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Dal Gargano All Elicona La Memoria Di S

L'articolo analizza la leggenda medievale di San Michele, evidenziando la sua evoluzione attraverso varie raccolte agiografiche, in particolare quelle dei Domenicani. Si sottolinea l'importanza della 'Leggenda Aurea' di Giacomo da Varazze, che ha contribuito alla diffusione della memoria di San Michele, e si esplorano le rielaborazioni della leggenda nella poesia latina rinascimentale. Il documento offre una panoramica della fortuna e della ricezione della figura di San Michele nel contesto agiografico e culturale europeo.

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Dal Gargano All Elicona La Memoria Di S

L'articolo analizza la leggenda medievale di San Michele, evidenziando la sua evoluzione attraverso varie raccolte agiografiche, in particolare quelle dei Domenicani. Si sottolinea l'importanza della 'Leggenda Aurea' di Giacomo da Varazze, che ha contribuito alla diffusione della memoria di San Michele, e si esplorano le rielaborazioni della leggenda nella poesia latina rinascimentale. Il documento offre una panoramica della fortuna e della ricezione della figura di San Michele nel contesto agiografico e culturale europeo.

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BIBLIOTECA TARDOANTICA

11

SPAZI E LUOGHI SACRI


ESPRESSIONI ED ESPERIENZE
DI VISSUTO RELIGIOSO
a cura di
Laura Carnevale

E S T R A T T O

© 2017 Edipuglia srl, via Dalmazia 22/B - 70127 Bari-S. Spirito


tel. 080 5333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: [email protected]
ISSN 2532-6341
ISBN 978-88-7228-847-4
DOI http://dx.doi.org/10.4475/847
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aLessandro LaGioia

DAL GARGANO ALL’ELICONA:


LA MEMORIA DI SAN MICHELE FRA AGIOGRAFIA ED ELEGIA

Abstract
The article investigates the medieval lore of the hagiographic legend Memoria sancti Michaelis
(BHL 5948) containing the foundation myth of Saint Michael’s Sanctuary on the Mount
Gargano. In the first section of the paper a great deal of hagiographic collections and handbooks,
mainly written by clerics of the Dominican Order, are taken into account with the aim of
examining selections and content changes which the original text has undergone in the Medieval
Reception. A culminating point of its transmission was the conflation of the hagiography in the
most canonical collection by Jacobus de Voragine (The Golden Legend), who in turn drew from
previous collectors, such as Bartolomeo da Trento and Jean de Mailly. Another section of the
paper examines the reception of the legend of the Archangel in a sub-genre of Renaissance Latin
poetry, the fasti Christiani, of which the best exponents are Lorenzo Bonincontri, Ludovico
Lazzarelli, Ambrogio Fracco and Girolamo Chiaravacci.

La memoria dell’apparizione e del culto di san Michele sul monte Gargano (BHL
5948)1, che racconta la fondazione di uno dei più antichi santuari dell’Angelo nella pars
Occidentis e costituisce verosimilmente la più antica agiografia micaelica di quest’area
(metà circa del VII secolo), era destinata, pur nella sua condizione di scrittura anonima
e forse anche contingente2, a una fortuna immediata e durevole, che avrebbe attraver-
sato non solo i secoli e le regioni d’Europa3, ma anche i confini propri della produzione

1
L’edizione di riferimento della Memoria o Apparitio garganica è contenuta nel volume recentemente
edito nella Collana “Bibliotheca Michaelica” (La Memoria agiografica di san Michele sul Gargano. Testo
critico, traduzione e commento a cura di A. Lagioia. Prefazione di G. Otranto, Bari 2017), frutto della
ricerca condotta nell’ambito del Progetto FIRB 2010 diretto da Laura Carnevale, i cui Atti del Convegno
conclusivo sono raccolti nel presente volume.
2
Rinvio all’Introduzione del volume (Lagioia, La Memoria, cit., 24-25) per quanto concerne l’epoca
di composizione, che oscilla nelle opinioni degli studiosi fra VII e IX secolo, e le finalità del breve scritto
agiografico, che è riconducibile all’area del ducato longobardo di Benevento e forse proprio alla fase
immediatamente o di poco successiva all’annessione della diocesi sipontina a quella beneventana (metà
del VII secolo), quando si rese necessario giustificare in qualche modo un’unione che di fatto costituiva
una usurpazione.
3
Si pensi, per fare solo un esempio, alla nutrita tradizione insulare del culto micaelico di matrice

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170 aLessandro LaGioia

agiografico-martirologica, confluendo in toto o in parte, attraverso selezioni e rimaneg-


giamenti, in opere di carattere storico-politico, memorialistico e parenetico.
Oltre alla vasta tradizione diretta – nell’ambito proprio di vitae sanctorum, omeliari
e leggendari – e a quella indiretta, ad essa strettamente affine, rappresentata dai marti-
rologi storici, risulta molto estesa anche la fortuna della leggenda in una serie di testi
basso-medievali, nei quali l’opera è confluita a vari livelli di rielaborazione, un capitolo
quest’ultimo ancora da scrivere sul suo Fortleben, del quale si conoscono meglio solo
alcuni episodi. Più noto, per la strepitosa diffusione della monumentale raccolta agio-
grafica, è l’inserimento della Memoria di san Michele nella Legenda aurea di Iacopo da
Varazze4, composta fra il 1260 e il 1298. In quest’opera la leggenda garganica è conflu-
ita pressoché integralmente, ma suddivisa all’interno della complessa struttura quadri-
partita in cui è articolato il capitolo de sancto Michaele. È infatti disposta dall’Autore
una successione cronologica delle molteplici apparitiones e victoriae del santo, seguite
dalla menzione della dedicatio della basilica garganica e dalla sezione sulla memoria,
che è occasione per elencare prerogative degli angeli ed effectus della loro custodia5.
Degna di rilievo, rispetto al contenuto della leggenda originaria, non è tanto la datazio-
ne dell’apparizione all’anno 390, riportata come la prima in assoluto di san Michele – si
tratta di un dato verosimilmente desunto, come vedremo, da Jean de Mailly – quanto
la diversa ricostruzione cronologica degli altri eventi ad essa connessi. In primo luogo,
il racconto dello scoppio della guerra con i Napoletani pagani è collocato post aliquod
enim tempus ab invento loco (§ 102) e non contestualmente all’inventio e prima fre-
quentazione dell’area6; inoltre, nell’episodio dell’ambasceria dei Sipontini al papa, che
avviene subito dopo la vittoria (§ 135), quest’ultimo è identificato per la prima volta
con Pelagio (§ 136). La relatività dell’indefinito (post aliquod tempus) – la vaghezza
temporale è già nel racconto originario e del resto consueta in questa tipologia di testi –
non consente la disambiguazione fra i due papi con lo stesso nome (Pelagio I, 555-560
o Pelagio II, 578-590). A questo pontefice Iacopo da Varazze attribuisce anche la consa-
crazione dell’8 maggio, giorno anniversario della vittoria dei Sipontini sui Napoletani
(§ 48), come dies festus universale dell’Arcangelo7.

garganica, ben documentato dalle precoci riprese della Memoria di san Michele nell’Old English
Martyrology e nel Martirologio metrico di Óengus, degli inizi del IX secolo. Sull’argomento cfr. R.F.
Johnson, Saint Michael the Archangel in Medieval English Legend, Woodbridge 2005; J.C. Arnold, The
Footprints of Michael the Archangel: the Formation and Diffusion of a Saintly Cult, c. 300-c. 800, New
York 2013, 106-113.
4
Per le notizie sull’autore e l’opera mi limito al rinvio all’introduzione dell’edizione a cura di G.P.
Maggioni, Iacopo da Varazze. Legenda aurea, Firenze-Milano 2007 (da cui si cita).
5
Cfr. Johnson, Saint Michael, cit., 65-66.
6
Mem. 2, 8-3, 1: His revelatione compertis, consuetudinem fecerunt cives hic Dominum precibus
sanctumque deposcere Michaelem. … sed ne ultra criptam intrare ausi, prae foribus cotidie orationi
vacabant. H a e c in te r Neapolitae … bello lacessere temptant.
7
Leg. CxLi, § 149: Tunc papa hiis auditis hunc diem in honorem sancti Michaelis et omnium beatorum
spirituum per totum orbem universaliter statuit celebrandum.

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daL GarGano aLL’eLiCona: La memoria di san miCheLe fra aGioGrafia ed eLeGia 171

Tra le fonti della complessa rielaborazione dell’agiografo domenicano, oltre al pre-


sumibile impiego di qualche testimone diretto della leggenda8, è possibile segnalare di-
verse opere del XIII secolo, in cui lo scritto era già confluito, sottoposto a interventi di
selezione, sintesi e rimaneggiamento. Fra i prodotti meno anonimi tra le compilazioni
agiografiche medievali (talora trasmesse da singoli testimoni manoscritti) e che han-
no conosciuto maggiore circolazione, si segnalano l’Abbreviatio in gestis et miraculis
sanctorum (1228-1243) di Jean de Mailly9 e il Liber epilogorum in gesta sanctorum
(1244-1251) di fra Bartolomeo da Trento10, prontuari che sono fra i primi collettori di
testi agiografici eterogenei, adattati alle esigenze dei predicatori, analoghi quindi per
destinazione alla Legenda aurea. Ad essi può essere solo accostato il più noto Speculum
historiale (1244-1250) di Vincenzo di Beauvais, il quale integrò un estratto ‘conforme’
della leggenda agiografica (ex historia eiusdem memorię) con una cronotassi iniziale11
desunta dall’Historia ecclesiastica (1110) di Ugo da Fleury.

8
Iacopo da Varazze mostra chiaramente di aver collazionato più fonti (anche se non esplicita di che
natura), rilevandovi alcune varianti, Leg. CxLi, § 17 Garganus, a quo mons ille nomen acceperat, vel
se c u n d u m q u o s d am lib ro s ipse a monte nomen acceperat.
9
Editio princeps a cura di G.P. Maggioni, Firenze 2003. Jean de Mailly era originario della diocesi di
Auxerre, dove nacque intorno al 1190. Qui compose la prima delle tre redazioni della sua Abbreviatio,
inizialmente destinata, come dichiara nella breve introduzione, ai parroci ad excitandam fidelium
devotionem per mezzo delle letture sulle vite e le passioni dei santi in essa succincte esposte (ed. cit., 3).
Il calendario liturgico di riferimento è infatti quello della diocesi di Auxerre. Nel tempo, soprattutto in
seguito all’entrata dell’autore nell’Ordine dei Predicatori, l’opera subì un arricchimento, sul piano della
trattazione agiografica, confacente a un pubblico più ampio e culturalmente più attrezzato.
10
Edizione critica a cura di E. Paoli, Firenze 2001. Nato a cavallo fra il XII e il XIII secolo a Trento o
nelle vicinanze del monastero di Novacella, dove ricevette la prima istruzione, Bartolomeo frequentò lo
Studio bolognese ed entrò quindi nell’Ordine dei Predicatori. Svolse diversi incarichi diplomatici e grazie
ai suoi viaggi conobbe sant’Antonio da Padova e Federico II. Seppe destreggiarsi abilmente nelle relazioni
fra papa (nel 1243 fu eletto Innocenzo IV) e imperatore. Oltre alla prima opera, il Liber epilogorum in
gesta sanctorum, redatto nel convento di S. Lorenzo in Trento, compose anche il Liber miraculorum
beate Marie virginis (1246), ennesima raccolta di miracoli mariani. Morì verso la metà del XIII secolo.
Per la biografica cfr. Paoli, Liber epilogorum, cit., xix-xxvii; A. Dondaine, “Barthélémy de Trente o.p.”,
«Archivum Fratrum Praedicatorum» 45, 1975, 79-105; A. Ferrua, s.v. Bartolomeo di Trento, in Dizionario
Biografico degli Italiani, 6, Roma 1964, 1778-1779.
11
Cfr. Vinc. Bellov., Spec. hist. 20, 102 (ed. Duaci 1624, rist. Graz 1965, 815) ~ Ugo Floriac., Hist.
eccl. 5, 1834-1837 (ed. L.M. de Ruiter, Groningen 2016): Hoc ętiam tempore, cathedre Romanae ecclesię
Gelasio papa presidente, facta est inventio criptę sancti Micahelis archangeli in Gargano monte, sub
Zenone imperatore, anno incarnationis dominice quadringentesimo LXX primo. La notizia che pone al 471
la scoperta e dedicazione della grotta garganica è evidentemente errata, perché Zenone divenne imperatore
nel 474, mentre Gelasio I fu eletto papa nel 492, ma il collegamento impossibile fra l’imperatore d’Oriente e
il pontefice romano ha una tradizione che risale già al Liber Pontificalis. Una postilla marginale all’edizione
seicentesca dell’opera di Vincenzo di Beauvais rinvia al Chronicon di Sigeberto di Gembloux (ca. 1030-
1112), opera nella quale l’ascesa al soglio pontificio di Gelasio è erroneamente datata all’anno 487 (PL
160, 92C), ma la notizia dell’inventio si trova solo nel così detto Auctarium Ursicampinum all’opera di
Sigeberto (1151-1200), dove non è però esplicitato alcun collegamento con Gelasio. Al latercolo dell’anno
488 si legge: Hoc tempore facta est inventio cryptae sancti Michaelis archangeli in monte Gargano, unde
et eius memoria singulis annis celebri festivitate in ecclesiis Dei recolitur (PL 160, 402D). Inoltre, la
postilla riportata nella monumentale edizione seicentesca al summenzionato capitolo dello Speculum
historiale risulta tratta di peso da una nota marginale apposta agli Annales Ecclesiastici del Baronio (t.
VI, Romae 1595, c. 480), dove però il cronografo riferiva l’inventio cryptae all’anno 493, corrispondente

