Quanto Rimane Di Salerno e Di Capua Long
Quanto Rimane Di Salerno e Di Capua Long
Arechi, di Adelperga, figlia del re Desiderio, e di suoi ere- Croce, controllabile dal castello di S. Adiutore forse già al
di 4. Testimonianze redatte quasi sempre in un latino colto, tempo esistente, e sottoposta all’ispezione della Turris maior,
ricchissime di informazioni che permettono di ricostruire il cioè del castello di Salerno, discendeva verso la città sotto-
quadro istituzionale e civile della società meridionale nell’Ita- stante.
lia dei secoli VII-XI. Se per il castello gli elementi di discussione non oltrepas-
Con i suoi versi Paolo Diacono celebra di Arechi l’azione sano, nella fase longobarda, l’interesse topografico, quanto s’è
rigeneratrice della nazione longobarda 5. Questa seguì due di- potuto studiare grazie agli scavi della curtis ducale di Saler-
rettrici: con la prima di natura diplomatica il duca raggiunse no giustifica appieno l’esaltazione dei contemporanei di Are-
un’intesa politica tale da assicurarsi il disinteresse carolingio chi e degli storici immediatamente successivi per le realizza-
per le regioni meridionali, con la seconda di natura econo- zioni del duca che allora, consapevole dei suoi meriti, volle
mica accrebbe le strutture per lo sviluppo dei suoi territori. assumere il titolo di princeps ad ulteriore dichiarazione della
La cura per l’ammodernamento delle fortificazioni di Bene- propria autonomia e della volontà di rinascita dei Longobar-
vento, Salerno e Capua che ne scaturì fu secondaria, anche di. In tale progetto l’intitolazione ai santi Pietro e Paolo del-
se necessaria, rispetto al progetto di impiantare e rendere at- la sua cappella di palazzo fu l’espressione della propria sotto-
tive quante più curtis e massae rurali possibili nelle terre fer- missione al primato di Roma, forse il tentativo di temperare
tili del Sud. l’annosa ostilità del papa.
Fig. 1. Salerno, il castello detto di Arechi. Veduta d’insieme. La primitiva torre risalente al periodo
della guerra greco-gotica è soverchiata dalle costruzioni successive (Assonometria di P. Peduto)
La decisione arechiana di avvalersi di Salerno quale ul- La curtis ducale a Salerno e la cappella palatina dei SS. Pie-
teriore polo di aggregazione e sviluppo del suo ducato de- tro e Paolo
terminò la ricostruzione delle mura ma il vecchio castello –
che altro non era se non una grossa torre bizantina con i La curtis di Salerno fu eretta in un’area in cui v’erano i
suoi annessi rimasta in piedi alla fine della guerra greco go- possenti ruderi delle terme di I-II secolo d.C. (Fig. 2), sem-
tica, isolata sulla cima del monte soprastante la città, – non brerebbe in prossimità dell’antico porto romano. Tali terme
ebbe, stando ai risultati degli scavi, nuova attenzione se non erano state distrutte da una alluvione riportata nella base ono-
per qualche generica manutenzione (Fig. 1) mentre il palaz- raria – della fine IV - inizi V secolo – di Arrio Mecio Grac-
zo di governo, la curtis ducale, fu eretta nel bel mezzo della co patronus che, a sue spese, aveva proceduto alla riorganiz-
città, a cavallo delle mura prospicienti il mare. La posizione zazione della città. Le tracce di quell’alluvione, consistenti
della città era decentrata rispetto alle principali vie di comu- in un ammasso di ciottoli di fiume ed argilla, sono state rin-
nicazione, essa era raggiungibile dalla pianura vesuviana sol- venute al di sotto della pavimentazione di un ambiente oggi
tanto attraverso il percorso Nocera Mercato San Severino ed ipogeo che nella seconda metà inoltrata del V secolo adattò
il fondovalle del fiume Irno controllato dalle fortificazioni il frigidarium delle terme a chiesa, forse in base alla volontà
dei gastaldati di Nuceria e di Rota. Una direttrice secondaria di un tal Socrates la cui tomba con relativa epigrafe comme-
da Nocera verso Cava dei Tirreni s’incuneava per il passo di morativa è risultata la più antica testimonianza funeraria cri-
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 259
stiana del sito (Fig. 3). Nella fase tardoantica molto spesso i suo racconto della venuta dell’ambasciatore di Carlomagno
luoghi pubblici urbani, la cui manutenzione non poteva es- in città, richiama alla memoria la raffinatezza degli ambienti
sere sostenuta dall’erario, gestiti da funzionari e da notabili palatini magnificandone l’apposita messa in scena:
del tempo, come appunto il vir specatabilis Socrates, furono Mentre questo dignitario si avvicinava a Salerno con non pochi
destinati a chiese e cimiteri intra moenia. A sud-est del frigi- suoi accompagnatori, […] Arechi si apprestò a riceverlo in gran
darium e delle sepolture, nella zona sottostante la chiesa del pompa, […] fece radunare una grande quantità di soldati per ac-
San Salvatore sono apparsi tre possenti setti murari paralle- cogliere il legato onorevolmente e con grande solennità e perché
li – due dei quali fanno da fondazione della chiesa quattro- quelli apparissero davanti agli occhi dei legati addobbati nelle
centesca – costruiti con laterizi di spoglio e pietrame a sor- loro varie divise e schierati in armi. Lungo lo scalone del palaz-
reggere gli archi e le volte del piano inferiore della curtis (Fig. zo fece disporre di qua e di là degli adolescenti che reggevano
4). La fase romana in questa zona è rivelata da canali di de- in pugno degli sparvieri con altri uccelli dello stesso genere; poi
flusso più volte riparati. A sud-ovest rispetto al frigidarium, fece schierare in piedi dei giovani di bello aspetto che reggeva-
no con le mani anch’essi degli uccelli da preda; altri di essi gio-
è stato individuato, ma non esplorato, il calidarium e il rela-
cavano invece presso un tavolo […] al centro, su un trono d’oro,
tivo canale di sbocco in cotto. All’ambiente del frigidarium i stava seduto il principe (Chr. Sal., 12).
