The Worseners Tale Robert Edeson PDF Download
The Worseners Tale Robert Edeson PDF Download
https://ebookbell.com/product/the-worseners-tale-robert-
edeson-58710406
https://ebookbell.com/product/the-investors-solution-stock-market-
wealth-creation-simplified-worner-53876978
https://ebookbell.com/product/the-small-business-owners-handbook-to-
search-engine-optimization-increase-your-google-rankings-double-your-
site-traffic-in-just-15-steps-guaranteed-1st-edition-stephen-
woessner-48966506
https://ebookbell.com/product/the-educational-work-of-womens-
organizations-18901960-anne-meis-knupfer-5370998
https://ebookbell.com/product/getting-off-track-how-government-
actions-and-interventions-caused-prolonged-and-worsened-the-financial-
crisis-1st-edition-john-b-taylor-51388156
The Ends Of The Earth Perspectives On Modern Environmental History
Studies In Environment And History Worster
https://ebookbell.com/product/the-ends-of-the-earth-perspectives-on-
modern-environmental-history-studies-in-environment-and-history-
worster-56109018
Shrinking The Earth The Rise And Decline Of American Abundance Donald
Worster
https://ebookbell.com/product/shrinking-the-earth-the-rise-and-
decline-of-american-abundance-donald-worster-38052084
Shrinking The Earth The Rise And Decline Of American Abundance 1st
Edition Donald Worster
https://ebookbell.com/product/shrinking-the-earth-the-rise-and-
decline-of-american-abundance-1st-edition-donald-worster-5744852
A River Running West The Life Of John Wesley Powell 2nd Donald Worster
https://ebookbell.com/product/a-river-running-west-the-life-of-john-
wesley-powell-2nd-donald-worster-1694704
https://ebookbell.com/product/cases-and-materials-on-the-law-of-
international-organizations-1st-edition-william-thomas-
worster-34242836
Another Random Scribd Document
with Unrelated Content
segnalazioni, subito impedite. Le guide erano state portate via tutte
fin dal primo giorno.
□□□
Del resto Cortina d'Ampezzo, non dico di spirito, ma di aspetto
esteriore, ha sentito l'influenza della lunga dominazione austriaca e
della frequentazione tedesca come luogo di villeggiatura. Ha perduto
ogni bel carattere di paese italiano d'alta montagna. Penso con
nostalgia, a Cortina, al bel focolare friulano visto pochi chilometri
innanzi, a Borca; un focolare esagonale di pietra, in mezzo alla
stanza, con una tettoia a orlo ripiegato e frastagliato, con l'alare
unico che ne traversa in largo tutto il piano, con tutti i suoi annessi
— palette, molle, catene — appesi dall'una e dall'altra parte alle due
colonnine dell'alare, e un bel fuoco di legna nel mezzo, e intorno
intorno volti cordiali e ridenti. Cortina d'Ampezzo non è che una
ordinata esposizione d'alberghi pretenziosi e di botteghe con le
grandi insegne chiare e burocratiche, che vi assaltano. Passeggiando
in Cortina non si fa che leggere insegne. E con la sua fontanina, col
suo campanile assettatino dalla punta aguzza, con l'ordine nitido
delle sue strade, con la sua posizione di cittadina ben collocata,
proprio in mezzo alla conca, e ferma lì, senza fumo di focolari, senza
grida, senza pàtine, pare una città che si sia tirata in giù la giacca e
stia ferma in posa davanti al fotografo di provincia, per farsi
prendere il ritratto. Cortina d'Ampezzo, vista dall'alto o dal piano, di
dentro o di fuori, nell'insieme o in particolari, è la città-cartolina
illustrata per eccellenza. Ha una sola caratteristica: le beghine,
numerosissime: visi duri e grinzosi, che escono dalla chiesa e
traversano la piazza con occhiate rapide e subdole, sotto ai cappellini
ovali ampiamente piumettati di nero sul davanti, a tesa rigida calcata
bassa sulla fronte a nascondere gli sguardi sospettosi. Era domenica,
e nella chiesa si cantava l'evangelio propiziatore per il raccolto; e
cantavano con molta intonazione e con una precisa espressione.
L'anima del paese è, credo, sinceramente religiosa e mite; nè sarà
difficile togliere la crosta di cattolicismo politicante e di svizzerismo
locandaio che la dominazione austriaca e la frequentazione tedesca
gli hanno imposta.
