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Quanto Rimane Di Salerno e Di Capua Long

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PAOLO PEDUTO

QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX)

Breve preliminare delineato, ma possono essere opportune nel recuperare at-


traverso le tracce materiali quegli elementi caratteristici utili
Alla metà del VI secolo si presentarono in Italia le con- alla definizione non tanto di un modello culturale originario –
dizioni che consentirono, dopo una lunga serie di traumi, la che come s’è detto sarebbe pura esercitazione accademica –,
radicale trasformazione del sistema statale: la struttura eco- ma di una specifica manifestazione le cui componenti ne ri-
nomica e sociale del mondo romano ebbe termine. I Goti velino di volta in volta l’estrazione formale. Sicché alla metà
sconfitti, Costantinopoli lontana, Roma piegata su se stes- dell’VIII secolo la ristrutturazione longobarda delle città di
sa, questo in breve il quadro generale. I Longobardi, rima- Salerno, di Benevento e poi di Capua non costituisce un’in-
sti padroni del campo, imposero nuove condizioni e nuove venzione del duca, del principe o del gastaldo, ma fu il mez-
regole 1, riscossero rapidamente quanto pretesero e trovatolo zo occorrente per governare una regione. Il controllo di un
soddisfacente si industriarono per renderlo duraturo. Riusci- territorio, nel suo complesso rapporto città-campagna, attra-
rono nel loro scopo attraverso l’assimilazione e la ristruttu- verso la strutturazione urbana è un processo assimilato in
razione di una rete i cui nodi ormai indissolubili s’erano for- Italia dai Longobardi che, al contrario, nei loro stanziamen-
mati nel crogiolo delle civiltà greca e romana. Se un ostacolo ti pannonici non possedevano la nozione di città, concezio-
concreto trovarono nella chiesa di Roma, fu perché questa ne peculiare dell’impero, nella sua realizzazione politica ed
negli stessi tempi dell’invasione longobarda stava radicando- economica. Tanto che Giustiniano, conclusa a suo vantaggio
si materialmente nell’alveo del vecchio impero creando una la guerra contro i Goti, aveva avviato la ricostruzione delle
formidabile concorrenza che costrinse quella moltitudine in- provincie imperiali proprio attraverso la riorganizzazione del-
coerente di vincitori – Burgundi, Bavari, Avari, Letingi, Ro- le città devastate e la fondazione di nuove.
mani del Norico e poi proto Bulgari, detti tutt’insieme Lon- Salerno, che fino a circa la metà del secolo VII fu un
gobardi – prima ad adattarsi, poi a mimetizzarsi per tentare semplice castrum inserito nel ducato bizantino di Napoli, ac-
di prolungare quanto più possibile il loro dominio, infine a crebbe d’importanza strategica verso la metà del secolo VIII
fondersi nel cattolicesimo romano e a sparire. Non ne rima- quando, perduta Pavia ed il regno, il duca di Benevento Are-
se la lingua, né specifici canoni di un’arte che non sia sta- chi II, genero del re Desiderio, messa in atto una politica rea-
ta creditrice dell’estetica romano-bizantina, non sono emerse listica di compromessi con Carlomagno, Roma e Bisanzio, ri-
matrici architettoniche originali, né lo sviluppo di un pen- uscì a rendere stabile e duratura un’enclave longobarda che
siero filosofico autonomo. Anche se attraverso le loro leggi comprendeva quasi tutta l’Italia meridionale 3.
se ne può comprendere la mentalità, per l’archeologo è dif-
ficile individuare le tracce di una loro autentica ed autono-
ma cultura materiale, specialmente per quel che riguarda la La risoluzione arechiana di ristrutturare Salerno
parabola dei secoli VI-VIII. In Italia meridionale poi meno
che mai. Eppure in migliaia di pergamene compaiono e in Dal ducato longobardo di Arechi II, morto nel 787, na-
centinaia di epigrafi sono incisi i loro nomi, decine di chroni- sceranno, alla metà circa del secolo IX, prima i principati au-
con narrano le loro storie, innumerevoli sono i loro toponimi, tonomi di Benevento e di Salerno, e poi, dalla scissione del
specialmente nelle campagne 2, e alla stessa lingua latina del secondo, il principato di Capua.
tempo si sommarono alcuni elementi intraducibili dell’idio- Le principali fonti cronachistiche meridionali riguardanti
ma germanico, caratteristici dei loro antichi costumi militari i Longobardi sono, come si sa, la storia di Erchemperto sui
e tribali. Nondimeno in Italia meridionale i Longobardi del Longobardi beneventani, del secolo IX, e la cronaca di un
ducato di Benevento costituirono, dopo la sconfitta del re- anonimo monaco salernitano, composta nel secolo X. V’è poi
gno centrale nel 774, un loro stato autonomo, che durò per tutta una serie di raccolte documentarie, in genere prodotte
altri tre secoli, disgregandosi alla fine con l’arrivo dei Nor- presso i grandi monasteri di fondazione longobarda come san
manni. Vincenzo al Volturno e santa Sofia a Benevento, e di codi-
Come i Beneventani abbiano potuto resistere alle diffi- ci, come il diplomatico cavense, per non dire dei codici cas-
de di Carlomagno è faccenda nota sul piano della storia po- sinesi e della stessa Historia Langobardorum dell’VIII seco-
litica. Le osservazioni dell’archeologo non mutano il quadro lo di Paolo Diacono e dei carmi da lui composti in onore di
258 PAOLO PEDUTO

Arechi, di Adelperga, figlia del re Desiderio, e di suoi ere- Croce, controllabile dal castello di S. Adiutore forse già al
di 4. Testimonianze redatte quasi sempre in un latino colto, tempo esistente, e sottoposta all’ispezione della Turris maior,
ricchissime di informazioni che permettono di ricostruire il cioè del castello di Salerno, discendeva verso la città sotto-
quadro istituzionale e civile della società meridionale nell’Ita- stante.
lia dei secoli VII-XI. Se per il castello gli elementi di discussione non oltrepas-
Con i suoi versi Paolo Diacono celebra di Arechi l’azione sano, nella fase longobarda, l’interesse topografico, quanto s’è
rigeneratrice della nazione longobarda 5. Questa seguì due di- potuto studiare grazie agli scavi della curtis ducale di Saler-
rettrici: con la prima di natura diplomatica il duca raggiunse no giustifica appieno l’esaltazione dei contemporanei di Are-
un’intesa politica tale da assicurarsi il disinteresse carolingio chi e degli storici immediatamente successivi per le realizza-
per le regioni meridionali, con la seconda di natura econo- zioni del duca che allora, consapevole dei suoi meriti, volle
mica accrebbe le strutture per lo sviluppo dei suoi territori. assumere il titolo di princeps ad ulteriore dichiarazione della
La cura per l’ammodernamento delle fortificazioni di Bene- propria autonomia e della volontà di rinascita dei Longobar-
vento, Salerno e Capua che ne scaturì fu secondaria, anche di. In tale progetto l’intitolazione ai santi Pietro e Paolo del-
se necessaria, rispetto al progetto di impiantare e rendere at- la sua cappella di palazzo fu l’espressione della propria sotto-
tive quante più curtis e massae rurali possibili nelle terre fer- missione al primato di Roma, forse il tentativo di temperare
tili del Sud. l’annosa ostilità del papa.

Fig. 1. Salerno, il castello detto di Arechi. Veduta d’insieme. La primitiva torre risalente al periodo
della guerra greco-gotica è soverchiata dalle costruzioni successive (Assonometria di P. Peduto)

La decisione arechiana di avvalersi di Salerno quale ul- La curtis ducale a Salerno e la cappella palatina dei SS. Pie-
teriore polo di aggregazione e sviluppo del suo ducato de- tro e Paolo
terminò la ricostruzione delle mura ma il vecchio castello –
che altro non era se non una grossa torre bizantina con i La curtis di Salerno fu eretta in un’area in cui v’erano i
suoi annessi rimasta in piedi alla fine della guerra greco go- possenti ruderi delle terme di I-II secolo d.C. (Fig. 2), sem-
tica, isolata sulla cima del monte soprastante la città, – non brerebbe in prossimità dell’antico porto romano. Tali terme
ebbe, stando ai risultati degli scavi, nuova attenzione se non erano state distrutte da una alluvione riportata nella base ono-
per qualche generica manutenzione (Fig. 1) mentre il palaz- raria – della fine IV - inizi V secolo – di Arrio Mecio Grac-
zo di governo, la curtis ducale, fu eretta nel bel mezzo della co patronus che, a sue spese, aveva proceduto alla riorganiz-
città, a cavallo delle mura prospicienti il mare. La posizione zazione della città. Le tracce di quell’alluvione, consistenti
della città era decentrata rispetto alle principali vie di comu- in un ammasso di ciottoli di fiume ed argilla, sono state rin-
nicazione, essa era raggiungibile dalla pianura vesuviana sol- venute al di sotto della pavimentazione di un ambiente oggi
tanto attraverso il percorso Nocera Mercato San Severino ed ipogeo che nella seconda metà inoltrata del V secolo adattò
il fondovalle del fiume Irno controllato dalle fortificazioni il frigidarium delle terme a chiesa, forse in base alla volontà
dei gastaldati di Nuceria e di Rota. Una direttrice secondaria di un tal Socrates la cui tomba con relativa epigrafe comme-
da Nocera verso Cava dei Tirreni s’incuneava per il passo di morativa è risultata la più antica testimonianza funeraria cri-
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 259