costruttori altomedievali sovrapposero la cappella privata del
palazzo di Arechi, integrando con le necessarie nuove strut- Gli scavi e le analisi stratigrafiche delle strutture murarie
ture di fondazione le murature romane (Fig. 5). superstiti hanno mostrato che il palazzo, nella parte indaga-
Fig. 2. Salerno. Area del palazzo di Arechi II. Un tratto residuo dell’opus reticulatum delle terme (US 353)
integrato dalla muratura in laterizio realizzata per la costruzione della curtis ducale
L’aspetto del palazzo è ricostruibile sulla base di alcune ta, si sviluppava su due piani e che il secondo era contorna-
sue parti superstiti, l’arredo architettonico, almeno per quanto to da un loggiato lungo i lati est, ovest e sud (Fig. 9), men-
riguarda la cappella palatina, è restituito da numerosi fram- tre sul lato nord, occupato dalla cappella palatina, vi erano
menti di mosaico in opus sectile realizzato in prevalenza con delle monofore e delle bifore (Fig. 10).
marmi di spoglio (Fig. 6), mentre un minuscolo brandello di L’insieme dell’edificio seguì quei canoni elaborati duran-
affresco – il solo superstite ancora in situ sulla parete nord, te il regno goto che costituirono poi la base dello sviluppo
raffigurante un giovane defunto con le braccia piegate,vestito dell’architettura longobarda 6. Ed infatti il loggiato, ancora in
di un candido camice, disteso e con i polsi incrociati – pro- parte visibile sul lato ovest, posto a coronamento del palazzo
va che le descrizioni dei cronisti circa la ricchezza delle raf- arechiano di Salerno costituisce il riferimento immediato ai
figurazioni potrebbero essere veritiere (Fig. 7) Alcuni pezzi modelli dell’architettura tardo antica e gota riconoscibili nel
di una grande epigrafe commemorativa composta da tavole mosaico del IV secolo nella tenuta di Junio a Cartagine (Fig.
marmoree, in origine collocata tutt’intorno lungo le quattro 11), in quello più noto di S. Apollinare Nuovo, nella Raven-
pareti della cappella palatina, definivano la regalità della sala na degli inizi del VI secolo, raffigurante il palatium reale: una
(Fig. 8). L’anonimo cronista della Salerno del secolo X, nel sorta di massiccia torre coronata da un loggiato. Se la descri-
260 PAOLO PEDUTO
Fig. 3. Salerno. La tomba di Socrates (fine sec. V) (Foto P. Peduto) Fig. 4. Salerno. Un setto murario arechiano sottostante il pavimento della
chiesa rinascimentale del S. Salvatore de Fondaco (Foto P. Peduto)
Fig. 5. Salerno. Area del palazzo di Arechi II. Ambiente termale roma- Fig. 6. Salerno. Palazzo di Arechi. Resti dei sectilia che componevano i
no sottostante la cappella dei SS. Pietro e Paolo (Foto P. Peduto) tappeti marmorei della cappella (Foto P. Peduto)
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Fig. 7. Salerno. Palazzo di Arechi. L’unico frammento di affresco sulla Fig. 8. Salerno. Palazzo di Arechi. Frammenti del titulus con
parete nord della cappella (Foto P. Peduto) i versi di Paolo Diacono (Foto P. Peduto)
zione dell’Anonimo salernitano corrisponde al vero il palazzo lizia privata. Non si può negare, tuttavia, che nella secon-
s’apriva dalla parte del mare con un’ampia scala sullo scena- da metà inoltrata dell’VIII secolo il rigore con cui Arechi
rio della costa amalfitana. Già Paolo Diacono – contempo- ripercorse i modelli antichi fu originato da una volontà di
raneo di Arechi e quindi testimone più attendibile dell’Ano- identificazione con il potere che li aveva generati e non ap-
nimo salernitano – componendo il carme, forse per il titulus paiono come una elegante e dotta citazione estetica. Nella
dispiegato sull’esterno del palazzo, esaltava l’azione arechia- Longobardia meridionale un analogo episodio epigrafico –
na paragonandola a quella degli imperatori romani: Aemula più tardo di alcuni decenni e meno sensazionale per il suo
Romuleis consurgunt moenia templis / Ampla procul fessis vi- circoscritto componimento letterario – si rinviene nell’abba-
senda per aequora nautis […] (Emulando i templi di Roma, zia benedettina di S. Vincenzo al Volturno, nel Molise. Esso
s’innalzano queste mura, visibili da lontano, di su le ampie è attribuito al periodo dell’abate Giosuè (792-817) artefice
distese marine, agli stanchi naviganti […]). di un consistente ampliamento del monastero 7.
