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, la primavera portò con sé segni strani nei cieli dell’Italia, interpretati come presagi di
una grande sciagura. Alcuni giorni dopo, i longobardi, un popolo germanico proveniente dalla
Scandinavia, entrarono in Italia attraversando le Alpi e si riversarono nella pianura padana,
seminando morte e distruzione. Questi guerrieri, descritti dai romani come i “più barbari tra i
barbari”, avevano iniziato un lungo spostamento verso sud, partito dai territori germanici,
passando per la Pannonia (l’odierna Ungheria), e infine arrivando in Italia.
Nonostante non fossero numerosi, i longobardi si erano spinti in Italia con l’intento di fare bottino.
La penisola, infatti, pur essendo già gravemente danneggiata dalla guerra greco-gotica, rimaneva una
delle aree più ricche dell’Europa occidentale e quindi estremamente allettante per le popolazioni
germaniche ancora nomadi. Tuttavia, i longobardi non incontrarono resistenza, e anzi, la loro
invasione si trasformò in una vera e propria colonizzazione, dal momento che l’Impero Bizantino,
che avrebbe dovuto difendere l’Italia, non aveva più le risorse necessarie per fermarli. Dopo la morte
di Giustiniano, l’Impero bizantino non riusciva a mobilitare sufficienti risorse finanziarie per
mantenere il controllo dell’Italia, impegnato com’era a difendersi da minacce più vicine, come le
incursioni persiane.
I bizantini, pur mantenendo il controllo su alcune regioni chiave come Sicilia, Sardegna, Puglia,
Calabria, Napoli, Roma, Ravenna e la costa adriatica, decisero di abbandonare le zone meno
strategiche, come gran parte della pianura padana e dell’Italia centrale, ai Longobardi. Venezia
stessa nacque in questo periodo, quando alcuni abitanti della costa, per sfuggire ai longobardi, si
rifugiarono sulle isole della laguna, dando origine a quella che sarebbe diventata una delle più
importanti città-stato italiane.
La divisione della penisola tra longobardi e bizantini segnò l’inizio della separazione dell’Italia,
che non sarebbe più stata unificata sotto un solo potere per più di mille anni. I longobardi
stabilirono il loro dominio in un’area che sarebbe diventata la Longobardia (Lombardia), mentre il
territorio controllato dai bizantini, centrato intorno a Ravenna, divenne noto come Romania
(Romagna). Questo segnò la fine dell’unità politica che i romani avevano impresso sulla penisola per
secoli.
Inoltre, l’invasione longobarda segnò una rottura definitiva con il passato romano. A differenza
degli ostrogoti, che avevano cercato di emulare la cultura romana, i longobardi spazzarono via i
residui dell’aristocrazia romana e distrussero molte città, con un forte arretramento delle
attività commerciali e artigianali. La lingua longobarda influenzò anche l’italiano, introducendo il
termine “guerra”, che sostituì il latino “bellum”. La relazione tra longobardi e romani fu segnata
anche dalla differenza religiosa: mentre i romani erano cattolici, i longobardi erano inizialmente
ariani e solo lentamente si convertirono al cattolicesimo nel corso dei secoli successivi.
I Longobardi arrivarono in Italia divisi in gruppi chiamati fare, composti da persone legate da vincoli di parentela e
guidate da un duca. Il termine “fara” indicava inizialmente una spedizione armata, ma col tempo divenne sinonimo di
comunità stanziata. Inizialmente, i Longobardi eleggevano un re solo in situazioni di emergenza: così, alla vigilia della
migrazione in Italia, fu scelto Alboino, ma dopo l’invasione il trono rimase vacante per anni e i duchi agirono in
autonomia nei territori conquistati. Con il tempo, però, si rese necessario un comando centrale per affrontare la
resistenza bizantina, e i duchi elessero nuovamente un re, stabilendo la corte a Pavia. Nonostante ciò, alcuni ducati, come
quelli di Spoleto e Benevento, mantennero a lungo l’indipendenza.
Nel VII secolo la monarchia longobarda si rafforzò con il regno di Rotari (636-652), durante il quale fu conquistata la
Liguria, riducendo la presenza bizantina. Nel 643 fu redatto a Pavia l’Editto di Rotari, primo testo scritto delle leggi
longobarde, fino ad allora trasmesse oralmente. L’editto, redatto in latino, si applicava solo ai Longobardi, mentre gli Italici
continuavano a seguire il diritto romano. Esso ci mostra una società rurale, in cui l’agricoltura era l’attività principale, le
città erano in declino, i boschi erano estesi e si praticavano caccia e raccolta. La giustizia era ancora basata sul duello
giudiziale (o ordalia), una prova fisica in cui l’accusato e l’accusatore si sfidavano in combattimento: si riteneva che Dio
avrebbe fatto vincere colui che aveva ragione. L’editto abolì la faida, cioè la vendetta privata compiuta dai parenti della
vittima contro chi aveva commesso il crimine, sostituendola con il guidrigildo, un sistema di risarcimento in denaro, la cui somma
variava in base alla gravità del delitto e al rango sociale della vittima.
Nel VII secolo i Longobardi si convertirono al cattolicesimo, migliorando i rapporti con la Chiesa e facilitando
l’integrazione con la popolazione locale. Fondamentale fu il ruolo della regina Teodolinda, che promosse la restaurazione
di edifici religiosi e delle donazioni alla Chiesa di Roma. A Monza fece costruire una cappella destinata a ospitare le
tombe dei re longobardi. In questo periodo i Longobardi, che inizialmente avevano distrutto santuari, divennero grandi
fondatori di monasteri, come quelli di Nonantola, Farfa e San Vincenzo al Volturno. Questi monasteri, spesso situati in
aree strategiche, erano gestiti da membri dell’aristocrazia e fungevano da centri culturali e di controllo territoriale,
grazie anche alla gestione di ampie proprietà agricole.
Un importante centro culturale fu Cividale del Friuli, prima città conquistata dai Longobardi in Italia e capitale di un
ducato. Qui nacque Paolo Diacono (720-799), autore della Historia Langobardorum, la più importante fonte sulla
storia dei Longobardi, in cui racconta anche leggende sull’invasione del popolo.
