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Omelie Su Matteo 2 - Giovanni Crisostomo - 1576

Il documento presenta le omelie di Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo, in particolare l'episodio del centurione di Cafarnao, che dimostra una fede straordinaria nel chiedere la guarigione del suo servo. Crisostomo sottolinea l'umiltà del centurione e la sua comprensione dell'autorità di Cristo, che porta a una lode pubblica da parte di Gesù. Il testo confronta anche la fede del centurione con quella di Marta, evidenziando l'importanza di avere una corretta opinione su Cristo per ricevere le sue benedizioni.
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Omelie Su Matteo 2 - Giovanni Crisostomo - 1576

Il documento presenta le omelie di Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo, in particolare l'episodio del centurione di Cafarnao, che dimostra una fede straordinaria nel chiedere la guarigione del suo servo. Crisostomo sottolinea l'umiltà del centurione e la sua comprensione dell'autorità di Cristo, che porta a una lode pubblica da parte di Gesù. Il testo confronta anche la fede del centurione con quella di Marta, evidenziando l'importanza di avere una corretta opinione su Cristo per ricevere le sue benedizioni.
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Giovanni Crisostomo

OMELIE
SUL VANGELO
DI MATTEO/2
(26- 61)

Introduzione, traduzione e note


a cura di Sergio Zincone

Città Nuova
Copertina di Gyòrgy Szokoly. Restyling di Rossana Quarta

© 2003, Città Nuova Editrice


Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma
tel. 063216212 - e-mail: [email protected]

Con approvazione ecclesiastica

ISBN 88-311-3171-0

Finito di stampare nel mese di giugno 2003


dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.
Via S. Romano in Garfagnana, 23
00148 Roma - tel. 066530467
e-mail: [email protected]
Giovanni Crisostomo
OMELIE SUL VANGELO DI MATTEO/2
(26 -61 )
OMELIA 26

Entrato in Cafarnao, gli si avvicinò un centurione che lo supplicava


e diceva: Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terri­
bilmente a.

La g r a n d e f e d e d e l c e n t u r io n e

1. Il lebbroso gli si avvicinò quando discese dal monte, m


tre questo centurione gli si accostò dopo che entrò in Cafarnao.
Perché né costui né quello erano saliti sul monte? Non per negli­
genza, perché entrambi avevano una fede ardente, ma per non es­
sere di impedimento all’insegnamento del Signore. Il centurione,
avvicinatosi, dice: Il mio servo giace in casa paralizzato e soffre ter­
ribilmente. Alcuni dicono che, per giustificarsi, egli ha indicato il
motivo, per cui non aveva condotto il servo con sé, in quanto, so­
stengono, non era possibile portare di peso quel paralitico, tor­
mentato dalla malattia e che stava esalando l’ultimo respiro. Che
stesse per spirare, lo afferma Luca: stava per morire b. Ma io dico
che questo era segno del fatto che il centurione aveva ima grande
fede, molto maggiore di quella di coloro che calarono il paralitico
attraverso il tetto Poiché infatti sapeva chiaramente che anche

a Mt 8,5-6. b Le 7 ,2 .

1 Crisostomo si riferisce all’episodio, avvenuto anch’esso a Cafarnao,


narrato in Me 2, 4.
8 Omelie sul Vangelo di Matteo

soltanto un comando bastava a far alzare chi giaceva paralizzato,


pensò che fosse superfluo condurlo con sé. Che fece Gesù? Fa qui
quello che prima non aveva fatto in nessuna occasione. Mentre in
ogni circostanza asseconda la volontà di quelli che lo supplicava­
no, qui si slancia e promette non solo di curarlo, ma di andare an­
che a casa sua. Lo fa perché conosciamo la virtù del centurione, in
quanto se non avesse fatto questa promessa, ma avesse detto: Va’,
che sia guarito il tuo servo, non avremmo saputo nulla di questo.
Agì così, ma in modo contrario, con quella donna feniciac. Nel ca­
so del centurione, senza essere invitato a casa sua, dice spontanea­
mente che ci sarebbe andato, perché tu apprenda la sua fede e la
sua grande umiltà; nel caso della fenicia invece rifiuta di concede­
re la grazia e mette alla prova la sua perseveranza. Essendo un me­
dico sapiente ed esperto, sa sistemare situazioni opposte con me­
todi opposti. Nel caso del centurione svela la sua fede con la pro­
pria spontanea venuta 2, mentre nel caso della donna ne rivela la
fede mediante il suo indugio prolungato ed il suo rifiuto. Agisce3
così anche con Abramo dicendo: Non lo terrò nascosto al mio ser­
vo Abramo d, perché tu conosca la sua tenerezza e la sua sollecitu­
dine verso gli abitanti di Sodoma. E nel caso di Lot quelli che era­
no stati inviati da lui rifiutano di entrare in casa, perché tu ap­
prenda la grandezza dell’ospitalità di quel giustoe.

Il c e n t u r io n e v ie n e a d d it a t o d a C r ist o
COME ESEMPIO d a IMITARE

Che dice il centurione? Non sono degno che tu entri sotto il mio
tettof. Ascoltiamolo, noi.quanti abbiamo intenzione di ricevere Cri­

c Cf. Me 7, 25ss. d Gn 18,17. e Cf. G n l9 ,2 . f M t8 ,8 .

2 Nel senso che Gesù dice che sarebbe andato a casa del centurione: cf.
Mt 8,7.
3 Qui il soggetto sottinteso è Dio.
Omelia 26, 1 9

sto, perché anche ora è possibile riceverlo. Ascoltiamolo, imitia­


molo e accogliamolo con altrettanto zelo, perché quando accogli
un povero affamato e nudo, accogli e nutrì lui. Ma di’ soltanto una
parola e il mio servo sarà guarito e. Vedi che costui, come il lebbro­
so, ha di lui la dovuta opinione. Difatti questi non disse: Invoca, né:
Prega e supplica, ma: Ordina soltanto. Poi, temendo che rifiutasse
per modestia, dice: Perché anch’io, che sono un subalterno, ho sol­
dati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed
egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, e lo fa h. Ma, si potrebbe os­
servare, che importa se il centurione aveva questa opinione? La
questione è se Cristo lo ha dichiarato e confermato. Parli bene e
molto saggiamente. Dunque esaminiamo tale questione e trovere­
mo che anche in questo caso si è verificato quello che è avvenuto
nel caso del lebbroso. Come infatti il lebbroso disse: Se vuoi, e af­
fermiamo l’autorità di Cristo non solo basandoci sul lebbroso, ma
anche in virtù delle parole di Cristo, perché non soltanto non an­
nullò la congettura del lebbroso, ma la confermò anche maggior­
mente, aggiungendo ciò che era superfluo dire e affermando: Lo
voglio, sii sanato, per rafforzare la sua opinione; così anche in que­
sto caso è giusto esaminare se è accaduto qualcosa di simile, perché
troveremo che è avvenuto proprio questo. Dopo che il centurione
parlò così e rese testimonianza ad una tale autorità4, il Signore non
soltanto non lo biasimò, ma anche accettò e fece qualcosa di più
che accettarlo. L’evangelista non ha detto che lodò solamente le sue
parole, ma, mostrando anche l’intensità di questa lode, dice che lo
ammirò, e non lo ammirò semplicemente, ma anche alla presenza
di tutto il popolo e lo indicò agli altri come esempio da imitare. Ve­
di come venga ammirato ciascuno di quelli che hanno reso testi­
monianza alla sua autorità? E le folle erano stupite per il suo inse­
gnamento, perché insegnava come uno che ha autorità '; non sol­

ii Ibid. h Mt 8, 9. i Cf. Mt 7, 28-29.

4 Cioè quella del Signore.


10 Omelie sul Vangelo di Matteo

tanto non li biasimò, ma anche, prendendoli con sé, discese dal


monte e, mediante la guarigione del lebbroso, confermò la loro
opinione. Da parte sua diceva il lebbroso: Se vuoi, puoi sanarmi i;
non soltanto non lo rimproverò, ma anche lo risanò curandolo co­
sì come egli aveva chiesto. Da parte sua questo centurione dice: Di'
soltanto una parola e il mio servo sarà guarito k. Gesù, ammirando­
lo, diceva: Non ho trovato una fede così grande in Israele *.

L ’e s e m p io o ppo sto d i M arta

2. Perché ti renda conto di questo anche in base ad un e


pio opposto, per il fatto che Marta non disse niente di ciò, ma il
contrario: Qualunque cosa chiederai a Dio, te la concederà m, non
soltanto non fu lodata, benché gli fosse familiare e cara e fosse tra
quelle che si erano prese molta cura di lui, ma anzi fu rimprovera­
ta e corretta da lui, perché non aveva parlato come doveva. Difat­
ti le disse: Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? n,
biasimandola di non aver ancora creduto. D ’altra parte, poiché el­
la diceva: Qualunque cosa chiederai a Dio, te la concederà, per di­
stoglierla da una simile idea e insegnarle che non aveva bisogno di
ricevere da altri, ma era lui la fonte dei beni, dice: Io sono la re­
surrezione e la vita °, cioè: Non attendo di ricevere la potenza, ma
faccio tutto con le mie forze. Perciò ammira il centurione, lo ante­
pone a tutto il popolo, lo onora con il dono del regno p e invita gli
altri ad avere il medesimo fervore. Perché tu sappia che parlò in
questo modo per insegnare anche agli altri ad avere la stessa fede,
ascolta con quanta precisione l’evangelista abbia alluso a ciò di­
cendo: Voltatosi, Gesù disse a quelli che lo seguivano: Non ho tro­
vato in Israele una fede così grande Dunque avere un’opinione al­
ta di lui è soprattutto opera della fede e procura il regno e gli altri
beni.

i Mt 8,2. k Mt 8, 8. 1Mt 8,10. m G v ll ,2 2 . n G v ll ,4 0 .


° Gv 11, 25. PCf. M t 8 ,11. < iM t8 ,10.
Omelia 26, 1-2 11

Al l e pa role d e l S ig n o r e s e g u e il c o m p im e n t o d e l p r o d ig io

La lode del Signore nei suoi confronti non si limitò alle paro­
le, ma, in cambio della sua fede, gli restituì sano il servo malato, e
gli intesse una fulgida corona e promette grandi doni dicendo co­
sì5: Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a men­
sa nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe, mentre i figli del regno sa­
ranno cacciati fuori r. Dopo aver mostrato molti prodigi, parla loro
con maggior schiettezza. Poi, perché non si pensasse che le sue pa­
role erano dettate da adulazione, ma tutti si rendessero conto che
questa era la disposizione d’animo del centurione, dice: Va’, ti sia
fatto secondo la tua fed e s. E subito l’opera seguì a testimonianza
della sua volontà. In quell’istante il suo servo guarìl. Questo ac­
cadde anche nel caso della donna sirofenicia, perché le disse: Don­
na, è grande la tua fede; ti sia fatto come vuoi. E sua figlia guarì'1.

R a ffr o n to c o n l a n a r r a z io n e d i L uca

Poiché anche Luca, nel riportare questo prodigio, inserisce


parecchi altri elementi che sembrano indicare una discordanza, è
necessario spiegarvi anche tale questione. Che dice Luca? Il cen­
turione gli mandò alcuni anziani dei giudei, pregandolo di venire v.
Matteo invece dice che fu lui stesso ad avvicinarsi e a dire: Non so­
no degno™. Alcuni dicono che questo centurione non è quello, an­
che se ha molti elementi di somiglianza. Di quel centurione dice 6:
Ha costruito la nostra sinagoga e ama il popolo x; di questo dice G e­
sù stesso: Non ho trovato in Israele una fede così grande v. Riguar­

d i 8, 11-12. s Mt 8, 13. 'Ibid. u Mt 15, 28. v Cf. Le 7, 3.


w Mt 8, 8. * Le 7 ,5 . v Mt 8,10.

5 Crisostomo allude alla chiamata delle genti e alla loro entrata nel re­
gno dei cieli.
6 II riferimento è al racconto di Luca.
12 Omelie sul Vangelo di Matteo

do a quell’altro non ha detto: Molti verranno dall’orientez, per cui


è verosimile che fosse giudeo. Che diremo dunque? Che è agevo­
le questa soluzione; la questione è se è vera. A me sembra che
questo centurione corrisponda a quello. Perché allora, si potreb­
be obiettare, Matteo dice che quello disse: Non sono degno che tu
entri sotto il mio tetto, mentre Luca afferma che inviò alcuni per­
ché venisse? Mi sembra che Luca ci mostri in modo allusivo l’a­
dulazione dei giudei, e che coloro che sono agitati trovandosi in
una sventura, mutano spesso parere. È verosimile che il centurio­
ne, volendo andare da Gesù, fosse impedito dai giudei che lo adu­
lavano e dicevano: Andremo noi e lo condurremo da te. Vedi che
le loro parole di conforto sono piene di adulazione. Ama il nostro
popolo, dice, ed è stato lui a costruire la sinagoga·, non sanno come
lodare quell’uomo. Mentre avrebbero dovuto dire: «Egli avrebbe
voluto venire e supplicarti, ma noi glielo abbiamo impedito, ve­
dendo la sua disgrazia e quel corpo malato che giace in casa», e
così avrebbero dovuto indicare la grandezza della sua fede, non
parlano in questo modo, perché non volevano, per invidia, rive­
lare la fede di quell’uomo, ma preferirono mettere in ombra la
virtù di colui per il quale erano venuti a rivolgere la loro suppli­
ca, perché non sembrasse che fosse grande colui che veniva invo­
cato oppure che, proclamando la sua fede, questo ottenesse ciò
per cui erano venuti. L’invidia è sufficiente ad accecare la mente.
Ma colui che conosce i segreti, lo esaltò anche contro la loro vo­
lontà. A riprova del fatto che ciò è vero, ascolta lo stesso Luca che
da parte sua fa capire questo concetto. Dice infatti così: Non era
molto distante quando gli mandò a dire: Signore, non stare a di­
sturbarti; non sono degno che tu entri sotto il mio tetto aa. Quando
fu libero dalle loro molestie, manda a dire: Non pensare che non
sono venuto per negligenza, ma mi sono ritenuto indegno di ac­
coglierti in casa.

z M t 8 , 11. aa Le 7, 6.
Omelia 26, 2-3 13

M atteo e L uca m a n if e s t a n o il fe r v o r e d e l c e n t u r io n e

3. Se poi Matteo dice che egli ha fatto queste affermazioni


tramite gli amiciab, ma personalmente, non fa niente perché la que­
stione è se entrambi gli evangelisti abbiano manifestato il fervore di
quell’uomo e che avesse di Cristo la dovuta opinione. E verosimile
che anche lui, dopo aver inviato gli amici, fosse venuto a dire que­
ste cose. Se Luca non lo ha detto, neppure Matteo però ha detto
quanto riferito dall’altro, e questo era segno non che si contraddi­
cevano, ma che piuttosto completavano ciò che reciprocamente ave­
vano tralasciato. Considera come Luca, anche sotto un altro profi­
lo, abbia proclamato la sua fede dicendo che il servo stava per mo­
rire ac. Tuttavia però ciò non lo gettò nello sconforto, né lo fece di­
sperare, ma anche in questa situazione sperò che sarebbe sopravvis­
suto. Se Matteo dice che Cristo affermò: Non ho trovato in Israele
una fede così grande, manifestando anche così che quello non era
israelita, Luca dice che aveva costruito la sinagoga. Ma neppure
questa è una contraddizione, perché è possibile che, pur non essen­
do giudeo, avesse costruito la sinagoga e amasse il popolo 7.

V ir tù e u m il t à d e l c e n t u r io n e

Non esaminare soltanto le sue parole, ma prendi in conside­


razione anche la sua carica e allora ti renderai conto della virtù di
quell’uomo. Difatti grande è l’arroganza di coloro che occupano
delle cariche e non si abbassano nemmeno nelle disgrazie. Quel
funzionario, di cui si parla in Giovanni, cerca di trascinarlo a casa
sua e dice: Scendi, perché il mio bambino sta per moriread. Non agì

ab Cf. ibid. ac Cf. Le 7, 2. ad Gv 4, 49.

7 Sul fatto che questo centurione non fosse giudeo, si consideri comun­
que che anche secondo Le 7, 9 Gesù dice di non aver trovato una fede così
grande neppure in Israele.
14 Omelie sul Vangelo di Matteo

però così il centurione, ma in modo molto migliore sia di quel


funzionario, sia di coloro che calarono attraverso il tetto il letto
del paraliticoae. Difatti non richiede la presenza fisica del Signo­
re, né portò il malato vicino al medico, e questo era l’atteggia­
mento di chi non aveva una bassa opinione di lui, ma ne aveva
un’idea che si addiceva a Dio. Afferma: Di’ soltanto una parola
Non dice all’inizio: D i’ una parola, ma descrive soltanto la malat­
tia, perché non si aspettava, per la sua grande umiltà, che Cristo
avrebbe acconsentito subito e avrebbe desiderato di andare a ca­
sa sua. Perciò, quando lo sentì dire: Verrò e lo curerò ae, allora di­
ce: D i’ una parola. Neppure l’infermità lo turbò, ma anche nella
disgrazia rimane saggio, non guardando tanto alla salute del ser­
vo, quanto al fatto che non sembrasse che facesse nulla di empio.
Certamente non forzò Gesù, ma fu Cristo a promettere; però an­
che così teme di sembrare di travalicare i propri meriti e di atti­
rarsi gravi conseguenze. Hai visto la sua accortezza? Considera la
stoltezza dei giudei che dicevano: Egli merita che tu gli faccia que­
sta grazia Mentre avrebbero dovuto ricorrere alla bontà di G e­
sù, gli mettono davanti i meriti di costui e non sanno neppure co­
me dovevano presentarli. Egli però non agì così, ma diceva di es­
sere assai indegno non soltanto di quel beneficio, ma anche di ac­
cogliere il Signore in casa. Perciò, dopo aver detto: Il mio servo
giace paralizzato ai, non aggiunse: D i’, temendo di essere indegno
di ottenere il dono, ma espose soltanto quella sventura. Dopo
aver visto la pronta generosità di Cristo, nemmeno in questo caso
si precipitò, ma perseverò ancora nell’osservare la misura a lui
conveniente.

G esù o n o r a i l c e n t u r io n e

Se qualcuno dicesse: «Perché Cristo non lo onorò a sua vol­


ta?», potremmo dire che anzi lo onorò molto, innanzitutto mo-

aeCf. Me 2, 4. Mt 8, 8. ae Mt 8, 7. ^Ι,ζΊ,Α. “ M te, 6.


Omelia 26, 3-4 15
strando la sua disposizione d’animo 8, il che risultò soprattutto dal
fatto che non venne nella sua casa; in secondo luogo, introducen-
dolo nel regno e anteponendolo a tutto il popolo giudaico. Poiché
stimò se stesso indegno di accogliere Cristo nella sua casa, fu de­
gno del regno e di ottenere i beni di cui aveva goduto Abramo. E
perché, si potrebbe obiettare, il lebbroso, pur avendo mostrato un
atteggiamento superiore a questo, non fu lodato? Infatti non dis­
se: Di’ una parola, ma ciò che era molto più sublime: Abbi soltan­
to la volontà di sanarmi. Il profeta dice questo del Padre: Ha fatto
tutto quanto ha voluto a>. Però anche quello è stato lodato, perché
quando dice: Presenta l’offerta prescritta da Mosè, come testimo­
nianza per loro non dice nient’altro se non questo: Tu li accuse­
rai, per il fatto di aver creduto. D ’altra parte non era lo stesso che
credesse uno che era giudeo e uno che era al di fuori del popolo
giudaico. Che il centurione non fosse giudeo è evidente dal fatto
che era centurione e dalle parole: Non ho trovato in Israele una fe­
de così grande.

A u t o r it à di C r ist o

4. Era molto significativo che un uomo che era al di fuo


quelli annoverati tra i giudei avesse una così elevata opinione di
Cristo. Egli immaginò, a mio parere, le milizie celesti o che a Cri­
sto erano soggette le infermità, la morte e tutto il resto, come a lui
erano sottomessi i soldati. Perciò diceva: Io sono un uomo sotto­
messo ad autorità **, cioè: Tu sei Dio, io un uomo; io sono un su­
balterno, tu non lo sei. Se dunque io, che sono un uomo e subal­
terno, ho tanto potere, a maggior ragione lui, che è Dio e non è sot­
toposto ad autorità. Vuole persuaderlo, nel modo più efficace pos­

ai Sai 115 (113B), 3; 135 (134), 6. Λ Μ ι8 ,4 . ύ Mt 8, 9.

8 Cioè la sua umiltà e la sua fede.


16 Omelie sul Vangelo di Matteo

sibile, che parlava così non come se proponesse l’esempio di una


realtà che era sullo stesso piano, ma nel senso che il confronto era
con un potere assai superiore. Se infatti io, vuol dire, che sono di
pari onore rispetto ai miei sottoposti e sono subalterno, tuttavia ho
tanto potere per la esigua preminenza della mia carica, e nessuno
si opporrà, ma si fa quanto ordino, anche se gli ordini sono diffe­
renti, perché dico a uno: Va’, ed egli va; e ad un altro: Vieni, ed egli
viene a maggior ragione lo potrai tu. Alcuni leggono così que­
sto passo: Se infatti io, che sono un uomo, e poi interpungono e
proseguono: che ho soldati sottoposti alla mia autorità 9 Considera
come abbia indicato che il Signore può dominare sulla morte co­
me fosse una schiava e darle ordini come un padrone. Difatti
quando dice: Vieni, e viene; va’, e va, vuol dire: Se ordini alla mor­
te di non venire sul mio servo, non verrà. Hai visto come era cre­
dente? Egli rese già manifesto quello che in seguito sarebbe stato
evidente a tutti, vale a dire che il Signore ha autorità sulla morte e
sulla vita e conduce alle porte degli inferi e riporta via da esse. E
non parlò soltanto di soldati, ma anche di servi, il che era segno di
un’obbedienza maggiore.

La sa lv ez z a v ie n e d a l l a f e d e

Tuttavia però, pur avendo una fede così grande, si riteneva


ancora indegno. Ma Cristo, mostrando che era degno che egli en­
trasse nella sua casa, fece molto di più, ammirandolo, esaltandolo
e dandogli più di quanto avesse chiesto, perché era venuto a do­
mandare la salute fisica per il servo e andò via ricevendo il regno.
Hai visto come si era già adempiuto quanto era stato detto: Cerca­

™ Ibid.

9 Secondo questa punteggiatura quindi il centurione non fa riferimento


al fatto di essere subalterno.
Omelia 26, 4 17

te il regno dei cieli e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta “ ?


Poiché aveva dato prova di grande fede e umiltà, gli dette il cielo
e aggiunse la guarigione del servo, e non lo onorò soltanto così, ma
anche mostrando chi era stato scacciato mentre egli veniva intro­
dotto nel regno10. E partendo da questo esempio rende ormai no­
to a tutti che la salvezza viene dalla fede, non dalle opere della leg­
ge. Perciò questo dono sarà offerto non soltanto ai giudei, ma an­
che alle genti, e più a queste che a quelli. Non crediate, vuol dire,
che ciò si è verificato solo nel caso di questo centurione, perché si
realizzerà anche in tutto il mondo. Lo diceva pronunciando una
profezia riguardo alle genti e infondendo loro buone speranze. Lo
seguivano infatti anche dalla Galilea dei gentiliao. Lo diceva per
non abbandonare i gentili alla disperazione e per abbassare la su­
perbia dei giudei. Perché le sue parole non offendessero gli ascol­
tatori e non offrissero loro alcun appiglio, non introduce prima­
riamente il discorso sui pagani, ma prendendo occasione dal cen­
turione, non presenta il nome dei pagani puro e semplice. Non ha
detto infatti: Molti pagani, ma: Molti dall’oriente e dall’occidente·,
ciò indicava i pagani, ma non offendeva con questa espressione gli
ascoltatori, perché le parole erano allusive. Non attenua soltanto
così quella che sembrava essere una innovazione del suo insegna­
mento, ma anche con il parlare del seno di Abramo invece del re­
gno n . Quel termine non era loro noto e la menzione di Abramo li
colpiva maggiormente. Perciò Giovanni12 non parlò subito della

m Mt 6, 33. 30 Cf. M t4, 15.

10 Nel senso che in Mt 8, 11-12 si parla di coloro che verranno dall’o­


riente e dall’occidente, cioè i pagani, e entreranno nel regno dei cieli, mentre
i figli del regno saranno cacciati fuori.
11 Crisostomo mostra di tener presente un testo di Mt 8, 11 in cui si
menziona il seno di Abramo, mentre non si fa riferimento esplicitamente al
regno dei cieli; così è citato il suddetto passo evangelico nelle Recognitiones
pseudoclementine IV, 4, 3 (GCS 51, p. 148).
12 II Battista.
18 Omelie sul Vangelo di Matteo

geenna, ma di ciò che soprattutto li addolorava: Non crediate di di­


re: Siamo figli di Abramo aP. Inoltre dimostra anche un’altra cosa,
di non apparire contrario all’antico sistema di vita, perché egli che
ammirava i patriarchi e chiamava loro seno l’eredità dei beni, eli­
mina a profusione anche questa supposizione. Nessuno pensi che
sia ima sola minaccia, perché si tratta di una duplice punizione Λ<ι
per questi e di una duplice gioia per quelli: per questi, non solo
perché persero, ma perché persero quello che era loro proprio;
per quelli, non solo perché ottennero, ma perché ottennero quel­
lo che non si attendevano, e inoltre è una triplice gioia, perché
questi ricevettero quello che apparteneva ad e ssi13. Chiama figli
del regnoar quelli per cui il regno era stato preparato, e questo so­
prattutto li feriva. Li esclude infatti dopo aver mostrato che erano
nel seno di Abramo per la disposizione e la promessa divine. Poi,
dal momento che le sue parole erano una sentenza, la conferma
con il miracolo, come del resto prova i miracoli in base alla suc­
cessiva realizzazione della predizione.

Il m ir a c o l o e l a p r o f e z ia s i c o n f e r m a n o r e c ip r o c a m e n t e

5. Chi dunque non crede alla guarigione del servo avven


allora, creda anche a quel miracolo a motivo della profezia che og­
gi si è avverata. In effetti la profezia, anche prima della sua realiz­
zazione, è diventata chiara per tutti per il miracolo compiuto allo­
ra. Perciò, dopo aver fatto prima questa predizione, fece alzare poi
il paralitico perché il futuro fosse confermato dal presente e ciò
che era meno rilevante fosse confermato da ciò che era più im­
portante. In realtà non era inverosimile che i virtuosi godessero
dei beni e quelli che si comportavano all’opposto andassero in­
contro a sofferenze, ma era conforme a ragione e alle leggi; invece

aP Mt 3, 9. a<J Cf. Is 40, 2. arM t8, 12.

13 Cioè ai figli del regno, ai giudei.


Omelia 26, 4-5 19

raddrizzare un paralitico e risuscitare un morto andavano al di là


della natura. Tuttavia però non poco contribuì il centurione a que­
sta opera grande e meravigliosa, e questo indicò Cristo dicendo:
Va’, e ti sia fatto secondo la tua fede as. Hai visto come la guarigio­
ne del servo abbia proclamato la potenza di Cristo e la fede del
centurione, e abbia confermato ciò che sarebbe avvenuto? Anzi
tutto proclamava la potenza di Cristo, perché non soltanto ristabi­
lì il corpo del servo, ma, con il miracolo, attirò anche l’anima dèi
centurione alla fede. Considera non soltanto questo, che egli cre­
dette e quello fu guarito, ma ammira anche la rapidità con cui ciò
avvenne. Difatti per indicare questo l’evangelista diceva: E in quel­
l’istante il suo servo guarì, come anche nel caso del lebbroso disse
che subito fu sanatoat. Dimostrò la sua potenza non soltanto nel
curarlo, ma anche nel farlo in modo straordinario e in un attimo.
Non giovava soltanto così, ma anche, nel mostrare i prodigi, schiu­
dendo continuamente il discorso sul regno e attirando tutti ad es­
so. E quelli che minacciava di escludere, non li minacciava per
escluderli, ma per attirarli ad esso, con il timore, per mezzo delle
sue parole. Se nemmeno così non ne trassero profitto, la colpa era
tutta loro e di tutti coloro che erano affetti da un simile morbo.

I n v it o a l l a v ig il a n z a

Si potrebbe constatare che questa situazione si è verificata non


soltanto per i giudei, ma anche per coloro che avevano creduto.
Anche Giuda era figlio del regno e ascoltò, insieme ai discepoli: Se­
derete su dodici troni™, ma diventò figlio della geenna. L’etiope in­
vece av, pur essendo barbaro e di quelli che dovevano venire dall’o­
riente e dall’occidente, godrà delle ricompense con Abramo, Isac­
co e Giacobbe. Questo accade anche ora fra di noi. Molti infatti dei
primi, dice, saranno ultimi e gli ultimi primiaw. Lo dice perché né

as Mt 8, 13. at Cf. Mt 8, 3. au Mt 19, 28. av Cf. At 8, 27ss.


aw Cf. Mt 19, 30.
20 Omelie sul Vangelo di Matteo

gli uni si lascino prendere da negligenza, come se non possano ri­


tornare, né gli altri se ne stiano tranquilli, come se stessero ormai
saldi. Lo diceva anche Giovanni14 preannunciandolo fin dal prin­
cipio: Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre Poiché
questo si sarebbe verificato, viene preannunciato da molto tempo
in modo che nessuno rimanesse turbato per la stranezza dell’even­
to. Ma quello lo dice come di un fatto possibile, in quanto era il
precursore, mentre Cristo lo presenta come un fatto che si sarebbe
realizzato senz’altro, offrendone la prova con le sue opere.
Non confidiamo dunque se stiamo saldi, ma diciamo a noi
stessi: Chi crede di stare saldo, guardi di non cadere av; né disperia­
mo se siamo a terra, ma diciamo a noi stessi: Forse che chi cade non
si rialza? az. Molti infatti, dopo essere ascesi alla stessa vetta del cie­
lo ed aver dato prova di totale fermezza, dopo aver raggiunto il de­
serto e non aver visto una donna neppure in sogno, per un po’ di
negligenza hanno inciampato e sono giunti proprio nell’abisso del­
la malvagità. Altri a loro volta da questa condizione sono ascesi al
cielo e dalla scena e dall’orchestra15 sono passati alla vita angeli­
ca 16 ed hanno mostrato una virtù così grande da scacciare i de­
moni e compiere molti altri prodigi di questo genere. Di questi
esempi sono piene le Scritture, ne è piena la nostra vita. Uomini
dissoluti ed effeminati chiudono la bocca dei manichei, che dico­
no che la malvagità è immutabile 11, essi che si consacrano al dia­
volo, fanno cadere le braccia di coloro che vogliono impegnarsi e

ax Mt 3, 9. aU Cor 10, 12. a2G er8, 4.

14 II Battista.
15 Vale a dire dai costumi immorali del teatro che, come abbiamo visto,
Crisostomo condanna più volte.
16 Qui il nostro autore allude alla vita dei monaci.
17 Su questo aspetto che stava molto a cuore a Crisostomo, perché ve­
niva messo in pericolo il libero arbitrio, cf. il mio studio Giovanni Crisosto­
mo. Commento alla lettera ai Galati. Aspetti dottrinali, storici, letterari, L’A ­
quila 1980, pp. 105-106.
Omelia 26, 5-6 21

sovvertono tutta la vita. Quelli che inducono a pensare in questo


modo, non recano danno soltanto per il futuro, ma anche quaggiù
mettono tutto sottosopra, per quanto sta in lóro. Quando infatti
chi vive nella malvagità praticherà la virtù, se ritiene che sia im­
possibile ritornare ad essa e cambiare in meglio? Se ora che ci so­
no le leggi, le punizioni vengono minacciate, la gloria chiama a sé
la moltitudine, ci si aspetta la geenna, il regno viene promesso, i
cattivi sono ripresi e i buoni lodati, a stento alcuni scelgono di
sforzarsi per la virtù; se eliminassi tutto questo, che cosa impedi­
rebbe che tutto si perdesse e si corrompesse?

F id u c ia e t im o r e

6. Consapevoli dunque della malizia del diavolo, e che co


ro e quelli che cercano di stabilire per legge la dottrina del fato 18
si oppongono ai legislatori profani, agli oracoli di Dio, alla ragio­
ne della natura, al comune sentire di tutti gli uomini, barbari, sci­
ti, traci, tutti insomma, vigiliamo, miei cari, e dicendo addio a tut­
ti quelli 19, camminiamo per la via stretta ba con fiducia e con ti­
more: con timore, per i precipizi che ci sono da una parte e dal­
l’altra; con fiducia, perché Gesù ci guida. Camminiamo vigili e
svegli, perché anche se si sonnecchia un po’, si precipita giù rapi­
damente. Non siamo infatti più perfetti di David che, avendo fat­
to poca attenzione, precipitò nell’abisso del peccato. Ma rapida­
mente si risollevò. Non guardare dunque soltanto al fatto che pec­
cò, ma anche che si purificò del peccato. Perciò registrò 20 quella

ba Cf. Mt 7,14.

18 Cf. ibid., p. 104.


19 A coloro, quali i manichei e i sostenitori della dottrina del fato, cui il
nostro autore ha fatto riferimento in precedenza.
20 Soggetto sottinteso è l’autore biblico di 2 Sam 11, 4ss., dove è narra­
to il peccato di David.
22 Omelie sul Vangelo di Matteo

storia, non perché tu contemplassi la sua caduta, ma perché am­


mirassi che si è risollevato, perché imparassi come ci si debba ri­
sollevare dopo essere caduti. Come i medici, scegliendo le malat­
tie più gravi, le registrano nei libri e insegnano il metodo per cu­
rarle, per avere la meglio facilmente su quelle meno gravi eserci­
tandosi in quelle di maggior rilievo; così anche Dio ha presentato
i peccati più gravi perché coloro che commettono quelli meno gra­
vi, mediante quegli altri trovino facilmente il modo di curarli. Di­
fatti se quelli sono stati curati, a maggior ragione lo sono quelli
meno gravi.

L ’e s e m p io di D avid

Vediamo dunque come quel beato si ammalò e come rapida­


mente si risollevò. Che genere di malattia fu? Commise adulterio
e uccise. Non mi vergogno di proclamarlo con voce chiara. In ef­
fetti se lo Spirito santo non ritenne vergognoso trasmettere tutta
questa storia, a maggior ragione non dobbiamo metterla in ombra.
Perciò non soltanto la proclamo, ma aggiungo anche altro. Quan­
ti la occultano, sono essi soprattutto che mettono in ombra la sua
virtù, e come coloro che tacciono il suo combattimento con Golia
lo privano di non poche ricompense bb, così fanno anche quelli che
sorvolano su questa storia. Non sembrano forse paradossali que­
ste parole? Aspettate un po’ e saprete che abbiamo parlato così a
ragione. Perciò pongo l’accento sul peccato e rendo il discorso più
paradossale, per predisporre i rimedi in modo più abbondante.
Che cos’è dunque che aggiungo? La virtù di quell’uomo, il che
rende più grave la colpa. Non si giudica allo stesso modo tutto in
tutti: I potenti saranno esaminati, dice, con rigore bc, e: Colui che,
conoscendo la volontà del suo padrone, non la mette in pratica, ri­
ceverà molte percosse bd. Sicché ima conoscenza maggiore è alla ba­
se di una punizione più grave. Perciò il sacerdote, che commette

bb Cf. 1 Sam 17, 40ss. bc Sap 6, 6. bd Le 12,47.


Omelia 26, 6 23

gli stessi peccati di coloro che gli sono sottoposti, non subirà il me­
desimo castigo, ma uno molto più severo. Forse, vedendo accen­
tuare l’accusa, temete ed avete paura e vi stupite come se andassi
al precipizio. Ma io sono tanto tranquillo per quel giusto, che mi
spingo più avanti; quanto più accentuo la colpa, tanto più potrò
mostrare l’elogio di David.

C o n fr o n to con C a in o

Ma, si potrebbe rilevare, che si può dire di più? Molto di più.


Come infatti nel caso di Caino non si trattò soltanto di omicidio,
ma di ciò che era peggiore di molti omicidi, perché aveva ucciso
non un estraneo, ma il fratello, e un fratello che non l’aveva offe­
so, ma era stato offeso, non dopo che c’erano stati molti omicidi,
ma per primo escogitò questo abominio; così anche nel caso di
David quell’atto temerario non fu soltanto omicidio, perché chi
l’aveva compiuto non era un uomo qualunque, ma un profeta e
uccise non chi l’aveva offeso, ma chi era stato offeso da lui, perché
era stato offeso in ciò che è essenziale, in quanto gli era stata strap­
pata la moglie; ma tuttavia dopo un crimine ne aggiunse anche un
altro. Avete visto come io non abbia risparmiato quel giusto? Co­
me non abbia parlato delle sue colpe evasivamente? Tuttavia però
confido tanto nella sua difesa che, dopo aver posto l’accento su un
così grande peso del peccato da lui commesso, vorrei che fossero
presenti i manichei, che soprattutto mettono in ridicolo questo
episodio, e coloro che sono affetti dal morbo di Marcione, per
chiudere la loro bocca abbondantemente 21. Quelli infatti dicono
che uccise e commise adulterio; io invece non dico soltanto que­
sto, ma ho dichiarato anche che l’omicidio è stato duplice, sia per­
ché quello era stato offeso, sia per la qualità della persona che ave­
va peccato.

21 Si tenga presente il rifiuto dell’Antico Testamento da parte di mani­


chei e marcioniti.
24 Omelie sul Vangelo di Matteo

Pronto r a v v e d im e n t o d i D avid

7. Non è lo stesso avere l’ardire di commettere simili azion


tale età, dopo essere stati ritenuti degni di ricevere lo Spirito, do­
po aver avuto tanti benefici e posseduto tale autorità, e compiere
questo medesimo misfatto senza avere tutto questo. Tuttavia però
anche in questa situazione è soprattutto ammirevole quel nobile
uomo, perché, dopo essere caduto nel fondo stesso dell’iniquità,
non si perse d’animo, non disperò, non si abbatté, nonostante
avesse ricevuto dal diavolo un colpo così letale, ma rapidamente,
anzi subito e con grande intensità dette un colpo più duro di quel­
lo che aveva ricevuto. Fu come se in guerra, durante il combatti­
mento, un barbaro conficcasse la lancia nel cuore dell’uomo più
valoroso o gli scagliasse un dardo nel fegato e aggiungesse a quel­
la precedente una seconda ferita più letale, e chi ha ricevuto que­
sti duri colpi, cadendo traboccante di sangue da ogni parte, si rial­
zasse rapidamente e, scagliando la lancia contro chi l’aveva colpi­
to, lo mostrasse subito morto sul campo. Così anche in questo ca­
so, quanto più dici che il colpo è stato grande, tanto più meravi­
gliosa mostri l’anima di chi è stato colpito, perché, dopo questa
grave ferita, ebbe la forza di risollevarsi e di mettersi proprio nel
fronte della battaglia e abbattere chi l’aveva ferito. Quanto diffici­
le sia questa situazione, lo sanno soprattutto quelli che cadono in
gravi peccati. Difatti camminare per la retta via e correre sempre,
dal momento che una tale anima ha per compagna di viaggio la
buona speranza che la incoraggia, la incita, la fortifica, la rende più
fervente, non richiede un’anima nobile e forte così come subire il
danno più grave, dopo innumerevoli corone, molti trofei e vitto­
rie, e poter riprendere di nuovo la medesima corsa.
Perché sia più chiaro quello che intendo dire, cercherò di pre­
sentarvi un altro esempio per nulla inferiore a quello precedente.
Pensa ad un nocchiero che dopo aver solcato innumerevoli diste­
se d’acqua, dppo aver attraversato tutto il mare, dopo aver affron­
tato molte tempeste, scogli e flutti, affondi, con un carico abbon­
dante, proprio all’imboccatura del porto e a stento, ridotto col
corpo nudo, eviti questo terribile naufragio; che atteggiamento è
Omelia 2 6, 7 25

verosimile che abbia nei confronti del mare, della navigazione e di


simili fatiche? Un siffatto individuo, a meno che non abbia un’a­
nima nobilissima, vorrà forse mai vedere una spiaggia, ima imbar­
cazione, un porto? Non penso, ma se ne starà nascosto, percepen­
do il giorno come notte e rinunciando a tutto, e preferirà vivere
mendicando piuttosto che affrontare le medesime fatiche.

D a vid n o n d is p e r ò

Non così però fu questo beato, ma, dopo aver subito un tale
naufragio, dopo innumerevoli sforzi e fatiche, non rimase nasco­
sto, ma trasse in mare la nave e spiegando le vele e manovrando il
timone, affrontò le medesime fatiche e si procurò di nuovo una
ricchezza maggiore. Se è così meraviglioso che rimanesse in piedi
e, dopo essere caduto, non giacesse sempre a terra, quante corone
non meriterebbe il fatto di essersi rialzato ed aver compiuto tali
opere? Eppure molti erano gli elementi che potevano spingerlo al­
la disperazione: innanzitutto la gravità del peccato e in secondo
luogo il fatto che ciò gli era capitato non all’inizio della vita, quan­
do maggiori sono le speranze, ma alla fine. Il mercante, che subi­
to dopo essere uscito dal porto subisce un naufragio, non prova lo
stesso dolore di chi urta contro uno scoglio dopo aver portato a
termine molti traffici. In terzo luogo, il fatto che gli sia capitato
questo dopo aver raccolto già una grande ricchezza. Difatti non
poco era il carico che allora aveva da parte: ad esempio, quanto
aveva compiuto in età giovanile, quando era pastore; la vicenda di
Golia, quando innalzò uno splendido trofeo be; la filosofia che mo­
strò nei confronti di Saul22. Dava prova di una pazienza evangeli-

^ Cf. 1 Sam 17,40ss.

22 Quando David lo risparmiò, pur potendolo uccidere: cf. 1 Sam 24,


5ss.; 26, 7ss.
26 Omelie sul Vangelo di Matteo

ca in quanto innumerevoli volte ebbe il nemico nelle sue mani e


continuamente lo risparmiò, anzi preferì perdere la patria, la li­
bertà e la vita stessa piuttosto che uccidere chi lo insidiava ingiu­
stamente. Anche dopo aver raggiunto il regno, non pochi furono i
suoi meriti; oltre a quanto è stato detto, la stima da parte della gen­
te. Il fatto di perdere in quel modo una splendida gloria, gli cau­
sava un turbamento non di poco conto. Difatti non lo ornava la
porpora così come lo disonorava la macchia del peccato.

G l o r ia di D avid

8. Sapete certamente quanto sia duro che i peccati veng


esposti al pubblico biasimo e che anima grande occorra ad un ta­
le individuo per non perdersi di coraggio dopo aver ricevuto le ac­
cuse della gente, ed avendo tanti testimoni delle proprie colpe. Ma
tuttavia quel nobile uomo, dopo aver estratto dalla sua anima tut­
ti questi dardi, rifulse così in seguito, pulì così quella macchia, di­
ventò tanto puro da alleviare, anche dopo la sua morte, i peccati
dei suoi discendenti. Quello che Dio diceva di Abramo, appare
dirlo anche di costui, anzi molto di più nei confronti di questo.
Del patriarca dice infatti: Mi sono ricordato dell’alleanza con Abra-
m ohi; in questo caso invece non parla di alleanza, ma come? Pro­
teggerò questa città per riguardo al mio servo David 23. E per bene­
volenza verso di lui non permise che Salomone, benché avesse
commesso un peccato così grave 24, perdesse il regno. Così grande
era la gloria di quell’uomo, che, dopo tanti anni, Pietro, parlando

bf Es 2,24.

23 Is 37, 35: il riferimento è a Gerusalemme.


24 Cf. 1 Re 11, 4ss. sul male compiuto da Salomone che fu attratto ver­
so dei stranieri come Astarte; Dio per questo decise di togliergli il regno, non
però durante la sua vita, per riguardo a David suo padre, ma all’epoca del fi­
glio: cf. i successivi w. 11-12.
Omelia 26, 7-8 27

ai giudei, dice così: M i sia lecito dirvi francamente, riguardo al pa­


triarca David, che morì e fu sepolto 25. E Cristo, parlando ai giudei,
mostra che egli, dopo il peccato, fu ritenuto tanto degno di rice­
vere lo Spirito, da meritare di profetizzare di nuovo sulla sua divi­
nità, e quindi, chiudendo loro la bocca, diceva: Come mai allora
David, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Si­
gnore al mio Signore: Siedi alla mia destra? 26. Quello che è avve­
nuto per Mosè, è avvenuto anche per David, perché come Dio pu­
nì Maria 27, pur contro il volere di Mosè, per l’offesa verso il fra­
tello 28, in quanto amava molto quel santo, così rapidamente ven­
dicò anche David, che era stato offeso dal figlio29, benché egli non
lo volesse. Ciò dunque è sufficiente, anzi ciò, più del resto, è suf­
ficiente a mostrare la virtù di quell’uomo, perché quando Dio
emette la sua sentenza, non si deve indagare ulteriormente30. Se
volete conoscere dettagliatamente la sua filosofia, potete, riper­
correndone la storia dopo il peccato, rendervi conto della sua fa­
miliarità con Dio, del suo amore per lui, del progresso nella virtù,
della sua perfezione fino all’ultimo respiro.

E so r t a z io n e a g u a r d a r si d a l l a n e g l i g e n z a

Avendo dunque questi esempi, vigiliamo e diamoci da fare


per non cadere; se mai cadiamo, adoperiamoci per non giacere a
terra. Non ho parlato dei peccati di David per spingervi alla ne­
gligenza, ma per incutere maggior timore. Se infatti quel giusto,

25 At 2 ,2 9 ; Pietro nel suo discorso rileva che David previde la resurre­


zione di Cristo (cf. il v. 31).
26 Mt 22, 43-44; il riferimento è a Sai 110 (109), 1.
27 Maria e il fratello Aronne avevano parlato contro Mosè perché aveva
sposato una etiope; Maria fu punita con la lebbra: cf. Nm 12, 10.
28 Mosè.
29 Assalonne, che si ribellò a David: cf. 2 Sam 15, lOss.
30 Crisostomo anche in questo caso mette in luce l’imperscrutabilità dei
giudizi divini.
28 Omelie sul Vangelo di Matteo

per essere stato un po’ negligente, ha ricevuto simili ferite, che co­
sa capiterà a noi che ogni giorno siamo negligenti? Non guardare
quindi al fatto che è caduto, per essere negligente, ma considera
che grandi opere ha compiuto dopo il peccato, quanti gemiti ha
manifestato, quanta penitenza, sia di giorno sia di notte, lasciando
scorrere fonti di lacrime, bagnando il letto di lacrime, e inoltre ve­
stito di sacco be. Se quello ha avuto bisogno di un pentimento co­
sì grande, quando potremo salvarci noi che, dopo tanti peccati, ri­
maniamo insensibili? Chi ha compiuto molte buone opere, facil­
mente potrebbe coprire così i suoi peccati; chi invece è nudo,
quando è colpito da un dardo, riceve una ferita mortale. Perché
questo non si verifichi, armiamoci di buone opere e, se soprag­
giunge qualche colpa, purifichiamoci, per essere ritenuti degni di
godere della vita futura vivendo quella presente a gloria di Dio.
Voglia il cielo che tutti noi la conseguiamo, per la grazia e la bon­
tà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la po­
tenza nei secoli dei secoli. Amen.

be Cf. Sai 6, 7; 69 (68), 12.


OM ELIA 27

Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui a letto con
la febbre. Le toccò la mano e la febbre la abbandonò. Ella si alzò e
si mise a servirloa.

V a r ie t à d e l l e m o d a l it à d e l l e g u a r ig io n i o p e r a t e d a C r ist o

. 1. Marco ha aggiunto: subito b, volendo rendere noto anche il


tempo, mentre Matteo ha presentato soltanto il miracolo, senza in­
dicare il tempo. Gli altri dicono che quella che giaceva a letto lo
supplicò !, mentre Matteo ha taciuto anche questo particolare. Ciò
non dipende da discordanza, ma in un caso da concisione, nell’al­
tro da precisione di esposizione 2. Ma perché entrò nella casa di
Pietro? A me pare per prendere del cibo; ha manifestato questo
concetto dicendo: Si alzò e si mise a servirlo. Egli infatti era ospi­
tato dai discepoli, come anche avvenne nel caso di Matteo, quan­
do lo chiamòc, per onorarli e renderli così più ferventi. Considera
anche qui il riguardo di Pietro nei suoi confronti, perché, pur
avendo la suocera in casa che giaceva a letto in preda ad ima forte
febbre, non lo trascinò a casa, ma aspettò che il suo insegnamento

a Mt 8,14-15. b Me 1,29-30. c Cf. Me 2 ,1 5 ; Le 5,27-29.

1 Si noti però che Marco e Luca usano il plurale: gli parlarono di lei (Me
1,30); lo pregarono per lei (Le 4, 38).
2 Crisostomo fa uso di criteri di ordine letterario e stilistico per spiega­
re queste differenze tra gli evangelisti.
30 Omelie sul Vangelo di Matteo

fosse concluso e che tutti gli altri fossero curati, e poi lo pregò do­
po che fu entrato. Così fin dal principio fu ammaestrato ad ante­
porre il bene altrui a quello proprio. Quindi non fu lui a far en­
trare in casa il Signore, ma questi vi entrò spontaneamente, dopo
che il centurione ebbe detto: Non sono degno che tu entri sotto il
mio tetto d, per mostrare che grande favore faceva al discepolo.
Eppure pensa come fossero le case di questi pescatori, ma tuttavia
non disdegnò di entrare nei loro vili tuguri, per insegnarti in ogni
modo a calpestare l’arroganza umana. A volte cura soltanto con la
parola, a volte stende anche la mano, a volte opera in entrambi i
modi, mettendo sotto gli occhi la guarigione. Non voleva compie­
re sempre i prodigi in modo appariscente, in quanto per il mo­
mento doveva rimanere nascosto, e soprattutto in presenza dei di­
scepoli; essi infatti avrebbero annunciato tutto con molto piacere.
Questo risulta evidente dal fatto che, dopo essere andato sul mon­
te, si trovò nella necessità di ordinare loro di non dirlo a nessunoe.
Toccando dunque il corpo dell’inferma, non soltanto estinse la
febbre, ma le restituì anche pienamente la salute. Poiché la malat­
tia era di poco conto, mostrò la sua potenza con la maniera di cu­
rare, il che non avrebbe potuto realizzare l’arte medica.

P o ten za di C r ist o

Sapete infatti che, anche dopo essere liberati dalla febbre, i


malati hanno bisogno ancora di molto tempo per ritornare allo sta­
to di salute precedente. Allora però avvenne tutto nello stesso
tempo, e non soltanto in questo caso, ma anche nell’episodio del
m aref, perché in quella occasione non soltanto fece cessare i ven­
ti e la tempesta, ma arrestò subito anche l’agitazione del mare. An­
che questo fenomeno era insolito, perché anche se la bufera cessa,
le acque rimangono agitate per molto tempo. Non così però si ve­
rificò con Cristo, ma fu risolto tutto insieme, come avvenne anche

d Mt 8, 8. e Cf. Mt 17, 9. f Cf. Mt 8 , 24ss.


Omelìa 27, 1 31

nel caso della donna. Perciò, allo scopo di manifestare tale con­
cetto, l’evangelista diceva: Si alzò e si mise a servirlo·, questo era se­
gno della potenza di Cristo e dell’atteggiamento che quella donna
mostrava verso di lui. In base a questo episodio possiamo intrave­
dere inoltre anche un altro aspetto, vale a dire che Cristo, per la
fede degli uni, concede la guarigione degli altri, perché in questo
caso altri lo supplicarono3, come anche riguardo al servo del cen­
turione; la concede però se chi sta per essere curato non è incre­
dulo, ma o per la malattia non può andare da lui, oppure non ha
un’alta opinione di lui per ignoranza, o per l’età immatura.

La t e s t im o n ia n z a d e l l e S c r it t u k e

Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò


gli spiriti da loro con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si
adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Ha pre­
so le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie e. Hai visto
la moltitudine che cresceva nella fede? Rifiutavano infatti di riti­
rarsi benché il tempo incalzasse, né pensavano che fosse inoppor­
tuno condurgli di sera i loro infermi. Ma considera che grande
moltitudine di coloro che venivano curati gli evangelisti passano
sotto silenzio, senza parlarcene né descriverli uno per uno, ma sor­
volando, con una sola parola, su un mare indicibile di prodigi. Poi,
perché a sua volta la grandezza del prodigio non inducesse all’in­
credulità, se era vero che in un attimo aveva guarito e risanato tan­
ta gente e malattie di vario genere, adduce il profeta che rende te­
stimonianza a quei fatti, facendoci vedere che in ogni circostanza
è grande la dimostrazione che deriva dalle Scritture, non inferiore
ai miracoli stessi. Afferma che anche Isaia aveva detto questo: Ha

8 Mt 8, 16-17; cf. Is 53, 4.

3 Come si è visto nella nota 1.


32 Omelie sul Vangelo di Matteo

preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie h. Non


ha detto: H a eliminato, ma: Ha preso e si è addossato. Mi sembra
che il profeta abbia detto questo riferendosi piuttosto ai peccati,
in accordo con Giovanni4 che diceva: Ecco l’agnello di Dio, colui
che prende su di sé il peccato del mondo
2. Perché allora in questo passo l’evangelista presenta quel
no profetico in relazione alle infermità? O perché leggeva tale testi­
monianza in senso letterale5, oppure per indicare che la maggior par­
te delle malattie deriva da peccati dell’anima. Se infatti il male prin­
cipale, la morte stessa, trasse la sua radice e il suo fondamento dal
peccato, a maggior ragione anche la maggior parte delle malattie,
perché il fatto stesso che siamo soggetti a sofferenze è derivato da lì.

G esù in s e g n a a n o n a g ir e p e r o s t e n t a z io n e

Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare al­
l’altra riva i. Hai visto di nuovo come era privo di arroganza? Gli
altri dicono che rimproverava i demoni perché non dicessero che
era lui il Cristo k; Matteo dice invece che si sottraeva alle folle. Lo
faceva sia per educarci alla modestia, sia per placare l’invidia dei
giudei ed insegnarci a non fare nulla per ostentazione. Difatti non
curava soltanto il corpo, ma emendava anche l’anima e insegnava
ad esercitare la filosofia, rivelando se stesso in entrambi i modi, di­
struggendo le malattie e non facendo nulla per ostentazione. Era­
no attaccati a lui perché lo amavano e lo ammiravano e volevano
rivolgere lo sguardo verso di lui. E chi si sarebbe allontanato da
uno che operava simili prodigi? Chi non avrebbe voluto vedere
semplicemente il suo volto e la bocca che pronunciava tali parole?

h Is5 3 ,4 . ‘ Gv 1,29. )M t8 ,1 8 . k Cf. Me 1, 34; Le 4,41.

4 II Battista.
5 Per indicare questo modo di intendere il passo profetico Crisostomo
usa il t. historia.
Omelia 27, 1-2 33

Non soltanto era ammirevole quando compiva prodigi, ma


anche con il mostrarsi semplicemente era pieno di grande fascino;
lo indicava il profeta dicendo: Avvenente per la sua bellezza al di
sopra dei figli degli uomini Se poi Isaia dice: Non aveva forma né
bellezza m, lo dice o in confronto con la gloria ineffabile e indicibi­
le della divinità, oppure per descrivere ciò che accadde durante la
passione, il disonore che subì al momento della croce e la sempli­
cità che mostrò in ogni circostanza in tutta la sua vita.
Non ordinò di passare all’altra riva prima di aver compiuto le
guarigioni, perché certamente non l’avrebbero accettato. Come
sul monte non soltanto restavano vicino a lui mentre parlava, ma
lo seguivano anche quando stava in silenzio, così anche qui non
soltanto gli stavano accanto mentre operava i prodigi, ma anche
quando aveva terminato, traendo grande vantaggio anche dal mi­
rare il suo volto. Se infatti Mosè aveva il volto glorificato ", e Ste­
fano aveva il volto come di un angelo °, pensa come è verosimile
che apparisse allora il Signore comune di entrambi. Forse a molti
ora è venuto il desiderio di vedere quell’immagine, ma se voglia­
mo, la vedremo molto migliore di essa, perché se portiamo a ter­
mine con fiducia la vita presente, lo accoglieremo sulle nubi, an­
dandogli incontro con un corpo immortale e incorruttibile. Con­
sidera come non li allontani sbrigativamente, per non ferirli. Non
ha detto infatti: Ritiratevi, ma ha ordinato di passare all’altra riva,
dando la speranza che sarebbe andato senz’altro là. Così grande fu
l’amore che la folla mostrò nei suoi confronti, e lo seguiva con
molto affetto.

C r is t o g u a r d a a l l ’i n t e n z io n e d e l l ’ a n im o

Un tale, che era schiavo delle ricchezze e aveva molta arro­


ganza, si avvicinò e disse: Maestro, ti seguirò dovunque andraip. Hai

1 Sai 45 (44), 3. m Is 53, 2. n Cf. Es 34, 29-30. ° Cf. At 6, 15.


P Mt 8,19.
34 Omelie sul Vangelo di Matteo

visto che grande alterigia? Si fa avanti così dal momento che di­
sdegnava di essere annoverato tra la folla e mostrava invece di es­
sere al di sopra della moltitudine. Così è l’indole giudaica: è piena
di confidenza inopportuna. Così anche un altro in seguito, mentre
tutti tacevano, saltò su a dire: Qual è il primo comandamento? <J.
Tuttavia però il Signore non rimproverò quella confidenza inop­
portuna, per insegnarci a sopportare anche persone siffatte. Perciò
non confuta apertamente quelli che avevano malvagi propositi, ma
replica alle loro congetture, lasciando soltanto ad essi la facoltà di
conoscere la confutazione e giovando loro doppiamente: manife­
stando di sapere quanto c’era nella loro coscienza e, dopo questa
dimostrazione, concedendo ad essi di rimanere inosservati e dando
ancora la possibilità, se avessero voluto, di riprendersi. Agisce così
anche con costui. Egli, avendo visto i molti miracoli e che molti gli
andavano dietro, sperò di arricchirsi con simili prodigi; perciò si af­
frettò a seguirlo. Da dove risulta evidente questo atteggiamento?
Dalla risposta data da Cristo, il quale si confronta non con la do­
manda formulata dalle parole di quello, ma con l’intenzione del suo
animo. Ebbene, vuol dire, seguendomi ti aspetti di mettere insieme
ricchezze? Non vedi che non ho dove riposare, nemmeno tanto
quanto hanno gli uccelli? Le volpi, dice, hanno le tane e gli uccelli
del cielo i nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo r.
Queste parole non significavano respingerlo, ma biasimare la sua
cattiva intenzione e d’altra parte offrirgli, se avesse voluto, di se­
guirlo con una simile prospettiva. Perché tu ti renda conto della sua
malvagità, quello, dopo aver ascoltato queste parole ed essere stato
rimproverato, non disse: Sono pronto a seguirti.
3. E in molti altri casi Cristo mostra di agire così: non rim
vera apertamente, ma dalla sua risposta manifesta l’intenzione di
coloro che gli si avvicinavano. A quello che diceva: Maestro buonos
e, mediante la sua adulazione, si aspettava di attirarlo dalla sua par­
te, replicò alla sua intenzione dicendo: Perché mi chiami buono?
Nessuno è buono, se non uno solo, D iol. E quando gli dicevano: Ec-

q Mt 22, 36. r Mt 8, 20. 5 Le 18, 18. 1 Le 18,19.


Omelia 27, 2-3 35

co, tua madre e i tuoi fratelli ti cercano u, poiché erano mossi da sen­
timenti umani, volendo non ascoltare qualcosa di utile, ma far ve­
dere che erano suoi parenti e così essere vanagloriosi, ascolta che
cosa dice: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?'1. Ancora ai me­
desimi fratelli che gli dicevano: Manifestati al mondo w, e volevano
trame motivo di vanagloria, diceva: Il vostro tempo è sempre pron­
to, mentre il mio non è ancora venuto x. Agisce così anche in senso
opposto, come nel caso di Natanaele, dicendo: Ecco veramente un
israelita in cui non c’è falsità y. E ancora: Andate e riferite a Giovan­
ni ciò che udite e vedetez. Anche in questo caso non replicò alle pa­
role, ma all’intenzione di chi aveva inviato quelle persone. E di
nuovo allo stesso modo parla alla coscienza del popolo dicendo:
Che cosa siete andati a vedere nel deserto?aa. Poiché era verosimile
che essi avessero una opinione di Giovanni6 come di persona ac­
comodante e instabile, per correggere questa supposizione dice:
Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal
vento? Un uomo avvolto in morbide vesti? ab; con entrambe queste
espressioni indica che non era instabile di per sé, né si sarebbe ram­
mollito per nessuna forma di dissolutezza. Così quindi anche in
questo caso replica all’intenzione 7. Considera come anche in ciò
dia prova di grande moderazione, perché non ha detto: Ho dove
posare il capo, ma non me ne curo; ma: Non ho. Hai visto quanto
rigore insieme alla condiscendenza? Come quando mangia e beve,
quando appare agire all’opposto di Giovanniac, lo fa per la salvez­
za dei giudei, anzi del mondo intero, sia per chiudere la bocca agli
eretici8, sia per voler attirare a sé fortemente i suoi interlocutori.

u Mt 12, 47. v Mt 12, 48. w Gv 7, 4. x Gv 7, 6. v Gv 1, 47.


2 Le 7,22. aa Le 7, 24. ab Le 7, 24-25. ac Cf. Mt 11, 18-19.

6 II Battista.
7 L’intenzione cioè dello scriba che aveva detto a Gesù che l’avrebbe se­
guito ovunque: cf. Mt 8, 19.
8 Qui Crisostomo mostra di riferirsi ai manichei e alla loro concezione
negativa del corpo e della materia.
36 Omelie sul Vangelo di Matteo

N ie n t e è p iù n e c e s s a r io d e i b e n i c e l e s t i

Un altro, afferma l’evangelista, gli disse: Signore, permettimi


di andar prima a seppellire mio padre ad. Hai visto la differenza? Co­
me l’uno dica impudentemente. Ti seguirò dovunque andrai, men­
tre costui, pur rivolgendogli una pia richiesta, dice: Permettimi!
Non lo permise però, ma disse: Lascia che i morti seppelliscano i lo­
ro morti, ma tu seguimiae. In ogni occasione badava all’intenzione.
Ma perché, si potrebbe obiettare, non lo permise? Perché c’era chi
avrebbe assolto quella funzione e il padre non sarebbe rimasto in­
sepolto; costui però non doveva essere distolto da ciò che era più
necessario. Dicendo: i loro morti, mostra che costui non era un
morto suo, perché, a mio parere, il defunto rientrava nel numero
degli increduli. Se ti meravigli che quel giovinetto interrogò Gesù
su una azione così necessaria e non andò di sua iniziativa a com­
piere la sepoltura, a maggior ragione meravigliati che rimase dopo
aver ricevuto il divieto. Ma, si potrebbe obiettare, non fu segno di
estrema ingratitudine non essere presente quando il padre veniva
seppellito? Se l’avesse fatto per negligenza, sarebbe stata ingrati­
tudine; ma se lo fece per non impedire un’opera più necessaria, sa­
rebbe stato, più di tutto, segno di estrema insensibilità andare a
seppellirlo.
Gesù infatti glielo proibì non perché imponesse di disprezza­
re l’onore nei confronti dei genitori, ma per mostrare che niente
deve essere per noi più necessario dei beni celesti e che bisogna
occuparsi di questi con impegno totale e non rimandare nemme­
no un po’, anche se ciò che ci attira è assai ineludibile e urgente.
Che cosa potrebbe essere più necessario del seppellire il padre?
Che di più facile? Non ci sarebbe voluto molto tempo. Se dunque
non è esente da pericoli restare privi dei beni spirituali neppure
per il tempo che occorre impiegare per seppellire il padre, consi­
dera che cosa meriteremmo noi che per tutto il tempo ci allonta­
niamo da ciò che attiene a Cristo, anteponiamo alle cose necessa-

ad Mt 8, 21. ae Mt 8,22.
Omelia 27, 3-4 37

rie quanto è assai insignificante e siamo negligenti, pur non aven­


do nulla di pressante. Bisogna ammirare la filosofia del suo inse­
gnamento per il fatto che lo inchiodò fortemente alla sua parola e
oltre a ciò lo liberò da innumerevoli mali, quali gemiti, lamenti e
quanto ne consegue. Dopo la sepoltura infatti sarebbe stato ne­
cessario occuparsi delle disposizioni testamentarie e della divisio­
ne dell’eredità e di tutto il resto che accompagna queste incom­
benze; così marosi che si susseguono a marosi lo avrebbero tenu­
to lontanissimo dal porto della verità. Perciò lo attira e lo lega a sé.
Se ancora ti meravigli e rimani turbato per il fatto che non gli fu
consentito di assistere alla sepoltura del padre, pensa che molti,
anche se chi è morto è il padre, la madre, il figlio o qualsiasi altro
dei parenti, non permettono che coloro che stanno male lo venga­
no a sapere, né che lo accompagnino al sepolcro; non per questo
li accusiamo di crudeltà o di disumanità, e assai giustamente. Al
contrario, sarebbe crudele suscitare tale dolore in coloro che si
trovano in queste condizioni.

N on si d e v e sc iu p a r e i l t e m p o

4. Se dunque è male piangere i parenti ed avere l’animo


franto, a maggior ragione lo è allontanarsi dai discorsi spirituali.
Perciò in un altro passo diceva: Nessuno che ha messo mano all’a­
ratro e si volge indietro, è adatto per il regno dei cieli Difatti è
molto meglio proclamare il regno e strappare altri alla morte 9,
piuttosto che seppellire un morto che non ne trae alcun vantaggio,
soprattutto quando ci sono quelli che possono assolvere tutte que­
ste funzioni. Nessun altro insegnamento ricaviamo da questo bra­
no evangelico se non che non si deve sciupare il tempo nemmeno

«f Le 9, 62.

9 La morte spirituale.
38 Omelie sul Vangelo di Matteo

in minima parte, anche se innumerevoli sono le cose urgenti, ma


occorre anteporre le cose spirituali a tutto, anche a ciò che è più
necessario, e sapere che cosa è la vita e che cosa è la morte. Molti
infatti, che sembrano vivere, non differiscono in nulla dai morti,
quando vivono nella malvagità, anzi sono anche peggiori di essi.
Infatti chi è morto, dice, è stato liberato dal peccato ae; costui inve­
ce è schiavo del peccato. Non mi dire: Non è divorato dai vermi,
non giace in un’urna, non ha chiuso gli occhi, non è avvolto da
bende, perché va incontro a conseguenze più gravi di quante non
ne subisca chi è morto, dal momento che non lo divorano i vermi,
ma lo dilaniano le passioni dell’anima più violentemente delle bel­
ve. Il fatto che i suoi occhi siano aperti è certo molto peggiore che
se fossero chiusi, perché gli occhi del morto non vedono nulla di
malvagio, mentre costui, quando i suoi occhi sono aperti, introdu­
ce in se stesso innumerevoli infermità. Quello giace in un’urna, del
tutto inattivo; questi invece è rinchiuso nel sepolcro di innumere­
voli infermità 10. Non vedi però il suo corpo marcire? E allora?
Prima del suo corpo è l’anima che si è corrotta ed è andata in ro­
vina e subisce una putrefazione più grave. Quello manda un feto­
re di dieci giorni, mentre costui esala cattivo odore per tutta la vi­
ta, in quanto ha una bocca più impura di ima cloaca. Sicché l’uno
differisce dall’altro nella misura in cui quello subisce soltanto la
corruzione che deriva dalla natura, mentre questi, oltre a quella,
aggiunge anche la putrefazione che proviene dalla sua dissolutez­
za, escogitando ogni giorno innumerevoli occasioni di corruzione.
Ma costui va a cavallo? E allora? Quello giace su un feretro, e il
fatto grave è che mentre nessuno vede la sua dissoluzione e putre­
fazione, ma è ricoperto dall’urna, costui invece va in giro ovunque
mandando fetore, portando intorno un’anima morta nel corpo co­
me fosse nel sepolcro.

as Rm 6, 7.

10 Cioè i peccati.
Omelia 27, 4 39

S u p p lic a r e G e sù p e r c o l o r o c h e so n o m o rti s p ir it u a l m e n t e

Se fosse possibile vedere l’anima di un uom o11 che vive nella


dissolutezza e nella malvagità, ti accorgeresti che è molto meglio
giacere nel sepolcro avvolti dalle bende, che essere legati dalle ca­
tene dei peccati, e avere sopra una pietra piuttosto che il pesante
coperchio dell’insensibilità12. Perciò soprattutto i familiari di que­
sti morti, poiché essi sono insensibili, devono rivolgersi a Gesù in
loro favore, come allora fece Maria nel caso di Lazzaro13. Anche
se manda cattivo odore, anche se è di quattro giorni14, non dispe­
rare, ma avvicinati e solleva innanzitutto la pietra. Allora vedrai
che giace, come in un sepolcro, avvolto dalle bende. Se volete, pre­
sentiamo qualche personaggio grande e illustre. Non temete però;
farò questo esempio senza citare nomi. Anzi, anche se indicassi il
nome, nemmeno in questo caso bisognerebbe aver paura. Chi mai
teme un morto? Per quanto faccia, rimane un morto, e un morto
non può danneggiare un vivo né poco, né molto. Vediamo dunque
che il loro capo è legato. Difatti quando continuamente si ubria­
cano, come i morti sono avvolti da molti rivestimenti e dalle ben­
de, così tutte le loro facoltà percettive sono impedite e imprigio­
nate. Se vuoi vedere anche le loro mani, vedrai che queste sono at­
taccate al ventre, come quelle dei defunti, e legate non da bende,
ma, il che è molto più grave, dalle catene della cupidigia. Questa
non consente che esse vengano stese per l’elemosina, né per altre
simili opere buone, ma le rende più inutili di quelle dei morti.

11 Crisostomo usa il t. anér che propriamente si riferisce all’essere uma­


no maschile, come se ne volesse stigmatizzare maggiormente il comporta­
mento dissoluto e malvagio.
12 Nel senso di rimanere pervicacemente legati alle proprie iniquità.
13 II riferimento è a Gv 11,3, dove si parla del fatto che le sorelle di Laz­
zaro, Marta e Maria, mandarono a chiamare Gesù perché intervenisse in fa­
vore del loro fratello malato.
14 L’allusione è al fatto che Lazzaro era morto da quattro giorni (cf. Gv
11, 39). Naturalmente qui Crisostomo, fuor di metafora, si riferisce alla mor­
te spirituale, molto più grave di quella fisica.
40 Omelie sul Vangelo di Matteo

Vuoi vedere che anche i piedi sono legati? Guardali stretti dalle
preoccupazioni, e perciò mai capaci di correre alla casa di Dio.
Hai visto il morto? Guarda anche il seppellitore. Chi è dunque il
loro seppellitore? Il diavolo, che li lega accuratamente e non per­
mette che l’uomo si mostri uomo, ma come un legno secco. Dove
infatti non ci sono occhi, mani, piedi, né nient’altro di questo ge­
nere, come un individuo siffatto potrebbe apparire uomo? Così si
può vedere avvolta in fasce anche la loro anima, che è piuttosto un
fantasma che un’anima.
Poiché dunque essi sono insensibili, divenuti come morti, rivol­
giamoci a Gesù in loro favore, supplichiamolo di risollevarli, to­
gliamo via la pietra, sciogliamo le bende. Se togli via la pietra, cioè
l’insensibilità verso il male, rapidamente potrai anche farli uscire
dal sepolcro e, dopo averli fatti uscire, li libererai più facilmente
dalle catene. Allora Cristo ti conoscerà, quando ti risolleverai,
quando sarai sciolto da quelle catene; allora ti inviterà al suo con­
vito. Voi tutti quindi che siete amici di Cristo, suoi discepoli, voi
che amate quel morto, rivolgetevi a Gesù e pregatelo. Anche se
quello è pieno di un fetore smisurato, tuttavia però neppure in
questo caso i suoi familiari devono abbandonarlo, ma tanto più ri­
volgersi a lui, come fecero allora le sorelle di Lazzaro, e non smet­
tere di invocare, pregare, supplicare prima di riceverlo in vita. Se
provvederemo così a quanto riguarda noi stessi ed il prossimo,
conseguiremo presto anche la vita eterna. Voglia il cielo che tutti
noi la raggiungiamo, per la grazia e la bontà di nostro Signore Ge­
sù Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 28

Salito poi su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco si sca­


tenò nel mare una grande tempesta, in modo tale che la barca era ri­
coperta dalle onde; ma egli dormivaa.

G esù , e c c e l l e n t e m a e st r o

1. Luca, sentendosi libero dall’esigenza di seguire l’ord


cronologico, ha detto così: Un giorno salì su una barca con i suoi
discepolib; ugualmente M arcoc. Non così Matteo, il quale conser­
va qui la successione degli avvenimenti. In effetti non scrivevano
tutti tutto allo stesso modo. L’ho detto anche in p re ce d e n z a p e r­
ché nessuno pensasse, a causa di un’omissione, ad una discordan­
za tra di loro. Mandò quindi avanti la folla, mentre prese con sé i
discepoli; lo dicono anche gli altri evangelisti. Li prese con sé non
a caso né senza motivo, ma per renderli spettatori del prodigio che
stava per compiersi. Come un eccellente maestro, li preparava ad
entrambe le circostanze, a rimanere imperterriti nei pericoli e ad
essere misurati negli onori. Perché non si insuperbissero per il fat­
to che li aveva trattenuti con sé dopo aver mandato via gli altri, li
lascia in balia delle onde, sia per raggiungere questo obiettivo, sia
per esercitarli a sostenere fortemente le tentazioni. Grandi erano

a Mt 8,23-24. b Le 8,22. c Cf. Me 4, 35ss.

1 Si vedano le argomentazioni svolte da Crisostomo nell’omelia 1,2-4.


42 Omelie sul Vangelo di Matteo

anche i prodigi precedenti, ma questo comportava un non picco­


lo esercizio ed era un miracolo affine a quello antico 2. Perciò con­
duce con sé soltanto i discepoli. Quando si trattava di dare dimo­
strazione di prodigi, lascia che sia presente anche il popolo; quan­
do invece c’era l’attacco delle tentazioni e della paura, prende con
sé soltanto gli adeti del mondo, che voleva esercitare. Matteo ha
detto semplicemente che dormiva, mentre Luca dice che dormiva
sul cuscino3, mostrando l’assenza di superbia in lui e insegnando­
ci in questo modo una grande filosofia.

P er c h é G esù d o r m e d u r a n t e l a t e m p e st a

Poiché dunque i flutti si erano sollevati e il mare infuriava, lo


svegliano dicendo: Signore, salvaci, siamo perdutid. Ma egli sgridò
loro prima del mare e, perché, come dicevo, permetteva questa
tempesta per esercitarli, e ciò era prefigurazione 4 delle tentazioni
che li avrebbero assaliti. Difatti anche successivamente spesso per­
mise che si imbattessero in eventi più aspramente tempestosi e ri­
tardò il suo aiuto. Perciò Paolo diceva: Non voglio che ignoriate,
fratelli, che la tribolazione ci ha colpiti oltre misura, al di là delle no­
stre forze, sì da dubitare anche della vita f; e dopo ancora: Ci ha li­
berato da tale morte&. Sgrida loro innanzitutto per far vedere quin­
di così che si deve confidare, anche se si sollevano grandi flutti, e
che egli dispone tutto utilmente. In effetti il fatto stesso che fosse­
ro sconvolti era a loro vantaggio, in modo che il prodigio apparis­
se maggiore e continuo fosse il ricordo dell’accaduto. Quando in­
fatti sta per avvenire qualcosa di straordinario, vengono prima

d Mt 8,25. e Cf. M t8 ,2 6 . f 2 Cor 1,8. 8 2 Cor 1,10.

2 Forse qui il nostro autore allude al passaggio del Mar Rosso da parte
degli ebrei dopo la liberazione dalla schiavitù egiziana.
3 In realtà si tratta di Me 4, 38.
4 Anche in questo caso è usato il t. typos.
Omelia 28, 1 43

predisposti molti accorgimenti che lo facciano ricordare, perché,


dopo che il prodigio è trascorso, non cada nell’oblio. Così Mosè
dapprima teme il serpente e non lo teme soltanto, ma anche con
grande angoscia e allora vede compiersi quello straordinario pro­
digio h. Così anche costoro, quando si aspettarono prima di peri­
re, poi furono salvati, perché, riconoscendo il pericolo, si rendes­
sero conto della grandezza del prodigio. Perciò dorme, perché se
ciò si fosse verificato mentre era sveglio, non avrebbero avuto pau­
ra oppure non l’avrebbero supplicato o non avrebbero pensato
che egli potesse fare qualcosa di simile. Perciò dorme, per dare lo­
ro l’occasione di temere e rendere più chiara per essi la percezio­
ne di quanto stava accadendo. Non allo stesso modo infatti si ve­
de ciò che avviene nel corpo altrui e nel proprio. Poiché dunque
avevano visto che tutti erano stati beneficati, mentre essi stessi non
avevano ricevuto alcun beneficio, ma se ne stavano indolenti - non
erano zoppi, né avevano qualche altra simile infermità, e, attraver­
so la propria percezione, dovevano trarre profitto dai benefici del
Signore - , permette che si scateni la tempesta perché, liberati da
essa, si accorgessero più chiaramente del beneficio. Perciò non lo
fa alla presenza della folla, perché non venissero tacciati di scarsa
fede, ma prende con sé solo essi e li corregge e, prima della tem­
pesta delle acque, dissolve la tempesta della loro anima, rimprove­
randoli e dicendo: Perché temete, uomini di poca fede? '1. Insegna al
tempo stesso che la paura non è generata dall’assalto delle tenta­
zioni, ma dalla debolezza dell’animo. Se uno dicesse che non di­
pendeva da paura né da scarsa fede che andassero a svegliarlo, po­
trei dire che proprio questo era segno soprattutto del fatto che
non avevano di lui l’opinione che avrebbero dovuto avere. Sape­
vano infatti che egli, da sveglio, poteva sgridare i venti, ma non sa­
pevano ancora che lo potesse fare anche dormendo. E perché ti
meravigli se ora erano così, dal momento che, anche dopo molti
altri prodigi, erano ancora più imperfetti? Perciò spesso vengono
rimproverati, come quando dice: Anche voi siete ancora senza in-

h Cf. Es 4,2-4. i Mt 8, 26.


44 Omelie sul Vangelo di Matteo

telletto? i. Non meravigliarti quindi se, essendo i discepoli in ima


condizione di maggiore imperfezione, la folla non aveva di lui
un’alta opinione. Si meravigliavano e dicevano: Chi è mai que­
st’uomo, al quale il mare e i venti obbediscono?K Cristo non li rim­
proverò perché lo chiamavano uomo, ma attese, insegnando ad es­
si per mezzo dei miracoli che la loro opinione era erronea. Perché
pensavano che fosse un uomo? Lo deducevano dal suo aspetto,
dal suo sonno e dal fatto che si serviva di una barca. Perciò erano
sconcertati e dicevano: Chi è mai costui? Difatti il sonno e le sue
sembianze lo mostravano come uomo, mentre la bonaccia che si
fece nel mare1lo manifestava come Dio.

S u p e r io r it à di C r ist o su M o sè

2. Poiché anche Mosè un tempo aveva fatto qualcosa di


le, indica anche da ciò la superiorità di Cristo, perché l’uno com­
piva prodigi come servo, l’altro invece come Signore. Non stese il
bastone come lui5, né innalzò le mani al cielom, né ebbe necessità
della preghiera, ma come è naturale che un padrone dia ordini ad
un’ancella e il Creatore alla creatura, così placò il mare e lo tenne
a freno soltanto con la parola e con un ordine; subito cessò tutta
la tempesta e non rimase traccia di quello sconvolgimento. Lo in­
dicò l’evangelista dicendo: Si fece una grande bonaccia n. E quello
che del Padre era stato detto come di un fatto portentoso, lo ma­
nifestò egli a sua volta per mezzo delle opere. Che cosa era stato
detto del Padre? Parlò, dice, e si levò un vento burrascoso °. Così
anche in questo caso: disse e si fece una grande bonaccia. Perciò so-

i Mt 15, 16. k Mt 8, 27. 1 Cf. Mt 8, 26. m Cf. Es 17, 11.


” Mt 8, 26. ° Sai 107 (106), 25. '

5 Si può vedere un riferimento a Mosè che stese la mano sul Mar Rosso,
le cui acque si divisero: cf. Es 14, 21.
Omelia 28, 1-2 45

prattutto la folla lo ammirava e non lo avrebbe ammirato, se aves­


se agito come Mosè.

I l MARE e I DEMONI ATTESTANO LA DIVINITÀ DI CRISTO

Dopo che fu sbarcato, segue un altro prodigio più impressio­


nante. Difatti degli indemoniati, come malvagi schiavi fuggitivi
che vedono il loro padrone, dicevano: Che c’è tra noi e te, Gesù,
Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci? p . Poi­
ché la folla diceva che egli era un uomo, vennero i demoni a pro­
clamare la sua divinità, e quelli che non avevano ascoltato il mare
che si era agitato e di nuovo era diventato tranquillo, ascoltarono
i demoni gridare quello che il mare aveva gridato mediante la bo­
naccia che era subentrata. Poi, perché non sembrasse che ciò era
frutto di adulazione, per esperienza dei fatti gridano dicendo: Sei
venuto qui prima del tempo a tormentarci? Perciò viene prima ri­
conosciuta la loro ostilità verso Cristo, perché la loro supplica non
fosse guardata con sospetto. In effetti venivano sferzati invisibil­
mente ed erano agitati più del mare, essendo tormentati, arsi e an­
dando incontro a sofferenze implacabili in virtù della sola presen­
za del Signore. Poiché nessuno osava presentarli 6, Cristo stesso va
da loro. Matteo afferma che essi dissero: Sei venuto qui prima del
tempo a tormentarci?·, gli altri aggiunsero che lo supplicavano e
scongiuravano di non gettarli nell’abisso 7. Pensarono infatti che
incombesse già su di loro il castigo e temevano di incorrere ormai
nella punizione. Se Luca dice che si trattava di uno, mentre Mat­
teo dice che erano due 8, questo particolare non mostra una di-

P Mt 8, 29.

6 Cioè gli indemoniati che, secondo Mt 8,28, andarono incontro a Gesù.


7 Propriamente l’abisso viene menzionato in Le 8, 31.
8 Cf. Mt 8, 28, mentre Me 5, 2 e Le 8, 27 parlano di un indemoniato.
46 Omelie sul Vangelo di Matteo

scordanza, perché se avesse detto che era uno solo e non ce n’era
un altro, sarebbe sembrato che dicesse il contrario di Matteo, ma
se l’uno ha parlato di una persona e l’altro di due, il racconto non
implica una contraddizione, ma una differente esposizione. A me
sembra che Luca abbia narrato scegliendo il più violento fra que­
sti; perciò riporta quella sciagura con toni più tragici, ad esempio
riferendo che, spezzando i legami e le catene, vagava nel deserto <J.
Marco dice che si percuoteva con le pietrer. Le loro parole sono
sufficienti a mostrare la violenza e l’impudenza di quell’individuo.
Sei venuto qui, dice, prima del tempo a tormentarci? Non potevano
dire di non aver peccato, ma chiedono di non essere puniti prima
del tempo. Poiché li aveva sorpresi a compiere quelle atrocità irre­
parabili e inique, pervertendo e tormentando in ogni modo chi era
sua creatura 9, e i demoni pensavano che egli non avrebbe aspetta­
to il tempo del castigo a causa dell’enormità delle loro azioni, per­
ciò lo supplicavano e pregavano. Quelli che non sopportavano le
catene di ferro, si presentano incatenati; quelli che percorrevano le
montagne, uscivano nelle pianure e quelli che impedivano il pas­
saggio agli altri, vedendo chi sbarrava loro la via, si fermarono.

C ontro l e a rti m a g ic h e

Ma perché mai amano stare nei sepolcris? Perché vogliono in­


fondere nella gente la rovinosa dottrina, secondo la quale le anime
dei defunti diventano demoni; voglia il cielo che non si pensi nep­
pure a questa teoria! 10. Ma, si potrebbe osservare, che cosa po-

Cf. Le 8, 29. r Cf. Me 5, 5. s Cf. Mt 8,28.

9 Vale a dire l’essere umano, tormentato dai demoni.


10 Si veda l’omelia 2, 1 su Lazzaro, in cui Crisostomo condanna la teo­
ria per cui le anime di quelli che muoiono di morte violenta diventano de­
moni, mentre osserva che piuttosto diventano così le anime di quelli che vi­
vono nei peccati.
Omelia 28, 2-3 47

tresti dire, quando molti maghi prendono dei ragazzi e li uccido­


no per avere poi la collaborazione della loro anima? E questo da
dove risulta evidente? Che li uccidano, lo dicono molti, ma che le
anime di quelli che sono stati uccisi siano con loro, come lo sai,
Mirrimi? Gli stessi indemoniati, si potrebbe replicare, gridano: So­
no l’anima del tale. Ma questa è ima messinscena e un inganno del
diavolo, perché non è l’anima del defunto che grida, ma il demo­
nio che lo simula per ingannare gli ascoltatori. Se fosse possibile
che l’anima entrasse nella sostanza di un demonio, a maggior ra­
gione potrebbe entrare nel suo proprio corpo. D ’altra parte non
sarebbe ragionevole che l’anima offesa collabori con chi l’ha offe­
sa, o che un uomo possa trasformare una qualità incorporea in
un’altra sostanza. Se infatti ciò è irrealizzabile per i corpi e nessu­
no potrebbe fare di un corpo umano quello di un asino, a maggior
ragione questo è impossibile per l’anima invisibile e nessuno sa­
rebbe capace di mutarla nella sostanza di un demonio.

Le a n im e , d o p o l a se p a r a z io n e d a l c o r p o ,
n o n v a g a n o s u l l a t er r a

3. Sicché queste sono parole di vecchie ubriache e spaura


per bambini, perché non è possibile che l’anima, strappata dal cor­
po, se ne vada poi errando quaggiù. Le anime dei giusti sono nelle
mani di D i o se lo sono quelle dei giusti, lo sono anche quelle dei
bambini, perché neppure quelle sono cattive. Le anime dei pecca­
tori sono subito portate via da qui. È evidente dal caso di Lazzaro
e del ricco u; anche in un altro passo dice Cristo: Oggi ti viene ri­
chiesta la tua anima v. Non è possibile che un’anima che è uscita
dal corpo vada errando quaggiù, e assai a ragione. Se noi, rivestiti
del corpo, camminando in una terra familiare e nota, quando per­
corriamo una via insolita non sappiamo quale direzione prendere
se non abbiamo chi ci guidi, come l’anima, strappata dal corpo e

' Sap 3, I. u Cf. Le 16, 22. v Le 12,20.


48 Omelie sul Vangelo di Matteo

allontanatasi da tutto ciò che le è consueto, saprà dove deve anda­


re senza chi le indichi il cammino? E per molte altre ragioni si po­
trebbe comprendere che l’anima, uscita dal corpo, non può rima­
nere quaggiù. Difatti Stefano dice: Accogli il mio spirito w; e Paolo:
Sarebbe molto meglio essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo x.
E la Scrittura dice del patriarca n : Dopo essere vissuto in felice vec­
chiaia, si riunì ai suoi padri y. A riprova del fatto che le anime dei
peccatori non possono dimorare quaggiù, ascolta quel ricco che
supplicava molto per ottenere questa possibilità, ma non ci riuscì,
sicché, se fosse stato possibile, sarebbe venuto egli stesso e avreb­
be riferito quello che era accaduto lassùz. Da ciò è evidente che,
dopo la dipartita da quaggiù, le anime vengono condotte in un
luogo, senza avere più la facoltà di ritornare, ma aspettando quel
giorno terribile.

P e r c h é C r ist o a c c o n s e n t e a l l a r ic h ie st a d e i d e m o n i

Se uno dicesse: Perché Cristo fece quello che i demoni aveva­


no richiesto, permettendo loro di andare nel branco di porci™?,
potremmo rispondere che non lo fece per obbedire ad essi, ma per
raggiungere così molti obiettivi. Uno era quello di insegnare a co­
loro che erano stati liberati da quei malvagi tiranni, la grandezza
della rovina di quelli che li insidiavano. Un altro era quello che tut­
ti imparassero che non avrebbero avuto l’ardire nemmeno di en­
trare nei porci se egli non l’avesse consentito. Un terzo era che i
demoni avrebbero compiuto azioni più gravi di quelle compiute
nei confronti dei porci, se gli indemoniati, pur nella disgrazia, non
avessero usufruito della grande provvidenza divina. E evidente ad

w At 7, 59. x FU 1, 23. v Gn 25, 8. z Cf. Le 16, 27ss.


aa Mt 8, 30-32.

11 Abramo.
Omelia 28, 3 49

ognuno che ci odiano più degli animali irragionevoli. Sicché essi


che non risparmiavano i porci, ma in un istante li gettarono tutti
nel precipizioab, a maggior ragione lo avrebbero fatto agli uomini
che tenevano in loro potere, portandoli e riportandoli nel deserto,
se, pur in questo loro dominio tirannico, la grande sollecitudine di
Dio non avesse frenato e trattenuto i loro ulteriori assalti. Da ciò
risulta chiaro che non c’è nessuno che non goda della provviden­
za divina. Se poi non ne godono tutti allo stesso modo né nella
medesima maniera, anche questo è un aspetto assai rilevante della
provvidenza, perché essa si manifesta in rapporto a ciò che è van­
taggioso per ciascuno. Da ciò, oltre a quanto è stato detto, rica­
viamo anche un altro insegnamento, che non soltanto si prende
cura di tutti in generale, ma anche di ciascuno in particolare; lo ha
indicato di fronte ai suoi discepoli dicendo: Quanto a voi, perfino
i capelli del vostro capo sono contatiac. Ciò si potrebbe compren­
dere chiaramente da questi indemoniati, che da tempo sarebbero
stati soffocati se non avessero goduto della grande sollecitudine
celeste.
Perciò permise che andassero nel branco di porci, anche per­
ché gli abitanti di quei luoghi conoscessero la sua potenza. Dove
infatti il suo nome era molto diffuso, non si metteva tanto in mo­
stra; dove invece nessuno lo conosceva, ma erano ancora indiffe­
renti nei suoi riguardi, faceva risplendere i prodigi in modo da at­
tirarli alla conoscenza della sua divinità. Che fossero ottusi nei suoi
confronti gli abitanti di quella città12 è chiaro dalla fine dell’epi­
sodio, perché mentre avrebbero dovuto adorarlo e ammirarne la
potenza, lo mandarono via e lo pregarono di andarsene dal loro ter­
ritorio ad. Ma perché i demoni fecero perire i porci? Si danno da
fare sempre per gettare gli uomini nello sconforto e sempre gioi­
scono della loro rovina. Così il diavolo agì con Giobbe; certamen-

ab Cf. Mt 8,32. ac Mt 10,30. ad Mt 8,34.

12 Sono i gadareni, della città di Gadara, a sud-est del lago di Tiberiade:


cf. Mt 8,28.
50 Omelie sul Vangelo di Matteo

te anche in quel caso Dio lo permise, ma nemmeno allora per da­


re retta al diavolo, bensì perché voleva mostrare più splendido il
suo servo e per togliere al demonio ogni occasione di sfrontatezza
nei suoi confronti e rovesciare sul suo capo ciò che faceva contro
quel giusto. Anche ora si verificò il contrario di quanto volevano
costoro, perché fu splendidamente proclamata la potenza di Cri­
sto e fu mostrata più chiaramente la malvagità dei demoni, da cui
liberò quelli che erano posseduti da essi, e si rese manifesto che
non hanno la facoltà neppure di toccare i porci, se non lo permet­
te il Dio dell’universo.

P o tenza e m it e z z a d e l S ig n o r e

4. Se poi si intende questo episodio anche in senso spiritua


non c’è nulla che lo impedisca. Questo è il senso storico14. Si deve
comunque sapere chiaramente che gli uomini che vivono come por­
ci sono facile preda dell’azione dei demoni. Quelli che subiscono
questo attacco, se sono uomini, possono spesso anche prevalere, ma
se diventano del tutto porci, non solo vengono posseduti dai demo­
ni, ma sono anche gettati nel precipizio. D ’altra parte, perché non si
pensi che questi fatti siano una messinscena, ma si creda chiara­
mente che i demoni uscirono dai corpi di quegli uominiae, ciò risul­
ta evidente dalla morte dei porci. Considera anche la mitezza del Si­
gnore unitamente alla sua potenza. Dopo che infatti gli abitanti di
quella regione lo scacciarono, benché avessero ricevuto simili bene-

ae Cf. Mt 8, 32.

13 Per indicare questo significato superiore Crisostomo usa il t. anago-


gbé che indica l’azione di innalzarsi, in quanto con questa interpretazione si
va al di sopra del senso letterale; cf. in proposito M. Simonetti, Lettera e/o al­
legoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica, Roma 1985, p. 80, no­
ta 46.
14 Ancora è impiegato il t. historia.
Omelia 28, 3-4 51

fici, egli non oppose resistenza, ma si ritirò ^ e abbandonò quelli che


si erano rivelati indegni del suo insegnamento, dando come maestri
coloro che erano stati liberati dai demoni e i guardiani dei porci, in
modo che apprendessero da essi tutto quanto era avvenuto; egli, ri­
tirandosi, lasciò in essi un forte timore15. In effetti la grandezza del
danno subito diffondeva la fama di quell’evento16 e l’accaduto col­
piva il loro animo. Da molte parti provenivano voci che proclama­
vano la straordinarietà del prodigio, ad opera di coloro che erano
stati curati, di quelli che erano stati gettati a mare, dei padroni dei
porci, degli uomini che li pascolavano.

I l DISSOLUTO e l ’ avaro s o n o c o m e in d e m o n ia t i

Anche ora si può vedere che si verifica questa situazione, che


presso i sepolcri si trovano molti indemoniati che nulla trattiene
da una tale follia, non il ferro né le catene né la moltitudine degli
uomini né l’esortazione né l’ammonizione né la paura né la mi­
naccia né nient’altro di simile. Difatti quando un dissoluto è pre­
so da passione per ogni corpo, non differisce affatto da un inde­
moniato, ma, come quello, se ne va in giro nudo, con indosso cer­
to le vesti, ma privo del rivestimento vero e denudato della gloria
che gli si addice17, colpendosi non con le pietre, ma con i peccati,
peggiori di molte pietre. Chi potrà dunque incatenare un siffatto
individuo? Chi potrà farlo desistere dal comportarsi in modo

rf Cf. Le 8, 37.

15 Per la meraviglia di quanto era accaduto: cf. Me 5, 20; Le 8, 39.


16 Secondo Me 5, 13 erano circa duemila i porci che precipitarono nel
mare e affogarono.
17 Questo concetto richiama quanto Crisostomo, sulla scia di Ireneo, af­
ferma riguardo alla veste fulgida e splendente da cui erano avvolti Adamo ed
Èva prima del peccato: cf. il mio lavoro Studi sulla visione dell’uomo in ambi­
to antiocheno, cit., p. 36.
52 Omelie sul Vangelo di Matteo

sconveniente e dall’essere assillato dalla passione, lui che non è


mai in sé, ma si aggira sempre presso i sepolcri? Tali sono infatti le
dimore delle prostitute, piene di molto fetore, molta putredine.
Che cos’è l’avaro? Non è così? Chi sarà mai capace di incatenar­
lo? Forse le paure e le minacce quotidiane, le esortazioni e i con­
sigli? Ma spezza tutti questi vincoli, e se qualcuno viene a liberar­
lo, scongiura di non essere liberato, ritenendo un tormento enor­
me il fatto di non essere nel tormento18. Che ci potrebbe essere di
più infelice? Quel demonio, anche se disprezzo gli uomini, cedet­
te però al comando di Cristo e subito balzò via dal corpo; questo
invece non cede nemmeno a questo comando. Ecco, ascolta ogni
giorno Cristo dire: Non potete servire a Dio e a mammona «e, mi­
nacciare la geenna, i castighi inesorabili, ma non dà retta, non per­
ché sia più forte di Cristo, ma perché Cristo non ci fa rinsavire
contro la nostra volontà 19. Perciò tali individui dimorano come
nel deserto anche se si trovano in mezzo alla città. Chi infatti, do­
tato di senno, vorrebbe stare insieme con uomini siffatti? Anzi io
accetterei di abitare con innumerevoli indemoniati, piuttosto che
con uno solo che sia affetto da questo morbo. E che io non sia in
errore nel parlare così, è evidente da ciò che capita ad entrambi.
Gli uni in effetti considerano come nemico chi non ha fatto loro
nulla di male, vogliono anche asservire chi è libero e lo circonda­
no di innumerevoli mali; gli indemoniati invece non fanno niente
di simile, ma rivolgono la malattia contro se stessi. Gli uni scon­
volgono molte case, fanno bestemmiare il nome di Dio e sono la
rovina della città e del mondo intero, mentre quelli che sono mo­
lestati dai demoni, sono piuttosto degni di essere compatiti e com­
pianti. Gli uni agiscono per lo più senza rendersene conto; gli al­

ae Mt 6,24.

18 Questo gioco di parole rende efficacemente la tirannia delle ricchez­


ze cui l’avaro è asservito.
19 Crisostomo pone l’accento sulla libera volontà dell’uomo di rispon­
dere all’invito di Cristo alla conversione.
Omelia 28, 4-5 53

tri invece compiono le loro insensatezze scientemente, imperver­


sando in mezzo alle città, in preda ad un nuovo genere di follia.
Tutti gli indemoniati che cosa possono compiere di simile a quel­
lo che osò Giuda, il quale mostrò l’iniquità più grave? Tutti colo­
ro che lo imitano, come belve feroci che fuggono dalle gabbie,
sconvolgono le città, senza che nessuno li tenga a freno. Costoro
sono attorniati da ogni parte da catene, quali la paura dei giudici,
la minaccia delle leggi, la condanna da parte della gente e altre di
più; tuttavia però, spezzando queste catene, mettono tutto sotto­
sopra. E se qualcuno gliele togliesse completamente, saprebbe al­
lora chiaramente che il demonio che si trova in loro è molto più fe­
roce e furioso di quello che è uscito ora 20.

M o s t r u o s it à d e l l ’avaro

5. Ma poiché questo non è possibile, immaginiamolo intan


parole, togliamogli tutte le catene e allora conosceremo chiaramen­
te la sua evidente follia. Non temete però quella belva, quando la
sveliamo, perché si tratta di una messinscena a parole, non di un fat­
to nella realtà. Ammettiamo dunque che ci sia un uomo nero, che
sprigioni fuoco dagli occhi, che abbia attaccati ad entrambe le spal­
le serpenti invece che braccia; ammettiamo che abbia una bocca con
infisse delle spade aguzze invece dei denti, che abbia, invece della
lingua, una fonte da cui scaturiscono un veleno ed una pozione le­
tale. Immaginiamo che abbia un ventre più vorace di ogni fornace,
che consuma tutto quanto vi viene gettato dentro, e dei piedi alati,
più rapidi di ogni fiamma; supponiamo che il suo volto abbia le fat­
tezze di un cane e di un lupo. Immaginiamo che emetta suoni non
umani, ma striduli, sgradevoli e paurosi, e che abbia una fiamma
nelle mani. Forse vi sembra che quanto è stato detto sia spaventoso,
ma non lo abbiamo ancora raffigurato come si deve, perché, insie­
me a questi, bisogna aggiungere anche altri elementi. Immaginiamo

20 Quello cioè di cui si parla nell’episodio evangelico degli indemoniati.


54 Omelie sul Vangelo di Matteo

infatti che uccida quelli che incontra, li divori, ne afferri le carni


stesse. Ma l’avaro è molto più feroce di questo, perché assale tutti
come la morte, tutti divora e si aggira come il nemico comune del
genere umano. Vuole che non ci sia nessun uomo per possedere tut­
to. Non si ferma qui però, ma, dopo aver rovinato tutti con la sua
cupidigia, desidera anche annullare la sostanza della terra e vederla
divenire oro, e non solo la terra, ma anche i monti, le valli, le fonti,
insomma tutto ciò che cade sotto gli occhi. Perché sappiate che non
abbiamo ancora presentato la sua follia, immaginiamo che non ci sia
nessuno che lo accusi, né lo spaventi, ma elimina per il momento, a
parole, la paura che deriva dalle leggi e lo vedrai afferrare la spada
e trucidare tutti, senza avere riguardi per nessuno, sia che si tratti di
un amico, di un parente, di un fratello, neppure di colui che lo ha
generato. Anzi non c’è qui bisogno di alcuna supposizione, ma chie­
diamogli se non si raffiguri sempre in se stesso simili immaginazio­
ni, e assalga tutti eliminandoli col pensiero, amici, parenti, coloro
stessi che lo hanno generato. Anzi non c’è bisogno di domandarlo,
perché tutti sanno che quelli che sono preda di questa infermità,
mal sopportano la vecchiaia patema e considerano pesante e mole­
sto quello che per tutti è dolce e desiderabile, vale a dire avere figli.
Per questo molti hanno ottenuto a pagamento la sterilità e hanno
mutilato la natura, non solo eliminando i figli nati, ma non permet­
tendo affatto che nascessero.

Come l ib e r a s s i d a l l ’avarizia

Non meravigliatevi dunque se abbiamo raffigurato così l’ava­


ro, perché è molto peggiore di quanto è stato detto, ma esaminia­
mo come potremo liberarlo dal demonio. Come lo libereremo? Se
impara chiaramente che l’avarizia gli si oppone soprattutto proprio
in questo, cioè nel procurare le ricchezze, perché quelli che voglio­
no guadagnare un po’, subiscono grandi danni; da qui è derivato
anche un proverbio in questo stesso senso. Spesso molti, volendo
prestar denaro ad alto interesse, senza valutare, per la speranza del
guadagno, quelli che ricevevano il prestito, hanno perso, insieme
Omelia 28, 5 55
all’interesse, anche tutto il capitale. Altri, a loro volta, trovandosi in
pericolo e non volendo abbandonare poco, hanno perduto anche
la vita insieme alle sostanze. Ancora, essendo possibile acquistare
posizioni vantaggiose o qualcos’altro di simile, hanno perso tutto
per meschinità. Poiché non sanno seminare, ma si preoccupano
sempre di mietere, perdono continuamente anche il raccolto. Nes­
suno può sempre mietere, come nemmeno può sempre guadagna­
re; poiché dunque non vogliono spendere, non sanno neppure gua­
dagnare. Ma anche se devono prendere moglie, vanno incontro di
nuovo a questo stesso inconveniente, o perché, tratti in inganno, ne
prendono una povera invece che benestante, o perché, sposando­
ne una ricca, ma piena di innumerevoli difetti, subiscono un danno
maggiore. Non è infatti l’abbondanza, ma la virtù a rendere ricco.
Che utilità c’è nella ricchezza, quando la moglie è dispendiosa e
dissoluta e porta via tutto più violentemente del vento? Che dire,
se è indecente e si trascina dietro innumerevoli amanti? Che dire,
se è ubriaca? Non renderà presto il marito più povero di tutti? Non
sono rovinosi soltanto nel prendere moglie, ma anche nel compra­
re, perché, spinti dalla loro grande cupidigia, vanno in cerca non di
schiavi bravi, ma di quelli a buon mercato.
Riflettendo dunque su tutto ciò, perché non potete ancora
ascoltare i discorsi sulla geenna e sul regno, e pensando ai danni
che avete subito spesso a causa della cupidigia, nel prestare dena­
ro, nel comprare, nel prendere moglie, nell’esercitare il patroci­
nio 21 e in tutto il resto, allontanatevi dall’amore per le ricchezze.
Così potrete vivere in sicurezza la vita presente e, progredendo un
po’, ascoltare le parole sulla filosofia22 e, vedendo con chiarezza,
rivolgere lo sguardo al sole stesso della giustizia 2? e conseguire i
beni da lui promessi. Voglia il cielo che tutti noi li raggiungiamo,
per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia­
no la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

21 In un’attività cioè di tipo clientelare.


22 Sempre nel senso della sapienza cristiana
23 Cristo: per l’immagine, cf. MI 3, 20.
OM ELIA 29

Salito sulla barca, passò all’altra riva e giunse nella propria città1. Ed
ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Vista la loro fede,
Gesù disse al paralitico: Coraggio, figlio, ti sono rimessi i tuoi pec­
cati a.

C o n f r o n t o c o n l ’e p is o d io d e l p a r a l it ic o
NARRATO DA GIOVANNI

1. Chiama qui Cafarnao la città propria di lui. Bedemme


città dove nacque, Nazaret, dove fu allevato e Cafarnao, dove abi­
tava continuamente. Certamente questo paralitico è diverso da
quello che si trova in Giovanni2. L’uno infatti giaceva presso la pi­
scina3, l’altro invece stava a Cafarnao; l’uno era malato da trentot­
to annib, mentre dell’altro non si dice nulla di simile; l’uno non ave­
va chi lo aiutassec, mentre l’altro aveva quelli che si prendevano cu­
ra di lui e che lo sollevarono e lo portarono da Gesù. A questo di­
ce: Figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati·, a quello invece: Vuoi guari­
re? d. Curò l’uno di sabatoe, l’altro invece non di sabato, perché

a Mt 9, 1-2. b Cf. Gv 5, 5. c Cf. Gv 5, 7. d Gv 5, 6.


e Cf. G v 5 , 9.

1 Cafarnao, dove Gesù, lasciata Nazaret, andò ad abitare: cf. Mt 4,13.


2 Cf. Gv 5, 5: questo episodio avvenne a Gerusalemme.
3 Si tratta della piscina situata, a Gerusalemme, presso la porta delle Pe­
core: cf. Gv 5 ,2 .
Omelia 29, 1 51
certamente i giudei l’avrebbero accusato anche di ciò; essi nel caso
di questo tacquero4, mentre nell’altro caso lo incalzavano con le lo­
ro persecuzionif. Ho detto questo non senza motivo, ma perché
nessuno pensi che ci sia una discordanza, supponendo che si tratti
di un solo e medesimo paralitico. Considera l’umiltà e la modestia
del Signore, perché in precedenza aveva allontanato da sé le folle,
poi, scacciato dai gadareni, non oppose resistenza, ma si ritirò, non
però lontano. Salito di nuovo sulla barca, attraversò il lago, pur po­
tendo farlo anche a piedi. Non voleva compiere sempre miracoli,
per non compromettere il discorso relativo all’incamazione5.
Matteo dice che gli portarono il paralitico, mentre gli altri af­
fermano anche che fecero un’apertura nel tetto e lo calarono s. Mi­
sero davanti a Cristo quell’infermo, senza dire nulla, ma rimetten­
do tutto a lui. All’inizio era lui stesso ad andare in giro e non esi­
geva tanta fede da parte di coloro che si avvicinavano a lui; in que­
sto caso invece gli si avvicinarono e ad essi fu richiesta la fede. Vi­
sta, dice, la loro fede, cioè quella di coloro che calarono giù l’in­
fermo. Non sempre richiede la fede soltanto agli infermi; ad esem­
pio, quando sono in preda alla follia o sono sconvolti in altro mo­
do dalla malattia. Anzi in questo caso la fede era anche dell’infer­
mo, perché, se non avesse creduto, non avrebbe acconsentito ad
essere calato.

P a r it à di onore di C r ist o c o n il Padre

Poiché dunque dettero prova di una fede così grande, mostra


anche lui la sua potenza, cancellando i peccati con ogni autorità e

f Cf. G v 5 , 16.18. 6 Cf. Me 2, 4; Le 5,19.

4 Cioè nel caso del paralìtico narrato da Matteo.


5 Qui Crisostomo usa il t. oikonomia che indica il piano provvidenziale
divino culminato nelTincamazione di Cristo.
58 Omelie sul Vangelo di Matteo

indicando in ogni modo di essere uguale in onore a Colui che l’ave­


va generato. Considera: in precedenza lo aveva dimostrato con il
suo insegnamento, quando li istruì come chi aveva autorità h; per
mezzo del lebbroso, quando disse: Lo voglio, sii sanato mediante
il centurione, quando, poiché aveva detto: D i’ soltanto una parola
e il mio servo sarà guarito i, lo ammirò e lo esaltò al di sopra di tut­
ti; mediante il mare, quando lo tenne a freno soltanto con la sua
parola k; per mezzo dei demoni, quando lo riconobbero come giu­
dice e li scacciò con grande autorità *. Qui ancora, in un altro mo­
do più sublime, costringe i suoi nemici a riconoscere la sua ugua­
glianza di onore con il Padre e lo rende manifesto mediante la lo­
ro bocca. Egli, mostrando di essere privo di ambizione - infatti
stava intorno molta gente che bloccava l’entrata e perciò lo cala­
rono dall’alto -, non si affrettò subito a curare il corpo visibile, ma
colse l’occasione da quelli e dapprima curò ciò che non era visibi­
le, l’anima, rimettendo i peccati; di certo quanto dava a quello la
salvezza, a lui non procurava molta gloria. Ma quelli, agitati dalla
loro malvagità e volendo accusarlo, pur controvoglia fecero ri­
splendere quell’evento. Difatti egli, essendo sagace, si servì della
loro invidia per manifestare il miracolo.
Poiché erano sconcertati e dicevano: Costui bestemmia. Chi
può rimettere i peccati se non Dio solo? m, vediamo che cosa dice.
Forse che ha confutato la loro supposizione? Certamente se non
fosse stato uguale a Dio, avrebbe dovuto dire: Perché mi attribui­
te un’opinione sconveniente? Sono lontano dall’avere questo po­
tere. Ora invece non ha detto nulla di questo, ma al contrario ha
rafforzato e confermato tutto, sia con la propria voce, sia con la di­
mostrazione del prodigio. Poiché sembrava che desse fastidio ai
suoi ascoltatori che egli stesso dicesse alcune cose su di sé, confer­
ma ciò che lo riguardava per mezzo degli altri, e il fatto prodigio­
so è che lo fece per mezzo non solo degli amici, ma anche dei ne­
mici, e questa era la sovrabbondanza della sua sapienza. Per mez-

h Cf. Mt 7, 29. i Mt 8, 3. i Mt 8, 8. k Cf. Mt 8, 26.


1 Cf. Mt 8, 31-32. m Cf. Mt 9, 3; Me 2, 7; Le 5, 21.
Omelia 29, 1-2 59

zo degli amici, quando disse: Lo voglio, sii sanato, e: Non ho tro­


vato in Israele una fede così grande n; ora invece per mezzo dei ne­
mici. Difatti poiché avevano detto che nessuno poteva rimettere i
peccati se non Dio solo, ha aggiunto: Perché sappiate che il Figlio
dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati sulla terra: Alzati, dice
allora al paralitico, prendi il tuo letto e va’ a casa tua °. Non soltan­
to in questo caso, ma ancora in un’altra occasione, poiché gli di­
cevano: Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia
e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio p , nemmeno in quel caso con­
futò questa opinione, ma di nuovo la confermò dicendo: Se non
compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, an­
che se non credete a me, credete alle opere i.

C r is t o sv ela i se g r eti d e l cu ore

2. Qui mostra un altro segno non di poco conto della sua


vinità e dell’uguaglianza di onore con il Padre. Quelli infatti dice­
vano che appartiene solo a Dio cancellare i peccati; egli non sol­
tanto cancella i peccati, ma, prima di questo, mostra anche un’al­
tra prerogativa che è propria solo di Dio, vale a dire manifestare i
segreti del cuore. In effetti essi non esposero pubblicamente quel­
lo che pensavano. Ecco che alcuni scribi, afferma, dissero fra di sé:
Costui bestemmia. Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse:
Perché pensate cose malvagie nei vostri cuori? r. A dimostrazione
del fatto che è proprio solo di Dio conoscere i segreti, ascolta che
cosa dice il profeta: Tu solo conosci il cuores; e ancora: Dio che esa­
mina cuori e reni1. E Geremia dice: Profondo è, sopra ogni cosa, il
cuore, è un uomo e chi lo conoscerà?'1. E: L’uomo guarderà in faccia,
Dio invece nel cuore v. E attraverso molte testimonianze ci si può
rendere conto del fatto che è proprio soltanto di Dio conoscere ciò
che c’è nell’animo. Mostrando dunque di essere Dio, uguale al Pa­

n Mt 8, 10. ° Mt 9, 6. P Gv 10, 3. i Gv 10, 37-38.


r Mt 9,3-4. s 2 Cor 6,30. £ Sai 7,10. u G e r l7 ,9 . v l S a m l 6 ,7 .
60 Omelie sul Vangelo di Matteo

dre, svela e rende manifesto quello che pensavano tra di sé, per­
ché, per timore della moltitudine, non osavano esporre pubblica­
mente la loro intenzione, e dà prova anche in questa circostanza di
grande mitezza. Perché, dice, pensate cose malvagie nei vostri cuo­
ri? Certo, se bisognava irritarsi, avrebbe dovuto irritarsi quell’in­
fermo, come fosse stato ingannato, e dire: «Sono venuto a curarmi
di una cosa e me ne correggi un’altra? Da dove risulta evidente che
sono stati rimessi i miei peccati?» 6. Ora però egli non dice nulla
di simile, ma si affida all’autorità di quel guaritore; costoro invece,
che erano altezzosi e invidiosi, tramano contro i benefici degli al­
tri. Perciò li accusa, ma in modo del tutto mite. Se non credete,
vuol dire, alla mia precedente affermazione e pensate che si tratti
di millanteria, ecco, a questo aggiungo un altro gesto, rivelare i se­
greti del vostro animo, e oltre a ciò ancora un altro. Quale? Ri­
mettere a posto il corpo del paralitico. E quando parlò al paraliti­
co, non gli parlò manifestando chiaramente la sua autorità, perché
non disse. «Ti rimetto i peccati», ma: ti sono rimessi i tuoi peccati.
Ma poiché quelli lo costrinsero, mostra più chiaramente la sua au­
torità dicendo: Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di
rimettere i peccati sulla terra. Vedi quanto era lontano dal non vo­
lere che lo si ritenesse uguale al Padre? Non ha detto infatti che il
Figlio dell’uomo aveva bisogno di altri, né che altri gli aveva dato
questo potere, ma: ha il potere. Né lo dice per ambizione, ma, in­
tende dire, per persuadervi che non bestemmio facendomi uguale
a Dio. Vuole sempre offrire prove chiare e indiscutibili, come
quando dice: Va’, mostrati al sacerdote w, e fa vedere che la suocera
di Pietro lo serviva x e permette ai porci di gettarsi nel precipizio y.
Così anche in questo caso dà come prova della remissione dei pec­
cati la guarigione del corpo e come prova di tale guarigione il fatto

w Mt 8, 4. x Cf. Mt 8, 15. y Cf. Mt 8, 32.

6 Si può rilevare una nota un po’ umoristica in questa ipotetica reazio­


ne del paralitico che il nostro autore presenta, affrettandosi poi a sottolinea­
re la fiducia con cui quell’infermo si abbandona all’azione di Gesù.
Omelia 29, 2-3 61

che il paralitico prese il letto, in modo che non si pensasse che quel
fatto fosse pura immaginazione. E non lo fa prima di interrogarli.
Che cosa, dice, è più facile dire: Ti sono rimessi i peccati, oppure di­
re: Prendi il tuo letto e va’ a casa tua? z. Quanto dice significa: Che
cosa vi sembra più facile, mettere forza in un corpo privo di vigore
oppure cancellare i peccati dell’anima? Evidentemente dare forza
al corpo. Quanto infatti l’anima è superiore al corpo, tanto più su­
blime è cancellare i peccati della guarigione fisica, ma poiché il pri­
mo gesto è invisibile, mentre l’altro è manifesto, aggiungo ciò che è
inferiore, ma più evidente, perché ciò che è più sublime e invisibi­
le sia dimostrato per mezzo di ciò che è visibile, rivelando già in an­
ticipo mediante le opere quanto era stato detto da Giovanni7, che
egli prende su di sé i peccati del mondoaa.