Di Paolo Diacono un secondo componimento – di cui si Forse ciò che rimane della corte arechiana della Salerno
era messa in dubbio l’esistenza, ma confermato dal rinveni- opulentissima di Paolo Diacono (Historia, II, 17, p. 96) non
mento di alcune tavole marmoree poste in origine sulle pare- basta da solo a provare l’assunto, ma i resti dei rivestimenti
ti della cappella palatina, come s’è detto sopra – aiuta a chia- marmorei della cappella palatina che il duca-principe dedicò
rire l’aspetto ornamentale dell’opera arechiana che si avvalse ai SS. Pietro e Paolo costituiscono una prova sicura a soste-
di sculture, di dipinti, di epigrafi aurate ([…] Duxit opus ni- gno di tale asserzione.
mium, variis sculptumque figuris/ Brac[teatis]) Il pavimento della cappella era composto da tappeti mar-
Sulle tavole di marmo orientale dell’altezza di circa cm morei di vari disegni, realizzati prevalentemente con marmi
35, dallo spessore variabile dai tre ai quattro cm, furono in- di spoglio e con un calcare bianco, il palombino, provenien-
cise con solchi a sezione trapezoidale delle lettere capitali te dall’Appennino meridionale.
che variavano dai tredici ai diciassette cm. Le lettere in bron- Gli spolia sono costituiti da porfido rosso, da serpentino
zo dorato, oggi scomparse, erano tenute nei solchi mediante – il cosiddetto porfido verde –, dalla breccia del giallo anti-
peducci di piombo di cui rimangono residui di ossidazione co, dal lucullio, dal rosso antico. Molte tarsie mostrano, nel
nei fori del marmo. L’apposizione di tali iscrizioni maesto- successivo adattamento ai nuovi moduli dei tappeti marmo-
se era una consuetudine imperiale nei magniloquenti monu- rei, ancora i segni del primo impiego. È, infatti, ben visibile il
menti pubblici romani; tale uso con gli stessi intenti solenni riuso di listelli dalla superficie stondata provenienti dalle cor-
perdurò senza soluzione di continuità fino a tutto il Rinasci- nici di riquadri parietali di età imperiale. In numerosi fram-
mento e fu ripreso in modo vistoso nel periodo Neoclassico menti si può notare l’uso dello scalpello perché li si potesse
fino all’Eclettismo tardo ottocentesco, conservandosi sia ne- disporre nei nuovi moduli. Accade così che losanghe, rom-
gli episodi architettonici pubblici, sia diffondendosi nell’edi- bi, listelli, quadrati, dischi, petali presentino dei lati perfetta-
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Fig. 13. Salerno. Palazzo di Arechi. Cappella palatina: frammento del mo-
Fig. 12. Salerno. Palazzo di Arechi. Due esemplari di piastrelle esagonali tivo a scacchiera del rivestimento parietale dell’abside (Foto P. Peduto,
della cappella palatina arechiana (Foto P. Peduto, disegni F. Sproviero) disegni F. Sproviero)
le. Non è azzardato credere che si tratti di un motivo piut- Si tratta di vetri dorati secondo la tradizionale tecnica
tosto diffuso nell’alto Medioevo, ma gli esagoni della cappel- impiegata per la produzione delle lastre destinate ai mosaici,
la palatina arechiana a Salerno hanno una particolarità che cioè della tecnica detta a sandwich. Il tassello di vetro opaco
non si individua altrove in Italia: contengono delle inserzioni non molto depurato, tendente al bruno o al verde scuro, era
policrome di porfido rosso e verde alternati. La decorazione prodotto a stampo; sulla sua superficie maggiore si applica-
delle piastrelle si sviluppa secondo due moduli: il primo con va la doratura che poi era sigillata da un sottile strato di ve-
un disco, il secondo con un tassello quadrato posto al centro tro trasparente ed incolore.
(Fig. 12); lungo i raggi sono disposti minuscoli dischi, anco- Se nell’immediato confronto visivo l’opus sectile della cap-
ra di porfido, dai colori alternati. Gli alloggiamenti dei dischi pella palatina di Arechi II può trovare, come ho detto, riscon-
furono ricavati mediante il trapano e fu adoperata per incol- tri in numerosi esempi di età imperiale, è forse utile esamina-
larli una pasta di malta rosa. In talune piastrelle la sostitu- re le singole composizioni giunteci per tentare di tracciarne
zione della colla con una malta bianca fine, ricca di sabbia, è l’evoluzione.
la traccia di un antico restauro occorso. Tra la tarsia centrale Si osserva innanzi tutto che, salvo per il motivo a scacchie-
e quelle radiali v’è un sottile solco che, molto probabilmen- ra del pannello parietale e per quello ad esagoni del tappeto,
te, serviva a creare un effetto chiaroscurale tale da far rile- la composizione del disegno delle tarsie marmoree produce
vare meglio nel suo insieme la trama del tappeto marmoreo. un effetto dinamico che risulta accentuato dai numerosi co-
Ciò che resta del rivestimento parietale, rinvenuto in po- lori adoperati nel singolo modulo. Nella cappella palatina di
sizione secondaria (Fig. 13) – come in posizione secondaria Salerno vi erano singoli tappeti formati con marmi rossi, ver-
sono stati trovati del resto tutti i sectilia della cappella pala- di, bianchi, giallo, rosa, con aggiunta, talvolta, di brecce che
tina di VIII secolo –, era ammucchiato nel riempimento del da sole creavano ulteriori sfumature coloristiche. Non cono-
solaio dell’abside rimodellata in forma semicircolare dai Ca- sco sectilia di VIII secolo altrettanto appariscenti. Ci si chie-
racciolo nel XVI secolo. Qualche frammento baluginava an- de, inoltre, quale percorso sostennerro gli artefici di tali ma-
che al di sotto dei marmi della gradonata esterna aggiunta nufatti, cioè quali furono nel tempo i committenti capaci di
dagli stessi Caracciolo. Il frammento in questione è costituito tenere in vita una tale tradizione artigiana che raggiuse, al-
da un lacerto di una decorazione a scacchiera composto da meno in Italia meridionale, i secoli IX-X.
