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GLOTTOLOGIA

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GLOTTOLOGIA

Glottologia è una parola composta.


Glotto + logia  termine tecnico coniato nell’800 sul modello del termine tedesco che significava
“conoscenza della lingua”. Le parole nuove create sul modello di parole straniere sono dette calchi
lessicali.
Glotto e logia sono di derivazione greca.
- Glotto (parola greca glotta). Glotto < glotta (glotto deriva da glotta). Glotta significa lingua
come organo fisico, come facoltà del linguaggio e come singolo sistema linguistico.
- Logia < logos. Logia non è una parola che si trova in forma libera. Deriva dal greco, ma in
greco non esiste come parola a sé stante. In greco c’è logos. Logos riguarda l’idea del
discorso e la ragione come proprietà dell’uomo. Nel nostro caso logos è inteso come
discorso.
Glottologia  discorso scientifico sul linguaggio.

Che cos’è la glottologia?


- Linguistica storica o diacronica.
- Historical linguistics.
- Historische linguistick o Vergleichende Sprachwissenschaf (linguistica storica o linguistica
comparata).
- Linguistique comparée.

La terminologia riferita alla glottologia è cambiata perché oggi essa è solo una parte della
linguistica.
Quando questo termine è stato coniato la glottologia era la linguistica, l’unica. Da sola incarnava la
linguistica.
Tutte le lingue hanno una comune impalcatura nonostante le grandissime differenze superficiali.
Le strutture profonde del linguaggio sono le stesse. Questo è testimoniato dal fatto che chiunque
può elaborare e capire frasi mai sentite prima. Sappiamo comporre le frasi con parole che non
abbiamo mai sentito vicine.

La glottologia si occupa delle lingue e delle relazioni che intercorrono tra loro, considerate dal
punto di vista della loro evoluzione nel tempo. Queste relazioni vengono considerate dal punto di
vista storico. È fondamentale il cambiamento nella glottologia, perché le lingue non smettono mai
di mutare.
Es. Webete = persona il cui uso dei social ne rivela l’ignoranza, la pochezza e l’aggressività.
Era un termine già coniato, ma nel passato si intendeva una persona poco acculturata a livello
informatico.
Noi non ci accorgiamo che la lingua cambia, perché siamo immersi in essa. Riusciamo a cogliere
solo i fenomeni più evidenti, come la creazione di neologismi, ovvero parole nuove.
In realtà le lingue cambiano in modo più articolato e su più livelli. Noi possiamo analizzare:
- la forma, ovvero il livello morfologico delle parole.
- Il significato, ovvero il livello semantico.
- La logica, ovvero il livello sintattico.
- Il suono, ovvero il livello fonetico-fonologico.
Uno stesso elemento linguistico ha molte sfaccettature. Quando uno di questi livelli muta, anche gli
altri in qualche modo cambiano.
Es. minga\miga\mia = avverbio di negazione. Queste 3 derivano dalla parola latina mica, ovvero
“briciola”. C’è stato un cambiamento su tutti e 4 i livelli delle parole.
Il mutamento offusca le relazioni e non le rende facili da vedere a prima vista. Offuscando le
relazioni, non si può stabilire a prima vista se le due lingue sono imparentate tra di loro.

1
Il mutamento è il motore di diversificazione delle lingue. L’obiettivo è capire se le lingue sono
imparentate tra loro, se discendono da un antenato comune. Quando si stabilisce questa
parentela, bisogna scoprire chi è questo antenato. Vogliamo ricostruire l’albero genealogico delle
lingue. Quando non abbiamo più fonti certe, dobbiamo risalire la parentela per via ipotetica, ma
sempre scientifica.

Famiglia linguistica = unità di livello superiore, che raggruppa sistemi linguistici, i quali
condividono più tratti (fonetici, morfologici, sintattici o lessicali), detti isoglosse.

