5 Lezioni per
migliorare le tue
foto
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Sommario:
5 Lezioni per migliorare le tue foto 1
L’esposizione 4
Come imparare a regolare la corretta esposizione 4
Ma qual’è il suo funzionamento? 5
Lettura MATRIX: 6
Lettura SEMI-SPOT: 6
Lettura SPOT: 7
come regolare l’esposizione della nostra reflex attraverso i tre
fattori tempi, diaframmi ed ISO. 7
La regola dei terzi 11
Componiamo le nostre immagini correttamente 11
Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di paesaggio 12
Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di ritratto 13
Profondità di campo 16
Che cos’è e come si regola 16
Ma cos’è la profondità di campo? 16
Ma come si regola la profondità di campo? 17
L’istogramma 20
Impariamo a leggere i suoi valori 20
Facciamo un esempio pratico per capire meglio come funziona
l’istogramma. 23
Le modalità di scatto 26
Prova a scattare Manualmente 26
Modalità P o Program 27
Modalità A (AV per Canon) o priorità di diaframmi 27
Modalità S (TV per Canon) o priorità dei tempi 27
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Modalità M o Manuale 27
Complimenti 29
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L’esposizione
Come imparare a regolare la corretta esposizione
Capire il concetto dell’esposizione in fotografia è molto importante, in quanto
l’esposizione è quella formula che regola la quantità di luce (apertura diaframma)
che deve entrare nel sensore e il tempo necessario (tempo di esposizione) che serve
ad impressionarlo in quel dato tipo di supporto (ISO o tipo di pellicola) per ottenere
un immagine che restituisca la corretta realtà. L’esposizione, definita in EV
(Expsosure Value), è regolata dall’esposimetro interno della reflex digitale
(esistono anche esposimetri esterni) e può essere regolato:
• manualmente quando si lavora nel programma “M”.
• regolato in automatico dalla macchina fotografica in modalità “P”.
• semi-automatico nelle altre modalità “A” (Nikon) o “Av” (Canon) per la
priorità di diaframmi e “S” (Nikon) o “Tv” (Canon) per la priorità di tempi.
Abbiamo dunque capito che tre sono i fattori che influenzano l’esposizione e
tutti quanti sono strettamente correlati tra loro:
1. Sensibilità ISO (più basso è il valore, ISO 100 ad esempio, meno luce
verrà impressa; viceversa più alto sarà il valore, ISO 6400, maggiore sarà
la luce che catturerà).
2. Tempi di scatto (scatti più rapidi, come ad esempio 1\1000, faranno
immagazzinare meno luce; scatti più lenti, ad esempi 20″sec, permettono
di catturare più luce).
3. Apertura diaframmi (all’aumentare dell’apertura, ad esempio f1,4, entrerà
più luce, ma diminuirà anche la profondità di campo; chiudendo il
diaframma, ad esempio f/16, aumenterà la profondità di campo ma
entrerà meno luce).
Come facciamo dunque a capire se l’esposizione dell’inquadratura che stiamo
facendo per la nostra foto è corretta? A seconda del modello e marca della
macchina fotografica l’indicatore dell’esposimetro possiamo trovarlo:
• all’interno del mirino (tutte le reflex): si attiva premendo il tasto di scatto a
metà corsa e guardando all’interno del mirino dovrebbero accendersi dei
valori che indicano vari dati, tra cui appunto l’esposimetro.
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• nel display LCD, insieme a tutti gli altri dati di scatto e impostazioni.
• sul secondo display nella parte superiore del corpo macchina ( questa
opzione non è presente su tutti i modelli di reflex).
Ma qual’è il suo funzionamento?