□□□
Chi ne volesse un chiaro segno, non avrebbe che visitare, nel piccolo
cimitero vicino alla città, la tomba del generale Cantore. C'è sempre
qualche cortinese commosso là davanti; c'è spesso un fiore fresco
aggiunto da un paesano a quelli che i soldati vi mantengono
perennemente; tra le corone secche, rimaste a memoria dei funerali,
molte sono di cittadini, e non corone ufficiali, ma poste dal cordoglio
sincero e dal risvegliato sentimento d'italianità di compaesani
anonimi. Anche qui, come ad Ala, il culto di Antonio Cantore sta
facendosi nucleo ed espressione di tutto un orientamento nuovo
della mentalità e del sentimento del paese. Vorrei dire che il primo
giorno dell'italianità nuova di Cortina d'Ampezzo non fu il giorno —
29 maggio — dell'entrata dei nostri, nella prima avanzata; ma quello
— 20 luglio — in cui videro l'uomo che fino al dì innanzi avevano
amato vivo e operante coraggiosamente per la loro libertà, portato
qui dai suoi soldati, morto da una palla austriaca, o forse
ampezzana.
Gli austriaci tenevano le Tofane, e di là minacciavano la nostra
occupazione su Vervei e su Cortina stessa. Le operazioni sulle Tofane
erano dirette dal generale Cantore. Alcuni battaglioni, protetti
dall'artiglieria, arrivarono sulla prima Tofana, ma vi trovarono un
passo reso inaccessibile dalla guardia continua di tiratori scelti.
Cantore, avuta notizia dell'eccellente effetto prodotto dalla nostra
artiglieria, volle andare in persona a rendersi conto della situazione,
e al tocco del 20 luglio vi si avviò in compagnia del capitano
Argentero dello Stato Maggiore. Giunsero in automobile a Pocol,
proseguirono sui muli; alle cinque e un quarto erano sul posto. Da
un solo punto si apriva la posizione, cioè da una specie di trincea
aggiustata nella roccia, duecento metri al disopra del rifugio ov'erano
appostati i nemici. I quali, secondo il loro sistema, sparavano il fucile
a intermittenza, un colpo ogni sette od otto minuti.
Cantore raggiunse quel punto; ma di là non si vedeva donde
partissero i tiri, nè come si coprissero i tiratori. Ne domandò a un
soldato, il quale rispose che forse il punto poteva scorgersi di più
giù, piegando verso destra. Il capitano vi scese, dopo un'ora risalì a
riferire al generale che nemmeno di giù si poteva veder nulla. Allora
entrambi risalirono, e trovarono finalmente una roccia che sporgeva
proprio al disopra del crepaccio occupato.
Erano di poco passate le sei, e Cantore aveva il sole in faccia; per
questo non vedeva abbastanza bene. Ma il luogo di osservazione
migliore era appunto quello. Allora egli sporse un poco la testa.
Si udirono tre detonazioni; alla terza il capitano vide il suo generale
rotolare giù per due metri dalla roccia, con la fronte sfracellata.
Tutti i soldati volevano uscire dalle trincee. Il capitano stentò a
trattenerli. Ne chiamò due ad aiutarlo. Posero il generale a riparo
d'una roccia. Furono loro portate tele da tenda, e su quelle
cominciarono a trasportarlo giù. In un passaggio scoperto, per poco
nuove fucilate non raggiunsero il convoglio: dovettero ripararsi e
sostare venti minuti. Poi ripresero a scendere; a Vervei misero il
cadavere nell'automobile, e la sera giunsero a Cortina.
La popolazione fu costernata. Egli era ivi, trasferitovi da Ala, da
ventun giorni. Cento volte, anche in valle di Travenanzes, s'era
esposto così. Aveva, come altri della sua tempra, la persuasione
della propria invulnerabilità. E anche gli ampezzani che già lo
amavano, anche i soldati che lo veneravano come un dio, dopo le
apprensioni dei primi giorni avevano cominciato a credere che
davvero il loro generale fosse inaccessibile al piombo dei nemici.
Eppure erano forse ampezzani coloro che non lo avevano creduto
invulnerabile. I tiratori che sono con gli austriaci sulle Tofane, sono
cortinesi. Un vecchio sessantenne austriacante, il cui nome, Pietro
Alverà da Cortina, va tramandato per vergogna alla storia dei
rinnegati, aveva fin da qualche giorno prima della guerra messi
insieme sessanta giovani cortinesi della società dei tiratori col
pretesto di perfezionarli nella caccia al camoscio, e, anche contro la
volontà delle loro famiglie, li aveva trascinati sulle Tofane e messili al
servizio degli austriaci; son essi che tirano di là sui passaggi, col
fucile da camoscio, munito di canocchiale. Pianga oggi la pietà dei
cortinesi, sulla tomba di Antonio Cantore, l'orrendo peccato dei suoi.