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172 aLessandro LaGioia

L’efficacia dell’operazione di sintesi e rimaneggiamento dei vecchi leggendari con-


dotta da Jean de Mailly è comprovata dal suo intervento sulla Memoria garganica. La
leggenda condensata nell’Abbreviatio12 e posta, come in molti leggendari, fra la passio
Cosme et Damiani e la Vita Ieronimi presbyteri, dunque al 29 settembre, riporta all’inizio
due indicazioni – cronica e topica – molto peculiari: Anno Domini CCCxC ultra Romam
iuxta urbem Sepontum in monte Gargano (§ 150). La datazione della prima delle tre ap-
parizioni micaeliche sul Gargano al 390 non risulta attestata da fonti precedenti ed è vero-
simile che dall’Abbreviatio dipenda – come si è ipotizzato – anche l’autore della Legenda
aurea (141, 17)13. Si evince, inoltre, che Jean de Mailly ignorasse l’esatta ubicazione del
promontorio garganico ed è possibile che ne avesse ricavato la vaga localizzazione ul-
tra Romam dalla menzione, nell’Apparitio, dell’ambasceria romana dei Sipontini, inviati
presso la sede papale per ottenere un parere sull’eventuale consacrazione della grotta. Il
testo estrapolato da Jean de Mailly corrisponde quasi integralmente allo scritto originario
(Mem. 2-4 e 6), ma è notevolmente sfrondato di alcuni dettagli, come i riferimenti ai var-
chi d’accesso alla grotta (2, 9), la menzione degli altari (4, 2) e dell’ambasceria sul monte
Soratte (4, 4). Nonostante la sintesi, in diversi casi la versione del Domenicano risulta più
perspicua della fonte stessa14. L’exemplum offerto da questa riscrittura dell’antica leggen-
da rende perciò ragione del successo dell’Abbreviatio, comprovato anche dal considere-
vole numero di testimoni (circa una trentina) che ne tramandano l’opera.
La trattazione della leggenda garganica nel Liber epilogorum di Bartolomeo da
Trento attesta, invece, una conoscenza precisa e aggiornata dei luoghi della Memoria
micaelica (peraltro l’Autore viaggiò molto per incarichi diplomatici), compresa l’in-
formazione dell’agiotoponimo acquisito dalla cittadina medievale sorta intorno al San-
tuario15. Bartolomeo mostra anche di conoscere e utilizzare nel suo resoconto notizie
agiografiche collegate alla Memoria garganica, ma elaborate in epoca più tarda intor-

al secondo del papato di Gelasio, impostosi nella tradizione agiografica come data dell’ultima delle tre
apparizioni narrate nella leggenda: dunque erronea è la glossa marginale che propone Sigeberto come
fonte della sconosciuta datazione fornita dal Baronio.
12
Abbr. 150, ed. cit., 411-412.
13
Agli anni delle apparizioni garganiche ricavabili dalle fonti summenzionate (390, 471, 488, 493) va
aggiunto anche il 506 (ma tre mss. riportano il 536) fornito da un additamentum alla Memoria micaelica
(ed. cit., 135-136; per il relativo commento, 88-90) presente in un gruppo ristretto di testimoni più tardi (XI-
XII), mentre – è bene precisarlo – il testo non presentava in origine alcuna datazione. La tradizione popolare
ha fissato al 490, 492 e 493 le apparizioni di san Michele, collocando in quell’epoca, approssimativamente,
l’approdo sul Gargano del culto micaelico dall’Oriente (dove l’Arcangelo era venerato già dal secolo IV
come taumaturgo, messaggero, psicopompo e liturgo) e collegandolo perciò con il pontificato di Gelasio
I (492-496) e l’incerto vescovato del semi-leggendario Lorenzo, presentato nelle sue due Vitae anonime
(BHL 4790-4791) come originario di Costantinopoli e parente dell’imperatore Zenone (476-491).
14
Cfr. Abbr., ed. cit., 412, § 18: Sic ergo papa et episcopus cum suis uterque civibus ieiunaverunt
deum attente rogantes ut sanctus Michael declararet quis super hoc agi vellet ~ Mem. 4, 5: Hoc ergo – et
tempore imminente – agamus ambo, triduanum cum civibus nostris ieiunium, sanctam Trinitatem rogantes
ut munera, quae per summum suae sedis ministrum conferre dignatus est, ad certum usque finem perducat.
15
Lib. epilog. CCCix, ed. cit., 299: In Apulia est Mons Garganus in mare protensus, ex una parte habens
Sypontum metropolim, ex altera Vastiam civitatem. In cacumine est civitas nunc posita et sancti Angeli
nomine intitulata, in qua est Sancti Michaelis ecclesia, taliter inventa et dedicata.

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daL GarGano aLL’eLiCona: La memoria di san miCheLe fra aGioGrafia ed eLeGia 173

no al personaggio del vescovo di Siponto protagonista delle visioni dell’Arcangelo,


menzionato anonimamente nell’Apparitio e successivamente identificato in Lorenzo di
Siponto. Della sua leggenda agiografica16 è infatti ricordato l’episodio del cavallo indo-
mito consegnato al vescovo17 per metterne alla prova le doti di preveggenza: il presule
ammansì l’equino, sorprendendo e persuadendo della sua sanctitas il feroce re barbaro
che glielo aveva inviato. Quest’ultimo, però, nel resoconto del Domenicano è identifi-
cato con Attila flagellum Dei anziché con Totila, così come nelle due Vitae anonime di
Lorenzo di Siponto. Anche il lavoro di riscrittura di questo frate predicatore offre spunti
interessanti di osservazione sulla ricezione del racconto originario. Il taurus dell’Ap-
paritio è qui ‘aggiornato’ sul piano lessicale e perciò chiamato bubalus, mentre l’epi-
sodio che lo vede protagonista è così riportato: Contigit die quadam bubalum deesse;
quem Garganus querens, invenit assistentem in ore cuiusdam spelunce. Iratus ipsum
sagitta appetiit, que revolans sagittantem percussit. Sauciatus suo episcopo inauditum
narrat eventum. Nel racconto originario Gargano – esauritasi, in termini proppiani, la
sua ‘funzione’ – scompare improvvisamente di scena e non è dato neppure apprendere
della sua fine (morto o ferito dalla freccia?). Evidentemente, la vaghezza del racconto
non risultava soddisfacente nella prospettiva della sua riproposizione nell’ambito della
predicazione popolare. Perciò, nella ricostruzione di fra Bartolomeo il pastore Garga-
no, pur ferito, si rivolge personalmente al vescovo locale per raccontare l’eventus oc-
corsogli. Del resto, questa stessa sovra-interpretazione (o interpretazione del non detto)
era già comparsa non solo in qualche altra testimonianza indiretta dell’Apparitio, ma
perfino in un testimone diretto, solo in questo punto interpolato18. Un’altra variazione
di rilievo si registra in merito alle alleanze nella guerra contro i Napoletani pagani, in
quanto, contrariamente alla versione latina e in accordo invece con quella isolata di una
metafrasi greca della Memoria micaelica19, i Beneventani sono menzionati come alleati
non dei Sipontini, bensì dei Napoletani e, di conseguenza, anche i Beneventani vengo-
no annoverati fra i pagani: iam enim Michael Beneventanos et Neapolitanos vicerat et
iugo supposuerat Christi, sicut in eius legitur Apparitione.

16
BHL 4790-91. Sulla complessa questione relativa alla datazione e ai rapporti fra le due Vitae Laurentii
e di esse con la Memoria garganica rinvio, anche per la bibliografia relativa, alle notizie fornite in Lagioia,
La Memoria, cit., 88-93.
17
Cfr. Lib. epilog. CCCix, ed. cit., 300, ll. 40-45; AA. SS. Febr. 7, 59E, 61E.
18
Rispettivamente, Pseudo-Beda, Homil. subd. 101 (PL 94, 503) e il ms. Chartres, Médiathèque
«L’Apostrophe» (olim Bibliothèque Municipale), Carnutensis 507 (193), saec. X, la cui interpolazione è
trascritta in Lagioia, La Memoria, cit., 47.
19
Ἀποκάλυψις τοῦ ταξιάρχου Μιχαήλ (BHG 1288g), tràdita solo da due codici (Vaticani gr. 866 e
821, rispettivamente della fine del X e della metà dell’XI secolo, riconducibili a un archetipo comune)
ed édita da S. Leanza, “Una versione greca inedita dell’Apparitio S. Michaelis”, «Vetera Christianorum»
22, 291-316. Mentre nella metafrasi greca la notizia dell’alleanza dei Beneventani con i Napoletani
sembrerebbe tendenziosa, essendo la Ἀποκάλυψις riconducibile alla fase successiva alla riconquista
bizantina del Santuario, nel Liber epilogorum tale variazione potrebbe anche essere dovuta a una svista.
Anche la seguente notizia sull’orientamento dei tre altari eretti nella grotta sembra il prodotto della libera
interpretazione di alcuni cenni presenti nel testo: criptam magnam inveniunt cornea silva obtectam, et tria
altaria, quorum duo in australi parte posita, tertium in oriente.

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174 aLessandro LaGioia

Seguendo forse qualche leggendario di area francese, che al testo della Memoria
garganica faceva seguire la più tarda Revelatio ecclesiae sancti Michaelis in Monte
Tumba (degli inizi o della prima metà del IX secolo)20, relativa alla fondazione del san-
tuario di Mont Saint-Michel in Normandia, sia Jean de Mailly sia Bartlomeo da Trento
associano al racconto dell’apparitio garganica quello della revelatio normanna; il se-
condo scrittore fornisce solo qualche informazione succinta, il primo, invece, riporta
un ampio resoconto, al termine del quale tiene anche a precisare che la trasposizione
in tale sede non corrisponde alla successione delle agiografie secondo il calendario
liturgico, nel quale l’apparizione di Mont Saint-Michel è commemorata al 16 ottobre21.
La tradizione medievale della Revelatio in Monte Tumba, leggenda e santuario en-
trambi esemplati sul modello di quelli garganici, risulta in effetti anche più estesa ri-
spetto a quella della più antica Memoria micaelica. Per questa tradizione agiografica,
infatti, alle fonti summenzionate della prima leggenda è possibile aggiungere il De mi-
raculis sanctae Mariae di Potho (Botho) von Prüfening (1105-1170)22, il Collectaneum
exemplorum et visionum Clarevallense (1165-1181)23 e il Tractatus de diversis materiis
praedicabilibus (1250-1261) di Étienne de Bourbon24.
Sulla leggenda originaria della revelatio micaelica fu presto innestata una serie di
altri miracoli, fra i quali il più popolare era quello del salvataggio, operato dalla Ver-
gine o da san Michele, di una donna incinta, la quale rischiava di essere travolta dalla
marea nel passaggio dello stretto, che separa appunto il santuario in periculo maris,
dalla terraferma. Questa leggenda collaterale, presente anche in uno scritto anonimo
(Miracula per beatum Michaelem archangelum patrata in ecclesia que dicitur Tumba)
compreso nel volumen maius delle Historiae Montis Sancti Michaelis25 realizzato pres-

20
Il racconto agiografico della Revelatio o Apparitio in Monte Tumba (BHL 5951), tràdito da una trentina
di manoscritti, che sono quasi tutti di area francese e contengono in molti casi anche l’Apparitio, è stato edito
da J. Stiltingh in AA. SS. Sept. VIII, 76-78 e, più recentemente, da P. Bouet e O. Desbordes, sulla base di un
più ampio numero di testimoni: Chroniques latines du Mont Saint-Michel (IXe-XIIe siècle). Les Manuscrits du
Mont Saint-Michel. Textes fondateurs, 1, Avranches-Caen 2009. Anche quest’opera è anonima e racconta di
un’apparizione angelica occorsa durante il regno di Childeberto III al vescovo di Avranches, un certo Auber-
tus (sul personaggio, cfr. Arnold, The Footprints of Michael, cit., 114-115, 134-136), nella quale san Michele,
mostratosi al presule in sogno, indicò il luogo dove, dopo varie peripezie, questi sarebbe riuscito a fondare la
chiesa in periculo maris. La Revelatio non offre alcuna informazione utile alla datazione della costruzione del
santuario, che una tradizione locale fissa al 709. Il testo, invece, secondo Bouet fu redatto, presso il santuario
o la cattedrale di Avranches, intorno all’820, per ragioni di carattere storico e linguistico. La filiazione gar-
ganica è in questo testo esplicitata dall’agiografo, dal momento che questi esordisce accennando alla prima
manifestatio angelica sul Monte Gargano e citando proprio il documento dell’Apparitio.
21
Abbr. CL, § 31, ed. cit., 413: huius quidem rei memoria licet hic inseratur tamen eius festivitas in loco
predicto XVii die kalendarum novembrium celebratur.
22
Boto Prif., De mir., ms. München, Bayerische Staatsbibl. clm. 2586, fol. 26r sq. Cfr. Liber de miraculis
Mariae 22, 347-350, ed. B. Pez, Viennae 1731 (rist. T.F. Crane, vol. I, Ithaca-London 1925), 25-27.
23
Collect. Clarev. 143, ed. O. Legendre, Turnhout 2005 (CCCM 208), 346-348.
24
Steph. de Borb., Tract. de div. mat. praed. II, 6, 1508-1519, ed. J. Berlioz, Turnhout 2015 (CChCM
124A), 245.
25
Avranches, Bibliothèque Municipale, Abrincensis 211, ff. 38r-40r (De muliere que in medio mari
peperit). Per la descrizione del manoscritto composito, con unità codicologiche che vanno dall’XI al XV

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so lo scriptorium del santuario normanno, ha conosciuto una tale diffusione26, nel corso
del Medioevo, da essere tràdita anche attraverso una versione copta, in particolare in un
manoscritto databile alla fine del sec. XIV, riccamente miniato, con illustrazioni a piena
pagina dei singoli miracoli27.