Nel frattempo, l’Impero bizantino attraversava una grave crisi. Alla base vi era l’instabilità politica: non esisteva un
sistema chiaro di successione e l’elezione dell’imperatore dipendeva dal consenso dell’aristocrazia, della Chiesa e del popolo di
Costantinopoli, spesso pronto a ribellarsi. Dopo la morte di Giustiniano (565), l’Impero dovette affrontare nuove minacce: il
confine balcanico venne ripetutamente attaccato prima dagli Avari e poi dagli Slavi, che penetrarono fino in Grecia; il
confine orientale fu invece minacciato dai Persiani, popolo rivale dell’Impero che rappresentava una minaccia costante.
La situazione si aggravò drasticamente con l’ascesa al trono di Eraclio nel 610: i Persiani sfondarono il confine
orientale e conquistarono province chiave come la Siria e l’Egitto, proprio mentre gli Avari dilagavano nei Balcani.
Significativamente, la conquista persiana del Vicino Oriente fu sostenuta anche da parte della popolazione ebraica, che
preferiva il dominio persiano all’intolleranza religiosa e alle forzate conversioni imposte dai Bizantini. In pochi anni,
Eraclio riuscì a ribaltare la situazione sul fronte orientale e nel 628 firmò con i Persiani un trattato che ristabiliva i
confini precedenti. Tuttavia, nei Balcani la situazione restò critica: gli Slavi si spinsero fino al nord della Grecia e
l’Impero riuscì a mantenere solo le aree costiere. La lunga guerra distrusse sia i Bizantini che i Persiani, rendendoli
vulnerabili alla futura espansione araba. Per questo motivo, l’Impero bizantino non poté più intervenire in Italia, ormai
diventata un fronte secondario.
Nel 712 salì al trono longobardo Liutprando, deciso a rafforzare la monarchia e a espandere il dominio
longobardo, mirando sia ai territori bizantini, in particolare Ravenna, sia a quelli della Chiesa nel Lazio. Il suo
obiettivo principale era unificare i domini longobardi, compresi i Ducati di Spoleto e Benevento, che agivano
autonomamente e non riconoscevano l’autorità del re di Pavia. I territori bizantini e papali, situati strategicamente
nell’Italia centrale, interrompevano la continuità del regno longobardo e rappresentavano quindi un ostacolo.
La politica di Liutprando ebbe inizialmente successo: i duchi di Spoleto e Benevento giurarono fedeltà al re, le
truppe longobarde assediarono Ravenna per alcuni anni (anche se fu poi riconquistata dai bizantini), e cominciarono le
incursioni contro il Lazio e la stessa Roma. Il papato, privo di forze militari, reagì diplomaticamente e nel 728
papa Gregorio II ottenne da Liutprando la restituzione del castello di Sutri e di altri villaggi conquistati, atto passato
alla storia come “donazione di Sutri”. Questo gesto, sebbene riguardasse territori bizantini, fu rivolto al papa,
segnando un distacco simbolico da Costantinopoli e un riconoscimento dell’autonomia del potere papale.
Nel 751, il re longobardo Astolfo occupò definitivamente Ravenna, un evento di grande importanza simbolica perché
segnava il ritiro dell’Impero bizantino dall’Italia. Dopo Ravenna, appariva chiaro che il prossimo obiettivo longobardo
sarebbe stato Roma. Papa Stefano II, eletto nel 752, constatata l’incapacità dell’Impero d’Oriente di difendere l’Italia,
decise di rivolgersi ai Franchi, potenza cattolica e militare dominante in Europa occidentale.
Nel frattempo, il regno franco attraversava una crisi interna: dal VI secolo, la consuetudine di dividere il regno tra gli
eredi aveva causato frammentazione e conflitti. A metà del VII secolo, i territori erano divisi in Austrasia, Neustria
e Burgundia, governate di fatto dai maggiordomi, mentre i re merovingi erano figure simboliche. La situazione
cambiò con Pipino di Héristal, maggiordomo di Austrasia, che riunificò il regno. Egli era re di fatto, ma non di diritto,
poiché non portava il titolo ufficiale, detenuto ancora dai Merovingi. Suo figlio, Carlo Martello, rafforzò la famiglia vincendo
nel 732 la battaglia di Poitiers contro gli arabi. Tuttavia, né Pipino né Carlo assunsero formalmente il titolo regale.
Nel 751, Pipino III, conosciuto come Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello, depose l’ultimo re merovingio e si
proclamò re, sostenuto dall’episcopato franco. L’ultimo sovrano merovingio finì i suoi giorni in un convento, mentre
i Pipinidi salirono definitivamente al potere.
Papa Stefano II si recò nel 754 a Parigi, primo papa a lasciare Roma, e consacrò Pipino re dei Franchi. In
cambio, Pipino si impegnò a intervenire contro i Longobardi. Mantenne la promessa: nelle spedizioni del 754 e del
756 liberò Ravenna e i territori circostanti, che però non furono restituiti ai bizantini, ma donati al papa. Questa
“donazione di Pipino”, come quella di Sutri, contribuì a formare il “Patrimonio di San Pietro”, primo nucleo dello
Stato della Chiesa, che si estendeva dal Lazio alla Romagna.
Questa alleanza fra papato e monarchia franca, in sostituzione del decadente asse Roma-Bisanzio, cambiò gli
equilibri strategici d’Europa e fu decisiva per la futura storia del continente. Anche i re franchi beneficiarono
dell’appoggio papale, che legittimava il loro potere con l’autorità religiosa più alta d’Occidente.
Per giustificare il crescente potere del papa, nella cancelleria pontificia fu elaborato un documento falso: la
Donazione di Costantino. Attribuito all’imperatore Costantino (IV secolo), il testo sosteneva che egli avesse donato
al papa Silvestro I l’intero Occidente e la supremazia su tutte le autorità religiose, incluso il patriarca di
Costantinopoli. In realtà era un falso, ma servì per secoli a giustificare l’autorità territoriale e politica della Chiesa.
Solo nel 1440 l’umanista e segretario papale Lorenzo Valla dimostrò con rigore filologico che si trattava di un
falso. La Donazione aveva comunque avuto un enorme impatto: su di essa i papi basarono la loro pretesa di
superiorità sul potere temporale e sulla legittimità di influenzare la politica europea per tutto il Medioevo.
Per Greci e Romani, l’Arabia era una terra leggendaria e affascinante, nota per l’incenso e la mirra, due
sostanze rare che si credeva crescessero in luoghi protetti da serpenti alati e pipistrelli. Era chiamata Arabia felix
(“Arabia felice”), soprattutto per la regione meridionale, l’attuale Yemen, che era fertile, ben urbanizzata e in
contatto commerciale con Etiopia, India e area mediterranea.