□□□
Anche la conquista di queste cime è ricca di episodi di valore, che
ormai non si possono più chiamare incredibili perchè sono quotidiani.
Quando, a occupare completamente la posizione di monte Cristallo,
compimmo l'operazione della Cresta Bianca, abbiamo fatto passare
alpini e bersaglieri con ben seicento metri di corda. Ciò avvenne a
quasi tremila metri d'altezza, e non furono pochi i casi di
congelazione.
Della difficoltà di certe operazioni non occorre parlare: il Sompauses,
per esempio, ove s'è combattuto un po' sempre e con effetti
eccellenti, è disposto in modo che i colpi d'artiglieria che vi si tirano
non possono esplodere che sulle rocce; gli austriaci sono in gallerie,
nelle quali ritirano con facilità i pezzi, dopo lo sparo. Bisognerebbe,
per averne ragione, far saltare l'intera montagna. A Landro, oltre i
tre forti, tutt'all'intorno son posizioni preparate, e da lungo tempo.
Sulla Tofana le nostre truppe — e sono intere compagnie — si
trovano a 3200 metri d'altezza.
E ci vogliono rimanere. Era stato ordinato il cambio di truppe
ch'erano a tremila metri. Un generale m'ha fatto vedere una lettera
del capitano, per mezzo del quale tutti i suoi soldati, chiedendo
perdono per l'infrazione alla disciplina, imploravano di rimanere, e
adducevano per ragione che ormai essi s'erano perfettamente
abituati alla temperatura di dieci gradi sotto lo zero, e che
conoscevano i passi sicuri.
Sulla cima del Cristallo un ufficiale salito a visitare i soldati, credè
opportuno confortarli facendo loro pensare al tempo in cui sarebbero
tornati. Rifiutarono ogni conforto, asserendo: — Stiamo benissimo
qui. —
Nè manca, tra gli episodi eroici, qualche tocco di comico. A Col Rosà
(già osservatorio austriaco per i tiri preparati contro la conca di
Cortina, ora nostro), tre alpini erano stati fatti prigionieri dagli
austriaci. Un bel giorno i tre soldati ritornano ai nostri avamposti, tra
la gioia e lo stupore dei loro compagni. E narrano che, essendo sotto
la guardia di un solo soldato, un tirolese, lo avevano assalito, pur
essendo inermi, e imbavagliato, e così gli erano fuggiti, portandogli
via parecchi oggetti tra i quali una tenda da campo e un eliografo,
che consegnarono all'ufficiale. Divennero gli eroi dell'avamposto.
Senonchè due giorni dopo noi prendemmo di sorpresa prigione tutto
il corpo di guardia austriaco e lo portammo al nostro campo. Tra i
prigionieri era il famoso guardiano tirolese, che appena visti i tre
alpini si gettò tra le loro braccia baciandoli con effusione. Erano
amicissimi, e manifestamente, per fuggirgli e portargli via la tenda e
l'eliografo, non c'era stato bisogno nè di assalto, nè di bavaglio, nè
d'altra violenza.
Tocchi di giocondità, che non contaminano l'atmosfera eroica onde
sono avvolte queste cime, ove il domani della nostra guerra si
prepara più grande forse e più radioso che in qualunque altra parte
del fronte.
Non occorre essere strateghi per avvedersene; basta la più umile
delle carte geografiche.
Dalla Conca d'Ampezzo si svolge la vallata dell'Alto Boite, dalla Conca
di Misurina la vallata dell'Alto Ansiei. Concorrono verso il nord,
sboccano a Plattzewiese e a Landro, ci indicano la valle della Drava e
la strada di Toblacco. Bisogna scendere alla vallata del Rufreddo, ove
ci troveremo in faccia Croda Rossa, che ormai non ha se non degli
osservatorii. Per ora siamo in quella della Rienz. Il Cristallo e il
Cristallino sono nostri. Som Forca al Passo di Tre Croci, onde
comunicano le due Conche, è stato incendiato. Quando il silenzio di
tutta la cortina difensiva austriaca ce lo permetterà, occuperemo la
cima di Montepiano.
