
sto santuario si inquadra tra l’XI e il XII secolo. Il sito è raggiungibile percorrendo
una ripida scalinata sormontata da un campanile. Le pareti della Chiesa sono pre-
valentemente occupate da sepolture, da cui la denominazione di “Camposantino”
assunta dopo la trasformazione dell’eremo in chiesa cimiteriale a seguito della pesti-
lenza del 165690. L’intitolazione all’Arcangelo è secondo alcuni studiosi dovuta alla
presenza qui di uno dei più importanti religiosi orientali, San Saba di Collesano,
recatosi in questa parte della Costiera intorno agli ultimi decenni del X secolo91.

2.2.4 Sant’Angelo dell’Ospedale a Ravello

88   Guariglia 1945.


89   Attualmente il luogo, sconsacrato, è di proprietà privata e sede di un ristorante di lusso.
90   Caffaro 1986.
91   Per la diffusione di insediamenti monastici ed asceteri italo-greci in costiera Amalfitana si rimanda ai la-
vori di Abate, Mammato 2018 e Comes 2015; per il più ampio contesto salernitano si vedano invece Caffaro
1986 e 1996.

35
L
a Chiesa semirupestre di Sant’Angelo dell’Ospedale, attualmente denominata
Madonna dell’Ospedale, è situata in località Pianello, sotto la Torre di Grado,
nei pressi del centro storico di Ravello (Fig. 23).
L’edificio cultuale è stato realizzato all’interno di uno scavernamento lungo circa 15
m, cui si accede attraverso l’ingresso della chiesa ricavata al suo interno (Fig. 24).
Le prime fonti documentarie relative al santuario risalgono all’XI secolo. L’edificio
è caratterizzato da una facciata con profilo a capanna incorniciato da colonne ed è
diviso in due ambienti rettangolari, separati da un altare.
Il primo nucleo dell’impianto è costituito da un’abside e da pareti laterali che asse-
condano la naturale conformazione della cavità. Il luogo di culto è stato più volte
rimaneggiato, in particolare nel XIV e nel XIX secolo. A quest’ultima fase di restauri
risale la realizzazione di un affresco raffigurante una Madonna con Bambino. All’in-
terno del complesso, nell’ambiente più esterno, è stata realizzata, al di sotto della
pavimentazione, una cisterna per la raccolta delle acque. Dalla lettura delle fasi edi-
lizie è possibile ipotizzare che la cavità fosse utilizzata, in un primo momento, come
eremo rupestre, solo in seguito inglobata nelle strutture di un cenobio dotato anche
di hospitium per i pellegrini92. Il passaggio dall’eremo al cenobio si concretizzò, dal
punto di vista architettonico, in una serie di ampliamenti dei nuclei originari, con
una progressiva “monumentalizzazione” dello spazio ipogeo e riqualificazione fun-
zionale coerente con il nuovo ruolo di dipendenza della vicina Abbazia benedettina
della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni93.

2.2.5 Sant’Angelo a Gete di Tramonti

I
n località Gete, al di sotto di una rupe molto sporgente, sul versante orientale
del Vallone Caro, si apre una cavità dedicata al culto di S. Michele Arcangelo
(Fig. 25). La cappella rupestre, sorta in relazione ad un precedente luogo di culto
pagano non meglio identificato, è situata accanto ai resti della Chiesa di Sant’An-
gelo, databile al XII secolo e distrutta a seguito di un’alluvione nel 1735 (Fig. 26).
La cappella rupestre occupa interamente la cavità ed è caratterizzata da una pianta
quadrata a due navate, coperta da volte a crociera a sesto acuto, sorrette da pilastri e
colonne. La struttura si chiude in due absidi ed è decorata da un affresco raffiguran-
te la Madonna delle Grazie.
L’ala destra si divide in due parti, una inferiore a tutto sesto, destinata ad uso sepol-
crale, l’altra superiore finemente decorata. Un’ulteriore area sepolcrale è stata indivi-

92   Tale trasformazione risulta coerente con il processo, generalizzato nell’Italia meridionale a partire dalla
seconda metà dell’XI sec., di annessione dei preesistenti eremi e laure di origine italo-greca ai grandi patri-
moni di enti monastici benedettini, processo favorito in gran parte dalla politica religiosa dei conquistatori
normanni.
93   Comes 2015, pp. 285-288.

36
duata all’esterno della grotta, sul lato occidentale del suo ingresso. Il primo nucleo
del santuario si fa risalire alla presenza di monaci italo-greci nel territorio amalfitano
ed è legato al funzionamento della laura di Gete94. La fondazione del santuario
micaelico potrebbe inquadrarsi in un arco cronologico molto ampio, compreso tra
l’VIII e il XII secolo, sebbene la pratica del culto potrebbe risalire, secondo alcuni
studiosi, al V secolo95. D’altro canto nel settore destinato alle sepolture, la presenza
di tre urne cinerarie databili tra il I e il II secolo d.C. attesta l’antichità della frequen-
tazione del sito96.
Verso la metà del XVI secolo, secondo quando tramandato dal verbale della visita
pastorale compiuta nel 1571 dall’Arcivescovo di Amalfi Monsignor Carlo Montilio,
la chiesa rupestre di San Michele Arcangelo fu sconsacrata ob humiditate et pudici-
tia97.

2.2.6 Sant’Angelo a Campagna

L
’eremo di San Michele è situato a 1100 m di altezza sul rilievo di Montene-
ro, nel territorio di Campagna, in posizione preminente rispetto alla vallata
sottostante (Fig. 27). La grotta fu interessata, nel corso dei secoli da diversi
interventi e dalla costruzione di opere murarie sia al suo interno che in corrispon-
denza dell’ingresso (Fig. 28). Le prime tracce documentarie della chiesa rupestre di
San Michele a Campagna risalgono al 1229, tuttavia le origini del santuario possono
essere ricondotte alla fine del X secolo, risultando ancora una volta strettamente
legate a pratiche eremitiche98. Il sito secondo la tradizione attirò un gran numero
di eremiti fino ad una progressiva trasformazione in cenobio benedettino, parallela-
mente alla crescita della sua fama di santità.
Questa cavità ha alimentato diverse leggende sulla figura dell’Arcangelo, a partire
dalla legenda legata alla sua fondazione che attribuisce all’intervento dell’Arcangelo
la cacciata dalla cavità del demonio, il quale qui avrebbe scelto di risiedere diffon-
dendo terrore e sgomento presso gli abitanti locali.
Anche in questa leggenda un ruolo importante è giocato dalla figura del toro, circo-
stanza che rimanda evidentemente all’influenza esercitata dalla tradizione gargani-
ca99. L’edificio ecclesiastico, di modeste dimensioni, venne ultimato nel 1257 e gli

94   Per ulteriori approfondimenti sulle origini dell’insediamento rupestre di Gete di Tramonti si rimanda agli
studi di Kalby et alii 2005.
95   Fiero 1982.
96   Ebanista 2007, p. 134; Caffaro, 1996, pp. 53-54.
97   Per maggiori informazioni Fierro 1992.
98   Ganelli 2005.
99   La leggenda di fondazione del santuario di Montenero ricalca il mito del toro di tradizione garganica.
Infatti, analogamente a quanto narrato nell’Apparitio (cfr. supra par. 1.3.), l’Arcangelo, per manifestarsi ad

37
ambienti adibiti a romitorio e hospitium per i pellegrini vennero isolati e protetti
con una palizzata. Nel XVI secolo la chiesa venne ampliata e decorata con affreschi,
raffiguranti la Madonna, affiancata da san Michele e sant’Antonino, perduti agli
inizi del XVII secolo100.

2.2.7 San Michele a Valva

A
l culto micaelico è dedicata anche la Crypta situata sul Monte Eremita che
sovrasta il territorio di Valva, nell’alta valle del Sele (Fig. 29). La grotta, non
visibile dal basso, è incastonata nella parte alta della parete rocciosa e ospita
un edificio di culto che ne segue l’andamento curvilineo e ne chiude l’ingresso. La
facciata d’ingresso alla chiesa è caratterizzata da un’ampia apertura e da finestre late-
rali, vi si accede dopo aver percorso una lunga ed irta scalinata (Fig. 30).
Lo spazio interno, di lunghezza considerevole, è definito da una volta regolare e
dalla presenza di numerose stalattiti, oltre che da una struttura a baldacchino che
sovrasta un altare in muratura. All’interno della cavità, inoltre, si trova una nicchia
abbellita nel corso del XVIII secolo, che custodisce la statua di san Michele. Nei
pressi dell’altare, scavate nella roccia, sono incastonate due grandi vasche destinate
alla raccolta delle acque da stillicidio. La fondazione del santuario micaelico di Valva
è anteriore all’XI secolo e si inquadra all’interno di un lungo processo insediativo
che ha utilizzato già a partire dall’età protostorica i numerosi ripari in grotta offerti
dal costone roccioso.
Nei secoli medievali l’intero massiccio montuoso fu considerato sacro e il santuario
rupestre ne costituiva il sito di maggior rilievo101. Il santuario è meta ancora oggi
di pellegrinaggio nel giorno dell’8 maggio, dies festus principale legato alla memoria
longobarda, e nel 29 settembre. Esso si colloca, inoltre, in un posizione preminente
rispetto all’antica direttrice che collegava la Sella di Conza a Buccino dove, non
lontano dalla riva destra del corso del Tanagro, si innestava sulla consolare a Regio
ad Capuam o Annia-Popilia102.

un pastore, fa in modo di spingere uno dei suoi tori all’interno della cavità, costringendo, quindi, il vaccaio a
seguirlo.
100   Ganelli 2005, pp. 21-50.
101   Caffaro 1983.
102   L’alta valle del Sele dopo la Sella di Conza si innesta sull’alveo del fiume Ofanto. I corsi di questi due
fiumi costituiscono la linea di attraversamento dell’Appennino meridionale più facilmente percorribile, l’unica
che consentiva in epoca storica un collegamento rapido tra il versante adriatico e quello tirrenico.