tessere quadrate di tre centimetri e mezzo di lato. I pannelli Una parziale risposta a questo quesito è data dalla costru-
parietali erano formati da tessere di porfido rosso, di porfido zione a Cimitile, tra il 401 ed il 403, della basilica nova or-
verde e di vetro dorato, disposte in diagonale, ed erano riqua- dinata da Paolino, nella cui abside a triconco il committente
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volle espressamente che fossero rivestiti pavimento e pareti to. È un frammento che potrebbe conforndersi col rivesti-
con quei sectilia scoperti nel 1939 durante i restauri di Chie- mento parietale della cappella palatina di Salerno. Mesco-
rici, ma soltanto recentemente studiati da Carlo Ebanista che lato con i pavimenti cosmateschi di età desideriana, esso fu
ne ha sottolineato l’origine dalle esperienze romane del tem- pubblicato da Angelo Pantoni nel 1973 nella sua analitica
po 10. Il caso di Cimitile non è isolato: sempre da alcuni siti descrizione degli scavi del 1951 eseguiti a Montecassino 13.
altomedievali della Campania, provengono sculture e pittu- Il frammento in questione poteva far parte della chiesa ri-
re che appaiono in debito con Roma, com’è il caso di alcuni costruita dopo la prima distruzione di Montecassino ad ope-
frammenti scultorei da chiese salernitane 11 e dell’affresco nel- ra di Zottone tra il 577 ed il 589. Il monastero scomparve
la chiesa di S. Maria Assunta di Pernosano a Pago del Vallo per 127 anni, fino a quando nel 717 Petronace, un pellegri-
di Lauro (Avellino) raffigurante S. Cecilia (Fig. 14) 12. no di Brescia si recò su invito di papa Gregorio II a Monte-
Fig. 14. Pernosano, Pago del Vallo di Lauro (Avellino). Chiesa ipogea di S. Maria Assunta:
scena con i Santi Cecilia, Urbano e Valeriano (Foto P. Peduto)
Dagli inizi del V secolo, cioè dall’episodio di Cimitile, cassino e, aiutato dai monaci di S. Vincenzo al Volturno, vi
dobbiamo fare un doppio salto fino a raggiungere, come s’è ricostruì il monastero; ma il piccolo reperto di opus sectile in
visto, prima la metà del secolo VIII e le opere di Arechi II, pasta vitrea potrebbe provenire anche dalle attività di rin-
poi i sectilia della cappella protoromanica di S. Restituta a novamento promosse al tempo dell’abate Gisulfo tra il 797
S. Vincenzo al Volturno, eseguiti nel secolo IX. Ma qui ci si e l’817 14. I listelli in vetro dorato del frammento cassine-
ferma, poiché le rotae del pavimento volturnense annunciano se sono simili, se non proprio identici, ai listelli salernitani
un’altra temperie culturale per la quale si dovrà tener conto del palazzo arechiano e costituiscono la prova che nelle re-
dell’apporto islamico. gioni della Longobardia meridionale agivano maestranze di
Un interessante frammento di opus sectile, facente cer- provata esperienza, ben in grado di soddisfare le richieste
tamente parte di una fase predesideriana della basilica di di una committenza raffinata, ispirata certamente più dagli
Montecassino, potrebbe confermare la diffusione dello spe- ambienti cosmopoliti di Roma, di Napoli, di Salerno e di
cifico uso di sectilia in vetro dorato per il rivestimento pa- Amalfi che da Pavia o addirittura dalla albeggiante Aquis-
rietale. Si tratta di un pezzo in cui sono impiegati tozzetti grana.
di vetro dorato (Fig. 15), turchino, verde e rosso, rinvenuto Per l’Italia meridionale non si conoscono altri esempi di
presso l’altare maggiore nell’area del sepolcro di S. Benedet- sectilia confrontabili per dovizia di materiali e di forme a
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questi salernitani, mentre soltanto per le piastrelle esagonali da tempo, alcuni autori hanno fatto notare che: «Carloma-
si potrebbe azzardare una derivazione da modelli orientali, gno non fu il primo monarca ad impiegare a proprio vantag-
come la straordinaria decorazione della vetrata del VI secolo gio l’antichità: i papi, i sovrani indipendenti fecero la stes-
rinvenuta a Salonicco, oggi sitemata nel Museo dell’Arte bi- sa cosa» 15. Peraltro l’analisi che Nicola Cilento 16 elaborava
zantina della città, nella quale fu utilizzata addirittura la ma- circa lo sviluppo della cultura letteraria e della storiografia
dreperla (Fig. 16). nell’Italia meridionale per i tre secoli finali dell’alto Medio-
evo, dall’VIII al X, coincide con quanto la realtà materiale
indagata mediante l’archeologia sta rivelando: le tracce resi-
due sono sufficienti ad affermare, quasi con le stesse parole
dello storico della Longobardia minor, che l’eredità classica
rimase viva in Italia meridionale proprio perché essa si rin-
novava di continuo, mentre l’adesione statica all’ideale tar-
doantico delle regioni centro europee, in particolare dell’Ir-
landa e dell’Inghilterra, condusse verso i rigidi canoni della
Rinascita carolina.