Isoglossa = linea che, su carta geografica, unisce tutti i punti che condividono uno stesso tratto
linguistico, e perciò delimita l’area in cui esso è presente, segnando i confini della sua diffusione
(per estensione indica anche il tratto stesso).
Una delle isoglosse principali è quella che separa le parlate settentrionali da quelle centro-
meridionali.
I tratti comuni non devono essere attribuibili a fenomeni di interferenza linguistica e nel loro
insieme devono essere propri di quella sola famiglia. Bisogna togliere quei tratti che sono dovuti
all’influenza di una lingua sull’altra.
Se tolti questi tratti ne rimane un buon numero, allora le due lingue prese in esame sono
imparentate. E questi elementi, nel loro insieme, devono essere caratteristici solo di quella
determinata famiglia.
L’origine dei tratti condivisi è fatta risalire a uno stadio anteriore comune a tutte le lingue della
famiglia, detto protolingua.
La nostra protolingua è detta indoeuropea. L’hanno chiamata così perché tante delle lingue
appartenenti alla famiglia indoeuropea vengono dall’Europa o dall’india.
(C’è anche la famiglia delle lingue semitiche ecc.)
Le lingue indoeuropee hanno la maggior distribuzione geografica. Hanno la documentazione
storica più lunga e continua nel tempo (quasi 4000 anni).

Ci sono due strumenti per studiare il proprio oggetto e raggiungere gli obiettivi.
1) Metodo comparativo ricostruttivo.
Confrontare forme documentate di lingue diverse appartenenti alla stessa famiglia. Bisogna
cercare delle corrispondenze sistematiche, cioè elementi che tornano sempre uguali negli
stessi contesti  devono essere sistematiche perché altrimenti potrebbe trattarsi di un
caso.
Il primo problema è scegliere le parole. Conviene scegliere termini che fanno parte del
settore del lessico che siano i più stabili nel tempo e che siano immuni all’influsso delle
altre lingue. Per esempio, bisogna evitare termini medici. I termini più stabili sono quelli del
lessico delle relazioni familiari, delle parti del corpo e i numeri.
Es. SKR (sanscrito) padam LAT pedem GR poda GOT fotu  sono tutti casi accusativi
della parola piede. Le prime 3 lingue presentano le stesse consonanti.
SKR pitar LAT pater GR pater GOT dadar (prima d con una barra al centro)  c’è
un’inversione nella seconda consonante.
Dove, nelle prime tre lingue trovo il suono x, nella quarta trovo il suono y.
SKR upari LAT super GR hyper GOT ufar  nelle prime 3 lingue, quando c’è la lettera P,
nella quarta c’è la F.
Poi bisogna capire quale delle forme apparteneva alla lingua originaria. In questo caso, il
mutamento è avvenuto a livello della quarta lingua.
IE * P = SKR P = LAT P = GR P = GOT F

2) Metodo della ricostruzione interna.


Implica che si confrontino parole della stessa lingua, per cercare di risalire alla forma più
antica di questa lingua.

2
Es. sopor somnus. Potrei sospettare che abbiano qualcosa in comune perché hanno
un significato simile.
So-por som - nus.
Devo capire se la radice è la stessa e quale delle radici è quella originale.
Potrei avere somor e sopnus.
È più probabile che sia cambiato sopnus in somnus perché è più facile da dire.

3) Posso combinare i due metodi.


es. sonno in greco si dice hypnos. In SKR si dice suapnas. Hanno lo stesso nesso pn di
sop-nos.

Le forme precedute da * sono forme non documentate, ma ricostruite.

I dati che ricaviamo attraverso i 3 metodi vengono interpretati con l’ausilio di tutte le branche della
linguistica, di tutte le sue specializzazioni.
La fortuna di un mutamento rispetto ad un altro è anche di tipo sociale.
È stato osservato che l’evoluzione metaforica dei termini procede dal concreto verso l’astratto.
Per esempio, molti verbi che esprimono comprendere vengono in realtà da tutti quei verbi che
significano afferrare, come “afferrare un concetto”. Questo perché noi ci basiamo sulla nostra
realtà concreta per concettualizzare un’esperienza astratta. Questo meccanismo spiega
l’evoluzione semantica di una parola.
In inglese to choose deriva da gustare. Se una cosa mi piace la scelgo, se no no.
Nell’interpretazione dei dati possono venirci incontro anche la storia, l’archeologia, l’epigrafia, la
filologia, l’archivistica, la paleografia e tutte le scienze umane.
La relazione più stretta della linguistica è quella con la filologia. Nascono nel III sec. a.C., mentre
prima le riflessioni sul linguaggio erano compito dei filosofi. La prima attestazione è in un dialogo
platonico, il Cratilo. È con la filologia alessandrina che ci si inizia a porre domande. I filologi
avevano raccolto diverse versioni di uno stesso scritto e dovevano cercare il documento originale.
Il suono è ciò che della parola è immediatamente percepibile. La parte materiale del linguaggio è
quella che ci colpisce maggiormente. Il suono è un fenomeno fisico, descrivibile in termini
scientifici. Il mutamento fonetico è quello più visibile e quello più formalizzato ed è anche quello
che è stato più studiato. È quello che conosciamo meglio, perché la linguistica storica si sviluppa in
una fase in cui c’è l’esigenza di dare una veste scientifica a questa disciplina.
È necessario dotarsi di alcune conoscenze relative al modo in cui si articolano e si producono i
suoni (fonetica articolatoria).