***

Se la leggenda garganica e quella ad instar Gargani di Mont Saint-Michel hanno


conosciuto una vastissima circolazione attraverso i consueti canali di trasmissione dei
leggendari e della vasta letteratura domenicana, non sono mancati anche taluni episodi
di rielaborazione ed espansione in forma poetica delle prose agiografiche originarie28,
che in genere sono andate invece soggette – come si è riscontrato – a riduzioni e sem-

secolo, cfr. Lagioia, La Memoria, cit., 40. Sulla leggenda cfr. M. Baudot, Caractéristiques du culte de
Saint Michel, in Millénaire monastique du Mont Saint-Michel, III, Paris 1971, 32; C. Bougy, S. Laîné, Le
Roman du Mont-Saint-Michel de Guillaume de Saint-Pair et ses sources latines, in P. Bouet, G. Otranto, A.
Vauchez (a cura di), Culte et pèlerinages à Saint Michel en Occident. Les trois monts dédiés à l’archange.
Actes du Colloque Internationale (Cerisy la Salle, 26-30 Settembre 2000), Roma 2003, 493.
26
Soprattutto in quanto la leggenda della pellegrina incinta è confluita nei repertori di miracoli mariani.
Ad esempio, il ms. di Paris, Bibliothèque Nationale, Parisin. Lat. 12593 (saec. XIII), ne riporta, inserita
fra i Miracula sancte Marie de Hildefonso archiepiscopo, una versione (De muliere gravida super quam in
mediis fluctibus manicam suam protendit, ff. 169r-170r) nella quale, forse dinanzi alla duplice versione tràdita
del salvataggio miracoloso, l’estensore accenna all’invocazione, da parte della donna, dell’aiuto sia della
Vergine sia dell’Arcangelo. Ma l’intervento salvifico della Madonna è rimarcato nella sua superiorità rispetto
alle prerogative angeliche (f. 169v): absente humano auxilio, recucurrit ad divinum, Deum lacrimabili
voce invocans et eius genitricem Mariam sanctumque Michaelem archangelum. Populusque omnis ad hoc
spectaculum consistens, geminas manus ad sydera tendens Deique eius misericordissimae matris Mariae
auxilium flebiliter invocabant. Universis igitur adiutorium Christi ipsius implorantibus, advenit Domina
nostra, genitrix Dei semperque virgo Maria, ultra angelicam et humanam misericordiam pia, et, ueluti ipsi
mulieri videbatur, manica super eam proiecta, ita intactam a terrisono impetu maris reddidit, ut nec minima
etiam gutta totius abyssi vestimenta illius contingeret. Ibi igitur, quasi in tutissimo habitaculo posita, peperit
filium sine timore, illic permanens, donec iterum mare, suos fluctus in se retrahens, liberum iter eundi mulieri
preberet. Cfr. A. Poncelet, “Miraculorum B.V. Mariae quae saec. VI-XV Latine conscripta sunt index postea
perficiendus”, «Analecta Bollandiana» 21, 1902, 241-360, nr. 811; 1209. Il testo coincide, salvo qualche
variante, con quello del miracolo De quadam muliere quae liberata est per beatam Mariam a periculo maris,
edito sulla base del codex Pilarensis (Zaragoza, Biblioteca Capitular y Biblioteca de La Seo, 879, saec.
XIII) da M.P. Cuartero Sancho e T. Domingo Pérez, in T.D. Pérez (ed.), Miracula Beatae Mariae Virginis.
Colección latina medieval de milagros marianos en un “Codex Pilarensis” de la Biblioteca Capitular de
Zaragoza, Zaragoza 1993, 218-221. Per lo stesso testo cfr. pure, fra le numerose compilazioni medievali
di miracula mariani, il ms. di København, Kongelige Bibliotek, Thott 128, edito da A. e M.F. Carrera de la
Red, Miracula Beate Marie Virginis (Ms. Thott 128 de Copenhague). Una fuente paralela a los Milagros De
Nuestra Señora de Gonzalo de Berceo, Logroño 2000, 228-233.
27
Il testo copto è stato edito sulla base di due testimoni (il più antico, Lady Meux Manuscripts nr. 2, è
datato alla fine del XIV-inizi del XV secolo), con traduzione inglese e riproduzione delle sue miniature di
grandi dimensioni, da E.A. Wallis Budge, Legends of the Blessed Virgin Mary, and the Life of Hannâ (Saint
Anne), and the Magical Prayers of ‘Ahĕta Mîkâêl, London 1909, 91-94.
28
Uno studio sulle rappresentazioni letterarie di san Michele nella produzione dell’Italia centro-
settentrionale per il periodo corrispondente a quello preso qui in esame si deve a C. Sereno, La
rappresentazione letteraria dell’arcangelo nei testi dell’Italia centro-settentrionale (XI-XV sec.), in P.
Bouet, G. Otranto et alii (a cura di), Rappresentazioni del Monte e dell’Arcangelo san Michele nella
letteratura e nelle arti, Bari 2011, 73-91. Tuttavia, a parte l’analisi iniziale di Dante, Inf. IX, 64-105,

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176 aLessandro LaGioia

plificazioni stilistiche e lessicali, in particolare il testo della Memoria, più antico e più
complesso sul piano formale rispetto alla Revelatio. Più nota e indagata è la versione
poetica dell’Apparitio fornita da Flodoardo di Reims (893/894-966)29 nell’ultimo libro
del suo esteso poema agiografico De triumphis Christi30, la cui sezione più ampia, che
occupa ben quattordici dei diciannove libri complessivi, è dedicata alle manifestazioni
gloriose della religione cristiana attraverso le vite di santi e presuli della Chiesa d’Italia.
I settantasette esametri De sancto Michaele archangelo fissano la leggenda garganica
in una narrazione stringata ma completa, la cui esegesi è invero più perspicua al lettore
che abbia a disposizione l’ipotesto agiografico in prosa, non per la complessità sintatti-
ca, ma per l’essenzialità e la cifra stilistica del dettato poetico. Prova ne è il ms. Paris,
Bibliothèque de l’Arsenal 933, un codice composito, che nell’unità più antica (saec.
X) riporta una sezione del De triumphis apud Italiam (5, 182-14,1648) con glosse mar-
ginali ai versi di Flodoardo, su cui ha recentemente richiamato l’attenzione Francesca
Sivo31, in quanto utili alla corretta interpretazione di alcuni termini. Flodoardo dovette
utilizzare un manoscritto risalente all’epoca dei più antichi testimoni a noi pervenuti
della Memoria micaelica, ma è alquanto ardua l’individuazione di un codice affine sulla
base delle lezioni attestate dalla versione poetica32. Non mi soffermo analiticamente sul

sono esaminati gli attributi e gli ambiti propri delle rappresentazioni di san Michele in testi di carattere
eminentemente storico-agiografico.
29
Per la biografia di questo monaco benedettino, storico e poeta educato nella scuola cattedrale di
Reims, di cui divenne canonico e archivista, rinvio alle indicazioni bibliografiche fornite da F. Contini, s.v.
Flodoardus, in C.A.L.M.A., III/3, Firenze 2010, 357. Oltre al De triumphis Christi scrisse una storia ben
documentata della Chiesa di Reims, e degli Annales dall’anno 919 fino alla sua morte.
30
La composizione di questa terza sezione, che si aggiunge ai più sintetici quadri De triumphis Christi
sanctorumque Palestinae (3 ll.) e De triumphis Christi Antiochiae gestis (2 ll.), rispettivamente dedicate a
santi, dottori della Chiesa e vescovi di Gerusalemme e Antiochia, si ritiene contestuale o successiva a un
viaggio in Italia di Flodoardo, durante il pontificato di Leone VII (936-939). Su quest’opera in particolare
è fondamentale il lavoro di P.Ch. Jacobsen, Flodoard von Reims. Sein Leben und seine Dichtung De
triumphis Christi, Leiden-Köln 1978. Allo studioso tedesco si devono anche i principali studi sulla
tradizione manoscritta dell’imponente poema, riassunti nella scheda in P. Chiesa, L. Castaldi (a cura di),
La trasmissione dei testi latini del Medioevo. Mediaeval Latin Texts and their Transmission, TE.TRA., I,
Firenze 2004, 131-133. Jacobsen è da tempo impegnato nell’allestimento di una nuova edizione critica, ma
attualmente per il testo occorre far riferimento, in gran parte, all’edizione ottocentesca del Migne (PL 135,
491-886). Parziale e difficilmente reperibile, infatti, è l’edizione di D. Muzerelle, Flodoard, De triumphis
Christi apud Italiam: étude des sources, édition des livres I-IV et XII [Positions des thèses de l’Ècole des
chartes], Paris 1969.
31
Di imminente pubblicazione è una monografia della studiosa dedicata proprio all’edizione e analisi
delle postille relative al carme agiografico su san Michele (Il carme De sancto Michaele Archangelo di
Flodoardo di Reims, Foggia-Campobasso 2018) le quali, alla luce di una esegesi più corretta dei versi di
Flodoardo, consentono di migliorare in diversi punti l’edizione del Migne.
32
Jacobsen (Flodoard von Reims, cit., 193, n. 33) segnalò, forse indotto soprattutto dalla provenienza,
un possibile impiego del ms. di Reims, Bibliothèque d’Etude et du Patrimoine (olim Bibliothèque
Municipale) 1405 (K. 785), passionario del sec. X, epoca in cui la leggenda garganica era già abbastanza
diffusa. Ma si tratta di un codice che riporta solo una versione parziale della Memoria micaelica (ff.
42r-43r, fino al § 3), peraltro affine a quella di altri testimoni antichi (cfr. Lagioia, La Memoria, cit., 80),
nel quale, inoltre, qualche significativa omissione (Mem. 3, 5: crebra dopo fulgura, che è ripreso invece da
Flodoardo) porta a escludere un legame diretto con il De triumphis Christi.

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contenuto33, ma è qui opportuno rilevare che, al di là delle differenze di lingua e di stile


che intercorrono fra la prosa agiografica e la riscrittura poetica (come naturale, del resto,
è ravvisabile una cifra più elevata e classicheggiante, propria della Dichtersprache), Flo-
doardo si mostra il più possibile aderente alla fonte utilizzata e la amplifica solo nei punti
in cui esalta, in linea con l’intentio poetica, l’azione e la potenza della virtù angelica34.
Dopo l’esercizio poetico di Flodoardo non sono attestate altre forme di versificazione
della leggenda agiografica assimilabili alla sperimentazione inaugurata dal canonico di
Reims. Per ritrovare un’analoga tipologia di genere occorre spostare l’asse cronologico sul-
la produzione latina umanistica, perché nel contesto dell’ampia ricezione, fra le altre opere
ovidiane, dei Fasti come modello letterario e artistico nel secondo Quattrocento, si colloca-
no anche dei poemi elegiaci, talora di ampia estensione, nei quali la produzione agiografica
medievale trovò un nuovo alveo di canalizzazione: i fasti Christiani35. Questo particolare
genere letterario favorì la rivitalizzazione delle vitae sanctorum e passiones medievali anche
in ambienti e circoli letterari laici, o non strettamente connessi, come nei secoli XII-XIV, alle
istanze della formazione e della parenesi religiosa. Si tratta di un filone poetico che fu pro-
babilmente stimolato e comunque s’impose contestualmente alla produzione di nuovi com-
menti umanistici ai Fasti di Ovidio, che ebbe un centro propulsore nell’Accademia Pompo-
niana. Ad essa sono legati i nomi di due esegeti del poema ovidiano, Paolo Marsi da Pescina
(1440-1484), il quale pubblicò il suo commento a Venezia nel 1482, e Antonio Costanzi da
Fano (1436-1490), allievo di Guarino Veronese a Ferrara, che entrò in polemica con il Marsi
sulla questione della priorità dei rispettivi lavori. Anche l’attività di cristianizzazione e ri-se-