L’esposimetro indica, come dicevamo, la quantità di luce necessaria per esporre
correttamente il soggetto ed è indicata da una barra con al centro uno “0” (che
sta a significare il punto esatto della corretta esposizione) sulla sinistra una
freccia che indica valori da -1 a scendere (sottoesposizione), sulla destra invece
una freccia che indica valori da +1 a salire (sovraesposizione). Quindi se avremo
la freccia che punta verso i valori positivi, la macchina ci sta indicando che la
foto verrà troppo chiara, se invece punterà verso i valori negativi la foto risulterà
scura. Questi valori sono indicati sul display con dei trattini, a seconda del
modello di reflex, possono essere calcolati valori anche di 1/3 di stop come
illustrato nell’immagine sottostante.
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Ottimo, ma adesso perché la macchina fotografica fa questi calcoli e mi indica
questi valori? Perché come detto prima, sta eseguendo una lettura della luce
presente sulla scena che stiamo inquadrando; la lettura della luce può avvenire
in due modi:
• Di luce riflessa: come dice la parola, è la luce che il soggetto rimanda alla
fotocamera.
• Di luce incidente: che è quella che arriva direttamente sul soggetto (si
misura con esposimetro esterno posto verso l’obiettivo).
Noi analizzeremo il primo caso, in quanto gli esposimetri interni delle reflex
utilizzano questo metodo e possono farlo in 3 modi:
1. Lettura esposimetrica matrix
2. Lettura esposimetrica semi-spot o ponderata centrale
3. Lettura esposimetrica SPOT
Lettura MATRIX:
Quando la tua reflex sarà impostata in questo modo, il sistema interno farà
una lettura quasi intera della luce presente sull’area inquadrata, facendo una
media e restituendo quindi dei valori per una corretta esposizione. Questi
valori non sono assoluti in quanto, come ricordavamo prima, sono dettati dai
quei tre fattori tempi, diaframmi, ISO che a secondo delle esigenze possono
essere regolati in maniera diversa, ma questo lo vediamo più avanti.
Lettura SEMI-SPOT:
Quando imposterai questo sistema di esposizione, la tua reflex farà una
lettura medio-ponderata, ossia leggerà sempre tutto il fotogramma ma darà
più importanza nella fascia centrale (su alcuni modelli di reflex questo
diametro è modificabile).
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Lettura SPOT:
Quando invece avrai impostato questo sistema di esposizione, lo strumento
farà una lettura solo nella parte centrale dell’inquadratura (o dove sarà
selezionato il punto di messa a fuoco), porzione molto piccola e precisa e per
questo motivo bisogna avere una certa pratica e consapevolezza per poterla
utilizzare.
Per scegliere quale dei tre sistemi di lettura utilizzare adesso non possiamo starti
a spiegare tutti i casi esistenti al mondo, ma ci limiteremo a suggerirti di
utilizzare maggiormente il metodo MATRIX, specie se hai il sole alle spalle e
quindi la scena davanti a te è illuminata quasi tutta allo stesso modo senza forti
contrasti; quando invece nell’inquadratura cominciano a presentarsi zone con
maggior contrasto (forte zone di ombra o forti zone di luce), allora poi li starà al
fotografo e alla sua esperienza scegliere la misurazione più adatta facendo più
letture, magari in SPOT, nelle varie zone di ombra e di luce e poi fare calcoli e
prendere decisioni sulla corretta esposizione. Compresi e assodati questi
concetti vediamo
come regolare l’esposizione della nostra reflex attraverso
i tre fattori tempi, diaframmi ed ISO.
Supponiamo di andare in montagna e trovarci davanti a questo paesaggio:
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ora impostiamo la macchina fotografica su P, con lettura esposimetrica su
MATRIX, questa ci restituirà dei valori in automatico, ad esempio:
ISO 200, f/11, 1/500s; bene fin qui tutto facile, potresti anche scattare ed avere
la tua foto bella e pronta, come fanno in molti, ma vanificheresti una delle cose
che il fotografo ama fare di più, ossia scegliere manualmente la corretta
esposizione. Allora adesso prova a impostare la modalità M (manuale), sempre
con lettura esposimetrica su MATRIX e scattare senza impostare nulla; cosa
succede? La foto risulta troppo scura o priva di dettagli? Oppure troppo chiara,
quasi bianca? Normalissimo, devi regolare quei tre fattori tempi, diaframmi e
ISO di cui parlavamo poco fa.