Fonetica = studio del suono linguistico dal punto di vista fisico, come concreta manifestazione
acustica. Lo studia dal punto di vista della produzione del suono (fonetica articolatoria), da quello
della percezione del suono (fonetica uditiva), da quello della propagazione del suono (fonetica
acustica). Nel passato si studiava solo quella articolatoria, oggi anche quella uditiva. Si crede che i
suoni si riproducano in un modo particolare per il modo in cui li abbiamo percepiti. Questo è il caso
della ripetizione delle parole di una lingua straniera. Non riproduciamo le parole per come le
sentiamo, ma per come le percepiamo. In questo modo, estremizzando, si potrebbero creare le
varianti di una lingua. Gli errori di oggi sono la norma di domani.

La lingua vive in precario equilibrio tra mutamento e conservazione. Se non muta, muore. Se muta
troppo non può essere trasmessa.

Fonologia = studia il modo in cui ciascuna lingua organizza i suoni di cui si serve in un sistema.
L’apparato fonatorio umano produce un’infinità di suoni, ma non tutti vengono usati dalle varie
lingue. All’interno di questo set di suoni utilizzati, non tutti hanno lo stesso peso e significato. Alcuni
acquistano quello che si chiama un carattere distintivo.
Es. la durata dei suoni. Le parole inglesi ship e sheep le distinguiamo dalla durata della vocale. In
italiano questa cosa non si presenta, mentre si usano molto gli accenti delle parole.
Foni = suoni come fenomeni fisici.

3
Fonemi = suoni come elementi organizzati in un sistema di opposizioni distintive. Sono nozioni
astratte. Il suono è l’immagine acustica che noi abbiamo mentalmente.
Quando parliamo, facciamo riferimento al piano astratto della regola della lingua.
Un fonema non si materializza senza fono.
Due fonemi corrispondono a due foni.

Un suono è un fonema se è in grado di creare una differenza tra due forme della stessa lingua,
come nel caso di dato e dado. In questa coppia l’unica differenza è tra t e d. Questo vuol dire che
d e t sono fonemi.
Poiché i fonemi sono entità astratte, hanno bisogno di una manifestazione concreta, che è il fono.
Ciascun fonema si concretizza in un fono diverso  MA  non è detto che due foni realizzino due
diversi fonemi.
Es. giro e ghiro.
‘ = dove cade l’accento.
: = durata del suono.
Noi distinguiamo le due parole per la qualità iniziale del suono. Il fatto che uno pronunci le due
parole con due tipi di r diverse non crea due parole diverse.
Nel caso del suono iniziale abbiamo due fonemi, ma ci sono altri tipi di suoni prodotti che non
distinguono due parole.
Chi usa la erre moscia non crea delle nuove parole. La diversità di articolazione del suono non
produce due parole diverse, ma modi diversi di dire la stessa parola.

Per sapere se due suoni realizzano due fonemi, bisogna verificare se nella lingua esiste almeno
una coppia di parole (coppia minima) che si distinguono per l’opposizione di quei due suoni. Se
questo accade, quei due suoni sono anche due diversi fonemi. Se questa coppia non esiste i due
suoni non sono fonemi, ma allofoni  stesso fonema, ma due realizzazioni diverse in base al
contesto.

I suoni non vengono articolati separatamente. Noi siamo influenzati psicologicamente


dall’esperienza della scrittura. Ma la produzione del suono è un flusso continuo e ininterrotto.
L’articolazione di ogni suono è condizionata dalla produzione del suono che precede e che segue
(meccanismo della coarticolazione).

Come funziona la produzione del suono?


Comincia dai polmoni. Il meccanismo respiratorio produce una corrente d’aria. I polmoni si
contraggono e spingono l’aria su per la trachea. L’aria risale e arriva nella laringe. Nella glottide si
trovano le corde vocali, che possono essere accostate o aperte. La corrente d’aria entra qui in
vibrazione e i suoni vengono prodotti. L’aria arriva nella faringe e poi nel cavo orale. L’aria in
vibrazione produce suoni diversi in base alla forma che diamo al cavo orale.]