C r ist o c u r a l e in f e r m it à d e l c o r p o e d e l l ’a n im a

3. Dopo averlo dunque fatto rialzare, lo manda a casa,


strando di nuovo qui la sua modestia e facendo vedere che quanto
era accaduto non era immaginazione, perché rende testimoni della
guarigione coloro che lo erano stati della sua infermità. Io, intende
dire, vorrei curare, per mezzo della tua malattia, anche quelli che
sembrano essere sani, mentre sono malati nell’animo; ma poiché
non vogliono, vattene a casa a rimettere in sesto quelli che sono là.
Vedi come egli dimostri di essere creatore dell’anima e del corpo?
Cura la paralisi di entrambe le sostanze e manifesta l’invisibile me­
diante il visibile; tuttavia però si trascinano ancora a terra.
Visto ciò, le folle furono prese da ammirazione e glorificarono
Dio, dice, che aveva dato agli uomini un tale potere ab; di fronte a
loro infatti stava la carne8. Egli però non li rimproverò, ma conti-

2 Mt 9,5-6. aa Cf. Gv 1,29. ab Mt 9, 8.

7 II Battista.
8 Nel senso che non vedevano in Cristo se non un uomo.
62 Omelie sul Vangelo di Matteo

nuò a stimolarli con le sue opere e ad elevare il loro animo. Per il


momento non era poco che si credesse che egli era più grande di
tutti gli uomini e veniva da Dio, perché se avessero ben rafforzato
in loro stessi questa convinzione, progredendo su questa via
avrebbero riconosciuto che era anche Figlio di Dio. Ma non ten­
nero ferma con chiarezza tale convinzione e perciò non poterono
neppure progredire ulteriormente. Dicevano ancora: Quest’uomo
non viene da D io ac; come può costui venire da Dio? 9 Lo ripete­
vano continuamente, adducendolo come pretesto delle proprie
passioni. Lo fanno anche ora molti, che sembrano difendere Dio,
mentre soddisfano le loro passioni; si dovrebbe invece fare tutto
con moderazione.

I m it a r e l a m a n su e t u d in e d iv in a

Difatti il Dio dell’universo, pur potendo scagliare fulmini su


coloro che lo bestemmiano, fa sorgere il sole e lascia cadere la piog­
gia e elargisce tutto il resto copiosamente. Anche noi, imitandolo,
dobbiamo invitare, esortare, ammonire con mitezza senza adirarci
né infuriarci. A Dio non deriva nessun danno dalla bestemmia,
perché tu vada in collera, ma è il bestemmiatore stesso che ne vie­
ne ferito. Gemi dunque, piangi, perché merita le lacrime questa
passione e niente può curare chi ne è ferito così come la mansue­
tudine; questa infatti è più potente di ogni violenza. Guarda come
Dio stesso, dopo essere stato offeso, parli a noi sia nell’Antico, sia
nel Nuovo Testamento, dicendo nel primo caso: Popolo mio, che
cosa ti ho fatto? ad, e nell’altro: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ae.
E Paolo ordina di riprendere gli oppositori con mitezza Quan­
do poi i discepoli si rivolsero a Cristo chiedendo che un fuoco

acG v 9 ,16. ad Mie 6, 3. aeA t9,4. af Cf. 2 Tm 2,25.

9 Non sembra un’allusione ad un passo specifico, ma la ripresa di Gv 9,16.


Omelia 29, 3 63

scendesse dal cielo, li rimproverò molto dicendo: Non sapete di che


spirito siete 10. E qui non ha detto: «Scellerati e impostori voi, in­
vidiosi e nemici della salvezza degli uomini», ma: Perché pensate
cose malvagie nel vostro cuore? Si deve dunque eliminare l’infer­
mità con mansuetudine. Chi infatti diventa migliore in virtù di una
paura umana, presto ritornerà di nuovo alla malvagità. Perciò ha
ordinato di lasciar stare la zizzania ae, per dare tempo alla conver­
sione. Molti di essi si pentirono e divennero buoni, mentre prima
erano cattivi, come Paolo, il pubblicano n , il ladrone 12; costoro,
che erano zizzania, sono diventati grano maturo. Nel caso dei se­
mi questo è impossibile; per quanto riguarda invece la volontà, è
facile ed agevole, perché non è vincolata dai limiti della natura, ma
è stata onorata con il libero arbitrio.

D iv e n ir e m e d ic i d e l l e a n im e

Quando dunque vedi un nemico della verità, curalo, preoccu­


pati di lui, riconducilo alla virtù, mostrando una vita eccellente,
presentandogli una parola irreprensibile, offrendogli il tuo soste­
gno e la tua sollecitudine, facendo di tutto per correggerlo, imitan­
do i medici migliori. Questi infatti non curano in un modo soltan­
to, ma quando vedono che la piaga resiste al rimedio precedente,
ne aggiungono un altro e dopo questo un altro ancora, e ora ta­
gliano, ora fasciano. Anche tu quindi, divenuto medico delle ani­
me, impiega ogni sistema di cura secondo le leggi di Cristo, per ri­
cevere il premio della tua salvezza e dell’aiuto verso gli altri, facen­

te Cf. Mt 13, 30.

10 Cf. Le 9,54-55: queste parole di Gesù, aggiunte da Crisostomo, si tro­


vano in alcuni codici di Luca.
11 Si può vedere un riferimento alla chiamata del pubblicano Matteo: cf.
Mt 9, 9.
12 II buon ladrone menzionato in Le 23, 40ss.
62 Omelie sul Vangelo di Matteo

nuò a stimolarli con le sue opere e ad elevare il loro animo. Per il


momento non era poco che si credesse che egli era più grande di
tutti gli uomini e veniva da Dio, perché se avessero ben rafforzato
in loro stessi questa convinzione, progredendo su questa via
avrebbero riconosciuto che era anche Figlio di Dio. Ma non ten­
nero ferma con chiarezza tale convinzione e perciò non poterono
neppure progredire ulteriormente. Dicevano ancora: Quest’uomo
non viene da D io ac; come può costui venire da Dio? 9. Lo ripete­
vano continuamente, adducendolo come pretesto delle proprie
passioni. Lo fanno anche ora molti, che sembrano difendere Dio,
mentre soddisfano le loro passioni; si dovrebbe invece fare tutto
con moderazione.

I m it a r e l a m a n su e t u d in e d iv in a

Difatti il Dio dell’universo, pur potendo scagliare fulmini su


coloro che lo bestemmiano, fa sorgere il sole e lascia cadere la piog­
gia e elargisce tutto il resto copiosamente. Anche noi, imitandolo,
dobbiamo invitare, esortare, ammonire con mitezza senza adirarci
né infuriarci. A Dio non deriva nessun danno dalla bestemmia,
perché tu vada in collera, ma è il bestemmiatore stesso che ne vie­
ne ferito. Gemi dunque, piangi, perché merita le lacrime questa
passione e niente può curare chi ne è ferito così come la mansue­
tudine; questa infatti è più potente di ogni violenza. Guarda come
Dio stesso, dopo essere stato offeso, parli a noi sia nell’Antico, sia
nel Nuovo Testamento, dicendo nel primo caso: Popolo mio, che
cosa ti ho fatto? ad, e nell’altro: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ae.
E Paolo ordina di riprendere gli oppositori con mitezza Quan­
do poi i discepoli si rivolsero a Cristo chiedendo che un fuoco

acG v 9 ,16. ad Mie 6, 3. aeA t9,4. ^ Cf. 2 Tm 2,25.

9 Non sembra un’allusione ad un passo specifico, ma la ripresa di Gv 9,16.


Omelia 29, 3 63

scendesse dal cielo, li rimproverò molto dicendo: Non sapete di che


spirito siete 10. E qui non ha detto: «Scellerati e impostori voi, in­
vidiosi e nemici della salvezza degli uomini», ma: Perché pensate
cose malvagie nel vostro cuore? Si deve dunque eliminare l’infer­
mità con mansuetudine. Chi infatti diventa migliore in virtù di una
paura umana, presto ritornerà di nuovo alla malvagità. Perciò ha
ordinato di lasciar stare la zizzania ae, per dare tempo alla conver­
sione. Molti di essi si pentirono e divennero buoni, mentre prima
erano cattivi, come Paolo, il pubblicano 11, il ladrone12; costoro,
che erano zizzania, sono diventati grano maturo. Nel caso dei se­
mi questo è impossibile; per quanto riguarda invece la volontà, è
facile ed agevole, perché non è vincolata dai limiti della natura, ma
è stata onorata con il libero arbitrio.

D iv e n ir e m e d ic i d e l l e a n im e

Quando dunque vedi un nemico della verità, curalo, preoccu­


pati di lui, riconducilo alla virtù, mostrando ima vita eccellente,
presentandogli una parola irreprensibile, offrendogli il tuo soste­
gno e la tua sollecitudine, facendo di tutto per correggerlo, imitan­
do i medici migliori. Questi infatti non curano in un modo soltan­
to, ma quando vedono che la piaga resiste al rimedio precedente,
ne aggiungono un altro e dopo questo un altro ancora, e ora ta­
gliano, ora fasciano. Anche tu quindi, divenuto medico delle ani­
me, impiega ogni sistema di cura secondo le leggi di Cristo, per ri­
cevere il premio della tua salvezza e dell’aiuto verso gli altri, facen­

te Cf. Mt 13, 30.

10 Cf. Le 9,54-55: queste parole di Gesù, aggiunte da Crisostomo, si tro­


vano in alcuni codici di Luca.
11 Si può vedere un riferimento alla chiamata del pubblicano Matteo: cf.
Mt 9, 9.
12 II buon ladrone menzionato in Le 23, 40ss.
64 Omelie sul Vangelo di Matteo

do tutto a gloria di Dio, per essere così glorificato anche tu. Glori­
ficherò, dice, quelli che mi glorificano, mentre quelli che mi disprez­
zano saranno dispreizati2^. Facciamo dunque tutto a sua gloria, per
conseguire quella beata eredità. Voglia il cielo che tutti noi la otte­
niamo, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al
quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

^ 1 Sam 2, 30.
OMELIA 30

Andando via di là, Gesù vide un uomo seduto al banco delle impo­
ste, chiamato Matteo, e gli disse: Seguimia.

La ch ia m a ta d i C r ist o

1. Dopo aver compiuto il miracolo, non rimase là, per no


fiammare di più la loro invidia facendosi vedere ancora, ma si mo­
stra condiscendente verso di loro ritirandosi, al fine di placare la
loro passione. Facciamo così anche noi, senza entrare in Conflitto
con coloro che tramano insidie, ma alleviamo la loro ferita, ceden­
do e allentando la loro tensione. Ma perché non lo chiamò insie­
me a Pietro, Giovanni e gli altri? Come venne lì quando sapeva
che gli uomini si sarebbero lasciati persuadere, così chiamò Mat­
teo quando sapeva che avrebbe ceduto. Perciò anche Paolo lo pre­
se nella sua rete1 dopo la resurrezione. Colui che infatti conosce i
cuori e sa quali sono i segreti dell’animo di ciascuno, sapeva anche
quando ciascuno di questi avrebbe risposto alla sua chiamata. Per­
ciò non lo chiamò all’inizio, quando il suo atteggiamento era an­
cora più duro, ma dopo innumerevoli prodigi, dopo che la sua fa­
ma si era assai diffusa, quando sapeva che era divenuto più pron­

a Mt 9,9.

1 Letteralmente «pescò»; Crisostomo continua nella metafora della pe­


sca per indicare la chiamata sia degli apostoli, alcuni dei quali erano pescato­
ri, sia di Paolo.
66 Omelie sul Vangelo di Matteo

to all’obbedienza. È giusto ammirare la filosofia dell’evangelista,


come non tenga nascosta la sua vita precedente, ma indichi anche
il nome, mentre gli altri lo hanno celato menzionando un nome di­
verso 2. Perché ha detto: seduto al banco delle imposte? Per mo­
strare la potenza di colui che l’aveva chiamato, per far vedere che
l’aveva tirato via da quella attività malvagia mentre era in mezzo ad
essa, non dopo che aveva smesso né si era allontanato da quei traf­
fici perversi, come cambiò anche il beato Paolo mentre infuriava,
era rabbioso e gettava fuoco3; egli stesso, dimostrando la potenza
di colui che l’aveva chiamato, dice ai Galati: Avete sentito parlare
della mia condotta di un tempo nel giudaismo, che perseguitavo fie­
ramente la Chiesa di Dio b. Chiamò anche i pescatori mentre erano
intenti alle loro attività. Questo però non era un mestiere scredi­
tato4, ma si trattava di uomini piuttosto grossolani, senza rappor­
ti sociali, molto semplici: l’attività del pubblicano invece era piena
di impudenza e di sfrontatezza; l’occasione di guadagno non era
giusta, ma si trattava di un traffico vergognoso e di una rapina con
l’apparenza della legalità. Tuttavia però chi chiamò Matteo non si
vergognò di nulla di ciò. Ma che dico che non si vergognò di un
pubblicano, dal momento che non solo non si vergognò di chia­
mare una prostituta, ma le permise anche di baciargli i piedi e di
bagnarli con le sue lacrimec? Per questo infatti venne: non solo
per curare i corpi, ma per guarire anche la malvagità dell’anima.
Fece così anche nel caso del paralitico, e, dopo aver dimostrato
chiaramente di poter perdonare i peccati, andò da Matteo, perché
non si turbassero più di vedere un pubblicano annoverato nella
schiera dei discepoli. Poiché aveva il potere di cancellare tutti i

b Gal 1,13. c Cf. Le 7, 37-38.

2 Levi: cf. Me 2, 14; Le 5, 27.


3 Si può vedere un’allusione all’opera di devastazione della Chiesa, di
cui parla Paolo riferendosi alla sua vita precedente: cf. Gal 1, 13.
4 Nel senso che non era un mestiere valutato negativamente come quel­
lo del pubblicano.
Omelia 30, 1 67

peccati, perché ti meravigli se costituì apostolo anche costui? Ma


come hai visto la potenza di chi ha chiamato, così osserva bene an­
che l’ubbidienza di colui che è stato chiamato, perché non oppo­
se resistenza né disse dubitando: Che cos’è questo? E forse ingan­
nevole la chiamata che rivolgi ad una persona come me? Questa
sarebbe stata un’umiltà fuori luogo; subito invece obbedì e non
chiese nemmeno di tornare a casa e di rendere partecipi i suoi di
questo fatto, come d’altra parte non fecero neppure quei pescato­
ri, ma allo stesso modo con cui quelli avevano lasciato la rete, la
barca e il padre d, così anche lui abbandonò l’ufficio di pubblica­
no e il guadagno e lo seguì, mostrando che il suo animo era pron­
to a tutto. Staccandosi improvvisamente da tutte le cose materiali,
con la sua ubbidienza perfetta testimoniava la tempestività di co­
lui che lo aveva chiamato.

P erch é è n arrata l a c h ia m a ta so l t a n t o d i a l c u n i a p o s t o l i

Ma perché mai, si potrebbe obiettare, non ci ha detto 5 come


e in che modo furono chiamati anche gli altri, ma ci ha parlato di
Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo e in nessuna parte degli altri?
Perché costoro soprattutto erano occupati in attività umili e di
basso livello. Non c’era infatti niente di peggio dell’ufficio del
pubblicano, né di più vile della pesca. Che anche Filippo fosse tra
quelli più insignificanti, è evidente dalla sua patria 6. Perciò gli
evangelisti ci annunciano soprattutto costoro insieme alle loro at­
tività, per indicare che si deve credere loro anche quando narrano

d Cf. Mt 4, 20-22.

5 L’evangelista.
6 Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro; cf. Gv 1,44. Bet-
saida, insieme a Corazin e Cafarnao, è oggetto di un’invettiva da parte di Ge­
sù, perché in esse erano avvenuti molti miracoli, e non si erano convertite: cf.
Mt 11, 20-24.
68 Omelie sul Vangelo di Matteo

fatti illustri. Essi che non intendono omettere nulla di ciò che sem­
bra essere ignominioso, ma lo proclamano accuratamente prima di
ogni altra cosa, sia che si tratti del Maestro che dei discepoli, come
potrebbero essere guardati con sospetto nel caso dei fatti gloriosi?
E soprattutto quando sorvolano su molti miracoli e prodigi, men­
tre proclamano accuratamente l’evento della croce che sembra es­
sere infamante e rivelano a chiara voce le attività e i difetti dei di­
scepoli e quegli antenati del Maestro, celebri per i peccati? 7. Da ciò
risulta evidente che tenevano in grande considerazione la verità e
non scrivevano nulla per compiacenza né per ostentazione.

C r ist o fa c e v a u s o d i o g n i g e n e r e d i c u r a

2. Dunque dopo averlo chiamato, gli fece un grandiss


onore, condividendo subito la mensa con lui; in questo modo lo
fece anche sperare bene per il futuro e lo spingeva ad una mag­
giore fiducia. Non curò la sua iniquità in molto tempo, ma repen­
tinamente. E non siede a tavola soltanto con lui, ma insieme an­
che a molti altrie, benché sembrasse un capo di imputazione nei
suoi confronti il fatto che non scacciava via i peccatori. Ma gli
evangelisti non tengono nascosto neppure che quelli cercavano di
mettere sotto accusa il suo operato. Vengono da lu i8i pubblicani
come se andassero da un collega perché egli, essendosi compia­
ciuto del fatto che Cristo era entrato a casa sua, li aveva invitati
tutti. Difatti Cristo faceva uso di ogni genere di cura, e non solo
parlando, curando, smascherando i nemici, ma anche pranzando
correggeva molti che si comportavano male, insegnandoci in que­
sto modo che ogni circostanza e ogni azione possono esserci utili.

e Cf. Me 2,15; Le 5,29.

7 Si tratta di quelle donne di dubbia fama (Tamar, Racab, Rut, la moglie


di Uria: cf. Mt 1,3ss.), inserite nella genealogia di Gesù.
8 Matteo, chiamato Levi da Marco e Luca: cf. la nota 2.
Omelia 30, 1-2 69

Certo quanto allora veniva imbandito derivava da iniquità e ava­


rizia; Cristo però non rifiutò di prenderne parte, perché ne sareb­
be venuto un grande vantaggio, ma sta sotto il medesimo tetto e
siede alla stessa mensa di coloro che avevano commesso simili
colpe. Così è il medico: se non sopporta la piaga degli infermi,
non li libera dalla malattia. Certamente ne ricavò una cattiva re­
putazione, per il fatto di mangiare con lui e di stare a casa sua e
con molti pubblicani. Vedi che glielo rinfacciano: Ecco un uomo
che mangia e beve, amico dei pubblicani e dei peccatori1. Ascoltino
quanti si preoccupano di conferire a se stessi grande gloria a mo­
tivo del digiuno e pensino che nostro Signore è stato chiamato
mangione e beone e non se ne vergognava, ma non si curava di
tutto questo, per raggiungere il suo obiettivo, il che si realizzò. Di­
fatti il pubblicano si convertì e in questo modo divenne migliore.
E perché tu sappia che condividere la mensa con il Signore rea­
lizzò questo grande obiettivo, ascolta che cosa dice Zaccheo, un
altro pubblicano. Dopo aver ascoltato le parole di Cristo: Oggi de­
vo fermarmi a casa tua 6, come se avesse messo le ali per la gioia,
disse: Do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno,
restituisco quattro volte tanto h. E Gesù gli rispose: Oggi la salvez­
za è entrata in questa casa Così si può correggere con ogni mez­
zo. E perché Paolo, si potrebbe obiettare, ordina che con chi si di­
cefratello ed è impudico o avaro, con un individuo simile non si de­
ve nemmeno mangiare insieme i? Innanzitutto non è affatto chiaro
se rivolge questo ammonimento anche ai maestri e non soltanto ai
fratelli. Poi questi non rientravano ancora tra i perfetti né tra quel­
li che erano diventati fratelli. Inoltre Paolo ordina di rifuggire an­
che da coloro che erano diventati fratelli nel caso che perseveras­
sero nel male. Costoro invece 9 avevano desistito dal compiere il
male e si erano convertiti.

f M tll, 19. b Le 19, 5. h Le 19, 8. 1Le 19, 9. i l Cor 5,11.

9 Cioè Matteo e Zaccheo di cui Crisostomo ha parlato in precedenza.


70 Omelie sul Vangelo di Matteo

L ’a t t e g g ia m e n t o d e i fa r ise i

Niente di questo però fece mutare atteggiamento ai farisei,


ma rimproverarono i discepoli dicendo: Perché il vostro maestro
mangia con i pubblicani e i peccatori? k. E quando sembrava che
fossero essi a peccare, si rivolgono a lui dicendo: Ecco, i tuoi di­
scepoli fanno quello che non è lecito fare di sabato *; qui invece lo
accusano davanti a loro. Tutto ciò era proprio di chi agiva iniqua­
mente e voleva staccare dal Maestro la schiera dei discepoli. Che
cosa replicò allora la sapienza infinita? Non hanno bisogno del me­
dico, dice, coloro che sono sani, ma i malatim. Considera come ab­
bia rovesciato al contrario il loro discorso. Quelli gli rivolgevano
l’accusa di stare insieme a questi individui, egli dice il contrario,
che era indegno di lui e della sua bontà non stare con loro, e che
correggere simili persone non solo era esente da accuse, ma era es­
senziale, necessario e degno di innumerevoli lodi. Poi per non
sembrare di disonorare quelli che erano stati chiamati dicendo: i
malati, vedi come attenui da parte sua l’espressione, rimproveran­
doli e dicendo: Andate e imparate che cosa significhi: Misericordia
voglio e non sacrificio n. Lo diceva per rinfacciare loro l’ignoranza
delle Scritture. Perciò si serve di un linguaggio più duro, senza
adirarsi, non sia mai!, ma perché quelli non rimanessero sconcer­
tati. Certamente avrebbe potuto dire: Non avete osservato come
ho cancellato i peccati del paralitico? Come ho risanato il suo cor­
po? Non dice, però, nulla di questo, ma parla loro innanzitutto
partendo da ragionamenti cornimi e poi sulla base delle Scritture.
Dopo aver detto infatti: Non hanno bisogno del medico coloro che
sono sani, ma i malati, ed aver mostrato allusivamente di essere il
medico, ha detto poi: Andate e imparate che cosa significhi: Miseri­
cordia voglio e non sacrificio. Così fa anche Paolo. Dopo aver pri­
ma strutturato il suo discorso con esempi comuni ed aver detto:
Chi fa pascolare un gregge senza nutrirsi del suo latte? °, ha aggiun­

k Mt 9, 11. 1 Mt 12, 2. m Mt 9, 12. n Mt 9, 13; cf. Os 6, 6.


° 1 Cor 9, 7.
Omelia 30, 2-3 71

to dopo anche le Scritture dicendo: Sta scritto nella legge di Mosè:


Non metterai la museruola al bue che trebbia p ; e ancora: Così il Si­
gnore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del
vangelo <J. Non così parla ai discepoli, ma ricorda i miracoli dicen­
do così: Non ricordate ancora i cinque pani per i cinquemila e quan­
te ceste avete raccolto? r.

N e c e s s it à d e l l a m ise r ic o r d ia

3. Non parla però così a costoro, ma ricorda loro la com


fragilità e mostra che rientravano nel novero degli infermi anche
essi che non conoscevano le Scritture e, trascurando ogni altra vir­
tù, riponevano tutta la loro attenzione sui sacrifici; facendo loro
capire con forza questo concetto in modo allusivo, indica in breve
ciò che era stato affermato per mezzo di tutti i profeti, dicendo:
Imparate che cosa significhi: Misericordia voglio e non sacrificio. In
questo modo fa vedere che non era lui il trasgressore della legge,
ma loro, come se dicesse: Perché mi accusate? Perché correggo i
peccatori? Dunque accuserete di questo anche il Padre. Lo indi­
cava anche in un altro passo dicendo: Il Padre mio opera sempre e
anch’io opero s; e qui di nuovo: Andate e imparate che cosa signifi­
chi: Misericordia voglio e non sacrificio. Come lui lo vuole, intende
dire, così lo voglio anch’io. Vedi come i sacrifici fossero superflui
e la misericordia invece necessaria? Non ha detto: Voglio miseri­
cordia e sacrificio, ma: Misericordia voglio e non sacrificio. Ha ac­
cettato l’ima, mentre ha respinto l’altro, e ha dimostrato non sol­
tanto che ciò di cui lo accusavano non era proibito, ma anzi era
stabilito per legge e più del sacrificio; fa vedere poi che l’Antico
Testamento stesso afferma e prescrive ciò che era in armonia con
quanto egli faceva.
Dopo averli quindi rimproverati in base sia ad esempi comu­
ni, sia alle Scritture continua ancora: Non sono venuto a chiamare i

p 1 Cor 9, 9; cf. Dt 25, 4. <ϊ 1 Cor 9, 14. r Mt 16, 9. s Gv 5,17.


72 Omelie sul Vangelo di Matteo

giusti, ma i peccatori perché si convertano10. Parla a loro così ironi­


camente, come quando dice n : Ecco, Adamo è diventato come uno
di noi e ancora: Se avessi fame, non te lo direi u. Che nessuno fos­
se giusto sulla terra, lo ha indicato Paolo dicendo: Tutti hanno pec­
cato e sono privi della gloria di Dio v. Questo è stato anche di con­
forto per coloro che erano stati chiamati. Difatti, vuol dire, sono
tanto lontano dal detestare i peccatori, che sono venuto solo per lo­
ro. Poi per non renderli indolenti, dopo aver detto peccatori, non
ha taciuto, ma ha aggiunto: perché si convertano. Non sono venuto
perché restino peccatori, ma perché cambino e diventino migliori.

C o n t r o v e r s ia s u l d ig iu n o

Dopo averli dunque messi a tacere da ogni punto di vista, in


base sia alle Scritture, sia alla logica consequenzialità delle argo­
mentazioni, poiché non poterono replicare nulla, apparendo sog­
getti alle accuse che avevano rivolto a lui, e in contrasto con la leg­
ge e l’Antico Testamento, lo lasciano stare e trasferiscono di nuo­
vo l’accusa sui discepoli. Luca dice che furono i farisei a parlare w;
Matteo invece dice che furono i discepoli di Giovannix, ma è ve­
rosimile che gli uni e gli altri abbiano detto queste cose12. Essen­
do stati messi in difficoltà, presero con sé quelli, come è verosimi­
le, e lo fecero successivamente anche con gli erodiani13. In effetti

‘ Gn 3, 22. » Sai 50 (49), 12. v Rm 3, 23. w Cf. Le 5, 33.


* Cf. Mt 9, 14.

10 Mt 9, 13. Per quanto riguarda l’espressione «perché si convertano»,


cf. Le 5,32.
11 Qui il soggetto sottinteso è Dio.
12 Cf., sempre sulla controversia a proposito del digiuno, Me 2, 18, do­
ve si parla dei discepoli di Giovanni e dei farisei che si recarono da Gesù e gli
parlarono.
13 Sostenitori della dinastia di Erode, legata ai Romani; insieme ai fari­
sei interrogarono Gesù sul tributo a Cesare: cf. Mt 22,16.
Omelia 30, 3 73

i discepoli di Giovanni erano sempre invidiosi di lui e gli parlava­


no contro; attenuarono il loro atteggiamento solo quando all’ini­
zio 14 Giovanni fu incarcerato y. Venuti allora da Gesù, glielo rife­
rirono 15, ma dopo ritornarono all’invidia precedente. Che cosa di­
cono? Perché noi e i farisei digiuniamo frequentementel6, mentre i
tuoi discepoli non digiunano? z. Questo è il morbo che Cristo da
tempo cercava di estirpare dicendo: Quando digiuni, profumati la
testa e lavati il volto aa, prevedendo i mali che ne sarebbero deri­
vati. Non li rimprovera però, né dice: O vanagloriosi e orgogliosi!,
ma parla loro con ogni moderazione dicendo: Gli invitati a nozze
non possono digiunare 17', finché lo sposo è con loro ab. Quando si
trattava degli altri, intendo dire i pubblicani, per confortare la lo­
ro anima abbattuta, rimproverò più energicamente quelli che li in­
sultavano; quando invece schernivano lui e i discepoli, replicava
loro con ogni moderazione. Quanto dicono significa: Sia pure che
tu, come medico, agisca così; ma perché anche i discepoli lasciano
stare il digiuno e si dedicano a simili mense? Poi, per accrescere
l’accusa, mettono se stessi al primo posto e poi i farisei, volendo
rafforzare il rimprovero con tale confronto. Noi e i farisei, dicono,
digiuniamo frequentemente. E digiunavano realmente, perché gli
uni l’avevano appreso da Giovanni, gli altri dalla legge, come di­
ceva anche quel fariseo: Digiuno due volte la settimanaac. Che co­
sa risponde Gesù? Possono forse gli invitati a nozze digiunare, fin­
ché lo sposo è con loro? Prima aveva chiamato se stesso medico, ora

y Cf. Le 3, 20. 2 Mt 9, 14. 33 Mt 6, 17. ab Mt 9, 15.


« Le 18,12.

14 All’inizio della predicazione di Gesù.


15 Cf. Mt 14,12: i discepoli di Giovanni informarono Gesù sull’uccisio­
ne del Battista.
16 Crisostomo aggiunge questo terminè, presente in alcuni codici di
Matteo.
17 Crisostomo presenta, invece dell’espressione «essere in lutto», la va­
riante «digiunare», riportata in alcuni codici di Matteo.
74 Omelie sul Vangelo di Matteo

sposo, rivelando, per mezzo di questi nomi, misteri ineffabili. Ep­


pure avrebbe potuto rivolgersi ad essi con tono più aspro: «Non
avete questa autorità per dare simili leggi. A che giova infatti il di­
giuno quando l’animo è pieno di malvagità? Quando accusate gli al­
tri? Quando li condannate, mentre portate travi sugli occhiad e fate
tutto per ostentazione? Prima di tutto ciò sarebbe stato necessario
rimuovere la vanagloria e praticare tutte le altre virtù, la carità, la
mansuetudine, l’amore fraterno». Non dice però nulla di questo, ma
con ogni moderazione: Gli invitati a nozze non possono digiunare,
finché lo sposo è con loro, ricordando loro le parole pronunciate da
Giovanni: Chi ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che è pre­
sente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo ae. Le sue parole
significano: Il tempo presente è tempo di gioia e di letizia; non in­
trodurre dunque la tristezza. Triste è il digiuno, non per sua natura,
ma per coloro che sono ancora troppo deboli, mentre per quelli che
vogliono essere filosofi18 è assai dolce e desiderabile. Come infatti,
quando il corpo è sano, grande è la letizia, così, se l’anima sta bene,
più grande è la gioia. Ma egli si esprime così in rapporto a quanto
essi pensavano. Così anche Isaia, parlando del digiuno, lo chiama
umiliazione dell’anima e ugualmente Mosè *e.

P r e a n n u n c io d e l l a p a ss io n e

4. Non li mette a tacere soltanto così, ma anche in altro m


dicendo: Verranno i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora di­
giuneranno Λ. Con queste espressioni mostra che il fatto di non di­
giunare non dipendeva da ingordigia, ma derivava da una mirabile
disposizione divina; al tempo stesso fonda in anticipo il discorso sul-

ad Cf. Mt 7,3-5. aeGv3,29. afC f.Is58,3. ai Cf. Lv 16,29.


Λ Mt 9, 15.

18 Cioè vogliono praticare la sapienza cristiana.


Omelia 30, 3-4 15
la passione, ammaestrando i discepoli nel contraddittorio con gli al­
tri ed esercitandoli a meditare già su ciò che sembrava infondere tri­
stezza. Parlarne già con loro sarebbe stato duro e opprimente, dal
momento che, anche quando fu detto loro successivamente, li tur­
bò; detto invece agli altri, risultava a costoro meno pesante. Poiché
era verosimile che essi andassero superbi della passione di Giovan­
ni 19, tiene a freno così questo loro orgoglio; certamente non ag­
giunge il discorso sulla resurrezione, perché non era ancora il mo­
mento opportuno. Difatti era secondo natura che colui che era rite­
nuto un uomo morisse, mentre la resurrezione andava al di là della
natura. Quindi fa anche in questo caso quello che aveva fatto in pre­
cedenza. Come, quando cercavano di dimostrare che egli era passi­
bile di accusa perché mangiava con i peccatori, li persuase del con­
trario, che non solo il suo comportamento non era da rimproverare,
ma era anzi lodevole, così anche qui, mentre volevano far vedere che
non sapeva trattare i discepoli come si doveva, dimostra che fare
queste affermazioni era proprio non di chi sapeva come trattare i
suoi seguaci, ma di chi accusava senza motivo.

G esù s i se r v e d i e s e m p i
s im il i a q u e l l i d e l l ’A n t ic o T esta m en to

Nessuno, dice, mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vec­


chio “ . Di nuovo costruisce il discorso sulla base di esempi comu­
ni. Le sue parole vogliono dire: I miei discepoli non sono ancora
forti, ma hanno ancora bisogno di molta condiscendenza; non so­
no ancora stati rinnovati per mezzo dello Spirito. A chi si trova in
queste condizioni non bisogna imporre il peso di precetti. Parlava
così stabilendo per i suoi discepoli leggi e regole, perché, quando

“ Mt 9,16.

19 Vale a dire il martirio del Battista.


76 Omelie sul Vangelo di Matteo

si sarebbero procurati discepoli da tutta la terra, li trattassero con


molta mitezza.
Né si mette vino nuovo in otri vecchia). Hai visto che questi
esempi sono simili a quelli dell’Antico Testamento? Vale a dire il ve­
stito, gli otri? In effetti Geremia paragona il popolo ad una cintu­
ra20 ed inoltre fa riferimento agli otri e al vino Λ. Poiché il discorso
verteva sull’ingordigia e sulla mensa 21, ricava gli esempi da tali ele­
menti. Luca poi dice anche qualcosa di più, che il nuovo si spacca
se è applicato a ciò che è vecchio Vedi che non solo non c’è alcun
vantaggio, ma il danno è anche maggiore? Parla del presente, ma
preannuncia il futuro, vale a dire che in seguito essi si rinnoveran­
no, ma finché ciò non si verifichi, non si deve imporre loro niente di
duro e di pesante. Chi infatti, vuol dire, cerca di introdurre dottrine
elevate prima del tempo opportuno, non troverà elementi idonei
neppure quando il tempo lo richiederà, perché li ha resi inutili una
volta per tutte. Questo non accade a motivo del vino né dei reci­
pienti, ma a causa dell’intempestività di coloro che lo versano. Così
ci ha insegnato anche il motivo dell’umiltà delle parole che rivolge­
va loro continuamente, perché, a causa della loro debolezza, diceva
molte cose inferiori alla sua dignità. Giovanni, mostrando che egli
aveva detto questo, afferma: Molte cose ho da dirvi, ma per il mo­
mento non siete in grado di portarne il peso Perché non pensasse­
ro che fosse solo questo quello che aveva detto, ma immaginassero
anche altre cose molto più s u b lim i, ha presentato la loro debolezza,
promettendo che avrebbe parlato anche di quelle quando fossero
diventati forti. Lo dice anche in questa occasione: Verranno giorni,
quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno. Dunque all’ini­
zio non chiediamo neppure noi tutto a tutti, ma quello che è possi­
bile, e presto arriveremo anche a ciò che è più elevato. Se incalzi e

a>Mt 9,17. Λ Cf. Ger 13,12. Cf. Le 5, 36. “ >Gv 16,12.

20 Una cintura marcita: cf. Ger 13, 10.


21 In quanto l’accusa rivolta ai discepoli di Gesù era quella di non di­
giunare; di qui gli esempi, presentati da Cristo, delle nozze e del vino.
Omelia 30, 4-5 77

ti affretti, proprio per questo non incalzare, perché ti affretti. Se le


jjjje parole ti sembrano un enigma, apprendilo dalla natura stessa
é é e cose e allora ti rendétaf cótìtó di tutto il senso delle mie paro­
le. Non ti turbi nessuno di quelli che accusano fuori luogo, perché
anche in questo caso erano i farisei quelli che accusavano e i disce­
poli quelli che erano rimproverati.

Com e c o m p o r t a r si c o n u n a m o g l ie c h e a m a g l i o r n a m e n t i

5. Tuttavia però nulla di ciò persuase Cristo a mutare opi


ne, né disse: E vergognoso che questi digiunino e questi non di­
giunino. Ma come il nocchiero eccellente non bada ai flutti agita­
ti, ma alla propria abilità, così fece allora anche Cristo. Era in real­
tà vergognoso non che essi non digiunassero, ma che, a motivo del
d igiu n o , ricevessero ferite mortali, fossero tenuti separati e ogget­
to di lacerazioni. Anche noi dunque riflettiamo su questo e com­
portiamoci così con tutti i nostri familiari. Se hai una moglie che
ama gli ornamenti, è tutta intenta ai cosmetici ed eccitata da essi,
è assai dedita al lusso, è ciarliera e insensata, benché non sia pos­
sibile che tutti questi difetti si ritrovino insieme in una sola donna,
tuttavia però immaginiamo a parole una donna simile. Ma perché,
si potrebbe obiettare, rappresenti una donna e non un uomo? Ci
sono certamente uomini peggiori di una donna così, ma poiché
l’autorità è stata affidata agli uomini22, per questo immaginiamo
per il momento una donna, non perché in essa sovrabbondi la
malvagità. Si possono riscontrare infatti negli uomini molti crimi­
ni che non ci sono nelle donne, quali l’omicidio, la violazione di
tombe, il combattimento con le belve e molti di questo genere.
Non pensiate quindi che facciamo questo per deprezzare il gene­
re femminile; non è così, non è così, ma è utile per il momento de­
lineare questa immagine. Sia posta dunque davanti a noi una don­
na simile e cerchi il marito di correggerla in ogni modo. Come la

22 Qui c’è l’eco di Gn 3,16; 1 Cor 11, 3; E f 5, 22-23.


78 Omelie sul Vangelo di Matteo

correggerà? Non imponendole tutto insieme, ma prima ciò che è


più leggero e da cui ella non è molto dominata. Difatti se premi
perché riesca in tutto fin dal principio, perdi tutto. Non toglierle
subito gli ornamenti d’oro, ma lascia che per il momento li abbia
e li porti, perché questo sembra un male minore rispetto ai co­
smetici e ai belletti. Prima siano dunque eliminati questi, e non
con la paura e le minacce, ma con la persuasione e la dolcezza, per
mezzo dell’accusa nei confronti delle altre e mediante il tuo giudi­
zio e la tua opinione. Dille continuamente che non ti è gradito un
viso così imbellettato, ma anzi è molto sgradevole, e soprattutto
persuadila che ciò ti addolora. Dopo il tuo giudizio, presenta an­
che l’opinione altrui e, per eliminare la sua passione, di’ che ciò
suole deturpare le belle donne. Non dire nulla ancora sulla geen­
na né sul regno, perché ne parleresti invano, ma persuadila che ti
rallegra maggiormente se mostra l’opera di Dio senza orpelli, men­
tre la donna che tormenta il viso, lo stira e lo imbelletta non appa­
re bella né gradevole neppure alla gente. Elimina questo morbo
dapprima con ragionamenti comuni e con il giudizio di tutti, e
quando l’ammorbidisci con queste parole, aggiungi anche quegli
altri argomenti. Anche se lo dici una volta, due, tre, spesso e non
la persuadi, non stancarti di riversare su di lei le medesime argo­
mentazioni, certamente non con asprezza, ma con garbo; ora desi­
sti, ora lusingala e blandiscila. Non vedi quanto i pittori cancella­
no, quanto aggiungono quando raffigurano un bel viso? Non es­
sere dunque inferiore a loro. Se infatti essi, nel dipingere l’imma­
gine di un corpo, ci mettono tanto impegno, quanto di più sareb­
be giusto che noi, formando un’anima, usassimo ogni mezzo! Se
formi bene il volto di quest’anima, non vedrai il viso del corpo de­
turpato, né le labbra arrossate, né la bocca simile a quella insan­
guinata di un orso, né le ciglia annerite come dal fumo di una pen­
tola, né le guance imbiancate come le pareti dei sepolcri. Tutto ciò
è fuliggine, cenere e polvere, segno di estrema bruttura23.

23 Su questa polemica contro i belletti femminili cf. C. Militello, Donna


e Chiesa. La testimonianza di Giovanni Crisostomo, Palermo 1985, p. 212.
Omelia 30, 5-6 79

P r o c u r a r si l a b e l l e z z a d e l l ’ a n im a

6. Ma non so come mi sono lasciato trasportare inavver


mente verso questi discorsi e, mentre esortavo gli altri a insegnare
con moderazione, io stesso sono caduto nell’ira. Ritorniamo dun­
que di nuovo ad una esortazione più mite e sopportiamo tutti i di­
fetti delle donne per raggiungere l’obiettivo voluto. Non vedi co­
me sopportiamo i bambini piangere quando vogliamo allontanar­
li dal seno materno e tolleriamo tutto al solo fine di persuaderli a
non curarsi dell’alimento precedente? Facciamo così anche in
questo caso; sopportiamo tutto il resto per raggiungere questo
obiettivo. Quando tale situazione sarà corretta, vedrai andare
avanti anche l’altro obiettivo e passerai agli ornamenti d’oro; allo
stesso modo parlerai ugualmente anche di questi e così, regolando
a poco a poco tua moglie, sarai un eccellente pittore, un servo fe­
dele un ottimo agricoltore. Inoltre ricordale quelle donne anti­
che, Sara, Rebecca, quelle belle e quelle che non lo erano 24, e fa’
vedere che tutte erano ugualmente temperanti. Difatti Lia, moglie
del patriarca 25, pur non essendo bella, non sentì la necessità di
escogitare niente di simile, ma, benché fosse brutta e non molto
amata dal marito, non escogitò nulla di simile, né alterò il suo vi­
so, ma continuò a mantenere inalterate le sue fattezze, pur essen­
do stata allevata da pagani26. Tu invece, che sei credente, che hai
Cristo come capo, ci porti questi artifici satanici? Non ti ricordi

“ Cf. M t25,21.

24 Come Lia, cui Crisostomo fa riferimento subito dopo. Sulla bellezza


invece di Rachele cf. Gn 29,17. Sull’avvenenza di Sara, moglie di Abramo, cf.
Gn 12,11. Anche Rebecca, moglie di Isacco, era molto bella d’aspetto: cf. Gn
24,16.
25 Giacobbe.
26 Lia, che aveva gli occhi smorti (cf. Gn 29,17), era figlia di Labano, fi­
glio di un arameo: cf. Gn 28, 5; 29, 16.
80 Omelie sul Vangelo di Matteo

dell’acqua che ha bagnato il tuo volto27, del sacrificio che adorna


le tue labbra, del sangue che arrossa la tua lingua? 28. Se pensi a
tutto ciò, per quanto ami gli ornamenti, non oserai né tollererai di
metterti addosso polvere e cenere. Sappi che sei stata unita a Cri­
sto e allontanati da questa bruttura. Non è contento di questi co­
lori, ma richiede un’altra bellezza, che ama intensamente, intendo
dire quella dell’anima. D profeta ti ha ordinato di procurarti que­
sta, dicendo: Il re desidererà la tua bellezzaao.
Non disonoriamoci dunque con ciò che è vano. Nessuna ope­
ra di Dio è imperfetta né ha bisogno di correzione da parte tua. Se
uno cercasse di aggiungere qualcosa di suo ad un’immagine rega­
le dopo che essa è stata innalzata, il suo tentativo non sarebbe
esente da rischi, ma sarebbe esposto al più grande pericolo. Un
uomo fa e non aggiungi nulla; Dio fa e tu lo correggi? Non pensi
al fuoco della geenna? Non pensi all’abbandono della tua anima?
Per questo essa è trascurata, perché ogni attenzione si esaurisce
nella carne. E che dico, l’anima? Difatti alla carne stessa accade
tutto il contrario di quello per cui vi date da fare. Osserva. Vuoi
apparire bella? Questi belletti ti mostrano brutta. Vuoi piacere a
tuo marito? Ciò lo rattrista maggiormente, e fa in modo che non
soltanto lui, ma anche gli estranei ti accusino. Vuoi apparire gio­
vane? Questo ti porterà rapidamente alla vecchiaia. Vuoi ornarti?
Questo ti procura vergogna. Una donna simile disonora non solo
quelle di pari onore, ma anche le ancelle che ne sono complici e i
servitori che ne sono al corrente, ma soprattutto se stessa.
Ma che bisogno c’è di dire questo? Ho tralasciato ora quello
che è più grave di tutto, che offendi Dio, mini la castità, accendi il
fuoco dell’invidia, emuli le donne che si prostituiscono nel postri­
bolo. Riflettendo dunque su tutto ciò, fatevi beffe del fasto satani-

a° Sai 45 (44), 12.

27 L’acqua del battesimo.


28 II riferimento, molto realistico, è all’Eucaristia.
Omelia 30, 6 81

co e degli artifici diabolici e, lasciando perdere questi ornamenti,


anzi questo disordine 29, procurate nelle vostre anime quella bel­
lezza che gli angeli amano, Dio desidera e che è gradita ai vostri
mariti, per conseguire la gloria presente e quella futura. Voglia il
cielo che tutti noi la raggiungiamo, per la grazia e la bontà di no­
stro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza nei
secoli dei secoli. Amen.

29 Qui c’è un gioco di parole fra i termini kosmos (ordine, ma anche or­
namento) e akosmta (disordine).
OMELIA 31

Mentre diceva loro queste cose, ecco che un capo si presentò a lui e
gli si prostrò innanzi dicendo: Mia figlia è morta proprio, ora, ma vie­
ni, imponi la tua mano sopra di lei e vivrà a.

C o n fr o n to t r a g l i e v a n g e l is t i

1. Alle parole seguì l’opera, in modo che i farisei fossero


giormente ridotti al silenzio. Chi si era presentato a lui era capo
della sinagoga1 ed il suo dolore era tremendo; la bambina era in­
fatti figlia unica, di dodici annib, proprio nel fiore dell’età, e que­
sto fu soprattutto il motivo per cui egli la resuscitò subito. Se Lu­
ca dice che vennero a dirgli: Non disturbare il Maestro, perché è
morta c, diremo che quell’espressione: è morta proprio ora, dipen­
deva dal fatto che egli lo supponeva in base al tempo impiegato nel
viaggio oppure voleva amplificare la sua disgrazia. In effetti colo­
ro che chiedono qualche cosa sono soliti esagerare nelle loro pa­
role i propri mali e dire più di quanto sia nella realtà per attirare
maggiormente a sé coloro che supplicano. Considera poi la gros­
solanità. di questo capo, perché chiede a Cristo due cose, di veni­
re da lui e di imporre la mano, il che era segno del fatto che aveva
lasciato la figlia ancora in vita. Anche Naaman il siro faceva que-

a Mt 9,18. b Cf. Me 5, 42; Le 8, 42. = Le 8, 49.

1 Di Giairo, uno dei capi della sinagoga, parlano Me 5,22 e Le 8, 41.


Omelia 31, 1 83

sta richiesta al profeta: Dicevo tra di me, afferma: verrà e imporrà


la sua mano d. Difatti quelli che sono più grossolani hanno bisogno
di vedere cose sensibili. Marco dice che prese con sé tre discepo­
li 2; e così anche L u ca e; Matteo invece dice semplicemente che
prese con sé i discepolif. Perché non prese con sé Matteo, benché
questi da poco fosse diventato suo seguace? Per infondere in lui
un maggior desiderio e perché era ancora troppo imperfetto. Per
questo li onora, perché costoro diventassero come quelli. Per Mat­
teo era sufficiente per il momento vedere quanto riguardava l’e­
morroissa g, l’essere stato onorato di condividere la mensa con lui
e averlo come ospite. Dopo che Gesù si levò, lo seguirono molti,
come per assistere ad un grande prodigio e a motivo del perso­
naggio che era venuto3, e perché la moltitudine, che era piuttosto
grossolana, non era interessata tanto alla cura dell’anima, quanto
alla guarigione del corpo. Accorrevano, alcuni spinti dalle proprie
infermità, altri perché si davano da fare per essere spettatori della
guarigione altrui; pochi erano quelli che per il momento andavano
da lui principalmente per le sue parole ed il suo insegnamento.
Non permise che essi entrassero nella casa, ma lo concesse soltan­
to ai discepoli e nemmeno a tutti, per insegnarci in ogni occasione
a rifuggire dalla gloria che proviene dalla moltitudine.

La f e d e d e l l a d o n n a c h e s o f f r iv a d i e m o r r a g ia

Ed ecco, dice, una donna, che soffriva di emorragia da dodici


anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Di­
ceva infatti tra di sé: Se soltanto toccherò il suo mantello, sarò sal­
va h. Perché non gli si avvicinò apertamente? Si vergognava della

d 2 Re 5, 11. e Cf. Le 8,51. f Cf. Mt 9,19. « Cf. Mt 9 ,20ss.


h Mt9, 20-21.

2 Pietro, Giacomo e Giovanni: cf. Me 5, 37.


3 II capo della sinagoga.
84 Omelie sul Vangelo di Matteo

sua infermità, perché riteneva di essere impura. Se, nel caso delle
mestruazioni, la donna non era considerata pura >, a maggior ra-
gióné Io avrebbe potuto pensare éflà cfié era affetta da ima slmile
malattia, perché tale infermità era ritenuta assai impura secondo la
legge i. Perciò non si fa notare e si nasconde. D ’altra parte neppu­
re lei non aveva ancora di lui l’opinione dovuta e perfetta, perché
altrimenti non avrebbe pensato di rimanere inosservata. Ad ogni
modo questa donna è la prima che gli si accosta pubblicamente,
perché aveva sentito dire che curava anche le donne e stava an­
dando da quella figlioletta che era morta. Non osò invitarlo a casa
sua pur essendo ricca4, né gli si avvicinò apertamente, ma toccò di
nascosto il suo mantello con fede. Non ebbe dubbi né disse tra di
sé: Sarò forse liberata da questa infermità? Forse non lo sarò?, ma
gli si avvicinò con la fiducia di recuperare la salute. Diceva infatti
tra di sé: Se soltanto toccherò il suo mantello, sarò salva. Aveva vi­
sto da quale casa era uscito, quella dei pubblicani, e chi erano
quelli che lo seguivano, peccatori e pubblicani; tutto questo la fe­
ce sperare bene. Che fece allora Cristo? Non la lasciò passare inos­
servata, ma la presenta pubblicamente e la manifesta, per molti
motivi. Eppure alcuni stolti dicono che lo fece per amore della
gloria 5. Perché, si potrebbe obiettare, non la lasciò passare inos­
servata? Che dici, o esecrabile e scelleratissimo? Egli che ordina di
tacere, che sorvola su innumerevoli prodigi, costui ama la gloria?
Perché dunque la presenta pubblicamente? Innanzitutto pone fi­
ne al timore della donna, perché, afflitta dalla coscienza come se
avesse rubato quel dono, non vivesse nell’angoscia. In secondo
luogo la corregge, perché aveva creduto di passare inosservata. In

i Cf. Lv 15,19. i Cf. Lv 15, 25.

4 Cf. Me 5, 26, dove si rileva che quella donna aveva speso tutti i suoi
beni senza vantaggio.
5 Forse qui Crisostomo allude a qualche obiezione che proveniva da
parte pagana: cf. in proposito G. Rinaldi, Bibita gentium, Roma 1989, p. 450.
Omelia 31, 1-2 85

terzo luogo mostra a tutti la sua fede in modo che anche gli altri la
imitassero e fa vedere un miracolo non inferiore a quello di arre­
stare il flusso del sangue, vàie a dire mettere in luce che sapeva tut­
to. Poi, per mezzo di quella donna, rimette sulla giusta via il capo
della sinagoga che stava per perdere la fiducia e così rovinare tut­
to. Difatti quelli che erano andati da lui dicevano: Non disturbare
il Maestro, perché la bambina è morta k, e quelli che erano in casa
lo deridevano perché aveva detto: Dorme *; era quindi verosimile
che anche il padre provasse qualcosa di simile.

C r ist o m a n if e s t a l a d o n n a c h e so ffr iv a d i e m o r r a g ia

2. Per correggere in anticipo questa debolezza, presenta p


blicamente quella donna. A riprova del fatto che il capo della sina­
goga fosse tra quelli assai grossolani, ascolta che cosa gli dice Cri­
sto: Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata m. Aspettò di pro­
posito che sopraggiungesse la morte per poi presentarsi, in modo
che fosse chiara la dimostrazione della resurrezione. Perciò cam­
mina piuttosto lentamente e parla di più con la donna, per per­
mettere che la bambina morisse e arrivassero quelli a riferirlo e a
dire: Non disturbare il Maestro. Alludendo a questo, lo indica an­
che l’evangelista dicendo: Mentre stava ancora parlando, vennero
dalla casa a dirgli: Tua figlia è morta, non disturbare il Maestro11. Vo­
leva che si credesse alla morte perché non si avessero sospetti sulla
resurrezione. Agisce sempre in questo modo. Così, anche nel caso
di Lazzaro,, aspettò uno, due, tre giorni °. Per tutti questi motivi
presenta pubblicam ele quella donna e dice: Coraggio, figlia p, co­
me diceva anche al paralitica: Coraggio, figlio*. Difatti quella don­
na era molto impaurita; perciò dice: C9raè&i°> e chiama figlia
perché la fede l’aveva resa figlia. Poi viene anciiC i elogio: La tua fe­
de ti ha saivaia r. Luca, riguardo a questa donna, ci riferisce altri

k Le 8,49. 1Le 8,52-53. mLe 8,50. n Le 8,49; cf. M e5,35.


0 Cf. Gv 11, 6.17. p Mt 9 , 22. <5Mt9,2. r M t9,22.
86 Omelie sul Vangelo di Matteo

particolari più numerosi di questi. Dopo che ella si avvicinò, dice,


e riacquistò la salute, Cristo non la chiamò subito, ma disse prima:
Chi è che mi ha toccato?*. Quindi, poiché Pietro e quelli che erano
con lui dissero: Maestro, la folla ti circonda e ti preme e dici: Chi mi
ha toccato?1- e questa era una prova grandissima del fatto che era
rivestito da vera carne e calpestava ogni forma di orgoglio, perché
non lo seguivano da lontano, ma lo premevano da ogni parte -, egli,
afferma l’evangelista, insistette dicendo: Qualcuno mi ha toccato; ho
sentito che una forza è uscita da me'1, rispondendo in modo alquan­
to approssimativo in rapporto a quanto pensavano i suoi ascoltato­
ri. Lo diceva per persuadere la donna ad ammettere il fatto da sé.
Perciò non la smascherò subito, per convincerla a dire tutto spon­
taneamente, dopo aver dimostrato di conoscere ogni cosa chiara­
mente, e per fare in modo che ella stessa proclamasse quanto era
accaduto, per non apparire degno di sospetto se l’avesse detto lui.
Hai visto che quella donna fu migliore del capo della sinago­
ga? Non lo trattenne né lo afferrò, ma lo toccò soltanto con la pun­
ta delle dita e, benché fosse venuta per ultima, se ne andò via gua­
rita per prima. Quello condusse a casa sua il medico tutto intero,
mentre a questa fu sufficiente anche solo il contatto. Anche se era
bloccata dalla sua infermità, la fede però le dava le ali. Osserva co­
me la conforti dicendo: ha tua fede ti ha salvata v. Certamente se
l’avesse tratta in mezzo alla gente per ostentazione, non avrebbe
aggiunto queste parole, ma le dice sia per insegnare al capo della
sinagoga ad aver fede, sia per esaltare quella donna, dandole, con
queste parole, una gioia ed un beneficio non inferiori alla guari­
gione del corpo. Che egli abbia agito così perché voleva celebrar­
la e correggere gli altri e non magnificare se stesso, è evidente da
questo: egli, anche senza questo prodigio, sarebbe stato ugual­
mente ammirevole, perché intorno a lui fioccavano i miracoli più
della neve e ne aveva fatti e ne avrebbe fatti molto maggiori di que­
sto; la donna invece, se questo non fosse avvenuto, se ne sarebbe
andata via inosservata, priva di questi grandi elogi. Perciò la pre-

s Le 8, 45. 1Ibid. u Le 8,46. v M t9,22.


Omelia 31, 2-3 87

sento pubblicamente e la esaltò, scacciò il suo timore, perché, di­


ce, si era fatta avanti tremando w, le fece coraggio e, insieme alla sa­
lute del corpo, le dette anche altri sostegni, dicendo: Va’ in pace x.

V e r id ic it à d e l m ir a c o l o

Arrivato poi nella casa del capo e visti i flautisti e la gente in pre­
da all’agitazione, disse: Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma
dorme. E lo deridevano y. Bei segni certo dei capi della sinagoga era­
no quei flauti e quei cembali che suscitavano il pianto in occasione
della morte. Che fece allora Cristo? Scacciò tutù gli altri e fece en­
trare i genitoriz, in modo che non si potesse dire che l’aveva curata
in altro modo; prima della resurrezione, la resuscita con le sue paro­
le dicendo: La fanciulla non è morta, ma dorme. Agisce così in mol­
te occasioni. Come, nell’episodio del mare agitato, rimprovera dap­
prima i d isc e p o lic o sì anche in questo caso scaccia l’agitazione dal­
l’animo dei presenti, al tempo stesso mostrando che per lui era faci­
le risuscitare i morti, e questo lo fece anche con Lazzaro dicendo: Il
nostro amico Lazzaro si è addormentatoab, e insieme ammaestrando
a non temere la morte, perché non era morte, ma era diventata son­
no. Poiché anche lui sarebbe morto, con il risuscitare i corpi altrui
predispone i discepoli ad aver fiducia ed a sopportare la morte tran­
quillamente. Con la sua venuta infatti la morte era un sonno. Tutta­
via però lo deridevano, ma egli non si irritò per il fatto che non si cre­
deva in lui, in quanto poco dopo avrebbe compiuto il prodigio, né
rimproverò questa loro derisione, perché essa stessa, i flauti, i cem­
bali e tutto il resto fossero prova della morte della fanciulla.
3. Poiché per lo più gli uomini non credono ai miracoli d
che si sono compiuti, li previene con le sue risposte, come accad­
de nel caso di Lazzaro e di Mosè. A Mosè disse: Che hai in ma­
no? ac, perché, dopo aver visto che era diventato un serpente, non

w Cf. Le 8, 47. * Le 8, 48. v Mt 9, 23-24. z Cf. Me 5, 40.


“ Cf. M t8,26. abG v ll , 11. acE s4 ,2 .
88 Omelie sul Vangelo di Matteo

dimenticasse che prima era un bastone, ma, ricordandosi di quanto


aveva detto, rimanesse sbigottito davanti a quel fatto. Riguardo a
Lazzaro disse: Dove l’avete posto? ad, perché quelli che avevano ri­
sposto: Vieni a vedere, e: Manda cattivo odore, perché è di quattro
giorniae, non potessero più rimanere increduli di fronte al fatto che
aveva risuscitato un morto. Vedendo dunque i cembali e la folla,
mandò via tutti e, alla presenza dei genitori, compì il miracolo, non
presentando un’altra anima, ma riportando indietro quella stessa
che era uscita dal corpo, risvegliandola come da un sonno. Prende
la mano della fanciulla dando piena certezza a quelli che stavano
vedendo, in modo da aprire la via, mediante questa vista, alla fede
nella resurrezione. H padre della fanciulla aveva detto: Imponila ma­
no, ma egli fa qualche cosa di più, perché non impone la mano, ma
le prende la mano e la fa alzare, dimostrando che per lui tutto era
agevole. E non soltanto la fa alzare, ma ordina anche di darle da
mangiare as, perché quanto era avvenuto non sembrasse una imma­
ginazione. Non è lui stesso che le dà da mangiare, ma lo ordina a
quelli, come disse anche nel caso di Lazzaro: Scioglietelo e lasciatelo
andare e successivamente lo fa partecipare alla mensa 6. È solito
provare sempre entrambi i fatti, fornendo la dimostrazione, con
ogni cura, sia della morte, sia della resurrezione.

L a r e a l t à d e l l a r e s u r r e z io n e e s o r t a
A NON ABBANDONARSI AD ECCESSIVE MANIFESTAZIONI DI DOLORE

Tu poi non considerare soltanto la resurrezione, ma anche che


raccomandò di non dirlo a nessuno Attraverso tutto ciò ricevi
specialmente l’insegnamento di non essere superbo e vanaglorioso,

ad Gv 11,34. “ Gv 11,39. Cf. Mt 9,25. agC f.M c5,43;Lc8,55.


Λ Gv 11,44. “ Cf. M e5,43; Le 8,56.

6 II riferimento è alla cena cui Gesù partecipò a Betania dopo la resur­


rezione di Lazzaro, che era uno dei commensali: cf. Gv 12, 1-2.
Omelia 31, 3 89

e inoltre impara anche che egli scacciò dalla casa quelli che si ab­
bandonavano ad espressioni di lutto e li dichiarò indegni di essere
spettatori di un simile prodigio. Tu però non andare via con i flau­
tisti, ma rimani con Pietro, Giovanni e Giacomo. Se infatti allora li
scacciò fuori, a maggior ragione ora. Difatti allora non era ancora
evidente che la morte fosse un sonno, mentre ora è più chiaro del
sole stesso. Ma forse ora non ha resuscitato la tua figlioletta? Però
la resusciterà senz’altro e con maggior gloria. Quella, dopo essere
risorta, è morta di nuovo, mentre la tua, dopo che resusciterà, ri­
marrà immortale. Nessuno dunque si abbandoni al lutto né intoni
lamenti, né getti il discredito sul trionfo di Cristo, perché ha vinto
la morte. Perché allora ti lamenti inutilmente? L’evento della mor­
te è diventato un sonno. Perché gemi e piangi? Se anche lo faces­
sero i pagani, sarebbero da deridere, ma quando il credente si di­
sonora così, che giustificazione avrà? Che indulgenza ci sarà per co­
loro che sono talmente stolti, benché sia passato tanto tempo da
quando si è avuta una chiara dimostrazione della resurrezione? Ma
tu, quasi sforzandoti di accrescere l’accusa, ci porti delle donne pa­
gane che fanno lamenti7, acuendo la sofferenza e attizzando il fuo­
co, e non ascolti Paolo che dice: Quale accordo tra Cristo e Beliar, o
quale collaborazione tra un fedele e un infedele? ai. Eppure i pagani,
pur non sapendo nulla della resurrezione, tuttavia trovano parole
di conforto dicendo: «Sopporta coraggiosamente, perché non è
possibile annullare quanto è avvenuto né correggerlo con i lamen­
ti». Ma tu, che ascolti dottrine più sapienti e più valide di quelle,
non ti vergogni di disonorarti più di loro? Non diciamo infatti:
«Sopporta coraggiosamente, perché non è possibile annullare
quanto è accaduto», ma: «Sopporta coraggiosamente, perché risor­
gerà senz’altro; il bambino dorme, non è morto; riposa, non è fini­
to». Lo accoglierà la resurrezione, la vita eterna, l’immortalità, la

ai 2 Cor 6, 15.

7 Si trattava di donne pagate per piangere ai funerali.


90 Omelie sul Vangelo di Matteo

sorte degli angeli. Non ascolti il salmo che dice: Ritorna, anima mia,
alla tua pace, perché il Signore ti ha beneficato Λ? Dio chiama la
morte beneficio e tu gemi? E che cosa potresti fare di più, se fossi
nemico e avversario del defunto? Se ci si deve lamentare, si deve la­
mentare il diavolo. Che si abbandoni al lutto lui, che gema, perché
noi ci incamminiamo verso i beni maggiori. Questo lamento è de­
gno della sua malvagità, non di te che sei destinato a ricevere il pre­
mio e il riposo. Difatti la morte è un porto tranquillo. Considera
quanti sono i mali di cui è piena la vita presente; pensa quante vol­
te tu stesso hai maledetto la presente esistenza. Le cose in effetti
procedono verso il peggio e fin dal principio ti è stata assegnata una
non piccola condanna. Con dolore, dice, partorirai figliò, e: Con il
sudore del tuo volto mangerai il pane e: Avrete tribolazione nel
mondo m. Invece della realtà di lassù non è stato detto nulla di si­
mile, ma tutto il contrario: Fuggirono dolore, afflizione e lamentoao,
e: Verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa nel se­
no di Abramo, Isacco e Giacobbe*?, e che lassù ci sarà un talamo spi­
rituale, lampade splendenti e si passerà in cielo.

N on c o m p o r t a r si p e g g io d e i p a g a n i e d e i ba r ba ri

4. Perché dunque disonori chi è morto? Perché fai in m


che gli altri temano la morte e tremino davanti ad essa? Perché fai
sì che molti accusino Dio, come se avesse causato grandi mali? An­
zi perché dopo ciò chiami i poveri e fai venire i sacerdoti perché
preghino? Perché, risponde, il defunto vada al luogo del riposo,
perché abbia il giudice propizio. Dunque per questo gemi e gridi?
Ebbene, ti contraddici e sei in lotta con te stesso, in quanto per il
fatto che egli ha raggiunto il porto, ti procuri una tempesta. Ma
che dovrei fare?, replica; così è la natura. Non è colpa della natu­
ra, né dell’ordine delle cose, ma siamo noi che mettiamo tutto sot­
tosopra, che siamo rammolliti, veniamo meno alla nostra nobiltà e

ak Sai 116 (114-115), 7. ^ G i ^ , 16. 301 Gn 3, 19. 311 Gv 16, 33.


aoIs35, 10. aP M t 8 ,11.
Omelia 31, 3-4 91

rendiamo peggiori coloro che non credono. Come parleremo in­


fatti dell’immortalità con gli altri? Come persuaderemo i pagani,
dal momento che abbiamo paura e orrore della morte più di loro?
Molti pagani, pur non sapendo nulla dell’immortalità, si incoro­
narono, quando morirono i loro figli, e si mostrarono vestiti di
bianco per procurarsi la gloria presente 8; tu invece, nemmeno per
quella futura, smetti di comportarti come una donna e di abban­
donarti al lutto. Ma non hai eredi né chi ti succeda nel patrimo­
nio? E che cosa preferiresti, che tuo figlio sia erede dei tuoi beni o
di quelli celesti? Che cosa desidereresti, che egli ricevesse i beni
transeunti, che dopo un po’ dovrà abbandonare, oppure quelli che
sono duraturi e immutabili? Non lo hai avuto come erede, ma lo
ha avuto Dio al posto tuo; non è stato coerede con i suoi fratelli,
ma lo è stato con Cristo. A chi, obietta, lasciamo le vesti, le case, i
servi, i campi? A lui ancora, e in modo più sicuro che se vivesse;
non c’è niente che lo impedisca. Se infatti i barbari bruciano, in­
sieme ai defunti, i beni, a maggior ragione è giusto che tu mandi
insieme al defunto i suoi beni, non perché diventino cenere, come
quelli, ma perché gli conferiscano una gloria maggiore e, se è mor­
to peccatore, perché cancellino i suoi peccati; se invece è morto da
giusto, perché costituiscano per lui un supplemento di premio e di
ricompensa 9 Desideri vederlo? Vivi dunque la sua stessa vita e
presto fruirai di quella santa vista. Inoltre considera anche che, se
non ascolti noi, con il tempo ne sarai senz’altro convinto. Allora pe­
rò non avrai alcuna ricompensa, perché il conforto nascerà dalla

8 Plutarco, nella Consolatio ad Apollonio 33, 118D-119A, narra il caso


di Pericle che, appresa la notizia della morte dei due figli, continuò a parlare
al popolo con la corona in testa e vestito di bianco. Nello stesso passo Plu­
tarco parla anche di Senofonte che, mentre stava compiendo un sacrificio, ri­
cevuta la notizia della morte del figlio, si rimise in testa la corona e portò a
termine il sacrificio.
9 Qui Crisostomo mostra di riferirsi alla funzione salvifica delle opere di
bene, realizzate mediante l’elargizione delle proprie sostanze. Sull’elemosina
come mezzo per ottenere il perdono dei peccati cf. V. Grossi - A. Di Berar-
dino, La Chiesa antica: ecclesiologia e istituzioni, Roma 1984, p. 206.
92 Omelie sul Vangelo di Matteo

moltitudine dei giorni10. Ma se ora vuoi comportarti da filosofo, ot­


terrai due grandissimi vantaggi: ti libererai dai mali in cui ti trovi e
sarai cinto da Dio con una corona più splendida. In effetti soppor­
tare serenamente una disgrazia è molto più sublime dell’elemosina
e di tutto il resto. Pensa che anche il Figlio di Dio è morto e per te,
mentre tu a causa di te stesso n . Pur dicendo: Se è possibile, passi
da me questo calice a<i, ed essendo nell’afflizione e in grande ango­
scia, tuttavia non fuggì la morte, ma anzi la affrontò in una situa­
zione assai tragica. E non subì semplicemente la morte, ma la mor­
te più ignominiosa, e prima di essa la flagellazione, e prima di que­
sta infamie, derisioni, ingiurie, per insegnarti a sopportare tutto co­
raggiosamente. Ma tuttavia, dopo essere morto ed aver deposto il
corpo, lo riprese di nuovo con maggior gloria, infondendoti anche
così buone speranze. Se questo non è una favola, non gemere; se
pensi che questo sia degno di fede, non piangere, perché se piangi
come potrai persuadere il pagano della tua fede?

N on l a sc ia r s i d o m in a r e d a u n ’ a f f l iz io n e ir r a z io n a l e

5. Ma anche così ciò che è accaduto ti appare ancora in


portabile? Dunque proprio per questo non è giusto fare lamenti
sul defunto, perché è stato liberato da molte sventure di questo ge­
nere 12. Non essere quindi invidioso né geloso nei suoi confronti.
Difatti domandare per sé la morte per la sua scomparsa immatu­
ra, piangerlo perché non è vissuto per affrontare molte sofferenze

Mt 26,39.

10 Nel senso che tale conforto sarà determinato non dalle considerazio­
ni sviluppate dal predicatore, ma dal sollievo che necessariamente procura il
trascorrere del tempo.
11 A causa cioè del peccato.
12 Vale a dire dalle sofferenze come quella provocata dalla morte imma­
tura di una persona cara.
Omelia 31, 4-5 93

di questo genere, è piuttosto atteggiamento di chi è invidioso e ge­


loso. Non pensare che non tornerà più a casa, ma che tu dopo po­
co te ne andrai da lui. Non considerare che non ritornerà più
quaggiù, ma che neppure queste stesse cose visibili rimangono ta­
li, ma anche esse si trasformano. In effetti il cielo, la terra, il mare,
tutto è soggetto a mutamento, e allora riavrai tuo figlio con mag­
gior gloria. Se è morto da peccatore, si è arrestata l’iniquità, né
Dio, se avesse conosciuto la sua conversione, lo avrebbe strappato
alla vita prima che si pentisse 13; se invece ha terminato la vita da
giusto, possiede il bene al sicuro. Da ciò è evidente che le tue la­
crime non dipendono da affetto, ma da imo stato d’animo irrazio­
nale. In realtà se amassi il defunto, dovresti rallegrarti ed essere lie­
to perché è stato liberato dai marosi presenti. Che vantaggio c’è,
dimmi? Che c’è di insolito e di nuovo? Non vediamo che ogni
giorno si ripetono le stesse cose? Giorno e notte, notte e giorno;
inverno e estate, estate e inverno e niente di più. Queste cose so­
no sempre le stesse, mentre i mali sono insoliti e nuovi. Questi
dunque vorresti che egli soffrisse fino in fondo ogni giorno, rima­
nesse quaggiù, fosse infermo, si addolorasse, temesse, tremasse e
alcuni mali li subisse, altri invece temesse di subirli? Né potresti
dire che egli, navigando questo ampio m are14, avrebbe potuto es­
sere libero da angoscia, preoccupazioni e altri simili affanni. Inol­
tre considera che non hai generato un individuo immortale e che,
se non fosse morto ora, sarebbe andato incontro a questa sorte po­
co dopo. Ma non ti sei saziato della sua presenza? Però ne godrai
senz’altro lassù. Ma desideri vederlo anche quaggiù? E che cosa lo
impedisce? È possibile anche quaggiù, se sei vigilante, perché la
speranza dei beni futuri è più chiara della vista. Tu certamente, se
egli fosse nella reggia, non cercheresti di vederlo, sapendo15 che è

13 Qui Crisostomo mette in luce la prescienza divina e al tempo stesso


la libertà e la volontà dell’uomo in ordine alla conversione.
14 Con riferimento alla vita terrena.
15 Si noti che qui c’è un participio femminile, il che indica che Criso­
stomo sta rivolgendosi alla madre del defunto.
94 Omelie sul Vangelo di Matteo

onorato; invece, pur vedendo che se ne è andato verso ciò che è


molto migliore, ti perdi d’animo pur trattandosi di poco tempo, e
per giunta avendo il marito invece di lui? Ma non hai il marito?
Hai però un conforto, il Padre degli orfani e giudice delle vedove.
Ascolta Paolo che proclama beata questa vedovanza e dice: Quel­
la poi veramente vedova e che sia rimasta sola, ha sperato nel Si­
gnorear. Una persona simile apparirà più gloriosa, perché avrà mo­
strato maggiore sopportazione.
Non piangere dunque per ciò per cui sei incoronato, per cui
richiedi la ricompensa, perché hai restituito il deposito, se hai pre­
sentato ciò che ti era stato affidato. Non preoccuparti più, se hai
riposto quanto possiedi in un tesoro inviolabile. Se sai qual è l’esi­
stenza presente e quale la vita futura e che la prima è ragnatela e
ombra 16, mentre tutto ciò che è lassù è immutabile e immortale,
non avrai bisogno di altre parole. Ora tuo figlio è immune da ogni
mutamento; se fosse quaggiù, forse sarebbe buono, forse non ri­
marrebbe così. Non vedi quanti rinnegano i loro figli? Quanti so­
no costretti a tenere in casa quelli che sono peggiori dei rinnegati?
Pensando a tutto ciò, siamo saggi; così saremo graditi al defunto e
riceveremo molte lodi dagli uomini e da Dio conseguiremo le
grandi ricompense della sopportazione e otterremo i beni eterni.
Voglia il cielo che tutti noi li raggiungiamo, per la grazia e la bon­
tà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la po­
tenza nei secoli dei secoli. Amen.

ar 1 Tm 5,5.

16 Spesso il nostro autore si serve di immagini di questo genere per rile­


vare la precarietà e l’incertezza della vita presente: cf. il mio studio Giovanni
Crisostomo. Commento alla lettera ai Galati, cit., p. 55.
OMELIA 32

Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando e


dicendo: Figlio di David, abbi pietà di noi. Entrato in casa, i ciechi
gli si accostarono e Gesù disse loro: Credete che io possa fare questo ?
Gli risposero: Sì, o Signore. Allora toccò i loro occhi dicendo: Sia fat­
to a voi secondo la vostra fede. E si aprirono i loro occhi3.

G esù r ic h ie d e l a f e d e

1. Perché tira in lungo quelli che gridavano? Per insegnar


nuovo in questa occasione a respingere la gloria da parte della
moltitudine. Poiché la casa era vicina, li conduce lì per curarli in
privato. E questo è evidente dal fatto che raccomandò loro di non
dirlo a nessuno b. Non è questa una piccola accusa nei confronti
dei giudei, dal momento che costoro !, essendo i loro occhi acce­
cati, accoglievano la fede soltanto mediante l’ascolto, mentre quel­
li, pur osservando i prodigi ed avendo la vista che rendeva testi­
monianza ai fatti, facevano tutto il contrario. Considera anche il
loro ardore, in base sia alle loro grida, sia alla stessa supplica, per­
ché non si accostarono semplicemente, ma gridando fortemente e
non adducendo nessun altro argomento se non la misericordia. Lo
chiamavano figlio di David, perché sembrava essere un titolo ono-

a Mt 9, 27-30. b Cf. Mt 9, 30.

11 due ciechi del racconto di Matteo.


96 Omelie sul Vangelo di Matteo

rifico. Spesso anche i profeti chiamavano così i re che volevano


onorare e dichiarare grandi. Dopo averli condotti in casa, rivolge
loro una seconda domanda. Spesso aveva cura di guarire quelli
che lo supplicavano, perché nessuno pensasse che si precipitava a
compiere questi prodigi per ambizione, e non solo per questo mo­
tivo, ma per far vedere che essi erano degni di essere guariti, e per­
ché nessuno dicesse che se salvava soltanto per misericordia, tutti
dovevano essere salvati. La bontà ha infatti una motivazione che
deriva dalla fede di coloro che vengono salvati. Non solo per que­
sto richiede loro la fede, ma, poiché lo avevano chiamato figlio di
David, per innalzarli ad una concezione più elevata e per insegna­
re ad avere nei suoi riguardi la dovuta opinione, dice: Credete che
10 possa fare questo? Non ha detto: Credete che io possa invocare
11 Padre mio, che io possa pregarlo, ma: che io possa fare questo?
Che risposero quelli? Sì, o Signore. Non lo chiamano più figlio di
David, ma volano più in alto e riconoscono la sua signoria. Allora
egli impone la mano dicendo: Sia fatto a voi secondo la vostra fede.
Lo fa per rafforzare la loro fede, per mostrare che essi avevano
parte in quel prodigio e per attestare che quelle parole non erano
dettate da adulazione. Non ha detto infatti: Si aprano i vostri oc­
chi, ma: Sia fatto a voi secondo la vostra fede ; lo dice a molti di
quelli che si accostavano a lui, desiderando, prima della guarigio­
ne del corpo, preannunciare la fede dell’anima, in modo da ono­
rarli di più e rendere gli altri più ferventi. Fece così anche con il
paralitico, perché, prima di risanarne il corpo, ne risollevò l’anima
che giaceva prostrata, dicendo: Coraggio, figlio, ti sono rimessi i
tuoi peccati c. Resuscitando la fanciulla le prese la mano e, me­
diante la mensa 2, le insegnò chi l’aveva beneficata. Agì allo stesso
modo anche nel caso del centurione, rimettendo tutto alla fede e,

c Mt 9, 2.

2 Crisostomo si riferisce al fatto che Gesù ordinò di dar da mangiare al­


la fanciulla che aveva resuscitato: cf. Me 5, 43; Le 8, 55.
Omelia 32, 1 97

liberando i discepoli dalla tempesta del mare, li liberava innanzi­


tutto dalla pochezza della loro fede. Fece così anche in questa oc­
casione; conosceva, anche prima delle loro parole, i segreti del lo­
ro animo. Li manifesta agli altri per condurli al loro medesimo fer­
vore, proclamando la loro fede nascosta mediante la realizzazione
della guarigione.

C r ist o e s o r t a a r e n d e r e g l o r ia a D io

Poi, dopo averli guariti, ordina di non dirlo a nessuno, e non


ordina soltanto, ma lo fa con molta energia. Gesù li ammonì di­
cendo: Badate che nessuno lo sappia. Ma essi, appena usciti, ne spar­
sero la fama in tutta quella regione d. Quelli non accolsero il suo av­
vertimento, ma divennero araldi ed evangelisti3; benché avessero
ricevuto l’ordine di tenere nascosto l’accaduto, rifiutarono. Se in
altra occasione appare dire: Torna a casa e narra la gloria di D io e,
il passo di prima non si contraddice con questo, ma anzi è in gran­
de accordo con esso. Difatti ci insegna a non dire nulla di noi stes­
si, ma a distogliere anche coloro che vogliono lodarci; se però la
gloria si riferisce a Dio, ci esorta non soltanto a non impedirlo, ma
anche a ordinare di farlo.

Stu po re d e l l e f o l l e d a v an ti a i p r o d ig i d i G esù

Usciti quelli, dice, ecco che gli presentarono un muto indemo­


niato f. Questa infermità non proveniva dalla natura, ma si tratta­
va di un’insidia diabolica; perciò aveva bisogno che altri lo con­
ducessero da Gesù. Non poteva pregarlo da sé, in quanto non ave-

d Mt 9,30-31. e Cf. Le 8, 39; 17,18. f M t9,32.

3 Con riferimento a quanto Cristo aveva compiuto.


98 Omelie sul Vangelo di Matteo

va voce, né poteva supplicare gli altri in quanto il demonio legava


la sua lingua e, con essa, gli incatenava anche l’anima. Perciò non
gli richiede la fede, ma gli cura subito l’infermità. Scacciato il de­
monio, dice, il muto parlò. Le folle rimasero stupite e dicevano: Non
si è mai vista una cosa simile in Israele e. Quello che dava soprat­
tutto fastidio ai farisei era che le folle lo anteponevano a tutti, non
solo a quelli che c’erano allora, ma anche a quelli che mai fossero
esistiti; lo anteponevano, non perché curasse, ma perché lo faceva
facilmente, rapidamente, e perché guariva innumerevoli malattie,
e incurabili. Così pensava il popolo.

Il co m po rta m en to d i G esù è o ppo sto a q u e llo d e i d em o n i

2. I farisei invece facevano tutto il contrario. Non solta


gettano il discredito su quanto era avvenuto, ma non si vergogna­
no nemmeno di contraddirsi. Così è l’iniquità. Che cosa dicono?
Scaccia i demoni per opera del capo dei demonih. Che ci potrebbe
essere di più insensato? Certamente, come dice più avanti ‘, è im­
possibile che un demonio scacci un demonio, perché egli è solito
consolidare il suo dominio, non distruggerlo. Gesù non soltanto
scacciò i demoni, ma risanò anche i lebbrosi, resuscitò i morti, te­
neva a freno il mare, cancellava i peccati, annunciava il regno e
conduceva al Padre; il demonio non avrebbe mai potuto volere
questo né avrebbe mai avuto la capacità di farlo. I demoni infatti
conducono agli idoli, allontanano da Dio e persuadono a non cre­
dere nella vita futura. Il demonio, se viene oltraggiato, non elargi­
sce benefici, dal momento che, anche se non viene oltraggiato,
nuoce a coloro che lo servono e lo onorano. Ma Gesù fa il contra­
rio; dopo questi insulti e ingiurie, andava intorno, dice, per tutte le
città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il van­
gelo del regno e curando ogni malattia e infermità i. Non solo non
punì quegli insensati, ma neppure li rimproverò semplicemente,

s Mt 9,33. h Mt 9,34. 1Cf. Mt 12,26. )M t9,35.


Omelia 32, 1-2 99

mostrando al tempo stesso la sua mitezza, smascherando così la lo­


ro maldicenza e volendo, per mezzo dei miracoli successivi, offri­
re una maggiore dimostrazione del suo insegnamento e poi confu­
tarli con le sue parole. Andava in giro dunque nelle città, nei pae­
si, nelle loro sinagoghe, per insegnarci a contraccambiare così i
maldicenti, non con altre maldicenze, ma con benefici più grandi.
Infatti se fai del bene ai tuoi compagni di servitù per amore non
degli uomini, ma di Dio, per quanto essi facciano, non desistere
dal fare il bene, perché maggiore sia la ricompensa; sicché chi, do­
po aver subito la maldicenza, desiste dal fare il bene, mostra di
praticare tale virtù per la loro lode e non per amore di Dio. Perciò
Cristo, per insegnarci che agiva così soltanto per bontà, non solo
non attendeva che gli infermi andassero da lui, ma si affrettava an­
che ad andare da loro, recando ad essi due grandissimi beni: uno,
il vangelo del regno, l’altro, la guarigione da tutte le infermità.
Non trascurava alcuna città né tralasciava nessun villaggio, ma an­
dava in ogni luogo.

G esù p r ep a r a i s u o i d is c e p o l i
ad a ffro nta re l e l o t t e n e l m o n d o

Non si ferma qui, ma mostra anche un’altra sollecitudine. Ve­


dendo le folle , dice, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfi­
nite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: La
messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone
della messe, perché mandi operai nella sua messe k. Vedi ancora co­
me fosse privo di vanagloria. Per non trascinarsi tutti dietro di sé,
invia i discepoli. E non soltanto per questo motivo, ma per inse­
gnare anche ad essi a prepararsi per le lotte nel mondo, esercitan­
dosi in Palestina come in una palestra. Perciò presenta esercizi
agonistici più impegnativi, compatibilmente con la loro virtù, per­
ché affrontassero più agevolmente le lotte successive, spingendoli

k Mt 9, 36-38.
100 Omelie sul Vangelo di Matteo

già a volare come fossero teneri uccellini. Per il momento li costi­


tuisce medici dei corpi, riservando successivamente la cura dell’a­
nima, che è quella essenziale. Osserva come indichi che questo
compito è agevole e necessario. Che cosa dice? La messe è molta,
ma gli operai sono pochi. Non vi mando, intende dire, a seminare,
ma a mietere, come diceva in Giovanni: Altri hanno lavorato e voi
siete subentrati nel loro lavoro K Lo diceva per tenere a freno il lo­
ro orgoglio, per renderli fiduciosi e per far vedere che la fatica
maggiore era già stata fatta. Osserva che anche qui prende l’avvio
dalla sua bontà, non da una sorta di contraccambio. Ne sentì com­
passione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.
Questa era un’accusa nei confronti dei capi dei giudei, perché, pur
essendo pastori, si mostravano come lupi. Difatti non solo non
correggevano la moltitudine, ma ne compromettevano anche il
progresso. Mentre quelli rimanevano stupiti e dicevano: Non si è
mai vista una cosa simile in Israele, costoro affermavano il contra­
rio: Scaccia i demoni per opera del capo dei demoni. Ma chi chiama
qui operati I dodici discepoli. Ebbene, dopo aver detto che gli
operai sono pochi, ne ha aggiunti a loro? Per niente affatto, ma ha
inviato loro. Perché allora ha detto: Pregate il padrone della messe,
perché mandi operai nella sua messe, e non ne ha aggiunto nessuno
ad essi? Perché, pur essendo dodici, li ha fatti poi diventare mol­
ti, senza aggiunte numeriche, ma elargendo loro potenza.

G esù , p a d r o n e d e l l a m e s s e , in v ia i su o i d is c e p o l i

3. Quindi, per mostrare quanto grande fosse quel dono,


Pregate il padrone della messe, e velatamente indica che egli stesso
era quello che aveva tale potere. Infatti dopo aver detto: Pregate il
padrone della messe, senza che essi pregassero affatto né suppli­
cassero, li ordina subito, ricordando loro le parole di Giovanni,

1Gv 4, 38.
Omelia 32, 2-3 101

l’aia, la vagliatura, la pula, il grano 4. Da ciò risulta evidente che


egli è l’agricoltore, il padrone della messe, il Signore dei profeti. Se
li ha inviati a mietere, è chiaro che li ha mandati a mietere non ciò
che era di altri, ma quello che aveva seminato per mezzo dei pro­
feti. Li incoraggiava non soltanto così, chiamando messe il loro mi­
nistero, ma anche rendendoli idonei a tale ministero.
Chiamati, dice, i suoi dodici discepoli, dette loro il potere di
scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni malattia e infermità m.
Eppure non era stato dato ancora lo Spirito: Infatti, dice, non c’e­
ra ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato n.
Come potevano dunque scacciare gli spiriti? In virtù del suo co­
mando, della sua autorità. Considera anche il momento opportu­
no in cui ebbe inizio il loro apostolato, perché non li inviò fin dal
principio, ma li invia quando avevano usufruito in modo adegua­
to della sua compagnia, avevano visto un morto risorto, il mare
sgridato, i demoni scacciati, il paralitico guarito, i peccati cancel­
lati, il lebbroso risanato e avevano ricevuto una prova sufficiente
della sua potenza per mezzo sia delle opere, sia delle parole. E non
li inviò ad imprese pericolose, perché per il momento non c’era al­
cun pericolo in Palestina, ma occorreva fronteggiare soltanto le
maldicenze. Tuttavia predice loro anche questo, vale a dire i peri­
coli, predisponendoli in anticipo prima del momento e preparan­
doli alla lotta con predizioni continue relative ad essi.
Poi, dopo averci menzionato due coppie di apostoli, quelle di
Pietro e di Giovanni5, ed averci mostrato, dopo di esse, la chia­
mata di Matteo, senza averci detto nulla della chiamata degli altri
apostoli e del loro nome 6, a questo punto necessariamente pre-

Λ Mt 10,1. n Gv 7, 39.

4 II riferimento è a Giovanni Battista: cf. Mt 3, 12.


5 Pietro e il fratello Andrea, Giovanni e il fratello Giacomo: cf. Mt 4 , 18­
22.
6 Sul fatto che l’evangelista non parla della modalità della chiamata de­
gli altri apostoli, cf. l’omelia 30,1.
102 Omelie sul Vangelo di Matteo

senta la loro lista e il loro numero, e ne manifesta i nomi dicendo co­


sì: I nomi dei dodici apostoli sono questi: primo, Simone, chiamato
Pietro °. C’era un altro Simone, il cananeo p ; Giuda Iscariota e Giuda
di Giacomo <J; Giacomo di Alfeo e Giacomo di Zebedeo. Marco li in­
dica secondo la loro dignità; dopo i due capi annovera Andrea7.
Matteo invece non li nomina così, ma in modo indifferenziato, anzi
antepone a se stesso Tommaso che era molto inferiorer. Ma vedia­
mo la loro lista dal principio. Primo, Simone, chiamato Pietro, e An­
drea, suo fratello s. Non è questa una piccola lode, perché ha deno­
minato l’uno in base alla sua virtù, l’altro per la nobiltà della sua in­
dole. Poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratellol. Vedi come
non li indichi secondo la loro dignità? A me sembra infatti che Gio­
vanni sia più grande non soltanto degli altri, ma anche del fratello8.
Quindi, dopo aver detto: Filippo e Bartolomeo, ha aggiunto: Tom­
maso e Matteo il pubblicano u. Non così però Luca, ma procede in
ordine inverso e lo antepone a Tommaso v. Poi viene Giacomo di Al­
feo. Come ho detto in precedenza, c’era anche Giacomo di Zebe­
deo. Poi, dopo aver citato Lebbeo, soprannominato Taddeo 9, e Si­
mone lo zelota w, che chiama anche cananeo x, arriva al traditore y,
ma non lo ha descritto come nemico e avversario, ma come chi scri­
ve un’opera storica. Non ha detto: quell’abominevole e scelleratissi­
mo, ma lo ha denominato in base alla città: Giuda Iscariota10. C’era
anche un altro Giuda, Lebbeo, soprannominato Taddeo, che Luca
dice che era figlio di Giacomo, dicendo: Giuda di Giacomo 2. Di­
stinguendolo dunque da questo, dice: Giuda Iscariota, che poi lo tra­
dì aa. E non si vergogna di dire: che poi lo tradì. Così non tenevano

° Mt 10,2. P Cf. Me 3,18; Mt 10,4. < JC f.L c6 ,16. r C f.M tl0,3.


s Mt 10, 2. ( Ibid. u Mt 10, 3. v Cf. Le 6, 15. w Cf. ibid.
x Cf. Mt 10,4; Me 3, 18. yCf. Mt 10, 4. 2 Le 6,16. aaMtlO,4.

7 Cf. Me 3,18: Andrea è menzionato dopo Pietro, Giacomo e Giovanni.


8 Giacomo.
9 Troviamo questa indicazione in alcuni codici di Mt 10, 3.
10 Ibid. Iscariota, come mostra di intendere Crisostomo, si riferirebbe
alla città di Keriot: cf. Gs 15, 25.
Omelia 32, 3-4 103

mai nascosto nulla di ciò che sembrava ignominioso. Primo di tutti,


e il capo, era un illetterato e incolto u .
Ma vediamo dove e a chi li invia. Questi dodici, dice, inviò Ge­
sù ab. Chi sono questi? Pescatori, pubblicani; difatti quattro erano
pescatori e due pubblicani, Matteo e Giacomo 12, e uno perfino
traditore. E che cosa dice ad essi? Ordina subito loro dicendo:
Non andate fra i pagani e non entrate nella città dei samaritani; ri­
volgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele ac. Non
pensate, vuol dire, che, poiché mi insultano e mi chiamano inde­
moniato, io li abbia in odio e li detesti. Ho cercato infatti di cor­
reggere loro per primi e, allontanandovi da tutti gli altri, vi mando
a questi come maestri e medici. Non solo vi proibisco di predica­
re agli altri prima di questi, ma non vi consento di toccare nem­
meno la via che conduce là né di entrare in ima simile città.

S o l l e c it u d in e di G esù

4. In realtà i samaritani si oppongono ai giudei. Certamen


rapporto con essi era più agevole, perché erano molto più dispo­
sti ad accogliere la fede, mentre il rapporto coni giudei era più
aspro. Ma tuttavia li manda in una situazionepiù difficile, per mo­
strare la sua sollecitudine nei confronti dei giudei, chiudere loro la
bocca e preparare la via all’insegnamento degli apostoli, perché da
parte loro non li accusassero di essersi recati da incirconcisi e sem­
brasse che avessero un giusto motivo per fuggirli e detestarli. Li
chiama pecore che si erano perdute, non che di colpo se ne erano
andate via, per avere in ogni modo verso di essi un atteggiamento
di indulgenza e per attirare a sé il loro animo.

ab Mt 10, 5. ac Mt 10, 5-6.

11 II riferimento è a Pietro.
12 Forse Crisostomo si riferisce a Giacomo di Alfeo, perché Giacomo di
Zebedeo, fratello di Giovanni, era pescatore: cf. Mt 4, 21.
104 Omelie sul Vangelo di Matteo

G li a p o s t o l i, a r a ld i d e l r e g n o

Strada facendo, dice, predicate dicendo: Il regno dei cieli è vici­


no ad. Hai visto la grandezza del loro ministero? Hai visto la loro
dignità apostolica? Si ordina loro di non dire nulla che attenga al­
le cose sensibili, né come Mosè e i profeti di un tempo, ma cose
nuove e sorprendenti. Essi non annunciavano cose simili, ma la
terra e i beni terreni13, mentre quelli annunciavano il regno dei
cieli e tutti i beni che si trovano là. Non solo per questo essi sono
più grandi, ma anche per la loro obbedienza. Non si tirano indie­
tro né esitano, come gli antichi, ma, pur sentendo parlare di peri­
coli, di guerre e di mali insostenibili, accolgono quanto viene or­
dinato con molta convinzione, quali araldi del regno. Ma che c’è
da meravigliarsi, si potrebbe obiettare, se ubbidirono facilmente
poiché non annunciavano nulla di triste e di gravoso? Che dici?
Non fu ordinato loro nulla di gravoso? Non senti parlare del car­
cere, del fatto di essere condotti al supplizio, di guerre intestine,
di odio da parte di tutti, tutti mali questi cui diceva che sarebbero
andati incontro poco dopo? Li mandava agli altri perché fossero
banditori e araldi di innumerevoli beni, mentre diceva e prean­
nunciava che avrebbero sofferto mali implacabili.

P r e s c r iz io n i di G esù a g l i a p o st o li

Poi, per renderli degni di fede, dice: Guarite gli infermi, sa­
nate i lebbrosi, scacciate i demoni; gratuitamente avete ricevuto, gra­
tuitamente date ae. Vedi come abbia cura dei loro costumi, e non

ad Mt 10,7. ae Mt 10, 8.

13 Si può vedere il riferimento alla terra promessa (cf. Dt 8, 7-8), in di­


rezione della quale Mosè guidò il popolo di Israele. Per esaltare gli apostoli,
Crisostomo presenta in modo alquanto riduttivo la missione di Mosè e dei
profeti.
Omelia 32, 4 105

meno dei miracoli, per far vedere che questi senza quelli non sono
nulla. Tiene a freno il loro orgoglio dicendo: Gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date, e fa in modo che siano liberi dall’avi­
dità. Quindi perché non si pensasse che fosse merito loro e si inor­
goglissero per i prodigi che si verificavano, dice: Gratuitamente
avete ricevuto. Voi non rendete alcun favore a coloro che vi accol­
gono; non avete ricevuto questi poteri come ricompensa, né per le
vostre fatiche, in quanto mia è la grazia. Così dunque date a loro,
perché non è possibile trovare un prezzo degno di tali doni.
Poi, per svellere subito la radice dei mali, dice: Non procura­
tevi oro, né argento, né monete di rame nelle vostre cinture, né bi­
saccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone **. Non ha
detto: Non prendete con voi, ma: Anche se è possibile prendere da
altra parte, fuggi questo morbo funesto. In questo modo raggiun­
geva molti obiettivi: il primo, di rendere insospettabili i discepoli;
il secondo, di liberarli da ogni preoccupazione, in modo che dedi­
cassero tutto il loro tempo alla predicazione della parola; il terzo,
di insegnare ad essi la propria potenza. Lo dice ad essi successiva­
mente: Vi è forse mancato qualcosa, quando vi ho mandati sprovvi­
sti di mezzi e scalzi? ag· Non ha detto subito: Non procuratevi, ma
dopo aver detto: Sanate i lebbrosi, scacciate i demoni, allora ha det­
to: Non procuratevi nulla; gratuitamente avete ricevuto, gratuita­
mente date, offrendo quanto era utile nella loro attività, ciò che era
ad essi conveniente e quello che era possibile.
Ma forse qualcuno potrebbe dire: Il resto può essere ragione­
vole, ma perché ha ordinato di non avere bisaccia da viaggio, né
due tuniche, né bastone, né sandali? Perché voleva esercitarli in
ogni perfezione, e anche più sopra ha ordinato di non affannarsi
per il domani ah. Li stava infatti per inviare come maestri per il
mondo. Perciò li fa, per così dire, da uomini angeli, liberandoli da
ogni preoccupazione terrena, in modo che fossero dominati da
una sola preoccupazione, quella dell’insegnamento, anzi li libera
anche da essa, dicendo: Non preoccupatevi di come o di che cosa

* Mt 10, 9-10. a8 Cf. Le 22, 35. Λ Cf. Mt 6, 34.


106 Omelie sul Vangelo di Matteo

dovrete dire ή. Sicché mostra ad essi che soprattutto quello che


sembra assai pesante e molesto è facile ed agevole. Niente fa stare
così di buon animo, come l’essere liberi da preoccupazioni ed af­
fanni, soprattutto quando, liberi da essi, è possibile non mancare
di nulla perché ci è accanto Dio che prende il posto di tutto.

L ’ o p e r a io h a d ir it t o a l s u o n u t r im e n t o

Poi, perché non dicessero: «D a dove trarremo il nutrimento


necessario?», non dice ad essi: Avete udito che in precedenza vi ho
detto: Guardate gli uccelli del cielo a), perché non erano ancora ca­
paci di mettere in pratica questo precetto con le loro opere, ma ha
aggiunto ciò che era molto inferiore ad esso, dicendo: Loperaio ha
diritto al suo nutrimento facendo vedere che dovevano essere
nutriti dai loro discepoli, perché non si inorgoglissero nei con­
fronti dei discepoli, come se fossero essi ad elargire tutto, senza ri­
cevere nulla da loro, e a loro volta i discepoli, sentendosi disprez­
zati, non si staccassero da essi.
5. Quindi, perché non dicessero: «Ci ordini di vivere c
mendicanti?», e se ne vergognassero, mostra che il nutrimento era
dovuto, in quanto li chiama operai e qualifica come ricompensa
ciò che era loro dato. Non crediate, vuol dire, che per il fatto che
il vostro lavoro consiste nel parlare sia scarso il beneficio che ar­
recate, perché tale compito richiede molta fatica, e quello che i di­
scepoli danno, non lo elargiscono per rendere un favore, ma per
contraccambiare: L’operaio ha diritto al suo nutrimento. Lo ha det­
to non per mostrare che le fatiche apostoliche valgano tanto 14,
non sia mai!, ma per prescrivere loro di non richiedere nulla di più

“ Mt 10,19. “i Mt 6,26. <* Mt 10,10.

14 Nel senso che con queste parole Gesù non vuole quantificare in ter­
mini economici l’opera degli evangelizzatori.
Omelia 32, 4-5 107

e per persuadere quelli che offrono che il loro gesto non deriva da
munificenza, ma è un atto dovuto.

L ’a c c o g l ie n z a a i d is c e p o l i d i C r ist o

In qualunque città o villaggio entriate, valutate quale persona


che vi si trovi sia degna e rimanete lì fino alla vostra partenza Vuol
dire: Non perché ho detto: L’operaio ha diritto al suo nutrimento,
vi ho aperto le porte di tutti, ma ordino anche in questo caso di fa­
re molta attenzione. Ciò gioverà alla vostra gloria e al vostro stes­
so sostentamento. Se si tratta di persona degna, vi darà senz’altro
il nutrimento, soprattutto se non chiederete nulla di più del ne­
cessario. Non soltanto ordina di cercare persone degne, ma anche
di non andare di casa in casa, in modo da non offendere chi acco­
glie e non essere tacciati di voracità e di volubilità. Lo ha indicato
dicendo: rimanete lì fino alla vostra partenza. Lo si può apprende­
re anche dagli altri evangelisti ™. Hai visto come li ha onorati an­
che così e ha reso pronti all’azione coloro che li accoglievano, mo­
strando che erano essi stessi che ne traevano maggior profitto sia
riguardo alla gloria, sia in considerazione del vantaggio che ne ri­
cevevano? Poi, esponendo ancora questo medesimo concetto, di­
ce: Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà
degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne sarà degna, la
vostra pace ritorni a v o i Vedi fino a che punto non rinuncia a da­
re disposizioni? E assai giustamente, perché li preparava ad essere
adeti della fede cristiana 15 e araldi della terra, e così facendo in
modo che fossero misurati e rendendoli graditi, dice: Se qualcuno
non vi accoglie e non ascolta le vostre parole, uscite da quella casa o
da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico,

31Mt 10,11. 3,11 Cf. Me 6, 10; Le 9, 4; 10,7. 30 Mt 10,12-13.

15 Anche in questo caso Crisostomo usa il t. eusébeia.


108 Omelie sul Vangelo di Matteo

nel giorno del giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sor­
te più sopportabile di quella d ttà ao. Non perché voi siete maestri,
vuol dire, aspettate per questo di essere salutati dagli altri, ma sia­
te i primi a rendere onore. Poi, per mostrare che non si tratta di
un semplice saluto, ma di una benedizione, dice: Se la casa sarà de­
gna, la pace scenderà su di essa, ma se vi oltraggerà, la prima pu­
nizione sarà di non usufruire della vostra pace, e la seconda, di
subire la sorte di Sodoma. Ma, si potrebbe obiettare, che ha a che
fare con noi il loro castigo? Voi starete nelle case delle persone de­
gne 16. Che significa: scuotete la polvere dai vostri piedi? O per di­
mostrare che non avevano ricevuto nulla da essi, o perché fosse
per loro testimonianza del lungo viaggio che avevano intrapreso
per loro. Considera come non conceda ancora tutto ad essi; non
elargisce loro per il momento il dono della prescienza, in modo da
sapere chi fosse degno e chi non lo fosse, ma ordina di indagare e
di attendere di fare esperienza. Perché egli stesso si trattenne a ca­
sa di un pubblicano? Perché questi ne divenne degno per la sua
conversione. Ma considera come, pur avendoli privati di tutto,
abbia dato loro tutto, permettendo di rimanere nelle case dei di­
scepoli e di entrarvi senza avere nulla. In questo modo erano libe­
ri da preoccupazioni e persuadevano gli altri che erano venuti sol­
tanto per la loro salvezza, sia perché non portavano nulla con sé,
sia perché non chiedevano niente di più del necessario né entra­
vano da tutti indiscriminatamente. Non voleva che si distinguesse­
ro solo per i miracoli, ma, prima di questi, per la propria virtù.
Nulla infatti caratterizza la filosofia 17 così come la mancanza del
superfluo e il non aver bisogno di nulla, nei limiti del possibile. Lo
sapevano anche i falsi apostoli; perciò Paolo diceva: per apparire

ao Mt 10,14-15.

16 Quelle persone cioè che accoglieranno nel modo dovuto gli evange­
lizzatori.
17 Questo termine, come si è rilevato più volte, indica la vita del cre­
dente permeata di sapienza cristiana.
Omelia 32, 5-6 109

come noi in quello in cui si vantano aP. Se coloro che sono in terra
straniera e si recano da sconosciuti non devono chiedere niente di
più del nutrimento quotidiano, a maggior ragione devono farlo se
restano in casa.

La p a c e c h e il c e l e b r a n t e d à in c h ie s a ,
c a sa c o m u n e d i t u t t i , è f ig u r a d i C r ist o

6. Non ascoltiamo soltanto questi insegnamenti, ma im


moli anche, perché sono stati rivolti non solo agli apostoli, ma an­
che ai santi che sarebbero venuti successivamente. Siamo dunque
degni di accoglierli, perché questa pace viene e di nuovo se ne vo­
la via in base alla disposizione d’animo di coloro che la accolgono.
Questo infatti dipende non soltanto dalla autorevolezza di coloro
che insegnano, ma anche dal merito di quelli che li accolgono.
Non pensiamo che sia un danno di poco conto non godere di tale
pace. La preannuncia anche il profeta fin dai tempi antichi dicen­
do: Come sono belli ipiedi di coloro che danno il lieto annuncio del­
la pace! a<i. Poi spiegandone il valore, ha aggiunto: di coloro che an­
nunciano il bene ar. Cristo ha dichiarato la sua grandezza dicendo:
Vi lascio la pace, vi do la mia pace as. Si deve fare di tutto per go­
dere di essa sia in casa, sia in chiesa. Difatti anche in chiesa il ce­
lebrante dà la pace, e questo è figura di Cristo; si deve accoglierlo
con ogni impegno, con la disposizione dell’animo prima della par­
tecipazione alla mensa18. Se in effetti è grave non partecipare alla
mensa, quanto sarebbe più grave respingerlo quando ci parla? Per
te siede il presbitero, per te sta in piedi il maestro, con grande fa­
tica e impegno. Quale giustificazione avrai dunque se non gli offri
nemmeno l’accoglienza che deriva dall’ascolto? La chiesa è la ca-

aP 2 Cor 11,12. a<3 Is 52,7. * Ibid. “ Gv 14,27.

18 La mensa eucaristica.
110 Omelie sul Vangelo di Matteo

sa comune di tutti e, dopo che voi ci avete preceduti, entriamo noi


che conserviamo l’immagine degli apostoli. Perciò, entrando, su­
bito proclamiamo la pace a tutti insieme, secondo la legge del Si­
gnore. Nessuno quindi sia negligente, nessuno si distragga quan­
do entrano i sacerdoti e insegnano, perché in questo caso è riser­
vato un castigo non di poco conto. Io innumerevoli volte preferi­
rei, entrando in casa di qualcuno di voi, trovarmi in difficoltà piut­
tosto che non essere ascoltato quando parlo qui. Questo compor­
tamento per me è più grave di quell’altro, perché questa casa19 è
più importante. Difatti qui si trovano i nostri grandi beni, qui ci
sono tutte le nostre speranze. Che cosa c’è qui che non sia grande
e non infonda rispetto? Questa mensa è molto più preziosa e soa­
ve e questa lucerna è migliore delle altre lucerne. Lo sanno quan­
ti, dopo essere stati unti con olio 20 al momento opportuno e con
fede, hanno debellato le infermità. Questa cassa è molto migliore
e più necessaria di quell’altra, perché non vi ha racchiuse vesti, ma
elemosina, anche se sono pochi quelli che la possiedono21. Qui c’è
un giaciglio migliore di quell’altro, perché il sollievo che danno le
Scritture divine è più piacevole di quello di ogni giaciglio. Se noi
stessimo bene, non avremmo altra casa rispetto a questa 22. Che
quanto ho detto non sia insostenibile, lo attestano quei tremila e
cinquemilaat che avevano una sola casa, mensa, anima: La molti­
tudine di coloro che erano venuti alla fede, dice, aveva un cuore so-

atCf. A t2 ,4 1 ;4 ,4 .

19 La chiesa.
20 Probabilmente qui Crisostomo si riferisce all’olio degli infermi che
era conservato in una delle lampade della chiesa: cf. in proposito J. Kem, Ein
missverstandenes Zeugnis des heiligen Johannes Chrysostomus fiir das Sakra-
ment der letzten Ólung, «Zeitschrift fur katholische Theologie» 29 (1905), pp.
382-389. Per l’unzione dei malati con l’olio, cf. Gc 5, 14-15.
21 Forse con riferimento a coloro che fanno l’elemosina e che non sono
tanti quanti vorrebbe il nostro autore.
22 La chiesa.
Omelia 32, 6 111

lo e un’anima sola20. Poiché siamo molto inferiori alla loro virtù e


ci disperdiamo nelle nostre case, almeno, quando ci riuniamo qui,
facciamolo con fervore. Se nel resto siamo miseri e poveri, almeno
qui accogliete con amore noi che veniamo da voi24.

La s o l l e c it u d in e e l ’ a m o r e d i C r is o s t o m o p er i su o i f e d e l i

E quando dico: «Pace a voi», e voi rispondete: «E al tuo spi­


rito», non ditelo solo con la voce, ma anche con l’animo, non solo
con la bocca, ma anche con il cuore. Ma se dici qui: «Pace al tuo
spirito», e fuori mi combatti disprezzandomi e sparlando di me,
inondandomi di nascosto di innumerevoli improperi, che pace è
questa? Io comunque, per quanto tu sparli di me, ti do la pace con
cuore puro, con animo sincero e non posso mai dire niente di cat­
tivo nei tuoi confronti perché ho cuore paterno. E se qualche vol­
ta rimprovero, lo faccio per premura. Temo che tu accresca anco­
ra la mia angoscia se mi ferisci di nascosto e non mi accogli nella
casa del Signore, non perché mi insulti e mi respingi, ma perché ri­
fiuti la pace e attiri su di te quel severo castigo. Anche se non scuo­
to la polvere 25, anche se non mi volgo indietro, rimane immutata
la minaccia. Spesso io proclamo la pace su di voi e non smetterò
mai di proclamarla; anche se mi insultate e non mi accogliete, nep­
pure in questo caso scuoto la polvere, non perché non presti at­
tenzione al Signore, ma perché ardo assai per voi. D ’altra parte
non ho sofferto disagi a causa vostra; non ho fatto un lungo viag­
gio né sono venuto con l’abbigliamento e la povertà degli aposto­
li - e per questo accusiamo prima noi stessi -, né senza calzari e

23 At 4, 32. Per quanto riguarda il riferimento ad una sola casa, cf. At 2,


44: Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme.
24 Si noti che in questo passo alcuni codici, dopo poveri, presentano que­
sta aggiunta: ma in questo siamo ricchi. Perciò... (segue il testo dell’omelia).
25 Eco di Mt 10, 14: Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto
alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai
vostri piedi.
112 Omelie sul Vangelo di Matteo

una seconda tunica; perciò forse trascurate i vostri doveri. Tutta­


via però questo non basta a giustificarvi; per noi il giudizio sarà
più severo, ma ciò non vi fa ottenere indulgenza.
7. Allora le case erano chiese, ora invece la chiesa è diven
una casa. Allora non si diceva in casa nulla di mondano, mentre ora
in chiesa non si dice nulla di spirituale, ma introducete anche qui gli
affari della piazza. Mentre Dio parla, trascurando di ascoltare in si­
lenzio quanto si dice, vi mettete a trattare questioni di segno oppo­
sto; e magari si trattasse di questioni vostre! Ora invece dite e ascol­
tate cose che non sono affatto convenienti per voi26. Perciò gemo e
non smetterò di gemere. Non ho la facoltà infatti di mutare questa
casa, ma è necessario rimanere qui finché non usciamo dalla vita
presente. Accoglieteci dunque, come ha ordinato Paoloau. In questo
passo non si è riferito alla mensa, ma all’animo e alla mente. Anche
noi cerchiamo questo da voi, l’amore, l’amicizia ardente e autenti­
ca. Se non accettate neppure questo, almeno amate voi stessi, ab­
bandonando la presente negligenza. Basta questo a confortarci, se
vediamo che vi fate onore e diventate migliori. Così anch’io mo­
strerò un amore più grande, se, pur amando più intensamente, ven­
go amato di meno. E molto quello che ci unisce: una medesima
mensa è imbandita per tutti, il medesimo Padre ci ha generati, sia­
mo nati tutti allo stesso modo, a tutti è stata data la medesima be­
vanda, anzi non solo è stata data la medesima bevanda, ma ci è sta­
to concesso anche di bere al medesimo calice. Il Padre infatti, vo­
lendo condurci all’amore, ha escogitato anche questo, che noi be­
viamo al medesimo calice, e questo è segno di intenso amore. Ma
noi non siamo degni degli apostoli. Lo riconosco anch’io e non po­
trei negarlo. Non soltanto non siamo degni di loro, ma nemmeno
della loro ombra. Tuttavia però fate la parte vostra. La nostra inde-

au 2 Cor 7, 2.

26 Nel senso che si tratta di questioni di carattere materiale e mondano


che mettono in ombra quelle spirituali.
Omelia 32, 6-7 113

gnità non potrà affatto disonorarvi, ma anzi potrà esservi di mag­


gior aiuto, perché se mostrate tanto amore e obbedienza anche nei
confronti di persone indegne, riceverete una ricompensa maggiore.
Noi non affermiamo nostre dottrine, perché non c’è per voi mae­
stro sulla terraav, ma noi diamo quello che abbiamo ricevuto e, nel
darlo, non esigiamo da voi niente di più se non soltanto di essere
amati. Se poi siamo indegni anche di questo, ne saremo però pre­
sto degni per il fatto di amarvi. Certamente abbiamo ricevuto l’or­
dine di amare non soltanto quelli che ci amano, ma anche i nemi­
ci aw. Chi dunque è così duro, chi così feroce che, dopo aver rice­
vuto una simile legge, detesterà e odierà anche quelli che lo amano,
anche se è pieno di innumerevoli difetti? 11. Abbiamo condiviso la
mensa spirituale; condividiamo anche l’amore spirituale. Se infatti
dei briganti, quando condividono il pasto, dimenticano la loro in­
dole, quale giustificazione avremo noi che partecipiamo sempre del
corpo del Signore e non imitiamo neppure la loro mitezza? Certa­
mente a molti è bastato per la loro amicizia non soltanto condivi­
dere la mensa, ma anche essere della medesima città; noi, dal mo­
mento che abbiamo la medesima città, la medesima casa, mensa,
via, porta, radice, vita, capo, il medesimo pastore, re, maestro, giu­
dice, creatore, padre e tutto ci è comune, quale indulgenza po­
tremmo meritare, se ci dividiamo gli uni dagli altri?

N on c e r c a r e i m ir a c o l i , m a l a s a l u t e d e l l ’a n im a

Ma cercate i miracoli, che quelli facevano entrando nelle cit­


tà, la guarigione dei lebbrosi, la cacciata dei demoni, la resurre­
zione dei morti? Ma questa è la prova più grande della vostra ec-

av Cf. Mt 23, 8. aw Cf. Mt 5, 44.