Fig. 15. Montecassino. Frammento di opus sectile recuperato presso la Nel 787, deceduto Arechi II, i suoi immediati successori
tomba di S. Benedetto (da Pantoni) proseguirono nel suo progetto di costruire una solida econo-
mia, autonoma in qualche modo dal nascente impero d’Occi-
dente, come dimostra ancora una volta il trasferimento a Sa-
Come s’è visto i rinvenimenti di opus sectile in Italia me- lerno, in un quartiere appositamente loro destinato, di gruppi
ridionale non sono numerosi ma, poiché provengono da con- di mercanti dalla costa amalfitana perché inserissero la città
testi specifici, risulta piuttosto semplice notare che i commit- nei traffici delle rotte mediterranee. Nel quartiere degli Amal-
tenti non avrebbero potuto essere se non i principi stessi e fitani di Salerno la recente scoperta della primitiva chiesa di
gli abati di quei monasteri che ne condividevano la scienza S. Andrea 17 posta a ben cinque metri al di sotto dell’odier-
del governo. In tal modo Salerno, Montecassino e S. Vincen- no piano di calpestio della soprastante chiesa romanica, ha
zo al Volturno finiranno con l’esprimersi nel medesimo lin-
guaggio esornativo, adatto a far comprendere le origini ari-
stocratiche della potestà detenuta.
Tra la fine dell’impero romano e l’alto Medioevo, l’appa-
rente continuità del codice di forme e di colori adottata nei
palazzi del potere e nei monasteri reali non fu, quindi, casua-
le, né un semplice adattamento del gusto di un committente
più o meno raffinato, scaturì, al contrario, dalla consapevo-
lezza della rappresentazione del potere che di per sé tende-
va a mostrarsi nell’immanenza delle forme di un linguaggio
codificato. Si comprende allora l’attenzione e la cura che i
committenti ponevano nel far eseguire gli edifici che tale
potere esprimevano. Il fatto stesso che a Salerno Arechi II,
alla metà del secolo VIII, fu in grado di adottare per le pro-
prie costruzioni il linguaggio formale degli imperatori roma-
ni, riveste un duplice significato: da un lato quel linguaggio
gli era familiare e, nel contempo, aveva a disposizione ma-
estranze in grado di realizzare simili manufatti, nell’intento
di creare un’iconografia del potere che ben si adattasse sia
ai fini religiosi che laici, come è ormai dimostrato da tem- Fig. 16. Salonicco (GR). Museo dell’Arte Bizantina: particolare
po. Ma è ancora diffusa fra molti studiosi dell’alto Medio- di una vetrata di VI sec. (Foto P. Peduto)
evo la convinzione che un siffatto processo sia avvenuto a
scatti, quasi per un’improvvisa esigenza estetica di recupe-
ro dell’antico, convinzione che gran parte degli storiografi restituito un ciclo di affreschi, seppur parzialmente rovina-
dei Carolingi ha tentato di accreditare col porre in modo ti, raffiguranti quattro arcangeli (Fig. 17). La pittura indica
eccessivo l’accento sulla cosiddetta ‘rinascita’ anche se, già – per gli stretti rapporti con il S. Zaccaria della chiesa are-
266 PAOLO PEDUTO
Fig. 18. Capua Vetere. Anfiteatro. Particolare del- Fig. 19. Capua Vetere. Anfiteatro. Particolare del re-
l’opera vittata della cappella longobarda (fine VI - ini- siduo della tamponatura impiegata dai Longobardi
zi VII secolo) (Foto P. Peduto) per trasformare l’anfiteatro in castrum (fine sec. VI)
(Foto P. Peduto)
Fig. 20. Il territorio compreso tra Capua, S. Maria C. V. e S. Angelo in Formis: a) Monte Tifata; b) Monte S. Nicola; c) Collina
S. Iorio; d) Palombara (Sicopoli). 1) Capua; 2) S. Maria C. V.; 3) S. Prisco; 4) S. Angelo in Formis; 5) Fiume Volturno; 6) Ponte
Casilino; 7) Ponte Annibale; 8) Antico tracciato dell’Appia (a tratti); 9) Tracciato dell’acquedotto di S. Angelo in Formis (tratti e
punti); 10) Triflisco; 11) Basilica di S. Angelo in Formis; 12) Chiesa di S. Lazzaro (da D. Resta)
268 PAOLO PEDUTO
Fig. 22. Sicopoli sulla collina della Palombara (Comune di Bellona, CE).
Capitelli e resti marmorei oggi scomparsi (Foto P. Peduto)
evidenti, in particolare nelle diverse forme dell’arte, i segni di e con esso si iniziò ad definire l’intero territorio amministra-
una fin lì sconosciuta elaborazione formale, dovuta non solo to, allora la funzione semantica del nome andò a significa-
all’influenza dei grandi monasteri benedettini di Montecassi- re nella propria specificità l’autonomia politica e la capacità
no e di S. Vincenzo al Volturno, ma forse anche agli apporti progettuale propria di un’istituzione territoriale in grado di
dell’Islam che proprio in quegli anni aveva raggiunto la sua generare nuovi centri abitati del tutto indipendenti dagli an-
massima potenza nel Mediterraneo. tichi insediamenti.