 Distinzione tra vocali.


Le vocali sono prodotte da un flusso d’aria che non incontra ostacoli e quindi produce un suono
regolare. Ciò che distingue le vocali è:
1) L’altezza della lingua nel cavo orale.
2) L’arretramento o l’avanzamento della stessa nel cavo orale.
3) La posizione delle labbra, che possono essere tese o arrotondate. In italiano questo
parametro non è distintivo, in francese si, per esempio.
4) L’apertura o la chiusura delle fosse nasali. Chiuse danno vocali orali, aperte vocali
nasalizzate.

Le vocali italiane sono 7: opposizione tra e aperta ed e chiusa e tra o aperta e o chiusa.

La classificazione dei suoni ci fa intuire la direzione del mutamento.


Esempio  dittongo ai. È un’articolazione complessa che tende a semplificarsi. Tende a
monottongare (produrre un suono unico)  diventa una e aperta. Il dittongo au diventa o aperta.

4
E aperta, e chiusa e i = vocali anteriori o palatine.
O aperta, o chiusa e u = vocali posteriori o velari.

 Distinzione tra consonanti.


Sono non suoni, ma rumori, perché prodotte dal fatto che la corrente d’aria incontra un ostacolo. Si
distinguono in:
- Occlusive, fricative e affricate = occludenti o ostruenti.
- Le restanti = sonoranti  naturalmente sonore.
Il meccanismo di rilascio dell’aria è diverso.
Le consonanti si distinguono in base a:

1) Il modo di articolazione  “resistenza” dell’ostacolo. Le occlusive, momentanee o plosive,


sono prodotte da un ostacolo che impedisce totalmente il flusso d’aria finché la pressione
dei polmoni sale oltre un punto tale che fa superare questo ostacolo. Consonanti fricative,
spiranti o continue, perché in questo caso l’ostacolo all’aria non è totale, ma parziale. L’aria
non è rilasciata tutta insieme, ma lentamente. Per questo si chiamano fricative o spiranti,
perché il rumore che le caratterizza è un fruscio e sono dette “continue” perché è possibile
continuare l’articolazione finché si ha fiato. Il terzo gruppo sono le consonanti affricate.
Sono articolazioni composte, che partono come occlusive, ma si concludono come spiranti.

2) ll punto di articolazione  punto dove si produce l’ostacolo nel cavo orale.

3) Il grado di sonorità  prodotto da una coppia di suoni.

Solo per le ostruenti posso dire se sono sorde o sonore.

Sono consonanti naturalmente sonore le sonanti. Sono quelle nasali (apertura delle fosse nasali),
quelle laterali (l’aria passa ai lati della lingua), quelle vibranti (come la r, sono prodotte da una
rapida vibrazione della punta della lingua), quelle approssimanti (dette semivocali o
semiconsonanti).

Negli alfabeti normalmente non c’è un rapporto univoco tra segno e suono.

Casa schema quadro  tre grafie diverse per rendere lo stesso suono.

Casa cena  stessa grafia ma suono diverso.

La stessa grafia in alfabeti diversi ha diversi valori.

Scena ship schimdt chez  lo stesso suono è reso da grafie


completamente diverse.

Nel ‘700 si è quindi elaborato un alfabeto fonetico internazionale (IPA)  per convenzione ogni
rappresentazione grafica corrisponde a un solo suono.
Esempio  il suono “sc” è rappresentato dal simbolo ∫.

Come possiamo sapere che un tempo una parola veniva pronunciata in un certo modo?
 L’evoluzione successiva può darci un’idea.
 Dagli errori. Se un bambino scrive quadro con la c lo fa perché le sente uguali. Va
confrontata la grafia dei semi colti con quella standard, sicura dal punto di vista
grammaticale.

5
 Dalla metrica. La metrica antica si basava sull’alternanza di lunghe e brevi. Alcune si
elidevano per evitare l’incontro tra vocali.
 Dalle onomatopee.
 Dai prestiti.

Bisogna sempre tener distinti il piano del suono e quello grafico.