33
I versi De sancto Michaele di Flodoardo sono già stati oggetto di alcune indagini. La prima, con
qualche fraintendimento del testo imputabile in parte alla constitutio dell’ed. Migne, risale alla monografia
di A. Petrucci (L’unico eletto fra tutti gli altri monti, Foggia 1954), autore anche di una traduzione italiana;
per studi più recenti, cfr. G. Massimo, Considerazioni su Flodoardo di Reims, De Triumphis Christi,
XIV, I (De Sancto Michaele Archangelo), in A. Gravina (a cura di), Atti del 27° Convegno nazionale
sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia (San Severo, 25-26 novembre 2006), San Severo 2007,
123-138; F. Sivo, Tra mito, letteratura e storia. Immagini della Puglia tra Antichità e Medioevo, in F. De
Martino (a cura di), Puglia mitica, Bari 2012, 445-524; Ead., “Decorant testudine marmor. Ancora sul
(presunto) viaggio di Flodoardo di Reims a Monte Sant’Angelo”, «Itineraria» 11, 51-72.
34
Cfr. PL 135, 853-854, v. 13: Qui colat electum reliquis prae montibus unum; 20: Pontifici assistens
dubiis archangelus aegro; 32-33: rem replicant, expertaque fulmina tractant, / prostratos recitant, Christi
praeconia pangunt, / Numen magnificant.
35
Sulla circolazione manoscritta dei Fasti nel Medioevo e il primo ampio commento, quello del
grammaticus Arnolfo d’Orléans (ca. 1170), cfr. J.-Y. Tilliette, Ovide lu par un «antiquaire» médiéval:
le commentaire aux Fastes d’Arnoul d’Orléans, in A. Faems, V. Minet-Mahy, C. Van Coolput-Storms
(éd. par), Les translations d’Ovide au Moyen Âge, Louvain-la-Neuve 2011, 3-16. Sulla ricezione dei
Fasti a partire dai primi commentari dell’aetas Ovidiana, uno studio fondamentale è quello di A. Fritsen,
Antiquarian Voices. The Roman Academy and the Commentary Tradition on Ovid’s Fasti, Columbus 2015.
Al genere e agli autori di fasti Christiani ha dedicato diversi contributi J.M. Miller: “Ovid’s Fasti and the
Neo-Latin Christian Calendar Poem”, «International Journal of the Classical tradition» 10, 2003, 173-186;
I Sacri Fasti di Ambrogio Novidio Fracco in conversazione con i Fasti di Ovidio, in G. La Bua (a cura di),
Vates operose dierum. Studi sui Fasti di Ovidio, Roma 2010, 198-209; Ovid’s Janus and the Start of the
Year in Renaissance Fasti Sacri, in P. Mack, J. North (ed. by), The Afterlife of Ovid, London 2015, 81-93;
cfr. pure M. Kilgour, The Poetics of Time: the Fasti in the Renaissance, in J.F. Miller, C. Newlands (ed.
by), A Handbook to the Reception of Ovid, Malden 2014, 217-228.

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178 aLessandro LaGioia

mantizzazione dell’intero calendario poetico pagano nelle forme dei fasti Christiani ebbe i
suoi primi rappresentanti in due umanisti e poeti, Lorenzo Bonincontri (1410-?1491) e Lu-
dovico Lazzarelli (1450-1500), rispettivamente legati all’Accademia Pontaniana il primo36 e
ai circoli umanistici napoletani e romani il secondo37. Il genere fu coltivato anche nel secolo
successivo, nel quale si segnalano i Sacrorum fastorum libri (1547) di Ambrogio Fracco38 e
i Fasti (edizione postuma nel 1554) del cremonese Girolamo Chiaravacci39.

36
Soldato di ventura, filosofo, astrologo e poeta, Bonincontri rappresenta una figura interessante sia per la
versatilità della sua cultura, tipicamente influenzata dagli interessi dell’epoca per l’astrologia come scienza, sia
per la sua vita avventurosa. Esule da Firenze nel 1432 per motivi politici, trovò ospitalità presso l’imperatore
Sigismondo, poi presso Francesco Sforza e quindi alla corte di Alfonso d’Aragona a Napoli, dove visse fino
al 1475, stringendo rapporti col Pontano e il Panormita. Tornato a Firenze nel 1475 ottenne la cattedra di
astrologia, insegnamento che trasferì nello Studio romano dopo la congiura dei Pazzi, passando al servizio di
Sisto IV. Nel 1484 fu insignito del lauro poetico e, anche per compiacere il papa che lo aveva accolto, negli
ultimi anni della sua vita si dedicò alla composizione dei Fasti (o Dierum solemnium Christianae religionis
libri IV) terminati nel nome del suo ultimo protettore Giuliano Della Rovere. Il suo interesse dominante
per l’astrologia traspare anche in altri due poemi in esametri, di tre libri ciascuno, i Rerum naturalium libri
ad Laurentium Mediceum e De rebus coelestibus ad Ferdinandum Aragonium, ai quali attese durante il
soggiorno napoletano. Per la biografia, cfr. C. Grayson, s.v. Bonincontri, Lorenzo, in Dizionario Biografico
degli Italiani, 12, Roma 1970, 209-211; L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, IV, New
York 19532, 405-412; B. Soldati, La poesia astrologica del Quattrocento, Firenze 1906, capp. II-III, 105-198.
37
Le notizie biografiche provengono principalmente dalla Vita Lodovici Lazarelli Septempedani poetae
laureati per Philippum fratrem eiusdem ad Angelum Colotium, Sanseverino Marche, Biblioteca Comunale F.
Antolisei, ms. 3, ff. 1-21, su cui cfr. C. Corfiati, La Laurea di Ludovico Lazzarelli, in M. De Nichilo, G. Distaso,
A. Iurilli, Confini dell’Umanesimo letterario. Studi in onore di Francesco Tateo, Roma 2003, 337-388. Nato a
Sanseverino, il poeta, filosofo, alchimista e cabalista ebbe come maestro Giorgio Merula e visse come segretario
o istitutore presso varie famiglie marchigiane. Nel 1469 fu coronato poeta da Federico III. Compose, dedicandolo
a Federico da Montefeltro, il De gentilium deorum imaginibus, che costituisce una delle prime testimonianze
della diffusione dei ‘Tarocchi del Mantegna’; un Carmen bucolicum, composto da dieci egloghe di soggetto
sacro, dedicate ai principali misteri della vita di Cristo; Bombyx, poemetto didascalico sul baco da seta e sulla
sua simbologia cristiana; alcune traduzioni dal greco di scritti ermetici. Nell’ambito del progetto di “Edizione
nazionale delle opere di Ludovico Lazzarelli” è stato finora pubblicato il primo volume, contenente il corpus
delle Opere ermetiche, a cura di C. Moreschini, M.P. Saci, F. Troncarelli, Pisa-Roma 2009. Dei Fasti Christianae
religionis è prevista una nuova edizione rispetto alla princeps, a cura di M. Bertolini, Napoli 1991. Per le edizioni
delle altre opere si veda G. Arbizzoni, s.v. Lazzarelli, Ludovico, in Dizionario Biografico degli Italiani, 64, Roma
2005, 180-184. Fra gli studi si segnalano per importanza: P.O. Kristeller, Marsilio Ficino e Ludovico Lazzarelli.
Contributo alla diffusione delle idee ermetiche nel Rinascimento, in Id., Studies in Renaissance Thought and
Letters, I, Roma 1956, 221-247; M.P. Saci, Ludovico Lazzarelli, un Ovidio cristiano, in V. De Caprio, C. Ranieri
(a cura di), Presenze eterodosse nel viterbese tra Quattro e Cinquecento. Atti del Convegno Internazionale (2-3
dicembre 1996), Roma 2000, 27-62; Ead., Ludovico Lazzarelli da Elicona a Sion, Roma 1999.
38
Originario di Ferentino, dove nacque intorno al 1480, Fracco assunse l’appellativo di Novidius
in omaggio all’auctor classico dal quale trasse l’ispirazione per alcune epistole amorose esemplate sul
modello delle Heroides e per i dodici libri dei suoi Fasti sacri, coi quali s’illudeva di consegnare il proprio
nome alla posterità. Ebbe una formazione umanistica in Terra di Campania e Marittima e abbracciò la vita
ecclesiastica. A Roma svolse incarichi minori alle dipendenze di esponenti del clero ed esercitò forse il
mestiere di maestro per vivere. Il termine post quem per la data di morte è fornito dall’edizione stessa dei
Sacrorum fastorum libri XII cum Romanis consuetudinibus per totum annum, suisque causis, ac stellis, et
numinum nostrum introductionibus (Romae, apud M. Antonium Bladum Asulanum, 1547). Per le scarse
notizie biografiche cfr. F. Pignatti, s.v. Fracco, Ambrogio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 49, Roma
1997, 566-567. Sull’opera e il modello classico, cfr. Miller, I Sacri Fasti, cit., 198-209.
39
Le notizie della sua vita si ricavano principalmente dai cenni autobiografici contenuti nei suoi
Fasti. Studiò i classici e la tradizione biblica ed ebbe contatti con gli ambienti ecclesiastici della sua città,
Pizzighettone, e della vicina Cremona. Negli ozi piceleonesi compose il suo poema in dodici libri, che fu

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La materia sacra in questo filone elegiaco è riproposta secondo moduli classici,


per lo più virgiliani e ovidiani, ma l’accuratezza e il ritmo talora anche facile della
versificazione non riescono, in genere, a evitare la monotonia della trattazione ezio-
logica-edificante. Tenendo conto che la base comune della versificazione è tratta dai
vecchi leggendari e martirologi coordinati con il calendario delle festività, i diversi
autori che si misurarono con siffatto materiale, poeticamente arido, raggiunsero risul-
tati sostanzialmente simili e impersonali sul piano della trattazione, analoghi – mutatis
modis – a quelli già riscontrati nelle varie abbreviationes agiografiche dei predicatori,
dove i prodotti risultano differenziati soprattutto nella misura di una maggiore o minore
istanza compendiaria.
In questo contributo mi limiterò a indagare la fortuna della Memoria garganica nel
sottogenere dei fasti sacri, soffermando l’attenzione su quelle versioni metriche che
presentano scarti significativi rispetto al modello agiografico e alle altre versificazioni
della stessa leggenda. Raramente, infatti, i poeti riuscirono a variare il contenuto della
narrazione agiografica con spunti originali, a infondervi uno slancio poetico o a comu-
nicare qualche espressione commossa di fede.
La produzione dei primi due autori in ordine cronologico, Bonincontri e Lazzarelli,
risulta accomunata non solo dagli interessi astrologici e dai generi letterari coltivati, ma
anche dai destinatari ai quali, entrambi in cerca di un valido patrono, intitolarono i loro
scritti, con la speranza di fama e sostentamento. A Sisto IV Lazzarelli dedicò la prima
redazione dei Fasti Christianae religionis, composti fra il 1475 e il 1480 e per lo stesso
pontefice, solo quattro anni più tardi, Bonincontri intraprese la stesura dei suoi Fasti
Christiani; di essi, però, il destinatario non poté forse apprezzare neppure qualche sag-
gio poetico a causa della propria morte, intervenuta in quello stesso anno (1484). Nel
1491, a lavoro ultimato, Bonincontri dovette ripiegare sulla dedica40 al nipote paterno
del defunto pontefice, Giuliano della Rovere, allora un potente cardinale destinato a
raggiungere anch’egli il soglio pontificio (col nome di Giulio II) quando, però, il poeta
toscano era già morto e, forse, in povertà. L’atteggiamento dell’umile poeta di corte, bi-
sognoso in primo luogo di sostentamento, traspare in tutta la sua penosa evidenza dalle
sezioni dedicatorie e proemiali di entrambe le composizioni41. Lazzarelli, forse deluso

pubblicato postumo da amici e parenti: Hieronymi Claravacaei Cremonensis ad Paulum III Pont. Max.
Fastorum libri XII, Mediolani, Apud Franciscum et Simonem Moschenios Fratres, 1554. Per le notizie
biografiche cfr. R. Ricciardi, s.v. Chiaravacci, Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 24, Roma
1980, 549-551.
40
Fu stampata a Roma nel 1491 da S. Planck col seguente titolo: Laurentii Bonincontri Miniatensis
Dierum Solennium Christianę Religionis, Ad R. in Christo patrem et dominum Iulianum Episcopum
Hostiensem et Cardinalem Tituli sancti Petri ad Vincula. Ho utilizzato una riproduzione dell’esemplare a
stampa (IGI 1993) custodito presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco.
41
Nell’invocazione iniziale Lazzarelli si rivolge alla Musa Talia (Fasti, ed. Bertolini, cit., 55-56)
pregandola di raggiungere il nobile e misericordioso destinatario (v. 9: Vade humilis…), con l’augurio
che questi possa mutare le sue sorti e con l’aggiunta di una patetica, benché topica, riflessione: vv. 13-
15: Frustula de mensis dominorum elapsa catelli / Depascunt: liceat carpere et illa mihi. / Illius hinc
claro nuper sub nomine scriptum est. Risponde la Musa con una serie di topoi, solo ‘aggiornati’ rispetto