Tenendo conto che gli ISO in digitale rappresentano le vecchie pellicole ASA,
dovremo per prima cosa impostarli in base alle condizioni di luce (si tende a
tenerli sempre il più bassi possibile per evitare il rumore digitale o grana)
presente sulla scena, essendo quella sopra, una foto ripresa a metà giornata (sole
alto quasi perpendicolare), andranno impostati gli ISO più bassi che la vostra
reflex permette (di base dovrebbe essere 100 o 200); a questo punto guardando il
display della reflex vedremo dei valori che ci indicano tempi di scatto,
diaframma e l’esposimetro che ci segnala qualcosa; l’indicatore dell’esposimetro
segnalerà dei valori positivi o negativi in base a come sono stati impostati i tempi
e i diaframmi; essendo un paesaggio, suggeriamo di chiudere il diaframma per
avere una maggiore profondità di campo e quindi avere tutta la foto a fuoco,
imposteremo f/11; adesso manca il “tempo”. Come sapere quale tempo
scegliere per far si che la nostra foto sia correttamente esposta? Guarderemo nel
mirino o nel display esterno cosa ci indica il cursore dell’esposimetro: se sarà
spostato verso il “+” vorrà dire che con quei dati, la foto verrà sovraesposta
(molto chiara), di quanto? Lo leggeremo in base alle tacchette rappresentate su
quella barra e si misurano in “STOP”. Nell’esempio qui sotto, si può notare
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come un valore di 1/60s, anziché 1/500s, porti a un eccessiva luminosità della
foto:
SOVRAESPOSIZIONE +3EV
Dicevamo, quindi, se la barra risulta positiva, vuol dire che entra troppa luce e
dovremo ruotare la ghiera dei tempi di 3 STOP, diminuendoli, per far si che
l’otturatore rimanga aperto meno tempo ed impressioni meno luce; al contrario
se l’indicatore sarà spostato verso la parte negativa, agiremo sempre sulla ghiera
dei tempi aumentandoli, permettendo così all’otturatore di restare aperto più
tempo e di immagazzinare la luce necessaria. Qui sotto un esempio dove il
valore dei tempi era impostato su 1\2000, riducendo la luminosità generale di
tutta l’immagine:
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SOTTOESPOSIZIONE -3EV
Sono valori assoluti questi che ci da l’esposimetro? Assolutamente no, perché è
possibile ottenere la stessa esposizione anche impostando ISO e diaframmi
differenti, mantenendo fermo il tempo sullo stesso valore; Tenendo sempre in
considerazione l’immagine del paesaggio montano qui sopra, potremmo
impostare come tempi 1/1000s, lasciare gli ISO a 200 e aprire il diaframma per
permettere di far entrare più luce, quella luce che non entra più dai tempi
perché sono il doppio più veloci di prima (1/500s), regoleremo la ghiera del
diaframma a f/8 (ossia 1 stop in meno), così facendo riporteremo la livella
dell’esposimetro su “0”; agendo invece sugli ISO, avremmo dovuto impostare
1/1000s, f/11 e ISO 400.
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La regola dei terzi
Componiamo le nostre immagini correttamente
La fotografia è luce in grado di impressionare il sensore e registrare le
informazioni che poi saranno visibili all’occhio umano come immagini. Quindi
esposizione e trasmettere sensazioni sono i principali fattori che terminano una
buona fotografia. Ma un ruolo fondamentale lo gioca anche la composizione.
Dinamicità, forza e impatto vengono enfatizzati anche da come inquadriamo e
posizioniamo i vari elementi all’interno dell’immagine.
Avrai sicuramente sentito parlare almeno una volta nella vita, che per ottenere
immagini più accattivanti il soggetto debba essere posizionato in uno dei punti
focali dell’immagine o nelle linee di forza. Ma cosa sono i punti focali? Come li
riconosciamo?
