PIA CAROLLA
NON DETERIORES
COPISTI E FILIGRANE DI ALCUNI MANOSCRITTI
DEGLI EXCERPTA DE LEGATIONIBUS
1. La tradizione del testo e una nuova ipotesi
Durante la collazione degli Excerpta Constantiniana de legationibus
(EL)1, di cui mi sto occupando per una nuova edizione critica del testo di
Prisco di Panio2, ho dovuto misurarmi con una produzione di copie in
serie, molto ravvicinate tra loro: una tradizione povera, risalente ad un
unico modello medievale perito nell’incendio dell’Escorial del 1671, ed
oggi ridotta a una quindicina di manoscritti, tutti cinquecenteschi, sparsi
per l’Europa.
I codici arrivati fino a noi risalgono, in ultima analisi, allo Scorialense
B.I.43, manoscritto medievale4 un tempo posseduto da Juan Paez de
1 Il titolo De legationibus è ormai affermato sebbene, a rigore, i manoscritti presentino
la dicitura Perä prevsbewn, da tradursi piuttosto con De legatis. I manoscritti ad oggi conser-
vati: Milano, Biblioteca Ambrosiana, N 135 sup. (A), sottoscritto da Darmario all’Escorial il
24/8/1574; Cambridge, Trinity College, O.3.23 (C); Bruxelles, Bibliothèque Royale, 11301-16
(B1) e 11317-21 (B2); El Escorial, R.III.14, sottoscritto il 27/6/1574 a Madrid da Darmario
(E1); R.III.21 (E2); R.III.13 (E3); München, Staatsbibliothek Bayern, graeci 185 e 267 (M1-
2); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticani Palatini greci 411, 410, 412,
413 (P1-4); copie parziali: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano gre-
co 1418 (V); Napoli, Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele III”, III.B.15 (N);
Paris, Bibliothèque Nationale, graecus 2463; Bruxelles, Bibliothèque Royale 8761; Milano,
Biblioteca Ambrosiana, G 72 inf.
2 Di prossima pubblicazione nella Bibliotheca Scriptorum Graecorum Teubneriana. Mi è
grato ricordare come maestro Fritz Bornmann che, pur desiderando dedicarsi ad una
nuova edizione del testo priscano, dopo quella da lui compiuta nel 1979 (Prisci Panitae
Fragmenta, a cura di F. BORNMANN, Firenze 1979), non ne ha mai avuto il tempo. Della sua
morte ricorreva l’anno scorso il decimo anniversario. Spero che il mio lavoro non sia trop-
po inferiore alle sue aspirazioni.
3 Il codice è più noto con la segnatura Q.I.4, in vigore tra il 1613 e l’incendio del 1671;
cfr. G. DE ANDRÉS, Catálogo de lo Códices Griegos Desaparecidos de la Real Biblioteca de El
Escorial, El Escorial 1968, p. 43, nt. 77.
4 Il codice fu trovato a Messina, nel convento di S. Salvatore, e fu procurato a Paez de
Castro da Jeronimo Zurita intorno al 1556. Che si tratti di un codice di X-XII secolo, come
voleva CH. GRAUX, Essai sur les origines du fonds grec de l’Escurial, Paris 1880, p. 93, risulta
Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XV, Città del Vaticano 2008, pp. 129-170.
130 PIA CAROLLA
Castro e, dopo la sua morte, avvenuta nel 1570, entrato nella biblioteca
dell’Escorial5. Nel 1573, Filippo II esaudì la richiesta di Antonio Agustín,
vescovo ed umanista insigne6, dando licenza di copiare il codex antiquis-
simus di Paez (p)7. Dell’opera fu incaricato Andrea Darmario, il quale
trascrisse il codice nel 1574 su commissione di Agustín e di seguito più
volte, personalmente o tramite i suoi aiuti8. Infatti, tutte le copie di cui si
ancora indimostrato, sebbene J. A. OCHOA, La transmisión de la Historia de Eunapio, Ma-
drid 1990 (Erytheia. Estudios y Textos 1), p. 70, porti indizi convincenti in tale direzione.
Pare che Paez ne fosse estremamente geloso, cosicché i testi in esso contenuti rimasero
ignoti fino al 1574, quando Agustín ottenne direttamente da Filippo II il permesso speciale
di farlo copiare. In ogni caso, ritengo molto improbabile che si trattasse di copia del X seco-
lo vicina agli originali degli EL, a differenza dei testimoni conservatici degli Excerpta de Vir-
tutibus et Vitiis (EV) e de Sententiis (ES), dal momento che l’Escorialense presentava già
evidenti lacune almeno tra la sezione di Giovanni Antiocheno, bruscamente interrotta in
mezzo ad un excerptum, e quella di Dionigi di Alicarnasso, acefala ed anepigrafa. Per l’attri-
buzione dei codici di EV ed ES al X secolo, si vedano J. IRIGOIN, Pour une étude des centres
de copie byzantins (suite), in Scriptorium 13 (1959), pp. 177-209 (in particolare 177-181); ID.,
Les manuscrits d’historiens grecs et byzantins à 32 lignes, in V. TREU, Studia Codicologica,
Berlin 1977 (TU 124), pp. 237-245; per le corruttele riguardanti Dionigi, facilmente spiega-
bili con la perdita di un foglio o di un fascicolo nel modello da cui lo Scorialense fu copiato
ma non nello Scorialense stesso, cfr. S. PITTIA, Pour un nouveau classement des fragments
historiques de Denys d’Halicarnasse (Antiquités Romaines, Livres 14-20), in Fragments d’His-
toriens grecs. Autour de Denys d’Halicarnasse, sous la direction de S. PITTIA, Rome 2002, pp.
85-227 (soprattutto le pp. 92-98).
5 Per l’eredità di Paez de Castro, cfr. CH. GRAUX, Essai sur les origines du fonds grec de
l’Escurial, Paris 1880, pp. 92-99.
6 All’epoca vescovo di Lérida, nel 1576 fu nominato vescovo di Tarragona e vi rimase
fino alla morte, nel 1586. Su di lui cfr. Antonio Agustín between Renaissance and Counter-
reform, edited by M. H. CRAWFORD, London 1993 (Warburg Institute Surveys and Texts
edited by J. KRAYE 24). Sulla sua biblioteca cfr. M. MAYER, Towards a History of the Library
of Antonio Agustín, in The Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 60 (1997), pp.
261-272.
7 Antonii Augustini archiepiscopi Tarraconensis Opera Omnia quae multa adhibita dili-
gentia colligi potuerunt, Lucae 1765-1774, VII, p. 46: lettera del 12 ottobre 1573 di Agustín a
Jeronimo Zurita.
8 Lo studio sistematico dell’ambito darmariano è ancora un desideratum della filologia e
codicologia greca, non solo per gli studi di argomento cinquecentesco, come risulta dal-
l’esempio degli EL. Dopo i magistrali contributi di O. KRESTEN, Statistische Methoden der
Kodikologie bei der Datierung von griechischen Handschriften der Spätrenaissance, in Römi-
sche historische Mitteilungen 14 (1972), pp. 23-63; ID., Die Handschriftenproduktion des An-
dreas Darmarios im Jahre 1564, in Jahrbuch der Österreichische Byzantinistik 24 (1974), pp.
147-193; Der Schreiber und Handschriftenhändler Andreas Darmarios. Eine biographische
Skizze, in Griechische Kodikologie und Textüberlieferung, Herausgegeben von D. HARLFIN-
GER, Darmstadt 1980, pp. 406-419 (grazie alla gentilezza del prof. Kresten ho potuto consul-
tare, purtroppo solo quando il presente articolo era già in bozze, anche la tesi dottorale
inedita, Der Schreiber Andreas Darmarios. Eine kodikologisch-paläographische Studie. Disser-
tation zur Erlangung des Doktorgrades an der Philosophischen Fakultät der Universität
NON DETERIORES 131
ha notizia sono di ambito darmariano e, per motivi paleografici e codi-
cologici, sono databili all’ultimo quarto del XVI secolo9. Su di esse deve
basarsi la ricostruzione del testo degli EL, dato che il modello medievale
è perito nell’incendio dell’Escorial nel 1671 insieme, a quanto pare, alla
copia darmariana posseduta da Agustín (a)10.
Nel 1999 Gregorio de Andrés ha rivisitato la questione, avanzando
una nuova ipotesi: che, cioè, la prima copia del testo sia stata tratta non
da Darmario nel 1574 all’Escorial, ma da Antonio Calosynas all’inizio del
1570, poco prima della morte di Paez, anzi proprio presso di lui, a Quer,
non distante da Alcalà de Henares11. Sotto la supervisione di Jeronimo
Zurita, Calosynas avrebbe fatto in tempo a confezionare solo una copia
parziale, l’odierno Vaticano greco 1418 (V)12, e avrebbe affidato a So-
phianos Melissenos il compito di realizzare un altro manoscritto in-
completo, il Napoletano III.B.15 (N)13. In seguito, dopo aver ottenuto la
copia completa di Darmario del 1574, Agustín decise di spedire V ed N a
Fulvio Orsini, che ne pubblicó l’editio princeps nel 158214.
Nell’ambito della sua ricca monografia sul copista, de Andrés ha
attribuito alla penna di Calosynas non pochi codici degli EL, oltre a V: il
Wien. Masch., Wien 1967), cfr. M. SOSOWER, A Forger revisited: Andreas Darmarios and
Beinecke 269, in Jahrbuch der Österreichische Byzantinistik 45 (1993), pp. 289-306; ID., Signa
officinarum chartariarum in codicibus graecis saeculo sexto decimo fabricatis in bibliothecis
Hispaniae, Amsterdam 2004; A. ESCOBAR CHICO, Codices Caesaraugustani Graeci. Catálogo
de los manuscritos griegos de la Biblioteca Capitular de la Seo (Zaragoza), Zaragoza 1993.
9 Solo lo Scorialense R.III.14 degli ELR e l’Ambrosiano N 135 sup. degli ELG sono da-
tati (al 1574, cfr. nt. 1).
10 Di quest’ultima, tuttavia, è molto probabile che si siano piuttosto perse le tracce, do-
po l’acquisto nel 1651 da parte di Mattia Palbitzki per conto di Cristina di Svezia. Per le
ipotesi connesse, cfr. infra il par. 8.
11 G. DE ANDRÉS, Helenistas del Renacimiento. El copista cretense Antonio Calosynas,
Toledo 1999; ID., El cretense Antonio Calosinás, primer copista del códice escurialense «De
legationibus», in Erytheia 11-12 (1990-1991), pp. 97-104.
12 Per la storia del manoscritto e l’antica unione di Vat. gr. 1418 e 1419 in un solo volu-
me, poi separato, cfr. F. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini. Contribution à l’his-
toire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris 1887, pp. 125; 187; per gli EL,
pp. 46-48; S. LILLA, I manoscritti Vaticani greci. Lineamenti di una storia del fondo, Città del
Vaticano 2004 (Studi e testi 415), p. 27.
13 Codices Graeci mss. Regiae Bibliothecae Borbonicae descripti, atque illustrati a Salva-
tore Cyrillo, Tomus II, Neapoli 1832, p. 317; per la descrizione completa del codice, si ri-
manda al Catalogo della Biblioteca Farnese, curato da Maria Rosa Formentin, di prossima
pubblicazione.
14 *Ek t§n Polubæou to™ megalopolætou ejklogaä perä t§n prevsbewn. Ex libris Polybii mega-
lopolitani selecta de legationibus; et alia quae sequenti pagina indicantur: nunc primùm in lu-
cem edita. Ex bibliotheca Fului Ursini, Antuerpiae 1582.
132 PIA CAROLLA
Bruxellense 11301-16 (B1), il Bruxellense 8761 e la maggior parte del
Palatino greco 411 (P1)15.
L’ipotesi è da prendere in seria considerazione, sia per i risvolti sullo
stemma codicum, sia per una più completa comprensione dei rapporti di
lavoro tra Darmario e i suoi collaboratori. Infatti, se V ed N sono stati
scritti nel 1570, per la parte di testo che contengono sono testimoni pre-
ziosi in quanto copie dirette di p. Inoltre de Andrés attribuisce la produ-
zione di B ad un accordo preciso tra Calosynas e Darmario, al quale si
deve il tomo gemello di B1, ovvero il Bruxellense 11317-21 (B2), ancor-
ché non firmato16; per N, poi, Calosynas si sarebbe avvalso a sua volta
della collaborazione di Sophianos Melissenos che, tra l’altro, ha realiz-
zato la copia di Cambridge, Trinity College O.3.23 (James n. 1195) (C)17.
L’edizione critica di riferimento degli EL è tuttora quella di Carl de
Boor del 1903, divisa in due parti: Excerpta de legationibus Romanorum
ad Gentes (ELR) ed Excerpta de legationibus Gentium ad Romanos
(ELG); per quest’ultima sezione egli eliminava tutti i manoscritti come
apografi dell’Ambrosiano N 135 sup. (A), mentre tracciava uno stemma
bipartito per le copie degli ELR: da un lato gli Scorialensi R.III.14(E1)18
15 Ovvero i ff. 6r-23v; 25r-224r; ma non gli ultimi due fascicoli, ff. 233r-264v, che sono
evidentemente di una terza mano, rispetto al copista principale e ad Andrea Darmario che
verga i ff. 1-5; 24; 224v-233r; cfr. DE ANDRÉS, Helenistas cit., pp. 60-66; 146; 151; 152; 157,
dove il Palatino viene datato al 1588 ca., una data molto tarda; per B1 la data proposta è
1577 ca. OCHOA, Transmisión de la Historia de Eunapio cit., p. 72, per parte sua, sembra
confonderlo con il Palatino greco 410, poiché ne attribuisce a Darmario solo l’inscriptio, la
subscriptio (sic) ed i ff. 161-162r; d’altra parte Ochoa (pp. 72-73) corregge le imprecisioni di
Bornmann (Prisci Panitae Fragmenta cit.) e Cresci (MALCO DI FILADELFIA, Frammenti. Testo
critico, introduzione, traduzione e commentario a cura di L.R. CRESCI, Napoli 1982) al ri-
guardo dell’estensione testuale di P1.
16 Il Bruxellense 11317-21 contiene gli Excerpta de legationibus gentium ad Romanos
(ELG). Sebbene non sia firmato, la sua attribuzione a Darmario è sicura su base paleo-
grafica.
17 DE ANDRÉS, Helenistas cit., p. 63 nt. 190. Per Melissenos, collaboratore di Darmario e
di Nicola della Torre, cfr. RGK I 362; B. NOACK, Aristarch von Samos. Untersuchungen zur
Überlieferungsgeschichte der Schrift perä megeq§n kaä ajposthmavtwn hJlæou kaä selÞnh", Wiesba-
den 1992, tavola XXVII. Per C, cfr. M. RH. JAMES, The Western Manuscripts in the Library of
Trinity College, Cambridge. A descriptive Catalogue, III: Class O, Cambridge 1902, pp. 208-
209.