27 II riferimento dovrebbe essere all’espressione precedente «quelli che


lo amano», con il passaggio dal plurale al singolare (è pieno invece di: sono
pieni).
114 Omelie sul Vangelo di Matteo

cellenza e del vostro amore, credere in Dio senza tali garanzie. Per
questo e per altro motivo Dio ha posto fine ai miracoli. Se infatti,
non essendoci miracoli, quelli che si pavoneggiano per altre pre­
rogative, ad esempio per la sapienza della parola o per la dimo­
strazione della pietà religiosa, sono vanagloriosi, si esaltano, si la­
cerano reciprocamente, se ci fossero anche miracoli, dove non ar­
riverebbero queste lacerazioni? 2S. Che quanto ho detto non sia
ima congettura, lo attestano i Corinzi che per questo motivo si di­
visero in molte fazioni Non cercare quindi miracoli, ma la salu­
te dell’anima. Non cercare di vedere un morto risorgere, perché
sai che tutto il mondo risorgerà. Non cercare di vedere la guari­
gione di un cieco, ma osserva che tutti ora hanno una vista mi­
gliore e più utile, e impara anche tu a vedere castamente e a cor­
reggere il tuo sguardo. Se tutti noi vivessimo come dovremmo, i
pagani ci ammirerebbero più di coloro che operano prodigi. Spes­
so i miracoli hanno la nomea di essere frutto di immaginazione e
non sono esenti da altri cattivi sospetti, anche se quelli nostri non
sono così; una vita pura non può ricevere nessuna minaccia di
questo genere, ma il possesso della virtù chiude la bocca di tutti.

La v ir tù è u n g r a n d e p r o d ig io

8. Pratichiamo dunque la virtù; grande è la sua ricchezza


un grande prodigio. Essa offre realmente la libertà e la fa contem­
plare nella schiavitù, senza liberare dalla schiavitù, ma facendo ve­
dere che quelli che rimangono schiavi sono più ragguardevoli di
quelli che sono liberi, e questo vale molto di più che dare la liber-

ax Cf. 1 Cor 1, lOss.

28 Nel senso che quelli che sono vanagloriosi, se avessero anche la ca­
pacità di operare miracoli, si esalterebbero ancora di più e si provocherebbe­
ro ulteriori lacerazioni.
Omelia 32, 7-8 115

tà29. Non rende ricco il povero, ma fa vedere che il povero, pur


rimanendo tale, è più facoltoso del ricco. Se poi vuoi fare miraco­
li, liberati dai peccati ed hai realizzato tutto. Il peccato, mio caro,
è un gran demonio; se lo distruggi, compi un’opera più grande di
quelli che scacciano innumerevoli demoni. Ascolta Paolo che dice,
anteponendo la virtù ai prodigi: Aspirate, afferma, ai carismi più
grandi, e vi mostro una via migliore di tutte ay. In procinto di men­
zionare questa via, non ha parlato di resurrezione di morti, né di
guarigione di lebbrosi e di nient’altro di questo genere, ma, in luo­
go di tutto ciò, ha presentato l’amore. Ascolta anche le parole di
Cristo: Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, ma
perché i vostri nomi sono scritti nei cieliaz. E prima ancora aveva
detto: Molti mi diranno in quel giorno: Non abbiamo profetizzato
nel tuo nome e cacciato demoni e compiuto molti miracoli? Io però
dichiarerò loro: Non vi conosco ba. E quando stava per essere croci­
fisso, chiamati i discepoli, diceva loro: Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli, non se scaccerete demoni, ma se avrete amore gli
uni per gli altri'0'0. E ancora: Da questo tutti sapranno che tu mi hai
mandato, non se costoro resuscitano i morti, ma se sono una cosa so­
la bc. Spesso i miracoli hanno giovato a uno, ma hanno danneggia­
to colui che li compiva, spingendolo all’arroganza e alla vanagloria
o nuocendogli in altro modo; invece riguardo alle opere virtuose
non si può sospettare niente di simile, ma giovano sia a chi le pra­
tica, sia a molti altri. Facciamole dunque con molto impegno. Se
da un atteggiamento di disumanità cambi volgendoti all’elemosi­
na, stendi la mano che era arida. Se ti allontani dai teatri e vai in

aU Cor 12, 31. 32 Le 10, 20. baMt7,22-23. bb Gv 13, 35.


bcCf. G v l7 , 23.21.

29 Crisostomo mette in luce il primato della libertà interiore che rima­


ne tale qualunque sia la condizione esteriore dell’uomo; è questo un concet­
to che richiama anche il pensiero stoico: cf. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di
un movimento spirituale, ed. it., I, Firenze 1978, p. 274.
116 Omelie sul Vangelo di Matteo

chiesa, correggi il piede che zoppicava. Se distogli i tuoi occhi da


una prostituta e dalla bellezza altrui, li apri mentre prima erano
ciechi. Se, invece di canti satanici, impari salmi spirituali, parli
mentre eri muto. Questi sono i più grandi prodigi, questi sono i
miracoli straordinari. Se continueremo a compiere questi miraco­
li, in virtù di essi saremo grandi e ammirevoli e attireremo tutti i
malvagi alla virtù e godremo della vita futura. Voglia il cielo che
tutti noi la conseguiamo, per la grazia e la bontà di nostro Signo­
re Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei
secoli. Amen.
OMELIA 33

Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque pru­


denti come i serpenti e semplici come le colombea.

G esù pr ep a r a i s u o i d is c e p o l i a l c o m b a t t im e n t o

1. Li aveva resi fiduciosi riguardo al nutrimento necessa


aveva aperto loro le case di tutti e aveva conferito una forma digni­
tosa al loro ingresso nelle città, ordinando di entrare non come va­
gabondi e mendicanti, ma come persone molto più ragguardevoli di
quelli che li accoglievano. Lo ha dimostrato dicendo: L’operaio ha
diritto alla sua ricompensa b, ordinando di chiedere chi fosse degno
e di rimanere lì, prescrivendo di salutare quelli che li accoglievano e
minacciando mali irrimediabili a coloro che non li accoglievano.
Dopo aver dunque scacciato da loro in questo modo le preoccupa­
zioni, averli muniti con la prova che derivava dai miracoli ed averli
resi come di ferro e d’acciaio, dopo averli allontanati da tutte le co­
se materiali ed averli liberati da ogni sollecitudine di carattere tem­
porale, parla poi anche dei mali che sarebbero capitati loro, non so­
lo di quelli che sarebbero accaduti dopo poco, ma anche di quelli
che si sarebbero verificati dopo molto tempo, preparandoli fin dal
principio e molto prima alla guerra contro il diavolo. Venivano rag­
giunti così molti obiettivi: innanzitutto, che essi apprendessero la
potenza della sua prescienza; in secondo luogo, che nessuno potes­
se sospettare che questi mali sopraggiungevano per la debolezza del
Maestro; in terzo luogo, che coloro che li affrontavano non rima-

a Mt 10,16. b Mt 10,10.
118 Omelie sul Vangelo di Matteo

nessero sconcertati perché accadevano in modo inaspettato e im­


previsto; in quarto luogo, che, al momento stesso della crocifissione,
non si turbassero nel sentire parlare di queste cose. Difatti allora si
trovarono proprio in questo stato d’animo, quando, rimproveran­
doli, diceva: Perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il
vostro cuore, e nessuno di voi mi chiede: Dove v ai? c. Eppure, non
aveva detto ancora nulla di sé, ad esempio, che sarebbe stato inca­
tenato, flagellato, ucciso, per non sconvolgere anche così il loro ani­
mo. Intanto però preannuncia quello che sarebbe capitato loro. Poi,
perché imparassero che era nuova questa regola di guerra e insolito
il modo di combattere, inviandoli senza mezzi, con una sola tunica,
senza sandali, senza bastone né cintura e bisaccia, e ordinando di
farsi nutrire da coloro che li accoglievano, nemmeno a questo pun­
to ha arrestato il discorso, ma, facendo vedere la sua indicibile po­
tenza, dice: «Andandovene così, mostrate la mansuetudine delle pe­
core, benché dobbiate andare dai lupi, e non semplicemente dai lu­
pi, ma in mezzo ai lupi». E non ordina solo di avere la mansuetudi­
ne delle pecore, ma anche la semplicità della colomba. Così mostre­
rò soprattutto la mia forza, quando le pecore avranno la meglio sui
lupi e, pur stando in mezzo ai lupi e ricevendo innumerevoli ferite,
non soltanto non saranno annientate, ma li trasformeranno anche.
Molto più meraviglioso e più sublime dell’eliminarli è mutare la lo­
ro volontà e cambiare il loro animo, benché fossero soltanto dodici
e la terra fosse piena di lupi.

Le p e c o r e h a n n o l a m e g l io su i l u p i

Vergogniamoci dunque noi che facciamo il contrario, noi che


assaliamo i nemici come lupi. Finché siamo pecore, vinciamo; per
quanti possano essere i lupi che ci attorniano, abbiamo la meglio e
prevaliamo su di essi, ma se diventiamo lupi, siamo sconfìtti perché
ci viene meno il soccorso del pastore. Infatti non pascola lupi, ma
pecore e quindi ti abbandona e si ritira perché non permetti che si

c Gv 16,6.5.
Omelia 33, 1-2 119

mostri la sua potenza. Se, quando sei maltrattato, dai prova di man­
suetudine, tutto il successo è ascritto a lui, ma se ti abbandoni a lot­
te e contese, oscuri la sua vittoria. Considera ora chi sono quelli che
ascoltano questi precetti duri e impegnativi: individui pusillanimi e
incolti, illetterati e ignoranti, del tutto insignificanti, che mai erano
stati formati nelle leggi secolari !, che non irrompevano nelle piazze;
pescatori, pubblicani, pieni di innumerevoli difetti. Se questi pre­
cetti erano capaci di sconvolgere anche persone magnanime e di ele­
vato sentire, come non avrebbero potuto abbattere e sconcertare
coloro che erano del tutto ignoranti e non avevano mai immaginato
nulla di sublime? Ma non li abbatterono. E certo a ragione, forse
qualcuno potrebbe dire, perché aveva dato loro il potere di guarire
i lebbrosi, di scacciare i demoni. Ma io potrei replicare che proprio
questo avrebbe potuto soprattutto turbarli, che cioè, pur resusci­
tando i morti, avrebbero subito questi mali insostenibili, tribunali,
supplizi, guerre da parte di tutti, l’odio generale del mondo, e che
sventure di tal genere li attendevano, benché operassero prodigi.
Qual era dunque il conforto in tutto ciò? La potenza di chi li invia­
va. Perciò ha indicato questo prima di tutto dicendo: Ecco, io vi
mando. Basta ciò a confortarvi; basta ciò a incoraggiarvi e a non far­
vi temere nessuno degli assalitori.
2. Hai visto la sua autorità? Hai visto il suo potere? Hai v
la sua potenza invincibile? Le sue parole vogliono dire: Non tur­
batevi perché, inviandovi tra i lupi, vi ordino di essere come pe­
core e colombe. Avrei certo potuto fare il contrario e non permet­
tere che subiste alcun male, né che foste esposti ai lupi come pe­
core, ma avrei potuto rendervi più temibili dei leoni; però è utile
che avvenga così: questo vi rende più fulgidi, questo proclama an­
che la mia potenza. Lo diceva anche a Paolo: Ti basta la mia gra­
zia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza d.

d 2 Cor 12, 9.

1 Cioè di ambito pagano, profano.


120 Omelie sul Vangelo di Matteo

Io dunque vi ho resi così. Quando dice: Vi mando come pecore, al­


lude a questo: Non perdetevi d’animo perché so, so chiaramente
che soprattutto così sarete invincibili per tutti.

U n ir e l a p r u d e n z a a l l a s e m p l ic it à

Quindi, perché dessero anche il loro contributo e non sem­


brasse che tutto dipendesse dalla grazia, perché non pensassero che
venivano ricompensati a caso e senza motivo, dice: Siate dunque
prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Ma, si potreb­
be obiettare, a che potrebbe valere la nostra prudenza in così gran­
di pericoli? Come insomma potremo essere prudenti, essendo
sommersi da flutti così imponenti? Per quanto una pecora possa
essere prudente in mezzo ai lupi, e lupi così feroci, che vantaggio
potrà ottenere? Per quanto semplice possa essere la colomba, a che
gioverà, sotto l’incalzare di tanti sparvieri? Nel caso degli animali
irrazionali, non servirà a nulla, ma nel caso vostro, moltissimo.
Ma vediamo quale prudenza richiede in questa occasione:
quella del serpente, dice. Come infatti questo abbandona tutto e an­
che se si deve tagliare il corpo stesso non se ne cura molto, in modo
da conservare la testa, così, vuol dire, anche tu lascia tutto tranne la
fede, anche se si deve rinunciare alle ricchezze, al corpo, alla vita
stessa. Quella è la testa e la radice; se la conservi, anche se perdi tut­
to, recupererai tutto di nuovo con maggior splendore. Perciò non
ha ordinato di essere soltanto semplici e non artefatti, né solo pru­
denti, ma ha contemperato entrambi questi elementi perché dive­
nissero virtù, assumendo la prudenza del serpente perché non si ve­
nisse colpiti mortalmente, e la semplicità della colomba perché non
si rendesse il contraccambio a coloro che fanno del male, né ci si
vendicasse di quelli che tramano insidie; non c’è infatti alcun van­
taggio nella prudenza se non si unisce la semplicità. Che ci potreb­
be essere di più vigoroso di queste prescrizioni? Non bastava esse­
re maltrattati? No, dice, ma neppure ti permetto di irritarti. Così è
la colomba: come se uno, gettando nel fuoco una canna, ordinasse
non che fosse bruciata dal fuoco, ma che spegnesse il fuoco. Ma non
Omelia 33, 2-3 121

turbiamoci: queste cose si sono verificate, si sono compiute, sono


state dimostrate nelle loro opere; essi sono divenuti prudenti come
i serpenti e semplici come le colombe, senza essere di un’altra natu­
ra, ma della stessa nostra natura. Nessuno pensi dunque che tali pre­
cetti siano impossibili. Egli stesso, prima di ogni altro, conosce la
natura delle cose; sa che l’arroganza non si estingue con l’arrogan­
za, ma con la mitezza. Se vuoi vederlo realizzarsi nei fatti, leggi il li­
bro degli Atti degli apostoli e vedrai quante volte essi, mentre il po­
polo giudaico insorgeva contro di loro e affilava i denti, imitando la
colomba e rispondendo con la dovuta mitezza, posero fine alla loro
collera, placarono la loro follia, annullarono il loro assalto. Difatti,
poiché essi dicevano: Non vi avevamo ordinato di non parlare nel no­
me di costui?e, benché potessero fare innumerevoli prodigi, non dis­
sero né fecero nulla di aspro, ma si difesero con totale mansuetudi­
ne dicendo: Giudicate se sia giusto obbedire a voi piuttosto che a
Dio1. Hai visto la semplicità della colomba? Guarda la prudenza del
serpente: Noi non possiamo tacere quello che conosciamo e abbiamo
ascoltato s. Hai visto come si debba essere attenti in ogni modo, per
non essere schiacciati dai pericoli né esasperati dalla collera? Perciò
diceva: Guardatevi dagli uomini perché vi consegneranno ai loro tri­
bunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; sarete condotti per cau­
sa mia davanti ai governatori e ai re, per dare testimonianza a loro e
ai pagani h. Li prepara di nuovo ad essere vigilanti, ovunque per­
mettendo che subissero il male e consentendo agli altri di farlo, per­
ché si apprendesse che la vittoria sta nel subire il male, e così ha in­
nalzato splendidi trofei. Non ha detto: Combattete anche voi e op­
ponetevi a coloro che vogliono maltrattarvi, ma soltanto: Andrete
incontro alle più grandi sofferenze.

Le pr o v e a ffr o n ta te d a g l i a p o st o li

3. Ah, che grande potenza c’è in chi parla così! Che gra
filosofia in coloro che lo ascoltavano! E giusto meravigliarsi assai

e At 5, 28. 1At 4,19. e At 4, 20. h Mt 10,17-18.


122 Omelie sul Vangelo di Matteo

del fatto che essi, uomini timorosi, che non erano mai andati al di
là di quel lago, presso il quale pescavano, nell’udire queste cose
non scapparono via subito, non pensarono né dissero a sé stessi:
«Dove fuggiremo poi? Sono contro di noi i tribunali, i re, i go­
vernatori, le sinagoghe dei giudei, le popolazioni pagane, i gover­
nanti e i governati». Con quelle parole non indicò loro soltanto la
Palestina e preannuncio le sventure che in essa si sarebbero veri­
ficate, ma dischiuse loro anche le guerre che si sarebbero scate­
nate in tutta la terra dicendo: sarete condotti davanti ai re e ai go­
vernatori, e facendo vedere che li avrebbe inviati successivamen­
te come araldi anche per le genti. Dopo averci reso ostile il mon­
do, hai armato contro di noi tutti gli abitanti della terra, popoli,
tiranni, re. Quanto segue è molto più orribile, dal momento che
per causa nostra gli uomini sarebbero diventati uccisori dei fra­
telli, dei figli, dei padri. Il fratello, dice, manderà alla morte il fra­
tello e il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li fa ­
ranno morire ». Ma, si potrebbe obiettare, come potranno credere
gli altri quando vedranno i figli uccisi dai padri a causa nostra, i
fratelli dai fratelli e tutto pieno di abominio? Non ci cacceranno
da ogni parte come demoni rovinosi, come maledetti e corrutto­
ri della terra, vedendo la terra piena del sangue dei congiunti e di
tali uccisioni? Proprio una bella pace introdurremo nelle case,
riempiendole di tante stragi! Se fossimo molti e non dodici, se non
fossimo incolti né illetterati, ma sapienti, retori, abili nel parlare,
anzi se fossimo re, con eserciti e abbondanza di ricchezze; come
potremmo convincere qualcuno se facciamo scoppiare guerre in­
testine, molto più funeste di quelle intestine? Anche se non ci cu­
riamo della nostra salvezza, chi degli altri ci presterà attenzione?
Non pensarono però né dissero niente di ciò, né chiesero conto di
quei precetti, ma cedettero e obbedirono soltanto, e questo non
dipendeva soltanto dalla loro virtù, ma anche dalla sapienza del
Maestro.

‘ Mt 10,21.
Omelia 33, 3 123

M o t iv i d i c o n f o r t o p e r i d is c e p o l i d i C r ist o

Considera come a ciascun male abbia imito il conforto. Ri­


guardo a quelli che non li avrebbero accolti, disse: Nel giorno del
giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopporta­
bile di quella città i. Qui d’altra parte, dopo aver detto: sarete con­
dotti davanti ai governatori e ai re, ha aggiunto: per causa mia, per
dare testimonianza a loro e ai pagani. Non è questa una piccola
consolazione, andare incontro a queste sofferenze per amore di
Cristo e a loro confutazione. Dio infatti, anche se nessuno presta
attenzione, si rivela come colui che fa sempre quello che gli è pro­
prio. Li confortava così, non perché desiderassero il castigo degli
altri, ma perché avessero fiducia di avere sempre accanto a sé lui
che aveva predetto e sapeva in anticipo queste cose, e confidasse­
ro che non avrebbero sofferto ciò in quanto malvagi e corruttori.
Inoltre aggiunge per essi un’altra, non piccola consolazione dicen­
do: Quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che
cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che
dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre
vostro che parla in voik. Perché non dicessero: «Come potremo es­
sere convincenti, se ci accadranno tali cose?», ordina di aver fidu­
cia anche riguardo alla loro difesa. In un altro passo dice: Io vi da­
rò bocca e sapienza *; qui invece: È lo Spirito del Padre vostro che
parla in voi, innalzandoli alla dignità dei profeti. Perciò, quando
parlò della potenza loro concessa, aggiunse anche le sventure, le
uccisioni e le stragi. Il fratello, dice, manderà alla morte il fratello
e il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno
morire. E non si fermò qui, ma aggiunse anche quanto era molto
più orribile, capace di scuotere una roccia: Sarete odiati da tuttim.
Anche qui di nuovo è alle porte il conforto: a causa del mio nome*,
dice, soffrirete questo. E oltre a ciò ancora un’altra considerazio­
ne: Ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato °. Anche in altro

i Mt 10, 15. k Mt 10, 19-20. 1 Le 21, 15. m Mt 10, 22.


n Ibid. ° Ibid.
124 Omelie sul Vangelo di Matteo

modo questo era capace di risollevare il loro animo, se è vero che


una così grande potenza avrebbe investito la predicazione, che la
natura sarebbe stata disprezzata, la parentela rifiutata e sarebbe
stata anteposta a tutto la parola che con la sua forza avrebbe tra­
volto ogni cosa. Se infatti la tirannia della natura non ha la forza di
contrastare tali parole2, ma viene dissolta e annullata, che altro po­
trà avere la meglio su di voi? Nulla certamente, perché sarà così e
la vostra vita sarà al sicuro, ma avrete come nemici e avversari co­
muni gli abitanti della terra.

S u p e r io r it à d e g l i a p o s t o l i su i f il o s o f i
E SU ILLUSTRI PERSONAGGI DEL PASSATO

4. Dov’è ora Platone? Dove Pitagora? Dove la frotta d


Stoici? Quello3, dopo aver goduto di molto onore, fu così disprez­
zato da essere perfino venduto, e da non raggiungere nessuno de­
gli obiettivi che avrebbe voluto, neppure presso un solo tiranno,
ma, dopo aver tradito i discepoli, terminò la vita in modo misere­
vole 4. Tutti poi hanno trascurato, come sogno e ombra, le bassez­
ze dei cinici. Eppure non capitò mai ad essi nulla di simile 5, ma
anzi sembravano illustri per la loro filosofia profana, e gli ateniesi
celebrarono pubblicamente le lettere di Platone inviate da Dione6.
Passavano tutto il tempo nella rilassatezza ed avevano non poche

2 Le parole di Cristo.
3 Platone.
4 Diogene Laerzio, nelle Vite deifilosofi ΙΠ, 19-20, dice che Dionigi il Vec­
chio, tiranno di Siracusa, sospettoso per i progetti di riforma politica elaborati
da Platone, lo fece vendere sul mercato di Egina. Della perdita della libertà da
parte di Platone, Crisostomo parla anche nell’omelia 4,4 su 1 Cor. Ancora Dio­
gene Laerzio, nelle Vite dei filosofi ΠΙ, 2, riporta la notizia che, secondo Er-
mippo, Platone sarebbe morto mentre prendeva parte ad un convito nuziale.
5 Vale a dire subire patimenti come quelli degli apostoli.
6 Amico di Platone, nel 357 occupò Siracusa, scacciando Dionigi il Gio­
vane, tiranno della città; dopo averla governata per alcuni anni, nel 354 fu vit­
tima di una congiura promossa dall’ateniese Callippo.
Omelia 33, 3-4 125

ricchezze. Così Aristippo acquistava prostitute assai costose7; uno


scriveva testamenti, lasciando un’eredità non di poco conto; un al­
tro camminava sopra i discepoli che formavano come un ponte;
dicono poi che quello di Sinope8 si comportasse in modo sconve­
niente pubblicamente in piazza. Queste sono le loro grandiose im­
prese! Nel caso degli apostoli però non si riscontra niente di simi­
le, ma una intensa temperanza, un perfetto decoro, la guerra con­
tro il mondo intero per la verità e la pietà, l’essere uccisi ogni gior­
no e dopo ciò la conquista di splendidi trofei.
Ma, si potrebbe obiettare, i pagani ebbero anche dei generali
quali Temistocle, Pericle. Ma questi sono giochi di bambini in con­
fronto con le imprese di quei pescatori. Che cosa potresti dire? Che
persuase 9 gli ateniesi a salire sulle navi quando Serse fece una spe­
dizione contro la Grecia? Ma qui ebbero la meglio e prevalsero non
sull’assalto di Serse, ma sul diavolo, insieme a tutta la terra, e innu­
merevoli demoni che si avventavano contro questi dodici, non in
una sola circostanza, ma durante tutta la vita. E quello che è mera­
viglioso è che lo fecero senza eliminare gli avversari, ma cambian­
doli e trasformandoli. Si deve sempre considerare soprattutto que­
sto, che non eliminarono né annientarono coloro che tramavano in­
sidie contro di essi, ma, dopo averli presi che erano come demoni,
li resero pari agli angeli, liberando la natura umana da questa mal­
vagia tirannia e scacciando quei demoni malefici, che sconvolgeva­
no tutto, dalle piazze e dalle case, anzi dal deserto stesso. Lo atte­
stano le schiere dei monaci, che piantarono ovunque, purificando
non solo la terra abitata, ma anche quella disabitata. Ma quello che
è più prodigioso è che non lo facevano combattendo alla pari, ma
realizzavano tutto mentre venivano maltrattati. Difatti avevano da­
vanti dodici uomini ignoranti, che incatenavano, fustigavano, por­
tavano di qua e di là, ma non erano capaci di metterli a tacere; co­
me però è impossibile imprigionare il raggio del sole, così non po­

7 Cf. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi II, 8.67.


8 Diogene, il filosofo cinico.
9 Temistocle, che nel 480 a.C. sconfisse i Persiani nella battaglia di Sala­
mina.
126 Omelie sul Vangelo di Matteo

tevano bloccare la loro lingua. Il motivo consisteva nel fatto che


non erano essi a parlare, ma la potenza dello Spirito. Così Paolo
vinse Agrippa10 e Nerone, che superava in malvagità tutti gli uo­
mini. Il Signore però, dice, mi è stato vicino e mi ha dato forza, e mi
ha liberato dalla bocca del leone n . Del resto ammirali perché, ascol­
tando: Non preoccupatevi, gli credettero e lo accettarono né furono
spaventati da nessuna di quelle terribili previsioni. Se dici che det­
te loro un sufficiente motivo di conforto dicendo: Sarà lo Spirito del
Padre vostro a parlare, per questo soprattutto li ammiro, perché non
dubitarono né chiesero di essere liberati da quei mali, benché aves­
sero la prospettiva di subirli non per due o tre anni, ma per tutta la
vita. Le parole infatti: Chi persevererà fino alla fine sarà salvato, al­
ludono a questo. In effetti non vuole che ci sia soltanto il suo con­
tributo, ma che le opere buone siano realizzate anche da essi. Con­
sidera come fin dal principio alcune cose vengano da lui, altre di­
pendano dai discepoli. Compiere i miracoli era proprio di lui, men­
tre non possedere nulla toccava a loro. Ancora, aprire tutte le case
dipendeva dalla grazia celeste, mentre non chiedere nulla di più del
necessario, era riservato alla loro filosofia: L’operaio infatti ha dirit­
to alla sua ricompensa p . Elargire la pace era frutto del dono divino,
mentre cercare quelli che fossero degni e non entrare da tutti indi­
scriminatamente, dipendeva dalla loro temperanza. Ancora, puni­
re quelli che non li accoglievano spettava a lui, mentre ritirarsi da
costoro con mitezza senza oltraggiarli né insultarli, dipendeva dal­
la mansuetudine degli apostoli. Concedere lo Spirito e non farli sta­
re nelle preoccupazioni, dipendeva da chi li inviava, mentre essere
come pecore e colombe e sopportare tutto fortemente spettavano
al loro vigore e alla loro accortezza. Essere odiati e non perdersi

P Mt 10, 10.

10 Si tratta del re Agrippa II, davanti al quale Paolo pronunciò un di­


scorso assai efficace e persuasivo secondo At 26, 2ss.
11 2 Tm 4, 17; nel leone Crisostomo, come anche Eusebio di Cesarea
{Storia ecclesiastica II, 22, 4), mostra di veder raffigurato Nerone.
Omelia 33, 4-5 127

d’animo, ma perseverare, dipendeva da loro; salvare invece quelli


che perseveravano, toccava a chi li inviava. Perciò diceva: Chi per­
severerà fino alla fine sarà salvato.

C r is t o r ic h ie d e l a p e r s e v e r a n z a

5. Poiché i più sono soliti all’inizio essere zelanti, ma poi a


nuare il loro fervore, per questo motivo dice: «Richiedo la perse­
veranza fino alla fine». Che vantaggio c’è infatti nei semi che all’i­
nizio fioriscono, ma poco dopo deperiscono? Perciò esige da essi
una perseveranza durevole. Perché nessuno dicesse che aveva fat­
to tutto lui e non c’era affatto da meravigliarsi che essi fossero di­
ventati quello che erano non avendo patito nulla di grave, per que­
sto motivo dice ad essi: «Vi occorre la perseveranza. Anche se in­
fatti vi strappo ai primi pericoli, vi riservo per altri più gravi e do­
po di essi ne seguiranno ancora altri; non cesserete di subire insi­
die finché avrete respiro». Ha alluso a questo dicendo: Chi perse­
vererà fino alla fine sarà salvato. Perciò avendo detto: Non preoc­
cupatevi di che cosa dovrete dire, in un altro passo dice: Siate pron­
ti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è
in voi q. Quando la lotta è tra amici, ordina anche a noi di preoc­
cuparci, ma quando ci sono un tribunale temibile, popoli furenti e
paura da ogni parte, offre il suo aiuto in modo che abbiamo fidu­
cia, parliamo, non ci facciamo spaventare e non tradiamo la giu­
stizia. Era in effetti uno spettacolo assai grandioso che, mentre i ti­
ranni erano assisi in giudizio, alla presenza di governatori e guar­
die, con le spade sguainate, e mentre tutti stavano ritti con loro, un
uomo che aveva lavorato intorno ad un lago e si era occupato di
pelli e dell’esazione delle imposte 12, entrasse solo, incatenato, a

q 1 Pt 3, 15.

12 Crisostomo si riferisce ai mestieri degli apostoli alludendo, oltre a


quello dei pescatori, a quello del fabbricante di tende (Paolo: cf. At 18, 3) e
del pubblicano (Matteo).
128 Omelie sul Vangelo di Matteo

capo chino ed avesse la forza di aprire la bocca. Non davano loro


la possibilità di parlare né di difendere le loro dottrine, ma cerca­
vano di mandarli al supplizio come fossero comuni corruttori del­
la terra. Quelli che mettono il mondo in agitazione sono anche qui,
dice; e ancora: Vanno contro i decreti di Cesare, affermando che Cri­
sto Gesù è re r. Ovunque i tribunali erano prevenuti con simili so­
spetti e occorreva un grande aiuto celeste per dimostrare entram­
bi i concetti, che la dottrina che annunciavano era vera e che non
minavano le leggi comuni, che, sforzandosi di esporre la dottrina,
non cadevano nel sospetto di sovvertire le leggi, né d’altra parte,
sforzandosi di dimostrare che non sovvertivano il comune assetto
politico, corrompevano la perfezione delle dottrine. Vedrai che
tutti questi obiettivi furono raggiunti, con la dovuta accortezza, da
Pietro, da Paolo e da tutti gli altri. Venivano accusati ovunque nel
mondo di essere sediziosi, rivoluzionari e innovatori, ma tuttavia
respinsero questo sospetto e si procurarono un’opinione contra­
ria, in quanto venivano proclamati da tutti salvatori, tutori e be­
nefattori. Ottennero tutto questo con una grande perseveranza.
Perciò Paolo diceva: Muoio ogni giorno s e continuò a correre pe­
ricoli fino alla fine.

C o n t r a st o c o n l a s it u a z io n e p r e s e n t e

Che cosa non meriteremmo noi che, pur avendo tanti esempi,
anche nella pace ci rammolliamo e ci perdiamo d’animo? Senza
che nessuno ci faccia la guerra veniamo annientati, senza che nes­
suno ci perseguiti ci abbattiamo; ci si ordina di essere salvati in
condizione di pace, ma non siamo capaci neppure di questo. Essi,
mentre il mondo ardeva e il rogo era acceso in tutta la terra, en­
trando dall’intemo, strappavano via dalla fiamma quelli che veni­
vano bruciati; tu invece non puoi tutelare neppure te stesso. Qua­
le fiducia avremo? Quale indulgenza? Non incombono le sferzate,

r At 17, 6-7. S 1 Cor 15, 31.


Omelia 33, 5-6 129

la prigionia, i governanti, le sinagoghe, nient’altro di simile, ma an­


zi c’è tutto il contrario, siamo noi che governiamo e dominiamo13.
Difatti i re sono devoti, i cristiani hanno molti onori, posti di pri­
mo piano, gloria, facilitazioni, ma nemmeno così riusciamo vinci­
tori. Quelli però, pur essendo condotti al supplizio ogni giorno, sia
che fossero maestri o discepoli, pur avendo innumerevoli piaghe
da sferzate e continue ferite, gioivano più di coloro che vivono in
paradiso; noi invece, che non sopportiamo nulla di simile neppu­
re in sogno, siamo più molli di qualsiasi cera. Ma quelli, si potreb­
be obiettare, facevano miracoli. Per questo forse non venivano fu­
stigati? Per questo non venivano perseguitati? Il fatto straordina­
rio è che spesso soffrivano tali mali da parte di coloro che veniva­
no beneficati, ma nemmeno in questo caso rimanevano turbati,
pur ricevendo male invece che bene; tu invece, se fai a qualcuno
un piccolo beneficio e poi ne ricavi qualche molestia, ti turbi, ri­
mani sconvolto e ti penti di quello che hai fatto.

E se r c it a r si n e l l a l o t t a : l ’e s e m p io d i G io b b e

6. Se quindi accadesse - che Dio non voglia che si verif


mai! -, che scoppiasse una guerra contro le Chiese e ci fosse una
persecuzione, pensa quanto grande sarebbe la derisione, quanto
grande l’infamia. E certo a ragione, perché se nessuno si esercita
in palestra, come si potrà essere brillanti nei combattimenti? Qua­
le adeta, che non conosca allenatore, potrà, al momento della con­
vocazione dei giochi olimpici, dare prova di qualcosa di grande e di
valoroso contro il suo avversario? Non dovremmo noi ogni giorno
combattere, lottare, correre? Non vedete che quelli che vengono
detti pentadeti, quando non hanno nessun avversario, riempiono
un sacco con molta sabbia, lo appendono ed esercitano contro di

13 Crisostomo si riferisce al fatto che ormai gli imperatori erano cristia­


ni e il cristianesimo era diffuso ovunque. Si tenga presente che nel 380 Teo­
dosio con un editto aveva imposto il Credo niceno in tutto l’impero.
130 Omelie sul Vangelo di Matteo

esso tutta la loro forza? E quelli che sono più giovani di questi si
esercitano alla lotta contro gli avversari servendosi del corpo dei
loro compagni? Imita questi anche tu e esercitati nelle lotte della
filosofia. Molti infatti provocano alla collera, spingono alla concu­
piscenza e accendono una grande fiamma. Resisti dunque contro
le passioni, sopporta fortemente le afflizioni dell’animo per soste­
nere anche quelle del corpo. Il beato Giobbe, se non si fosse eser­
citato bene prima di affrontare le lotte, non avrebbe brillato in es­
se così splendidamente; se non si fosse allenato ad essere libero da
ogni sconforto, in occasione della morte dei figli, avrebbe detto
qualche cosa di audace14. Ora invece egli resistette a tutte le lotte,
alla perdita delle ricchezze e alla scomparsa di una così grande ab­
bondanza di beni, alla perdita dei figli, alla compassione della mo­
glie, alle piaghe del corpo, agli insulti degli amici, alle offese dei
servi. Se vuoi poi renderti conto di come si esercitasse, ascolta le
sue parole, come disprezzasse le ricchezze: Se godevo, dice, della
grande ricchezza che avevo, se ho messo l’oro allo stesso posto della
polvere, se ho avuto fiducia nella pietra preziosa '. Perciò non si tur­
bava quando quelle cose gli furono strappate, perché non le desi­
derava nemmeno quando c’erano. Ascolta come regolasse quanto
riguardava i figli, senza essere debole oltre il dovuto, come noi, ma
esigendo da essi ogni perfezione. Egli che offriva un sacrificio an­
che per colpe non manifeste, pensa come fosse giudice rigoroso di
quelle palesi15. Se vuoi sentir parlare anche delle sue lotte per la
temperanza, ascolta le sue parole: Avevo stretto un patto con gli oc­
chi miei, di non fissare una vergine u. Perciò la moglie non lo ab­
batté; certamente egli l’amava anche prima, non però oltre misu­
ra, ma come è ragionevole che si ami la moglie. Di qui mi viene da

z Cf. Gb 31,25.24. “ G b31, 1.

14 Avrebbe cioè parlato contro Dio, come gli suggeriva la moglie: cf. Gb
2,9.
15 Cf. Gb 1,5: Giobbe offriva olocausti nell’eventualità che i figli aves­
sero offeso Dio nel loro cuore.
Omelia 33, 6 131

meravigliarmi di come il diavolo, pur conoscendo i suoi esercizi,


abbia avuto l’idea di promuovere queste lotte contro di lui. Come
dunque gli è venuto in mente? E una belva malvagia e non dispe­
ra mai; è per noi un grandissimo capo di imputazione il fatto che
mentre egli non perde mai la speranza di rovinarci, noi invece di­
speriamo della nostra salvezza. Ma considera come meditasse 16
sulle lesioni e sulla rovina del corpo. Poiché non aveva mai subito
niente di simile, ma viveva continuamente nella ricchezza, nell’ab­
bondanza e nell’agiatezza, immaginava ogni giorno le altrui dis­
grazie; manifestando questo concetto diceva: Ciò che ho temuto mi
è accaduto e quello che mi spaventava mi ha raggiunto v. E ancora:
Ho pianto per ognuno che fosse invalido e mi sono afflitto vedendo
un uomo nella necessità w. Perciò non lo turbava nulla di quello che
gli capitava, nulla di quei mali gravi e insopportabili. Non consi­
derare la perdita delle ricchezze, la privazione dei figli, quella pia­
ga insanabile x, le insidie della moglie y, ma quello che è molto più
grave di questo. Ma, si potrebbe obiettare, che cosa più grave di
questo patì Giobbe? Certamente dalla sua storia non sappiamo
nulla più di questo. Poiché dormiamo, non lo sappiamo, ma chi si
dà da fare e cerca bene la perla17, saprà molto più di questo. Al­
tro era quello che era più grave e poteva infondergli un turba­
mento maggiore. Innanzitutto il fatto di non sapere nulla di chia­
ro sul regno dei cieli e sulla resurrezione; dolendosi di questo di­
ceva: Non vivrò in eterno perché possa essere paziente7·. In secondo
luogo, il fatto di essere consapevole delle molte sue opere buone.
In terzo luogo, il fatto di non essere consapevole di aver compiu­
to nulla di male. In quarto luogo, il fatto di ritenere che avesse
queste sofferenze da parte di Dio; anche se avesse ritenuto che

v Gb 3, 25. w Gb 30, 25. * Cf. Gb 2, 7. x Cf. Gb 2, 9.


z Gb 7, 16.

16 II soggetto sottinteso è Giobbe.


17 L’allusione è alla parabola del mercante che va in cerca di perle pre­
ziose: cf. Mt 13, 45-46.
132 Omelie sul Vangelo di Matteo

provenissero dal diavolo, sarebbe stato sufficiente a scandalizzar­


lo. In quinto luogo, il fatto di udire che i suoi amici lo accusavano
di iniquità: Non sei stato colpito, dice, in modo degno dei tuoi pec­
catiaa. In sesto luogo, il fatto di vedere che coloro che vivevano ini­
quamente se la passavano bene e si facevano beffe di lui. In setti­
mo luogo, il fatto di non poter vedere che altri avesse mai patito
simili sofferenze.

F ortezza di G io b b e , c h e n o n e r a in f e r io r e a g l i a p o s t o l i

7. Se vuoi sapere che grande valore abbia questo, pensa


realtà presente. Se infatti ora che si attende il regno, si spera nella
resurrezione e nei beni ineffabili, pur essendo consapevoli di innu­
merevoli colpe ed avendo tanti esempi e partecipando ad una filo­
sofia così grande, se alcuni perdono un po’ d’oro, per giunta spes­
so frutto di rapina, ritengono che la vita sia insopportabile, benché
non ci sia una moglie che incombe, non siano stati portati via i fi­
gli, non ci siano gli oltraggi degli amici né gli insulti dei servi, ma
anzi ci siano molti che incoraggiano, alcuni con la parola, altri con
le opere; quante ricompense non meriterebbe quell’uomo che si vi­
de portare via senza motivo e come capitava ciò che era stato mes­
so insieme con giuste fatiche e dopo tutto ciò affrontò innumere­
voli tempeste di tormenti, e pure rimase in tutto immutabile e per
queste prove offrì al Signore il dovuto rendimento di grazie? 18. Se
pure nessuno non avesse detto nient’altro, solo le parole di sua mo­
glie sarebbero state capaci di scuotere violentemente una roccia.
Guarda la sua malizia. Non fa riferimento alle ricchezze, non men­
ziona i cammelli, le greggi, le mandrie, perché era consapevole del-

aa G b 11,6.

18 Con efficacia retorica Crisostomo suggella questo lungo periodo con


il t. eucharistia che sintetizza l’atteggiamento comunque grato e riconoscente
di Giobbe nei confronti di Dio.
Omelia 33, 6-7 133

la filosofia del marito riguardo a queste cose, ma ricorda quello che


era più duro di tutto ciò, intendo dire la perdita dei figli, e ampli­
fica quella tragedia e aggiunge del suo 19. Se spesso le mogli sono
state molto persuasive nei confronti dei mariti che pure si trovava­
no nella prosperità e non soffrivano nulla di spiacevole, pensa co­
me sia stata vigorosa quell’anima che respinse quella donna che con
tante armi l’assaliva e schiacciò due passioni assai tiranniche, il de­
siderio e la compassione. Certamente molti che hanno vinto il de­
siderio, sono stati piegati dalla compassione. Quel nobile Giusep­
pe dominò il piacere più tirannico e allontanò da sé quella donna
barbara che faceva mostra dei suoi innumerevoli accorgimenti20;
non riuscì però a frenare le lacrime, ma, vedendo i fratelli che gli
avevano fàtto del male, fu arso dalla commozioneab e, gettata pre­
sto la maschera, rivelò quanto aveva inscenato21. Se è la moglie che
parla con tono compassionevole e ha la cooperazione della circo­
stanza, delle ferite, delle piaghe e delle innumerevoli ondate delle
sciagure, come non si potrebbe dichiarare giustamente che l’anima,
che rimane impassibile di fronte ad una tempesta così grande, è più
forte di qualsiasi acciaio? Concedetemi di dire con franchezza che
questo beato era, se non più grande, non inferiore però agli apo­
stoli. Li confortava certamente il fatto di soffrire per Cristo; questo
rimedio era così capace di risollevarli ogni giorno, che il Signore lo
indicava sempre dicendo: per me e a causa mia, e: Se hanno chia­
mato Beelzebul me, il padrone di casa ac. Giobbe invece era privo di

ab Cf. Gn 43, 30. acMtlO,25.

19 Crisostomo allude qui a Gb 2, 9-9e secondo la versione dei LXX che,


rispetto al testo ebraico, amplifica molto il discorso della moglie di Giobbe
inserendo anche il riferimento ai figli perduti; cf. in proposito C. Broc, La
{emme de Job dans la prédication de Jean Cbrysostome, «Studia Patristica» 37
(2001), pp. 396-397.
20 La moglie dell’egiziano Potifar, comandante delle guardie del Farao­
ne, cercò di unirsi a Giuseppe che rifiutò: cf. Gn 39, 7ss.
21 Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli, mentre in un primo mo­
mento si era comportato con essi come un estraneo: cf. Gn 42, 7; 45, 4.
134 Omelie sul Vangelo di Matteo

questo conforto, di quello derivante dai miracoli e dalla grazia, per­


ché non aveva una così grande potenza dello Spirito 22. Quello che
era più significativo consisteva nel fatto che soffriva tutto ciò che
soffriva pur essendo cresciuto in grande agiatezza, non provenen­
do da pescatori, da pubblicani, da persone che avevano trascorso
una vita insignificante, ma avendo goduto di un onore così grande.
Egli sopportò anche quello che per gli apostoli sembrava essere più
duro, essendo odiato dagli amici, dai servi, dai nemici, da quelli che
da lui avevano ricevuto benefici, e non poteva vedere quella sacra
ancora, quel porto tranquillo, che era quanto era stato detto agli
apostoli: a causa mia ad.

C o n fr o n to c o n i t r e g io v a n i n e l l a f o r n a c e

Ammiro anche quei tre giovani, perché ebbero il coraggio di


affrontare la fornace, perché resistettero al tiranno. Ma ascolta che
cosa dicono: Non serviamo i tuoi dei e non adoriamo la statua che
hai erettoae. Era per essi un grandissimo conforto il fatto di sape­
re chiaramente che soffrivano tutto quello che soffrivano per amo­
re di Dio. Giobbe invece non sapeva che le sue sofferenze erano
lotte e prove; se l’avesse saputo, non avrebbe avvertito quanto gli
capitava. Quando udì: Pensi che ti abbia risposto per altro motivo
se non perché tu apparissi giusto? 23, considera come si sia risolle­
vato subito per effetto di queste semplici parole, come abbia an­
nichilito se stesso, come non abbia creduto di aver sofferto quello
che aveva sofferto, dicendo così: Perché sono ancora giudicato, dal
momento che, quando ascolto simili cose, sono ammonito e ripreso
dal Signore, io che non sono nulla? 24. E ancora: Prima ti avevo

*d Cf. Mt 10,18. ae Dn 3,18.

22 In quanto non era stato ancora elargito pienamente il dono dello Spi­
rito.
23 Gb 40, 8 secondo la versione dei LXX.
24 Gb 40, 4 secondo la versione dei LXX.
Omelia 33, 7 135

ascoltato con le mie orecchie, ma ora ti ha visto il mio occhio; perciò


ho disprezzato me stesso e mi sono dissolto e mi considero terra e ce­
nere25.
Imitiamo dunque anche noi questo coraggio, questa mansue­
tudine, noi che siamo venuti dopo la legge e la grazia, mentre lui è
vissuto prima della legge e della grazia, per poter condividere con
lui le dimore eterne. Voglia il cielo che tutti noi le raggiungiamo,
per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia­
no la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

25 Gb 42,5-6 secondo la versione dei LXX.


OMELIA 34

Quando vi perseguiteranno in questa città, fuggite in un’altra. In ve­


rità vi dico: Non finirete di percorrere le città di Israele finché non
venga il Figlio dell’uomo a.

G esù è v ic in o a i s u o i d is c e p o l i n e i p e r ic o l i

1. Dopo aver parlato di quegli eventi spaventosi e terribil


paci di dissolvere l’acciaio, che sarebbero capitati loro dopo la cro­
cifissione, la resurrezione e l’ascensione, riconduce il discorso a
realtà più miti, facendo respirare i suoi adeti e offrendo loro una
grande sicurezza. Non ordinò loro, se venivano perseguitati, di an­
dare allo scontro, ma di fuggire. Poiché per il momento si era agli
inizi, alla fase preliminare, si serve di un linguaggio improntato a
maggior condiscendenza. Non parla delle persecuzioni che si sa­
rebbero verificate dopo questi eventi, ma di quelle anteriori alla
crocifissione e alla passione. Lo ha manifestato dicendo: Non fini­
rete di percorrere le città di Israele finché non venga il Figlio del­
l’uomo. Perché non dicessero: «Che accadrà se, quando saremc
perseguitati, fuggiremo e di nuovo ci raggiungeranno là e ci cac
ceranno via?», per eliminare questo timore dice: «Non percorre
rete prima la Palestina e subito vi raggiungerò». Osserva come an
che qui non elimini le sventure, ma si metta accanto a loro nei pe
ricoli, perché non ha detto: «Vi strapperò ad essi e annullerò 1<
persecuzioni», ma che cosa? Non finirete di percorrere le città d

a Mt 10,23.
Omelia 34, 1 137

Israele finché non venga il Figlio dell’uomo. Vederlo soltanto era


sufficiente a confortarli. Considera come in ogni circostanza non
affidi tutto alla grazia, ma ordini che diano anch’essi il loro con­
tributo. Se avete paura, dice, fuggite; lo ha indicato dicendo: Fug­
gite, e: Non abbiate paura b. Non ha ordinato ad essi di fuggire per
primi, ma di ritirarsi se vengono perseguitati, e non prospetta loro
di allontanarsi a grande distanza, ma solo di andare in giro per le
città di Israele. Poi li prepara ad affrontare un altro aspetto del
comportamento improntato a filosofia, in primo luogo eliminando
la preoccupazione del nutrimento, in secondo luogo scacciando la
paura dei pericoli e ora quella della maldicenza. Li ha liberati dal­
la preoccupazione del sostentamento dicendo: L’operaio ha diritto
alla sua ricompensac e mostrando che molti li avrebbero accolti;
poi li ha affrancati dall’angoscia per i pericoli dicendo: Non preoc­
cupatevi di come o di che cosa dovrete dire, e: Chi persevererà fino
alla fine sarà salvato d.

G esù c o n f o r t a i su o i d is c e p o l i

Poiché, oltre a ciò, era verosimile che essi avessero cattiva fama,
il che a molti sembra essere la cosa più molesta di tutte, osserva co­
me li incoraggi anche in questo caso, confortandoli con il suo esem­
pio e con tutto ciò che era stato detto su di lui; non c’era nulla pari
a questa consolazione. Come in precedenza aveva detto: Sarete odia­
ti da tutti, e aveva aggiunto: a causa del mio nomee, così fa anche qui.
Conforta anche in altro modo, aggiungendo a quella un’ulteriore
consolazione. Qual è? Un discepolo, dice, non è da più del maestro,
né un servo da più del suo padrone. È sufficiente per il discepolo esse­
re come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno
chiamato Beelzebul il padrone di casa, quanto più i suoi familiari?
Non temeteli dunquef. Osserva come riveli di essere Signore di tut­

b Cf. Mt 10,26. c MtlO, 10. d Cf. Mt 10,19.22. e M tlO ,22.


f Mt 10,24-26.
138 Omelie sul Vangelo di Matteo

te le cose, Dio e creatore. E dunque? Un discepolo non è da più del


maestro, né un servo da più del suo padrone. Finché è discepolo e ser­
vo, non è superiore riguardo al grado di onore. Non parlarmi qui
delle eccezioni, ma accogli questo discorso in base a quello che ac­
cade per lo più. Non dice: quanto più i servi, ma: i suoi familiari,
mostrando una grande amicizia nei loro confronti. Altrove diceva:
Non vi chiamo più servi; voi siete miei amici e.. Non ha detto: Se han­
no oltraggiato e accusato il padrone di casa, ma indica anche il ge­
nere stesso dell’oltraggio: hanno chiamato Beelzebul.
Poi dà anche un altro conforto non inferiore a questo; questo
era certamente molto grande, ma poiché essi, che non erano ancora
filosofi, avevano bisogno anche di un’altra consolazione che soprat­
tutto potesse rinvigorirli, presenta anche questa. Il modo di espri­
mersi sembra configurarsi come una dichiarazione di carattere ge­
nerale; non si riferisce però a ogni cosa, ma soltanto alla questione
proposta. Che cosa dice? Non c’è nulla di nascosto che non debba es­
sere svelato, e di segreto che non debba essere conosciuto h. Quanto af­
ferma significa: A voi basta per confortarvi che partecipi, dei mede­
simi oltraggi che subite, anche io, il Maestro e Signore. Se provate
ancora dolore nell’udire questo, pensate che dopo poco tempo sa­
rete liberati da questo sospetto. Perché vi addolorate? Perché vi
chiamano impostori e ingannatori? Ma aspettate un poco e tutti vi
chiameranno salvatori e benefattori del mondo. Il tempo infatti sve­
la tutto ciò che è occulto; confuterà le loro calunnie e renderà ma­
nifesta la vostra virtù. Quando, per mezzo delle opere, apparirete
salvatori e benefattori, mostrando ogni virtù, gli uomini non preste­
ranno attenzione alle loro parole, ma alla verità dei fatti. Quelli ap­
pariranno calunniatori, mentitori e maldicenti, voi invece vi rivele­
rete più fulgidi del sole, perché il tempo, a lungo andare, vi manife­
sterà e vi proclamerà, leverà la voce più sonoramente di una trom­
ba e renderà tutti testimoni della vostra virtù. Quanto ora viene det­
to quindi non vi deprima, ma vi risollevi la speranza dei beni futuri.
E impossibile infatti che la verità sul vostro conto rimanga nascosta.

e G v 15,15.14. h M tlO,26.
Omelia 34, 1-2 139

F r a n c h e z z a e u n iv e r s a l it à
DELLA PREDICAZIONE DEGLI APOSTOLI

2. Poi, dopo averli liberati da ogni angoscia, paura e preo


pazione, ed averli resi superiori alle ingiurie, allora, al momento
opportuno, parla loro anche della franchezza nella predicazione.
Quello che vi dico, afferma, nelle tenebre, ditelo nella luce, e quello
che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti '1. Certamente non c’e­
rano le tenebre quando diceva queste cose, né parlava loro all’o­
recchio, ma si è servito di un linguaggio iperbolico. Poiché parla­
va soltanto ad essi e in un piccolo angolo della Palestina, per que­
sto motivo ha detto: nelle tenebre e all’orecchio, mettendo a con­
fronto tale modo di parlare con la franchezza che avrebbero avu­
to successivamente e che avrebbe donato loro. Non predicherete,
vuol dire, a una, due o tre città, ma al mondo intero, percorrendo
terra e mare, la terra abitata e quella disabitata, dicendo ogni co­
sa, a capo scoperto e con tutta franchezza, a tiranni, popoli, filo­
sofi, oratori. Perciò ha detto: sui tetti e nella luce, senza alcuna ti­
midezza e in tutta libertà. Perché non ha detto soltanto: predicate­
lo sui tetti, e: ditelo nella luce, ma ha aggiunto anche: Quello che vi
dico nelle tenebre, e: quello che ascoltate all’orecchio? Per sollevare
il loro animo. Come quando diceva: Chi crede in me, compirà an­
che lui le opere che io compio e ne farà di più grandi i, così anche
qui, facendo vedere che compirà tutto per mezzo di loro, e più di
quanto ha compiuto da sé, ha usato queste espressioni. Io, vuol di­
re, ho dato l’inizio e ho introdotto l’opera, ma voglio realizzare il
più per mezzo vostro. Questo è l’atteggiamento di chi non solo co­
mandava, ma anche preannunciava il futuro, infondeva coraggio
con le sue parole, mostrava che avrebbero superato tutto e a poco
a poco scardinava ancora l’angoscia derivante dalle maldicenze.
Come infatti questa predicazione, per il momento latente, perva­
derà tutto, così anche i malvagi sospetti dei giudei saranno cancel­
lati rapidamente.

i Mt 10, 27. i Gv 14, 12.


140 Omelie sul Vangelo di Matteo

N on t e m e r e q u e l l i c h e n o n p o s s o n o u c c id e r e l ’a n im a ,
MIGLIORE DEL CORPO

Poi, dopo averli rianimati e sollevati, preannuncia di nuovo


anche i pericoli, mettendo le ali al loro animo e rendendoli supe­
riori a tutto. Che cosa dice? Non abbiate paura di quelli che ucci­
dono il corpo, ma non possono uccidere l’anima k. Hai visto come li
ha innalzati al di sopra di tutto, persuadendoli a disprezzare non
soltanto le preoccupazioni e le maldicenze, i pericoli e le insidie,
ma anche la morte stessa che sembra essere la realtà più spavento­
sa di tutte, e non genericamente la morte, ma quella violenta? Non
ha detto: Sarete uccisi, ma lo ha fatto capire con la solennità che
gli si addice, affermando: Non abbiate paura di quelli che uccidono
il corpo, ma non possono ucadere l’anima; temete piuttosto colui che
può far perire l’anima e il corpo nella g e e n n a Lo fa sempre, rove­
sciando il discorso in senso opposto. E dunque? Temete la morte,
vuol dire, e per questo motivo esitate a predicare? Predicate pro­
prio perché temete la morte, in quanto il predicare vi libererà da
quella che realmente è morte. Anche se infatti vi uccideranno, non
avranno la meglio però su ciò che è migliore, per quanti sforzi pos­
sano fare. Perciò non ha detto: quelli che non uccidono l’anima,
ma: non possono ucciderla. Anche se volessero, non ci riusciran­
no. Sicché se temi il castigo, temi quello che è molto più grave.
Vedi come di nuovo non prometta loro di liberarli dalla morte, ma
permette che muoiano, elargendo benefici maggiori che se non
avesse consentito che subissero la morte? Persuadere a disprezza­
re la morte è infatti molto meglio che liberare da essa. Non li get­
ta dunque nei pericoli, ma li innalza al di sopra di essi e con poche
parole fissa in essi la dottrina dell’immortalità dell’anima. Dopo
aver piantato, con due o tre espressioni, la dottrina della salvezza,
li conforta anche con altri ragionamenti.

k Mt 10,28. 1Ibid.
Omelia 34, 2 141

La PROVVIDENZA DI Dio

Perché, se fossero uccisi e trucidati, non pensassero di anda­


re incontro a questa sofferenza come se venissero abbandonati, di
nuovo introduce il discorso sulla provvidenza di Dio, dicendo co­
sì: Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche
uno di essi cadrà nel laccio 1 senza che il Padre vostro che è nei cieli
lo permetta. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati m.
Vuol dire: Che cosa c’è di più insignificante di quegli uccellini?
Tuttavia però neppure essi saranno catturati senza che Dio lo sap­
pia. Non intende dire che cadono per opera sua, perché sarebbe
indegno di Dio, ma che non gli sfugge nulla di quello che accade.
Se dunque non ignora niente di quanto avviene e vi ama in modo
più autentico di un padre, e vi ama tanto da contare perfino i ca­
pelli, non si deve aver paura. Lo diceva non perché Dio conti i ca­
pelli, ma per mostrare la sua perfetta conoscenza e la grande prov­
videnza verso di loro. Se quindi conosce tutto ciò che accade e può
e vuole salvarvi, non crediate che soffrite quello che soffrite per­
ché siete abbandonati. Non vuole liberarvi dai mali, ma persua­
dervi a disprezzarli, perché questa è soprattutto la liberazione dai
mali. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri*. Vedi che
la paura si era già impadronita di essi? Conosceva infatti i segreti
dell’animo; perciò ha aggiunto: Non temeteli °. Anche se prevar­
ranno, prevarranno su ciò che è inferiore, intendo dire il corpo;
anche se costoro non lo uccideranno, verrà senz’altro la natura a
prenderlo.

mMt 10, 29-30. n Mt 10, 31. °M tlO ,26.

1 Crisostomo riporta la variante nel laccio al posto della lezione più co­
mune a terra: cf. Am 3, 5.
142 Omelie sul Vangelo di Matteo

Si d e v e a v e r t i m o r e d i c h i p u ò c a s t i g a r e l ’a n im a e i l c o r p o

3. Sicché questi non hanno potere neppure su di esso, m


hanno dalla natura. Se temi ciò, a maggior ragione dovresti teme­
re quello che è più importante ed aver paura di chi può far perire
l’anima e il corpo nella geenna. Ora non dice chiaramente di esse­
re colui che può far perire l’anima e il corpo, ma ha manifestato,
mediante quello che ha dichiarato in precedenza, di essere egli
stesso il giudice p. Ora però accade il contrario, perché non abbia­
mo paura di chi può far perire l’anima, cioè punirla, mentre ab­
biamo orrore di coloro che uccidono il corpo. Eppure l’uno casti­
ga, insieme all’anima, anche il corpo, mentre gli altri, per quanto
possano castigare, non solo non possono punire l’anima, ma nep­
pure il corpo, anzi così lo rendono più splendido. Hai visto come
faccia vedere che le lotte sono facili? La morte in effetti agitava as­
sai la loro anima, spirando paura, per il momento, in quanto non
era ancora facile da debellare e coloro che l’avrebbero disprezza­
ta, non avevano ricevuto la grazia dello Spirito.

C o n f e s s a r e C r is t o p u b b l ic a m e n t e

Dopo aver scacciato dunque la paura e l’angoscia che agita­


vano la loro anima, li incoraggia di nuovo con le parole seguenti,
scacciando il timore con il timore, e non soltanto con il timore, ma
anche con la speranza di grandi ricompense; minaccia con molta
autorità, esortandoli in entrambi i modi alla franchezza in difesa
della verità, e prosegue dicendo: Chiunque quindi renderà la sua
confessione in m e2 davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò da­
vanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti

p Cf. Mt 7,22-23.

2 Traduco così perché si possa meglio comprendere il discorso svilup­


pato da Crisostomo.
Omelia 34, 3 143

agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cie­
li q. Non li sollecita soltanto con la prospettiva dei beni, ma anche
con ciò che è contrario e termina con accenti cupi. Osserva la sua
precisione. Non ha detto: confesserà me, ma: in me, per indicare
che chi confessa lo fa non in virtù della propria forza, ma con l’aiu­
to della grazia celeste. Invece di chi rinnega non ha detto: in me,
ma: me, perché rinnega in quanto è privo del dono3. Perché allo­
ra, si potrebbe obiettare, viene rimproverato, se rinnega in quanto
è stato abbandonato? Perché l’essere abbandonato dipende dalla
persona stessa che viene abbandonata 4. Perché non si limita alla
fede dell’animo, ma richiede anche la confessione con la bocca?
Per prepararci alla franchezza nel parlare, ad un amore più inten­
so e ad un atteggiamento più fervido, per innalzarci ad un livello
superiore. Perciò parla a tutti, e non tratta solo con i discepoli,
perché cerca già di fortificare non soltanto loro, ma anche i loro
discepoli. Chi ha appreso questo non solo insegnerà con fran­
chezza, ma anche soffrirà tutto facilmente e prontamente. Crede­
re a questa parola 5 fece sì che molti fossero attratti verso gli apo­
stoli. Nella punizione maggiore è il castigo e nei beni più grande è
la ricompensa 6. Poiché con il tempo chi opera rettamente si av­
vantaggia e chi pecca, per il rinvio del castigo, crede di guada­
gnarci, ha introdotto un vantaggio equivalente, anzi molto mag­
giore, un supplemento di ricompense. Hai guadagnato, vuol dire,
per il fatto di riconoscermi per primo quaggiù? Anch’io, dice, ti
farò guadagnare dandoti di più e immensamente di più, perché lì
ti riconoscerò. Vedi che lì sono messi in serbo sia i beni, sia i ma-

iM t 10, 32-33.

3 Vale a dire della grazia divina.


4 Nel senso che la grazia esige la cooperazione dell’uomo; Crisostomo
tiene sempre presente la libertà del volere umano che può accogliere o rifiu­
tare il dono divino.
5 La parola del Signore.
6 Quando cioè sono dilazionati sia il castigo, sia la ricompensa.
144 Omelie sul Vangelo di Matteo

li? Perché allora ti affanni e ti affretti? Perché cerchi quaggiù le ri­


compense, se sei salvato dalla speranza? Perciò, anche se fai qual­
cosa di buono e non ne ricevi quaggiù la ricompensa, non turbar­
ti, perché nel tempo futuro ti attende, incrementata, la ricompen­
sa di quanto hai fatto. Anche se fai qualcosa di cattivo e non sei
punito, non essere indolente perché lassù ti attenderà il castigo, se
non cambi e non diventi migliore. Se non ci credi, cerca di imma­
ginare il futuro in base alla realtà presente. Se infatti nel momen­
to delle prove coloro che confessano Cristo sono così splendidi,
pensa come saranno nel momento della ricompensa! Se quaggiù i
nemici applaudono, come non ti ammirerà e ti esalterà colui che
ama più teneramente di tutti i padri? Allora ci saranno i doni per
le nostre buone opere e i castighi per quelle cattive. Sicché coloro
che rinnegano Cristo ne saranno danneggiati quaggiù e lassù:
quaggiù, perché vivranno con la coscienza cattiva, e se non
muoiono, moriranno senz’altro; lassù, perché subiranno i più gra­
vi castighi. Gli altri invece trarranno vantaggio quaggiù e lassù,
perché quaggiù volgeranno in guadagno la morte, divenendo così
più fulgidi dei viventi, e lassù godranno dei beni ineffabili. Dio è
pronto non soltanto a punire, ma anche a beneficare, e più a que­
sto che a quello. Ma perché presenta una sola volta l’azione bene­
fica e due volte quella punitiva? Sa che si è indotti a resipiscenza
più in questo modo. Perciò, dopo aver detto: Temete colui che può
far perire l’anima e il corpo nella geenna, dice ancora: lo rinneghe­
rò anch'io. Così fa anche Paolo, richiamando alla mente continua­
mente la geenna.

Va n t a g g i c h e d e r iv a n o d a l fa t t o c h e i c o r p i si c o r r o m p o n o

4. Dopo aver dunque preparato in ogni modo l’ascoltator


quanto gli ha aperto i cieli, gli ha messo davanti quel temibile tri­
bunale, ha mostrato gli angeli in qualità di spettatori, la proclama­
zione delle ricompense alla loro presenza, quindi la grande facili­
tà con cui si apriva la via alla predicazione della fede, perché poi
l’annuncio del vangelo non fosse ostacolato dalla loro pusillanimi­
Omelia 34, 3-4 145

tà, ordina loro di essere pronti anche ad essere uccisi, perché sap­
piano che coloro che persistono nell’errore, saranno puniti anche
per le macchinazioni tramate contro di essi. Disprezziamo quindi
la morte, anche se non c’è l’occasione che la esige, perché passe­
remo ad una vita molto migliore. Ma il corpo si corrompe? So­
prattutto per questo bisogna rallegrarsi, perché la morte viene di­
strutta, la mortalità sparisce, non la sostanza del corpo. Se vedi
fondere una statua, non dirai che si tratta di ima rovina, ma di una
condizione migliore. Fa’ questa considerazione anche riguardo al
corpo e non lamentarti. Dovresti lamentarti se persistesse nel ca­
stigo. Ma, si potrebbe replicare, questo 7 avrebbe dovuto accadere
ai corpi senza la corruzione e avrebbero dovuto rimanere integri.
Ma questo a che cosa avrebbe giovato sia ai vivi, sia ai defunti? Fi­
no a quando amerete il corpo? Fino a quando, inchiodati alla ter­
ra, starete a bocca aperta davanti alle ombre? Che vantaggio ne
potreste avere? Anzi, quale danno non potreste riceverne? Se in­
fatti i corpi non si corrompessero, innanzitutto persisterebbe in
molti la superbia, il più grande di tutti i mali. Se, nonostante si ve­
rifichi la corruzione e ne scaturiscano i vermi, molti hanno avuto
la pretesa di essere dei, che cosa non sarebbe accaduto se il corpo
fosse rimasto integro? In secondo luogo, non si sarebbe creduto
che deriva dalla terra; se in effetti, benché la sua fine lo attesti, al­
cuni ancora lo mettono in dubbio, che cosa non immaginerebbe­
ro se non lo vedessero in queste condizioni? In terzo luogo, si
amerebbe assai il corpo e i più diventerebbero maggiormente car­
nali e grossolani; se anche ora alcuni rimangono avvinti ai sepolcri
e alle urne, benché i corpi si siano dissolti, che cosa non farebbe­
ro se ne avessero conservata l’immagine? In quarto luogo, non de­
sidererebbero intensamente i beni futuri. In quinto luogo, coloro
che dicono che il mondo è eterno 8, si rafforzerebbero maggior­

7 Vale a dire il passaggio alla vita eterna e all’incorruttibilità.


8 Riguardo alla polemica contro la concezione dell’eternità del mondo,
oggetto di discussione nelle scuole platoniche, cf., ad es., Origene, Omelie
sulla Genesi 14, 3.
146 Omelie sul Vangelo di Matteo

mente nella loro convinzione e non direbbero che Dio è creatore.


In sesto luogo, non conoscerebbero la virtù dell’anima e che gran
valore sia la presenza dell’anima nel corpo. In settimo luogo, mol­
ti che hanno perso i propri familiari, abbandonate le città, an­
drebbero ad abitare nei sepolcri e diventerebbero folli, in quanto
converserebbero continuamente con i loro morti. Se anche ora gli
uomini, foggiando delle immagini, perché non possono trattenere
il corpo, né sarebbe possibile, ma, anche contro la loro volontà,
deperisce e va via, sono attaccati a delle tavole di legno, quale as­
surdità non escogiterebbero in caso contrario? A mio parere la
gente edificherebbe perfino dei templi a simili corpi, e quelli che
sono abili a tramare tali inganni, cercherebbero di persuadere che
i demoni parlano per mezzo di essi, dal momento che anche ora
coloro che osano darsi alla negromanzia si sforzano di fare molte
cose più assurde di queste. Quante idolatrie non ne scaturirebbe­
ro? Ci si impegna ancora in queste pratiche dopo che i corpi sono
ridotti in polvere e cenere. Per eliminare dunque tutte queste as­
surdità e per insegnarci ad allontanarci da tutto ciò che è terreno,
Dio dissolve i corpi davanti ai nostri occhi. Chi infatti ama il cor­
po e arde per una ragazza di bell’aspetto, se non vuole rendersi
conto con la ragione della pochezza della sostanza corporea, lo sa­
prà per mezzo degli occhi stessi. In effetti molte coetanee della
fanciulla amata, spesso anche più splendide, uno o due giorni do­
po la morte mandano cattivo odore e mostrano marciume e putri­
dume di vermi. Pensa quindi quale bellezza ami, per quale avve­
nenza ardi. Se i corpi non si corrompessero, ciò 9 non si conosce­
rebbe bene, ma, come i demoni accorrono ai sepolcri, così anche
molti innamorati, stando continuamente presso le tombe, acco­
glierebbero nell’anima i demoni e morirebbero rapidamente in
questa funesta follia. Ora invece, oltre a tutto il resto, è di confor­
to per l’anima anche il fatto che non è visibile l’immagine della
persona amata, e ciò fa dimenticare la passione.

9 II discorso svolto in precedenza sulla fugacità e precarietà della bel­


lezza corporea.
Omelia 34, 4-5 147

La b e l l e z z a d e l l ’a n im a

5. Se non fosse così, non ci sarebbero neppure i sepolcri,


potresti vedere che le città avrebbero morti invece di statue, per­
ché ciascuno desidererebbe guardare il proprio. Ne deriverebbe
una grande confusione; nessuno per lo più si prenderebbe cura
dell’anima, né darebbe spazio a riflessioni sull’immortalità. Ci sa­
rebbero molte altre conseguenze più assurde di queste, di cui non
è bene neppure parlare. Perciò il corpo va subito in putrefazione,
perché tu possa vedere la bellezza dell’anima senza veli. Se infatti
essa procura tanta bellezza e tanta vita, a maggior ragione essa
stessa sarà migliore; se sostiene ciò che è così ripugnante e defor­
me 10, a maggior ragione sosterrà se stessa. Il bello non è il corpo,
ma la sua formazione e quello splendore che, per opera dell’ani­
ma, avvolge la sua sostanza. Ama dunque l’anima che fa apparire
il corpo così bello. Ma perché parlare della morte? Nella vita stes­
sa ti mostro come tutto ciò che è bello le appartenga. Se infatti è
lieta, cosparge le guance di rosa; se invece è triste, porta via quel­
la bellezza e avvolge tutto di un rivestimento scuro. Se gioisce con­
tinuamente, il corpo si sente bene; se è triste, lo rende più esile e
debole di una ragnatela; se va in collera, lo rende di nuovo orribi­
le e brutto; se mostra l’occhio sereno, elargisce una grande bellez­
za; se è invidiosa, infonde un grande pallore e una grande consun­
zione; se ama, dona un aspetto assai bello. Così molte che non so­
no belle di aspetto, ricevono dall’anima una grande grazia, mentre
al contrario altre che rifulgono di bellezza, poiché hanno un’ani­
ma senza grazia n , rovinano la loro bellezza. Pensa come arrossi­
sca un viso bianco, come sia causa di grande piacevolezza per la
varietà dei colori, quando deve provare pudore e arrossire, mentre
invece, se è senza pudore, rende il volto più sgradevole di ogni bel­
va. Niente è più affascinante né più piacevole di un’anima bella.

10 Vale a dire il corpo.


11 Si può intendere anche nel senso che una tale anima, priva di bellez­
za interiore, non ha in sé la grazia divina.
148 Omelie sul Vangelo di Matteo

Nel caso del corpo, il desiderio è unito alla sofferenza, mentre ri­
guardo all’anima, il piacere è puro e sereno.

Il c o r p o , m a s c h e r a d e l l ’ a n im a

Perché dunque lasci perdere il re e rimani colpito dall’araldo?


Perché abbandoni il filosofo e stai a bocca aperta davanti al suo in­
terprete? 12. Hai visto un occhio bello? Esamina quello interiore e
se non è bello, disprezza anche quell’altro. Se vedessi una donna
brutta con ima bella maschera, non proveresti nulla nei suoi con­
fronti, mentre invece non accetteresti che una donna bella e avve­
nente fosse nascosta da una maschera, ma la toglieresti e vorresti
vedere la sua bellezza apertamente. Fa’ così anche con l’anima e
esamina essa per prima. Questa ha il corpo come fosse una ma­
schera; perciò rimane tale, quale è 13, mentre essa, anche se è brut­
ta, rapidamente può diventare bella. Anche se ha l’occhio brutto,
torvo, duro, può diventare bello, mite, sereno, dolce, benevolo.
Cerchiamo dunque questa bellezza, rendiamo bello questo volto,
perché Dio, desiderando la nostra bellezza, ci renda partecipi dei
beni eterni, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo,
al quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

12 Queste immagini molto suggestive mettono in rilievo la differenza tra


l’anima e il corpo e quindi il fatto che non si deve trascurare l’una a vantag­
gio esclusivo dell’altro.
13 In quanto il corpo, come la maschera, rimane quello che è a diffe­
renza dell’anima che può cambiare in meglio o in peggio.
OMELIA 35

Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono
venuto a portare pace, ma una spada a.

V era e fa lsa pa ce

1. Di nuovo presenta ciò che era più duro, e con molta e


gia; dice in anticipo quello che potevano obiettare. Perché, ascol­
tando queste cose, non dicessero: Sei venuto per questo, per di­
struggere noi e i nostri seguaci e per riempire la terra di guerra?; di­
ce lui per primo: Non sono venuto a portare pace sulla tena. Perché
allora ha ordinato ad essi di proclamare la pace entrando in ogni
casa? b. Perché anche gli angeli dicevano: Gloria a Dio nel più alto
dei cieli e pace in terra c? Perché tutti i profeti davano questo lieto
annuncio di pace? Perché in questo consiste soprattutto la pace,
quando ciò che è malato viene troncato, quando la discordia viene
allontanata. Così è possibile unire il cielo alla terra. Difatti anche il
medico così salva il resto del corpo, quando recide ciò che è incu­
rabile; e così agisce il generale, quando spinge al dissenso coloro
che sono concordi nel male. Così avvenne nel caso di quella cele­
bre t o r r e u n a discordia positiva pose fine ad una pace negativa e
procurò la pace. Così Paolo divise quelli che erano concordi con-

a Mt 10,34. b Cf. Mt 10, 12-13. c Le 2,14.

1 La torre di Babele: cf. Gn 11, lss.


150 Omelie sul Vangelo di Matteo

tro di luid. Nel caso di Nabot quell’accordo 2 fu allora più funesto


di ogni guerra. La concordia non è sempre un bene, perché anche
i briganti sono concordi. La guerra dunque non era effetto dell’in­
tenzione di Cristo, ma della volontà degli uomini. Egli infatti vole­
va che tutti fossero concordi riguardo alla retta fede3, ma poiché
essi erano in disaccordo, ne derivava la guerra. Però non parlò co­
sì, ma che cosa dice? Non sono venuto a portare pace, al fine di con­
fortarli. Non crediate, vuol dire, di essere voi responsabili di que­
sta situazione; sono io che dispongo così, perché essi hanno tale
disposizione d’animo. Non turbatevi quindi, come se le cose acca­
dessero al di là delle aspettative. Per questo sono venuto, per por­
tare guerra; questa è la mia volontà. Non turbatevi quindi se la ter­
ra è in guerra, se si trova in mezzo alle insidie. Quando il peggio sa­
rà separato, allora il cielo si unirà a ciò che è meglio. Lo dice per
prepararli alle cattive supposizioni della gente nei loro confronti. E
non ha detto: guerra, ma: spada, il che era più grave di essa. Non ti
meravigliare se ha usato un’espressione più dura e sgradevole. Vo­
lendo esercitare il loro ascolto con l’asprezza delle parole, ha con­
figurato il suo discorso perché, nella difficoltà delle situazioni, non
si tirassero indietro. Perché nessuno dicesse che li aveva persuasi
con l’adulazione e nascondendo quanto era spiacevole, per questo
motivo ha esposto in modo più sgradevole e duro ciò che avrebbe
dovuto essere detto diversamente. E meglio infatti vedere la mitez­
za nei fatti piuttosto che nelle parole.

Q ual è la gu erra cu i a llu d e C r ist o

Perciò non si è limitato a questo, ma spiegando anche di che


genere di guerra si trattava, mostra che essa era molto più grave di

d Cf. At 23, 6-10.

2 Tra Acab e la moglie Gezabele: cf. 1 Re 21, 5ss.


3 Anche in questo caso Crisostomo usa il t. eusébeia.
Omelia 35, 1 151

quella intestina, e dice: Sono venuto a separare il figlio dal padre, la


figlia dalla madre, la nuora dalla suocera e. Non soltanto, vuol dire,
gli amici né i cittadini, ma anche i congiunti si leveranno gli uni
contro gli altri e la natura si lacererà in se stessa. Sono venuto in­
fatti, dice, a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuo­
ra dalla suocera. La guerra in effetti non ci sarà soltanto tra i fami­
liari, ma anche tra le persone più care e legate da stretti vincoli. Di­
mostra soprattutto la sua potenza il fatto che, pur ascoltando que­
ste cose, lo accettarono e convinsero gli altri ad accettarlo. Certa­
mente non era lui a fare queste cose, ma la loro malvagità; tuttavia
però dice di farle lui. Tale è la consuetudine della Scrittura; difat­
ti anche in un altro passo dice: Dio ha dato loro occhi perché non
vedanof. Parla così anche qui perché, come ho detto in preceden­
za, meditando queste parole, non si turbassero quando sarebbero
stati insultati e oltraggiati. Se alcuni pensano che ciò sia duro, ri­
cordino l’antica storia, perché anche nei tempi precedenti si è ve­
rificato questo, il che dimostra soprattutto l'affinità tra antica e
nuova alleanza e che chi diceva queste cose è lo stesso che aveva
dato quelle prescrizioni4. Difatti, riguardo ai giudei, fece cessare
la sua collera contro di loro quando ciascuno uccise il vicino e,
quando fecero il vitello h e quando si iniziarono al culto di Beelfe-
gor5. Dove sono dunque coloro che dicono che quel Dio è malva­
gio, mentre questo è buono? 6. Ecco, ha riempito il mondo del san­
gue dei parenti. Tuttavia però diciamo che anche questo è opera
della sua grande bontà. Perciò, per far vedere che è lo stesso quel­
lo che ha ammesso anche quelle azioni, richiama alla mente una
profezia che, pur non essendo stata detta a proposito di quegli
eventi, tuttavia però manifesta lo stesso concetto. Qual è questa

e Mt 10, 35. f Gv 12, 40. eCf. Es32,27. h Cf. Es 32, 4.

4 II nostro autore ribadisce l’unità tra Antico e Nuovo Testamento, ope­


ra del medesimo Dio e Signore.
5 Si tratta del culto di Baal-Peor: cf. Nm 25, 3-5.
6 II riferimento è ancora ai marcioniti.
152 Omelie sul Vangelo di Matteo

profezia? Nemici dell’uomo sono quelli della sua casa 7. Qualcosa di


simile è infatti accaduto anche nel caso dei giudei. C ’erano profe­
ti e falsi profeti, il popolo era diviso e le famiglie disunite; gli uni
credevano a questi, gli altri a quelli. Perciò il profeta esorta dicen­
do: Non credete agli amici e non fidatevi dei capi, ma guardati dal
confidare alcunché anche alla tua sposa ‘; e: Nemici dell’uomo sono
quelli della sua casa Lo diceva per far sì che chi avrebbe accolto
la sua parola fosse al di sopra di tutto. Non è un male morire, ma
morire male. Perciò diceva: Sono venuto a portare fuoco sulla ter­
ra k. Lo diceva per indicare l’intensità e l’ardore dell’amore che esi­
geva. Poiché ci ha amato intensamente, così vuole essere amato da
noi. Queste parole erano di incoraggiamento per essi e li innalza­
vano ad un livello superiore. Se quelli, vuol dire, non terranno
conto di consanguinei, figli, genitori, pensa come dovete essere
voi, i maestri. Le difficoltà non si arresteranno con voi, ma passe­
ranno anche agli altri. Poiché sono venuto a portare grandi beni,
esigo una grande obbedienza e disponibilità.

N on a n t e p o r r e n u l l a a l l ’a m o r e d i C r ist o

Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me, e chi


ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. Chi non pren­
de la sua croce e mi segue, non è degno di me K Hai visto la dignità
del Maestro? Hai visto come mostri di essere figlio autentico del
Padre, egli che ordina di lasciar perdere tutto e anteporre il suo
amore? E perché parlare, dice, di amici e di consanguinei? Anche
se anteponi la tua vita al mio amore, sei lontano dall’essere mio di­
scepolo. E allora? Non è contrario questo all’Antico Testamento?
Non sia mai! Anzi concorda assai con esso. Difatti lì non soltanto

‘ M ie7 , 5. i M ie7, 6. k Le 12, 49. >Mt 10, 37-38.

7 È la profezia di Mie 7, 6 riportata in Mt 10, 36.


Omelia 35, 1-2 153

ordina di detestare gli idolatri, ma anche di lapidarli, e nel Deute­


ronomio, ammirando costoro, dice: Chi dice al padre e alla madre:
Non ti ho visto, e non conosce i suoi fratelli e ignora i suoi figli, ha
osservato la tua parola m. Non meravigliarti se Paolo dà molte pre­
scrizioni riguardo ai genitori, ordinando di obbedire ad essi in tut­
to11, perché dice di obbedire soltanto in ciò che non nuoce alla pie­
tà verso Dio. E sacrosanto infatti rendere loro ogni altro onore, ma
quando richiedono più dell’onore dovuto, non si deve obbedire.
Perciò Luca dice: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua ma­
dre, la moglie, i figli, i fratelli e perfino la propria vita, non può es­
sere mio discepolo °. Non ordina di odiare in senso assoluto, per­
ché sarebbe assai iniquo, ma: Quando vuole essere amato più di
me, odialo in questo. Ciò rovina sia chi è amato, sia chi ama.
2. Lo diceva per rendere più coraggiosi i figli e più miti i
dri che li avrebbero ostacolati. Difatti, vedendo che aveva una co­
sì grande forza e potenza da separare i figli da loro, avrebbero de­
sistito dall’impresa in quanto impossibile. Perciò rivolge il discor­
so ai figli, lasciando stare i padri e ammonendoli a non tentare ta­
le impresa in quanto impossibile. Poi, perché essi non si irritasse­
ro e si sdegnassero, vedi dove spinge il suo discorso. Difatti dopo
aver detto: Chi non odia il padre e la madre, ha aggiunto: e perfino
la propria vita. Perché, vuol dire, mi parli dei padri, dei fratelli,
delle sorelle, della moglie? Nessuno ha niente che gli appartenga
più della vita; tuttavia però, se non detesti perfino questa, subirai
tutto il contrario di chi ama. Non ha ordinato semplicemente di
odiarla, ma fino al punto di consegnarla a guerre, battaglie, ucci­
sioni, spargimento di sangue. Chi non porta la sua croce e viene die­
tro di me, non può essere mio discepolo p . Non ha detto soltanto che
dovevano essere pronti alla morte, ma anche ad una morte violen­
ta, e non solo violenta, ma anche ignominiosa. Non parla ancora
affatto della sua passione, perché, ricevendo intanto questi inse­
gnamenti, accogliessero più agevolmente il discorso su di essa.
Non c’è da rimanere sbigottiti di fronte al fatto che, ascoltando

m Dt 33, 9. n Cf. E f 6 , 1. » Le 14, 26. P Cf. Le 14,27.


154 Omelie sul Vangelo di Matteo

queste cose, la loro anima non se ne sia andata via dal corpo, in
quanto ovunque erano presenti le sventure, mentre i beni erano
oggetto di speranza? Perché dunque non se ne è andata via? Gran­
de era la potenza di chi parlava e l’amore di coloro che ascoltava­
no. Perciò, pur ascoltando cose molto più dure e moleste di quan­
to non avessero ascoltato quei grandi uomini Mosè e Geremia,
persistettero nell’obbedienza, senza obiettare nulla.

P erd ere l a pr o p r ia v ita p e r r itro v a rla

Chi avrà trovato la stia vita, dice, la perderà, e chi avrà perduto
la sua vita per causa mia, la troverà <J. Hai visto quanto grande è il
danno di coloro che amano oltre il dovuto? Quanto grande è il
guadagno di coloro che odiano? Poiché i precetti erano duri, in
quanto ordinava loro di schierarsi contro i genitori, i figli, la natu­
ra, la parentela, il mondo e la vita stessa, indica anche il vantaggio
che era grandissimo. Non soltanto, vuol dire, ciò non danneggerà,
ma anzi gioverà moltissimo, mentre il contrario nuocerà; fa sem­
pre così, incitando in base a ciò che desiderano. Perché non vuoi
disprezzare la tua vita? Perché la ami? Disprezzala dunque per
questo e allora le procurerai il più grande vantaggio e mostrerai
l’atteggiamento di chi la ama. Considera la sua indicibile perspi­
cacia, perché sviluppa questo discorso riguardo non solo ai geni­
tori e ai figli, ma alla vita che è quanto di più intimo che ci sia, per­
ché in questo modo il suo assunto risulti indiscutibile e imparino
che così avrebbero giovato moltissimo ad essi, dal momento che
ciò si verifica anche per la vita, che è quanto di più necessario che
ci sia 8.

q Mt 10, 39.

8 Crisostomo vuole sottolineare l’efficacia del discorso di Gesù che, per


essere più convincente, applica le sue argomentazioni anche alla vita che è il
bene più grande per l’uomo.
Omelia 35, 2 155

L a r ic o m p e n s a e l ’o n o r e
PER CHI ACCOGLIE I DISCEPOLI DI CRISTO

Ciò era sufficiente a persuaderli ad accogliere coloro che li


avrebbero risanati. Chi infatti non avrebbe accolto con ogni pre­
mura quelli che erano così generosi e valorosi, percorrevano la
terra come leoni e non si curavano di nulla che li riguardasse per­
ché gli altri si salvassero? Ma tuttavia presenta un’altra ricom­
pensa, mostrando di preoccuparsi in questo più di coloro che ac­
coglievano, che di quanti erano accolti. Concede il più alto onore
dicendo: Chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie co­
lui che mi ha mandato r. Che cosa potrebbe uguagliare l’accoglie­
re il Padre e il Figlio? Insieme a questa promette anche un’altra
ricompensa: Chi accoglie un profeta, dice, come profeta, avrà la ri­
compensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la
ricompensa del giusto s. Precedentemente minaccia la punizione
per coloro che non avrebbero accolto, mentre qui stabilisce i be­
ni che vengono elargiti. Perché tu sappia che si preoccupa mag­
giormente di essi, non ha detto semplicemente: Chi accoglie un
profeta, o: Chi accoglie un giusto, ma ha aggiunto: come profeta, e:
come giusto, cioè: Se non lo accoglierà a motivo di una dignità ter­
rena o per qualche altra ragione di carattere effimero, ma in quan­
to è profeta o giusto, riceverà la ricompensa del profeta e quella
del giusto, come è conveniente che la riceva chi accoglie il profe­
ta o il giusto, oppure nel senso della ricompensa che riceverà quel
profeta o quel giusto. Lo diceva anche Paolo: La vostra abbon­
danza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondan­
za supplisca alla vostra indigenzal. Poi, perché nessuno adducesse
a pretesto la povertà, dice: Chi avrà dato anche solo un bicchiere di
acqua fresca a uno di questi piccoli, in quanto mio discepolo, in ve­
rità vi dico che non perderà la sua ricompensa u. Anche se darai un
bicchiere di acqua fresca, in cui non c’è niente da spendere, pure

r Mt 10,40. s Mt 10, 41. ' 2 Cor 8, 14. u Mt 10, 42.


156 Omelie sul Vangelo di Matteo

di questo sarai ricompensato, perché faccio tutto per voi che ac­
cogliete 9.
3. Hai visto in quanti modi li ha persuasi e ha aperto lo
case del mondo intero? H a dimostrato infatti in tutte le maniere
che erano loro debitori, innanzitutto dicendo: L’operato ba diritto
alla sua ricompensa v; in secondo luogo, inviandoli senza che aves­
sero nulla; in terzo luogo, esponendoli a guerre e battaglie in fa­
vore di coloro che li accoglievano; in quarto luogo, dando loro la
facoltà di compiere miracoli; in quinto luogo, facendo entrare, me­
diante la loro bocca, nelle case di coloro che li accoglievano, la pa­
ce, causa di tutti i beni; in sesto luogo, minacciando, per coloro
che non li accoglievano, castighi più gravi di quelli inflitti a Sodo­
ma; in settimo luogo, mostrando che quelli che li accoglievano, ac­
coglievano lui stesso e il Padre; in ottavo luogo, promettendo la ri­
compensa di un profeta e di un giusto; in nono luogo, impegnan­
dosi ad elargire grandi ricompense anche per un bicchiere di ac­
qua fresca. Ciascuna di queste motivazioni, in se stessa, era capa­
ce di attirarli 10. Chi, dimmi, vedendo un generale tornare dalla
guerra e dal combattimento, dopo aver conseguito molti trofei,
con innumerevoli ferite e insanguinato, non lo accoglierebbe, spa­
lancando le porte di tutta la casa? E chi è ora, si potrebbe obietta­
re, un simile individuo? Perciò ha aggiunto: in quanto discepolo,
profeta, giusto, perché tu sappia che stabilisce la ricompensa non
per la dignità di chi arriva, ma per l’intenzione di chi accoglie.

A c c o g l ie r e a n c h e i p iù d e p r e z z a t i e d e m a r g in a t i

Qui parla dei profeti, dei giusti e dei discepoli, mentre in un


altro passo ordina di accogliere anche quelli che sono assai di­

v Mt 10,10.

9 Sott.: «i miei discepoli».


10 Nel senso di spingerli a fare quanto Cristo prescriveva.
Omelia 35, 2-3 157

sprezzati e punisce coloro che non li accolgono. Ogni volta che


non avete fatto queste cose a uno di questi più piccoli, non l’avete
fatto a me w, e di nuovo dice il contrario sul medesimo argomen­
to u . Anche se infatti non realizza niente di simile 12, è un uomo
che abita lo stesso mondo tuo, vede il medesimo sole, ha la stessa
anima, lo stesso Signore, partecipa con te dei medesimi misteri13,
è chiamato insieme a te allo stesso cielo, ha una grande giustifica­
zione, la povertà e il fatto di aver bisogno del nutrimento necessa­
rio. Ora quelli che, in tempo di inverno, tengono svegli con flauti
e zampogne e molestano sconsideratamente e senza motivo, se ne
vanno via ricevendo da te molti doni, e quelli che portano in giro
rondini, ricoperti di fuliggine, oltraggiando tutti, ricevono ricom­
pensa per questa mostruosità 14. Se invece si avvicina un povero,
bisognoso di pane, ci sono per lui oltraggi, rimproveri, accuse di
pigrizia, ingiurie, insulti e derisioni; non rifletti tra te stesso che an­
che tu sei indolente e tuttavia Dio ti dà i suoi doni. Non dirmi che
anche tu fai qualcosa, ma dimostrami di fare e di occuparti di
qualcosa di necessario. Se mi parli delle attività di lucro, dei com­
merci, della cura e dell’incremento delle sostanze, potrei dirti che
opere non sono queste, ma piuttosto l’elemosina, le preghiere, la
protezione di coloro che subiscono torti e simili attività; per quan­
to riguarda queste viviamo sempre nell’inerzia. Tuttavia però Dio
non ci ha mai detto: Poiché sei inerte, non ti accendo il sole; poi­
ché non fai niente di ciò che è necessario, spengo la luna, rendo in-

w Mt 25, 45.

11 Cf. Mt 25,40 che si riferisce a coloro che invece hanno compiuto ope­
re di misericordia verso i fratelli più piccoli.
12 Come soggetto sottinteso si può intendere chi è disprezzato e non te­
nuto in considerazione in quanto persona di poco conto.
13 L’Eucaristia.
14 Crisostomo fa riferimento a questi individui che con espedienti di va­
rio genere ricevevano donativi, mentre coloro che erano nell’indigenza veni­
vano respinti e oltraggiati.
158 Omelie sul Vangelo di Matteo

fecondo il ventre della terra, impedisco l’esistenza dei laghi, delle


fonti, dei fiumi, distruggo l’aria, trattengo le piogge annuali; ma ci
elargisce tutto abbondantemente. Fa godere di questi beni alcuni
che non solo se ne rimangono oziosi, ma fanno anche il male.
Quando dunque vedi un povero e dici: «Mi sento soffocare dalla
rabbia perché costui che è giovane, sano, senza nulla, vuole essere
nutrito standosene in ozio, egli che forse è uno schiavo fuggitivo
che ha abbandonato il suo padrone», di’ a te stesso queste cose
che ho detto, anzi concedi a quello di dirtele con libertà, e allora
dirà in modo più giusto: «Mi sento soffocare dalla rabbia perché,
pur essendo sano, te ne stai ozioso e non fai nulla di quello che Dio
ha comandato, ma rifuggi dai precetti del Signore e te ne vai in gi­
ro come in terra straniera vivendo nella malvagità, ubriacandoti,
gozzovigliando, rubando, rapinando, sconvolgendo le case altrui.
Tu mi accusi di oziare, io ti accuso di compiere opere malvagie,
quando trami insidie, giuri, dici il falso, rapini, fai innumerevoli
cose di questo genere».

E se r c it a r e se m p r e l a m ise r ic o r d ia

4. Lo dico non per stabilire l’ozio per legge, non sia mai!
perché voglio fortemente che tutti siano attivi. Difatti l’ozio inse­
gna ogni malvagità; esorto però a non essere spietati né crudeli.
Paolo, rivolgendo innumerevoli rimproveri e dicendo: Se uno non
vuole lavorare, neppure mangi x, non si è fermato qui, ma ha ag­
giunto: Voi non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene y. Queste cose
sono in opposizione tra di loro perché se hai comandato che essi
non mangino, come ci esorti a dare? Sì, dice; ho ordinato di tenersi
lontani da essi e di non avere rapporti con loro e d’altra parte ho
detto: Non considerateli nemici, ma ammoniteli7·. Non do precetti
che si contraddicono, ma anzi che sono in grande armonia tra di
loro. Se tu infatti sei pronto ad esercitare la misericordia, quel po-

x 2 Ts 3 ,1 0. y 2 Ts 3,13. 2 2 T s3 , 15.
Omelia 35, 3-4 159

vero presto si libererà dell’inattività e tu della crudeltà. Ma, si po­


trebbe obiettare, dice molte falsità e menzogne. Anche per questo
però è degno di misericordia, perché è precipitato in una tale ne­
cessità da essere così impudente. Noi però non soltanto non ab­
biamo misericordia, ma aggiungiamo anche quelle parole crudeli,
dicendo: «Non hai ricevuto una volta e due?». E allora? Non ha
bisogno di essere nutrito ancora, dopo essere stato nutrito una vol­
ta? Perché non stabilisci queste regole anche al tuo ventre e gli di­
ci: «Sei stato riempito ieri e l’altro ieri, ora non chiedere»? Ma tu
lo rimpinzi oltre misura, mentre respingi costui che chiede nella
giusta misura, pur dovendo avere misericordia di lui proprio per­
ché è costretto a venire da te ogni giorno. Se per nessun altro mo­
tivo ti lasci commuovere, dovresti aver compassione di lui per il
fatto che per la necessità della povertà viene costretto ad agire co­
sì. Non hai pietà di lui, perché, pur ascoltando simili rimproveri,
non si vergogna; difatti è più potente la necessità. Non soltanto
non hai compassione, ma lo esponi anche al pubblico ludibrio, e
mentre Dio ordina di dare in segretoaa, tu te ne stai a additare pa­
lesemente chi viene da te e ad insultarlo per ciò per cui dovresti
avere compassione. Se non vuoi donare, perché rimproveri e ab­
batti un’anima infelice e sventurata? E venuto a cercare l’aiuto del­
le tue mani come se arrivasse ad un porto; perché susciti marosi e
rendi più violenta la tempesta? Perché condanni la sua pochezza?
Si sarebbe forse avvicinato a te, se si fosse aspettato di udire simi­
li discorsi? Ma se, pur conoscendo ciò in anticipo, è venuto da te,
per questo motivo sarebbe giusto avere misericordia di lui e inor­
ridire di fronte alla tua crudeltà perché neppure in questo caso,
pur vedendo l’inesorabile necessità che lo opprime, diventi più
mansueto e non pensi che basti a giustificare la sua mancanza di
vergogna, la paura della fame, ma lo accusi di sfrontatezza, benché
spesso tu sia stato più sfrontato e per questioni gravi. Nel caso de­
gli indigenti certamente la mancanza di vergogna è scusabile, men­
tre noi spesso, commettendo azioni degne di punizione, ci com-

aa Cf. Mt 6, 4.
160 Omelie sul Vangelo di Matteo

portiamo senza vergogna; mentre dovremmo essere umili pensan­


do a tali azioni, insultiamo questi infelici e aggiungiamo ferite ad
essi che chiedono rimedi per la loro situazione. Se non vuoi dare,
perché anche lo ferisci? Se non vuoi elargire, perché anche lo in­
sulti? Ma altrimenti rifiuta di andarsene via. Fa’ dunque come ha
ordinato quel sapiente: Rispondigli con dolcezza parole di pace ab.
Non è così impudente infatti di proposito. Non c’è, non c’è un uo­
mo che voglia comportarsi impudentemente senza motivo; per
quanti sforzi si possano fare per convincermi, non potrei mai per­
suadermi che un uomo che viva nell’abbondanza preferisca men­
dicare. Nessuno dunque ci inganni, ma anche se Paolo dice: Se
uno non vuole lavorare, neppure mangi ac, lo dice a quelli15, men­
tre a noi non dice questo, ma il contrario: Non lasciatevi scoraggia­
re nel fare il bene ad. Noi facciamo così anche in casa: quando due
litigano fra di loro, prendiamo ciascuno da parte e lo esortiamo in
senso opposto16. Così fece Dio e anche Mosè. Diceva infatti a Dio:
Se vuoi perdonare il loro peccato, perdonalo; altrimenti elimina an­
che me ae, mentre ad essi ordinava di uccidersi gli uni gli altri, com­
presi tutti i parenti17. Certamente questi atteggiamenti erano in
contrasto fra di loro, ma tuttavia entrambi miravano al medesimo
fine. A sua volta Dio diceva a Mosè, mentre i giudei ascoltavano:
Lascia che annienti il popolo af - anche se non erano presenti, men­
tre Dio parlava così, però in seguito lo avrebbero ascoltato -; in­
vece privatamente gli rivolgeva esortazioni in senso contrario. Mo­
sè fu costretto successivamente a manifestare questi concetti, di­
cendo così: L i ho forse concepiti io perché tu mi dica: Prendili come
la balia porta al seno il lattante? as. Questo si verifica anche nelle

ab Sir 4, 8. ac 2 Ts 3, 10. ad 2 Ts 3, 13. ae Es 32, 32.


^ Es 32, 10. aB Nm 11,12.

15 Cioè a chi è indolente e pigro.


16 Vale a dire a desistere dal litigio e a cercare la riconciliazione.
17 Crisostomo si riferisce alla strage operata dai leviti nei confronti di co­
loro che si erano contaminati con l’idolatria: cf. Es 32,27.
Omelia 35, 4-5 161

famiglie: spesso il padre riprende in privato il pedagogo, quando


tratta male il figlio, dicendo: «Non essere aspro né duro», mentre
al giovane dice il contrario: «Anche se ti tratta male ingiustamen­
te, sopportalo», per raggiungere, con atteggiamenti opposti, un
solo scopo, ciò che è utile al figlio. Così anche Paolo diceva a quel­
li che erano sani e mendicavano: Se uno non vuole lavorare, nep­
pure mangi, per spingerli a lavorare, mentre a coloro che potevano
fare l’elemosina diceva: Non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene,
per indurli all’elemosina. Così nella Lettera ai Romani, quando
esortava coloro che provenivano dal paganesimo a non insuperbi­
re contro i giudei e fece l’esempio dell’olivo selvatico appare di­
re alcune cose a questi, altre a quelli18. Non cadiamo dunque nel­
la crudeltà, ma ascoltiamo Paolo che dice: Non lasciatevi scorag­
giare nel fare il bene\ ascoltiamo il Signore che dice: Da’ a chiun­
que ti chiede e: Siate misericordiosi come il Padre vostroa). Certa­
mente, pur dicendo molte cose, non ha usato questa espressione
in nessuna occasione, ma soltanto a proposito dei misericordio­
si 19. Difatti nulla ci rende pari a Dio, come il beneficare.

L ’im p u d e n z a d i c h i d is p s e z z a il p o v e r o

5. Ma, si potrebbe replicare, non c’è niente di più impud


di un povero. Perché?, ti prego, perché grida correndoti dietro?
Vuoi che ti dimostri che noi siamo più svergognati di loro e assai
impudenti? Ricordati ora quante volte, in tempo di digiuno, quan­
do la mensa è imbandita di sera, hai chiamato l’inserviente e, per
il fatto che si è mosso troppo lentamente, hai messo tutto a soq-

ah Cf. Rm 11, 17. “ Mt 5, 42. ai Le 6, 36.

18 Con riferimento rispettivamente ai cristiani di provenienza pagana e


ai giudei.
19 Si tenga presente però Mt 5, 48: Siate voi dunque perfetti come è per­
fetto il Padre vostro celeste.
162 Omelie sul Vangelo di Matteo

quadro dando calci, insultando, ingiuriando soltanto per un po’ di


ritardo, pur sapendo bene che, sia pure non subito, ma comunque
dopo poco avresti mangiato. Tu quindi non chiami te stesso sver­
gognato quando per un nonnulla ti imbestialisci, mentre chiami
sfrontato, impudente, svergognato e con ogni termine più oltrag­
gioso il povero che teme e trema per questioni più importanti, in
quanto tutta la sua paura riguarda non il ritardo nel mangiare, ma
la fame? E questa non è una sfrontatezza estrema? Ma non pen­
siamo a questo; perciò riteniamo che siano molesti, mentre se esa­
minassimo la nostra situazione e la confrontassimo con quella lo­
ro, non penseremmo che siano essi insopportabili.
Non essere quindi un giudice aspro, perché anche se fossi li­
bero da ogni peccato, neppure in questo caso la legge di Dio ti con­
sentirebbe di essere inquisitore rigoroso delle colpe altrui. Se infat­
ti il fariseo andò in rovina per questo motivo quale giustificazio­
ne avremo noi? Se a coloro che agiscono rettamente non permet­
te 20 di indagare aspramente la condotta altrui, a maggior ragione
non lo permette ai peccatori. Non siamo dunque crudeli, duri,
spietati, implacabili, peggiori delle belve. So che molti sono arriva­
ti a tale ferocia da non curarsi degli affamati per un po’ di ignavia,
dicendo queste parole: «Ora non ho servitori, siamo lontani da ca­
sa, non conosco nessun cambiavalute». Che crudeltà! Hai fatto ciò
che è più impegnativo e non fai ciò che è di meno? 21. Quello muo­
re di fame perché tu non ti muova un poco? Che insolenza! Che ar­
roganza! Se fosse necessario camminare per dieci stadi22, dovresti
esitare? Non pensi che te ne viene una ricompensa maggiore?

& Cf. Le 18,14.

20 Soggetto sottinteso può essere la legge di Dio, di cui si parla poco pri­
ma, o Dio stesso.
21 Nel senso che una persona di tal genere adduce futili pretesti per non
fare un piccolo sforzo in favore dell’indigente.
22 Lo stadio era una misura di lunghezza corrispondente a circa 177 metri.
Omelia 35, 5 163

Quando dai, ricevi la ricompensa soltanto per quello che viene da­
to, mentre quando anche ti muovi, ti è riservato il premio anche per
questo gesto. Ammiriamo il patriarca per il fatto che corse egli stes­
so all’armento e prese il vitello23, pur avendo trecentodiciotto ser­
vi nati in casa Ora ci sono alcuni pieni di tanta alterigia da fare
queste cose per mezzo dei servi, senza vergognarsene. Ma, si po­
trebbe replicare, ordini di fare queste cose da me? E come non
sembrerà che agisca per vanagloria? Certamente ora lo fai per
un’altra vanagloria, perché ti vergogni di farti vedere mentre parli
con un povero. Ma non discuto affatto di questo: solamente da’, sia
che tu lo voglia fare da te o tramite altri; non rimproverare, non fe­
rire, non oltraggiare, perché chi si accosta a te ha bisogno di rime­
di, non di ferite, di misericordia, non della spada.

L ’a ssu r d it à d e l c o m p o r t a m e n t o d i c h i ,
OLTRE A NON BENEFICARE, INSULTA IL POVERO

Dimmi: se uno, colpito da una pietra e con una ferita in testa,


lasciando stare tutti gli altri, accorresse ai tuoi ginocchi grondante
di sangue, forse che lo colpiresti con un’altra pietra e gli aggiun­
geresti un’altra ferita? Non credo, ma cercheresti di rimediare a ta­
le situazione. Perché allora fai il contrario con i poveri? Non sai
quanto una parola può risollevare e abbattere? Una parola, dice, è
migliore di un dono am. Non pensi che spingi la spada contro te
stesso e ricevi una ferita più grave quando, dopo essere stato ol­
traggiato, quel povero si ritira in silenzio, gemendo e piangendo
assai? Egli viene inviato da Dio per te. Pensa dunque, quando lo
insulti, in quale direzione trasferisci l’oltraggio, dal momento che

a* Cf. Gn 14, 14. Sir 18, 16.

23 Abramo prese egli stesso un vitello tenero e lo fece preparare per ri­
focillare i tre ospiti che si erano recati da lui: cf. Gn 18, 7.
164 Omelie sul Vangelo di Matteo

Dio lo manda a te e ti ordina di dare, mentre tu non solo non dai,


ma anche oltraggi chi viene a te. Se non ti accorgi dell’enorme as­
surdità del tuo comportamento, consideralo nel caso degli uomini
e allora conoscerai bene la grandezza di questo peccato. Se infatti
un tuo servo ricevesse da te l’ordine di andare da un altro servo a
prendere il tuo denaro tenuto da lui e non soltanto ritornasse a
mani vuote, ma anche dopo essere stato insultato, che cosa non fa­
resti a chi lo ha insultato? Che grande castigo non gli infliggeresti,
dal momento che tu stesso sei quello che è stato oltraggiato? Pen­
sa questo anche nel caso di Dio, perché è lui che ci invia i poveri
e, se diamo, doniamo ciò che gli appartiene. Se, oltre al fatto di
non dare, li mandiamo via anche dopo averli insultati, considera
quante folgori, quanti fulmini merita l’azione che facciamo.
Pensando quindi a tutto ciò, mettiamo un freno alla lingua,
scacciamo la disumanità, tendiamo la mano all’elemosina e con­
fortiamo gli indigenti non solo con il denaro, ma anche con le pa­
role per sfuggire alla punizione dovuta per le ingiurie ed ereditare
il regno a motivo della benedizione e dell’elemosina, per la grazia
e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e
la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 36

E avvenne che quando Gesù ebbe terminato di istruire i dodici di­


scepoli, passò di là a insegnare e predicare nelle loro città a.

G io v a n n i B a t t ist a in v ia a G e s ù i s u o i d is c e p o l i

1. Dopo averli inviati, si ritirò per dare loro spazio e te


per realizzare quello che aveva prescritto. Nessuno infatti avrebbe
voluto andare da loro se egli fosse stato presente ed avesse svolto
l’attività di guaritore. Giovanni intanto, che era in carcere, avendo
sentito parlare delle opere di Gesù, inviò due discepoli per inteno-
garlo e dirgli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un
altro?1. Luca dice che furono essi a riferire a Giovanni i miracoli
e allora li inviò b. Questo però non presenta alcuna difficoltà, ma
offre soltanto lo spunto per una osservazione, in quanto anche ta­
le episodio manifesta la loro invidia verso di lui. Invece quanto se­
gue è una questione assai rilevante. Qual è questa? Il fatto di dire:
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro? Egli
che lo conosceva prima che operasse miracoli, che lo aveva appre­
so dallo Spirito, lo aveva ascoltato dal Padre, egli che lo aveva pro­
clamato di fronte a tutti, ora di sua iniziativa manda ad informar-

a Mt 11, 1. b cf. Le 7,18-19.

1 Mt 11, 2-3. Che fossero due i discepoli inviati da Giovanni, si trova in


Le 7,18.
166 Omelie sul Vangelo di Matteo

si se era lui o no? Certamente se non sai chiaramente che è lui,


perché ritieni di essere degno di fede, facendo dichiarazioni su ciò
che ignori? Difatti chi ha intenzione di rendere testimonianza agli
altri, deve essere prima lui stesso degno di fede. Non dicevi tu:
Non sono degno di sciogliergli il legaccio del sandalo c? Non dicevi
tu: Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua,
mi aveva detto: Colui sul quale vedrai scendere e rimanere su di lui
lo Spirito, è colui che battezza in Spirito santo d? Non hai visto lo
Spirito in forma di colomba? Non hai ascoltato quella voce? Non
hai cercato di ostacolarlo dicendo: Io ho bisogno di essere battez­
zato da te e? Non dicevi ai discepoli: Egli deve crescere e io invece
diminuiref? Non insegnavi a tutto il popolo che lui li avrebbe bat­
tezzati in Spirito santo e fuoco e, e che è lui l’agnello di Dio che
prende su di sé il peccato del mondo*1? Non avevi proclamato tut­
to questo prima dei miracoli e dei prodigi? Perché dunque ora che
si è manifestato a tutti, la sua fama si è diffusa ovunque, i morti so­
no stati resuscitati, i demoni scacciati e c’è stata la prova di mira­
coli così grandi, mandi di tua iniziativa ad informarti? Che è acca­
duto? Tutte quelle parole erano inganno, messinscena, favole? Ma
quale persona assennata potrebbe dirlo? Non dico Giovanni, che
sussultò nel grembo della madre ‘, che lo proclamò prima di na­
scere, che era cittadino del deserto, che mostrava un sistema di vi­
ta angelico; ma nemmeno nessuno della moltitudine, tra quelli as­
sai disprezzati, potrebbe dubitare dopo tante testimonianze, sia da
parte sua che dagli altri. Da ciò risulta evidente che neppure lui
mandò i discepoli perché dubitava, né rivolse quella domanda
perché ignorava. Né si potrebbe dire che sapeva con chiarezza, ma
era divenuto più timoroso a motivo del carcere; non si aspettava di
esserne liberato, né, se se lo fosse aspettato, avrebbe tradito la sua
pietà religiosa, egli che era pronto a morire. Se infatti non fosse
stato preparato a questo, non avrebbe mostrato tanto coraggio da­
vanti al popolo intero, che si era impegnato a versare il sangue dei

c Le 3,16; Gv 1,27. d G v l,3 3 . e M t3, 14. f Gv3,30.


g C f.M t3 ,11. h Cf. G v l,2 9 . iQ . Le 1,41.
Omelia 36, 1 167

profeti, né avrebbe contestato, con tanta franchezza, quel crudele


tiranno 2 in mezzo alla città e alla piazza, rimproverandolo dura­
mente come un bambino piccolo, mentre tutti lo ascoltavano. E se
fosse diventato più timoroso, perché non si vergognava dei suoi
discepoli, davanti ai quali gli aveva reso una testimonianza così
grande, ma rivolse la sua domanda per mezzo di essi, mentre
avrebbe dovuto farlo per mezzo di altri?

I n v id ia d e i d is c e p o l i d e l B a to sta

Certamente sapeva chiaramente che erano invidiosi di lui e


desideravano trovare un appiglio contro di lui. Perché non arros­
sì davanti al popolo giudaico, di fronte al quale aveva annunciato
tante cose? Che vantaggio gliene veniva riguardo alla liberazione
dalla prigionia? Non era stato gettato in carcere a causa di Cristo,
né per il fatto di proclamare la sua potenza, ma per l’accusa rela­
tiva a quelle nozze inique3. Non si sarebbe acquistato fama di es­
sere un bambino insensato, un uomo folle? Qual è dunque il suo
intento? E evidente da quanto è stato detto che mettere in dubbio
queste cose non riguardava Giovanni, ma neppure qualsiasi per­
sona, per quanto fosse assai stolta e insensata. Si deve ora addurre
la soluzione della questione. Perché allora li mandò a interrogare?
I discepoli di Giovanni avversavano Gesù; questo è evidente a
ognuno, e erano sempre invidiosi di lui. E chiaro da ciò che dice­
vano al loro maestro: Colui che era con te dall’altra parte del Gior­
dano, e al quale hai reso testimonianza, ecco, battezza e tutti vanno
da luti·, e ancora: Nacque una discussione tra i discepoli di Giovan­

i G v 3 ,26.

2 II tetrarca Erode Antipa che il Battista rimproverava per aver preso in


moglie Erodiade, moglie di suo fratello Filippo: cf. Mt 14, 3-4.
3 Cf. la nota precedente.
168 Omelie sul Vangelo di Matteo

ni e i giudei riguardo alla purificazione k. E ancora, gli si accostaro­


no e gli dissero: Perché noi e i farisei digiuniamo molto, mentre i
tuoi discepoli non digiunano?*.
2. Non sapevano ancora chi era Cristo, ma, immaginando
Gesù fosse un semplice uomo e Giovanni invece più che un uomo,
erano angustiati nel vedere che il primo godeva di grande reputazio­
ne, mentre l’altro veniva meno, come aveva detto 4. Questo impedi­
va loro di avvicinarsi a Cristo, perché l’invidia sbarrava l’accesso a
lui. Finché Giovanni era con loro, li esortava e istruiva continua­
mente, e neppure così li persuadeva; ma poiché stava per morire, ac­
cresceva i suoi sforzi, perché temeva di dare adito ad una opinione
perversa e che essi rimanessero separati da Cristo. Si sforzava infatti
dal principio di condurre a lui tutti i suoi discepoli, ma poiché non li
convinceva, stando per morire aumenta il suo impegno. Se avesse
detto: Andate da lui, egli è migliore di me, non li avrebbe persuasi
perché difficilmente si sarebbero staccati da lui, ma si sarebbe pen­
sato che parlava così per modestia e si sarebbero maggiormente at­
taccati a lui. D ’altra parte se avesse taciuto, non ne sarebbe venuto
alcun vantaggio. Che fa allora? Aspetta di sentire da loro che opera­
va prodigi e nemmeno in questo caso rivolge loro esortazioni, né
manda tutti, ma due che forse sapeva che erano più docili degli altri,
perché la domanda risultasse non sospetta, perché apprendessero
dai fatti la differenza tra Gesù e lui, e dice: «Andate e chiedete: Sei
tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?».

La r isp o st a d i G esù a lla dom anda d i G io v a n n i B a t t ist a

Cristo, conoscendo l’intenzione di Giovanni, non disse: So­


no io, perché di nuovo questo avrebbe urtato i suoi ascoltatori,

k Gv 3,25. >Mt9, 14.

4 Cf. Gv 3, 30, in cui il Battista dice a proposito di Gesù: Egli deve cre­
scere e io invece diminuire.
Omelia 36, 1-2 169

benché fosse logico dirlo, ma lascia che lo apprendano dai fatti.