Il resto della penisola arabica, però, era in gran parte desertico. Solo le oasi permettevano la vita, ed erano abitate
dai beduini (bedawi, “abitante del deserto”), pastori nomadi organizzati in tribù indipendenti e spesso in conflitto
tra loro. Queste tribù, legate da vincoli di sangue e fedeltà, non riconoscevano un’autorità centrale, vivevano
seguendo un codice d’onore e si sostentavano con allevamento, razzie o commercio carovaniero.
Tra i principali centri urbani vi era La Mecca, città situata lungo le vie commerciali tra l’Impero bizantino e quello
persiano. Fin dal V secolo, La Mecca divenne un centro commerciale prospero, dominato da un’aristocrazia
mercantile, e anche un centro religioso grazie alla presenza della Ka‘ba, un santuario che custodiva la Pietra Nera
(forse un meteorite), meta di pellegrinaggi. La religione preislamica era politeista, con divinità legate alla natura,
spiriti (jinn), animali, pietre e alberi sacri.
In questo contesto nacque Maometto (Muhammad), intorno al 570 d.C., in una famiglia di mercanti della Mecca.
Rimasto orfano, lavorò come commerciante e sposò una ricca vedova. Entrò in contatto con l’ebraismo e il
cristianesimo, già presenti in Arabia. Intorno al 610, durante un periodo di crisi spirituale, Maometto ebbe una
visione sull’altura del monte Hira()حراء: l’arcangelo Gabriele gli rivelò la parola di Allah, ordinandogli di trasmettere
il messaggio agli uomini. Da allora Maometto si proclamò profeta.
Il messaggio centrale era: “Non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta”. Il termine Islam significa
“sottomissione” alla volontà di Dio, e musulmano è “colui che si sottomette”. Secondo il teologo al-Ghazali, il
musulmano si affida a Dio più di quanto un bambino si affidi alla madre. L’Islam presenta elementi comuni con
ebraismo e cristianesimo: Dio unico, angeli, giudizio finale, paradiso e inferno. Tuttavia, secondo i musulmani,
Bibbia e Vangeli sono stati alterati dagli uomini, mentre il Corano rappresenta la versione definitiva, perfetta e
incorruttibile della rivelazione divina.
Il messaggio di Maometto fu osteggiato dai mercanti meccani, preoccupati per le ripercussioni economiche e
sociali. Così, nel 622, egli si trasferì a Medina (all’epoca Yathrib): questo evento, chiamato Egira, segna l’inizio
del calendario islamico. A Medina Maometto divenne guida religiosa, politica e militare. Nel 630 conquistò La
Mecca, distrusse gli idoli della Ka‘ba ma la proclamò città sacra. Riuscì a unificare le tribù arabe sotto l’Islam.
Tra il 630 e il 632 tentò di convertire ebrei e cristiani; quando fallì, impose loro una tassa in cambio della
libertà di culto, inaugurando una politica di tolleranza religiosa. Nel 631 attaccò anche la Giordania, sotto
controllo bizantino. Morì nel 632.
Il Corano raccoglie le rivelazioni di Maometto, ed è considerato parola diretta di Dio. I musulmani seguono
cinque pilastri: la testimonianza di fede, la preghiera quotidiana cinque volte al giorno rivolta alla Mecca,
l’elemosina obbligatoria, il digiuno nel mese del Ramadan, e il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.
Sono importanti anche gli hadith, racconti sulla vita del profeta, sebbene non tutti siano ritenuti autentici.
L’Islam disciplina anche l’alimentazione (è vietato il vino), l’igiene, i rapporti uomo-donna e l’abbigliamento. Il
Corano consente fino a quattro mogli, ma tutte devono essere trattate con giustizia. L’adulterio è punito con
cento frustate. Le donne devono coprirsi e non mostrare le “parti belle” se non al marito o ai familiari maschi. Il
velo serviva a distinguere le donne libere da schiave e concubine e a proteggerle dalle molestie.
Dopo la morte di Maometto nel 632 d.C., senza indicazioni precise sulla sua successione, la comunità islamica affrontò una lotta per il
potere che portò all’elezione di Abu Bakr, uno dei primi convertiti, come primo califfo, cioè “successore” o “vicario” del Profeta. Si stabilì
che la guida religiosa e politica della comunità musulmana sarebbe stata elettiva. Abu Bakr governò per due anni e, nonostante tensioni
interne con alcune tribù beduine che volevano tornare indipendenti, riuscì a mantenere l’unità e dirottò queste energie verso conquiste
esterne, ampliando rapidamente il territorio islamico.
L’espansione araba fu motivata da ragioni politiche, militari e religiose. Il Corano introduce il concetto di jihad, termine complesso che
significa “sforzo” e che include sia la lotta interiore (il “grande jihad”) sia quella militare (il “piccolo jihad”). La guerra contro gli “infedeli” è
legittimata a certe condizioni, come l’ammonimento alla conversione e il divieto di attaccare civili o cercare bottino. Politeisti dovevano
convertirsi o morire, mentre la “gente del Libro” (ebrei, cristiani, zoroastriani) poteva mantenere la propria fede pagando un tributo.
Nei primi vent’anni dopo Maometto, gli arabi conquistarono vaste aree: la Siria, parte dell’Impero romano d’Oriente, con Damasco nel 635
e Gerusalemme nel 638, dove costruirono la grande moschea di Omar. Vennero sconfitti i persiani sasanidi con la presa di Ctesifonte
nel 637 e la morte dell’ultimo sovrano Yazdegerd III nel 651. La costa nordafricana cadde anch’essa sotto il dominio arabo, con la
conquista di Egitto, Alessandria nel 642 e Cartagine nel 698, fondando centri come Fustat, nucleo del Cairo. In pochi decenni il
Mediterraneo cambiò radicalmente: l’Impero d’Oriente si ridusse quasi alla sola Grecia e Asia Minore, mentre Siria, Palestina ed Egitto
iniziarono un processo di islamizzazione culturale e religiosa, segnando per molti storici l’inizio del Medioevo.