18 Indico tra parentesi le sigle da me attribuite ai manoscritti (cfr. supra, nt. 1); de Boor
si riferiva agli Scorialensi, in blocco, con E. Riguardo ad E1, si veda A. REVILLA, Catálogo de
los códices griegos de la Biblioteca de El Escorial, I, Madrid 1936, pp. 178-180. Per l’identifi-
cazione di questo manoscritto con la copia fatta da A. Darmario nel 1574 per Covarrubias,
oppure per Gomez de Castro, di cui Covarrubias acquistò i volumi già annotati a margine,
cfr. G. DE ANDRÉS, El helenismo del canonigo toledano Antonio de Covarrubias. Un capitulo
NON DETERIORES 133
e i ff. 1r-12v di R.III.21(E2) che completano la sezione, dall’altro il
Bruxellense 11301-1619(B1). Entrambe le parti, in realtà, presentano dei
problemi di fondo: oltre a fornire un apparato spesso impreciso20, de
Boor per gli ELR ignorava l’esistenza di C, mentre esso è fondamentale
perché indipendente da tutti gli altri, come dimostrato nel 1914 da
Mikhail N. Krasheninnikov21. Ma anche riguardo agli ELG, de Boor non
appariva completamente convinto del proprio stemma, risolvendosi a
malincuore a comprendere gli Orsiniani e lo Scorialense R.III.21 (E2) tra
le copie di A: essi potrebbero derivare dal modello medievale (p) diret-
tamente, oppure tramite la copia perduta di Agustín (a), la cui relazione
con A non si può definire. Così pure il rapporto tra P1-3, B2 ed M1, che
sono sicuramente copia di A secondo de Boor, non è chiaro nella sua
dimostrazione: l’editore definisce P1-3 come copia diretta e precoce di
A, B2 e M1 invece come copia indiretta, salvo poi aggiungere, in modo
quasi sfiduciato: «Doch sprechen manche Stellen für einen anderen
complicirteren Zusammenhang»22. Altrove egli stesso è cosciente di aver
del humanismo en Toledo en el s. XVI, in Hispania sacra 40 (1988), pp. 237-313, in par-
ticolare p. 265.
19 H. OMONT, Catalogue des manuscrits grecs de la Bibliothèque royale de Bruxelles et des
autres bibliothèques publiques de Belgique, in Revue de l’Instruction publique (supérieure et
moyenne) en Belgique 27-28 (1885), pp. 30-32.
20 Già Bornmann notava ben cinque errori di media per pagina, nella sezione di Prisco.
De Boor risentì della fretta impostagli dai tempi e dai mezzi limitati (cfr. BORNMANN, Prisci
Panitae Fragmenta cit., p. VIII); Krasheninnikov, che non gli perdonò mai di essere arrivato
prima di lui a pubblicare il testo, non perse occasione per segnalare le numerose sviste e
imprecisioni dell’apparato e del metodo: cfr. ad esempio Novaja rukopis izvleçenji Perä prev-
sbewn &Rwmaæwn pr’" ejqnikoý", in Vizantijskij Vremennik 21 (1914), pp. 45-170; il seguito in
Vizantijskoje Obozrienie 1 (1915), pp. 1-52. Per segnalazioni quantitativamente minori, ma
altrettanto gravi, cfr. F. IADEVAIA, Una nota sulla tradizione manoscritta degli Excerpta de
legationibus Romanorum ad gentes di Pietro Patrizio, in Problemi di civiltà 6 (1979), pp. 3-6.
21 Novaja rukopis cit., pp. 69-78. Sul filologo russo, vissuto dal 1865 al 1932, che inse-
gnò a Iuriev (l’odierna Tartu), nell’attuale Estonia, e nel 1918, dopo l’occupazione tedesca,
fu trasferito con l’intera Università a Voronezh, si vedano i recenti contributi per una bio-
grafia: S. A. POPOV, Michail Nikitich Krasheninnikov (1865-1932): Materiali k biografij, in
Filol. Zapiski 16 (2001), pp. 171-179; A. N. AKINSHIN-A. I. NEMIROVSKY, Michail Nikitich
Krasheninnikov — Istorik literaturi i pedagog, Vestnik VGU. Seriya Gumanitarnie Nauki 1
(2003), pp. 33-47. Come bizantinista, egli studiò a fondo la tradizione manoscritta di Pro-
copio (si veda l’edizione critica Procopii Caesariensis Anecdota quae dicuntur edidit MICHAEL
KRASCHENINNIKOV, Iurievi 1899; l’articolo sui Bella, K kritik teksta vtoroi tetradi &UpeVr t§n
polevmwn Prokopiya Kesaryskago, in Vizantijskij Vremennik 5, 1898) e degli EL, soprattutto per
la polemica contro de Boor (cfr. nota precedente). Tuttavia l’acredine lo portò spesso a di-
sperdersi in prolisse recriminazioni, senza arrivare ad una nuova edizione critica del testo.
22 C. DE BOOR, Zweiter Bericht über eine Studienreise nach Italien zum Zwecke hand-
schriftlicher Studien über byzantinische Chronisten, in Sitzungsberichte der königlich preussi-
134 PIA CAROLLA
addotto poche dimostrazioni e soprattutto non certe23. Il primo proble-
ma, chiaramente, è il metodo all’origine: si tratta di una produzione in
serie, per cui gli errori sono numerosi ma poligenetici, i separativi sono
scarsi e le varianti che migliorano il testo, spesso, sono solo congetture
del copista. Le difficoltà aumentano laddove si notano differenze stem-
matiche all’interno dello stesso manoscritto, tra un gruppo di fascicoli e
il resto. De Boor segnala almeno un caso del genere in N, in una sezione
di Arriano e Appiano, che presenta varianti in comune con il Palatino
411(P1) da cui, in genere, l’Orsiniano sembra indipendente; eppure l’edi-
tore prosegue sulla strada intrapresa, eliminando l’anomalia invece di
spiegarla. Ciò che ora interessa, comunque, è appunto il metodo critico:
come indagare più a fondo la questione, visto che la situazione di par-
tenza non è affatto lineare?
Per vagliare l’ipotesi di de Andrés e affrontare il nucleo della que-
stione, ho ritenuto necessario esaminare di persona le filigrane dei codi-
ci e le mani dei copisti; non ho ancora avuto da pentirmi di questa intui-
zione, poiché ne ho potuto ricavare utili conferme e preziose smentite
dello stemma codicum. Il presente contributo sintetizza una parte delle
ricerche, che sono tuttora in corso24.
schen Akademie der Wissenschaften, 1902, t. I, pp. 146-164 [d’ora in poi: DE BOOR, Sitzungs-
berichte]; in particolare p. 157.
23 «Thatsächlich wenig und nicht absolut beweiskräftig» (p. 159) a proposito della di-
mostrazione che E2 sia copia precoce di A, come P1-3 ma da esso indipendente; tra l’altro
gli esempi sono tratti solo dai primi 100 ff. Peraltro all’inizio dell’articolo (p. 146) de Boor
asserisce di fornire solo qualche traccia per lo stemma, riservandosi una trattazione più
ampia in seguito; al contrario, nella Praefatio all’edizione rimanda proprio a tale contributo
e decide di sintetizzare solo «quibus haec editio fundamentis nitatur» (Praef., p. VIII).
24 La mia profonda gratitudine a tanti che, in vario modo, stanno sostenendo e inco-
raggiando questo lavoro: anzitutto alla Biblioteca Apostolica Vaticana, nelle persone di sua
Em. il Card. Raffaele Farina, Bibliotecario della S. Romana Chiesa, del Prefetto Mons.
Cesare Pasini, del Vice Prefetto, Ambrogio Piazzoni, e del Direttore del Dipartimento Mano-
scritti, Paolo Vian, per avermi concesso di esaminare e riprodurre le filigrane e per aver
voluto ospitare il mio contributo in questa sede; il mio pensiero riconoscente va anche a
Fabrizio Conca, che con la sua umanità e competenza ha dato solidità e metodo alle mie
ricerche; ringrazio inoltre per il paziente ascolto e per le preziose consulenze Paul Canart,
Otto Kresten, Sever J. Voicu, Nigel Wilson, Claudio Leonardi, Maria Jagoda Luzzatto,
Augusto Guida, Michiel Verweij, Lucia Castaldi, Elena Giannarelli, Stefano Martinelli
Tempesta, Kristine Haugen, Pierre Augustin. Naturalmente è tutta mia la responsabilità
degli errori, che spero di aver limitato il più possibile.
NON DETERIORES 135
2. Gli Orsiniani V e N e la loro origine
Per quanto riguarda V, non sarà inutile fornire un elenco del conte-
nuto, in assenza di un catalogo completo25:
1) ff. 1r-79v [pp. 1-15826]: ELG Polyb. 1-28 (pp. 229-273, 2 de Boor);
f. s.n. [pp. 159-160]: vuoto, ultimo del fascicolo 427.
2) ff. 80(sic)r-82v[pp. 161-166]: ELR, Proemio;
ff. 82v-83r [pp. 166-167]: ELR, Pinax;
ff. 83v-86r [pp. 168-173]: ELR, Petr. Patr.;
ff. 86v-89v [pp. 174-180]: ELR, Georg. Mon.;
f. 90r [p. 181]: ELR, Ioh. Ant.;
ff. 90r-112v [pp. 181-226]: ELR, Dion. Hal. «addita Fulvii Ursini colla-
tione cum Livio»28;
ff. 113r-198r [pp. 227-407]: ELR, Polyb. «addita ejusdem Fulvii Ursini
collatione cum Dionysio Halicarnasseo ac Livio»
ff. 198r-210v [pp. 407-432]: ELR, Appian.
ff. 211r-220r [pp. 433-451]: ELR, Zosim.
ff. 220r-223r [pp. 451-457]: ELR, Joseph.
ff. 223r-224r [pp. 457-459]: ELR, Diod.
ff. 224r-238r [pp. 459-487]: ELR, Cass. D., «addita Fulvii Ursini colla-
tione cum Livio»
ff. 238r-239r [pp. 487-489]: ELR, Arrian.
f. 239v: bianco;
2 ff. di guardia posteriori, moderni.
Ciò significa che V è composto da due unità originarie29: i primi
quattro fascicoli odierni erano, in realtà, copia dell’inizio degli ELG e
25 Per questa parte dei Vaticani greci bisogna ancora ricorrere all’inventario Amati (Vat.
gr. 2664: Inventarium codicum Vaticanorum Graecorum 993-2160; facsimile in sala Cons.
Mss., tomo II, 323 rosso). LILLA, Storia dei Vaticani greci cit., pp. 26-28.
26 Anche V ha due numerazioni: quella moderna, a matita, al centro del margine supe-
riore nel recto, procede per carte; quella antica, ma forse non coeva, nell’angolo superiore
esterno sia del recto sia del verso, per pagine. Inoltre, nella sezione degli ELR e cioè a par-
tire da p. 181, c’è una numerazione per pagine, coeva, forse orsiniana, costantemente barra-
ta da altra mano con inchiostro diverso, nell’angolo superiore esterno del recto.
27 Tutti i fascicoli hanno 20 ff., secondo le preferenze di Darmario dalla metà del 1572
all’inizio del 1575 (KRESTEN, Statistische Methoden cit., pp. 45-47); A. ESCOBAR CHICO, Codi-
ces Caesaraugustani cit., pp. 41-42.
28 La distinzione dell’incipit di Dionigi di Alicarnasso è stata compiuta da Fulvio Orsini,
non dal copista. Sulla tradizione di Dionigi negli EL, cfr. la raccolta Fragments des Histo-
riens cit., passim.
136 PIA CAROLLA
corrispondono, anche se non esattamente, all’estensione del testo di A
nei corrispettivi fascc. 1-4; la seconda parte è l’inizio degli ELR, dal
Proemio ad Arriano, secondo l’ordine del modello medievale (pp. 1-90,6
de Boor). Infatti, poiché ad Orsini non interessavano gli autori tardoan-
tichi e bizantini, pur se inediti, V non comprende gli ultimi cinque autori
degli ELR, che iniziano dopo Arriano: Procopio, Prisco, Malco, Menan-
dro Protettore e Teofilatto Simocatta. Va notato, però, che si riportano
Pietro Patrizio, Giorgio Monaco, Giovanni Antiocheno e Zosimo,
nell’ordine originario; non così avviene in N, che dagli ELG copia solo i
classici.
Paul Canart ha già individuato che il copista di V è, in realtà, Sophia-
nos Melissenos, collaboratore di Darmario e di Nicola della Torre30, al
quale si devono dunque entrambi i codici utilizzati da Orsini per l’editio
princeps.
La grande somiglianza tra Melissenos e Darmario è evidente31, ma è
comunque possibile individuare una serie di tratti caratteristici del
primo, oltre a quelli segnalati dal Repertorium der griechischen Kopisten:
p con gli occhielli spesso sovrapposti in verticale32 (Tabella 1); q, quando
è chiuso, a punta verso il basso33; più raramente si riscontrano anche: u
con la parte destra appena accennata (simile a iota)34; ejp- con il tratto in-
feriore dell’epsilon chiuso ad occhiello35; ei in legatura con accento cir-
29 Cfr. supra, nt. 12.
30 Ringrazio vivamente monsignor Canart per avermi permesso di leggere le sue note
manoscritte di osservazioni al riguardo, ora in corso di pubblicazione. Per uno specimen
della scrittura di Melissenos in V, cfr. infra la Tav. I; per C, Tav. VA. Per la bibliografia sul
copista, in verità limitata, si veda il Repertorium der griechischen Kopisten (RGK), I 362, A,
pp. 182-183; B, p. 155 e tavola 362. Tra i codici sottoscritti da Melissenos, cfr. il Monacense
gr. 426, vergato a Padova e datato al 10 ottobre 1569; per un altro specimen, cfr. ad esempio
l’Ambrosiano C 263 inf., sottoscritto da lui al f. 68v, in B. NOACK, Aristarch von Samos cit.,
tavola XXVII.
31 Tra i moltissimi aspetti in comune con Darmario (e, più in generale, con le scritture
coeve), si vedano il tau “a gancio”, il sigma finale, la legatura rho-omicron, l’abbreviazione
epsilon-iota, il tratteggio sigma-tau, etc. Molto più raro il rho formato da due occhielli, uno
superiore ed uno inferiore, di uguale ampiezza: per Sophianos cfr. C f. 136r, 12; f. 138r, 6; f.
157r, 17; B1 f. 146r, 18; f. 151r, 11, etc. Per Darmario: Pal. gr. 413 (P4), f. 155r, 1, dove co-
munque i due occhielli non sono uguali, anzi quello inferiore è molto più ampio.
32 Frequentissimo, ad esempio cfr. infra, Tav. I, V f. 86r [p. 173], 1, 2, 6, etc.; per il di-
verso tratteggio di p in Darmario cfr. O. KRESTEN, Die Handschriftenproduktion des Andreas
Darmarios cit., p. 181 (e tavole, passim); ID., Statistische Methoden cit., p. 43.