Dice che, quando costoro gli si avvicinarono, guarì molti5. Cer­
tamente quale connessione c’era tra il fatto di non rispondere
nulla alla domanda: Sei tu?, e il guarire subito coloro che erano
affetti da infermità, se non avesse voluto indicare quello che ho
detto? In effetti ritenevano che la testimonianza derivante dai
fatti fosse più credibile e meno sospetta di quella proveniente
dalle parole. Sapendo dunque, dal momento che era Dio, l’in­
tenzione con cui Giovanni li aveva inviati, subito curò ciechi,
storpi e molti altri, non per insegnarlo a lui - e come avrebbe po­
tuto, dato che egli ne era convinto? - , ma a quelli che ne dubita­
vano, e dopo averli curati dice: Andate e riferite a Giovanni ciò
che udite e vedete: I ciechi recuperano la vista, gli storpi cammina­
no, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti re­
suscitano, ai poveri è predicata la buona notizia m, e ha aggiunto:
e beato chi non si scandalizza di me n, mostrando di conoscere i
segreti del loro animo. Se avesse detto: Sono io, questo li avreb­
be urtati, come ho detto in precedenza, e avrebbero pensato, an­
che senza dirlo, quello che i giudei gli dicevano: Tu dai testimo­
nianza di te stesso °. Perciò non si esprime in questi termini, ma
lascia che essi apprendano tutto dai prodigi, rendendo il suo in­
segnamento non sospetto e più chiaro. Per questo ha aggiunto
indirettamente anche una nota di biasimo nei loro confronti.
Poiché infatti si scandalizzavano di lui, proclamando quanto es­
si provavano e lasciandolo soltanto alla loro coscienza, senza ren­
dere nessuno testimone di questo capo di imputazione, se non
solo quelli che lo sapevano, li attirò maggiormente a sé anche in
questo modo dicendo: beato chi non si scandalizza di me. Lo di­
ceva alludendo ad essi.

m Mt 11, 4-5. n Mt 11, 6. 0 Gv 8, 13.

5 Questo particolare è narrato da Le 7, 21.


170 Omelie sul Vangelo di Matteo

I l B a t t ist a n o n ig n o r a v a l a f u t u r a p a s s io n e d i G esù ,
PREDETTA DAI PROFETI

Ma per rendervi più chiara la verità mediante il confronto del­


le varie spiegazioni, senza presentare soltanto quanto detto da noi,
ma anche le affermazioni di altri, è necessario esporre anche que­
ste. Che cosa dicono dunque alcuni? Che il motivo non è questo
che è stato indicato da noi; Giovanni ignorava, però non ignorava
tutto, ma sapeva che Gesù era il Cristo, però non sapeva se sareb­
be morto per gli uomini. Perciò disse: Sei tu colui che deve venire?,
cioè: colui che deve scendere negli inferi6. Ma questa interpreta­
zione non potrebbe essere ragionevole perché Giovanni non igno­
rava neppure ciò. Difatti aveva annunciato questo prima di o gni
altra cosa e a questo aveva reso testimonianza innanzitutto. Ecco,
dice, l’Agnello di Dio, colui che prende su di sé il peccato del mon­
do p. Lo ha chiamato agnello, proclamando la croce e dicendo: co­
lui che prende su di sé il peccato del mondo, ha manifestato questo
medesimo concetto. Non ha infatti compiuto questo in altro mo­
do, se non per mezzo della croce; lo diceva anche Paolo: Ha tolto
di mezzo il documento scritto, che ci era sfavorevole, inchiodandolo
alla croce <3. Dire poi: Vi battezzerà in Spirito r, profetizzava gli even­
ti dopo la resurrezione. Ma, si potrebbe obiettare, sapeva che sa­
rebbe risorto e avrebbe dato lo Spirito santo; però non sapeva che
sarebbe stato anche crocifisso. Come dunque sarebbe risorto sen­
za aver patito né essere stato crocifisso? Come poteva essere Gio­
vanni più grande di un profetas, se ignorava ciò che sapevano i
profeti?
3. Che fosse più grande di un profeta, lo attestò Cristo st
che poi i profeti conoscessero la sua passione, è evidente a ognu­
no. Difatti Isaia dice: Era come una pecora condotta al macello, co-

P Gv 1, 29. <3Col 2,14. r M t3 ,11. s Cf. Mt 11, 9.

6 Si veda in questo senso un frammento di Origene su Mt 11,2-3 (GCS


41, p. 105).
Omelia 36, 2-3 171

me agnello muto di fronte al suo tosatorel. E prima di questa testi­


monianza dice: Sarà la radice di lesse, e colui che si leva a domina­
re ipopoli; in lui le genti riporranno la loro speranza u. Poi, parlan­
do della passione e della gloria che ne deriva, ha aggiunto: E ono­
re sarà il suo riposo 7. Questo profeta non soltanto ha predetto che
sarebbe stato crocifisso, ma anche con chi: E stato annoverato, di­
ce, tra gli iniquiv. Non solo questo, ma che non si sarebbe difeso:
Questi, dice, non apre la sua bocca w, e che sarebbe stato condan­
nato ingiustamente: Nella sua umiliazione, dice, fu giudicato x. Pri­
ma di lui lo dice David e descrive il tribunale: Perché le genti han­
no insolentito e i popoli si sono dati a vani pensieri? Si sono pre­
sentati i re della terra e i capi hanno cospirato insieme contro il Si­
gnore e contro il suo Cristo 8. In un altro passo parla della figura 9
della croce, dicendo così: Hanno forato le mie mani e i miei piediy,
e aggiunge con totale precisione quanto hanno osato fare i solda­
ti: Si sono divise le mie vesti e hanno gettato la sorte sul mio vesti-
to z. In un altro passo dice che gli offrirono l’aceto: Mi hanno dato
fiele per cibo e quando avevo sete mi hanno dato da bere aceto aa. I
profeti quindi tanti anni prima parlano del tribunale, della con­
danna, di coloro che furono crocifissi con lui, della divisione del­
le vesti, della sorte gettata su di esse e di molti altri particolari che
non è necessario ora indicare nella loro totalità per non allungare
il discorso; egli10, che era più grande di tutti quelli, ignorava tutto
ciò? E come potrebbe essere ragionevole? Perché non disse: Sei tu
colui che deve andare negli inferi?, ma semplicemente: colui che
deve venire? Certo molto più ridicola di questa potrebbe essere
quell’altra teoria, perché dicono: Affermava questo perché, an-

1 Is 53, 7. u Is 11, 10. v Is53, 12. w Is5 3 ,7 . x Is 53, 8.


y Sai 22 (21), 17. 2 Sai 22 (21), 19. aa Sai 69 (68), 22.

7 Ibid. secondo il testo dei LXX.


8 Sai 2, 1-2. Qui Cristo designa il Messia.
9 Anche in questo caso la prefigurazione è indicata con il t. typos.
10 Giovanni Battista.
172 Omelie sul Vangelo di Matteo

dando via da questo mondo, predicasse anche là n . Ad essi è op­


portuno dire: Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi, ma
siate come bambini quanto a malizia ab.

S i È GIUDICATI IN BASE AL COMPORTAMENTO NELLA VITA TERRENA

La vita presente è tempo della propria condotta 12; dopo la


morte c’è il giudizio e il castigo. Negli inferi, dice, chi ti confesse­
rà? ac. Come dunque sono state spezzate le porte di bronzo e sono
state infrante le sbarre di ferro? Per mezzo del suo corpo 1}. Allora
per la prima volta fu mostrato un corpo immortale che distruggeva
la tirannide della morte. D ’altra parte questo dimostra che la forza
della morte era stata distrutta, non che erano stati cancellati i pec­
cati di coloro che erano morti prima della sua venuta. Se non fosse
così, ma se liberò dalla geenna anche tutti quelli che erano vissuti
precedentemente, perché dice: Il paese di Sodoma e Gomorra avrà
una sorte più sopportabile ad? Questa espressione è stata detta in
quanto quelli saranno puniti, certo in forma più mitigata, ma tutta­
via saranno puniti. Eppure qui furono puniti nel modo più severo,
ma tuttavia nemmeno ciò li libererà14. Se non libererà costoro, a
maggior ragione quelli che non hanno affatto sofferto.
Ebbene, si potrebbe obiettare, è stata fatta ingiustizia a colo­
ro che sono vissuti prima della sua venuta? Per niente affatto, per­
ché allora era possibile salvarsi anche senza confessare Cristo. A

ab 1 Cor 14, 20. ac Sai 6, 6. ad Mt 10, 15.

11 Secondo questa teoria quindi il Battista avrebbe espresso il desiderio


di predicare negli inferi dopo la sua morte. Il riferimento agli inferi si trova in
un frammento origeniano su Mt 11,2-3 (GCS 41, p. 105). .
12 Nel senso che è il tempo in cui si manifesta il comportamento del­
l’uomo, in bene o in male, e da questo dipenderà il giudizio futuro.
13 II corpo di Cristo.
14 Dal castigo nell’aldilà.
Omelia 36, 3 173

loro non era richiesto questo, ma non essere idolatri e conoscere il


vero Dio. Il Signore, dice, è il tuo Dio, il Signore è uno solo ae. Per
questo venivano ammirati i M accabei15, perché patirono quello
die patirono per l’osservanza della legge, e così quei tre giovani16
e molti altri presso i giudei che mostrarono una vita eccellente e
mantennero la misura di questa conoscenza; ad essi non fu richie­
sto nulla di più. Allora, come ho detto in precedenza, bastava per
la salvezza soltanto conoscere Dio; ora invece non è più sufficien­
te, ma occorre anche la conoscenza di Cristo. Perciò diceva: Se
non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero peccato;
ma ora non hanno scusa per il loro peccato Questo vale anche per
la condotta di vita. Allora l’omicidio causava la perdizione di chi
lo commetteva; ora anche l’adirarsi. Allora l’adulterio e l’unirsi
con la donna altrui erano puniti; ora anche guardare con occhi dis­
soluti 17. Ora infatti come la conoscenza, così anche la condotta di
vita è stata più approfondita, sicché in tale situazione non c’era bi­
sogno del Precursore18. D ’altra parte se dopo la morte gli incre­
duli, credendo, fossero destinati a salvarsi, nessuno si perderebbe
mai. Tutti allora in effetti si pentiranno e adoreranno. A riprova
del fatto che ciò è vero, ascolta Paolo che dice: Ogni lingua con­
fesserà e ogni ginocchio si piegherà nei cieli, sulla terra e sotto ter­
ra as, e: Uultimo nemico ad essere annientato sarà la morte Λ. Ma
non verrà alcun vantaggio da quella sottomissione, perché deriva
non da una scelta deliberata e riconoscente, ma, per così dire, dal­
la necessità dei fatti.

ae Dt 6, 4. af Gv 15, 22. as Fil 2, 10-11. ^ 1 Cor 15,26.

15 Eroi della resistenza ebraica al tentativo da parte dei Seleueidi di im­


porre un modello di vita di impronta greca, nel II secolo a.C. Queste vicen­
de sono narrate nei due libri dei Maccabei. Crisostomo scrisse dei panegirici
in onore dei Maccabei.
161 giovani nella fornace di cui parla Dn 3, 19ss.
17 II riferimento è a Mt 5, 28.
18 Cioè del Battista.
174 Omelie sul Vangelo di Matteo

P rem i e c a s t ig h i

4. Non introduciamo quindi siffatte dottrine da vecchiere


tali favole giudaiche. Ascolta che cosa dice Paolo su questo argo­
mento: Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno an­
che senza la legge parlando di quelli che hanno vissuto nel tempo
prima della legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saran­
no giudicati per mezzo della legge3), riferendosi a tutti quelli che vis­
sero dopo Mosè; e: L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empie­
tà e ingiustizia di u o m i n i e: sdegno e ira, tribolazione e angoscia
per ogni uomo che opera il male, per il giudeo prima e poi per il gre­
co Certamente i pagani soffrirono quaggiù innumerevoli mali;
questo mostrano le storie profane e le nostre Scritture. Chi potreb­
be narrare in effetti le tragedie dei babilonesi o quelle degli egizia­
ni? Ora a riprova del fatto che coloro che non hanno conosciuto
Cristo prima della sua venuta nella carne, ma si sono allontanati
dall’idolatria, hanno adorato soltanto Dio e hanno mostrato una vi­
ta eccellente, godranno di tutti i beni, ascolta che cosa dice: Gloria
invece, onore e pace per tutti coloro che operano il bene, per il giudeo
prima e poi per il greco a™. Vedi che a questi sono riservate molte ri­
compense per il bene compiuto, mentre al contrario sono riservati
castighi e punizioni per coloro che hanno agito in senso opposto?
Dove sono dunque quelli che non credono nella geenna? Se
infatti coloro che vissero prima della venuta di Cristo, che non
udirono nemmeno il nome della geenna né della resurrezione, pur
essendo stati puniti quaggiù, lo saranno anche lassù, quanto di più
lo saremo noi che siamo stati allevati in così sublimi dottrine della
sapienza cristiana? 19 Ma, si potrebbe obiettare, come può essere
ragionevole che coloro che non hanno sentito parlare affatto della
geenna, cadano in essa? Diranno: Se avessi minacciato la geenna,

aiRrn2, 12. ai Ibid. a k R m ^ lS . al Rm 2, 8-9. am RUJ2, 10.

19 Anche in questo caso è usato il t. philosophia.


Omelia 36, 4 175

avremmo temuto maggiormente e saremmo rinsaviti. Certo - non


è vero? -, come ora viviamo noi che ascoltiamo ogni giorno i di­
scorsi sulla geenna, ma non vi prestiamo affatto attenzione. Oltre
a questo si può dire anche che chi non è tenuto a freno dai casti­
ghi immediati, a maggior ragione non lo sarà da quegli altri. Ciò
che è a portata di mano e accadrà immediatamente suole far rin­
savire coloro che sono più irragionevoli e ottusi, piuttosto che ciò
che si verificherà molto tempo dopo. Ma, si potrebbe replicare, su
di noi incombe una paura maggiore, e in questo a loro è stato fat­
to torto 20. Per niente affatto. Innanzitutto a noi e a loro non sono
riservate le medesime prove, ma a noi molto più grandi. Coloro
che si sobbarcano a fatiche maggiori devono usufruire di un aiuto
maggiore, e non piccolo aiuto è il fatto che il timore sia accresciu­
to. Se noi siamo loro superiori per il fatto di conoscere gli eventi
futuri, essi ci sono superiori per il fatto che si abbattono imme­
diatamente su di loro gravi castighi.

L a g iu stizia d i D io

Ma a questo la gente rivolge anche un’altra obiezione. Dov’è,


si potrebbe osservare, la giustizia di Dio, quando chi ha peccato
quaggiù viene punito sia qui sia là? Volete che vi ricordi le vostre
parole perché non ci attacchiate più, ma diate la soluzione da voi
stessi? Ho udito molti dei nostri che, appresa la notizia dell’ese­
cuzione capitale di un assassino, si sono sdegnati e hanno detto
queste parole: «Questo scellerato e maledetto, che ha osato com­
piere trenta omicidi o anche molto di più, ha subito una sola mor­
te; e dove è la giustizia?». Sicché voi stessi riconoscete che non ba­
sta una sola morte per castigo. Perché dunque ora vi pronunciate
in senso contrario? Perché giudicate non gli altri, ma voi stessi,
tanto l’amor proprio diventa di ostacolo per contemplare la giu­
stizia. Perciò quando giudichiamo gli altri, esaminiamo tutto ac­

20 Cioè a coloro che non avevano sentito parlare della geenna.


176 Omelie sul Vangelo di Matteo

curatamente; quando invece giudichiamo noi stessi, siamo ottene­


brati. Sicché se facciamo questo esame riguardo a noi stessi, come
lo facciamo anche con gli altri, giudicheremo in modo imparziale.
Abbiamo anche noi peccati meritevoli non di due o tre, ma di in­
numerevoli morti. Per tralasciare il resto, ricordiamoci di quanti sia­
mo che partecipiamo indegnamente ai misteri21; individui simili so­
no rei del corpo e del sangue di Cristo ™. Sicché quando parli di un
omicida, pensa anche a te stesso. Quello ha ucciso un uomo, tu sei
responsabile dell’uccisione del Signore; quello senza aver parteci­
pato ai misteri, noi invece pur godendo della sacra mensa. Che di­
re di quelli che mordono e divorano i fratelli e spargono molto ve­
leno? Che dire di chi toglie via il nutrimento dei poveri? Se infatti
è così chi non elargisce22, a maggior ragione lo è chi prende ciò che
appartiene ad altri. Di quanti ladroni sono peggiori gli avari? Di
quanti assassini sono peggiori gli avidi? Di quanti violatori di tom­
be? Quanti, dopo aver depredato, sono bramosi anche del sangue?
Ma via, non sia mai!, si potrebbe replicare. Ora dici: Non sia mai!;
quando hai un nemico, allora di’: Non sia mai!, ricordati di queste
parole e mostra una vita piena di grande perfezione, perché non ci
attenda la sorte di Sodoma, perché non soffriamo quanto patì G o­
morra, perché non subiamo le sventure di Tiro e di Sidoneao, anzi
perché non offendiamo Cristo, il che è più grave e più terribile di
ogni male. Anche se per molti la geenna sembra essere terribile, io
però non smetterò di gridare continuamente che questo è più gra­
ve e terribile di ogni geenna, e vi esorto ad avere questa disposizio­
ne d’animo. Così saremo liberati dalla geenna e godremo della glo­
ria di Cristo. Voglia il cielo che tutti noi la raggiungiamo, per la gra­
zia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria
e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

an Cf. 1 Cor 11, 27. a° Cf. Is 23, lss.

21 L’Eucaristia.
22 Cioè chi non rende partecipi dei suoi beni gli indigenti.
OMELIA 37

Mentre questi se ne andavano, Gesù cominciò a parlare di Giovan­


ni alle folle: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna
sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uo­
mo avvolto in morbide vesti? Ecco, coloro che portano morbide ve­
sti stanno nei palazzi dei re. Ma che cosa siete andati a vedere? Un
profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta a.

G esù d issip a i d u b b i d e l l a f o l l a su G io v a n n i B a ttista

1. Era stata regolata bene la questione relativa ai discepo


Giovanni; essi se ne andarono confermati dai prodigi che in quel
momento erano avvenuti. Occorreva poi rettificare anche le opi­
nioni del popolo. Quelli1 non avrebbero potuto immaginare nien­
te di simile riguardo al loro maestro; quella grande folla invece, in
base alla domanda dei discepoli di Giovanni, avrebbe potuto pen­
sare a molte assurdità, non conoscendo l’intenzione con cui aveva
inviato i suoi discepoli. Era verosimile che discutessero tra di sé e
dicessero: «Egli che ha reso una così grande testimonianza, ora ha
mutato opinione e dubita se chi deve venire sia costui o un altro?
Parla forse così perché è in disaccordo con Gesù? È diventato for­
se più timoroso per effetto del carcere? Forse prima ha parlato in­

a Mt 11,7-9.

1 1 discepoli di Giovanni.
178 Omelie sul Vangelo di Matteo

vano e avventatamente?». Poiché dunque era verosimile che aves­


sero molti sospetti di questo genere, vedi come corregge la loro de­
bolezza ed elimina questi sospetti. Mentre questi se ne andavano,
cominciò a parlare alle folle. Perché mentre se ne andavano? Per
non sembrare di adulare quell’uomo. Per correggere il popolo, non
presenta quanto essi supponevano, ma fornisce soltanto la soluzio­
ne ai pensieri che li turbavano nell’animo, mostrando di conoscere
i segreti del cuore di tutti. Non dice come fece con i giudei: Perché
pensate cose malvagie? b. Difatti anche se le pensavano, non faceva­
no questi ragionamenti per malizia, ma per ignoranza del significa­
to delle parole di Giovanni. Perciò non parla loro per rimprove­
rarli, ma corregge solo il loro pensiero e difende Giovanni; fa ve­
dere che non aveva mutato la sua precedente opinione, né era cam­
biato. Non era infatti un uomo instabile e volubile, ma saldo e fer­
mo e non tale da venir meno al compito che gli era stato affidato.
Per provarlo, non lo dimostra subito in base al proprio giudizio, ma
in forza della loro precedente testimonianza, non soltanto in virtù
di quanto avevano detto, ma anche di quanto avevano fatto, mo­
strandoli testimoni della sua fermezza. Perciò dice: Che cosa siete
andati a vedere nel deserto? Come se dicesse: Perché, lasciando le
città e le case, siete accorsi tutti nel deserto? Per vedere un uomo
miserevole e instabile? Ma non avrebbe senso. Non lo dimostrano
infatti quella premura, quell’accorrere tutti nel deserto. Non si sa­
rebbero allora riversate nel deserto e al fiume Giordano tanta gen­
te e tante città con tanto zelo, se non si fossero aspettate di vedere
un uomo grande, meraviglioso, più saldo della roccia. Non siete
andati a vedere una canna sbattuta dal vento; a questa difatti sono
soprattutto simili quelli che sono instabili, che facilmente si lascia­
no trasportare qua e là, che ora dicono questo, ora quello e non
hanno nessun punto fermo. Considera come, lasciando da parte
ogni malizia, indichi questa che allora soprattutto li turbava, ed
elimini il fondamento del sospetto di instabilità: Ma che cosa siete
andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ecco, coloro che

b Mt 9,4.
Omelia i l , 1-2 179

portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re. Quanto dice signifi­
ca che egli non era instabile di per sé; questo voi avete manifestato
con il vostro zelo. Certo nessuno potrebbe dire che era saldo, ma
poi era diventato frivolo perché schiavo del lusso. Alcuni uomini
sono tali di per sé, altri lo diventano; ad esempio, l’uno è per natu­
ra incline all’ira, l’altro si procura questa infermità dopo essere ca­
duto in una lunga malattia. Ancora, alcuni sono per natura instabi­
li e leggeri, altri lo diventano per essere schiavi del lusso e per es­
sersi rammolliti. Ma Giovanni, vuol dire, non era così per natura;
non siete andati a vedere una canna, né egli ha perso l’eccellenza
che aveva per essersi dato alle mollezze. Che non fosse stato schia­
vo delle mollezze, lo dimostrano la veste, il deserto, il carcere, per­
ché se avesse voluto portare morbide vesti, non sarebbe stato nel
deserto, né nel carcere, ma nella reggia. Se soltanto avesse taciuto,
avrebbe potuto godere di innumerevoli onori. Erode, dal momen­
to che aveva così riguardo per lui benché lo rimproverasse e fosse
imprigionato, a maggior ragione lo avrebbe adulato se avesse ta­
ciuto. Avendo dunque dato prova, coi fatti, della sua fermezza e co­
stanza, come sarebbe stato giusto che fosse oggetto di sospetti ri­
guardo a tali qualità?

G rand ezza del B a t t ist a

2. Dopo aver delineato la sua indole sulla base del luogo,


la veste e dell’afflusso della gente da lui, allega poi anche il profe­
ta, perché dopo aver detto: Che cosa siete venuti a vedere? Un pro­
feta? Sì, vi dico, anche più di un profeta, aggiunge: Questi è colui,
del quale è stato scritto: Ecco, io mando davanti a te il mio messag­
gero che preparerà la tua via davanti a te c. Dopo aver prima pre­
sentato la testimonianza dei giudei, aggiunge quindi quella dei
profeti; anzi prima presenta la sentenza dei giudei, che potrebbe
essere la più grande dimostrazione, in quanto la testimonianza è

c Mt 11, 10; cf. MI 3, 1.


180 Omelie sul Vangelo di Matteo

addotta dai nemici; in secondo luogo, la vita di quell’uomo; in ter­


zo luogo, il suo giudizio; in quarto luogo, il profeta, chiudendo lo­
ro la bocca da ogni punto di vista. Poi, perché non dicessero: «Che
dire, se allora era così, ma ora è cambiato?», ha aggiunto anche
quanto veniva successivamente, la veste, il carcere e, insieme a
questo, la profezia. Quindi, dopo aver detto che era più grande di
un profeta, fa vedere anche in che cosa era più grande. In che co­
sa dunque era più grande? Nel fatto di essere vicino a colui che era
venuto. Mando, dice, il mio messaggero davanti a te, cioè, vicino a
te. Come nel caso dei re, quelli che incedono vicino al carro, sono
più illustri degli altri, così anche Giovanni appare incedere in
prossimità della venuta di Cristo. Osserva come abbia indicato an­
che così la sua preminenza; non si ferma qui, ma aggiunge anche
il suo giudizio, dicendo: In verità vi dico: tra i nati di donna non è
sorto uno più grande di Giovanni battista d. Quanto dice significa:
Nessuna donna ha generato uno più grande di costui. È sufficien­
te questa dichiarazione, ma se vuoi saperlo anche dai fatti, pensa
alla sua mensa, alla sua maniera di vivere, alla elevatezza del suo
animo. Viveva come fosse in cielo e, innalzatosi al di sopra delle
necessità della natura, percorse una via straordinaria, passando
tutto il tempo in inni e preghiere, senza frequentare nessun uomo,
ma intrattenendosi continuamente soltanto con Dio. Non vide
nessuno dei compagni di servitù 2, né fu visto da nessuno di que­
sti, non si nutrì di latte, non ebbe un letto, un tetto, non frequen­
tò la pubblica piazza né usufruì di nessun’altra comodità umana, e
tuttavia era al tempo stesso mite e ardente. Ascolta con quanta
moderazione parla ai suoi discepoli, con quanto coraggio al popo­
lo giudaico, con quanta franchezza al re3. Perciò diceva: Tra i na­
ti di donna non è sorto uno più grande di Giovanni battista.

a Mt 11,11.

2 Sempre nel senso di coloro, vale a dire gli uomini, che sono accomu­
nati dal servizio al Signore di tutti.
3 Erode Antipa.
Omelia 3 7,2 181

I n c h e se n so G e sù è m esso a c o n fr o n to
co n G iovanni B attista

Ma perché d’altra parte la sovrabbondanza delle lodi non ge­


nerasse qualche opinione assurda, in quanto i giudei lo antepone­
vano a Cristo, osserva come corregga anche questa idea. Come in­
fatti le folle ricevevano un danno da ciò da cui erano edificati i di­
scepoli di Giovanni, perché lo ritenevano instabile, così anche da
ciò da cui le folle erano corrette, avrebbe potuto derivare un dan­
no maggiore, se da quanto era stato detto avessero ricavato di lui
un’opinione più alta di quella di Cristo. Perciò corregge tale opi­
nione senza lasciare adito a sospetti dicendo: Tuttavia il più picco­
lo nel regno dei cieli è più grande di lui e; più piccolo secondo l’età
e secondo l’opinione della gente, perché dicevano che mangiava e
beveva vino 4 e: Non è egli forse il figlio del carpentiere? f, e lo di­
sprezzavano sempre. E dunque, si potrebbe osservare, era più
grande in confronto a Giovanni? Non sia mai! Neppure Giovan­
ni quando dice: è più potente di me s, lo dice per stabilire un con­
fronto; né Paolo, quando scrive menzionando Mosè: In confronto
a Mosè egli è stato giudicato degno di maggior gloria h, lo scrive per
stabilire un paragone. E il Signore stesso dicendo: Ecco, qui c’è più
di Salomone *, non lo dice per stabilire un confronto. Ma se conce­
diamo che egli abbia parlato così stabilendo un confronto, ciò è
avvenuto per disposizione divina a causa della debolezza degli
ascoltatori. Difatti quegli uomini erano presi da grande ammira­
zione per lui; il carcere e la sua franchezza nei confronti del re lo
avevano reso allora più fulgido, ed era sufficiente per il momento
che la gente accettasse questo confronto. Anche l’Antico Testa­
mento suole correggere così le anime degli erranti, mettendo a
confronto realtà che non sono paragonabili, come quando dice:

e Ibid. f Mt 13,55. s M t 3 , 11. h E b 3 ,3 . ' Mt 12, 42.

4 II riferimento è a Gesù: cf. Mt 11, 19.


182 Omelie sul Vangelo di Matteo

Fra gli dei nessuno è come te, Signore ); e ancora: Non c’è dio come
il nostro Dio k. Alcuni dicono che Cristo abbia detto ciò con rife­
rimento agli apostoli; altri, con riferimento agli angeli. Quando al­
cuni si allontanano dalla verità, sono soliti commettere molti erro­
ri. Che senso ha che queste parole siano riferite agli angeli o agli
apostoli? D ’altra parte, se avesse parlato degli apostoli, che cosa
avrebbe impedito di citarli espressamente? 5. Invece, riferendosi a
se stesso, giustamente tiene celata la sua persona a causa dell’opi­
nione ancora prevalente e per non sembrare di dire qualcosa di
grande di se stesso; in molte occasioni mostra di agire così.
Che significa l’espressione nel regno dei cieli.? Nelle cose spi­
rituali e in tutto ciò che attiene al cielo. Dire: tra i nati di donna
non è sorto uno più grande di Giovanni, significava distinguere
Giovanni da sé e così mettersi da parte.
3. Anche se egli stesso era nato di donna, non lo era però
sì come Giovanni, perché non era un semplice uomo, né era stato
generato allo stesso modo degli altri uomini, ma con un parto sin­
golare e straordinario.

C o lo r o c h e fa n n o propria l a f e d e in C risto

Dai giorni di Giovanni Battista, dice, fino ad ora il regno dei


deli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono *. Quale con­
nessione logica ci può essere tra questo e quanto è stato detto in
precedenza? Molta e assai coerente, perché li spinge e li sollecita
anche così ad avere fede in lui e al tempo stesso sostiene ciò che in
precedenza aveva detto Giovanni. Se infatti fino a Giovanni tutto

i Sai 86 (85), 8. k Sai 77 (76), 14. 'M t l l , 12.

5 Si noti come Crisostomo sia sempre attento al testo scritturistico in


quanto tale, per cui non accetta interpretazioni che a suo parere non sono
giustificate dal testo stesso che, in questo caso, se avesse voluto riferirsi agli
apostoli, li avrebbe menzionati direttamente.
Omelia 37, 2-3 183

era stato adempiuto, sono io colui che deve venire, perché, dice,
tutti i profeti e la legge hanno profetato fino a Giovanni m. Non sa­
rebbero cessati i profeti se non fossi venuto io. Non aspettate dun­
que niente di più e non attendete nessun altro. Che sia io, è evi­
dente sia dal fatto che i profeti sono cessati, sia da coloro che ogni
giorno fanno propria la fede in me. E così evidente e chiara che
molti la fanno propria. E chi, dimmi, l’ha fatta propria? Tutti quel­
li che vi si accostano con fervore 6.

G esù stim o la l ’a tten zio n e d e i su o i ascoltatori

Poi presenta anche un’altra prova dicendo: Se lo volete accet­


tare, egli è quell’Elia che deve venire n. Invierò, dice, a voi Elia il Te-
sbita che volgerà il cuore del padre verso i fig li0. Questi è dunque
Elia, dice, se fate attenzione con cura. Difatti: Invierò, dice, il mio
messaggero davanti a te p. Bene ha detto: Se lo volete accettare, per
indicare la mancanza di costrizione. Non costringo, vuol dire. Par­
lava così, richiedendo un animo di retto sentire e mostrando che
questo era quello e quello era questo, perché entrambi avevano
preso su di sé il medesimo ministero ed erano entrambi precurso­
ri. Perciò non ha detto semplicemente: «Questi è Elia», ma: Se lo
volete accettare, egli lo è, cioè: Se prestate attenzione agli eventi
con animo ben disposto. Però non si è fermato qui, ma, facendo
vedere che occorreva comprendere, alla frase: Egli è quell’Elia che
deve venire, ha aggiunto: Chi ha orecchi per intendere, intenda i.
Poneva tanti enigmi per stimolarli a interrogarlo. Se nemmeno co­
sì si svegliavano, molto meno lo avrebbero fatto se quelle cose fos­
sero state evidenti e chiare. Né si potrebbe dire che non osavano

m Mt 11, 13. n Mt 11, 14. ° MI 3, 23-24. P MI 3, 1.


iM t 11, 15.

6 II nostro autore accosta sistematicamente la fede all’impegno persona­


le di chi aderisce ad essa.
184 Omelie sul Vangelo di Matteo

interrogarlo e che egli era inaccessibile. Difatti essi che, per qual­
siasi cosa, lo interrogavano e lo mettevano alla prova, innumere­
voli volte erano messi a tacere e non desistevano, come non si sa­
rebbero informati e lo avrebbero interrogato sulle cose necessarie,
se realmente avessero desiderato sapere? Se, riguardo alle prescri­
zioni legali, lo interrogavano su quale fosse il primo comanda­
mento e altre cose di questo genere, benché non ci fosse alcuna ne­
cessità di parlarne, come non avrebbero dovuto chiedere il signi­
ficato di quanto egli diceva, alla cui risposta era maggiormente te­
nuto? Soprattutto quando era egli stesso che li spingeva e solleci­
tava a questo? Dicendo infatti: t violenti se ne impadroniscono, su­
scita il loro impegno, e affermando: Chi ha orecchi per intendere,
intenda, mira allo stesso scopo.

A rm o nia tra G esù e G iovanni B attista

A chi paragonerò questa generazione?, dice. È simile a quei


fanciulli, seduti sulla piazza, che dicono: Vi abbiamo suonato il flau­
to e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento per voi e non
avete pianto r. Sembra di nuovo che queste parole non siano colle­
gate con quelle precedenti, mentre sono assai concatenate con es­
se. Riguardano ancora infatti il punto essenziale della questione e
la dimostrazione che Giovanni agiva in .armonia con Cristo, anche
se i fatti erano di segno opposto, come nel caso della sua doman­
da 1, e mostrano che non era stato tralasciato nulla di quanto do­
veva essere fatto per la loro salvezza. Questo dice il profeta in ri­
ferimento alla vigna: Che cosa dovevo fare per questa vigna che io
non abbia fatto?*. A chi, dice, paragonerò questa generazione? È si­
mile a quei fanciulli, seduti sulla piazza, che dicono: Vi abbiamo suo-

r Mt 11,16-17. s Is 5,4.

7 La richiesta è contenuta in Mt 11,3: Sei tu colui che deve venire o dob­


biamo attenderne un altro?
Omelia 37, 3-4 185

nato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento per


voi e non avete pianto. È venuto Giovanni, che non mangia e non
beve, e dicono: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo, che
mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico di
pubblicani e peccatori1. Le sue parole significano: Siamo venuti en­
trambi per vie opposte, io e Giovanni, ma abbiamo fatto la stessa
cosa, come se alcuni cacciatori, andando a caccia di un animale
difficile da catturare e che può cadere nelle reti attraverso due vie,
prendessero ciascuno una direzione opposta a quella dell’altro, in
modo che esso cada senz’altro in trappola da una parte o dall’al­
tra. Considera come tutto il genere umano rimanga sbalordito di
fronte alla meraviglia suscitata dal digiuno, di fronte a questa vita
austera e improntata a saggezza. Perciò era stato disposto che, fin
dalla prima età, Giovanni fosse allevato così, in modo che, anche
in questa maniera, fossero degne di fede le sue parole. E perché, si
potrebbe replicare, non scelse questa via anche Cristo? Certamen­
te anche lui percorse questa via, quando digiunò quaranta giorni e
andava in giro ad insegnare senza avere dove posare il capo u, ma
tuttavia raggiungeva questo medesimo obiettivo anche in altro
modo e ne traeva profitto. Difatti ricevere testimonianza da chi
aveva percorso quella strada era lo stesso o anche molto meglio
che se egli percorresse questa via. D ’altra parte Giovanni non ave­
va mostrato niente di più della sua condotta e del suo modo di vi­
vere; Giovanni, dice, non ha fatto nessun prodigio v, mentre egli
aveva la testimonianza che proveniva dai prodigi e dai miracoli.
Lasciando dunque che Giovanni rifulgesse per il digiuno, egli per­
corse la via opposta, presentandosi alla mensa dei pubblicani,
mangiando e bevendo.
4. Chiediamo dunque ai giudei: il digiuno è buono e amm
vole? Quindi bisognava dare retta a Giovanni, accoglierlo, crede­
re alle sue parole. In questo modo esse vi avrebbero condotto a
Gesù. Ma il digiuno è pesante e spiacevole? Allora bisognava da­
re retta a Gesù e credere a lui che procedeva per la via opposta.

• Mt 11,16-19. u Cf. Le 9,58. v G v lO ,41.


186 Omelie sul Vangelo di Matteo

Attraverso l’una e l’altra strada sareste arrivati al regno. Però, co­


me una belva indocile, maltrattavano entrambi. Non era dunque
colpa di coloro che non furono creduti, ma oggetto di accusa era­
no quelli che non credettero loro. Nessuno vorrebbe mai biasima­
re, come neppure lodare, realtà opposte. Faccio un esempio: chi
gradisce un uomo sereno e tranquillo, non gradirà uno che è tetro
e opprimente, mentre chi loda la persona tetra, non loderà chi è
ilare. È impossibile esprimere entrambi i giudizi. Perciò il Signore
dice: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, cioè: ho in­
dicato una vita senza costrizioni e non avete dato retta. E: Abbia­
mo cantato un lamento e non avete pianto, cioè: Giovanni ha ab­
bracciato una vita austera e dura e non vi avete prestato attenzio­
ne. Non dice: egli ha abbracciato quella vita, e io questa; ma, poi­
ché entrambi avevano il medesimo intendimento, anche se oppo­
sti erano i modi di vivere, per questo motivo dice che le cose che
essi avevano fatto erano loro comuni. Difatti anche l’aver seguito
la strada opposta, derivava da un intenso accordo che mirava al
medesimo fine. Che giustificazione dunque potreste avere?

A t t e g g ia m e n t i co n tra d d itto ri d e g l i o ppo sito ri d i G esù

Perciò ha aggiunto: Ma alla sapienza è stata resa giustizia dai


suoi figli w; cioè: anche se voi non avete dato retta, non potete però
accusarmi. Questo dice il profeta riguardo al Padre: Perché ti si ren­
da giustizia nelle tue parole x. Dio infatti, anche se non ottiene alcun
risultato dalla sua sollecitudine verso di noi, porta a compimento
tutto quello che dipende da lui, in modo da non lasciare neppure
un’ombra di insensata incertezza a coloro che vogliono comportar­
si impudentemente. Se gli esempi suddetti sono di poco conto e di
uso comune, non ti meravigliare perché parlava conformemente al­
la debolezza dei suoi ascoltatori. In effetti anche Ezechiele cita mol­
ti esempi adatti a loro e indegni della maestà divina. Ma soprattutto

w Mt 11, 19; cf. Le 7,35. x Sai 51 (50), 6.


Omelia 37, 4 187

questo è degno della sua sollecitudine. Considera come quelli, an­


che da un altro punto di vista, si volgessero ad opinioni opposte.
Dopo aver detto di Giovanni che aveva un demonio y, non si fer­
marono a questo, ma dissero di nuovo lo stesso anche di Gesù che
aveva scelto un modo di vivere opposto; così si volgevano sempre a
opinioni contraddittorie. Luca, oltre a questo, aggiunge anche un’al­
tra accusa più grave contro di essi dicendo: I pubblicani hanno reso
giustizia a Dio ricevendo il battesimo di Giovanni7·.

R im proveri d i G esù

Poi, quando alla sapienza era stata resa giustizia, quando mo­
strò che tutto era stato compiuto, allora rimprovera le città. Poiché
non le aveva persuase, le proclama infelici, il che è più grave che in­
cutere paura. In effetti aveva mostrato l’insegnamento che proveni­
va dalle sue parole e l’attività taumaturgica che derivava dai prodi­
gi, ma poiché persistettero nella loro disubbidienza, le rimprovera.
Allora, dice, Gesù cominciò a rimproverare le città, nelle quali aveva
compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano conver­
tite, dicendo: Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida!aa. Poi perché
tu sappia che quelli erano così non per natura, indica anche il nome
della città da dove provenivano cinque apostoli. Difatti erano di lì
Filippo e le due coppie dei capi8. Perché se a Tiro e a Sidone, dice,
fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi,
avrebbero fatto penitenza col cilicio e la cenere. Ebbene vi dico: Tiro e
Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vo­
stra. E tu, Cafarnao, che ti sei innalzata fino al cielo, precipiterai fino
agli inferi! Perché se a Sodoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in

yCf. M t ll, 18. 2 Le 7, 29. “ Mt 11, 20-21.

8 Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Riguardo a Filippo, cf. Gv 1,


44: Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. Quanto a Giacomo
e a Giovanni, cf. Le 5, 10 dove si dice che essi erano soci di Pietro.
188 Omelie sul Vangelo di Matteo

te, durerebbe fino ad oggi. Ebbene vi dico: nel giorno del giudizio So­
doma avrà una sorte meno dura della tua ab. Non senza motivo met­
te loro davanti Sodoma, ma per accrescere l’accusa. Era infatti una
grandissima dimostrazione di malvagità che essi apparissero peg­
giori non solo di quanti c’erano allora, ma anche dei malvagi che
mai fossero esistiti. Così anche in un’altra occasione stabilisce un
confronto, condannandoli mediante l’esempio dei niniviti e della re­
gina del sudac; però in questo caso mediante l’esempio di coloro che
agirono rettamente9, nell’altro caso invece mediante coloro che pec­
carono, il che era molto più grave. Anche Ezechiele conosce questa
norma di condanna; perciò diceva a Gerusalemme: Hai giustificato
le tue sorelle con tutti i tuoi peccatiad. Così suole sempre soffermar­
si di preferenza sull’Antico Testamento. E non arresta qui il suo di­
scorso, ma accresce anche la paura dicendo che soffriranno castighi
più duri degli abitanti di Sodoma e di Tiro, sì da sollecitarli in ogni
modo sia col proclamarli infelici, sia con lo spaventarli.

A c c o g l ie r e i po veri e prestare a tten zio n e a g l i a po st o li

5. Ascoltiamo anche noi queste parole, perché ha stabilito


più grave di quella inflitta agli abitanti di Sodoma non so­
p u n izio n e
lo agli increduli, ma anche a noi, se non accoglieremo i forestieri che
si presentano a noi, quando ha ordinato di scuotere la polvereae, e
senz’altro a ragione. Quelli infatti, anche se commisero iniquità, lo
fecero però prima della legge e della grazia; noi invece, dopo una co­
sì grande sollecitudine divina, di quale indulgenza potremmo essere
degni, se mostriamo tanta inospitalità e chiudiamo le porte agli indi­
genti e, prima delle porte, le orecchie? Anzi non solo ai poveri, ma

ab Mt 11, 21-24. ac Cf. Mt 12, 41-42. ad Ez 16, 51.


ae Cf. Mt 10,14.

9 Gli abitanti di Ninive che si convertirono e la regina del sud che andò
da Salomone per ascoltare la sua sapienza (cf. Mt 12, 41-42).
Omelia Ì7, 4-5 189

anche agli apostoli stessi? Per questo le chiudiamo ai poveri, perché


lo facciamo anche nei confronti degli apostoli. Quando si legge Pao­
lo e tu non presti attenzione, quando predica Giovanni e tu non
ascolti, quando accoglierai il povero, se non accogli l’apostolo? Per­
ché dunque siano continuamente aperte le case agli uni, le orecchie
agli altri, rimuoviamo il sudiciume dalle orecchie dell’anima. Come
la sporcizia e il fango ostruiscono le orecchie carnali, così i canti osce­
ni, le narrazioni profane, i discorsi relativi a debiti, interessi e presti­
ti 10, ostruiscono l’udito dell’animo più gravemente di ogni sporcizia,
anzi non soltanto lo ostruiscono, ma anche lo rendono impuro.

F u g g ir e l ’asc o lto d i c iò c h e co n ta m in a l ’anim o

Coloro che parlano di queste cose sporcano le vostre orecchie.


Questo minacciava quel barbaro n , dicendo: Mangerete i vostri
escrementi à, e quanto segue; questo vi fanno subire costoro, non a
parole, ma con i fatti, anzi in modo molto più grave. Più ripugnan­
ti di questi infatti sono quei canti, e quel che è peggio è che non so­
lo non pensate di esserne infastiditi ascoltandoli, ma ridete anche,
mentre dovreste esserne disgustati e fuggirli. Se non sono disgusto­
si, scendi nell’orchestra, imita ciò che approvi; anzi va’ soltanto con
quello che suscita tale riso. Ma rifiuteresti. Perché allora gli tributi
tanto onore? Certamente le leggi scritte dai pagani vogliono che es­
si siano bollati di infamia12; tu invece li accogli con l’intera città, co-

of Is 36,12.

10 Come si è già avuto modo di sottolineare, Crisostomo è particolar­


mente sensibile alla piaga del prestito ad interesse che raggiungeva livelli di
usura molto alti ben al di là del tasso, considerato normale, del 12% annuo.
11 II gran coppiere del re di Assiria.
12 Anche in ambito profano attori e mimi non godevano in genere di
buona reputazione, soprattutto nel mondo romano. Sul fatto che, secondo il
diritto romano, gli attori fossero bollati di infamia, cf. M. Talamanca, Istitu­
zioni di diritto romano, Milano 1990, p. 344 (la cosiddetta infamia pretori^): ·
190 Omelie sul Vangelo di Matteo

me ambasciatori e condottieri, e inviti tutti ad accogliere sudiciume


nelle loro orecchie. Se tu senti dire da un servitore qualcosa di tur­
pe, egli riceverà innumerevoli sferzate, e se un figlio, la moglie o
chiunque altro fa lo stesso, qualifichi come indecente questo com­
portamento. Se invece uomini vili e spregevoli ti invitano ad ascol­
tare parole ignobili, non soltanto non ti adiri, ma anzi te ne rallegri
e li approvi. Che cosa potrebbe uguagliare questa insensatezza? Tu
però non dici queste parole turpi? E che vantaggio c’è? Anzi, da do­
ve risulta questo fatto stesso? 13. Se non le dicessi, non ne rideresti
ascoltandole, né correresti con tanta premura ad ascoltare parole
che ti disonorano. Dimmi: ti rallegri nell’ascoltare chi bestemmia?
Non inorridisci forse e ti turi le orecchie? Almeno lo penso. Perché
mai? Perché neppure tu bestemmi. Fa’ così anche per quanto ri­
guarda il turpiloquio, e se vuoi dimostrarci chiaramente che non ti
piace dire parole indecenti, rifiuta anche di ascoltarle. Quando po­
trai diventare una persona seria, se ti alimenti di simili ascolti?
Quando sopporterai di sostenere le fatiche per la temperanza, se ti
lasci andare a poco a poco per effetto del riso, dei canti e di queste
parole turpi? A stento un’anima, pura da tutto questo, potrebbe es­
sere temperante e casta, tanto meno lo sarebbe se si alimentasse di
simili ascolti. O non sapete che siamo inclini all’iniquità? Se dunque
ne facciamo un’arte e un’attività, quando sfuggiremo a quella for­
nace? Non hai ascoltato che cosa dice Paolo? Rallegratevi nel Si­
gnore·*&. Non ha detto: nel diavolo.

L’im m o ralità d e g l i spetta co li teatrali

6. Quando dunque potrai ascoltare Paolo? Quando potra


sere consapevole dei tuoi peccati, se sei sempre e continuamente

ag Fil 4, 4.

13 Cioè il fatto di non dirle.


Omelia 37, 5-6 191

ebbro di quegli spettacoli? Che tu sia venuto q u i14, non è un fat­


to grande e prodigioso; anzi è prodigioso, perché qui vieni casual­
mente e per una formalità, là invece con fervore, di corsa, con mol­
ta premura. Ed è evidente da ciò che porti a casa ritornando da lì.
Difatti ciascuno raccoglie e porta in casa tutto il fango che là si è
riversato su di voi mediante le parole, i canti, il riso, anzi non sol­
tanto in casa, ma ciascuno nel proprio animo. Rifuggi da ciò che
non merita di essere detestato, mentre non hai avversione verso
ciò che è disgustoso, ma anzi lo ami. Molti, tornando dai sepolcri,
si lavano; invece, di ritorno dai teatri, non gemono né versano fiu­
mi di lacrime, benché il morto non sia impuro, mentre il peccato
lascia ima macchia tanto grande che non si può rimuovere con in­
numerevoli fonti d’acqua, ma solo con le lacrime e la confessione.
Nessuno però è consapevole di questa macchia. Poiché non te­
miamo ciò che si deve temere, per questo motivo abbiamo paura
di ciò di cui non si deve averla.
Ma che è questo strepito? Che è questo chiasso, che sono
queste grida sataniche, questi portamenti diabolici? L’uno è un
giovane che ha la capigliatura sulle spalle e, effeminato nella sua
natura per sguardo, portamento, vesti, tutto insomma, si sforza di
assumere l’immagine di una delicata ragazza. L’altro è un vecchio
che, al contrario di questo, con i capelli rasati, con i fianchi cinti,
eliminando, prima dei capelli, il pudore, se ne sta pronto a farsi
schiaffeggiare, disposto a dire e a fare tutto. Le donne poi, a capo
scoperto, senza arrossire se ne stanno a parlare con la gente, fa­
cendo tanto esercizio di sfrontatezza e riversando nell’anima di chi
le ascolta ogni impudenza e scostumatezza. L’unico impegno con­
siste nello sradicare completamente ogni temperanza, nel disono­
rare la natura, nell’appagare il desiderio del malvagio demonio.
Difatti qui stesso ci sono parole turpi, atteggiamenti più vergo­
gnosi, e così il taglio dei capelli, e l’incedere, la veste, la voce, la
mollezza delle membra, lo stravolgimento degli occhi, le zampo-
gne, i flauti, le azioni teatrali, i soggetti delle rappresentazioni, tut­

14 In chiesa.
192 Omelie sul Vangelo di Matteo

to insomma è pieno della più grande dissolutezza15. Quando, dim­


mi, ridiventerai sobrio se il diavolo ti versa tanto vino di lussuria, ti
mesce tanti calici di dissolutezza? Lì ci sono adulteri, inganni nu­
ziali, donne che si prostituiscono, uomini pervertiti, giovani effe­
minati, tutto è pieno di iniquità, tutto è colmo di mostruosità, tut­
to è pieno di vergogna. Gli spettatori non dovrebbero ridere per
questo, ma piangere e gemere amaramente. E allora? Chiuderemo,
si potrebbe replicare, l’orchestra e, in forza delle tue parole, tutto
sarà sconvolto? Certamente ora tutto è stato sconvolto. Da dove
vengono quelli che insidiano le nozze? Dimmi: non forse da questo
palcoscenico? Da dove vengono quelli che minano le unioni co­
niugali? Non forse da quell’orchestra? Non deriva da qui che i ma­
riti sono duri con le mogli? Non deriva da qui che le mogli sono
spregevoli per i mariti? Non proviene da qui la maggior parte de­
gli adulteri? Sicché chi sconvolge tutto è chi va a teatro, chi intro­
duce questa funesta tirannia. No, si potrebbe obiettare, ma questo
è stabilito dall’ordinamento delle leggi. Difatti rapire donne, fare
violenza ai fanciulli, sconvolgere case è opera di coloro che si im­
padroniscono delle acropoli16. Ma chi, si potrebbe obiettare, è di­
ventato adultero in seguito a questi spettacoli? E chi non lo è di­
ventato? Se si potesse ora indicarli per nome, potrei mostrare
quanti mariti quelle prostitute17 hanno separato dalle mogli, quan­
ti hanno preso prigionieri, alcuni allontanandoli dallo stesso tala­
mo, altri non facendoli affatto unire in matrimonio. E dunque?
Dimmi: sovvertiremo tutte le leggi? Certamente eliminando questi
teatri si può abbattere una forma di iniquità. Coloro che infatti ro­
vinano le città provengono da essi; di qui nascono disordini e scon­
volgimenti. In effetti quelli che si mantengono con tali rappresen­
tazioni sceniche e vendono la loro voce per il ventre, e la cui attivi­
tà consiste nel gridare e nel commettere ogni assurdità, sono quel-

15 Su questa vivacissima descrizione dell’ambiente teatrale cf. O. Pa-


squato, G li spettacoli in san Giovanni Crisostomo. Paganesimo e cristianesimo
ad Antiochia e Costantinopoli nel IV secolo, Roma 1976, p. 120.
16 Vale a dire di coloro che si impadroniscono del potere con la violenza.
17 Con riferimento alle attrici.
Omelia 37, 6-7 193

li che soprattutto eccitano le popolazioni, che provocano disordini


nelle città. La gioventù da parte sua, dedita all’mattività e allevata
in mali così gravi, diventa più selvaggia di ogni belva.

N o n e sse r e p e g g io r i d e i barbari ,
MA TROVARE ALTERNATIVE AGLI SPETTACOLI TEATRALI

7. I ciarlatani, dimmi, da dove vengono? Non forse da


per eccitare il popolo vanamente ozioso, per far sì che i danzatori
traggano vantaggio dalla molta confusione e per opporre le pro­
stitute alle donne temperanti? Arrivano a tale impostura, da non
esitare nemmeno a turbare le ossa dei morti. Non deriva da q u i18
che vengano costretti a fare innumerevoli spese per quella perver­
sa schiera del diavolo? Da dove vengono la dissolutezza e innu­
merevoli mali? Vedi che sei tu che sconvolgi la vita, quando tra­
scini a queste attività, mentre io la sostengo eliminandole. Di­
struggiamo dunque l’orchestra, si potrebbe replicare. Volesse il
cielo che fosse possibile distruggerla! Piuttosto, se volete, da par­
te nostra è stata distrutta e demolita. Ma tuttavia non ordino nul­
la di questo. Fate in modo che i teatri, pur restando in piedi, sia­
no inefficaci e questa è ima lode maggiore che se fossero distrut­
ti 19. Se non altri, imitate i barbari, perché sono immuni da ogni
spettacolo di tal genere. Che giustificazione quindi avremo, quan­
do noi che siamo cittadini dei cieli, partecipiamo ai cori dei Che­
rubini e siamo compagni degli angeli, siamo in questo peggiori dei
barbari, pur potendo per giunta trovare innumerevoli altri diver­
timenti migliori di questi? Se vuoi ricrearti20, va’ ai parchi, al fiu­
me che vi scorre accanto e ai laghi; guarda i giardini, ascolta il can­
to delle cicale, recati ai sepolcri dei martiri, dove c’è la salute del

18 Dalla dissolutezza e dall’immoralità degli spettacoli teatrali.


19 In quanto c’è maggior merito nel non assistere agli spettacoli, perché
in questo caso si resiste alla tentazione e si sceglie volontariamente di evitare
il peccato.
20 Cf. in proposito O. Pasquato, Gli spettacoli, cit., pp. 306-307.
194 Omelie sul Vangelo di Matteo

corpo e vantaggio per l’anima, nessun danno né pentimento dopo


il piacere, come nel caso degli spettacoli. Hai la moglie, hai i figli;
che cosa può uguagliare questo piacere? Hai una casa, hai amici;
questi sono i piaceri che, insieme alla temperanza, ti offrono un
grande vantaggio. Dimmi: per chi vuole essere temperante, che c’è
di più dolce dei figli, della moglie? Si dice che i barbari una volta
abbiano detto una parola piena di saggezza. Avendo sentito parla­
re infatti di questi teatri iniqui e di questo divertimento inoppor­
tuno, i romani, dicevano, hanno escogitato tali piaceri come se non
avessero figli e mogli, dimostrando che nulla è più dolce dei figli e
della moglie, se si vuole vivere seriamente.

Se n o n ci fo sse r o spettato ri , n o n ci sarebbero spetta co li

Che dire, si potrebbe obiettare, se dimostro che non si riceve


nessun danno dal frequentare quegli spettacoli? Certamente anche
questo è un danno, consumare il tempo vanamente e inutilmente
ed essere di scandalo per gli altri. Anche se infatti non ne ricevi
danno, rendi un altro più sollecito verso questo tipo di spettacoli.
Del resto come non ne sarai danneggiato anche tu, se fornisci oc­
casioni per la loro realizzazione? In effetti il ciarlatano, il ragazzo
pervertito, la prostituta, tutte quelle schiere diaboliche fanno rica­
dere sul tuo capo la colpa di quanto avviene in tali spettacoli, per­
ché come, se non ci fossero gli spettatori, non ci sarebbero coloro
che li progettano, così dal momento che ci sono, anche essi condi­
vidono il fuoco riservato a ciò che si compie in queste rappresenta­
zioni. Sicché se anche non fossi affatto danneggiato in ordine alla
castità, il che è impossibile, sarai però severamente punito per la ro­
vina altrui, sia di quelli che guardano gli spettacoli, sia di quelli che
ve li conducono. E certamente la tua castità ricaverebbe un guada­
gno maggiore, se non vi andassi. Se anche ora sei casto, lo saresti di
più evitando tali spettacoli.
Non facciamo dunque sforzi vani e non escogitiamo inutili di­
fese. La sola difesa è fuggire la fornace babilonese, tenersi lontani
dalla prostituta egiziana, anche se si deve sfuggire nudi alle sue
Omelia 37, 7 195

mani21. Così godrono di una grande gioia, senza che ci accusi la


nostra coscienza, e vivremo castamente la vita presente e raggiun­
geremo i beni futuri, per la grazia e la bontà di nostro Signore G e­
sù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza ora e sempre e nei
secoli dei secoli. Amen.

21 Qui Crisostomo allude al fatto che Giuseppe, secondo il racconto di


Gn 39, 12, per evitare le insidie della moglie di Potifar, le lasciò tra le mani la
veste e fuggì.
OMELIA 3 8

In quel tempo rispondendo Gesù disse: Ti do pieno riconoscimento1,


Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste que­
ste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o
Padre, perché così è piaciuto a te a.

In M o r a m o d i G e sù sp in g e a lla f e d e

1. Vedi in quanti modi li spinge alla fede? Innanzitutto


diante le lodi rivolte a Giovanni, perché, dopo aver mostrato che
era grande e ammirevole, fece vedere che erano degne di fede tut­
te le cose che egli aveva detto, mediante le quali li attirava alla co­
noscenza di lui2. In secondo luogo con il dire: Il regno dei cieli sof­
fre violenza e i violenti se ne impadroniscono b, perché questa
espressione è propria di chi sollecita e incita. In terzo luogo, con il
dimostrare che tutti i profeti avevano portato a termine il loro
compito, perché ciò rendeva manifesto che egli era quello che era
stato preannunciato per mezzo di loro. In quarto luogo, con l’in­
dicare che era stato fatto tutto quello che egli doveva fare, quando
fece riferimento alla similitudine dei fanciullic. In quinto luogo,

a Mt 11, 25-26. b Mt 11,12. c C£ Mt 11,16-17.

1 Traduco qui in questo modo perché si possa comprendere il discorso


sviluppato successivamente da Crisostomo.
2 Cioè di Cristo.
Omelia 38, 1 197

rimproverando gli increduli, spaventandoli e rivolgendo loro gran­


di minacce. In sesto luogo, ringraziando per coloro che avevano
creduto; infatti l’espressione: Ti do pieno riconoscimento, qui equi­
vale a: Ringrazio; dice: Ti ringrazio perché hai tenuto nascoste que­
ste cose ai sapienti e agli intelligenti.
E dunque? Si rallegra forse per la loro rovina e per il fatto che
essi non conoscono queste cose? Per niente affatto, ma questa era
la via migliore della salvezza, non costringere quelli che rifiutavano
e non volevano accogliere le sue parole, perché, dal momento che
non erano divenuti migliori per il fatto di essere chiamati, ma si era­
no tirati indietro e l’avevano disprezzato, fossero spinti al desiderio
della salvezza per il fatto di esserne esclusi. Così anche quelli che
avevano prestato attenzione sarebbero divenuti più ferventi. Che
queste cose fossero rivelate a costoro, era motivo di gioia, mentre il
fatto che fossero tenute nascoste a quegli altri, non era motivo di
gioia, ma di pianto. E questo fa quando piange sulla città3. Dun­
que non gioisce per questo, ma per il fatto che costoro avevano co­
nosciuto quanto i sapienti non avevano conosciuto. Come quando
Paolo dice: Ringrazio Dio, perché eravate schiavi del peccato, ma
avete obbedito di cuore a quell’insegnamento che vi è stato trasmes­
so d. Paolo quindi non si rallegra perché erano schiavi del peccato,
ma perché, pur essendo così, avevano goduto di siffatti beni.

I SAPIENTI! E I PICCOLI

In questo passo chiama sapienti gli scribi e i farisei; lo dice per


rendere più zelanti i discepoli e per indicare di quali beni erano
stati ritenuti degni quei pescatori e che invece tutti quelli avevano
perduto. Chiamandoli sapienti non parla della vera e lodevole sa-

d R m 6 , 17.

3 Gerusalemme: cf. Le 19, 41.


198 Omelie sul Vangelo di Matteo

pienza, ma di quella che essi credevano di avere per la loro bravu­


ra; per questo non ha detto: Le hai rivelate agli stolti, ma: ai picco­
li, vale a dire i non artefatti, i semplici. Mostra non soltanto che
quelli non godevano di questi beni immeritatamente, ma anche
giustamente, e ci insegna in ogni modo a sbarazzarci dell’arrogan­
za e ad aspirare alla semplicità. Perciò Paolo diceva lo stesso con
maggior enfasi, scrivendo così: Se qualcuno tra voi ritiene di essere
sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapientee.
Così si mostra la grazia di Dio.
Perché rende grazie al Padre pur avendo fatto egli lo stesso?
Come prega e supplica Dio, mostrando il suo grande amore per
noi, così agisce anche in questo caso, perché anche ciò è segno di
grande amore, e fa vedere che avevano perduto non soltanto lui,
ma anche il Padre. Quanto aveva affermato dicendo ai discepoli:
Non gettate le cose sante ai cani1, lo aveva fatto egli anticipatamen­
te. Mostra poi da ciò che era la volontà primaria sua e del Padre:
sua, per il fatto di ringraziare e di rallegrarsi per quanto era avve­
nuto; del Padre, perché faceva vedere che non aveva agito così per
il fatto di essere stato pregato, ma di sua propria iniziativa. Perché
così, dice, è piaciuto a te, vale a dire: così hai deciso. Ma perché que­
ste cose furono tenute nascoste a quelli? Ascolta Paolo che dice:
Cercando di stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi alla
giustizia di Dio e. Pensa quale fosse verosimilmente lo stato d’animo
dei discepoli nell’ascoltare queste parole, che avevano conosciuto
quello che i sapienti non avevano conosciuto, e l’avevano cono­
sciuto rimanendo piccoli e per rivelazione di Dio. Luca dice che
nello stesso momento in cui quei settanta discepoli4 tornarono a ri­
ferire quanto era accaduto ai demonih, allora Gesù esultò e disse
queste parole che, oltre a renderli più ferventi, li predisponevano

e l Cor 3,18. f Mt 7, 6. eRm lO ,3. h Cf. Le 10, 17.

4 Si tratta dei settantadue discepoli che Gesù aveva inviato avanti a sé in


ogni città dove stava per recarsi: cf. Le 10, 1.
Omelia 38, 1-2 199

anche alla moderazione ‘. Poiché era naturale che essi si inorgoglis­


sero per aver scacciato i demoni5, li frena anche in questo modo.
Quanto avveniva infatti dipendeva dalla rivelazione, non dal loro
impegno.
2. Perciò gli scribi e i sapienti, che pensavano di essere in
ligenti di per sé, fallirono per il loro orgoglio. Dunque, vuol dire,
se per questo motivo quelle cose furono tenute loro nascoste, te­
mete anche voi e restate piccoli. Questo vi ha fatto usufruire di ta­
le rivelazione, come invece l’atteggiamento opposto ha fatto sì che
essi ne fossero privati. Del resto quando dice: hai nascosto, non af­
ferma che tutto dipende da Dio, ma come quando Paolo dice che
li ha abbandonati in balia di ima intelligenza depravata e ha acce­
cato i loro pensieri), non lo dice per far vedere che egli opera que­
ste cose, ma che essi ne forniscono l’occasione, così anche in que­
sto caso dice: hai nascosto.

P a m d ig n it à tra il P ad re e il F ig l io

Poiché aveva detto: Ti ringrazio perché hai tenuto nascoste


queste cose e le hai rivelate ai piccoli, perché non si pensasse che
ringraziava così come se egli stesso fosse privo di questa potenza e
non fosse capace di fare lo stesso, dice: Tutto mi è stato dato dal Pa­
dre mio k. A coloro che si rallegravano perché i demoni erano loro
sottomessi *, dice: Perché vi meravigliate che i demoni vi siano sot­
tomessi? Tutto è mio, tutto mi è stato dato. Quando ascolti: è sta­
to dato, non pensare a niente di umano; usa questa espressione
perché non si pensi a due dei ingenerati6. Difatti manifesta in mol-

i Cf. Le 10,21. i Cf. Rm 1,28. k Mt 11,27. 1Cf. Le 10, 17.

5 Questo risulta da Le 10, 17.


6 Crisostomo mette in luce la distinzione tra il Padre ingenerato e il Fi­
glio generato dal Padre.
200 Omelie sul Vangelo di Matteo

ti altri passi che al tempo stesso è stato generato ed è Signore di


tutto.
Poi esprime un concetto più grande di questo, correggendo la
tua opinione: Nessuno conosce il figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio m. Agli ignoranti queste parole sem­
brano non avere connessione con quelle precedenti, mentre con­
cordano assai con esse. Poiché aveva detto: Tutto mi è stato dato
dal Padre mio, continua: Che c’è da meravigliarsi, vuol dire, se so­
no Signore di tutto, dal momento che ho un’altra prerogativa mag­
giore, quella di conoscere il Padre e di essere della medesima sua
sostanza? Mostra questo concetto velatamente per il fatto di co­
noscerlo lui solo in questo modo. Vuol dire questo quando affer­
ma: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio. Osserva quando di­
ce queste cose, quando, dai fatti, avevano ricevuto la dimostrazio­
ne della sua potenza, non solo vedendolo compiere miracoli, ma
anche potendo fare opere tanto grandi nel suo nome. Poi, avendo
detto: le hai rivelate ai piccoli, mostra che anche questo era opera
sua: Nessuno conosce il Padre, dice, se non il Figlio e colui al quale
il Figlio voglia rivelarlo n, non a chi gli venga prescritto o ordinato.
Se rivela il Padre, rivela anche se stesso. Ha tralasciato però que­
sto concetto, quasi trattandosi di un fatto riconosciuto, mentre ha
indicato l’altro concetto7. Dice così in ogni occasione, come quan­
do afferma: Nessuno può venire al Padre se non per meno mio °.
Con queste espressioni indica anche un altro concetto, di essere in
accordo ed armonia con il Padre. Sono tanto lontano, vuol dire,
dal contrastarlo e combatterlo che nessuno può venire a lui se non
per mezzo mio. Poiché soprattutto questo li scandalizzava, cioè
che sembrava essere contrario a Dio, elimina in ogni modo questa
opinione, preoccupandosi di ciò non meno dei miracoli, anzi mol­
to di più. Quando dice: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio,

m Mt 11,27. n Ibid. ° G v l4 , 6.

7 La rivelazione cioè del Padre da parte del Figlio.


Omelia 38, 2 201

non lo dice perché tutti lo ignorassero, ma perché nessuno aveva


quella conoscenza di lui che egli aveva, e questo si può dire anche
del Figlio. Non diceva queste cose riguardo a un Dio sconosciuto
che non era noto a nessuno, come dice Marcione 8, ma alludeva
qui alla perfetta conoscenza; neppure noi conosciamo il Figlio co­
me lo si deve conoscere, e manifestava questo stesso concetto Pao­
lo dicendo: In parte conosciamo e in parte profetizziamo p .

I l c o n fo r to d i C risto

Poi, dopo aver suscitato in essi il desiderio mediante queste


parole ed aver mostrato la sua potenza indicibile, li chiama dicen­
do: Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, ed io vi darò
riposo <i. Non il tale e il talaltro, ma tutti coloro che sono presi dal­
le preoccupazioni, sono nell’afflizione e nel peccato. Venite, non
perché io esiga il rendiconto delle vostre azioni, ma perché di­
strugga i peccati. Venite, non perché abbia bisogno della vostra
gloria, ma perché desidero la vostra salvezza. Io, dice, vi darò ri­
poso. Non ha detto soltanto: Vi salverò, ma anche ciò che era mol­
to di più: Vi stabilirò in tutta sicurezza.
Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, che sono mi­
te e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime, perché il
mio giogo è agevole e il mio carico è leggeror. Non temete, vuol di­
re, sentendo parlare di giogo, perché è agevole; non abbiate pau­
ra, perché ho parlato di carico, in quanto è leggero. Perché prima
diceva: Stretta è la porta e angusta la via s? Quando sei negligente,
quando ti adagi su te stesso; invece se realizzi quanto ha detto, il

pi Cor 13, 9. Mt 11, 28. r Mt 11, 29-30. > M t7 ,14.

8 Crisostomo si riferisce alla dottrina marcionita che opponeva il Dio


buono che, sconosciuto agli uomini, si era manifestato in Cristo, e il Dio giu­
sto e iroso dell’Antico Testamento, creatore del mondo.
202 Omelie sul Vangelo di Matteo

carico sarà leggero; perciò ora lo ha chiamato così. Come si realiz­


za? Se sei umile, mite, modesto. Questa virtù infatti è madre di
ogni filosofia. Perciò, dando inizio a quelle leggi divine, ha comin­
ciato da qui9. E in questo passo di nuovo fa lo stesso e indica la ri­
compensa più grande. Non soltanto, dice, sei utile agli altri, ma
trovi riposo per te stesso prima di tutti. Troverete riposo per le vo­
stre anime. Prima dei beni futuri ti dà da qui la ricompensa e ti of­
fre già il premio, rendendo accettabile il suo discorso sia in questo
modo, sia presentando se stesso come esempio.

I l b e n e d e l l ’umiltà

3. Che cosa temi?, intende dire; di sentirti sminuito se


umile? Osserva me e tutte le mie azioni; impara da me e allora sa­
prai chiaramente quanto grande sia questo bene. Vedi come con
ogni mezzo li spinga all’umiltà? Con quello che ha fatto: Imparate
da me, che sono mite-, mediante quello che essi avrebbero guada­
gnato: Troverete riposo, dice, per le vostre anime·, per mezzo di
quello che elargisce loro: Io vi darò riposo, dice; per il fatto di aver
reso leggero il carico: Il mio giogo è agevole e il mio carico è legge­
ro. Così fa anche Paolo dicendo: infatti il momentaneo, leggero pe­
so della tribolazione procura una quantità smisurata ed eterna di glo­
ria l. Ma, si potrebbe obiettare, come può essere leggero il carico
quando dice: Se uno non odia suo padre e sua madre u, e: Chi non
prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me v, e:
Chiunque non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio di­
scepolo w; quando ordina di dare anche la vita stessa x? Ti sia di in­
segnamento Paolo quando dice: Chi ci separerà dall’amore di Cri­

* 2 Cor 4, 17. u Le 14, 26. v Mt 10, 38. w Le 14, 33.


x Cf. Le 14, 26.

9 Dalla beatitudine della povertà in spirito (cf. Mt 5, 3) che, come ab­


biamo visto, Crisostomo intende nel senso dell’umiltà.
Omelia 38, 2-3 203

sto? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nu­


dità, il pericolo, la spada? y; e: Le sofferenze del momento presente
non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in
noi z. Ti siano di insegnamento coloro che se ne andarono dal si­
nedrio dei giudei dopo aver ricevuto innumerevoli sferzate, lieti di
essere stati ritenuti degni di subire oltraggi per il nome di G esùaa.
Se ancora temi e inorridisci sentendo parlare di giogo e di carico,
questa paura non deriva dalla natura di queste cose, ma dalla tua
negligenza, perché se sei pronto e hai buona volontà, tutto sarà per
te facile e leggero. Perciò Cristo, facendo vedere che anche noi
dobbiamo faticare, non ha parlato solo delle cose agevoli e ha ta­
ciuto, né soltanto di quelle pesanti, ma ha presentato entrambe.
Difatti ha parlato di giogo e lo ha chiamato agevole; ha citato il ca­
rico e ha aggiunto che è leggero perché tu non li fuggissi in quan­
to faticosi, né li disprezzassi in quanto assai agevoli.

I l p e so d e l l a malvagità

Se poi, anche dopo tutto questo, la virtù ti sembra difficile,


pensa che più difficile è la malvagità; alludendo proprio a questo
concetto, non ha detto prima: Prendete il mio giogo, ma ha detto
prima: Venite, voi che siete stanchi e oppressi, indicando che anche
il peccato comporta fatica e un carico pesante e opprimente. Di­
fatti non ha detto soltanto: stanchi, ma anche: oppressi. Lo diceva
anche il profeta, descrivendo la natura del peccato: Come un pe­
sante fardello mi opprimonoab. E Zaccaria, descrivendolo, dice che
è un talento di piombo 10. Lo dimostra l’esperienza stessa. Nulla
appesantisce e opprime l’anima tanto quanto la coscienza del pec­
cato; nulla le mette le ali e la solleva in alto così come il possesso

y Rm 8,35. 2 R m 8 ,18. aaC f.A t5,41. ab Sai 38 (37), 5.

10 Cf. Zc 5, 7 secondo il testo dei LX X.


204 Omelie sul Vangelo di Matteo

della giustizia e della virtù. Considera. Che c’è di più pesante,


dimmi, del non possedere nulla? Del porgere la guancia e non ri­
cambiare le percosse? Del morire di morte violenta? Ma tuttavia,
se pratichiamo la filosofia n , tutto ciò è leggero e agevole e causa
gioia. Però non turbatevi, ma esaminiamo attentamente e conside­
riamo ciascuna di queste cose e, se volete, innanzitutto ciò che
sembra molesto a molti. Dimmi: è pesante e spiacevole affannarsi
per un ventre solo o preoccuparsi per innumerevoli altri? Avere un
solo vestito e non cercare nulla di più oppure possederne molti in
casa e affliggersi ogni giorno e notte, temendo, tremando per la lo­
ro custodia, soffrendo e angustiandosi per la loro perdita, che non
vengano rosi dalle tignole, che un servitore non se ne vada via por­
tandoseli con sé? Ma, per quanto possa dire, nessun discorso po­
trà dimostrare una simile realtà, come l’esperienza di tale situazio­
ne. Perciò vorrei che fossero con noi alcuni di coloro che hanno
raggiunto il culmine della filosofia e allora vedresti chiaramente la
gioia che ne deriva, e d’altra parte nessuno di quelli che amano la
povertà accetterebbe di arricchire, per innumerevoli che fossero
coloro che gliel’offrirebbero. Costoro, si potrebbe replicare, ac­
cetterebbero mai di diventare poveri e di abbandonare le preoc­
cupazioni che hanno? E che significa? Questa è prova della loro
stoltezza e della gravità della loro infermità, non del fatto che la lo­
ro condizione sia assai piacevole.

È PIÙ PIACEVOLE LA VITA VIRTUOSA

4. Ce lo potrebbero testimoniare quegli stessi che ogni gio


si lamentano per queste preoccupazioni e ritengono che la vita sia
invivibile. Non così però sono quegli altri, ma ridono12, esultano

11 Sempre nel senso della vita improntata alla sapienza cristiana.


12 È questo uno dei pochi casi in cui Crisostomo dà al riso una valenza
positiva, nel senso della letizia interiore procurata dalla virtù alla luce degli in­
segnamenti di Cristo.
Omelia 38, 3-4 205

e si gloriano della povertà più di coloro che si cingono del diade­


ma. Del resto, per chi fa attenzione, porgere la guancia è più age­
vole che percuotere l’altro, perché in questo caso la guerra ha ini­
zio, nell’altro invece ha termine; con un gesto accendi il fuoco del­
l’altro, con quello opposto invece estingui anche la tua fiamma.
Per ognuno è evidente che non bruciarsi è più piacevole che bru­
ciarsi. Se questo vale per il corpo, lo è a maggior ragione per l’a­
nima. Che cosa è più agevole, combattere o essere incoronati? Fa­
re a pugni o avere la ricompensa? Resistere ai marosi o approdare
al porto? Dunque anche morire è meglio di vivere, perché il pri­
mo tira fuori dai flutti e dai pericoli, mentre il secondo li aggiun­
ge e rende soggetti a innumerevoli insidie e necessità, a causa del­
le quali ritieni che la vita sia invivibile. Se non credi a queste pa­
role, ascolta coloro che hanno visto i volti dei martiri nel momen­
to delle prove, come, pur essendo fustigati e dilaniati, erano pieni
di gioia e raggianti e, pur posti su graticole, gioivano e si rallegra­
vano più di coloro che sono adagiati su un letto di rose. Perciò
Paolo, sul punto di partire da questo mondo e terminare la vita di
morte violenta, diceva: Sono contento e ne gioisco con tutti voi. Al­
lo stesso mòdo anche voi gioite e rallegratevi con m e ac. Hai visto
con quanta intensità chiama tutta la terra a condividere la sua
gioia? Tanto grande bene sapeva che era la dipartita da quaggiù,
tanto desiderabile, amabile e degna di essere invocata la morte che
fa tanta paura.
Ma che il giogo della virtù sia piacevole e leggero è evidente
anche da molti altri punti di vista; ora, se vuoi, vediamo anche i pe­
si del peccato. Presentiamo dunque gli avari, i mercanti, i rivendi­
tori e le loro vergognose transazioni. Che ci potrebbe essere di più
opprimente di una simile attività? Quanti dolori, quante preoccu­
pazioni, quanti motivi di offese, quanti pericoli, quante insidie e
guerre nascono ogni giorno da questi guadagni? Quanti turba­
menti e sconvolgimenti? Come non si può vedere mai il mare sen­
za onde, così non si può nemmeno vedere una simile anima priva

ac FU 2, 17-18.
206 Omelie sul Vangelo dt Matteo

di preoccupazioni, di angoscia, di paura e di agitazione, ma le une


sopraggiungono alle altre, di nuovo altre subentrano e altre si ac­
cumulano, quando queste non sono ancora cessate.
Ma vuoi vedere l’anima di coloro che ingiuriano e sono facili
all’ira? Che c’è di peggio di questo tormento? Delle ferite che
hanno interiormente? Della fornace continuamente accesa, della
fiamma che non si estingue mai? Vuoi vedere l’anima di coloro che
amano il corpo e sono attaccati alla vita presente? Che ci può es­
sere di più funesto di questa schiavitù? Vivono la vita di Caino,
stando continuamente nel timore e nella paura 13 e, per ognuno
che muore, piangono la propria morte più che se si trattasse di lo­
ro congiunti. Che c’è di più sconvolgente e folle di coloro che so­
no gonfi di orgoglio? Imparate da me, dice, che sono mite e umile
di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. La pazienza infatti è
la madre di tutti i beni.
Non temere quindi e non fuggire il giogo che ti solleva da tut­
ti questi mali, ma sottoponiti ad esso con ogni impegno e allora ne
conoscerai chiaramente il piacere. Non ti opprime il collo, ma ti
sta sopra soltanto per mantenere la disciplina, persuaderti a cam­
minare armoniosamente, guidarti alla via regale, liberarti dai pre­
cipizi da entrambi i lati e farti camminare facilmente per la via
stretta. Poiché dunque tanti sono i suoi beni, tanta la sicurezza,
tanta la gioia portiamo questo giogo con tutta la nostra anima, con
tutto il nostro impegno, per trovare quaggiù ristoro per le nostre
anime e per ottenere i beni futuri, per la grazia e la bontà di no­
stro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza, ora
e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

13 Cf. Gn 4, 14, dove Caino, dopo la condanna da parte del Signore,


prospetta a se stesso l’angoscioso destino di una vita raminga e fuggiasca sul­
la terra.
OMELIA 39

In quel tempo Gesù passò tra le messi di sabato; i suoi discepoli eb­
bero fame e cominciarono a cogliere spighe e a mangiarea.

G e sù e il sabato

1. Luca dice: nel sabato secondo dopo il primo !. Che sign


secondo dopo il primo? Quando c’è un duplice riposo, del sabato
vero e proprio e di un’altra festa che succede ad esso, in quanto
chiamano sabato ciascun giorno di riposo. E perché mai, egli che
sapeva tutto in anticipo, li condusse da quelle parti se non voleva
che il sabato fosse abolito? Lo voleva certamente, ma non senza
motivo; perciò non lo abolisce mai senza una causa, ma dando ra­
gionevoli motivazioni per mettere fine alla legge e non ferirli. Tal­
volta lo abolisce di proposito, senza una circostanza particolare,
come quando spalma il fango sugli occhi del cieco b; come quan­
do dice: Il Padre mio opera sempre e anch’io operoc. Agisce così, da

a Mt 12,1. b Cf. Gv 9, 6. = Gv 5, 17.

1 Le 6, 1; l’espressione «secondo dopo il primo» si trova in alcuni codici


di Matteo. Così la spiega Ambrogio: Per questo è secondo, perché il primo era già
venuto in precedenza da parte della legge, e in questo giorno era anche stata pre­
scritta la pena per chi lavorasse; ma ora è primo, proprio perché quel sabato, che
una volta era primo, è stato liberato dalla schiavitù della legge, e quello che era sta­
to stabilito in secondo luogo è diventato primo... il sabato è detto secondo-primo:
secondo, quanto al numero, primo, quanto alla grazia che opera (Esposizione del
vangelo secondo Luca V, 31; trad. G. Coppa, Milano-Roma 1978, p. 389).
208 Omelie sul Vangelo di Matteo

una parte per glorificare il Padre suo, dall’altra per recare confor­
to alla debolezza dei giudei. Anche in questo caso mostra tale at­
teggiamento, adducendo la necessità della natura 2. Certamente,
riguardo ai peccati riconosciuti da tutti, non ci potrebbe essere
mai alcuna giustificazione. Difatti l’omicida non potrebbe addur­
re a pretesto l’ira né l’adultero la concupiscenza, anzi non potreb­
be allegare nessun’altra motivazione. In questo caso invece, par­
lando della fame, li ha liberati da ogni accusa. Tu poi ammira i di­
scepoli, che erano così modesti e non tenevano in alcun conto le
cose corporali, ma mettevano in secondo piano la mensa materia­
le e, pur lottando continuamente con la fame, neppure in queste
condizioni si allontanavano da Cristo. Certo, se la fame non li
avesse proprio costretti, non avrebbero nemmeno fatto quel gesto.
Come si comportano i farisei? Vedendo ciò, dice, gli dissero: Ecco,
i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare di sabato d. Qui la
loro reazione non è molto violenta, anche se sarebbe stata conse­
guente; tuttavia però non si irritano molto, ma si limitano ad ac­
cusare. Quando invece distese e risanò la mano inaridita e, allora si
imbestialirono al punto da tenere consiglio per ucciderlo e to­
glierlo di mezzof. Quando non accade nulla di grande e di subli­
me, se ne stanno t r a n q u illi, mentre quando vedono alcuni risana­
ti, si infuriano, rimangono sconvolti e sono più duri di tutti; tanto
sono nemici della salvezza degli uomini.

G esù d if e n d e i su o i d isc ep o l i

Gesù come parla in loro difesa? Non avete letto, dice, che co­
sa fece David nel santuario, quando ebbe fame, lui e tutti i suoi com­
pagni? Come entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che

d Mt 12,2. e Cf. Mt 12,13. f Cf. Mt 12, 14.

2 Π fatto cioè che i discepoli ebbero fame.


Omelia 39, 1 209

non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma soltanto ai


sacerdoti? e. Quando parla in difesa dei discepoli, adduce l’esem­
pio di David, mentre quando difende se stesso, presenta il Padre.
Osserva come li rimproveri: Non avete letto che cosa fece David?
Grande era la gloria di questo profeta, al punto che Pietro succes­
sivamente, difendendosi davanti ai giudei, disse così: M i sia lecito
dirvi francamente, riguardo al patriarca David, che egli morì e fu se­
polto h. Perché non lo chiama con il suo titolo di onore né qui né
successivamente? Forse perché discendeva da lui3. Se si fosse trat­
tato di persone comprensive, avrebbe svolto la sua argomentazio­
ne sul fatto che i discepoli soffrivano la fame, ma poiché quelli era­
no scellerati e disumani, rammenta loro la storia4. Marco dice: sot­
to il sommo sacerdote Abiatar >, senza contraddire il dato storico5,
ma facendo vedere che quello aveva due nomi. Aggiunge 6 che fu
il sacerdote che gli dette i pani, mostrando anche così che c’era
una grande giustificazione, dal momento che il sacerdote lo per­
mise, e non soltanto lo permise, ma li servì anche. Non dirmi che
David era un profeta, perché neppure in questo caso sarebbe sta­
to lecito, ma era un privilegio dei sacerdoti; perciò ha aggiunto:
soltanto ai sacerdoti. Per quanto fosse profeta, non era però sacer­
dote; se poi egli era profeta, non lo erano però i suoi compagni, ed
anche a loro furono dati i pani. Ebbene, si potrebbe replicare, i di­
scepoli erano sullo stesso piano di David? Perché mi parli di di­
gnità, dal momento che sembra esserci una trasgressione della leg­
ge, anche se c’è una necessità di natura? Anche in questo modo li
ha maggiormente liberati dalle accuse, in quanto chi era più gran­
de di loro appare aver fatto la medesima cosa.

s Mt 12,3-4; cf. 1 Sam 21, 4ss. h A t2,29. * Me 2, 26.

3 Cioè da David.
4 La vicenda, relativa a David, di cui ha parlato in precedenza.
5 In quanto, secondo 1 Sam 21, 2, il sacerdote era Achimelech.
6 Soggetto sottinteso è l’autore del racconto biblico: cf. 1 Sam 21, 7.
210 Omelie sul Vangelo di Matteo

S apien za d ì C risto n e l presen ta re l e su e a rgo m entazio n i

2. Ma, si potrebbe obiettare, che c’entra ciò con la questi


presente? Difatti David non trasgredì il sabato. Mi parli di un ar­
gomento più forte, e che soprattutto dimostra la sapienza di Cri­
sto, perché, lasciando stare il sabato, presenta un altro esempio
più rilevante del sabato. Non era lo stesso trasgredire un giorno e
toccare quella sacra mensa che non era lecito toccare a nessuno. Il
sabato è stato spesso violato, anzi sempre viene violato, sia in oc­
casione della circoncisione, sia in molte altre attività i. Si potrebbe
osservare che lo stesso è accaduto a Gerico k, mentre questo epi­
sodio 7 si è verificato soltanto allora. Sicché la vittoria proviene da
un argomento più forte. Perché dunque nessuno accusò David,
benché un altro capo di imputazione fosse più grave di questo,
quello relativo all’uccisione dei sacerdoti che da lì fu originato? >.
Ma non lo menziona; difatti si limita soltanto alla questione in di­
scussione. ·
Poi risolve la questione anche in altro modo. All’inizio aveva
presentato David, frenando la loro arroganza con la dignità della
sua persona; dopo averli quindi messi a tacere ed aver eliminato la
loro boria, offre poi la soluzione più autorevole. Qual era questa?
Non sapete che i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e sono
senza colpa? m. Nel caso di David, vuol dire, la circostanza ha for­
nito la soluzione, mentre in questo caso Ja soluzione c’è anche sen­
za circostanze particolari. Però non ha dato subito questa soluzio­
ne, ma prima agì con indulgenza, poi con energia. Bisognava in­
fatti addurre in un secondo momento l’argomento più forte, ben­
ché anche il primo avesse la sua forza. Non dirmi che presentare
altri che commette lo stesso peccato non significa liberare dall’ac­
cusa, perché se chi l’ha compiuto non viene incolpato, il fatto

i Cf. Nm 28, 9. k Cf. Gs 6, 4. 1 Cf. 1 Sam 22, 18-19.


m Cf. Mt 12, 5.

7 Quello narrato in Mt 12, 1, oggetto del commento di Crisostomo.


Omelia 39,2 211

commesso diventa norma di difesa. Tuttavia non si è limitato a


questo, ma adduce anche l’argomento più importante dicendo che
quanto era stato fatto non era peccato. Questo soprattutto costi­
tuiva una splendida vittoria, dimostrare che la legge derogava a se
stessa e lo faceva in duplice modo, in rapporto al luogo e al saba­
to, anzi in un triplice modo perché si compiva una duplice opera 8
e, insieme a ciò, c’era anche un altro elemento, che tale attività era
compiuta dai sacerdoti. Il fatto più importante era che non si trat­
tava di colpa: sono, dice, senza colpa. Hai visto quanti elementi ha
indicato? Il luogo: nel tempio, dice; il personaggio: i sacerdoti; il
tempo: il sabato, dice; il fatto stesso: infrangono, e non ha detto:
aboliscono, ma, con espressione più dura: infrangono·, non solo il
fatto di non essere puniti, ma anche quello di essere esenti da ac­
cuse: sono senza colpa. Non crediate, vuol dire, che questo caso sia
simile al precedente, perché quell’episodio accadde una sola vol­
ta, non ad opera di un sacerdote e fu causato da una necessità; per­
ciò essi meritarono indulgenza 9. Questo invece capita ogni saba­
to, ad opera dei sacerdoti, nel tempio e secondo la legge. Perciò
sono esenti da accuse, non per indulgenza, ma secondo la legge.
Non ho detto queste cose, vuol dire, per accusarli né per assolver­
li da colpe per indulgenza, ma per una ragione di giustizia. Sem­
bra parlare in difesa dei sacerdoti, mentre in realtà libera i disce­
poli dalle accuse. Quando dice: quelli sono senza colpa, intende di­
re: a maggior ragione lo sono questi. Non sono sacerdoti però. Ma
sono più grandi dei sacerdoti, perché qui è con loro lo stesso Si­
gnore del tempio; la verità, non la prefigurazione10. Perciò diceva:
Ora vi dico che qui c’è qualcosa più grande del tempio n. Ma tutta­
via, pur ascoltando parole così rilevanti, non replicarono nulla. La

n Mt 12, 6.

8 Cf. Nm 28, 9: si prescrivono, nel giorno di sabato, l’offerta di due agnel­


li e l'oblazione di due decimi di fior di farina intrisa in olio.
9 David e i suoi compagni.
10 Anche in questo caso è usato il t. typos.
212 Omelie sul Vangelo di Matteo

questione non riguardava la salvezza dell'uomo. Quindi, poiché


ciò sembrava duro per coloro che lo ascoltavano, rapidamente lo
mise in ombra n , volgendo di nuovo il discorso sul motivo dell’in­
dulgenza, con tono di rimprovero e dicendo così: Se aveste com­
preso che cosa significa: Misericordia voglio e non sacrificio0, non
avreste condannato individui senza colpa p. Hai visto come condu­
ca ancora il discorso sull’indulgenza e faccia vedere di nuovo che
essi erano al di sopra di ogni indulgenza? Non avreste condannato,
dice, individui senza colpa. In precedenza aveva ricondotto il caso
dei sacerdoti alla medesima conclusione dicendo: sono senza colpa.
Ora dice queste parole in base a considerazioni personali, anzi di­
ce anche questo sulla base della legge, perché ha fatto riferimento
a un detto profetico.

C risto interio rizza il sig n ific a to d e l sabato

3. Poi adduce anche un’altra motivazione: Infatti, dice,


glio dell’uomo è signore del sabato q, parlando di se stesso. Marco
afferma che egli parlò così riferendosi anche alla comune natura
umana, perché diceva: Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uo­
mo per il sabato r. Perché allora fu punito quello che raccoglieva la
legna? 12. Perché se le leggi all’inizio fossero state disprezzate, tan­
to meno sarebbero state osservate successivamente. In effetti all’i­
nizio il sabato recava molti e grandi vantaggi: ad esempio, rende­
va miti e benevoli nei confronti dei propri simili, insegnava loro la
provvidenza e l’opera creatrice di Dio, come dice Ezechieles. Li

0 Cf. Os 6, 6. P Mt 12, 7. q Mt 12, 8. r Me 2, 27.


5 Cf. Ez 20, 12.20.

11 D riferimento cioè al tempio. .


12 Si tratta di un episodio avvenuto mentre gli israeliti erano nel deser­
to: un uomo, che raccoglieva legna di sabato, fu lapidato (Nm 15,32-36).
Omelia 39, 2-3 213

ammaestrò a poco a poco ad allontanarsi dall’iniquità e fece in


modo che prestassero la loro attenzione ai beni spirituali. Difatti
poiché, dando la legge del sabato, se avesse detto: Fate il bene nel
giorno di sabato e non fate il male, avrebbero rifiutato, impedì lo­
ro di fare ugualmente ogni attività: Non fate nulla *, dice; ma nep­
pure così seppero trattenersi13. Egli stesso che dava la legge del sa­
bato, anche così alluse al fatto che voleva soltanto che si tenessero
lontani dalle azioni malvagie. Non fate nulla, dice, tranne quanto
sarà fatto per la vostra vita u. Tutto si faceva nel tempio, con mag­
gior impegno e con un’attività doppia v. Così attraverso l’ombra
stessa svelava loro la verità.
Dunque, si potrebbe obiettare, Cristo ha eliminato un van­
taggio così grande? Non sia mai! Anzi lo ha accresciuto molto. Era
infatti il momento di insegnare loro tutto mediante concetti più
elevati e non si dovevano legare le mani di chi era stato liberato
dall’iniquità e veniva incitato a conseguire tutti i beni. Non biso­
gnava apprendere dal sabato che Dio ha fatto ogni cosa, non do­
vevano imparare da lì ad essere mansueti coloro che venivano
chiamati all’imitazione stessa della bontà di Dio. Siate misericor­
diosi, dice, come il Padre vostro celeste w. Non dovevano festeggia­
re un solo giorno coloro a cui si ordinava di festeggiare tutta la vi­
ta. Celebriamo dunque la festa, dice, non con il lievito vecchio, né
con lievito di malizia e di iniquità, ma con azzimi di sincerità e di ve­
rità x. Non dovevano stare presso l’arca e l’altare d’oro coloro in
cui inabita lo stesso Signore di tutto e che sono in sua compagnia
in ogni modo, con la preghiera, con l’offerta, con le Scritture, con
l’elemosina, con il fatto di averlo interiormente. Che necessità c’è
quindi del sabato per chi festeggia sempre, per chi vive in cielo?
Festeggiamo dunque continuamente e non facciamo nulla di
male, perché questa è la festa, ma si intensifichi ciò che è spiritua­

' Es 20, 10. u Es 12, 16. v Cf. Nm 28, 9-10. w Le 6, 36.


* 1 Cor 5, 8.

13 Dal compiere il male.


214 Omelie sul Vangelo di Matteo

le e ceda ciò che è terreno; osserviamo il riposo spirituale, allonta­


nando le mani dall’avarizia, liberando il corpo dalle fatiche vane e
inutili, cui fu sottoposto allora in Egitto il popolo ebraico. Quan­
do accumuliamo oro non siamo affatto diversi da quelli che erano
vincolati al fango, fabbricavano quei mattoni, raccoglievano paglia
e venivano fustigati y. Difatti anche ora il diavolo ordina di fabbri­
care mattoni, come allora il Faraone. Che altro è l’oro se non fan­
go? Che altro è l’argento se non paglia? Come paglia accende la
fiamma del desiderio, come fango l’oro sporca chi lo possiede.
Perciò ci mandò non Mosè dal deserto, ma il Figlio dal cielo. Se
dunque, dopo la sua venuta, rimani in Egitto, subirai le sofferen­
ze inflitte dagli egiziani; se invece lo abbandoni e te ne vai con l’I­
sraele spirituale, vedrai tutte le meraviglie.

E ntra re n e l l a terra pro m essa

4. Tuttavia non basta questo per la salvezza. Non bisogna


lo essere liberati dall’Egitto, ma entrare anche nella terra promes­
sa. Perché anche i giudei, come dice Paolo, attraversarono il Mar
Rosso, mangiarono la manna, bevvero la bevanda spirituale, ma
tuttavia perirono tutti2. Perché quindi non capiti lo stesso anche a
noi, non esitiamo né tiriamoci indietro, ma quando ascolti anche
ora dei malvagi esploratori che screditano la via stretta e angusta e
dicono quello che allora dissero quegli esploratori14, non imitiamo
la massa del popoloaa, ma Giosuè, Caleb, figlio di Iefunneab, e non
desistere prima di raggiungere la terra promessa e di salire ai cie­
li. Non pensare che il cammino sia difficile. Se infatti quando era-

y Cf. Es 5, 16. 2 Cf. 1 Cor 10, 1-5. aa Cf. Nm 14, 1.


ab Cf. Nm 13, 6.30.

14 Coloro che erano stati inviati da Mosè ad esplorare il paese di Ca­


naan: cf. Nm 13, 17ss.; essi lo screditarono agli occhi degli israeliti (cf. i se­
guenti w. 32-33).
Omelia 39, 3-4 215

vanto nemici, siamo stati riconciliati con Dio, a maggior ragione, es­
sendo stati riconciliati, saremo salvatiac. Ma, si potrebbe replicare,
questa via è stretta e angusta. Quella precedente però, attraverso
la quale sei passato, non solo è stretta e angusta, ma anche inac­
cessibile e piena di belve feroci. Come non sarebbe stato possibi­
le attraversare il Mar Rosso se non ci fosse stato quel miracolo, co­
sì non era possibile salire al cielo rimanendo nella vita precedente,
se non fosse apparso in mezzo il battesimo. Se l’impossibile è di­
ventato possibile, a maggior ragione ciò che è difficile sarà facile.

G razia e im p e g n o d e l l ’u o m o

Ma quello, si potrebbe replicare, era frutto soltanto della gra­


zia. Soprattutto per questo sarebbe giusto che tu avessi fiducia. Se
infatti quando c’era solo grazia, fu di aiuto, quando mostrate an­
che i vostri sforzi non coopererà molto di più? Se ha salvato chi
era inattivo, non aiuterà molto di più chi si dà da fare? In prece­
denza dicevo che da ciò che è impossibile devi trarre fiducia anche
per ciò che è difficile; ora dirò che se vigiliamo, ciò non sarà nep­
pure difficile. Considera: la morte è stata schiacciata, il diavolo è
caduto, la legge del peccato è stata estinta, la grazia dello Spirito è
stata data, la vita si è ridotta a poco, i pesi sono stati troncati. Per
apprendere questo anche per mezzo delle opere stesse, considera
quanti sono andati al di là dei precetti di Cristo; tu invece hai pau­
ra di tenerti anche entro i limiti di essi? Quale giustificazione avrai,
se, mentre altri oltrepassano gli obiettivi prefissati, tu esiti di fron­
te a quanto è stato stabilito? 15. Ti raccomandiamo di fare l’elemo­
sina servendoti dei tuoi beni; un altro si è privato anche di tutti i
suoi averi. Ti chiediamo di vivere castamente con tua moglie; un

ac Rm 5,10.

15 Quanto cioè viene indicato nei precetti del Signore.


216 Omelìe sul Vangelo di Matteo

altro non ha nemmeno contratto matrimonio. Ti esortiamo a non


essere invidioso; abbiamo l’esempio di un altro che per amore dà
anche la sua vita. Ti invitiamo a essere indulgente, non duro con i
peccatori; un altro, pur essendo schiaffeggiato, ha porto anche l’al­
tra guancia. Che diremo dunque, dimmi? Come ci difenderemo,
se non facciamo nemmeno questo, mentre altri ci superano tanto?
Non ci supererebbero, se tale impresa non fosse molto agevole.
Chi si consuma, chi è invidioso dei beni altrui o chi se ne rallegra
e ne gioisce? Chi sospetta tutto e trema continuamente, il casto o
l’adultero? Chi si allieta di buone speranze, chi è rapace o chi ha
misericordia e condivide i suoi beni con l’indigente?
Pensando a questo, non siamo indolenti nell’affrontare la cor­
sa per la virtù, ma, preparandoci con ogni impegno per queste bel­
le lotte, sforziamoci per un po’ di tempo al fine di ricevere le co­
rone eterne e immarcescibili. Voglia il cielo che tutti noi le otte­
niamo, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al
quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 40

Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. Ed ecco, c’era un uo­


mo che aveva una mano inaridita a.

M iserico rd ia e b o n t à d e l S ig n o r e

1. Di nuovo cura di sabato, difendendo l’operato dei d


poli. Gli altri evangelisti dicono che fece mettere nel mezzo quel­
l’uomo e domandò loro se era lecito fare del bene di sabato b. O s­
serva la misericordia del Signore. Lo fece mettere nel mezzo per
piegare il loro animo a quella vista, perché, commossi da tale spet­
tacolo, scacciassero la malvagità e, sentendo riguardo per quel­
l’uomo, ponessero fine alla loro ferocia. Ma quegli individui sel­
vaggi e disumani preferiscono recare danno alla gloria di Cristo
piuttosto che vedere quell’uomo risanato, mostrando in entrambi
i modi la loro malvagità, combattendo Cristo e facendolo con tan­
ta animosità, da pregiudicare i benefici nei confronti degli altri.
Gli altri evangelisti dicono che fu il Signore ad interrogare, men­
tre Matteo dice che fu interrogato. Lo interrogarono, afferma,
chiedendo se era lecito curare di sabato, per accusarlo c. E verosimi­
le che accadde l’uno e l’altro. Essendo infatti scellerati e sapendo
che sarebbe venuto senz’altro a curare, cercavano di prevenirlo
con la loro domanda, sperando così di impedirglielo. Perciò do­
mandavano se era lecito curare di sabato, non per saperlo, ma per
accusarlo. Certamente, se volevano accusarlo, era sufficiente Γό­

ο Mt 12, 9-10. b Cf. Me 3, 3-4; Le 6, 8-9. c Mt 12,10.


218 Omelie sul Vangelo di Matteo

pera da lui compiuta, ma volevano trovare appigli anche nelle pa­


role, preparandosi in anticipo una gran quantità di argomenti. Ma
egli, nella sua bontà, compie quest’opera e risponde, insegnando
la propria mansuetudine e ritorcendo tutto contro di essi, e mostra
la loro disumanità. Fa mettere nel mezzo quell’uomo, senza aver
timore di essi, ma cercando di aiutarli e di spingerli a misericordia.
Ma poiché non riuscì a piegarli neppure così, allora, dice *, si rat­
tristò e si indignò con essi per la durezza del loro cuore d e disse:
Chi tra voi, avendo una pecora, se questa cade di sabato in una fos­
sa, non l’afferra e la tira fuori? Quanto vale più un uomo di una pe­
cora? Sicché è lecito fare del bene di sabato e. Perché non potessero
comportarsi impudentemente né accusarlo di nuovo di trasgres­
sione, discute con loro per mezzo di questo esempio. Considera in
quanti modi svariati e appropriati fornisca sempre le sue giustifi­
cazioni riguardo alla violazione del sabato. Nel caso del cieco non
si difende davanti ad essi, quando fece del fangof, benché anche
allora lo accusassero, ma era sufficiente il modo con cui l’aveva fat­
to per dimostrare di essere il Signore della legge 2. Nel caso del­
l’uomo paralizzato, quando prese il suo letto be lo rimproverava­
no, ora si difende come Dio, ora come uomo; come uomo, quan­
do dice: Se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia
trasgredita la legge - non ha detto: perché si rechi aiuto ad un uo­
mo -, vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uo­
mo? h; come D io 3, quando dice: Il Padre mio opera sempre e an­
ch’io opero K Quando fu accusato a motivo dei discepoli, diceva:

d Cf. Me 3, 5. e Mt 12, 11-12. f Cf. Gv 9, 6. s Cf. Gv 5, 9-10.


h Gv 7, 23. ‘ G v5, 17.

1 L’evangelista Marco.
2 Perché il gesto di fare del fango richiama l’atto creativo divino, quan­
do l’uomo fu plasmato con polvere del suolo (cf. Gn 2, 7).
3 Si noti che le parole di Gesù, riportate in Gv 5, 17 e citate da Criso­
stomo, suscitarono l’ostilità dei giudei che cercavano di ucciderlo perché
chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio (cf. Gv 5, 18).
Omelia 40, 1-2 219

Non avete letto che cosa fece David quando ebbe fame, lui e i suoi
compagni? Come entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offer­
ta?>. E chiama in causa i sacerdoti4. E qui a sua volta dice: È leci­
to di sabato fare il bene o il male? k. Chi tra voi, avendo una peco­
ra.. A. Conosceva la loro avidità, sapeva che erano così piuttosto
che essere buoni. Un altro evangelista inoltre dice che, facendo
questa domanda, guardò intorno min modo da attirarli a sé anche
con lo sguardo, ma neppure così diventarono migliori. Qui parla
soltanto, mentre in molte altre occasioni cura imponendo anche le
mani5. Tuttavia però niente di ciò li ammansiva, ma mentre quel­
l’uomo veniva risanato, essi, per effetto della guarigione di costui,
divennero peggiori. Egli voleva certo curarli prima di quello e mi­
se in atto innumerevoli modi di cura sia con quello che aveva fat­
to, sia con quello che aveva detto in precedenza, ma poiché erano
affetti da male incurabile, procedette a compiere la sua opera. Al­
lora dice a quell’uomo: Stendi la tua mano. La stese e ritornò sana
come l’altra n. Che fecero quelli? Se ne escono, dice, e tengono
consiglio per ucciderlo. I farisei, dice, usciti, tennero consiglio con­
tro di lui per toglierlo di mezzo °. Senza aver ricevuto nessun torto,
cercavano di eliminarlo.

N em m en o i m iraco li riesc o n o a persu adere


u n ’anim a ingrata

2. Tanto grande male è l’invidia, perché è in guerra sem


non soltanto con gli estranei, ma anche con quelli che sono fami­
liari. Marco dice che tennero questo consiglio con gli erodiani p.
Che fece allora Gesù, mite e mansueto? Saputo questo, si ritirò.

i Mt 12,3-4. k M c3,4. 1Mt 12,11. m Cf. Me 3,5; Le 6,10.


n Mt 12, 13. ° Mt 12,14. P Cf. Me 3, 6.

4 Cf. le argomentazioni svolte da Crisostomo nell’ortielia 39, 2.


5 Come, ad es., in occasione della guarigione del lebbroso: cf. Mt 8, 3.
220 Omelie sul Vangelo di Matteo

Ma Gesù, dice, conoscendo le loro intenzioni, si ritirò da lì q. Dove


sono dunque quelli che dicono che sarebbe necessario che avve­
nissero miracoli? Ha indicato infatti mediante questi avvenimenti
che l’anima ingrata non si persuade nemmeno così e ha mostrato
che accusavano i discepoli senza motivo. Bisogna osservare che si
infuriano soprattutto davanti ai benefici elargiti al prossimo, e
quando vedono qualcuno liberato dall’infermità o dalla malvagità,
accusano e si imbestialiscono. In effetti quando era in procinto di
salvare quella meretricer, lo calunniavano, e così quando mangia­
va con i pubblicanis; di nuovo agivano così anche ora, dopo aver
visto che la mano era ritornata sana. Considera come non desista
dal mostrare la sua sollecitudine verso gli infermi e cerchi di miti­
gare l’invidia di quelli. Lo seguì una grande moltitudine e li guarì
tutti; intimò a coloro che erano stati guariti di non manifestarlo a
nessuno Le folle ovunque lo ammirano e lo seguono; quelli inve­
ce non desistono dalla loro malvagità.

C risto pro fetizza to d a I saia

Poi, perché non ti turbassi per questi fatti e per la loro straor­
dinaria follia, introduce anche il profeta che aveva preannunciato
questi eventi. Così grande era la precisione dei profeti che non tra­
lasciavano nemmeno queste cose, ma profetizzavano le vie che
percorreva 6, i suoi spostamenti e l’intenzione con cui agiva così,
perché tu sapessi che dicevano tutto per impulso dello Spirito. Se
infatti non si possono conoscere i segreti degli uomini, a maggior
ragione era impossibile conoscere le finalità di Cristo senza la ri­
velazione dello Spirito. Che cosa dice dunque il profeta? Ha ag-

q Mt 12, 15. r Cf. Le 7, 37ss. s Cf. Le 15, 2. ‘ Mt 12,15-16.

6 Crisostomo mette in evidenza l’accuratezza e l’esattezza, anche nei


particolari, delle predizioni profetiche su Cristo per sottolineare maggior­
mente che in lui esse hanno il perfetto compimento.
Omelia 40, 2 221

giunto: Perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia:
Ecco il mio servo che ho scelto, il mio prediletto, nel quale la mia
anima si è compiaciuta. Porrò il mio Spirito sopra di lui e annunzie-
rà la giustizia alle genti. Non contenderà né griderà né si udrà sulle
piazze la sua voce. Non spezzerà una canna infranta e non spegnerà
un lucignolo fumigante, finché abbia fatto trionfare la sua giustizia;
nel suo nome spereranno le genti u. Proclama la sua mansuetudine
e la sua indicibile potenza, apre alle genti una porta grande e fa­
vorevole'', preannuncia i mali che avrebbero colpito i giudei e mo­
stra la sua concordia con il Padre. Ecco, dice, il mio servo che ho
scelto, il mio prediletto, nel quale la mia anima si è compiaciuta. Se
lo ha scelto, abroga la legge non come avversario, né come nemi­
co del legislatore, ma come chi è in armonia con lui e opera allo
stesso modo. Poi, proclamando la sua mansuetudine, dice: Non
contenderà né griderà. Egli voleva curarli, ma poiché lo respinsero,
non si contrappose a questo loro atteggiamento. E indicando la
sua forza e la loro debolezza, dice: Non spezzerà una canna infran­
ta. Sarebbe stato facile spezzarli tutti come una canna, e non sem­
plicemente una canna, ma una canna già infranta. Non spegnerà un
lucignolo fumigante. Qui indica la loro collera ardente e la sua for­
za capace di distruggerla e di estinguerla con ogni facilità; di qui
viene mostrata la sua grande mitezza. E dunque? Sarà sempre co­
sì? Sopporterà fino alla fine coloro che tramano tali insidie e infu­
riano in questo modo? No certamente, ma quando avrà mostrato
la sua opera, allora farà anche il resto. Lo ha manifestato dicendo:
finché abbia fatto trionfare la sua giustizia; nel suo nome spereran­
no le genti. Come dice anche Paolo: Pronti a punire ogni disobbe­
dienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta w. Che signi­
fica: finché abbia fatto trionfare la sua giustiziai Quando, vuol di­
re, avrà portato a compimento tutto ciò che dipende da lui, allora
infliggerà la punizione, e una punizione perfetta. Allora soffriran­
no le sventure, quando sarà innalzato uno splendido trofeo, vin­
cerà la sua giustizia e non lascerà ad essi nessun pretesto di con-

u Mt 12, 17-21; cf. Is 42,1-4. v Cf. 1 Cor 16, 9. w 2 Cor 10, 6.


222 Omelie sul Vangelo di Matteo

trobattere impudentemente. È solito infatti chiamare giudizio la


giustizia7. Il disegno divino però non si fermerà a questo, a puni­
re soltanto gli increduli, ma attirerà a sé anche il mondo. Perciò
ha aggiunto: nel suo nome spereranno le genti. Poi perché tu sap­
pia che questa è la volontà anche del Padre, all’inizio il profeta ha
confermato anche questo, insieme a quanto detto in precedenza,
dicendo: Il mio prediletto, nel quale la mia anima si è compiaciuta.
È evidente che il prediletto agiva così secondo la volontà di chi lo
ama.
Allora gli portarono un indemoniato, cieco e muto, e lo guarì
sicché egli che era cieco e muto parlava e vedeva x.

I l m a le d e l l ’invidia

3. O malvagità del demonio! Sbarrò entrambi gli accessi,


mezzo dei quali egli avrebbe potuto arrivare alla fede, la vista e l’u­
dito, ma tuttavia Cristo aprì entrambi. E la folla era sbalordita e di­
ceva: Non è forse costui il figlio di David? y. Ma i farisei dissero: Co­
stui non scaccia i demoni se non in virtù di Beelzebul, principe dei
demoni2. Eppure, che cosa aveva detto di straordinario la folla?
Ma tuttavia non lo sopportarono; tanto, come ho detto in prece­
denza, danno loro fastidio sempre i benefici elargiti al prossimo e
niente li affligge così come la salvezza degli uomini. Certo Gesù si
era ritiratoaa e aveva dato loro la possibilità di placare la propria
passione; ma questo male si riaccese di nuovo, perché si era verifi­
cato un altro beneficio, e erano irritati più del demonio. Questi si
allontanava dal corpo, si ritirava e fuggiva senza dire nulla; costo-

x Mt 12, 22. y Mt 12, 23. 2M tl2 ,2 4 . aa Cf. Mt 12, 15.

7 Si tenga presente che letteralmente il passo di Is 42, 4, nella forma ri­


portata da Crisostomo, suona così: finché abbia condotto alla vittoria il suo
giudizio.
Omelia 40, 2-3 223

ro invece cercavano ora di ucciderlo, ora di calunniarlo. Poiché il


proposito di eliminarlo non riusciva, volevano nuocere alla sua re­
putazione.
Così è l’invidia, di cui non ci potrebbe essere malvagità peg­
giore. L’adultero almeno si procura un qualche piacere e porta a
termine il suo peccato in poco tempo; l’invidioso invece punisce e
castiga se stesso prima di colui che è oggetto della sua invidia e
non desiste mai dal suo peccato, ma lo commette continuamente.
Come il porco si compiace del fango e i demoni della nostra rovi­
na, così l’invidioso gode dei mali del prossimo; se avviene qualche
cosa di sgradevole, allora ne ha sollievo e si rianima, ritenendo che
le altrui disgrazie siano una propria gioia e che i beni degli altri sia­
no suoi mah. Non considera che cosa gli può capitare di piacevo­
le, ma che cosa può accadere di penoso per il prossimo. Non sa­
rebbe giusto lapidare e bastonare costoro, come cani rabbiosi, co­
me demoni maledetti, come le Erinni stesse? Come gli scarabei si
nutrono di escrementi, così costoro delle altrui sventure, essendo
comuni avversari e nemici della natura umana. Gli altri hanno
compassione di un animale che viene ucciso; tu, vedendo un uo­
mo ricevere benefici, ti imbestialisci, tremi e impallidisci? Che ci
potrebbe essere di peggiore di questa follia? Per questo fornicato­
ri e pubblicani hanno potuto entrare nel regno, mentre gli invi­
diosi, pur essendo dentro, ne sono usciti. Difatti dice: I figli del re­
gno saranno cacciatifuoriih. Quelli, abbandonando l’iniquità in cui
si trovavano, conseguirono beni che non avrebbero mai sperato;
questi invece persero anche i beni che avevano, e assai giustamen­
te. L’invidia fa di un uomo un diavolo, ne fa un demonio feroce.
Così avvenne il primo omicidioac, così fu ignorata la natura, così
la terra fu macchiata, così in seguito spalancò la bocca, inghiottì
esseri viventi e mandò in rovina Datan, Core, Abiram e tutto quel
popoload.

abM t8, 12. ac Cf. Gn 4, 8. ad Cf. Nm 16, 32-33.


224 Omelie sul Vangelo di Matteo

C o m e liberarsi d a ll ’invidia

Ma si potrebbe dire che è facile accusare l’invidia; si deve pe­


rò esaminare anche come ci si potrà liberare da questo morbo.
Come ci libereremo dunque da questa malvagità? Se pensiamo
che come al fornicatore non è lecito entrare nella chiesa 8, così
non lo è neppure all’invidioso, e a maggior ragione a questo ri­
spetto a quello. Ora questo peccato sembra essere indifferente;
perciò viene trascurato, ma se appare chiaro che si tratta di un
male, ce ne allontaneremo facilmente. Piangi dunque e gemi; fa’
lamenti e supplica Dio. Renditi conto della gravità del peccato in
cui ti trovi e impara a pentirti. Se avrai questa disposizione d’ani­
mo, rapidamente ti libererai di questo morbo. E chi ignora, si po­
trebbe replicare, che l’invidia è un male? Nessuno lo ignora, ma
certamente non si ha la medesima opinione sulla fornicazione e
sull’adulterio, di quella che si ha su questa passione. Quando uno
ha condannato amaramente se stesso per essere stato invidioso?
Quando ha chiesto a Dio, riguardo a questa infermità, di essergli
propizio? Mai nessuno, ma se digiuna e dà al povero un po’ di da­
naro, anche se è immensamente invidioso, non pensa di aver fat­
to nulla di male, benché sia dominato dalla passione più abomi­
nevole di tutte. Come è diventato così Caino? Come lo è divenu­
to Esaù? Come i figli di Laban o?ae. Come i figli di G iacobbe?af.
Come Core, Datan e Abiram? Come Maria? 9. Come Aronne? Co­
me il diavolo stesso?