38
2.2.8 Sant’Angelo a Fasanella

L
’importanza della devozione all’Arcangelo nella vicenda storica del territorio
di Sant’Angelo a Fasanella appare evidente già dal toponimo dell’attuale Co-
mune. Questo sito rappresenta uno degli insediamenti monastici di afferenza
benedettina storicamente tra i più rilevanti nella regione degli Alburni103.
Della Grotta dedicata all’Angelo fa menzione per la prima volta un documento
datato al 1223, tuttavia le prime fasi di frequentazione sono state fatte risalire al
VII-VIII secolo104. La grotta è a breve distanza dal centro abitato, posta ai piedi
di una parete rocciosa a strapiombo alta 25 m, proprio nei pressi del vallone del
Torrente Melicupo. Internamente la cavità è costituita da un’ampia sala principale
da cui dipartono due cunicoli, il primo sviluppato in direzione NE con funzione
sepolcrale, il secondo articolato in direzione S (Fig. 31). All’esterno, lungo il lato
sinistro dell’accesso al santuario sopravvivono i resti di un complesso abbaziale, con
il campanile, a pianta quadrata, addossato alla parete rocciosa e caratterizzato al suo
interno da colonne sormontate da capitelli in muratura posti ai quattro angoli (Fig.
32).
L’ingresso è costituito da un portale architravato affiancato da due leoni scolpiti in
pietra locale in stile romanico, e introduce in un’ampia sala, al centro della quale è
posta un’edicola, soprelevata rispetto al piano di calpestio, e caratterizzata da coper-
tura a doppio spiovente e due pannelli decorativi raffiguranti l’Angelo annunciante
e la Vergine.
A sinistra dell’edicola è posizionato un altare dedicato all’Immacolata, protetto da
un baldacchino ligneo, e alle spalle di quest’ultimo si sviluppa un breve tratto della
cavità destinato ad area sepolcrale. Qui un arcosolio reca affreschi raffiguranti santa
Caterina d’Alessandria e san Vito, mentre al centro campeggia una statua della Ver-
gine con Bambino benedicente105. A destra dell’ampio antro d’ingresso si colloca il
fastoso altare seicentesco su cui campeggia una statua in marmo di San Michele Ar-
cangelo, realizzata per volontà dall’Abate Fabio Caracciolo. Alle sue spalle un’ampia
depressione del banco roccioso costituisce una sorta di vasca lustrale nella quale ci
si poteva immergere da un piccolo ponte in muratura, di cui rimangono tracce dei
parapetti, ancora in parte recanti tracce di intonaco e affreschi106.

103   Il massiccio montuoso degli Alburni è noto nell’ambiente della Speleologia come il Carso del Sud per la
ricchezza di grotte e inghiottitoi che presenta.
104   Kalby 1991.
105   La figura di San Vito è spesso associata all’Arcangelo, con il quale condivide gli attributi di liberatore
dagli ossessi e taumaturgo. La presenza di raffigurazioni dedicate a questo santo trova un parallelo nel Michela-
ion olevanese, e permette di ipotizzare una pratica di pellegrinaggio penitenziale, finalizzata alla espiazione dei
peccati.
106   Caffaro 1983, pp. 22-31.

39
2.2.9 Grotta di Sant’Angelo a Sala Consilina

I
l culto micaelico nel Vallo di Diano è ampiamente attestato e, in particolare, a
Sala Consilina, dove sono due le cavità naturali ad esso dedicato. La prima grotta
di dimensioni molto ridotte, è posta proprio sotto il santuario micaelico edifi-
cato sul Monte Balzata nel XVIII secolo su un impianto preesistete più volte rima-
neggiato nel corso dei secoli. Il secondo santuario rupestre si colloca ad una quota
decisamente inferiore, alle pendici dello stesso rilievo e lungo un’antica via di comu-
nicazione tra Sala Consilina a Padula, coerentemente agli itinerari della pratica della
transumanza. Si tratta di una piccola cavità cui si accede da un ingresso largo circa
2 m (Figg. 33 e 34). Alcuni gradini conducono ad un piccolo ambiente in cui sono
visibili ruderi di alcuni setti murari. In questa spelonca venne realizzata, tra l’VIII e
il IX secolo, una piccola cappella rupestre, cui fu in seguito associato un romitorio i
cui resti sono ancora visibili nell’area circostante. Questi resti sono stati identificati
con le strutture del monastero di Sant’Angelo in Fonti, descritto da un erudito lo-
cale del ‘700, Costantino Gatta, come un insieme di «rovine di tante fabbriche che
danno un manifesto segno di esser ivi stato un ben grande villaggio, che dal tempio
sudetto S. Angiolo chiamavasi, e abbiamo memorie di autentiche scritture osservi
stato un Monistero di Monache cisterciensi dello ordine di S. Bernardo… come poi
desolati fussero tal Monistero e villaggio, non ne abbiamo avuto fin adesso notizia;
detta Chiesa al presente è Abbadia»107. Di questo monastero, di cui sono visibili i
resti di una torre e di altri setti murari perimetrali, si sa per certo che ha ospitato,
nella prima metà del XIV secolo, una comunità monastica femminile dell’Ordine di
San Bernardo. Il monastero venne abbandonato nel 1348 e trasformato nel Palazzo
feudale di S. Angelo108.
La pianta, ancora visibile, permette di ricostruire l’andamento dell’edificio, svilup-
pato in direzione N S lungo l’asse maggiore della valle e caratterizzato dalla presenza
di due grossi cortili interni divisi dal corpo rettangolare del palazzo. Il lato occiden-
tale della costruzione presenta tre grossi finestroni sormontati da archi acuti, di cui
uno ancora integro, costituito da un arco trilobato in laterizi decorato da archetti
sovrapposti a pieno centro. Il complesso architettonico era completato dalla presen-
za di due fabbriche di minori dimensioni (Fig. 35).
La presenza di un edificio religioso adiacente o inglobato all’interno di una cavità
dedicata all’Arcangelo costituisce un vero e proprio topos architettonico, con richia-
mi evidenti all’archetipo santuariale del Gargano e, ancor più, con il principale
Michelaion campano, quello di Olevano sul Tusciano. Ma lo stesso schema è seguito
anche per l’impianto di alcuni monasteri italo-greci. Esempio eloquente l’Abbazia
di Sant’Angelo a San Chirico Raparo (PZ) fondata da San Vitale da Castronuovo

107   Gatta 1723, p. 75.


108   Per ulteriori informazioni sul Palazzo feudale e sul casale di Sant’Angelo a Sala Consilina si rimanda a
Sacco (2004).

40
proprio sul sito di un preesistente santuario rupestre dedicato all’Archistratega109.
Il Vallo di Diano è stato interessato, come il vicino Cilento da una significativa pe-
netrazione di comunità e monaci italo-greci. La diffusione precoce di questo culto
in questo territorio è verosimilmente da ricondurre alla dominazione longobarda,
tuttavia può aver ritrovato nuovo vigore nel corso del X e XI secolo proprio grazie
allo stretto legame che lo univa alla matrice culturale e alla sfera devozionale bizan-
tina, veicolate nelle terre del Principato longobardo di Salerno proprio dall’insedia-
mento di monaci e comunità italo-greche che fuggivano la minaccia delle continue
incursioni innescate dalla conquista musulmana della Sicilia.

2.2.10 San Michele alle Grottelle di Padula

L
’eremo di San Michele alle Grottelle è situato alle pendici meridionali della
collina della Civita, ad E dell’abitato di Padula, ad una quota di circa 750 m
s.l.m. (Fig. 36). La realizzazione dell’edificio di culto ha inglobato la grot-
ta ovvero un ampio scavernamento che si sviluppa in orizzontale per circa 45 m,
probabilmente già utilizzato in età romana e pre-romana sia a scopi abitativi che
cultuali. L’eremo o santuario rupestre non dista molto dal sito dell’antica Cosilinum,
un centro abitato di origini lucane in seguito diventato municipio romano. Tutto
lo spazio sacro è l’esito di una intesa attività finalizzata alla monumentalizzazione
dell’ambiente rupestre ricorrendo anche all’utilizzo di materiali di reimpiego prove-
nienti dall’abitato di Cosilinum.
Un ampio atrio, costituito da crollo parziale della volta naturale è delimitato da un
muro perimetrale e di contenimento. Da qui si accede al primo ambiente intera-
mente ipogeo caratterizzato dalla presenza di edicole votive affrescate tra il XIV e il
XV secolo (Fig. 37).
Gli affreschi rappresentano, oltre ai ritratti dei committenti, scene di vita della Ver-
gine Maria: l’Incoronazione tra un coro celeste, la Morte della Madonna e la Na-
tività. Si accede quindi al cuore del santuario dove, in un’insenatura della roccia di
forma semicircolare, una sorta di “abside naturale”, è eretto l’altare dedicato all’Ar-
cangelo. Alle spalle dell’altare è stata costruita un’altra edicola votiva, recante un
ciclo pittorico ispirato alla vita di san Giacomo, databile al XIV secolo110.
Sulle prime fasi di occupazione della cavità e sulle origini del luogo di culto si han-
no scarse notizie, sebbene sia possibile ipotizzare un utilizzo dell’eremo da parte
di comunità italo-greche legate al vicino cenobio di San Nicola al Torone, la cui
fondazione si attribuisce tradizionalmente a monaci bizantini. La frequentazione

109   Monaco italo-greco vissuto nel X secolo. Dedito per alcuni anni al romitaggio in Calabria, a causa
della minaccia saracena si rifugiò nei territori dell’antica Lucania, fondando diversi monasteri come quello di
Sant’Angelo a San Chirico Raparo (PZ).
110   Cerenza 1982, pp. 163-169; Caffaro 1980, pp. 10-11.