33 V f. 86r [p. 173], 1, 8.
34 Ad esempio in C f. 147v, 4.
35 V f. 85v [p. 172], 12; f. 84r [p. 169], 10; etc.
NON DETERIORES 137
conflesso che sale molto sopra il rigo36; abbreviazione di -hn molto arro-
tondata37; d con tratto verticale basso (simile a sigma) in legatura38;
viceversa, sigma che si prolunga verso l’alto (simile a delta) in legatura39;
abbreviazione di -eý"40 con sigma finale stranamente simile a n.
Pertanto, il primo presupposto di de Andrés, ovvero che negli Orsi-
niani vi sia la mano di Calosynas, viene a cadere. Resta la questione della
datazione e, soprattutto, dell’eventuale direzione di Melissenos da parte
di Calosynas: è possibile anticiparla al 1570? Naturalmente, se una parte
dei manoscritti fosse vergata da Andrea Darmario, si potrebbe esclu-
derlo; ma non è così, trattandosi di copie interamente di Melissenos.
Ho esaminato di persona sia V sia N, nonostante che quest’ultimo sia
in precarie condizioni41, ed ho trovato un solo tipo di carta per ciascun
manoscritto: in entrambi i casi si tratta di filigrane inedite, del tipo
Homme (Briquet, Piccard), o meglio Pèlerin (Sosower), che è tanto co-
mune nei manoscritti coevi, non solo spagnoli42. Le due sono notevol-
mente diverse tra loro (Tavv. II43 e III), ma quella di N si ritrova, identi-
36 C f. 153r, rigo 14; etc.
37 Ibid., fine rigo 1. Inoltre C f. 35r, a fine rigo 1 thVn ejpiboulhVn t(hVn); f. 157v, a fine rigo 1
Õ thVn ajfaireqeÔsan Õ kaä a[ll(hn); f. 160r, a fine rigo 14 thVn to™ magæstrou ajrc(hVn). La medesima
forma, con curva molto più accentuata del solito (per una curva appena accennata cfr. E.
MAUNDE THOMPSON, An introduction to Greek and Latin Palaeography, Oxford 1912, pp. 268-
9, facsimile 81 [Odissea, anno 1479]) si trova comunemente in alcune edizioni a stampa, ad
esempio quella di Polibio di Casaubon del 1609 presso Jerôme Drouard. Non compare,
però, nell’elenco delle abbreviazioni aldine, cfr. D.L. DRISDALL, Abréviations et lettres li-
gaturées utilisées dans les imprimés grecs de la Renaissance, in Bibliothèque d’Humanisme et
Renaissance 51.2 (1989), pp. 393-403 [riproduzione della lista di Aldo dall’edizione di
Tübingen 1512 dei suoi Institutionum Grammaticarum libri quatuor].
38 V f. 86r [p. 173], 8 ajpedþqhsan.
39 Ibid., 11 (ultimo rigo) fulacqeæsh".
40 ¿ basileý" C f. 161v, a fine rigo 7; N f. 40v [p. 80], richiamo; 41r. [p. 81], 1 (dove il
copista stesso corregge con un sigma aperto sopra l’abbreviazione che per lui è consueta).
41 Sono estremamente grata alla direzione della Sala manoscritti della Biblioteca Na-
zionale di Napoli per avermi consentito di visionare il manoscritto, benché in attesa di re-
stauro; un ringraziamento particolare alla dottoressa Lucianelli per avermi assistito nella
delicata operazione di sfogliarne le carte ed esaminarne scrittura e filigrane.
42 Cfr. ad es. Piccard, Homme avec bâton, au cercle, 21423-21430; SOSOWER, Signa offi-
cinarum chartariarum cit., Pèlerin 1-31, pp. 395-410. Ma nessuno dei repertori ha una for-
ma davvero simile alle due di V ed N, né alle loro gemelle. Per le origini probabilmente spa-
gnole del tipo Pèlerin, cfr. ad esempio M. SICHERL, Parerga zu griechischen Kopisten der Re-
naissance, in Studi in onore di Aristide Colonna, Perugia 1982, pp. 265-281 (in particolare
pp. 279-280).
43 Nella filigrana di V si noti, in particolare, il gruppo di lettere GGA, non attestato nei
repertori di Briquet, Piccard e Harlfinger, con G tracciato «ad alambicco», ovvero con un
«fossile grafico» secondo le osservazioni di A. PETRUCCI, Figura e scrittura nelle filigrane, in
138 PIA CAROLLA
ca44, nel Palatino greco 411 (P1) ai ff. 5r-24v, ovvero solo nel primo fa-
scicolo di P1, proprio quella sezione che già de Boor segnalava per la
particolarità delle varianti: solamente qui, infatti, P1 presenta errori
congiuntivi con N, mentre di consueto i Palatini sono indipendenti dagli
Orsiniani e viceversa45. Ora, proprio questo fascicolo di P1 ha il primo e
l’ultimo foglio vergati da Darmario: dunque, è più che verosimile che
anche N sia di ambito darmariano.
La certezza, al riguardo, viene dalle lettere di Antonio Agustín: il 26
settembre 1574 egli informa Fulvio Orsini di aver ricevuto «già una gran
parte» degli excerpta, e che «si copia il resto tuttavia»; inoltre annuncia
che gli sta inviando «tutti li fragmenti, con certe mie postille in mar-
gine»46. Da queste parole, potremmo pensare che V ed N siano stati spe-
diti insieme, mentre ciò è sicuramente da escludere in base all’epistola
del 13 novembre dello stesso anno:
hora vi aviso, come ho in mano l’altra parte di detti fragmenti, la quale si co-
pia per la S.V. continuando certi quinterni mandatimi47, li quali io dissi, che
mi pareano fragmenti di Polibio, e la mia opinione fu vera verissima, secondo
che si trova alla fine di questi fragmenti. Io parlo di quelli che cominciano
kaqülon48 t† perä taV lavfura e finiscono diaV to˜" polemæou" prüteron.
Incipit ed explicit corrispondono perfettamente al testo degli ELG di
Polibio presenti in V ai ff. 1-79v (fascicoli 1-4)49; gioverà ripetere che
questi ultimi formano una unità a sé, rilegata in un secondo momento
insieme al resto, dal momento che al f. 79v gli ELG si interrompono a
Produzione e uso delle carte filigranate in Europa (secoli XIII-XIX), a cura di G. CASTAGNARI,
Fabriano 1996, pp. 123-131 (in particolare pp. 129-130).
44 Filigrana di N e P1 (Tav. IIIA): P1, ff. 8+21 = N, ff. 131+130 [pp. 262+259]. Gemella
(Tav. IIIB): P1, ff. 19+10 = N, ff. 133+128 [pp. 266+255].
45 DE BOOR, Sitzungsberichte, p. 160.
46 Augustini Opera Omnia cit., VII, p. 256.
47 Inutilmente de Boor propone qui di correggere «mandativi» (Sitzungsberichte, p.
152): Agustín lamenta di non aver ricevuto lettere da Orsini e non è sicuro che l’invio degli
EL sia andato a buon fine, per cui si riferisce ancora e solo alla propria copia.
48 Sic, sebbene V legga solo qülou come doveva essere nel mutilo B.I.4. Kaqülon dunque
sarà congettura di Agustín.
49 Imprecisa, al riguardo, la notizia di J.M. MOORE, The Manuscript Tradition of Poly-
bius, Cambridge 1965, pp. 143-145: V termina solo con la parola prüteron, non con prüteron
ejxe-, a f. 79v; in realtà il copista ha lasciato in bianco parte del secondo rigo stesso e tutto il
resto del foglio; a quanto sembra, poiché si nota chiaramente il cambio di mano e di in-
chiostro ed entrambi appaiono perfettamente compatibili con i marginalia, Orsini ha inte-
grato il testo con ciò che trovava in N (ejxecþrhsan: cæou" deV). Segue l’ultimo foglio del quarto
fascicolo, bianco e non numerato.
NON DETERIORES 139
metà di una frase, al f. 8050 seguono gli ELR e, soprattutto, la numera-
zione dei fascicoli ricomincia dal f. 80 in poi; per tali motivi, è certo che
Agustín abbia inviato solo V il 26 settembre, e che il 13 novembre N si
stesse ancora copiando, al momento in cui il vescovo di Lérida poteva
già leggere la seconda parte degli ELG di Polibio nella propria copia.
Infatti, N ricomincia laddove V si interrompe bruscamente: prüteron
ejxecþrhsan (Polyb. ELG 28, p. 273, 2 de Boor) e riporta tutto il resto
della sezione polibiana (fino al f. 154v[30851] = Polyb. ELG 119, p. 363,
31 de Boor).
Pertanto, non è possibile che Agustín fosse in possesso di V ed N
prima del 1574, se egli annuncia con tanta soddisfazione di aver scoper-
to la paternità polibiana dei primi excerpta solo il 13 novembre di quel-
l’anno. Al riguardo, va spiegato che p era acefalo e anepigrafo, per
perdita dei fascicoli iniziali, ed iniziava proprio con gli ELG di Polibio
(ff. 1-70 di p) cosicché l’odierno ELG 1 proviene dal XVIII libro dell’ope-
ra completa; l’indicazione dell’autore arriva solo con il tevlo" tÏ" èstoræa"
Polubæou, al termine dell’ELG 119; di qui l’esultanza di Agustín, a poste-
riori.
Inoltre, la filigrana di N e P1 mostra che anche gli Orsiniani sono di
ambito darmariano, come le altre copie pervenuteci. Infine, visto che il
manoscritto è databile, anche la filigrana inedita di V ha un punto di
riferimento cronologico (entro il 26 settembre del 1574); per N, tale rife-
rimento è di poco posteriore, perché nella lettera del 28 febbraio 1575
Agustín si rallegra che Orsini abbia finalmente risposto alle lettere «fatte
in Settembre & Novembre» e, riguardo agli EL, commenta:
Li fragmenti ho avuto caro saper che vi siano capitati, & con questa vi
mando il resto. Del stamparli, & tradurli, & farne arrosto, allesso, & in guaz-
zetto fate a modo vostro, che la cosa è per riuscire ad ogni modo bellissima,
pure in qualche parte del libro fate memoria di me, ancora che non sia nella
parte d’inanti del Clypeo di Minerva.
È molto probabile che quest’ultimo invio comprenda l’intero N (ELG
di Polibio, Diodoro, Cassio Dione, Arriano, Appiano), visto che nell’epi-
stola del 13 novembre il vescovo di Lérida precisava che la seconda parte
50 Secondo la numerazione a matita, che salta la carta precedente perché bianca; in
realtà quella successiva, di inizio fascicolo, dovrebbe essere l’ottantunesima.
51 Anche N, come V, ha due numerazioni: una per carta, moderna, a matita, nel margi-
ne inferiore del recto, e una per pagina, antica, coeva, verosimilmente di Orsini, nell’angolo
superiore esterno, a penna, sia sul recto sia sul verso.
140 PIA CAROLLA
di Polibio si stava ancora copiando e aggiungeva: «In altri fragmenti di
Appiano, & Dione si fa gran guadagno, li quali ancora vi mandarò»52.
Perciò la scrittura di N deve essere avvenuta alla fine del 1574 o al
massimo, ammettendo un ritardo nella copia, entro i primi due mesi del
1575. Viste le caratteristiche codicologiche, il manoscritto si inserisce
perfettamente nel gusto darmariano dell’epoca, fino all’inizio del 1575
(fascicoli di 20 fogli in-quarto minori, 13 righe per pagina, uso dei ri-
chiami, numerazione greca dei fascicoli, etc.53). Entrambi i codici sono
compatti nell’uso di un solo tipo di carta per tutti i fascicoli.
3. La struttura e le mani di P1
Ai fini della verifica dell’ipotesi de Andrés e proseguendo in ordine
cronologico di copia, per quanto possibile, dobbiamo occuparci ora di
P1. Esso contiene una parte degli ELG, precisamente quelli di Arriano,
Appiano, Malco, Prisco, Eunapio, Polibio; di quest’ultimo ha solo i primi
33 excerpta, ovvero va da una lacuna all’altra, poiché il n. 1 è acefalo,
mentre il 33 è mutilo alla fine. Per di più, il copista non dà alcuna indi-
cazione di autore all’inizio della sezione polibiana, al f. 174r, tanto che
Sylburg54 ha annotato qui nel margine superiore: «Sequentia ex Diodoro
vel Polybio videntur excerpta», indicazione poi barrata dal Mai che
aggiunge sul margine esterno «Ex Polybio lib. XVIII.17. A. Maius». Ep-
pure, nello stesso punto A e V inseriscono un titolo miniato, fuori dello
specchio di pagina, che esplicita l’appartenenza del testo agli ELG, se
non l’attribuzione allo storico di Megalopoli. P1, invece, non solo non
identifica l’inizio del testo, ma lo sposta al centro del tomo; è questa la
prima riorganizzazione del materiale copiato, che poi diverrà sistema-
52 Augustini Opera Omnia cit., VII, p. 257.
53 KRESTEN, Statistische Methoden cit., pp. 45-47.
54 Che la mano su P1 sia Sylburg [STEVENSON, Codices manuscripti Palatini Graeci,
Romae 1885 (Bibliothecae Apostolicae Vaticanae codices manu scripti recensiti iubente
Leone XIII Pont. Max.), p. 268] è certo nel confronto della caratteristica v, svasata e slancia-
ta verso sinistra e, al tempo stesso, tendente a chiudersi su se stessa con un tratto curvo
(Tabella 1), con l’autografo dello studioso tedesco nel Pal. lat. 429bis, f. 110r: egli acquista i
codici Palatini 410-413 da Giulio Pace nel 1591. Per le segnature dei Palatini, cfr. P.
CANART, Les cotes du manuscrit palatin de l’Anthologie, in Scriptorium 35 (1981), pp. 227-
240, in particolare p. 233: i Palatini greci degli EL, odierni 410, 411, 412, 413, avevano ri-
spettivamente la segnatura 438 D(1), 438 A(2), 438B(3), 438C(4) nell’inventario di Sylburg
redatto prima del trasporto a Roma; rispettivamente divennero i nrr. 181, 200, 201, 202
nella numerazione di Contelori, per poi tornare ai numeri di Sylburg nel 1641.
NON DETERIORES 141
tica nelle copie B2 ed M1 degli ELG, per evitare di iniziare il primo
volume con una lacuna.
Dobbiamo attribuire questa iniziativa a Calosynas? La presenza della
mano di Darmario ai ff. 1-4 (Pinax)55; ai ff. 5rv e 24rv; 224v-233r; 265r-
266r, dove egli indica la conclusione del secondo volume degli ELG,
indica chiaramente che il manoscritto è stato confezionato sotto le sue
direttive. Peraltro, vi sono ancora due mani diverse nel codice: una è
quella di Melissenos, che redige i ff. 6r-23r e 25r-224r, un’altra invece i ff.