Coarticolazione = il parlato spontaneo non solo è ipoarticolato, ma costituisce anche il continuum


lungo il quale i confini tra le unità sfumano a livello sia articolatorio che acustico. Il
condizionamento dell’abitudine alla scrittura ci fa immaginare che articoliamo separati i suoni, ma
non è così.
La coarticolazione è un processo per cui, mentre gli organi si stanno disponendo in una
configurazione articolatoria, in parte conservano l’atteggiamento dell’articolazione precedente e
nello stesso tempo iniziano a prepararsi per quella successiva. Questa cosa accade non solo nella
successione delle lettere nella stessa parola, ma anche per parole una successiva all’altra.
Questo processo può influenzare anche il mutamento linguistico. Ciò può avvenire in modo
casuale mentre parliamo (“propio” invece che “proprio”). Se è occasionale non ha influssi sulla
lingua (effetti sporadici e mutamento occasionale).
Altre volte questo effetto si manifesta in maniera regolare, magari perché quel modo di articolare la
parola è più facile rispetto alla parola originaria (effetto sistematico e mutamento regolare).

Non sappiamo bene perché alcuni mutamenti si affermano e altri no.


Ci sono diverse teorie in proposito.
Es. [KT] > [TT].  lacte(m) > latte
tectu(m) > tetto.

Il mutamento regolare mi permette di risalire alla forma antecedente, se non la possiedo. Se il


mutamento è occasionale questo processo diventa molto più difficile.

Il più tipico fenomeno coarticolatorio è l’assimilazione, che è un fenomeno di coarticolazione per


cui un fono, cioè un suono fisico, assume in tutto (assimilazione totale) oppure in parte
(assimilazione parziale) i tratti articolatori di un altro fono. Questo significa che un fono diventa
simile a un altro, in tutto o in parte.
Es. *sed – la > sella  assimilazione totale. Il primo suono “d” ha assunto tutti i tratti del secondo
“l”.
*sop – mos > somnus  assimilazione parziale. Il primo suono era occlusivo bilaterale sorda, il
secondo era una nasala bilabiale. Nel passaggio il primo si è totalmente assimilato al primo, ma il
secondo è mutato. Per questo i due suoni sono diventati simili, ma non identici.

In base alla posizione del suono assimilante si parla di:


 assimilazione progressiva  si protraggono i tratti articolatori del suono che precede. Il
primo suono rende simile a sé il secondo.
 Assimilazione regressiva  si anticipano i tratti articolatori del suono che segue. Il secondo
suono rende simile a sé il primo.
 Assimilazione bidirezionale  influenza congiunta del suono che segue e di quello che
precede.
L’assimilazione regressiva è molto più comune e tende ad essere più sistematica. Quella
progressiva è più rara e tende ad essere sporadica.
*alio > állos  assimilazione totale progressiva.
Got. Aljis vs oe (old English) elles > mid.e. (middle English) ells > me (modern English) else 
assimilazione parziale progressiva.

Assimilazione bidirezionale  lenizione ibero gallo romanza  fenomeno di assimilazione del


suono che da sordo diventa vocalico. Fenomeno che riguarda le occlusive sorde del latino p, t, c in
posizione intervocalica. Si verifica nella Romania occidentale. In Italia coinvolge solo le parlate
settentrionali sopra l’isoglossa La Spezia – Rimini. Queste occlusive sorde del latino in posizione

6
intervocalica si sonorizzano. Questo fenomeno può proseguire in modo che il suono prima si
spirantizza e poi si dilegua.
Es. lat. SAPERE > sp. SABER; afr (antico francese) SAVEIR > savoir.

È interessante quando si hanno due forme in italiano, in cui una presenta la lenizione e l’altra no.
Esempio  lago presenta la lenizione, lacustre no.
Le due parole hanno seguito due strade diverse. Quella che è cambiata appartiene alla trafila
popolare. Quella che non ha subito lenizione è stata recuperata dal latino ed è quindi una parola di
trafila dotta.
Esempio  oro ha la lenizione, aureo no.