41
dell’eremo si fa risalire ad un periodo compreso tra il IV e il X secolo ed è possibile
ipotizzare che la devozione micaelica si sia sovrapposta, in età costantiniana, al culto
pagano del dio Attis111. Un’epigrafe reimpiegata alla base del torchio delle cantine
della Certosa di San Lorenzo, sempre nel territorio di Padula, attesta la presenza
di un antico santuario pagano dedicato alla divinità ctonia, presumibilmente ubi-
cato nelle adiacenze della grotta micaelica. L’eremo di San Michele alle Grottelle
presenta, da un punto di vista architettonico e devozionale, una serie di peculiarità
che consentono di associarlo ad importanti santuari e ad itinerari di pellegrinaggio
molto noti alla Cristianità occidentale. Un dato significativo relativo alla pratica
devozionale ancora vitale per questo sito è che oltre ai tradizionali 8 maggio e 29
settembre, è attestato un dies festus dedicato all’Arcangelo nel mese di giugno. Una
specificità che rimanda al calendario liturgico bizantino il quale fissava al 9 giugno
la fondazione di San Michele in Sosthenion da parte dell’imperatore Costantino112.
L’eremo micaelico è strettamente collegato alla consolare Annia-Popilia attraverso
un tracciato ancora oggi denominato “strettola delli monaci”. Gli affreschi dell’e-
dicola votiva dedicata a San Giacomo istituiscono un legame di San Michele alle
Grottelle con un circuito devozionale più esteso, difficile per ora da comprendere
nelle sue implicazioni ma che richiama importanti mete di pellegrinaggio nazionali
e internazionali, quali Compostela113.

2.2.11 La Grotta di San Michele a Montesano sulla Marcellana

L
a Grotta di Sant’Angelo è ubicata in località Eliceto nel comune di Montesano
sulla Marcellana, ad una quota di circa 709 m s.l.m. La cavità è costituita da
due ambienti cui si accede attraverso due scale scavate nel banco roccioso.
All’interno del primo vano, di modeste dimensioni, è visibile un piccolo altare,
mentre, nel secondo, più ampio, sono presenti i resti di nicchie, cappelle e altari, ol-
tre ad alcuni graffiti lungo le pareti laterali. La storia di questo sito, utilizzato anche
con funzione sepolcrale, è molto lacunosa. La trasformazione in luogo di culto della
grotta potrebbe collegarsi alla presenza di comunità monastiche italo-greche docu-
mentata in tutto il territorio di Montesano, ma le prime attestazioni certe di utilizzo
risalgono soltanto al tardo XVII secolo114. L’insediamento di comunità monastiche
italo-greche nel Vallo di Diano si registrano a partire dal X secolo. Verosimilmente
potrebbe essere questo il momento dell’impianto del culto micaelico o comunque
di una rinascita delle pratiche devozionali ad esso legate. Questa eventualità con-

111   Mello 1986, pp. 765-766.


112   In riferimento Michaelion costantiniano si rimanda a Martin-Hisard 2000.
113   Per il rapporto tra gli affreschi di San Michele alle Grottelle a Padula e il cammino di Santiago si riman-
da a Sensi 2005, pp. 765-766.
114   Caffaro 1996.

42
fermerebbe una tradizione locale che individua in questa cavità un antico asceterio
bizantino.

2.2.12 San Michele a Valle dell’Angelo

L
a Grotta di San Michele Arcangelo ubicata nel territorio di Valle dell’Angelo,
in Cilento, si apre lungo le pareti rocciose del Monte Ausinito, in località
Costa della Salvia, ed è accessibile percorrendo un sentiero che attraversa il
fiume Calore. Si tratta di una piccola cavità naturale all’interno della quale sono pre-
senti un altare ed una statua dell’Arcangelo. Numerose sono le leggende e i racconti
popolari che legano questa cavità al culto dell’Angelo e al mondo agro-pastorale,
tuttavia, non esistono attestazioni documentarie certe circa la sua frequentazione in
epoca medievale. Certo è che la denominazione stessa dell’attuale insediamento è
prova evidente dell’importanza che per le comunità locali ha avuto la devozione mi-
caelica in quest’area dell’entroterra cilentano. A circa 200 m dalla cavità è ubicata la
cosiddetta “pietra dell’Angelo”, una roccia cava in cui, secondo un’antica tradizione
i pellegrini erano soliti infilare il braccio per raggiungere metaforicamente le viscere
della terra e godere delle proprietà taumaturgiche e benefiche dell’Arcangelo.

2.2.13 Le grotte dedicate all’Arcangelo a Caselle in Pittari

L
a grotta di San Michele è situata sul versante meridionale del Monte San Mi-
chele, nel comune di Caselle in Pittari, ad una quota di 595 m s.l.m. (Fig. 38).
L’ingresso si apre su una galleria di circa 10 m in fondo alla quale è posto un
altare votivo con una raffigurazione dell’Arcangelo Michele. Alle spalle dell’altare, la
galleria prosegue e si biforca in due passaggi.
Il ramo a nord conduce ad una sala concrezionata al centro della quale è presente
una vasca scavata nella roccia, utilizzata, anticamente, per la raccolta delle acque di
stillicidio. Il ramo a sud, invece, presenta una morfologia più articolata, caratteriz-
zata dalla presenza di stalagmiti ed altre concrezioni. Attraverso un breve passaggio
si raggiunge un primo ambiente, all’interno del quale si trova una depressione na-
turale in cui si raccoglie l’acqua di stillicidio. La camera è collegata ad un secondo
ambiente, di modeste dimensioni, tramite uno stretto passaggio. A circa 15 m di
distanza dall’ingresso della Grotta di San Michele, aperta su un largo spiazzo, si tro-
va la Grotta dell’Angelo che presenta uno sviluppo complessivo di 49 metri. Al suo
interno è ben visibile un piccolo altare votivo decorato con raffigurazioni di angeli.
Entrambe le grotte, come suggerisce l’intitolazione, si inseriscono nell’articolato
sistema di venerazione dell’Arcangelo che interessa i massicci montuosi dell’area
salernitana e, in particolare, di questa parte meridionale del Parco Nazionale del
Cilento, Vallo di Diano e Alburni. La Grotta di San Michele si contraddistingue per

43
la presenza di diversi manufatti. Oltre alle vasche di raccolta delle acque, naturali
o scavate nel banco roccioso dall’uomo, chiaro indizio dell’attribuzione al sito di
capacità terapeutiche, all’interno della cavità si individuano i resti di strutture mu-
rarie, testimonianza di tentativi di monumentalizzazione del santuario. Notevole
importanza, inoltre, riveste il bassorilievo, databile al XII secolo, che decora l’altare
dell’antro di accesso alla grotta (Fig. 39). Il bassorilievo raffigura l’Arcangelo con
scudo crociato, armato di lancia con la quale uccide il drago, mentre intorno alla
figura, sulla cornice, compaiono dei graffiti, tra i quali è ben distinguibile la spirale,
simbolo apotropaico legato alla tradizione longobarda115. Ed è proprio alla volontà
dei principi longobardi di Salerno, in particolare a Guaimario III, che viene attri-
buita la fondazione di un santuario micaelico nei pressi delle due cavità. Qui, tra il
X e l’XI secolo, era stato fondato un monastero, attivo fino al XVII secolo, ceduto
nel 1142 dal vescovo di Marsico, Giovanni II, all’abate della Santissima Trinità di
Cava de’ Tirreni116.

115   Festa 1974-75, p. 43. La spirale, simbolo apotropaico utilizzato da molte culture sin dall’età protosto-
rica, assume, nel corso dei secoli, significati diversi, venendo a costituire principalmente la rappresentazione
ideografica del disco solare, nel suo aspetto del divenire, indicando l’alternanza ciclica del giorno e della
notte e, per estensione del ciclo vitale. Nella cultura longobarda il simbolo della spirale, retaggio delle culture
celtiche, costituisce un motivo decorativo ricorrente, utilizzato sia negli arredi scultorei che nella lavorazione
dei metalli.
116   Ebner 1982, pp. 646-648.