“ Cf. G n 3 1 ,1. afCf. G n37,4.

8 In quanto deve prima sottoporsi a penitenza; sui problemi legati alla


disciplina penitenziale, cf. V. Grossi - A. Di Berardino, La Chiesa antica, cit.,
pp. 182ss.
9 Sorella di Mosè: cf. Nm 12,1-2.
Omelia 40, 3-4 225

L’in v id io so d a n n e g g ia se stesso

4. Oltre a questo pensa anche al fatto che non rechi danno


è invidiato, ma immergi la spada contro te stesso. In che cosa Caino
danneggiò Abele? 10. Non lo mandò, sia pure involontariamente, al
regno celeste più velocemente, mentre trafisse se stesso con innu­
merevoli mali? In che cosa Esaù recò danno a Giacobbe? Questi
non divenne forse ricco e godette di innumerevoli beni, mentre l’al­
tro fu scacciato dalla casa patema e andò errando in terra straniera
dopo aver tramato quella insidia? n . In che cosa i figli di Giacobbe
resero peggiore la condizione di Giuseppe, pur spingendosi fino al­
lo spargimento di sangue? Costoro non subirono forse la fame e an­
darono incontro ai più grandi pericoli, mentre quello divenne re di
tutto l’Egitto?12. Quanto più infatti provi invidia, tanto maggiori so­
no i beni che procuri a chi viene invidiato. E Dio che osserva que­
sto, e quando vede che subisce un torto chi non è autore di nessu­
na offesa, lo esalta maggiormente e lo glorifica in questo modo,
mentre punisce te. Se non permette che vadano impuniti coloro che
gioiscono del male dei nemici - Non rallegrarti, dice, della caduta dei
tuoi nemici, perché non lo veda Dio e se ne dispiaccia a? -, a maggior
ragione coloro che invidiano chi non fa alcun torto. Eliminiamo
dunque questa belva dalle molte teste, perché molte sono le forme
dell’invidia. Se chi ama chi lo ama non è affatto migliore del pub-

a8 Prv 24, 17-18.

10 Si ricordi che Crisostomo, verso la fine della sua vita, mentre era in
esilio, scrisse un trattato sul fatto che nessuno viene danneggiato se non da se
stesso, in cui si ispira anche all’etica stoica; cf. E. Amand de Mendieta, Uam-
plification d’un thème socratique et stoicien dans l’avant-dernier traité de ]eatt
Chrysostome, «Byzantion» 36 (1966), pp. 353-381.
11 L’insidia contro il fratello Giacobbe: cf. Gn 27, 41. Esaù se ne andò
poi nel paese di Seir, lontano da Giacobbe: cf. Gn 36, 6.
12 Giuseppe, dopo aver interpretato i sogni del Faraone, fu messo a ca­
po di tutto l’Egitto: cf. Gn 41, 41.
226 Omelie sul Vangelo di Matteo

blicano, chi odia chi non fa alcun torto in che posizione si troverà?
Come sfuggirà alla geenna, se è peggiore dei pagani?

L’inv id ia n e l l a C h iesa

Perciò provo un grande dolore, perché, mentre ci si ordina di


imitare gli angeli, anzi il Signore degli angeli, emuliamo il diavolo.
Grande è l’invidia anche nella Chiesa, e maggiormente in noi che
in coloro che sono governati13. Per questo si deve parlare anche a
noi stessi. Perché, dimmi, provi invidia per il prossimo? Perché ve­
di che gode di onore e di buona fama? Ma non pensi quanto ma­
le recano gli onori a coloro che non fanno attenzione? Spingono
alla vanagloria, all’orgoglio, all’arroganza, all’alterigia, rendono
più negligenti, e, oltre a questi mali, vengono meno facilmente.
Quello che è più grave è che i mah che ne derivano rimangono
eterni, mentre il piacere nel momento stesso in cui appare se ne
vola via. Per questo, dimmi, provi invidia? Ma, accanto a chi go­
verna, ha una grande autorità, conduce e porta tutto dove vuole,
dà fastidio agli avversari, benefica gli adulatori e ha molto potere.
Queste sono parole di persone mondane, degli uomini attaccati al­
la terra. Invece nulla potrà affliggere lo spirituale14. Che gli farà di
male? Lo destituirà dalla sua dignità? E che importa? Se lo fa giu­
stamente, gli giova, perché niente irrita Dio così come esercitare il
sacerdozio indegnamente. Se lo fa ingiustamente, la colpa ricade
su di lui, non su chi è destituito, perché chi soffre qualcosa ingiu­
stamente e lo sopporta nobilmente, in questo modo si procura
maggiore familiarità nei confronti di Dio. Non miriamo dunque a
raggiungere posizioni di potere, onori, autorità, ma ad agire se­
condo virtù e filosofia. Poiché il potere induce a fare molte cose
che non sono gradite a Dio, c’è bisogno di un’anima molto vigo­

13 Sul tema dell’invidia nella Chiesa, cf. l’omelia 27, 4 di Crisostomo su


2 Cor. .
14 Questa espressione richiama il discorso svolto da Paolo in 1 Cor 2,15:
L'uomo spirituale giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno.
Omelia 40, 4 227

rosa per fare uso dell’autorità nel modo dovuto. Chi ne è privo15,
volente o nolente, pratica una vita improntata a filosofia; a chi in­
vece ne gode, capita di trovarsi nella medesima situazione di chi,
vivendo con una ragazza bella e avvenente, ricevesse la regola di
non guardarla mai in modo dissoluto. Così è l’autorità. Perciò ha
spinto molti, anche senza volerlo, a comportarsi insolentemente,
ha eccitato la collera, ha tolto il freno della lingua e ha strappato
via la porta dalla bocca, agitando l’anima come sotto l’incalzare
del vento e affondando la nave nel più profondo abisso dei mali.
Ammiri dunque chi si trova in un pericolo così grande e dici che
è invidiabile? Ma che insensatezza è questa?

I RISCHI DELLA RICERCA DEL FAVORE POPOLARE

Oltre a quanto già detto, pensa quanti nemici e accusatori ha


costuilé, quanti adulatori che lo assediano. E questa, dimmi, sa­
rebbe Una condizione degna di essere ritenuta beata? Chi lo po­
trebbe dire? Ma, si può replicare, per il popolo costui è tenuto in
grande considerazione. E che significa? Il popolo non è Dio, a cui
dovrà rendere conto. Sicché quando parli di popolo, non dici
nient’altro se non altri ostacoli, scogli, abissi marini, sporgenze
rocciose. Difatti godere di prestigio tra il popolo quanto più glori­
fica, tanto maggiori pericoli comporta, preoccupazioni, angosce.
Una siffatta persona, che ha un padrone così duro, non può asso­
lutamente riprender fiato o fermarsi. Ma che dico, fermarsi e ri­
prender fiato? Per quanti meriti abbia un tale individuo, difficil­
mente entra nel regno. Niente suole mandare in rovina così come
la gloria da parte della moltitudine, in quanto rende pusillanimi,
meschini, adulatori, ipocriti. Perché i farisei dicevano che Cristo
era indemoniato? Non perché desideravano la gloria da parte del­
la moltitudine? Perché la moltitudine esprimeva un retto giudizio

15 Dell’autorità e del potere.


16 Cioè chi detiene il potere.
228 Omelie sul Vangelo di Matteo

nei suoi confronti? Non perché non era dominata da questo mor­
bo? Niente, niente rende così iniqui e insensati, come essere tutti
protesi verso la gloria della moltitudine; niente rende così gloriosi
e di tempra adamantina, come non curarsi di questa. Perciò oc­
corre un’anima assai vigorosa a chi vuole resistere a tanto impeto
e violenza di un tale uragano. Difatti quando è nella prosperità, si
antepone a tutti; quando gli capita il contrario, vuole sotterrarsi e
quando è sommerso da questa passione, è per lui sia geenna, sia
regno celeste17.
5. Questo, dimmi, è dunque degno di invidia? Non piutt
di pianto e di lacrime? E evidente a tutti. Ma tu, invidiando chi è
tenuto in così grande considerazione, ti comporti allo stesso modo
di chi, vedendo uno incatenato, fustigato e dilaniato da innumere­
voli belve, lo invidiasse per le ferite e le sferzate. Quanti uomini ha
il popolo, tante catene, tanti padroni ha costui, e quello che è più
grave è che ciascuno di questi ha un’opinione differente e tutti sen­
tenziano come viene loro in mente su chi è loro schiavo, senza esa­
minare nulla, ma confermando quello che piace al tale e al talaltro.
Di quali flutti, di quali marosi non è più pericoloso questo? Un sif­
fatto individuo si gonfia repentinamente di piacere e di nuovo fa­
cilmente si lascia andare giù, trovandosi sempre in agitazione, mai
in tranquillità. Prima di presentarsi in pubblico e di affrontare la
competizione oratoria, è dominato dall’angoscia e dal timore; dopo
essere apparso in pubblico muore per lo sconforto o al contrario
gioisce smisuratamente, e questo è peggio che essere nella tristezza.

N e l l e m o ll e z z e l ’anim a è più d e b o l e

Che il piacere sia un male non minore dell’afflizione è evi­


dente dalla situazione che determina nell’anima, perché la rende
leggera, distratta, alata18. E possibile constatarlo dagli esempi de­

17 II riferimento è alla passione smodata per il favore popolare.


18 Vale a dire frivola e debole, come Crisostomo rileva subito dopo.
Omelia 40, 4-5 229

gli uomini antichi. Quando David fu buono? Quando gioiva o


quando si trovava nelle angustie? Quando lo fu il popolo giudai­
co? Quando gemeva e invocava Dio o quando gioiva nel deserto e
adorava il vitello? Perciò Salomone, che più di tutti sapeva che co­
sa è il piacere, diceva: È preferibile andare in una casa di afflizione
piuttosto che in una casa ove si ride Perciò Cristo proclama bea­
ti gli uni dicendo: Beati gli afflitti ù, mentre commisera gli altri:
Guai a voi che ridete perché piangerete < E assai giustamente, per­
ché nelle mollezze l’anima è più frivola e debole, mentre nell’affli­
zione si umilia, si modera, si libera di tutto lo stuolo delle passio­
ni e diventa più sublime e più forte. Sapendo dunque tutto ciò,
fuggiamo la gloria che proviene dalla moltitudine e il piacere che
ne deriva, per conseguire quella che realmente è gloria e rimane
per sempre. Voglia il cielo che tutti noi la raggiungiamo, per la gra­
zia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la glo­
ria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 41

Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse loro: Ogni regno, diviso


in se stesso, cadrà nella desolazione, e nessuna città o famiglia, divi­
sa in se stessa, potrà reggersi. Ora se Satana scaccia Satana, è diviso
in se stesso; come dunque si reggerà il suo regno? a.

G e sù in se g n a ad e sse r e miti

1. Già lo avevano accusato di scacciare i demoni in virt


Beelzebulb. Allora però non li rimproverò, per dare loro la possi­
bilità di conoscere la sua potenza in base ad un maggior numero
di miracoli e di apprendere la sua grandezza dal suo insegnamen­
to. Ma poiché persistevano nel dire le stesse cose, alla fine li rim­
provera, dimostrando la sua divinità innanzitutto manifestando i
segreti del loro animo e in secondo luogo col fatto stesso di scac­
ciare agevolmente i demoni. Certamente la loro accusa era assai
sfrontata. Come ho detto in precedenza, l’invidia non ha di mira
che cosa dire, ma dire solamente. Tuttavia però Cristo neppure in
questo caso li disprezzo, ma si difende con la mitezza che gli si ad­
dice, insegnandoci ad essere miti con i nemici, a non turbarci, né
agitarci anche se dicono cose di cui non abbiamo coscienza1 e che

a Mt 12,25-26. b Cf. Mt 9, 34.

1 Nel senso cioè di non avere consapevolezza di compiere qualcosa di


male.
Omelia 41, 1 231

non hanno alcuna ragion d’essere, ma a rendere loro conto con as­
soluta pazienza. È quello che soprattutto fece allora, offrendo una
dimostrazione grandissima del fatto che le loro affermazioni erano
false. Difatti non era da indemoniati mostrare tanta mitezza; non
era da indemoniati conoscere i segreti del loro animo. Per il fatto
che una simile supposizione era assai sfrontata e per timore della
moltitudine, non osavano rendere di pubblico dominio queste ac­
cuse, ma le volgevano nel loro animo. Egli da parte sua, facendo
vedere loro che le conosceva, non indica l’accusa né rivela la loro
iniquità, ma adduce la soluzione, lasciando la confutazione alla co­
scienza di coloro che avevano formulato quelle accuse. Gli pre­
meva soltanto una cosa, giovare ai peccatori, non additarli al pub­
blico biasimo 2. Certamente, se avesse voluto ampliare il suo di­
scorso, ridicolizzarli e, oltre a ciò, esigere da loro la più severa pu­
nizione, nulla glielo avrebbe impedito; tuttavia però, tralasciando
tutto questo, mirava ad un solo scopo, non renderli più litigiosi,
ma più miti e così prepararli maggiormente alla correzione3.

L a d isc o rd ia è cau sa d i rovina

Come dunque si difende davanti a loro? Non si rifa alle Scrit­


ture, perché non vi avrebbero prestato attenzione, ma anzi le
avrebbero fraintese, ma a quanto avviene comunemente. Ogni re­
gno, dice, diviso in se stesso, non potrà reggersi, e una città o una fa ­
miglia, se è lacerata, rapidamente si disgregac. Le guerre esterne in­
fatti non rovinano così come quelle intestine. Questo si verifica an­
che nel corpo e in tutte le cose, ma intanto svolge gli esempi in ba­
se a quanto è più noto. Certamente che cosa c’è di più potente sul-

c Cf. Mt 12,25.

2 Si ricordi che Crisostomo compose un’omelia sul fatto di non rendere


di pubblico dominio i peccati dei fratelli.
3 Vale a dire a correggere la propria condotta.
232 Omelie sul Vangelo di Matteo

la terra di un regno? Nulla, ma tuttavia se è discorde va in rovina.


Se chiama in causa in questo caso la mole della sua organizzazione,
in quanto si scontra con se stessa, che si potrebbe dire di una città?
Di una famiglia? Anche se una cosa è piccola o grande, se è in di­
scordia con se stessa, va in rovina. Se dunque io, che ho un demo­
nio, caccio i demoni per mezzo suo, tra i demoni ci sono discordia e
battaglia e si levano uno contro l’altro. Ma se si levano uno contro
l’altro, la loro forza perisce e va in rovina. Ora, dice, se Satana scac­
cia Satana - non ha detto: i demoni, per mostrare che c’è un grande
accordo degli uni con gli altri -, è diviso in se stesso. Se è diviso, di­
venta più debole e va in rovina; ma se va in rovina, come può scac­
ciare un altro? Hai visto quanto è ridicola questa accusa? Quanto è
stolta? Quanto è contraddittoria? Non si può dire al tempo stesso
che si regge e scaccia i demoni, e affermare che si regge per il moti­
vo per cui sarebbe naturale che andasse in rovina.

A ltra a rg o m en ta zio n e svolta d a G esù

Questa è la prima soluzione; quindi viene la seconda che ri­


guarda i discepoli. In effetti non risolve le loro obiezioni sempre in
un solo modo, ma in un secondo e in un terzo, volendo mettere a
tacere a profusione la loro impudenza. Lo ha fatto anche nel caso
del sabato, adducendo David, i sacerdoti, la testimonianza che di­
ce: Misericordia voglio e non sacrificio d, il motivo per cui è stato
istituito il sabato: Il sabato è stato fatto per l’uomo e. Fa così anche
qui. Dopo la prima soluzione passa alla seconda, più chiara della
precedente: Se io, dice, scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vo­
stri figli in nome di chi li scacciano? f.
2. Considera anche qui la sua mitezza. Non ha detto infa
miei discepoli, né: Gli apostoli; ma: i vostri figli, perché, nel caso
avessero voluto tornare alla loro medesima nobiltà d’animo, ne
avrebbero avuto una grande occasione; se invece si fossero com­

d Os 6, 6. ^ Cf. Me 2, 27. 1 Mt 12, 27.


Omelia 41, 1-2 233

portati con ingratitudine e avessero persistito nel medesimo atteg­


giamento, non avrebbero potuto addurre alcuna impudente giu­
stificazione. Quello che dice significa: Gli apostoli in nome di chi
scacciano? Essi in effetti già scacciavano i demoni, perché ne ave­
vano ricevuto il potere da lui e, ma costoro non rivolgevano loro al­
cuna accusa, perché non erano ostili al fatto in sé, ma soltanto al­
la persona di Gesù. Volendo dunque dimostrare che le loro paro­
le derivavano solo da invidia nei suoi confronti, mette in mezzo gli
apostoli. Se infatti io scaccio così i demoni, a maggior ragione lo
fanno essi che ne hanno ricevuto il potere da me. Tuttavia però
non avete detto ad essi niente di simile. Perché dunque accusate
di questo me che sono responsabile di quello che essi hanno fatto,
mentre assolvete loro dalle accuse? Questo non vi libererà certa­
mente dal castigo, ma vi condannerà anche maggiormente. Perciò
ha aggiunto: Essi stessi saranno i vostri giudicih. Se essi, che pro­
vengono da voi e si prendono cura di questo, credono a me e mi
obbediscono, è evidente che condanneranno coloro che fanno e
dicono il contrario.

Lo s p le n d o r e d e l l a v e n u t a d e l F i g l i o d i D io

Ma se scaccio i demoni in virtù dello Spirito di Dio, è certo giun­


to fra voi il regno di Dio ‘. Che vuol dire: il regno? La mia venuta.
Osserva come cerchi di nuovo di attirarli a sé, di curarli, di attrar­
li alla conoscenza di sé e mostri che combattevano contro il pro­
prio bene e lottavano contro la loro salvezza. Mentre, vuol dire,
avreste dovuto gioire ed esultare perché era venuto a donare quei
grandi ed ineffabili beni che anticamente erano stati cantati dai
profeti ed era giunto il tempo della vostra felicità, voi fate il con­
trario, non soltanto non accogliendo tali beni, ma anche calun­
niando e mettendo insieme accuse inesistenti. Matteo dice: Se scac­
cio i demoni in virtù dello Spirito di Dio; Luca invece: Se scaccio i

8 Cf. Mt 10, 1. h Mt 12,27. *Μ ι1 2 ,2 8 .


234 Omelie sul Vangelo di Matteo

demoni con il dito di Dio i, facendo vedere che scacciare i demoni è


opera di una potenza grandissima e non di una grazia qualsiasi. Da
questo vuole dedurre e affermare: Se è così, dunque è venuto il Fi­
glio di Dio. Non lo dice però, ma velatamente, e in modo che non
risultasse duro per essi, vi allude dicendo: è certo giunto fra voi il re­
gno di Dio. Hai visto che immensa sapienza? Per mezzo di ciò di cui
lo accusavano, ha mostrato lo splendore della sua venuta. Poi, per
attirarli a sé, non ha detto semplicemente: è giunto il regno, ma: fra
voi, come se dicesse: Per voi sono arrivati i beni; perché dunque
provate disgusto verso i propri beni? Perché combattete contro la
vostra salvezza? Questo è quel tempo che anticamente avevano pre­
detto i profeti; questo è il segno della venuta cantata da essi, che cioè
questi eventi si compiono in virtù della potenza divina. Che avven­
gano, lo sapete anche voi; che si compiano in virtù della potenza di­
vina, lo gridano i fatti stessi. Non è possibile che Satana sia ora più
forte, ma è senz’altro necessario che sia debole; non è possibile che
chi è debole, come se fosse forte, scacci il forte demonio. Lo diceva
per mostrare la potenza dell’amore e la debolezza della discordia e
della litigiosità. Perciò in ogni modo rivolgeva continuamente esor­
tazioni ai discepoli riguardo all’amore e li ammoniva che il diavolo
fa di tutto per distruggerlo.

S atana incatena to da C risto

Dopo aver quindi esposto la seconda soluzione, ne aggiunge


anche una terza dicendo così: Come potrebbe uno penetrare nella
casa dell’uomo forte e strappargli le sue cose, se prima non lega l’uo­
mo forte? Allora gli potrà strappare le sue cose k. Che Satana non
possa scacciare Satana, è evidente da quanto è stato detto; che non
sia possibile scacciarlo in altro modo, se non si ha prima il soprav­
vento su di lui, anche questo è ammesso da tutti. Che ne consegue
dunque? Quello che è stato detto in precedenza, con maggior in­

i Le 11, 20. k Mt 12, 29.


Omelia 41, 2-3 235

tensità. Sono così lontano, vuol dire, dall’avere il diavolo come al­
leato, che lo combatto e lo incateno, e ne è prova il fatto di strap­
pargli le sue cose. Osserva come venga indicato il contrario di
quello che essi cercavano di provare. Difatti quelli volevano di­
mostrare che egli non scacciava i demoni in virtù di una potenza
propria; egli invece fa vedere che teneva in catene con molta au­
torità non soltanto i demoni, ma anche il loro stesso capo e con la
propria potenza aveva vinto quello prima di questi, il che era evi­
dente dai fatti stessi. In effetti se quello è il capo e gli altri gli sono
soggetti, come questi avrebbero potuto essergli strappati se quello
non fosse stato sconfitto e non si fosse sottomesso? Mi sembra che
qui quanto viene detto costituisca anche una profezia. Sono stru­
menti del diavolo non soltanto i demoni, ma anche gli uomini che
agiscono come lui. Ha detto queste cose dunque per rendere ma­
nifesto che non solo scacciava i demoni, ma che avrebbe anche
bandito ogni errore del mondo, avrebbe distrutto i sortilegi del
diavolo e avrebbe vanificato tutto il suo potere. E non ha detto:
porterà via, ma: strapperà, per indicare che lo farà con autorità.

S ch ierarsi c o n C risto

3. Lo chiama forte, non perché sia così per natura, non


mai!, ma per indicare la sua precedente tirannia, derivante dalla
nostra negligenza.
Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me,
disperdel. Ecco anche una quarta soluzione. Che cosa voglio?, di­
ce. Condurre a Dio, insegnare la virtù, annunciare il regno. Che
vogliono il diavolo e i demoni? Il contrario di questo. Come dun­
que chi non raccoglie con me e non è con me, potrà cooperare con
me? Ma che dico, cooperare? Anzi il contrario; 0 suo desiderio è
di disperdere ciò che è mio. Chi dunque non solo non coopera, ma
anche disperde, come potrebbe mostrare tanta concordia verso di

1Mt 12,30.
236 Omelie sul Vangelo di Matteo

me, da scacciare i demoni insieme a me? È verosimile supporre


che egli abbia detto questo riguardo non soltanto al diavolo, ma
anche a se stesso, essendo contro il diavolo e disperdendo ciò che
gli appartiene. Ma come, si potrebbe replicare, chi non è con me è
contro di meì Per il fatto stesso di non raccogliere. Se questo è ve­
ro, a maggior ragione chi è contro di lui. Se chi non coopera infatti
è nemico, a maggior ragione lo è chi combatte. Dice tutto ciò per
mostrare la sua grande e indicibile inimicizia con il diavolo. Dim­
mi: se si dovesse combattere contro qualcuno, chi non volesse al­
learsi con te, non sarebbe per ciò stesso contro di te? Se in un al­
tro passo dice: Chi non è contro di voi, è per voi m, non c’è con­
traddizione con il passo suddetto, perché qui ha indicato chi era
contro di loro, mentre nell’altro passo mostra chi è in parte con lo­
ro: Nel tuo nome, dice, scacciano i demonin. Mi sembra che qui al­
luda anche ai giudei, mettendoli insieme al diavolo, perché anche
essi erano contro di lui e disperdevano quello che aveva raccolto.

L a bestem m ia c o n tr o l o S pirito sa n to

Che alludesse ad essi, lo ha manifestato dicendo così: Perciò


vi dico che ogni peccato e bestemmia saranno perdonati agli uomi­
ni0. Dopo essersi difeso, aver risolto l’obiezione e aver dimostrato
che senza motivo si comportavano impudentemente, incute loro
paura. In effetti una non piccola parte del consiglio e della corre­
zione consiste non soltanto nel difendersi e nel persuadere, ma an­
che nel minacciare, come fa spesso il Signore quando dà leggi e
consigli. Sembra che questo passo contenga ima notevole oscuri­
tà, ma se facciamo attenzione, offrirà una soluzione agevole. In­
nanzitutto è bene ascoltare le parole stesse. Ogni peccato e bestem­
mia, dice, saranno perdonati agli uomini, ma la bestemmia contro lo
Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà contro il Figlio del­
l’uomo, sarà perdonato, ma a chiunque parlerà contro lo Spirito san­

m Le 9, 50. "C f. Le 9,49. °M t l2 ,3 1 .


Omelia 41, 3 237

to, non sarà perdonato né in questo secolo, né in quello futuro p . Che


vuol dire dunque quanto afferma? Avete detto molte cose contro
di me, che sono un impostore, un nemico di Dio. Vi perdono di
questo se vi pentite, e non esigo che siate pimiti; invece la bestem­
mia contro lo Spirito non sarà perdonata, nemmeno se vi conver­
tite. Ma questo che senso può avere? Difatti anche questa bestem­
mia è stata perdonata a chi si pente. Molti che hanno detto tali co­
se, successivamente hanno creduto e tutto è stato loro perdonato.
Che significa dunque la sua affermazione? Che questo peccato più
di tutti è imperdonabile. Perché mai? Perché ignoravano chi fosse
Cristo, mentre avevano fatto esperienza sufficiente dello Spirito.
Difatti i profeti per mezzo suo avevano proclamato quello che ave­
vano proclamato e tutti i personaggi dell’Antico Testamento ne
avevano un’altissima opinione. Quindi le sue parole significano:
Sia pure, offendetemi a motivo della carne che mi riveste; potete
forse dire anche riguardo allo Spirito: lo ignoriamo? Perciò la be­
stemmia nei suoi confronti sarà imperdonabile per voi e sarete pu­
niti sia qui sia là. In effetti molti furono puniti soltanto quaggiù,
come quel fornicatore 4, come quelli che partecipavano indegna­
mente ai misteri nella comunità di Corinto5; voi invece sarete pu­
niti sia qui sia lassù. Perdono dunque tutte le bestemmie che ave­
te rivolto contro di me prima della croce e lo stesso crimine della
croce; non sarete condannati soltanto per l’incredulità. Difatti
quelli che credettero prima della croce non avevano una fede per­
fetta; spesso raccomanda di non manifestarlo a nessuno prima del­
la passione, e sulla croce diceva che questo peccato era stato loro
perdonato Invece quanto avete detto sullo Spirito, non sarà per­
donato. A riprova del fatto che parlava di quanto era stato detto

PMt 12,31-32. <5Cf. Le 23, 34.

4 Cf. 2 Cor 2, 6; Crisostomo mostra di identificare questo caso con quel­


lo dell’incestuoso, di cui si parla in 1 Cor 5, lss.
5 Si tratta di chi si accostava all’Eucaristia senza le dovute disposizioni:
cf. 1 Cor 11, 27ss.
238 Omelie sul Vangelo di Matteo

contro di lui prima della croce, aggiunse: A chiunque parlerà con­


tro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato, ma a chiunque parlerà con­
tro lo Spirito santo, non sarà perdonato. Perché? Perché questo vi
è noto e vi comportate impudentemente nei confronti di ciò che è
evidente. Se dite che non mi conoscete, non ignorate certamente
anche lo Spirito, né che scacciare i demoni e compiere guarigioni
è opera dello Spirito santo. Non offendete dunque soltanto me,
ma anche lo Spirito santo. Perciò il vostro castigo è inevitabile sia
quaggiù, sia lassù. Alcuni uomini sono puniti quaggiù e lassù; altri
soltanto quaggiù, altri soltanto lassù e altri né quaggiù né lassù.
Quaggiù e lassù vengono puniti, come costoro, perché quaggiù fu­
rono puniti quando soffrirono quei mali irreparabili in occasione
della conquista della città 6, e lassù subiranno un durissimo casti­
go; come i cittadini di Sodoma, come molti altri. Lassù soltanto,
come il ricco che ardeva nelle fiamme e non poteva disporre nep­
pure di una goccia d’acquar. Quaggiù, come il fornicatore di Co­
rinto. Né quaggiù, né lassù, come gli apostoli, come i profeti, co­
me il beato Giobbe; quanto soffrivano non era una punizione, ma
lotta e combattimento 7.

E sam inare s e st essi e d avere c o sc ien za d e i propri pecca ti

4. Sforziamoci dunque di far parte del gruppo di questi,


non di questi, almeno di coloro che lavano quaggiù i loro peccati.
Terribile è infatti quel tribunale, inesorabile la punizione, impla­
cabile il castigo. Se non vuoi essere punito nemmeno quaggiù,
giudica te stesso, esigi il rendiconto da te stesso. Ascolta Paolo che
dice: Se ci esaminassimo, non saremmo giudicatis. Se fai così, pro-

r Cf. Le 16, 23ss. S 1 Cor 11, 31.

6 Gerusalemme, conquistata da Tito nel 70 d.C.


7 Sulla scia di Paolo (cf. 1 Cor 9, 24ss.), Crisostomo usa spesso immagi­
ni agonistiche per designare la lotta dei giusti per il bene contro il male.
Omelia 41, 3-4 239

gredendo sistematicamente, arriverai anche alla corona 8. Ma co­


me, si potrebbe obiettare, chiederemo conto a noi stessi? Piangi,
gemi amaramente, umiliati, mortificati, ricordati dei tuoi peccati
secondo la loro specie. Questo è un non piccolo tormento dell’a­
nima. Se uno è giunto alla compunzione, sa che l’anima viene pu­
nita soprattutto così. Se uno ricorda i peccati, conosce il dolore
che ne deriva. Perciò Dio stabilisce, per un simile pentimento, la
giustizia come ricompensa, dicendo: Di' tu per primo i tuoi peccati
per essere giustificato r. Non è, non è di poco conto per la propria
correzione ricapitolare tutti i peccati e meditarli e riconsiderarli
continuamente secondo la loro specie. Difatti chi agisce così si tro­
verà in un tale stato di compunzione da non ritenersi degno nem­
meno di vivere, e chi pensa così, sarà più tenero di qualsiasi cera.
Non parlarmi soltanto di fornicazione, di adulterio e di questi pec­
cati manifesti e riconosciuti da tutti, ma metti insieme anche le in­
sidie occulte, le calunnie, le maldicenze, la vanagloria, l’invidia e
tutte le colpe di questo genere, perché queste procureranno un
non piccolo castigo. In effetti l’ingiurioso cadrà nella geenna, chi
si ubriaca non ha nulla in comune con il regno, chi non ama il
prossimo offende tanto Dio, che non gli giova neppure il marti­
rio u; chi non si prende cura dei suoi rinnega la fede v e chi trascu­
ra i poveri viene mandato nel fuoco. Non credere quindi che que­
sti peccati siano di poco conto, ma mettili insieme tutti e scrivili
come in un libro. Se li scrivi, Dio li cancella, come d’altra parte se
non li scrivi, Dio li registra e ne chiede conto. E molto meglio
dunque che essi siano scritti da noi e cancellati dal cielo, piuttosto
che il contrario, che noi ce ne dimentichiamo e Dio li presenti da­
vanti ai nostri occhi in quel giorno.
Perché non si verifichi questa situazione, consideriamo tutto
accuratamente e troveremo che siamo tenuti a rendere conto di

1Is 43, 26. “ Cf. 1 Cor 13, 3. v Cf. l T m 5 , 8.

8 Vale a dire il premio stabilito da Dio.


240 Omelie sul Vangelo di Matteo

molti peccati. Chi è immune da avarizia? Non dirmi che lo sei mo­
deratamente, ma pensa che anche nel nostro piccolo subiremo la
medesima pena, e pentiti. Chi è esente dalla colpa di recare ingiu­
ria? Questa getta nella geenna. Chi di nascosto non è stato maldi­
cente nei confronti del prossimo? Ciò priva del regno. Chi non è
stato orgoglioso? Costui è più impuro di tutti. Chi non ha guarda­
to con occhi dissoluti? Costui è un adultero perfetto. Chi non si è
adirato con il fratello senza motivo? Costui sarà sottoposto al sine­
drio w. Chi non ha giurato? Questo viene dal maligno31. Chi non ha
spergiurato? Costui è peggio del maligno. Chi non è stato servo di
mammona? Costui si è allontanato dall’autentico servizio di Cristo.
Potrei parlare di altri peccati più grandi di questi, ma questi basta­
no e sono sufficienti a spingere a compunzione chi non è di pietra
e non è del tutto insensibile. Se infatti ciascuno di essi getta nella
geenna, che cosa non faranno se vengono messi tutti insieme?

LE VIE DI SALVEZZA

Come allora, si potrebbe osservare, ci si può salvare? Appli­


cando i rimedi che si contrappongono a questi peccati, l’elemosi­
na, le preghiere, la compunzione, il pentimento, l’umiltà, il cuore
contrito, il disprezzo dei beni presenti. Dio ha tracciato innume­
revoli vie di salvezza, se vogliamo prestarvi attenzione. Facciamo
attenzione dunque e risaniamo in ogni modo le ferite, praticando
la misericordia, deponendo l’ira nei confronti di coloro che hanno
recato dolore, ringraziando Dio per tutto, digiunando secondo le
proprie possibilità, pregando sinceramente, facendoci amici con la
ricchezza iniqua y. Così potremo ottenere perdono per i peccati e
conseguire i beni promessi. Voglia il cielo che tutti noi ne siamo ri­
tenuti degni, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cri­
sto, al quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

w Cf. U t 5,22. x Cf. M t5 ,3 7 . yCf. Le 16, 9.


OMELIA 42

Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se pren­


dete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo; dal frutto in­
fatti si conosce l'albero a.

I l l o g ic it à d e l l e a cc u se rivo lte a C risto

1. Di nuovo li svergogna in altro modo, e non si limita alle ar­


gomentazioni precedenti. Lo fa non per liberarsi dalle accuse, per­
ché gli sarebbe stato sufficiente quanto aveva detto in precedenza,
ma perché voleva correggerli. Le sue parole significano: Nessuno
di voi ha rinfacciato a coloro che sono stati curati di non esserlo
stati, né ha detto che era opera malvagia liberare dal demonio. An­
che se si comportavano assai impudentemente, non potevano fare
queste affermazioni. Poiché dunque non accusavano le opere, ma
calunniavano chi le realizzava, dimostra che questa accusa era con­
tro il senso comune e la logica delle cose. E una enorme sfronta­
tezza non soltanto comportarsi malvagiamente, ma anche escogi­
tare cose tali che sono contro la comune opinione. Osserva come
fosse alieno dalle contese, perché non disse: Prendete un albero
buono, perché anche il frutto è buono; ma, chiudendo loro la boc­
ca assolutamente e mostrando la sua mitezza e la loro impudenza,
dice: Se volete attaccare le mie opere, non lo impedisco affatto,
purché non accusiate in modo incoerente e illogico. In questo mo­
do sarebbero stati vinti più chiaramente, comportandosi sfronta-

a Mt 12, 33.
242 Omelie sul Vangelo di Matteo

tamente di fronte a quanto era assai evidente. Sicché, vuol dire, in­
vano agite in modo malvagio e dite cose incoerenti con se stesse.
Ora l’albero si distingue per il frutto, non il frutto per l’albero
voi invece fate il contrario. Se infatti l’albero è causa del frutto, il
frutto però è il carattere distintivo dell’albero. Sarebbe logico o
che, biasimandoci, accusaste anche le opere, oppure che, lodando
queste, liberaste da tali accuse anche noi che le realizziamo. Ora
voi fate il contrario: non potendo accusare affatto le opere, che so­
no il frutto, giudicate in maniera opposta l’albero, chiamandomi
indemoniato, il che è follia estrema. Mostra anche ora ciò che ave­
va detto prima, che cioè un albero buono non può fare frutti cat­
tivi, né d’altra parte può verificarsi il contrario b. Sicché le loro ac­
cuse erano contro ogni logica e contro la natura stessa.
Quindi poiché sviluppa il suo discorso in difesa non di se stes­
so, ma dello Spirito, rivolge una accusa veemente dicendo: Razza
di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? c. Con
queste parole al tempo stesso accusa e offre, in base a loro stessi,
la dimostrazione di quanto aveva detto. Ecco voi, vuol dire, es:
sendo alberi cattivi, non potete produrre un frutto buono. Non mi
meraviglio dunque che diciate queste cose, perché siete stati edu­
cati male, provenendo da antenati malvagi, e avete un animo cat­
tivo. Osserva come abbia presentato le sue accuse accuratamente
e senza offrire loro alcun appiglio. Non ha detto: Come potete di­
re cose buone, essendo razza di vipere?, perché l’una affermazio­
ne non ha rapporto con l’altra, ma: Come potete dire cose buone,
voi che siete cattivi? Li ha chiamati razza di vipere perché si van­
tavano dei loro antenati. Facendo vedere dunque che non ne ve-

b Cf. Mt 7, 17-18. c Mt 12, 34.

1 Passo dal significato incerto; forse Crisostomo vuol dire che tra l’albe­
ro e il frutto l’elemento decisivo è il primo che produce il secondo, e quindi
gli avversari di Gesù non potevano da un lato valutare positivamente le sue
opere (il frutto), dall’altro condannare il loro autore (l’albero). D discorso del
nostro autore forse è fin troppo sottile.
Omelia 42, 1 243

niva loro alcun vantaggiò, li ha esclusi dalla parentela con Àbra­


mo, mentre dà loro antenati dai medesimi costumi, privandoli del­
la gloria che ne poteva derivare.

C r isto c o n o sc e i se g r e t i d e l cu ore

Infatti la bocca parla dalla pienezza del cuore d. Qui mostra di


nuovo la sua divinità che conosce i segreti del cuore, e fa vedere che
saranno puniti non soltanto per le parole, ma anche per i malvagi
pensieri, e che li conosce in quanto Dio. Dice che agli uomini non è
possibile conoscere queste cose; in realtà rientra nell’ordine natura­
le che, quando la malvagità trabocca nell’animo, le parole si riversi­
no fuori per mezzo della bocca. Sicché quando ascolti un uomo di­
re malvagità, non credere che in lui ci sia tanta cattiveria quanta vie­
ne manifestata dalle parole, ma supponi che la fonte sia molto più
abbondante, perché quanto viene detto esteriormente è quello che
eccede ciò che si trova interiormente. Hai visto con quanta vee­
menza li ha attaccati? Se quanto dicevano era così malvagio e pro­
veniva dalla volontà stessa del diavolo, pensa quanto grandi fossero
la radice e la fonte delle loro parole. È naturale che si verifichi que­
sto, perché la lingua spesso, provando vergogna, non riversa la mal­
vagità tutta insieme, mentre il cuore, non avendo nessun uomo co­
me testimone, genera senza alcun timore i mali che vuole, in quan­
to non tiene in gran conto Dio. Poiché le parole vengono poste sot­
to esame e sono presentate a tutti, il cuore rimane in ombra; perciò
i peccati della lingua sono inferiori, mentre quelli del cuore sono
maggiori. Ma quando grande è la quantità di ciò che si trova inte­
riormente, quello che è per il momento nascosto viene fuori con
molto impeto. E come coloro che sentono il vomito all’inizio si fan­
no forza di trattenere dentro gli umori che cercano di venire fuori,
ma quando sono sopraffatti, emettono molte cose disgustose, così
fanno coloro che hanno propositi malvagi e sparlano del prossimo.

d Ibid.
244 Omelie sul Vangelo di Matteo

L'uomo buono, dice, dal suo buon tesoro trae cose buone, men­
tre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive e.

S arem o g iu d ica ti in ba se a l l e n o str e paro le

2. Non pensare, vuol dire, che questo riguardi soltanto la


vagità, perché si verifica anche con la bontà; difatti anche in que­
sto caso la virtù interiore è maggiore delle parole esteriori. Con
questo faceva vedere che bisognava ritenerli più malvagi di quan­
to indicassero le parole, e considerare il Signore più buono di
quanto mostrasse quello che diceva. Dice tesoro per indicare ima
grande quantità. Poi suscita di nuovo una grande paura. Non pen­
sate, vuol dire, che la cosa si limiti a questo e alla condanna da par­
te della moltitudine, in quanto tutti coloro che compiono tali ini­
quità subiranno il castigo più severo. E non ha detto: Voi, sia per
rivolgere il suo insegnamento al genere umano in generale, sia per
rendere meno duro il suo discorso.
Vi dico che di ogni parola vana che avranno detto gli uomini da­
ranno conto nel giorno del giudiziof. Vana è la parola che non si at­
tiene alla realtà delle cose, che è menzognera, calunniosa. Alcuni
dicono che si tratta della parola sconsiderata, ad esempio, quella
che suscita il riso disordinato, oppure quella turpe, impudente,
sconveniente. Difatti dalle tue parole sarai giustificato e dalle tue
parole sarai condannato b. Hai visto come il tribunale non sia du­
ro? Come è mite il rendiconto? In effetti il giudice esprimerà la sua
sentenza in base non a quello che altri ha detto di te, ma a quello
che tu stesso hai detto, il che è la cosa più giusta di tutte, perché tu
hai la facoltà di parlare e di non parlare. Devono dunque essere in
ansia e tremare non quelli che sono oggetto di maldicenze, ma co­
loro che sono maldicenti, perché non essi sono costretti a difen­
dersi per quello per cui sono stati diffamati, ma costoro per le loro
maldicenze; per costoro incombe ogni pericolo. Sicché coloro che

e Mt 12, 35. f Mt 12, 36. 6 Cf. Mt 12,37.


Omelia 42, 1-2 245

sono diffamati devono stare tranquilli, perché non renderanno


conto delle maldicenze altrui, mentre i maldicenti devono essere in
ansia e tremare, in quanto saranno trascinati in giudizio per queste
maldicenze. E questa una trappola diabolica, un peccato che non
ha alcun piacere, ma solo danno. Difatti un simile individuo mette
in serbo nell’anima un tesoro cattivo. Se chi ha un umore cattivo, è
lui che innanzitutto contrae la malattia, a maggior ragione chi ac­
cumula in sé la malvagità, che è più amara di ogni fiele, soffrirà i
mali più gravi, procurandosi una funesta malattia. E evidente da ciò
che manda fuori, perché se così reca danno agli altri, a maggior ra­
gione lo farà all’anima che genera quanto egli manda fuori. Difatti
chi trama insidie, distrugge innanzitutto se stesso; chi mette il pie­
de sul fuoco, si brucia; chi colpisce l’acciaio, si danneggia e chi tira
calci contro lo sprone2, si ferisce.

N o n è u n m a le su bire l ’in g r ^ zia , ma farla

Chi sa subire l’ingiustizia e sopportarla nobilmente, è qualco­


sa di simile, è acciaio, sprone, fuoco, mentre chi pratica l’ingiusti­
zia, è più debole del fango. Non è un male dunque subire l’ingiu­
stizia, ma commetterla, e non saper sopportarla se la si subisce.
Quante ingiustizie subì David? Quante ne commise Saul? Chi fu
più forte e più beato? Chi più infelice e degno di commiserazio­
ne? Non forse chi commise ingiustizie? Osserva. Saul aveva pro­
messo a David, se avesse ucciso lo straniero3, di prenderlo come
genero e di dargli la figlia con molti beneficih. Egli uccise lo stra­
niero ', ma Saul trasgredì il patto e non soltanto non gli dette la fi-

h Cf. 1 Sam 17, 25. * Cf. 1 Sam 17,51.

2 Espressione proverbiale: cf. Euripide, Baccanti 795. Per l’immagine si


veda anche At 26,14.
3 Golia.
246 Omelie sul Vangelo di Matteo

glia, ma cercava anche di ucciderlo 4. Chi diventò dunque più glo­


rioso? Non era forse Saul oppresso dall’angustia e da un malvagio
demonio i, mentre David rifulgeva più del sole per i suoi trionfi e
per l’amore verso Dio? k. Ancora, quando le donne danzavano *,
non era Saul soffocato dall’invidia, mentre David, sopportando
tutto in silenzio, conquistò tutti e li legò a sé? m. Quando lo ebbe
nelle sue mani e lo risparmiò n, chi fu ancora beato? Chi infelice?
Chi più debole? Chi più potente? Non forse David che non lo as­
salì nemmeno a buon diritto? E certo a ragione, perché l’uno ave­
va soldati armati, l’altro invece aveva come aiuto e alleata la giu­
stizia che è più forte di innumerevoli eserciti. Perciò, pur essendo
ingiustamente oggetto di complotti, non accettò di ucciderlo
nemmeno a buon diritto. Da quanto era avvenuto in precedenza
sapeva che rende più potenti non fare il male, ma soffrirlo. Que­
sto accade nei corpi e anche negli alberi5. Che dire di Giacobbe?
Non ricevette ingiustizie da Labano ed ebbe a soffrire? °. Chi era
più forte? Chi lo ebbe tra le mani e non osò toccarlo, ma temeva e
tremava p, oppure Giacobbe che era senz’armi e soldati, ma era
per lui più temibile di innumerevoli re?

I l ca so esem pla r e d i D avid

3. Per darvi un’altra dimostrazione, maggiore di questa


quanto è stato detto, ancora per quanto riguarda lo stesso David

i Cf. 1 Sam 18, 10. k Cf. 1 Sam 17, 45-46. 1 Cf. 1 Sam 18, 6-7.
m Cf. 1 Sam 18, 16. n Cf. 1 Sam 24, 7; 26, 9. ° Cf. Gn 29, 15ss.
P Cf. Gn 31, 25ss.

4 Cf. 1 Sam 18, 19: Saul, quando venne il tempo di dare in moglie a Da­
vid la figlia Merab, la dette ad un altro; a David dette però l’altra figlia Mikal
(cf. il v. 27), dopo avergli chiesto di uccidere cento filistei con l’intenzione di
farlo morire (cf. il v. 25).
5 In quanto si rafforzano e diventano più resistenti.
Omelia 42, 2-3 247

facciamo il ragionamento contrario. Egli, che subì ingiustizie e


prevalse, successivamente quando a sua volta commise ingiustizia
divenne più debole. Quando offese Uria <J, l’ordine si ribaltò e la
debolezza passò a colui che aveva offeso, mentre la forza passò a
chi era stato offeso; infatti da morto Uria devastò la casa di Da­
vid6. Questi, che era re e viveva, non potè nulla; quello invece, che
era soldato ed era stato trucidato, mise sottosopra tutto ciò che era
di David. Volete che renda più chiaro quanto affermo anche in al­
tro modo? Esaminiamo quelli che si vendicano a buon diritto.
Certamente coloro che commettono iniquità è evidente a ognuno
che sono più spregevoli di tutti e combattono contro la propria
anima. Ma chi si è vendicato a buon diritto e ha suscitato innume­
revoli mali e ha trafitto se stesso con molte sciagure e sofferenze?
Il generale di David 7. Costui intraprese una guerra funesta e sof­
frì innumerevoli mali, nessuno dei quali si sarebbe verificato se
avesse saputo comportarsi saggiamente 8.

F u g g ir e la m a ld icen za e d esa m in are i propri pecca ti ,


NON QUELLI ALTRUI

Fuggiamo dunque questo peccato e non comportiamoci ingiu­


stamente con il prossimo né con le parole né con le azioni. Non ha
detto: se diffami e porti in giudizio, ma semplicemente: se parli ma­
le, anche in te stesso, pure così sarai punito nel modo più severo. An­
che se è vero quello che dici, anche se lo affermi con convinzione,
anche in questo caso sarai punito. Dio proclamerà la sua sentenza

Cf. 2 Sam 11, 4ss.

6 Forse Crisostomo allude alla morte del figlio che David aveva avuto da
Betsabea: cf. 2 Sam 12, 18.
7 Ioab: cf. 2 Sam 3, 27; egli uccise Abner per vendicare la morte del fra­
tello Asael.
8 Riguardo alla morte di Ioab, cf. 1 Re 2, 34.
248 Omelie sul Vangelo di Matteo

non in base a ciò che quello ha fatto, ma in base a ciò che tu hai det­
to: dalle tue parole sarai condannator, dice. Non ascolti che anche il
fariseo ha affermato la verità e ha detto quanto era manifesto a tut­
ti, senza rivelare ciò che era nascosto?s. Ma tuttavia fu punito assai
severamente. Se non si deve accusare ciò che è riconosciuto da tut­
ti, a maggior ragione non lo si deve fare per ciò che è in dubbio, per­
ché il peccatore ha il suo giudice. Non togliere dunque all’Unigeni­
to la sua prerogativa: a Lui è riservato il trono del giudizio.
Vuoi giudicare? Hai un tribunale che procura un grande gua­
dagno e non comporta alcuna colpa. Stabilisci la ragione come
giudice nella tua coscienza e introduci tutti i tuoi peccati. Esami­
na le colpe della tua anima, chiedine il rendiconto accuratamente
e di’: Perché hai osato fare questo e questo? Se sfugge a queste col­
pe ed esamina quelle altrui, dille: Non ti giudico per queste, non
sei venuta a difenderti per queste. Che ti importa se il tale è catti­
vo? Tu perché hai commesso questa e questa colpa? Difenditi, non
accusare; esamina i tuoi peccati, non quelli altrui. Conducila con­
tinuamente a questo esercizio. Poi, se non ha niente da dire, ma
cerca di sfuggire, flagellala, fustigala, come una serva orgogliosa e
dissoluta. Costituisci ogni giorno questo tribunale, descrivi il fiu­
me di fuoco, il verme velenoso, gli altri strumenti di tortura 9. Non
permettere che se ne stia col diavolo e non tollerare che dica im­
pudentemente: È lui che viene da me, è lui che mi tende insidie, è
lui che mi tenta; dille invece: Se non vuoi, tutto ciò è vano10. Se di
nuovo dice: Sono avvinta al corpo, sono rivestita della carne, abi­
to nel mondo, vivo sulla terra, dille: Questi sono tutti pretesti e
scuse. Anche il tale infatti era rivestito della carne, e il tale, pur
abitando nel mondo e vivendo sulla terra, si segnala per virtù; an-

r Mt 12, 37. s Cf. Le 18, 11-12.

9 Sono immagini che indicano il castigo eterno: cf. Me 9, 48.


10 Crisostomo mette in luce l’importanza della volontà dell’uomo nel re­
sistere alle tentazioni, perché non si pensi che esse siano invincibili e che
quindi il peccato sia inevitabile.
Omelia 42, 3-4 249

che tu stessa del resto, quando agisci rettamente, lo fai rivestita di


carne. Se si addolora nell’ascoltare questo, non alzare la mano,
perché, se la percuoti, non morirà, ma la libererai dalla morte 11.
Se d’altra parte dice: Il tale mi ha irritato, dille: Ti è possibile pe­
rò non irritarti; spesso hai dominato l’ira. Se dice: La bellezza del­
la tale mi ha eccitato, dille: Puoi però padroneggiarti. Presenta co­
loro che hanno vinto, presenta quella prima donna che disse: II
serpente mi ha ingannata *, ma non fu liberata dalla colpa.

F are l ’esa m e d i c o sc ien z a e n o n abband o narsi


A VANI PENSIERI

4. Quando fai questo esame, nessuno sia presente, ness


disturbi, ma come i giudici giudicano sedendo sotto una cortina,
così anche tu, a mo’ di cortina, cerca un momento e un luogo tran­
quilli. E quando ti levi dopo aver cenato e ti accingi ad andare a
letto, allora esercita questo giudizio; questo è il momento adatto a
te, e il luogo è il letto e la camera. Questo ha ordinato il profeta di­
cendo: Nei vostri giacigli raccoglietevi meditando quello che dite nei
vostri cuori'1. Esigi un ampio rendiconto anche delle colpe picco­
le per non avvicinarti mai a quelle grandi. Se farai così ogni gior­
no, ti presenterai con fiducia a quel temibile tribunale. Così Paolo
divenne puro; perciò diceva: Se esaminassimo noi stessi, non sa­
remmo giudicati''. Così Giobbe purificava i figliw. Egli che offriva
sacrifici per colpe non manifeste, a maggior ragione avrebbe chie­
sto conto di quelle manifeste.
Noi però non facciamo così, ma tutto il contrario. Non appe­
na ci mettiamo a letto, pensiamo a tutte le cose terrene; alcuni fan­
no entrare nella mente pensieri impuri, altri prestiti, contratti e

( Gn 3,13. u Sai 4 ,5 (LXX). V1 Cor 11,31. wCf. G b l , 5 .

11 Cioè dalla morte eterna.


250 Omelie sul Vangelo di Matteo

preoccupazioni caduche. Se abbiamo una figlia vergine, la custo­


diamo accuratamente, mentre lasciamo che sia dissoluta e si cor­
rompa la nostra anima, che è più preziosa di una figlia, introdu­
cendo innumerevoli pensieri malvagi. Se vuole entrare in essa il
desiderio dell’avarizia, delle mollezze, dei corpi splendidi, dell’ira
0 qualsiasi altro desiderio, apriamo le porte, lo trasciniamo dentro
e lo invitiamo e permettiamo che si unisca tranquillamente ad es­
sa. Che ci potrebbe essere di più barbaro di questo, vale a dire non
curarsi che l’anima che per noi è più preziosa di ogni cosa, sia ol­
traggiata da tanti adulteri e stia con essi fintanto che non siano sa­
zi? Ma questo non avverrà m ai12. Perciò quando sopraggiunge il
sonno, soltanto allora si allontanano; anzi nemmeno allora, perché
1 sogni e le fantasie le presentano le medesime immagini. Per cui,
quando viene il giorno, l’anima, presa da tali fantasie, spesso met­
te in pratica quanto ha immaginato. Tu, che non consenti che en­
tri nella pupilla degli occhi nemmeno un po’ di polvere, non ti cu­
ri che l’anima si trascini dietro l’immondizia di tanti mali? Quan­
do potremo dunque eliminare questa sporcizia che accumuliamo
ogni giorno? Quando potremo tagliar via le spine? Quando po­
tremo spargere i semix? Non sai che incombe il tempo della mie­
titura? Ma noi non abbiamo ancora rinnovato il terreno. Se dun­
que arriva l’agricoltore 13 e accusa, che diremo? Che rispondere­
mo? Che nessuno ha dato i semi? Certamente questi vengono
sparsi ogni giorno. Diremo che nessuno ha tagliato via le spine?
Certamente ogni giorno affiliamo la falce. Ma siamo trascinati dal­
le necessità materiali? E perché non hai crocifisso te stesso al mon­
do y? Se infatti è malvagio colui che restituisce soltanto quanto gli
è stato dato, perché non l’ha raddoppiato14, chi lo ha anche man­

* Cf. Mt 13, 7-8. yCf. Gal 6,14.

12 Nel senso che queste passioni sono insaziabili.


13 Cf. Gv 15, 1: Il Padre mio è l’agricoltore.
14 II riferimento è al servo della parabola che restituisce il talento rice­
vuto dal padrone senza farlo fruttificare: cf. Mt 25, 24-26.
Omelia 42, 4 251

dato in rovina che cosa si sentirà dire? Se quello è stato legato e


gettato fuori, dove è stridore di dentiz, che cosa soffriremo noi
che, benché innumerevoli cose ci trascinino alla virtù, ci tiriamo
indietro e siamo esitanti? Che cosa non basta a sollecitarti? Non
vedi la pochezza della vita? L’incertezza dell’esistenza? La fatica
che è insita nelle realtà presenti? La pena? Si può forse praticare
la virtù con fatica e la malvagità senza sforzo? Se dunque in un ca­
so e nell’altro c’è fatica, perché non scegli la virtù che comporta un
grande guadagno? Anzi ci sono aspetti della virtù che non richie­
dono nemmeno sforzo. Che fatica c’è nel non essere maldicenti,
non mentire, non giurare, nell’abbandonare l’ira verso il prossi­
mo? Al contrario, fare queste cose è faticoso e comporta molte
preoccupazioni. Che giustificazione, che indulgenza avremo se
non riusciamo nemmeno in questo? Da ciò risulta evidente che
evitiamo anche quanto è più faticoso per negligenza e pigrizia.
Pensando a tutto questo, fuggiamo la malvagità, scegliamo la
virtù per conseguire sia i beni presenti, sia quelli futuri, per la gra­
zia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la glo­
ria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

2 Cf. M t 2 2 ,13.
OMELIA 43

Allora gli replicarono alcuni scribi e farisei dicendo: Maestro, vo­


gliamo che tu faccia vedere un segno. Rispondendo disse: Una gene­
razione perversa e adultera richiede un segno, ma nessun segno le sa­
rà dato, se non il segno del profeta Giona a.

I m pu d en za d e g l i avversari d i C risto

1. Ci potrebbe essere qualcosa di più insensato e non so


to di più empio? Quelli, dopo tanti miracoli, come se non ce ne
fosse stato nessuno, dicono: Vogliamo che tu facda vedere un se­
gno. Perché lo dicono? Per attaccarlo ancora. Poiché con le sue
parole li aveva messi a tacere, una, due, molte volte e aveva bloc­
cato la loro lingua impudente, vengono di nuovo alle opere; mera­
vigliandosi ancora di questo, l’evangelista diceva: Allora gli repli­
carono alcuni scribi, chiedendo un segno b. Allora: quando? Quan­
do avrebbero dovuto piegarsi, ammirare, sbigottirsi, cedere, allo­
ra non si allontanano dall’iniquità. Osserva quelle parole piene di
adulazione e di dissimulazione. Pensavano, con esse, di attirarlo a
sé. Ora lo insultano, ora lo adulano, ora chiamandolo indemonia­
to, ora maestro; entrambi gli atteggiamenti provenivano da una
malvagia intenzione, anche se le parole erano opposte. Perciò li at­
tacca con veemenza. Quando lo interrogavano con asprezza e lo
insultavano, parlava loro con mitezza; quando invece lo adulava­
no, si rivolgeva ad essi duramente e con molto impeto, dimostran­

t i 12,38-39. b Cf. Me 8, 11.


Omelia 43, 1 253

do di essere al di sopra di entrambi questi stati d’animo. Non si fa


allora trascinare all’ira e non si lascia ammorbidire ora dall’adula­
zione. Considera che la veemenza nei loro confronti non era sem­
plicemente un insulto, ma conteneva la dimostrazione della loro
malvagità. Che cosa dice? Una generazione perversa e adultera ri­
chiede un segno. Le sue parole significano: Che c’è da meravigliar­
si se agite così nei riguardi di me che per il momento ignorate, poi­
ché vi siete comportati in questo stesso modo con il Padre, di cui
avevate fatto un’esperienza così grande? Dopo averlo abbandona­
to, correvate dietro i demoni, attirandovi perversi amanti. Di que­
sto li rimproverava continuamente anche Ezechielec. Diceva que­
ste cose per mostrare di essere in accordo con il Padre e che co­
storo non facevano nulla di nuovo; svelava i segreti del loro animo
e mostrava che gli rivolgevano questa richiesta ipocritamente e co­
me suoi nemici. Perciò li ha chiamati generazione perversa, perché
erano stati sempre ingrati verso i loro benefattori, perché, pur ri­
cevendo benefici, diventavano peggiori, il che è il colmo della mal­
vagità. Li ha chiamati generazione adultera, per indicare l’incredu­
lità di un tempo e quella presente l. Con questo dimostra ancora
di essere uguale al Padre, se anche il fatto di non credere in lui la
rendeva adultera.

P r efig u r a zio n e d e l l a resu rrezio n e

Poi, dopo averli apostrofati, che cosa dice? Ma nessun segno


le sarà dato, se non il segno del profeta Giona. Prelude già al di­
scorso sulla resurrezione e lo conferma mediante la prefigurazio­
ne. Ma come?, si potrebbe obiettare; non le è stato dato un segno?
Non le è stato dato in virtù della sua richiesta, perché non faceva

c Cf. Ez 16,15.

1 L’infedeltà a Dio è associata all’adulterio, come del resto mette in evi­


denza il precedente riferimento a Ezechiele.
254 Omelie sul Vangelo di Matteo

i miracoli per sollecitarli, in quanto sapeva che erano induriti, ma


per correggere gli altri. O si può dire questo, oppure che non
avrebbero avuto un segno come quello. In effetti essi ebbero un
segno quando, mediante il proprio castigo, conobbero la sua po­
tenza. Qui dunque parla minacciandoli e alludendo proprio a que­
sto; come se dicesse: Ho fatto vedere innumerevoli benefìci; nes­
suno di questi vi ha attirato a me e non avete voluto venerare la
mia potenza. Conoscerete quindi la mia forza mediante eventi di
segno contrario, quando vedrete la città abbattuta 2, le mura di­
strutte, il tempio in rovina, quando perderete il vostro sistema di
vita e la precedente libertà e andrete in giro ovunque di nuovo
senza focolare e esuli. Tutti questi avvenimenti si verificarono in­
fatti dopo la crocifissione. Questi dunque costituiranno per voi co­
me dei grandi segni. In realtà è un segno grandissimo che i loro
mali rimangano immutabili, che, nonostante innumerevoli tentati­
vi, nessuno abbia potuto modificare la sentenza una volta pronun­
ciata contro di loro. Non dice però questo, ma lascia che diventi
chiaro per essi col trascorrere del tempo; per ora sviluppa il di­
scorso sulla resurrezione, di cui si sarebbero resi conto per mezzo
di quello che avrebbero subito successivamente. Come infatti, di­
ce, Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del mostro marino,
così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della
terra d. Non ha detto esplicitamente che sarebbe risorto, perché
l’avrebbero deriso; vi ha alluso in modo tale che quelli credessero
che lo sapeva in anticipo. A riprova del fatto che lo sapessero, di­
cono a Pilato: Quell’impostore disse, mentre era ancora vivo: Dopo
tre giorni risorgeròe. Certamente i discepoli lo ignoravano, perché
in precedenza erano più ottusi di loro. Perciò costoro si condan­
narono da sé.

d Mt 12, 40. e Mt 27, 63.

2 Crisostomo richiama ancora la distruzione di Gerusalemme all’epoca


di Tito: cf. la nota 6 all’omelia 41.
Omelia 43, 1-2 255
P r efig u r a zio n e d e l l a cro ce

2. Osserva come, pur alludendovi, lo indichi con precisio


Non ha detto: Nella terra, ma: nel cuore della terra, per indicare il
sepolcro e perché nessuno immaginasse che si trattava di un’ap­
parenza. Ha accettato di rimanere tre giorni3, perché si credesse
che era morto. Non lo conferma soltanto con la croce e con il fat­
to che era sotto gli occhi di tutti, ma anche con il tempo dei gior­
ni. Alla resurrezione avrebbe reso testimonianza tutto il periodo di
tempo successivo; la croce invece, se non avesse avuto allora mol­
ti segni che la attestavano, non sarebbe stata creduta, e se non fos­
se stata creduta, non si sarebbe creduto nemmeno alla resurrezio­
ne. Perciò la chiama segno. Se non fosse stato crocifisso, non sa­
rebbe stato dato il segno. Per questo presenta la prefigurazione,
perché si credesse alla verità. Dimmi: era una immaginazione la
presenza di Giona nel ventre del mostro marino? Ma non lo si po­
trebbe sostenere. Dunque non lo fu nemmeno la presenza di Cri­
sto nel cuore della terra, perché certamente non può essere vera la
prefigurazione e illusoria la verità 4. Perciò proclamiamo la sua
morte ovunque, nei misteri5, nel battesimo e in tutte le altre occa­
sioni. Perciò anche Paolo grida con voce chiara: Quanto a me non
ci sia altro vanto se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo{.
Per cui è evidente che sono figli del diavolo quelli che sono affet­
ti dal morbo di Marcione 6, che cancellano quello che, perché non
fosse annullato, Cristo operò incessantemente, e perché invece

f Gal 6, 14.

3 Vale a dire nel sepolcro.


4 Ancora è usato il t. typos per indicare la prefigurazione che si realizza
nella verità (alétheia).
5 Nell’Eucaristia.
6 II riferimento è al docetismo di Marcione, per cui non veniva conside­
rato reale, ma apparente, il corpo di Cristo e quindi veniva vanificata la pas­
sione.
256 Omelie sul Vangelo di Matteo

fosse annullato, il diavolo si dette da fare incessantemente, intendo


dire la croce e la passione. Perciò diceva in un altro passo: Distrug­
gete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere s, e: Verranno i gior­
ni quando lo sposo sarà loro tolto h, e qui: nessun segno le sarà dato,
se non il segno del profeta Giona, indicando che avrebbe sofferto per
loro e che non ne avrebbero tratto alcun vantaggio; ha manifestato
questo in seguito. Tuttavia però, pur sapendolo, morì, tanta era la
sua sollecitudine. Perché tu non pensi che sarebbe capitato succes­
sivamente ai giudei quello che capitò ai niniviti, che si sarebbero
convertiti" e che, come risollevò loro la città che vacillava e conver­
tì i barbari, così anche costoro, dopo la resurrezione, si sarebbero
convertiti, ascolta come indichi tutto il contrario. Che non ne avreb­
bero ricavato alcun frutto a proprio benefìcio, ma anzi avrebbero
sofferto mali irreparabili, lo ha indicato successivamente con l’e­
sempio del demonio i. Intanto si difende in merito a quello che
avrebbero sofferto in seguito, mostrando che avrebbero sofferto
giustamente. Con quell’esempio mette loro davanti le sventure e la
desolazione; intanto fa vedere che giustamente avrebbero subito
tutto ciò. Faceva 7 così anche nell’Antico Testamento. Difatti, in
procinto di distruggere Sodoma, si giustificò prima con Abramo, fa­
cendo vedere la mancanza, la penuria di virtù, dal momento che in
così grandi città 8 non si erano trovati neppure dieci individui che
avessero deciso di vivere in modo temperante k. Ugualmente, dopo
aver mostrato a Lot la loro ostilità verso i forestieri e i loro assurdi
desideri1, fu allora che mandò il fuoco m. Fece lo stesso all’epoca del
diluvio, giustificandosi davanti a Noè per mezzo delle opere 9
Ugualmente fece con Ezechiele quando, mentre si trovava in Babi-

8 Gv 2, 19. h Mt 9, 15. 1 Cf. Gn 3, 5ss. i Cf. Mt 12, 43ss.


k Cf. Gn 18, 32. 1Cf. Gn 19,5ss. m Cf. Gn 19, 24.

7 Soggetto sottinteso è Dio.


8 Sodoma e Gomorra.
9 Facendo vedere cioè che la terra era piena di corruzione e di violenza:
cf. Gn 6,13.
Omelia 43, 2 251
Ionia, gli fece vedere i mali di Gerusalemme n. Così fece ancora con
Geremia, quando diceva: Non pregare10; disse per giustificarsi: Non
vedi che cosa fanno costoro ? E in ogni occasione agisce in questo
stesso modo, come fa anche qui.

G esù e G io n a

Che cosa dice? Gli uomini di Ninive si alzeranno a giudicare


questa generazione e la condanneranno, perché si convertirono alla
predicazione di Giona. Ecco, qui c’è più di Giona p. Egli è infatti il ser­
vo, io il Signore; egli è venuto fuori dal mostro marino, io sono re­
suscitato da morte; egli ha predicato la distruzione, io sono venuto
per annunciare la lieta notizia del regno. Quelli credettero senza al­
cun segno, io invece ho mostrato molti miracoli. Essi non ascoltaro­
no niente di più di quelle parole, io invece ho fatto ricorso a ogni ge­
nere di filosofia 11. Egli venne a servire, io, lo stesso sovrano e Si­
gnore di tutto, sono venuto non per minacciare, non per chiedere
conto, ma per portare il perdono. Quelli erano barbari, questi vis­
sero con innumerevoli profeti. Nessuno aveva fatto predizioni su
Giona, mentre tutti lo fecero su di me e i fatti si accordavano con le
parole. Quello fuggì, pensando di andar via per non essere deriso;
io venni pur sapendo che sarei stato crocifisso e deriso. Quello non
sopportò di subire affronti per la salvezza dei niniviti; io ho subito
la morte e la morte più ignominiosa, e dopo invio a mia volta altri.
Quello era straniero, estraneo e sconosciuto; io invece consanguineo
secondo la carne e appartenente agli stessi antenati12. E si potreb­
bero raccogliere molti altri elementi, indagando maggiormente.

"C f. Ez5,5ss. °G e r 7 , 17. P M tl2,41.

10 Ger 7, 16: Non pregare per questo popolo.


11 Sempre nel senso della sapienza manifestata da Cristo, cui si deve
ispirare la condotta di vita del credente.
12 In quanto discendente da Àbramo secondo la carne: cf. Mt 1, lss.; Le
3, 23ss.
258 Omelie sul Vangelo di Matteo

G esù e S a lo m o n e

3. Non si ferma qui però, ma aggiunge anche un altro es


pio dicendo: La regina del sud si leverà a giudicare questa genera­
zione e la condannerà, perché venne dall’estremità della terra per
ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, qui c’è più di Salomone <3.
Questo esempio era maggiore di quello precedente. Giona infatti
se ne andò dai niniviti; la regina del sud invece non aspettò che Sa­
lomone andasse da lei, ma fu lei ad andare da lui, pur essendo
donna e barbara e stando tanto lontano non perché incombesse
qualche minaccia, non perché temesse la morte, ma soltanto per il
desiderio di parole sapienti. Ma ecco, qui c’è più di Salomone. Là
arrivò quella donna, qui sono venuto io. Ella si mosse dall’estre­
mità della terra, io invece vado per le città ed i villaggi. Egli parla­
va di alberi e legname, che non potevano essere di grande utilità
per colei che era andata da lu i13; io invece parlo di realtà ineffabi­
li e di misteri che ispirano grandissimo timore reverenziale.

L a p r ed iz io n e d e l c a stig o futu ro

Dopo averli condannati, mostrando abbondantemente che il


loro peccato era inescusabile e che la loro disobbedienza derivava
dalla loro ingratitudine, non dalla debolezza del maestro, e dopo
aver dimostrato ciò con molti altri argomenti e con l’esempio dei
niniviti e della regina, parla poi del castigo che li avrebbe colpiti, in
modo enigmatico certamente, ma tuttavia ne parla, infondendo nel-

q Mt 12,42.

13 Qui il discorso di Crisostomo, che in verità è un po’ riduttivo, si rife­


risce a 1 Re 5, 13: [Salomone] parlò di piante, dal cedro del Libano all’issopo.
Cf. anche 1 Re 10, 12: Con il legname di sandalo il re fece ringhiere per il tem­
pio e per la reggia. In 1 Re 10, 4 si dice anche però che la regina di Saba am­
mirò la saggezza di Salomone.
Omelia 43, 3 259

la sua esposizione un grande timore. Quando, dice, lo spirito im­


mondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo,
ma non trovandolo, dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono
uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adoma. Allora va, si pren­
de altri sette spiriti peggiori di lui ed entra ad abitarvi, e la nuova con­
dizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà an­
che a questa generazioner. Con queste parole fa vedere che soffri­
ranno i più gravi castighi non soltanto nel tempo futuro, ma anche
quaggiù. Poiché aveva detto: Gli uomini di Ninive si alzeranno a
giudicare questa generazione e la condanneranno, perché non tra­
scurassero questo monito a causa della dilazione nel tempo e di­
ventassero più negligenti, presenta loro così i mali che li attendeva­
no. Di questo li minacciava anche il profeta Osea dicendo che sa­
rebbero stati come il profeta fuori di sé, l’uomo agitato dallo spiritos,
cioè come i falsi profeti in preda alla follia, furiosi per effetto degli
spiriti malvagi. Chiama qui profeta fuori di sé il falso profeta, quali
sono gli indovini14. Cristo, indicando questo, dice che andranno in­
contro alle sofferenze più gravi. Hai visto come li spinga in ogni
modo a prestare attenzione alle sue parole, in base agli avvenimen­
ti presenti, a quelli futuri, a coloro che si segnalarono per il loro
operato, intendo dire i niniviti e la regina, agli abitanti di Tiro e di
Sodoma che offesero Dio? Così facevano anche i profeti, presen­
tando i figli di Recab£, la sposa che non si dimentica del proprio or­
namento e della cintura u, il bue che conosce il suo proprietario e
l’asino che riconosce la mangiatoia v. Così anche qui, mostrando la
loro ingratitudine per via di comparazione, parla anche del castigo.

r Mt 12, 43-45. s Os 9, 7. 1Cf. Ger 35, 2ss. u Cf. Ger 2, 32.


v Cf. Is 1, 3.

14 Si tenga presente che Crisostomo, nelle Esposizioni sui Salmi 44,1, di­
stingue tra gli indovini del mondo profano e i profeti, in quanto i primi, pos­
seduti dal demone che ottenebra il loro intelletto, parlano senza sapere quel­
lo che dicono, mentre gli altri sono mossi dallo Spirito santo che permette che
il loro cuore sappia quello che dicono.
260 Omelie sul Vangelo di Matteo

Che significano dunque le parole di Cristo? Come gli indemo­


niati, vuol dire, quando sono stati liberati da quell’infermità, se di­
ventano più negligenti attirano contro di sé un inganno15 più grave,
così accade anche nel caso vostro. Difatti in precedenza eravate pos­
seduti dal demonio, quando adoravate gli idoli e immolavate i vostri
figli ai demoni, dando prova di una grande follia. Tuttavia però non
vi ho abbandonato, ma ho scacciato quel demonio per mezzo dei
profeti e sono venuto a mia volta personalmente perché volevo pu­
rificarvi a un livello più elevato. Poiché dunque non volete darmi
retta, ma siete precipitati anche in una maggiore iniquità, in quanto
uccidere lui era una colpa molto maggiore e più grave che elimina­
re i profeti, per questo andrete incontro a sofferenze più tremende
di quelle precedenti, intendo dire quelle subite a Babilonia, in Egit­
to e all’epoca di Antioco primo16. In effetti quanto accadde loro al­
l’epoca di Vespasiano e di Tito fu molto più grave degli eventi sud­
detti 17. Perciò diceva: Vi sarà una grande tribolazione, quale mai av­
venne né mai più a sarà w. L’esempio proposto non indica soltanto
questo, ma che sarebbero stati anche privi assolutamente di ogni vir­
tù e sarebbero stati facilmente preda dell’azione dei demoni più di
allora. Allora infatti, anche se peccavano, c’era tuttavia però tra di
loro anche chi agiva virtuosamente e c’erano la provvidenza di Dio
e la grazia dello Spirito, che si prendeva cura di loro, li correggeva,
realizzava tutto ciò che dipendeva da essa. Ora invece, vuol dire, sa­
rebbero stati privati assolutamente di questa sollecitudine, sicché
ora ci sarebbe stata una maggiore scarsità di virtù, un incremento di
sventure e una più dispotica attività dei demoni. Sapete certo come,
durante la nostra generazione, quando Giuliano18, che superò tutti

wMt24, 21.

15 Da parte del demonio.


16 Nel III secolo a.C.
17 Nel 70 d.C. Gerusalemme fu rasa al suolo e il tempio distrutto ad
opera delle truppe di Tito.
18 Giuliano, detto l’Apostata, fu imperatore dal 361 al 363.
Omelia 43, 3-4 261

in empietà, fu preso da furore bacchico, essi19 si schierassero con i


pagani, come si mettessero al loro servizio. Sicché se sembra che ora
siano un po’ assennati, se ne stanno tranquilli per timore degli im­
peratori, mentre se non fosse così, avrebbero l’ardire di compiere at­
ti molto più gravi di quelli precedenti. Difatti nelle altre opere mal­
vagie superano quelli che li hanno preceduti, in quanto mostrano al­
l’eccesso imposture, sortilegi, dissolutezze. Nel resto, pur essendo
tenuti tanto a freno, spesso hanno causato sedizioni e si sono solle­
vati contro gli imperatori sì da essere colpiti dai mali più gravi.

S e n o n c ’è una retta d isp o siz io n e interio re


I MIRACOLI SONO INUTILI

4. Dove sono ora quelli che cercano i miracoli? Ascoltino


occorre un animo retto; se questo non c’è, non c’è alcuna utilità
nei miracoli. Ecco, i niniviti hanno creduto senza miracoli; costo­
ro invece, dopo tanti prodigi, sono diventati peggiori, si sono po­
sti come dimora di infiniti demoni e hanno attirato su di sé innu­
merevoli disgrazie, e assai a ragione. Quando infatti, una volta che
uno sia stato liberato dai mali, non rinsavisce, subirà conseguenze
molto più gravi di quelle precedenti. Perciò ha detto che non tro­
va sollievo, per indicare che l’insidia dei demoni coglierà senz’al­
tro e necessariamente un tale individuo. In realtà si dovrebbe rin­
savire per questi due motivi, per quanto si è sofferto in preceden­
za e per il fatto di essere stati liberati; anzi si aggiunge anche un
terzo motivo, la minaccia di soffrire mali peggiori. Ma tuttavia per
nessuno di questi motivi divennero migliori.

N o n abusare d e l l ’in fin ita pazienza d i D io

Queste cose potrebbero essere dette opportunamente non


soltanto ad essi, ma anche a noi quando, dopo essere stati illumi­

19 I giudei.
262 Omelie sul Vangelo di Matteo

nati20 e liberati dai mali passati, di nuovo pratichiamo la medesi­


ma iniquità; più grave sarà il castigo dei peccati commessi succes­
sivamente21. Perciò Cristo diceva al paralitico: Ecco che sei guari­
to; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio*. E dis­
se questo ad un uomo che era infermo da trentotto anni y. Ma, si
potrebbe obiettare, che cosa avrebbe potuto soffrire di peggio?
Qualcosa di molto peggiore e più grave. Dio non voglia che sof­
friamo tanto quanto possiamo patire. A Dio non mancano i mezzi
per punire, perché come grande è la sua misericordia, così è anche
la sua ira. Di questo rimprovera Gerusalemme per mezzo di Eze­
chiele: Ti. ho vista, dice, sporca di sangue, ti ho lavato e ti ho unto;
si è diffusa la tua fama per la tua bellezza, ma hai fornicato con i tuoi
viciniz. Perciò se pecchi, ti minaccia mali più gravi. Con questo
non pensare però soltanto al castigo, ma anche all’infinita pazien­
za di Dio. Quante volte siamo caduti negli stessi peccati e pazien­
ta ancora! Non stiamocene però tranquilli, ma temiamo. Se infat­
ti il Faraone fosse stato ammaestrato dalla prima piaga, non avreb­
be fatto esperienza di quelle successive, non sarebbe stato dopo af­
fondato in mare insieme al suo esercitoaa. Lo dico perché so che
molti anche ora, come il Faraone, dicono: «Non conosco D io »ab,
e assoggettano i loro sudditi al fango e ai mattoniac. Quanti, men­
tre Dio ordina di porre fine alla minaccia, rifiutano anche di atte­
nuare la fatica? Ma non c’è ora da attraversare il Mar Rosso! C ’è
però un mare di fuoco, un mare non come quello, non così gran­
de, ma molto maggiore e più feroce, che ha i flutti di fuoco, di un
fuoco insolito e terribile. C ’è là un grande abisso della fiamma più
terribile. Dovunque si può vedere il fuoco correre tutto intorno,
simile ad una belva feroce. Se quaggiù questo fuoco sensibile e ma­
teriale, balzando dalla fornace come una belva, si avventò su quel-

x G v 5 ,14. yC f.G v5,5. 2 Ez 16,6.9.14.26. aa Cf. Es 14,28.


ab Cf. Es 5, 2. acCf. E s l, 14.

20 Cioè battezzati.
21 Vale a dire dopo il battesimo.
Omelia 43, 4 263

li che si trovavano fuori22, che cosa non farà quel fuoco a coloro
che vi cadono dentro? Ascolta le parole dei profeti su quel giorno:
Implacabile il giorno del Signore, pieno di collera e di ira ad. Non ci
sarà nessuno che assisterà, nessuno che libererà; da nessuna parte
ci sarà il volto mite e sereno di Cristo. Ma come quelli che lavora­
no nelle miniere sono affidati a uomini duri e non vedono nessu­
na persona a loro familiare, ma soltanto i capi, così sarà anche al­
lora, anzi non così, ma anche molto peggio. Quaggiù infatti è pos­
sibile rivolgersi all’imperatore, supplicarlo e far liberare chi è sta­
to condannato, mentre là non è più possibile, perché non è per­
messo, ma rimangono nei tormenti, con una sofferenza tanto gran­
de che non si può esprimere. Se in effetti nessun discorso può de­
scrivere le acute sofferenze di coloro che sono bruciati quaggiù, a
maggior ragione quelle di chi lassù patisce queste sofferenze.
Quaggiù tutto avviene in un momento, mentre lassù ciò che viene
bruciato arde, ma non si consuma.

N o n è m o tiv o d i c o n fo r to esse r e co n dannati


ALLA GEENNA INSIEME AD ALTRI

Che faremo dunque lassù? Lo dico anche a me stesso. Ma se


tu, si potrebbe replicare, che sei il maestro, lo dici di te stesso, non
ho di che preoccuparmi. Che c’è da meravigliarsi che io venga pu­
nito? No, vi prego, nessuno cerchi questo motivo di conforto, per­
ché non è una consolazione. Dimmi: il diavolo non era una poten­
za incorporea? Non era superiore agli uomini? Ma tuttavia cadde.
C’è forse qualcuno che trarrà conforto dal fatto di essere punito
insieme a lui? Per niente affatto. Che dire di tutti quelli che erano

ad Is 13, 9.

22 I Caldei che si trovavano vicino alla fornace, dove erano stati gettati i
tre giovani: cf. Dn 3, 48.
264 Omelie sul Vangelo di Matteo

in Egitto? Non vedevano che anche le autorità erano punite e cia­


scuna casa si trovava nel dolore? 23. Forse che ne trassero motivo
di sollievo e ne furono consolati? No certamente, ed è chiaro da
ciò che fecero successivamente; come flagellati da una fiamma, fe­
cero pressioni sul re e lo costrinsero a mandar via il popolo ebrai­
co ae. E certo assai freddo questo ragionamento, ritenere che dia
conforto essere puniti insieme a tutti, dire: come tutti, anche io.
Che occorre dire della geenna? Considera quelli che sono affetti
dalla podagra: essi, quando sono tormentati da un dolore acuto,
anche se fai vedere che ci sono innumerevoli persone che soffrono
in modo più grave, non ci badano. Difatti l’intensità del dolore
non permette alla mente di avere tempo per pensare agli altri e tro­
vare conforto in essi. Non a lim e n tia m o c i dunque con queste fred­
de speranze, perché si può ricevere conforto dalle sventure del
prossimo nel caso di sofferenze moderate; quando invece il tor­
mento è soverchiarne e tutto l’interno dell’uomo è pieno di tem­
peste e l’anima non può nemmeno conoscere sé stessa, da dove
trarrà conforto?

L a n ecessa ria sev erità d e l predicatore

5. Sicché tutte queste parole sono ridicole e favole di bam


insipienti. Questo che dici si verifica in caso di sconforto e di scon­
forto moderato, quando sentiamo dire che il tale ha patito la stessa
cosa. Talvolta non si verifica nemmeno nello stato di sconforto; ora
se in tale caso non ha alcuna efficacia, a maggior ragione nel caso di
un dolore e di una sofferenza indicibili, che indica lo stridore dei
denti24. So di essere severo e di addolorarvi con queste parole, ma
che dovrei fare? Non vorrei parlare così, ma avere coscienza della

ae Cf. Es 12, 30.33.

23 II riferimento è alla morte dei primogeniti: cf. Es 12, 29.


24 L’immagine indica il castigo eterno: cf., ad es., Mt 22, 13.
Omelia 43, 4-5 265

virtù mia e di voi tutti; poiché però siamo per lo più nel peccato, chi
potrebbe concedermi di avere la capacità di addolorarvi veramente
e di raggiungere l’animo degli ascoltatori? 25. Allora potrei così tro­
vare riposo. Ora invece temo che alcuni disprezzino le mie parole e
diventi maggiore il castigo per la negligenza nell’ascolto. Se un pa­
drone facesse una minaccia e uno dei compagni di servitù, ascol­
tandola, la disprezzasse, egli, irritato, non lo lascerebbe impunito,
ma anzi questo sarebbe per lui motivo di una punizione maggiore.
Perciò vi prego, lasciamoci prendere da compunzione quando
ascoltiamo discorsi sulla geenna. Non c’è niente di più dolce di que­
sta trattazione perché non c’è niente di più amaro della realtà della
geenna. Ma, si potrebbe obiettare, come è dolce sentir parlare di
geenna? Perché è spiacevole cadere nella geenna, il che viene allon­
tanato da queste parole che sembrano moleste; prima di questo es­
se procurano un altro piacere, perché fanno raccogliere la nostra
anima, rendono più pii, elevano la mente, mettono le ali al pensiero
e tolgono l’assedio malvagio dei desideri. Questo è il rimedio. Per­
ciò consentitemi di parlare, oltre che del castigo, anche della vergo­
gna che ne deriva. Come allora i niniviti condanneranno i giudei,
così molti di quelli che ora sembrano inferiori condanneranno an­
che noi. Pensiamo dunque quanto grande sarà la derisione, quanto
dura la condanna; pensiamoci, cominciamo almeno ora e spalan­
chiamo la porta della penitenza. Lo dico a me stesso, faccio questa
esortazione innanzitutto a me stesso; nessuno si adiri, come se fosse
condannato. Prendiamo la via stretta. Fino a quando vivremo nelle
mollezze? Fino a quando nella rilassatezza dei costumi? Non siamo
sazi di essere negligenti, di ridere 26, di rimandare la conversione?
Non sarà ancora lo stesso, la mensa, la sazietà, il lusso smodato, le
ricchezze, i beni, le case? Qual è la fine? La morte. Qual è la fine?
Cenere, polvere, bare, vermi.

25 Queste espressioni mostrano la vivacità del rapporto tra Crisostomo


e il suo pubblico, a cui il predicatore, nella sua ansia pastorale, indirizza cri­
tiche severe per il suo bene.
26 Anche in questo caso il ridere viene valutato negativamente in quan­
to associato alla rilassatezza dei costumi.
266 Omelie sul Vangelo di Matteo

L a vita retta d e i cristiani


È UNA SPINTA a ll ’ev angelizza zio n e

Mostriamo dunque una vita nuova; facciamo della terra un


cielo; facciamo vedere così ai pagani di quanti beni sono privi.
Quando infatti vedranno che ci comportiamo bene, contemple­
ranno lo spettacolo stesso del regno dei cieli. Quando vedranno
che siamo modesti, immuni da ira, da cattivi desideri, da invidia,
da avarizia, che pratichiamo tutte le altre virtù, diranno: «Se quag­
giù i cristiani sono diventati angeli, che cosa saranno dopo la loro
dipartita da qui? Se dove sono stranieri risplendono così, quanto
grandi diventeranno quando raggiungeranno la loro patria?». In
questo modo anche essi saranno migliori e si diffonderà la predi­
cazione della religione cristiana non meno che al tempo degli apo­
stoli. Se infatti essi, pur essendo dodici, convertirono intere città e
regioni, se diventeremo tutti maestri mediante la cura della nostra
vita, pensa a che livelli sublimi arriverà la nostra fede. In effetti un
morto che risorge non attira il pagano così come un uomo che vi­
ve filosoficamente27, perché di fronte a quel prodigio rimarrà sbi­
gottito, mentre da questo comportamento trarrà profitto. Quel
fatto prodigioso avviene e passa; questo invece resta e coltiva con­
tinuamente la sua anima. Prendiamoci dunque cura di noi stessi
per guadagnare anche quelli.

F ar r isple n d e r e la lu c e n e l l e t en e br e

Non dico niente di pesante; non dico: Non sposarti; non di­
co: Abbandona le città e allontanati dai pubblici affari; ma, pur ri­
manendo in essi, mostra la virtù. Vorrei che coloro che vivono in
mezzo alle città si distinguessero in virtù più di quelli che hanno
raggiunto le montagne. Perché? Perché ne deriva un grande van­

27 Nel senso del cristianesimo vissuto nella propria esistenza.


Omelia 43, 5 267

taggio. Nessuno accende una lucerna e la mette sotto il moggio


Perciò vorrei che tutte le lucerne fossero poste sul lucerniere, per­
ché ne scaturisse una grande luce. Accendiamo dunque il fuoco di
questa lucerna, facciamo in modo che coloro che si trovano nella
tenebra siano liberati dall’errore. Non dirmi: «H o moglie, ho figli,
ho una casa da dirigere e non posso realizzare questi obiettivi».
Anche se non avessi niente di questo, ma fossi negligente, tutto sa­
rebbe perduto; anche se sei circondato da tutto ciò e sei diligente,
possederai la virtù. Una sola cosa è richiesta, disporre di un animo
generoso, e né età né povertà né ricchezza né la grande quantità di
affari né nient’altro potrà essere di impedimento. Difatti vecchi,
giovani, ammogliati, chi allevava figli, chi esercitava un mestiere,
chi prestava servizio militare 28 hanno realizzato con successo tut­
to quanto era stato prescritto. In effetti Daniele era giovane, Giu­
seppe era schiavo ae, Aquila esercitava un mestiere29, la venditrice
di porpora era a capo di un laboratorio30, un altro era carcerie­
re31, un altro centurione, come Cornelio Λ, un altro infermo, co­
me Timoteo un altro era uno schiavo fuggitivo, come Onesi-
m oai; niente di questo però fu di ostacolo per nessuno, ma tutti si
distinsero per virtù, uomini e donne, giovani e vecchi, schiavi e li­
beri, soldati e semplici cittadini. Non alleghiamo dunque vani pre­
testi, ma disponiamo l’animo nel migliore dei modi; qualunque sia
la nostra condizione, raggiungeremo senz’altro la virtù e conse-

afM t5, 15. ae Cf. Gn 37, 28. ah Cf. At 10, 1. “ Cf. 1 Tm 5, 23.
aJ Cf. Fm 11.

28 Crisostomo vuole sottolineare che qualsiasi stato di vita e qualsiasi


condizione anagrafica, sociale o professionale danno la possibilità di rendere
testimonianza a Cristo, come esemplifica subito dopo facendo riferimento ad
alcuni personaggi della Scrittura.
29 Fabbricava tende: cf. At 18, 2-3.
30 Si tratta di Lidia, della città di Tiatira; ella aderì alla predicazione di
Paolo e si fece battezzare: cf. At 16, 14-15.
31 Quando Paolo e Sila furono messi in carcere a Filippi, il carceriere si
convertì alla fede cristiana e fu battezzato: cf. At 16, 23ss.
268 Omelie sul Vangelo di Matteo

guiremo i beni futuri, per la grazia e la bontà di nostro Signore G e­


sù Cristo, con il quale siano al Padre, insieme allo Spirito santo,
gloria, potenza, onore ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 44

Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco sua madre e i suoi fratelli
se ne stavano fuori cercando di parlargli. Qualcuno gli disse: Ecco
tua madre e i tuoi fratelli se ne stanno fuori cercando di parlarti.
Egli, rispondendo a chi gli aveva parlato, disse: Chi è mia madre e
chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i suoi discepoli
disse: Ecco mia madre e i miei fratelli3.

S o ll e c it u d in e e fin a lit à d e l l ’ a tteg g ia m en to d i C risto

1. Ora viene indicato assai estesamente quello che dicevo


centemente, che cioè, se manca la virtù, tutto è vano. Dicevo infat­
ti che l’età, la natura, l’abitare nel deserto e cose di questo genere
sono inutili se non c’è una buona disposizione d’animo *. Oggi im­
pariamo qualcos’altro che è ancora più importante, che cioè nem­
meno aver concepito Cristo e aver avuto quel parto meraviglioso ha
qualche vantaggio se non c’è la virtù. E questo è evidente soprat­
tutto da ciò: Mentre egli parlava ancora alla folla , dice, qualcuno gli
disse: Tua madre e i tuoi fratelli ti cercano. Egli risponde: Chi è mia
madre e chi sono i miei fratelli? Lo diceva non perché si vergognas­
se di sua madre né per disconoscere colei che l’aveva generato, per­

a Mt 12, 46-49.

1 Crisostomo vuole mettere in evidenza l’importanza fondamentale del­


la disposizione interiore rispetto alle condizioni esterne che da essa traggono
valore.
270 Omelie sul Vangelo di Matteo

ché se si fosse vergognato, non sarebbe passato per quell’utero, ma


per indicare che ella non ne avrebbe tratto alcun vantaggio se non
avesse fatto tutto quello che doveva2. Difatti la sua iniziativa deri­
vava da zelo eccessivo, perché voleva mostrare al popolo di avere
potere e autorità sul figlio, di cui non aveva ancora un’idea elevata;
perciò si avvicinò a lui intempestivamente. Considera l’inopportu­
nità dell’atteggiamento suo e di quegli altri. Mentre avrebbero do­
vuto presentarsi e ascoltare insieme alla folla oppure, se non aves­
sero voluto farlo, aspettare che ponesse termine al suo discorso e
poi accostarsi a lui, invece lo chiamano da fuori e lo fanno davanti
a tutti, dando prova di zelo eccessivo e volendo dimostrare di im­
porsi su di lui con molta autorità. Lo indica, riprendendolo, anche
l’evangelista, perché, alludendo proprio a questo, ha detto così:
Mentre egli parlava ancora alla folla, come se dicesse: Non si pote­
va trovare un altro momento? Non era possibile parlargli in priva­
to? Che cosa gli volevano dire? Se si trattava degli insegnamenti re­
lativi alla verità, si sarebbe dovuto proporlo pubblicamente e par­
lare davanti a tutti in modo che anche gli altri ne traessero vantag­
gio; se invece si trattava di altre questioni che interessavano loro,
non si sarebbe dovuto insistere tanto. Se infatti non permise di
seppellire il padre b, perché non fosse interrotta la sua sequela, a
maggior ragione non si sarebbe dovuto interrompere il suo discor-

b Cf. Mt 8, 21-22.

2 Anche qui il nostro autore sottolinea l’interiorità rispetto al puro dato


esteriore. Si noti quanto Ambrogio osserva riguardo al passo parallelo di Le
8, 19-21: In questo passo, quindi, non viene rinnegata la madre, come alcuni
eretici cercano di far intendere con le loro capziosità - Lei che perfino dalla cro­
ce è riconosciuta come tale - ma ai vincoli naturali della parentela viene prefe­
rita la regola dei comandamenti celesti (Esposizione del vangelo secondo Luca
VI, 38; trad. di G. Coppa, Sant’Ambrogio. Opere esegetiche IX/II, Milano-Ro-
ma 1978, p. 39). Gli eretici, ai quali allude Ambrogio, si possono identificare
con i marcioniti e i manichei, come rileva Girolamo nel Commento al vange­
lo di Matteo, lib. II, a proposito del suddetto passo di Matteo. Sul commen­
to crisostomiano a questo brano di Matteo, cf. L. Gambero, Maria nel pen­
siero dei Padri della Chiesa, Cinisello Balsamo 1991, pp. 188-189.
Omelia 44, 1 271

so per questioni che non avevano nulla a che fare con esso. Da ciò
è chiaro che lo facevano soltanto per una gloria effimera, il che in­
dicava anche Giovanni dicendo: Neppure i suoi fratelli credevano in
lui c, e riporta le loro parole piene di molta insensatezza, dicendo
che cercavano di trascinarlo a Gerusalemme per nessun altro moti­
vo, se non per procurarsi gloria dai suoi miracoli3: Se fai queste co­
se, dice, manifestati al mondo, perché nessuno fa qualcosa di nasco­
sto, se cerca di essere riconosciuto pubblicamente d. Fu quando Ji rim­
proverò, accusandoli di avere una mentalità carnale. Poiché infatti
i giudei lo insultavano e dicevano: Non è costui il figlio del carpen­
tiere? Non ne conosciamo il padre e la madre? I suoi fratelli non so­
no forse fra noi? e, volendo respingere l’accusa di pochezza che gli
veniva a motivo della sua famiglia, lo invitavano a mostrare i mira­
coli. Perciò li respinge, volendo curare questo loro stato d’animo.
Del resto se avesse voluto rinnegare la madre, lo avrebbe fatto
quando quelli lo insultavano. Ora invece mostra di essere tanto sol­
lecito verso di lei4 da affidarla, sulla croce stessa, al discepolo a cui
era affezionato più di tutti, e da prendersi molta cura di leif. Ora
però non fa così, in quanto si preoccupa di lei e dei fratelli. In ef­
fetti poiché lo consideravano un semplice uomo ed erano presi da
una gloria effimera, scaccia questa infermità non per offenderli, ma
per correggerli. Non considerare soltanto le sue parole che conte­
nevano una critica moderata, ma anche la sconvenienza e l’audacia
del comportamento dei fratelli5 e chi era colui che li rimproverava:

c G v 7,5. d G v 7 ,4 . e Cf. M tl3 ,5 5 . f Cf. Gv 19, 26-27.

3 Da quanto rileva Crisostomo si può dedurre che le sue critiche sono


rivolte soprattutto a quelli che vengono presentati nel testo evangelico come
i fratelli di Gesù, vale a dire i suoi parenti prossimi.
4 Su questa sollecitudine di Cristo verso la madre insiste anche Ilario di
Poitiers nel commento al suddetto passo di Matteo (cf. SCh 254, p. 294).
5 Questa osservazione di Crisostomo conferma che i suoi rilievi sono ri­
volti in modo particolare all’atteggiamento dei «fratelli» di Gesù: cf. la pre­
cedente nota 3.
272 Omelie sul Vangelo di Matteo

non un semplice uomo, ma l’unigenito Figlio di Dio, e con quale fi­


nalità li rimproverava. Non voleva mettere in difficoltà, ma libera­
re dalla passione più tirannica e condurre a poco a poco ad una
opinione conveniente su di lui; voleva persuadere sua madre che
non era soltanto suo figlio, ma anche suo Signore. Vedrai che que­
sta critica gli si addiceva assai ed era a lei utile e inoltre era assai mi­
te. Non disse infatti: Va’, di’ alla madre: Non sei mia madre, ma si
rivolge a chi gli aveva parlato dicendo: Chi è mia madre?, per indi­
care, oltre a quanto già detto, anche qualche cosa d’altro. Che co­
sa? Che né essi né altri non dovevano confidare nella parentela e
trascurare la virtù. Se a lei non avrebbe giovato affatto essere ma­
dre nel caso che non avesse praticato la virtù 6, tanto meno nessun
altro sarebbe stato salvato a motivo della parentela. Una sola è la
nobiltà, fare la volontà di Dio. Questo è il modo di essere nobili,
più sublime e più autentico di quell’altro7.

L a pa ren tela se c o n d o la virtù

2. Sapendo dunque questo, non vantiamoci della buona r


tazione dei figli, se non abbiamo la loro virtù, né della nobiltà dei
padri se non abbiamo i loro stessi costumi. E possibile infatti che chi
ha generato non sia padre e chi non ha generato lo sia. Perciò, in
un’altra occasione, quando una donna gli disse: Beato il ventre che
ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! e, non disse: Nessun
ventre mi ha portato, né: Non ho preso il latte da nessun seno, ma
disse questo: Beati piuttosto coloro che fanno la volontà del Padre
mio h. Vedi come in nessun modo rinneghi la parentela secondo la
natura, ma aggiunga quella secondo la virtù? E il precursore dicen-

g Le 11,27. h Le 11, 28.

6 II ragionamento viene condotto per assurdo allo scopo di ribadire .il


primato dell’interiorità.
7 Cioè quello dei legami di parentela.
Omelia 44, 1-2 273

do: Razza di vipere, non crediate di dire: Abbiamo Abramo per padre
non indica che non discendevano da Abramo secondo la natura, ma
che non giovava loro affatto provenire da Abramo, se non avevano
il legame che deriva dai costumi. Lo indicava anche Cristo dicendo:
Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo i, non per privar­
li della parentela secondo la carne, ma per insegnare loro a cercare
quella che è più grande e più autentica di questa. Lo indica anche
qui, ma in modo meno duro e più moderato perché si trattava di sua
madre. Non disse: Non è mia madre, non sono quelli miei fratelli,
perché non fanno la mia volontà; non si pronunciò contro di essi né
li condannò, ma lasciò ancora in loro potere il fatto di volere, par­
lando con la mitezza che gli si addiceva. Chi, dice, fa la volontà del
Padre mio, è per me fratello, sorella e madre k. Sicché se vogliono es­
serlo, vadano per questa strada. E quando quella donna gridò di­
cendo: Beato il ventre che ti ha portato, non disse: Non è mia madre,
ma: Se vuole essere beata, faccia la volontà del Padre mio. Difatti
una tale persona è fratello, sorella e madre.
Che onore! Che virtù! A che grande vetta innalza chi la pra­
tica! Quante donne hanno proclamata beata quella santa Vergine
e il suo grembo e si sono augurate di diventare madri come lei e
abbandonare tutto. Che cosa lo impedisce? Ecco, ci ha aperto una
via ampia ed è possibile non soltanto alle donne, ma anche agli uo­
mini raggiungere una simile posizione, anzi una molto più grande
ancora. Questo rende madre molto più di quel parto. Sicché se
quello è da ritenersi beato, lo è molto di più questo, quanto più è
rilevante 8. Dunque non desiderare semplicemente, ma cammina
anche con molto impegno per la via che ti conduce a realizzare
quel desiderio.

‘ Mt 3, 7.9. i Gv 8, 39. k M tl2,50.

8 L’intento del nostro autore, mosso chiaramente dalla sua ansia pasto­
rale e dal desiderio di far progredire moralmente i suoi fedeli, è quello di sot­
tolineare sempre l’atteggiamento interiore e spirituale rispetto al dato pura­
mente fisico.
274 Omelie sul Vangelo di Matteo

A f f e t t o d i G e sù per sua madre

Dopo aver detto quindi queste cose, uscì di casa *. Hai visto
come li abbia ripresi e al tempo stesso abbia fatto quello che desi­
deravano? Lo fa anche in occasione delle nozze9. In quel caso in­
fatti la riprese per la sua richiesta inopportuna, ma tuttavia non si
oppose, correggendo, con il primo atteggiamento, la sua debolez­
za e manifestando, con il secondo, l’affetto verso la madre10. Così
anche in questo caso curò l’infermità della vanagloria e rese l’ono­
re dovuto a sua madre, nonostante la sua richiesta inopportuna.
Quel giorno, dice, Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare m. Se
volete, intende dire, vedere e ascoltare, ecco, esco e parlo.

P er c h é G esù parla in parabole

Dopo aver fatto molti miracoli, offre di nuovo il beneficio del


suo insegnamento. E si siede in riva al mare, pescando e prenden­
do nella sua rete quelli che stavano sulla terra. Si sedette in riva al
mare non senza motivo, e questo lo ha indicato l’evangelista in mo­
do allusivo. Per mostrare che lo aveva fatto perché voleva mettere
insieme accuratamente tutta quella gente, in modo da non lascia­
re nessuno alle spalle, ma da avere tutti di fronte, dice: Era accor­
sa a lui una grande folla, sicché egli salì sopra una barca e vi rimase
seduto, mentre tutta la folla stava sulla rivan. Stando seduto là, par­
la in parabole. Allora, dice, parlò loro molto in parabole °. Eppure
sul monte non fece così, né strutturò il discorso con tante parabo­
le, perché allora c’erano soltanto la folla e un popolo semplice,

'C f. M tl3, 1. mIbid. n Mt 13, 2. °M tl3 ,3 .

9 Le nozze di Cana: cf. Gv 2,3-4.


10 Come si è già avuto modo di vedere, Crisostomo mette in evidenza ri­
petutamente l’affetto e la sollecitudine di Gesù verso la madre: cf. la prece­
dente nota 4.
Omelia 44, 2-3 215
mentre qui c’erano anche scribi e farisei. Osserva quale parabola
dice per prima e come Matteo le presenti secondo un ordine logi­
co. Quale dice per prima? Quella che occorreva dire prima di tut­
te, che rendeva l’ascoltatore più attento. Poiché infatti si accinge­
va a parlare in modo enigmatico, desta l’animo degli uditori in­
nanzitutto mediante questa parabola. Perciò un altro evangelista
dice che li rimproverò perché non comprendevano, dicendo: Co­
me non capite questa parabola? p . Non soltanto per questo motivo
parla in parabole, ma per rendere anche più vivace il suo discorso,
imprimerlo meglio nella loro memoria e mettere le cose sotto i lo­
ro occhi. Così fanno anche i profeti.

I l pia n o salvifico d iv in o n e l l a parabola d e l sem inatore

3. Qual è dunque la parabola? Ecco, dice, il seminatore


per seminare q. Da dove uscì colui che è presente dappertutto, che
riempie tutto? O come uscì? Non nel senso di un luogo, ma en­
trando in relazione con noi mediante il suo piano provvidenziale,
facendosi più vicino a noi con il rivestire la carne. Poiché noi non
potevamo entrare, in quanto i peccati ci sbarravano l’ingresso, egli
esce verso di noi. E perché uscì? Per distruggere la terra piena di
spine? Per punire gli agricoltori? Per niente affatto, ma per colti­
vare la terra, per prendersi cura di essa e seminare la parola della
fede. Chiama qui semina l’insegnamento; il campo, le anime degli
uomini; il seminatore, se stesso. Che avviene di questo seme? Tre
parti si perdono e una sola si salva. E mentre seminava, dice, una
parte cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divoraronor. Non
ha detto che la gettò via, ma che cadde. Un’altra parte cadde in
luogo sassoso, dove non aveva molta terra; subito germogliò, perché
il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e,
non avendo radici, si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spi­
ne crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona

p Me 4,13. q M t !3 ,3 . r M t l3 ,4 .
276 Omelie sul Vangelo di Matteo

e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha


orecchi per intendere, intenda s. La quarta parte si salvò e neppure
questa in modo uguale, ma anche qui ci fu una grande differenza.
Lo diceva per mostrare che parlava a tutti con generosità. Come
infatti il seminatore non distingue il terreno sottostante, ma getta
i semi in modo indiscriminato e senza fare distinzioni, così anche
egli non fa distinzioni tra chi è ricco e povero, tra chi è sapiente e
ignorante, tra chi è negligente e chi è pieno di zelo, tra chi è co­
raggioso e pusillanime, ma parlava a tutti portando a compimento
quanto stava in lui, pur sapendo in anticipo ciò che sarebbe acca­
duto, perché potesse dire: Che cosa dovevo fare che non abbia fat­
to? *. I profeti parlano del popolo come di una vigna: Il mio dilet­
to, dice, possedeva una vigna u, e: Ha divelto una vite dall’Egitto v.
Il Signore ne parla come di una semina. Per indicare che cosa?
Che ora l’obbedienza sarà rapida e più agevole e subito darà frut­
to. Quando ascolti: Il seminatore uscì per seminare, non pensare
che si tratti di una ripetizione. Difatti il seminatore spesso esce an­
che per altre attività, o per rinnovare il terreno o per sradicare le
erbe cattive o per strappare le spine o per occuparsi di qualcos’al­
tro di simile. Egli invece uscì per seminare.

G esù esorta a n o n perd ersi d ’a n im o ,


a n c h e n e l ca so d i in su c c esso d e l l a pred ica zio n e

Da che è dipeso, dimmi, che si sia perduta la maggior parte


della semina? Non a causa del seminatore, ma della terra che ac­
coglieva il seme, cioè dell’anima che non presta ascolto. E perché
non dice che parte è stata accolta dai negligenti e l’hanno perdu­
ta, parte dai ricchi e l’hanno soffocata, parte dalle persone frivole
e l’hanno abbandonata? Non vuole colpirli duramente, per non
gettarli nella disperazione, ma ne lascia la riprovazione alla co­
scienza degli ascoltatori. Questo non è capitato soltanto alla semi-

s Mt 13,5-9. 1 Is 5, 4. u I s 5 , 1. v Sai 80 (79), 9.


Omelia 44, 3 277

na, ma anche alla rete, perché anche essa ha riportato molte cose
cattive w. Dice questa parabola per addestrare i discepoli e ammo­
nirli a non perdersi d’animo anche nel caso che la maggior parte
di quelli che accolgono la parola si perda. Questo accadde anche
al Signore; eppure egli, benché certamente sapesse in anticipo che
sarebbe stato così, non si astenne dal seminare. Ma, si potrebbe
osservare, come può essere ragionevole seminare sulle spine, sul
terreno sassoso, sulla strada? n . Nel caso dei semi e della terra non
sarebbe ragionevole, mentre nel caso delle anime e degli insegna­
menti ciò è molto lodevole. A ragione potrebbe essere rimprove­
rato il contadino di agire così, perché non è possibile che il luogo
sassoso diventi terra, né che la strada non sia strada e le spine non
siano spine; invece non è così nel caso degli esseri razionali. E pos­
sibile infatti che il luogo sassoso si trasformi e diventi terra fertile,
che la strada non sia più calpestata e non sia esposta a tutti i pas­
santi, ma sia terreno pingue, che le spine siano eliminate e i semi
godano di una situazione di grande sicurezza. Se non fosse possi­
bile, egli non seminerebbe. Se non in tutti è avvenuto il cambia­
mento, non è stato a causa del seminatore, ma di coloro che non
vogliono cambiare. Egli ha fatto quanto era in lui; se essi hanno
abbandonato la sua opera, non è responsabile lui che ha dato pro­
va di tanta bontà.

L e v ie d e l l a per d izio n e

Considera che non è una sola la via della perdizione, ma sono


differenti e diverse una dall’altra. Alcuni sono simili alla strada, so­
no gli indolenti, i negligenti e noncuranti; quelli che si trovano sul

w Cf. Mt 13, 47-48.

11 Questo si spiega se si tiene presente il fatto che in Palestina la semi­


na avveniva prima dell’aratura: cf. in proposito J. Jeremias, Le parabole di Ge­
sù, ed. ital., Brescia 1976, pp. 9-10.
278 Omelie sul Vangelo di Matteo

terreno sassoso, sono soltanto quelli più deboli. Quello che è stato
seminato, dice, nel terreno sassoso, è chi ascolta la parola e subito l’ac­
coglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante; appena arriva
una tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito ne è scan­
dalizzato. Tutte le volte che uno ascolta la parola della verità e non la
comprende, viene il maligno e porta via dal suo cuore ciò che è stato
seminato. Questo è quello che è stato seminato lungo la strada x. Non
è la stessa cosa che si inaridisca l’insegnamento senza che nessuno
minacci o usi la violenza, oppure se incalzano le tentazioni. Quelli
che somigliano alle spine sono molto più imperdonabili di questi.
4. Perché dunque non ci capiti nulla di questo, avvolgi
quanto è stato detto con il nostro fervore ed il continuo ricordo12.
Anche se il diavolo lo porta via, è però in nostro potere di non es­
serne derubati; anche se i semi si seccano, questo avviene non per
il calore ardente - difatti non ha detto che si seccarono per il ca­
lore, ma perché non avevano radice -; anche se la parola divina
viene soffocata, non è a causa delle spine, ma di coloro che per­
mettono ad esse di spuntare. E possibile, se vuoi, impedire questa
cattiva crescita e servirsi della ricchezza nel modo dovuto. Perciò
non ha detto: il mondo, ma: la preoccupazione del mondo, né: la
ricchezza, ma: l’inganno della ricchezza y. Non accusiamo quindi le
cose 13, ma la volontà corrotta. E possibile essere ricchi e non la­
sciarsi ingannare; essere in questo mondo e non essere soffocati
dalle preoccupazioni. La ricchezza ha due svantaggi opposti: l’u­
no, che tormenta e ottenebra, cioè la preoccupazione; l’altro, che
rende più deboli, cioè le mollezze. Ha detto bene: l’inganno della
ricchezza, perché tutto ciò che riguarda la ricchezza è inganno, è

*M t 13,20-21.19. yM tl3,22.

12 La parola di Dio quindi deve essere fatta propria dall’uomo con il suo
impegno e la costante meditazione.
13 Crisostomo si preoccupa sempre di rilevare che il male non deriva
dalle cose in quanto tali, ma daU’intenzione dell’uomo che se ne può servire
in modo positivo o negativo.
Omelia 44, 3-4 279

solo un nome, non sussiste nella realtà. Il piacere, la gloria, il lus­


so, tutto questo è apparenza, non verità e realtà14.

I l t r iplic e fr u tto d e l l a terra buo na

Dopo aver parlato dunque dei modi della perdizione, presen­


ta poi la terra buona, non lasciando nella disperazione, ma dando
speranza di conversione e facendo vedere che è possibile essere tra­
sformati in questa15 provenendo dalle realtà di cui si è parlato in
precedenza. Tuttavia, se la terra è buona, uno solo è il seminatore
e i semi sono gli stessi, perché ha dato frutto dove il cento, dove il
sessanta, dove il trenta? Qui di nuovo la differenza dipende dalla
natura della terra, perché anche dove la terra è buona, c’è in essa
una grande differenza. Vedi che la responsabilità non è dell’agri­
coltore né dei semi, ma della terra che li riceve? Non dipende dal­
la natura, ma dalla volontà. Anche in questo caso grande è la bon­
tà, perché non richiede un solo livello di virtù, ma accoglie i primi,
non esclude i secondi e dà spazio ai terzi. Lo dice perché quelli che
lo seguono non pensino che per la salvezza sia sufficiente l’ascolto.
Ma perché, si potrebbe obiettare, non ha indicato anche gli altri vi­
zi, quali la concupiscenza del corpo, la vanagloria? Parlando della
preoccupazione di questo mondo e dell’inganno della ricchezza ha
indicato tutto. In effetti la vanagloria e tutto il resto appartengono
a questo mondo e all’inganno della ricchezza; ad esempio, il piace­
re, l’ingordigia, l’invidia, la vanagloria e tutti i vizi di questo gene­
re. Ha aggiunto la strada e il terreno sassoso per mostrare che non
basta soltanto liberarsi delle ricchezze, ma si devono praticare an­
che le altre virtù. Che giova infatti se sei libero dalle ricchezze, ma
sei pusillanime ed effeminato? Che giova se non sei pusillanime, ma
sei negligente e non ti curi dell’ascolto? Per la salvezza non ci basta

14 Nel senso che sono beni illusori che non giovano realmente all’uomo
e sono destinati a svanire.
15 Cioè nella terra buona.
280 Omelie sul Vangelo di Matteo

un solo aspetto, ma occorre innanzitutto un ascolto attento e una


memoria continua, poi fortezza d’animo, quindi disprezzo delle
ricchezze e libertà da tutte le cose terrene. Perciò indica innanzi­
tutto l’ascolto, perché occorre questo per primo - Come crederan­
no se non ascoltano? z; come anche noi, se non prestiamo attenzio­
ne a quanto viene detto, non potremo sapere quello che occorre fa­
re poi la fortezza d’animo e il disprezzo delle cose presenti.