Il califfato passò quindi a Omar, sotto cui l’espansione militare e amministrativa raggiunse la sua prima grande fase. Dopo la morte dei
primi compagni di Maometto, sorsero divisioni tra i suoi successori con due califfi contemporanei: Alì, genero di Maometto, e Mu’awiya,
capo degli Omayyadi. Questa divisione portò allo scisma tra sciiti (seguaci di Alì) e sunniti (seguaci della tradizione), una frattura religiosa e
politica ancora presente. Dopo l’uccisione di Alì nel 661, Mu’awiya spostò la capitale a Damasco e fondò la dinastia degli Omayyadi,
trasformando il califfato in una monarchia ereditaria.
Damasco divenne un centro amministrativo e culturale importante, ereditando l’organizzazione romana e bizantina. Gli Omayyadi
proseguirono l’espansione: sottomisero i berberi del Nord Africa, arrivarono all’Atlantico e nel 711, guidati dal berbero islamizzato Tariq
ibn Ziyad, conquistarono la Spagna visigota, fondando la capitale a Cordova. Questa città divenne un esempio di convivenza tra arabi,
cristiani ed ebrei, nonché un centro culturale e di tolleranza. Nel frattempo, gli arabi tentarono più volte di conquistare Costantinopoli
senza successo e si spinsero verso l’Asia centrale, fermando l’espansione cinese nella battaglia del fiume Talas nel 751. Dopo questa
battaglia, la carta, introdotta da prigionieri cinesi, iniziò a diffondersi nel mondo musulmano e poi in Europa.
In Europa, gli arabi avanzarono oltre i Pirenei, occupando Narbona e la costa mediterranea del regno franco per circa quarant’anni, fino
a essere fermati da Carlo Martello nella battaglia di Poitiers nel 732. Successivamente, Carlo Magno creò uno stato-cuscinetto nella
penisola iberica con capitale Barcellona, limitando l’espansione musulmana in Europa.
Nel 750 gli Omayyadi furono rovesciati dalla dinastia degli Abbasidi, discendenti di al-Abbas, zio di Maometto. Gli Abbasidi, che
governarono fino al 1258, tentarono di superare la predominanza araba degli Omayyadi, favorendo maggiore uguaglianza tra le etnie
musulmane. Il loro impero, esteso dall’Atlantico alla Cina, fu però difficile da governare e si frammentò nel tempo, con poteri locali autonomi
in varie regioni. La capitale venne spostata a Baghdad, che divenne un centro culturale e scientifico di prim’ordine.
Già prima dell’Islam, l’Arabia aveva una ricca tradizione poetica che narrava la dura vita del deserto e le gesta delle tribù. Questa tradizione
rimase centrale e si diffuse in tutto il mondo arabo, dalla Spagna alla Persia, fino alla Sicilia musulmana. Nei versi si intrecciavano temi
religiosi, riflessioni esistenziali, amore e celebrazione della vita. Una delle opere più celebri del mondo islamico, anche se di origine indiana,
è “Le mille e una notte”, tradotta in arabo nel IX secolo. La raccolta testimonia la società islamica popolare e di corte attraverso le
avventure di Shahrazad, narratrice che salva la sua vita raccontando al re persiano storie per mille e una notte.
Il periodo d’oro della cultura araba si colloca tra l’VIII e il XIII secolo, sotto gli Abbasidi, in particolare con califfi come Harun al-Rashid e
al-Ma’mun. Questi sovrani promuovevano la traduzione e lo studio di testi greci, persiani e indiani, fondando a Baghdad la Casa della
Saggezza, un centro di ricerca e biblioteca che attirava studiosi da tutto il mondo musulmano. Al-Ma’mun è famoso per aver incoraggiato la
riscoperta della cultura ellenistica e, secondo una leggenda, Aristotele gli apparve in sogno ispirandolo a recuperare i libri greci.
Gli arabi non solo conservarono, ma svilupparono scienze come l’astronomia, basata su Claudio Tolomeo, e la geografia, migliorando
conoscenze cartografiche. Il testo di Tolomeo, “Almagesto”, fu tradotto in arabo e poi in latino grazie a studiosi come Gherardo da
Cremona, che lo diffusero in Europa. La matematica fiorì con al-Khwarizmi, che introdusse il sistema numerico decimale indiano con lo zero
e il valore posizionale, dando origine ai numeri arabi usati ancora oggi, e inventò l’algebra. In filosofia e medicina spiccò Ibn Sina
(Avicenna), che combinò tradizioni greche, persiane e indiane, scrivendo il “Canone”, testo fondamentale per la medicina islamica ed
L’idea di Europa ha origine da un mito greco: la principessa fenicia Europa viene
rapita da Zeus, trasformato in toro, e portata a Creta, dove darà origine a una
stirpe reale. Il suo nome verrà poi usato per indicare un’intera regione.
Inizialmente, per i Greci, Europa era solo una parte della Grecia continentale, ma
con il tempo – soprattutto dopo le guerre persiane – il termine si ampliò,
diventando sinonimo di civiltà opposta all’Asia: libera, coraggiosa e autonoma,
contro una realtà ritenuta sottomessa e passiva. I Romani ereditarono questa
visione e Plinio il Vecchio indicava l’Europa come la terra più bella e madre di
Roma.
Nel Medioevo, l’idea di Europa cambiò: durante la battaglia di Poitiers (732), i
Franchi furono chiamati per la prima volta “europei” e la religione cristiana
divenne l’elemento distintivo rispetto al mondo musulmano. Carlo Magno, pur non
parlando mai direttamente di Europa, contribuì a unificarne gran parte attraverso
il cristianesimo, gettando le basi dell’identità europea.
Infine, dopo i disastri delle due guerre mondiali, nacque una nuova idea di Europa:
una comunità costruita sulla pace, sulla cooperazione e sulla libera circolazione,
Nel 768 morì Pipino il Breve, il re dei franchi. Alla sua morte, il regno dei Franchi passò ai suoi due figli, Carlo e
Carlomanno. Quando Carlomanno morì nel 771, Carlo rimase l’unico sovrano. Aveva solo ventinove anni, ma si
rivelò un re straordinario, tanto da meritare l’appellativo di “Magno”, cioè “il Grande”. Durante il suo lungo regno
(771-814), Carlo Magno trasformò i Franchi da una potenza regionale in una potenza europea, segnando anche il
definitivo distacco dell’Occidente dall’Impero bizantino. Per questo motivo è considerato il “padre dell’Europa”.