44
3. Il santuario micaelico delle Grotte di Pertosa-Auletta

3.1. Origini, preesistenze e continuità di funzione

L
e Grotte di Pertosa-Auletta si inseriscono all’interno del più vasto compren-
sorio attraversato dal corso del fiume Tanagro, affluente del Sele, nel settore
sud-orientale della provincia di Salerno, non distante dal confine con la Ba-
silicata. La cavità si apre nelle estreme propaggini orientali dei monti Alburni. Essa
rappresenta una tipica risorgente carsica che restituisce in superficie le acque di un
vasto bacino idrografico, quello del fiume Tanagro, appunto, che per il tratto in cui
attraversa la cavità, prende la suggestiva denominazione di fiume Negro perché sca-
turente dalle viscere buie della terra. Il sistema carsico di Pertosa si sviluppa per circa
3 km ed è costituito da tre rami principali, denominati “Ramo turistico”, “Ramo
speleologico” e “Ramo della sorgente”. Aperto al pubblico dagli anni Trenta del
Novecento, il “Ramo Turistico”, attraversabile in barca per diversi metri, culmina in
prossimità della cosiddetta “frana terminale”, un ripido ambiente in salita riempito
da un crollo che si lascia attraversare da una forte corrente d’aria fredda, segno che
la grotta si sviluppa oltre questa barriera. Il “Ramo speleologico”, invece, si trova
in posizione centrale rispetto agli altri due, ed è costituito da abbondanti depositi
fangosi. Durante il periodo invernale, quando le piogge sono particolarmente ab-
bondanti, questo ramo viene allagato per diversi tratti. Il “ramo della sorgente”,
infine, rappresenta il settore della cavità meglio conservato, in quanto meno inte-
ressato dalla frequentazione umana. Questo ramo, totalmente immerso nelle acque,
termina nel cosiddetto “Sifone a polla”, una sorgente da cui attualmente proviene la
maggior parte delle acque che scorrono nella grotta117 (Fig. 40).
L’importanza archeologica della cavità venne intuita per la prima volta nel settembre
1897 da Paolo Carucci, professore di Scienze naturali e medico della vicina città di
Caggiano, il quale rinvenne, dopo un rapido sopralluogo, alcuni frammenti cerami-
ci frammisti a materiale osteologico. Le prime vere e proprie indagini archeologiche,
tuttavia, vennero svolte da Giovanni Patroni, vice Ispettore del Museo Nazionale di
Napoli, nel luglio del 1898. Le campagne archeologiche di fine Ottocento, unita-
mente alla ripresa degli studi nei primi anni Duemila, hanno portato alla luce un
importantissimo giacimento archeologico, esteso per circa 100 m, nell’area dell’an-
tegrotta del cosiddetto “Ramo turistico”. Si tratta dell’unico insediamento palafit-
ticolo ad oggi rinvenuto all’interno di una cavità naturale. L’area archeologica è
totalmente obliterata dalle acque di un invaso artificiale. Circostanza questa che se
da una parte nasconde all’occhio umano questi importanti resti, dall’altra ha pre-
servato dalla distruzione i pali lignei della palafitta, per la maggior parte ancora in

117   Larocca 2002.

45
situ. A caratterizzare l’intero contesto è la durata delle sue fasi di frequentazione che
si estende, a più riprese, dall’età protostorica fino ai giorni nostri118. La conforma-
zione geomorfologica delle Grotte di Pertosa-Auletta, infatti, contraddistinte da un
ampio ingresso posto in posizione dominante rispetto alla vallata sottostante e dalla
presenza del copioso torrente che ne attraversa le ramificazioni, rende questo sito
un luogo privilegiato per una frequentazione a scopo cultuale119. Le fasi di frequen-
tazione maggiormente attestate dai reperti archeologici si inquadrano tra la media
età del Bronzo e l’età romana e preromana, mentre per quanto riguarda la fase me-
dievale, l’utilizzo con finalità sacre del suo spazio si evince evidentemente dalla sua
intitolazione “Grotte dell’Angelo”, documentata a partire dall’X-XI secolo. Le tracce
materiali della devozione all’Arcangelo appaiono chiare già ai primi studiosi che si
interessarono al sito: «a dritta dell’entrata» dove «quasi al mezzo di essa resta un’ara
innalzata al culto dell’Arcangelo Michele che dà il nome allo speco medesimo, ove si
erge la statua di questo Santo, e pare che il venerando terrore di Religione più serva
ad accrescere quello del luogo»120.
Quello che caratterizza in maniera preponderante questo spazio ipogeo è proprio
la continuità delle sue attribuzioni quale spazio sacro. Il culto dell’Archistratega si
innesta su un portato antichissimo. Per alcuni studiosi infatti la sistemazione pa-
lafitticola di questa cavità naturale sarebbe funzionale, in età protostorica ed elle-
nistico-romana, all’esistenza di un santuario dedicato alle proprietà terapeutiche e
vitali dell’acqua. La continuità con culti pagani preesistenti offrirebbe in questo caso
un esempio significativo di come, in alcune aree interne, alcuni luoghi conservino
inalterata attraverso i secoli l’attribuzione simbolico-funzionale loro riservata dalle
popolazioni locali.

3.1.1. I primi culti praticati nella grotta

L
a presenza dell’acqua, archetipo delle origini della vita, ha determinato fin
dalle epoche più remote lo svilupparsi di forme di religiosità basate sul culto
tributato ad elementi naturali e, nel caso di specie, alla potenza iatrica da
sempre attribuita a fiumi, fonti e sorgenti. Questa prima manifestazione cultuale
ha eletto uno spazio specifico all’interno della cavità, proprio alle spalle dell’edicola
micaelica. Si tratterebbe di una vera e propria stipe votiva dove, durante le prime
indagini condotte alla fine dell’Ottocento, furono recuperati circa 300 vasetti mi-
niaturistici, di dimensioni variabili tra i 2 e 5 cm di altezza, databili alla media età

118   Fasi di frequentazione ancora più antiche potrebbero essere documentate dalle future campagne di sca-
vo. Molto probabile è l’uso di questa cavità in epoche decisamente più remote di quanto fino ad ora sia stato
possibile accertare.
119   I risultati degli studi più recenti condotti sulle Grotte si trovano in Larocca 2017.
120   Albi-Rosa 1840, p. 18.

46
del Bronzo121 (Fig. 41).
«Tale numero di vasi – scriveva il Carucci – accumulati in un sol posto della grotta,
ci suggerisce due ipotesi: o che quell’insenatura fosse un’officina di stovigliaio, o che
quel luogo riposto fosse stato scelto come deposito e rappresentasse una stipe votiva.
Quest’ultima ipotesi è più plausibile per molti riguardi: la forma è identica a quella
dei vasi di altre stipi votive […]; l’esiguità delle dimensioni della maggior parte di
essi e la mancanza o imperfezione di cottura, non poteva farli servire ad alcun uso
pratico, ma soltanto come simbolo votivo, essendo oggi conosciuto che in tutte le
religioni i simboli, un po’ per volta, finiscono per sostituirsi alla realtà stessa»122.
A caratterizzare il ritrovamento sono le condizioni e il posizionamento dei reperti
stessi, che apparivano - come nella ricostruzione realizzata all’interno del Museo
SpeleoArcheologico di Pertosa MIdA 01- impilati gli uni sugli altri, a formare delle
colonne che, a loro volta, venivano posizionate nelle fratture della parete rocciosa,
in un punto oggi sommerso dalle acque dell’invaso artificiale123. La consuetudine di
porre recipienti di piccole dimensioni in prossimità delle pareti calcaree dell’antro
per raccogliere le acque di stillicidio, si ripete durante i secoli del Medioevo con la
raccolta in contenitori vitrei della cosiddetta “stilla”, prassi particolarmente attestata
in area garganica, oltre che in altri santuari rupestri dove la realizzazione di vasche
scavate nel banco roccioso assolvevano alla stessa funzione.
L’attribuzione all’acqua di «proprietà vivificanti, germinative, fecondanti e, in al-
cuni casi, medicamentose»124 si è conservata inalterata attraverso i millenni docu-
mentando una straordinaria continuità nelle pratiche devozionali che, per quanto
riguarda in particolare le Grotte di Pertosa-Auletta, si registra per un arco temporale
di straordinaria estensione. Uno sviluppo analogo si registra nel sito della località
Fontana Santa Maria di Luco, presso Monticchio sul monte Vulture, in prossimità
di sorgenti di acqua sulfurea. Qui sono stati riconosciuti i resti di una stipe votiva
databile alla prima età del ferro, contenente un grandissimo numero di vasi minia-
turistici di impasto, molto simili a quelli rinvenuti nelle Grotte di Pertosa-Auletta.
La presenza di acque termali, ma soprattutto di cavità naturali, ha consentito, anche
dopo l’affermazione del Cristianesimo, la continuità della percezione sacra di questo
sito, fino all’affermazione del culto micaelico promosso anche dalla fondazione di
un’abbazia benedettina dedicata all’Archistratega. Questo insediamento monastico
ha inglobato il preesistente santuario rupestre che già conteneva una stipe votiva
di età ellenistica, da porre in relazione, ancora una volta, con la presenza di una

121   Tale ritrovamento trova diversi confronti sia in Italia meridionale, basti pensare ai vasi miniaturistici
rinvenuti nel vicino territorio di Caggiano (SA), presso il riparo preistorico dello Zachito, sia in Italia setten-
trionale, dove il riferimento più prossimo sono i reperti rinvenuti nella Caverna di re Tiberio presso Ravenna.
Questa cavità caratterizzata dalla presenza di una ricca vena d’acqua, ha restituito, assieme a resti ossei umani,
una stipe votiva che custodiva una grande quantità di ceramica miniaturistica (Rellini 1916, p. 106).
122   Carucci 1907, c. 52.
123   De Falco, Larocca 2017, pp. 122-123.
124   Bernabei, Grifoni Cremonesi 1995-96, p. 333.