stiana del sito (Fig. 3). Nella fase tardoantica molto spesso i suo racconto della venuta dell’ambasciatore di Carlomagno
luoghi pubblici urbani, la cui manutenzione non poteva es- in città, richiama alla memoria la raffinatezza degli ambienti
sere sostenuta dall’erario, gestiti da funzionari e da notabili palatini magnificandone l’apposita messa in scena:
del tempo, come appunto il vir specatabilis Socrates, furono Mentre questo dignitario si avvicinava a Salerno con non pochi
destinati a chiese e cimiteri intra moenia. A sud-est del frigi- suoi accompagnatori, […] Arechi si apprestò a riceverlo in gran
darium e delle sepolture, nella zona sottostante la chiesa del pompa, […] fece radunare una grande quantità di soldati per ac-
San Salvatore sono apparsi tre possenti setti murari paralle- cogliere il legato onorevolmente e con grande solennità e perché
li – due dei quali fanno da fondazione della chiesa quattro- quelli apparissero davanti agli occhi dei legati addobbati nelle
centesca – costruiti con laterizi di spoglio e pietrame a sor- loro varie divise e schierati in armi. Lungo lo scalone del palaz-
reggere gli archi e le volte del piano inferiore della curtis (Fig. zo fece disporre di qua e di là degli adolescenti che reggevano
4). La fase romana in questa zona è rivelata da canali di de- in pugno degli sparvieri con altri uccelli dello stesso genere; poi
flusso più volte riparati. A sud-ovest rispetto al frigidarium, fece schierare in piedi dei giovani di bello aspetto che reggeva-
no con le mani anch’essi degli uccelli da preda; altri di essi gio-
è stato individuato, ma non esplorato, il calidarium e il rela-
cavano invece presso un tavolo […] al centro, su un trono d’oro,
tivo canale di sbocco in cotto. All’ambiente del frigidarium i stava seduto il principe (Chr. Sal., 12).
costruttori altomedievali sovrapposero la cappella privata del
palazzo di Arechi, integrando con le necessarie nuove strut- Gli scavi e le analisi stratigrafiche delle strutture murarie
ture di fondazione le murature romane (Fig. 5). superstiti hanno mostrato che il palazzo, nella parte indaga-

Fig. 2. Salerno. Area del palazzo di Arechi II. Un tratto residuo dell’opus reticulatum delle terme (US 353)
integrato dalla muratura in laterizio realizzata per la costruzione della curtis ducale

L’aspetto del palazzo è ricostruibile sulla base di alcune ta, si sviluppava su due piani e che il secondo era contorna-
sue parti superstiti, l’arredo architettonico, almeno per quanto to da un loggiato lungo i lati est, ovest e sud (Fig. 9), men-
riguarda la cappella palatina, è restituito da numerosi fram- tre sul lato nord, occupato dalla cappella palatina, vi erano
menti di mosaico in opus sectile realizzato in prevalenza con delle monofore e delle bifore (Fig. 10).
marmi di spoglio (Fig. 6), mentre un minuscolo brandello di L’insieme dell’edificio seguì quei canoni elaborati duran-
affresco – il solo superstite ancora in situ sulla parete nord, te il regno goto che costituirono poi la base dello sviluppo
raffigurante un giovane defunto con le braccia piegate,vestito dell’architettura longobarda 6. Ed infatti il loggiato, ancora in
di un candido camice, disteso e con i polsi incrociati – pro- parte visibile sul lato ovest, posto a coronamento del palazzo
va che le descrizioni dei cronisti circa la ricchezza delle raf- arechiano di Salerno costituisce il riferimento immediato ai
figurazioni potrebbero essere veritiere (Fig. 7) Alcuni pezzi modelli dell’architettura tardo antica e gota riconoscibili nel
di una grande epigrafe commemorativa composta da tavole mosaico del IV secolo nella tenuta di Junio a Cartagine (Fig.
marmoree, in origine collocata tutt’intorno lungo le quattro 11), in quello più noto di S. Apollinare Nuovo, nella Raven-
pareti della cappella palatina, definivano la regalità della sala na degli inizi del VI secolo, raffigurante il palatium reale: una
(Fig. 8). L’anonimo cronista della Salerno del secolo X, nel sorta di massiccia torre coronata da un loggiato. Se la descri-
260 PAOLO PEDUTO

Fig. 3. Salerno. La tomba di Socrates (fine sec. V) (Foto P. Peduto) Fig. 4. Salerno. Un setto murario arechiano sottostante il pavimento della
chiesa rinascimentale del S. Salvatore de Fondaco (Foto P. Peduto)

Fig. 5. Salerno. Area del palazzo di Arechi II. Ambiente termale roma- Fig. 6. Salerno. Palazzo di Arechi. Resti dei sectilia che componevano i
no sottostante la cappella dei SS. Pietro e Paolo (Foto P. Peduto) tappeti marmorei della cappella (Foto P. Peduto)
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Fig. 7. Salerno. Palazzo di Arechi. L’unico frammento di affresco sulla Fig. 8. Salerno. Palazzo di Arechi. Frammenti del titulus con
parete nord della cappella (Foto P. Peduto) i versi di Paolo Diacono (Foto P. Peduto)

zione dell’Anonimo salernitano corrisponde al vero il palazzo lizia privata. Non si può negare, tuttavia, che nella secon-
s’apriva dalla parte del mare con un’ampia scala sullo scena- da metà inoltrata dell’VIII secolo il rigore con cui Arechi
rio della costa amalfitana. Già Paolo Diacono – contempo- ripercorse i modelli antichi fu originato da una volontà di
raneo di Arechi e quindi testimone più attendibile dell’Ano- identificazione con il potere che li aveva generati e non ap-
nimo salernitano – componendo il carme, forse per il titulus paiono come una elegante e dotta citazione estetica. Nella
dispiegato sull’esterno del palazzo, esaltava l’azione arechia- Longobardia meridionale un analogo episodio epigrafico –
na paragonandola a quella degli imperatori romani: Aemula più tardo di alcuni decenni e meno sensazionale per il suo
Romuleis consurgunt moenia templis / Ampla procul fessis vi- circoscritto componimento letterario – si rinviene nell’abba-
senda per aequora nautis […] (Emulando i templi di Roma, zia benedettina di S. Vincenzo al Volturno, nel Molise. Esso
s’innalzano queste mura, visibili da lontano, di su le ampie è attribuito al periodo dell’abate Giosuè (792-817) artefice
distese marine, agli stanchi naviganti […]). di un consistente ampliamento del monastero 7.
Di Paolo Diacono un secondo componimento – di cui si Forse ciò che rimane della corte arechiana della Salerno
era messa in dubbio l’esistenza, ma confermato dal rinveni- opulentissima di Paolo Diacono (Historia, II, 17, p. 96) non
mento di alcune tavole marmoree poste in origine sulle pare- basta da solo a provare l’assunto, ma i resti dei rivestimenti
ti della cappella palatina, come s’è detto sopra – aiuta a chia- marmorei della cappella palatina che il duca-principe dedicò
rire l’aspetto ornamentale dell’opera arechiana che si avvalse ai SS. Pietro e Paolo costituiscono una prova sicura a soste-
di sculture, di dipinti, di epigrafi aurate ([…] Duxit opus ni- gno di tale asserzione.
mium, variis sculptumque figuris/ Brac[teatis]) Il pavimento della cappella era composto da tappeti mar-
Sulle tavole di marmo orientale dell’altezza di circa cm morei di vari disegni, realizzati prevalentemente con marmi
35, dallo spessore variabile dai tre ai quattro cm, furono in- di spoglio e con un calcare bianco, il palombino, provenien-
cise con solchi a sezione trapezoidale delle lettere capitali te dall’Appennino meridionale.
che variavano dai tredici ai diciassette cm. Le lettere in bron- Gli spolia sono costituiti da porfido rosso, da serpentino
zo dorato, oggi scomparse, erano tenute nei solchi mediante – il cosiddetto porfido verde –, dalla breccia del giallo anti-
peducci di piombo di cui rimangono residui di ossidazione co, dal lucullio, dal rosso antico. Molte tarsie mostrano, nel
nei fori del marmo. L’apposizione di tali iscrizioni maesto- successivo adattamento ai nuovi moduli dei tappeti marmo-
se era una consuetudine imperiale nei magniloquenti monu- rei, ancora i segni del primo impiego. È, infatti, ben visibile il
menti pubblici romani; tale uso con gli stessi intenti solenni riuso di listelli dalla superficie stondata provenienti dalle cor-
perdurò senza soluzione di continuità fino a tutto il Rinasci- nici di riquadri parietali di età imperiale. In numerosi fram-
mento e fu ripreso in modo vistoso nel periodo Neoclassico menti si può notare l’uso dello scalpello perché li si potesse
fino all’Eclettismo tardo ottocentesco, conservandosi sia ne- disporre nei nuovi moduli. Accade così che losanghe, rom-
gli episodi architettonici pubblici, sia diffondendosi nell’edi- bi, listelli, quadrati, dischi, petali presentino dei lati perfetta-
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Fig. 10. Salerno. Palazzo di Arechi: fotogrammetria dell’interno della pa-