Di là potrà forse sentire non so qual voce una contrada, non nostra,
ma tale che condurrà quella voce al cuore dell'eterna nemica. Da
queste cime verrà forse la parola della condanna alla nazione
delinquente: all'alleato che nel vecchio confine impostoci aveva
incluso, al ponte della Motta sotto Misurina, un tratto della nostra
strada nazionale; che non aveva permesso alla nostra ferrovia di
andare oltre Calalzo, mentre costruiva esso un forte in caverna sul
Plattzwiese, e trincee di calcestruzzo a Montepiano.
La vecchia e gloriosa voce del Cadore la condannerà.
Intanto le sue nevi brillano, i suoi monti sfolgorano, il suo verde pare
che levi polifonie di solennità verso il cielo. Scoppia fuori, intorno
intorno per l'orizzonte, la roccia gialla tra lo stridore bianco delle
plaghe di neve, pazzamente. E il perchè del giallo e del bianco non
appare. Sono vecchi accordi tra la montagna ed il cielo.
Ospedale di cavalli
□□□
Una quarantina d'uomini s'è così isolata dal mondo tra queste valli, e
attende qui all'opera utilissima, in un lavoro continuo e tutt'altro che
leggiero. Basti pensare che i cavalli in cura sono ora centocinquanta,
ma lo stabilimento deve poter accoglierne fino a duecentocinquanta;
che ogni mattina si fanno circa trenta medicazioni; e che la cura e la
sorveglianza dei cavalli sfiniti non è meno continua e meno
minuziosa di quella dei cavalli feriti: e si avrà un'idea del lavoro cui si
sobbarcano quei volonterosi. Ogni stabilimento ha un capitano
delegato, un tenente, due ufficiali veterinarii, e poi tutto il personale
di governo, sergenti, caporali e attendenti. La spesa media d'ognuno
è di circa seimila lire al mese.
Com'è noto l'istituzione è di origine inglese e data dal tempo della
guerra boera. Dopo l'agosto del 1914 l'Inghilterra impiantò in Francia
quattro grandi stabilimenti della Croce Azzurra, che rimasero
perfettamente autonomi, senza rapporti di sorta con le autorità
governative.
In Italia l'istituzione, fondata a imitazione dell'inglese pochi mesi
sono, ebbe in questo senso un miglioramento in quanto il ministero
della guerra la riconobbe ufficialmente e ne militarizzò il personale —
con un notevole vantaggio per la disciplina e l'organizzazione —
mediante una convenzione che ha la durata di quattro mesi, ed è
naturalmente rinnovabile e sarà rinnovata per tutta la durata della
guerra.
Perchè l'istituzione, per quanto giovane, si mostrò subito matura e
pari al suo compito arduo e alla sua utilità. La quale è grandissima.
Chi, vedendo cavalli sfiniti o feriti ritornare dal fronte, ha provato il
senso infinito di pietà che desta la loro incoscienza sommessa, può
sentire la bellezza sentimentale dell'istituzione senza stare a pesarne
i vantaggi. Ma anche posto da parte ogni sentimento, basta pensare
all'immensa utilità del quadrupede in una guerra di montagna — e
quale montagna! — com'è la nostra, e considerare che il cavallo è il
genere di cui è men facile ottenere un'abbondante requisizione, per
rendersi conto del beneficio enorme che reca il poter rimandare su
per le montagne una grande percentuale di cavalli che sarebbero
normalmente condannati alla morte per sfinimento o per ferite.
□□□
Un cavallino giovane, quasi ancora puledro, ha fatto una corsa, dal
suo prato grande donde ripartirà tra un giorno o due, fino al recinto
che lo divide dal prato minore ove si fanno le medicazioni. Sporge il
muso di qua e guarda incuriosito l'operazione strana, quei sei o sette
uomini affaccendati sopra un cavallone massiccio steso sull'erba. Poi
scrolla il capo, guarda il cielo nuvoloso, manda un nitrito di
giovinezza e di gioia, e si rimette a galoppare pazzamente, senza
mèta, ubriaco d'aria. La sua incoscienza gioiosa è commovente
quanto la sofferenza dell'altro. Guardandolo, non posso tenermi dal
pensare a un'altra incoscienza: a quella di tutti i bambini, che
vedono e sentono la guerra che non capiscono e non sanno: la
vedono e la sentono in una quantità di cose strane: nella partenza
dei loro babbi, nelle solitudini accorate delle loro mamme, nel ritorno
di persone care che son poste in un letto e stentano a riconoscere i
bimbi, nell'annuncio, fatto da una madre tra i singhiozzi, che altre
persone care non torneranno mai più.
Un giorno i bambini capiranno quei misteri dolorosi, e sapranno che
la guerra si è combattuta per loro, che tutta la vita loro ne ha
ricevuto un inestimabile beneficio.