233v-264v e, a quanto pare di seguito, quasi tutti i Palatini greci 410 (P2)
e 412 (P3), tranne sporadiche apparizioni di Darmario56.
La terza mano di P1, copista «agité», secondo la definizione di Paul
Canart57, rimane per ora anonima, ma non può essere Calosynas, sia per
la completa scioltezza della mano, sia per una serie di tratti caratteristi-
ci: è, invece, lo stesso ignoto collaboratore di Nicola della Torre che
verga la maggior parte dello Scorialense F.II.8, erroneamente identifica-
to con Giovanni Catelo58, pur essendo notevolmente più tardo. Oltre al-
l’impressione d’insieme della scrittura, molto veloce, corsiva, prevalen-
temente inclinata a destra ed estesa in lunghezza più che in larghezza,
sono assolutamente identici al nostro (Tabella 1): p minuscolo con la
parte inferiore formata da unico tratto curvo che, scendendo, salendo e
poi scendendo di nuovo, abbozza due occhielli ma spesso li lascia aperti,
limitandosi a restringerli59; p di forma maiuscola, con i due tratti
verticali che, invece di essere paralleli, sono divergenti ed hanno l’origine
55 Che egli stesso numera come primo fascicolo, salvo poi ricominciare da 1 per i
fascicoli successivi, secondo un uso non infrequente nella procedura di Darmario, cfr. O.
KRESTEN, Der Schreiber und Handschriftenhändler Andreas Darmarios cit., p. 119.
56 Darmario in P2: ff. 1rv; 161r-162v; in P3: ff. 1-2v.
57 Mi baso sulle note manoscritte per cui cfr. supra nt. 30.
58 G. DE ANDRÉS, Catálogo de los códices griegos de la Real Biblioteca de El Escorial, Ma-
drid 1936-1967, II, pp. 34-35 (attribuzione errata, dovuta all’interpretazione della sigla sul f.
153r). Visionando di persona il manoscritto ho potuto constatare che esso proviene indub-
biamente dall’ambito di Darmario (cui si devono almeno i titoli dei ff. 1r e 150r) ed è verga-
to principalmente dall’«agité», ma anche da un copista più inesperto (ff. 45-46r, 3) e da un
altro anonimo in stretta collaborazione con l’«agité» (ff. 51v-53, 6; 54r; 56r-v, 12; 60, 11 —
61v, 1; 66v, 16 — 67v, 6; 78v; 82v-83v; 121v-122r). Ancor oggi, lo Scorialense F.II.8 è attri-
buito a Giovanni Catelo nell’Album de copistas de manuscritos griegos en España, del
SEMGE (Seminario para el estudio de los manuscritos griegos en España), http://www.ucm.
es/ info/copistas/copista.html?num=17, dove sono pubblicati gli specimina dei ff. 1v e 153r.
Sul vero Giovanni Catelo, i cui manoscritti datati risalgono al 1542, cfr. RGK II 220; III 278;
chiarificatore il contributo di A. PALAU, Les copistes de Guillaume Pellicier, évêque de Mont-
pellier (1490-1567), in Scrittura e civiltà 10 (1986), pp. 205-207; Tableau III.
59 P1f. 233v, rr. 2, 3, 4, 6 et saepissime; F.II.8, f. 1v, rr. 1, 2, 6, 7 etc.
142 PIA CAROLLA
in comune (p molto stretto nella parte centrale)60; b con occhielli stretti,
specialmente quello superiore61; g minuscolo, fortemente inclinato a
destra e proteso alla lettera seguente62; t che sale molto sopra il rigo, a
forma di gancio, a volte arrotondato, altre volte a punta63; q a punta
verso l’alto, quando è chiuso64; s chiuso, di piccolo formato, che si lega
alla vocale seguente con un tratto perfettamente orizzontale65; x slan-
ciato, con le due curve appena accennate e molto vicine tra loro66; r, in
legatura con omicron, con la parte inferiore che scende poco sotto il rigo
e si piega a gomito verso la lettera successiva67; y con tratto curvo ben
poco accentuato68.
Si potrebbe continuare, ma forse sono sufficienti questi tratti caratte-
ristici. Naturalmente stiamo parlando di una scrittura che ama variare la
forma e la dimensione delle lettere: pertanto nessuna delle descrizioni
appena riportate risulta l’unico tipo del segno in questione. In comune,
però, vi è l’abitudine di appoggiare un attimo la penna prima di tracciare
la lettera, cosicché in vari casi si vede un piccolo ingrossamento all’inizio
di essa: ad esempio nel g minuscolo, nel k, a volte anche nel p69.
Per concludere, non è possibile individuare la mano di Calosynas in
P1, né nella prima sezione (ff. 6r-23v; 25r-224r), né nella seconda (ff.
233v-264v).
È invece interessante notare che nella prima si avvicendano diverse
filigrane: del primo fascicolo di Melissenos, ff. 5-24, abbiamo già parlato
a proposito dell’identità con N, ma dobbiamo segnalare ancora due fili-
grane inedite, simili tra loro, del tipo Sphère70, che ritroveremo rispetti-
60 P1f. 233v, rr. 1, 9, 11, 13; F.II.8, f. 1v, r. 1.
61 P1f. 233v, rr. 2, 11; F.II.8, f. 1v, rr. 2, 10.
62 P1f. 233v, r. 12; F.II.8, f. 1v, rr. 6, 12, 19.
63 Arrotondato: P1f. 233v, rr. 1, 10, 12; F.II.8, f. 1v, rr. 1, 2, 4, 5, 6, etc. A punta: P1f.
233v, rr. 1, 2, 3, 4, 6, et saepissime; F.II.8, f. 1v, rr. 3, 5, 6, 10, 11, 14.
64 P1f. 263r, rr. 1, 9, 12; F.II.8, f. 1v, rr. 2 e 9.
65 P1f. 263r, r. 11; Pal. gr. 410(P2), f. 151r, rr. 4, 7, 12; F.II.8, f. 1v, rr. 1, 13,16, 17.
66 P1f. 233v, r. 5; f. 263r, r. 11; P2, f. 151r, r. 9; F.II.8, f. 1v, r. 20.
67 P1f. 233v, r. 9; f. 263r, r. 2; P2, f. 151r, r. 6; ancora più ad angolo, in legatura con c
successivo, al rigo 12; F.II.8, f. 1v, r. 10; f. 153r, r. 5.
68 P1f. 233v, r. 12; F.II.8, f. 1v, r. 2.
69 Gamma: cfr. supra, ll. citt.; kappa: P1f. 233v, rr. 9, 12 (bis), 13; F.II.8, f. 1v, r. 4; pi:
F.II.8, f. 1v, rr. 8, 11, 16; f. 153r, r. 7.
70 Briquet nrr. 13995-14027, di cui però si notano sensibili differenze di forma dalle
nostre. Il tipo Sphère non è attestato nei codici esaminati da Sosower, nel suo repertorio,
né in quello di D. e J. HARLFINGER, Wasserzeichen aus griechischen Handschriften, 1-2, Ber-
lin 1974, 1980. Si tratta di carta francese, tipica di Angoulême e del Périgord, prodotta già
NON DETERIORES 143
vamente nei manoscritti C e B1 (Tavv. VIIA e VIIIA). Dal punto di vista
della tradizione, la seconda (Tav. VIIIA per l’occorrenza in B1, cui va
aggiunta la sua gemella71) si trova in P1 nella sezione di Appiano-Euna-
pio, ovvero nei fogli che riproducono l’ultima parte degli ELG nel model-
lo medievale (Tav. VIIIB); in B1 si trova almeno negli ultimi 3 fogli degli
ELR (259-261). La prima filigrana (Tav. VIIA riguardo alla presenza in
C), invece, si trova in P1 proprio nella sezione di Polibio, acefala ed
anepigrafa come p, ovvero nel corrispettivo dell’inizio del modello (Tav.
VIIB). L’indizio del cambio di filigrana, insieme alla riorganizzazione del
materiale, fa pensare che, vergando P1, Sophianos avesse avviato una
copia ordinata secondo il modello originario, verosimilmente basandosi
su A oppure su a, e che sia stato Darmario a confezionare un prodotto
diverso dalle premesse. Ciò conferma che P1, sebbene presenti la struttu-
ra del gruppo BM, appartiene alla prima serie di copie indirette di p.
Sarà interessante poi verificare se le diverse sezioni del manoscritto
hanno la stessa posizione nello stemma.
Per quanto riguarda la datazione del manoscritto e delle filigrane,
non possiamo arrivare a dati certi: da un lato l’uso di fascicoli da 20 fogli
nella parte di Melissenos, laddove il terzo copista usa costantemente 16
ff., rende evidente che la copia è stata formata da Darmario con mate-
riale eterogeneo, dall’altro abbiamo le 13 righe per pagina in tutti e tre i
tomi di P, il formato di P1 in-quarto minori, l’impiego di richiami
orizzontali, la filigrana del fascicolo 1 del 1574/5 circa. Darmario prefe-
risce i fascicoli da 16ff. tra inizio 1570 e fine 157172, data impossibile per
il nostro codice, quindi la scelta del copista anonimo potrebbe essere
indipendente da lui. D’altra parte per motivi codicologici, secondo il
criterio strettamente darmariano, anche P1 dovrebbe essere stato as-
semblato entro i primi mesi del 1575.
4. L’importanza di C per gli ELR e i cosiddetti Theodosii Parvi Excerpta
Le filigrane di P1 ci introducono al Cantabrigiense degli ELR, C. Es-
sendo perduti sia il codice di Paez (p) sia la copia di Agustín (a), è fon-
damentale la sua presenza, in quanto terzo testimone non descriptus.
Quando Krasheninnikov riscoprì il codice, riuscì ad ottenerlo in prestito
in grande quantità per l’esportazione nel periodo che ci interessa e in seguito, cfr. Briquet,
pp. 689-691.
71 Ad esempio P1 ff. 45-64; 49-60; 52-57 per la forma identica agli ultimi 3 fogli di B1
(ff. 259-261); per la gemella, cfr. P1 ff. 25-44, 28-41, 30-39, 32-37, 33-36; 46-63; etc.
72 KRESTEN, Statistische Methoden cit., pp. 45-46.
144 PIA CAROLLA
per oltre un mese e riversò poi i risultati dell’analisi in un lungo articolo
in russo, apparso in due parti nel 1914-1573; esso però rimase incom-
piuto, interrompendosi proprio con l’analisi dei primi fogli di Prisco e
dunque arrivando a coprire neanche metà del manoscritto. Dopo di lui,
non tutti gli editori degli storici contenuti negli ELR hanno tenuto conto
dell’esistenza del Cantabrigiense, poiché spesso si sono basati solo su de
Boor74.
A differenza degli altri testimoni degli EL, il codice in questione ci è
pervenuto isolato, ovvero privo di un tomo gemello con gli Excerpta de
legationibus Gentium ad Romanos (ELG)75. A quanto pare, anzi, esso era
già “spaiato” quando si trovava nella biblioteca di Jacques-Auguste de
Thou, lo storico francese cattolico tanto amico di Isaac Casaubon da
introdurlo, pur se calvinista, a Parigi alla corte di Enrico IV76. È lo stesso
Casaubon a menzionare per primo questo manoscritto nel 1609, nella
73 Novaja rukopis cit., in Vizantijskij Vremennik 21 (1914), pp. 45-170; il seguito in
Vizantijskoje Obozrienie 1 (1915), pp. 1-52.
74 Ne ha trattato Moore riguardo alla tradizione di Polibio, (The Manuscript tradition of
Polybius cit., pp. 153-154); il primo a collazionarlo per un’edizione critica è stato Fritz
Bornmann per la parte di Prisco, (Prisci Panitae Fragmenta cit.), seguito da Lia Raffaella
Cresci per Malco (MALCO DI FILADELFIA, Frammenti cit.). A tutt’oggi accade che l’esistenza
del manoscritto sfugga agli studiosi che prendono come riferimento il solo de Boor: si veda-
no ad esempio i contributi, peraltro accuratissimi, di S. PITTIA, M. CASEVITZ e B. FLUSIN
nella raccolta Fragments d’historiens grecs cit., pp. 85-227; 449-456; 537-559; o la pregevole
edizione di Giovanni d’Antiochia curata recentemente da Umberto Roberto (Ioannis
Antiocheni Fragmenta ex Historia chronica, Berlin 2005 [TU 154]).
75 Per la verità, la prima copia tratta da Darmario per Antonio Agustín dal modello
Escorialense medievale era in tre tomi, come è attestato dallo stesso Agustín nella sua Bi-
bliotheca Graeca Manuscripta; in effetti, la versione ambrosiana del Catalogo dei mano-
scritti dell’Escorial redatto da David Colville all’inizio del 1600 (Milano, Biblioteca Ambro-
siana, Q 114 sup.) segnala la presenza di una copia degli EL in tre tomi, con segnatura anti-
ca G.IV.1, 2 e 3; più nota come H.IV.6, 7 e 8. Questa dovrebbe essere perita nell’incendio
dell’Escorial del 1671, insieme al modello medievale (cfr. G. DE ANDRÉS, Catálogo de los Có-
dices Griegos Desaparecidos cit., pp. 43 e 89-90). Tuttavia è possibile che almeno un volume
sia stato illecitamente comprato e portato all’estero, cfr. infra il paragrafo 8. Ad oggi, essen-
do i tre volumi irreperibili, non ci è possibile asserire con certezza che si trattasse della co-
pia di Agustín visto che, nello stesso periodo, Andrea Darmario e i suoi collaboratori ap-
prontarono altre copie in tre tomi, di cui ci è conservato un esempio negli Escorialensi
R.III.13, 14 e 21. Vale comunque la pena segnalare che questi ultimi hanno una diversa di-
stribuzione del testo rispetto ai perduti H.IV.6-8 (a differenza di quanto indicato da DE
ANDRÉS, Catálogo de los Códices Griegos Desaparecidos cit., pp. 89-90); de Boor notò tale dif-
ferenza durante la sua collazione del catalogo colvilliano (Sitzungsberichte cit., pp. 149-150)
ma trascurò di indagarne i motivi. Per una integrazione del quadro, cfr. infra il paragrafo 8.
76 Ne conseguì l’incarico di garde de la librairie du roy, che Casaubon ricoprì dal 1604 al
1610, quando si trasferì in Inghilterra. Jacques-Auguste de Thou era maistre della Biblio-
theca Regia già dal 1594, oltre che presidente del Parlamento di Parigi dal 1595, per cui
Casaubon prestò servizio alle dipendenze dell’amico per tutto il tempo in cui risiedette a
Parigi.