rete Nord della cappella. Sul lato sinistro la bifora con cui terminava il
Loggiato (Società Fotogrammatrica meridionale)

venti di sostituzione, coiè di un restauro realizzato con tesse-


re di diversa natura, come frammenti di calcare o di porfidi
rossi e verdi. Osservando da vicino l’assemblaggio delle tar-
sie si nota subito l’adattamento nella composizione di mar-
Fig. 9. Salerno. Palazzo di Arechi: fotogrammetria dell’interno parete Ovest mi di disparata misura, così come talvolta variano molto gli
della cappella (Società Fotogrammatrica meridionale) spessori esaminati nei pezzi slegati. Il caleidoscopio di colori
impediva di percepire a chi vi incedeva le imperfezioni do-
vute all’adattamento di marmi di disuguale misura.
mente levigati, nel taglio originale, dall’uso di appropriate se- Il motivo ad esagoni di palombino bianco merita una ana-
ghe a sabbia, mentre per il reimpiego si agì più rapidamente lisi dettagliata. Si tratta di un calcare a grana finissima, ben
con gli scalpellini del cantiere. Nella Salerno longobarda gli lavorabile che, come s’è detto, al Sud si può reperire nel-
spolia potevano essere facilmente asportati dai numerosi mo- le cave dell’Appennino. Lacerti di tappeti a motivi esagonali
numenti della città, come le stesse terme su cui fu fondato il sono stati di recente individuati tra la documentazione relati-
palazzo arechiano, ma anche dai centri vicini, come Paestum va ai restauri della chiesa arechiana di S. Sofia a Benevento 9
o come le numerose ville marittime della penisola sorren- mentre, al Nord, impronte di tappeti esagonali sono ancora
tina. visibili in un angolo nel pavimento del tempietto di Civida-
I frammenti dell’opus sectile salernitano – seguendo la
schematizzazione proposta per i pavimenti marmorei tardo-
antichi e altomedievali di Roma 8 – possono essere in base ai
moduli suddivisi nei tipi quadrato, reticolare e ad elementi
semplici. Per tipo quadrato si intende l’insieme delle tarsie
che ripetono lo stesso schema inseribile in un quadrato, per
tipo reticolare l’insieme delle tarsie i cui assi principali pos-
sono essere disegnati secondo una maglia che produce una
sorta di rotazione continua dei moduli successivi al primo,
con il tipo ad elementi semplici si intende il tassello ripetiti-
vamente addossato a sé stesso, come, ad esempio, la piastrella
esagonale. Alcuni frammenti riconducibili al modulo quadra-
to mostrano negli angoli della composizione numerose tessere
vitree provenienti a tutta evidenza ancora da spolia. In gene-
re si tratta di minuscole tessere musive di pasta vitrea dorata, Fig. 11. Tunisi. Museo del Bardo: mosaico con la raffigurazione del palaz-
blu e verde. In queste inserzioni si notano facilmente inter- zo fortificato di Junius a Cartagine (sec. IV)
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drati da una doppia fila di listelli in porfido rosso e di vetro


dorato. I tasselli di vetro hanno una sezione trapezoidale e,
nella parte inferiore, mostrano un leggero incavo che serviva
ad aumentare la superficie di aderenza al supporto.

Fig. 13. Salerno. Palazzo di Arechi. Cappella palatina: frammento del mo-
Fig. 12. Salerno. Palazzo di Arechi. Due esemplari di piastrelle esagonali tivo a scacchiera del rivestimento parietale dell’abside (Foto P. Peduto,
della cappella palatina arechiana (Foto P. Peduto, disegni F. Sproviero) disegni F. Sproviero)

le. Non è azzardato credere che si tratti di un motivo piut- Si tratta di vetri dorati secondo la tradizionale tecnica
tosto diffuso nell’alto Medioevo, ma gli esagoni della cappel- impiegata per la produzione delle lastre destinate ai mosaici,
la palatina arechiana a Salerno hanno una particolarità che cioè della tecnica detta a sandwich. Il tassello di vetro opaco
non si individua altrove in Italia: contengono delle inserzioni non molto depurato, tendente al bruno o al verde scuro, era
policrome di porfido rosso e verde alternati. La decorazione prodotto a stampo; sulla sua superficie maggiore si applica-
delle piastrelle si sviluppa secondo due moduli: il primo con va la doratura che poi era sigillata da un sottile strato di ve-
un disco, il secondo con un tassello quadrato posto al centro tro trasparente ed incolore.
(Fig. 12); lungo i raggi sono disposti minuscoli dischi, anco- Se nell’immediato confronto visivo l’opus sectile della cap-
ra di porfido, dai colori alternati. Gli alloggiamenti dei dischi pella palatina di Arechi II può trovare, come ho detto, riscon-
furono ricavati mediante il trapano e fu adoperata per incol- tri in numerosi esempi di età imperiale, è forse utile esamina-
larli una pasta di malta rosa. In talune piastrelle la sostitu- re le singole composizioni giunteci per tentare di tracciarne
zione della colla con una malta bianca fine, ricca di sabbia, è l’evoluzione.
la traccia di un antico restauro occorso. Tra la tarsia centrale Si osserva innanzi tutto che, salvo per il motivo a scacchie-
e quelle radiali v’è un sottile solco che, molto probabilmen- ra del pannello parietale e per quello ad esagoni del tappeto,
te, serviva a creare un effetto chiaroscurale tale da far rile- la composizione del disegno delle tarsie marmoree produce
vare meglio nel suo insieme la trama del tappeto marmoreo. un effetto dinamico che risulta accentuato dai numerosi co-
Ciò che resta del rivestimento parietale, rinvenuto in po- lori adoperati nel singolo modulo. Nella cappella palatina di
sizione secondaria (Fig. 13) – come in posizione secondaria Salerno vi erano singoli tappeti formati con marmi rossi, ver-
sono stati trovati del resto tutti i sectilia della cappella pala- di, bianchi, giallo, rosa, con aggiunta, talvolta, di brecce che
tina di VIII secolo –, era ammucchiato nel riempimento del da sole creavano ulteriori sfumature coloristiche. Non cono-
solaio dell’abside rimodellata in forma semicircolare dai Ca- sco sectilia di VIII secolo altrettanto appariscenti. Ci si chie-
racciolo nel XVI secolo. Qualche frammento baluginava an- de, inoltre, quale percorso sostennerro gli artefici di tali ma-
che al di sotto dei marmi della gradonata esterna aggiunta nufatti, cioè quali furono nel tempo i committenti capaci di
dagli stessi Caracciolo. Il frammento in questione è costituito tenere in vita una tale tradizione artigiana che raggiuse, al-
da un lacerto di una decorazione a scacchiera composto da meno in Italia meridionale, i secoli IX-X.
tessere quadrate di tre centimetri e mezzo di lato. I pannelli Una parziale risposta a questo quesito è data dalla costru-
parietali erano formati da tessere di porfido rosso, di porfido zione a Cimitile, tra il 401 ed il 403, della basilica nova or-
verde e di vetro dorato, disposte in diagonale, ed erano riqua- dinata da Paolino, nella cui abside a triconco il committente
264 PAOLO PEDUTO

volle espressamente che fossero rivestiti pavimento e pareti to. È un frammento che potrebbe conforndersi col rivesti-
con quei sectilia scoperti nel 1939 durante i restauri di Chie- mento parietale della cappella palatina di Salerno. Mesco-
rici, ma soltanto recentemente studiati da Carlo Ebanista che lato con i pavimenti cosmateschi di età desideriana, esso fu
ne ha sottolineato l’origine dalle esperienze romane del tem- pubblicato da Angelo Pantoni nel 1973 nella sua analitica
po 10. Il caso di Cimitile non è isolato: sempre da alcuni siti descrizione degli scavi del 1951 eseguiti a Montecassino 13.
altomedievali della Campania, provengono sculture e pittu- Il frammento in questione poteva far parte della chiesa ri-
re che appaiono in debito con Roma, com’è il caso di alcuni costruita dopo la prima distruzione di Montecassino ad ope-
frammenti scultorei da chiese salernitane 11 e dell’affresco nel- ra di Zottone tra il 577 ed il 589. Il monastero scomparve
la chiesa di S. Maria Assunta di Pernosano a Pago del Vallo per 127 anni, fino a quando nel 717 Petronace, un pellegri-
di Lauro (Avellino) raffigurante S. Cecilia (Fig. 14) 12. no di Brescia si recò su invito di papa Gregorio II a Monte-

Fig. 14. Pernosano, Pago del Vallo di Lauro (Avellino). Chiesa ipogea di S. Maria Assunta:
scena con i Santi Cecilia, Urbano e Valeriano (Foto P. Peduto)