47
sorgente e con il culto tributato ad una divinità femminile, verosimilmente Mefi-
te, come sembra indicare il rinvenimento di ex voto anatomici e da statuette fittili
femminili125.
Questo episodio conferma in maniera efficace la sovrapposizione del culto dell’Ar-
chistratega a quello preesistente e antichissimo di divinità pagane e, ancor prima,
di culti protostorici a valenza iatrica126. San Michele, nella veste di princeps aquae,
ovvero di patrono delle acque, viene spesso associato a fonti cosiddette lattaie o ga-
lattofore, ritenute capaci di favorire la formazione del latte materno, e a culti legati
alla nascita e alla fecondità. Questo aspetto terapeutico e magico-religioso si deve
alla presenza negli ambienti ipogei delle cosiddette “pocce lattaie”, concrezioni a
forma di “mammelle”, dalle quali trasudano acque di stillicidio rese biancastre dalla
presenza di specifiche componenti mineralogiche come la calcite127.
Un ulteriore, importante confronto per la comprensione delle pratiche culturali
è possibile istituire tra le Grotte di Pertosa-Auletta e la Grotta di S. Angelo di S.
Chirico Raparo, nella vicina Basilicata. Quest’ultima, frequentata sicuramente in
età protostorica, presenta attestazioni di un uso taumaturgico e terapeutico dell’ac-
qua attraverso l’immersione dei pellegrini all’interno di vasche, naturali o scavate
dall’uomo, denominate “culla di Sant’Angelo”128.
Questa continuità simbolico-funzionale nella frequentazione dei complessi ipogei
tra Preistoria e Medioevo, suggerita dall’omogeneità delle tipologie di votivi e, plau-
sibilmente, dalle pratiche devozionali, definisce l’identità cultuale di eremi, spelon-
che e ripari dedicati all’Arcangelo Michele in Campania e nelle aree limitrofe e, per
quanto attiene in particolare alle Grotte di Pertosa-Auletta, permette di intuire la
complessità e la ricchezza di pratiche religiose che qui si svolgevano, soltanto par-
zialmente descritte nelle fonti documentarie o desumibili dai reperti archeologici.
Si tratterebbe di «fatti cultuali, retaggio […] di culti preesistenti e di antichissime
credenze o pratiche religiose collegate a fenomeni naturali inspiegabili per gli anti-
chi, tra cui la stessa presenza dell’acqua nelle profondità della Terra, che si caricava
di significati e simbolismi magico-religiosi che dalla Preistoria sono spesso pervenuti
fino a noi nella forma di tante realtà devozionali ancora diffuse e praticate»129.

125   Bianco 1999.


126   Ibidem, p. 22.
127   Bianco 1999, p. 23; Bernabei, Grifoni Cremonesi 1995-96, p. 354. Il fenomeno, particolarmente
attestato in Toscana, si lega nella tradizione cristiana sia al culto dell’Arcangelo che a quello mariano.
128   Armenti, Iannella 1998, p. 88. Una tradizione locale di cui purtroppo non è possibile verificare
l’attendibilità, tramanda il ritrovamento di vasellame medievale concrezionato posizionato in corrispondenza
delle gocce d’acqua di stillicidio. Un episodio che se confermato costituirebbe una significativa analogia con
quanto documentato per le Grotte di Pertosa-Auletta in un arco cronologico del tutto coerente (la media età
del bronzo e l’età del ferro).
129   Bianco 1999, p. 23.

48
3.1.2. Divinità e culti pagani nella Grotta di Pertosa-Auletta
prima di Michele

L
e campagne di scavo effettuate tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900
hanno restituito materiali e reperti utili ad identificare i culti e le pratiche de-
vozionali che si svolgevano nella Grotta di Pertosa-Auletta ancora in età pre-
romana e romana130. Oltre alla frequentazione risalente al Bronzo Medio, le indagini
archeologiche hanno individuato fasi di età arcaica, contemporanee all’occupazione
lucana, fino alla sottomissione dell’intera Valle del Tanagro al potere di Roma. Le
tracce di età ellenistico-romana coprono un arco cronologico piuttosto ampio, com-
preso tra il IV secolo a.C. e il III secolo d.C.
I reperti appartenenti a questa facies cronologica descrivono un’articolata dimensio-
ne cultuale che rimanda a divinità ctonie, legate ai concetti di fertilità e alle virtù
salutifere dell’acqua131.
Diversi votivi riproducono parti anatomiche (Fig. 42), altri figure femminili, ri-
tratte mentre reggono un melograno nella mano sinistra, a volte sedute in trono
con tipico abbigliamento alla greca, costituito da chitone, himation e con un basso
polos sulla capigliatura acconciata con scriminatura centrale (Fig. 43). Si tratta di
caratteri iconografici che distinguono le rappresentazioni di molte divinità fem-
minili132. In particolare la divinità in trono con melograno rimanda alla cosiddetta
“Hera pestana”, protettrice dei matrimoni e dei parti, legata alla sfera della fertili-
tà133. Il rinvenimento di questa tipologia di reperto e la conseguente attestazione
nelle Grotte di Pertosa-Auletta del culto di Hera, risultano elementi eccezionali ed
inediti nella casistica dei culti che nei secoli medievali sarebbero stati soppiantati da
quello micaelico. La figura dell’Arcangelo Michele, come abbiamo avuto modo già
di sottolineare, sostituisce comunemente divinità mediche e culti orientali incentra-
ti non solo sull’aspetto taumaturgico, ma, soprattutto, sul concetto di espiazione e
rinascita, alimentando per questa ragione pellegrinaggi a carattere prevalentemente
penitenziale, con connotazioni funerarie proprio per la qualità di psicopompo at-

130   I reperti sono stati rinvenuti durante le due differenti campagne di scavo effettuate nel 1898, da
Giovanni Patroni e Paolo Carucci, a circa 15 giorni di distanza l’uno dall’altro. I materiali archeologici sono
attualmente custoditi presso tre istituzioni museali. Il Museo Archeologico Provinciale di Salerno e il Museo
Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma conservano i reperti portati alla luce da Carucci, mentre presso il Museo
Archeologico Nazionale di Napoli sono conservate le evidenze recuperate durante la campagna di scavo di
Patroni, cfr. Carucci 1907; Patroni 1899.
131   Laino 2017, p. 143.
132   Il chitone è una tunica senza maniche, di origine orientale, confezionata con un telo cucito come un
sacco senza fondo, fermato sulle spalle da due fibule. L’himation è invece un mantello, utilizzato sia dagli
uomini che dalle donne, che veniva indossato al di sopra del chitone; il polos, infine, è un copricapo di forma
cilindrica o quadrangolare, tipico nelle rappresentazioni delle divinità femminili.
133   Laino 2017, p. 139.

49
tribuita all’Archistratega134. La sovrapposizione del culto micaelico a quello di Hera
Pestana documenterebbe dunque un carattere inconsueto e qualificante di questo
complesso ipogeo, anche se questa evidenza potrebbe essere messa in relazione alla
specificità del contesto locale, fortemente caratterizzato dagli elementi tipici della
cultura agro-pastorale, come confermano oltretutto i reperti archeologici recupe-
rati durante le prime campagne di scavo135. Nella vicina area di Pontecagnano è
documentata una forte relazione tra la stessa divinità femminile e il culto di Apollo,
divinità quest’ultima il cui culto risulta meglio compatibile con il processo di so-
vrapposizione che sarà realizzato in epoca cristiana attraverso l’impianto del culto
micaelico. A Pontecagnano si riconoscono due area sacre coesistenti: il cosiddetto
santuario settentrionale, dedicato ad Hera / Demetra, e il santuario meridionale,
che attesta la venerazione della popolazione locale per il dio Apollo. L’associazione
di questi due culti potrebbe ripetersi anche per le Grotte di Pertosa-Auletta come
sembrerebbe suggerire il rinvenimento di un busto di Apollo in marmo che, secon-
do quanto annotato da Paolo Carucci relativamente alle sue indagini, sarebbe stato
ritrovato «là dove ora è eretto l’altare di S. Michele Arcangelo», aggiungendo più
oltre «Pare … che il medesimo busto di Apollo fosse rimasto, fino al secolo XVII,
nascosto tra i macigni in una delle anfrattuosità della Grotta»136. Di tale reperto,
tuttavia, attualmente si è persa ogni traccia137. Bisogna sottolineare però che la so-
vrapposizione del culto micaelico a quello di una divinità femminile costituisce una
circostanza insolita ma non tanto rara. Nella già citata Grotta dell’Angelo inglobata
nelle strutture del monastero benedettino sul Vulture, la venerazione micaelica prese
il posto della dea Mefite, divinità di origine italica legata anch’essa alle acque e alla
fertilità138. In un resoconto di scavo redatto da Giovanni Patroni, si fa riferimento
al ritrovamento nelle Grotte di Pertosa-Auletta proprio di una statuetta in terracot-

134   Di Muro 2019, pp. 116-117. Tali iter penitenziali sono particolarmente diffusi in area campana come
abbiamo avuto modo di spiegare più sopra, e più specificamente nel Salernitano dove il santuario di Olevano
sul Tusciano vede protagonista il culto di San Michele nella sua veste di taumaturgo e difensor dei, collegato
alla liberazione dalla possessione demoniaca.
135   Sia i reperti di età protostorica che i reperti di età romana rinvenuti all’interno della cavità sembrano
rimandare al mondo agropastorale e a culti legati alla fertilità. In particolare, si segnala il rinvenimento, per
l’età del bronzo, di colini e coperchi di bollitoio, strumenti utilizzati per la lavorazione del latte, unitamente a
resti ossei riferibili a caprovini, mentre databili all’età romana sono vasi miniaturistici a vernice nera, pesi da
telaio e riproduzioni di parti anatomiche spesso rinvenuti all’interno di santuari dedicati ad Hera. Sul culto
di Hera e sul legame della dea con Demetra, con il mondo agropastorale e la sfera della fertilità si rimanda a
Greco 2010 e 1998; Zancani 1961.
136   Carucci 1907, pp. 198-203.
137   A parlare del busto di Apollo e della presenza di questo culto all’interno della cavità sono Paolo Carucci
e Giuseppe Albirosa, cfr. Carucci 1907; Albirosa 1840.
138   I luoghi di culto dedicati a Mefite sono situati genericamente in corrispondenza di acque fluviali o
lacustri, oltre che di paludi e grotte, generalmente considerate porte di accesso agli inferi. Tipico in area osca e
sannitica, durante la romanizzazione questo culto venne connesso maggiormente, e in seguito esclusivamente,
alle esalazioni emanate da acque sulfuree, contrassegnando luoghi caratterizzati dalla presenza di fenomeni
legati al vulcanesimo.