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nelle aspettative inizialmente riposte nel papa o, più probabilmente, nella prospettiva
di migliori opportunità personali, a distanza di soli due anni dalla prima stesura dell’o-
pera42, approntò una nuova redazione con dedica a Ferdinando d’Aragona, lo stesso so-
vrano al quale Bonincontri aveva dedicato un poema astrologico, De rebus coelestibus
(1472-75), non privo di contenuti agiografici e teologici. A questa seconda intitolazione
seguì, a breve distanza, anche una dedica congiunta al sovrano d’Aragona e al figlio
Alfonso duca di Calabria. Non sappiamo se l’opera fu effettivamente presentata al re
di Napoli e al suo futuro successore. Ma è possibile che il poeta Septempedanus non ne
ottenesse ancora una volta il riconoscimento a cui aspirava, dal momento che non perse
occasione per riattare una terza redazione (non prima del 1494) con dedica, questa vol-
ta, al re di Francia Carlo VIII, anch’essa fatalmente vanificata dal fallimento dell’im-
presa italiana del sovrano. In questa praefatio seriore si coglie, fra le righe, una certa
dose d’amarezza del Lazzarelli per lo scarso riconoscimento tributato al suo impegno
poetico43, che evidentemente non sentiva affatto pari alla lode che credeva di meritare
anche per la novità del genere sperimentato, del quale si dichiara con convinzione un
sorta di πρώτος εὐρετής44. Non è improbabile, del resto, che l’umanista non conoscesse
il De triumphis Christi di Flodoardo, mentre interessante sarebbe ricostruire eventuali
relazioni con il più anziano Bonincontri e con i suoi Fasti, che all’epoca della redazio-
ne per Carlo VIII erano già stati pubblicati. L’esame dei rispettivi versi dedicati alla
commemorazione di san Michele fanno propendere per una completa indipendenza
nella trattazione della materia agiografica. Quella di Bonincontri è, più propriamente,
una preghiera all’Arcangelo, nella quale non è possibile cogliere un’eco precisa della
Memoria garganica:

al repertorio classico (ad esempio, il motivo delle chartae poetiche che finiscono come imballaggio di
pesci o spezie al mercato è variato con un’altra destinazione: vv. 19-20: aut tua tandem / Charta puellares
vestiet apta colos). Finalmente persuasa dal poeta, la Musa si rivolge a Sisto IV in termini non privi,
forse, di una punta d’ironica consapevolezza dell’inopportunità di una richiesta inoltrata al papa proprio
da una musa: vv. 51-52: Lazarellus inops vates est carminis auctor / Quem tibi commendo, si mea verba
valent. Al destinatario dei suoi Fasti Bonincontri ormai ottuagenario si rivolge, invece, con una epistola
dedicatoria dai toni meno patetici, nella quale tuttavia egli non manca di esprimere il rammarico per il
vano impegno poetico intrapreso (Deplorabam propterea eius mortem videbamque meas lucubrationes in
irritum corruisse totque labores frustra susceptos) e invoca infine l’indulgenza di Giuliano per i limiti e i
difetti del lavoro, determinati dall’età avanzata e dal proprio stato d’indigenza (oro Amplitudinem tuam ut
laboribus meis et rei familiaris inopię et ętati decrepitę indulgeat).
42
Mi attengo alla ricostruzione cronologia di Bertolini, Fasti, ed. cit., 26, 30-31.
43
Fasti, ed. cit., 44, ll. 115-120: Quidam enim Christianum opus considerantes, summo Pontifici
dicandum esse censebant, quidam vero, ut quemque sua trahebat affectio, alicui ex Ausoniae principibus
adiudicabant; nonnulli autem Ausonidum principum avaritiam et exiguum, immo fere nullum, in bonas
artes favorem criminantes, me Italiae fines egredi adhortabantur.
44
Cfr. Fasti, ed. cit., 42, ll. 40-44: inflatus enim quodam spiritu impellebar … considerabamque…
magnificum subiectum aliqua laude dignum apud posteros fore; 44, ll. 107-108: qui primus ante eum iter
sternens, campum aperui, ut meis potiora experiatur. Lazzarelli attribuisce un intento didascalico al suo
poema, che sembra comprendere anche un possibile impiego didattico (42, ll. 56-58: non temere existimavi
me non parum emolumenti his allaturum, qui res Christianas aut discere, aut docere voluerint).

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daL GarGano aLL’eLiCona: La memoria di san miCheLe fra aGioGrafia ed eLeGia 181

Septembris fini Michael properaverat almus


[…]
Tempore lanigeras hoc altis montibus agnas
Eice sub calidis pascua quęre locis.
Incipit albentes campos costringere bruma.
Nocte gelu domibus sit pecus omne tuum.
Angelus hic domini custos fortisque tribunus
Hostibus eiectis incolit astra poli
Et peragit mandata dei solioque superno
Aspectat quicquid non pia turba facit
Hisque bonis praesto est, salvat quoque crimine ab omni
Nos iuvat et lapsis fortiter addit opem.
Protege nos ima telluris parte locatos
Vt liceat superas nos penetrare vias
Nec tamen interea nos desere sancte precamur
Angele, sed meritis hoc face magne tuis.

Il riferimento all’intervento di san Michele in battaglia per ristabilire la giustizia


rientra nelle sue prerogative consuete, così come il ruolo di angelo custode. Neppure
la menzione iniziale delle greggi e degli alti monti può considerarsi in rapporto diretto
con la leggenda garganica. Riveste però un grande interesse nella misura in cui attesta
come ben radicato il nesso fra il dies festus dell’Arcangelo e l’avvio della transumanza
invernale. È storicamente rilevante, infatti, che proprio con l’istituzione della Regia
Dogana aragonese della Mena delle pecore (nel 1447 sotto il re Alfonso I), il 29 set-
tembre fu assunto come data ufficiale per l’accesso ai tratturi e ai pascoli nelle regioni
meridionali dove era in uso il sistema fiscale del pagamento della fida45.
Di ben più vasto respiro, originale e interessante dal punto di vista anche delle fonti
impiegate è la versificazione della leggenda micaelica di Lazzarelli. Un campo d’inda-
gine che meriterebbe di essere specificamente indagato, in merito all’opera di questo
autore, è quello dei materiali agiografici ch’egli utilizzò nei suoi Fasti Christianae re-
ligionis. Per la sezione relativa alla leggenda garganica è possibile innanzitutto consta-
tare che all’epoca della stesura dei Fasti era solo da qualche anno disponibile una ver-

45
Sulle due festività micaeliche – 8 maggio e 29 settembre – come date tradizionali e poi ufficiali
d’inizio della transumanza estiva e invernale cfr. M.A. De Pascale, Da S. Michele a S. Michele: l’anno
doganale, in Giornate internazionali di studio sulla transumanza. Atti del convegno (L’Aquila, Sulmona,
Campobasso, Foggia, 4-7 novembre 1984), L’Aquila 1990, 415-420; M. Villani, S. Matteo sul Gargano e
i transumanti, in L. Carnevale, C. Cremonesi (a cura di), Spazi e percorsi sacri. I santuari, le vie, i corpi,
Padova 2014, 287-299. I pastori che con le loro greggi si muovevano dagli Abruzzi e dal Molise per
svernare nel Tavoliere erano soliti fermarsi a Monte Sant’Angelo per invocarne la protezione, così come
facevano tappa al Santuario, in segno di ringraziamento e devozione, prima di far ritorno ai loro paesi
d’origine e ai pascoli montani estivi. Sui santuari micaelici legati alla transumanza cfr. pure M. Sensi,
Santuari e culto di S. Michele nell’Italia centrale, in P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez (a cura di), Culto
e santuari di san Michele nell’Europa medievale. Culte et sanctuaires de saint Michel dans l’Europe
médiévale. Atti del Congresso Internazionale (Bari-Monte Sant’Angelo, 5-8 aprile 2006), Bari 2007, 241-
278 (250-261).

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sione a stampa della Memoria sancti Michaelis, dal momento che editio princeps deve
considerarsi quella all’interno del Sanctuarium seu Vitae sanctorum di Bonino Mom-
brizio46. Ma la sua collocazione nei Fasti alla data dell’8 maggio47, fra l’agiografia di
san Giovanni ante Portam Latinam (che si celebra il 6 maggio) e la passio SS. Gordiani
et Epimachi (10 maggio), fa ipotizzare che l’umanista abbia utilizzato un leggendario
manoscritto affine al Sessorianus 5 (saec. XI ex.)48, uno dei pochi testimoni dell’Appa-
ritio in cui la leggenda garganica, con tale successione delle agiografie, è riferita all’8
maggio (dies festus proprio della tradizione meridionale di matrice longobarda) e non
posta al 29 settembre (in corrispondenza della più celebre festività di san Michele).
Un altro aspetto preliminare, degno di rilievo nel piano compositivo dell’opera, è che
la trattazione dell’agiografia micaelica subì nel tempo una significativa evoluzione,
a livello redazionale, principalmente in funzione delle opportunità contingenti. Nella
prima stesura, infatti, il ricordo poetico di tale festività è pressoché circoscritto al sesto
libro e all’8 maggio49. È quanto attesta il manoscritto autografo Vaticanus Lat. 2853
(saec. XV ex. = V), che riproduce il più antico stadio redazionale dell’opera di Lazza-
relli, continuamente sottoposta a revisione e ampliamento nell’arco della sua vita. In
V all’inizio del racconto una postilla marginale inedita di mano dell’Autore50 fornisce
anche la cronotassi della inventio della grotta-basilica del Gargano, datata all’epoca del
pontificato di Gelasio I e all’anno 501 o 506 (non è chiaramente leggibile). La notizia
corrisponde al contenuto dell’additamentum alla Memoria micaelica51, dal quale anche
Lazzarelli potrebbe aver attinto la sua annotazione, sebbene all’anno indicato Gelasio
I papa (492-496) fosse già morto. Rispetto a questo e ai successivi stadi redazionali
dell’opera, nel manoscritto Septempedanus 207 della Biblioteca Comunale di San Se-
verino Marche (S), che contiene la redazione più recente con la dedica a Carlo VIII, si
legge in primo luogo, per la commemorazione di san Michele, un breve argumentum
proemiale al sesto libro, nel quale il capo delle milizie celesti, il victor Gargani in mon-

46
Sanctuarium seu Vitae sanctorum, novam hanc editionem curaverunt duo monachi Solesmenses [ed.
F.A. Brunet], I-II, Parisiis 1910 (rist. anast. Hildesheim 1979). L’Apparitio è nel vol. I, 389-391. Anche
se l’editio princeps della raccolta del Mombricius non reca l’anno di stampa, secondo indagini più recenti
(cfr. S. Spanò Martinelli, s.v. Mombrizio, Bonino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 75, Roma 2011,
471-475) è da ritenersi anteriore all’anno 1478 (certamente al 1480).
47
Fasti 6, 465-467, ed. cit., 237: Transierint nonae, quae Maias altera nonas / Prosequitur, Michael,
lux tibi festa datur.
48
Per la descrizione del manoscritto, d’incerta provenienza, cfr. Lagioia, La Memoria, cit., 58.
49
Al 29 settembre, invece, nel decimo libro dei Fasti il ricordo del dies festus di san Michele (ed.
cit., 435, vv. 959-964: Haec tibi lux Michael, quae dicta ‘dicatio’, festa est, / Cum tibi Gargano templa
sacrata iugo. / Mense tibi Maio cecini praeconia laudum, / Quae mihi vel tempus, vel sacra Musa dedit. /
Nunc tantum solvam supplex mea vota precando / Pro me, pro sancta relligione pavens) è il pretesto per
un’invocazione dell’aiuto dell’Arcangelo e per un lungo e appassionato appello rivolto ai sovrani italiani
e stranieri per unirsi tutti nella lotta contro i Turchi (vv. 959-1284).
50
Vat. Lat. 2853, fol. 90v: tempore Gelasii primi Romani pontificis facta est inventio sancti Michaelis
in monte Gargano anno domini 501 (vel 506).
51
Cfr., supra, n. 13.

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te – peraltro reminiscenza virgiliana52 – è associato al vincitore re Carlo, ma al ricordo


dell’apparizione garganica è aggiunta, assai opportunamente, quella francese presso
Monte Saint-Michel (Tūmba > Tŭba), vv. 5-8:

Apparet victor Gargani in monte Michael.


Hic te victorem, Carole, victor agat.
Atque Tuba veluti regem te monte recepit,
Gargani regem te foveatque iugo.

Nel ms. Septempedanus è poi riportata una ben più ampia aggiunta ‘micaelica’
nell’undicesimo libro dei Fasti e, precisamente, in corrispondenza della festività di san
Michele in Normandia (16 ottobre): ai vv. 371-454 è trasformata in distici l’agiografia
tratta dalla Revelatio in monte Tumba, con relative espansioni miracolistiche (la sum-
menzionata leggenda della donna che partorisce in periculo maris). Tale commemo-
razione in omaggio al re francese disceso in Italia è del resto esplicitata, nella sezione
finale di questi versi dell’undicesimo libro, dall’augurio di espansione del regno rivolto
a Carlo VIII53. Sia l’apparitio garganica sia la revelatio normanna si prestavano, in
effetti, a una serie di analogie e allusioni sfruttabili a fini encomiastici. Nella prima, in
particolare, l’Arcangelo, vincitore sui Napoletani pagani, poteva facilmente rievocare
la figura del victor Carolus che, calato in Italia per rivendicare l’eredità angioina, il 22
febbraio 1495 conquistò Napoli scacciando Ferdinando II. La sua discesa in Italia è
ampiamente celebrata da Lazzarelli nella redazione più recente dei versi proemiali del
poema, dove egli si rivolge alla Musa perché si presenti al cospetto del nuovo sovrano
per rendergli l’omaggio dei Fasti, che recano inscritti il suo nome54. Carlo è ritratto nei
panni – invero un po’ ‘triti’ – di Annibale ad Alpes secondo il tradizionale ritratto livia-
no (vv. 13-16) e il suo passaggio attraverso l’Italia è naturalmente edulcorato ed epura-
to di qualsiasi cenno ai risvolti drammatici di quella fulminea campagna di conquista.
Con il raggiungimento degli Iapygis ora (v. 25) il re francese si trovava negli stessi
luoghi, teatro della più antica apparizione dell’Arcangelo, dei quali intendeva servirsi
come base di partenza per quelle Crociate, la cui urgenza era particolarmente avvertita
dopo la conquista di Otranto (1480). Lazzarelli sottolinea, infatti, le speranze della lotta
agli infedeli riposte nell’azione di questo sovrano55. Si tratta di un ulteriore elemento
che sembrerebbe rafforzare l’assimilazione fra il victor Carolus e il capo delle milizie
celesti, giacché proprio san Michele, nel suo ruolo di santo guerriero, è invocato nel de-

52
Cfr. Verg., Aen. 11, 247: victor Gargani condebat Iapygis agris.
53
Fasti 10, 451-451, ed. cit., 461: Adicis haec patrio victor loca commoda regno, / Carole, qui Gallos
sub dicione tenes, / Mente senex, aetate virens et fortis in armis, / O faustos populos quos tua cura regit!
54
Fasti, prooem., ed. cit., 65-66: Ante pedes igitur Regis procumbe potentis, / Hos illi inscriptos trade,
Thalia, libros.
55
Ibid., vv. 59-60: Hic Turcas fidei contundere praeparat hostes, / Vibrato hic Christi sustinet ense
fidem.