Dagli inizi del V secolo, cioè dall’episodio di Cimitile, cassino e, aiutato dai monaci di S. Vincenzo al Volturno, vi
dobbiamo fare un doppio salto fino a raggiungere, come s’è ricostruì il monastero; ma il piccolo reperto di opus sectile in
visto, prima la metà del secolo VIII e le opere di Arechi II, pasta vitrea potrebbe provenire anche dalle attività di rin-
poi i sectilia della cappella protoromanica di S. Restituta a novamento promosse al tempo dell’abate Gisulfo tra il 797
S. Vincenzo al Volturno, eseguiti nel secolo IX. Ma qui ci si e l’817 14. I listelli in vetro dorato del frammento cassine-
ferma, poiché le rotae del pavimento volturnense annunciano se sono simili, se non proprio identici, ai listelli salernitani
un’altra temperie culturale per la quale si dovrà tener conto del palazzo arechiano e costituiscono la prova che nelle re-
dell’apporto islamico. gioni della Longobardia meridionale agivano maestranze di
Un interessante frammento di opus sectile, facente cer- provata esperienza, ben in grado di soddisfare le richieste
tamente parte di una fase predesideriana della basilica di di una committenza raffinata, ispirata certamente più dagli
Montecassino, potrebbe confermare la diffusione dello spe- ambienti cosmopoliti di Roma, di Napoli, di Salerno e di
cifico uso di sectilia in vetro dorato per il rivestimento pa- Amalfi che da Pavia o addirittura dalla albeggiante Aquis-
rietale. Si tratta di un pezzo in cui sono impiegati tozzetti grana.
di vetro dorato (Fig. 15), turchino, verde e rosso, rinvenuto Per l’Italia meridionale non si conoscono altri esempi di
presso l’altare maggiore nell’area del sepolcro di S. Benedet- sectilia confrontabili per dovizia di materiali e di forme a
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 265

questi salernitani, mentre soltanto per le piastrelle esagonali da tempo, alcuni autori hanno fatto notare che: «Carloma-
si potrebbe azzardare una derivazione da modelli orientali, gno non fu il primo monarca ad impiegare a proprio vantag-
come la straordinaria decorazione della vetrata del VI secolo gio l’antichità: i papi, i sovrani indipendenti fecero la stes-
rinvenuta a Salonicco, oggi sitemata nel Museo dell’Arte bi- sa cosa» 15. Peraltro l’analisi che Nicola Cilento 16 elaborava
zantina della città, nella quale fu utilizzata addirittura la ma- circa lo sviluppo della cultura letteraria e della storiografia
dreperla (Fig. 16). nell’Italia meridionale per i tre secoli finali dell’alto Medio-
evo, dall’VIII al X, coincide con quanto la realtà materiale
indagata mediante l’archeologia sta rivelando: le tracce resi-
due sono sufficienti ad affermare, quasi con le stesse parole
dello storico della Longobardia minor, che l’eredità classica
rimase viva in Italia meridionale proprio perché essa si rin-
novava di continuo, mentre l’adesione statica all’ideale tar-
doantico delle regioni centro europee, in particolare dell’Ir-
landa e dell’Inghilterra, condusse verso i rigidi canoni della
Rinascita carolina.
Fig. 15. Montecassino. Frammento di opus sectile recuperato presso la Nel 787, deceduto Arechi II, i suoi immediati successori
tomba di S. Benedetto (da Pantoni) proseguirono nel suo progetto di costruire una solida econo-
mia, autonoma in qualche modo dal nascente impero d’Occi-
dente, come dimostra ancora una volta il trasferimento a Sa-
Come s’è visto i rinvenimenti di opus sectile in Italia me- lerno, in un quartiere appositamente loro destinato, di gruppi
ridionale non sono numerosi ma, poiché provengono da con- di mercanti dalla costa amalfitana perché inserissero la città
testi specifici, risulta piuttosto semplice notare che i commit- nei traffici delle rotte mediterranee. Nel quartiere degli Amal-
tenti non avrebbero potuto essere se non i principi stessi e fitani di Salerno la recente scoperta della primitiva chiesa di
gli abati di quei monasteri che ne condividevano la scienza S. Andrea 17 posta a ben cinque metri al di sotto dell’odier-
del governo. In tal modo Salerno, Montecassino e S. Vincen- no piano di calpestio della soprastante chiesa romanica, ha
zo al Volturno finiranno con l’esprimersi nel medesimo lin-
guaggio esornativo, adatto a far comprendere le origini ari-
stocratiche della potestà detenuta.
Tra la fine dell’impero romano e l’alto Medioevo, l’appa-
rente continuità del codice di forme e di colori adottata nei
palazzi del potere e nei monasteri reali non fu, quindi, casua-
le, né un semplice adattamento del gusto di un committente
più o meno raffinato, scaturì, al contrario, dalla consapevo-
lezza della rappresentazione del potere che di per sé tende-
va a mostrarsi nell’immanenza delle forme di un linguaggio
codificato. Si comprende allora l’attenzione e la cura che i
committenti ponevano nel far eseguire gli edifici che tale
potere esprimevano. Il fatto stesso che a Salerno Arechi II,
alla metà del secolo VIII, fu in grado di adottare per le pro-
prie costruzioni il linguaggio formale degli imperatori roma-
ni, riveste un duplice significato: da un lato quel linguaggio
gli era familiare e, nel contempo, aveva a disposizione ma-
estranze in grado di realizzare simili manufatti, nell’intento
di creare un’iconografia del potere che ben si adattasse sia
ai fini religiosi che laici, come è ormai dimostrato da tem- Fig. 16. Salonicco (GR). Museo dell’Arte Bizantina: particolare
po. Ma è ancora diffusa fra molti studiosi dell’alto Medio- di una vetrata di VI sec. (Foto P. Peduto)
evo la convinzione che un siffatto processo sia avvenuto a
scatti, quasi per un’improvvisa esigenza estetica di recupe-
ro dell’antico, convinzione che gran parte degli storiografi restituito un ciclo di affreschi, seppur parzialmente rovina-
dei Carolingi ha tentato di accreditare col porre in modo ti, raffiguranti quattro arcangeli (Fig. 17). La pittura indica
eccessivo l’accento sulla cosiddetta ‘rinascita’ anche se, già – per gli stretti rapporti con il S. Zaccaria della chiesa are-
266 PAOLO PEDUTO

re –, dove avevano trasformato in fortezza l’anfiteatro realiz-


zandovi il loro primo presidio.
Nell’840 Landolfo, gastaldo di Sicone duca di Benevento,
ottenne il permesso di creare una nuova fortificazione ed ar-
roccarsi sulla collina della Palombara poiché l’antica Capua,
che pure nel gennaio del 787 aveva costretto all’assedio Car-
lomagno (EGINARDO, 10), non avrebbe potuto far fronte agli
attacchi saraceni. La nuova fortificazione fu dedicata al duca
e in suo onore chiamata Sicopoli. Ma dopo appena quindi-
ci anni Landolfo e i suoi – questa volta senza alcun consen-
so ducale – ridiscesero al piano e fondarono l’odierna Capua
ben sicura all’interno di un’ansa del fiume Volturno. Allora
con tre strutture fortificate e stabili (Capua romana, Sicopo-
li e Capua nuova) a controllo della fertilissima pianura cam-
pana di Terra di Lavoro, a Landolfo – primo ad insignorir-
si della contea da lui governata tra l’843 e l’861 – non restò
che dichiarare la propria autonomia e recidere i legami di di-
pendenza da Benevento e da Salerno.
Dello stanziamento longobardo nell’antica Capua romana
Fig. 17. Salerno. Chiesa di S. Andrea de’ Lama: abside della fase primitiva – che il gastaldo Landolfo aveva spacciato come indifendibi-
con resti di affreschi raffiguranti gli arcangeli (sec. IX) (Foto P. Peduto) le per avere il consenso ducale alla costruzione di una nuo-
va fortificazione –, rimangono tracce significative in grado di
smentirne sia la precarietà delle difese, sia il definitivo abban-
chiana di S. Sofia di Benevento e con diversi episodi dei coe- dono da parte dei Longobardi tramandatici dalle fonti.
vi affreschi dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno dell’abate Un frammento monumentale finora quasi del tutto igno-
Giosuè – quanto e perché sia stato possibile nella Campania rato potrebbe confermare il dinamismo della corte arechiana
longobarda sviluppare nella seconda metà dell’VIII secolo e nella elaborazione dei moduli antichi.
per tutto il successivo un clima culturale dalle specifiche, au- Tracce materiali dell’iniziale occupazione di Capua da par-
tonome e talvolta drammatiche connotazioni. te dei Longobardi sono state individuate nei resti di una pic-
cola chiesa 19 sistemata tra le arcate dei sotterranei dell’anfi-
teatro (Fig. 18) e, sempre nello stesso monumento, nei resti
Capua longobarda: un esempio di avanzamento e assetto ter- delle tamponature delle arcate superiori necessarie per tra-
ritoriale sformare il possente edificio in castrum (Fig. 19). In ambe-
due gli episodi le murature aggiunte per i necessari adatta-
Tra le città di fondazione longobarda in Italia meridiona- menti ripetevano passivamente le tecniche costruttive romane:
le lo sviluppo della Capua medievale del secolo IX è senza per la chiesa fu impiegata l’opera vittata mista e per chiude-
dubbio quello che meglio rivela la determinazione ed il suc- re i fornici superiori l’opera quadrata formata da grossi bloc-
cesso di un gruppo familiare teso a rendere stabile il proprio chi calcarei ricavati dall’anfiteatro stesso. Ciò dimostra che,
potere politico ed economico attraverso il possesso ed il con- fin dai primi anni del loro stanziamento in Italia meridiona-
trollo di una delle regioni più fertili del Sud: la Terra laboris, le, i Longobardi fecero proprie le tradizionali tecniche co-
territorio conteso ai Bizantini di Napoli, ambito dal papato, struttive romane.
posseduto quasi stabilmente per circa due secoli – dalla fine
del VI alla metà del IX – dai Longobardi di Benevento dai
quali, mediante una ribellione ed un proclama di indipenden- Da Capua vetere a Sicopoli
za, un clan familiare longobardo dette origine ad una nuo-
va signoria autonoma, da cui scaturì uno dei tre principati – Superata da tempo la crisi con i Carolingi, per i gastal-
il principato di Capua – in cui alla metà circa del secolo IX di che la governavano, la Capua romana isolata nella pianu-
s’era scisso il ducato di Benevento 18. ra non era più, s’è ricordato sopra, sufficientemente difendi-
Fin dalla nascita di quest’ultimo, intorno all’anno 571, i bile dalle ripetute incursioni arabe. Si rese quindi necessario
beneventani avevano stabilito il loro confine con il Lazio me- creare una maglia difensiva in grado di proteggere meglio
ridionale nella Capua romana – oggi S. Maria Capua Vete- l’intera pianura della Terra laboris (Fig. 20). Provvide a ciò il
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 267