Carlo intervenne subito in Italia, allora divisa in tre grandi aree: a Sud e in Sicilia dominavano ancora i bizantini, anche
se pressati dal Ducato longobardo di Benevento; al Nord il regno era quasi totalmente in mano ai Longobardi; al centro,
il papato conviveva con i Longobardi, pur essendo povero militarmente ma potente sul piano spirituale. I rapporti tra
Franchi e papato erano già stretti grazie al papa Stefano II che aveva legittimato il passaggio del potere dai Merovingi ai
Pipinidi.
Il papa Adriano I, salito al soglio pontificio nel 772 e fortemente anti-longobardo, si oppose al matrimonio tra Carlo e
Ermengarda, la figlia del re longobardo Desiderio. Quando Carlo concentrò il potere nelle sue mani, i rapporti con
Desiderio peggiorarono. Quest’ultimo attaccò i territori della Chiesa fino a Roma, costringendo Adriano a chiedere
aiuto a Carlo. Nel 773 il re franco invase l’Italia, attraversando la val di Susa. Sconfisse facilmente i Longobardi,
tranne a Pavia, dove Desiderio si era asserragliato. Dopo un lungo assedio, nel 774 la città si arrese e Desiderio fu
catturato. Carlo divenne re dei Franchi e dei Longobardi, ponendo fine al Regno longobardo dopo circa due secoli.
Successivamente conquistò anche il Ducato di Spoleto e affidò l’Italia a uno dei suoi figli, sostituendo l’aristocrazia
longobarda con quella franca.
Il Ducato di Benevento, però, restò indipendente per la distanza dal potere franco. Carlo si accontentò di un
riconoscimento simbolico di sottomissione. I duchi di Benevento si proclamarono principi e si considerarono eredi dei
Longobardi, definendo Benevento “seconda Pavia”. A testimonianza di questa ambizione rimane la chiesa di Santa
Sofia, costruita in quegli anni, il cui nome richiama la basilica di Costantinopoli.
In seguito, la Longobardia meridionale si frammentò e nacque un secondo principato a Salerno, indipendente da
Benevento. Nonostante la debolezza, i Longobardi conservarono il potere fino alla metà dell’XI secolo, quando furono
sconfitti dai Normanni.
L’obiettivo di Carlo non si limitava solo all’Italia: tra l’VIII e il IX secolo le truppe franche si mossero in tutto il continente
europeo. Tra le campagne più lunghe e violente ci fu quella contro i Sassoni, stanziati nella Germania settentrionale, che
compivano continue incursioni per saccheggiare. Dal 772 all’803 Carlo li affrontò tra guerre, tregue e ribellioni, con
stragi e deportazioni. La conversione al cristianesimo fu imposta anche con la forza e, nel 785, venne emanata una
legge che prevedeva la pena di morte per chi si rifiutava di convertirsi e voleva rimanere pagano.
Carlo conquistò anche la Frisia (attuale Olanda) e annetté la Baviera, nel sud della Germani. La conquista della Baviera lo
portò a contatto con gli Àvari, popolo delle steppe stanziato in Pannonia. Dopo anni di battaglie, gli Àvari furono sconfitti
nel 796 e nei loro territori fu creata la Marca orientale (o di Pannonia), nucleo dell’attuale Austria.
Nel 778 Carlo tentò l’invasione della Spagna araba, ma fu sconfitto a Roncisvalle (nei Pirenei), dove la retroguardia
franca fu annientata. Questo evento, poco rilevante militarmente, divenne famoso grazie al ciclo epico dei paladini. Nel 813
i Franchi conquistarono una parte del nord-est della penisola iberica, che corrisponde all’attuale Catalogna, e
fondarono la Marca spagnola con capitale Barcellona, uno stato-cuscinetto contro gli arabi.
All’inizio del IX secolo, i Franchi dominavano un territorio più vasto rispetto a qualsiasi popolo dell’Europa
Occidentale, dalla Catalogna alla Danimarca e dall’Italia centrale al canale della Manica. Il prestigio di Carlo era
tale che persino i sovrani anglosassoni cercarono legami con la sua famiglia. Per tutto ciò, Carlo fu davvero una figura
centrale della storia europea medievale.
Nella notte di Natale dell’anno 800, durante una liturgia nella basilica di San Pietro a Roma, papa Leone III
incoronò Carlo Magno imperatore dei romani. Questo gesto segnò una svolta politica e religiosa perché sanciva
l’alleanza tra la Chiesa di Roma e la monarchia franca, iniziata anni prima con Pipino il Breve. Carlo otteneva
così la massima legittimazione del proprio potere: diventava imperatore di tutti i sudditi, non solo del suo popolo,
e la sua autorità assumeva anche un valore religioso, perché era Dio stesso, tramite il papa, a conferirgliela.
Anche per la Chiesa fu una grande vittoria: il papa legava a sé la potenza militare dei Franchi e si sostituiva
simbolicamente all’imperatore bizantino, che fino a quel momento era considerato l’unico legittimo successore
dell’impero romano d’Occidente. Da allora, per secoli, solo l’incoronazione papale poteva rendere legittimo il
potere dei re e degli imperatori europei. In quel giorno nacque il Sacro Romano Impero, nome che verrà adottato
solo in seguito ma che riassume bene il progetto di Carlo Magno: un impero come quello bizantino, romano perché
ispirato a Roma, e sacro perché fondato sulla religione cristiana e legittimato dal papa. L’idea era quella di una
renovatio Romani imperii, cioè la restaurazione dell’Impero romano, un concetto che affascinò a lungo nei
secoli successivi e che ispirò anche gli imperatori medievali e i regimi moderni, come il fascismo.
Per governare un territorio così vasto, Carlo Magno organizzò un sistema amministrativo molto articolato.
L’impero fu diviso in contee, affidate a conti, cioè aristocratici fedeli che amministravano la giustizia e fornivano
soldati. Dove le contee erano più grandi o i territori abitati da gruppi etnici omogenei, c’erano i duchi, mentre nelle
zone di confine, più esposte agli attacchi esterni, vennero create le marche, governate da marchesi. Questi
funzionari non possedevano la terra né ricevevano uno stipendio fisso, ma trattenevano una parte delle tasse
locali. Col tempo però molti cominciarono a considerare queste terre come proprie, minando l’autorità centrale. Un
ruolo fondamentale fu svolto dalla Chiesa: monasteri e fondazioni religiose possedevano grandi estensioni di
terra, inalienabili perché appartenevano a istituzioni. Con la conquista di nuovi territori e la cristianizzazione delle
popolazioni, queste proprietà aumentarono. Le chiese erano centri di controllo, amministrazione e diffusione
della cultura. La corte di Carlo era itinerante ma dopo l’incoronazione si stabilì ad Aquisgrana, dove l’imperatore
fece costruire un palazzo con una cappella ispirata all’architettura bizantina. Da qui venivano emessi i capitolari,
leggi divise in brevi capitoli, tra cui il Capitulare de villis, che regolava la gestione delle grandi aziende
agricole. A controllare i funzionari locali venivano inviati i missi dominici, ispettori incaricati di riferire
direttamente all’imperatore.