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cimo libro in difesa dei popoli cristiani minacciati dai musulmani56. Il collegamento fra
i santuari micaelici e i due racconti agiografici riusciva dunque funzionale alla poesia
di Lazzarelli, che poteva così sfruttare il legame agiografico fra Monte Sant’Angelo e
Mont Saint-Michel per avallare implicitamente la recente e breve annessione dell’Ita-
lia meridionale al regno francese. Inoltre, l’assimilazione fra il sovrano e l’Arcangelo
vantava una consolidata e ininterrotta tradizione: la storiografia di quasi ogni civiltà
e regno dell’Europa medievale, in particolare dei duchi longobardi e dei re carolingi,
aveva sfruttato a fini ideologici e politici la figura di questo angelo guerriero come san-
to ‘nazionale’ e instrumentum regni57.
Ampio spazio, nella sezione del VI libro del poema, è dedicato alla narrazione dei
due principali episodi della leggenda, quello di Gargano e il toro, e quello della vittoria
dei Sipontini e Beneventani sui Napoletani pagani. Entrambi sono introdotti da una
cornice, che fornisce un piccolo tributo al modello ovidiano dell’inizio del quinto libro
dei Fasti, nel quale l’incertezza relativa all’origine del nome maius (v. 2: non satis est
liquido cognita causa mihi) offre l’occasione per un confronto erudito fra le Muse58.
Nei versi di Lazzarelli all’invocazione della Musa, al fine di apprendere l’eziologia
della festività micaelica (causas… veras), accorrono le sacre sorores Castaliae, fra le
quali prendono la parola, in ordine, Polinnia e Urania, proprio come nei Fasti ovidiani.
La prima rivendica anzitutto il loro ruolo fondamentale in ogni exordium poetico, com-
preso quello dei poeti cristiani, come Aratore e Giovenco, vv. 467-482:

Musa refer, quaecumque sacro sub pectore, causas,


Et rerum veras et memor orsa tenes.
Talia dum loquerer, sacrae venere sorores
Castaliae, fessum me iuvat ille chorus. 470
Quarum diffusos umeris Polyhymnia crines
Casta gerens, placidis vocibus usa tulit:
«O nos principio quantum appaellare cavebas!
Non sine sed nobis surgere posset opus.
Ex nihilo geniti narrans exordia mundi, 475

56
Cfr. supra, n. 49.
57
Si vedano, a riguardo, le notizie sulle varie ‘adozioni’ politico-religiose del culto di san Michele,
nel quadro di una ‘pianificazione ideologico-devozionale’, nei capitoli 4 e 6 del volume di Arnold,
The Footprints of Michael, cit., 67-92 e 121-136. Per l’ambito orientale, il legame fra l’arcangelo e gli
imperatori di Bisanzio è stato ampiamente rilevato dagli studi ormai classici di J.P. Rohland e V. Saxer e da
un contributo specifico di B. Martin-Hisard, Le culte de l’archange Michel dans l’empire byzantin (VIIIe-
XIe siècles), in C. Carletti, G. Otranto (a cura di), Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale
fra tarda antichità e medioevo. Atti del Convegno Internazionale (Monte Sant’Angelo, 18-21 novembre
1992), Bari 1994, 351-373.
58
Sulla cornice ovidiana di questi versi si è recentemente soffermato John Miller in un intervento nel
Simposio Ovidiano Vivam! (Ovid’s Fasti and Renaissance Calendar Poems: Muses, May, Celestial Might)
organizzato presso la Facultad de Humanidades di Huelva (5-6 ottobre, 2017), al cui contributo specifico
nella raccolta degli Atti (in corso di stampa) si rinvia per un esame delle reminiscenze e un inquadramento
dell’opera di Lazzarelli nel contesto del genere e degli autori di fasti Christiani.

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Castaliis Moses non sine lusit opus.


Nos habuit Latio dum carmine scripsit Arator
Illa eadem Moses quae tulit ante pius.
Nos habuit Christi dum carmine gesta Iuvencus
Scriberet, Aonides omnia rite canunt. 480
At sacrae ad sacros meliori pectine ritus
Atque magis dulci voce movemus iter.

Terminato il racconto (vv. 485-532) del primo episodio della Memoria garganica,
il successivo è affidato alla voce di Urania, con un breve intermezzo di richiamo della
cornice narrativa, nel quale – secondo Miller – Lazzarelli gioca a fare il verso a Ovidio
(Dixerat et dictis simul assensere sorores ~ Ov. fast. 5, 59-10: dissensere deae).
La ripresa del dossier agiografico su san Michele nei Fasti di Lazzarelli presenta
numerosi aspetti degni di rilievo anche per quanto concerne l’esegesi di alcuni passaggi
della leggenda e le espansioni originali che la fantasia poetica ammette ‘in deroga’ al
contenuto agiografico originario. È opportuno suddividere ed esaminare il testo in sin-
gole porzioni, limitandoci all’esame dei dati più rilevanti, vv. 485-494:

Conveniens festo dedit apparitio nomen 485


Gargano et Michael visus adesse iugo.
Hic etenim Hadriacis mons eminet Apulus undis,
Appenninigero qui trahit orsa iugo;
Qua tamen Hadriacum spectat radice profundum,
Stant Diomedea moenia structa manu. 490
Vitibus induitur, multa quoque pallet oliva,
Magna parte sui frugibus aptus ager;
Floribus et multis, variis quoque fertilis herbis,
Pabula diverso praeparat apta frugi.

Lazzarelli ambienta l’angelofania garganica in un locus amoenus, consueto per le


epifanie divine classiche, rispetto al quale la Memoria garganica presenta soltanto una
descriptio loci iniziale di carattere strettamente geografico (Mem. 1, 2), cui solo più
avanti è aggiunto, in relazione con la descrizione della grotta, un breve cenno al paesag-
gio esterno (5, 4), caratterizzato da una verde distesa intervallata da un bosco di cornioli
che ricopre la cima del Gargano.
Anche la figura del pastore Garganus, il praedives locale protagonista dell’episodio
della freccia e del toro, subisce una espansione nella descrizione del poeta, essendo
presentato non solo come allevatore, ma anche come agricoltore e ricco proprietario
terriero, impegnato in fiorenti commerci extra-urbani (segno di un’altra società ed eco-
nomia in atto), vv. 495-500:

Incola montis erat qui nomen monte trahebat, 495


Innumeros solitus pascere monte boves.
Dives erat pecoris, sulcandi divest et agri,
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Pallida complebat iugera multa seges;


Lactis erat nivei, lanae ditissimus albae,
Saepe gravis rediit urbibus aere domum. 500

Si noti che Lazzarelli ‘corregge’ l’anacronismo contenuto nel testo originario, che
vuole Gargano, eponimo, dare il nome alla montagna in seguito al suo eventus (termine
variamente interpretato come «vicenda» o «arrivo» in quei luoghi): Mem. 2, 1: Erat
in ea civitate predives quidam, nomine Garganus, qui et ex eventu suo monti vocabu-
lum indidit. È possibile che questa versione, che vede Gargano trarre il proprio nome
dall’antico oronimo apulo, fosse già presente nella fonte impiegata da Lazzarelli, dal
momento che vi sono diversi manoscritti dell’Apparitio che attestano in questo pas-
saggio testuale interventi correttivi59, ma non si può escludere che alla rettifica il poeta
avesse provveduto autonomamente. Si può osservare che anche Giovanni Pontano, il
quale inserì un resoconto completo delle vicende dell’Apparitio nel secondo libro del
De bello Neapolitano, mostra di conoscere questa stessa eziologia del nome60.
Segue il racconto della scomparsa del toro ribelle, che a sera, al momento della con-
ta degli armenti nella stalla, risulta assente, e, quindi, la descrizione della sua ricerca
per ogni dove, compresa la piana di Metaponto, che, invero, non ha alcuna attinenza
con l’area garganica, vv. 501-514:

Dum pecus hic arvis armentaque bucera pascit,


Insolitos poscens taurus aberrat agros.
Nox erat, armentum numeratim clauditur antro,
Taxato taurus defuit ille gregi;

59
Per la discussa esegesi del passo e le varianti tràdite rinvio alla nota di commento ad loc., cfr. Lagioia,
La Memoria, cit., 163-164.
60
Raccolta di tutti i più rinomati Scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, V, Napoli 1769,
58-60. Il racconto del Pontano è pubblicato anche da G.B. Bronzini, “Testi latini delle apparizioni
micaeliche”, «Lares» 54/4, 1988, 591-592. Se, come avallato dagli studi di L. Monti Sabia (in particolare,
“L’autografo del De bello Neapolitano di Giovanni Pontano e la cronologia di composizione dell’opera”,
«Atti dell’Accademia Pontaniana» 41, 1992, 165-82), l’inizio della stesura del De bello Neapolitano,
dedicata alla prima congiura dei baroni (1459-1465), risale agli anni immediatamente successivi alla fine
del conflitto, è possibile che Lazzarelli abbia tenuto presente il racconto del Pontano, col quale era in
rapporti amicali; se, invece, l’opera risale all’epoca della discesa di Carlo VIII in Italia, sarebbe ipotizzabile
anche un’influenza in senso contrario. Le due versioni concordano anche nella variante agiografica che
vede Gargano ferito recarsi dal presule locale per riferire l’accaduto. Lo storico riporta però il nome del
vescovo sipontino Lorenzo (probatissimae vitae antistitem) e quello del pontefice romano dell’ambasceria
sul Soratte, Gelasio (Pontificem Maximum). Inoltre, un particolare che distingue le due versioni è che nel
De bello Neapolitano san Michele dichiara di essersi servito del toro ad… speluncae ostium pascentem
come indizio per l’inventio della sua grotta-basilica (qui taurum indicem esse voluerim basilicae hujus,
quam mihi ad inhabitandum cum hominibus in terris paravi), mentre Lazzarelli identifica il toro con san
Michele. La Memoria garganica è presentata dal Pontano come una leggenda molto antica, tramandata
da più di novecento anni: haec a majoribus tradita comperior, annos quidem supra noningentos, atque
amplius repetita. È possibile che questa datazione fosse approssimativamente ricavata dall’epoca di
un manoscritto contenente la leggenda, o, com’è più probabile, da un testimone interpolato che recava
l’additamentum con la cronotassi dell’inventio: il che spiegherebbe pure la presenza dei nomi di Lorenzo
e Gelasio nel racconto del Pontano.

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Garganusque dolens vestigat devia montis 505


Et loca pressa petit, montis et alta iuga.
Iamque Sipontinos peragraverat anxius agros
Et Matapontini praedia laeta soli;
Ante specum tandem reperit sub vertice summo,
Ille specus nullo tempore visus erat. 510
In taurum indignans telum detorquet ab arcu,
In dominum ut vento versa sagitta redit.
Obstupuit, simul et comites stupuere, nec audent
Territa iam proprius turba movere pedes.

La grotta del toro è ritratta anch’essa come un luogo epifanico nei distici di Lazza-
relli, che amplifica così un dettaglio implicito nella fonte (Mem. 2, 3: invenit tandem
in vertice montis, foribus cuiusdam adsistere speluncae). Anch’egli, inoltre, presenta
Gargano colpito dalla sua freccia, ma vivo ed esterrefatto per quel prodigio al pari dei
compagni coinvolti nella battuta di caccia. Ancor più interessante, tuttavia, è la super-
fetazione esegetica racchiusa nei versi relativi all’angelofania e al toro, vv. 515-532:

Consulitur praesul, populum Sipontis at ille 515


Tres luces epulis abstinuisse monet.
Tertia nox aderat, Michael antistitis aures
Aggreditur: fuerat non tamen ille sopor.
«Gargani Michael sum custos montis, id ipsum
His volui signis nunc reserare novis; 520
Curam habeo montis, video quaecumque geruntur,
Elegi ante alios haec iuga celsa locos».
Evigilat, populo antistes sibi visa revelat,
Ergo tibi, Michael, annua pompa redit.
Qui modo Osiris erat, fuit hic non corniger Apis, 525
Quem lusa assuerat Memphis habere deum,
Et quem conflato coluit Iudaea iuvenco,
Per deserta means principe Mose cohors;
Hic Michael sese monstravit imagine tauri,
Sors tulit hanc causam diffugiumque bovis; 530
Tempore si vario multisque apparuit oris,
Hic mihi Gargani res memorata iugi.