Fig. 18. Capua Vetere. Anfiteatro. Particolare del- Fig. 19. Capua Vetere. Anfiteatro. Particolare del re-
l’opera vittata della cappella longobarda (fine VI - ini- siduo della tamponatura impiegata dai Longobardi
zi VII secolo) (Foto P. Peduto) per trasformare l’anfiteatro in castrum (fine sec. VI)
(Foto P. Peduto)

Fig. 20. Il territorio compreso tra Capua, S. Maria C. V. e S. Angelo in Formis: a) Monte Tifata; b) Monte S. Nicola; c) Collina
S. Iorio; d) Palombara (Sicopoli). 1) Capua; 2) S. Maria C. V.; 3) S. Prisco; 4) S. Angelo in Formis; 5) Fiume Volturno; 6) Ponte
Casilino; 7) Ponte Annibale; 8) Antico tracciato dell’Appia (a tratti); 9) Tracciato dell’acquedotto di S. Angelo in Formis (tratti e
punti); 10) Triflisco; 11) Basilica di S. Angelo in Formis; 12) Chiesa di S. Lazzaro (da D. Resta)
268 PAOLO PEDUTO

gastaldo Landolfo col fortificare nell’841 la collina della Pa-


lombara – oggi territorio del comune di Bellona (Caserta) –
su cui fondò la città murata di Sicopoli. Questa controllava
il sottostante attraversamento del fiume Volturno e mediante
un sistema di torri di segnalazione, come la torre del Trifli-
sco (Fig. 21), i suoi difensori erano in grado avvistare quan-
to avveniva nella pianura sottostante.

Fig. 22. Sicopoli sulla collina della Palombara (Comune di Bellona, CE).
Capitelli e resti marmorei oggi scomparsi (Foto P. Peduto)

Fig. 21. Triflisco (Comune di Bellona, CE). La torre di avvistamento e


segnalazione (sec. IX) (Rilievo P. Peduto)

Di Sicopoli sulla collina della Palombara rimane ben poco,


il sito negli ultimi trenta anni è stato devastato da una edi-
lizia pacchiana priva di scrupoli 20. Due capitelli a stampella
figurati, da me individuati durante un sopralluogo nel 1978,
furono trafugati poco dopo la loro scoperta (Fig. 22) 21, men-
tre l’epigrafe di Arniperga – amalfitana, figlia di Marino pre-
fetturio di Amalfi, moglie del conte Pandone, morta nell’856,
che fu ritrovata tra le rovine sulla collina nell’Ottocento, ora
nel lapidario del Museo della certosa di S. Martino a Napo-
li – è fino ad oggi la testimonianza più importante dell’alta
condizione politica raggiunta dai signori della città scompar-
sa 22. Che Sicopoli non sia stato un insediamento provviso-
rio, come lascia intendere Erchemperto nella sua cronaca, è
provato sia dai resti del recinto – che inizialmente fu forse
soltanto ligneo, ma successivamente fu trasformato in soli-
de mura ancora visibili per qualche tratto –, sia da numero-
si avanzi architettonici disseminati lungo le pendici collinari Fig. 23. Sicopoli sulla collina della Palombara (Comune di Bellona, CE).
della Palombara (Fig. 23). Resti del muro di cinta (sec. IX), forse una torre (Foto P. Peduto)
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 269

Consolidato, dunque, in appena quindici anni il nuovo


centro fortificato, gli ambiziosi Longobardi che si erano mos-
si da Capua Vetere decisero di fondare una nuova città nel-
la fertilissima regione della quale volevano il totale possesso,
per cui non accettavano interferenze – se non per momenta-
nei vantaggi – né dai loro affini beneventani e salernitani, né
dai potenti duchi bizantini di Napoli.

Da Sicopoli alla nuova Capua

In un gomito del fiume Volturno, presso il ponte Casili-


no della via Appia, Landolfo e i suoi individuarono il luogo
idoneo per la fondazione della nuova città murata, destinata
in pochi decenni a divenire il fulcro economico e militare del
nascente autonomo principato longobardo di Capua. La po-
sizione strategica consentiva il controllo della viabilità e una
Fig. 24. Capua. Chiesa di S. Marcello maggiore, portale laterale: epigrafe
immediata difesa dell’area mediante un semplice sbarramen- del conte Audoaldo (Foto P. Peduto)
to dell’ansa fluviale.
Forse più di Benevento stessa e di Salerno, Capua custo-
disce molti resti monumentali dei Longobardi rimasti inden-
ni dal dominio carolingio. Della città che, proprio a causa degli apparati decorativi originali – talvolta reimpiegati nelle
della sua restrizione nell’ansa fluviale, non ha potuto espan- architetture di epoca successiva, o raccolti ed ordinati nelle
dersi molto, è ancora possibile percepire l’originale schema sale del Museo Campano –, forniscono indicazioni sullo svi-
dell’impianto urbanistico sviluppato al lato dell’antica via Ap- luppo di un’arte caratterizzata da una forte impronta impres-
pia e consolidato tra il X e l’XI secolo. Poiché, contraria- sionistica, come si osserva nei bassorilievi provenienti dalla
mente a quanto la storiografia ci ha tramandato, sia l’antica chiesa inferiore di S. Giovanni a Corte o nei capitelli reim-
Capua nella pianura Campana, sia Sicopoli sulla collina del- piegati nel palazzo Fieramosca (Fig. 25): un’arte libera dagli
la Palombara non furono abbandonate, il controllo dell’inte- schemi dell’acquisito classicismo e in grado ormai di rinno-
ra Terra laboris era stato raggiunto. varsi nella consapevolezza della raggiunta indipendenza.
Fra le testimonianze epigrafiche longobarde della nuova
Capua straordinario interesse riveste l’iscrizione sull’arcotra-
ve del portale settentrionale romanico della chiesa di S. Mar-
cello Maggiore (Fig. 24), che alcuni studiosi ritengono pro-
veniente dall’antica Capua, quasi sacra reliquia di Audoalt,
primo conte capuano, trasportata secondo la tradizione pri-
ma a Sicopoli e poi nella nuova capitale.
Nella città fortezza trovarono rifugio per lungo tempo i
monaci dei monasteri di S. Vincenzo al Volturno e di Mon-
tecassino distrutti dai Saraceni. Questo fu anche il momen-
to dello sviluppo delle architetture sia laiche che ecclesiasti-
che più interessanti. Dell’area palaziale del governo, la curtis
longobarda, sebbene localizzata nel cuore del centro antico,
non si può dire molto se non attraverso le superstiti cappel-
le palatine di S. Michele e di S. Giovanni ‘a corte’ che con-
servano, nonostante le molteplici trasformazioni, quei carat- Fig. 25. Capua. Palazzo Fieramosca: Capitello del sec. IX
teri basilicali della navata unica preceduta da un atrio a tre
fornici dovuti proprio alla tradizione cassinese.
A Capua si può ancora cogliere l’immagine matura dell’ar- A circa settanta anni dalla fine del regno di Desiderio, a
te longobarda sviluppatasi in Italia meridionale durante il se- Capua – piuttosto che a Salerno e a Benevento ancora vici-
colo IX. Numerosi frammenti architettonici e resti scultorei ne ai modelli pavesi – si manifesta una renovatio in cui sono
270 PAOLO PEDUTO