Nell’immagine qui sopra puoi notare come le linee di forza, orizzontali e
verticali, dividano l’immagine in nove parti uguali e i punti focali sono il
risultato dell’intersezione di queste linee (punti in verde). Questa suddivisione
dell’immagine viene chiamata appunto “regola dei terzi”. La regola dei
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terzi ci è stata tramandata nei secoli dalla pittura, infatti, questa tecnica ha
sempre garantito nelle rappresentazioni di qualsiasi genere, dalla pittura alla
fotografia, dinamicità e armonia, colpendo l’occhio e catturarne l’attenzione.
Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di
paesaggio
Nella fotografia di paesaggio, la regola dei terzi si applica per dare una
maggiore importanza al primo piano o al cielo, posizionando quindi la parte a
cui si vuole dare maggior rilievo a 2/3 dell’immagine. Che significa? Semplice,
l’orizzonte del vostro panorama dovrà essere posizionato su una delle due linee
orizzontali; quindi in parole povere se vorrai dare maggiore importanza al
primo piano dovrai trovarti di fronte a questa situazione:
puoi notare come il soggetto sia posizionato nel punto focale in basso a destra,
mentre l’orizzonte si trova nell’ultimo terzo. l’Immagine oltre a risultare ben
bilanciata, indirizza lo sguardo dal primo piano (parte più in evidenza) verso
l’orizzonte, dove ci sono appunto le montagne. Lo stesso discorso vale per le
inquadrature verticali.
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Nel caso in cui il principale soggetto sia il cielo, magari mentre stai facendo una
bella fotografia notturna, ti basterà inquadrare una porzione maggiore di cielo,
spostando l’orizzonte nella seconda linea orizzontale, come nell’esempio qui
sotto:
Come si applica la regola dei terzi nella fotografia di
ritratto
Nella fotografia di ritratto la regola dei terzi va applicata sulle parti principali
del soggetto, solitamente corrispondono all’occhio, nel caso di un primo piano, il
viso per mezzi busti o figure intere. Quindi cerca di posizionare nei punti focali
o lungo le linee di forza il tuo soggetto in modo da decentrarlo, facendolo
risultare decisamente più interessante. Ti mostriamo alcuni esempi qui di
seguito:
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La regola dei terzi non è limitata soltanto alle tecniche fotografiche sopra
elencate, ma estende il suo raggio di azione a 360°, coinvolgendo anche tipi di
fotografia come quella macro, street, reportage; resta da sottolineare, malgrado
la sua utilità, la possibilità di non essere obbligatoriamente rispettata.
Rompere le regole:
Come accennato sopra, la regola dei terzi ci viene in soccorso nella maggior
parte delle situazioni, ma è bene ribadire che non è l’unica e non è imposta;
infatti nella fotografia, come nella pittura, ricercare inquadrature simmetriche,
minimali o fuori dagli schemi spesso può essere un arma vincente per
stravolgere completamente la fotografia e catturare l’attenzione di chi la sta
osservando.
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Profondità di campo
Che cos’è e come si regola
La profondità di campo è un altro fattore molto importante per la riuscita di
una buona fotografia. A seconda delle situazioni, la profondità di campo può
influenzare di molto il risultato di un’immagine e per questo va studiata e
compresa a fondo.
Ma cos’è la profondità di campo?
La profondità di campo (detta anche PdC) è quella parte dell’immagine dove
gli oggetti risultano nitidi e ben focalizzati; ad esempio possiamo guardare come
nella qui sotto, la profondità di campo è ben focalizzata sul piano del corpo del
soggetto mentre gli altri piani, tutto ciò che c’è prima del soggetto e tutto ciò che
sta dopo e quindi dietro al soggetto, risultano fuori fuoco (detti cerchi di
confusione); si parla in questo caso di “ridotta profondità”, poiché solo una parte
dell’immagine è chiara all’osservatore, mentre il resto, meno nitido e chiaro,
quindi sfocato, fa da contorno al soggetto, non intralciando la vista di chi la
osserva.