Del toro dell’Apparitio garganica, animale sacro e totemico nelle più antiche civiltà
mediterranee, sono state fornite diverse interpretazioni a livello simbolico, anche se nel
racconto agiografico sembra svolgere essenzialmente la funzione consueta di anima-
le-guida rivelatore del sacro61. Nel richiamo al bue Api e al vitello d’oro Lazzarelli non

61
Per un vaglio delle diverse interpretazioni e ipotesi cfr. La Memoria, cit., 164-168.

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solo mostra di avervi riconosciuto un animale sacro, erede degli antichi culti pagani di
ascendenza biblica ed egizia, ma in virtù della sacralizzazione dell’animale – invero
assente nel racconto agiografico – si spinge a rappresentarlo tout court come ipostasi
dell’Angelo (Hic Michael sese monstravit imagine tauri). È possibile constatare che la
stessa interpretazione, che risulta abbastanza isolata nel panorama complessivo della
documentazione storico-agiografica, è stata recentemente proposta in uno studio di ta-
glio antropologico, che sostanzialmente individua nel toro dell’Apparitio un alter ego
dell’Angelo stesso62.
L’intervento di Urania trae spunto dalla questione eortologica del duplice dies festus
di san Michele, che la tradizione agiografica successiva alla leggenda garganica, con-
solidata poi dalla Legenda aurea, aveva distinto nel giorno della apparitio (e dunque
dell’inventio della grotta), nonché della vittoria (8 maggio), e quello della dedicatio,
ossia della consacrazione della Basilica (29 settembre). Nei versi di Lazzarelli e nelle
parole della Musa tale questione diventa il pretesto per l’esposizione di un’altera causa
(v. 536) della festività micaelica. La commemorazione della battaglia garganica è però
circoscritta solo ad alcuni versi, in quanto Urania amplia lo scenario delle azioni ange-
liche alla vittoria riportata sulle schiere di Lucifero, paragonata alla battaglia di Giove
contro i Giganti; quest’ultima è però bollata come una finzione degli antichi poeti (v.
545: Id veteres fictum referunt, ut cetera, vates), fra i quali dovremmo annoverare anzi-
tutto Ovidio, a meno di non voler fare ricorso – parla sempre la Musa! – allo strumento
dell’allegoresi (v. 546: Sive aliqua obducto cortice vera latent), che consentirebbe di
leggervi la prefigurazione di altri eventi, come quello della torre di Babele. Il racconto
della battaglia fra Sipontini e Napoletani risulta sostanzialmente fedele al resoconto
agiografico, vv. 577-600:

In Beneventanos olim Sipontis et urbem


Dum non iusta movet proelia Parthenope,
Obtinet indutias, ieiunia casta diebus
Indicit praesul continuanda tribus. 580
Ter nox induxit tenebras, antistitis et iam
Per somnum Michael visus adesse toro.
«Audaces conferte manus in proelia – dixit –
Nam vobis cedet, me duce, Martis honor».
Nuntiat id praesul, hortantur ad arma vicissim, 585
Fit pugna, intremuit terra movente Deo.
Garganum multa velatur nube cacumen,

62
In particolare, G. Spitilli, Tra uomini e santi. Rituali con bovini nell’Italia centrale, Roma 2011,
122: «il linguaggio della leggenda è così radicale da far pensare che, al momento della manifestazione
dell’evento miracoloso, il santo e l’animale non siano distinguibili». L’interpretazione è ritenuta degna di
considerazione da L. Carnevale, L’episodio del toro nell’Apparitio sancti Michaelis in Monte Gargano:
notizie storiche e percorsi interpretativi, in G. Spitilli, V.M. Spera (a cura di), Sacer bos I. Usi cerimoniali
di bovini in Italia e nelle aree romanze occidentali, «Orma. Rivista di studi etnologici e storico-religiosi»
22, 49-71 (60-61). Ma su questo punto, cfr. pure infra.

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daL GarGano aLL’eLiCona: La memoria di san miCheLe fra aGioGrafia ed eLeGia 189

Protinus inque hostes fulmina crebra cadunt;


Intonat, ingeminant demissis ignibus ignes,
Mixtaque fulminibus bellica tela volant; 590
Namque aderat Michael ἀληθέστερα τῶν ἐπὶ Σάγρᾳ,
Cum vidit geminos Locrus adesse deos.
Diffugiunt victi, sternuntur fulmine et armis,
De Sipontinis vulnera nemo tulit.
Sescentos tellus heu Parthenopaea peremptos 595
Conquesta est, novit cetera turba Deum.
Nam prius illa deis nimium decepta litabat,
Nec verae agnorat relligionis iter.
Hic Michaelis honor, sed restat gloria maior,
Venturo maior tempore restat honor. 600

Anche il lessico impiegato da Lazzarelli nella descrizione della battaglia risulta ade-
rente a quello dell’anonimo agiografo. L’unica aggiunta63 da imputare al poeta Septem-
pedanus, che ne rivela la profonda erudizione, è l’antico proverbio greco «più vero dei
fatti di Sagra» (v. 591) col quale ci si rivolgeva agli increduli e che traeva origine da una
epocale battaglia vinta presso le rive del fiume Sagra (560 a.C.) – secondo gli storici
antichi64 – da diecimila Locresi alleati con i Reggini contro centotrentamila Crotoniati,
che furono sterminati sul campo grazie a un intervento miracoloso dei Dioscuri: sono
così evidenti le numerose analogie fra i due eventi bellici, che ben si comprende come
possa essere sovvenuto al poeta il ricordo di questo storico proverbio. In conclusione,
Urania preconizza ulteriori glorie belliche, che arrideranno ai posteri grazie all’inter-
vento dell’Arcangelo; pochi versi più avanti esse sono esplicitate in battaglie che san
Michele condurrà a sostegno della «vera fede» (vv. 617-618: Surget enim Michael im-
manem sternet et hostem, / Sic erit et passim cognita vera fides), tema, questo della
minaccia islamica, fortemente avvertito dall’umanista marchigiano. Infatti, nel decimo
libro (v. 959 sq.) – come si è detto – Lazzarelli pro sancta relligione pavens (v. 964)
rivolge all’Arcangelo una lunga accorata preghiera, nella quale rammenta le ultime
stragi dei Turchi e ritrae, personificandolo, il monte Gargano sul quale, nuovamente
minacciato, si addensano nubi caliginose65 proprio come ai tempi mitici della battaglia
dei Sipontini contro i pagani.

***

63
Si tratta di un’aggiunta non solo rispetto al contenuto agiografico originario, ma anche a livello
redazionale, poiché si legge solo nella redazione dei Fasti testimoniata dal ms. S.
64
Cfr. Strab., 6, 1, 10; Iust., 20, 2-3; Plut., 25, 1.
65
Fasti 10, 999-1002, ed. cit., 434: Fulmineis victor bombis evertit Hydruntum / Garganoque tuo
praeparat arma iugo. / Mons tuus ecce caput nebula contexit opaca / Et prope suppositos maestus
obumbrat agros.

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190 aLessandro LaGioia

Nell’epistola prefatoria a Papa Paolo III la composizione di fasti d’argomento cri-


stiano da parte del ferentinate Ambrogio Fracco non è presentata al dedicatario come
una ripresa di un genere letterario preesistente nella tradizione della poesia latina uma-
nistica, bensì come lo sviluppo di un’idea originale maturata dal poeta direttamente
sul modello dei Fasti ovidiani66. Egli dichiara di aver avviato tale progetto all’epoca
di papa Leone X (1513-1521), ma di averlo più volte abbandonato e ripreso, sotto i
suoi successori, per calamità esterne e personale indigenza67. Quando Fracco enuncia
la materia del suo poema, si propone, forse ignorando del tutto i lavori di Bonincontri
e Lazzarelli, come il primo cultore (ego solus) del genere dei fasti Christiani, come un
novello Ovidio il quale aveva perciò assunto, per metamorfosi, le sembianze e l’ispi-
razione dell’auctor prediletto (in familiarem meum Ovidium veluti transformatus)68.
Invero, stando almeno all’esame dei versi relativi alla leggenda garganica, l’origina-
lità nella esposizione sembrerebbe confermare la sincerità della sua dichiarazione d’in-
tenti. Il quinto libro si apre, sul modello del corrispettivo volumen dei Fasti ovidiani,
con la schermaglia delle tre Muse sull’origine del nome maius, già ripresa da Lazzarel-
li; ma, a differenza di quest’ultimo, Fracco affida direttamente alla voce dell’Arcange-
lo, invocato perché esplichi l’origine delle festività (ossia dell’inventio e dedicatio) che
lo riguardano e l’eziologia del nome Gargano (cur sint haec nomina festo / Sancte tuo,
et cur arx nominis ipsa tui est), il racconto corrispondente alla sezione iniziale della
Memoria garganica (1-2), Fasti 5, c. 55a ed. cit.:

Apparitio Michaelis
Mons est, extat adhuc, Garganum nomine dicunt,
Arduus in campis Appula terra tuis.
Qua patet abrupta sublimis ad aethera rupe
Antrum immane riget, caetera gramen habet.
Pastor erat: nostro pastoris nomine taurus 5
Errat ab armento, summaque montis adit.
Vesper erat, revocat, dominum fugit ille vocantem:
Pellit ad hunc: pulsos negligit ille boves.
Ergo morae impatiens, cum iam penderet ab antro,
Pastor in hunc arcu spicula torta iacit. 10

66
Epist. praef., ed. cit.: Cum nec deorum cultu, nec rebus gestis, veteribus cedamus… in animo habui…
similia nostri temporis, quae Ovidius sui, cum quibusdam vana, atque superflua viderentur, eodem carminis
genere suis rationibus ordiri atque contexere.
67
Ibid.: Perseveransque cum sub Leone, Adriano, et Clemente de his sacros fastos, saepe tamen
susceptos, saepeque vi miserorum temporum, calamitatumque concursu, destitutos scribere coepissem, et
deinde, sic ut miseriarum oneribus premebar, sub te tandem summam manum imposuerim…
68
Ibid.: ego solus in familiarem meum Ovidium veluti transformatus, qui ut diximus similes hominibus
sui temporis reliquit, ne tantum hoc antiquis liceret, et si non eadem linguae suavitate, tamen ea qua
his temporibus potui, vulgares festorum consuetudines, a pontificibus olim ut populos in fide retinerent
concessas, divisis in Xii menses Xii Apostolorum tutelis, nec praetermissis aliquibus rebus gestis nostri
temporis memoria dignis, cum ortu atque occasu syderum, suis cum causis, ac Christianis historiis, in
duodecim libellos digessi.

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daL GarGano aLL’eLiCona: La memoria di san miCheLe fra aGioGrafia ed eLeGia 191

Iacta ego reiicio, feriunt reiecta nocentem:


Inque suum authorem vulnera versa cadunt.
Fama volat facti, pater haec timet acta Siponti,
Indicitque sacra tempora festa fame.
Ad me pompa venit, mea tunc apparet imago: 15
Quod poscis, festum nunc habet unde notam.

Il poeta sintetizza l’episodio di Gargano e il toro marcando il carattere ribelle dell’a-


nimale, ma aggiunge inopinatamente un dato estraneo al testo originario, e cioè che il
pastore avrebbe dato al toro il nome dell’Arcangelo, come è ben esplicitato, nell’editio
princeps del poema di Fracco, dalla postilla al v. 5: “Taurus archangelus dicebatur”.
Si tratta di una re-interpretazione del racconto tràdito che può essere posta in una qual-
che relazione con l’identificazione toro-angelo già rilevata, per la prima volta, nella
versione poetica di Lazzarelli. Entrambi i particolari, certo ascrivibili all’estro dei due
poeti, potrebbero tuttavia riflettere una interpretazione, a livello popolare, dell’antico
episodio agiografico. In tal senso è significativo che in un ciclo di affreschi del XII-
XIII secolo raffigurante la leggenda garganica, rinvenuto nella grotta-santuario di san
Vivenzio a Norchia, in territorio viterbese, sarebbe visibile – secondo una lettura a
mio avviso discutibile69 – una scena con san Michele in forma di toro, che esce dalla
grotta, in compagnia di altri cinque tori del gregge (cfr. Mem. 2, 2: armenti congregis
consortia), mentre Gargano sta per scoccare contro di lui la freccia. Tale assimilazione
angelo-toro è comunque esplicitamente attestata in una ballata orvietana della fine del
Trecento, nella quale è l’Arcangelo stesso a rivelare di aver assunto tali sembianze70.
Ambrogio Fracco riserva il racconto degli altri episodi della leggenda ai distici del
nono libro relativi al dies festus di settembre, confermando come alla sua epoca fosse

69
La lettura dell’affresco risale a Fulvio Ricci, il quale, dopo la scoperta nel 1989 grazie a un intervento
di scialbo, pubblicò i primi risultati delle indagini: “Gli affreschi nella grotta di San Vivenzio a Norchia”,
«Informazioni», Periodico del Centro di Catalogazione dei Beni Museali, 1/7 = Atti del Seminario su
San Vivenzio (Viterbo-Norchia, 20 ottobre 1990), 77-86. Secondo Ricci «San Michele in forma di toro
fuoriesce dalla bocca della grotta circondato da altri cinque tori dai quali si distingue perché contrassegnato
dall’aureola, contro di lui scaglia una freccia Gargano» (79); la stessa lettura dell’affresco è stata ripresa,
più recentemente, da G. Ceccarini e A. Benassi, “Alcune osservazioni storico-antropologiche sul culto
micaelico e sulla sua diffusione nel territorio della Tuscia”, «Bollettino Società Tarquiniense d’arte e storia»
31, 2002, 231-251 (238). Ritengo, tuttavia, che se l’aureola costituisce l’unico segnale d’identificazione
dell’angelo-toro, non sia un elemento sufficiente alla tesi dell’assimilazione angelo-toro, in quanto essa
– che si trova peraltro anche in altre raffigurazioni del toro dell’Apparitio – potrebbe semplicemente
contraddistinguere l’animale rivelatore del sacro, e di conseguenza anch’esso sacro, dagli altri armenti. Fa
propendere per questa interpretazione anche la presenza nella stessa scena, in alto a destra, dell’angelo che
discende dal cielo e assiste al prodigio. Cfr., a riguardo, S. Piazza, Pittura rupestre medievale, Roma 2006,
59-60 (con riproduzione a colori dell’affresco alla tav. 55a).
70
Anonimo del sec. XIV sec. (Come Cristo concedecte all’angilo Micchaele la sua casa nel monte
Gargano) edito da G. Scentoni (a cura di), Laudario orvietano, Spoleto 1994, 480-489 (486): ‘L’Angilo al
vescovo che dorme e dice’: / Vescovo sipontano, / manifesto ti fo in veritade / che ‘l fante di Galgano / firito
fu per la mie volontade / qual vide, non fu thoru ma fui io / ecclesia è ‘l nome mio / ie l’aio electa e Die me
la concede. Sulla testimonianza cfr. M. Trotta, Il Santuario di San Michele sul Gargano dal tardoantico
all’altomedioevo, Bari 2012, 269.