evidenti, in particolare nelle diverse forme dell’arte, i segni di e con esso si iniziò ad definire l’intero territorio amministra-
una fin lì sconosciuta elaborazione formale, dovuta non solo to, allora la funzione semantica del nome andò a significa-
all’influenza dei grandi monasteri benedettini di Montecassi- re nella propria specificità l’autonomia politica e la capacità
no e di S. Vincenzo al Volturno, ma forse anche agli apporti progettuale propria di un’istituzione territoriale in grado di
dell’Islam che proprio in quegli anni aveva raggiunto la sua generare nuovi centri abitati del tutto indipendenti dagli an-
massima potenza nel Mediterraneo. tichi insediamenti.
Molta cura i proprietari ponevano nella corretta condu-
zione della curtis, tanto da codificarne le attività. Nei capi-
Plebes, curtis e vici: un sistema integrato per la gestione delle tolari regi si disponeva che fossero ben formate le siepi di
anime e dei patrimoni confine, ben tenute le stalle e la cucina, sempre efficienti i
forni per il pane, il torchio per pigiare l’uva, che tutto fos-
Se tra i secoli V e VII, durante la crisi del sistema urba- se sempre ben pulito (Capitulare de Villis, cap. XLI). Il gran
no sviluppatasi in Italia, avessimo potuto rivolgere lo sguar- numero di curtis e dei Galdo (dal germanico Wald = bosco)
do alle campagne, avremmo riconosciuto proprio lì i nuclei delle carte geografiche e dei codici rivelano quanto fosse per-
nascenti di una nuova società contadina capace alla fine di seguita l’acquisizione di nuove terre nelle regioni del duca-
sostituire radicalmente il vecchio sistema produttivo fondato to longobardo di Benevento e come le aziende agricole fos-
sull’energia fornita dagli schiavi. sero diffuse e organizzate. Sfogliando il libro dei precetti del
Esauritosi quasi del tutto dopo il regno di Teodorico il Chronicon del monastero di S. Sofia di Benevento si ottie-
ceto senatoriale, le tensioni per il possesso dei latifondi si ne una panoramica realistica del paesaggio agrario dell’Italia
acuirono, mentre il papa intesseva trame alla continua ricerca meridionale nell’alto Medioevo. In particolare l’elenco delle
di una stabilizzazione temporale che potesse sostituire l’anti- donazioni offerte nel 774 da Arechi II al monastero contie-
ca classe dirigente, minando qualsiasi tentativo di raggiunge- ne indicazioni dettagliate utili sia per ricostruirne l’enorme
re un accordo con i Longobardi che nella seconda metà del patrimonio fondiario, sia per comprendere molti aspetti del-
VI secolo, occupata con successo gran parte della penisola la vita quotidiana del tempo (Chron. S. Soph., pp. 270-366).
italiana, tentavano attraverso i ducati centro meridionali di Vi si incontrano addetti alla pastorizia, alla pesca, alla cura
Spoleto e Benevento di espandersi nella campagna romana e dei campi. Servi che abitano le case dei padroni e che non
di impossessarsi di molte delle terre che la Chiesa pretende- possono allontanarsi, relegati in attività che vanno dall’alle-
va per sé. Fallito il tentativo di Costante II di riannettere la vamento alla cura del bosco, isolati nelle selve interne, dove
provincia italiana all’impero, si ebbe un periodo di relativa spesso v’è solo una cappella per pregare, con un presbite-
stabilità durante il quale nelle campagne furono organizzate ro da mantenere, che controlla affinché il lavoro sia esegui-
dai recenti possessores un gran numero di curtis, talvolta co- to alla perfezione e a vantaggio del monastero o del signore.
stituite ex novo, talaltra a sostituire le antiche villae romane. Ma vi sono anche contadini liberi e semiliberi. Per far sì che
Esse, insieme alle plebes per la cura animarum, caratterizza- questi ultimi non abbandonino le terre signorili i Longobar-
rono nell’alto Medioevo il paesaggio agrario e silvopastorale di seguirono il metodo, sperimentato con qualche successo
dell’Italia meridionale. da Gregorio Magno 24 e diffuso presso i Franchi, di conce-
La curtis costituì il nuovo fulcro dei possedimenti agra- dere degli appezzamenti di terreno per i quali non avrebbe-
ri. Essa era formata dalla casa padronale, la pars dominica, e ro ricevuto nessun censo ma soltanto la prestazione di mano
da un insieme di locali dove alloggiavano servi, coloni, mi- d’opera 25. Anche se gli storici dell’alto Medioevo non hanno
nisteriales: addetti di un’azienda autonoma dove si produce- affrontato per il Sud Italia l’aspetto dell’organizzazione ru-
va quanto occorreva per le proprie necessità e per la mes- rale, qualcosa di molto vicino a quanto si è osservato per il
sa a coltura delle terre. Nella curtis vi erano i magazzini, il Nord si evince da una rapida lettura delle fonti scritte meri-
mulino, il forno, il palmentum ed il trapetum per la pigiatu- dionali dove appare la menzione di angariae e di servitium,
ra delle uve e delle olive. Le donne al telaio provvedevano cioè di quell’istituto della corvé nei quali si stabilivano i ser-
alla tessitura. Quasi sempre all’interno della curtis si trova- vizi imposti dai proprietari ai contadini concessionari. Talvol-
va una chiesa 23. Ma se il torculum per la premitura dell’olio, ta nulla era preteso pur di conseguire la messa a coltura del-
la pars rustica e i vari depositi erano stati già pertinenti del- le terre: nullam angariam aut servitium (CDC, II, anno 989,
le villae, bisognerebbe chiedersi in cosa, dove e come, cam- p. 64), in altri casi si agiva secondo le consuetudini: iusto ter-
biò – al di là del nome – il sistema produttivo nell’alto Me- raticum et servitium, secundum consuetudinem de ipso locum
dioevo, quali in fondo erano le novità. Agli inizi le funzioni (CDC, V, anno 1026, p. 118). Erano contratti vantaggiosi per
della curtis non dovettero differenziarsi molto da quelle del- il fittuario. Quando, tuttavia, qualche proprietario profitta-
la villa, ma quando nei documenti apparve il termine curtis va del lavoro dei servi tassandoli ingiustamente, il principe,
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 271

avutone sentore, interveniva d’autorità secondo la legge lon-


gobarda affinché essi venissero sollevati da quanto (dationes
et pensiones, angaria, laboratio, hostis) preteso ingiustamen-
te (Chron. S. Soph., anno 878, pp. 396-397). Per favorire il
popolamento erano esonerati da qualsiasi servizio gli uomini
liberi trasferitisi nelle terre del monastero (Chron. S. Soph.,
anno 966, pp. 408-409).

Olevano sul Tusciano (SA): un sistema curtense nella Longo-


bardia minor

Non lontano da Salerno, nell’odierno comune di Oleva-


no sul Tusciano si rilevano i tre aspetti strutturali dell’inse-
diamento rurale altomedievale: la curtis, il castello, il santua-
rio (Fig. 26).

Fig. 27. Olevano sul Tusciano (Salerno). Planimetria della curtis di


S. Maria (Rilievo A. Corolla, E. Peduto)

più tratti sono evidenti disparati interventi di ripristino. Attra-


verso i primi sopralluoghi si individuano diverse fasi successi-
ve all’impianto romano (Fig. 28). Una prima fase, riconosci-
bile nella chiesa palatina, deve aver raggiunto il suo culmine
tra il IX ed il X secolo; alla seconda fase, collocabile tra l’XI
ed il XII, apparterrebbe la plebs con il suo battistero, men-
tre dettagli architettonici, come archi ogivati e crociere, in-
dicano un successivo periodo di sviluppo testimoniato attra-
verso murature databili dal XII al XIV secolo.
La chiesa di S. Maria a Corte appare nella documenta-
zione per la prima volta in un atto di vendita del 1055, poi
Fig. 26. Parte del territorio del comune di Olevano sul Tusciano (Saler- nel 1073. Nel 1180 è attestata come parrocchia in una do-
no): in evidenza la dislocazione della curtis di S. Maria, del castello e del
santuario di S. Michele nazione della curtis in casali tusciano prope parochiam sancte
marie zite fatta dal giudice Raone al monastero benedettino
della SS. Trinità di Cava dei Tirreni. La testimonianza delle
La curtis – il sito è segnato sulle carte topografiche come fonti scritte è da questo momento in poi copiosa e raggiun-
S. Maria La Corte – conserva i ruderi monumentali di un in- ge il 1763 26, anno in cui la parrocchia fu trasferita e che si-

La chiesa palatina, dalle dimensioni di circa 6 × 7 metri,


tricato complesso pluristratificato sorto sulle rovine di una fat- gnificò per la curtis il definitivo abbandono.
toria romana del II-I sec. a.C. (Fig. 27). Vi si scorgono due
chiese: la prima è una piccola chiesa privata, risalente al se- mostra diverse fasi costruttive. Vi si scorge il vario e diffuso
colo VIII-IX, alla quale si accede soltanto dall’interno del re- riutilizzo dei conci di conglomerato calcareo dell’opus incer-
cinto fortificato della curtis la seconda più grande, del secolo tum romano e di laterizi di diversa derivazione e pezzatura
XI, è una plebana aperta all’esterno della curtis mediante un (Fig. 29). L’abside inscritta è nascosta all’esterno da due nic-
ingresso, oggi demolito, che consentiva ai contadini di acce- chie poste lateralmente alla monofora centrale capaci di ge-
dervi dalle campagne circostanti. La curtis di S. Maria domi- nerare con l’alleggerimento della struttura un forte gioco di
na la sottostante pianura da una collina posta a 223 m sul li- chiaroscuro. Tale particolare architettonico, insieme ad alcu-
vello del mare, sulle prime balze della corona montuosa che ni pannelli murari che ripropongono la scacchiera dell’opus
chiude la pianura pestana. reticulatum – quasi dei motivi a tarsie –, evidenziano l’ade-
Le murature superstiti mostrano diverse fasi costruttive: sione all’eloquenza del mondo bizantino meglio conosciuto
dall’opus incertum romano all’opus vittatum altomedievale. In attraverso i noti esempi della Cattolica di Stilo, della Roccel-
272 PAOLO PEDUTO