Molta cura i proprietari ponevano nella corretta condu-
zione della curtis, tanto da codificarne le attività. Nei capi-
Plebes, curtis e vici: un sistema integrato per la gestione delle tolari regi si disponeva che fossero ben formate le siepi di
anime e dei patrimoni confine, ben tenute le stalle e la cucina, sempre efficienti i
forni per il pane, il torchio per pigiare l’uva, che tutto fos-
Se tra i secoli V e VII, durante la crisi del sistema urba- se sempre ben pulito (Capitulare de Villis, cap. XLI). Il gran
no sviluppatasi in Italia, avessimo potuto rivolgere lo sguar- numero di curtis e dei Galdo (dal germanico Wald = bosco)
do alle campagne, avremmo riconosciuto proprio lì i nuclei delle carte geografiche e dei codici rivelano quanto fosse per-
nascenti di una nuova società contadina capace alla fine di seguita l’acquisizione di nuove terre nelle regioni del duca-
sostituire radicalmente il vecchio sistema produttivo fondato to longobardo di Benevento e come le aziende agricole fos-
sull’energia fornita dagli schiavi. sero diffuse e organizzate. Sfogliando il libro dei precetti del
Esauritosi quasi del tutto dopo il regno di Teodorico il Chronicon del monastero di S. Sofia di Benevento si ottie-
ceto senatoriale, le tensioni per il possesso dei latifondi si ne una panoramica realistica del paesaggio agrario dell’Italia
acuirono, mentre il papa intesseva trame alla continua ricerca meridionale nell’alto Medioevo. In particolare l’elenco delle
di una stabilizzazione temporale che potesse sostituire l’anti- donazioni offerte nel 774 da Arechi II al monastero contie-
ca classe dirigente, minando qualsiasi tentativo di raggiunge- ne indicazioni dettagliate utili sia per ricostruirne l’enorme
re un accordo con i Longobardi che nella seconda metà del patrimonio fondiario, sia per comprendere molti aspetti del-
VI secolo, occupata con successo gran parte della penisola la vita quotidiana del tempo (Chron. S. Soph., pp. 270-366).
italiana, tentavano attraverso i ducati centro meridionali di Vi si incontrano addetti alla pastorizia, alla pesca, alla cura
Spoleto e Benevento di espandersi nella campagna romana e dei campi. Servi che abitano le case dei padroni e che non
di impossessarsi di molte delle terre che la Chiesa pretende- possono allontanarsi, relegati in attività che vanno dall’alle-
va per sé. Fallito il tentativo di Costante II di riannettere la vamento alla cura del bosco, isolati nelle selve interne, dove
provincia italiana all’impero, si ebbe un periodo di relativa spesso v’è solo una cappella per pregare, con un presbite-
stabilità durante il quale nelle campagne furono organizzate ro da mantenere, che controlla affinché il lavoro sia esegui-
dai recenti possessores un gran numero di curtis, talvolta co- to alla perfezione e a vantaggio del monastero o del signore.
stituite ex novo, talaltra a sostituire le antiche villae romane. Ma vi sono anche contadini liberi e semiliberi. Per far sì che
Esse, insieme alle plebes per la cura animarum, caratterizza- questi ultimi non abbandonino le terre signorili i Longobar-
rono nell’alto Medioevo il paesaggio agrario e silvopastorale di seguirono il metodo, sperimentato con qualche successo
dell’Italia meridionale. da Gregorio Magno 24 e diffuso presso i Franchi, di conce-
La curtis costituì il nuovo fulcro dei possedimenti agra- dere degli appezzamenti di terreno per i quali non avrebbe-
ri. Essa era formata dalla casa padronale, la pars dominica, e ro ricevuto nessun censo ma soltanto la prestazione di mano
da un insieme di locali dove alloggiavano servi, coloni, mi- d’opera 25. Anche se gli storici dell’alto Medioevo non hanno
nisteriales: addetti di un’azienda autonoma dove si produce- affrontato per il Sud Italia l’aspetto dell’organizzazione ru-
va quanto occorreva per le proprie necessità e per la mes- rale, qualcosa di molto vicino a quanto si è osservato per il
sa a coltura delle terre. Nella curtis vi erano i magazzini, il Nord si evince da una rapida lettura delle fonti scritte meri-
mulino, il forno, il palmentum ed il trapetum per la pigiatu- dionali dove appare la menzione di angariae e di servitium,
ra delle uve e delle olive. Le donne al telaio provvedevano cioè di quell’istituto della corvé nei quali si stabilivano i ser-
alla tessitura. Quasi sempre all’interno della curtis si trova- vizi imposti dai proprietari ai contadini concessionari. Talvol-
va una chiesa 23. Ma se il torculum per la premitura dell’olio, ta nulla era preteso pur di conseguire la messa a coltura del-
la pars rustica e i vari depositi erano stati già pertinenti del- le terre: nullam angariam aut servitium (CDC, II, anno 989,
le villae, bisognerebbe chiedersi in cosa, dove e come, cam- p. 64), in altri casi si agiva secondo le consuetudini: iusto ter-
biò – al di là del nome – il sistema produttivo nell’alto Me- raticum et servitium, secundum consuetudinem de ipso locum
dioevo, quali in fondo erano le novità. Agli inizi le funzioni (CDC, V, anno 1026, p. 118). Erano contratti vantaggiosi per
della curtis non dovettero differenziarsi molto da quelle del- il fittuario. Quando, tuttavia, qualche proprietario profitta-
la villa, ma quando nei documenti apparve il termine curtis va del lavoro dei servi tassandoli ingiustamente, il principe,