NON DETERIORES 145
prefazione della sua edizione polibiana, sotto il titolo «De codicibus mss.
quorum nobis fuit copia»77:
Multa emendauimus nec pauca suppleuimus è codice ms. Perä presbei§n
uiri eruditissimi Andreae Schotti: qui etiam fragmenta quaedam è Theodosii
Parui Excerptis descripta ad nos misit: quae tamen vulgata prius fuerant, ve-
rum aliis locis: quaedam etiam in II. parte. Eorumpse Excerptorum tomum
primum inuenimus in splendidissima librorum suppellectile viri genere
illustris, dignitate amplissimi, virtute, doctrina et sapientia maximi, Iacobi
Augusti Thuani, in suprema Regni Curia Praesidis. Certe in prima fronte eius
libri erant haec verba, etsi diversae manus, &O ejranæsa" t’ par’n, Qeodüsio"
ejstæn ¿ mikrü". de quo plura in Commentariis.
Si tratta di un brano con notizie preziose, anche se apparentemente
oscure. Prima di arrivare a parlare del nostro C, cui solo da ultimo fa
riferimento, Casaubon afferma di essersi servito del codice del gesuita
belga André Schott78, che oggi è appunto il Bruxellense in due tomi: uno
per gli ELR (B1), l’altro per gli ELG (B2)79. Poco importa, in questa sede,
se Casaubon abbia consultato direttamente il codice, per prestito, oppu-
re se si sia avvalso di una collazione fornitagli da Schott80. In ogni caso,
il manoscritto gli ha consentito, secondo le sue parole, di compiere pre-
ziose correzioni e integrazioni rispetto all’editio princeps di Orsini.
Passiamo alla seconda notizia fornitaci da Casaubon, sui cosiddetti
Theodosii Parvi Excerpta: la frase &O ejranæsa" t’ par’n, Qeodüsio" ejstæn ¿
mikrü" si trova sia in B1 sia in C ma in nessun altro dei codici dello
stemma de Boor81; fuori dei manoscritti degli EL non è assolutamente
attestata.
77 Polybii Lycortae F. Megalopolitani Historiarum libri qui supersunt. Isaacus Casaubo-
nus ex antiquis libris emendauit, Latine uertit, & commentarijs illustrauit. (…), Parisiis apud
Hieronymum Drouardum 1609, p. s.n.
78 Sul quale cfr. L. CANFORA, Il Fozio ritrovato. Juan de Marana e André Schott, Bari
2001; ID., Convertire Casaubon, Milano 2002.
79 Bibliothèque Royale 11317-21, di cui mi ha fornito una dettagliatissima descrizione
pro manuscripto Michiel Verweij, della Bibliothèque Royale di Bruxelles, al quale va la mia
profonda gratitudine. Del codice offriva una completa collazione CH. JUSTICE, Anecdota
Bruxellensia. Le «Codex Schottanus» des extraits “De legationibus”, in Recueil de travaux de la
Faculté de philosophie et lettres 17, Gand 1896, risolvendo definitivamente una strana que-
relle sulla presunta scomparsa del codice, cfr. CH. GRAUX, Essai sur les origines cit., p. 95,
nt. 4. Il contributo di Justice, praticamente introvabile in Italia, fornisce elementi tuttora
indispensabili a chi si occupi degli EL; sono quindi molto grata a Michiel Verweij per
avermene consentito la consultazione in situ.
80 Ovvero abbia avuto in prestito uno solo dei due tomi, visto che parla al singolare («e
codice»).
81 Nel Bruxellense peraltro manca la virgola dopo par’n, come fa notare KRASHENIN-
NIKOV, Novaja Rukopis cit., p. 63 nt. 1.
146 PIA CAROLLA
Riguardo ai manoscritti di Schott, le questioni che si presentano sono
due:
a) Casaubon intende distinguere la cosiddetta silloge di Teodosio da
quella degli EL?
b) Quali sarebbero gli excerpta che Schott riteneva inediti e che, in real-
tà, sono già noti?
Per il primo punto è importante ciò che segue: si dice infatti che
Schott è arrivato etiam a inviargli alcuni frammenti dagli Excerpta di
Teodosio il Piccolo82. Cosa significa l’etiam? Sta solo enfatizzando la
gentilezza e magnanimità di Schott (che ha persino spedito il testo dei
frammenti in extenso), oppure serve a distinguere tra il codice B e i co-
siddetti Excerpta di Teodosio? Qualche lume si ricava dalla lettera di
Schott a Casaubon del 26 ottobre 160283, dove l’invio è confermato senza
dubbio:
Et quoniam pridem audimus Polybium, Historicum sane egregium abs te
adornari, ut una cum Theophrasto Athenaeo, Laertio, ceterisque posteritati
imputes; mitto84 de meis angustijs Fragmenta quaedam Polybii inedita prae-
termissaque a Fuluio Vrsino, et reperta olim a me in meis codicibus Perä
prevsbewn calamo exaratis, quos apud illustrem virum Marcum Velserum Au-
gustae85 deposui cum schidis alijs, vt in Athenaeum Notis. Ea si tibi grata
accident, est quod gaudeam.
82 Giustamente O. KRESTEN, Eine Sammlung von Konzilsakten aus dem Besitze des Kar-
dinals Isidoros von Kiev, Wien 1976, (Denkschriften/Österreichische Akademie der Wissen-
schaften, Philosophisch-Historische Klasse 123), p. 56, interpreta l’attribuzione come un
tentativo fallito di far risalire gli ELR addirittura a Teodosio II. Sull’origine del falso, cfr.
infra il par. 9.
83 London, British Library, Burney 366, f. 145v. Cfr. Epistola 312 in Isaaci Casauboni
Epistolae, insertis ad easdem Responsionibus, quotquot hactenus reperiri potuerunt, secun-
dum seriem temporis accurate digestae. Accedunt huic tertiae editioni, (…) item, Merici Ca-
sauboni, I. F. Epistolae, dedicationes, praefationes, prolegomena, et tractatus quidam rariores.
Curante Theodoro Janson. ab Almeloveen, Roterodami MDCCIX, p. 165.
84 «Mitte» nel manoscritto, corretto giustamente dagli editori in base al contesto; il lap-
sus calami è spiegabile in quanto la lettera, firmata da Schott, fu scritta da altri, come lo
stesso autore si preoccupa di annotare in calce: «Oculis aeger, aliena manu utor: ne mire-
re». Per la grave malattia agli occhi di Schott, cfr. CANFORA, Il Fozio ritrovato cit., p. 198.
85 Schott mise a disposizione di David Hoeschel i suoi tomi degli EL affinché potesse
pubblicarne gli autori tardoantichi e bizantini trascurati da Fulvio Orsini; tale editio prin-
ceps apparve di lì a poco, nel 1603, ad Augsburg, con il titolo Eclogae legationum Dexippi
Atheniensis, Eunapii Sardiani, Petri Patricii et Magistri, Prisci Sophistae, Malchi Philadel-
phensis, Menandri Protectoris. Cum Corollario Excerptor. e libris Diodori Sic. amissis. XXI-
XXVI. Omnia e mss. cod. a Dav. Hoeschelio edita, Augustae Vindelicorum 1603.
NON DETERIORES 147
A quanto sembra, nel 1602 Schott fa riferimento per la prima volta
all’edizione polibiana di Casaubon, di cui ha sentito dire da terzi86, e
prende l’iniziativa di contribuirvi con dei frammenti, che egli ritiene
inediti, dai suoi codici Perä prevsbewn. Poiché nella lettera è esplicita tale
provenienza, non è pensabile che Casaubon distingua tra la silloge degli
EL e quella di Teodosio il Piccolo87. Dunque è probabile che il suo etiam
vada tradotto con «persino».
Ma allora, quali sarebbero i brani inediti di Schott? Questi ha colla-
zionato attentamente i propri manoscritti con l’edizione di Orsini, e ne
ha annotato a margine le corrispondenze, oltre a numerose congetture.
Possiamo quindi osservare che Schott considerava inediti quattro brani
degli ELR polibiani, visto che annota di suo pugno, a margine del f. 42r:
«Non est excusum in Fuluina ut tria sequentia». Si tratta dei ff. 42r-47r,
49v-51v di B1, che corrispondono agli ELR nrr. 10, 11 e 15 della raccolta
de Boor, il quale raggruppa due excerpta consecutivi dei manoscritti nel
suo nr. 10. In realtà, come osserva correttamente Casaubon88, nessuno di
questi brani era inedito poiché il nr. 10 era già conosciuto tra i brani del
libro XV e il nr. 11 si trova nell’edizione Orsini alle pp. 6-8 (excerptum
III). Del nr. 15, sebbene l’inizio si trovi in Orsini, erano già note le due
pagine seguenti negli Excerpta antiqua (XVII, 31-33).
Per quanto invece riguarda il manoscritto posseduto da de Thou,
siamo certi che esso sia stato visionato direttamente da Casaubon: deri-
vano infatti sicuramente da aštoyæa le espressioni «tomum primum
inuenimus», da cui ricaviamo la notizia che il volume fosse uno solo, e
«Certe in prima fronte eius libri erant haec verba, etsi diversae manus, &O
86 Pare comunque che Casaubon vi stesse lavorando da tempo, sebbene malvolentieri;
cfr. G. F. BRUSSICH, Introduzione, in I. CASAUBON, Polibio, con una nota di L. CANFORA. Te-
sto latino a fronte, Palermo 1991, pp. 28-29. In effetti le lettere al Duca di Urbino per otte-
nere in prestito il codice 102 degli Excerpta antiqua di Polibio risalgono a sette anni prima.
87 Perlomeno non tra B1 e Teodosio il Piccolo; resta aperta la possibilità che Casaubon
considerasse quella di Teodosio il Piccolo come una raccolta particolare rispetto agli altri
manoscritti degli EL, di cui aveva preso visione forse di sfuggita: si veda il carteggio con
Hoeschel riguardo ai frammenti di Dexippo, che Casaubon ricorda di aver intravisto, molti
anni prima, in un manoscritto di Andrea Darmario. «Eclogas Presbei§n, oro te per Musa-
rum sacra, ede quantocius. Memini ante viginti amplius annos videre illa ipsa Excerpta in
Darmarii Graeci hominis manibus. Non dubito, multa ibi latitare, quae ad Caesareos Scrip-
tores meos pertineant; maxime in Dexippo, cujus mentionem toties Graeci, Latinique Hi-
storici faciunt» (Isaaci Casauboni Epistolae cit., nr. 294 p. 155 del 21 maggio 1602). Si tratta
sicuramente di un codice degli ELG, perché Dexippo non è conservato negli ELR. Poiché la
scritta di Teodosio il Piccolo si trova su due tomi degli ELR (B1 e C), è possibile che Casau-
bon fosse convinto di attingere, grazie ad essi, ad un ramo diverso della tradizione degli EL
rispetto ad Orsini e Darmario.
88 «quae tamen vulgata prius fuerant, verum aliis locis: quaedam etiam in II. parte».
148 PIA CAROLLA
ejranæsa"» etc., che ci informano sulla posizione precisa della scritta e
sulle sue caratteristiche paleografiche89. L’identificazione di questo
Thuaneus con il nostro Cantabrigiense è stata già acclarata da Krashe-
ninnikov90, proprio sulla base della nota con l’attribuzione a Teodosio il
Piccolo91; in effetti tale nota si trova al f. 1r, non solo anteposta al testo
ma fuori dello specchio di pagina: è dunque molto probabile che sia
stata aggiunta in un secondo tempo, anche se non è certo che si tratti di
una mano diversa, come vedremo tra poco (Tav. VA).
Ma Casaubon ebbe a disposizione C oppure si limitò a dargli un’oc-
chiata nella biblioteca dell’amico de Thou? Ovvero, dal punto di vista del
manoscritto: come è giunto il tomo da Parigi a Cambridge?
5. Un codice a lungo dimenticato ed una nuova nota autografa
Dal catalogo del Trinity College di James92 ricaviamo l’ultima parte
della storia del codice: infatti nel 1697 Thomas Gale, professore di greco
a Cambridge, lo fece registrare nel catalogo dei suoi manoscritti93. I Ga-
leani, tra cui il famoso Lessico di Fozio appartenuto ad Henry Estienne94,
formarono poi la classe O dei codici della Wren Library, a seguito della
donazione in blocco al Trinity College ad opera del munifico figlio di
Thomas, Roger Gale, nel 173895.
89 Per l’infondatezza delle quali, comunque, cfr. infra il par. 9.
90 KRASHENINNIKOV, Novaja rukopis cit., pp. 47-53.
91 KRASHENINNIKOV (ibid., p. 45) rinvenne il codice grazie all’errore di VOGEL-GARD-
THAUSEN, p. 132, che menzionano un fantomatico copista Teodosio a Cambridge. Cfr.
KRESTEN, Eine Sammlung von Konzilsakten cit., p. 56, nt. i).
92 M. R. JAMES, The Western Manuscripts cit., pp. 208-209.
93 Trinity College, Wren Library, O.5.38 (James 1319), f. 161 nr. 140: «Eclogae lega-
tionum pr’" ejqniko˜" auctore Theodosio parvo, editis multo auctiores lib.: Folio». Per le ori-
gini della Wren Library, e per la sostanziosa donazione dei Gale, in più tempi, cfr. D. MC
KITTERICK, The making of the Wren Library. Trinity College, Cambridge, Cambridge 1995, pp.
61-64 e passim; sono assai grata all’autore per le spiegazioni che ha avuto la bontà di darmi
in proposito, come pure a tutto il personale della Wren Library, in particolare a Joanna Ball
e ad Adam C. Green, per la loro squisita cortesia.
94 Cambridge, Trinity College O.3.9.
95 La donazione dei manoscritti occidentali (soprattutto latini e greci, ma non solo)
avvenne nel 1738, vedi M. RH. JAMES, Preface, in ID., The Western Manuscripts cit., pp. v-xiii;
MCKITTERICK, The Making of the Wren cit., p. 63. Thomas Gale aveva già donato i suoi ma-
noscritti orientali nel 1697, quando si allontanò da Cambridge per la cattedra di Londra. In
seguito, Roger aumentò notevolmente la quantità della collezione, ad esempio con numero-
si manoscritti provenienti da Patrick Young (ibid.).