Fig. 28. Olevano sul Tusciano (Salerno). Curtis di S. Maria: sovrapposi- Fig. 29. Olevano sul Tusciano (Salerno). Curtis di S. Maria. Particolare
zione di strutture di epoche diverse (Foto P. Peduto) della muratura della cappella palatina (Foto P. Peduto)

letta del vescovo di Squillace o della S. Maria di Tridetti, a cui due conservano importanti affreschi altomedievali, i più
Staiti, in Calabria. La particolare disposizione architettonica antichi del secolo IX 29 (Fig. 31). La primitiva frequentazione
delle nicchie esterne si ritrova nella stessa Olevano sul pro- della grotta risale all’Eneolitico, come attestano alcuni fram-
spetto principale della seconda cappella nel soprastante san- menti di ceramica decorata a cordicella rinvenuti nel 1972 ed
tuario rupestre dell’arcangelo Michele. esposti oggi nel Museo Archeologico di Pontecagnano pres-
Anche per la plebs di S. Maria ad aula absidata, un tem- so Salerno. Si tratta di una grotta santuario tenuta in grande
po affiancata da un piccolo battistero, vi sono attinenze con considerazione dai Longobardi di Salerno tanto che, dopo la
diversi episodi architettonici calabresi di matrice bizantina, in divisione del ducato di Benevento, Siconolfo primo principe
particolare per l’estradosso dell’abside che segue lo schema
costruttivo a gradoni dei noti episodi del S. Pietro di Frasci-
neto e del S. Teodoro di Laino Castello, in provincia di Co-
senza 27.
Più in alto sul monte, a quota 696 s.l.m., è posto il castel-
lo costruito tra due speroni rocciosi che fungevano da torri
(Fig. 30); due ampi recinti murari consentivano il rifugio in
caso di necessità agli abitanti della pianura e dei casali sotto-
stanti. La presenza di case e di una chiesa in muratura all’in-
terno del primo recinto fortificato induce a ritenere stabile la
presenza di abitanti a partire dai secoli X-XI, anche se non
sembra possibile fissare con precisione l’epoca dell’origine del
primo impianto castrense 28.
Sulla parete rocciosa di una falesia calcarea, di fronte al
castello, verso est, s’apre la grotta di S. Michele, profonda Fig. 30. Olevano sul Tusciano (Salerno). Veduta del castello (Foto P. Pe-
oltre m 700, nella quale sono costruite sei piccole chiese di duto
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 273

diario del viaggio in Palestina, redatto nell’870 30. Per lungo


tempo diversi studiosi hanno messo in dubbio che la grotta
di S. Michele ad Olevano sul Tusciano sia la stessa descrit-
ta da Bernardo, ma una recente scoperta, avvenuta durante
i lavori di restauro condotti dalla Soprintendenza, pone fine
alla questione e conferma questa di Olevano essere proprio
la grotta dell’itinerarium. Sulla parete sinistra all’esterno del-
la chiesa maggiore è apparso, infatti, un interessante dipinto
raffigurante tre monaci che genuflettendosi si recano in pro-
cessione dall’arcangelo Michele 31 (Fig. 32): sono proprio Ber-
nardo, Teodemondo e Stefano. L’affresco si presenta come
un ex voto e reca in corrispondenza delle figure i nomi dei
rappresentati in forma abbreviata. Il monaco sulla sinistra è
Stefano, al centro Bernardo e sulla destra Teodemondo sul
cui capo l’arcangelo Michele pone la mano benedicente. Poi-
ché l’affresco raffigurante i monaci è certamente successivo
Fig. 31. Olevano sul Tusciano (Salerno). Grotta di S. Michele. Particola- alla loro visita, la sua stesura può essere giustificata come un
re della zona absidale della cappella maggiore ricordo del pellegrinaggio, commissionata forse da un abate
del monastero della Trinità di Cava dei Tirreni con l’inten-
to di rafforzare il concetto della proprietà monastica del luo-
di Salerno permutò nell’849 alcuni suoi beni del beneventa- go che in quel tempo era conteso tra il monastero benedetti-
no a favore dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno in cam- no di Cava ed il vescovo di Salerno, questione esaminata, tra
bio delle […] curte et casis, seu ecclesia, quas habent in lo- gli altri, dalla stessa Zuccaro nel quarto capitolo del suo vo-
cum qui dicitur Tusciano, finibus Salernitanis (Chron. Vult., I, lume riguardante le fonti storiche 32. Di sicuro l’affresco con
p. 316). La transazione riguardò il territorio comprendente i tre monaci non è coevo al viaggio in Palestina dell’itinera-
l’insediamento rupestre e il vero e proprio complesso curten- rium di Bernardo, ma va collocato, per il suo modello e per
se. Il documento non include il castello a quel tempo inesi- i suoi caratteri epigrafici, tra la fine dell’XI secolo e la metà
stente, infatti lo stesso chronicon volturnense menziona sem- avanzata del XII. La scena dei tre monaci in processione ver-
pre i castelli della curtis: so l’Arcangelo raffigurato con le ali spiegate e la disposizio-
curtem in loco Carpineto, cum ecclesiis Sante Marie, et Sancti Vin- ne stessa delle ali trovano un riscontro diretto con le minia-
cencii … cum suis pertinenciis, et inclito ipso castello […] oppu- ture del Chronicon Volturnense del monaco Giovanni redatto
re […] curtem in Uniano cum ipso castello integro […] ed anco- tra il 1108 ed il 1139, ed in particolare con la scena dell’ar-
ra per la curtem de Valle, cum duobus castellis, cum ipsa ecclesia cangelo che rifocilla i monaci Paldo, Taso e Tato recatisi alle
Sancti Andree sorgenti del Volturno per fondarvi il loro monastero. Anche
se per il confronto proposto non è stato possibile utilizzare
di proprietà del monastero volturnense site in Abruzzo (Chron. una riproduzione originale della miniatura ma soltanto una
Vult., I, pp. 231, 277). sua elaborazione grafica (Fig. 33), appare del tutto evidente
L’architettura delle chiese della grotta di S. Michele di l’accostamento formale tra l’affresco di Olevano e la compo-
Olevano e i loro affreschi rimandano a moduli diffusi nell’Ita- sizione della miniatura del codice Vat. Barber. 2724.
lia meridionale. La prima chiesa posta poco oltre l’ingresso Non sarà stato casuale che, proprio nei secoli XI e XII,
dopo la gradinata d’accesso presenta affreschi che raffigura- gli abati di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno ab-
no l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività, le scene del- biano sentito l’esigenza di far redigere le cronache circa la
la fuga in Egitto, la Traditio legis et clavium, ed altre scene fondazione ed il catasto patrimoniale dei loro monasteri. Del
tratte dal Nuovo Testamento. Purtroppo molti degli affreschi resto fu proprio nel corso di questi secoli che la stabilizza-
sono in cattive condizioni, a causa dell’umidità, dello stillici- zione del potere normanno produsse un sistema di controllo
dio e del lunghissimo periodo di abbandono. burocratico che ebbe la sua massima espressione nella reda-
La grotta di Olevano era famosa e meta di pellegrini già zione del Catalogus Baronum. Gli interventi degli abati, tesi
nella seconda metà del IX secolo, quando fu visitata dal mo- al consolidamento ed alla riqualificazione dei patrimoni, in-
naco francese Bernardo e da due suoi confratelli, lo spagno- teressarono direttamente i luoghi di culto che costituivano
lo Teodemondo, e Stefano del monastero di S. Vincenzo al il fulcro della loro politica di gestione territoriale e spiritua-
Volturno. Bernardo, infatti, la incluse nel suo itinerarium, le. Il caso del dipinto, quasi un’ex voto, da poco individua-
274 PAOLO PEDUTO

to e restaurato ad Olevano sul Tusciano potrebbe costituire sepolcreti di S. Lorenzo ad Altavilla Silentina 34, di S. Gio-
la traccia di tale politica. vanni di Pratola Serra 35, in provincia di Avellino, e nella ne-
La curtis altomedievale di Olevano pur rimanendo un epi- cropoli altomedievale della villa romana di Avicenna, in pro-
sodio straordinario per la consistenza dei suoi ruderi, non è vincia di Foggia 36.
certo l’unica traccia della sistemazione rurale della pianura Del resto la prima monetazione longobarda, sia nell’Ita-