Oltre all’aspetto politico e militare, Carlo promosse anche una rinascita culturale, chiamata rinascita carolingia.
Questo progetto rispondeva a due bisogni: migliorare la formazione dei funzionari e affermare la cultura latina
come base dell’autorità imperiale. Alla corte di Aquisgrana si riunirono studiosi da tutto l’impero, come Alcuino di
York, che fondò una scuola presso la cappella imperiale, e Paolo Diacono, storico longobardo. Il latino restava la
lingua ufficiale, anche se la gente parlava ormai dialetti diversi. Vennero quindi fondate scuole presso
monasteri e cattedrali, destinate a un’élite di giovani destinati a governare. Gli insegnanti erano religiosi, gli
unici a conoscere la cultura classica. In queste scuole si imparava a leggere e scrivere, non solo per scopi
religiosi ma anche civili. Carlo volle una biblioteca personale ad Aquisgrana, con testi antichi e opere scritte
dai nuovi studiosi. Per rendere i testi più leggibili si sviluppò la minuscola carolina, una nuova grafia chiara e
ordinata, con spazi tra le parole, che fu usata in Europa fino all’invenzione della stampa. Le Bibbie copiate con
questa scrittura da Alcuino sono tra i più importanti manoscritti medievali che ci sono arrivati.
Nel Regno franco, oltre agli esperimenti politici, si verificarono importanti trasformazioni economiche, soprattutto nel settore agricolo, che
restava la base dell’economia medievale. Dall’VIII secolo si diffusero innovazioni tecniche: vennero introdotti nuovi cereali, come la segale
e l’avena, più adatti al clima freddo, e quindi più coltivati a nord delle Alpi. Le rese agricole furono aumentate introducendo la rotazione
triennale, che lasciava a maggese, cioè a riposo, un terzo del terreno. Questo sistema aumentava la fertilità del terreno. Furono introdotti
anche l’aratro pesante, capace di rivoltare le zolle e il mulino ad acqua a ruota verticale, che divenne un elemento importante nel
paesaggio europeo.
In questo contesto nacque il sistema curtense. Nell’area franca, la grande azienda agricola era detta villa (da cui prende nome la legge sul
suo funzionamento, Capitulare de villis), in Italia curtis. Era divisa in due parti: la pars dominica, con le terre e gli edifici gestiti
direttamente dal signore (la residenza, le stalle, i mulini, i magazzini, le botteghe artigiane), e la pars massaricia, suddivisa piccoli lotti detti
mansi, dati in affitto ai coloni. I coloni erano affittuari che coltivavano la terra trattenendo una parte del raccolto, mentre il resto andava al
signore. Accanto ai coloni vi erano i servi, non più schiavi, ma comunque legati alla terra e privi di libertà. I servi casati, in particolare,
ricevevano una casa e un terreno, vivendo in condizioni simili a quelle dei coloni. Tutti i contadini, liberi e servi, dovevano prestare le corvées,
cioè giornate di lavoro gratuito a favore del signore, specialmente nei momenti agricoli più intensi. Le corvées erano imposte e malviste;
infatti, la parola italiana “angheria” deriva proprio da questo termine.
La curtis non era fatta solo di campi: comprendeva pascoli, terre incolte e soprattutto boschi. Il bosco era essenziale: forniva legna, era
pascolo per gli animali ed era riserva di caccia per i nobili. La caccia era vietata ai contadini, ma per la nobiltà era importante sia per
l’alimentazione sia come addestramento militare e dimostrazione di coraggio. Un famoso esempio è Carlo Magno che uccise un uro per
impressionare un ambasciatore del califfo di Baghdad.
Già nel mondo romano, i coloni erano legati ai padroni da vincoli di dipendenza. Nell’Alto Medioevo questi legami divennero più personali,
come l’accommendatio, cioè la sottomissione di un uomo a un altro in cambio di protezione e mantenimento. In campo militare, chi si
metteva al servizio di un signore offrendo sostegno armato apparteneva a una classe sociale elevata, perché doveva procurarsi da solo
armi ed equipaggiamento. I membri di questo gruppo venivano indicati con il termine “vassallo”.
Il rapporto tra signore e vassallo si sanciva con l’omaggio: il vassallo metteva le mani tra quelle del signore e giurava fedeltà. Il traditore
era chiamato fellone e perdeva tutti i diritti. Il significato del rito era quello di sancire che da allora in avanti il vassalo, pur restando libero,
diveniva “uomo di un altro uomo”.
Dall’VIII secolo i re franchi iniziarono a concedere ai vassalli un beneficio, cioè un terreno da godere per tutta la vita, senza
possederlo. Questo sistema è noto come “vassallatico-beneficiario”. Alla morte del vassallo, il beneficio tornava al re. Col tempo, però,
si cercò di trasmettere questi beni ai figli. Con il Capitolare di Quierzy (877), Carlo il Calvo autorizzò i vassalli del re a trasmettere
l’onore ai discendenti. Nel 1037, l’editto di Corrado II, noto come Constitutio de feudis, estese questo diritto a tutti i vassalli. Così il
beneficio divenne ereditario e fu detto feudo. Tuttavia, nel Medioevo non si usavano i termini “feudalesimo” o “sistema feudale”: infatti
sono espressioni moderne. Oggi si ritiene che il vero feudalesimo nacque solo dall’XI secolo, quando i signori ottennero piena
autonomia sulle terre ricevute.
La caduta dell’Impero romano portò alla fine dei commerci a lunga distanza, al calo della popolazione, all’abbandono dei campi, allo
spopolamento delle città, al ritorno allo scambio in natura e al degrado delle vie di comunicazione. Solo i beni di lusso, come metalli preziosi e
tessuti pregiati, continuarono a circolare ma c’era una drastica riduzione degli scambi economici. L’economia si chiuse in isole
autosufficienti, come la curtis, che produceva tutto il necessario per il signore e i contadini. Gli artigiani erano locali, e gli attrezzi si
riparavano in loco. Le rese agricole erano basse e bastavano appena alla sopravvivenza: era un’economia di sussistenza, con poche
eccedenze e quindi poco commercio.