Ma con questo, eccoci molto lontani dai cavalli....
Silenzi e fragori
Timau, 15 settembre.
La guerra, in qualche luogo, è soprattutto silenzio.
Il silenzio di chi aspetta, si nasconde, osserva. Poi giunto il momento
dice una parola, l'unica efficace, e ritorna a tacere.
Il raro rombo della cannonata, che non falla, pare in qualche punto
non faccia se non incorniciare il silenzio immenso delle cime e delle
valli, sottolinearlo, farlo sentire più largo, più vasto, più sovrumano.
□□□
Giorni sono m'ero trovato — e subito mi parve di dimenticare il
come, il mezzo, il tempo, quasi ci fossi arrivato per incantesimo — in
una radura ondulata e verdissima, in mezzo a panorami fuggenti
d'abeti neri e di larici chiari, che si dilatavano a perdita d'occhio su
per le coste molli fin verso le cime aspre sconfinanti entro i fumi
errabondi del cielo. La radura era il centro di un silenzio infinito,
d'una perfetta solitudine d'uomini e di cose umane. Verso il nord i
monti imbruniti s'allontanavano, s'incanalavano fuggendo entro un
imbocco in cui si precipitava la nebbia fumante su dai prati e dai
boschi più alti: e fuori dal mondo della nebbia rompeva il mondo
delle cime acute e frastagliate, come diviso in due cortine
concentriche, una più vicina e più bassa, una più lontana e
maggiore.
L'una era il vecchio confine, la cui occupazione costò la fatica d'una
conquista; l'altra era il nuovo, ove ci stiamo aggrappando a pietra a
pietra. E quella fuga di nebbia che s'incanalava nel passo aperto tra i
monti, conduce verso la valle di Sexten, ove la lotta di difesa e di
offesa è aspra come forse in pochi altri punti del fronte.
Siamo a Col Caradies, in faccia al
Comelico, a dominio della Val
Padola, la terza, con Val di Boite
e Val d'Ansiei, delle vie di
passaggio dall'Italia alla Drava.
Siamo in faccia all'epopea, i cui
canti più alti si chiamano Sexten
Seikofel Oberbacher, Croda
Rossa. Ma nulla all'intorno
sembra parlare di guerra. Ove le
cime son libere dalla nebbia e
dalle nubi, in qualche stria più
regolare l'occhio esercitato
riconosce una trincea, qualche
strappo più chiaro nella roccia è il
segno visibile lasciato dalle
nostre granate. Dagli ultimi lembi del verde che tenta di arrampicarsi
verso le rupi, vediamo uscire i cocuzzoli delle ultime tende d'un
accampamento.
Ma son segni minimi e muti. Potrebbero essere i ruderi d'una guerra
finita da anni. Sappiamo che attorno a noi le cime ci guardano dagli
osservatorii, che nei prati dove passiamo caddero ancor ieri i colpi
dei forti di cui quelle cime misteriose sono animate. Lo sappiamo,
senza sentirlo: qui ci avvolge, c'incombe, ci stringe paurosamente
quello che della guerra è il senso più strano, più angoscioso: il suo
silenzio, il suo mistero, il suo perenne atteggiamento d'invisibile
agguato. Silenzio e solitudine: non un uomo, non una casa, non
un'arme, non una voce. Il verde senza pace e la discesa calma delle
nuvole che ora vengono riassorbendo anche quei segni sperduti di
guerra; la voce della montagna, compendio di silenzi lontani; la voce
del verde, fatta di un avvolgimento morbido di tutti i sensi, di tutto
l'essere, che sembra a ogni poco smarrirsi nello sgomento di quella
grigia infinità, segnata a ogni poco da un colpo di cannone sperduto,
rombi anch'essi silenziosi, senza scoppio, senza principio, come code
di comete già spente: e la nebbia crescendo li assorbe, li dissolve nel
grigio, che ora pesa su noi, su tutto il mondo, divinità diffusa e
maligna, piena di mute minacce, di gelo, di paura.
Il vecchio e il nuovo confine sono scomparsi: non c'è più traccia di
Roteck, di Cima Vallone, di Cima Vanscuro, di Quaternà. Sola riesce a
fendere il grigio la punta del Monte Cavallino, ove la guerra è ogni
giorno più viva.