Fig. 32. Olevano sul Tusciano (Salerno). Grotta di S. Michele. Memoria della visita del monaco Bernardo
e dei suoi due compagni (Foto P. Peduto)

pestana nell’altomedioevo. Tra i numerosi resti di villae ro- lia del Nord che al Sud, non poteva venir fuori se non come
mane impiantate alla fine dell’epoca repubblicana almeno tre una approssimativa imitazione del circolante bizantino.
siti hanno restituito reperti risalenti alla fine del VI e al VII Con la chiesa e il battistero di S. Lorenzo ci si trova din-
secolo: la villa in localià S. Leonardo, appena fuori Salerno nanzi a un insediamento sorto nella prima metà del VII se-
– distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. 33 –, la plebs colo in un sito fino a quel momento non frequentato stabil-
baptesimalis di S. Lorenzo ai piedi delle prime balze collina- mente, ma quasi certamente, stando alle tracce di superficie,
ri di Altavilla Silentina – appena oltre il fiume Calore non non distante da un abitato rurale più antico. Dalle carat-
lontano dalla confluenza nel fiume Sele –, e la villa romana teristiche dei doni funerari, dal numero degli inumati, dal-
con la soprastante chiesa altomedievale vicino alla scafa del la tipologia delle tombe e dalla stessa tecnica costruttiva dei
Barizzo, presso il ponte ottocentesco che consentiva di oltre- pochi resti murari sopraggiuntici si ha l’impressione di tro-
passare il Sele. Nel caso della villa di S. Leonardo la frequen- varsi in un piccolo villaggio di cui ben poco rimaneva oltre
tazione tra VI e VIII secolo sarebbe provata soltanto dall’im- il toponimo tra l’XI e il XII secolo. Nel caso poi dei pochi
pianto di un sepolcreto altomedievale, ma col prosieguo delle resti della chiesa e del battistero individuati presso il Ba-
indagini potrebbe esservi la possibilità di rintracciare l’edifi- rizzo, superstiti all’azione di un buldozer che ha quasi del
cio ecclesiastico della piccola comunità cristiana, la cui esi- tutto spazzato via l’intero sito, si ha la diretta sovrapposi-
stenza sembra suggerita dallo stesso toponimo. Dalle sepol- zione di una chiesa altomedievale su di una villa sorta nel I
ture altomedievali della villa di S. Leonardo provengono due sec. a.C., abbandonata lungo l’arco del III secolo, ma la cui
frazioni di siliqua recanti il monogramma dell’imperatore Era- superficie fu rioccupata dalla metà del V per tutto il VII se-
clio: nominali emessi dalla zecca di Benevento durante il go- colo.
verno del duca Arechi I. Sulle emissioni di tali monete si ha Risalendo il corso del fiume Sele, in alto nella valle, ver-
qualche certezza poiché sono state da tempo individuate nei so i monti dell’antica Compsa sannita, sede del gastaldato di
QUANTO RIMANE DI SALERNO E DI CAPUA LONGOBARDE (SECC. VIII-IX) 275

casi riprendeva l’avvio dal medesimo sito già in precedenza


antropizzato, dopo una pausa non sempre della stessa durata
che sembra sia avvenuta lungo l’arco dei secoli V e VI. An-
che se non si può sempre ritenere la presenza di tante picco-
le chiese rurali come prova certa dell’esistenza di un rispetti-
vo villaggio, è evidente che esse regolavano la vita quotidiana
nei campi. Del resto che una forma di sopravvivenza rurale
diffusa abbia coinvolto nel corso dei secoli VI-VII gli stessi
nuclei urbani, determinandone la perdita della centralità, lo
si desume non solo dalle terre nere degli strati sovrapposti
all’abitato scomparso, ma anche dal mutamento della funzio-
ne del ruolo delle stesse antiche cattedrali, come avvenne per
Nuceria, dove S. Maria assumerà la funzione di plebs e con
tale titolo sarà ricordata nelle carte cavensi. Il fenomeno si
Fig. 33. Chronicon volturnense (vol. I, p. 113). Elaborazione grafica ripropose più volte. Nel sito dell’antica Rota, presso Mercato
della miniatura originale del sec. XII 113 S. Severino in provincia di Salerno, ancora un’altra S. Maria
sarà ripensata come plebs dell’abitato scomparso.
Fin dall’VIII secolo, i numerosi riferimenti alle curtis del
Conza, due episodi quasi sconosciuti tra le numerose testi- Codex Diplomaticus Cavensis evidenziano l’intenso e ordina-
monianze di chiese rurali altomedievali potrebbero in sintesi to incremento fondiario delle signorie salernitane impegnate
definire sia la matrice culturale sia la continuità dell’insedia- nell’acquisire il possesso delle terre fertili della pianura ve-
mento in questa regione: la chiesa di S. Vittore di Colliano e suviana, dei dintorni di Nocera e dell’intera pianura pestana.
la chiesa di S. Martino a Calabritto 37. Nel primo caso l’absi- Stando alle fonti scritte sembra che il sistema curtense nell’al-
de della piccola aula è riciclata da un mausoleo romano (Fig.
34), nel secondo l’aula con abside a triconco di tradizione ro-
mano-bizantina fu sovrapposta alle strutture di una villa di
età imperiale (Fig. 35). Sono testimonianze di una sistemati-
ca riorganizzazione delle campagne successiva alla definitiva
scomparsa dei municipia romani che nella maggior parte dei

Fig. 34. Calabritto (Avellino). Chiesa di S. Martino del Sele Fig. 35. Colliano (Salerno). Chiesa di S. Vittore: resti del mausoleo
(Foto P. Peduto) romano trasformato in abside (Da Filippone)
276 PAOLO PEDUTO

to Medioevo si sia sviluppato secondo le due direzioni, ur- Campania quel che è stato notato anche altrove in Italia me-
bana e rurale anche nelle aree meridionali. Nel primo caso ridionale 38 un fenomeno per il quale non è sempre possibile
si formarono centri di aggregazione civici, come le curtis re- indicare un unico modello mediante cui individuare le compo-
gie – l’esempio massimo è Curtimpiano, il luogo dove si er- nenti che permisero lo sviluppo di una nuova comunità citta-
geva il palazzo ducale di Benevento o, per Salerno, la curtis dina, sia mercantile che rurale. Sembrerebbe, comunque, che
fatta costruire da Arechi II, o ancora Curtignano, dov’era in ciò sia stato possibile sulla base del ripetuto, anche se diversi-
aperta pianura il castello di Pagani. Nel secondo, forse me- ficato, tentativo di riorganizzazione della produzione agricola
glio indagato, si produssero quelle aziende agricole il cui nu- che talvolta fornì il necessario per la rinascita e la riorganiz-
cleo, la curtis, era circondato da arboribus et rebus et territo- zazione di strutture urbane fortemente accentrate – com’è il
rie et cum integre ipse case que ibi posite sunt (CDC, a. 881, caso di Eboli, di Campagna –, altre volte dall’unione di un
vol. I, p. 108). Curti, Curticelle, Curteri, Corte Vetere sono le sistema di vici nati spesso da villae-curtis antiche, come ac-
testimonianze toponomastiche di tanti siti che si rinvengono cade ad esempio per molti dei villaggi che insieme formano
ancora nelle carte geografiche di quella parte dell’Italia me- l’odierno Comune di Cava dei Tirreni, di Montoro, di Ole-
ridionale che era la Langobardia minor. vano sul Tusciano, di Giffoni Vallepiana, di Vietri sul Mare,
Nella metamorfosi della società tardo romana accadde in nel salernitano, di Pratola Serra, nell’avellinese.

NOTE

1) GASPARRI 2004, pp. 1-88. 1966. Per lo sviluppo urbanistico e delle architetture longobarde è neces-
2) BARONI 1994, pp. 437-458. sario iniziare da I. DI RESTA, Capua Medievale. La città dal IX al XIII se-
3) Per le vicende che indussero Arechi II a rifondare Salerno, per colo e l’architettura dell’età longobarda, Napoli 1983.
l’analisi dell’ambiente cittadino e della società salernitana nell’alto Medio- 19) PAGANO 2003, p. 679.
evo è fondamentale servirsi di P. DELOGU, Mito di una città meridionale 20) PAGANO 1984, pp. 155-158.
(Salerno, secoli VIII-XI), Napoli 1977. 21) MAURO 1985, pp. 94-98.
4) NEFF 1908, pp. 15-8. 22) RUSSO MAILLER 1981, pp. 130-132.
5) ACOCELLA 1968, pp. 23-68. 23) PEDIO 1998, p. 52.
6) PENSABENE 1997, p. 191. 24) RECCHIA 1978, pp. 100-103.
7) MITCHELL 2001, pp. 43-44. 25) SERGI 1993, p. 9.
8) GUIDOBALDI 1985, pp. 182-202. 26) CRISCI 2001, pp. 257-258.
9) COSTAGLIOLA 2003, p. 49, fig. 26. 27) VENDITTI 1967, pp. 876-878.
10) EBANISTA 1997, pp. 651-653. 28) DI MURO, LAMANNA 2004, pp. 259-333.
11) LAMBERT 2000, p. 323. 29) KALBY 1964; ZUCCARO 1977.
12) SUATONI 2002, p. 33. 30) VUOLO 2002, pp. 99-101.
13) PANTONI 1973, pp. 30-34, fig. 12. 31) FORCELLINO, PROSPERETTI 2004.
14) FABIANI 1968, p. 12. 32) ZUCCARO 1977, pp. 39-56.
15) GREENHALGH 1985, pp. 184-185. 33) ROMITO, CIFELLI 1991.
16) CILENTO 1971, pp. 55-56. 34) VOLPE 1984.
17) VILLANI 2003; FIORILLO 2008. 35) ROVELLI 1992.
18) Rimane essenziale per lo studio della storia dei Longobardi ca- 36) GUZZETTA 1988.
puani l’opera di N. CILENTO, Le origini della signoria capuana nella lon- 37) FILIPPONE 1993, pp. 31, 33.
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