50
ta - purtroppo attestata solo da una fotografia di scarsa qualità e a tutt’oggi ancora
non rintracciata - raffigurante una figura femminile che indossa manto e copricapo,
e tra le braccia stringe una seconda figura maschile nuda, barbuta e inghirlandata.
Si tratta evidentemente delle divinità ctonie di Semele e Dioniso, che documen-
tano, ancora una volta, culti e ritualità connesse con la fertilità139. Sebbene risulti
difficile riuscire a stabile con precisione quali fossero i culti precristiani praticati
nel santuario di Pertosa-Auletta, risulta altrettanto chiaro dai votivi rinvenuti come
si trattasse di una divinità femminile dai molteplici attributi, tutti però legati al
contesto agro-pastorale. L’impianto del culto cristiano si pone quindi in continuità
e in coerenza rispetto ad una dimensione arcadica del sacro, strettamente legata al
mondo della transumanza e delle comunità rurali e all’importanza vitale che in tali
contesti riveste la risorsa costituita dalla disponibilità di acqua.

3.1.3 I reperti di età tardo-antica e medievale

L
’altare su cui poggia la statua dell’Arcangelo è posizionato nell’antro di acces-
so, nel punto esatto in cui la penombra inizia a prevalere sulla luce, quasi ad
impedire alle entità demoniache – che nell’immaginario collettivo medievale
risiedevano nella cavità – di invadere il mondo esterno. Stando a quanto riportato
dai primi esploratori delle Grotte di Pertosa-Auletta, Paolo Carucci e Giovanni Pa-
troni, la posizione dell’altare e dell’edicola religiosa è rimasta la stessa descritta nella
prima metà del XIX secolo, non essendo stata interessata dalle indagini archeologi-
che proprio per quel “terrore di religione” tramandato dalle fonti140 (Fig. 44).

La continuità nella pratica cultuale che si registra per le Grotte di Pertosa-Auletta


costituisce il tratto distintivo più suggestivo di questo sito, una continuità che è
ampiamente documentata dai materiali archeologici databili all’età tardoantica e
medievale. Sia tra i votivi di età arcaica e romana che tra quelli databili alle frequen-
tazioni protostoriche, sono stati individuati innumerevoli manufatti in metallo,
comprese armi e numerosi reperti numismatici, in larga maggioranza riferibili alla
piena età imperiale. In particolare, le monete, seppur in un pessimo stato di conser-
vazione, forniscono interessanti spunti per la formulazione di ipotesi sull’impianto
del culto micaelico e sull’intitolazione cristiana della cavità. All’interno della colle-
zione numismatica conservata al “Pigorini” di Roma vi è un gruppo costituito da
21 monete databili approssimativamente all’età giustinianea (Fig. 45). La presenza
di reperti riconducibili alla seconda metà del VI secolo rappresenta un dato fonda-
mentale per individuare l’origine dell’importazione del culto micaelico nel territorio

139   Patroni 1899, cc. 557-559.


140   Carucci 1907.

51
dell’antica Pertusia141.
Come già ricordato, infatti, la diffusione del culto dell’Arcangelo fu promosso dagli
ambienti di corte dell’Impero Romano d’Oriente. Nello sviluppo di questo percorso
di affermazione un ruolo fondamentale viene attribuito alla figura di Costantino e
alle vicende leggendarie legate alla sua conversione. Fu però in età giustinianea che
l’Archistratega divenne strumento per il rafforzamento dell’autorità imperiale, mez-
zo attraverso il quale allargare la base del consenso e per questo la sua venerazione
trovò ampio spazio anche in Occidente142. Questo legame simbolico tra la l’impera-
tore e l’Arcangelo trova piena espressione nell’iconografia bizantina che attribuisce
all’Arcangelo i caratteri distintivi di un alto dignitario della corte del basileus e nel
mosaico absidale della chiesa di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, l’Archistratega
indossa la clamide, il corto mantello di derivazione greco-romana utilizzato dai co-
mandanti militari bizantini, una rappresentazione che restituisce un’immagine del
tutto analoga alla rappresentazione dell’autorità imperiale143.
Dobbiamo tuttavia aspettare i secoli centrali del Medioevo per avere notizie più
precise circa l’impianto del culto micaelico nelle Grotte di Pertosa-Auletta. La pri-
ma notizia della presenza di un santuario cristiano nelle Grotte di Pertosa-Auletta,
risale infatti al pieno XI secolo. Un atto di donazione fatto redigere nel 1086 da
Asclettino, signore normanno di Sicignano, e da sua moglie Sichelgaita, sorella del
Principe longobardo di Salerno, fa menzione di diversi beni concessi dai due signori
all’abbazia benedettina di Cava de’Tirreni, incluso un «molino quod edificatum
est in loco quo vocatur ad Grotta Sancti Angeli»144. La denominazione si ripete in
altri documenti coevi nella semplice variante crypta Sancti Angeli, testimoniando la
celebrità del sito la cui identificazione non aveva bisogno di ulteriori specificazioni.

3.2. Il monachesimo italo-greco e il culto micaelico


nelle Grotte di Pertosa-Auletta

U
n momento di massima fioritura del culto micaelico nelle Grotte di Perto-
sa-Auletta si colloca tra X e XI secolo. In questo periodo è documentato lo
stanziamento nella valle del Tanagro, e in particolare nei territori di Pertosa
e Auletta, di monaci italo-greci in fuga dalla conquista araba della Sicilia. A questo

141   Antico toponimo per Pertosa. Dal latino pertusus, bucato, fa riferimento alla presenza della cavità,
evidente elemento distintivo del paesaggio locale. Per l’occupazione romana e tardo-romana del territorio di
Pertosa e della valle del Tanagro si rimanda a Bracco 1962.
142   Fu proprio in età giustinianea che alla valenza taumaturgica dell’Angelo fu associato il carattere militare
della sua rappresentazione che avrebbe permesso al suo culto di attecchire anche nella cultura longobarda, cfr.
supra par. 1.1.
143   Tassinari 2015, pp. 204-208.
144   L’atto di donazione, sul quale grava un forte sospetto di falsificazione, è custodito nell’Archivio della
Badia di Cava de’Tirreni (Arca C n. 1).

52
stanziamento si deve la fondazione a Pertosa del monastero di S. Maria intorno al
quale si riunì una comunità di coloni, anch’essi di origini grecofone, dando vita a
quello che sarebbe diventato l’attuale borgo di Pertosa. La presenza di comunità di
immigrati dalle vicine regioni bizantine si registra anche nel territorio di altri centri
della valle del Tanagro145. Ne offre testimonianza il fondo greco delle pergamene
oggi custodite nell’Archivio della S.ma Trinità di Cava de’ Tirreni di cui S. Maria
di Pertosa diventò dipendenza alla fine dell’XI secolo146. La presenza di comunità
grecofone nel Cilento e nella valle del Tanagro costituisce un esito delle incursioni
arabe che, a partire dal IX secolo, interessarono a più riprese e per molti decenni,
numerosi territori della Calabria e della vicina Lucania, innescando un notevole
flusso migratorio verso i territori confinanti del Principato longobardo di Salerno.
Lo spostamento di interi nuclei familiari ha seguito il più precoce stanziamento di
personalità monastiche di spicco che hanno promosso o favorito la fondazione di
numerosi cenobi in questo settore meridionale dei domini longobardi di Salerno147.
Nelle terre d’arrivo questi monaci trovarono scenari particolarmente favorevoli alla
vita ascetica. Grotte e siti di altura di cui sono ricchi il Cilento e il massiccio degli
Alburni, offrivano scenari del tutto coerenti ai modelli insediativi del monachesimo
orientale. Questi centri monastici costituirono un richiamo forte per le comunità
di migranti che vi raccolsero intorno dando vita a nuovi insediamenti e contri-
buendo in maniera determinante al ripopolamento di vaste aree abbandonate già
in età tardoantica. Nel caso di Pertosa e Auletta, fu proprio la presenza della cavità
a rappresentare il primo catalizzatore per lo stanziamento qui di una comunità mo-
nastica e in seguito delle famiglie di coloni che vennero coinvolti nella gestione del
suo patrimonio fondiario. In quest’area la migrazione italo-greca dai vicini territori
bizantini fu di tale portata da determinare ancora in piena età normanna l’uso della
lingua greca nella pratica notarile, come è ben attestato dall’attività dei notai greci
di Olecta, oltre che nella produzione documentaria del monastero di Santa Maria
di Pertosa148. Il forte radicamento della cultura greca lungo il medio-basso corso
del Tanagro e nel Vallo di Diano dovette determinare un forte impulso per il culto
micaelico. D’altra parte è ampiamente documentato lo stretto legame che univa la
devozione dei monaci italo-greci e delle popolazioni grecofone, al culto dell’Arcan-
gelo. Basti pensare al già citato Vitale da Castronuovo che fondò il suo monastero a

145   Pertinenza di Santa Maria de Pertusia era il monastero di Sant’Andrea di Auletta, trasformata, in seguito
in convento francescano.
146   Nell’Arca dell’Archivio della SS. Trinità di Cava de’Tirreni XVI, la pergamena n. 31, documenta la
cessione, datata al 1085, di Santa Maria in Gaiano o de Pertusia ai Benedettini cavensi. Questo documento
attesta l’annessione della fondazione italo-greca di Pertosa al patrimonio benedettino cavense, si veda per
approfondimenti Visentin 2012.
147   Per una ricostruzione della presenza italo-greca nel Principato longobardo di Salerno e nel Vallo di Dia-
no si rimanda ad Alaggio 2002 e 2004. Sul medesimo tema si segnala la mostra documentaria “Nelle Terre
dei Principi”, installata presso il Museo SpeleoArcheologico di Pertosa.
148   D’Oria 2021.