NON DETERIORES 149
Eppure, fino a Krasheninnikov, gli editori di Polibio ritennero il
codice irrimediabilmente perduto quando si trovava già da tempo in
possesso del Trinity College. Anzi, nel 1789 Schweighaeuser suppose
addirittura che il codice non contenesse neppure Polibio e che dunque
Casaubon non lo avesse collazionato ma si fosse limitato a citarlo come
testimone di una fantomatica silloge di Teodosio il Piccolo96. Anche
Bornmann, nella sua edizione di Prisco che per la prima volta tiene con-
to del Cantabrigiense, ne riassume la provenienza con queste scarne
parole: «probabilmente è il codice in possesso di Jacques Auguste de
Thou (1553-1617), ricordato e invano cercato da Casaubon»97. Tuttavia,
mi pare che quest’ultimo, se si fosse limitato a intravederlo nella biblio-
teca dell’amico de Thou, difficilmente lo avrebbe menzionato sotto il
titolo «De codicibus mss. quorum nobis fuit copia», alla fine della prefa-
zione al suo Polibio del 1609. D’altra parte, è anche vero che Casaubon
parla del manoscritto al passato («erant») e così ci induce a supporre che
lo abbia esaminato in anni precedenti e che, nel licenziare alle stampe il
testo, non lo abbia più a disposizione. Eppure subito aggiunge: «de quo
plura in Commentariis», promessa che, a quanto pare98, non ha avuto
96 POLUBIOU MEGALOPOLITOU ISTORIWN TA SWZOMENA. Polybii Megalopolitani
Historiarum quidquid superest, Recensuit, digessit, emendatiore interpretatione, varietate
lectionis, adnotationibus, indicibus illustravit IOHANNES SCHWEIGHAEUSER Argentoratensis,
II: Liber IV. et V. cum reliquiis libror. VI. et VII., Lipsiae 1789, p. XXIII, «ita de hoc codice
loquitur Casaubonus, ut intelligi videatur, nihil in eo fuisse quod ad Polybium pertineret.
(…) Denique, quorsum Thuaneus ille codex, qualiscumque fuit, evaserit, non magis, quam
de ceteribus codicibus Legationum, compertum habeo: quem ne in Catalogo quidem Bi-
bliothecae Thuanae, qui Parisiis anno MDCLXXIX publicatus est, diligenter licet indicem
manuscriptorum Codicum perlustrans, memoratum repperi». Cfr. anche Polybius, ed. T.
Büttner-Wobst, ed. altera, I, Leipzig 1905, p. IX.
97 Prisci Panitae Fragmenta cit., p. XXIII.
98 Non ha avuto esito, finora, la ricerca nel mare magnum degli adversaria casaubonia-
na alla Bodleian Library (di cui caldamente ringrazio la direzione e tutto il personale per la
competenza e la collaborazione a questa “impresa”), così come nelle edizioni parziali, una
curata da Meric Casaubon (Isaaci Casauboni Ad Polybij Historiarum librum primum com-
mentarii. Ad Iacobum I. Magnae Britanniae regem serenissimum, Parisiis 1617), l’altra del
1710 (Casauboniana, Sive Isaaci Casauboni Varia de Scriptoribus Librisque judicia, Ob-
servationes Sacrae in utriusque Foederis loca, Philologicae item & Ecclesiasticae, Ut & Ani-
madversiones in Annales Baronii Ecclesiasticos ineditae, Ex varii Casauboni MSS. In Biblio-
theca Bodlejana reconditis Nunc primum erutae a O. CHRISTOPHORO WOLFIO, Prof. Publ.
Philosoph. Extraordinario in Academ. Wittenberg. Accedunt duae Casauboni epistolae Ine-
ditae, & praefatio ad librum de Libertate Ecclesiastica Cum notis Editoris in Casauboniana,
Ac praefatio qua de hujus generis libris disseritur, Hamburgi 1710). Tuttavia mi riprometto
di esaminare con più calma la questione.
150 PIA CAROLLA
seguito ma che esprime l’intenzione di occuparsi ancora, in qualche
modo99, dei manoscritti appena menzionati.
Poco noto, anzi quasi del tutto negletto, è un breve articolo di Craster
del 1926 sui manoscritti greci di Casaubon100, che nel nostro caso risolve
il dilemma: infatti egli identifica C con uno dei codici appartenuti al
filologo ginevrino e catalogati alla sua morte (1614) nelle liste che oggi si
trovano nella Bodleian Library101. Dobbiamo quindi supporre che de
Thou abbia prestato questo testo all’amico, con la consueta liberalità102,
e non lo abbia più richiesto indietro.
Conferma tale provenienza una scarna nota marginale del f. 35r di C,
da me identificata con la mano dello stesso Casaubon (Tav. VIA). Vi si
legge: «Hic incipit liber Vrsini», in corrispondenza del primo excerptum
polibiano dell’editio princeps103. Per quanto le lettere siano ben poche,
risaltano alcuni elementi tipici della scrittura del filologo ginevrino: si
notino in particolare la legatura tra n e c, con c appena accennata e per
di più tratteggiata verso l’alto104, e l’apertura della V maiuscola105.
6. La mano degli altri marginalia latini: Patrick Young
Varie conseguenze si possono trarre dalla provenienza de Thou-
Casaubon, proseguendo nell’analisi del manoscritto.
99 Come fa giustamente notare SCHWEIGHAEUSER, Polybii Megalopolitani Historiarum
cit. (cfr. supra nt. 96), nt. d): «Iam plura quidem in Commentariis, qui numquam prodie-
runt, [scil. Casaubonus] promittit: sed, plurane de illo Thuaneo codice, an de Theodosio isto
parvo fuerit dicturus, in ambiguo relinquit».
100 H. H. E. CRASTER, Casaubon’s Greek Manuscripts, in The Bodleian quarterly record 5
(1926-1929), pp. 97-100.
101 Vi si fa menzione del codice per ben quattro volte, in altrettante liste: Oxford,
Bodleian Library, Mss. Casaub. Arch. Seld. C. XXX, ff. 38, 41, 47, 128.
102 Tracce di prestiti analoghi si trovano nelle epistole e nel diario di Casaubon: cfr. ad
esempio, per un Crisostomo inedito, I. CASAUBON, Ephemerides, 1850, I, p. 350, 12 maggio
1601: «Quod potuimus temporis lectioni Chrysostomi in Acta dedimus, et id pensum exe-
gimus Dei beneficio. Liber erat Praesidis Thuani MS. neque adhuc is liber Gr. editus». Per
un Avicenna, cfr. Ad Thuanum, Epistolae 308: «Esto Avicenna tuus ktÞsei, meus, si placet
crÞsei».
103 Corrispondente al testo di Polyb. ELR 8, p. 31, 31 de Boor.
104 Per questi tratti caratteristici cfr. gli autografi di Casaubon conservati alla British
Library, soprattutto Add. 23.101, f. 3r; Egerton 1239, f. 22r; Egerton 1237, f. 10v.
105 Ibid.; cfr. anche l’edizione di Diodoro a stampa con note manoscritte di Casaubon,
che alla BL ha la seguente segnatura: C.75.g.11 (p. 8 et passim). Devo alla cortesia di
Kristine Haugen quest’ultima segnalazione.
NON DETERIORES 151
Anzitutto in C si trovano alcuni marginalia di mano latina, evidente-
mente apposti da un utente e non da un copista, che nel catalogo di Ja-
mes sono erroneamente attribuiti al successivo proprietario, Thomas
Gale. Si tratta delle corrispondenze tra testo manoscritto ed edizioni a
stampa, derivate da attenta collazione; il dotto che le ha annotate non
disponeva di un codice degli ELG e forse, addirittura, non sapeva distin-
guere tra ELR ed ELG poiché annota spesso l’esistenza di altri excerpta
editi «quae in hoc codice desiderantur»106, come se si aspettasse di tro-
vare in C una raccolta completa per autori e non per argomento, secon-
do le edizioni di Orsini ed Hoeschel che aveva sottomano. Di altri testi a
stampa cita solo quello di Casaubon per Polibio (1609) e di Sylburg per
Zosimo (1590107), mentre si annota di confrontare l’edizione di Procopio
di Hoeschel (1607), che evidentemente non ha a disposizione.
La mano è molto piccola e regolare (Tav. VIB, con ingrandimento del
150%), assolutamente inconfondibile con quella larga e varia di Thomas
Gale, o con quella di suo figlio Roger108: è invece quella di Patrick
Young, meglio noto come Patricius Junius, bibliotecario di Giacomo VI
d’Inghilterra, editore di testi patristici e teologici, esperto di codici non
solo greci109. Di lui si trova traccia in molti manoscritti galeani, come
annota nella Prefazione lo stesso James; d’altra parte, una banale svista
di quest’ultimo nella catalogazione di C è facilmente spiegabile con
l’eterogeneità di lingua, contenuto, mano e datazione nei codici del
Trinity College110.
7. Le correzioni di Young sul testo di C
I marginalia di Young sono tracciati con un inchiostro molto più
scuro di quello del copista, che si lascia riconoscere, nei primi fogli del
106 Così ad esempio ai ff. 72r: Appian.; 88r Cass.D.; f. 167 Malch; f. 184r Menand.
107 Historiae romanae scriptores graeci minores, qui partim ab urbe condita, partim ab
Augusto imperio, res Romanas memoriae prodiderunt, III, Francofurti 1590.
108 Per i quali si vedano, ad esempio, BL, Add. 28.167, f. 32; Cambridge, Trinity College
O.2.39, f. di guardia anteriore; O.10.33, f. 205v.
109 Rimane fondamentale il lavoro di J. KEMKE, Patricius Junius, Berlin 1898
(Dziatzko’s Sammlung bibliothekswissenschaftlicher Arbeiten, 12); autografi da me con-
frontati: BL, Harley 374, nr. 156, f. 264; 4936 nr. 126, f. 148; Trinity College, Wren Library
O.10.33, ff. 204-205, dove si vede bene la differenza con Thomas Gale.
110 Cfr. il vivace ritratto del proprio foglio di lavoro nella prefazione di James al III
volume, p. xiii: «I have sometimes thought of publishing a facsimile of a page of my manu-
script. It would excite a lively sympathy for the compositors, but I doubt if my reputation
would stand the shock».
152 PIA CAROLLA
codice, anche in pochissime correzioni sul testo. Ritengo importante
segnalarle, per evitare che un editore critico, basandosi solo su immagini
da microfilm, le confonda con le correzioni del copista stesso, molto più
numerose.
Si tratta di annotazioni ovvie, indicate direttamente nel rigo, talora
coprendo le lettere del copista:
f. 3r, rigo 7, incipit dell’excerptum nr. 1 di Pietro Patrizio (p. 3, 4 de
Boor): ballerianü", con r corretto vistosamente su un probabile b del
copista;
ibid., r. 9 (p. 3, 5 de Boor): mauroýsioi, corretto su maroýsioi del copista (il
quale peraltro riportava tale correzione a margine: maur);
ibid., rr. 10 e 16: tratto orizzontale sui nomi propri sapþrin, devnaqo",
sapþrhn (p. 3, 6 e 11 de Boor).
f. 3v, r. 10, incipit dell’exc. nr. 3 (p. 3, 11): tratto orizzontale sul nome
proprio galevrio";
f. 4r, r. 16 (p. 4, 10 de Boor): cancellazione nel rigo della dittografia basi-
leæ(a").
A ciò si aggiungano tre indicazioni di passi:
f. 7r, parentesi quadra aperta, per segnalare l’incipit di Dionigi di Alicar-
nasso, con rimando marginale alla pagina dell’edizione Orsini (p. 7, 1
de Boor);
f. 93v, asterisco ad inizio di excerptum;
f. 188r, r. 18 parentesi quadra aperta, per indicare l’incipit di un brano di
Menandro Protettore omesso da B1 e quindi non pubblicato da
Hoeschel nel 1603;
f. 189r, r. 5 parentesi quadra chiusa, per l’explicit dello stesso brano (pp.
173, 25 — 174, 9 de Boor).
8. Il percorso di C nel Seicento e la sorte della copia di Agustín
Oltre a indicarci che Young entrò in possesso del codice alla morte di
Casaubon (1614), i marginalia testimoniano che, con ogni probabilità,
Thomas Gale acquistò C insieme ai molti altri pezzi juniani, verosimil-
mente non molto dopo la morte dello stesso Young (1652)111.
Così abbiamo ricostruito il percorso di C nel Seicento:
111 Sulla provenienza juniana di molti codices galeani cfr. MCKITTERICK, The Making of
the Wren cit., p. 63.
NON DETERIORES 153
– all’inizio del secolo112 passa per prestito dalla biblioteca privata di de
Thou a Casaubon;
– nel 1614, alla morte di Casaubon, viene incamerato da Young113;
– dopo il 1652, alla morte di Young, viene venduto a Gale insieme a
molti altri codici.
Ciò, a sua volta, ha un’importante implicazione. La provenienza ca-
sauboniana-juniana rende impossibile, per motivi cronologici, identifica-
re C con il manoscritto degli ELR acquistato illecitamente dall’ambascia-
tore svedese Mattias Palbitzki nel 1651 all’Escorial114: senza dubbio,
almeno nel 1614, alla morte di Casaubon, C si trovava già in Inghilterra,
per rimanervi fino ad oggi.
Inoltre sappiamo che il manoscritto di cui Palbitzki si impossessò ini-
ziava con gli ELR, ma anche che, a differenza di C, riportava la loro
attribuzione a Giovanni di Costantinopoli115; tale nota, apposta sul mo-
dello medievale al f. 187r «manu recentiori» secondo il catalogo escoria-
lense di inizio Seicento, copiato da David Colville nell’Ambr. Q 114 sup.,
si trovava anche nell’incipit del manoscritto H.IV.8, volume ritenuto
disperso nell’incendio del 1671116. Non si trova, invece, negli altri codici
degli ELR ad oggi conservati, tra cui C. Pertanto, mi pare più che proba-
bile che Palbitzki sia entrato in possesso proprio dello Scorialense
H.IV.8, quella copia «in-quarto minori» che secondo il catalogo colvil-
112 Forse già prima del 1609, data della Praefatio all’edizione di Polibio; oppure subito
dopo, quando Casaubon attendeva ai Commentarii.
113 Sebbene Young lamenti l’avidità della vedova di Casaubon, che sarebbe gelosissima
dei manoscritti del marito, pare che il bibliotecario del re riesca a mettere le mani su più di
un pezzo di valore: almeno così si evince dalle note di Meric Casaubon sulla dispersione dei
beni paterni.
114 W. NISSER, Mathias Palbitzki som connoisseur och tecknare, Uppsala 1934, p. 40; de
Andrés avanza dubitosamente l’ipotesi che si tratti del codice di Cambridge nella monogra-
fia su Calosynas, Helenistas cit., p. 63 nt. 190.
115 Pare che Palbitzki non fosse in grado di leggere correttamente il greco ed avesse
traslitterato «Ioauoir»; ma probabilmente la difficoltà di lettura è stata del suo segretario
(cfr. CHR. CALLMER, Königin Christina, ihre Bibliothekare und ihre Handschriften, Stockholm
1977, pp. 157-159), non dello stesso Palbitzki: quest’ultimo, famoso pittore, avrà comunque
riprodotto il disegno delle lettere che vedeva e, nella grafia di Darmario, *Iwavnni" (itacismo)
poteva essere scritto con n chiuso, simile a omicron (A, f. 665r, 9; f. 674,10 et saepe); non
sono rari, inoltre, i casi di sigma finale simile a rho.