Tuttavia, l’economia non era del tutto chiusa: le corti scambiavano prodotti tra loro, i mercati urbani, specialmente in Italia, offrivano
beni non reperibili localmente, e i signori compravano merci che la curtis non produceva. Quindi l’idea di un’economia completamente
ferma va ridimensionata.
Infine, la società dell’Alto Medioevo era rigidamente gerarchica, con poca mobilità sociale rispetto al mondo romano. Un documento
dell’epoca di Adalberone di Laon descrive una società divisa in tre ordini: oratores (coloro che pregano), bellatores (coloro che
combattono), e laboratores (coloro che lavorano). Questa divisione si radicò e divenne caratteristica dell’intero Medioevo. Questa divisione
aveva una giustificazione religiosa: secondo le loro credenze, Dio voleva una società ordinata in questo modo e quindi qualsisasi tentativo
di opporsi era visto come un atto di disobbedienza verso la volontà divina.
Alla morte di Carlo Magno, secondo la tradizione franca, il potere sarebbe dovuto passare ai suoi tre figli legittimi
maschi, ciascuno con una porzione dell’Impero. Per evitare conflitti, l’imperatore aveva imposto loro di mantenere la
pace e il rapporto privilegiato con la Chiesa di Roma. Tuttavia, alla morte di Carlo, all’inizio dell’814, era
sopravvissuto solo Ludovico, detto il Pio, a cui sarebbe spettata la Francia meridionale, ma che si trovò ad
ereditare l’intero impero.
Ludovico governò da solo fino all’840 e nel 817 emanò la Ordinatio imperii, un documento in cui affermava che
l’Impero era voluto da Dio e che smembrarlo sarebbe stato un affronto alla divinità. Cercò così di mantenere
l’unità imperiale pur rispettando le ambizioni dei suoi figli: il primogenito Lotario avrebbe avuto il titolo imperiale,
con compiti di supervisione generale e potere in politica estera, mentre i fratelli minori avrebbero governato
territori precisi. Tuttavia, già durante la vita di Ludovico esplosero lotte tra i figli, che continuarono dopo la sua
morte. Alla fine rimasero tre contendenti: Ludovico, Lotario e Carlo il Calvo.
Nel 842, Ludovico e Carlo si allearono contro Lotario e si incontrarono a Strasburgo, dove giurarono
fedeltà reciproca e fecero giurare i loro eserciti. Il giuramento fu pronunciato non in latino, ma nelle lingue parlate
dai soldati: il proto-francese e il proto-tedesco. Questo documento è la più antica testimonianza scritta di queste due
lingue, e mostra come, in pochi secoli, il latino si fosse fuso con la lingua franca per dar vita a nuovi idiomi con
una loro identità.
Nel 843, con il trattato di Verdun, l’Impero venne diviso tra i tre fratelli: Ludovico il Germanico ricevette la
Germania a est del Reno, diventando re dei franchi orientali; Carlo il Calvo ebbe la parte occidentale,
corrispondente a buona parte della Francia attuale, diventando re dei franchi occidentali; Lotario, che
conservava il titolo imperiale, ottenne la fascia centrale che andava dai Paesi Bassi all’Italia, comprendente
anche Aquisgrana, ex capitale dell’Impero e sede della tomba di Carlo Magno.
Tuttavia, il titolo imperiale non dava a Lotario un effettivo potere sui fratelli. I regni di Ludovico e Carlo si
svilupparono in modo sempre più autonomo, sebbene il nome “Francia” venisse ancora usato in entrambi i
territori. Il regno di Lotario, invece, era disomogeneo e diviso dalle Alpi, e alla sua morte fu ulteriormente
frammentato in Regno italico e area continentale.
Il trattato di Verdun mise temporaneamente fine alle guerre fratricide, ma sancì la fine dell’Impero come struttura
unitaria. Nel 877, con il Capitolare di Quierzy, Carlo il Calvo permise ai vassalli di trasmettere in eredità le
proprie cariche e i benefici concessi dal re. Questo provvedimento rafforzò il potere locale e indebolì
ulteriormente quello centrale. Verso la fine del IX secolo, Carlo il Grosso riuscì a riunificare tutti i territori
carolingi, ma la sua incapacità politica portò alla sua deposizione nel 887 da parte di un’assemblea di grandi
proprietari.
In Francia la dinastia carolingia sopravvisse fino al 987, anno della morte di Luigi V, detto “l’Ignavo”. Dopo
di lui, salì al trono la dinastia dei Capetingi, che avrebbe governato fino alla Rivoluzione francese. In
Germania, invece, i Carolingi si estinsero già nel 911, lasciando il potere alla dinastia degli Ottoni.
In Italia, la situazione fu turbolenta: dopo Verdun, i territori franchi della penisola andarono a Lotario, e dopo
la sua morte all’855, a suo figlio Ludovico II, che fu re d’Italia e imperatore. Ma la debolezza del potere imperiale
favorì i grandi proprietari terrieri, desiderosi di sostituirsi ai sovrani nel controllo del territorio. Le lotte per il
potere si fecero ancora più aspre nella seconda metà del X secolo, con la scomparsa degli ultimi discendenti di
Tra IX e X secolo l’Europa fu colpita da nuove invasioni: da nord i Normanni, da est gli Ungari, da sud gli Arabi. Questo
avvenne mentre l’Impero carolingio si stava disgregando. I Normanni, detti anche Vichinghi (da vik, baia), erano pirati
provenienti da Danimarca, Svezia e Norvegia, costretti a migrare per l’aumento della popolazione e la scarsità di risorse.
I Vichinghi svedesi si spostarono verso sud-est, lungo i fiumi russi. Fondarono Novgorod e Kiev, avviando commerci con
l’Impero bizantino e il Califfato di Baghdad. Vennero chiamati Rus o Vareghi. Inizialmente in conflitto con Costantinopoli,
si fusero con gli Slavi e assorbirono la cultura bizantina. Il nome Rus indicò poi il territorio, da cui deriva “Russia”. Nel 988,
Vladimiro il Grande, sovrano che unificò Novgorod e Kiev, si convertì al cristianesimo e lo rese religione ufficiale, facendo
entrare la Russia a tutti gli effetti parte dell’Europa.