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Nella figura successiva, invece, possiamo notare come la PdC sia fondamentale
che rimanga nitida su tutto il piano dell’immagine, per permettere a chi la sta
guardando di non perdersi nessun dettaglio dello splendido paesaggio.
Abbiamo quindi visto in questi due esempi quanto la profondità di campo sia
importante e sopratutto vada scelta e curata per ottenere immagini di grande
effetto.
Ma come si regola la profondità di campo?
La PdC è definita da tre fattori:
• Distanza dell’oggetto dal sensore (maggiore è la distanza, più ampia sarà la
profondità di campo e viceversa).
• Apertura del diaframma (maggiore sarà l’apertura ƒ, minore sarà la PdC,
viceversa, più chiuderemo il diaframma, più la nostra profondità
aumenterà).
• Lunghezza focale dell’ottica (un obiettivo con maggiore angolo di campo,
ad esempio i grandangoli, avranno un maggior raggio di campo e
quindi profondità, mentre con uno zoom, avendo un campo di visione
più ristretto, diminuirà la PdC.)
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Immaginiamo di avere come obiettivo un 50mm, che sappiamo rappresenta la
realtà, quasi come la percepisce l’occhio umano e di utilizzare un’apertura di
diaframma fissa a ƒ/2,8 (PdC molto ridotta), vediamo nella foto qui sotto come
la profondità di campo, rappresentata dal colore verde, vari, al variare della
distanza del soggetto:
Utilizzando invece sempre un 50mm e mantenendo il soggetto sempre alla
stessa distanza di 5mt, vediamo come
varia la PdC chiudendo i diaframmi, ricordando che una maggiore apertura del
diaframma, permette si di far entrare più luce, ma riduce molto la profondità di
campo, viceversa, utilizzando diaframmi più chiusi, avremo meno luce che
entra, ma una maggiore profondità di campo:
Infine possiamo osservare come la profondità di campo
varia in base alla lunghezza focale dell’ottica; immaginiamo di stare per
fotografare un soggetto a 10 mt. di distanza, con un obiettivo a lunghezza focale
400mm e diaframma ƒ/2.8, la nostra profondità di campo risulterà essere di soli
circa 10cm, mentre se utilizzassimo sempre il nostro famoso 50mm, la PdC
risulterebbe di circa 7,62mt.
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Abbiamo quindi visto come la profondità di campo sia influenzata da questi
3 fattori, è dunque importante capire a fondo questo argomento, perché può
essere utilizzata sia in modo creativo (spesso nel ritratto si utilizzano ridotte PdC
per enfatizzare il volto del soggetto) che studiata accuratamente per avere tutti i
piani e soggetti a fuoco.
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L’istogramma
Impariamo a leggere i suoi valori
L’istogramma è quel valore grafico che trovi, dopo aver scattato una foto, sul
display LCD della tua reflex oppure lo puoi osservare successivamente,
nei programmi di fotoritocco quando apri le tue foto per elaborarle e si presenta
così:
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Nella prima foto possiamo notare il grafico di colore bianco posizionato in alto a
destra (a seconda del modello e marca di reflex ovviamente cambia), nella
seconda illustrazione, invece, oltre a quello bianco troviamo anche altri 3 grafici
colorati rosso-verde-blu, quelli stanno ad indicare i canali RGB, per cui potremo
leggere con molta accuratezza se ci sono errori sui toni di alcuni colori.