Si può avere assimilazione tra consonanti, tra vocali e consonanti e tra vocali.
Fenomeno della monottongazione  un originale dittongo si riduce a un unico suono vocalico.
Dittonghi = articolazioni complesse in cui viene associata una vocale medio-bassa (a, e, o) con
una semivocale (i e u semivocalica).
Nel dittongo l’elemento accentato è la componente vocalica.
Es. MAI  l’accento cade sulla “a”.
Se nel dittongo l’elemento vocalico precede la semivocale il dittongo è discendente, perché il
secondo elemento non è accentato. Se invece precede la vocale e segue la semivocale il dittongo
è ascendente.
Per l’indoeuropeo sono stati trovati solo dittonghi discendenti. Tutti i dittonghi tendono a
semplificarsi e a monottongare. Questo processo non avviene in maniera casuale. Il dittongo AI
diventa E, un suono tra a e i. AU diventa O, un suono tra a e u.
La monottongazione è quindi un fenomeno di assimilazione tra due vocali.
Es. ie *aidh > scr. edhas ‘materiale combustibile’; gr. aitho ‘accendo, brucio ‘; lat. aedas ‘casa,
tempio’; oe ad, aat. eit ‘pira, rogo ’  il sanscrito monottonga il dittongo, ma mantiene spirata la
vocale. In greco il dittongo si conserva e la consonante è diventata sorda. In greco l’occlusiva
dentale indoeuropea diventa sorda aspirata. In latino originario la consonante ha perso
l’aspirazione; il dittongo sta in una fase intermedia tra sanscrito e greco: nello scritto rimane, nel
parlato no.
Perché in latino “materiale combustibile” diventa “casa”? Perché il centro della casa è il focolare,
come nel tempio. I due edifici simboleggiano la relazione in un caso tra famiglia ed edificio e
nell’altro tra comunità ed edificio.
Perché abbiamo ancora dei dittonghi, se questi tendono a monottongare? Perché la tendenza a
monottongare è compensata da quella alla dittongazione, ovvero alla creazione di nuovi dittonghi.
Es. NOVUS del latino in italiano diventa NUOVO.
Sillaba che termina in vocale  aperta.
Sillaba che termina in consonante  chiusa.

L’assimilazione può avvenire tra suoni contigui (assimilazione a contatto) o verificarsi a distanza
(dilazione).
Un’importante manifestazione dell’assimilazione a distanza è la metafonia, o metafonesi 
fenomeno per cui una vocale medio-bassa radicale, quando è seguita da una vocale alta (i oppure
u), si innalza nell’articolazione  una vocale all’interno di parola si modifica per effetto di una
vocale finale.
Metafonia provocata da i  palatale.
Metafonia provocata da u  velare.
Es  ie. suad “dolce” > skr. svadus “dolce”  la u semivocalica diventa v, cioè consonante
fricativa di tipo labiale. Gr. hedus  la a diventa e, il nesso “su” diventa un’aspirazione iniziale.
Lat. suavis (< suaduis). In tutte queste parole non c’è metafonia.

g.c (germanico comune). *swot-ja (abbiamo le condizioni per la metafonia) > oe swete > sweet
(per metafonia palatale la ō diventa ē).
Aat (antico alto tedesco). swozi > mat. (medio alto tedesco) sweze > ted. süß.

7
Oe. mann “uomo”  plurale manniz. Ora abbiamo men  la metafonia è diventata un elemento
morfologico.

Il fenomeno contrario all’assimilazione è la dissimilazione  processo per cui due suoni della
stessa parola, raramente parole contigue, differenziano in tutto o in parte i tratti articolatori così da
facilitare la pronuncia. Può essere parziale o totale.
Se è parziale abbiamo solo alcune caratteristiche.
Es. stinco < longobardo *skinko, ted. Schinken “prosciutto”. Skinko presenta due suoni identici in
due sillabe consecutive: al termine del processo i due suoni si sono differenziati. È cambiato il
punto di articolazione. Primo suono = occlusiva sorda dentale.
Se la dissimilazione è totale si arriva alla scomparsa del suono.
Es. it. pop. propio invece che proprio.
La dissimilazione può essere regressiva o progressiva. È regressiva se il secondo suono influenza
il primo e lo modifica. È progressiva se il primo suono influenza il secondo e lo modifica.
Regressiva  lat. caeruleus < *caeluleus < caelum. Il secondo ha influenzato il primo.
Progressiva  suffisso denominativo lat. -ālis > -āris. Se la liquida più vicina che precede è [l] e tra
questi due suoni non è interposta una consonante non coronale, ovvero che non sia articolata con
la punta della lingua: navalis, regalis, vs regularis, consularis ecc.

La dissimilazione è un fenomeno più raro dell’assimilazione. Inoltre, è sporadico come fenomeno


ed è difficilmente predicibile.
Es. lat. arborem > it. Albero, sp. Arbol, fr. Arbre. In italiano dissimilazione parziale regressiva. In
spagnolo dissimilazione parziale progressiva. In francese non c’è dissimilazione.