P raticare la virtù n e l su o co m plesso

Ascoltando dunque queste cose, muniamoci da ogni parte pre­


stando attenzione a quanto viene detto, mettendo le radici in pro­
fondità e purificandoci da tutte le cose terrene. Se facciamo alcune
cose, ma ne trascuriamo altre, non ne avremo alcun vantaggio; se non
in un modo, ci perdiamo però in un altro. Che differenza fa se ci per­
diamo non per la ricchezza, ma per la negligenza, non per la negli­
genza, ma per pusillanimità? Anche il contadino si affligge ugual­
mente se perde il raccolto in un modo o nell’altro. Non consoliamo­
ci dunque perché non ci perdiamo in tutti i modi, ma addoloriamo­
ci per il modo in cui ci perdiamo. Bruciamo le spine perché soffoca­
no la parola. Lo sanno i ricchi che non sono utili non soltanto per
questo, ma neppure per il resto. Divenuti infatti schiavi e prigionieri
dei piaceri, sono inutili anche per i pubblici affari, e se lo sono per
quelli, a maggior ragione lo sono per le cose del cielo. Ne deriva una
duplice rovina per la mente, dalle mollezze e dalle preoccupazioni.
Ciascuna di queste è capace di per sé di affondare la nave; quando
concorrono entrambe, pensa che marosi ne scaturiscono.

I d a n n i d e l l ’in g o r d ig ia e d ei bagordi

5. Non meravigliarti se ha chiamato spine le mollezze. Tu


sei ebbro di questa passione, non te ne rendi conto, ma quelli che

z Rm 10, 14.
Omelia 44, 4-5 281

sono sani sanno che ferisce più delle spine; le mollezze consuma­
no l’anima più delle preoccupazioni e procurano sofferenze più
dure sia al corpo, sia all’anima. Non si è infatti colpiti dalle preoc­
cupazioni così come dalla sazietà, perché quando un siffatto indi­
viduo è oppresso da insonnia, tensione delle tempie, pesantezza di
testa, dolori di viscere, pensa quanto queste cose siano più mole­
ste delle spine. Come le spine, da qualunque parte si tocchino, in­
sanguinano le mani che le prendono, così anche le mollezze rovi­
nano i piedi, le mani, la testa, gli occhi e insomma tutte le mem­
bra; sono aride e infruttifere come le spine e molestano molto più
di esse e nelle parti vitali. Introducono una vecchiaia prematura,
ottundono i sensi, ottenebrano la mente, accecano l’acutezza del­
la vista dell’intelletto, rendono il corpo flaccido, accrescendo la
produzione di escrementi, accumulando assai i mali, e rendono
maggiore il peso e smisurato il carico; di qui numerose e continue
cadute e naufragi frequenti. Perché, dimmi, ingrassi il corpo? Ti
dobbiamo forse sacrificare? Ti dobbiamo forse imbandire a men­
sa? 16. Giustamente ingrassi gli uccelli, anzi nemmeno essi giusta­
mente, perché quando si ingrassano, sono dannosi per una dieta
sana. Le mollezze sono un male così grande che se ne può vedere
il danno anche negli animali. Difatti se facciamo vivere nelle mol­
lezze gli uccelli, li rendiamo dannosi per se stessi e per noi. Da
quel grasso in effetti derivano il superfluo indigesto e una putrefa­
zione umida. Gli animali invece che non sono allevati così, ma, per
così dire, vivono nel digiuno e con una alimentazione moderata,
faticano e si sforzano, sono utilissimi per sé e per gli altri, sia per
quanto riguarda il nutrimento, sia per tutto il resto. Coloro che si
cibano di essi sono più sani, mentre quelli che si nutrono di que­
gli altri, somigliano ad essi, in quanto sono torpidi, esposti a ma­
lattie e sottoposti a vincoli più duri. Niente è così avverso e dan­
noso al corpo come le mollezze; niente distrugge, opprime e cor­
rompe il ventre come la sregolatezza. Perciò si potrebbe rimanere

16 Si noti il sarcasmo di questa espressione crisostomiana, in cui affiora


una venatura umoristica.
282 Omelie sul Vangelo di Matteo

sbigottiti di fronte alla loro stoltezza soprattutto per il fatto che


costoro non vogliono mostrare per se stessi tanto riguardo, quan­
to ne hanno altri per i loro otri. Difatti i venditori di vino non per­
mettono che gli otri ricevano più del dovuto in modo che non si
rompano. Costoro invece non ritengono degno il loro ventre infe­
lice nemmeno di questa attenzione, ma dopo averlo riempito e fat­
to scoppiare, riempiono tutto fino alle orecchie, fino alle narici, fi­
no alla gola stessa, procurando così una duplice oppressione al re­
spiro e alla forza che regola l’essere vivente. Hai avuto forse la go­
la per questo scopo, per riempirla su fino alla bocca di vino putri­
do e di ogni altra corruzione? Non per questo, o uomo, ma perché
principalmente inneggi a Dio, elevi le sacre preghiere, proclami17
le leggi divine e consigli ciò che è utile al prossimo. Tu invece, co­
me se l’avessi ricevuta per questo, non le permetti di dedicare
nemmeno un po’ di tempo al servizio divino 1S, mentre la assog­
getti tutta la vita a questa malvagia servitù. E come se uno, pren­
dendo una cetra, con le corde d’oro e ben accordata, invece di
metter mano ad essa per trarne una perfetta melodia, la ricoprisse
di molti escrementi e fango, così fanno anche costoro. Ho chia­
mato escremento non il nutrimento, ma l’ingordigia 19 e quella
grande dissolutezza. Difatti ciò che è più del dovuto non è nutri­
mento, ma soltanto rovina. In effetti soltanto il ventre ha avuto
esclusivamente la funzione di accogliere i cibi; la bocca invece, la
gola e la lingua sono state fatte anche per altre funzioni molto più
necessarie di questa. Anzi neppure il ventre ha ricevuto semplice­
mente la funzione di accogliere i cibi, ma di accoglierli con mode­
razione. Lo manifesta gridando innumerevoli volte contro di noi,
quando gli rechiamo offesa con questi eccessi; non soltanto grida,
ma anche, vendicandosi dell’iniquità subita, richiede da noi il più
severo castigo. E innanzitutto punisce i piedi che ci portano e ci

17 Letteralmente «legga».
18 Con riferimento alla liturgia.
19 Si noti il gioco di parole tra trophé (nutrimento) e tryphé (mollezze,
dissolutezza).
Omelia 44, 5 283

conducono a quei perversi conviti, poi legando le mani che lo ser­


vono, perché gli hanno portato tanti e tali cibi. Molti hanno stra­
volto la stessa bocca, gli occhi e la testa. E come un servitore,
quando gli viene dato un ordine che va al di là delle sue forze, esce
di senno e spesso insulta chi gli ha dato ordini, così anche il ven­
tre, oltre a queste membra, a causa della violenza patita, spesso ro­
vina e distrugge il cervello stesso. Giustamente Dio ha disposto
questo, che dalla smoderatezza derivasse un danno così grande
perché, quando non ti comporti da filosofo 20 volontariamente, al­
meno controvoglia impari ad essere moderato per la paura di ima
rovina così grande.
Sapendo dunque questo, fuggiamo le mollezze, siamo mode­
rati per godere della salute del corpo e perché, liberando l’anima
da ogni infermità, otteniamo i beni futuri, per la grazia e la bontà
di nostro Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la poten­
za nei secoli dei secoli. Amen.

20 Secondo la sapienza improntata al cristianesimo, come abbiamo visto


più volte.
OMELIA 45

Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: Perché parli loro in para­


bole? Egli rispondendo disse loro: Perché a voi è dato di conoscere i
misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato a.

G razia e liber o arbitrio

1. È giusto ammirare i discepoli perché, pur desideros


apprendere, sanno quando era conveniente fare una domanda.
Infatti non agiscono così alla presenza di tutti; lo ha indicato
Matteo dicendo: Gli si avvicinarono. Quanto ho detto non è una
congettura: lo ha mostrato più chiaramente Marco dicendo che
gli si avvicinarono in privato b. Così dovevano fare anche i fra­
telli e la madre e non chiamarlo fuoric e mettersi in mostra. Con­
sidera poi la delicatezza dei discepoli, come tengano gli altri in
gran conto e chiedano prima ciò che li riguarda e dopo quanto
è nel loro interesse. Perché, dice, parli loro in parabole? Non
hanno detto: Perché parli a noi in parabole? Anche in altre oc­
casioni spesso si mostrano pieni di affetto verso tutti, come
quando dicono: Congeda la folla d, e: Sai che si sono scandalizza­
ti? e. E Cristo? Perché, dice, a voi è dato di conoscere i misteri del
regno dei cieli, ma a loro non è dato. H a parlato così non per ad­
durre una necessità, né un destino che si verifica senza motivo e

a Mt 13, 10-11. b Cf. Me 4, 34. c Cf. Mt 12, 46-47. d Le 9, 12.


e Mt 15, 12.
Omelia 45, 1 285
a caso *, ma per indicare che e ssi2 erano causa di tutti i mali e
per voler mostrare che quello3 è dono e una grazia concessa dal­
l’alto. Certo non perché si tratta di un dono è eliminato il libe­
ro arbitrio, il che è evidente da quanto segue.
Considera come mostri che il punto di partenza sta in noi, per­
ché gli uni non si scoraggino e gli altri non si impigriscano sentendo
che si tratta di un dono: infatti a chi ha verrà dato e sarà nell’abbon­
danza, mentre a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di averef.
Questo passo è pieno di una grande oscurità, ma indica un’indici­
bile giustizia. Infatti quanto dice significa: se uno ha buona volontà
e premura, gli sarà dato anche tutto ciò che viene da Dio, mentre se
ne è privo e non dà il suo personale contributo, non gli è dato nem­
meno ciò che viene da Dio. Difatti dice: ciò che crede di avere, gli sa­
rà tolto, non perché Dio glielo tolga, ma perché non lo ritiene degno
dei suoi doni. Anche noi facciamo così; quando ci accorgiamo che
uno ascolta negligentemente e, nonostante molteplici esortazioni,
non riusciamo a farlo stare attento, tacciamo perché, se insistiamo,
aumenta la sua negligenza. Invece attiriamo a noi chi mette impegno
nell’apprendere e riversiamo in lui molti insegnamenti. Bene ha det­
to: anche ciò che crede di avere, perché non ha nemmeno questo.
Poi ha reso più chiaro quanto ha detto, mostrando che cosa signifi­
ca l’espressione: a chi ha verrà dato, mentre a chi non ha sarà tolto an­
che ciò che crede di avere. Per questo, dice, parlo loro in parabole, per­
chépur vedendo non vedono s. Ebbene, si potrebbe osservare, se non
vedono, bisognava aprire i loro occhi. Ora, se la cecità fosse dipesa
dalla natura, si sarebbe dovuto aprirli, ma poiché la cecità era vo­
lontaria e deliberata, per questo non ha detto semplicemente: non

f Mt 13, 12; cf. Le 8, 18. e M tl3 , 13.

1 Anche in questo caso Crisostomo respinge ogni concezione determi­


nistica e fatalistica, mettendo in evidenza la responsabilità umana e al tempo
stesso la grandezza del dono divino.
2 Coloro che si chiudono alla parola di Dio.
3 Vale a dire la conoscenza dei misteri.
286 Omelie sul Vangelo di Matteo

vedono, ma: pur vedendo non vedono, sicché la cecità dipendeva dal­
la loro malvagità. Difatti videro uscir via i demoni e dicevano: Scac­
cia i demoni in nome di Beelzebul, principe dei demonih. Udirono
che li conduceva a Dio e mostrava di essere assai concorde con lui,
e dicono: Costui non viene da Dio K Poiché dunque dichiaravano il
contrario di quanto vedevano e udivano, per questo, dice, li privo
anche dell’udito 4; infatti non ne deriva loro alcun vantaggio, ma an­
zi una condanna maggiore. Non solo non credevano, ma anche rim­
proveravano, accusavano e tramavano insidie. Però non parla di
questo, perché non vuole accusare duramente. Certo all’inizio non
parlò loro così, ma con molta chiarezza; dopo che però si perverti­
rono, in seguito parla in parabole.

LA ΤΕ5ΉΜΟΝΙΑΝΖΑ DI ISAIA

Poi, perché non si pensasse che le sue parole erano un’accusa


pura e semplice e non dicessero: Ci muove queste accuse e ci ca­
lunnia perché è nostro nemico, presenta anche il profeta che pro­
nuncia la sua stessa sentenza. Dice infatti: Si adempie per loro la
profezia di Isaia che dice: Udrete, ma non comprenderete, guardere­
te, ma non vedrete i. Vedi la precisione con cui il profeta accusa?
Non ha detto: Non guardate, ma: Guarderete, ma non vedrete·, né:
Non udrete, ma: Udrete, ma non comprenderete. Sicché si sono eli­
minati da sé per primi, otturando le orecchie, chiudendo gli occhi,
indurendo il cuore. Non solo non ascoltavano, ma anche erano
maldisposti ad ascoltare k; agivano così, dice, perché non si conver­
tano e io li risani *, indicando la loro estrema malvagità e la loro
studiata perversione.

h Mt 9,34; 12,24. iG v 9 ,16. iM tl3,14. k Cf. Mt 13,15; Is 6,9-10.


1Ibtd.

4 Allusione a Mt 13, 13: pur udendo non odono e non comprendono. Cf.
anche Le 8, 10: perché vedendo non vedano e udendo non intendano.
Omelia 45, 1-2 287

I l S ig n o r e fa d i tu t t o per salvare

2. Dice questo per attirarli a sé, per stimolarli e per indic


che, se si fossero convertiti, li avrebbe risanati; come se uno dices­
se: Non ha voluto vedermi e gliene sono grato, perché se fossi sta­
to tenuto in considerazione, avrei dovuto cedere subito. Lo dice
per mostrare come riconciliarsi. Così anche in questo passo dice:
Perché non si convertano e io li risani, per indicare che è possibile
convertirsi e ci si può salvare in caso di pentimento, e che faceva
tutto non per la sua gloria, ma per la loro salvezza. Se non avesse
voluto che essi ascoltassero e si salvassero, avrebbe dovuto tacere,
non parlare in parabole; ora li sollecita proprio con questo meto­
do, con il parlare in modo coperto5. Infatti Dio non vuole la mor­
te del peccatore, ma che si converta e viva m.

I l pecca to n o n deriva d a lla natura , ma d a lla v o lo n tà

Per sapere che il peccato non dipende dalla natura né dalla ne­
cessità e dalla costrizione, ascolta che cosa dice agli apostoli: Beati
invece i vostri occhi perché vedono e le vostre orecchie perché ascolta­
no n, riferendosi alla vista e all’udito non in senso materiale, ma spi­
rituale. Infatti anche essi erano giudei e erano stati educati allo stes­
so modo, ma tuttavia non trassero alcun danno dalla profezia per­
ché avevano sana la radice dei beni, intendo dire la libera volontà e
il giudizio. Vedi che l’espressione: a voi è dato, non si riferiva alla ne­
cessità? Non sarebbero stati infatti proclamati beati, se il merito
non fosse stato loro. Non venirmi a dire che parlava in modo oscu­

m Ez 18, 23. n Mt 13, 16.

5 Su tale metodo usato da Gesù e messo in rilievo da Crisostomo, cf. il


mio studio Parlare in parabole: osservazioni sull’esegesi crisostomiana diMt 13,
lOss., «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 62 (1996), pp. 685-690.
288 Omelie sul Vangelo di Matteo

ro; potevano andare da lui e interrogarlo, come i discepoli, ma non


vollero, perché erano negligenti e inerti. Che dico, non vollero?
Agivano anche in modo contrario, perché non solo non credevano,
non solo non ascoltavano, ma anche combattevano ed erano assai
ostili nei confronti di quanto veniva loro detto; presenta il profeta
muovere questa accusa, con il dire: erano maldisposti ad ascoltare.
Ma quegli altri non erano così; perciò li proclamava beati.

U n ità fra A n tic o e N u o v o T esta m en to

Li rafforza anche in altro modo dicendo: In verità vi dico: mol­


ti profeti e giusti desiderarono vedere ciò che voi vedete e non lo vi­
dero, udire ciò che voi udite e non l’udirono °; vuol dire: la mia ve­
nuta, i miracoli, la mia voce, il mio insegnamento. Qui li antepone
non solo a costoro che erano corrotti, ma anche a quelli che ave­
vano agito virtuosamente, perché dice che sono più beati anche di
loro. Perché? Perché essi vedono non solo quello che i giudei non
hanno visto, ma anche ciò che quelli desiderarono vedere. Questi
contemplarono solo con la fede; essi invece anche con gli occhi e
molto più chiaramente. Vedi come unisca di nuovo l’Antico al
Nuovo Testamento, mostrando che quelli non solo videro gli even­
ti futuri, ma anche li desiderarono intensamente? Non li avrebbe­
ro desiderati, se il loro Dio fosse stato estraneo e opposto 6.

D iffe r e n t i so n o l e vie d e l l a salvezza

Voi dunque, dice, ascoltate la parabola del seminatore p ; parla


di ciò che abbiamo detto in precedenza, della negligenza e della

° Mt 13, 17. P M tl3, 18.

6 Crisostomo si riferisce ancora alla dottrina marcionita, come abbiamo


già rilevato in precedenza (cf. la nota 8 all’omelia 38).
Omelia 45, 2 289

sollecitudine, dell’ignavia e della fortezza, delle ricchezze e della


povertà, mostrando il danno che proviene da una parte e il van­
taggio che deriva dall’altra. Poi presenta anche i differenti modi
della virtù. Infatti, essendo buono, non ha aperto una sola via e
non ha detto: Se uno non produce cento, è escluso dalla salvezza,
ma: Anche chi produce sessanta si salva, e non solo questi, ma an­
che chi produce trenta q. Ha agito così per rendere agevole la sal­
vezza. Tu non puoi osservare la verginità? Fa’ un casto matrimo­
nio. Non puoi essere povero? Da’ dei tuoi beni. Non sopporti quel
peso? Dividi con Cristo i tuoi averi. Non vuoi dargli tutto? Dagli
almeno la metà o la terza parte. E tuo fratello e coerede; fallo co­
erede anche qui. Quanto dai a lui, lo darai a te. Non ascolti che co­
sa dice il profeta? Non disprezzare quelli che partecipano della tua
carner. Se non bisogna disprezzare coloro che partecipano della
stessa natura, a maggior ragione non si deve disprezzare il Signo­
re che, oltre al fatto di essere Signore, condivide con te il vincolo
della comunanza della natura umana e molte altre cose di più. In­
fatti ti ha reso partecipe dei suoi beni senza aver ricevuto nulla da
te, ma avendo anzi preso l’iniziativa di questo ineffabile beneficio.
Come dunque non sarebbe un’estrema follia non divenire buoni in
seguito a questo dono e non contraccambiare questa grazia, sia
pure in misura inferiore rispetto ai maggiori benefici ricevuti? Egli
ti ha fatto erede dei cieli, e tu non lo rendi partecipe neppure dei
beni terreni? Egli ti ha riconciliato senza alcuna tua opera merito­
ria, ma anzi pur essendo tu nemico, e tu non ricambi chi è amico
e benefattore, benché prima ancora che per il regno e tutti gli al­
tri beni sarebbe giusto essergli grato per il fatto stesso di dare?7. 1
servitori, quando invitano a pranzo i padroni, ritengono non di fa­
re un favore, ma. di riceverlo; in questo caso invece è accaduto il

qCf. M tl3,2 3 . r Is 58, 7.

7 Si noti come il discorso di Crisostomo proceda per antitesi che danno


forte risalto al contrasto tra la generosità del Signore e l’ingratitudine umana.
290 Omelie sul Vangelo di Matteo

contrario. Infatti non è stato per primo il servitore ad invitare il Si­


gnore alla sua mensa, ma il Signore lo ha fatto per primo; e tu non
lo inviti neppure dopo questo beneficio? Egli per primo ti ha in­
trodotto nella sua casa, e tu non lo fai neppure per secondo? Ti ha
vestito quando eri nudo, e tu neppure dopo ciò lo accogli quando
è forestiero? Per primo ti ha dato da bere dalla sua coppa, e tu non
gli dai neppure dell’acqua fresca? Ti ha dissetato con lo Spirito
santos, e tu non gli allevii neppure la sete materiale? Ti ha disse­
tato con lo Spirito, nonostante fossi degno di castigo, e tu lo di­
sprezzi mentre ha sete, sebbene tu possa fare tutto questo con ciò
che è suo? 8.

C h i so cco rre il po vero d iv en ta sa c erd o te d i C risto

3. Non pensi che sia un grande onore tenere il calice, da


Cristo berrà e che porterà alla bocca? Non vedi che solo al sacer­
dote è lecito presentare il calice del sangue? Io, dice, non sto a sot­
tilizzare su questo, ma anche se lo presenti tu, lo accetto; anche se
sei laico 9, non rifiuto. Non chiedo ciò che ho dato, perché non
cerco sangue, ma dell’acqua fresca10. Pensa chi disseti e rabbrivi­
disci. Pensa che diventi sacerdote di Cristo, dando con la tua pro­
pria mano non carne ma pane, non sangue ma un bicchiere di ac­
qua fresca. Ti ha rivestito della veste di salvezza1 e ti ha rivestito
personalmente; tu rivestilo almeno per mezzo del suo servo. Ti ha

s Cf. 1 Cor 12, 13. 1Cf. Is 61, 10.

8 II nostro autore mette in luce che il disprezzo dei poveri, che si tro­
vano nell’indigenza, è rivolto a Cristo stesso che è presente in essi.
9 Con termini assai efficaci Crisostomo continua nell’assimilare Cristo
al povero, stabilendo quasi una connessione tra il calice eucaristico e il bic­
chiere d’acqua offerto all’assetato.
10 Si tratta quindi di un’opera di misericordia che tutti possono com­
piere a prescindere dalla loro condizione economica.
Omelìa 45, 2-3 291

reso glorioso nei cieli; tu liberalo dal freddo, dalla nudità, dalla
vergogna. Ti ha fatto concittadino degli angeli; tu condividi con lui
almeno il tetto, dandogli una casa anche soltanto come se fosse il
tuo servitore: non rifuggo da questo alloggio, sebbene ti abbia
aperto tutto il cielo. Ti ho liberato da un carcere durissimo; non ti
chiedo questo, né ti dico: Liberami, ma è sufficiente a confortarmi
se solo mi vieni a vedere mentre sono in catene. Ti ho resuscitato
mentre eri morto; io non ti chiedo questo, ma ti dico: Fammi so­
lamente una visita quando sono malato u .
Se dunque i doni sono così grandi e le richieste molto lievi, e
non facciamo nemmeno questo, di quale geenna non saremmo de­
gni? A ragione ce ne andiamo al fuoco preparato per il diavolo e i
suoi angeliu, essendo più insensibili della roccia. Che grande in­
sensibilità, dimmi, denota il fatto che, nonostante abbiamo ricevu­
to e riceveremo tanti beni, siamo schiavi delle ricchezze, da cui do­
po poco ci separeremo pur malvolentieri? Altri hanno dato la vita
e hanno versato il sangue12; tu non cedi nemmeno i beni superflui
per i cieli, per corone così grandi? Quale indulgenza, quale giusti­
ficazione potresti meritare dal momento che nel seminare la terra
profondi tutto volentieri, nel prestare a interesse agli uomini non
hai nessun riguardo, mentre nel nutrire il tuo Signore attraverso
gli indigenti sei crudele e disumano? Pensando dunque a tutto ciò
e considerando ciò che abbiamo ricevuto, ciò che riceveremo e
quanto ci viene richiesto, mostriamo ogni cura nei beni spirituali.
Siamo buoni e generosi per non attirare su di noi una punizione
insopportabile. Che cosa non basta a condannarci? Che godiamo

“ Cf. Mt 25, 41.

11 Con un crescendo di immagini che culminano con il dono della re­


surrezione Crisostomo mostra i benefici di Cristo, esortando a ricambiare al­
meno in minima parte tale gratuita bontà ed evocando la scena del giudizio
finale di Mt 25, 34ss.
12 II riferimento al sacrificio dei martiri dà maggior risalto all’insensibi­
lità di chi si chiude nel proprio egoismo.
292 Omelie sul Vangelo di Matteo

di tanti e tali beni, che non ci viene chiesto niente di straordinario,


che ci viene chiesto ciò che lasceremo qui anche controvoglia, che
mostriamo un grande desiderio dei beni materiali? Ciascuna di
queste cose da sé basta a condannarci; se si sommano tutte insie­
me, che speranza di salvezza ci sarà? Per sfuggire a tutta questa
condanna, mostriamoci generosi verso gli indigenti. Così infatti
godremo di tutti i beni qui e lì; voglia il cielo che noi tutti li con­
seguiamo, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo,
al quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 46

Espose loro un’altra parabola, dicendo: Il regno dei cieli si può para­
gonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico, seminò ziz­
zania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fe­
ce frutto, apparve la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di
casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo
campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un
nemico ha fatto questo. E i servi'gli dissero: Vuoi dunque che andia­
mo a raccoglierla? No, rispose, perché non accada che, cogliendo la
zizzania, con essa sradichiate il grano. Lasciate che l’una e l’altro cre­
scano insieme fino alla mietituraa.

L e in sid ie d e l diavolo

1. Che differenza c’è tra questa parabola e quella precede


In quella parla di coloro che non gli hanno dato retta affatto, ma
lo hanno abbandonato e non si sono curati della semente; in que­
sta invece fa riferimento ai gruppi degli eretici. Perché tale fatto
non turbasse i discepoli, ne parla prima, dopo aver insegnato loro
perché parlava in parabole. Quella parabola dunque vuol dire che
non lo hanno accolto; questa indica che hanno accolto i corrutto­
ri. Anche questa infatti è un’insidia del diavolo, mescolare sempre
l’errore alla verità ammantandolo di molte parvenze di essa in mo-

a Mt 13,24-30.
294 Omelie sul Vangelo di Matteo

do da impossessarsi surrettiziamente e agevolmente di coloro che


si fanno ingannare facilmente. Perciò non parla di qualche altro
seme, ma di zizzania che all’aspetto somiglia al grano. Poi parla an­
che della modalità dell’insidia. Dice: Mentre gli uomini dormivano.
Con queste parole fa incombere un non piccolo pericolo sui capi,
a cui soprattutto è affidata la custodia del campo, e non solo sui
capi, ma anche sui loro sottoposti. Mostra che l’errore viene dopo
la verità, il che è testimoniato anche dall’esito degli eventi; infatti
dopo i profeti vennero gli pseudoprofeti, dopo gli apostoli gli
pseudoapostoli e dopo Cristo l’anticristo. Ora se il diavolo non ve­
de che cosa imitare o chi insidiare, non si accinge all’impresa, né
lo sa ^ Anche in questo caso dunque poiché ha visto che l’uno ha
prodotto cento, l’altro sessanta, l’altro trenta b, se ne va per un’al­
tra strada. Dal momento che infatti non ha potuto strappare né
soffocare né bruciare ciò che aveva messo radici, trama le sue in­
sidie mediante un altro inganno, inserendo ciò che proviene da lui.
E in che cosa differiscono, si potrebbe dire, quelli che dormono da
quelli che vengono raffigurati nella strada? 2. Nel fatto che in que­
sto caso ha strappato subito la semente, perché non ha lasciato che
mettesse radici, mentre nell’altro caso ha avuto bisogno di un
espediente maggiore. Cristo dice questo per insegnarci ad essere
sempre vigilanti. Infatti anche se sfuggi ad alcuni danni, intende
dire, se ne presenta un altro; come in un caso la rovina viene dal­
la strada, dal terreno sassoso e dalle spine, così nell’altro viene dal
sonno, sicché occorre una vigilanza continua. Perciò diceva: Chi
persevererà fino alla fine, sarà salvato c.

b Cf. Mt 13, 8. c Mt 10, 22.

1 Crisostomo mostra di voler porre l’accento sul fatto che l’insidia del
diavolo deve poter trovare un terreno fecondo su cui esercitarsi, e quindi si
può sfuggire alle sue trame se non gli si offre l’occasione.
2 II riferimento è alla strada dove cadde parte del seme sparso dal semi­
natore secondo Mt 13, 4.
Omelia 46, 1 295

I l v e le n o d e g l i eretici

Qualcosa di simile è accaduto all’inizio. Molti capi infatti, in­


troducendo nelle chiese uomini malvagi, eresiarchi occulti, hanno
facilitato molto un’insidia di questo genere, perché al diavolo non
occorrono sforzi quando innesta quelli in mezzo ai fedeli. Ma, si
potrebbe dire, come è possibile non dormire? Non è possibile cer­
to per quanto riguarda il sonno naturale, mentre è possibile quan­
to a quello della volontà. Perciò Paolo diceva: Vigilate, state saldi
nella fede d. Poi mostra che tale azione è inutile, non solo danno­
sa. Infatti il diavolo semina dopo che il campo è stato coltivato e
non c’è bisogno di niente, come fanno anche gli eretici che co­
spargono il loro veleno per nessun altro motivo se non per vana­
gloria. Non solo così, ma anche con quanto segue descrive accu­
ratamente tutta la loro messinscena. Quando poi la messe fiorì, di­
ce, e fece frutto, apparve la zizzania, il che fanno anche costoro. Al­
l’inizio infatti se ne stanno nell’ombra, ma dopo aver preso molta
confidenza e dopo che si dà ad essi la possibilità di parlare, allora
versano il loro veleno. Perché fa raccontare ai servi l’accaduto?
Per dire che quelli non devono essere eliminati. Lo chiama uomo
nemico3 a motivo del danno arrecato agli uomini. Certo il danno
è contro di noi; esso però deriva non dall’inimicizia verso di noi,
ma verso Dio. Da ciò risulta chiaro che Dio ci ama più di quanto
noi amiamo noi stessi. Considera poi anche da un altro punto di
vista la malizia del diavolo. Infatti non ha seminato prima perché
non aveva nulla da rovinare, ma quando tutto era stato compiuto,
per vanificare gli sforzi del contadino; faceva tutto spinto da tanta
ostilità nei suoi confronti. Osserva anche la sollecitudine dei servi.
Infatti desiderano strappare via subito la zizzania, anche se non
agiscono con ponderazione, il che dimostra la loro cura della se­

d 1 Cor 16, 13.

3 Questa è l’espressione letterale di Mt 13, 28.


296 Omelie sul Vangelo di Matteo

mente e che avevano un solo obiettivo, non che quello fosse puni­
to, ma che non andasse perduto quanto era stato seminato, perché
non era la punizione la cosa più urgente. Perciò considerano come
estirpare nel frattempo il male. E non cercano di farlo immediata­
mente; non se lo permettono, ma attendono la decisione del pa­
drone dicendo: Vuoi? E il padrone? Lo impedisce dicendo: perché
non accada che con essa sradichiate il grano. Lo diceva vietando che
ci fossero conflitti, spargimento di sangue e uccisioni. Non si deve
eliminare l’eretico, perché si introdurrebbe nel mondo una guerra
senza tregua4.

G l i e r etic i d e v o n o e sse r e co m battuti , ma n o n elim in ati

2. Li trattiene dunque con queste due considerazioni: l’u


che il grano non venga danneggiato, l’altra si riferisce al fatto che
saranno senz’altro puniti coloro che sono affetti da questo male in­
curabile5. Sicché se vuoi che essi siano puniti, senza danno per il
grano, aspetta il momento opportuno. Che significa: perché non
accada che con essa sradichiate il grano? Vuol dire o che, se avete
intenzione di impugnare le armi e di trucidare gli eretici, necessa­
riamente rimangono coinvolti anche molti santi 6, oppure che è
probabile che molti si trasformino da zizzania che erano e diven­
tino grano. Se dunque li sradicate prima del tempo, rovinate chi
potrebbe diventare grano, eliminando coloro che è possibile che
cambino e diventino migliori. Non vieta perciò di tenere a freno
gli eretici, di chiudere loro la bocca, di togliere ad essi la facoltà di
parlare, di sciogliere le loro assemblee e di rompere accordi con

4 È questa un’importante affermazione di Crisostomo che rifiuta l’eli­


minazione fisica dell’avversario sulle orme della parabola evangelica. Si ricor­
di il caso di Priscilliano, giudicato eretico e decapitato all’epoca dell’impera­
tore Massimo. Questa, che fu la prima condanna a morte per eresia, suscitò
la protesta di Ambrogio e del papa Siricio.
5 Cioè dal male dell’eresia.
6 Coloro che conservano la retta fede, in opposizione agli eretici.
Omelia 46, 1-2 297

essi, ma di eliminarli e di ucciderli. Osserva poi la mitezza del pa­


drone, come non solo mostri la sua decisione e vieti, ma indichi le
sue ragioni. Che avverrà dunque, se la zizzania rimane fino alla fi­
ne? Allora dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in
fasci per bruciarlae. Di nuovo ricorda loro le parole di Giovanni
che lo presentavano come giudice 7, e dice che finché stanno ac­
canto al grano, devono essere risparmiati, perché è possibile che
essi diventino grano; quando invece se ne andranno da questo
mondo senza alcun profitto, allora necessariamente li colpirà la
giustizia inesorabile. Dirò ai mietitori, afferma: Cogliete prima la
zizzania. Perché prima? Perché questi non temano, come se il gra­
no venisse portato via insieme ad essa. E legatela in fasci per bru­
ciarla; riponete invece il grano nel granaio f.

L e parabole d e l l a sen a pe e d e l l ie v it o :
la d iffu sio n e u n iv ersa le d e ll ’a n n u n c io ev a n g elico

Espose loro un’altra parabola: Il regno dei cieli è simile a un


granello di senape s. Poiché infatti ha detto che della semente tre
parti vanno perdute e se ne salva una sola, e del resto nella parte
stessa che si salva si verifica un danno così grande8, perché non di­
cessero: Chi e quanti saranno i credenti?, rimuove anche questa
paura spingendoli alla fede mediante la parabola della senape e
mostrando che l’annuncio evangelico si sarebbe esteso in ogni ca­
so. Perciò ha proposto l’immagine di quel legume che si adatta
molto bene all’argomento in discussione: Esso, dice, è il più picco­
lo di tutti i semi ma, quando è cresciuto, è più grande degli altri le-

e Mt 13,30. 1Ibid. 8 Mt 13, 31.

7 II riferimento è alle parole del Battista: cf. Mt 3, 12.


8 Crisostomo mostra di riferirsi al fatto che questa parte non fruttifica
tutta al cento per cento, ma in misura diversa fino ad arrivare al trenta per
cento: cf. Mt 13, 8.
298 Omelie sul Vangelo di Matteo

gumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e ni­
dificano fra i suoi ram i h. Ha voluto mostrare la prova della sua
grandezza; così, intende dire, avverrà anche dell’annuncio evange­
lico. Infatti i discepoli erano più deboli di tutti e inferiori a tutti,
ma tuttavia, poiché grande era la potenza che si trovava in essi, si
dispiegò ovunque nel mondo.
Poi aggiunge a questa immagine anche quella del lievito, di­
cendo: Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna ha preso e
impastato con tre misure di farina finché tutta si fermenti '. Come
infatti il lievito infonde in molta farina la sua forza, così anche voi
trasformerete tutto il mondo. Considera la sua sapienza. Presenta
ciò che si riferisce alla natura per indicare che come è impossibile
che quello non si verifichi, così non può non realizzarsi anche que­
sto. Non dirmi perciò: Che cosa potremo fare noi dodici uomini a
contatto con una moltitudine così grande?
Proprio questo fa risplendere soprattutto la vostra forza, il fat­
to che vi mescoliate con la moltitudine e non fuggiate. Come dun­
que il lievito fa fermentare l’impasto quando sta vicino alla farina, e
non semplicemente vicino, ma in modo tale da mescolarsi con essa
- infatti non ha detto semplicemente: ha posto, ma: ha impastato -,
così anche voi, quando state uniti saldamente a coloro che vi com­
battono, allora li vincerete. E come il lievito certamente è nascosto
nell’impasto, non sparisce però, ma a poco a poco trasforma tutto
secondo la propria condizione, allo stesso modo accadrà anche del­
l’annuncio evangelico. Non temete dunque perché ho detto che ci
sono molti danni; anche così infatti risplenderete e vincerete tutti. In
questo passo ha parlato di tre misure per indicare una moltitudine,
perché è solito assumere questo numero nel senso di una grande
quantità. Non meravigliarti se, parlando del regno, ha menzionato il
granello di senape e il lievito, perché parlava a uomini rozzi e igno­
ranti, che avevano bisogno di essere istruiti con queste immagini.
Erano così sprovveduti che, anche dopo tutti questi accorgimenti,
avevano bisogno di molte spiegazioni.

h Mt 13, 32. ‘ Mt 13, 33.


Omelia 46, 2-3 299

Dove sono i pagani? Riconoscano la potenza di Cristo osser­


vando la verità dei fatti e lo adorino da entrambi i punti di vista, per­
ché ha predetto un evento così grande e perché l’ha adempiuto. E
lui infatti che ha infuso nel lievito la sua potenza; per questo ha me­
scolato nella moltitudine coloro che credono in lui, perché rendia­
mo gli altri partecipi della nostra conoscenza9. Nessuno quindi chia­
mi in causa la scarsa quantità10; grande è infatti la potenza dell’an­
nuncio evangelico, e ciò che una volta è stato fermentato diventa lie­
vito a sua volta per il resto. Come la scintilla, quando raggiunge il le­
gno, rende le parti già bruciate come un’appendice della fiamma e
poi si estende alle altre parti, così si verifica anche per l’annuncio
evangelico. Ma non ha parlato di fuoco, bensì di lievito: perché?
Perché in un caso non tutto dipende dal fuoco, ma anche dal legno
che viene bruciato; nell’altro invece fa tutto il lievito da sé. Se dodi­
ci uomini hanno fatto fermentare tutto il mondo, pensa quanto gran­
de è la nostra malvagità, dal momento che, pur essendo tantin , non
possiamo portare sulla retta via quelli che restano indietro12, mentre
dovremmo bastare per innumerevoli mondi ed essere lievito.

G li a p o sto li si d istin ser o n o n per i m ira co li ,


MA PER LA LORO VITA

3. Ma, si potrebbe dire, quelli erano apostoli. E allora? N


parteciparono della tua medesima condizione? Non crebbero nel­
le città? Non godettero delle medesime cose? Non esercitarono un
mestiere? Erano forse angeli? Scesero forse dal cielo? Ma, si po­
trebbe replicare, facevano i miracoli. Non furono i miracoli a ren­
derli ammirabili. Fino a quando ci serviremo di quei prodigi come
di una copertura della nostra negligenza? Vedi la schiera dei santi

9 Vale a dire delle verità evangeliche.


10 Cioè, del numero dei credenti.
11 Si ricordi che, secondo la testimonianza di Crisostomo, i cristiani ad
Antiochia erano centomila: cf. più avanti l’omelia 85, 4.
12 Che cioè non sono raggiunti dal messaggio evangelico.
300 Omelie sul Vangelo di Matteo

che non ha brillato per quei prodigi. Molti che hanno perfino
scacciato demoni, poiché hanno agito iniquamente, non furono
ammirabili, ma anzi furono pimiti. Che cosa è mai dunque, ci si
potrebbe chiedere, che ha mostrato la loro grandezza? Il fatto di
disprezzare le ricchezze, di non tenere in nessun conto la gloria, di
essere distaccati dalle cose terrene. Se non avessero avuto queste
qualità, ma fossero stati schiavi delle passioni, anche se avessero
resuscitato innumerevoli morti, non solo non ne avrebbero tratto
alcun vantaggio, ma anzi sarebbero stati considerati impostori. E
la vita dunque che risplende ovunque, la vita che attira a sé la gra­
zia dello Spirito. Quale miracolo fece Giovanni13 per conquistare
tante città? A riprova che non fece alcun miracolo, ascolta l’evan­
gelista che dice: Giovanni non ha fatto alcun miracolo ). In che mo­
do Elia è diventato ammirabile? Non forse per la franchezza ver­
so il re? 14, per lo zelo verso Dio k, per la povertà ', per il mantel­
lo m, la caverna e i m onti?15. Dopo tutto ciò fece i miracoli16. Qua­
le miracolo vide fare a Giobbe il diavolo per rimanerne colpito?
Nessun miracolo, ma una vita fulgida, che mostrava una pazienza
più forte del diamante. Quale miracolo fece David, quando era an­
cora giovane, perché Dio dicesse: Ho trovato David, figlio di lesse,
uomo secondo il mio cuore n? Abramo, Isacco, Giacobbe quale
morto hanno resuscitato? Quale lebbroso hanno guarito? Non sai
che i miracoli, se non siamo vigilanti, spesso perfino danneggiano?
Così molti corinzi si divisero tra di loro °, così molti romani si in­

i Gv 10, 41. k Cf. 1 Re 19, 10. 1 Cf. 1 Re 17, 3ss.


mCf. l R e l 9 , 13; 2 Re 2, 8. n A tl3 ,2 2 . ° Cf. 1 Cor 1, lOss.

13 II Battista.
14 Acab: cf. 1 Re 17, 1; 18, 18-19; 21, 20ss.
15 Per la caverna cf. 1 Re 19, 9; il monte di Dio, l’Oreb, è menzionato in
1 Re 19, 8.
16 Cf. 1 Re 17 ,13ss.: il miracolo della farina e dell’olio; ibid., 17ss.: la re­
surrezione del figlio della vedova; ibid., 18, 20ss.: episodio del sacrificio sul
monte Carmelo.
Omelia 46, 3-4 301

superbirono p , c o s ì Simone fu cacciato17, così colui che allora de­


siderava seguire Cristo ne fu giudicato indegno udendo: Le volpi
hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi 9. Ciascuno di
questi infatti, l’uno desiderando le ricchezze, l’altro la gloria deri­
vante dai miracoli, vennero meno e perirono. L’attenzione per la
propria vita e l’amore della virtù non solo non generano tale cupi­
digia, ma anche l’eliminano se c’è. Cristo stesso, quando dava le
sue leggi ai propri discepoli, che cosa diceva? Fate miracoli perché
gli uomini li vedano? Per niente affatto, ma che cosa? Risplenda la
vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buo­
ne e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli r. E a Pietro non
disse: Se mi ami, fa’ miracoli, ma: Pasci le mie pecores. E in ogni
occasione preferendolo agli altri insieme a Giacomo e a Giovanni,
per quale motivo, dimmi, li preferiva? Per i miracoli? Certamente
tutti ugualmente guarivano i lebbrosi e resuscitavano i morti; a tut­
ti dette uguale potere. Perché dunque questi avevano la meglio su­
gli altri? Per la virtù della loro anima. Vedi che c’è sempre bisogno
di una vita retta e della dimostrazione attraverso le opere? Dai lo­
ro frutti infatti, dice, li riconosceretel.

Al MIRACOLI È PREFERIBILE UNA VITA ECCELLENTE

4. Che cosa dà sostanza alla nostra vita? Forse l’ostentazione


miracoli oppure il rigore di un comportamento eccellente? E evi­
dente che si tratta del secondo; i miracoli traggono da qui il punto di
partenza e qui hanno il punto di arrivo. Chi infatti mostra una vita
eccellente attira a sé questa grazia e chi la riceve, la riceve per rimet­
tere in ordine la vita degli altri. Anche Cristo fece quei miracoli per­
ché, rivelandosi in questo modo degno di fede e attraendo a sé, in-

PCf. Rm 12,3. qMt 8,20; L e 9,58. r M t5 ,16. s G v 2 1 ,16.


‘ Mt 7,16.20.

17 Crisostomo si riferisce a Simon Mago: cf. At 8, 18ss.


302 Omelie sul Vangelo di Matteo

traducesse la virtù nella vita. Perciò si preoccupa più di questo. Non


si limita ai miracoli, ma minaccia anche la geenna, promette il regno,
dà quelle leggi straordinarie e fa di tutto per rendere simili agli an­
geli. E che dico che Cristo fa tutto per questo? Se infatti, dimmi, ti si
facesse scegliere tra il resuscitare i morti nel suo nome e il morire per
il suo nome, che cosa preferiresti? Non è evidente che preferiresti la
seconda possibilità? Certamente l’una è un miracolo, l’altra un’im­
presa faticosa. E dunque, se ti si desse la facoltà di rendere oro l’er­
ba oppure di poter disprezzare tutte le ricchezze còme erba, non pre­
feriresti questa possibilità? Senz’altro a ragione, perché è questo che
soprattutto potrebbe attirare gli uomini. Se infatti vedessero l’erba
diventare oro, desidererebbero anch’essi ricevere questo potere, co­
me Simone18, e crescerebbe in loro l’amore per le ricchezze; se inve­
ce vedessero che tutti disprezzano l’oro come erba e non lo tengono
in nessun conto, da tempo sarebbero liberati da questa malattia.
Vedi che la vita può essere di maggior aiuto? Intendo ora vita
non se digiuni o ti distendi sul sacco e la cenere, ma se disprezzi le
ricchezze come bisogna disprezzarle, se ami teneramente, se dai il
tuo pane all’affamato, se domini l’ira, se scacci la vanagloria, se eli­
mini l’invidia. Così anch’egli insegnava: Imparate da me, dice, che
sono mite e umile di cuore u. Non ha detto: Perché ho digiunato; ep­
pure poteva parlare dei quaranta giorni19, ma non lo dice, bensì:
sono mite e umile di cuore. E ancora, quando li inviava, non ha det­
to: Digiunate, ma: Mangiate tutto quanto vi è offerto v. Certamente
riguardo alle ricchezze ha richiesto molta attenzione, dicendo: Non
possedete oro né argento né moneta di rame nelle vostre cinture w.
Dico questo non biasimando il digiuno, non sia mai!, ma anzi lo­
dandolo assai; però sono turbato dal fatto che voi, trascurando il
resto, pensiate che esso vi basti per la salvezza, mentre occupa l’ul-

u Mt 11, 29. v Le 10, 8. wMtlO,9.

18 II riferimento è sempre a Simon Mago: cf. la nota precedente.


19 Trascorsi nel deserto digiunando: cf. Mt 4, 2.
Omelia 46, 4 303

timo posto nella schiera delle virtù. Ciò che conta di più è l’amore,
la modestia, l’elemosina che supera anche la verginità; sicché se
vuoi essere uguale agli apostoli, nulla te lo impedisce. Se pratichi
questa virtù ti è sufficiente a non avere nulla di meno di quelli.

I l più g r a n d e m ir a c o lo : elim in a re il pecca to

Nessuno dunque riversi le sue aspettative nei miracoli. H demo­


nio soffre quando viene cacciato dal corpo; a maggior ragione quan­
do vede un’anima liberata dal peccato. Questo è infatti la sua gran­
de forza. Cristo è morto a causa sua, allo scopo di distruggerlo. Que­
sto ha introdotto la morte; a causa sua tutto è andato sottosopra. Se
dunque elimini il peccato, recidi la forza del diavolo, ne schiacci la
testa, ne distruggi tutta la potenza, ne disperdi l’esercito, mostri un
miracolo più grande di tutti i miracoli. Questa affermazione non è
mia, ma del beato Paolo. Dopo aver detto infatti: Aspirate ai carismi
più grandi, e io vi mostro una via migliore di tuttex, non ha continua­
to parlando di miracoli, ma dell’amore, radice di tutti i beni. Se lo
pratichiamo, e tutta la sapienza che ne deriva, non avremo bisogno
di miracoli; come, d’altra parte, se non lo pratichiamo, non trarremo
alcun vantaggio dai miracoli.
Facendo dunque tutte queste considerazioni, aspiriamo a ciò
per cui gli apostoli sono diventati grandi. In che modo sono diven­
tati grandi? Ascolta Pietro che dice: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto
e ti abbiamo seguito; che ne sarà di noi? v. Ascolta anche Cristo che
dice loro: Sederete su dodici troni, e: Chiunque avrà lasciato case o fra­
telli o padre o madre, riceverà cento volte tanto nel tempo presente e
avrà in eredità la vita eterna2. Distaccandoci dunque da tutti i beni
terreni, consacriamoci a Cristo per diventare uguali agli apostoli se­
condo quanto egli ha dichiarato, e godere della vita eterna. Voglia il
cielo che noi tutti la conseguiamo, per la grazia e la bontà di nostro
Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza nei secoli
dei secoli. Amen.

* 1 Cor 12,31. y Mt 19,27. z Mt 19, 28-29.


OMELIA 47

Gesù disse tutte queste cose alla folla in parabole e non parlava ad
essa se non in parabole, perché si adempisse quanto era stato detto
dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nasco­
ste fin dalla creazione del mondo a.

I l m eto d o d i in se g n a m e n t o m ed ia n te parabole
è prea n nu ncia to da i pro feti

1. Marco dice: Annunziava loro la parola con parabole c


erano capaci di capire b. Poi per mostrare che non introduceva nes­
suna novità, presenta il profeta che preannunzia questo metodo di
insegnamento. E per farci conoscere l’intenzione di Cristo, che
parlava in questo modo non perché essi fossero nell’ignoranza, ma
per spingerli a fare domande, ha aggiunto: e non parlava ad essa se
non in parabole-, eppure ha detto molte cose non in parabole, ma
allora no. Tuttavia nessuno lo interrogò; eppure spesso interroga­
vano 1 i profeti, come Ezechiele e molti altri, ma costoro non face­
vano niente di simile. Nondimeno quanto era stato loro detto era
capace di metterli in agitazione e di sollecitarli a fare domande,
perché le parabole minacciavano una grandissima punizione; ma
tuttavia non si smossero neppure così. Perciò li lasciò perdere e se
ne andò. Allora, dice, Gesù lasciò la folla e se ne andò a casa sua c.

a Mt 13,34-35. b Me 4, 33. c M t l3 ,3 6 .

1 Soggetto sottinteso è i giudei.


Omelia 47, 1 305

Non lo segue nessuno degli scribi, per cui è chiaro che lo seguiva­
no per nessun altro motivo se non per coglierlo in fallo. Poiché
non compresero le sue parole, allora li lasciò.

C o m e d e v o n o esse r e in t e se l e parabole

Gli si accostano i suoi discepoli per interrogarlo sulla parabola


della zizzania d. Eppure ci sono dei casi in cui essi volevano sapere
e avevano timore di interrogarlo; in questo caso da dove è venuta
loro questa franchezza? Hanno udito: A voi è dato di conoscere i
misteri del regno dei cieli e, e hanno avuto coraggio. Perciò lo in­
terrogano in privato, non per malanimo verso la moltitudine, ma
per osservare la legge del Signore. Infatti a questi, dice, non è da­
to f. E perché mai, lasciando stare la parabola del lievito e quella
della senape, fanno domande su di questa? Lasciarono stare quel­
le perché erano più chiare, mentre vollero comprendere questa, in
quanto era affine a quella esposta prima 2 e mostrava qualcosa di
più di quelle. Non desiderano sapere se aveva esposto per la se­
conda volta la stessa parabola; vedevano infatti che essa indicava
una grande minaccia. Perciò non li rimprovera, ma sviluppa quan­
to aveva detto. Come ho sempre detto, non bisogna esporre le
parabole secondo i dettagli del racconto, perché ne seguiranno
molte assurdità; Cristo stesso qui, per insegnarci questo, spiega co­
sì la parabola3. Non dice infatti chi sono i servi4 che vanno dal pa­

d Mt 13, 36. e M t l 3 ,11. f Ibid.

2 Vale a dire la parabola del seminatore.


3 Crisostomo invita a cogliere il senso complessivo delle parabole, sen­
za indugiarsi sui particolari a danno del messaggio essenziale racchiuso in es­
se. Sul problema dell’allegorizzazione delle parabole, cf. J. Jeremias, Le para­
bole di Gesù, cit., pp. 18ss.
4 II problema dell’identità di questi servi è invece posto, ad es., in un
frammento origeniano: GCS 41, p. 132.
306 Omelie sul Vangelo di Matteo

drone, ma facendo vedere che li aveva inseriti nel racconto per un


certo ordine interno e per completare l’immagine, tralascia questo
particolare e spiega ciò che soprattutto è urgente e i punti princi­
pali, per cui era stata detta la parabola, rivelandosi come giudice e
Signore di tutto.

L a m ietitu ra e la sem en te

Ed egli rispose loro: Colui che semina il buon seme è il Figlio


dell’uomo. Il campo è il mondo; il seme buono sono i figli del regno;
la zizzania sono i figli del maligno; il nemico che la semina è il dia­
volo; la mietitura è la fine del mondo; i mietitori sono gli angeli. Co­
me dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà
alla fine di questo mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli
che raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e gli operatori di
iniquità e li getteranno nella fornace ardente; lì sarà pianto e strido­
re di denti. Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del
Padre loro 6. Se è lui colui che semina e semina il suo campo e rac­
coglie dal suo regno, è evidente che anche il mondo presente è
suo. Considera la sua indicibile bontà, la sua inclinazione a fare del
bene, la sua ripugnanza a punire. Quando semina, lo fa personal­
mente, mentre quando punisce, lo fa tramite altri, cioè gli angeli.
Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro.
Si è servito di esempi a noi noti non perché solo così risplende­
ranno, ma perché non conosciamo altro più fulgido di questo
astro. Certo altrove parla della mietitura che è già arrivata, come
quando dice dei samaritani: Levate i vostri occhi e guardate i cam­
pi che già biondeggiano per la mietitura h; e ancora: La messe è mol­
ta, ma gli operai sono pochi '1. Perché dunque lì afferma che la mie­
titura è già arrivata, mentre qui ha detto che deve ancora venire?
Perché si intende secondo un altro significato. Perché in un altro
passo ha detto: Uno semina e un altro miete \ mentre qui dice che

e Mt 13, 37-43. h G v 4 ,3 5. ‘ Le 10, 2. )G v4,37.


Omelia 47, 1-2 307

chi semina è lui stesso? Perché lì parlava contrapponendo gli apo­


stoli non a se stesso, ma ai profeti, e si trattava sia dei giudei, sia
dei samaritani. Infatti egli seminava anche per mezzo dei profeti.
Talvolta chiama la stessa cosa mietitura e semente, dando una di­
versa denominazione in rapporto ad una diversa finalità.
2. Quando infatti parla della docilità e dell’obbedienza di
loro che prestano ascolto, chiama tale atteggiamento mietitura, co­
me chi ha portato a compimento tutto; quando poi ricerca il frut­
to dell’ascolto, parla di semente, e chiama mietitura la fine. E per­
ché altrove dice che i giusti vengono presi per primi? k. Vengono
presi per primi alla venuta di Cristo; gli uni vengono consegnati al­
la punizione e gli altri se ne vanno nel regno dei cieli. Poiché in­
fatti questi devono stare in cielo, mentre egli verrà qui e giudiche­
rà tutti gli uomini, pronunciando nei loro confronti la sua senten­
za, come un re si leva in mezzo ai suoi amici, conducendoli a quel­
la sorte beata. Vedi che c’è un duplice castigo, per il fatto di esse­
re arsi e di essere esclusi da quella gloria?

L e parabole d e l t eso r o e d e l l a p e r la :
ANTEPORRE A TUTTO L’ANNUNCIO EVANGELICO

Ma perché poi, dopo che quelli si furono allontanati, parla in


parabole anche a loro? Le sue parole li resero più intelligenti in mo­
do da comprendere. Del resto in seguito dice loro: Avete compreso
tutte queste cose? Gli rispondono: Sì, Signore *. Così la parabola, tra
gli altri, ottenne anche questo risultato, di renderli più perspicaci.
Che dice ancora? Il regno dei deli è simile a un tesoro nascosto in un
campo; un uomo, dopo averlo trovato, lo nascose e, pieno di gioia, ven­
de tutto quanto ba e compra quel campo. Inoltre il regno dei deli è si­
mile a un mercante che cerca perle preziose; trovata una perla di gran­
de valore, andò, vendette quanto aveva e la comprò m. Come in quel
passo il granello di senape e il lievito differiscono poco tra di loro,

k Cf. ! T s 4 , 17. ' Mt 13, 51. m Mt 13, 44-46.


308 Omelie sul Vangelo di Matteo

così anche qui avviene per queste due parabole, quelle del tesoro e
della perla. Infatti mediante entrambe allude al fatto che si deve an­
teporre a tutto l’annuncio evangelico. Le parabole del lievito e del­
la senape sono state dette con riferimento alla forza dell’annuncio
evangelico e al fatto che vincerà del tutto il mondo; queste invece
mostrano il valore e il pregio dell’annuncio. Si propaga infatti come
la senape e ha il sopravvento come il lievito, mentre è prezioso co­
me una perla e offre un’immensa ricchezza come un tesoro. Si può
apprendere non solo che bisogna privarsi di tutto il resto e attener­
si all’annuncio evangelico, ma che lo si deve fare anche con gioia; chi
perde i beni deve sapere che questo è un affare, non una perdita. Ve­
di come sia stato nascosto nel mondo l’annuncio e i beni nell’an­
nuncio? Se non vendi tutto, non compri; se non hai un’anima che si
affanna nella ricerca, non trovi. Occorrono dunque due condizioni:
tenersi lontani dai beni terreni ed essere vigilanti. Dice infatti: Il re­
gno dei cieli è simile a un mercante che cerca perle preziose; trovata
una perla di grande valore, vendette tutto e la comprò. Una sola è la
verità e non è divisa in molte parti. Come chi ha la perla sa di esse­
re ricco, ma spesso non è conosciuto dagli altri perché la tiene nella
mano - non si tratta infatti di grandezza materiale -; così anche nel
caso dell’annuncio evangelico, quelli che lo possiedono sanno di es­
sere ricchi, mentre gli increduli, non conoscendo questo tesoro,
ignorano anche la nostra ricchezza.

P e r l a salvezza n o n basta la so l a f e d e

Poi perché non confidiamo soltanto nell’annuncio evangelico


e non pensiamo che ci basti per la salvezza la sola fede, espone an­
che un’altra parabola temibile. Qual è questa? Quella della rete. Il
regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni
genere di cose; quando è piena i pescatori la tirano a riva e, sedutisi,
raccolgono le cose buone nei canestri e buttano via quelle cattive ".

n Mt 13,47-48.
Omelia 47,2 309

In che cosa differisce questa parabola da quella della zizzania? In­


fatti anche in quella alcuni si salvano e altri periscono, ma in essa
per il fatto che si seguono dottrine cattive e, anche prima di ciò,
perché non si presta attenzione a quanto viene detto. Questi inve­
ce periscono per la malvagità della vita, e sono più sventurati di
tutti perché, pur avendo raggiunto la conoscenza della verità ed
essendo stati pescati5, non possono salvarsi neppure così. Certo
altrove dice che egli stesso, come il pastore, fa la separazione °,
mentre qui dice che assolvono questo compito gli angeli p , e così
pure nella parabola della zizzania. Che dire dunque? Egli parla lo­
ro a volte in modo più dimesso, a volte in modo più elevato. Spie­
ga questa parabola senza esserne stato richiesto, ma spontanea­
mente l’ha spiegata in parte e ha accresciuto il timore. Infatti per­
ché ascoltando che buttano via le cose cattive, non pensassi che ta­
le rovina fosse senza pericolo, mediante la sua interpretazione ha
indicato la punizione dicendo: getteranno nella fornace q, e ha mo­
strato lo stridore di denti e che il dolore è indicibiler. Hai visto
quante sono le vie che portano alla rovina? Attraverso il terreno
sassoso, le spine, la strada, la zizzania, la rete. Dunque non senza
motivo diceva: Spaziosa è la via che conduce alla perdizione e molti
sono quelli che passano per essa s. Dopo aver detto ciò, dopo aver
concluso il discorso incutendo loro timore ed aver mostrato più
cose - infatti passò più tempo fra di loro 6 -, disse: Avete capito tut­
te queste cose? Gli rispondono: Sì, Signore Quindi poiché com­
presero, a sua volta li loda dicendo: Perciò ogni scriba divenuto di­
scepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal
suo tesoro cose nuove e cose antiche u. Perciò in un altro passo di­
ce: Vi manderò sapienti e scribi'’.

0 Cf. Mt 25, 32. p Cf. Mt 13, 49. <J Mt 13, 50. r Cf. ibid.
s M t7 ,13. 1 Mt 13,51. u M tl3 ,5 2 . v M t23,34.

5 Nella rete, di cui parla la parabola, vale a dire, fuor di metafora, co­
noscono la verità, ma non ne traggono vantaggio per la loro malvagità.
6 Con i suoi discepoli, cui in privato spiegava ogni cosa: cf. Me 4, 34.
310 Omelie sul Vangelo di Matteo

N ec essit à d i l e g g e r e l e S critture

3. Hai visto come non escluda l’Antico Testamento, ma an


lodi e lo celebri pubblicamente, chiamandolo tesoro? Sicché colo­
ro che sono inesperti delle divine Scritture non potrebbero essere
padroni di casa, essi che né posseggono, né ricevono dagli altri, ma
si lasciano morire di fame. Non solo questi, ma anche gli eretici so­
no esclusi da questa beatitudine, perché non estraggono cose nuo­
ve e cose antiche. Infatti non hanno le cose antiche e perciò nep­
pure quelle nuove, come quelli che non hanno le cose nuove, non
hanno neppure quelle antiche, ma sono privi di entrambe, perché
queste sono legate e connesse tra di loro. Ascoltiamo dunque,
quanti trascuriamo la lettura delle Scritture, a che grande danno, a
che grande povertà andiamo incontro. Quando vivremo operosa­
mente, se non conosciamo nemmeno le stesse leggi secondo le qua­
li si deve vivere? I ricchi che smaniano per le ricchezze, scuotono
continuamente le loro vesti perché non siano rose dalle tignole; tu
invece, vedendo che l’oblio rovina la tua anima in modo più peri­
coloso di una tignola, non leggi i libri sacri, non allontani la rovina,
non adorni la tua anima, non contempli continuamente l’immagine
della virtù e ne esamini le membra e il capo? Infatti ha capo e mem­
bra, più affascinanti di ogni corpo bello e avvenente.

L a virtù e l e su e membra

Si potrebbe dire: qual è il capo della virtù? L’umiltà. Perciò


Cristo comincia da essa dicendo: Beati i poveriw. Questo capo non
ha chiome né riccioli, ma una bellezza tale da attirare a sé Dio. Su
chi, dice, rivolgerò lo sguardo se non sul mite, l’umile e chi teme le
mie parole? x. E: I miei occhi sui miti della terra y. E: Il Signore è vi­
cino ai contriti di cuorez. Questo capo, invece di capelli e chioma,

w Mt 5, 3; Le 6, 20. * Is 66, 2. v Sai 76 (75), 10; 101 (100), 6.


z Sai 34 (33), 19.
Omelia 47, 3-4 311

offre sacrifici graditi a Dio. È un’ara d’oro e un altare spirituale:


Uno spirito contrito, infatti, è sacrificio a D io aa. Questa è la madre
della sapienza. Se uno ha questa, avrà anche il resto. Hai visto un
capo quale non hai mai visto? Vuoi vedere, anzi conoscere anche
il volto? Osserva intanto il suo colorito rosso e florido, che ha mol­
ta grazia, e impara da dove proviene. Da dove proviene? Dall’ave­
re pudore e dall’arrossire. Perciò un tale dice: La grazia precederà
la persona modestaab. Ciò effonde una grande bellezza anche sulle
altre membra. Anche se si mescolano innumerevoli colori, non si
otterrà tale bellezza. Se vuoi vedere anche gli occhi, osserva che
sono delineati con esattezza dalla modestia e dalla temperanza.
Perciò sono così belli e acuti da vedere il Signore stesso. Dice in­
fatti: Beati i puri di cuore perché vedranno D io ac. La sua bocca è la
sapienza, l’intelligenza e la conoscenza di inni spirituali. Il cuore
poi è essere esperti delle Scritture, custodire le dottrine esatte, es­
sere generosi e buoni. Come senza questo7 non è possibile vivere,
neppure senza quello8 ci si può salvare; di lì infatti nascono tutti i
beni. La virtù ha piedi e mani, la dimostrazione delle opere buo­
ne; ha l’anima, la pietà; ha un petto d’oro e più duro del diaman­
te, la fortezza; è facile conquistare tutto piuttosto che squarciare
questo petto. Lo spirito che è nel cervello e nel cuore è l’amóre.

V irtù d e l l ’evangelista M atteo

4. Vuoi che ti mostri questa immagine anche in base alle


se opere? Pensa a questo evangelista; benché non abbiamo una re­
gistrazione di tutta la sua vita, tuttavia anche da poche notizie è

aa Sai 51 (50), 19. ab Sir 32, 10. ac Mt 5, 8.

7 II capo del corpo.


8 II capo in senso spirituale, di cui Crisostomo ha parlato in precedenza
identificandolo con l’umiltà.
312 Omelie sul Vangelo di Matteo

possibile veder risplendere la sua immagine. Per sapere che era


umile e contrito, ascolta che nel vangelo chiama se stesso pubbli­
cano ad; che era anche misericordioso, considera che si privò di tut­
to e seguì G esùae; che fosse pio, è evidente dalla sua dottrina. E fa­
cile comprendere la sua perspicacia e la sua carità in base al van­
gelo che compose; infatti si prese cura del mondo intero 9. È faci­
le vedere la dimostrazione delle sue buone opere in base al trono
su cui sederà e il suo coraggio per il fatto che se ne andò lieto
dal sinedrio10.

L’um iltà e la m isericordia

Imitiamo dunque questa virtù e soprattutto l’umiltà e la mise­


ricordia, senza delle quali non è possibile salvarsi; lo dimostrano le
cinque vergini ae e con esse il fariseo **>. Senza la verginità infatti è
possibile vedere il regno, ma senza la misericordia è impossibile,
perché questa rientra tra le qualità necessarie, che sono il sostegno
di tutto. Non senza motivo quindi l’abbiamo chiamata cuore della
virtù. Ma il cuore stesso, se non alimenta tutte le membra, rapida­
mente si estingue. Come dunque anche la fonte, se trattiene in sé le
acque, imputridisce, così fanno pure i ricchi, quando trattengono i
beni presso di sé. Perciò nel linguaggio di uso comune diciamo:
Quel tale ha gran corruzione di ricchezza, e non diciamo: Ha gran­
de abbondanza, un grande tesoro. E infatti la corruzione non è so­
lo di coloro che posseggono, ma anche della ricchezza stessa. Le ve­
sti che giacciono riposte si rovinano, l’oro si arrugginisce e il grano

ad Cf. Mt 9, 9. ae Ibid.· cf. Le 5, 28. ^ Cf. Mt 19, 28.


as Cf. Mt 25, 2ss. Cf. Le 18, lOss.

9 Forse si può vedere un riferimento a Mt 28, 19, dove l’evangelista ri­


porta il precetto di Gesù di ammaestrare tutte le genti.
10 Cf. At 5, 41, dove però si parla di apostoli in generale e non di Mat­
teo in particolare.
Omelia 47, 4 313

si corrode; l’anima di chi possiede queste cose si arrugginisce e si


guasta per le preoccupazioni più di tutte queste cose. Se vuoi met­
tere in luce l’anima dell’avaro come una veste corrosa da innumere­
voli tignole, che non ha nulla di sano, la troverai corrosa da ogni
parte dalle preoccupazioni, corrotta, arrugginita dai peccati.

L a ricch ezza d e l l a povertà

Non così è invece l’anima del povero, del povero volonta­


rio n , ma risplende come l’oro, brilla come una perla, fiorisce co­
me una rosa. Non c’è tignola, non c’è ladro, non c’è preoccupa­
zione terrena, ma vivono come angeli. Vuoi vedere la bellezza di
quest’anima? Vuoi conoscere la ricchezza della povertà? Non co­
manda agli uomini, ma ai demoni, non sta accanto al re, ma sta
presso Dio, non combatte con gli uomini, ma con gli angeli, non
ha due, tre, venti forzieri, ma una tale abbondanza da ritenere che
sia nulla tutto il mondo. Non ha un tesoro, ma il cielo, non ha bi­
sogno di servi, anzi ha per schiavi le passioni, ha per schiavi i pen­
sieri che dominano i re. Questi pensieri che comandano a chi è ri­
vestito della porpora, hanno timore del povero e non osano guar­
darlo in faccia. Questi deride il regno, l’oro e tutte le cose di que­
sto genere come giochi di bambini, e considera spregevoli tutte
queste cose come fossero cerchi, giochi di astragali e giochi con la
palla. Ha infatti un ornamento che non possono neppure vedere
quelli che giocano con queste cose. Che cosa dunque ci potrebbe
essere di meglio di questo povero? Ha come fondamenta il cielo,
e se le fondamenta sono così, pensa quale sarà il tetto. Ma non ha
cavalli né cocchi? Che bisogno ne ha, dal momento che è destina­
to ad essere trasportato sulle nubi ed essere con Cristo? Pen­

ai Cf. 1 Ts 4,17; Fil 1,23.

11 Crisostomo ha cura di sottolineare l’aspetto volontario della povertà


che nasce da un proposito libero e consapevole.
314 Omelie sul Vangelo di Matteo

sando quindi a questo, uomini e donne, cerchiamo quella ricchez­


za e quell’abbondanza che non si può consumare, per conseguire
anche il regno dei cieli, per la grazia e la bontà di nostro Signore
Gesù Cristo, a cui siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Amen.
OMELIA 48

Terminate queste parabole, Gesù partì di là a.

G esù v ie n e disprezzato n et.t.a su a patria

1. Perché ha detto queste? Perché ne avrebbe dette anch


tre. Perché cambia luogo? Perché voleva seminare ovunque la pa­
rola. Venuto nella sua patria, insegnava loro nella sinagoga b. Qua­
le chiama ora sua patria? Mi sembra Nazaret. Infatti non fece lì
molti miracolic, dice, mentre a Cafarnao compì dei prodigi; perciò
diceva: E tu, Cafarnao, che sei stata innalzata fino al cielo, precipi­
terai fino agli inferi, perché, se in Sodoma fossero avvenuti i mira­
coli compiuti in te, esisterebbe fino ad oggi d. Venendo lì, rinuncia
ad operare miracoli in modo da non spingerli ad un’invidia mag­
giore e non condannarli di più a causa dell’aumento dell’incredu­
lità; ai miracoli invece antepone l’insegnamento, non meno prodi­
gioso. Questi insensati in tutto, mentre avrebbero dovuto ammi­
rare e restare sbalorditi di fronte alla potenza delle sue parole, al
contrario lo disprezzano per quello che sembrava suo padree, pur
avendo, per il passato, molti esempi di questo genere1 ed avendo
visto figli illustri di padri oscuri. Infatti David era figlio di un sem­

a Mt 13, 53. b Mt 13, 54. c Mt 13, 58. d Mt 11, 23.


e Cf. Mt 13,55.

1 Vale a dire di figli celebri, nati da padri oscuri.


316 Omelie sul Vangelo di Matteo

plice contadino, lesse; Amos 2 era figlio di un capraio e capraio lui


stesso, e il legislatore Mosè ebbe come padre uno molto inferiore
a lui. Mentre soprattutto per questo avrebbero dovuto venerarlo e
stupirsi, perché, pur essendo di tale condizione, diceva simili co­
se, in quanto era evidente che ciò non dipendeva da impegno
umano, ma dalla grazia divina, lo disprezzano per ciò per cui
avrebbero dovuto ammirarlo. Frequenta continuamente le sinago­
ghe perché, nel caso fosse vissuto sempre nel deserto, non lo ac­
cusassero maggiormente di separarsi e di essere ostile al consorzio
umano. Rimanendo dunque stupiti e trovandosi in difficoltà, di­
cevano: Da dove gli vengono questa sapienza e queste potenze? f;
chiamavano potenze i miracoli o anche la stessa sapienza. Non è
costui il figlio del carpentiere? e. Maggiore dunque doveva essere la
meraviglia e più grande lo stupore. Non si chiama Maria sua ma­
dre? E i suoi fratelli Giacomo, Ioses, Simone, Giuda? E le sue so­
relle non stanno tutte tra di noi? Da dove gli viene questo? E si scan­
dalizzavano per lui h.
Vedi che questa discussione avveniva a Nazaret? I suoi fratel­
li, si diceva, non sono quel tale e quell’altro? E allora? Questo
avrebbe dovuto soprattutto spingervi alla fede. Ma l’invidia è una
cosa cattiva e spesso contraddice se stessa. Li scandalizzava ciò che
era straordinario e meraviglioso ed era sufficiente ad attirarli al Si­
gnore. Che dice loro Cristo? Un profeta non è disprezzato se non
nella sua patria e nella sua casa. E non fece molti miracoli a causa
della loro incredulità >. Luca dice: Non fece lì molti prodigi3. E p­
pure era verosimile che ne facesse. Se infatti cresceva l’ammirazio­
ne verso di lui, e anche allora veniva ammirato, perché non ne fe­
ce? Perché il suo scopo non era l’ostentazione, ma ciò che era a Ιο­

ί Mt 13,54. e Mt 13, 55. h Mt 13, 55-57. ‘ Mt 13,57-58.

2 Su lesse cf. 1 Sam 16, lss.; per Amos, cf. Am 1,1.


3 Si tratta in realtà di Me 6, 5, dove l’evangelista dice che Gesù non po­
tè fare lì nessun miracolo, ma solo impose le mani su pochi malati e li guarì.
Luca (4, 24) riporta il detto che nessun profeta è accolto nella sua patria.
Omelia 48, 1-2 317

ro utile. Poiché dunque ciò non aveva esito positivo, mise da par­
te quanto riguardava se stesso, in modo da non accrescere la loro
punizione. Eppure considera dopo quanto tempo e dopo che
grande dimostrazione di miracoli venne da loro; però nemmeno
così lo sopportarono, ma al contrario erano infiammati dall’invi­
dia. Ma perché fece comunque pochi miracoli? Perché non dices­
sero: Medico, cura te stesso ); perché non dicessero: Ci è ostile e ne­
mico e disprezza i suoi; perché non dicessero: Se ci fossero stati
miracoli, avremmo creduto anche noi. Perciò li fece e poi smise,
sia per adempiere il suo compito, sia per non condannarli mag-.
giormente. Ma considera la potenza delle sue parole, dal momen­
to che, pur dominati dall’invidia, lo ammiravano ugualmente. Ma
come riguardo alle sue opere non biasimano il fatto in sé, ma in­
ventano motivazioni inesistenti, dicendo: Scaccia i demoni in nome
di Beelzebul^, così anche in questo caso non accusano il suo inse­
gnamento, ma ricorrono alla pochezza della sua famiglia. Osserva
la moderazione del Maestro, come non li insulti, ma dica con gran­
de mitezza: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria. E
non si è fermato qui, ma ha aggiunto: e nella sua casa·, mi sembra
che abbia fatto questa aggiunta alludendo ai suoi fratelli4.
2. In Luca presenta degli esempi di questo comportamen
dicendo che Elia non andò dai suoi, ma da una vedova straniera5,
e che nessun altro lebbroso fu guarito da Eliseo, se non lo stra­
niero Naaman ■. Non furono gli israeliti a ricevere benefici né ad
operare bene, ma gli stranieri. Dice questo per mostrare in ogni
caso la loro cattiva consuetudine e che niente di nuovo si verifica­
va con lui.

) Le 4, 23. k L c l l , 15. 1Cf. 2 Re 5, 14; Le 4, 25-27.

4 Cioè i parenti prossimi: cf. Gv 7,5: Neppure i suoi fratelli credevano in


lui.
5 La vedova di Zarepta di Sidone: cf. 1 Re 17, 9.
318 Omelie sul Vangelo di Matteo

L a PAURA DEL TIRANNO E LA GRANDEZZA DELLA VIRTÙ

In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Ge­


sù m. Era morto suo padre, il re Erode, che aveva fatto uccidere i
bambini. Non senza motivo l’evangelista indica il tempo, ma per­
ché tu conosca l’alterigia e la noncuranza del tiranno, in quanto
non si informò all’inizio di ciò che lo riguardava, ma dopo un pe­
riodo di tempo immenso. Così sono i potenti, attorniati da un
grande fasto; dopo molto tempo vengono a conoscenza di queste
cose, perché non le tengono in grande considerazione. Osserva
quanto grande sia la virtù, perché ha paura del Battista anche do­
po la sua morte e, per effetto di tale paura, pensa alla resurrezio­
ne. Sta scritto infatti: Disse ai suoi cortigiani: Costui è Giovanni
che ho fatto uccidere; è resuscitato dai morti e perciò le potenze ope­
rano in lui n. Hai visto come la paura si sia accresciuta? Allora non
ebbe il coraggio di palesarlo all’esterno, ma ne parla ai suoi servi­
tori. Tuttavia però questa opinione era rozza e assurda, perché
molti resuscitarono dai morti e nessuno fece nulla di simile. Mi
sembra che tali parole erano dettate da caparbietà e paura. Così
sono le anime irrazionali: spesso recepiscono un miscuglio di pas­
sioni opposte. Luca afferma che la gente diceva: Costui è Elia o
Geremia o uno degli antichi profeti6; Erode invece ha parlato co­
sì, come se dicesse qualche cosa di più saggio degli altri. E vero­
simile che in precedenza, di fronte a coloro che dicevano che
quello era Giovanni - molti infatti lo dicevano -, lo negasse e, con
orgoglio e facendosene un vanto, dicesse: Io l’ho fatto uccidere.
Marco e Luca affermano che egli diceva: Io ho fatto decapitare
Giovanni0. Ma poi, diffusasi questa fama, anche lui dice lo stesso
della gente.

m Mt 14, 1. n Mt 14, 2. ° Me 6, 16; Le 9, 9.

6 Cf. Le 9, 8 citato un po’ liberamente con l’aggiunta di Geremia.


Omelia 48, 2 319

L’u c c isio n e d i G iovanni B attista

Quindi l’evangelista ci narra anche quella storia 7. E perché


mai non l’ha introdotta in precedenza? Perché tutto il loro impe­
gno consisteva nel. parlare di ciò che riguardava Cristo e non face­
vano nessun’altra aggiunta rispetto a questo, a meno che non po­
tesse contribuire al medesimo intento. Quindi nemmeno ora
avrebbero menzionato quella storia, se non fosse stato a motivo di
Cristo e per il fatto che Erode diceva che Giovanni era risorto.
Marco dice che Erode, benché fosse rimproverato da lui, stimava
molto quell’uomo p. C osì grande è la virtù. Poi, narrando quei fat­
ti, si esprime in questi termini: Erode aveva arrestato Giovanni e lo
aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodiade, mo­
glie di Filippo suo fratello. Giovanni gli diceva infatti: Non ti è leci­
to tenerla. Pur volendo farlo uccidere, temeva la gente perché lo con­
siderava un profeta Perché non parla con lei, ma con Erode? Per­
ché costui aveva più autorità. Vedi come renda l’accusa non gra­
vosa, quasi raccontando un fatto piuttosto che rivolgendo un’ac­
cusa. Venuto il compleanno di Erode, dice, la figlia di Erodiade dan­
zò in pubblico e piacque ad Erode1. Che convito diabolico! Che
spettacolo satanico! Che danza scellerata e premio più scellerato
della danza! Veniva perpetrato l’assassinio più esecrabile di tutti
gli assassinii, veniva trucidato pubblicamente colui che meritava di
essere incoronato e celebrato, e sulla mensa veniva innalzato il tro­
feo dei demoni. Il modo della vittoria fu degno dei fatti stessi.
Danzò in pubblico, dice, la figlia di Erodiade e piacque ad Erode, per
cui le promise con giuramento di darle quello che avesse domanda­
to. Ed ella, istigata dalla madre, disse: Dammi qui, su un vassoio, la
testa di Giovanni il battista s. Duplice fu la colpa, in quanto danzò
e piacque e piacque tanto da ricevere un assassinio come ricom-

PCf. Me 6, 20. “J Mt 14, 3-5. r Mt 14, 6. s Mt 14, 6-8.

7 La vicenda relativa alla prigionia e all’uccisione di Giovanni Battista.


320 Omelie sul Vangelo di Matteo

pensa. Hai visto come è stato crudele? Come è stato insensibile,


insensato? Si assoggetta ad un giuramento e le dà il potere di chie­
dere quanto vuole. Dopo essersi reso conto del male che ne era de­
rivato, si rattristò, dice£; eppure fin dal principio lo aveva fatto in­
catenare. Perché si rattrista? Così è la virtù: è degna di essere am­
mirata e lodata anche dai malvagi. Che donna in preda alla follia!
Mentre avrebbe dovuto ammirarlo, venerarlo perché l’aveva dife­
sa per l’oltraggio subito 8, ordisce invece il misfatto, prepara la
trappola e chiede un beneficio satanico. Ma egli, dice, ebbe paura
a causa del giuramento e dei commensaliu. E come non hai avuto
paura di quanto era più grave? Se infatti temevi di avere testimo­
ni di uno spergiuro, a maggior ragione avresti dovuto temere di
avere tanti testimoni di un assassinio così scellerato.

L a l e g isl a z io n e fam iliare n e ll ’A n tic o T esta m ento

3. Poiché penso che molti ignorino il fondamento della co


da cui è derivato quel delitto, è necessario spiegarlo perché cono­
sciate la saggezza del legislatore. Qual era dunque l’antica legge
che Erode ha violato e Giovanni ha punito? La moglie di chi era
morto senza figli doveva essere data al fratello del defunto v. Poi­
ché la morte era un male inconsolabile e tutto si faceva per la vita,
si stabilì la legge che la vedova sposasse il fratello vivente del de­
funto e che chiamasse il figlio da lei generato col nome del defun­
to, in modo che il suo casato non si estinguesse w. Nel caso infatti
che il defunto non avesse lasciato figli, il che 9, nella morte, è una
grandissima consolazione, il dolore sarebbe stato insanabile. Per-

‘ Cf. M tl4, 9. u Ibid. v Cf. Dt 25, 5. wCf. Dt25, 6.

8 Forse Crisostomo si riferisce al fatto che il Battista rimproverava Ero­


de di tenere con sé Erodiade, moglie di suo fratello Filippo; cf. Mt 14, 3-4.
Questo sembrerebbe essere l’oltraggio di cui parla il nostro autore.
9 II fatto cioè di lasciare figli.
Omelia 48, 2-3 321

ciò il legislatore immaginò questo conforto per coloro che dalla


natura erano stati privati dei figli e ordinò che il figlio che venisse
generato fosse ascritto al defunto. Ma se c’erano figli, questo ma­
trimonio non era più consentito. E perché?, si potrebbe obiettare;
se infatti poteva sposare un altro, a maggior ragione il fratello del
defunto. Per niente affatto. Vuole 10 che la parentela si estenda e
che ci siano molte occasioni di rapporti familiari reciproci11. Per­
ché se moriva senza figli, un estraneo non sposava la vedova? Per­
ché in questo modo non si sarebbe creduto che il figlio fosse del
defunto, mentre in questo caso, se era il fratello a generare, tale
espediente era credibile. D ’altra parte un estraneo non aveva ne­
cessità di costituire la discendenza del defunto, mentre il fratello
aveva il diritto che gli derivava dalla parentela. Poiché Erode ave­
va sposato la moglie del fratello con prole, per questo motivo Gio­
vanni lo rimprovera12 e lo rimprovera misuratamente, mostrando
moderazione insieme alla franchezza.

LO SPETTACOLO SATANICO,
DURANTE IL QUALE FU UCCISO IL BATTISTA

Considera come quello spettacolo fosse tutto satanico. Innan­


zitutto era costituito di ubriachezza e di dissolutezza, da cui non
può venire nulla di buono. In secondo luogo aveva degli spettato­
ri corrotti e chi dava il banchetto era il più scellerato di tutti. In
terzo luogo il divertimento era irragionevole. In quarto luogo la ra­

10 Soggetto sottinteso può considerarsi la normativa di Dt 25, 5ss.


11 Questa che viene chiamata legge del levirato, veniva a garantire quin­
di la continuità della stirpe, oltre alla perpetuazione del ricordo del defunto,
con conseguenze anche per quanto concerne l’asse ereditario dei beni.
12 Questo è dunque E motivo del rimprovero del Battista secondo l’in­
terpretazione di Crisostomo che mostra di ritenere che il fratello di Erode
fosse morto, ma non senza figli. In realtà il rimprovero del Battista si riferiva
al fatto che Erode Antipa aveva ripudiato la moglie per sposare Erodiade che
inoltre era sua nipote.
322 Omelie sul Vangelo di Matteo

gazza, a causa della quale il matrimonio era illegittimo e che avreb­


be dovuto essere nascosta perché a causa sua la madre subiva ol­
traggio 13, sopraggiunge pavoneggiandosi, vergine che metteva in
ombra tutte le meretrici. Anche la circostanza di tempo contribui­
sce non poco a mettere sotto accusa questa iniquità, perché, quan­
do avrebbe dovuto ringraziare Dio perché in quel giorno lo aveva
fatto venire alla luce 14, ardisce compiere quell’iniquità; quando
avrebbe dovuto liberare il prigioniero, aggiunge l’assassinio alla
prigione. Ascoltate, voi vergini, anzi voi anche donne sposate, che
accettate di comportarvi così indecorosamente nei matrimoni al­
trui, ballando e saltando e disonorando la comune natura. Ascol­
tate, uomini, che cercate i sontuosi banchetti pieni di ubriachezza,
e temete l’abisso del diavolo. Difatti allora prese a viva forza quel­
lo sventurato, tanto che giurò di dare anche la metà del regno.
Questo dice Marco: Le giurò: Ti darò quello che mi chiederai, fosse
anche la metà del mio regno x. Tanto stimava il suo potere, era co­
sì prigioniero del tutto della passione da cederlo per una danza.

L a danza e il diavolo

Perché ti meravigli se allora accadeva questo, dal momento


che anche ora, dopo una così grande filosofia, per una danza di
questi giovani effeminati molti danno anche la loro anima, senza
avere neppure necessità di un giuramento? Divenuti prigionieri
del piacere, vengono condotti come mandrie dove il lupo li trasci­
na. Questo capitò anche allora a quel folle che commise due atti
estremamente insensati: dare pieni poteri a quella che era così for­
sennata, ebbra di passione e che non rifuggiva da nulla, e vincola-

x Me 6, 23.

13 Cf. la nota precedente e anche la nota 8.


14 Era infatti il compleanno di Erode: cf. Mt 14, 6.
Omelia 48, 3-4 323

re la questione alla necessità di un giuramento. Ma se quello era


così scellerato, quella donna15 lo. era più di tutti, sia della ragazza,
sia del tiranno, perché costei, che avrebbe dovuto soprattutto es­
sere grata al profeta, era l’artefice di tutti i mali e colei che aveva
ordito tutto quel misfatto. La figlia infatti, istigata da lei, si com­
portò indecorosamente, danzò e richiese l’assassinio, e Erode fu ir­
retito da lei. Vedi come giustamente diceva Cristo: Chi ama il pa­
dre o la madre più di me non è degno di me y? Se ella avesse osser­
vato questa legge, non ne avrebbe trasgredite tante, non avrebbe
perpetrato questo omicidio. Che ci potrebbe essere di peggio di
questa bestialità, chiedere un assassinio come favore, un assassinio
scellerato, un assassinio in mezzo ad un convito, un assassinio in
pubblico e in modo vergognoso? Non gli parlò di questa richiesta
avvicinandosi a lui in disparte, ma disse quello che disse in pub­
blico, gettando la maschera, a capo scoperto, con il patrocinio del
diavolo. Questi ha fatto in modo che ella si mettesse in luce dan­
zando e conquistasse Erode. Dove infatti c’è danza, lì c’è il diavo­
lo. Dio non ci ha dato i piedi per questo, ma perché camminassi­
mo in modo ben ordinato; non perché ci comportassimo indeco­
rosamente, non perché saltassimo come i cammelli - anche questi
nel saltare sono sgradevoli, molto di più le donne -, ma perché
danzassimo con gli angeli. Se è vergognoso il corpo che commette
simili indecenze, a maggior ragione lo è l’anima. Così danzano i
demoni, così scherniscono i servitori dei demoni.

Dio p e rm e tte l e s o f f e r e n z e d e l g iu s t o

4. Considera anche la richiesta in sé: Dammi qui, su un


soio, la testa di Giovanni il Battista. Hai visto quella sfacciata, quel-

y Mt 10, 37.

15 Erodiade.
324 Omelie sul Vangelo di Matteo

la che era diventata tutta del diavolo? Ricorda la sua dignità 16 e


nemmeno così si vergogna, ma, come se parlasse di una vivanda,
chiede che sia portata su un vassoio quella santa e beata testa. Non
adduce alcuna motivazione perché non poteva farlo, ma pretende
semplicemente di essere onorata con le disgrazie altrui. Non ha
detto: Introducilo qui e uccidilo, perché non avrebbe potuto sop­
portare la franchezza di colui che era in procinto di morire. Te­
meva infatti di ascoltare la terribile voce di lui, pur trucidato, per­
ché non avrebbe taciuto nemmeno sul punto di essere decapitato.
Perciò dice: Dammi qui, su un vassoio, perché desidero vedere
quella lingua tacere. Non mirava soltanto ad essere liberata da
quelle accuse, ma anche ad insultare e a schernire il caduto. Dio
tollerò e non scagliò dall’alto un fulmine né incenerì quello sguar­
do sfacciato; non ordinò alla terra di aprirsi e di inghiottire quel
convito perverso, al tempo stesso incoronando maggiormente il
giusto e lasciando un grande conforto a coloro che successiva­
mente avrebbero sofferto ingiustamente.
Ascoltiamo dunque noi quanti, vivendo nella virtù, subiamo
dei mali ad opera di uomini malvagi. Allora infatti Dio tollerò che
colui che viveva nel deserto, portava una cintura di pelle e un ve­
stito tessuto di peliz, che era profeta, il più grande dei profeti, del
quale non c’era uno più grande tra i nati di donnaaa, fosse truci­
dato ad opera di una ragazza dissoluta e di una meretrice corrot­
ta, benché difendesse le leggi divine. Pensando quindi a questo,
sopportiamo fortemente tutto ciò che soffriamo. Difatti allora
questa malvagia sanguinaria, nella misura in cui desiderò vendi­
carsi di colui che l’aveva angustiata, vi riuscì, dette sfogo a tutta la
sua collera e Dio lo permise. Eppure non disse nulla contro di lei
né l’accusò, ma rimproverò soltanto l’uomo; la sua coscienza però
era un severo accusatore. Perciò fu presa dal delirio di commette-

z Cf. Mt 3, 4. aaCf. Mt 11, 11.

16 Cioè il fatto di essere il battezzatore (Battista).'


Omelia 48, 4 325

re mali maggiori, angustiata e ferita, e disonorò tutti al tempo stes­


so: sé medesima, la figlia, il marito defunto17, l’adultero vivente; e
cercava di aggiungere altre colpe a quelle precedenti. Se, vuol di­
re, sei addolorato perché quello è un adultero, io lo rendo un omi­
cida e faccio in modo che uccida chi lo rimprovera.

L a LUSSURIA RENDE DISSOLOTI E SANGUINARI

Ascoltate, voi quanti ardete per le donne più del dovuto.


Ascoltate, voi quanti fate giuramenti per cose incerte, date la vo­
stra rovina in potere agli altri e vi scavate l’abisso. Anche costui si
è rovinato così. Si aspettò infatti che quella, che era una ragazza e
si trovava in una festa, in un banchetto, in una riunione solenne,
facesse una richiesta adatta al convito, chiedesse che le fosse elar­
gito qualcosa di lieto e di piacevole, non certamente che chiedes­
se la testa, ma si ingannò. Tuttavia però niente di questo lo giusti­
ficherà perché, anche se quella aveva un’anima di uomini che com­
battono con le belve, egli però non doveva farsi abbindolare né es­
sere così schiavo di ordini da tiranno. Innanzitutto chi non sareb­
be inorridito nel vedere quella santa testa, grondante di sangue,
posta in mezzo al banchetto? Non però lo scellerato Erode né
quella donna più esecrabile di lui. Tali sono le meretrici: le più
sfrontate e crudeli di tutte. Se noi inorridiamo ascoltando queste
cose, che cosa era naturale che provocasse allora quello spettaco­
lo? Che cosa era naturale che provassero i commensali nel vedere
in mezzo al banchetto grondare sangue da una testa recisa da po­
co? Ma quella sanguinaria, più feroce delle Erinni18, non provò
nulla davanti a questa vista, anzi ne andò superba; eppure, se non
per altro, sarebbe stato naturale che rimanesse inorridita solo per
tale spettacolo. Ma quella assassina, assetata del sangue dei profe-

17 Questo conferma che Crisostomo, come si è detto nella nota 12, rite­
neva che il marito di Erodiade, fratello di Erode, fosse morto.
18 Divinità vendicatrici che si suole identificare con le Furie dei Romani.
326 Omelie sul Vangelo di Matteo

ti, non provò niente di simile. Così è la lussuria: rende non solo
dissoluti, ma anche sanguinari. Quelle che desiderano commette­
re adulterio sono disposte anche ad uccidere gli uomini cui viene
recata offesa e sono pronte a perpetrare non solo uno né due, ma
innumerevoli omicidi. E molti sono testimoni di questi misfatti.
Questo lo fece allora anche quella, sperando di passare sotto si­
lenzio e di celare quanto aveva osato fare. Accadde tutto il con­
trario di questo, perché successivamente Giovanni gridò ancora
più fortemente.

I GIUSTI NON MALEDICONO I PECCATORI, MA LI COMPIANGONO

5. Ma la malvagità guarda soltanto al presente, come i feb


citanti, quando chiedono acqua fresca nel momento inopportuno.
Infatti se non avesse trucidato quell’accusatore, la sua audacia non
si sarebbe rivelata così. I discepoli di Giovanni, quando Erode lo
fece gettare in carcere, non dissero nulla di simile, ma quando lo
fece uccidere, allora furono costretti a indicarne anche il motivo.
Volevano tenere nascosta l’adultera e non desideravano additare al
pubblico biasimo i mali del prossimo, ma, dopo essersi trovati nel­
la necessità di raccontare quanto era accaduto, allora riferiscono
tutto il misfatto. Perché nessuno sospettasse che fosse cattiva la
causa dell’uccisione, come nel caso di Teuda e G iuda19, sono co­
stretti ad indicare anche l’occasione di quell’omicidio. Sicché
quanto più vuoi mettere in ombra in questo modo il peccato, tan­
to più lo manifesti. Un peccato infatti non si nasconde aggiungen­
done un altro, ma con la penitenza e la confessione. Considera co­
me l’evangelista racconti tutto senza animosità e, per quanto gli è
possibile, adduca anche una giustificazione. Dice in difesa di Ero­
de: a motivo dei giuramenti e dei commensali, e che si rattristò; ri­

19 Crisostomo si riferisce all’insurrezione promossa da questi due per­


sonaggi di cui si parla in At 5, 36-37; cf. anche Giuseppe Flavio, La guerra
giudaica II, 8, 1.
Omelia 48, 4-5 327

guardo alla ragazza, dice che fu istigata dalla madre e portò a lei la
testaab, come se dicesse: ha eseguito il suo ordine. Tutti i giusti in­
fatti si addolorano non per coloro che soffrono il male, ma per co­
loro che lo fanno, perché sono soprattutto costoro che soffrono il
male. Non fu Giovanni a subire il danno, ma costoro che ordiro­
no così questa macchinazione.
Imitiamo anche noi i giusti e non insultiamo i peccati del
prossimo, ma, per quanto è necessario, mettiamoli in ombra. As­
sumiamo un’anima sapiente. Difatti anche l’evangelista, parlando
di una meretrice sanguinaria, non è stato animoso, per quanto era
possibile. Non ha detto: istigata da quella sanguinaria ed esecrabi­
le; ma: istigata dalla madre, usando termini più favorevoli. Tu in­
vece insulti e parli male del prossimo e non accetteresti mai di
menzionare un fratello che ti ha angustiato così come l’evangelista
fa con quella meretrice, ma con grande ferocia e improperi lo chia­
mi malvagio, scellerato, falso, stolto e con molte altre espressioni
più dure di queste. Diventiamo più bestiali e ne parliamo come di
un estraneo 20, vituperandolo, oltraggiandolo, insultandolo. Non
così però sono i santi, ma compiangono i peccatori piuttosto che
maledirli. Facciamo anche noi così e compiangiamo Erodiade e
coloro che la imitano.

C o n tr o i c o n v iti d isso lu t i

Anche ora si svolgono molti conviti di questo genere e se pu­


re non viene ucciso Giovanni, vengono distrutte però le membra
di Cristo e in modo molto più grave. Infatti quelli che danzano ora
non richiedono una testa su un vassoio, ma le anime dei commen­
sali. Quando ne fanno degli schiavi, li spingono ad amori illeciti e

abCf. Mt 14, 8.11.

20 In quanto non viene considerato un fratello, come ha indicato Criso­


stomo in precedenza.
328 Omelie sul Vangelo di Matteo

mettono davanti delle meretrici, non tagliano la testa, ma uccido­


no l’anima, rendendoli adulteri, effeminati e fornicatori. Non mi
dirai certo che tu, avvinazzato e ubriaco, vedendo una donna bal­
lare e sentendola dire oscenità, non provi nulla nei suoi confronti
né ti lasci trasportare alla dissolutezza, vinto dal piacere. Ti capita
quella cosa tremenda, di fare delle membra di Cristo membra di
una prostitutaac. Anche se non c’è la figlia di Erodiade, però il dia­
volo, che ha ballato allora per mezzo di lei, danza ora per mezzo
di queste e se ne va portando via prigioniere le anime dei com­
mensali. Se voi potete astenervi dall’ubriachezza, partecipate però
ad un altro peccato gravissimo, perché simili conviti sono pieni di
molte rapine. Non vedere le carni e i piatti che sono imbanditi, ma
pensa alla loro origine e vedrai che provengono da vessazioni, avi­
dità, violenza, rapina. Ma, si potrebbe obiettare, questi conviti non
hanno tale provenienza. Non sia mai!, perché non lo voglio nep­
pure io. Ma anche se sono puri da queste macchie, nemmeno in
questo caso i conviti sontuosi sono esenti da motivi di accusa.
Ascolta come, anche senza questi aspetti negativi, il profeta rim­
proveri dicendo così: Guai a coloro che bevono il vino purificato e
si ungono con gli unguenti più raffinatiad. Vedi come accusi la mol­
lezza? Qui non biasima l’avidità, ma soltanto la dissolutezza.

L’in d ig e n z a c h e C r isto patisce attraverso i poveri

6. Ma tu mangi fino all’eccesso, Cristo invece nemmeno q


to al necessario; tu hai piatti diversi, lui neppure pane secco; tu be­
vi vino di Taso21, a lui, benché assetato, non hai dato nemmeno un
bicchiere di acqua fresca; tu dormi su un letto morbido e adoma-

ac Cf. 1 Cor 6, 15. ad Am 6, 6.

21 Isola dell’Egeo, paragonata da Archiloco, per la sua configurazione


montuosa, ad una schiena d’asino. Taso era celebre per i suoi vigneti oltre che
per le miniere d’oro.
Omelia 48, 5-6 329

to, lui invece si consuma al gelo 22. Perciò, anche se i conviti fosse­
ro immuni da cupidigia, sono esecrabili anche così, perché tu fai
tutto al di là del necessario, mentre non gli dai nemmeno il neces­
sario, benché tu viva nel lusso con ciò che gli appartiene. Ma se fos­
si tutore di un bambino e, prendendogli i beni, non ti curassi di lui,
anche se fosse in estrema miseria, avresti innumerevoli accusatori e
saresti punito in base alle leggi; prendendo i beni di Cristo e facen­
do spese così vane, non pensi che ne renderai conto? E non dico
questo di coloro che fanno venire le meretrici alla loro mensa, per­
ché nei confronti di essi non ho alcun discorso da fare, come nei ri­
guardi dei cani, né di quelli che sono rapaci e rimpinzano gli altri,
perché con essi non ho nulla in comune, come neppure con i por­
ci e i lupi, ma di coloro che godono delle proprie sostanze, non ne
fanno parte con gli altri, di quelli insomma che dissipano i beni pa­
temi. Neppure costoro sono esenti da accuse. Come, dimmi, sfug­
girai ad accuse e biasimi, quando il tuo parassita e il cane che ti sta
accanto si rimpinzano, mentre Cristo non ti sembra meritevole
nemmeno di ricevere queste attenzioni? Quando l’uno, per farti ri­
dere, riceve tanto, mentre l’altro, per il regno dei cieli, non riceve
neppure la minima parte di questo? L’uno se ne va via da te rim­
pinzato per averti detto qualcosa di spiritoso, l’altro invece, che ci
ha insegnato ciò che, se non l’apprendessimo, non saremmo affat­
to diversi dai cani, non viene ritenuto degno neppure delle stesse
cose che riceve quello? Inorridisci ascoltando ciò? Inorridisci dun­
que di queste azioni. Scaccia i parassiti e fa sedere Cristo alla tua
mensa. Se condivide con te il sale e la mensa23, sarà mite nel giudi­
carti: sa avere riguardo per la mensa. Se lo sanno i briganti, a mag­
gior ragione il Signore24. Pensa come, per la mensa, abbia giustifi­

22 Si notino le antitesi con cui Crisostomo delinea efficacemente il con­


trasto fra l’abbondanza di chi è insensibile alle necessità dei poveri e le pri­
vazioni patite da Cristo nella persona degli indigenti.
23 Espressione idiomatica per indicare l’ospitalità.
24 Sullo sfondo possiamo intravedere l’immagine del giudizio finale, in
cui il Signore sarà benevolo nei confronti di coloro che avranno compiuto
opere di misericordia: cf. Mt 25, 35ss.
330 Omelie sul Vangelo di Matteo

cato quella meretrice 25 e rimproveri Simone dicendo: Non mi bai


dato un bacio ae. Se infatti ti nutre anche se non fai questo, a mag­
gior ragione ti renderà il contraccambio se lo fai. Non guardare che
il povero si avvicina a te sporco e sudicio, ma pensa che Cristo, tra­
mite lui, entra nella tua casa e smetti di essere crudele e di pronun­
ciare parole aspre, con cui sempre rimproveri quelli che si accosta­
no a te, chiamandoli impostori, sfaccendati e con altre espressioni
più dure di queste. Quando dici queste cose, considera quali ope­
re compiono i parassiti, in che cosa sono utili alla tua casa. Ti ren­
dono assai piacevole il pranzo? E come te lo rendono piacevole, se
vengono battuti e dicono cose vergognose? Che c’è di più spiace­
vole di questo, quando percuoti chi è stato fatto a immagine di
Dio ύ e ti procuri un divertimento dall’oltraggio nei suoi confronti,
facendo della tua casa un teatro, riempiendo il convito di istrioni e
imitando tu, nobile e libero, quelli che salgono sulla scena rasati?
Là infatti ci sono risate e percosse. Chiami piacere, dimmi, ciò che
meriterebbe molte lacrime, molti lamenti e gemiti? Mentre dovre­
sti spingerli ad una vita virtuosa ed esortarli al dovere, tu invece li
inciti a spergiuri e parole sregolate, lo chiami divertimento e pensi
che ciò che procura la geenna sia motivo di piacere? E quando le
loro parole mancano di arguzia, risolvono tutto con giuramenti e
spergiuri26. Questo è degno di riso o non piuttosto di lamenti e di
lacrime? Quale persona assennata potrebbe dirlo?

C risto v ie n e n u trito n e i poveri

7. Dico questo non per impedire che essi vengano nutriti


non con una simile motivazione. Questo nutrimento abbia per

ae Le 7, 45. af Cf. Gn 1,26.

25 Si tratta della peccatrice di cui parla Le 7, 37ss.


26 Si noti come Crisostomo assimili l’indecenza del comportamento di
questi parassiti all’immoralità di coloro che calcano la scena del teatro e che
più volte, come abbiamo visto, il nostro autore biasima severamente.
Omelia 48, 6-7 331

fondamento la generosità, non la crudeltà, la misericordia, non


l’oltraggio. Nutrilo perché è povero, mitrilo perché Cristo viene
nutrito, non perché pronuncia parole sataniche e disonora la pro­
pria vita. Non vederlo mentre ride esteriormente, ma esamina la
sua coscienza e allora vedrai che egli maledice se stesso innumere­
voli volte, geme e si lamenta. Se non lo fa vedere, è a causa tua. I
tuoi commensali siano dunque uomini poveri e liberi, non sper­
giuri né istrioni. Se vuoi esigere da loro il contraccambio per il nu­
trimento, ordina loro, se vedono che avviene qualcosa di sconve­
niente, di rimproverare, di esortare, di aiutare nella cura della ca­
sa, nella guida dei servi. Hai figli? Siano per loro padri comuni,
condividano con te la loro guida, ti procurino quei guadagni cari
a Dio. Se vedi chi ha bisogno di protezione, ordina di portare aiu­
to, comanda di venire in soccorso. Per mezzo di questi va’ in cer­
ca dei forestieri, per mezzo di questi vesti chi è nudo, per mezzo
di questi manda a visitare i carcerati, soddisfa le necessità altrui. Ti
diano, in cambio del nutrimento, questa ricompensa, utile a te e a
loro e che non comporta alcuna riprovazione. In questo modo si
stringe maggiormente l’amicizia 27. Ora invece, anche se sembra
che siano amati, tuttavia però sono disonorati in quanto vivono
presso di te senza motivo, mentre se si comportano così, essi stes­
si si troveranno con te a loro agio e tu li nutrirai più volentieri, per­
ché la tua spesa non sarà vana. Essi staranno con te con familiari­
tà e la dovuta libertà, la tua casa diventerà per te una chiesa inve­
ce che un teatro, il diavolo scapperà e vi entreranno Cristo e la
schiera degli angeli. Dove infatti è Cristo, lì sono anche gli angeli,
e dove sono Cristo e gli angeli, lì c’è il cielo, lì c’è una luce più
splendente di quella del sole.

27 II tema dell’amicizia è ricorrente nelle opere crisostomiane; si veda il


mio studio Uamicizia in rapporto all’agape nell’opera di Giovanni Crisostomo,
«Vetera Christianorum» 21 (1984), pp. 163-179.
332 Omelie sul Vangelo di Matteo

N o n più parassiti n é ad ula to ri , ma amici

Se vuoi ricavare da loro anche un altro motivo di consolazio­


ne, ordina, quando hai tempo disponibile, di prendere i libri sacri
e di leggere la legge divina. Ti serviranno più volentieri in questo
che in quello, perché questo rende moralmente migliori te e loro,
mentre quello disonora tutti allo stesso tempo: te in quanto vio­
lento e ubriaco, quelli in quanto infelici e ghiottoni. Se li nutrì per
insultarli, questo è peggio che se li uccidessi, mentre d’altra parte
se lo fai per ciò che è utile e vantaggioso, questo giova di più che
se li riportassi indietro dopo che sono stati condotti al supplizio.
Nel primo caso li disonori più dei servi e i servi hanno maggior fa­
miliarità e coscienza libera di questi; nel secondo caso invece li
renderai pari agli angeli. Libera dunque loro e te stesso e, elimi­
nando il nome di parassiti, chiamali commensali e, escludendo il
termine di adulatori, usa quello di amici. Per questo Dio ha stabi­
lito le amicizie, non per il male di chi è amato e di chi ama, ma per
il loro bene e vantaggio. Invece le amicizie di questo tipo 28 sono
più pericolose di ogni inimicizia, perché dai nemici, se vogliamo,
traiamo anche vantaggi, mentre necessariamente da costoro siamo
senz’altro danneggiati. Non mantenere gli amici che sono maestri di
rovina; non mantenere gli amici che amano più la mensa dell’ami­
cizia. Tutti costoro infatti se abolisci le mollezze, aboliscono anche
l’amicizia, mentre quelli che ti frequentano per la virtù, rimango­
no continuamente nell’amicizia sopportando ogni vicissitudine.
La genia dei parassiti spesso ti combatte e ti procura cattiva fama.
So quindi che molti uomini liberi, essendo stati colpiti da cattivi
sospetti, sono stati accusati gli uni di magia, gli altri di adulterio e
di corruzione di fanciulli. Dal momento che non hanno nulla da
fare, ma vivono inutilmente la loro vita, sono sospettati da molti di
assolvere la stessa funzione dei servi29. Per liberarci dunque da

28 Cioè quelle di tipo servile e disonorevole che ha descritto nel com­


portamento dei parassiti.
29 Nel senso che questi parassiti, con il loro servilismo, sono disposti a
compiere le azioni più infamanti.
Omelia 48, 7 333

questa cattiva fama e innanzitutto dalla futura geenna e per fare


ciò che piace a Dio, eliminiamo questa diabolica consuetudine af­
finché, sia che mangiamo, sia che beviamo, facciamo tutto per la
gloria di Dio as e godiamo della gloria che viene da lui. Voglia il cie­
lo che tutti noi la conseguiamo, per la grazia e la bontà di nostro
Signore Gesù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza, ora e
sempre e nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 49

Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luo­


go deserto, ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi da tutte le cittàa.

G e sù m ostra la sua umanità

1. Vedi che in ogni occasione si ritira, sia quando Giovan


arrestato, sia quando fu ucciso, sia quando i giudei vennero a sa­
pere che faceva molti discepoli. Vuole infatti disporre la maggior
parte delle sue azioni in modo umano, perché il momento non ri­
chiedeva ancora che rivelasse chiaramente la sua divinità. Perciò
diceva ai discepoli di non dire a nessuno che era il Cristo, in quan­
to voleva che ciò fosse meglio noto dopo la resurrezione. Per que­
sto non era molto severo, ma anzi indulgente nei confronti dei giu­
dei che allora erano diffidenti. Nel ritirarsi poi non se ne va in cit­
tà, ma nel deserto e su una barca in modo che nessuno lo seguis­
se. Considera come i discepoli di Giovanni si unissero quindi mag­
giormente a Gesù: essi sono quelli che gli avevano riferito quanto
era accaduto, e, lasciati tutti, si rifugiano poi da lui. Così non pic­
colo fu il risultato che conseguì, insieme a quella disgrazia !, anche
ciò che già era stato disposto da lui con quella risposta2. Ma per­

a Mt 14, 13.

1 L’uccisione del Battista.


2 La risposta data da Gesù ai discepoli di Giovanni: cf. Mt 11, 4ss.
Omelia 49, 1 335

ché non si ritirò prima che essi gli riferissero quella notizia, seb­
bene conoscesse l’accaduto anche prima che glielo annunciassero?
Per dimostrare in ogni modo la verità dell’incarnazione, perché
voleva che lo si credesse non solo mediante la vista, ma anche con
i fatti, in quanto conosceva la malizia del diavolo e che avrebbe fat­
to di tutto per distruggere questa concezione. Perciò dunque egli
si ritira, ma le folle non si allontanano da lui nemmeno in questa
circostanza, lo seguono attaccate a lui, e non le spaventò neppure
quanto era accaduto a Giovanni. Così grande è l’affetto, così
grande è l’amore: così supera e rimuove tutte le difficoltà. Perciò
ricevettero subito la ricompensa.

I m m en sa co m pa ssio n e d i G esù p er l e f o l l e

Sceso dalla barca, dice, Gesù vide una grande folla e sentì com­
passione per loro e guarì i loro malatih. Se infatti grande era il loro
attaccamento a lui, tuttavia però ciò che egli faceva oltrepassava la
ricompensa di qualunque fervore. Perciò indica anche, come causa
di simili guarigioni, la compassione, una compassione immensa; e
guarisce tutti. In questo caso non richiede la fede, perché con l’av­
vicinarsi a lui, l’abbandonare le città, il cercarlo accuratamente, il re­
stare con lui, nonostante i morsi della fame, dimostrano la loro fe­
de. Sta anche per nutrirli. Non lo fa di sua iniziativa, ma aspetta di
essere supplicato, osservando sempre, come dicevo, questa regola,
di non affrettarsi per primo a fare i miracoli, ma quando viene in­
vocato. E perché nessuno della folla gli si avvicinò e gli parlò in lo­
ro favore? Avevano per lui un immenso rispetto e non avvertivano
nemmeno la fame per il desiderio di stargli vicino. Ma neppure i
suoi discepoli gli si avvicinano e gli dicono: Nutrili, perché erano an­
cora imperfetti, ma che fanno? Sul far della sera, dice, gli si accosta­
rono i suoi discepoli dicendo: Il luogo è deserto ed è ormai tardi; con­
geda la folla perché vada a comprarsi da mangiarec. Se infatti anche

b Mt 14,14. c Mt 14, 15.


336 Omelie sul Vangelo di Matteo

dopo il miracolo si dimenticarono di quanto era accaduto e, dopo


che erano avanzate le ceste, pensavano che egli parlasse dei pani,
quando chiamò lievito l’insegnamento dei fariseid, a maggior ragio­
ne, non avendo ancora sperimentato un simile prodigio, non si sa­
rebbero aspettati che accadesse qualcosa di simile. Eppure guarì in
precedenza molti infermi, ma tuttavia neppure così si aspettarono il
miracolo dei pani, tanto erano imperfetti allora.

S apien za d i G esù

Considera la sapienza del Maestro, come li spinga chiaramen­


te alla fede, perché non ha detto subito: Li nutro, in quanto non
sarebbe stato credibile, ma che cosa? Gesù, dice, rispose loro: Non
occorre che vadano; date loro da mangiaree. Non ha detto: Do loro,
ma: Date voi. Infatti guardavano ancora a lui come ad un uomo.
Essi neppure così si innalzarono ad un livello superiore, ma gli
parlano ancora come ad un uomo dicendo: Non abbiamo che cin­
que pani e due pesci f. Perciò Marco dice che non compresero
quanto aveva detto perché il loro cuore era indurito e. Poiché dun­
que strisciavano ancora a terra3, interviene allora direttamente e
dice: Portatemeli qua h. Anche se il luogo è deserto, è presente pe­
rò chi nutre il mondo; anche se è tardi, parla a voi però chi non è
soggetto al tempo. Giovanni da parte sua dice anche che quei pa­
ni erano d’orzo ‘ e non è questo un particolare secondario che rac­
conta, ma lo fa per insegnarci a calpestare il fasto del lusso. Così
era anche la mensa dei profeti4. Presi dunque, dice, i cinque pani e

d Cf. Mt 16, 6ss. e Mt 14, 16. f Mt 14, 17. s Cf. Me 8, 17.


h Mt 14,18. ‘ Cf. Gv 6, 9.

3 Nel senso che avevano ancora una mentalità terrena e consideravano


Gesù soltanto da un punto di vista umano. .
4 Si pensi alla moltiplicazione dei pani d’orzo ad opera di Eliseo: cf. 2
Re 4 ,42ss.
Omelia 49, 1-2 337

i due pesci e, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, alzati
gli occhi al cielo, li benedisse e, spezzatili, li diede ai suoi discepoli e
i discepoli alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati, e portarono
via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangia­
to erano cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambinii.

C risto c o m pie i p r o d ig i sia c o n a u torità sia c o n umiltà

2. Perché alzò gli occhi al cielo e benedisse? Bisognava


dere che veniva dal Padre ed era uguale a lui. Le prove di queste
verità sembravano essere in contraddizione fra di loro, perché il
fatto di compiere tutto con autorità dimostrava la sua uguaglian­
za, mentre non avrebbero potuto credere che proveniva dal Padre
in nessun altro modo se non avesse fatto tutto con molta umiltà e
attribuendolo a lui e invocandolo per le opere che realizzava. Per­
ciò non agiva solo in un senso né solo in un altro, perché entram­
be le verità fossero confermate; ora compie i prodigi con autorità,
ora pregando. Quindi perché d’altra parte non sembrasse che in
ciò ci fosse una contraddizione, nei casi meno rilevanti alza gli oc­
chi al cielo, mentre in quelli più importanti opera tutto con auto­
rità, perché tu sappia che anche nei casi meno rilevanti agiva così
non perché ricevesse la potenza da un’altra parte, ma perché ono­
rava colui che l’aveva generato. Quando rimise i peccati, aprì il
paradiso e vi fece entrare il ladrone k, pose termine con grande au­
torità all’antica legge, risuscitò innumerevoli morti, mise un freno
al mare, smascherò i segreti degli uomini, fece un occhio5, e que­
ste sono opere soltanto di Dio e di nessun altro, non appare mai in

)Mt 14,19-21. k Cf. Le 23, 43.