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 271
Fig. 28. Olevano sul Tusciano (Salerno). Curtis di S. Maria: sovrapposi- Fig. 29. Olevano sul Tusciano (Salerno). Curtis di S. Maria. Particolare
zione di strutture di epoche diverse (Foto P. Peduto) della muratura della cappella palatina (Foto P. Peduto)
letta del vescovo di Squillace o della S. Maria di Tridetti, a cui due conservano importanti affreschi altomedievali, i più
Staiti, in Calabria. La particolare disposizione architettonica antichi del secolo IX 29 (Fig. 31). La primitiva frequentazione
delle nicchie esterne si ritrova nella stessa Olevano sul pro- della grotta risale all’Eneolitico, come attestano alcuni fram-
spetto principale della seconda cappella nel soprastante san- menti di ceramica decorata a cordicella rinvenuti nel 1972 ed
tuario rupestre dell’arcangelo Michele. esposti oggi nel Museo Archeologico di Pontecagnano pres-
Anche per la plebs di S. Maria ad aula absidata, un tem- so Salerno. Si tratta di una grotta santuario tenuta in grande
po affiancata da un piccolo battistero, vi sono attinenze con considerazione dai Longobardi di Salerno tanto che, dopo la
diversi episodi architettonici calabresi di matrice bizantina, in divisione del ducato di Benevento, Siconolfo primo principe
particolare per l’estradosso dell’abside che segue lo schema
costruttivo a gradoni dei noti episodi del S. Pietro di Frasci-
neto e del S. Teodoro di Laino Castello, in provincia di Co-
senza 27.
Più in alto sul monte, a quota 696 s.l.m., è posto il castel-
lo costruito tra due speroni rocciosi che fungevano da torri
(Fig. 30); due ampi recinti murari consentivano il rifugio in
caso di necessità agli abitanti della pianura e dei casali sotto-
stanti. La presenza di case e di una chiesa in muratura all’in-
terno del primo recinto fortificato induce a ritenere stabile la
presenza di abitanti a partire dai secoli X-XI, anche se non
sembra possibile fissare con precisione l’epoca dell’origine del
primo impianto castrense 28.
Sulla parete rocciosa di una falesia calcarea, di fronte al
castello, verso est, s’apre la grotta di S. Michele, profonda Fig. 30. Olevano sul Tusciano (Salerno). Veduta del castello (Foto P. Pe-
oltre m 700, nella quale sono costruite sei piccole chiese di duto
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 273
to e restaurato ad Olevano sul Tusciano potrebbe costituire sepolcreti di S. Lorenzo ad Altavilla Silentina 34, di S. Gio-
la traccia di tale politica. vanni di Pratola Serra 35, in provincia di Avellino, e nella ne-
La curtis altomedievale di Olevano pur rimanendo un epi- cropoli altomedievale della villa romana di Avicenna, in pro-
sodio straordinario per la consistenza dei suoi ruderi, non è vincia di Foggia 36.
certo l’unica traccia della sistemazione rurale della pianura Del resto la prima monetazione longobarda, sia nell’Ita-
Fig. 32. Olevano sul Tusciano (Salerno). Grotta di S. Michele. Memoria della visita del monaco Bernardo
e dei suoi due compagni (Foto P. Peduto)
pestana nell’altomedioevo. Tra i numerosi resti di villae ro- lia del Nord che al Sud, non poteva venir fuori se non come
mane impiantate alla fine dell’epoca repubblicana almeno tre una approssimativa imitazione del circolante bizantino.
siti hanno restituito reperti risalenti alla fine del VI e al VII Con la chiesa e il battistero di S. Lorenzo ci si trova din-
secolo: la villa in localià S. Leonardo, appena fuori Salerno nanzi a un insediamento sorto nella prima metà del VII se-
– distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. 33 –, la plebs colo in un sito fino a quel momento non frequentato stabil-
baptesimalis di S. Lorenzo ai piedi delle prime balze collina- mente, ma quasi certamente, stando alle tracce di superficie,
ri di Altavilla Silentina – appena oltre il fiume Calore non non distante da un abitato rurale più antico. Dalle carat-
lontano dalla confluenza nel fiume Sele –, e la villa romana teristiche dei doni funerari, dal numero degli inumati, dal-
con la soprastante chiesa altomedievale vicino alla scafa del la tipologia delle tombe e dalla stessa tecnica costruttiva dei
Barizzo, presso il ponte ottocentesco che consentiva di oltre- pochi resti murari sopraggiuntici si ha l’impressione di tro-
passare il Sele. Nel caso della villa di S. Leonardo la frequen- varsi in un piccolo villaggio di cui ben poco rimaneva oltre
tazione tra VI e VIII secolo sarebbe provata soltanto dall’im- il toponimo tra l’XI e il XII secolo. Nel caso poi dei pochi
pianto di un sepolcreto altomedievale, ma col prosieguo delle resti della chiesa e del battistero individuati presso il Ba-
indagini potrebbe esservi la possibilità di rintracciare l’edifi- rizzo, superstiti all’azione di un buldozer che ha quasi del
cio ecclesiastico della piccola comunità cristiana, la cui esi- tutto spazzato via l’intero sito, si ha la diretta sovrapposi-
stenza sembra suggerita dallo stesso toponimo. Dalle sepol- zione di una chiesa altomedievale su di una villa sorta nel I
ture altomedievali della villa di S. Leonardo provengono due sec. a.C., abbandonata lungo l’arco del III secolo, ma la cui
frazioni di siliqua recanti il monogramma dell’imperatore Era- superficie fu rioccupata dalla metà del V per tutto il VII se-
clio: nominali emessi dalla zecca di Benevento durante il go- colo.