□□□
Monte Cavallino, segnando il confine del versante settentrionale di
Val Padola, divide nettamente il Cadore orientale dal Cadore
settentrionale. Da Monte Cavallino il confine scende con una leggiera
inclinazione fino al Volaia, e in tutto quel tratto la guerra è, da tutt'e
due le parti, non altro che un'attesa difensiva. Tuttavia pochi giorni
sono potemmo occupare il massiccio di Monte Chiadenis e di Monte
Avanza tra Val di Sesis (affluente del Piave) e Rio di Fleons (affluente
del Degano), nella zona del Paralba, ove il confine tra il Cadore e la
Carnia raggiunge la frontiera austriaca.
Ma al Volaia comincia uno dei settori di maggiore interesse; ed è il
tratto compreso tra le testate di Val Degano e di Val But. Volaia, Pal
Piccolo, Freikofel, Pal Grande: nomi già gloriosi nella breve storia
della nostra guerra. Di là da quella linea s'apre, verso l'austriaca
Zeglia, Val Valentina, il cui passo fu conquistato il 13 giugno con una
difficile operazione “poichè il nemico — diceva il comunicato relativo
— dovette essere snidato di trincea in trincea e inseguito di balza in
balza”. E lasciò nelle nostre mani armi, munizioni, bombe e
prigionieri. Il giorno avanti, press'a poco nelle stesse condizioni, era
stato preso il passo di Volaia; mentre fin dalla prima notte di guerra i
nostri s'erano solidamente assicurati dei passi di Giramondo e di
Vall'Inferno e della testata di Val Degano con un assalto alla
baionetta, occupazioni che
permisero il fiancheggiamento da
occidente del passo di Monte
Croce Carnico.
La lotta durò più giorni e fu
conclusa il 30 di maggio. In quel
giorno un battaglione e mezzo di
austriaci con mitragliatrici attaccò
i nostri alpini presso il passo; gli
attacchi furono cinque,
consecutivi, tutti respinti dai
nostri, i quali allora presero a
volta loro l'offensiva, sotto la
pioggia violenta e tra la nebbia
fitta, e con leggerissime perdite,
e facendo duecento prigionieri,
ricacciarono definitivamente il nemico. Con la quale occupazione fu
chiusa all'Austria una delle più pericolose vie d'invasione verso la
regione veneta. Da questo passo il nemico avrebbe potuto scendere,
sia per Rio Collina e il canale di San Pietro (But), sia per il Degano,
fino al Tagliamento sopra Tolmezzo, prendendo così di fianco le
nostre difese che avrebbero dovuto scaglionarsi lungo il Tagliamento
stesso invece d'essere impiegate sull'Isonzo. Alla perdita di quel
passo gli austriaci non riuscirono mai a rassegnarsi; tentarono più
volte di riprenderlo, e sempre inutilmente: il 30 maggio; il 3 e il 4 di
giugno, in cui persero una batteria; il 14 tentando di irrompere
contro la dorsale del Monte Avostanis, che domina il passo da est,
con una violenta azione di artiglieria prima, poi con un attacco
diretto che noi respingemmo alla baionetta volgendo in fuga i
nemici. Dopo quindici giorni, il primo di luglio, il vano tentativo fu
rinnovato di notte, con l'aiuto di razzi e riflettori e col lancio di gaz
asfissianti.
□□□
Il passo di Monte Croce Carnico è
attorniato e guardato, a ovest dal
Pizzo Collina nostro, e dallo
Zellenkofel del quale ora è nostra
una cima; a sud dal Tierz,
nostro; a est dal Pal Grande dal
Freikofel e dal Pal Piccolo. La
situazione di queste tre cime
rispetto al passo, spiega il
frequente ricorrere dei loro nomi
nella cronistoria della nostra
guerra. Sulle tre cime passa il
nostro confine, ma qualche ora
avanti la guerra gli austriaci
s'erano di esse cime
impossessati. Noi
riconquistammo il Freikofel ai
primi di giugno con una lotta di
circa dieci giorni, nei quali oltre il
possesso della situazione
guadagnammo centinaia di prigionieri: altre centinaia di austriaci vi
rimasero morti. Allora il nemico si volse contro Pal Piccolo e Pal
Grande (che fiancheggiano il Freikofel ai due lati) circa al 15 di
giugno; il 18 e il 20 rinnovarono l'attacco contro il Freikofel
direttamente, per volgerlo, il 22, contro la Cresta Verde, tra il Pizzo
Collina e lo Zellenkofel; ritentarono i due giorni seguenti contro Pal
Grande e Pal Piccolo: sempre respinti con gravi perdite. Ad
assicurare meglio la nostra situazione noi occupammo, il 25, la cima
dello Zellenkofel, mentre essi ritentavano quella del Freikofel. Il 26 il