5 Crisostomo allude al fatto che Gesù fece del fango e lo mise sugli oc­
chi del cieco nato, restituendogli la vista: cf. Gv 9, 6. Questo gesto è assimi­
lato in qualche modo da Crisostomo all’atto creativo con cui Dio plasmò l’uo­
mo con polvere del suolo: cf. Gn 2, 7.
338 Omelie sul Vangelo di Matteo

atto di pregare; quando invece fece scaturire i pani, il che era un


prodigio molto inferiore rispetto a tutti questi, allora alza gli occhi
al cielo, sia per dimostrare ciò che ho detto, sia per insegnarci a
non accostarci alla mensa prima di aver ringraziato chi ci offre
questo nutrimento.

I l p r o d ig io operato da C risto
NON ERA INFERIORE A QUELLO DELLA CREAZIONE

E perché non fa i pani dal nulla? Per chiudere la bocca a Mar-


cione e a Mani, che guardano alla creazione come se fosse estranea
a lui6, per insegnare mediante le opere stesse che anche tutte le co­
se visibili sono sue opere e creature e per dimostrare che è lui che
dà i frutti, lui che ha detto in principio: La terra produca erba del
campo *, e: Le acque brulichino di esseri viventim. Questa opera non
era inferiore a quella, perché se quegli esseri erano dal nulla, tut­
tavia però provenivano dall’acqua. Fare tanti pani da cinque di es­
si e altrettanti dai pesci non era impresa inferiore a quella di mo­
strare frutti dalla terra e esseri viventi dalle acque, il che era segno
che egli dominava la terra e il mare. Poiché faceva sempre i suoi
prodigi tra gli infermi, fa anche un beneficio generale perché la
folla non fosse soltanto spettatrice di ciò che accadeva agli altri,
ma usufruisse anche del suo dono. E quello che nel deserto sem­
brava meraviglioso ai giudei, perché dicevano: Può forse dare del
pane o imbandire una mensa nel deserto? n, lo mostra per mezzo
delle sue opere. Per questo li conduce nel deserto, perché il pro­
digio fosse assolutamente esente da sospetti e nessuno pensasse
che da un villaggio lì vicino fosse venuto qualcosa per la loro men­
sa. Perciò ricorda anche l’ora e non soltanto il luogo.

• G n l , 11. m Gn 1, 20. n Sai 78 (77), 20.

6 Come si è già visto, manichei e marcioniti rifiutavano l’Antico Testa­


mento ed avevano una concezione negativa della materia e del mondo.
Omelia 49, 2 339

S o brietà d e l l o st il e d i vita d ei d isc e p o l i d i C risto

Riceviamo un altro insegnamento, vale a dire la filosofia dei


discepoli nelle necessità della vita, e come non si curassero del nu­
trimento. Pur essendo infatti dodici, avevano solo cinque pani e
due pesci; tanto erano per loro secondarie le cose materiali, e si
applicavano solo a quelle spirituali. E non si tenevano stretto
neppure quel poco che avevano, ma, appena ne furono richiesti,
lo dettero. Da questo atteggiamento dobbiamo ricevere l’insegna­
mento che, per poco che abbiamo, dobbiamo elargirlo ai biso­
gnosi. Ricevuto l’ordine di portare i cinque pani, non dicono: E da
dove ci verrà il sostentamento? Come placheremo la nostra fame?,
ma subito obbediscono. Oltre a quello che ho detto, a mio parere
compie il prodigio con ciò che era disponibile per condurli alla fe­
de; difatti erano ancora abbastanza deboli. Perciò alza gli occhi al
cielo. Degli altri miracoli avevano molti esempi, ma di questo nes­
suno. Presi dunque i pani, li spezzò e li dette per mezzo dei di­
scepoli, onorandoli in questo modo, e non soltanto onorandoli,
ma perché, avvenuto il prodigio, non fossero increduli e non lo
dimenticassero dopo che era trascorso, in quanto ne erano testi­
moni le loro mani. Perciò permette che prima le folle avvertano la
fame e aspetta che prima essi si accostino a lui e lo interroghino,
fa sedere la gente tramite loro e distribuisce per mezzo di essi, vo­
lendo prevenire ciascuno mediante la loro propria ammissione e
le loro azioni. Perciò riceve i pani da loro, perché molte siano le
testimonianze dell’evento ed essi abbiano dei ricordi del prodigio.
Se pure se ne dimenticarono, nonostante si fosse verificato ciò,
che non sarebbe accaduto loro se non avesse escogitato questo?
Ordina che essi si stendano sull’erba, per insegnare alle folle a fi­
losofare7. Non voleva infatti nutrire solo i corpi, ma istruire anche
l’anima.

7 Si tratta sempre della sapienza insegnata da Cristo e che si attualizza


nella vita del credente.
340 Omelie sul Vangelo di Matteo

I n s e g n a m e l i d i G esù in o c c a sio n e d e l m iraco lo

3. Servendosi dunque di quel luogo e del fatto che non d


niente di più di pani e pesci e metteva davanti a tutti le medesime
cose e le rendeva comuni e non offriva all’uno niente di più del­
l’altro, insegnava l’umiltà, la temperanza, l’amore, ad avere la stes­
sa disposizione gli uni verso gli altri e a ritenere che tutto fosse co­
mune. Spezzatili, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla. Spezza­
ti i cinque pani, li diede e quei cinque nelle mani dei discepoli ne
facevano scaturire altri. Il prodigio non si ferma qui, ma li fece an­
che avanzare e fece sì che avanzassero non pani interi, ma pezzi °,
per dimostrare che questi erano resti di quei pani e in modo tale
che gli assenti venissero a sapere dell’accaduto. Perciò permise che
le folle avessero fame, perché nessuno pensasse che l’accaduto era
frutto di immaginazione. Perciò fece avanzare dodici ceste, perché
anche Giuda ne portasse una. Avrebbe potuto anche estinguere la
fame, ma i discepoli non avrebbero conosciuto la sua potenza,
perché questo era accaduto anche ai tempi di Elia p . Per questo
miracolo i giudei furono tanto colpiti da lui, che volevano farlo
re q, sebbene non avessero avuto questo proposito in occasione di
nessuno degli altri prodigi. Quale discorso dunque potrebbe mo­
strare come quei pani ne fecero scaturire altri? Come affluivano
nel deserto? Come furono sufficienti per tanti - erano infatti cin­
quemila, senza contare donne e bambini, e questo costituiva un
grandissimo elogio per quel popolo, il fatto cioè che assistessero
donne e uomini - ? Come ci furono quegli avanzi - e anche questo
fu un prodigio non inferiore al precedente - , e furono tanti che le
ceste furono dello stesso numero dei discepoli, né più né meno?
Presi dunque i pezzi, non li diede alle folle, ma ai discepoli, per­
ché le folle erano più imperfette dei discepoli.
Dopo aver compiuto il miracolo, subito ordinò ai discepoli di
salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avreb­
be congedato la fo lla r. Se infatti, rimanendo presente, poteva sem­

° Cf. Mt 14,20. p Cf. 1 Re 17, 9ss. q C f.G v ó , 15. ^Μ ι1 4 ,2 2 .


Omelia 49, 3 341

brare che avesse compiuto un’azione immaginaria e non reale, non


era certamente così in caso di sua assenza 8. Perciò, affidando
quanto era accaduto ad ima prova accurata, ordinò che si separas­
sero da lui coloro che avevano ricevuto la memoria e la dimostra­
zione dei prodigi9. E d’altronde, quando compie grandi imprese,
allontana le folle e i discepoli, per insegnarci a non andare in cer­
ca in nessuna occasione della gloria da parte della gente e a non
trascinarci dietro la moltitudine. Quando dice: ordinò, indica il
grande attaccamento dei discepoli. Li mandò via con il pretesto
delle folle, ma in realtà perché voleva salire sul montes; lo fece an­
cora per insegnarci a non mescolarci continuamente con le folle né
a fuggire sempre la moltitudine, ma ad avere entrambi gli atteg­
giamenti in base all’utilità e a mutare ciascuno di essi secondo la
necessità.

C ercare il pan e c e l e st e

Impariamo dunque anche noi a stare vicini a Gesù, ma non


perché ci dia i beni sensibili, per non essere biasimati come i giu­
dei. Dice infatti: M i cercate non perché avete visto dei prodigi, ma
perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziatit. Perciò non fa
continuamente questo prodigio, ma soltanto due volte, in modo
che essi siano ammaestrati a non essere schiavi del ventre, ma a
cercare sempre i beni spirituali. Teniamoci quindi stretti a questi
anche noi e cerchiamo il pane celeste e, dopo averlo preso, scac­
ciamo ogni preoccupazione terrena. Se infatti quelli lasciarono ca­
se, città, parenti, tutto e se ne stavano nel deserto e, nonostante

*C f. M tl4,2 3 . 1 Gv 6, 26.

8 In quanto rimanevano le prove del miracolo operato da Cristo, come


dimostravano i pezzi di pane avanzati.
9 Vale a dire i discepoli.
342 Omelie sul Vangelo di Matteo

l’urgenza della fame, non si allontanavano, a maggior ragione noi,


che ci accostiamo ad una tale mensa, dobbiamo mostrare una
maggiore filosofia e amare i beni spirituali e cercare quelli sensibi­
li dopo di essi. Anche essi furono rimproverati non perché lo cer­
carono per il pane, ma perché lo cercarono solo per questo e prin­
cipalmente per questo. Se uno disprezza i grandi doni e cerca in­
vece quelli piccoli, perde anche quelli che chi li dà vuole che di­
sprezzi, mentre se amiamo quelli, aggiunge anche questi, perché
questi sono un’appendice di quelli e così di poco conto e piccoli
in confronto con quelli, anche se sono grandi. Non preoccupia­
moci dunque di questi, ma riteniamo che sia indifferente sia pos­
sederli, sia esserne privati10, come Giobbe che né era attaccato ai
beni quando c’erano, né li cercava quando non c’erano. Le ric­
chezze si chiamano così non perché le sotterriamo, ma perché ce
ne serviamo come si conviene π. E come ciascun artigiano ha la
propria competenza, così il ricco non sa lavorare i metalli né co­
struire navi né tessere né costruire case né nient’altro di simile12;
impari dunque a servirsi della ricchezza come si conviene e ad ave­
re misericordia verso i bisognosi e conoscerà un’arte migliore di
tutte quelle.

L’arte d e l l a m isericordia

4. Questa infatti è più sublime di tutte quelle arti. Il su


boratorio si edifica nei cieli. Essa ha gli strumenti che non deriva­
no dal ferro e dal bronzo, ma dalla bontà e dalla volontà. Di que­
sta arte è maestro Cristo e suo Padre. Siate misericordiosi, dice, co­

10 Come abbiamo già avuto modo di rilevare, si può notare qui un in­
flusso di matrice stoica.
11 Crisostomo accosta il t. cbrémata (ricchezze) al verbo chràomai (uso,
mi servo).
12 II nostro autore vede in questo tipo di ricco una persona improdutti­
va che ha bisogno quindi del lavoro altrui: cf. in proposito il mio studio Ric­
chezza e povertà nelle omelie di Giovanni Crisostomo, L’Aquila 1973, p. 70.
Omelia 49, 3-4 343

me il Padre vostro che è nei cieli u. E ciò che è meraviglioso consi­


ste nel fatto che, pur essendo così migliore delle altre, non ha bi­
sogno di fatica né di tempo per essere realizzata; basta volere e tut­
to si porta a termine. Vediamo qual è il suo fine. Qual è dunque il
suo fine? Il cielo, i beni celesti, quella gloria ineffabile, i talami spi­
rituali, le lampade splendenti, la vita con lo Sposo, gli altri beni
che nessun discorso né la mente possono indicare. Sicché anche da
questo punto di vista grande è la differenza tra questa e le altre ar­
ti. Difatti la maggior parte delle arti ci è utile per la vita presente,
mentre questa lo è anche per la vita futura. Se c’è tanta differenza
con le arti che ci sono necessarie per il presente, quali, intendo di­
re, la medicina, l’architettura e altre simili, a maggior ragione con
le altre che, se si esamina con attenzione, non si potrebbero defi­
nire arti, per cui non potrei dire che siano arti quelle altre che so­
no inutili. Come ci sono utili infatti le arti della cucina e delle lec­
cornie? Per niente affatto, ma anzi sono molto inutili e dannose,
perché rovinano il corpo e l’anima introducendo, con grande pro­
digalità, la dissolutezza, madre di tutte le infermità e passioni. Non
solo queste, ma nemmeno quelle della pittura e del ricamo potrei
dire che siano arti, perché spingono solo verso spese inutili.

V era e falsa arte

Le arti devono procurare e provvedere a ciò che è necessario


e sostiene la nostra vita; perciò Dio ci ha dato la sapienza, perché
troviamo le vie, per mezzo delle quali potremo organizzare la no­
stra vita13. Ma, dimmi, a che è utile che ci siano delle figure sulle

u Le 6,36.

13 II discorso di Crisostomo è funzionale all’intento morale di condan­


nare il lusso smodato, come si vedrà successivamente, e di esortare i suoi
ascoltatori a condurre una vita semplice ed essenziale.
344 Omelie sul Vangelo di Matteo

pareti o sui vestiti? Perciò bisogna eliminare molto dell’arte dei cal­
zolai e dei tessitori, perché hanno volto al lusso per lo più la loro
arte, guastando quanto in essa c’è di necessario, mescolando all’ar­
te la falsa arte, il che è accaduto anche all’architettura. Ma come la
chiamo arte finché costruisce case e non teatri, fa ciò che è neces­
sario e non il superfluo, così definisco arte quella della tessitura fin­
ché fa vesti e sopravvesti e non imita le tele di ragno e provoca gran
riso e una mollezza indicibile. Non priverò del nome di arte quella
dei calzolai finché fa le scarpe, ma quando spinge gli uomini ad at­
teggiamenti da donne e, mediante le calzature, li rende effeminati e
rammolliti, la collocheremo tra le cose dannose e vane e non la
chiameremo arte. So che a molti sembro gretto occupandomi di
queste cose, ma non per questo desisterò. Causa di tutti i mali è ri­
tenere che questi peccati siano di poco conto e per questo trascu­
rarli. Ma, si potrebbe obiettare, quale peccato ci potrebbe essere di
minor conto di questo, vale a dire avere una calzatura adornata e
splendente, aderente al piede, se pure sembra giusto chiamarlo
peccato? Volete che gli parli contro e mostri quanta è la sua vergo­
gna, e non vi adirerete? Anzi, anche se vi adirate, non ne tengo mol­
to conto, perché voi siete colpevoli di questa insensatezza, voi che
non pensate che questo sia peccato e quindi ci costringete a lan­
ciarci in accuse verso questa dissolutezza.

I l lu sso sm odato d e l l e calzature

5. Ebbene, esaminiamolo e vediamo di che male si tra


Quando cucite nelle calzature tessuti di seta che non sarebbe be­
ne tessere neppure nelle vesti, quanto scherno, quanta derisione
meritano? Se disprezzi il nostro giudizio, ascolta la voce di Paolo,
che proibisce queste cose con grande veemenza e allora ti accor­
gerai di quanto siano ridicole. Che cosa dice dunque? Non con
trecce o oro o perle o vesti sontuose 14. Che indulgenza potresti me-

14 Cf. 1 Tm 2, 9: il riferimento è all’abbigliamento delle donne che sono


esortate a adornarsi di opere buone.
Omelia 49, 4-5 345

ritare, dal momento che Paolo non permette alla donna sposata di
avere vesti sontuose e tu estendi questa mollezza anche alle scarpe
e fai innumerevoli preparativi per questa ridicola insolenza? Di­
fatti una nave viene costruita, vengono scelti rematori, il pilota di
prua e il nocchiero, viene distesa la vela, il mare viene solcato e il
mercante, lasciati moglie, figli e patria, affida ai flutti la propria vi­
ta, va nella regione dei barbari e affronta innumerevoli pericoli per
questi tessuti, perché tu, dopo tutte quelle peripezie, li prenda e li
faccia cucire sulle calzature e ne adorni la pelle. Che ci potrebbe
essere di peggio di questa stoltezza? Le calzature di un tempo pe­
rò non erano così, ma erano adatte a uomini. Per cui temo che, con
il passare del tempo, i nostri giovani avranno calzature da donne e
non se ne vergogneranno. Quello che è più grave è che i padri, ve­
dendo ciò, non si sdegnano, ma anzi ritengono che la cosa sia in­
differente. Volete che dica ciò che è ancora più grave, che cioè
questo avviene pur essendoci molti poveri? Volete che presenti
Cristo affamato, nudo, ovunque fatto prigioniero e incatenato? Di
quanti fulmini non sareste degni voi che, mentre lo trascurate,
benché manchi del nutrimento necessario, adornate invece la pel­
le 15 con tanto impegno? Egli, quando dava ai discepoli le sue leg­
gi, non permetteva di avere neppure semplicemente dei calzariv;
noi invece non solo non sopportiamo di camminare a piedi nudi,
ma nemmeno calzati come si conviene. Che ci potrebbe essere
dunque di peggio di questo disordine? Di questa cosa ridicola?
Questo è proprio di un’anima effeminata, dura, crudele, che si oc­
cupa di cose inutili e vane. Quando chi si occupa di queste vanità
potrà badare a qualche cosa di necessario? Quando un giovane di
questo genere accetterà di prendersi cura dell’anima o almeno di
pensare di avere un’anima? Sarà meschino chi si lascia costringere
ad ammirare simili cose, crudele chi per esse non si cura dei po­

v Cf. Mt 10,10.

15 La pelle delle calzature.


346 Omelie sul Vangelo di Matteo

veri, privo di virtù chi mette tutto il suo impegno in tali cose. Chi
esamina con eccessiva curiosità il pregio dei tessuti, lo splendore
dei colori, le edere che risaltano da tali tessuti, quando potrà guar­
dare verso il cielo? Quando ammirerà la bellezza di lassù chi è esta­
siato di fronte alla bellezza delle pelli e si curva a terra? Dio ha di­
steso il cielo e ha acceso il sole per attirare il tuo sguardo verso l’al­
to, ma tu costringi te stesso a chinarti in basso e verso la terra co­
me i porci e obbedisci al diavolo, perché questo malvagio demonio
ha escogitato tale vergogna per allontanarti da quella bellezza. Per­
ciò ti ha trascinato qua, e Dio che mostra il cielo viene superato in
onore dal diavolo che mostra le pelli, anzi nemmeno le pelli, per­
ché anche queste sono opera di Dio, ma la mollezza ed un’arte cat­
tiva. Il giovane, a cui è stato ordinato di meditare sulle realtà cele­
sti 16, se ne va in giro chinandosi in basso verso la terra, vantando­
si di queste calzature più che se avesse realizzato qualcosa di gran­
de, e camminando in punta di piedi in piazza e procurandosi quin­
di vani affanni e angustie, nel timore di sporcarle di fango d’inver­
no e di coprirle di polvere al sopraggiungere dell’estate. Che dici,
uomo? Con questa dissolutezza hai gettato nel fango l’anima inte­
ra, non ti curi che strisci per terra e ti affanni tanto per delle scar­
pe? Impara qual è il loro uso e vergognati del giudizio che dai nei
loro confronti. Le scarpe sono state fatte per calpestare fango e
melma e ogni sporcizia che c’è sul suolo. Se non lo accetti, prendi­
le, attaccale al collo oppure mettile intorno alla testa.

E sem pi d i giovani d isso lu t i e frivoli

6. Voi ridete ascoltando queste cose 17; a me invece vien


piangere per la follia di costoro e per la loro premura in queste co­

16 Si può vedere un’allusione all’episodio del giovane ricco: cf. Mt 19,


16ss.
17 E questa un’interessante testimonianza di Crisostomo sulle reazioni
del pubblico che assisteva alla sua predicazione e che egli sollecitava in vario
modo a riformare la propria condotta di vita.
Omelia 49, 5-6 347

se, perché preferirebbero sporcare di fango il corpo piuttosto che


quelle pelli. Così dunque diventano da una parte gretti, dall’altra
avidi di denaro, perché chi è abituato a smaniare e ad affannarsi per
simili cose, ha bisogno di molte spese e di molte entrate per le vesti
e per tutto il resto. Se ha un padre generoso, diventa maggiormente
prigioniero18, accrescendo questo assurdo desiderio; se invece ne ha
uno avaro, è costretto a compiere altre azioni indecorose per mette­
re insieme del denaro per fare tali spese. Di conseguenza molti gio­
vani hanno venduto la loro bellezza e sono diventati parassiti dei ric­
chi e si sono sottoposti ad altre incombenze servili per comprare in
cambio di queste la possibilità di soddisfare simili desideri. Da que­
sto risulta evidente che costui sarà avido di ricchezze e meschino e
più indolente di tutti riguardo a ciò che è necessario, e si vedrà co­
stretto a peccare molto; che sarà poi crudele e vanaglorioso, nessu­
no lo negherà: crudele, perché, vedendo un povero, non gli sembra
nemmeno di averlo visto a causa del desiderio degli ornamenti, ma
adorna con l’oro le scarpe, mentre non si cura che quello sia con­
sunto dalla fame; vanaglorioso, dal momento che gli viene insegna­
to ad andare a caccia della gloria da parte di quelli che lo vedono,
anche nelle piccole cose. Penso che un generale non vada orgoglio­
so per i suoi eserciti e trofei così come i giovani dissoluti per gli or­
namenti delle scarpe, le vesti strascinate, l’acconciatura della testa;
certo tutto questo è opera di altri artigiani. E se non desistono dal­
l’essere vanagloriosi in ciò che è estraneo, quando smetteranno di
esserlo in ciò che è proprio?19. Devo dire altre cose più gravi di que­
ste o ciò vi basta? Dunque è necessario porre termine qui al discor­
so, perché ho detto queste cose a causa di coloro che si sforzano di
sostenere che tale atteggiamento non è affatto sconveniente. So che
molti giovani non presteranno attenzione a queste parole, ebbri co­
me sono della loro passione, ma certamente non per questo si do­
veva tacere. I padri che hanno senno e sono finora sani, li potranno

18 Vale a dire della passione del lusso smodato.


19 In ciò che si riferisce alla loro persona, alle loro qualità, al di là degli
ornamenti esteriori.
348 Omelie sul Vangelo di Matteo

condurre, anche controvoglia, al dovuto decoro. Non dire quindi:


«Questo non ha importanza e nemmeno quello»; questo, questo ha
rovinato tutto. Bisognerebbe educarli anche a partire da qui e, a co­
minciare da ciò che sembra essere di poco conto, renderli seri, ma­
gnanimi, superiori all’aspetto esteriore; così li troveremo eccellenti
anche nelle cose importanti. Che c’è di più semplice dell’apprendi­
mento delle lettere? Ma tuttavia a partire da queste si diventa reto­
ri, sofisti, filosofi; se ignorano queste, non conosceranno mai quelle
altre cose.

P rf.g htf.k a per la g io v en tù

Abbiamo detto questo non solo nei confronti dei giovani, ma


anche delle donne e delle ragazze, perché anche queste sono sog­
gette a simili accuse e molto di più, quanto più si addice ad una
vergine il decoro. Ritenete dunque che ciò che è stato detto a loro
sia stato detto anche a voi, perché non ripetiamo di nuovo le stes­
se cose. E tempo infatti di concludere il discorso con una pre­
ghiera. Pregate dunque tutti insieme a noi, perché i giovani, quel­
li soprattutto della Chiesa, possano vivere decorosamente e arri­
vare ad una vecchiaia ad essi conveniente. Infatti non è bene che
arrivino alla vecchiaia quelli che non vivono così; prego invece che
quelli che anche in gioventù sono stati vecchi20 arrivino ad una
estrema vecchiaia, siano padri di figli eccellenti, allietino i genito­
ri e prima di tutti Dio che li ha creati, scaccino ogni morbo, non
solo quello relativo alle calzature e alle vesti, ma tutti gli altri. Co­
me terra incolta, così è una gioventù trascurata, che produce mol­
te spine da molte parti. Mandiamo fuori dunque il fuoco dello Spi­
rito, bruciamo questi perversi desideri, rinnoviamo i campi, ren­
diamoli pronti ad accogliere il seme e mostriamo i nostri giovani
più assennati dei vecchi che sono altrove21. E infatti meraviglioso

20 Cioè assennati e saggi nella loro vita.


21 Crisostomo sembra riferirsi a chi non appartiene alla comunità cri­
stiana, di cui fanno parte invece i giovani che designa come «nostri».
Omelia 49, 6 349

che in gioventù risplenda la temperanza, perché chi è temperante


in vecchiaia non potrebbe avere una grande ricompensa in quan­
to ha la perfetta sicurezza che gli deriva dall’età. Lo straordinario
è godere di tranquillità in mezzo ai flutti, non ardere nella fornace
e non essere dissoluti in gioventù.
Pensando quindi a ciò, imitiamo quel beato Giuseppe 22 che
brillò per tutte queste virtù, affinché otteniamo le sue stesse ri­
compense. Voglia il cielo che tutti noi le conseguiamo, per la gra­
zia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, con il quale sia glo­
ria al Padre insieme allo Spirito santo, ora e sempre e nei secoli dei
secoli. Amen.

22 Allusione a Giuseppe che dette prova di temperanza resistendo alle


tentazioni della moglie di Potifar: cf. Gn 39, 7ss.
OMELIA 50

Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, se


ne stava solo là. La barca intanto era in mezzo al mare \ agitata dal­
le onde, perché il vento era contrarioa.

P e d a g o g ia d i C risto n e i c o n fr o n t i d e i d isc ep o l i

1. Perché sale sul monte? Per insegnarci che il deserto e l


litudine sono un bene, quando si deve supplicare Dio. Perciò se ne
va frequentemente in luoghi solitari e lì passa spesso la notte in
preghiera, insegnandoci a cercare, nella preghiera, la tranquillità2
del tempo e del luogo. Madre di quiete è infatti la solitudine e un
porto tranquillo, che ci libera da tutti i tumulti. E per questo che
Gesù saliva lassù, mentre i discepoli sono di nuovo agitati dai flut­
ti e subiscono la tempesta come prima3. Ma allora soffrivano que­
sta situazione con lui nella barca, mentre ora si trovano ad essere

a Mt 14, 23-24.

1 L’espressione: «era in mezzo al mare», presente nel testo riportato da


Crisostomo, si trova in alcuni codici di Matteo, mentre altri hanno: «distava
molti stadi (cioè qualche miglio) da terra».
2 Qui è usato il t. atamxia che designa la pace interiore, la tranquillità
dell’anima ed è presente nella terminologia filosofica greca, in particolare nel­
l’epicureismo e nello stoicismo: cf. M. Pohlenz, La Stoa, cit., II, pp. 69, 112,
nota 14.
3 Si veda l’episodio della tempèsta sedata in Mt 8, 23ss.
Omelia 50, 1 351

da soli. Egli piano piano, a poco a poco li conduce e li spinge ver­


so traguardi più grandi, e a sopportare tutto fortemente. Perciò,
quando per la prima volta stavano per correre pericoli, stava con
loro, ma dormiva, in modo da dare loro conforto prontamente;
ora invece, spingendoli ad una maggiore sopportazione, non agi­
sce così, ma se ne va e permette che si scateni la tempesta in mez­
zo al mare, in modo che non si attendessero da altri speranza di
salvezza, e li lascia tutta la notte in balia delle onde per rianimare,
come credo, il loro cuore indurito b. Tale era la paura, determina­
ta anche dalle circostanze oltre che dalla tempesta.
Insieme alla compunzione, infuse in essi un desiderio maggiore
e un continuo ricordo di sé; perciò non si presentò subito ad essi: Al­
la quarta vigilia della notte 4, dice, venne verso di loro camminando
sul mare c; insegnava ad essi a non cercare repentinamente la solu­
zione delle avversità che li opprimevano, ma a sopportare fortemen­
te gli eventi. Proprio quando si aspettavano di essere liberati dal pe­
ricolo, aumentò invece la paura. I discepoli, dice, vedendolo cammi­
nare sul mare, furono turbati e dissero: E un fantasma, e gridarono
dalla paura d. Agisce sempre così: quando sta sul punto di risolvere
le avversità, ne aggiunge altre più gravi e temibili, il che accadde an­
che allora. Insieme alla tempesta, anche la sua apparizione li scon­
volse non meno della tempesta; perciò non dissolse la tenebra né si
manifestò subito, per allenarli, come ho detto, alla continuità di
paure di questo genere ed insegnare ad essere saldi.

L e pro ve sopportate da i g iu st i

Fece5 così anche nel caso di Giobbe; quando infatti stava per
porre termine alle sue prove, permise che la fine fosse più dura, e,

b Cf. Me 6, 52. c Mt 14, 25. d M tl4,26.

4 Fra le tre e le sei del mattino.


5 Soggetto sottinteso è Dio.
352 Omelie sul Vangelo di Matteo

voglio dire, non per la morte dei figli né per le parole della moglie,
ma per gli improperi dei familiari e degli amici. Quando stava per
strappare Giacobbe alle tribolazioni in terra straniera, lasciò che si
scatenasse uno scompiglio anche più grande. Difatti il suocero lo
raggiunse e lo minacciò di morte e, e dopo di lui il fratello 6, desti­
nato alla successionef, tenne sospeso su di lui il pericolo più gran­
de e. Poiché i giusti non possono essere messi alla prova per mol­
to tempo e violentemente, quando stanno per superare le lotte,
Dio, volendo far trarre ad essi un vantaggio maggiore, prolunga le
loro prove. Lo ha fatto anche nel caso di Abramo, disponendo co­
me prova estrema quella del figlio7. Così infatti saranno tollerabi­
li gli eventi intollerabili, quando si trovano alle porte e hanno vici­
na la liberazione.
Cristo ha agito così anche allora e non si è manifestato prima
di quando si misero a gridare. Quanto più era intensa la loro agi­
tazione, tanto più gioirono per la sua presenza. Poi, dopo che eb­
bero gridato, dice: Subito Gesù parlò loro e disse: Coraggio, sono io,
non abbiate paura h. Questa parola dissolse la paura e infuse co­
raggio. Poiché non lo avevano riconosciuto dall’aspetto, sia per il
modo straordinario di camminare, sia per le condizioni del tempo,
si manifesta attraverso la voce.

A r d o r e d i P ietro

Che fece allora Pietro che era ardente in ogni occasione e so­
pravanzava sempre gli altri? Signore, dice, se sei tu, comanda che io
venga da te sulle acque ‘. Non disse: Prega, supplica, ma: comanda.

e Cf. Gn31,23ss. f Cf.Gn25,31. 6 Cf. Gn 32,7ss. hM tl4,27.


i Mt 14, 28.

6 Esaù.
7 Quando Dio mise alla prova Abramo chiedendogli di offrirgli in olo­
causto il figlio Isacco: cf. Gn 22, lss.
Omelia 50, 1-2 353

Hai visto quanto ardore, quanta fede? Eppure spesso corre peri­
colo per il fatto di cercare oltre misura; anche in questo caso cer­
cò una cosa molto grande solo per amore, non per ostentazione.
Non disse infatti: Comandami di camminare sulle acque; ma che
cosa? Comanda che io venga da te. Nessuno amava così Gesù; agì
in questo modo anche dopo la resurrezione: non attese di andare
insieme agli altri, ma si precipitò prima). Non mostra solo l’amo­
re, ma anche la fede, perché non solo credette che egli poteva cam­
minare sul mare, ma che poteva farlo fare anche agli altri, e desi­
dera avvicinarsi a lui subito. Egli disse: Vieni! Pietro, scendendo
dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma
vedendo la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affonda­
re, gridò dicendo: Signore, salvami! Subito Gesù stese la mano, lo af­
ferrò e gli disse: Uomo di poca fede, perché hai dubitato?^. Questo
fatto è più straordinario del precedente; perciò si verifica dopo
quello. Dopo aver mostrato infatti di dominare il mare, passa poi
ad un prodigio più meraviglioso. Allora comandò soltanto ai ven­
ti >; ora invece egli stesso cammina sulle acque e permette di farlo
anche ad un altro; se l’avesse ordinato all’inizio, Pietro non l’a­
vrebbe accettato allo stesso modo, perché non aveva ancora una
fede così grande.
2. Perché Cristo lo permise? Perché se avesse detto: N
puoi, egli, dato il suo ardore, lo avrebbe contraddetto. Per questo
lo persuade in base ai fatti, perché fosse reso saggio per il futuro.
Ma non si trattiene neppure così; sceso dalla barca, viene agitato
dai flutti, perché ebbe paura. La prima situazione fu causata dai
flutti, la paura dal vento. Giovanni dice: Vollero prenderlo sulla
barca e rapidamente la barca toccò la terra, cui erano direttim. Indi­
ca questo stesso concetto, sicché, quando essi stavano per toccare
terra, il Signore salì sulla barca. Sceso dunque dalla barca, Pietro
andava verso di lui, lieto non tanto di camminare sulle acque,
quanto di andare da lui. E dopo aver superato l’ostacolo maggio-

i Cf. Le 24, 12; Gv 21, 7. k Mt 14, 29-31. 1 Cf. Mt 8, 26.


m Gv 6, 21.
354 Omelie sul Vangelo di Matteo

re, stava per soffrire a causa di quello minore, vale a dire l’impeto
del vento, non del mare. Così è la natura umana: spesso riesce nel­
le grandi cose e poi si lascia vincere da quelle piccole.

E sser e v ic in i a C risto c o n la f e d e

Così capitò ad Elia con Gezabele 8, a Mosè con l’egiziano9, a


David con Betsabea10. Così capitò anche a Pietro; quando la pau­
ra era ancora forte, ebbe il coraggio di avanzare sulle acque, men­
tre non potè resistere all’impeto del vento, benché fosse vicino a
Cristo. Così nulla giova essere vicini a Cristo, se non lo si è con la
fede. Ciò mostrava la differenza tra il Maestro e il discepolo ed era
di conforto per gli altri. Se infatti si sdegnarono con i due fratel­
li u , a maggior ragione in questo caso, perché non erano stati an­
cora ritenuti degni dello Spirito, ma dopo non fu così. In ogni oc­
casione infatti lasciano a Pietro il primato e lo propongono per i
discorsi al popolo 12, benché fosse più rude degli altri. E perché
non ordinò ai venti di calmarsi, ma stese la mano e lo afferrò? Per­
ché c’era bisogno della sua fede. Quando infatti manca il nostro
apporto, si arresta anche l’aiuto di D io 13. Per indicare dunque che
non l’impeto del vento, ma la sua poca fede aveva causato quel
cambiamento, dice: Perché hai dubitato, uomo di poca fede? Quin­
di se non fosse stata debole la sua fede, avrebbe resistito facilmen­
te anche al vento. Perciò, anche dopo averlo afferrato, lascia sof­
fiare il vento, mostrando che in nulla può nuocere se la fede è sal-

8 Forse Crisostomo si riferisce a 1 Re 19, 1-3, dove si parla della fuga


di Elia, impaurito dalle minacce di Gezabele.
9 Cf. Es 2, 14-15: paura e fuga di Mosè dopo aver ucciso un egiziano
che aveva colpito un ebreo.
10 Adulterio di David con la moglie di Uria: cf. 2 Sam 11,4.
11 Giacomo e Giovanni: cf. Mt 20, 24.
12 Si vedano i discorsi di Pietro al popolo, riportati in At 2 , 14ss.; 3 ,12ss.
13 Crisostomo, come abbiamo già rilevato in altre occasioni, ribadisce la
stretta connessione tra la grazia divina e l’impegno dell’uomo.
Omelia 50, 2 3 55
da. Cristo fece come la madre che sostiene con le ali e riporta nel
nido un uccellino che esce da esso prima del tempo dovuto ed è in
procinto di cadere giù.
Appéna saliti sulla barca, il vento cessò n. Prima di questo fat­
to dicevano: Chi è mai quest’uomo al quale i venti e il mare obbe­
discono?0. Ma ora non è così. Quelli che erano sulla barca, dice, si
avvicinarono a lui e gli si prostrarono davanti, dicendo: Veramente
sei il Figlio di Dio p . Vedi come a poco a poco li guidava tutti ver­
so quanto è più sublime? Difatti grande era la loro fede in conse­
guenza del fatto che aveva camminato sul mare, aveva ordinato di
farlo anche ad un altro e l’aveva salvato nel pericolo. Allora aveva
comandato al m are14, ora invece non comanda, mostrando in al­
tro modo e maggiormente la sua potenza. Perciò dicevano: Vera­
mente sei il Figlio di Dio. E allora? Li rimproverò per aver detto
questo? Tutto al contrario, confermò quanto era stato detto, pren­
dendosi cura, con maggiore autorità, di quanti si accostavano a lui,
e non come prima.

A ccosta rsi c o n c u ore puro a l co rpo d i C risto


n e l l a m en sa eucaristica

Compiuta la traversata, dice, si recarono nella terra di Genesa-


ret. Le persone del luogo, riconosciutolo, divulgarono la notizia in
tutta quella regione; gli portarono tutti i malati e lo pregavano di po­
ter toccare l’orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano, guariva­
no q. Non come prima si avvicinavano a lui, trascinandolo nelle lo­
ro case e ricercando il contatto della sua mano e che comandasse
con le sue parole, ma cercavano di procurarsi la guarigione in mo­
do molto più elevato e sapiente e con maggiore fede. Difatti l’e-

n Mt 14,32. ° Mt 8, 27. p Mt 14, 33. iM t 14, 34-36.

14 II riferimento è ancora all’episodio della tempesta sedata: cf. Mt 8,26.


356 Omelie sul Vangelo di Matteo

morroissa aveva insegnato a tutti ad essere sapienti1. L’evangelista,


mostrando che, da molto tempo, era venuto da quelle parti, dice:
Le persone del luogo, riconosciutolo, divulgarono la notizia nella re­
gione e gli portarono i malati. Ma tuttavia il tempo non solo non
cancellò la fede, ma la accrebbe e la mantenne in vigore.
Tocchiamo dunque anche noi l’orlo del suo mantello, anzi, se
vogliamo, lo possediamo tutto. Difatti ora è a nostra disposizione
anche il suo corpo; non solo il mantello, ma anche il corpo, non
per toccarlo solo, ma per mangiarlo anche e saziarcene 15. Acco­
stiamoci con fede, ciascuno con la propria infermità. Se infatti
quelli che toccarono l’orlo del suo mantello ne trassero una forza
così grande, quanto di più coloro che lo posseggono tutto? Acco­
starsi con fede non significa solo ricevere quanto è offerto, ma an­
che toccarlo con cuore puro, avere tali disposizioni come se ci si
accostasse a Cristo stesso. Che importa se non ascolti la sua voce?
Vedi però che è presente; anzi ascolti la sua voce, perché egli par­
la per mezzo degli evangelisti.
3. Credete dunque che anche ora c’è quella cena, in cui eg
deva; non c’è alcuna differenza tra quella e questa. Non è questa rea­
lizzata da un uomo, e quella da lui, ma egli realizza questa e quella.
Quando vedi quindi che il sacerdote ti offre l’Eucaristia, non crede­
re che lo faccia il sacerdote, ma pensa che è la mano di Cristo ad es­
sere stesa. Come infatti quando battezza, non è lui che ti battezza, ma
è Dio che sostiene il tuo capo con invisibile potenza, e non osa acco­
starsi né toccarlo né un angelo né un arcangelo né nessun altro, così
avviene anche ora. Quando Dio genera, il dono è solo di lui. Non ve­
di che quaggiù coloro che adottano figli non affidano questo compi­
to ai servi, ma si presentano di persona in tribunale? Così anche Dio
non ha affidato il dono agli angeli, ma si presenta egli stesso, ordi­

r Cf. Mt 9, 20ss.

15 Si noti il realismo con cui Crisostomo afferma la presenza reale di Cri­


sto nell’Eucaristia: cf. il mio studio, La dottrina sull'Eucaristia nei Padri antio­
cheni, in Dizionario di spiritualità biblico-patristica 20, Roma 1998, pp. 192-193.
Omelia 50, 2-3 357

nando e dicendo: Non chiamate nessuno padre sulla tena s, non per­
ché tu disprezzi quelli che hanno generato, ma perché anteponga a
tutd costoro colui che ti ha creato e ti ha annoverato tra i suoi figli.
Chi infatti ha dato ciò che è più grande, cioè ha offerto se stesso, a
maggior ragione non disdegnerà di distribuirti anche il suo corpo.

I l m istero eu ca ristico è m istero d i pace

Ascoltiamo dunque, sacerdoti e quanti sono ad essi sottopo­


sti, di che cosa siamo stati resi degni; ascoltiamo e rabbrividiamo.
Ci ha concesso di saziarci delle sue sante carni, ha offerto se stes­
so in sacrificio. Quale giustificazione avremo, nel caso che, nu­
trendoci di tale cibo, pecchiamo in tale modo? Mangiando un
agnello, diventiamo lupi? Nutrendoci di una pecora, deprediamo
come leoni? Questo mistero infatti ordina di purificarci continua­
mente non solo dalla rapacità, ma anche da una semplice inimici­
zia. Questo mistero è mistero di pace; non consente di contende­
re il possesso delle ricchezze. Se infatti non ha risparmiato se stes­
so per noi, di che cosa saremmo degni, se abbiamo riguardo per le
ricchezze e non abbiamo riguardo per l’anima, per la quale non ha
risparmiato se stesso? Per i giudei Dio legò ogni anno il ricordo
dei propri benefici alle feste; a te però lo fa, per così dire, ogni
giorno mediante questi misteri.
Non vergognarti dunque della croce, perché queste sono le
nostre cose sacre, questi i nostri misteri; con questo dono ci ador­
niamo, di questo ci gloriamo. Anche se dicessi che ha disteso il
cielo, ha steso la terra e il mare, ha inviato i profeti e gli angeli, non
direi nulla pari a questo. Il punto fondamentale dei beni è questo,
che non ha risparmiato il proprio Figlio per salvare i servi che si
erano estraniati. Nessun Giuda, nessun Simone 16 si accosti dun-

s Mt 23, 9.

16 II riferimento è a Simon Mago: cf. At 8, 9ss.


358 Omelie sul Vangelo di'Matteo

que a questa mensa; difatti entrambi andarono in rovina per l’avi­


dità di denaro. Fuggiamo questo abisso e non pensiamo che basti
alla nostra salvezza se, dopo aver spogliato vedove e orfani, of­
friamo alla mensa un calice d’oro e fregiato di pietre preziose. Se
vuoi onorare il sacrificio, offri l’anima, per la quale è stato sacrifi­
cato, rendila d’oro; ma se questa resta peggiore del piombo e del
coccio e il vaso invece è d’o ro 17, quale è il vantaggio? Non abbia­
mo cura di presentare solo vasi d’oro, ma che provengano da giu­
ste fatiche; è infatti più prezioso dell’oro ciò che è esente da ava­
rizia 18. La Chiesa non è un’oreficeria né una zecca, ma una festa
di angeli; perciò ci occorrono le anime, perché Dio ammette que­
sti oggetti per le anime. Allora quella mensa non era d’argento, né
era d’oro il calice, da cui Cristo dette il suo sangue ai discepoli, ma
tutte quelle cose erano preziose e venerande, perché erano piene
di Spirito.

E ucaristca e cura d e i poveri

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurare la sua nudità;


non onorarlo qui con vesti di seta, non trascurarlo fuori mentre è
consunto dal freddo e dalla nudità. Colui infatti che ha detto: Que­
sto è il mio corpo ‘, e ha confermato il fatto con la parola, ha detto:
Mi avete visto affamato e non mi avete nutrito, e: Ogni volta che non
avete fatto queste cose a uno di questi più piccoli, non l’avete fatto a
meu. Questo19 non ha bisogno di vesti, ma di un’anima pura; quel-

‘ Mt 26,26. u Mt 25, 42.45.

17 Crisostomo mette in luce fortemente l’inutilità di offrire suppellettili


preziose per il sacrifìcio eucaristico se l’anima è piena di iniquità.
18 Un altro aspetto ricorrente nelle opere crisostomiane è che gesti di li­
beralità nei confronti della Chiesa e dei poveri devono essere compiuti non
con il frutto di iniquità, ma con sostanze procurate secondo giustizia.
19 II corpo di Cristo nell’Eucaristia.
Omelia 50, 3-4 359

lo invece 20 ha bisogno di molta cura. Impariamo dunque ad esse­


re sapienti e ad onorare Cristo come lui vuole; per colui che è ono­
rato l’onore più gradito è quello che egli vuole, non quello che
pensiamo noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendogli di
lavargli i piedi, ma questo atteggiamento non era onore, bensì il
contrario v. Così anche tu onoralo con questo onore che egli stes­
so ha prescritto, profondendo la ricchezza ai poveri. Dio non ha
bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro.
4. Dico questo non per impedire che si facciano simili o
te21, ma perché ritengo giusto che insieme a queste e prima di que­
ste si faccia l’elemosina. Dio accetta certamente anche queste, ma
molto di più quella. Nel primo caso infatti ne trae vantaggio solo
chi offre, nel secondo anche chi riceve; nel primo caso può trat­
tarsi anche di un’occasione di ostentazione, mentre nell’altro tut­
to è costituito da elemosina e amore. Che vantaggio c’è, se la sua
mensa è piena di calici d’oro e lui è sfinito dalla fame? 22. Prima sa­
zia la sua fame e poi, per soprappiù, orna anche la sua mensa. Fai
un calice d’oro e non dai un bicchiere d’acqua fresca? E che van­
taggio c’è? Prepari per la mensa paramenti ricamati in oro e non
gli offri nemmeno il rivestimento necessario? E che profitto ne de­
riva? Dimmi, se, vedendo uno privo del nutrimento necessario,
senza curarti di eliminare la sua fame, ricoprissi soltanto la mensa
di argento, ti sarebbe forse grato o non si irriterebbe maggior­
mente? E dunque? Se lo vedessi ricoperto di stracci e intirizzito
dal freddo e, senza curarti di dargli un mantello, gli procurassi del­
le colonne d’oro dicendo di farlo in suo onore, non direbbe che lo

v Cf. Gv 13, 8.

20 II corpo di Cristo nella persona dei poveri: si noti la stretta connes­


sione, stabilita da Crisostomo, fra Eucaristia e opere di carità verso gli indi­
genti.
21 II riferimento è all’offerta di suppellettili preziose per il servizio litur­
gico.
22 Cristo presente nei poveri.
360 Omelie sul Vangelo di Matteo

stai prendendo in giro e non penserebbe che fosse un insulto e un


insulto estremo? Considera questo anche nei riguardi di Cristo,
quando va intorno ramingo e straniero, bisognoso di un tetto; tu
però, senza curarti di accoglierlo, abbellisci il pavimento, i muri, i
capitelli delle colonne e attacchi alle lampade catene d’argento,
mentre non lo vuoi nemmeno vedere incatenato in carcere. Dico
questo non per proibire di impegnarsi in queste cose, ma per esor­
tare a fare queste cose insieme a quelle, anzi a fare quelle prima di
queste. Nessuno è stato mai accusato di non aver fatto queste co­
se, mentre per non aver fatto quelle è stata minacciata la geenna,
il fuoco inestinguibile, la punizione con i demoniw. Mentre dun­
que adorni la casa, non trascurare il fratello nell’afflizione, perché
questo è un tempio più importante di quello. Questi tesori po­
tranno essere presi dai re infedeli, dai tiranni, dai briganti; invece
quanto fai per il fratello affamato, forestiero, nudo neppure il dia­
volo potrà portarlo via, ma rimarrà in un tesoro inviolabile.

G ra n d e valore d e l l ’elem o sin a

Perché dice: I poveri li avete sempre con voi, me, invece, non
sempre mi avete x? Per questo motivo soprattutto bisogna avere
misericordia, perché non sempre lo abbiamo nella condizione di
affamato, ma solo nella vita presente. Se vuoi apprendere anche il
significato completo delle suddette parole, ascolta che sono state
pronunciate non per i discepoli, anche se sembra così, ma per la
debolezza di quella donna23. Poiché era ancora imperfetta è quel­
li la molestavano, diceva queste parole per rianimarla. Per indica­
re che diceva questo per confortarla, ha aggiunto: Perché infastidi­
te questa donna? y. Per indicare che lo abbiamo sempre con noi,

wCf. Mt25, 41. x Mt26, 11. y M t2 6 ,10.

23 La donna che a Befania versò sul capo di Cristo olio profumato: cf.
Mt 26, 7.
Omelia 50, 4 361

dice: Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo z.
Da tutto ciò è evidente che diceva questo per nessun altro motivo
se non perché il rimprovero dei discepoli non facesse appassire la
fede di quella donna che allora stava germogliando. Dunque non
adduciamo ora queste cose che sono state dette per un motivo par­
ticolare, ma leggendo tutte le leggi che il Signore ha stabilito nel
Nuovo e nell’Antico Testamento sull’elemosina, mettiamo grande
impegno in questo. Essa purifica dal peccato: Date in elemosina, e
tutto per voi sarà puro aa. Essa è più grande del sacrificio: Miseri­
cordia voglio e non sacrificioab. Essa apre i cieli: Le tue preghiere e
le tue elemosine sono salite, in tua memoria, davanti a D io ac. Essa
è più necessaria della verginità; così infatti quelle 24 furono scac­
ciate dalla sala delle nozze, mentre le altre vi furono ammesse ad.
Consapevoli di tutto ciò, seminiamo generosamente per mietere
con maggiore abbondanza e conseguire i beni futuri, per la grazia
e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia la gloria nei
secoli. Amen.

2 Mt 28, 20. aa Le 11, 41. ab Os 6, 6. ac At 10, 4.


ad Cf. Mt 25, 10.

24 Le vergini stolte: cf. Mt 25, 10.


OMELIA 51

Allora vengono a Gesù da Gerusalemme gli scribi e i farisei e gli di­


cono: Perché i tuoi discepoli, e quel che seguea.

L a tr a d izio n e d e g l i a n tic h i

1. Allora·, quando? Quando fece innumerevoli prodigi, q


do curò gli infermi mediante il contatto con il lembo della sua ve­
ste b; perciò l’evangelista indica il tempo, per mostrare la loro in­
dicibile malvagità che non cedeva di fronte a nulla. Che significa:
gli scribi ed i farisei da Gerusalemme? Erano sparsi ovunque nelle
tribù ed erano divisi in dodici parti, ma quelli della capitale erano
più malvagi degli altri, perché godevano di maggior onore ed ave­
vano molto orgoglio. Osserva come vengano colti in flagrante dal­
la loro stessa domanda, perché non dicono: Perché trasgrediscono
la legge di Mosè?, ma: la tradizione degli antichic. Da ciò risulta
evidente che i sacerdoti avevano fatto molte innovazioni, benché
Mosè, incutendo molto timore e con molte minacce, avesse racco­
mandato di non aggiungere e di non togliere nulla. Non aggiunge­
rete nulla, dice, a ciò che vi comando oggi e non ne toglierete nul­
la d. Nondimeno però innovavano, ad esempio che non si doveva
mangiare senza lavarsi le mani, che si dovevano lavare le coppe ed
i vasi di bronzo ed essi stessi dovevano fare abluzioni. Quando,
con il passare del tempo, avrebbero dovuto liberarsi dalle osser­
vanze, allora maggiormente li legarono con osservanze più nume­

a Mt 15, 1-2. b Cf. M tl4 ,3 6 . c Mtl5,2. d Dt 4, 2; Mt 15, 3-6.


Omelia 51, 1 363

rose, temendo che qualcuno li privasse del potere e volendo incu­


tere maggior timore, in modo da essere anche essi legislatori. La si­
tuazione arrivò a un punto tale di iniquità che i loro precetti era­
no osservati, mentre quelli di Dio venivano trasgrediti; avevano
tanto potere che il fatto di violare i loro precetti era motivo di ac­
cusa. Duplice era il capo di imputazione contro di loro, vale a di­
re sia l’innovare, sia il difendere così la loro posizione, senza tene­
re Dio in alcun conto. Tralasciando di parlare delle altre cose, del­
le coppe e dei vasi, perché erano risibili, presentano ciò che sem­
brava avere più importanza del resto, per volere in questo modo,
a mio parere, spingerlo all’ira. Perciò menzionavano gli antichi,
perché offrisse un appiglio contro se stesso qualora non li tenesse
in nessuna considerazione.

R e p lic a d i G e s Ci

Conviene esaminare innanzitutto perché i discepoli mangia­


vano senza lavarsi le mani. Perché dunque mangiavano così? Non
perché lo facessero a bella posta, ma perché non si curavano delle
cose superflue e badavano alle cose necessarie, senza avere per leg­
ge di lavarsi o di non lavarsi, ma agendo in un modo e nell’altro
come capitava. Difatti quelli che disprezzavano anche lo stesso nu­
trimento necessario, come avrebbero potuto preoccuparsi di que­
ste cose? Poiché dunque accadeva spesso che tale situazione 1 si
verificasse fortuitamente, come quando ad esempio mangiavano
nel deserto, come quando strappavano le spighe, ne fanno un ca­
po di imputazione coloro che sorvolavano sempre sulle cose im­
portanti e tenevano in gran conto quelle superflue. Che fece Cri­
sto? Non si pose su questo piano né si difese, ma accusa subito a
sua volta, frenando la loro impudenza e mostrando che chi com­
mette grandi peccati non deve esaminare severamente gli altri per
cose di poco conto. Vuol dire: voi dovreste essere accusati, e ac­

1 Cioè di mangiare senza lavarsi le mani.


364 Omelie sul Vangelo di Matteo

cusate? Considera come, quando vuole eliminare qualche prescri­


zione legale, lo faccia sotto forma di difesa, il che ha fatto anche al­
lora. Non viene subito alla trasgressione né dice: Non è nulla, per­
ché certamente li avrebbe resi più arroganti, ma dapprima estirpa
la loro audacia, presentando un’accusa molto più grave e attiran­
dola sul loro capo. Non dice che facevano 2 bene a trasgredire per
non dare loro appigli, né biasima il fatto per non rafforzare la leg­
ge, né d’altra parte accusa gli antichi come iniqui e scellerati, per­
ché certo l’avrebbero detestato come ingiurioso e insolente, ma,
lasciando stare tutto questo, segue un’altra via. Da un lato sembra
rimproverare quelli che gli si erano presentati, mentre dall’altro at­
tacca quelli che avevano prescritto queste cose, senza menzionare
in nessun modo gli antichi, ma coinvolgendo anche quelli nell’ac­
cusa a questi e mostrando che duplice era il peccato, di non ob­
bedire a Dio e di agire così per gli uomini, come se dicesse: Que­
sto, questo vi ha rovinato, obbedire in tutto agli antichi.
Ma non si esprime così, però allude proprio a questo rispon­
dendo a loro in questo modo: Perché trasgredite il comandamento
di Dio in nome della vostra tradizione? Dio ha ordinato: Onora il
padre e la madre, e: Chi maledice il padre o la madre, sia messo a
morte. Invece voi dite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con
cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, non è tenuto a onorare il padre
e la madre. Avete annullato il comandamento di Dio in nome della
vostra tradizionee.

La l e g g e e c iò c h e è im po sto d a g l i uom ini

2. Non ha detto: la tradizione degli antichi, ma: vostra, e:


dite, e non ha detto: gli antichi, in modo da rendere il discorso me-

e Mt 15,3-6.

2 I discepoli.
Omelia 51, 1-2 365

no gravoso. Poiché volevano indicare i discepoli come trasgresso­


ri della legge, mostra che erano essi a trasgredirla, mentre quelli
erano esenti da accuse. Difatti non è legge quello che è imposto
dagli uomini - perciò la chiama tradizione -, e da uomini in som­
mo grado iniqui. Dal momento che non era contrario alla legge co­
mandare di lavare le mani, presenta un’altra tradizione, opposta
alla legge. Quello che dice significa: hanno insegnato ai giovani a
disprezzare i padri sotto l’apparenza della pietà religiosa. Come, in
che modo? Se uno dei genitori diceva al figlio: Dammi questa pe­
cora che possiedi o questo vitello, o qualche altra cosa simile, di­
cevano: Ciò con cui vuoi essere aiutato da me, è dono offerto a Dio
e non puoi riceverlo. Ne scaturiva un duplice male, perché non of­
frivano a Dio e, con il pretesto dell’offerta, defraudavano i genito­
ri, offendendo questi a motivo di Dio e Dio a motivo dei genitori.
Non lo dice subito però, ma prima cita la legge, mediante la qua­
le dimostra che Dio vuole intensamente che i genitori siano ono­
rati. Onora, dice infatti, tuo padre e tua madre, per vivere a lungo
sulla terra f; e ancora: Chi maledice il padre o la madre, sia messo a
morte 6. Ma tralasciando la parte relativa al premio riservato a
quelli che onorano i genitori, presenta la parte più temibile, inten­
do dire la punizione minacciata a coloro che li disonorano, volen­
do colpirli e attirare a sé quelli che hanno senno; mostra così che
sono degni di morte. Se infatti viene punito chi disonora a parole,
a maggior ragione lo sarete voi che lo fate con le opere, non solo
disonorandoli, ma anche insegnando agli altri a farlo. Voi dunque
che non dovreste neppure vivere, come potete accusare i discepo­
li? Che c’è da meravigliarsi se siete così insolenti verso di me che
finora sono ignorato, quando mostrate di agire in questo modo an­
che verso il Padre? Ovunque dice e dimostra che di qui hanno da­
to inizio a questa sfrontatezza. Alcuni interpretano diversamente
l’espressione: ciò con cui ti dovrei aiutare è dono, vale a dire: Non
ti devo onore, ma se ti onoro, lo faccio per compiacenza verso di
te. Cristo però non ha menzionato una simile insolenza. Marco

f Es 20,12. e Es 21,17.
366 Omelie sul Vangelo di Matteo

rende più chiaro questo concetto dicendo: Korbàn 3 è quello che ti


sarebbe dovuto da me h; questo termine non vuol dire dono e rega­
lo, ma significa propriamente offerta.

I saia prea n n u n cia l e paro le d i C risto

Dopo aver dimostrato dunque che non sarebbe stato giusto


che coloro che calpestavano la legge accusassero di trasgredire un
precetto degli antichi, indica questo stesso concetto anche in base
al profeta. Dopo averli ripresi fortemente, procede ulteriormente;
fa così in ogni occasione adducendo le Scritture e mostrando in
questo modo il suo accordo con Dio. Che dice il profeta? Questo
popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. In­
vano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uo­
mini‘. Hai visto che la profezia concorda con precisione con le pa­
role del Signore e già da tempo preannunciava la loro malvagità?
Quello di cui ora li accusava Cristo, era stato detto anticamente
anche da Isaia, che cioè disprezzavano i precetti di Dio: Invano mi
rendono culto, dice; tengono in grande considerazione i propri
precetti: insegnando precetti che sono dottrine di uomini. A ragio­
ne perciò non li osservano. Dopo aver quindi inferto loro un col­
po mortale ed aver accresciuto l’accusa in base ai fatti, al proprio
giudizio ed al profeta, non parla più a loro, in quanto erano in­
correggibili, ma rivolge il discorso alle folle, in modo da introdur­
re una dottrina elevata e sublime, piena di grande filosofia; pren­
dendo lo spunto da quella questione, ne svolge poi una più im­
portante, eliminando l’osservanza dei cibi. Ma osserva quando.
Quando guarì il lebbroso i, quando abrogò il sabato k, quando si

h Me 7, 11. i Is 29, 13; cf. Mt 15, 8-9. i Cf. Mt 8, 3.


k Cf. Mt 12, 8.

3 II termine designa un’offerta fatta al Signore, come nota subito dopo


il nostro autore.
Omelia 51, 2-3 367

manifestò re della terra e del mare ', quando legiferò 4, quando ri­
mise i peccatim, quando risuscitò i mortin, quando offrì loro mol­
te prove della sua divinità, allora parla dei cibi.

C r isto l e g ife r a a l m o m en to o ppo rtu no

3. Difatti tutto il giudaismo è contenuto in questo: se lo


mini, hai eliminato tutto. Di qui dimostra che si deve abrogare an­
che la circoncisione. Però non affronta tale questione specifica­
mente, perché era più antica degli altri precetti ed era maggior­
mente stimata, ma la regola per mezzo dei discepoli. Era talmente
importante che i discepoli dopo tanto tempo, pur volendola eli­
minare, dapprima la praticano e così l’aboliscono5. Osserva come
introduca la legge. Dopo aver chiamato le folle, disse loro: Ascol­
tate e comprendete °. Non fa loro questa affermazione senza moti­
vo, ma prima rende accettabile il discorso mediante l’onore e l’at­
tenzione nei loro confronti - lo ha manifestato l’evangelista dicen­
do: Dopo aver chiamato - , poi anche mediante la scelta del mo­
mento opportuno. Dopo aver confutato quelli ed aver vinto con­
tro di essi ed aver rivolto l’accusa da parte del profeta, a quel pun­
to comincia a legiferare, quando più facilmente stavano accoglien­
do le sue parole. Non solo li chiama, ma li rende anche più atten­
ti. Comprendete, dice; cioè: Pensate, state all’erta, perché talmente
importante è la legge che sta per essere promulgata. Difatti se essi
hanno distrutto la legge, e inopportunamente, a motivo della pro­
pria tradizione, e li avete ascoltati, a maggior ragione dovete ascol­
tare me che, al momento opportuno, vi conduco ad una filosofia

1Cf! Mt 14,25ss. mCf. M t9,2. n Cf. M t9,25. ° M t l 5 , 10.

4 II riferimento è al discorso della montagna: cf. in particolare Mt 5,


21ss.
5 Crisostomo mostra di riferirsi alla decisione presa dagli apostoli di non
imporre la circoncisione ai cristiani di provenienza pagana: cf. At 15, 28.
368 Omelie sul Vangelo di Matteo

più grande. Non ha detto: L’osservanza dei cibi non conta nulla,
né che Mosè ha fatto male a prescriverla, né che lo ha fatto per
condiscendenza, ma col tono dell’esortazione e del consiglio e as­
sumendo la testimonianza che deriva dalla natura delle cose, dice:
Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello
che esce dalla bocca p , ricorrendo alla natura stessa sia legiferando,
sia facendo le sue affermazioni. Ascoltando queste cose essi non
contestarono nulla né dissero: Che dici? Mentre Dio ha dato in­
numerevoli prescrizioni sull’osservanza dei cibi, tu dai leggi di
questo genere?; ma, poiché aveva del tutto chiuso la loro bocca
non solo confutandoli, ma anche presentando il loro inganno, ad­
ditando al pubblico biasimo ciò che avevano fatto di soppiatto 6 e
svelando i segreti della loro mente, dopo essere stati ridotti al si­
lenzio se ne andarono. Considera d’altra parte come non ardisca
ancora affrontare chiaramente la questione dei cibi. Perciò non ha
detto: i cibi, ma: Non quello che entra rende impuro l’uomo, il che
era naturale supporre anche riguardo al fatto di non lavarsi le ma­
ni. Egli infatti parlava dei cibi, ma si sarebbe potuto intendere an­
che in riferimento alle mani non lavate. Così grande era l’osser­
vanza dei cibi che, anche dopo la resurrezione, Pietro disse: No, Si­
gnore, perché io non ho mai mangiato nulla di profano o di immon­
do q. Anche se infatti avesse detto ciò per gli altri, in modo da la­
sciarsi una difesa nei confronti degli accusatori, per mostrare che
si era opposto e nemmeno in questo caso glielo si era concesso,
tuttavia indica che grande era la considerazione in cui era tenuta
quella osservanza. Perciò anche il Signore fin dal principio non ha
fatto riferimento chiaramente ai cibi, ma a ciò che entra nella boc­
ca; ancora, quando sembrò che in seguito ne parlasse più chiara­
mente, alla fine mise in ombra la questione dicendo: Mangiare sen­
za lavarsi le mani non rende impuro l’uomo r, perché sembrasse che

P M tl5, 11. At 10, 14. r M tl5,20.

6 Nel senso che avevano vanificato la legge basandosi sulla loro tradi­
zione: cf. Mt 15, 6.
Omelia 51, 3 369

di qui aveva cominciato e che intanto parlava della medesima que­


stione. Perciò non disse: Mangiare cibi non rende impuro l’uomo;
ma fece come se parlasse della questione delle mani, perché quel­
li non avessero nulla da obiettare.

G e sù di fr o n t e a l lo sca n d a lo d e i farisei

Udite dunque queste cose, dice, i farisei si scandalizzarono,


non le folle. I suoi discepoli infatti, dice, gli si accostarono e gli dis­
sero: Sai che i farisei si sono scandalizzati nell’udire la tua parola ? s.
Eppure nulla era stato detto contro di essi. Che fece Cristo? Non
eliminò il loro scandalo, ma rimproverò dicendo: Ogni pianta che
non ha piantato il Padre mio celeste, sarà sradicatal. Sa disprezzare
e non disprezzare gli scandali. Altrove dice: Per non scandalizzar­
li, getta l’amo in mare u; qui invece dice: Lasciateli! Sono guide cie­
che di ciechi. Se un cieco guida un cieco, entrambi cadranno in un
fosso v. I discepoli parlavano così non solo perché erano addolora­
ti per quelli, ma anche perché erano alquanto turbati. Poiché non
avevano il coraggio di dirlo in prima persona, volevano imparare
mediante il riferimento ad altri. Che fosse così, ascolta come suc­
cessivamente Pietro, che era ardente e precedeva sempre gli altri,
gli si accosti e dica: Spiegaci questa parabola w, svelando il turba­
mento della sua anima e non osando dire apertamente: Sono scan­
dalizzato, ma desiderando di essere liberato dal turbamento me­
diante questa spiegazione; perciò veniva rimproverato. Che dice
Cristo? Ogni pianta che non ha piantato il Padre mio celeste, sarà
sradicata. Quelli che sono affetti dal morbo manicheo dicono che
ciò è stato detto riguardo alla legge 7, ma chiude loro la bocca
quanto è stato detto precedentemente, perché se avesse parlato

s Mt 15, 12. 1 Mt 15, 13. u Cf.Mt 17, 27. v Mt 15, 14.


w Mt 15,15.

7 Si ricordi che i manichei rifiutavano l’Antico Testamento.


370 Omelie sul Vangelo di Matteo

della legge, perché più sopra parla in sua difesa e lotta dicendo:
Perché trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tra­
dizione? x. Perché adduce il profeta?8. Ma parla così in riferimen­
to ad essi stessi e alle loro tradizioni. Se infatti Dio ha detto: Ono­
ra il padre e la madre, come è possibile che non sia pianta di Dio
ciò che è stato detto da Dio?

G u id e c ie c h e

4. Anche ciò che segue dimostra che è stato detto in riferi


to ad essi e alle loro tradizioni. Ha aggiunto: Sono guide cieche di cie­
chi. Se lo avesse detto della legge, avrebbe detto: E guida cieca di
ciechi. Però non ha detto così, ma: Sono guide cieche di ciechi, li­
berandola quindi dall’accusa e facendo ricadere tutto su costoro.
Poi, per separare la moltitudine da essi, come se stesse sul punto
di cadere nel precipizio a causa loro, dice: Se un cieco guida un cie­
co, entrambi cadranno in un fosso. E un gran male essere cieco, ma
trovarsi in una simile situazione, non avere la guida e proporsi co­
me guida, è doppio e triplice motivo di accusa. Infatti se è perico­
loso che il cieco non abbia una guida, lo è molto di più se vuole es­
serlo per un altro. Che fa dunque Pietro? Non dice: Che significa
mai quello che hai detto?; ma interroga come se fosse pieno di
oscurità. Non dice: Perché hai parlato contro la legge? Temeva che
si pensasse che fosse scandalizzato, ma dice che il discorso era
oscuro. E evidente che non era oscuro, ma che egli era scandaliz­
zato, perché non aveva oscurità. Perciò lo rimprovera dicendo:
Anche voi siete ancora senza intelletto? y. Infatti forse le folle non
avevano capito quanto era stato detto, ma erano essi quelli che si
erano scandalizzati. Perciò all’inizio volevano apprendere come se

* Mt 15, 3. y Mt 15, 16.

8 Cf. Is 29, 13, cui fa riferimento Mt 15, 8-9.


Omelia 51, 3-4 371

facessero domande davvero per i farisei, ma quando udirono che


rivolgeva una grande minaccia e diceva: Ogni pianta che non ha
piantato il Padre mio celeste, sarà sradicata, e: Sono guide cieche di
ciechi, si frenarono.

Q u e l l o c h e r e n d e im puro l ’uom o

Ma quello 9 che era sempre ardente, nemmeno in questo caso


accetta di tacere, ma dice: Spiegaci questa parabola. Che fa Cristo?
Risponde con tono di grande rimprovero: Anche voi siete ancora
senza intelletto? Non comprendete ancora? Diceva questo e rim­
proverava in modo da eliminare la loro idea preconcetta; non si
fermò certamente a questo, ma aggiunge anche altro dicendo: Tut­
to ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fo­
gna; invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore e questo ren­
de impuro l’uomo. Dal cuore infatti provengono propositi malvagi,
omicidi, adulteri, prostituzioni, furti, bestemmie, false testimonian­
ze; queste sono le cose che rendono impuro l’uomo. Invece il man­
giare senza lavarsi le mani non rende impuro l’uomo z. Hai visto con
quanta veemenza li rimprovera? Poi elabora il suo discorso sulla
base della comune natura, allo scopo di curarli. Quando dice in­
fatti: passa nel ventre e va a finire nella fogna, risponde ancora se­
condo il basso livello giudaico. Dice che non resta, ma esce. Cer­
to, anche se rimanesse, non renderebbe impuri; però non erano
ancora capaci di ascoltarlo. Perciò il legislatore lascia stare per tut­
to il tempo in cui rimane dentro, ma non più quando esce. Ordi­
na di lavarsi alla sera e di essere puri, calcolando il tempo della di­
gestione e dell’evacuazione 10. Invece ciò che riguarda il cuore,

2 Mt 15,17-20.

9 Pietro.
10 Crisostomo richiama Lv 11, 32.40.
372 Omelie sul Vangelo di Matteo

vuol dire, rimane dentro e rende impuri quando esce, non solo
quando resta. Al primo posto mette i propositi malvagi, il che era
giudaico n ; non svolge ancora la sua confutazione in base alla na­
tura delle cose12, ma in base al prodotto del ventre e del cuore, al
fatto che alcune cose restano, altre non restano. Difatti alcune co­
se, entrando dall’esterno, se ne vanno di nuovo fuori, mentre ciò
che nasce dall’interno, rende impuri anche quando esce e mag­
giormente quando esce. Come ho detto, non erano ancora capaci
di ascoltare queste cose con la conveniente filosofia. Marco dice
che affermava queste cose per rendere puri i cibiaa; certo non lo
manifestò né disse: Mangiare tali cibi non rende impuro l’uomo,
perché non avrebbero tollerato di sentirselo dire da lui con tanta
chiarezza. Perciò ha aggiunto: Mangiare senza lavarsi le mani non
rende impuro l’uomo.
Impariamo dunque che cosa è che rende impuro l’uomo; im­
pariamolo e fuggiamolo. Difatti vediamo che in chiesa domina nei
più un comportamento di questo genere: si preoccupano di entrare
con le vesti pulite e di lavarsi le mani, senza tenere però in nessun
conto di presentare a Dio un’anima pura. Lo dico non per proibire
di lavare le mani e la bocca, ma perché voglio che ci si lavi, così co­
me si conviene, non solo con acqua, ma, al posto dell’acqua, con le
virtù. Sporcizia della bocca sono maldicenza, bestemmie, ingiurie,
parole iraconde, turpiloquio, risate13, scurrilità. Se quindi hai la co­
scienza di non dire nulla di questo e di non avere questa sporcizia,
presentati con fiducia; se invece innumerevoli volte ti sei macchiato

aa Cf. Me 7,19.

11 Crisostomo mostra di riferirsi alle insidie ed ai propositi malvagi ma­


nifestati da parte giudaica nei confronti di Cristo.
12 Nel senso che si serve di esempi concreti prima di illustrare il con­
cetto che il male proviene dal cuore dell’uomo.
13 Anche in questo caso Crisostomo dà una valutazione negativa del ri­
dere, accomunandolo a varie manifestazioni di un comportamento sconve­
niente.
Omelia 51, 4-5 373

di queste brutture, perché ti affatichi invano, lavando con acqua la


lingua, ma recando in essa quella sporcizia funesta e rovinosa?

R iv o l g e r si a D io n e ll a preg h iera c o n co scien za pura

5. Dimmi, se avessi nelle mani sterco e fango, oseresti f


pregare? Per niente affatto. Eppure queste cose non sono di nes­
sun danno, mentre quelle sono rovinose. Perché dunque sei scru­
poloso nelle cose indifferenti e negligente invece in quelle proibi­
te? E allora? Non si deve pregare?, si potrebbe obiettare. Si deve
certamente, ma senza essere insudiciati, senza avere un simile fan­
go. Che fare, si potrebbe replicare, se vengo sorpreso in qualche
colpa? Purifica te stesso. Come, in che modo? Piangi, gemi, fa’ ele­
mosina, giustificati nei confronti di chi è stato offeso, riconciliati
con questi mezzi, pulisci la lingua per non irritare Dio maggior­
mente. Se uno, con le mani piene di sterco, ti afferrasse così i pie­
di supplicandoti, non solo non lo ascolteresti, ma lo colpiresti an­
che col piede; come dunque osi rivolgerti a Dio in questo modo?
Difatti la lingua degli oranti è una mano e per mezzo di essa affer­
riamo le ginocchia di Dio. Non sporcarla dunque perché non dica
anche a te: Se moltiplicate le preghiere, non vi esaudirò ab. Difatti
morte e vita sono in potere della lingua ac; e: In base alle tue parole
sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannatoad. Cu­
stodisci quindi la lingua più della pupilla. La lingua è un cavallo
regale. Se le metti sopra un freno e le insegni a camminare con rit­
mo ben cadenzato, il re si poserà e si sederà su di essa; se invece la
lasci muovere senza freno e recalcitrare, diventa veicolo del diavo­
lo e dei demoni. Tu, dopo un rapporto con tua moglie, non osi
pregare, benché in questo atto non ci sia colpa; invece, dopo in­
giurie e insolenze che procurano la geenna, tendi le mani14 prima

abI s l , 15. ac Prv 18, 21. adM tl2 ,3 7 .

14 Verso Dio.
374 Omelie sul Vangelo di Matteo

di purificarti bene? E come, dimmi, non ne hai orrore? Non hai


ascoltato Paolo che dice: Il matrimonio sia rispettato e il talamo sia
senza macchiaae? Se levandoti dal talamo senza macchia non osi ri­
volgerti a Dio con la preghiera, come, venendo dal talamo del dia­
volo, invochi quel nome che incute rispetto e timore? E infatti ta­
lamo diabolico degradarsi in insolenze e ingiurie. Come un cattivo
adultero, l’ira viene in noi con molto piacere, gettando in noi semi
rovinosi e facendo generare l’inimicizia diabolica, operando tutto
in senso contrario al matrimonio, perché il matrimonio fa di due
una sola carneaf, mentre l’ira divide in molte parti quelli che sono
uniti e lacera e spezza l’anima stessa. Per accostarti dunque con fi­
ducia a Dio, non accettare che l’ira subentri in te, anche se vuole
unirsi a te, ma scacciala come un cane rabbioso. Così ha ordinato
anche Paolo: Alzando, dice, mani pure senza ira e contese “e. Non
disonorare la lingua, perché come pregherà per te, se perde la pro­
pria libertà? 15. Adornala invece di moderazione, di umiltà; rendi­
la degna di Dio che da essa viene invocato; riempila di benedizio­
ne, di molta elemosina. E possibile infatti fare elemosina anche
con le parole. Una parola è migliore del dono **; e: Rispondi al po­
vero dolcemente con parole di pace ai. Abbellisci tutto il resto del
tempo con l’esposizione delle leggi divine: Ogni tua esposizione sia
sulla legge dell’Altissimo ai. Dopo esserci così adornati, rivolgiamo­
ci al Re e cadiamo in ginocchio non solo fisicamente, ma anche
spiritualmente. Pensiamo a chi ci accostiamo, per quali motivi e
che cosa vogliamo realizzare. Ci accostiamo a Dio, davanti al qua­
le i serafini, nel vederlo, hanno volto indietro lo sguardoak, non so­
stenendone lo splendore, di fronte al quale la terra, guardandolo,

ae Eb 13, 4. Cf. Gn 2, 24. as 1 Tm 2, 8. Λ Sir 18, 16.


ai Sir 4, 8. ai Sir 9, 15. ^ C f. Is 6, 2.

15 Sul t. parresia, qui usato da Crisostomo, cf. G.J.M. Bartelink, Die par-
rhesia des Menschen vor Gott bei Johannes Chrysostomus, «Vigiliae Christia­
nae» 51 (1997), pp. 261-272.
Omelia 51, 5-6 375

trema. Ci accostiamo a Dio che abita una luce inaccessibile. Ci ac­


costiamo per essere liberati dalla geenna, per la remissione dei
peccati, perché da noi siano allontanati quegli intollerabili casti­
ghi, per ottenere il cielo e i beni che vi sono.

I l vero d a n n o v ie n e d a se stessi

6. Prostriamoci dunque con il corpo e con la mente, pe


Egli ci risollevi mentre siamo distesi a terra; parliamo con Lui con
moderazione e in tutta mitezza. Ma, si potrebbe obiettare, chi è
così misero e sventurato da non essere moderato nella preghiera?
Chi prega maledicendo, riempiendo se stesso di ira e gridando
contro i nemici. Se vuoi accusare, accusa te stesso, se vuoi affilare
la lingua e renderla aguzza, fallo contro i tuoi peccati. Non dire
che cosa un altro ti ha fatto di male, ma che cosa tu hai fatto di ma­
le a te stesso, perché questo è soprattutto male. Nessun altro po­
trà danneggiarti, se tu non danneggi te stesso16. Sicché se vuoi es­
sere contro chi ti danneggia, procedi innanzitutto contro te stesso;
nessuno te lo impedisce, come del resto se vai contro un altro, ne
esci con un danno maggiore. Insomma, di che danno puoi parla­
re? Del fatto che quel tale ha ingiuriato, ha rapinato, ha gettato nei
pericoli? Ma questo non è essere danneggiati, anzi, se stiamo ac­
corti, costituisce un grandissimo vantaggio. Difatti il danneggiato
è chi compie tali azioni, non chi le subisce. Questa è soprattutto la
causa di tutti i mali, che non sappiamo chi è il danneggiato e chi è
che danneggia, perché se lo sapessimo bene, non danneggeremmo
mai noi stessi, non pregheremmo contro un altro, sapendo che è
impossibile subire qualche male da un altro. Non è un male subi­
re una rapina, ma farla, sicché se hai rapinato, accusa te stesso; se
sei stato rapinato, prega per chi ha commesso la rapina, perché ti
ha giovato moltissimo. Anche se non è stata questa l’intenzione di

16 Si ricordi che Crisostomo verso la fine della sua vita, mentre era in esi­
lio, compose un trattato sul fatto che nessuno è danneggiato se non da se stesso.
376 Omelie sul Vangelo di Matteo

chi ha commesso quel fatto, però, se sopporti fortemente, tu ne ri­


cevi un grandissimo vantaggio. Quello infatti viene ritenuto scia­
gurato dagli uomini e dalle leggi divine, mentre tu, che hai subito
l’ingiustizia, sei premiato ed esaltato. Se uno in preda alla febbre
strappasse a forza a qualcuno un vaso d’acqua e saziasse il suo de­
siderio rovinoso, non potremmo dire che sia stato danneggiato chi
ha subito questa violenza, ma chi l’ha messa in opera, perché ha
aumentato la febbre ed ha reso la malattia più grave. Pensa questo
dunque anche nel caso di chi è avido e ama il denaro. Costui è in
preda ad una febbre molto più grave di quella e accende la sua
fiamma con questa sua rapacità. Se uno, in preda alla follia, strap­
passe a chicchessia una spada e si uccidesse, chi sarebbe ancora il
danneggiato? Colui al quale è stata strappata o chi gliel’ha strap­
pata? Evidentemente chi gliel’ha strappata. Giudichiamo allo stes­
so modo dunque anche nel caso dell’avidità delle ricchezze. La
ricchezza è per l’avido quello che è la spada per il folle, anzi è più
grave. Infatti il folle, prendendo la spada e immergendola in se
stesso, si libera dalla sua follia e non riceve più un secondo colpo;
l’avaro invece riceve ogni giorno innumerevoli ferite più gravi di
quella, senza liberarsi dalla sua follia, ma accrescendola maggior­
mente, e quanto più numerose ferite riceve, tanto più offre occa­
sioni per altri colpi più gravi.

La schiavitù e la tirann ia d e l l e ricch ezze

Pensando dunque a questo, fuggiamo questa spada, fuggiamo


questa follia, siamo temperanti, per tardi che sia. Bisogna chiama­
re temperanza anche questa virtù, non meno di quella che da tut­
ti è considerata tale17. In un caso infatti la lotta è contro una sola
tirannia di desiderio, mentre nell’altro si deve avere il sopravven­
to su molti desideri di ogni genere. Niente, niente è più insensato
di chi è schiavo delle ricchezze. Sembra dominare, mentre è do-

17 Cioè temperanza, nel senso soprattutto di castità.


Omelia 51, 6 377

minato; sembra essere padrone, mentre è schiavo. Si avvolge in ca­


tene e gioisce; rende la belva più feroce e si rallegra; diventa pri­
gioniero e fa salti di gioia; vede un cane rabbioso che esulta nella
sua anima e, mentre dovrebbe legarlo e renderlo consunto per la
fame, gli offre invece un nutrimento copioso, perché esulti mag­
giormente e sia più temibile18. Pensando quindi a tutto ciò, spez­
ziamo le catene, distruggiamo la belva, allontaniamo la malattia,
scacciamo questa follia per godere di tranquillità e di buona salu­
te e, approdando con grande gioia al porto tranquillo, per conse­
guire i beni eterni. Voglia il cielo che tutti noi li otteniamo, per la
grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, a cui siano la glo­
ria e la potenza, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

18 Anche in questo caso Crisostomo fa un uso sapiente dell’antitesi per


descrivere più efficacemente la schiavitù delle ricchezze.
OMELIA 52

Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco


una donna cananea, che veniva da quelle regioni, gridò dicendogli:
Pietà di me, Signore, figlio di David; mia figlia è crudelmente tor­
mentata da un demonioa.

G esù e i pagani

1. Marco dice che, entrato nella casa, non potè restare na


sto b. Perché, in ultima analisi, se ne andò in queste regioni? Dopo
averli liberati dall’osservanza dei cibi, procedendo nel suo cammi­
no apre poi la porta ai pagani, come anche Pietro, dopo aver pri­
ma ricevuto l’ordine di abolire questa leggex, viene inviato da Cor­
nelio c. Se uno dicesse: Perché, mentre diceva ai discepoli: Non an­
date fra i pagani d, accetta di andarvi? Potremmo rispondere in­
nanzitutto che non era soggetto a ciò che prescriveva ai discepoli;
in secondo luogo, che non vi andò per predicare, e a questo allu­
deva Marco dicendo che si nascose, ma non restò nascosto. Come
infatti rientrava nell’ordine delle cose non accorrere da loro per
primi, così sarebbe stato indegno della sua bontà respingere chi si
rivolgeva a lui. Se bisognava tener dietro a coloro che fuggivano, a

a Mt 15, 21-22. b Cf. Me 7, 24. c Cf. At 10, 17ss.


d Mt 10,5; Sai 45 (44), 11.

1 Quella relativa all’impurità di alcuni animali considerati immondi: cf.


At 10,14-15.
Omelia 52, 1 379

maggior ragione non si doveva fuggire coloro che andavano in cer­


ca di lui. Considera come quella donna sia degna di ogni benefi­
cio, perché non osò andare a Gerusalemme, in quanto era presa da
timore e si riteneva indegna. Che, se non fosse stato così, sarebbe
andata lì, è evidente sia dall’ardore che aveva, sia dal fatto di esse­
re uscita dal suo territorio. Alcuni, allegorizzando, dicono che,
quando Cristo uscì dalla Giudea, allora osò andargli incontro la
Chiesa 2, essa che era uscita dai suoi confini. Dimentica, dice infat­
ti, il tuo popolo e la casa di tuo padre e. In realtà Cristo uscì dal suo
territorio e la donna dal proprio e così poterono incontrarsi l’uno
con l’altra3. Ecco una donna cananea, dice, che veniva dalle sue re­
gioni. L’evangelista accusa la donna per mostrare il prodigio e per
esaltarla maggiormente. Quando senti parlare di cananea, ricorda­
ti di quelle genti inique che avevano rovesciato dal loro fonda­
mento le leggi della natura. Ricordandoti di loro, pensa alla po­
tenza della venuta di Cristo, perché quelli che furono eliminati, af­
finché non corrompessero i giudei4, si rivelarono tanto più degni
dei giudei, da uscire dai loro confini e andare incontro a Cristo,
mentre essi lo cacciavano quando andava da loro.

L O SPETTACOLO COMPASSIONEVOLE DELLA DONNA CANANEA

Avvicinandosi dunque a lui, non dice nient’altro se non: Abbi


pietà di me, e con questo grido riunisce intorno a sé molti spetta-

e Sai. 45 (44), 11.

2 Si veda in questo senso un frammento origeniano su Matteo: GCS 41,


pp. 145-146. Cf. anche Ilario, Commento a Matteo XV, 4.
3 Si noti come Crisostomo sia attento al contesto immediato del brano
evangelico, privilegiandone il senso storico-letterale al di là dell’allegorizza-
zione cui ha accennato in precedenza.
4 Si pensi alla conquista della terra di Canaan, descritta nel libro di Gio­
suè, e anche agli oracoli contro Tiro e Sidone in Is 23,.lss.
380 Omelie sul Vangelo di Matteo

tori. Era infatti uno spettacolo compassionevole vedere una don­


na gridare suscitando tanta compassione, e una donna madre, che
supplicava per la figlia, una figlia che stava così male 5. Non osò
condurre l’indemoniata al cospetto del Maestro, ma, lasciatala a
casa, rivolge lei la supplica. Parla solo della malattia, non aggiun­
ge niente di più né trascina il medico a casa, come quel funziona­
rio del re che diceva: Vieni e imponi la tua mano, e: Scendi prima
che muoia il mio bambino{. Ma dopo aver esposto la disgrazia e
l’intensità del male, adduce la misericordia del Signore e grida for­
temente; non dice: Abbi pietà di mia figlia, ma: Abbi pietà di me.
Ella non avverte il male; sono io invece che subisco innumerevoli
sofferenze, che ho la percezione del male, che sono fuori di me per
averne consapevolezza 6. Ma egli non le rivolse neppure una paro­
la e. Che novità e stranezza è questa? Sollecita i giudei, anche se so­
no ingrati, li esorta, anche se bestemmiano, non li abbandona, an­
che se lo tentano, e non degna invece neppure di una risposta que­
sta che accorre a lui, lo prega, lo supplica, che, pur non essendo
stata educata nella legge e nei profeti, mostra una pietà così gran­
de. Chi non si scandalizzerebbe di questo, vedendo tale atteggia­
mento contrario alla sua fama? Difatti avevano sentito che andava
in giro per i villaggi curando h; invece respinge questa che era an­
data da lui. Chi non avrebbero mosso a compassione la sofferenza
e la supplica che faceva per la figlia che stava così male? Non si ac­
costò a lui come se fosse degna, né come se richiedesse quanto le
era dovuto, ma domandava di ottenere misericordia ed esponeva
solo in termini drammatici la propria disgrazia, e non è degnata

f Gv 4, 49. s Mt 15, 23. h Cf. M t9,35.

5 Si noti l’intensità della ripetizione del t. figlia, funzionale all’intento di


sottolineare la compassione suscitata dalla donna cananea.
6 Spesso Crisostomo passa dalla terza alla prima persona singolare, in­
troducendo a parlare i singoli personaggi della narrazione evangelica per ren­
dere più vivace ed efficace il discorso, in modo che i suoi ascoltatori lo se­
guano con maggior attenzione.
Omelia 52, 1-2 381

neppure di una risposta. Forse molti di coloro che ascoltavano si


scandalizzarono, ma ella non si scandalizzò. E che dico, di coloro
che ascoltavano? Penso infatti che anche i discepoli stessi erano
impressionati per la sventura della donna, erano turbati e rattri­
stati. Ma tuttavia, nemmeno in preda al turbamento, osarono dire:
Concedile la grazia, ma: Accostatisi a lui i discepoli lo pregavano di­
cendo: Lasciala andare, perché ci grida dietrol. Anche noi, quando
vogliamo persuadere qualcuno, spesso diciamo il contrario. Cristo
invece dice: Non sono stato inviato che alle pecore perdute della ca­
sa di Israele i.

L a su pplica in sist e n t e d e l l a C ananea

2. Che fece la donna, dopo aver ascoltato questo? Tacque


ne andò? Oppure abbandonò il suo proposito? Per niente affatto,
ma insistette di più. Noi però non facciamo così, ma quando non
otteniamo, desistiamo, mentre dovremmo per questo insistere di
più. Certo, chi non si sarebbe scoraggiato per quanto il Signore
disse allora? Anche il silenzio sarebbe stato sufficiente a gettarla
nella disperazione; a maggior ragione poteva farlo quella risposta.
Vedere infatti che con lei erano sconcertati anche i suoi sostenito­
ri e ascoltare che la richiesta era irrealizzabile, la gettò in una indi­
cibile difficoltà. Tuttavia però la donna non si imbarazzò, ma, poi­
ché vide che i suoi difensori non avevano alcuna forza, ebbe una
bella impudenza. Prima non osava neppure venire al suo cospet­
to: Ci grida dietro, dicono infatti; ma quando era verosimile che el­
la, in preda allo sconcerto, se ne andasse più lontano, è allora che
viene più vicino e si prostra dicendo: Signore, aiutamik. Che è que­
sto, o donna? Hai forse più confidenza degli apostoli? Più forza?
Non ho affatto, dice, confidenza e forza, ma anzi sono piena di
vergogna; tuttavia però metto avanti la stessa impudenza come
supplica: avrà riguardo per la mia franchezza. Ma come? Non lo

‘ Mt 15, 23. i Mt 15, 24. k M tl5 ,2 5 .


382 Omelie sul Vangelo di Matteo

hai sentito dire: Non sono staio inviato che alle pecore perdute del­
la casa di Israele? Ho sentito, dice, ma lui è il Signore. Perciò non
diceva: Prega e supplica, ma: Aiutami. E Cristo? Non si limitò a
queste parole, ma aumenta ancora lo sconcerto dicendo: Non è be­
ne prendere il pane dei figli e darlo ai cagnolini *. Quando la degnò
di considerazione, la colpì allora maggiormente che con il silenzio.
Non riporta più ad altro la causa del suo rifiuto, né dice: Non so­
no stato inviato; ma quanto più ella aumentava la supplica, tanto
più egli aumenta il rifiuto. Non li chiama più pecore, ma figli, e lei
cagnolina. E la donna? Ordisce la sua difesa in base alle stesse pa­
role di Cristo: se infatti sono cagnolina, dice, non sono estranea.
Giustamente diceva Cristo: Sono venuto a giudicare m. La donna fa
la filosofa e mostra una totale fermezza e fede, nonostante sia trat­
tata male; quelli7 invece, pur essendo curati e onorati, contrac­
cambiano in senso contrario. Anch’io so, dice, che il cibo è neces­
sario per i figli; tuttavia, essendo cagnolina, non ne sono esclusa.
Se infatti non è lecito prenderlo, non è lecito nemmeno aver par­
te delle briciole, ma se si deve prenderne parte, sia pure un poco,
neppure io sono esclusa, anche se sono cagnolina; anzi anche in
questo caso appunto ne partecipo, se sono cagnolina. Perciò Cri­
sto tirava per le lunghe, perché sapeva che avrebbe detto questo;
perciò rifiutava il dono, per mostrare la filosofia della donna. Se
non avesse voluto concedere la grazia, non l’avrebbe concessa
nemmeno successivamente, né le avrebbe chiuso la bocca un’altra
volta. Ma fa anche in questa circostanza come fece nel caso del
centurione, dicendo: Verrò e lo curerò ", perché imparassimo la sua
pietà e lo ascoltassimo dire: Non sono degno che tu entri sotto il
mio tetto°\ come fece nel caso dell’emorroissa, dicendo: So che una
forza è uscita da me p , per rendere manifesta la sua fede; come fe­
ce nel caso della samaritana, per mostrare come ella non si allon-

1Mt 15,26. m Gv 9,39. n M t8 ,7 . °M t 8 ,8 . P Le 8,46.

7 I giudei.
Omelia 52, 2 383

tani, anche se fatta oggetto di rimproveri i. Non voleva che rima­


nesse nascosta la virtù così grande della donna, sicché le sue paro­
le erano proprie non di chi trattava male, ma di chi sollecitava e
svelava quel tesoro nascosto.

U miltà e f e d e d e l l a C anan ea

Considera, insieme alla fede, anche l’umiltà. Egli chiamò figli


i giudei; ella non si limitò a questo, ma li chiamò anche padroni,
tanto era lontana dal rattristarsi per gli elogi altrui. Anche i cagno­
lini, dice, si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro pa­
dronir. Hai visto la perspicacia della donna, come non abbia osa­
to contraddire, non si sia sentita ferire dalle lodi altrui, non si sia
irritata per il maltrattamento subito? Hai visto la sua fermezza?
Egli diceva: Non è bene; questa diceva: Si, Signore; egli li chiama­
va figli, questa padroni; egli la chiamò cagnolina, questa aggiunse
anche quello che fa il cagnolino. Hai visto la sua umiltà? Ascolta
la iattanza dei giudei. Noi siamo discendenza di Abramo e non sia­
mo mai stati schiavi di nessuno s, e: Siamo nati da D io c. Non così si
comporta questa, ma si chiama cagnolina e chiama loro padroni;
per questo divenne figlia. Che disse Cristo? Donna, grande è la tua
fede u. Perciò tirava per le lunghe, per gridare queste parole, per
premiare la donna. Ti sia fatto come vuoi''. Quanto dice significa:
la tua fede può realizzare cose anche più grandi di queste; tuttavia
ti sia fatto come vuoi. Questa parola è affine a quella che diceva:
Sia fatto il cielo, e fu fatto w. E da quel momento sua figlia fu guari­
ta x. Hai visto come ella abbia non poco contribuito alla guarigio­
ne della figlioletta? Per questo Cristo non disse: La tua figlioletta
sia guarita, ma: Grande è la tua fede. Ti sia fatto come vuoi, perché
tu impari che tali parole erano pronunciate non senza motivo né
per adulazione, ma che grande è la potenza della fede. Ne affidò

<J Cf. Gv 4, 18. <■ Mt 15, 27. 5 Gv 8, 33. 1 Gv 8, 41.


u Mt 15, 28. v Ibid. w Cf. Gn 1, 1.6-8. * Mt 15, 28.
384 Omelie sul Vangelo di Matteo

l’esatta prova e dimostrazione all’esito degli eventi: subito dunque


la sua figlioletta fu guarita.
3. Considera come, mentre gli apostoli rimasero sconfi
non riuscirono nel loro intento, questa vi riuscì: tanto importante
è la perseveranza nella preghiera. Difatti vuole essere pregato 8,
per le cose che ci riguardano, da noi, che ne siamo responsabili,
piuttosto che dagli altri per noi. Certo quelli avevano una maggio­
re confidenza, ma questa mostrò molta fermezza. Mediante il ri­
sultato ottenuto dalla preghiera della donna, si giustificò davanti
ai discepoli per aver tirato per le lunghe e dimostrò che giusta­
mente non aveva acconsentito alle loro richieste 9.

LO STUPORE DI FRONTE ALLE GUARIGIONI OPERATE DA GESÙ

Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, sa­


lito sul monte, sedette lì. Si avvicinarono a lui grandi moltitudini che
recavano con sé zoppi, ciechi, storpi, muti; li deposero ai suoi piedi e
li guarì, sicché le folle si stupirono vedendo i muti che parlavano, gli
storpi risanati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E
glorificavano il Dio dilsraeley. A volte va in giro qua e là, a volte sta
seduto ad aspettare i malati e fa salire gli zoppi sul monte. E non gli
toccano la veste, ma salgono ad un luogo più elevato, gettandosi ai
suoi piedi; dimostravano la loro fede in duplice modo, perché sali­
vano sul monte pur essendo zoppi e perché non avevano bisogno
di nient’altro se non di gettarsi soltanto ai suoi piedi. Era un gran­
de prodigio e un fatto straordinario vedere che camminavano co­
loro che venivano trasportati e che i ciechi non avevano necessità

vMt 15,29-31.

8 Crisostomo sottolinea l’apporto personale dell’uomo che con la sua


preghiera attira la benevolenza di Dio che in questo senso vuole essere pre­
gato, perché l’uomo dia il suo contributo.
9 La richiesta cioè di esaudirla subito: cf. Mt 15, 23.
Omelia 52, 2-3 385

di chi li guidasse. Difatti li colpivano la moltitudine di coloro che


erano curati e la facilità con cui venivano curati. Hai visto come si
sia preso cura della donna dopo aver tanto indugiato e di questi in­
vece subito? Non perché costoro fossero migliori di quella, ma per­
ché ella aveva più fede di essi. Perciò nel caso di quella donna tira
per le lunghe e indugia, per mostrare la sua fermezza, mentre ad es­
si concede subito il dono, per chiudere la bocca dei giudei incre­
duli e togliere loro ogni giustificazione10. Difatti quanto più uno ri­
ceve benefìci, tanto più è soggetto a punizione se è ingrato e non
diventa migliore nemmeno se è onorato.

L’ele m o sin a è la m ig lio r e d e l l e arti

Perciò i ricchi, se sono cattivi, sono puniti più dei poveri, per­
ché neppure nella prosperità sono diventati buoni. Non dirmi che
hanno fatto elemosina, perché se non l’hanno fatta in rapporto alle
loro sostanze, neppure così sfuggiranno al castigo. L’elemosina non
si giudica con la misura di quanto viene dato, ma in base alla gene­
rosità dell’intenzione. Se costoro vengono puniti, a maggior ragione
lo sono quelli che sono appassionati per le cose superflue, edificano
case di tre e quattro piani, disprezzano gli affamati, si danno all’a­
varizia mentre trascurano l’elemosina. Ma poiché il discorso è ca­
duto sull’elemosina, ebbene riprendiamo oggi quel discorso che tre
giorni fa, trattando della bontà, ho lasciato incompiuto n . Ricorda­
te: quando recentemente parlavo della cura eccessiva per le scarpe,
di quella vanità, della mollezza dei giovani, allora dall’elemosina il
discorso ci cadde su quel tipo di colpe. Qual era dunque l’argo­
mento di cui allora si discuteva? Che l’elemosina è un’arte che ha il
laboratorio in cielo e per maestro non un uomo, ma Dio. Poi, inda­
gando su che cosa sia arte e che cosa non lo sia, siamo venuti a par­

10 Si noti la cura con cui Crisostomo mette in evidenza il metodo peda­


gogico usato da Gesù che dimostra atteggiamenti diversi in base alle singole
circostanze.
11 Si veda l’omelia 49, 4-6.
386 Omelie sul Vangelo di Matteo

lare delle vane opere e delle cattive arti, tra cui abbiamo ricordato
anche questa arte delle scarpe. Ve lo ricordate? Ebbene, riprendia­
mo anche oggi quanto è stato detto allora e dimostriamo come l’e­
lemosina sia un’arte e migliore di tutte le arti. Se infatti è proprio di
un’arte andare a finire in qualche cosa di utile, e nulla è più utile del­
l’elemosina, è chiaro che essa è un’arte e migliore di tutte le arti.
Non ci fabbrica scarpe, non tesse vestiti né costruisce case d’argilla,
ma procura la vita eterna, strappa dalle mani della morte, ci fa dive­
nire fulgidi nell’una e nell’altra vita, edifica le dimore nei cieli e quel­
le tende eterne. Essa non permette che si spengano le nostre lampa­
de 12, né che ci presentiamo alle nozze con vesti sporche, ma le lava
e le rende più pure della neve. Anche se i vostri peccati fossero come
scarlatto, li renderò bianchi come nevez. Non ci fa cadere dove cad­
de quel ricco, né ci fa ascoltare quelle terribili parole, ma ci guida
nel seno di Abramo13. Certo, ciascuna delle arti terrene ha ricevuto
e ha un solo obiettivo: ad esempio, l’agricoltura il nutrire, la tessitu­
ra il vestire; anzi, neppure questo, perché da sola non è sufficiente a
fornirci ciò che le è proprio.

I n ter d ipen d e n z a d e l l e varie arti

4. Se vuoi, esaminiamo per prima l’agricoltura. Se non ha


te del fabbro, per farsi prestare da essa la zappa, il vomere, la falce,
la scure e molti altri attrezzi; se non ha l’arte del carpentiere, in mo­
do da fabbricare l’aratro, costruire il giogo e il carro, sì da trebbia­
re le spighe; se non ha l’arte del calzolaio, in modo da fare le cin­
ghie; se non ha l’architettura, in modo da costruire la stalla per i
buoi che arano e le case per i contadini che seminano; se non ha

2 Is 1, 18.

12 II riferimento è alla parabola delle dieci vergini: cf. Mt 25, 8.


13 L’allusione è alla parabola del ricco epulone: cf. Le 16, 26.
Omelia 52, 3-4 387

l’arte del taglialegna, in modo da tagliare il legname; se, dopo tutto


ciò, non ha l’arte del panettiere, non è stimata nulla. Così anche
l’arte della tessitura, quando fa qualcosa, reclama con sé molte arti
in modo che insieme ad essa concorrano ai suoi obiettivi; se non
vengono in aiuto e non tendono la mano, anche essa si arresta per­
ché priva di tale aiuto. Ciascuna arte ha bisogno dell’altra. Ma
quando si deve avere misericordia, non ci occorre nient’altro se
non soltanto la volontà. Se dici che c’è bisogno di ricchezze, di abi­
tazioni, di vestiti, di scarpe, leggi quelle parole di Cristo, che ha
detto nei riguardi della vedova14, e smettila con questa agitazione.
Anche se sei molto povero e rientri fra coloro che mendicano, se
versi due monetine, hai fatto tutto; anche se dai una focaccia, nel
caso abbia solo questa, hai raggiunto il fine di questa arte. Acco­
gliamo dunque questa scienza e portiamola a compimento; difatti è
meglio conoscere questa che essere re ed essere cinti del diadema.

Va n ta g g i d e l l ’elem o sin a

Non è solo questo il suo vantaggio, che cioè non ha bisogno


d’altro, ma realizza molte, svariate cose e di ogni genere. Edifica ca­
se che rimangono sempre nei cieli e insegna a coloro che la prati­
cano come sfuggire alla morte immortale15; ti fa dono di tesori che
non si esauriscono mai, ma si sottraggono ad ogni danno da parte
dei briganti, dei vermi, delle tignole, del tempo. Certamente se uno
ti insegnasse questo soltanto per la custodia dei cereali, che cosa
non daresti per poter conservare intatto il grano per molti anni?
Ma ecco che questa16 ti dà istruzioni non solo sul frumento, ma su
tutto e mostra come possano rimanere illesi i beni, l’anima e il cor­
po. Che necessità c’è di parlare dettagliatamente di tutti i successi

14 Questa vedova era stata lodata da Cristo perché, pur essendo povera,
aveva offerto tutto quel poco che aveva: cf. Le 21, 3-4.
15 Si noti l’ossimoro che indica la perdizione eterna.
16 L’arte dell’elemosina.
388 Omelie sul Vangelo di Matteo

di questa arte? Essa ti insegna come diventare simile a D io 17, che è


il culmine di tutti i beni. Vedi come non sia una sola la sua opera,
ma molteplice? Senza aver bisogno di un’altra arte, edifica case,
tesse vestiti, provvede che i tesori siano intatti, fa avere il soprav­
vento sulla morte e dominare il diavolo, rende simili a Dio. Che co­
sa dunque potrebbe essere più utile di questa arte? Le altre infatti,
oltre a quanto già detto, hanno termine con la vita presente, se gli
artigiani si ammalano non sono considerate nulla, non sono capaci
di sostenere le loro opere e hanno bisogno di fatica, di molto tem­
po e di innumerevoli altre cose. Questa invece, quando il mondo
passa, allora soprattutto si rivela; quando moriamo, allora soprat­
tutto rifulge e mostra le opere che ha compiuto; non ha bisogno di
tempo né di fatica né di altri simili travagli, ma opera anche se sei
malato, vecchio, ti accompagna nella vita futura e non ti abbando­
na mai. Ti rende più potente dei sofisti e dei retori, perché coloro
che si segnalano in quelle arti, hanno molti invidiosi, mentre colo­
ro che risplendono in questa, hanno innumerevoli persone che
pregano per essi. Quelli si presentano al tribunale degli uomini, per
difendere coloro che sono oggetto di ingiustizie, spesso anche quel­
li che le commettono; l’elemosina invece si presenta al tribunale di
Cristo non solo per difendere, ma anche per persuadere il giudice
stesso a sostenere la causa di chi è giudicato ed esprimere la sen­
tenza in suo favore: anche se ha commesso innumerevoli peccati, lo
premia e lo esalta. Date in elemosina e tutto sarà puro aa. E perché
parlare del futuro? Se chiediamo agli uomini nella vita presente,
che cosa preferiscono, che ci siano molti sofisti e retori oppure per­
sone misericordiose e generose, sentirai che scelgono la seconda
possibilità e ben a ragione. Difatti se si elimina l’eloquenza, la vita
non ne avrà alcun danno, perché sussisteva anche molto tempo pri­
ma di essa; se invece sopprimi la misericordia, tutto perisce e va in

aa Le 11,41.

17 Cf. il mio studio, già citato, Essere simili a Dio.


Omelia 52, 4-5 389

rovina. Come non è possibile navigare il mare se i porti e gli ap­


prodi sono coperti di terra, così non può sussistere questa vita se
elimini misericordia, perdono e bontà.

A l l a sc u o la d e l l ’elem o sin a

5. Perciò Dio non ha affidato queste qualità soltanto alla


gione, ma ne ha sparse molte parti anche nella forza della natura.
Così i padri hanno compassione per i figli, così le madri, così i fi­
gli per i genitori; questo si verifica nel caso non solo degli uomini,
ma anche di tutti gli esseri irrazionali. Così i fratelli hanno com­
passione per i fratelli, e così i parenti e i congiunti; così l’uomo ver­
so l’uomo. Dalla natura abbiamo una certa propensione per la mi­
sericordia. Perciò ci adiriamo per coloro che subiscono ingiustizie,
ci commuoviamo nel vedere quelli che vengono uccisi e piangia­
mo guardando chi è afflitto. Poiché Dio vuole assai che ciò si rea­
lizzi, ha ordinato alla natura di contribuire molto in questo senso,
mostrando di desiderarlo grandemente. Quindi pensando a ciò,
conduciamo noi stessi, i figli e i congiunti alla scuola dell’elemosi­
na; questo impari l’uomo prima di ogni cosa, perché anche in que­
sto consiste essere uomini. Grande cosa è l’uomo e cosa preziosa è
l’uomo misericordiosoab, sicché se non ha questa qualità, perde an­
che il suo essere uomo. Ciò rende sapienti. Perché ti meravigli se
questo significa essere uomo? Questo è Dio. Siate misericordiosi,
dice infatti, come il Padre vostro ac. Impariamo dunque ad essere
misericordiosi per tutti questi motivi e soprattutto perché anche
noi abbiamo bisogno di molta misericordia. Non pensiamo nep­
pure che sia vita il tempo in cui non siamo misericordiosi18.

ab Prv 20, 6 (LXX). a‘ Le 6, 36.

18 Non essere misericordiosi, in particolare non praticare concretamen­


te l’elemosina, equivale dunque a non vivere, come in precedenza Crisosto­
mo ha detto che significa «non essere veramente uomini».
390 Omelie sul Vangelo di Matteo

N o n si d e v e f a r e e l e m o s in a
CON IL FRUTTO DI RAPINE ED INGIUSTIZIE

Parlo dell’elemosina pura dalla cupidigia. Se infatti chi si con­


tenta dei suoi beni e non ne fa parte con nessuno, non è miseri­
cordioso, come può esserlo chi prende i beni altrui, anche se dà
innumerevoli cose? Se godere da soli dei beni è segno di disuma­
nità, lo è molto di più depredare gli altri. Se quelli che non hanno
commesso alcuna ingiustizia vengono puniti perché non hanno
fatto parte dei loro beni, lo sono molto di più quelli che prendo­
no anche i beni altrui. Non dire dunque che uno ha subito ingiu­
stizie e un altro riceve misericordia, perché questo è il male, in
quanto dovrebbe essere il medesimo quello che subisce ingiustizie
e quello che riceve misericordia19. Ma ora tu che ferisci alcuni, ti
prendi cura di quelli che non hai ferito, mentre si dovrebbero cu­
rare quelli, anzi nemmeno ferirli. E buono infatti non chi colpisce
e cura, ma chi risana quelli che sono stati colpiti da altri. Cura
dunque i tuoi mali, non quelli altrui, anzi non colpire né gettare a
terra - questo è proprio di chi gioca -, ma risolleva quelli che so­
no stati gettati a terra 20. Non è possibile curare con la stessa mi­
sura dell’elemosina il male causato dalla cupidigia. Difatti se rapi­
ni un obolo, non devi in cambio dare un obolo in elemosina, per
eliminare la ferita inferta dalla cupidigia, ma un talento. Perciò il
ladro, colto in flagrante, paga il quadrupload, ma chi depreda è
peggiore di chi ruba. Se quello deve dare il quadruplo di ciò che
ha rubato, chi depreda deve dare il decuplo e molto di più; a sten­
to può così riparare l’ingiustizia, mentre neppure in questo caso ri­
ceverà la ricompensa dell’elemosina. Perciò Zaccheo dice: Resti-

ad Cf. Es 21, 37; 2 Sam 12,6.

19 In quanto l’ingiustizia verso l’uno non è compensata dalla misericor­


dia verso l’altro, ma deve essere comunque eliminata.
20 L’invito quindi è a non commettere ingiustizie e a riparare quelle
commesse da altri.
Omelia 52, 5 391

tuirò il quadruplo di ciò che ho frodato e darò ai poveri la metà dei


miei beni ae. Se nella legge si deve dare il quadruplo, molto di più
si deve dare nella grazia21; se tanto deve dare chi ruba, molto di
più chi depreda, perché in questo caso insieme al danno c’è anche
molta arroganza. Sicché se anche dai il centuplo, non hai ancora
dato tutto. Vedi che non senza motivo dicevo: Se rapini un obolo
e rendi un talento, a stento rimedi così al male fatto? A stento, se
agisci così; quando rovesci l’ordine e rapini intere sostanze, men­
tre dai poco, e nemmeno a quelli che hanno subito l’ingiustizia, ma
ad altri al posto loro, quale giustificazione avrai? Quale indulgen­
za? Quale speranza di salvezza? Vuoi sapere quanto male fai quan­
do hai una tale compassione? Ascolta la Scrittura che dice: Come
chi uccide il figlio davanti a suo padre, così chi offre un sacrificio con
i beni dei poveriù. Andiamo via22 imprimendo nella mente questa
minaccia; imprimiamola sui muri, sulle mani, nella coscienza, dap­
pertutto, perché almeno questa paura, rimanendo viva nella nostra
mente, trattenga le nostre mani da quotidiani omicidi. Difatti più
grave di un omicidio è la rapina che a poco a poco consuma il po­
vero. Per purificarci dunque da questa nefandezza, meditiamo su
ciò in noi stessi e gli uni con gli altri. Così saremo più pronti alla
misericordia e riceveremo le ricompense pure che le sono riserva­
te e godremo dei beni eterni, per la grazia e la bontà di nostro Si­
gnore Gesù Cristo, a cui siano la gloria e la potenza con il Padre e
lo Spirito santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

; Le 19, 8. “f Sir 34, 24.

21 Vale a dire, dopo l’awento di Cristo e la diffusione del suo messaggio


salvifico.
22 Dalla chiesa, dove il nostro autore ha predicato ai suoi ascoltatori.
OMELIA 53

Gesù, chiamati i suoi discepoli, disse: Sento compassione per la fol­


la, perché ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da
mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lun­
go la strada a.

C o m pa ssio n e d i G e s O per l e f o l l e

1. Precedentemente mentre stava per compiere questo p


gio, guarì innanzitutto quelli che erano infermi nel corpo b; fa lo
stesso anche qui: dalla guarigione dei ciechi e degli zoppi, passa di
nuovo a questo prodigio. Perché mai allora dissero i discepoli:
Congeda le folle c, mentre ora non lo dissero, pur essendo trascor­
si tre giorni? Perché o erano in seguito divenuti migliori, o vede­
vano che essi non avvertivano molto la fame, perché glorificavano
Dio per quanto accadeva d. Considera però come ora non proceda
semplicemente al prodigio, ma li inviti a questo. Le folle, che era­
no venute per essere curate, non osavano chiedere il pane, ma lui,
buono e sollecito, dà anche se non chiedono e dice ai discepoli:
Sento compassione e non voglio rimandarli digiuni. Perché non di­
cessero che erano venuti portando le provviste, dice: da tre giorni
ormai mi vengono dietro, sicché, anche se erano venuti portando­
le, erano state consumate. Perciò non ha fatto il prodigio nel pri­
mo o nel secondo giorno, ma quando avevano consumato tutto, in

a Mt 15, 32. b Cf. Mt 14, 14. c Mt 14, 15.


d Cf. Mt 15, 31; Me 8,17-18.
Omelia 53, 1 393

modo che essi, trovandosi nella necessità, accogliessero l’evento


con maggior trasporto. Per questo dice: perché non svengano lun­
go la strada, per indicare che provenivano da lontano e non era ri­
masto loro nulla. Se non vuoi rimandarli digiuni, perché non fai il
prodigio? Per rendere più attenti i discepoli con questa domanda1
e la risposta e perché mostrassero la loro fede, accostandosi a lui e
dicendo: Procura i pani. Ma nemmeno così compresero il motivo
della domanda; perciò in seguito dice loro, come afferma Marco:
Sono c o s ì induriti i vostri cuori? Pur avendo occhi non vedete e pur
avendo orecchi non ascoltate? e. Se non fosse stato così, perché par­
la ai discepoli e mostra che le folle erano degne di essere benefi­
cate e aggiunge la misericordia che egli provava? Matteo dice che
successivamente Gesù li rimproverò dicendo: Uomini di poca fede,
non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila e
quante ceste avete raccolto? E neppure i sette pani per i quattromila
e quante sporte avete raccolto?f. Così gli evangelisti sono in accor­
do fra di loro.

I m per fez io n e d e i d isc ep o l i

E i discepoli? Strisciano ancora a terra; certamente aveva fat­


to innumerevoli cose in modo che si ricordassero di quel prodigio,
mediante la domanda e la risposta, con l’incarico ad essi di quel
servizio, con la distribuzione delle ceste, ma erano ancora più im­
perfetti. Perciò gli dicono: Dove possiamo trovare in un deserto tan­
ti pani? e. Sia prima sia ora fanno riferimento al deserto., dicendo
queste cose con un ragionamento inconsistente, ma rendendo il
prodigio, anche in questo modo, libero da sospetti. Perché nessu­
no dicesse, come ho già detto, che avevano preso i pani da un vil­

e Me 8,17-18. f Mt 16, 8 -10. s M tl5 ,3 3 .