verno del duca Arechi I. Sulle emissioni di tali monete si ha Risalendo il corso del fiume Sele, in alto nella valle, ver-
qualche certezza poiché sono state da tempo individuate nei so i monti dell’antica Compsa sannita, sede del gastaldato di
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 275
Fig. 34. Calabritto (Avellino). Chiesa di S. Martino del Sele Fig. 35. Colliano (Salerno). Chiesa di S. Vittore: resti del mausoleo
(Foto P. Peduto) romano trasformato in abside (Da Filippone)
276 PAOLO PEDUTO
to Medioevo si sia sviluppato secondo le due direzioni, ur- Campania quel che è stato notato anche altrove in Italia me-
bana e rurale anche nelle aree meridionali. Nel primo caso ridionale 38 un fenomeno per il quale non è sempre possibile
si formarono centri di aggregazione civici, come le curtis re- indicare un unico modello mediante cui individuare le compo-
gie – l’esempio massimo è Curtimpiano, il luogo dove si er- nenti che permisero lo sviluppo di una nuova comunità citta-
geva il palazzo ducale di Benevento o, per Salerno, la curtis dina, sia mercantile che rurale. Sembrerebbe, comunque, che
fatta costruire da Arechi II, o ancora Curtignano, dov’era in ciò sia stato possibile sulla base del ripetuto, anche se diversi-
aperta pianura il castello di Pagani. Nel secondo, forse me- ficato, tentativo di riorganizzazione della produzione agricola
glio indagato, si produssero quelle aziende agricole il cui nu- che talvolta fornì il necessario per la rinascita e la riorganiz-
cleo, la curtis, era circondato da arboribus et rebus et territo- zazione di strutture urbane fortemente accentrate – com’è il
rie et cum integre ipse case que ibi posite sunt (CDC, a. 881, caso di Eboli, di Campagna –, altre volte dall’unione di un
vol. I, p. 108). Curti, Curticelle, Curteri, Corte Vetere sono le sistema di vici nati spesso da villae-curtis antiche, come ac-
testimonianze toponomastiche di tanti siti che si rinvengono cade ad esempio per molti dei villaggi che insieme formano
ancora nelle carte geografiche di quella parte dell’Italia me- l’odierno Comune di Cava dei Tirreni, di Montoro, di Ole-
ridionale che era la Langobardia minor. vano sul Tusciano, di Giffoni Vallepiana, di Vietri sul Mare,
Nella metamorfosi della società tardo romana accadde in nel salernitano, di Pratola Serra, nell’avellinese.
NOTE
1) GASPARRI 2004, pp. 1-88. 1966. Per lo sviluppo urbanistico e delle architetture longobarde è neces-
2) BARONI 1994, pp. 437-458. sario iniziare da I. DI RESTA, Capua Medievale. La città dal IX al XIII se-
3) Per le vicende che indussero Arechi II a rifondare Salerno, per colo e l’architettura dell’età longobarda, Napoli 1983.
l’analisi dell’ambiente cittadino e della società salernitana nell’alto Medio- 19) PAGANO 2003, p. 679.
evo è fondamentale servirsi di P. DELOGU, Mito di una città meridionale 20) PAGANO 1984, pp. 155-158.
(Salerno, secoli VIII-XI), Napoli 1977. 21) MAURO 1985, pp. 94-98.
4) NEFF 1908, pp. 15-8. 22) RUSSO MAILLER 1981, pp. 130-132.
5) ACOCELLA 1968, pp. 23-68. 23) PEDIO 1998, p. 52.
6) PENSABENE 1997, p. 191. 24) RECCHIA 1978, pp. 100-103.
7) MITCHELL 2001, pp. 43-44. 25) SERGI 1993, p. 9.
8) GUIDOBALDI 1985, pp. 182-202. 26) CRISCI 2001, pp. 257-258.
9) COSTAGLIOLA 2003, p. 49, fig. 26. 27) VENDITTI 1967, pp. 876-878.
10) EBANISTA 1997, pp. 651-653. 28) DI MURO, LAMANNA 2004, pp. 259-333.
11) LAMBERT 2000, p. 323. 29) KALBY 1964; ZUCCARO 1977.
12) SUATONI 2002, p. 33. 30) VUOLO 2002, pp. 99-101.
13) PANTONI 1973, pp. 30-34, fig. 12. 31) FORCELLINO, PROSPERETTI 2004.
14) FABIANI 1968, p. 12. 32) ZUCCARO 1977, pp. 39-56.
15) GREENHALGH 1985, pp. 184-185. 33) ROMITO, CIFELLI 1991.
16) CILENTO 1971, pp. 55-56. 34) VOLPE 1984.
17) VILLANI 2003; FIORILLO 2008. 35) ROVELLI 1992.
18) Rimane essenziale per lo studio della storia dei Longobardi ca- 36) GUZZETTA 1988.
puani l’opera di N. CILENTO, Le origini della signoria capuana nella lon- 37) FILIPPONE 1993, pp. 31, 33.
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