116 Indicato con la segnatura originaria (G.IV.3) in DE ANDRÉS, Catálogo de los Códices
Griegos Desaparecidos cit., p. 90, nt. 193 (dove peraltro va rettificata la notizia sul contenuto
di questa copia perduta: in base al catalogo colvilliano essa non conteneva affatto il testo
che oggi è nello Scorialense R.III.13, bensì, semmai, quello del R.III.14 + la prima parte del
R.III.21; inoltre aveva consistenti aggiunte, come vedremo tra poco). La segnatura po-
steriore secondo DE ANDRÉS (ibid.) è H.IV.8, sebbene Colville leggesse IV.H.8 (cfr. nt. 117)
154 PIA CAROLLA
liano doveva essere abbastanza voluminosa: comprendeva infatti non
meno di 734 fogli, a causa dell’inserzione di ampi passi dal Bellum Gothi-
cum di Procopio, che poco riguardavano le ambascerie degli EL e che,
secondo Colville, sarebbero stati aggiunti dal copista solo per aumentare
il numero delle pagine e dunque il prezzo del volume117. Si badi che,
secondo la maggior parte degli studiosi, lo Scorialense H.IV.8 è uno dei
volumi appartenuti ad Antonio Agustín, insieme a H.IV.6 ed H.IV.7 degli
ELG118. L’ipotesi è fortemente corroborata dalla testimonianza della
Bibliotheca Graeca Manuscripta dello stesso Agustín, che parla di tre
volumi degli EL «in quarto minori» e di Giovanni di Costantinopoli119, e
dal fatto che l’intero patrimonio librario del vescovo di Lérida e Tarra-
gona fu, alla sua morte, incamerato da Filippo II e trasferito all’Escorial
nel 1591. Se veramente quella era la sua copia, Agustín non si accorse
dell’imbroglio di Darmario e considerò i passi procopiani dei ff. 396-721
coerenti con il resto, nonostante l’evidente sproporzione quantitativa,
l’eterogeneità del contenuto e la presenza di una ampia sezione
procopiana già ai ff. 160-216? Dalla lettera del 13 novembre 1574 si vede
bene che Procopio gli era noto120: è pensabile che un erudito così attento
non si sia accorto dell’inganno? In ogni caso, Colville era in grado di
smascherarlo.
D’altra parte, è ragionevole supporre che lo scopo dell’inserzione arbi-
traria, per Darmario, non fosse solo quello di aumentare il prezzo ma,
ben più importante, di dilazionare la consegna del volume ad Agustín
per avere il tempo di trarne un numero sufficiente di copie. Sappiamo
per certo, infatti, che il vescovo insistette molto per accelerarne l’iter, ma
117 Ambr. Q 114 sup., f. 289r, s.v. Procopius: «Procopii Caesarensis de Bello Gothico
libri tres sed male tractati a nequissimo scriptore qui ut paginas repleret et mercedem auge-
ret multa paragrapha inseruit in IV.H.8. pag. 396 et IV.H.7. pag. 45». Posso così completa-
re, con questa notizia, quanto lasciato in sospeso da de Boor nel suo articolo preliminare
all’edizione: egli collazionò in fretta il catalogo colvilliano, riportò l’elenco di quanto conte-
nevano le copie degli EL, notò l’incongruenza nei numeri di pagina ma non si interessò a
scoprire cos’altro il copista vi avesse inserito. Per l’esattezza, la sezione procopiana “spuria”
rispetto agli EL si trovava in H.IV.8 tra Menandro Protettore e Teofilatto Simocatta, ovvero
in penultima posizione nel volume, che verosimilmente terminava al f. 734.
118 DE ANDRÉS, Catálogo de los Códices Griegos Desaparecidos cit., p. 90, nt. 193; solo
Krasheninnikov si è opposto all’identificazione, sostenendo che lo stesso Ambr. N 135 sup.
(A) coincida con una parte della copia di Agustín. Sempre valide le obiezioni codicologiche
di DE BOOR, Sitzungsberichte cit., pp. 151-2, e di Bornmann in Prisci Panitae Fragmenta cit.,
pp. XXVI-XXVII.
119 Antonii Augustini Opera Omnia, VII: Bibliotheca graeca ms., pp. 47-48.
120 Antonii Augustini Opera Omnia, VII, p. 257: «Noti antiqui come Herodoto, Tucidide,
Arriano, Josepho, Procopio. Ignoti ma moderni, Prisco rethore il quale è citato da Jornan-
des scrittore Gotho, Theophylatto, Menandro, Petro Patricio, Malcho Sophista, Joanne An-
tiocheno, Zosimo».
NON DETERIORES 155
ottenne comunque le copie complete più di un anno dopo il rilascio del
permesso del re121. Visto che Darmario solitamente aveva tempi di copia
rapidissimi, il ritardo deve essere stato più che voluto.
Vale la pena di soffermarsi un attimo sull’assenza del nome di Gio-
vanni di Costantinopoli nelle copie sopravvissute. Nulla di strano nell’at-
tribuzione fittizia, visto che il manoscritto fu redatto da Andrea Dar-
mario: è ben nota la tendenza di quest’ultimo ad “integrare” le notizie
mancanti con nomi inventati, senza alcun fondamento122. Quello che
interessa dal punto di vista della tradizione manoscritta degli EL è
l’assunto, generalmente accettato dagli studiosi moderni a partire da
Graux, che la copia di Agustín sia stata il modello da cui, direttamente o
indirettamente, sono derivate tutte le altre degli ELR. Se le cose stessero
così, in ognuna dovremmo trovare il nome di Giovanni di Costantinopo-
li; è ragionevole supporre, infatti, che l’incipit sia stato copiato con cura
maggiore del resto. È vero, invece, il contrario: B1 e C introducono
un’attribuzione a Teodosio il Piccolo che, a quanto pare dal catalogo di
Colville, non ha riscontro nel manoscritto medievale. Gli altri, compresi
quelli che da B1 dovrebbero derivare, tacciono del tutto. Come spiegare
questa situazione?
Ferma restando la necessità di una nuova collazione completa di tutti
i manoscritti, che dissipi i dubbi sull’esattezza dell’apparato e dunque
anche sullo stemma di de Boor, per limitarmi a quanto è possibile in
questa sede vorrei sottolineare che, poiché solo Agustín ci parla di Gio-
vanni di Costantinopoli123, è verosimile che H.IV.8 sia la sua copia degli
ELR; tuttavia tale intestazione può essere stata aggiunta alla fine del
lavoro, quando il testo era stato già copiato più volte, da questo modello
o da un altro.
D’altra parte, con ogni probabilità B1 e C “inventano” una dicitura
nuova allo scopo di collocarsi meglio sul mercato, in un periodo in cui le
copie degli EL andavano a ruba e, perciò, venivano prodotte in serie. Tra
l’altro, avendo ricostruito che le prime copie parziali degli EL devono
essere almeno del 1574, è possibile porre dopo questa data l’indice di
121 Di cui lo stesso Agustín dà notizia il 12 ottobre 1573.
122 O. KRESTEN, Phantomgestalten in der byzantinischen Literaturgeschichte. Zu vier Ti-
telfälschungen des 16. Jahrhunderts, in Jahrbuch der Österreichische Byzantinistik 25 (1976),
pp. 207-222 (in particolare pp. 213-222); SOSOWER, A Forger revisited cit., pp. 289-306. Lo
stesso Darmario nel 1574 può aver aggiunto il nome di Giovanni di Costantinopoli nel
manoscritto medievale, mentre lo stava copiando; oppure un lettore anche più tardo, tra il
1591 e gli inizi del Seicento, eventualmente collazionando la stessa copia di Agustín.
123 Proprio da Agustín vengono, con ogni probabilità, le citazioni del nome fatte da Or-
sini, visto che i suoi manoscritti non ne hanno traccia.
156 PIA CAROLLA
codici di Andrea Darmario del Vat. gr. 2662 f. 2rv, segnalato da Salvatore
Lilla come (forse) del 1561124.
Ma, al momento, ci interessano particolarmente le somiglianze tra i
due codici B1 e C. Esse non finiscono qui. Il tomo degli ELR appare ver-
gato in entrambi da Sophianos Melissenos, che risparmia sulla carta e
sul minio molto più di Darmario: evita infatti miniature e decori, come
pure di andare a pagina nuova per ogni nuovo autore125. Una copia tutto
sommato più “trascurata” ma pur sempre di buona qualità e che, co-
munque, grazie all’attribuzione al fantomatico Teodosio poteva piazzarsi
bene nelle vendite.
9. Melissenos copista di C e la nota su Teodosio il piccolo
Secondo Casaubon, non è stato il copista a tracciare su C «in prima
fronte» la frase &O ejranæsa" t’ par’n, Qeodüsio" ejstæn ¿ mikrü". In effetti,
essa è stata indubbiamente aggiunta quando il testo era già stato com-
pletato, poiché si trova fuori dello specchio di pagina del f. 1r, inoltre
presenta un tratto molto più posato ed un inchiostro diverso dal resto;
tuttavia non si può escludere una differenza di ductus e non di mano126
(Tav. VA). Le lettere, peraltro, sono troppo poche per svolgere un con-
fronto paleografico convincente: lo stesso Nigel Wilson, da me consul-
tato in proposito, ha ritenuto opportuno sospendere il giudizio in man-
canza di prove più sicure.
Troviamo la stessa situazione in B1, dove l’attribuzione a Teodosio il
Piccolo è stata apposta a lavoro finito, con un ductus e un inchiostro
diversi da quelli del testo. Qui, tuttavia, la stessa mano della frase in
questione (f. 2r, Tav. VB) ha vergato sull’ultimo foglio (f. 262r) il Pænax
del contenuto dell’intero tomo ELR (Tav. IX). In questo caso il testo
greco è abbastanza ampio da consentire di fugare ogni dubbio. Si notino
lo stesso ductus ed inchiostro tra l’intestazione &O ejranæsa" ktl. e il Pinax,
in B1; per dimostrare che è la stessa mano, basti notare lo stesso tipo di
r (presente al f. 2r in mikrü"), che scende con una sorta di gancio aperto
verso sinistra, al f. 262r, rr. 4, 6(bis), 7(bis), 9, 11, 15, 16, 17(bis), 18,
20(ter), 22(bis), 23, 24, 26(bis), 31(bis), 32; il q aperto di qeodüsio", privo
124 S. LILLA, Spigolature dagli ultimi codici Vaticani greci, in Bollettino della Badia greca
di Grottaferrata, ns 1998 (52) = *Opþra. Studi in onore di monsignor Paul Canart per il LXX
compleanno, II, pp. 266-281.
125 Lo notava già KRASHENINNIKOV, Novaja rukopis, pp. 64-72 passim.
126 Per esempi analoghi di Darmario, cfr. H. HUNGER, Duktuswechsel und Duktus-
schwankungen. Zum Versuch einer paläographischen Präzisierung von Handgrenzen, in Bol-
lettino della Badia greca di Grottaferrata n.s. 45 (1991), pp. 69-83.
NON DETERIORES 157
del tratto inferiore sinistro, al f. 262r, rr. 4,5,7,21,24,31; d che sale poco
sopra il rigo in legatura con vocale seguente, sia al f. 2r in qeodüsio", sia
al f. 262r, rr. 17 e 18. Inoltre l’identità di scriba tra B1 e C riguardo alla
attribuzione a Teodosio è così evidente da richiedere appena una con-
ferma, solo che si ponga attenzione ai gruppi do e kr127.
Abbiamo dunque cinque elementi da considerare: il testo di C [1], il
testo di B1 [2], la nota su Teodosio in C [3], quella in B1 [4] e, infine, il
Pinax di B1 [5]. È possibile attribuirli tutti ad una stessa mano? Abbia-
mo appena visto l’identità di [3], [4] e [5]; passiamo ora ad [1] e [2], per
poter completare il quadro.
Sappiamo già che lo scriba di C è Sophianos Melissenos, identificato
da Mark Sosower128. Peraltro, l’analisi della scrittura mi ha portato a
concludere che C sia stato scritto interamente dalla stessa mano, sia per
il testo sia per le correzioni a margine, a differenza di quanto sostenuto
da Moore129; condivido, quindi, l’attribuzione di de Andrés130. Resta da
vedere se davvero B1 è attribuibile a Calosynas, o se la mano è la stessa
di C. Per fugare ogni dubbio, sono sufficienti gli esempi dei tratti carat-
teristici di Melissenos, già elencati a proposito del Vaticano greco 1418:
p con occhielli sovrapposti131; q chiuso a punta verso il basso132; u con la
parte destra appena accennata (simile a iota)133; ei in legatura con accen-
127 Per non parlare delle lettere næsa" t’ p(..)ün, -sio" ejstæn, etc. Naturalmente ci sono
anche differenze di B1 da C, ad esempio nelle legature ra, par-, o nel theta (aperto ma privo
del tratto iniziale a sinistra), elementi che però rientrano nelle possibili varianti di una stes-
sa mano, magari a distanza di tempo. Per l’intervallo che deve essere trascorso tra la copia
di C e quella di B1, cfr. infra la trattazione delle filigrane.
128 Sono molto grata per questa segnalazione al professor Sosower, che con squisita
gentilezza mi ha informato sulle sue note di osservazione inedite. Il copista non era ancora
stato identificato da KRESTEN, Eine Sammlung von Konzilsakten cit., p. 56; per l’attribuzio-
ne al medesimo copista, fino ad allora anonimo, della maggior parte del Vat. Barb. gr. 68
cfr. ID., Statistische Methoden cit., p. 44 nt. 47.
129 Egli parla di una molteplicità di mani nello stesso codice, scambiando a mio avviso
le differenze di ductus, di inchiostro e, soprattutto, di corpo del carattere per diversità di
mano. In effetti, le dimensioni della scrittura variano anche sensibilmente tra un fascicolo e
l’altro, in particolare tra il f. 130v e 131r (almeno un mm di differenza a parità di lettera),
dove cambia anche l’inchiostro, da marrone a nero; il ductus è strutturalmente corsivo e ri-
sente delle variazioni di formato tipiche delle scritture cancelleresche (in particolare sem-
brano diversi i ff. 62-63), pur conservando la stessa inclinazione ed impaginazione.
130 DE ANDRÉS, Helenistas cit., p. 63 nt. 190.
131 B1 f. 139r, 6, 8, 9, 11, 12, etc.; per il diverso tratteggio di p in Darmario cfr. supra
nt. 32.
132 B1 f. 130v, 3; f. 139r, 7; etc.
133 B1 f. 146r, 11; f. 148r, 11.
158 PIA CAROLLA
to circonflesso134; abbreviazione di -hn e di -eu"135; d con tratto verticale
basso (simile a sigma) in legatura136.
Che dire quindi dell’ipotesi de Andrés, che attribuisce con sicurezza a
Calosynas l’intero Bruxellense degli ELR, mentre concorda sull’opera di
Sophianos nel Cantabrigiense137? Come prova, egli adduce la «típica
letra alargada y separada» di B1. La visione diretta dei manoscritti mi ha
persuaso ulteriormente del fatto che C e B1 si debbano ad una stessa
mano e che questa non possa essere Calosynas: tra le caratteristiche
paleografiche che lo differenziano nettamente da Sophianos, oltre alla
percentuale relativamente alta di lettere maiuscole in Calosynas, laddove
Sophianos predilige le minuscole, oltre ad una mano decisamente corsi-
va di questo e una certa rigidità dell’altro, si possono senz’altro richia-
mare (Tabella 1) il tratteggio di p con gli occhielli uno sotto l’altro
(Calosynas non arriva mai a disporli in verticale, neanche nei casi di
scrittura evidentemente piú veloce138), e q chiuso a punta verso il basso,
mentre Calosynas, semmai, lo traccia a punta verso l’alto139.