I norvegesi e danesi si espansero via mare grazie ai drakkar, navi lunghe e veloci che risalivano i fiumi. I norvegesi arrivarono
fino in Islanda nel 874, poi colonizzarono la Groenlandia (chiamata così ottimisticamente “terra verde”) con Erik il Rosso
nel 985. Intorno all’anno 1000, alcuni raggiunsero le coste del Canada attuale, diventando così i primi europei a scoprire
l’America, ma la abbandonarono presto. I danesi, invece, attaccarono l’Impero franco risalendo fiumi come la Senna,
Loira, e Schelda saccheggiando monasteri e città, compresa Parigi che si salvò due volte pagamdo riscatti. Alla fine si
stabilirono nella costa settentrionale della Francia e nel nord-est dell’Inghilterra.
Nel 911, il re franco Carlo il Semplice concesse al capo vichingo Rollone il territorio attorno alla Senna, in cambio della
conversione al cristianesimo e del giuramento di vassallaggio. Nacque così la Normandia, dove i Normanni adottarono
lingua e costumi franchi.
Contemporaneamente, gli Ungari (o Magiari), provenienti dalla regione del Volga, si insediarono in Pannonia (oggi
Ungheria) verso l’890 e per circa cinquant’anni compirono razzie in Italia settentrionale, Sassonia, Baviera, Provenza e
Spagna. Furono sconfitti nel 955 da Ottone I a Lechfeld, in Baviera. Poi si stabilizzarono e, sotto il re Stefano I, si
convertirono al cristianesimo. Stefano fu incoronato re nell’anno Mille e poi proclamato santo. Come la Russia, anche
l’Ungheria entrò nel mondo cristiano europeo.
Queste invasioni mostrarono da un lato la debolezza dell’Europa, ma anche la sua capacità di integrare i popoli invasori
attraverso la religione e la cultura cristiana.
Nel frattempo, anche il fronte sud era minacciato: a partire dall’827, gli Arabi (o Saraceni), partendo dalla Tunisia,
conquistarono la parte occidentale della Sicilia, in particolare Palermo, che divenne capitale di un emirato. La conquista
dell’intera isola fu completata solo nel 902, a causa della forte resistenza bizantina.
La Sicilia rimase araba fino all’XI secolo, periodo in cui si svilupparono agricoltura, artigianato, commercio e cultura. Gli
Arabi introdussero piante come l’arancio e il limone (i cui nomi derivano dagli arabi narang e limun), resero l’isola un
importante centro tessile e commerciale e lasciarono un’eredità culturale notevole. Uno dei più grandi poeti arabi dell’XI
secolo, Ibn Hamdis, nacque a Siracusa e cantò nei suoi versi la nostalgia per la sua terra natale perduta con la conquista
normanna.
Gli Arabi conquistarono anche Taranto e Bari, formando un emirato durato più di vent’anni. Nel 846 una flotta araba
risalì il Tevere e saccheggiò le basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma, costringendo l’imperatore carolingio a
inviare un esercito. Gli Arabi si stabilirono in Sardegna, Corsica, Campania e nella costa meditteranea della Francia.
Verso l’890, un gruppo arabo si stabilì in una zona isolata della Provenza, da dove partivano razzie anche verso le Alpi: fu
saccheggiata anche l’abazia di Novalesa, vicino Torino. Solo nel 973, dopo la cattura dell’abate di Cluny, furono cacciati.
Queste continue minacce portarono alla diffusione dell’incastellamento: la costruzione di castelli o fortificazioni con
fossati, palizzate e, in seguito, torri in pietra per proteggere villaggi e territori. A volte i castelli venivano eretti su ordine
dell’imperatore o del re e affidati ai vassalli; ma spesso erano i signori locali ad agire da soli, approfittando della debolezza
del potere centrale. L’incastellamento fu così sia una conseguenza che una causa dell’indebolimento del potere centrale
nell’Europa carolingia tra IX e X secolo.
Nel corso del tempo, la visione del Medioevo ha subito profonde trasformazioni. Durante il
periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, tra il Settecento e l’Ottocento, il
Medioevo veniva generalmente considerato un’“età buia”. Questa interpretazione
negativa si consolidò grazie a storici come Jules Michelet, che descriveva il Medioevo
in termini oscuri e arretrati.
Tuttavia, a partire dalla metà dell’Ottocento, anche sotto l’influenza del Romanticismo,
iniziò a diffondersi una nuova prospettiva. Si cominciarono a sviluppare studi più
approfonditi e sistematici sul periodo medievale, dando origine a una nuova epoca della
storiografia. Storici come Marc Bloch promossero un nuovo approccio allo studio della
storia, basato sull’analisi critica delle fonti e sulla divisione del Medioevo in fasi distinte.
Uno dei principali rappresentanti di questa nuova visione fu Jacques Le Goff, promotore
del concetto di “lunga durata”. Secondo lui, il Medioevo non terminò con la scoperta
dell’America nel 1492, ma proseguì ben oltre. Le Goff ridimensionò la visione
negativa, limitandola ai soli anni immediatamente successivi alla caduta dell’Impero
romano.
Anche Georges Duby contribuì a questa rivalutazione. In un suo libro, descrisse le
trasformazioni che avvennero a partire dall’anno 1000, sottolineando come il Medioevo
non fosse affatto un’epoca buia, bensì una fase di rinascita. Secondo lui, il Medioevo
rappresenta il pilastro su cui si fonda l’età moderna.
L’idea che il Medioevo sia stato solo un periodo oscuro è dunque errata. Non ci furono
soltanto guerre e regressioni: nel corso dei secoli sorsero le università, si svilupparono
nuove forme di cultura e nacquero grandi scrittori. Dopo l’anno 1000, si assistette a
un grande sviluppo economico e sociale, con la nascita dei primi comuni, come
Venezia e Piacenza. Anche prima di quell’epoca, figure come Carlo Magno gettarono le
basi per il progresso futuro, ad esempio con documenti fondamentali per l’agricoltura.
Nonostante questi importanti studi e rivalutazioni, ancora oggi l’idea di Medioevo come
“età buia” persiste, soprattutto nella cultura popolare. Nei film, ad esempio, il Medioevo
viene spesso rappresentato in modo cupo e arretrato. Lo storico italiano Franco
Cardini ha scritto un libro per mettere in evidenza le differenze tra il Medioevo reale e