53
San Chirico Raparo, in Basilicata, sulla grotta santuario dedicata all’Archistratega, o
a Nilo da Rossano che per un lungo periodo praticò vita ascetica in un Michaelion
presso Orsomarso, nella Calabria settentrionale, o ancora a Luca di Demenna e a
Saba da Collesano che fondarono entrambi monasteri dedicati all’Arcangelo nella
regione del Merkourion, nell’alto cosentino, e in quella del Latinianon, nella me-
dio-alta Valle del Sinni149. La fama del santuario garganico aveva esercitato su questi
personaggi una grande influenza, molti di loro vi si recarono in pellegrinaggio, tutti
contribuirono a rinvigorirne il culto fondando altrettanti santuari che ne ricalcava-
no il modello150.

149  Per questi personaggi si rimanda al lavoro di Follieri 2006, pp. 1-32.


150   Fondazioni monastiche intitolate all’Arcangelo sono presenti in una vasta area del versante Tirrenico che
va dalla zona di Tropea, in Calabria, fino a Napoli; qui furono fondati ben tre monasteri e un oratorio dedicati
all’Archistratega, cfr. Campione 2007a, pp. 287-288 e 295-296.

54
Catalogo dei Siti
Glossario

Termine Definizione

Santuario ricostruito su modello del santuario


Santuario ad instar Gargani
garganico, utilizzato come prototipo

Santuario legato a inventio Santuario legato alla presenza di oggetti consi-


derati “miracolosi”, in quanto venuti in contat-
miracolosa to con il Santo

Con questa espressione si fa riferimento ai


santuari realizzati in memoria del Santo, non
Santuario memoria
legati ad apparizioni. Può contenere reliquie
del Santo cui è intitolato

Complesso cultuale sorto sui luoghi dove si è


Santuario teofanico verificato un evento collegato con un’appari-
zione del Santo

56
Grotta di San Michele Arcangelo a Olevano sul Tusciano

id* Cp 20

Altre Grotta dell’Angelo; Grotta di San Michele sul Mons Aureus


denominazioni
Ubicazione Il santuario è ubicato sul versante occidentale del Monte Raione ad una quota di c.a. 567 m s.l.m., nel
geografica comune di Olevano sul Tusciano (SA).

Coordinate 40°40'09.3"N 15°02'39.2"E

Fondazione VI-VII secolo

Tipologia ad instar Gargani


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia DI MURO, LAMANNA 2006; DI MURO 2011 e segg.

*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

57
San Michele di Mezzo

id* Cp 1212

Altre San Michele di Basso; S. Angelo in Panicola


denominazioni
Ubicazione Il santuario è situato a 592 m s.l.m, sui monti di Carpineto, nella zona Scarpa del Monte Torello
geografica nel comune di Fisciano (SA).

Coordinate 40°47'27.4"N 14°48'22.8"E

Fondazione VII secolo

Tipologia Santuario memoria


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio Lunedì in Albis, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia NOIA 2006; CAFFARO 1996; CAFFARO 1980; GRISCI 1962.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

58
Sant’Angelo ad Cryptam a Nocera Inferiore

id* -

Altre Sant’Angelo in Grotta


denominazioni
Ubicazione Il santuario sorge a ridosso di un’ampia grotta che si apre sul monte Albino, in una diramazione
geografica del Casale del Pozzo nel comune di Nocera Inferiore (SA).

Coordinate 40°44'28.6"N 14°38'05.0"E

Fondazione XI secolo

Tipologia Santuario memoria


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio -

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia GUARIGLIA 1945.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

59
Grotta di San Michele ad Atrani

id* -

Altre -
denominazioni
Ubicazione La Grotta è ubicata fuori dal tessuto urbano, in prossimità dei confini con Ravello, in
geografica un’incavatura del monte Civita nel comune di Atrani (SA).

Coordinate 40°38'14.7"N 14°36'28.6"E

Fondazione XI-XII secolo

Tipologia Santuario memoria


santuariale
Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia CAFFARO 1986.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

60
Sant’Angelo dell’Ospedale a Ravello

id* Cp 1181

Altre Grotta della Chiesa della Madonna dell’Ospedale


denominazioni
Ubicazione La grotta è situata in località Pianello sotto la Torre di Grado, nei pressi del centro storico di
geografica Ravello (SA).

Coordinate 40°39'08.2"N 14°36'44.6"E

Fondazione XI secolo

Tipologia Santuario memoria


santuariale
Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio -

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia CAFFARO 1996; CAFFARO 1986.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

61
Grotta di Sant’Angelo a Gete di Tramonti

id* Cp 725

Altre -
denominazioni
Ubicazione La cavità si apre al di sotto di una rupe molto sporgente all’interno del Vallone Caro, sul
geografica versante orientale della costa rocciosa, in località Gete di Tramonti (SA).

Coordinate 40°41'22.8"N 14°38'59.3"E

Fondazione Tra l’VIII e il XII secolo

Tipologia Santuario memoria


santuariale

Culti preesistenti Attestati ma non identificati

Pellegrinaggio -

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia KALBY et alii 2005; CAFFARO 1986; FIERRO 1982.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

62
Eremo di San Michele a Campagna

id* -

Altre -
denominazioni
Ubicazione L’eremo è situato nel territorio di Campagna (SA), a 1100 m di altezza sul Montenero, in
geografica posizione strategica per il controllo della vallata sottostante.

Coordinate 40°41'34.5"N 15°08'54.9"E

Fondazione X secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia GANELLI 2005; CAFFARO 1983.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

63
Crypta a Valva

id* Cp 1003

Altre Grotta di San Michele Arcangelo


denominazioni
Ubicazione La cavità è incastonata nella parete rocciosa del Monte Eremita che sovrasta il territorio di Valva
geografica (SA).

Coordinate 40°44'41.0"N 15°16'32.7"E

Fondazione ante XI secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale
Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia GRISI 1980; CAFFARO 1983; FILIPPONE 1993.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

64
Grotta dell’Angelo a Sant’Angelo a Fasanella

id* Cp 6

Altre Grotta santuario di San Michele


denominazioni
La grotta si apre a breve distanza si apre a breve distanza dal centro abitato ed è situata ai piedi
Ubicazione
di una parete alta 25 m nei pressi del vallone del Torrente Melicupo, a circa 480 m s.l.m., nel
geografica
comune di Sant’Angelo a Fasanella (SA).
Coordinate 40°27'22.6"N 15°20'39.1"E

Fondazione VII-VIII secolo

Tipologia Santuario legato a inventio miracolosa


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia KALBY 1991; CAFFARO 1983.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

65
Grotta di Sant’Angelo a Sala Consilina

id* Cp 540

Altre -
denominazioni
Ubicazione La cavità sorge sul monte Schiavo a est di Sala Consilina (SA), a circa 560 m s.l.m., lungo l’antico
geografica tratturo che collega Sala Consilina a Padula.

Coordinate 40°22'06.7"N 15°37'59.3"E

Fondazione VIII-IX secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio; 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia SACCO 2004; CAFFARO 1980; GATTA 1724.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

66
Eremo di San Michele alle Grottelle a Padula

id* Cp 547

Altre Grotta di San Michele di Padula


denominazioni
Ubicazione L’eremo è situato alle pendici meridionali del colle Civita, a E dell'abitato di Padula (SA), ad una
geografica quota di circa 750 m s.l.m.

Coordinate 40°19'59.8"N 15°40'20.6"E

Fondazione Tra il IV e il X secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale

Culti preesistenti Culto di Attis

Pellegrinaggio 8 maggio, giugno, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia MELLO 1986; CERENZA 1982; CAFFARO 1980.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

67
Grotta dell’Angelo a Montesano

id* Cp 524

Altre Grotta di Sant’Angelo


denominazioni
Ubicazione La Grotta è ubicata in località Eliceto nel comune di Montesano sulla Marcellana (SA), ad una
geografica quota di circa 709 m s.l.m.

Coordinate 40°16'37.2"N 15°42'19.8"E

Fondazione VIII-IX secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia CAFFARO 1996; CAFFARO 1980.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

68
Grotta di San Michele Arcangelo a Valle dell’Angelo

id* Cp 535

Altre Grotta del Monte Ausinito


denominazioni
La Grotta, ubicata nel territorio di Valle dell'Angelo (SA), in località Costa della Salvia, si apre
Ubicazione
lungo le pareti rocciose del Monte Ausinito ed è accessibile mediante un sentiero che attraversa
geografica
il fiume Calore.
Coordinate 40°20'43.1"N 15°22'05.2"E

Fondazione IX-X secolo

Tipologia Santuario legato a inventio miracolosa


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia CAFFARO 1996; CAFFARO 1983.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

69
Grotta di San Michele a Caselle in Pittari

id* Cp 718

Altre -
denominazioni
Ubicazione La grotta è situata sul versante meridionale del Monte San Michele, nel comune di Caselle in
geografica Pittari (SA), ad una quota di 595 m s.l.m.

Coordinate 40°09'14.4"N 15°32'43.4"E

Fondazione VI-VII secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia CAFFARO 1996; CAFFARO 1983; EBNER 1982; FESTA 1974-75.