MA

Legge di Grassmann
C’è un caso in cu abbiamo una dissimilazione sistematica spiegata dalla legge di Grassmann.
Legge fonetica = forma che descrive un mutamento fonetico sistematico.
Questa legge si verifica in due lingue: sanscrito e greco antico.
In queste due lingue due suoni aspirati in due sillabe consecutive non sono tollerati. Se si verifica
questa condizione il primo si deaspira. Si verifica nelle due lingue in modo del tutto indipendente.
Es. ie. *dhe > skr. Dadhāmi; gr. Tithēmi (porre nell’esistenza)  in origine erano dha-dha-mi e thi-
the-mi. Però la prima h aspirata non era tollerata ed è stata tolta. Presente raddoppiato = forma
verbale che costituisce il tema ripetendo la sillaba iniziale.
In skr. a, e, o indoeuropee diventano tutte a.
In gr. le sonore aspirate indoeuropee diventano sorde.
Se prima agisse la legge di Grassmann e poi la trasformazione da sonora a sorda, la prima sillaba
avrebbe perso la sua aspirazione.
Dhi-dhe-mi > *di-dhē-mi > di-thē-mi.
Per avere tithēmi la trasformazione da sonora a sorda deve essere avvenuta prima
dell’aspirazione.
Il meccanismo della dissimilazione in greco è molto importante, perché due parole che derivano
dalla stessa radice evolvono in forme diverse.

gr. Takhús (veloce) vs thássōn (più veloce). Nel primo caso l’occlusiva dentale sorda aspirata è in
seconda posizione, nel secondo è in prima posizione. Nel caso dell’aggettivo al grado positivo il
suono è stato de aspirato.
*thakh  forma ricostruita del greco, non conosciamo l’etimologia esatta. Forma di partenza del
greco. Nell’aggettivo al caso positivo il primo suono si de aspira, secondo la legge di Grassman.
Nel comparativo: *thakh- įōn, che diventa thássōn, la i semivocalica provoca una trasformazione
della consonante che precede. Non essendoci più la seconda aspirata, il primo suono non si può
de aspirare e resta aspirato.

8
gr. Táphos (tomba) vs tháptō (seppellire). Nel primo esempio, in seconda posizione una occlusiva
sorda aspirata. Nel secondo esempio c’è un’aspirata in prima posizione in quanto l’aggiunta del
suffisso ha modificato il suono originario e ha fatto scomparire la seconda aspirata. Anche qui, non
c’è motivo per cui il primo suono si debba de aspirare.
La forma base greca di questi termini è thaph.
La forma indo europea dhabh che deriva da *dhmbh.
M (con pallino sotto) = suono sonante. Sono allofoni delle liquide e delle nasali. Esistono in molte
lingue. Sono così sonori che svolgono il ruolo delle vocali. L’italiano non le possiede. Questi suoni
sviluppano delle vocali d’appoggio, che possono riassorbire la sonante.
Es. la m sonante in greco si può sviluppare in “am” o in una semplice “a”.
Il prefisso negativo in origine è una sonante, per esempio.
In latino il prefisso privativo è “in”. Questo “in” è l’evoluzione di “en”, che è una originaria sonante.

La legge di Grassmann vale anche per l’aspirazione iniziale.


La legge vale anche per una semplice aspirazione, che viene lasciata in greco da un’originante
sibilante in posizione iniziale. Questa sibilante si affievolisce fino a diventare semplice aspirazione
conservata solo in una parte di dialetti.
Nelle diverse lingue indoeuropee, il verbo “avere” nasce da radici diverse. Questa nozione non è
primaria, ma è stata elaborata successivamente. Infatti, in tante lingue il concetto di possesso si
esprime senza utilizzare il verbo avere.
In latino, possiamo usare il dativo di possesso, con il verbo essere.
Il greco deriva il verbo avere dalla radice indoeuropea *segh. Questa radice dà origine a termini di
un altro significato:
skr. Sáhate “egli prevale”.
Skr. Sáhas “forza”.
Got. Sigis  imparentato al tedesco sieg “forza, vittoria”
Celt. Segodunum. Termine composto: “sego” esprime l’idea della forza. “Dunum” come area sopra
elevata. Possiamo tradurre come “collina fortificata”.
Quindi, la nozione fondamentale di questa radice non rappresentava il possedere, ma la forza.
Da questa radice ha quindi origine il termine greco che significa avere.
Gr. *segho” > ekhō. Doveva essere *hekhō, ma l’aspirata non c’è per via della legge di
Grassmann.
Il futuro sarebbe dovuto essere *segh-sō, che però è diventato hexō.