nemico tentò di riprendere lo Zellenkofel. Il 27 con artiglieria da
montagna, faticosamente trasportata su di un'alta vetta,
distruggemmo un accampamento che i nemici avevano stabilito sul
rovescio di Pal Piccolo; il 28 essi cannoneggiarono Cima Zellenkofel;
il primo di luglio tentarono attacchi notturni contro Pal Piccolo;
sempre inutilmente: a ogni attacco che respingevamo, la nostra
situazione nelle posizioni occupate si faceva più forte. Con quasi
punte perdite da parte nostra, continuammo a logorare il nemico,
che a ognuno dei vani e rabbiosi tentativi lasciava nelle nostre mani
uomini e munizioni. E ogni volta allargavamo fruttuosamente la
nostra occupazione; così il 1º di luglio un nostro reparto alpino
conquistò un trinceramento nemico nel versante settentrionale del
Pal Grande, trinceramento che molestava continuamente il nostro
possesso del Freikofel. Anche questa trincea fu oggetto di attacco, le
notti del 3 e del 4, da parte del nemico che voleva riprenderla. Altre
trincee verso Val d'Anger occupammo l'11 e il 12 di luglio. I tentativi
contro le tre cime divennero abituali. Nei giorni nei quali non
eravamo impegnati a respingerle, continuavamo a disperdere, con
tiri di artiglieria, i lavoratori incaricati di munire d'opere d'approccio
le pendici austriache verso il Freikofel.
La menzione di simili attacchi inutili potrebbe continuare: nè è detto
che essi siano per cessare.
Volendo riassumere la storia della guerra in questo settore,
potremmo dividerla in due periodi. Nel primo, dal 24 di maggio fin
verso la metà di giugno, tenemmo un'azione difensiva contro i
tentativi disperati d'attacco che il nemico operava, sempre con forze
preponderanti, e preceduti da intense preparazioni d'artiglieria che
talvolta durarono fino a tre giorni su tutto il ciglio, a raffiche di otto,
di dodici colpi contemporanei. Periodo nel quale si rivelò nei nostri
una delle doti più preziose e più rare del soldato nella guerra
moderna, cioè la resistenza all'artiglieria. Portavano indietro i morti e
riprendevano la posizione, impassibili. Nel secondo periodo, da
mezzo il giugno in poi, stabilitici incrollabilmente, ci permettemmo
azioni offensive, piccole incursioni. Ora che il passo di Monte Croce e
la testata del But — cioè il più pericoloso collegamento stradale tra
Val di Zeglia e Val Tagliamento — è solidamente nelle nostre mani, le
nostre truppe vanno lentamente e irresistibilmente allargando le loro
posizioni verso tutta la valle dell'Anger, sede principale delle offese
dell'artiglieria austriaca verso questa regione.
La valle dell'Anger è un vero campo trincerato, sistemato
maravigliosamente, prodigiosamente armato da batterie multiple,
d'ogni natura: mortai, obici, cannoni, mobili e fissi, da montagna e
da campagna, di tutti i calibri, di tutte le portate.
Quante voci ha la valle austriaca dell'Anger, quando scatena la sua
sinfonia!
□□□
Perchè non sempre e non in ogni luogo la guerra è soprattutto
silenzio.
Ma anche allora non appare come disordinato frastuono d'inferno:
ma è una riquadrata, ben organata sinfonia, in cui distingui le voci e
gli strumenti, segui i temi melodici e lo svilupparsi delle armonie. È
una magnifica musica, piena di varietà, di solidità, di ordine e di
esaltazione.
Un lontano rullo di echi sonori che per venti gole arriva fino alla
vallata, ci invita ad avvicinarci. Montiamo per un poco, poi non basta
montare, bisogna arrampicarsi. La strada s'è fatta mulattiera, e
questa sentiero. E di mano in mano l'eco lontana è divenuta un
preciso suono di rombi, isocrono, nitido. Le valli lo ripetono con
armonie semplici. L'alba si fa giorno, la strada si fa ardua: e col
crescer della luce e col ripire del cammino anche quel suono diviene
più intenso e più rapido. Ora un rullo segue l'altro, ininterrottamente:
sono tre rulli, tre note diverse prolungate dagli echi dei monti, e
s'innestano su tre scoppi, uno più grave, due più acuti; e vengono di
là dalle cime, da una lontananza ancor vaga dove la ripidità della
costa sul nostro capo si perde tra l'infoscare degli abeti. Al di sopra
un breve tratto di cielo candido e bianco senza una nube, rischiarato
da un sole ancora invisibile. Siamo già tutti avvolti e come fasciati
dai rombi.