All’interno dei programmi di fotoritocco, come Photoshop o Lightroom, invece
l’istogramma ci apparirà in questo modo:
Dicevamo appunto, l’istogramma serve a leggere la luce, ci indica quali valori
compresi tra 0 (nero) e 255 (bianco) sono stati impressi sull’immagine scattata;
tutto ciò che sta prima dello “0”, quindi sul lato sinistro, indica che i pixel sono
completamente neri, ossia privi di dettaglio; tutto ciò che si trova dopo il “255”,
quindi sul lato destro, saranno i pixel bianchi, anch’essi privi di dettaglio. Come
possiamo vedere nel grafico qui sotto, l’istogramma viene suddiviso in questo
modo:
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• l’asse verticale indica la quantità di pixel sul fotogramma di una determinata
luminosità.
• l’asse orizzontale invece è leggermente più complesso da comprendere; è
suddiviso in 3 sezioni: il lato sinistro, parte dal valore 0, riguarda i pixel e
quindi le zone di ombra presenti nell’immagine, la parte centrale indica i
mezzitoni e la parte destra invece indica i pixel più luminosi fino ad arrivare
al bianco assoluto che è il 255.
Ne consegue che, se avremo l’istogramma spostato tutto verso sinistra
l’immagine sarà sottoesposta; quanti pixel avranno quelle tonalità (o porzione
dell’immagine)? Più il picco è alto e più i dettagli dei pixel sulla foto
presenteranno zone scure, se sono sul bordo o in prossimità dello “0”, invece,
saranno proprio dettagli neri, non visibili all’occhio umano:
viceversa, se l’stogramma sarà spostato tutto verso destra, avremo una
maggioranza di pixel tendenti al bianco, mentre quelli sul valore 255 e oltre,
saranno bianchi assoluti, non visibili all’occhio umano, ne consegue che la foto
in quella parte sarà bianca:
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Facciamo un esempio pratico per capire meglio come
funziona l’istogramma.
Se dovessimo fotografare un tramonto con il sole quasi frontale, avremo
sicuramente delle zone in ombra; per cui scegliendo di esporre nella modalità
“spot” nel punto più luminoso della nostra inquadratura, avremo più o meno
una situazione simile:
Nell’immagine qui sopra puoi notare come le zone evidenziate in rosso
corrispondono a quella porzione di istogramma che si avvicina allo “0” del lato
sinistro, il picco cerchiato di rosso indica che quelli sono pixel neri o molto
vicino al nero, per cui in quella parte dell’immagine avremo zone prive di
dettaglio o molto scure non visibili all’occhio umano;
Al contrario, se esponessimo sempre in modalità “spot”, ma stavolta per le
ombre, avremo più dettagli nelle zone scure, ma ci ritroveremo per forza di cose
a sovraesporre il cielo:
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in questo caso, come si può notare dalla foto qui sopra, la parte evidenziata in
rosso, corrisponde ai dettagli o pixel bianchi che si avvicinano al valore 255 o lo
superano; questi sono porzioni di pixel che non si recuperano nemmeno in post
produzione.
Se avessimo esposto correttamente facendo una prima misurazione sulle ombre,
una seconda sulle alte luci e poi con un calcolo tra le differenze di “stop” che
passano tra luci e ombre, fatta una media valutativa (ad esempio con 4 stop di
differenza tra luci e ombre, esponendo per le ombre, avresti dovuto sovraesporre
di 2 stop), avremo avuto una situazione simile a questa:
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possiamo notare come l’istogramma sia ben “spalmato” lungo tutto l’asse
orizzontale, ci sono dei picchi nella parte sinistra delle ombre, ma non sono
vicine al punto “0”, per cui con un po di fotoritocco sono recuperabili, idem per le
alte luci, ossia parte destra dell’istogramma, ci sono presenti zone chiare, ma
non sono vicine all’estremo “255” e quindi recuperabili anch’esse con i
programmi di fotoritocco.
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Le modalità di scatto
Prova a scattare Manualmente
Ti sei mai chiesto a cosa servono le modalità di scatto P,A,S,M? Oppure, in
quali occasioni utilizzare una impostazione piuttosto che un’altra? Bene, non ti
preoccupare, mettiti seduto comodamente perché nelle prossime righe
cercheremo di spiegarti il funzionamento e l’approccio corretto da adottare
quando si comincia a fotografare e non si hanno le idee ben chiare rispetto alla
modalità di scatto da scegliere.