Dovuta a fenomeni dissimilatori è anche l’aplologia, cioè la scomparsa di due sillabe identiche o
molto simili, per facilitare la pronuncia.
Es. lat. nutrix < *nutritrix (-trix = suffisso agentivo femminile). Una delle due sillabe –tri si
semplifica.
La dissimilazione è un po’ diversa, perché nella versione più comune mutano i suoni di un suono,
mentre qui è l’intera sillaba che si dissimila fino a cadere.
L’aplologia sta a cavallo tra assimilazione e categoria delle cancellazioni/inserzione di suoni.
I fenomeni di cancellazione o inserzione hanno un’origine che trova diverse spiegazioni.
1) Il bisogno di chi parla di rendere la struttura della sillaba il più vicino possibile alla forma di
base di tutte le lingue, che sembra essere “consonate-vocale”. La sillaba tipo sembra
essere la sequenza consonante-vocale.
2) Fenomeni legati alla percezione del suono.
Fenomeni classificati o in base la tipo di suono inserito o alla posizione in cui avviene l’inserimento
o la cancellazione. Il suono inserito può essere di tipo consonantico (epetesi), per esempio lat.
ruina > it. rovina, oppure vocalico (anaptissi), come it. pop. pisicologo per psicologo.

Certe forme che noi percepiamo come scorrette e non colte, sono così per questioni di meccanica
articolatoria.
Si distingue anche la posizione: prima dell’inizio della parola, in mezzo o alla fine.

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Es. gr. skholē > lat. schola > sp. Escuela, fr. École. In spagnolo e in francese si è inserita in
posizione iniziale una vocale prostetica, che non è etimologica.
It. Centro-mer. [‘none] per dire “no”. Inserimento di una sillaba alla fine della parola. Alcune
inserzioni nella nostra lingua derivano dal fatto che le nostre parole normalmente finiscono per
vocale.
Es. “bus” in italiano si dice anche “busse”.

Nella cancellazione vengono tolti alcuni suoni della parola.


Es. verno per inverno  parte iniziale  aferesi.
Bel per bello (bel tempo)  parte finale  apocope.
Sincope  cancellazione in mezzo alla parola. Fenomeno massiccio in latino, forse derivante
dall’evoluzione dell’accento. La perdita riguarda spesso le vocali atone.
Ogni accento ha una componente musicale, una di forza espiratoria e una di durata. La sillaba
accentata è più lunga e alta di tono e con forza espiratoria maggiore rispetto a una sillaba non
accentata. Il parlante viene educato a sentire più una componente rispetto a un’altra. Questo
spiega il mutamento dell’accento.
Apofonia latina = sincope della vocale dei verbi composti latini del latino arcaico.
Es. lat. domina > domna > donna.
Lat. cerebellum > cervello.

Fenomeno della metatesi.


Scambio di posizione tra due suoni come nel passaggio lat. parabulam > spagn. palabra, ovvero
scambio di quantità come nella declinazione dei temi in dittongo del greco.

I mutamenti fonetici possono essere circoscritti al piano fonetico, ma ci sono mutamenti fonetici
che sono anche fonologici, hanno effetti sul sistema fonologico della lingua → tutti quei mutamenti
che cambiano il repertorio dei fonemi di una lingua
Mutamenti fonologici di 3 tipi:
 Fonologizzazione: due varianti di uno stesso fonema (due suoni che si trovavano in una
variazione contestuale) diventano fonemi autonomi a causa del venir meno delle condizioni
che in origine provocavano l’alternanza contestuale (aumento di fonemi nella lingua).
es: esiti della palatalizzazione aria.
 Defonologizzazione: due fonemi in origine autonomi, diventano varianti contestuali (la loro
presenza è determinata da contesto).
es: perdita della quantizzazione latina della vocale latina
 Rifonologizzazione: un fonema A che si opponeva al fonema B (per la presenza o assenza
di determinati tratti), continua ad opporsi al fonema B, ma per caratteristiche diverse (il
numero non cambia).
es: effetti della legge di Grimm.

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