Ed ecco, d'un tratto, mentre il mulo s'è fermato qualche minuto a
riposare in una svolta dell'asprissima strada a scaglioni che ci
conduce, — ecco, d'un tratto, l'eco dei tre rombi è percorsa sopra la
mia testa da un sibilo acuto, trillato, rapidissimo, punteggiato da due
scoppi secchi: una granata; e subito dopo, quasi a risposta contro il
sibilo, traversa tutta la gola la nota meno alta d'uno shrapnell, con
altri due scoppi secchi.
Da allora lo scoppio dello shrapnell e quello della granata non si
distinguono più; si distinguono i due canti: il trivellìo aspro e acuto di
questa, il fluire meno acuto e quasi flautato di quello. Gli schianti
ininterrotti sono come note d'un accompagnamento sempre più
rapido: il boato dei cannoni più lontani fa come una larga armonia
continua su cui si appoggia il movimento accelerato degli scoppi e
dei sibili, che ora fendono tutta l'aria intorno, incrociando in venti
direzioni le loro linee diritte come lame.
E il mulo sale, faticosamente, un passo dietro l'altro, uno scaglione
dopo l'altro, e giungiamo a uno spazio ove la gola apre una veduta
abbastanza larga sull'altra costa. Ivi, proprio sulla cima, piomba lo
scoppio dei sibili e rompe dalla roccia il pennacchio nero e violento
della granata che penetra ed esplode; e a mezz'aria, nella luce
diafana del mattino già alto, sbocciano le nebulette degli shrapnell,
azzurre col lembo rosa, verginali, e si dilatano, e i raggi obliqui del
sole le dissolvono. Altre sono grige come di perla, altre candidissime;
mettono una nota strana d'ingenuità di contro a quei maligni sputi
neri che saltano dalle rocce, in mezzo al fervore crescente dei rombi,
al lacerìo sempre più intenso dei sibili, al moltiplicarsi violento degli
scoppi.
E noi montiamo; e lo specchio del cielo si fa più ampio e più fulgido
sopra il nostro capo.
Ma in quello specchio appare un punto nero lontano, e s'avvicina ed
ingrossa, e poi si fa chiaro, e prende forma, e mette l'ali, due ali
morbide e svelte di libellula. Un grido si leva da tutte le bocche:
— L'areoplano! —
È un monoplano nemico, alto sulle montagne e sulle valli, bellissimo:
color di rosa, venato lievemente d'azzurro.
Da tutte le rocce, da tutti i boschi, da tutte le cime attorno, che
parevano mute e deserte, si leva un fitto e continuo crepitìo di
fucileria. L'areoplano non se ne accorge, avanza ancora, pieno di
maestà e di grazia, fa una volata larga nel cielo, volge a destra e
scompare.
Non ha lanciato le bombe che aspettavamo. Forse ha fatto un
segnale? Noi procediamo: ma pochi minuti dopo, improvvisamente,
la sinfonia, che non ha cessato un momento, raddoppia d'intensità,
si fa vicinissima, moltiplica le sue voci.
Le granate non esplodono più nella costa di contro, ma in cima a
questa su cui stiamo procedendo sempre più adagio. La cresta
scoppia di tratto in tratto e lancia giù una gragnuola di sassi sulle
nostre spalle, le pietre più grosse vengono a balzare tra le zampe dei
muli che si spaventano, anche la strada davanti e dietro noi lancia
sputi neri di terra e di roccia. La strada risponde col gemito lungo e
bislacco dei muli imbizzarriti alle voci dell'aria e delle cime: e gemiti,
schianti, miagolii, boati, scoppi, sibili, rombi, bussi, ululati, strappi,
srotolar di nastri d'acciaio per l'aria, s'intricano in un crescendo
maraviglioso d'armonia, incalzanti inebrianti frustanti: una gamma
enorme di suoni che gli echi delle montagne riescono a fondere e
lanciare come una voce sola contro il cielo già tutto invaso dal sole.
Smontiamo e ci arrampichiamo, quanto più rapidamente è possibile,
su per un canalone di ghiaia, per ripararci nel solo luogo sicuro: una
trincea.
Welcome to our website – the perfect destination for book lovers and
knowledge seekers. We believe that every book holds a new world,
offering opportunities for learning, discovery, and personal growth.
That’s why we are dedicated to bringing you a diverse collection of
books, ranging from classic literature and specialized publications to
self-development guides and children's books.
ebookbell.com