Al giorno d’oggi, la maggior parte delle fotocamere digitali hanno all’interno del
loro software varie modalità di scatto che possono cambiare in base al modello,
ma in ogni caso ce l’hanno e sono talmente tante che spesso molti di noi
nemmeno sanno a cosa servono o come si utilizzano.
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Tralasciando le modalità di ripresa automatiche che non permettono all’utente
di comandare la propria fotocamera digitale (rappresentate solitamente da
diverse icone, quali il fiore, la montagna, il ritratto) vediamo insieme le
modalità di scatto P,A,S,M, che al contrario, servono proprio a lasciare
libero campo di controllo dell’esposizione al fotografo.
Modalità P o Program
Questo tipo di modalità è tra le 4, la meno creativa. Infatti è una modalità
molto simile a quella “auto“; è la fotocamera stessa a decidere tempi, ISO e
diaframmi, lasciando al fotografo il compito di regolare solamente il
bilanciamento del bianco, la composizione e la compensazione
dell’esposizione. Dunque la modalità “P” potrebbe tornarci utile in quei
momenti in cui non abbiamo molto tempo per regolare i tre parametri o
quando siamo alle prime armi e vogliamo essere sicuri di portare a casa
almeno un paio di scatti buoni.
Modalità A (AV per Canon) o priorità di diaframmi
Tra tutte le modalità di scatto, questa è quella che personalmente utilizzo di
più. Infatti con questa impostazione è il fotografo a dettare legge sulla
profondità di campo. Lasciando il compito di gestire i tempi al software della
reflex, noi abbiamo il pieno controllo dei diaframmi; potremo così scegliere
un’apertura maggiore per avere meno profondità di campo e staccare il
soggetto dallo sfondo, oppure chiudere il diaframma per avere tutti i piani a
fuoco. Si può utilizzare in molti contesti fotografici, come ad esempio la
fotografia di ritratto, macro, paesaggio e still-life.
Modalità S (TV per Canon) o priorità dei tempi
Contrariamente alla modalità A, la priorità dei tempi, invece, lascia al
fotografo il pieno controllo della scelta del tempo. Questa modalità di ripresa
può essere molto utile nelle fotografie sportive o dove abbiamo bisogno di
tempi ben prestabilì per fermare il soggetto o per creare effetti particolari,
come le scie luminose, come la fotografia notturna, star-trail e via dicendo.
Modalità M o Manuale
Con questa impostazione, la reflex è totalmente nelle nostre mani. Hai il
comando e il controllo di ogni singola impostazione, dovrai imparare ad
essere molto rapido per impostare velocemente la giusta accoppiata tempi/
diaframmi/ISO; consiglio quanto meno, se non state scattando in studio con
lampade o flash, di mantenere attiva la funzione AUTO del bilanciamento del
bianco e di impostare gli ISO sempre il più bassi possibile e quindi
preoccuparti solamente dei tempi e dei diaframmi durante lo scatto.
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Quindi, è vero che scattare nella modalità M (manuale) sarebbe la soluzione più
opportuna sia per imparare a migliorarsi, sia per avere il pieno controllo
dell’esposizione e quindi sullo scatto, mettendoci sempre la propria vena creativa
ma è pur sempre vero che le altre modalità di scatto, anche se sono semi-
automatiche, non vuol dire che non bisogna conoscerle o non usarle, anzi, come
visto negli esempi sopra, in alcune situazioni sono davvero indispensabili
semplificando la vita del fotografo professionista.
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Complimenti
Ora sei pronto per fare foto che emozionano.
Se vuoi ampliare le tue vedute fotografiche. Se vuoi imparare da grandi
fotografi, non ti resta che partecipare ad un loro workshop. Accedi su weshoot e
cerca il workshop che più ti piace.
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