*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

70
Grotta dell’Angelo a Caselle in Pittari

id* -

Altre -
denominazioni
Ubicazione La grotta è situata sul versante meridionale del Monte San Michele, nel comune di Caselle in
geografica Pittari (SA), ad una quota di 595 m s.l.m., a circa 15 m dalla Grotta di San Michele.

Coordinate 40°09'14.4"N 15°32'43.4"E

Fondazione VI-VII secolo

Tipologia Santuario teofanico


santuariale

Culti preesistenti Non attestati

Pellegrinaggio 8 maggio, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia CAFFARO 1996; CAFFARO 1983; EBNER 1982; FESTA 1974-75.


*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

71
Grotte di Pertosa-Auletta (SA)

id* Cp 1

Altre Grotta dell’Angelo


denominazioni
Il complesso carsico è situato sul versante settentrionale del Massiccio degli Alburni, nel comune
Ubicazione
ad una quota di 265 m s.l.m. e si sviluppa nel sottosuolo dei comuni di Pertosa (SA) e Auletta
geografica
(SA)
Coordinate 40°32'13.9"N 15°27'17.9"E

Fondazione VI-VII secolo

Tipologia Santuario memoria


santuariale

Culti preesistenti Culti legati alla sfera della fertilità (Hera; Semele e Dioniso)

Pellegrinaggio 8 maggio, Lunedì in Albis, 29 settembre

Collocazione del santuario rispetto alle principali vie di comunicazione

Bibliografia LAROCCA 2002 e segg.; CARUCCI 1907; PATRONI 1899; ALBIROSA 1840.
*numero identificativo assegnato dalla Federazione Speleologica Campania secondo il Regolamento del Catasto delle Grotte d'Italia SSI.

72
Repertorio delle immagini
Fig. 1 - Mitra: il precursore dell’Arcangelo – Mitreo Barberini (Roma)

75
Fig. 2 - Il miracolo di San Michele a Chonai.
Icona russa del XV secolo

76
Fig. 3 - San Michele e il toro - Cesare Nebbia (1536-1614)

Figura 4 - Il santuario micaelico nella grotta


garganica (OTRANTO 2010)

77
Figura 5 - Iscrizioni runiche presso Monte Sant’Angelo (LAGHEZZA 2018)

Figura 6 - Ricostruzione dei


tracciati della via Appia e della via
Traiana (STOPANI 1992)

78
Figura 7 - Il cammino del monaco Bernardo (OTRANTO 2010)

79
Figura 8 - Le chiese rupestri dedicate all’Arcangelo in Campania:

1. Fasani di Sessa Aurunca – Santuario rupestre di S. Michele di Gualana. 2. Camigliano – Santuario rupestre
di S. Michele. 3. S. Michele a Liberi – Santuario rupestre di S. Michele. 4. Raviscanina – Santuario rupestre
di S. Michele. 5. Curti di Gioia Sannitica – Santuario rupestre di S. Michele a Curti. 6. Faicchio – Santuario
rupestre di S. Michele. 7. Foglianise – Santuario rupestre di S. Michele. 8. Maddaloni- Santuario rupestre di
S. Michele. 9. Avella – Grotta di S. Michele. 10. Serino – Santuario rupestre di S. Michele. 11. Preturo di
Montoro Inferiore – Santuario di S. Michele. 12. Calvanico – Santuario di S. Michele di Basso. 13. S. Michele
di Mezzo a Carpineto di Fisciano – Grotta di S. Michele di Mezzo. 14. Nocera Inferiore – Santuario rupestre
di S. Angelo in Grotta. 15. Faito – Santuario rupestre di S. Michele. 16. Atrani – Grotta di S. Michele. 17.
Ravello – Santuario rupestre di S. Angelo dell’Ospedale. 18. Gete di Tramonti – Santuario rupestre di S. An-
gelo. 19. Olevano sul Tusciano – Santuario rupestre di S. Michele. 20. Campagna – Grotta di S. Angelo. 21.
Valva – Grotta di S. Michele. 22. Sant’Angelo a Fasanella - Santuario rupestre dell’Angelo. 23. Pertosa-Auletta
Grotte dell’Angelo. 24. Sala Consilina – Grotta di S. Michele. 25. Padula – Santuario rupestre di S. Michele alle
Grottelle. 26. Montesano sulla Marcellana – Grotta dell’Angelo. 27. Valle dell’Angelo – Grotta di San Michele
Arcangelo. 28. Caselle in Pittari – Grotta dell’Angelo e Grotta di San Michele.

80
Figura 9 – Distribu-
zione dei santuari
micaelici nelle
province campane

Figura 10 – Monte Raione ad Olevano sul Tusciano: punto d’accesso


della Grotta dell’Angelo (DI MURO 2011)

81
Figura 11 – Grotta di San Michele, affresco raffigurante San Michele e i monaci pellegrini situato
sulla facciata esterna del muro orientale della Cappella dell’Angelo (Edificio A).

Figura 12 - Olevano sul Tusciano (SA). Strutture all’ingresso della Grotta

82
Figura 13 - Olevano sul Tusciano (SA). Una delle cappelle costruite all’interno della Grotta

Figura 14 - Olevano sul Tusciano (SA). Pianta del santuario micaelico.


Nel rettangolo tratteggiato la Cappella dell’Angelo, denominata Edificio A. (EBANISTA 2007)

83
Figura 15 - Olevano sul Tusciano (SA). Grotta di San Michele, Capella B

Figura 16 - Olevano sul Tusciano (SA), Grotta di San Michele, Cappella B. Particolare dell’affresco
raffigurante la Madonna Odigitria

84
Figura 17 - Olevano sul Tusciano (SA). Graffiti e segni penitenziali dei pellegrini
nella Cappella G (DI MURO 2019)

85
Figura 18 - Olevano sul Tusciano (SA). Grotta di San Michele, resti del battistero.
(DI MURO 2011)

Figura 19 - Olevano sul Tusciano (SA). Attestazione di culti iatrici nelle adiacente
del Mons Aureus. (DI MURO 2019)

86
Figura 20 – Le cavità naturali della provincia di Salerno
(Catasto delle Grotte della Campania elaborato dalla SSC)

87
Figura 21 - Fisciano (SA). Planimetria di San Michele di Mezzo
(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana).

88
Figura 22 - Fisciano (SA). L’interno del santuario di San Michele di Mezzo.

89
Figura 23 - Ravello (SA). Planimetria di Sant’Angelo dell’Ospedale (Rilievo a cura della Federazione
Speleologica Campana)

Figura 23 - Ravello (SA). Planimetria di Sant’Angelo dell’Ospedale


(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana)

90
Figura 24 - Ravello. Sant’Angelo dell’Ospedale.

91
Figura 25 - Tramonti (SA). Planimetria della Grotta di San Michele
(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana)

92
Figura 26 - La Grotta di San Michele a Gete di Tramonti. Ingresso.

Figura 27 - Campagna (SA). Pianta, sezione e prospetto del santuario micaelico


sul Montenero (CAFFARO 1996).

93
Figura 28 - Campagna. Eremo di San Michele in Montenero.

94
Figura 29 - Valva (SA). Planimetria del santuario (Rilievo a cura della Federazione
Speleologica Campana).

95
Figura 30 - Valva (SA). Ingresso del santuario micaelico.

96
Figura 31 - Sant’Angelo a Fasanella (SA). Planimetria della Grotta di San Michele
(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana)

97
Figura 32 - Sant’Angelo a Fasanella. Ingresso della Grotta di San Michele.
Sulla sinistra sono visibili le strutture di XIV secolo

98
Figura 33 - Sala Consilina (SA). Planimetria del santuario rupestre dedicato all’Arcangelo
(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana)

99
Figura 34 - Sala Consilina (SA). Ingresso attuale alla Grotta di Sant’Angelo.

Figura 35 – Sala Consilina (SA). I ruderi del Palazzo feudale di Sant’Angelo.

100
Figura 36 - Padula (SA). Planimetria dell’eremo di San Michele alle Grottelle
(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana)

101
Figura 37 - Padula (SA). Eremo di San Michele alle Grottelle. Particolare delle edicole votive

Figura 38 - Caselle in Pittari (SA). Planimetria della grotta di San Michele


(Rilievo a cura della Federazione Speleologica Campana)

102
Figura 39 - Caselle in Pittari (SA). Bassorilievo raffigurante l’Arcangelo
posto sulla parete sinistra dell’altare della Grotta di San Michele.

Figura 40 - Le Grotte di Pertosa-Auletta (SA). Planimetria dello sviluppo del complesso carsico
(Rilievo a cura di F. Larocca)

103
Figura 41 - Uno dei vasi miniaturistici rinvenuti nella cosiddetta “Stipe Interna”
Museo Archeologico Provinciale di Salerno. Collezione Carucci

104
Figura 42 - I votivi anatomici di età greco-romana - Collezione Carucci, Museo
Archeologico Provinciale di Salerno

Figura 43 - Statuetta di Hera - Collezione Carucci, Museo Archeologico


Provinciale di Salerno

105
Figura 44 - Grotte di Pertosa-Auletta (SA). Edicola micaelica posta all’ingresso della cavità

106
Figura 45 - Moneta di età giustinianea rinvenuta all’interno delle Grotte di Pertosa-Auletta.
Roma. Museo Etnografico “Luigi Pigorini”

107
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2020
Grafiche ZACCARA snc
C.da Verneta - Area PIP - Lagonegro (PZ)
tel. 0973 41300
[email protected]
www.grafichezaccara.it

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