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ormai canonica la già menzionata distinzione fra la commemorazione dell’inventio (8


maggio) e quella della dedicatio (29 settembre), entrambe ricondotte agli episodi rica-
vati sempre dalla Memoria garganica. Anche questo poeta, come Lazzarelli, non sfugge
alla tentazione di rievocare, in riferimento al capo delle schiere celesti, il mito classico
della battaglia di Giove contro i Giganti, ma rispetto ai suoi predecessori egli sorvola,
a favore del mito, proprio sulla descrizione della battaglia fra Sipontini e Napoletani.
Inoltre, è l’unico fra questi poeti di fasti Christiani a dedicare alcuni distici anche ad
altre notizie presenti nella Memoria: il rinvenimento delle orme dell’Angelo impresse
sulla roccia, l’esplorazione della grotta e il fenomeno della stilla miracolosa che cura
gli infermi, Fasti 9, c. 120a ed. cit.:

Dedicatio Michaelis
Ne pars ulla vacet, que sint huic nomina festo,
Curve premas monstrum, dum cano, dexter ades.
Notus eras, ponat sed qua tibi templa Sipontus,
Postulat antistes, instituitque preces.
Nox erat, in somnis quum vox audita iacenti est, 5
Garganus templi det tibi signa mei.
Adveniunt, vidit pater ut vestigia saxo,
Hic locus est inquit: cernite signa loci.
Sacra parant, vivi surgunt de marmore fontes,
Itur ad hos, fusa redditur aeger aqua. 10
Templa iugo pofuit, tres illis dedicat aras,
Nomen et a facto res tulit ipsa suo.
Sederat in summo mundi fabricator Olympo,
Vidit iniqua cohors, indoluitque simul.
Sensit ut ausuros iuvenes nova crimina fratres, 15
Atque Gigantea bella parare manu,
Mandat ut expellat iuveni, celer induit arma hic,
Enseque nudato, corripit altus iter.
Inque hostes pendet trepidosque in Tartara trudit
Atque meret Stygiis arbiter esse locis. 20

I Fasti del Chiaravacci, l’ultima opera in ordine di composizione fra gli autori presi
in esame di questo filone agiografico-elegiaco, si segnalano per una spiccata propensio-
ne e agilità del poeta nel passare dalla tematica sacra a quella più strettamente classica
ed elegiaca, compresa quella degli amori degli dei pagani. All’inizio del quinto libro,
invertendo il topos classico della recusatio, dietro la consueta sollecitazione della di-
vinità71, di un impegno epico più sostenuto, Chiaravacci dichiara di aver abbandonato
il tema amoroso su esplicita richiesta di una severa Calliope, che lo ha richiamato a

71
In genere è Febo Apollo in quanto protettore della poesia: cfr., a riguardo, Callim., Ait., fr. 1, 21-24
Pfeiffer; Verg., ecl. 6, 3-5; Hor., carm. 4, 15, 1-4; Prop., 3, 3, 1-26; Ov., am. 1, 1.

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daL GarGano aLL’eLiCona: La memoria di san miCheLe fra aGioGrafia ed eLeGia 193

un più serio impegno poetico, rappresentato appunto dall’esposizione del calendario


liturgico. Tuttavia, in riferimento proprio al dies festus dell’8 maggio, la rappresenta-
zione dell’Angelo che discende dal cielo, in un tripudio primaverile di fiori e sentori
profumati, attesta in tutta la sua evidenza il profondo legame mantenuto con i modelli
classici, Fasti 5, p. 44a ed. cit.:

Apparitio sancti Michaelis


Victor ab aethereiis Michaëlus labitur oris,
Thura manu gestat, lilia culta, rosas.
Ora gerit pueri nulla flaventia barba,
Et tamen in puero cura senilis adest.

San Michele ritratto come un puer senilis72 richiama molto più da vicino l’immagine
classica di Cupido che l’iconografia consueta del capo delle milizie celesti, sebbene
non manchino testimonianze di rappresentazioni dell’Angelo, soprattutto a livello po-
polare, come un puer speciosus73. Anche lo scenario, ben adatto al calendario illustrato,
sul quale il poeta indugia a lungo pure nei versi precedenti e successivi alla pericope
selezionata, rievoca un quadro del Botticelli, anziché la selva e il pascolo verdeggiante
delle balze garganiche dell’Apparitio. L’ipotesto agiografico, assente in questa sezione
dei Fasti, affiora invece nel nono libro, in corrispondenza con la celebrazione della
dedicatio della Basilica garganica, Fasti 9, pp. 94b-95a ed. cit.:

Monte sub aërio venerabilis ara videtur,


Coelestes alte sustinet illa manus.
Hanc sibi divino Michaelus iure sacravit,
Aethereas acies in sua iura tenet.
Ille locum late aspectans, huc errat et illuc, 5
Fundamenta locat, quae velit orbe coli.
Convocat aethereas acies a limine coeli,
Et iubet excindi marmora, fervet opus.
Marmora dura ferunt alii, quae postibus altis
Aptentur, secat hic marmora, at ille trabes. 10
Consonat omne nemus, non sic incudibus Aetna
Perstrepit, ignipotens quum facit arma Ioui.
Protinus assurgunt facti miro ordine postes,
Templaque sydereo non minus apta Deo.
Ipse manu propria coelum fulgentibus astris 15
Implet, et aeterno quo viget igne docet.

72
Sulla lunga tradizione e i diversi impieghi di questo topos cfr. E.R. Curtius, Letteratura europea e
Medio Evo latino, tr. it., Firenze 1992 (ed. or. Bern 1948), 115-118.
73
Sui modelli iconografici di san Michele nei diversi ambiti artistici e contesti ambientali, nel vastissimo
panorama degli studi disponibili, segnalo i numerosi contributi raccolti nel volume a cura di Bouet, Otranto
et alii, Rappresentazioni del Monte e dell’Arcangelo, cit.

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194 aLessandro LaGioia

Aedibus in mediis coeli subtexitur axis,


Metiturque suas aliger ipse domos.
Illic disponit coelum coelique cacumen,
Illic prima sui temporis acta canit. 20

Anche in questi versi la fantasia del Chiaravacci approda a risultati originali e di-
stanti dal modello agiografico. Il poeta sviluppa un motivo rimarcato nel testo della
leggenda, che è quello della ecclesia costruita direttamente dalla mano dell’Angelo
(liturgo) nel luogo da lui prescelto per il suo culto74, per animare con realismo una bri-
osa scena di fervente lavoro (v. 8) della squadra impegnata nella fabbrica del santuario,
composta proprio dalle milizie celesti (v. 7 aethereas acies), appositamente ‘ingaggia-
te’ per questo concitato opus terreno. La memoria del lettore va senza difficoltà, dato
anche il richiamo esplicito delle incudini etnee (v. 11), alla nota scena virgiliana dell’of-
ficina di Vulcano (Aen. 8, 414-453), per una serie di analogie, più o meno esplicite, fra
i due contesti: l’antro, il dio che discende dal cielo (Aen. 8, 423), le folgori, il luccichio
dei metalli. San Michele è ritratto nei panni assai realistici di un capomastro che sceglie
e vaglia con cura il suolo (v. 5), addirittura vi getta le fondamenta (trattasi di grotta!) e
dà ordini agli altri angeli-operai in un frastuono che riecheggia per il bosco.
In un contributo del 2000, dal titolo “Arcadia Becomes Jerusalem”, John Arnold so-
stiene la tesi di un «Vergil Refashioned» quale ipotesto della leggenda garganica di san
Michele75. La tesi, suggestiva benché talora forzata dall’ottica dell’impiego specifico di
una fonte, offre la prospettiva di un percorso inverso seguito da questi poeti italiani di
fasti cristiani dalla seconda metà del Quattrocento fino alla metà del secolo successivo:
da Gerusalemme all’Arcadia, ovvero – secondo la metafora adottata come titolo – dal
Gargano all’Elicona.

Parole-chiave: tradizione agiografica micaelica; BHL 5948; Fasti Christiani; Bartolomeo da


Trento; Ludovico Lazzarelli.
Keywords: St. Michael’s hagiographic lore; BHL 5948; Fasti Christiani; Bartholomew of
Trent; Ludovico Lazzarelli.

74
Cfr. Mem. 1, 1: ipsius et opere condita et consecrata nomine… propria sibi manu condere dignatus
est; 2, 7: locumque hunc in terris incolere tutumque servare instituens.
75
Arcadia Becomes Jerusalem: Angelic Caverns and Shrine Conversion at Monte Gargano, «Specu-
lum» 75, 2000, 567-588. Arnold, partendo dal concetto di una «retorica del paesaggio», ritiene che l’ano-
nimo estensore del racconto agiografico avesse tratto non pochi spunti per l’episodio di Gargano e il toro
dall’Eneide e dall’antica esegesi virgiliana, in particolare, dal racconto mitico di Ercole e Caco nell’ottavo
libro.

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INDICE

Introduzione di Laura Carnevale

I. GLI STUDI SUI SANTUARI E IL VISSUTO RELIGIOSO.


PROSPETTIVE MULTIDISCIPLINARI

Giorgio Otranto, Santuari e vissuto cristiano: la storia di un percorso di ricerca


Roberto Rusconi, Un santuario mancato? Il Colosseo, gli anni santi e la Via Crucis

Armin W. Geertz, Religious Bodies, Minds and Places. A Cognitive Science of Religion Perspective

Alessandra Moro, Swipe Story: un esempio di storytelling digitale per il santuario di San Matteo a San
Marco in Lamis

II. SPAZI SACRI E IDENTITÀ CRISTIANA

Alessandro Saggioro, Identità e alterità spaziali nella sanzione giuridica della devianza nel Codice
Teodosiano

Luca Arcari, Esperienze “psicotrope” e spazi religiosi tardo-antichi. La “casa dell’iscrizione” dell’insula
104 di Hierapolis di Frigia tra autorappresentazione pubblica e dimensione privata

Francesca Sbardella, Gli oggetti ‘sacri’ attraverso la spazialità della norma. Ordine e traiettorie di senso

Lucia Maria Mattia Olivieri, Note sull’indagine archivistica sulle origini del monastero di San Giovanni in
Lamis

III. ESPERIENZE EREMITICHE, GROTTE E SANTUARI CRISTIANI.


GLI SPAZI, IL CULTO, LA PRODUZIONE DEI TESTI

M.a Pilar Panero García, La ermita de Nuestra Señora de Gracia (Villamor de Cadozos). Un espacio sagrado
compartido

Renzo Infante, Eremi ed eremiti sul Gargano lungo le vie di pellegrinaggio micaelico

Consuelo Capolupo, Le chiese rupestri delle province di Avellino, Benevento e Caserta. Censimento e analisi
tecnico-stilistica

Alessandro Lagioia, Dal Gargano all’Elicona: la Memoria di san Michele fra agiografia ed elegia

Franco Benucci, Matteo Calzone, Sant’Eufemia di Calcedonia: migrazioni e ideologizzazioni del culto,
produzione di sosia, genesi di luoghi sacri

Mario Resta, Note sui “balli” di san Vito: danze, riti e luoghi del culto

IV. IL PROGETTO NAZIONALE FIRB: BILANCIO E PROSPETTIVE

Daniela Patti, L’Unità di Enna. La ricerca archeologica nel Progetto FIRB: attività e prospettive

Tessa Canella, L’Unità di Roma. Spazi sacri e Late Antiquity: metodi e prospettive di ricerca per il Progetto
FIRB

Chiara Cremonesi, L’Unità di Padova. Gli dei, i santi e le acque: delimitazioni del sacro tra antico e
contemporaneo

Laura Carnevale, L’Unità di Bari. Santuari, pellegrinaggi, esperienze devozionali: il percorso di una ricerca

Gli Autori

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