Peraltro B1, a differenza di C, presenta quasi tutti i titoli miniati di
mano darmariana140, tranne quello di Arriano, che si deve alla penna di
134 B1 f. 143r, fine rigo 17; etc.
135B1 f. 150v, fine rigo 9; f. 157v, fine rigo 1 pr’" mavc(hn); f. 159r, fine r. 11 ašt(hVn); f.
162v, 20 ajnapempomevn(hn) (correzione marginale pro ajnaflegomevnhn); f. 168r, fine r. 20 thVn
skhn(Þn) (ultima parola della pagina) Per eu" finale: ¿ basileý" B1 f. 146r, rigo 17; f. 173r, ri-
go 16.
136 B1 f. 148v, 2; f. 149v, 18; f. 161v, 6.
137 DE ANDRÉS, Helenistas cit., p. 65. Il nucleo dell’argomentazione era già stato esposto
nell’articolo dello stesso autore: El Cretense Antonio Calosinás cit. (cfr. supra nt. 11), pp. 97-
104 (in particolare alla p. 102, dove si attribuiscono a Calosynas entrambi i tomi di B, an-
che quello degli ELG [B2] che in seguito lo stesso de Andrés riconosce di Darmario).
138 Ad esempio nella tavola del RgK I C, 25: Madrid, Biblioteca Nacional, 4857 (Arch.
Hist. Nac. 164, 8), f. 6r, rr. 1, 5, etc.
139 Ibid., rr. 5, 9, etc.; peraltro di solito qui theta è arrotondato sia nella parte inferiore
che in quella superiore.
140 Ff. 4r (Pietro Patrizio); 6r (Giorgio Monaco); 8r (Giovanni Antiocheno); 22r (Poli-
bio); 77v (Appiano); 85v (Zosimo); 91r (Giuseppe Flavio); 93r (Diodoro); 94r (Cassio Dione);
103v (Procopio); 139r (Prisco); 178v (Malco); 195v (Menandro Protettore); 254r (Teofilatto
Simocatta). Per il primo titolo, quelllo del proemio al f. 2r (Tav. VB), nutro qualche dubbio
sulla genuinità di mano darmariana: sembra piuttosto un collaboratore che si sforzi di
imitare perfettamente il maestro, specialmente per il primo rigo. Certo sarebbero tratti dar-
mariani ben imitati: p minuscolo tipico, rr. 1 e 2; theta chiuso di piccolo formato, r. 2; u"
con un tratto in comune, r. 2; n stretto e quasi chiuso al r. 2 (dopo il theta); ma non appare
affatto darmariana proprio la prima parola del titolo: ›püqesi" con theta allungato ed a pun-
ta (sia verso l’alto, sia verso il basso), e ampio, con tratto mediano perfettamente orizzon-
tale, si in legatura orizzontale anziché arrotondata, etc.
NON DETERIORES 159
Melissenos ed è in nero, al f. 103r. Che Darmario “firmasse” le copie con
una costante apparizione nei titoli, oltre che in fogli isolati (magari ad
inizio fascicolo), non è certo una novità: solo per la tradizione degli EL,
accade costantemente nel Palatino greco 412.
Fin qui, dunque, abbiamo visto come il testo di C e B1 (che abbiamo
denominato [1] e [2]) si debba alla mano di Sophianos Melissenos; solo i
titoli miniati di B1 sono di Darmario, mentre nulla fa pensare ad un
intervento di Calosynas141.
Riguardo poi al Pinax di B1 [5], possiamo affermare con ragionevole
sicurezza che sia la stessa mano del testo, poiché al f. 262r compaiono
ancora i tratti caratteristici di Sophianos: p con gli occhielli sovrapposti
in verticale al r. 17; theta a punta verso il basso a rr. 3, 9, 11, 13, 15, 24,
26, 28, 31; ejp- con occhiello nella parte inferiore dell’epsilon a r. 14; oltre
al rho con la caratteristica parte inferiore che abbiamo già notato per
[3], [4] e [5], ma che si nota anche in [1] e [2]142.
Dunque, se la dimostrazione è corretta, abbiamo lo stesso Melissenos,
collaboratore di Darmario, che inserisce nel codice una sorta di “etichet-
ta” del tutto infondata, prendendo esempio dal suo maestro o seguendo
le sue istruzioni, o anche contaminando un altro modello; può darsi che
uno spunto per il nome sia venuto proprio dagli excerpta di Prisco, dove
ci si riferisce a Teodosio II con il convenzionale titolo di ¿ mikrü".
In ogni caso, la carta usata in C è di vario tipo, poiché si contano
quattro filigrane diverse, tutte inedite: oltre a quella in comune con P1
(Tav. VIIA), ve ne sono due del tipo Main, di cui una poco visibile,
presente solo nel tredicesimo fascicolo, e l’altra con fiore diverso dagli
specimina pubblicati nei repertori (Tav. X); infine un esempio del tipo
Pèlerin, con lettere AZ (Tav. XI)143. B1, invece, è l’unico dei codici da me
esaminati finora che per 7 fascicoli di seguito usa inserire un bifoglio di
carta diversa in mezzo agli altri. Le filigrane variano: se ne contano
141 A meno che non sia suo il titolo del Proemio al f. 2r, su cui cfr. la nota precedente e
la Tav. VB. Tuttavia non mi pare che i tratti della scrittura coincidano con quelli delle varie
tavole prodotte da de Andrés nella sua monografia, pp. 158-166. Per quanto “camaleontico”,
Calosynas conserva per lo più la sua rigidità di mano, di cui non vi è traccia in questo titolo;
e, anche negli specimina di maggiore scioltezza, ama prevalentemente aprire a sinistra l’u
iniziale, distanziare da esso il p seguente (anziché sovrapporre il tratto orizzontale del p
sull’u) e arrotondare la parte inferiore del q, cfr. Madrid, BN 4793, f. 1 (in particolare a rr. 4
e 8), in DE ANDRÉS, Helenistas cit., p. 166.
142 Ad esempio in C, f. 1r, rr. 6, 8, 9, 11 (cfr. Tav. VA), 13, 15, 16, 17; B1, f. 2r, rr. 6, 8, 9
(cfr. Tav. VB), 14, 16, 18, 20.
143 Per la ricorrenza di tale coppia di lettere, veramente rara nei repertori pubblicati,
cfr. solo Briquet, nr. 635, Ange (Vicenza, 1570, A. NOT.: Testamenti).
160 PIA CAROLLA
cinque tipi diversi, di cui quello in comune con P1 compare negli ultimi
tre fogli; eppure dal fascicolo 15 al 21 (ff. 142-211) c’è sempre un bifoglio
del quale il bordo irregolare e la differenza di grammatura risaltano
anche agli occhi di chi non abbia lo scopo di esaminare la carta.
Peraltro, nessuno di questi cambi di filigrana coincide esattamente
con la fine di un autore, né in B1 né in C. Entrambi sono composti rego-
larmente di quinioni, sono in-folio, usano i richiami orizzontali: per
questo Kresten ha proposto di datarli al 1575, coerentemente con i
criteri fin qui seguiti. Questo però, dal punto di vista testuale, sorprende:
il testo di B1 è molto più corrotto di quello di C, che appare ancora una
copia vigilata e relativamente fedele. In B1, invece, il copista sembra del
tutto assuefatto al testo e incorre continuamente nei lapsus calami. Se
dobbiamo datarli a pochi mesi di distanza, da un lato ci spieghiamo la
presenza di carta uguale a P1, dall’altro però siamo tenuti a supporre che
nello stesso anno siano state prodotte un grande numero di copie di
Melissenos, ovvero che il suo “progetto editoriale” di trasformare i volu-
mi degli ELR nei fantomatici Excerpta Theodosii Parvi abbia funzionato
a meraviglia.
10. Conclusione
Oltre a restituire a Melissenos le copie di V, P1, B1144, oltre ad identi-
ficare la mano anonima di P1-3 con un copista dello Scorialense F.II.8 e
a ricostruire la provenienza di C, abbiamo visto alcuni risultati di uno
studio che tenga conto dell’aspetto codicologico, anzitutto in base ai
criteri forniti da Kresten e, in secondo luogo, mediante l’analisi delle
filigrane. Ciò è di primaria importanza per distinguere i manoscritti
unitari da quelli assemblati e ricostruire uno stemma più sicuro.
Più in generale, molto è ancora da fare per quanto riguarda l’analisi
paleografica e lo studio codicologico dei manoscritti cinquecenteschi, di
cui l’ambito darmariano può essere un buon laboratorio. Per questo mi
auguro di potermi dedicare all’approfondimento delle filigrane e delle
mani di tali copisti nei manoscritti vaticani, con un respiro più ampio di
quello dettato dalla presente esigenza editoriale.
144 Sul Bruxellense 8761, copia parziale che contiene solo gli EL di Teofilatto Simo-
catta, non mi pronuncio perché non ho avuto tempo di esaminarlo a fondo di persona. Ho
visto che la mano è diversa da tutti gli altri copisti fin qui citati e anche dagli Scorialensi
che ho visionato direttamente: è possibile che si tratti di Calosynas, come sosteneva già
Kresten nella sua tesi inedita, p. 88, ma rinvio ad occasione più opportuna l’approfondi-
mento sui codici di Schott, che merita uno spazio più ampio.
NON DETERIORES 161
TABELLA 1
Tratti caratteristici delle scritture esaminate
a) SOPHIANOS MELISSENOS
p minuscolo
+ chiuso u appena accennato
ejp ejpæ eÔ
-dþ-
t(hVn)
-sh-
pl(hVn) -eý"
b) FRIEDRICH SYLBURG
n
c) “AGITÉ”
p minuscolo p maiuscolo
b g
t arrotondato
e a punta
+ chiuso si x ro y
d) ANTONIO CALOSYNAS
p minuscolo
+ chiuso ›pü- ›pe-
162 PIA CAROLLA
TAVOLE DELL'ARTICOLO:
Tav. I — Vat. gr. 1418 (V), f. 86r [p.173]; <Sophianos Melissenos, a. 1574>.
Tav. IIA — Vat. gr. 1418 (V), filigrana, ff. 84r+97v [pp. 169+188]. Mm in larghezza 36; filoni
intorno alla filigrana: 22mm, 23mm; filoni esterni: 33mm, 34mm/34mm, 32mm; 21
vergelle in 20 mm];
Tav. IIB — filigrana gemella, ff. 124r+137v [pp. 249+268]. Mm in larghezza: 37; filoni
intorno alla filigrana: 25 mm, 24 mm; filoni esterni: 34mm, 35 mm / 34 mm, 19 (sic)
mm; 21 vergelle in 20 mm.
Tav. IIIA — Vat. Pal. gr. 411 (P1), filigrana, ff. 8r+21v = Napoli, Biblioteca Nazionale
Centrale, III.B.15 (N), ff. 131+130 [pp. 262+259]. Mm in larghezza: almeno 37; filoni
intorno alla filigrana: 30 mm, 36 mm; filoni esterni: 43 mm / 26 mm, 21 (sic) mm; 21
vergelle in 20 mm.
Tav. IIIB — Vat. Pal. gr. 411 (P1), filigrana gemella, ff. 19+10 = Napoli, Biblioteca Nazionale
Centrale, III.B.15 (N), ff. 133+128 [pp. 266+255]. Mm in larghezza: almeno 38; filoni
intorno alla filigrana: 35 mm, 36 mm; filoni esterni: 40 mm / 29 mm, 22 (sic) mm; 22
vergelle in 20 mm.
Tav. IV — Vat. Pal. gr. 411 (P1), f. 233v: terza mano, anonima (copista «agité» dello Scoria-
lense F.II.8).
Tav. VA — Cambridge, Trinity College O.3.23 (C), f. 1r; <Sophianos Melissenos, ca. 1575>.
Incipit ed attribuzione a Teodosio il Piccolo (riduzione del 70%). Copyright Trinity
College, Wren Library, Cambridge.
Tav. VB — Bruxelles, Bibliothèque Royale, 11301-16 (B1), f. 2r, idem (riduzione del 70%;
copyright Bibliothèque Royale, Bruxelles).
Tav. VIA — Cambridge, Trinity College O.3.23 (C), f. 35r; nota autografa di Isaac Casaubon
(copyright Trinity College, Wren Library, Cambridge).
Tav. VIB — ibid., f. 3r; nota autografa di Patrick Young (Patricius Junius) [Copyright Trinity
College, Wren Library, Cambridge]. Ingrandimento del 150%.
Tav. VIIA — Cambridge, Trinity College O.3.23 (C), filigrana, f. 36r; mm 49 × 17; filoni
intorno alla filigrana: 22,5 mm; filoni esterni: 22 mm, 25 mm, 21 mm / 24 mm, 22 mm,
24 mm; 25 vergelle in 20 mm. Copyright Trinity College, Wren Library, Cambridge =
Tav. VIIB — Vat. Pal. gr. 411 (P1), ff. 218r + 227v (la filigrana è leggermente deteriorata
nella stella, rispetto al Cantabrigiense).
Tav. VIIIA — Bruxelles, Bibliothèque Royale, 11301-16 (B1), filigrana, f. 259r; mm 45 × 18;
filoni intorno alla filigrana: 23 mm; filoni esterni: 24 mm, 24 mm, 21 mm / 24 mm, 23
mm, 23 mm; 30 vergelle in 20 mm (copyright Bibliothèque Royale, Bruxelles) = Tav.
VIIIB — Vat. Pal. gr. 411 (P1), ff. 154v + 155r (la filigrana è leggermente deteriorata nella
stella, rispetto al Bruxellense).
Tav. IX — Bruxelles, Bibliothèque Royale 11301-16 (B1), f. 262r, Pinax, <Sophianos Melisse-
nos> (riduzione del 70%; copyright Bibliothèque Royale, Bruxelles).
Tav. X — Cambridge, Trinity College O.3.23 (C), filigrana, f. 256r; mm 55 × 19; filoni intorno
alla filigrana: 22 mm; filoni esterni: 22 mm, 21 mm, 24 mm / 24 mm, 21 mm; 23
vergelle in 20 mm. Copyright Trinity College, Wren Library, Cambridge.
Tav. XI — Cambridge, Trinity College O.3.23 (C), filigrana, f. 166r; mm 47 × 35; filoni intor-
no alla filigrana: 24 mm ciascuno; filoni esterni: 29 mm, 32 mm / 33 mm. Copyright
Trinity College, Wren Library, Cambridge.