1 Cf. Mt 15, 34: Quanti pani avete?


394 Omelie sul Vangelo di Matteo

laggio vicino, viene riconosciuto il luogo, dove avvenne quell’e­


vento 2, perché si credesse al prodigio. Perciò compie il miracolo
precedente e questo in un deserto, molto distante dai villaggi. Sen­
za comprendere nulla di ciò, i discepoli dicevano: Dove possiamo
trovare in un deserto tanti pani? Difatti pensavano che egli lo aves­
se detto come se volesse ordinare loro di nutrirli, il che era molto
sciocco. Perciò in precedenza diceva: Date loro da mangiare h, per
offrire ad essi l’occasione di chiamarlo in aiuto. Ora invece non di­
ce questo: Date loro da mangiare, ma che cosa? Sento compassione
e non voglio rimandarli digiuni, per condurli più vicino, stimolarli
maggiormente e far sì che mirassero a chiedergli questo prodigio.
Le sue parole erano proprie di chi mostrava che poteva non ri­
mandarli digiuni e manifestava la sua autorità. Difatti l’espressio­
ne: non voglio, è di chi indica questo concetto. Dopo che ebbero
menzionato la moltitudine, il luogo e il deserto - Dove, dice, pos­
siamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così
grande? ‘ -, senza comprendere neppure così le sue parole, prende
lui l’iniziativa e dice loro: Quanti pani avete? Essi rispondono: Set­
te e pochi pesciolinii. Non dicono più: Che cosa sono per tanta gen­
te? k, come avevano detto prima. Così, anche se non afferravano
tutto, nondimeno però a poco a poco salivano ad una condizione
superiore. Anche egli, per stimolare in questo modo il loro animo,
interroga così come aveva fatto precedentemente per ricordare ad
essi i fatti già accaduti mediante l’interrogazione. Ma tu, come hai
visto la loro imperfezione in base a questi fatti, considera così an­
che la filosofia del loro animo, e ammira il loro amore per la veri­
tà, come essi stessi, nello scrivere, non nascondano i propri difet­
ti, benché grandi. Non era infatti una colpa qualsiasi dimenticarsi
subito di questo miracolo accaduto da poco; perciò vengono rim­
proverati.

h Mt 14, 16. ; Mt 15, 33. i Mt 15, 34. k Gv 6, 9.

2 La moltiplicazione dei pani e dei pesci.


Omelia 53, 1-2 395

P articolarità di questa m oltiplicazione d ei pani e d ei pesci

2. Insieme a ciò, considera anche un altro genere di filoso


come sapessero dominare il ventre, come fossero ammaestrati a
non tenere in gran conto la mensa. Pur trovandosi in un deserto e
passando li tre giorni, avevano sette pani. Per il resto agisce allo
stesso modo della volta precedente: difatti li fa sedere per terra e
fa scaturire i pani dalle mani dei discepoli. Ordinò, dice, alla folla
di sedersi per terra e, presi i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò
e li dette ai discepoli e i discepoli alla folla *. Il finale però non è
uguale. Tutti mangiarono, dice infatti, e furono saziati. Dei pezzi
avanzati portarono via sette sporte piene. Quelli che avevano man­
giato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambi-
n im. Ma perché allora, quando c’erano cinquemila persone, avan­
zarono dodici ceste, mentre in questo caso, pur essendo quattro­
mila, avanzarono sette sporte? Perché, per quale motivo erano in­
feriori gli avanzi, benché non fossero tanti quelli che avevano man­
giato? Si può dire o che le sporte erano più grandi delle ceste op­
pure, se non è così, che, perché l’uguaglianza dei numeri non li
spingesse a dimenticarsi del miracolo, con la differenza dei nume­
ri stimola il loro ricordo affinché, in virtù di tale diversità, si ri­
cordassero dell’uno e dell’altro miracolo. Perciò fa sì che allora le
ceste degli avanzi fossero uguali in numero ai discepoli e ora inve­
ce lo fossero le sporte rispetto ai pani, dimostrando anche così la
sua ineffabile potenza e la facilità della sua azione autorevole, per­
ché gli era possibile operare simili prodigi in un modo e nell’altro.
Non era infatti un potere di poco conto conservare il numero sia
allora sia ora, allora quando erano cinquemila, ora quando erano
quattromila, e non permettere che gli avanzi fossero né inferiori né
superiori a quanto potessero contenere allora le ceste e ora le spor­
te, pur essendo differente la moltitudine dei commensali. E il fi­
nale è simile a quello precedente, perché sia allora sia ora, dopo

1Mt 15, 35-36. m Mt 15,37-38.


396 Omelie sul Vangelo di Matteo

aver congedato la folla, si ritirò su una barca3; anche Giovanni lo


dice 4. Poiché nessun miracolo predisponeva a seguirlo così come
il prodigio dei pani, e non volevano solo seguirlo, ma anche farlo
r e n, per evitare il sospetto della tirannide5, fugge via dopo aver
compiuto questo portento; e non se ne va a piedi, perché non lo
seguissero, ma sale sulla barca. Congedata la folla, dice, salì sulla
barca e andò nella regione di Magdala é.

I l se g n o d a l c ielo

Avvicinatisi i farisei e i sadducei, gli chiedevano di mostrare lo­


ro un segno dal cielo. Ma egli rispose: Quando si fa sera, dite: Bel
tempo, perché il cielo rosseggia, e al mattino: Oggi bunasca, perché
il cielo rosseggia con aspetto cupo. Sapete dunque interpretare l’a­
spetto del cielo e non siete capaci di distinguere i segni dei tempi?
Una generazione malvagia e adultera cerca un segno, ma nessun se­
gno le sarà dato se non il segno del profeta Giona. E lasciatili se ne
andò °. Marco dice che, quando essi gli si avvicinarono e discute­
vano con lui, egli, traendo un profondo sospiro, disse: Perché que­
sta generazione chiede un segno? p. Certamente la loro domanda
era degna di ira e di irritazione, ma tuttavia egli, che era buono e
premuroso, non si adira, ma ha compassione e li considera infeli­
ci in quanto erano affetti da mali incurabili e lo mettevano alla

n Cf. Gv 6, 15. ° Mt 16, 1-4. p Me 8,12.

3 Veramente, nell’episodio relativo alla prima moltiplicazione dei pani,


secondo Mt 14,22 Gesù ordina ai discepoli di salire sulla barca e successiva­
mente sale sul monte a pregare (cf. il seguente v. 23).
4 Cf. Gv 6, 21, mentre al precedente v. 15 si dice che Gesù si ritirò sul
monte.
5 II sospetto cioè che aspirasse al potere e che il suo intento fosse di na­
tura politica.
6 Invece di Magadan, Crisostomo presenta la variante Magdala, che si
trova in alcuni codici di Mt 15, 39. '
Omelia 53, 2 397

prova dopo una così grande dimostrazione della sua potenza. Non
chiedevano infatti per credere, ma per attaccarlo; se si fossero av­
vicinati a lui con l’intenzione di credere, l’avrebbe accordato7. Di­
fatti egli che aveva detto alla donna: Non è bene, e poi le aveva
concesso la guarigione <5, a maggior ragione l’avrebbe elargito a lo­
ro. Ma poiché non cercavano di credere, per questo motivo in
un’altra occasione li chiama anche ipocriti, perché dicevano una
cosa e ne pensavano un’altra. Se avessero creduto, non avrebbero
chiesto. Per un altro motivo è evidente che non credevano, perché,
dopo essere stati rimproverati e smascherati, non persistettero né
dissero: Non sappiamo e desideriamo imparare. Quale segno dal
cielo chiedevano? Che arrestasse il sole o frenasse la luna o faces­
se cadere fulmini o mutasse l’aria o qualcos’altro di simile. Che co­
sa replica a ciò? Sapete interpretare l’aspetto del cielo e non siete
capaci di distinguere i segni dei tempi? Vedete la sua mitezza e
moderazione? Non rifiutò soltanto, come in precedenza, e disse:
Non le sarà dato nessun segno r, ma dice anche il motivo, per cui
non lo concede, benché essi non lo interrogassero per imparare.
Qual è dunque il motivo? Come per quanto concerne il cielo, di­
ce, altro è il segno della tempesta, altro quello del bel tempo, e, nel
vedere il segno della tempesta, non si potrebbe cercare il sereno,
né nella calma serena la tempesta, così si deve pensare anche ri­
guardo a me. Altro infatti è questo tempo della mia venuta, altro
quello futuro. Ora c’è bisogno di questi segni sulla terra; quelli nel
cielo invece sono tenuti in serbo per quel tempo. Ora sono venu­
to come medico, allora mi presenterò come giudice; ora per cer­
care ciò che si era perduto, allora per chiedere il rendiconto. Per­
ciò sono venuto di nascosto 8; allora invece in modo assai manife-

q Cf. Mt 15, 28. 1 Mt 12, 39.

7 Gesù cioè avrebbe concesso il segno richiesto.


8 II riferimento è al velo deU’incamazione che celava lo splendore della
natura divina.
398 Omelie sul Vangelo di Matteo

sto, avvolgendo il cielo, nascondendo il sole, senza permettere che


la lima dia la sua luce. Allora anche le potenze dei cieli saranno
scosse e lo splendore della mia venuta sarà simile alla folgore che
appare a tutti improvvisamente. Ma non è ora il momento di que­
sti segni, perché sono venuto a morire e a soffrire i più grandi sup­
plizi. Non avete ascoltato il profeta dire: Non contenderà né gride­
rà, non si udirà fuori la sua voces? E un altro ancora: Scenderà co­
me pioggia sul vello ‘?
3. Se facevano riferimento ai segni dell’epoca del Faraone
lora si doveva essere liberati da un nemico e a ragione avvenivano
quei segni; ma per chi era venuto tra amici non c’era bisogno di
questi segni. Come poi darò i grandi segni, se non si crede a quel­
li piccoli? Dico piccoli quanto a ostentazione, perché quanto a po­
tenza erano molto maggiori di quelli. Che cosa infatti potrebbe es­
sere pari a distruggere i peccati, resuscitare un morto, cacciare de­
moni, ristabilire un corpo e correggere tutto il resto? Ma tu consi­
dera l’indurimento del loro cuore, come, ascoltando: Nessun segno
sarà loro dato, se non il segno del profeta Giona, non fanno do­
mande. Eppure, conoscendo il profeta e tutti quegli eventi, e
ascoltando queste cose per la seconda volta, avrebbero dovuto in­
formarsi e apprendere che cosa mai significassero quelle parole;
ma, come ho detto, agiscono così non per desiderio di apprende­
re. Perciò, lasciatili, se ne andò.

I l rim provero d i G esù

I suoi discepoli, dice, giunti all’altra riva, si dimenticarono di


prendere i pani. Gesù disse loro: Badate di tenervi lontano dal lie­
vito dei farisei e dei sadducei u. Perché non disse chiaramente: «Te­
netevi lontano dal loro insegnamento»? Vuole ricordare loro quan­
to era avvenuto, perché sapeva che se ne erano dimenticati. Ma ac­
cusare semplicemente non sembrava ragionevole, mentre rimpro-

s Is 42,2. ‘ Sal 72 (71), 6. u Mt 16, 5-6.


Omelia 53, 2-3 399

verare prendendo lo spunto da loro, rendeva accettabile l’accusa.


Perché non li rimproverò quando dissero: Dove possiamo trovare
in un deserto tanti pani? Difatti sembrava opportuno che allora
venisse fatto questo rimprovero. Lo fece per non sembrare di af­
frettarsi a fare il miracolo. D ’altra parte non voleva rimproverarli
davanti alle folle né cercare onori presso di loro. Ora invece l’ac­
cusa era più ragionevole perché essi erano così dopo che si era vé-
rificato un duplice prodigio. Perciò li rimprovera dopo aver com­
piuto un altro prodigio e adduce ciò di cui discutevano. Di che co­
sa discutevano? Del fatto che, dice, non abbiamo preso i paniv.
Erano ancora attaccati alle purificazioni giudaiche e all’osservanza
dei cibi; quindi per tutto ciò li apostrofa anche con maggior forza
dicendo: Perché, uomini di poca fede, discutete tra di voi del fat­
to che non avete preso i pani? Non intendete ancora e non capi­
te? Avete il cuore indurito? Pur avendo occhi non vedete, pur
avendo orecchi non ascoltate? Non vi ricordate dei cinque pani
per i cinquemila, e quante ceste avete raccolto? Non vi ricordate
dei sette pani per i quattromila, e quante sporte avete raccolto? w.
Hai visto la sua grande irritazione? In nessun’altra occasione lo si
vede rimproverarli così. Perché lo fa? Per eliminare ancora il pre­
giudizio relativo ai cibi. Perciò allora disse soltanto: Non intende­
te e non capite x; qui invece, con un grande rimprovero, dice: Uo­
mini di poca fede. Non va bene in ogni caso la mitezza; come in­
fatti li rendeva partecipi della sua familiarità, così li rimprovera an­
che, provvedendo alla loro salvezza con questa varietà di atteggia­
menti. Considera sia il grande rimprovero, sia la moderazione,
perché quasi per difendersi davanti ad essi per il forte rimprovero
nei loro confronti, dice: Non capite ancora i cinque pani e quante
ceste avete raccolto? e i sette pani e quante sporte avete raccolto?
Perciò indica il numero di coloro che erano stati nutriti e degli
avanzi, al tempo stesso per far ricordare loro il passato e per ren­
derli più attenti verso il futuro. E perché tu sappia quanta forza
ebbe il rimprovero e come destò il loro animo sonnacchioso,

v Cf. Mt 16, 7. w Cf. Mt 16, 8-10; Me 8, 17-19. x Cf. Mt 15,16.


400 Omelie sul Vangelo di Matteo

ascolta che cosa dice l’evangelista. Non avendo Gesù detto nulla
di più, ma avendo rimproverato ed aggiunto solo questo: Come
non capite che non vi ho detto di guardarvi dal pane, ma dal lievito
dei farisei e dei sadducei? v, ha continuato dicendo: Allora compre­
sero che non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dalla
dottrina dei farisei e dei sadduceiz, benché egli non avesse spiega­
to questo concetto. Considera quanti beni ha causato il rimprove­
ro. Difatti li ha allontanati dalle osservanze giudaiche, da negli­
genti li ha resi più attenti e li ha liberati dall’ambizione e dalla po­
ca fede, in modo che non avessero paura e non si agitassero, se mai
si dava il caso che avessero pochi pani, né si preoccupassero della
fame, ma disprezzassero tutte queste cose.

A ltern e v ic en d e d e l l a vita umana

Dunque neppure noi non lusinghiamo sempre coloro che so­


no sottoposti e non cerchiamo di essere lusingati dai capi. L’anima
degli uomini ha bisogno di entrambi questi farmaci. Perciò Dio
governa così tutto il mondo, facendo a volte questo, a volte quel­
lo e non permette né che i beni siano stabili, né che le cose dolo­
rose rimangano assolute. Come infatti ora c’è la notte, ora il gior­
no, ora l’estate, ora l’inverno; così anche in noi ora c’è dolore, ora
piacere, ora la malattia, ora la salute. Non meravigliamoci quindi
quando siamo infermi, perché dobbiamo meravigliarci anche
quando siamo in buona salute. Non turbiamoci quando proviamo
dolore, perché è naturale turbarsi anche quando siamo nella gioia.
Tutto avviene secondo natura e l’ordine delle cose.
4. Perché ti meravigli se ti accade questo? Si potrebbe ve
che ciò è avvenuto anche a quei santi. Perché tu lo sappia, presen­
tiamo quella vita che ritieni soprattutto piena di gioia e priva di
preoccupazioni. Vuoi che esaminiamo fin dal principio la vita di
Abramo? Che cosa ha udito subito? Esci dalla tua terra e dalla tua

y M tló , 11. z M tl6 , 12.


Omelia 53, 3-4 401

parentelaaa. Hai visto che cosa dolorosa gli viene comandata? Ma


considera anche il bene che segue: Va’ nella terra che ti indicherò; fa­
rò di te un grande popoloab. E poi? Dopo essere arrivato alla terra ed
aver raggiunto il porto, si sono arrestate le avversità? Per niente af­
fatto, ma ne seguono ancora altre più gravi delle precedenti, la ca­
restia, l’emigrazione 9, il rapimento della moglie; e successivamente
seguirono altre vicende favorevoli: la punizione del Faraone, il rila­
scio della moglie, l’onore, i numerosi doni ricevuti e il ritorno a ca­
sa ac. Tutti gli eventi che seguirono presentano una successione di
fatti di questo genere, intessuta di prosperità e di avversità. Anche
agli apostoli accaddero fatti simili. Perciò Paolo diceva: Dio ci con­
sola in ogni tribolazione perché possiamo consolare quelli che si tro­
vano in ogni tribolazionead. Si potrebbe obiettare: che ha a che fare
con me che mi trovo sempre nelle avversità? Non essere ingrato né
irriconoscente; è impossibile che si sia continuamente nelle avversi­
tà, perché la natura non potrebbe sostenerlo, ma poiché vogliamo
essere sempre nella gioia, pensiamo perciò di essere sempre nel do­
lore. Non solo per questo motivo diciamo di essere nel dolore, ma
perché ci dimentichiamo subito delle cose favorevoli e buone, men­
tre ci ricordiamo sempre di quelle dolorose. Non è possibile che un
uomo si trovi sempre nel dolore.

C o n fr o n to tra l e d iv er se c o n d iz io n i d e g l i uo m in i

Se volete, esaminiamo la vita che si svolge nei piaceri, nelle mol­


lezze, nella dissolutezza e quella che trascorre nelle molestie, nelle
pene, nei dolori. Vi dimostreremo che anche la prima ha delle sof­
ferenze e la seconda dei momenti di sollievo. Ma non vi turbate. Im­
maginiamo di avere davanti un uomo in catene e un altro uomo, re,
giovane, orfano, che ha ricevuto un grande patrimonio; immaginia­

aa Gn 12,1. abG n l 2 , 1-2. ac Cf. Gn 12,10-20. ad 2 Cor 1,4.

9 In Egitto: cf. Gn 12, 10.


402 Omelie sul Vangelo di Matteo

mo anche un salariato che fatica tutto il giorno e un altro che vive


continuamente nelle mollezze. Vuoi che parliamo prima delle angu­
stie di quello che vive nelle mollezze? Pensa come sia naturale che
la sua mente sia sconvolta quando mira ad una gloria che supera le
sue possibilità, quando viene disprezzato dai familiari, quando è in­
giuriato da quelli che gli sono inferiori, quando ha innumerevoli ac­
cusatori che stigmatizzano il suo lusso smodato. E non è neppure
possibile dire quant’altro naturalmente si verifica in una simile ric­
chezza: molestie, ostacoli, accuse, danni, insidie da parte degli invi­
diosi che, dal momento che non possono trasferire a sé la sua ric­
chezza, trascinano, lacerano da ogni parte quel giovane e suscitano
contro di lui innumerevoli tempeste. Vuoi che parli della gioia di
questo salariato? E libero da tutte queste angustie; anche se qualcu­
no lo ingiuria, non ne soffre perché non si considera superiore a
nessuno; non teme per le ricchezze, mangia con piacere, dorme con
grande gioia. Quelli che bevono vino di Taso non vivono così feli­
cemente, come quello che se ne va alle fonti e gode di quelle acque.
Ma non è questa la condizione di quel ricco. Se non ti basta quanto
è stato detto, per rendere più grande la mia vittoria, ebbene con­
frontiamo il re e il prigioniero10, e vedrai che spesso questo è nella
gioia, scherza, salta, mentre quello, col diadema e la porpora, è tri­
ste, ha innumerevoli preoccupazioni ed è morto di paura. Non è
possibile, non è possibile trovare la vita di nessuno senza dolori, ma
nemmeno priva di gioia, perché la nostra natura non lo sopporte­
rebbe, come ho detto in precedenza. Se l’uno è più lieto e l’altro più
triste, dipende dalla persona stessa che è triste, dalla sua pusillani­
mità, non dalla natura delle cose. Se infatti volessimo essere lieti
continuamente, avremmo molti motivi, perché se abbracciamo la
virtù, non ci sarà nulla poi che ci rattristerà. Questa infatti suscita
buone speranze a coloro che la possiedono, rende graditi a Dio, sti­
mati dagli uomini e infonde una gioia indicibile. Anche se la virtù
comporta fatica nel realizzare buone azioni, riempie però la co-

10 Crisostomo è solito stabilire confronti tra realtà di segno opposto co­


me testimonia il suo trattato giovanile: Confronto tra il re e il monaco.
Omelia 53, 4 403

scienza di molta letizia e immette interiormente un piacere così


grande che nessun discorso potrà indicare. Che ti sembra piacevole
nella vita presente? Una mensa sontuosa, la salute del corpo, la glo­
ria, la ricchezza? Ma queste dolcezze, se le paragoni a quel piacere,
saranno, confrontate con esso, più amare di tutto. Nulla è più dolce
di una coscienza retta e di una buona speranza.

È DI CONFORTO IL RICORDO DELLE OPERE BUONE

Se volete saperlo, esaminiamo chi sta per andarsene da que­


sto mondo o chi è vecchio; ricordiamogli la mensa sontuosa di cui
ha goduto, la gloria, l’onore e le buone opere che un tempo ha rea­
lizzato e compiuto e chiediamogli per quali cose si rallegra di più
e vedremo che per le prime arrossisce e si vergogna, mentre per le
altre esulta e tripudia. Così anche Ezechia, quando si ammalò, non
si ricordò della mensa sontuosa né della gloria né del regno, ma
della giustizia. Ricordati, dice infatti, che ho camminato davanti a
te rettamente ae. Vedi che anche Paolo esulta per questo e dice: Ho
combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato
la fedeù. Che poteva dire ancora?, si potrebbe replicare. Molte co­
se e più numerose di queste: gli onori di cui fu oggetto, le premu­
re di cui usufruì, le molte attenzioni che ricevette. Non senti che
dice: Mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù,
e ancora: Se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi e me li
avreste dati as, e che per la sua vita hanno rischiato la testa Λ? Non
adduce però nulla di ciò, ma le sofferenze, i pericoli e le ricom­
pense per questi, e ben a ragione. Difatti queste cose si lasciano
quaggiù, mentre quelle se ne vanno via con noi n ; delle une ren­
deremo conto, delle altre chiederemo la ricompensa. Non sapete

ae 2 Re 20, 3; Is 38, 3. ή 2 Tm 4, 7. ae Gal 4, 14-15.


ah Cf. Rm 16, 4.

11 Quando si lascerà questo mondo.


404 Omelie sul Vangelo di Matteo

come nell’ultimo giorno i peccati opprimano l’anima? Come agiti­


no il cuore dal profondo? Allora, quando ciò si verificherà, il ri­
cordo delle buone opere, venendo in aiuto, conforterà l’anima
sconvolta come il sereno nella tempesta. Se vigiliamo, anche du­
rante la nostra vita ci sarà sempre questa paura, ma poiché siamo
insensibili, quando saremo mandati fuori da questo mondo, si pre­
senterà certamente. Anche il prigioniero è angustiato allora so­
prattutto, quando viene condotto in giudizio, allora soprattutto
trepida, quando si avvicina al tribunale, quando deve rendere con­
to 12. Perciò allora13 è possibile ascoltare molti che narrano di ter­
rori, di spettacoli spaventosi, di cui coloro che se ne vanno da que­
sto mondo non sopportano neppure la vista, e, giacendo sul letto,
lo scuotono con molto impeto e rivolgono ai presenti uno sguardo
terribile, mentre l’anima interiormente si agita e rifugge dall’esse­
re strappata dal corpo 14 e non sostiene la vista degli angeli che
vengono. Se abbiamo paura vedendo uomini terribili, guardando
sopraggiungere angeli minacciosi e potenze severe, che cosa non
soffriremo, mentre l’anima ci viene tirata e trascinata via dal cor­
po, in preda a molti lamenti vani e inutili? Infatti anche quel ric­
co, dopo essersene andato da questa vita, fece molti lamenti, ma
non gli giovò a nulla Meditando e ponderando in noi stessi su
tutto ciò, per non subire lo stesso anche noi, manteniamo in vigo­
re il timore che ne deriva, al fine di fuggire la punizione conse­
guente a tali situazioni e raggiungere i beni eterni. Voglia il cielo
che tutti noi li otteniamo, per la grazia e la bontà di nostro Signo­
re Gesù Cristo, con il quale sia gloria al Padre, insieme allo Spiri­
to santo e vivificante, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

Ά Cf. Le 16, 23 ss.

12 Del suo operato.


13 Nell’imminenza della morte.
14 Su questo motivo della resistenza dell’anima quando sta per essere se­
parata dal corpo, cf. il mio studio Giovanni Crisostomo. Commento alla lette­
ra ai Galati, cit., p. 73.
OMELIA 54

Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai


suoi discepoli: Gli uomini chi dicono che io sia, il Figlio dell’uo­
mo? a.

D o m a n d e su G esù

1. Perché ha nominato il fondatore della città? Perché c


anche un’altra, quella di Stratone, e li interroga non in quella, ma
in questa, allontanandoli dai giudei perché, liberi da ogni preoc­
cupazione, dicessero in piena libertà tutto quello che avevano nel
loro animo. E perché non chiese subito la loro opinione, ma quel­
la della gente? Perché, dopo aver riferito quella della gente e do­
po essere stato loro chiesto: Voi chi dite che io sia?'0, in base al te­
nore della domanda fossero innalzati ad una concezione più ele­
vata e non cadessero nella stessa bassezza della gente. Perciò non
li interroga all’inizio della sua predicazione, ma dopo aver com­
piuto molti miracoli, aver parlato con loro di molte e sublimi dot­
trine ed aver fornito molte prove della sua divinità e della sua con­
cordia con il Padre, allora rivolge ad essi questa domanda. E non
ha detto: Chi dicono che io sia gli scribi e i farisei?, benché spesso
costoro gli si avvicinassero e parlassero con lui, ma: Gli uomini chi
dicono che io sia?, per esaminare l’opinione imparziale del popolo.
Anche se infatti questa era molto più bassa del dovuto, era però
priva di malvagità, mentre quell’altra era piena di grande iniquità.

a Mt 16,13. b Mt 16,15.
406 Omelie sul Vangelo d i Matteo

Per mostrare come voglia assai che sia riconosciuta l’incarnazione,


dice: il Figlio dell’uomo, di qui indicando la divinità, come fa in
molte altre occasioni. Dice infatti: Nessuno è salito al cielo, se non
il Figlio dell’uomo che è in cielo 1; e ancora: Se vedeste il Figlio del­
l’uomo salire dove era prima ? c.
Quindi, poiché risposero: Alcuni Giovanni Battista, altri Elia,
altri Geremia, altri uno dei profetià, e riferirono l’errata opinione di
quelli, aggiunse allora: Voi chi dite che io s ia ? e, per invitarli, con
questa seconda domanda, ad avere di lui una concezione più su­
blime e per mostrare loro che il precedente giudizio era molto in­
feriore alla sua dignità. Perciò chiede ad essi un giudizio diverso e
rivolge una seconda domanda, perché non avessero la stessa opi­
nione dei più che, dopo aver visto prodigi superiori alle possibilità
umane, ritenevano che fosse un uomo, ma apparso in virtù della re­
surrezione, come diceva anche Erode2. Ma egli, per distoglierli da
questa supposizione, dice: Voi chi dite che io sia?, cioè: Voi che sta­
te sempre con me, che mi vedete operare miracoli e avete compiu­
to voi stessi molti prodigi per opera mia.

C o n f e ssio n e d i P ietro

Che fa allora Pietro, la bocca degli apostoli, sempre ardente,


il capo del gruppo apostolico? Mentre tutti vengono interrogati,
lui risponde. Quando chiedeva l’opinione del popolo, tutti rispo­
sero alla domanda, mentre quando chiede il loro parere, Pietro
balza avanti, li anticipa e dice: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vi­
vente f. Che dice allora Cristo? Beato sei, Simone figlio di Giona,

c Gv 6, 62. d Mt 16, 14. e Mt 16, 15. f Mt 16, 16.

1 Gv 3,13; invece dell’espressione «è disceso dal cielo» Crisostomo pre­


senta la variante: «è in cielo», che si trova in alcuni codici di Giovanni.
2 Erode Antipa; cf. Mt 14, 2: Erode dice di Gesù: Costui è Giovanni Bat­
tista risuscitato dai morti; perciò la potenza dei miracoli opera in lui.
Omelia 54, 1-2 407

perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato s. Certamente se


non l’avesse confessato come Figlio autenticamente, generato dal
Padre stesso, questa non sarebbe stata opera di rivelazione; se
avesse ritenuto che fosse uno dei tanti, le sue parole non sarebbe­
ro state degne della beatitudine. Anche in precedenza avevano
detto: E veramente Figlio di Dio h, quelli che erano sulla barca, do­
po l’agitazione dei flutti che avevano visto, e non furono procla­
mati beati, pur avendo detto il vero. Non confessarono infatti una
figliolanza3 così come Pietro, ma pensavano che egli, uno dei tan­
ti, fosse veramente figlio, certo eccellente rispetto ai tanti, ma non
della stessa sostanza.
2. Anche Natanaele diceva: Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, t
il re di Israele1·, non solo non viene proclamato beato, ma viene an­
che ripreso da lui in quanto aveva parlato molto al di sotto della
verità. Aggiunse: Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico,
credi? Vedrai cose maggiori di queste i. Perché dunque Pietro viene
proclamato beato? Perché lo confessò come Figlio autentico di
Dio. Perciò nel caso di quelli non ha detto nulla di simile; invece
nel caso di Pietro indica anche chi glielo aveva rivelato. Perché
non sembrasse alla gente che, dal momento che amava Cristo in­
tensamente, le sue parole derivassero da amicizia e adulazione e da
un atteggiamento di compiacenza nei suoi confronti, presenta chi
aveva istruito la sua anima, perché tu sapessi che Pietro aveva par­
lato, ma il Padre aveva suggerito e credessi che quanto aveva det­
to non era più un’opinione umana, ma una dottrina divina. Perché
non è lui a dichiararlo e a dire: Io sono il Cristo, ma lo prepara con
la domanda, spingendoli a confessarlo? Perché così allora gli era
più conveniente e necessario e li attirava maggiormente a credere
in ciò che veniva affermato. Hai visto come il Padre riveli il Figlio

« M tló , 17. h Mt 14, 33. * Gv 1, 49. )G v l,5 0 .

3 In quanto Pietro fa riferimento specificamente a Cristo, Figlio del Dio


vivente, e non genericamente Figlio di Dio.
408 Omelie sul Vangelo di Matteo

e il Figlio il Padre? Nessuno, dice, conosce il Padre se non il Figlio


e colui al quale il Figlio vuole rivelarlo k. Non è possibile dunque
conoscere il Figlio da altri, se non dal Padre, né conoscere il Pa­
dre da altri, se non dal Figlio. Sicché anche da qui sono evidenti
l’uguaglianza di onore e la consostanzialità 4.

L e p r o m esse d i G esù a P ietro

Che disse dunque Cristo? Tu sei Simone, figlio di Giona; tu sa­


rai chiamato Cefa ·. Poiché, dice, hai annunciato mio Padre, anche
10 nomino chi ti ha generato; come se dicesse: Come tu sei figlio di
Giona, così anch’io lo sono di mio Padre. Era superfluo dire: Tu sei
11 figlio di Giona, ma poiché aveva detto che era Figlio di Dio, per
dimostrare che era Figlio di Dio così come quello era figlio di Gio­
na, della stessa sostanza di colui che l’aveva generato, per tale mo­
tivo ha aggiunto questa indicazione. E io ti dico: tu sei Pietro, e su
questa pietra edificherò la mia Chiesa m; cioè, sulla fede della tua
confessione. Mostra così che molti ormai avrebbero creduto; eleva
il suo animo e lo stabilisce pastore. E le porte degli inferi non pre­
varranno contro di essa n. Se non prevarranno contro di essa, a mag­
gior ragione non prevarranno contro di me, sicché non turbarti
quando ascolterai che sarò consegnato e crocifisso. Poi parla anche
di un altro onore: Ti darò le chiavi dei cieli0. Che significa: Ti darò?
Come il Padre ti ha concesso di conoscermi, così te lo concederò an­
che io. E non ha detto: Pregherò il Padre - certo notevole era la di­
mostrazione della sua autorità e indicibile la grandezza del dono -,
ma: Ti darò. Che cosa dai?, dimmi. Le chiavi dei cieli e tutto ciò che
legherai sulla terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sul·

k Le 10,22. ' Gv 1,42. mM t l6 ,18. nIbid. ° M t l 6 , 19.

4 Tra il Padre e il Figlio, secondo la celebre professione di fede del con­


cilio di Nicea del 325.
Omelia 54, 2-3 409

la terra, sarà sciolto nei cieli "p. Come dunque non sta a lui concede­
re che siedano alla destra e alla sinistra <5, mentre dice: Ti darò? Hai
visto come elevi Pietro ad una concezione sublime di sé, riveli se
stesso e mostri di essere Figlio di Dio mediante queste due pro­
messe? Promette infatti di dare ciò che è prerogativa solo di Dio,
vale a dire distruggere i peccati, rendere la Chiesa immutabile in un
così grande assalto di marosi e far divenire un pescatore più saldo
di ogni roccia, mentre tutto il mondo è in guerra; come il Padre di­
ceva, parlando a Geremia, che lo avrebbe posto come una colonna
di bronzo e un muror, ma quello per un solo popolo, questo inve­
ce ovunque nel mondo. Vorrei chiedere a coloro che vogliono smi­
nuire la dignità del Figlio5: quali doni sono maggiori, quelli che ha
dato il Padre a Pietro, oppure quelli che gli ha dato il Figlio? Di­
fatti il Padre ha elargito a Pietro la rivelazione del Figlio; il Figlio
ha concesso di diffondere ovunque nel mondo la rivelazione del
Padre e di se stesso, e ha affidato ad un mortale il potere su tutto
ciò che è in cielo, dandogli le chiavi, Egli che ha esteso ovunque nel
mondo la Chiesa e l’ha resa più forte del cielo. Il cielo e la terra pas­
seranno, ma le mie parole non passerannos. Come è inferiore dun­
que chi ha concesso simili beni ed ha realizzato opere di questo ge­
nere? Dico questo non per dividere le opere del Padre e del Figlio:
Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto *,
ma per mettere un freno alla lingua impudente di quelli che osano
fare simili affermazioni.

P er c h é G esù o rdin a d i n o n rivelare l a sua id en tità

3. Considera in tutto la sua autorità. Io ti dico: tu sei Pietr


edificherò la Chiesa; io ti darò le chiavi dei cieli. Allora, dopo aver

P Ibid. <5 Cf. Mt 20, 23. r Cf. Ger 1, 18. s Mt 24, 35.
1 Gv 1,3.

5 II riferimento polemico è agli ariani.


410 Omelie sul Vangelo di Matteo

detto queste cose, ordinò ad essi di non dire a nessuno che egli era
il Cristo u. Perché dette quest’ordine? Perché, eliminato ciò che
potesse essere motivo di scandalo, compiuto l’evento della croce,
realizzatosi il resto della sua passione, senza che ci fosse nulla poi
che impedisse e turbasse la fede della gente in lui, fosse impressa,
genuina e inalterata, nell’animo dei suoi ascoltatori la dovuta opi­
nione su di lui. Non aveva ancora brillato chiaramente la sua po­
tenza. Perciò voleva essere annunciato da essi, quando la chiara
verità dei fatti e la forza degli eventi fossero di sostegno alle paro­
le degli apostoli. Non era infatti la stessa cosa vederlo in Palestina
ora compiere miracoli, ora venire insultato e perseguitato, soprat­
tutto quando la croce doveva seguire i prodigi da lui realizzati, e
vederlo ovunque nel mondo adorato e creduto, senza che soffris­
se più nulla di simile a quello che aveva patito. Perciò dice di non
parlarne con nessuno. Difatti ciò che una volta è stato radicato e
poi strappato, difficilmente, se viene piantato ancora, rimane nel­
la gente; invece ciò che, dopo essere stato fissato una volta, resta
inalterato, senza ricevere alcun danno, facilmente viene su e pro­
gredisce verso una crescita maggiore. Se coloro che avevano usu­
fruito di molti miracoli e erano stati partecipi di tanti misteri inef­
fabili, si scandalizzarono soltanto per aver sentito parlare di croce,
anzi non solo essi, ma anche il capo di tutti, Pietro, pensa che co­
sa era naturale che provasse la gente, apprendendo che era Figlio
di Dio e vedendolo invece crocifisso e coperto di sputi, senza co­
noscere l’arcano di questi misteri, senza aver usufruito dello Spiri­
to santo. Se diceva ai discepoli: Ho da dirvi molte cose, ma per il
momento non potete portarne il peso v, a maggior ragione il resto
del popolo si sarebbe perso d’animo, se, prima del tempo dovuto,
gli fosse stato rivelato il punto più alto di questi misteri. Perciò
proibisce di parlarne. Perché tu sappia quanto fosse importante
apprendere in seguito la pienezza della dottrina, dopo che passò
ciò che poteva essere di scandalo, imparalo da questo stesso capo.
Proprio questo Pietro che, dopo tanti miracoli, si era mostrato co­

u Mt 16, 20. v Gv 16, 12.


Omelia 54, 3 411

sì debole da rinnegare Cristo e aver paura di una fanciulla di poco


conto 6, dopo che si realizzò l’evento della croce, ricevette chiare
dimostrazioni della resurrezione e non c’era più nulla che lo scan­
dalizzasse e turbasse, mantenne così saldo l’insegnamento dello
Spirito da affrontare il popolo giudaico con maggior veemenza di
un leone, pur essendoci la minaccia di innumerevoli pericoli di
morte. A ragione dunque ordinò di non parlare alla gente prima
della croce, dal momento che, prima della croce, non ardì di ma­
nifestarlo neppure ad essi che avrebbero dovuto insegnare tutto.
Ho da dirvi molte cose, dice, ma per il momento non potete portar­
ne il peso. Non comprendono molte cose che aveva detto e che,
prima della croce, non rese chiare. Quando invece risuscitò, allo­
ra compresero alcune cose che aveva detto.

A n n u n c io d e l l a pa ssio n e

Da allora cominciò a indicare ad essi che doveva soffrire w. Da


allora·, quando? Quando impresse in essi questa dottrina7; quan­
do presentò il dominio delle genti8. Ma neppure così comprende­
vano quanto diceva: difatti, dice, quel parlare rimaneva oscuro per
loro x, ed erano come in una sorta di oscurità, non sapendo che do­
veva risorgere. Perciò insiste sulle difficoltà e amplia il discorso,
per aprire la loro mente e perché comprendessero quale mai fosse
il significato delle sue parole. Ma non compresero; quel parlare ri­
maneva oscuro per loro v; temevano di chiedergli, non se sarebbe
morto, ma come e in che modo, e che cosa mai fosse questo mi-

wM tl6, 21. x Le 18, 34. y Ibid.

6 Una serva: cf. Mt 26, 69ss.


7 Quella relativa al Cristo, Figlio del Dio vivente.
8 Probabilmente qui Crisostomo si riferisce alla docilità delle genti nel
rispondere al messaggio di Cristo rispetto all’incredulità dei giudei che ven­
gono quindi soppiantati da esse: cf., ad es., Mt 8, 11-12.
412 Omelie sul Vangelo di Matteo

stero. Non sapevano che cosa mai significasse proprio questo con­
cetto di risorgere e pensavano che fosse molto meglio non morire.
Perciò, mentre gli altri erano turbati e perplessi, di nuovo solo Pie­
tro, che era ardente, ha il coraggio di parlare su questo punto, e
non apertamente, ma prendendolo in disparte, cioè, separandosi
dagli altri discepoli, e dice: Dio te ne scampi, Signore; questo non ti
accadrà mai7·. Che è mai questo? Egli che aveva ottenuto una rive­
lazione, che era stato proclamato beato, così rapidamente cadde e
si ingannò, in modo da temere la passione? Che c’è da meravi­
gliarsi che questo accadesse a chi non aveva ricevuto una rivela­
zione su tale argomento? Per sapere che non pronunziò quelle pa­
role di sua iniziativa, considera come, in ciò che non gli era stato
rivelato, rimanga turbato e sconvolto e, pur sentendolo innumere­
voli volte, non sa che senso abbia quanto viene detto. Aveva ap­
preso che era Figlio di Dio, ma non gli era ancora chiaro che cosa
fosse il mistero della croce e della resurrezione. Difatti, dice, quel
parlare rimaneva oscuro per loro. Vedi che giustamente ordinava di
non parlarne agli altri? Se infatti a tal punto turbò quelli che era
necessario che lo sapessero, che cosa non sarebbe capitato agli al­
tri? Egli, mostrando che era tanto lontano dall’andare alla passio­
ne contro la sua volontà, rimproverò Pietro e lo chiamò Satana.

P ietro rimproverato d a C risto

4. Ascoltino quanti si vergognano della passione e della c


di Cristo 9. Se infatti il capo degli apostoli, prima di apprendere tut­
to chiaramente, fu chiamato Satana per questo suo atteggiamento,
che indulgenza possono avere coloro che rifiutano l’economia della

2 Mt 16, 22.

9 Si può intravedere un riferimento polemico nei confronti di marcioni-


ti e manichei che, per il loro docetismo, negavano la realtà dell’incarnazione
di Cristo e quindi della sua passione. ‘
Omelia 54, 3-4 413

croce10 dopo una prova così grande? Se chi è stato così proclamato
beato e ha fatto una tale confessione, ascolta simili parole, pensa che
cosa subiranno quelli che, dopo questi eventi, rifiutano il mistero
della croce. Non ha detto: Satana ha parlato per mezzo di te, ma:
Lungi da me, Satana!aa, perché era desiderio dell’Avversario che Cri­
sto non patisse. Perciò lo ha rimproverato con tanta intensità, per­
ché sapeva soprattutto che lui e gli altri temevano questo e non l’a­
vrebbero accettato facilmente. Perciò rivela quello che egli aveva
nell’animo dicendo: Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomi­
ni ab. Che vuol dire: Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini?
Egli, esaminando la questione con ragionamento umano e terreno,
pensava che ciò fosse per lui obbrobrioso e sconveniente. Cristo
dunque, riprendendolo, dice: «Non è sconveniente che io patisca,
ma tu lo giudichi in questo senso con mentalità carnale, perché, se
avessi ascoltato le mie parole in modo conforme a Dio, libero da ra­
gionamenti carnali, avresti compreso che soprattutto questo mi è
conveniente. Tu pensi che patire sia indegno di me; io invece ti di­
co che è intenzione del diavolo che io non patisca». Con opposte ar­
gomentazioni mitigava la sua angoscia. Come persuase a battezzar­
lo Giovanni che riteneva che fosse indegno di Cristo ricevere il bat­
tesimo da lui, dicendo: Così conviene a noiiC, e convinse questo stes­
so Pietro che voleva impedirgli di lavargli i piedi, dicendo: Se non ti
lavo i piedi, non bai parte con « i ad; così anche in questo caso lo fre­
nò con argomentazioni di segno opposto e placò la sua paura della
passione con l’intensità del rimprovero.

E saltazione d e l l a cr o c e d i C risto

Nessuno si vergogni dunque dei sacri simboli della nostra sal­


vezza, del culmine dei beni, per mezzo dei quali viviamo ed esi-

aa Mt 16, 23. ab Ibid. ac Mt 3,15. ad Gv 13, 8.

10 D piano provvidenziale divino relativo alla passione e morte di Gesù.


414 Omelie sul Vangelo di Matteo

stiamo, ma portiamo intorno come una corona la croce di Cristo.


Per mezzo di essa infatti si compie tutto ciò che ci riguarda. Se oc­
corre essere rigeneratin , è presente la croce; se ci si deve nutrire
di quel mistico alimento12, se occorre essere ordinati13 o fare qual­
siasi altra cosa, ovunque ci sta accanto il simbolo della vittoria.
Perciò con molto fervore incidiamo la croce sulla casa, sulle mura,
sulle finestre, sulla fronte, sul cuore14; difatti questo è il segno del­
la nostra salvezza, della comune libertà, della bontà del Signore
nei nostri confronti: Come agnello è stato condotto al macello ae.
Quando ti segni, pensa a tutto il significato della croce e placa la
collera e tutte le altre passioni; quando ti segni, riempi la fronte di
molta fiducia, rendi l’anima libera. Sapete certamente che cos’è
che procura la libertà. Perciò Paolo, spingendoci a questo, inten­
do dire alla libertà che si addice a noi, ci spronava così, rammen­
tando la croce e il sangue del Signore; dice infatti: Siete stati com­
prati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini ** Pensa, vuol di­
re, al prezzo pagato per te e non sarai schiavo di nessun uomo;
chiama prezzo la croce. Non si deve imprimerla semplicemente
con il dito, ma prima nella volontà con molta fede. Se la imprimi
così sul volto, non potrà starti accanto nessun demone impuro, ve­
dendo il pugnale da cui è stato trafitto, la spada con cui ha rice­
vuto il colpo mortale. Se infatti noi inorridiamo vedendo i luoghi
in cui i condannati sono giustiziati, pensa a che cosa capiterà al
diavolo vedendo l’arma per mezzo della quale Cristo ha distrutto
tutta la sua potenza e ha reciso la testa del serpente. Non vergo­
gnarti dunque di un bene così grande, perché non si vergogni di

ae Is 53, 7; cf. At 8, 32. a flC o r7 ,2 3 .

11 Cioè battezzati.
12 L’Eucaristia.
13 II riferimento è al sacerdozio.
14 Sul tema della croce si veda una raccolta di testi crisostomiani da me
presentati in «Primi secoli. Il mondo delle origini cristiane» III/6 (2000), pp.
19-21.
Omelia 54, 4-5 415

te Cristo quando verrà con la sua gloria e apparirà davanti a lui


questo segno più splendente degli stessi raggi del sole. Verrà allo­
ra la croce, facendo uscire la voce tramite la sua apparizione, par­
lando in difesa del Signore davanti a tutto il mondo e mostrando
che non ha tralasciato nulla di quanto lo riguardava. Questo se­
gno, al tempo dei nostri progenitori e ora, aprì le porte che erano
chiuse, neutralizzò i veleni esiziali, annullò la forza della cicuta, cu­
rò i morsi delle fiere velenose. Se aprì le porte dell’inferno, schiu­
se la volta dei cieli, aprì l’accesso del paradiso e annientò il vigore
del diavolo, che c’è da meravigliarsi se ebbe il sopravvento sui ve­
leni esiziali, sulle fiere e sulle altre cose di questo genere?
5. Incidi dunque la croce nel tuo animo e abbraccia la sal
za delle nostre anime. Questa croce infatti ha salvato il mondo e lo
ha convertito, ha scacciato l’errore, ha riportato la verità, ha fatto
della terra un cielo, ha reso angeli gli uomini. Per merito suo i de­
moni non sono più temibili, ma spregevoli, la morte non è più
morte, ma sonno; per merito suo tutto ciò che ci era ostile è stato
abbattuto e calpestato. Se qualcuno ti dicesse: Adori il crocifisso?,
di’ con voce lieta, con volto gioioso: Lo adoro e non smetterò mai
di adorarlo. Se ti deride, compiangilo per la sua follia; ringrazia il
Signore perché ci ha elargito tali benefici che nessuno può com­
prendere senza la rivelazione celeste. Perciò costui ride, perché
l’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito ae. Anche ai
bambini capita questo, quando vedono qualche cosa di grande e
di meraviglioso; se introduci un bambino ai misteri, riderà. I pa­
gani sono simili a questi bambini, anzi sono più imperfetti di que­
sti e perciò più infelici, perché si trovano nella condizione infanti­
le non nell’età immatura, ma in quella adulta, per cui non sono de­
gni di indulgenza. Ma noi a chiara voce, proclamando con forza e
vigore, gridiamo e diciamo, con maggior franchezza se tutti i pa­
gani sono presenti, che la croce è il nostro vanto, il culmine di tut­
ti i beni, la nostra fiducia e ogni corona. Vorrei poter dire con Pao­
lo: per mezzo di essa il mondo per me è stato crocifisso e io per il

a§ 1 Cor 2,14.
416 Omelie sul Vangelo di Matteo

mondo ma non posso, perché sono dominato da passioni di va­


ria specie. Perciò vi esorto, e me stesso prima di voi, ad essere cro­
cifissi per il mondo, a non avere nulla in comune con la terra, ma
ad amare la patria celeste, la sua gloria e i suoi beni.

E sser e so ld a ti d e l R e ce l e ste

Siamo soldati del Re celeste e siamo rivestiti delle armi spiri­


tuali. Perché allora conduciamo una vita da bottegai, da mendi­
canti, anzi da vermi? Dove è il re, lì deve essere anche il soldato,
perché siamo divenuti soldati, non di quelli che stanno lontano, ma
vicino. Il re terreno non tollererebbe che tutti fossero nella reggia
né al suo fianco; il re dei cieli invece vuole che tutti siano vicini al
trono regale. E come è possibile, si potrebbe obiettare, stare pres­
so quel trono mentre si è quaggiù? Perché anche Paolo, pur essen­
do sulla terra, stava dove sono i serafini e i cherubini, e più vicino
a Cristo di quanto questi scudieri siano vicini al re. Costoro infatti
volgono lo sguardo in molte parti, mentre nulla distraeva né sviava
Paolo, ma aveva la mente tutta rivolta al Re. Sicché, se lo vogliamo,
questo è possibile anche a noi. Se il Signore fosse in un luogo di­
stante, giustamente saresti in difficoltà, ma se è presente dapper­
tutto, è vicino a chi mostra zelo per lui e a lui si rivolge. Perciò di­
ceva il profeta: Non temerò alcun male, perché tu sei con me “ ; e Dio
stesso a sua volta: Sono un Dio vicino e non un Dio lontano ai. Co­
me quindi i peccati ci allontanano da lui, così gli atti di giustizia ci
riuniscono a lui. Dice: Mentre ancora stai parlando, dirò: Eccomi
Quale padre mai darebbe retta così ai figli? Quale madre è così di­
sponibile e continuamente presente, nel caso la chiamino i bambi­
ni? Non c’è nessuno, né padre né madre, ma Dio che sta continua­
mente in attesa, se mai qualcuno dei suoi lo invoca; mai, se lo in­
vochiamo come si deve, rifiuta di prestare attenzione. Perciò dice:
Mentre ancora stai parlando; non aspetto che tu finisca di parlare,

ah Gal 6, 14. ai Sai 23 (22), 4. ai Ger 23, 23. Λ ΐ8 58,9.


Omelia 54, 5-6 417

ma subito ti ascolto. Invochiamolo dunque, come vuole essere in­


vocato. Come lo vuole? Sciogli, dice, ogni legame di iniquità, togli i
lacci di contratti violenti, annulla ogni patto iniquo. Spezia il tuo pa­
ne con l'affamato, introduci nella tua casa i poveri senza tetto. Se ve­
di uno nudo, vestilo e non disprezzare quelli che sono della stessa tua
discendenza. Allora la tua luce proromperà precocemente, apparirà
presto la tua guarigione, davanti a te camminerà la tua giustizia e la
gloria di Dio ti avvolgerà. Allora mi invocherai e ti esaudirò; mentre
stai ancora parlando, dirò: Eccomiύ. E chi, si potrebbe dire, può fa­
re tutto ciò? Chi non può?, dimmi. Che cosa c’è di difficile in ciò
che è stato detto? Che c’è di faticoso? Che c’è di non facile? Così
non solo è possibile, ma anche facile, tanto che molti sono andati
oltre la misura di quanto è stato detto, non solo annullando i con­
tratti iniqui, ma spogliandosi anche di tutti i loro beni; non solo ac­
cogliendo i poveri nella loro casa e alla loro mensa, ma anche pro­
fondendo le loro fatiche e i loro sforzi per nutrirli, beneficando non
solo i consanguinei, ma anche i nemici.

L a ricch ezza d e i d o n i d i D io

6. Insomma che c’è di difficile nelle suddette parole? 15.


ha detto: Valica la montagna, attraversa il mare, scava tanti e tanti
iugeri di terra, resta digiuno, vestiti di sacco, ma: Condividi con i
tuoi, condividi il pane, straccia i contratti stabiliti iniquamente.
Che c’è di più facile di questo?, dimmi. Anche se pensi che sia dif­
ficile, considera le ricompense e sarà facile per te. Come i re nelle
corse dei cavalli pongono davanti ai contendenti corone, premi e
vesti, così anche Cristo pone i premi in mezzo allo stadio, proten­
dendoli come mediante molte mani, le parole del profeta. I re, an-

al Is 58, 6-9.

15 Le parole del profeta.


418 Omelie sul Vangelo di Matteo

che se fossero re innumerevoli volte, essendo uomini, avendo una


ricchezza che si esaurisce e una prodigalità che si consuma, ambi­
scono di mostrare ciò che è poco come se fosse molto; perciò con­
segnando ogni singola cosa a ciascun servitore, così la presentano.
Il nostro Re invece agisce al contrario: accumulando tutto insieme,
poiché è molto ricco e non fa nulla per ostentazione, mette così in
mezzo cose che, se disposte per esteso, saranno illimitate e avran­
no bisogno di molte mani che le possano tenere. Per saperlo, esa­
mina con attenzione ciascuna di queste cose. Allora la tua luce, di­
ce, proromperà precocemente. Ti sembra forse che questo sia un so­
lo dono? Ma non è uno solo, perché ne contiene all’interno molti,
premi, corone e altre ricompense. Se volete, distinguiamoli e mo­
striamone tutta la ricchezza, come ci è possibile indicarlo, purché
non vi stanchiate. Innanzitutto impariamo che cosa vuol dire pro­
romperà. Non ha detto: apparirà, ma: proromperà, mostrandoci la
rapidità e l’abbondanza, come desideri intensamente la nostra sal­
vezza, come sia ansioso che gli stessi beni vengano fuori e si af­
fretti, e non ci sarà nulla che ostacoli il suo slancio indicibile. Con
tutto ciò indica la loro abbondanza e l’immensità della loro ric­
chezza. Che cosa vuol dire precocemente? Cioè, non dopo che ci si
è trovati nelle tentazioni, né dopo l’assalto dei mali, ma anzi pre­
viene. Come nel caso dei frutti diciamo che è precoce ciò che ap­
pare prima del tempo dovuto, così anche qui, indicando di nuovo
la rapidità, si è espresso in questi termini, come diceva sopra: men­
tre stai ancora parlando, dirò: Eccomi. Di quale luce parla? E che
cosa è mai questa luce? Non questa luce sensibile, ma un’altra
molto migliore, che ci mostra il cielo, gli angeli, gli arcangeli, i che­
rubini, i serafini, i troni, le dominazioni, i principati, le potestà,
tutto l’esercito, i palazzi regali, i tabernacoli celesti. Se sarai rite­
nuto degno di tale luce, vedrai queste cose, sarai liberato dalla
geenna, dal verme velenoso, dallo stridore di denti, dalle catene
indissolubili, dall’oppressione, dalla tribolazione, dalla tenebra
oscura, dall’essere diviso in due dal fiume di fuoco, dalla male-

3111 Cf. M t24, 51.


Omelia 54, 6 419

dizione, dai luoghi di dolore. Te ne andrai dove sono fuggiti dolo­


re e afflizione, dove c’è grande gioia, pace, amore, felicità e letizia,
dove c’è vita eterna, gloria ineffabile, bellezza inesprimibile, dove
ci sono gli eterni tabernacoli, l’indicibile gloria del Re e quei beni
che occhio non vide, né orecchio udì né entrarono nel cuore dell’uo­
mo m; dove c’è il talamo spirituale, i vestiboli dei cieli, le vergini
che hanno le lampade accese e coloro che indossano la veste nu­
ziale ao; dove molti sono i beni del Signore e i tesori regali. Hai vi­
sto quanto grandi sono le ricompense e quante ne ha indicate con
una sola espressione e come ha messo insieme tutto? Così se spie­
ghiamo ciascuna delle espressioni successive, troveremo una gran­
de ricchezza e un mare immenso. Ancora, dimmi, tireremo per le
lunghe e saremo lenti nell’avere misericordia verso i bisognosi?
No, vi prego, ma anche se si deve abbandonare tutto, essere get­
tati nel fuoco, affrontare la spada, lanciarsi sui coltelli, soffrire
qualsiasi cosa, sopportiamo tutto agevolmente, per ottenere la ve­
ste del regno dei cieli16 e quella gloria ineffabile. Voglia il cielo che
tutti noi la conseguiamo, per la grazia e la bontà di nostro Signo­
re Gesù Cristo, a cui siano la gloria e la potenza nei secoli dei se­
coli. Amen.

“ 1 Cor 2, 9. 30 Cf. Mt25, 7; 22, llss.

16 Sul simbolismo della veste cf. C. Noce, Vestis varia. Uimmagine della
veste nell’opera di Origene, «Studia Ephemeridis Augustinianum» 79, Roma
2002, pp. llss.
OMELIA 55

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuole venire dietro


a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi seguaa.

L a m itezza è più p o t e n t e d e l l a forza

1. Allora: quando? Quando Pietro disse: Dio te ne scampi


sto non ti accadrà mai, e udì: Lungi da me, Satana b. Non si limitò
soltanto al rimprovero, ma volendo anche dimostrare ampiamente
l’assurdità delle parole di Pietro e il vantaggio derivante dalla pas­
sione, afferma: «Tu mi dici: Dio te ne scampi; questo non ti accadrà
mai·, io invece ti dico che non solo è per te dannoso e rovinoso osta­
colarmi e non tollerare la mia passione, ma non potrai nemmeno
salvarti, se tu stesso non sei sempre pronto a morire». Perché non
pensassero che soffrire fosse indegno di lui, insegna ad essi il van­
taggio della passione non solo con gli argomenti precedenti, ma an­
che con quelli seguenti. In Giovanni dice: Se il chicco di grano ca­
duto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce mol­
to frutto c. Qui, sviluppando ampiamente questo concetto, porta
avanti il discorso non solo su di sé, sul fatto di dover morire, ma an­
che su di loro. E così grande infatti il vantaggio che deriva da que­
sta realtà, che anche per voi non voler morire è un male, mentre è
un bene essere pronti a questa eventualità. Ma mette in evidenza
questo successivamente; per ora invece lo tratta parzialmente. Con­
sidera come svolga il discorso senza costrizione, perché non ha det­
to: Sia che vogliate, sia che non vogliate, dovete soffrire questo, ma

a Mt 16,24. b Mt 16, 22-23. c Gv 12, 24.


Omelia 55, 1 421

come? Se qualcuno vuole venire dietro a me. Non forzo, non co­
stringo, ma rendo ciascuno padrone della sua libera scelta; perciò
dico: Se qualcuno vuole. Invito alle cose buone, non alle cose catti­
ve e spiacevoli, non al castigo e alla punizione, per costringere. Di­
fatti la stessa natura della cosa è sufficiente ad attirare. Parlando co­
sì attraeva maggiormente. Chi invece costringe, spesso allontana,
mentre chi lascia libero l’uditore, attira di più. La mitezza è più po­
tente della forza. Perciò diceva: Se qualcuno vuole. Grandi sono i
beni, dice, che vi do e tali che si accorre spontaneamente. Nemme­
no se uno offrisse dell’oro e mettesse davanti un tesoro, potrebbe
far venire con la forza. Se non si va verso tali beni a forza, a mag­
gior ragione non si accede così ai beni celesti. Se la natura della co­
sa non ti persuade ad accorrere, non sei degno di riceverla, e nem­
meno se la ricevi, conoscerai bene ciò che è stato ricevuto. Perciò
Cristo non costringe, ma esorta, per riguardo a noi. Poiché sem­
brava che facessero molti commenti, particolarmente turbati per le
sue parole, dice: «Non c’è necessità di essere turbati e agitati. Se
non pensate che ciò che ho detto, e che può capitare anche a voi,
sia causa di innumerevoli beni, non forzo né costringo, ma se qual­
cuno vuole seguirmi, lo invito. Non pensiate che seguirmi significhi
quello che fate ora venendomi dietro. Vi occorrono molte fatiche,
molti rischi, se volete venire dietro a me. Non perché, o Pietro, hai
riconosciuto che sono Figlio di Dio, solo per questo devi aspettar­
ti ricompense, e credere che ti sia sufficiente per la salvezza e rite­
nerti poi al sicuro, come se avessi fatto tutto. Potrei certamente, in
quanto Figlio di Dio, non farti fare esperienza dei mali, ma non lo
voglio per te, perché anche tu dia un contributo e divenga miglio­
re». Se un presidente dei giochi avesse un amico adeta, non vor­
rebbe incoronarlo soltanto per compiacenza, ma anche per il suo
impegno, e soprattutto perché gli è amico. Così fa anche Cristo;
vuole che quelli che soprattutto gli sono cari si facciano onore an­
che con le proprie forze, non solo per il suo aiuto. Considera come
non renda gravoso il suo discorso, perché non circoscrive i mali so­
lo ad essi, ma presenta un insegnamento comune al mondo intero
dicendo: Se qualcuno vuole; sia che sia donna, uomo, governante,
governato, vada per questa strada. Sembra che abbia detto una co­
422 Omelie sul Vangelo di Matteo

sa sola, mentre ne dice tre: Rinneghi se stesso, prenda la sua croce e


mi segua. Di queste, due sono legate, mentre una è posta a sé.

R in n e g a r e s e stessi

Ma vediamo dapprima che cosa significa rinnegare se stesso.


Impariamo innanzitutto che significa rinnegare un altro e allora sa­
premo che cosa significa rinnegare se stesso. Che significa dunque
rinnegare un altro? Chi rinnega un altro, come un fratello o un ser­
vitore o qualunque altro, anche se lo vede frustato, incatenato, con­
dotto al supplizio o soffrire qualunque altra cosa, non lo assiste, non
lo aiuta, non lo compiange, non ha compassione per lui, una volta
che si sia estraniato da lui. Così dunque vuole che non abbiamo ri­
guardi per il nostro corpo, perché, sia che flagellino, perseguitino,
brucino o facciano qualsiasi altra cosa, non abbiamo riguardi per
noi; questo infatti significa avere riguardi '. Anche i padri hanno ri­
guardi per i figli quando, affidandoli ai maestri, ordinano di non
avere riguardi per loro. Così ha fatto anche Cristo: non ha detto:
Non abbia riguardi per se stesso, ma, con forza: rinneghi se stesso,
cioè: non abbia niente in comune con se stesso, ma esponga se stes­
so ai pericoli, alle lotte e si comporti come se un altro soffrisse que­
ste cose. E non ha detto: neghi, ma: rinneghi, manifestando a sua
volta, con questa piccola aggiunta 2, la grande superiorità di tale
espressione, perché il secondo verbo ha maggior forza del primo.

P ren d er e la propria cro ce e seg u ir e C risto

2. Prenda la sua croce. Questo atteggiamento nasce da qu


precedente. Perché tu non pensi che si deve rinnegare se stessi fi-

1 Nel senso che un simile comportamento, che non indulge a compro­


messi, significa veramente aver riguardo per se stessi.
2 Qui Crisostomo gioca sulla sfumatura di significato tra i verbi arnéo-
mai e aparnéomai.
Omelia 55, 1-2 423

no alle parole, alle ingiurie, agli insulti, dice anche fino a che pun­
to si deve rinnegare se stessi, vale a dire fino alla morte e una mor­
te vergognosa. Perciò non ha detto: rinneghi se stesso fino alla
morte, ma: prenda la sua croce, indicando la morte vergognosa, e
che si deve agire così non una volta né due, ma per tutta la vita.
Porta intorno continuamente, vuol dire, questa morte, sii pronto
ogni giorno al sacrificio. Poiché molti hanno disprezzato le ric­
chezze, il piacere e la gloria, però non hanno disdegnato la morte,
ma hanno avuto paura dei pericoli, io, dice, voglio che il mio com­
battente lotti fino al sangue e che resti nell’arena fino ad essere uc­
ciso, sicché, anche se deve andare incontro alla morte, pur vergo­
gnosa ed esecrabile, e per una cattiva fama, sopporti tutto forte­
mente e così vada maggiormente orgoglioso.
E mi segua. Poiché è possibile che anche chi soffre non lo se­
gua, se non soffre per lui - difatti anche i briganti, i violatori di
tombe, gli incantatori soffrono molti mali -, perché tu non pensi
che sia sufficiente la natura dei mali, aggiunge il fondamento che
sta alla base dei mali. Qual è questo? Che agendo così e soffrendo
queste cose lo segua; che sopporti tutto per lui; che abbia anche le
altre virtù, perché l’espressione mi segua indica anche ciò, sicché
tu dimostri non solo coraggio nelle avversità, ma anche temperan­
za, moderazione e ogni filosofia. Questo significa seguire come si
deve, praticare anche le altre virtù e soffrire tutto per lui. Ci sono
alcuni che, seguendo il diavolo, soffrono queste cose e danno la lo­
ro vita per lui, ma noi per Cristo, anzi per noi stessi, mentre quel­
li per nuocere a se stessi, quaggiù e lassù; noi invece per guada­
gnare l’una e l’altra vita. Come dunque non è estrema indolenza
non mostrare neppure lo stesso coraggio di coloro che si perdono,
e per di più con la prospettiva di raccogliere premi così grandi?
Eppure a noi è vicino Cristo con il suo aiuto, a quelli invece nes­
suno. Ha già indicato questo precetto, quando li inviava dicendo:
Non andate fra i pagani d. Vi mando, dice, come pecore in mezzo ai
lupi, e: sarete condotti davanti ai governatori e ai re e; ma ora con

d Mt 10, 5. e Mt 10, 16.18.


424 Omelie sul Vangelo di Matteo

maggior forza e severità. Allora infatti ha parlato solo di morte; qui


invece ha ricordato anche la croce, e una croce continua. Prenda,
dice, la sua croce, cioè: la porti e la sopporti continuamente. E so­
lito fare sempre così, senza introdurre i precetti più impegnativi
fin dal principio, all’inizio, ma gradatamente e a poco a poco, per­
ché i suoi ascoltatori non restino disorientati.

E ssere d ispo st i a d a re la propria vita per C risto

Quindi, poiché quanto aveva detto sembrava eccessivo, os­


serva come lo attenui con ciò che segue e presenti ricompense che
superano gli sforzi, e non soltanto le ricompense, ma anche ciò che
merita la malvagità. E si sofferma più su questo che su quelle, per­
ché non suole far rinsavire i più l’elargizione dei beni, così come la
minaccia delle punizioni. Considera come di qui cominci e qui va­
da a finire. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, dice,
ma chi perderà la propria vita per me, la troverà. Qual vantaggio in­
fatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e perderà la propria
anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria ani­
ma? f. Quanto dice significa: ordino queste cose non perché non
abbia riguardo di voi, ma perché ne ho molto. Difatti chi ha ri­
guardi per suo figlio, lo rovina, mentre chi non ne ha, lo salva3. Lo
diceva anche un sapiente: Se batti tuo figlio con la verga, non mo­
rirà; anzi libererai la sua anima dalla morte §; e ancora: Chi rianima
suo figlio, ne fascerà le ferite h. Questo avviene anche nell’esercito.
Se infatti il generale, per riguardo verso i soldati, ordina che resti­
no sempre dentro, farà perire oltre ad essi anche quelli che sono
dentro. Perché dunque questo non accada anche a voi, dice: Do-

f Mt 16, 25-26. ePrv 23, 13-14. h Sir 30, 7.

3 Crisostomo è attento anche a problemi di ordine pedagogico, come at­


testa il suo scritto Sull’educazione dei figli.
Omelia 55, 2-3 425

vete essere disposti ad una morte continua. Infatti anche ora si ac­
cenderà una dura guerra. Quindi non startene seduto dentro, ma
esci fuori e combatti; anche se cadi in battaglia, allora hai vissuto.
Se nelle guerre terrene chi è disposto ad essere ucciso è tenuto in
maggior pregio degli altri, è più invincibile e più temibile per i ne­
mici, benché, dopo la morte, il re, per cui ha preso le armi, non
possa farlo rialzare, a maggior ragione nel caso di queste guerre,
quando ci sono così grandi speranze di resurrezione, chi espone la
propria vita alla morte, la troverà, in primo luogo perché non sarà
preso rapidamente e in secondo luogo perché, anche se cade, la
condurrà ad una vita più sublime.
3. Poi, dal momento che ha detto: Chi vuole salvarla, la
derà, ma chi la perderà, la salverà, e ha indicato sia lì sia qui4 la sal­
vezza e la perdizione, perché nessuno pensasse che fosse uguale
questa perdizione e quella, questa e quella salvezza, ma si sapesse
chiaramente che c’è tanta differenza tra quella salvezza e questa,
quanta ce n’è tra la perdizione e la salvezza, lo stabilisce una volta
per sempre dimostrandolo mediante termini contrapposti: Qual
vantaggio infatti, dice, ha l’uomo se guadagna il mondo intero e poi
perde la propria anima? Hai visto come la salvezza della vita otte­
nuta in modo indebito sia perdizione e peggiore di ogni perdizio­
ne, dal momento che è insanabile per il fatto che non c’è nulla che
poi la possa riscattare? Non dirmi, vuol dire, che ha salvato la sua
anima5 chi è sfuggito a tali pericoli, ma considera, insieme alla sua
anima, anche tutto il mondo: che vantaggio gliene viene se essa si
perde? Dimmi, se vedessi i tuoi servi nelle mollezze, e te invece nei
mali più gravi, trarresti forse qualche vantaggio dal fatto di essere
padrone? Per niente affatto. Pensa dunque questo anche nel caso
dell’anima, qualora aspetti la perdizione futura mentre la carne è
tra le mollezze e le ricchezze.

4 Nel senso che si parla di salvezza e di perdizione in entrambi i mem­


bri di questa sentenza del Signore, ma con significati diversi, in un caso ne­
gativo e nell’altro positivó.
5 Si noti che nel testo evangelico si parla sempre di psyché che di volta
in volta, secondo i contesti, si deve tradurre con vita oppure anima.
426 Omelie sul Vangelo di Matteo

Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della sua anima? Insi­
ste di nuovo sullo stesso concetto. Forse, dice, hai un’altra anima
da dare in cambio della tua? Se perdi delle ricchezze, potrai dar­
ne altre e così per quanto riguarda una casa, i servi, qualsiasi altro
bene; se invece perdi l’anima, non potrai darne un’altra, ma, anche
se possiedi il mondo, anche se sei re della terra, se impegni tutti i
beni della terra insieme alla terra stessa, non potrai comprare una
sola anima. Che c’è da meravigliarsi se questo accade all’anima? Si
potrebbe vedere che si verifica anche nel caso del corpo. Anche se
ti cingi di innumerevoli diademi, ma hai un corpo malato per na­
tura e incurabile, non potrai migliorare questo corpo anche se dai
tutto il regno, anche se aggiungi innumerevoli corpi, città e ric­
chezze. Così dunque pensa anche per quanto concerne l’anima,
anzi molto di più per quanto concerne l’anima, e, lasciando per­
dere tutto il resto, rivolgi tutta la tua attenzione ad essa.

P r en d er si cura d e l l ’anima

4. Non trascurare te stesso e ciò che ti riguarda per pr


cuparti di ciò che è estraneo, il che ora fanno tutti, simili a quel­
li che lavorano nelle miniere, perché ad essi non viene alcun van­
taggio da questo lavoro né dalla ricchezza che si ricava, ma anzi
molto danno perché corrono pericoli invano e rischiano per altri,
senza trarre alcun frutto da tali fatiche e dai relativi pericoli di
morte. Anche ora ci sono molti che li imitano, cercando ricchez­
za per gli altri, anzi sono più infelici di costoro, in quanto ci at­
tende la geenna dopo queste fatiche. Quelli infatti sono fermati
dalla morte nei loro sforzi; per noi invece la morte diventa inizio
di innumerevoli mali. Se dici che, diventando ricco, godi delle
tue fatiche, mostrami che l’anima ne gioisce e allora mi lascio
convincere. Di ciò che è in noi l’anima è l’elemento principale. Se
il corpo si ingrassa, mentre essa deperisce, questa prosperità non
ti serve a niente, come, se la serva è nella gioia, non giova affatto
alla padrona che perisce il benessere della schiava, né la veste ben
ordinata giova all’infermità della carne. Ma ti dirà di nuovo Cri­
Omelia 55, 3-4 427

sto: Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della sua anima?, ordi­
nandoti di prendertene cura in tutti i modi e di tener conto solo
di essa.

La pro spettiva d e l -g iu d iz io fin a l e

Quindi, dopo aver infuso così il timore, li conforta anche con


la prospettiva dei beni. Poiché il Figlio dell’uomo, dice, verrà nella
gloria del Padre suo con i suoi santi angeli, e allora renderà a cia­
scuno secondo le sue azioni ‘. Hai visto come una sola sia la gloria
del Padre e del Figlio? Se una sola è la gloria, è evidente che an­
che la sostanza è una sola 6. Se infatti in una sola sostanza c’è dif­
ferenza di gloria - Altra è la gloria del sole e altra la gloria della lu­
na e altra è la gloria delle stelle: una stella differisce da un’altra nel­
la gloria i, pur essendo una sola la sostanza -, come si potrebbe
pensare che diversa sia la sostanza di coloro che hanno una sola
gloria? Non ha detto: in una gloria tale, quale quella del Padre,
perché ancora tu possa supporre una qualche differenza, ma, mo­
strando un’espressione accurata, dice: verrà in quella stessa gloria,
in modo che si immagini che sia una sola e la medesima.
Perché dunque, dice, temi, o Pietro, sentendo parlare di mor­
te? Allora mi vedrai nella gloria del Padre, e se sono nella gloria,
lo sarete anche voi. La vostra condizione non è limitata alla vita
presente, ma vi accoglierà un’altra sorte migliore. Ma tuttavia, do­
po aver parlato dei beni, non si è fermato qui, ma ha unito anche
ciò che è temibile, presentando quel tribunale, il rendiconto ine­
sorabile, la sentenza incorruttibile, il giudizio infallibile. Non ha
certamente permesso che il discorso apparisse solo funesto, ma lo

‘ Mt 16, 27. ) 1 Cor 15, 41.

6 Crisostomo ribadisce che medesima è la sostanza del Padre e del Fi­


glio: cf. la nota 4 all’omelia 54.
428 Omelie sul Vangelo di Matteo

ha unito anche a buone speranze, perché non ha detto: allora pu­


nirà i peccatori, ma: renderà a ciascuno secondo le sue azioni. Lo di­
ceva non per ricordare soltanto la punizione ai peccatori, ma an­
che i premi e le ricompense a coloro che hanno agito rettamente.
Ma egli ha parlato così per conquistare gli uomini buoni; io invece
sento sempre un brivido quando ascolto queste parole, perché non
sono tra quelli meritevoli di ricompensa. Penso che anche altri
condividano con noi questa paura e angoscia. Chi infatti, se rientra
nella propria coscienza, questa parola non è capace di spaventare e
di farlo rabbrividire e di persuadere che abbiamo bisogno di cilicio
e di intenso digiuno più del popolo di Ninive? k. Non si tratta per
noi della distruzione della città e della fine comune, ma della puni­
zione eterna e del fuoco inestinguibile.

L’e sem pio d e i m ona ci

5. Perciò lodo e ammiro i monaci che hanno raggiunto i


serto sia per altri motivi, sia per queste parole. Essi infatti, dopo
aver fatto colazione, anzi dopo la cena, perché non conoscono co­
lazione, in quanto sanno che il tempo presente è tempo di afflizio­
ne e di digiuno, dopo la cena dunque, innalzando a Dio alcuni in­
ni di ringraziamento, menzionano anche queste parole. E se volete
ascoltare gli inni medesimi, per recitarli anche voi continuamente,
vi esporrò tutto quel canto sacro. Queste sono le sue parole: «Be­
nedetto Dio che mi nutre fin dalla mia giovinezza, che dà il nutri­
mento a ogni carne; riempi di gioia e di letizia il nostro cuore per­
ché, avendo sempre tutto il sufficiente, abbondiamo in ogni opera
buona in Cristo Gesù nostro Signore, con il quale siano a te gloria,
onore e potenza, insieme con lo Spirito santo, nei secoli. Amen.
Gloria a te, Signore, gloria a te, Santo, gloria a te, Re, perché ci hai
dato il cibo per la gioia. Riempici di Spirito santo, perché siamo
trovati graditi al tuo cospetto, senza provare vergogna quando ren­

k Cf. Gn 1, 2.
Omelia 55, 4-5 429

derai a ciascuno secondo le sue azioni»7. È giusto ammirare tutto


questo inno, soprattutto la parte finale. Poiché infatti la mensa e il
nutrimento sono soliti infiacchire e appesantire, offrono all’anima
questa espressione 8 come fosse un freno, ricordandole, al momen­
to della rilassatezza, il tempo del giudizio. Hanno appreso che co­
sa è capitato a Israele a causa di una mensa sontuosa. Il diletto 9 ha
mangiato, dice, si è ingrassato e ha recalcitrato *. Perciò Mosè dice­
va: Dopo aver mangiato, bevuto ed esserti saziato, ricordati del Si­
gnore tuo Dio m. Allora infatti, dopo quel banchetto, ebbero l’ardi­
re di compiere azioni inique11. Bada dunque anche tu che non ti ac­
cada qualcosa di simile. Anche se non sacrifichi pecore e vitelli a
una pietra, all’oro, bada di non sacrificare all’ira la tua anima, di
non sacrificare alla fornicazione la tua salvezza, oppure ad altre
passioni simili. Perciò essi, temendo questi precipizi, dopo aver
usufruito della mensa, o piuttosto del digiuno, perché la loro men­
sa è il digiuno, rammentano a se stessi il tribunale temibile e quel
giorno 10. Se essi che si rendono temperanti con i digiuni, con il
dormire per terra, con le veglie, con il vestire di sacco e con innu­
merevoli mezzi, hanno ancora bisogno di questo ricordo, quando
potremo vivere moderatamente noi che apparecchiamo mense che
portano con sé innumerevoli naufragi e non preghiamo affatto né
all’inizio, né alla fine? Perciò, al fine di eliminare questi naufragi,
presentiamo quell’inno e spieghiamo tutto, perché, vedendo il van­
taggio che ne deriva, lo cantiamo continuamente a mensa e conte­
niamo la sfrenatezza del ventre, introducendo nelle nostre case le
consuetudini e le leggi di quegli angeli11. Bisognerebbe andare là e

*D t 3 2 ,15. mD t6, 11-12. "C f. Es32, 6.

7 Per questo inno cf. le Costituzioni apostoliche VII, 49.


8 Vale a dire il riferimento al tempo del giudizio, come si legge anche
in Mt 16, 27.
9 Giacobbe, cioè Israele.
10 II giorno del giudizio.
11 Come di consueto Crisostomo usa questo termine per indicare i mo­
naci.
430 Omelie sul Vangelo di Matteo

raccogliere questi frutti, ma poiché non volete, ascoltate questa me­


lodia spirituale almeno tramite le nostre parole e ciascuno, al ter­
mine della mensa, ripeta queste espressioni cominciando così: «Be­
nedetto Dio».

S p ie g a z io n e d e l l ’in n o d e i m onaci

Adempiono subito la legge apostolica che ordina: Tutto quel­


lo che facciamo in parole o opere, si compia nel nome di nostro Si­
gnore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui0.
Poi il rendimento di grazie si fa non solo per quell’unico giorno,
ma per tutta la vita.
«Che mi nutre, dice, fin dalla mia giovinezza». Da qui pro­
viene un insegnamento di filosofia. Se Dio nutre, non bisogna an­
gustiarsi. Se infatti il re ti promettesse di offrirti il nutrimento quo­
tidiano dai suoi granai, saresti fiducioso per l’avvenire; a maggior
ragione quando Dio offre, e tutto ti sgorga come da fonti, dovre­
sti essere libero da ogni preoccupazione. Perciò pronunciano que­
ste parole, per convincere se stessi e quelli ammaestrati da loro a
deporre ogni affanno materiale.
Quindi, perché non si pensi che rivolgano questo rendimen­
to di grazie solo per se stessi, continuano dicendo: «che dà il nu­
trimento ad ogni carne», rendendo grazie per tutto il mondo. Co­
me padri di tutta la terra, così innalzano le benedizioni per tutti e
si allenano ad un genuino amore fraterno. Non possono infatti
odiare quelli per i quali rendono grazie a Dio in quanto sono nu­
triti. Hai visto che, per mezzo del rendimento di grazie, l’amore
viene introdotto e scacciata la preoccupazione materiale, median­
te sia le espressioni precedenti, sia queste? Se nutre ogni carne, a
maggior ragione coloro che gli sono consacrati; se nutre quelli che
sono avvinti dalle preoccupazioni materiali, a maggior ragione
quelli che ne sono liberi. Per dimostrare questo concetto Cristo di-

° Col 3,17.
Omelia 55, 5 431

ceva: Di quanti passeri voi valete di più?p. Diceva questo per inse­
gnare a non confidare nella ricchezza, nella terra, nei semi. Non
sono queste cose che nutrono, ma la parola di Dio. Così chiudono
la bocca ai manichei, ai valentiniani e a tutti coloro che sono affetti
dal loro morbo. Non è infatti malvagio colui che elargisce i suoi
beni a tutti, anche a quelli che lo bestemmiano12.
Segue poi la petizione: «Riempi di gioia e di letizia il nostro
cuore». Di quale gioia parla? Forse di quella materiale? Non sia
mai! Se avessero voluto questa, non avrebbero raggiunto le cime
dei monti e i deserti e non si sarebbero vestiti di sacco, ma parlano
di quella gioia che non ha niente in comune con la vita presente,
quella degli angeli, quella celeste. E non la chiedono semplicemen­
te, ma con grande intensità, perché non dicono: Da’, ma: «Riem­
pi», e non dicono: noi, ma: «il nostro cuore». Questa è soprattutto
la gioia del cuore: Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace Ί. Poi­
ché il peccato ha introdotto l’afflizione, chiedono che per mezzo
della gioia sia innestata in essi la giustizia, perché diversamente non
potrebbe esserci gioia in essi.
«Perché, avendo sempre tutto il sufficiente, abbondiamo in
ogni opera buona». Vedi che adempiono quella sentenza evange­
lica che dice: Dacci oggi il nostro pane quotidiano r, e vanno in cer­
ca di questa stessa sentenza a motivo dei beni spirituali. «Perché
abbondiamo, dice, in ogni opera buona». Non hanno detto: Per­
ché facciamo solo ciò che è dovuto, ma anche più di quanto è sta­
to prescritto; questo infatti significa l’espressione: «Perché abbon­
diamo». Da Dio cercano il sufficiente nelle cose necessarie, men­
tre vogliono obbedire da parte loro non solo in modo sufficiente,
ma con grande abbondanza e in tutto. E proprio di servi ricono­
scenti, di uomini filosofi abbondare13 sempre e in tutto.

P Le 12, 7. q Gal 5, 22. l M t6, 11.

12 Menzionando questi eretici, il nostro autore fa riferimento alla loro


concezione negativa del Dio creatore, manifestato nell’Antico Testamento.
13 Con riferimento alle opere buone.
432 Omelie sul Vangelo di Matteo

Poi, ricordando ancora a se stessi la propria debolezza e co­


me, senza l’aiuto celeste, non si possa fare nulla di buono, dopo
aver detto: «Perché abbondiamo in ogni opera buona», aggiungo­
no: «in Cristo Gesù nostro Signore, con il quale siano a te gloria,
onore e potenza nei secoli. Amen», elaborando la fine in modo
uguale all’inizio mediante il rendimento di grazie.
6. Poi sembra che comincino di nuovo dal principio, ma
tengono allo stesso discorso; come anche Paolo, dopo aver termi­
nato con una dossologia14 nell’esordio di una lettera e dopo aver
detto: secondo la volontà di Dio e Padre, al quale sia la gloria nei se­
coli. Amen s, comincia di nuovo l’argomento, oggetto del suo scrit­
to. Ancora in un altro passo, dopo aver detto: Hanno venerato e
adorato la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli.
Amen l, non ha terminato il discorso, ma lo comincia di nuovo.
Non rimproveriamo dunque neppure questi angeli di agire disor­
dinatamente perché, dopo aver terminato con una dossologia, co­
minciano di nuovo i sacri inni. Seguono infatti le leggi apostoliche
quando cominciano con una dossologia, terminano con questa e,
dopo aver finito così, ricominciano di nuovo con un esordio. Per­
ciò dicono: «Gloria a te, Signore, gloria a te, Santo, gloria a te, Re,
perché ci hai dato il cibo per la gioia». Bisogna rendere grazie non
solo per i grandi beni, ma anche per quelli piccoli. Ringraziano an­
che per questi, svergognando l’eresia dei manichei e di quanti af­
fermano che la vita presente è malvagia15. Perché tu non sospetti
che essi, a causa della loro alta filosofia e del loro disprezzo per i
piaceri del ventre, abbiano orrore per i cibi, siano come quelli che

s Gal 1,4-5. 1Rm 1, 25.

14 Con espressioni cioè con cui si rende gloria a Dio e alle singole per­
sone della Trinità. .
15 Questo è uno dei temi ricorrenti della polemica antimanichea di Cri­
sostomo, come abbiamo già sottolineato.
Omelia 55, 5-6 433

si strangolano16, mediante la preghiera ti insegnano che si tengo­


no lontani dalla maggior parte delle cose non perché detestino le
creature di Dio, ma perché praticano la filosofia.
Considera come, dal rendimento di grazie per i beni già con­
cessi, supplichino anche per quelli maggiori e non rimangano nel­
l’ambito delle cose temporali, ma salgano al di sopra dei cieli e di­
cano: «Riempici di Spirito santo». Non è possibile infatti farsi
onore come si deve, se non si è ricolmi di quella grazia, come non
è possibile fare qualcosa di buono o di grande se non si usufruisce
dell’aiuto di Cristo. Come dunque dopo aver detto: «Perché ab­
bondiamo in ogni opera buona», hanno aggiunto: «in Cristo G e­
sù», così anche qui dicono: «Riempici di Spirito santo, perché sia­
mo trovati graditi al tuo cospetto». Hai visto come per i beni ter­
reni non pregano, ma ringraziano soltanto, mentre per i beni spi­
rituali ringraziano e pregano? Cercate, dice, il regno dei cieli e tut­
te queste cose vi saranno date in aggiunta u. Osserva anche un altro
aspetto della loro filosofia. «Perché siamo trovati, dice, graditi al
tuo cospetto, senza provare vergogna». Non ci importa infatti del­
la vergogna da parte della gente, vuol dire, ma non ci curiamo di
quanto possono dire gli uomini su di noi deridendoci, ingiurian­
doci; tutto il nostro sforzo è volto a che non proviamo vergogna al­
lora. Quando dicono queste cose, fanno riferimento al fiume di
fuoco e ai premi ed alle ricompense. Non hanno detto: Perché non
siamo puniti, ma: «Perché non proviamo vergogna». Questo è mol­
to più terribile per noi della geenna, presentarci come coloro che
hanno offeso il Signore. Ma poiché i più, che sono grossolani, non
vengono spaventati da ciò, aggiungono: «quando renderai a cia-

u Mt 6, 33.

16 L’ascetismo dei monaci quindi è radicalmente diverso da coloro che,


come i manichei, disprezzano la vita considerandola cattiva; Crisostomo pro­
spetta il suicidio come possibile, estrema conseguenza di tale concezione ne­
gativa della vita: cf. in proposito 0 mio studio Giovanni Crisostomo. Com­
mento alla lettera ai Galati, cit., pp. 44-45.
434 Omelie sul Vangelo di Matteo

scuno secondo le sue azioni». Hai visto quanto ci hanno giovato


questi stranieri e pellegrini, cittadini del deserto, anzi cittadini dei
cieli? Noi siamo estranei ai cieli e cittadini della terra, mentre que­
sti sono il contrario. Dopo quest’inno, ricolmi di grande compun­
zione e di molte e calde lacrime, se ne vanno così verso il sonno,
prendendone tanto quanto basta a riposare un poco. Di nuovo fan­
no delle notti giorni, passandole rendendo grazie e salmodiando.
Non solo uomini, ma anche donne praticano questa filosofia, vin­
cendo la debolezza della natura con la grandezza dell’impegno.

TUTTI POSSONO EMULARE LA FILOSOFIA DEI MONACI

Proviamo vergogna dunque noi uomini davanti al loro 17 vi­


gore e smettiamo di farci assorbire dalle cose presenti, dall’ombra,
dai sogni, dal fumo; difatti la maggior parte della nostra vita si
svolge nell’incoscienza. La prima età è piena di grande insensatez­
za, quella che si avvia verso la vecchiaia a sua volta fa appassire in
noi ogni percezione; breve è il periodo di mezzo che possa godere
del piacere consapevolmente, anzi neppure esso ne partecipa pie­
namente, perché lo guastano innumerevoli preoccupazioni e fati­
che. Perciò, vi prego, cerchiamo i beni immutabili e immortali e la
vita che non ha mai vecchiaia. Anche chi vive in città può emula­
re la filosofia dei monaci; anche chi ha moglie e vive in una casa
può pregare, digiunare, avere compunzione. Infatti anche quelli
che furono all’inizio conquistati dagli apostoli, abitavano nelle cit­
tà, ma mostravano la pietà di coloro che hanno raggiunto il deser­
to, e ancora altri che dirigevano laboratori, come Priscilla e Aqui­
la 18. Anche tutti i profeti avevano moglie e le loro case, come Isaia,
Ezechiele, come il grande Mosè e non ne ricevettero alcun danno
nel conseguimento della virtù. Anche noi, emulandoli, ringrazia­

17 Cioè delle donne.


18 Paolo incontrò a Corinto questi coniugi che esercitavano il suo stes­
so mestiere, in quanto erano fabbricanti di tende: cf. At 18, 2-3.
Omelia 55, 6 435

mo sempre Dio, inneggiamo sempre a lui, esercitiamo la tempe­


ranza e le altre virtù e introduciamo nelle città la filosofia del de­
serto, per mostrarci accetti a Dio e graditi agli uomini e raggiun­
gere i beni futuri, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù
Cristo, per mezzo del quale e con il quale siano al Padre gloria,
onore e potenza, insieme allo Spirito santo e vivificante, ora e sem­
pre e nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 56

In verità, in verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non mor­
ranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo re­
gno a.

I l S ig n o r e m ostra il R e g n o ai su o i d isc epo l i

1. Poiché aveva parlato molto dei pericoli e della morte,


la sua passione e dell’uccisione dei discepoli e aveva dato quei pre­
cetti severi, e alcune cose riguardavano la vita presente ed erano
immediate, i beni invece erano nella speranza e nell’attesa: ad
esempio, che chi perde la vita la salva, che egli verrà nella gloria
del Padre suo, che avrebbe dato le ricompense, volendo soddisfa­
re la loro vista e mostrare che cosa è quella gloria, con cui sarebbe
venuto, per quanto era ad essi possibile sapere, la manifesta e la ri­
vela loro anche nella vita presente perché non si addolorassero né
per la propria morte, né per quella del Signore, e soprattutto Pie­
tro che ne era angosciato. Vedi che cosa fa. Dopo aver parlato del­
la geenna e del Regno - difatti dicendo: Chi trova la sua vita la per­
derà e chi la perderà per me, la troverà b, e dicendo: renderà a cia­
scuno secondo le sue azionic, ha indicato entrambe queste realtà -,
dopo aver parlato dunque di entrambi, mostra alla loro vista il Re­
gno, la geenna no. Perché? Perché se fossero stati altri, persone
più ottuse, sarebbe stato necessario, ma poiché erano persone sti­
mate e di animo nobile, li sollecita partendo dalle realtà più posi-

a Mt 16,28. b Cf. Mt 16,25. c Mt 16,27.


Omelia 56, 1 437

tive. Mostra tale aspetto non solo per questo motivo, ma anche
perché gli si addiceva maggiormente. Certo non passa sotto silen­
zio neppure quell’altro aspetto, ma talora mette quasi sotto gli oc­
chi la stessa realtà della geenna, come quando presenta la figura di
Lazzaro1e menziona quello che reclamava i cento denarid, quello
che indossava la veste sudiciae, e parecchi altri esempi2.

L a tra sfig u ra zio n e

Sei giorni dopo prende con sé Pietro, Giacomo e Giovannif. Un


altro evangelista dice: otto giorni dopo e, non in contraddizione con
questo, ma anzi in grande accordo con lui, perché l’uno ha indi­
cato sia il giorno stesso in cui aveva parlato, sia quello in cui li fe­
ce salire sul monte, mentre l’altro soltanto i giorni intermedi. O s­
serva di quanta filosofia sia dotato Matteo che non omette quelli
che gli furono anteposti. Fa spesso così anche Giovanni, quando
registra con grande sincerità gli elogi straordinari riservati a Pie­
tro. La schiera di questi santi era infatti assolutamente esente da
invidia e vanagloria.
Prendendo dunque con sé i più ragguardevoli, li conduce in di­
sparte su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto
brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. E ap­
parvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con luih. Perché prende
con sé solo questi? Perché questi erano superiori agli altri. Pietro
manifestava la sua eccellenza per il fatto che lo amava molto3; Gio-

d Cf. M tl8 , 28. e Cf. M t22, 11. f M tl7 , 1. e Cf. Le 9, 28.


h Mt 17,1-3.

1 II povero, trascurato dal ricco epulone: cf. Le 16, 20ss.


2 Si pensi, ad es., al giudizio finale con il riferimento al fuoco eterno: cf.
Mt 25, 41.
3 L’amore di Pietro verso Gesù è attestato in varie circostanze: cf., ad es.,
Mt 14, 28; 16, 22; 26, 33.
438 Omelie sul Vangelo di Matteo

vanni, per il fatto che era molto amato, e Giacomo per la sua rispo­
sta, insieme al fratello, quando disse: Possiamo bere il calice *, e non
solo per la risposta, ma anche per le opere e, fra l’altro, per quelle
con cui adempì ciò che aveva detto. Era così impetuoso e molesto
per i giudei che Erode pensò che avrebbe fatto un grandissimo do­
no ai giudei, se lo avesse eliminato ). Perché non li conduce subito
sul monte? Perché gli altri discepoli non provassero qualche uma­
na debolezza. Perciò non dice nemmeno i nomi di quelli che sta­
vano per salire, in quanto gli altri avrebbero desiderato molto di
seguirlo, per vedere un esempio di quella gloria e si sarebbero ad­
dolorati di essere trascurati. Anche se infatti mostrò questa visio­
ne in un modo alquanto materiale, tuttavia era molto desiderabile.
Perché poi lo preannuncia? Perché fossero più pronti a compren­
dere la visione per quanto aveva detto in anticipo e ricolmi di un
più intenso desiderio per il numero dei giorni4, arrivassero con la
mente vigile e sollecita. Perché presenta Mosè ed Elia? Si potreb­
bero indicare molti motivi: il primo è questo, che, poiché la gente
diceva, gli uni che era Elia, altri Geremia, altri ancora uno degli
antichi profeti, adduce quelli più ragguardevoli perché vedessero
anche così la differenza tra i servi e il Signore, e che giustamente
era stato lodato Pietro per averlo confessato come Figlio di Dio.
Dopo questo si può indicare anche un altro motivo. Poiché lo ac­
cusavano continuamente di trasgredire la legge e lo consideravano
un bestemmiatore perché si appropriava la gloria del Padre che
non gli competeva, e dicevano: Costui non viene da Dio perché non
osserva il sabato k, e ancora: Non ti lapidiamo per un’opera buona,
ma per la bestemmia e perché tu, che sei un uomo, tifai Dio ·; per­
ché si dimostrasse che entrambe le accuse provenivano dall’invi­
dia, che era innocente di entrambe, che quel fatto non era una tra-

‘ Mt 20, 22. i Cf. At 12, 1-3. k Gv9, 16. >GvlO,33.

4 Cioè, quei giorni che li separavano dalla visione sul monte; nel testo
evangelico non viene detto esplicitamente che Gesù avesse preavvertito i suoi
discepoli che li avrebbe condotti sul monte, ma Crisostomo lo presuppone.
Omelia 56, 1-2 439

sgressione della legge 5, né proclamarsi uguale al Padre era usur­


pazione di una gloria che non gli competeva, presenta quelli che
avevano brillato da entrambi questi punti di vista. Difatti Mosè
aveva dato la legge, e i giudei potevano pensare che non avrebbe
permesso che essa fosse calpestata, come pensavano, né che
avrebbe potuto onorare chi la trasgrediva ed era ostile a chi l’ave­
va data. Elia ebbe zelo per la gloria di Dio e non sarebbe stato ac­
canto a lui né gli avrebbe dato ascolto se fosse stato nemico di Dio
e avesse detto di essere Dio, facendosi uguale al Padre senza esse­
re quello che diceva e senza farlo in modo conveniente.

M o sè e d E lia

2. Insieme a quelli che sono stati detti si può indicare anch


altro motivo. Qual è questo? Perché imparassero che ha potere sul­
la morte e sulla vita e domina su ciò che è in cielo e in basso. Perciò
presenta sia chi era morto, sia chi non l’aveva ancora provato 6. Lo
stesso evangelista ha rivelato il quinto motivo, perché è questo il
quinto oltre a quelli già indicati. Qual era? Mostrare la gloria della
croce, confortare Pietro e quelli che avevano paura della passione e
risollevare il loro animo. Difatti, arrivati là, non tacevano, ma, dice,
parlavano della gloria che avrebbe portato a compimento a Gerusa­
lemme7, vale a dire la passione e la croce, perché la chiamano sem­
pre così. Li incoraggiava non solo in questo modo, ma anche con la
stessa virtù di quei personaggi, che soprattutto richiedeva a loro.
Poiché aveva detto: Se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la
sua croce e mi segua m, presenta coloro che avevano affrontato innu-

m Mt 16,24.

5 La guarigione del cieco nato in giorno di sabato: cf. Gv 9, 14.


6 II riferimento è ad Elia che secondo 2 Re 2, 11 salì verso il cielo su un
carro di fuoco, per cui non sarebbe morto.
7 Cf. Le 9, 31: invece del t. dipartita (con riferimento alla morte di Ge­
sù), Crisostomo presenta la variante «gloria».
440 Omelie sul Vangelo di Matteo

merevoli volte la morte per ciò che piaceva a Dio e per il popolo a
loro affidato. Difatti ciascuno di questi, perdendo la propria vita, la
trovò. Ciascuno parlò con franchezza davanti ai tiranni, l’uno all’e­
giziano 8, l’altro ad Acab n, e in favore di gente ingrata e indocile, e
furono spinti ai pericoli più gravi da quegli stessi che avevano salva­
to. Ciascuno di essi voleva liberare dall’idolatria, ciascuno era un
privato cittadino; l’uno era lento a parlare e dalla voce debole9, l’al­
tro era alquanto rustico. Entrambi si conformavano ad uno stile di
grande povertà; Mosè non possedeva nulla e Elia non aveva niente
se non il mantello °. E questo avveniva nell’Antico Testamento, sen­
za aver ricevuto una così grande grazia di miracoli. Anche se Mosè
divise il mare, Pietro però camminò sulle acque, era capace di tra­
sportare le montagne 10, curava malattie del corpo di ogni genere,
scacciava demoni feroci, con l’ombra del suo corpo11 compiva quei
grandi prodigi e convertì tutta la terra. Anche se Elia risuscitò un
morto p , questi12 però ne risuscitarono innumerevoli, benché non
fossero stati ancora ritenuti degni dello Spirito. Perciò dunque l i 13
presenta, perché voleva che essi emulassero il loro impegno nella
guida del popolo, il loro vigore, la loro fermezza, e diventassero mi­
ti come Mosè, zelanti come Elia e ugualmente premurosi. L’uno
sopportò per il popolo giudaico una carestia di tre anni14, l’altro di­
ceva: Se perdoni il loro peccato, perdonali; se no, cancella anche me
dal libro che hai scritto 15. Tutto questo rammentava per mezzo del­
la visione. Difatti li condusse nella gloria non perché si fermassero lì,

n Cf. 1 Re 18, 18ss. ° Cf. 2 Re 2, 13. P Cf. 1 Re 17, 19ss.

8 II Faraone.
9 Mosè: cf. Es 4, 10.
10 Forse nel senso che aveva molta fede, quella fede che fa spostare le
montagne: cf. Me 11, 23; Mt 21, 21.
11 Si veda quanto narrato in At 5, 15.
12 Gli apostoli.
13 Mosè ed Elia.
14 Elia: cf. 1 Re 17, 1.
15 Si tratta di Mosè: cf. Es 32, 32.
Omelia 56, 2 441

ma perché andassero oltre nella lotta16. Quando dissero: Vuoi che di­
ciamo che scenda un fuoco dal cielo? q, e ricordarono che Elia l’aveva
fattor, disse: Non sapete di che spirito siete 17, per incoraggiarli alla
tolleranza per la differenza del dono che avevano ricevuto. Nessuno
pensi che accusiamo Elia di essere imperfetto; non diciamo questo,
perché anzi era assai perfetto, ma ai suoi tempi, quando la mente de­
gli uomini era più infantile, avevano bisogno anche di questa peda­
gogia. Secondo tale punto di vista anche Mosè era perfetto, ma tut­
tavia a questi18 si richiede di più che a lui. Se la vostra giustizia non
supererà quella degli scribi e deifarisei, non entrerete nel regno dei cie­
li s. Essi non entravano in Egitto, ma nel mondo intero che si trova­
va in una situazione più grave degli egiziani, e non per parlare con il
Faraone, ma per lottare con il diavolo stesso, il tiranno della malva­
gità. La loro lotta consisteva nell’incatenarlo e nel fare a pezzi tutti i
suoi strumenti, e lo facevano squarciando con la verga di lesse' non
il mare, ma l’abisso di empietà che aveva flutti molto più pericolosi.
Guarda quanti mali spaventavano quegli uomini: la morte, la pover­
tà, l’ignominia, le innumerevoli sofferenze, e ne avevano paura più
di quanto i giudei temessero allora quel mare. Ma tuttavia li persua­
se ad affrontare tutti questi mali e a passare come attraverso la terra
asciutta in tutta sicurezza. Preparandoli dunque a tutto ciò, presen­
tava coloro che avevano brillato nell’Antico Testamento.

I n terv en to d i P ietro

E che fa l’ardente Pietro? È bello per noi stare qui u. Poiché


aveva udito che doveva andare a Gerusalemme e soffrire, temen-

<5 Le 9, 54. r Cf. 2 Re 1, 10-12. s Mt 5, 20. ‘ Cf. Is 11, 1.


u Mt 17, 4.

16 Nel senso del progresso nella virtù.


17 Questa frase, riportata da Crisostomo, si trova in alcuni codici di Le
9, 55.
18 I discepoli di Gesù.
442 Omelie sul Vangelo di Matteo

do e trepidando ancora per lui, dopo essere stato rimproverato,


non osa avvicinarsi a lui e ripetere la stessa espressione: Dio te ne
scampi!v, ma, in preda a quella paura, allude di nuovo allo stesso
concetto con altre parole. Poiché infatti vide la montagna, un am­
pio ritiro e quella solitudine, pensò che quel luogo gli offriva una
grande sicurezza, e non solo il luogo, ma anche il fatto che non si
sarebbe recato più a Gerusalemme; voleva che stesse lì in perpe­
tuo, e perciò menziona le tende. Se questo si verifica, vuol dire,
non saliremo a Gerusalemme, e se non vi saliamo, non morirà,
perché ha detto che lì gli scribi l’avrebbero attaccato. Non osò
parlare così, ma volendo ottenere questo risultato, diceva con si­
curezza: E bello stare qui, dove ci sono Mosè ed Elia, Elia che fe­
ce scendere il fuoco sul m onte19 e Mosè che entrò nella tenebra e
parlò con Dio w; nessuno saprà dove siamo.
3. Hai visto come amava ardentemente Cristo? Non inda
il fatto che non era ponderato il modo dell’invito rivolto a Cristo,
ma come era ardente, come era infiammato per lui. A riprova del
fatto che diceva queste cose non tanto perché temeva per sé, ascol­
ta che cosa dice quando preannunciava la sua morte futura e l’at­
tacco nei suoi confronti: Darò la mia vita per te x; Anche se dovessi
morire con te, non ti rinnegherò y. Vedi come, anche in mezzo ai pe­
ricoli stessi, metteva a rischio se stesso. Alla presenza di tanta gen­
te, non solo non fuggì, ma estrasse la spada e tagliò l’orecchio del
servo del sommo sacerdote z. Così non badava a se stesso, ma tre­
pidava per il Maestro. Quindi, poiché aveva parlato in modo cate­
gorico, trattiene se stesso e temendo di essere rimproverato di
nuovo, dice: Se vuoi, facciamo qui tre tende, una per te, una per Mo­
sè e una per E lia aa. Che dici, Pietro? Non lo avevi poco fa separa­
to dai servi? 20. Lo annoveri di nuovo con i servi? Hai visto come

v Mt 16, 22. w Cf. Es 19, 16ss. x Gv 13, 37. v Mt 26, 35.


2 Cf. Gv 18, 10. aa Mt 17, 4.

19 II Carmelo: cf. 1 Re 18, 38.


20 II riferimento è alla professione di fede di Pietro: cf. Mt 16, 16.
Omelia 56, 2-3 443

erano assai imperfetti prima della croce? Anche se infatti il Padre


gli aveva fatto una rivelazione, non la riteneva però continuamen­
te, ma rimase sconvolto dall’angoscia, non solo da quella di cui ho
parlato, ma anche da un’altra che derivava da tale visione. Gli al­
tri evangelisti, per manifestare questa situazione e indicare che la
confusione del suo animo, con cui aveva detto quelle cose, prove­
niva da quell’angoscia, dicevano, Marco, che non sapeva che cosa
dire, poiché erano stati presi dallo spavento ab; Luca, dopo aver det­
to: facciamo tre tende, aggiunse: Non sapeva quello che diceva ac.
Poi, mostrando che erano presi da grande paura, lui e gli altri, di­
ce: Erano oppressi dal sonno, ma restarono svegli e videro la sua glo­
ria ad; chiama qui sonno il grande torpore che causava loro quella
visione. Come gli occhi si ottenebrano per uno splendore eccessi­
vo, così allora capitò anche ad essi. Non era notte, ma giorno, e
quel fulgore straordinario opprimeva la debolezza dei loro occhi.

L a v o c e d alla n u be

Che avvenne dunque? Egli non dice nulla e nemmeno Mosè


ed Elia, mentre il Padre, il più grande e degno di fede di tutti,
emette la sua voce dalla nube. Perché dalla nube? Così si mostra
sempre Dio. Nubi e tenebre lo avvolgonoae, e: Siede su una nube
leggera ύ, e ancora: Fa delle nubi il suo trono as, e: Una nube lo sot­
trasse ai loro occhi e: Come un figlio di uomo che viene sulle nu-
b i Perché dunque credessero che la voce era emessa da Dio, vie­
ne da lì e la nube era luminosa.
Mentre egli stava ancora parlando, ecco una nube luminosa li
avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube, che diceva:
Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.
Ascoltatelo ai. Quando minaccia, mostra una nube tenebrosa, come

ab Me 9, 6. ac Le 9, 33. ad Le 9, 32. ae Sai 97 (96), 2.


ά Is 19, 1. as Sai 104 (103), 3. ah At 1, 9. " Dn 7, 13.
ai Mt 17, 5.
444 Omelie sul Vangelo di Matteo

sul Sinai: Mosè entrò, dice, nella nube e nell’oscurità e il fumo si le­
vava come vapore Il profeta, parlando della sua minaccia, dice:
Acqua tenebrosa nelle nubi dell’aria Ma qui, poiché non voleva
spaventare, ma insegnare, c’è una nube luminosa. Pietro diceva:
Facciamo tre tende-, egli invece ha indicato una tenda non fatta da
mani d’uomo. Perciò lì c’erano fumo e vapore di fornace; qui inve­
ce una luce inesprimibile e una voce. Poi, perché si dimostrasse che
non si parlava semplicemente di uno dei tre, ma soltanto di Cristo,
quando la voce fu emessa, quelli si allontanarono 21. Difatti se si
fosse parlato semplicemente di uno di essi, questo non sarebbe ri­
masto solo mentre gli altri due si erano separati. Perché la nube
non avvolse solo Cristo, ma tutti? Se avesse avvolto solo Cristo, si
sarebbe potuto pensare che egli avesse emesso la voce. Perciò l’e­
vangelista, per assicurare proprio questo, dice che la voce proveni­
va dalla nube, cioè da Dio. E che cosa dice la voce? Questi è il mio
Figlio prediletto. Se è prediletto, non temere, Pietro. Avresti già do­
vuto conoscere la sua potenza ed essere persuaso della resurrezio­
ne, ma poiché lo ignori, ti dia fiducia almeno la voce del Padre. Di­
fatti se Dio è potente, come lo è certamente, è evidente che lo è
ugualmente anche il Figlio. Non temere dunque le sofferenze. Se
non lo accetti ancora, pensa almeno che è Figlio ed è amato. Que­
sti è, dice, il mio Figlio prediletto. Se è amato, non temere. Nessu­
no abbandona chi ama. Non turbarti dunque; anche se lo ami im­
mensamente, non lo ami come colui che lo ha generato.
Nel quale mi sono compiaciuto. Non lo ama solo perché lo ha
generato, ma perché è uguale a lui in tutto e concorde con lui. Sic­
ché duplice è l’amore, anzi triplice: perché è Figlio, perché è pre­
diletto, perché in lui si è compiaciuto. Che cosa vuol dire l’espres­
sione: nel quale mi sono compiaciuto? Come se dicesse: in cui tro­
vo riposo, di cui sono soddisfatto, perché era uguale a lui in tutto

ak Es 24, 18; 19, 16.18. ύ Sai 18 (17), 12.

21 Mosè ed Elia.
Omelia 56, 3-4 445

perfettamente, perché in lui e nel Padre c’era una sola volontà e,


pur rimanendo Figlio, era in tutto una sola cosa con colui che lo
aveva generato. Ascoltatelo. Sicché, anche se vuole essere crocifis­
so, non opporti.
Udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da grande
timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: Alzatevi e non temete.
Sollevando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo a™.

L O SBIGOTTIMENTO DEGLI APOSTOLI

4. Perché, udito ciò, rimasero sbigottiti? Eppure, anch


precedenza si era levata una voce simile al Giordano ed era pre­
sente una folla di persone ma a nessuno capitò nulla di questo
genere. E ancora successivamente, quando dicevano che era stato
un tuonoao; ma nemmeno allora provarono niente di simile. Per­
ché dunque sul monte caddero a terra? Perché era un luogo de­
serto, elevato, c’era una grande quiete, una trasfigurazione che da­
va i brividi, una luce pura, una nube estesa; tutto ciò li gettò in una
grande agitazione. Lo sbigottimento proveniva da ogni parte, e
caddero a terra impauriti e al tempo stesso adoranti. Perché poi la
paura, se fosse rimasta a lungo, non facesse perdere loro il ricordo
di quell’evento, eliminò subito la loro angoscia; viene visto lui so­
lo ed è loro comandato di non dirlo a nessuno, finché non fosse ri­
sorto dai morti. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non
parlare con nessuno della visione, finché non fosse risuscitato dai
morti aP . Infatti quanto più sublimi erano le cose che si dicevano di
lui, tanto più erano difficili da accettare allora da parte della gen­
te, e quindi aumentava maggiormente lo scandalo che derivava
dalla croce. Perciò ordina di tacere, e non senza motivo, ma ricor­
da ancora la passione, quasi indicando anche il motivo per cui ave­
va ordinato di tacere. Non ordinò di non dirlo a nessuno per sem­
pre, ma finché non fosse risorto dai morti. Tacendo l’aspetto spia­

amM tl7 ,6 -8 . “ Cf. M t 3 ,17. aoCf. Gv 12,29. aP M tl7 , 9.


446 Omelie sul Vangelo di Matteo

cevole, manifesta soltanto quello positivo22. Ebbene, dopo non si


sarebbero scandalizzati? Per niente affatto, perché il problema era
il periodo di tempo anteriore alla croce. Dopo infatti furono rite­
nuti degni dello Spirito, avevano la voce, che proveniva dai mira­
coli, che parlava in loro difesa e tutto quanto dicevano era accet­
tabile, perché erano i fatti a proclamare la sua potenza 23 in modo
più chiaro di una tromba e nessuno scandalo di quel genere 24 era
di impedimento alla loro azione. Non c’era nulla di più beato de­
gli apostoli e soprattutto di quei tre che furono ritenuti degni di
essere avvolti nella nube insieme al Signore.

L a v isio n e d i C risto n e l g iu d iz io fin a le

Ma, se vogliamo, vedremo anche noi Cristo, non come lo vide­


ro allora quelli sul monte, ma molto più fulgido, perché dopo non
verrà così. Allora, per riguardo verso i discepoli, svelò del suo fulgo­
re solo tanto quanto potevano sostenere; dopo invece verrà nella
stessa gloria del Padre, non solo con Mosè ed Elia, ma con l’immen­
so esercito degli angeli, con gli arcangeli, con i cherubini, con quelle
immense moltitudini; non si leverà una nube sopra il suo capo, ma il
cielo stesso che lo avvolgerà. Come gli assistenti dei giudici, quando
questi giudicano in pubblico, tirando le cortine li mostrano a tutti,
così anche allora tutti lo vedranno seduto, gli starà accanto tutto il ge­
nere umano ed egli di sua iniziativa risponderà loro e agli uni dirà:
Venite, benedetti del Padre mio, perché ho avuto fame e mi avete dato
da mangiare a<J; agli altri dirà: Bene, servo buono e fedele, sei stato fe­
dele nel poco, ti darò autorità su molto Ma, pronunciando una sen­
tenza contraria, agli uni risponderà: Andate nel fuoco eterno, prepa­
rato per il diavolo e per i suoi angelias, agli altri: Servo malvagio e in-

a<5 Mt 25, 34-35. arM t25,21. asM t25,41.

22 La resurrezione.
23 La potenza di Cristo.
24 Lo scandalo della croce.
Omelia 56, 4-5 447

fingardo at. Taglierà in due 25 gli uni e li affiderà agli aguzziniau, farà
legare gli altri mani e piedi e li farà gettare nelle tenebre esterioriav.
Dopo la scure seguirà la fornace e ciò che verrà gettato fuori dalla re­
te awcadrà li. Allora i giusti splenderanno come il sole “ , anzi più del
sole. Ha detto così non perché la loro luce sarà solo tanto grande,
ma, poiché non conosciamo nient’altro di più fulgido di questo astro,
ha voluto indicare, partendo da ciò che è noto, il futuro splendore
dei santi. Anche sul monte dicendo: bnllò come il sole, si è espresso
in questi termini per lo stesso motivo. Che la luce fosse maggiore del­
l’esempio riportato, lo hanno dimostrato i discepoli cadendo a terra.
Se la luce non fosse stata pura, ma della stessa intensità del sole, non
sarebbero caduti, ma l’avrebbero sopportata facilmente. I giusti dun­
que splenderanno allora come il sole, e più del sole, mentre i pecca­
tori andranno incontro alle più grandi sofferenze. Allora non ci sarà
bisogno di memorie, di prove, di testimoni, perché chi giudica è tut­
to, testimone, prova, giudice. Sa tutto chiaramente. Tutto è senza ve­
li e scoperto ai suoi occhi av. Nessuno si mostrerà lì come ricco, po­
vero, potente, debole, sapiente, insipiente, servo, libero, ma, spezza­
te queste maschere, si esamineranno solo le opere. Se infatti nei tri­
bunali quando si è accusati di tirannide o di omicidio, spariscono tut­
te le cariche, qualunque sia, prefetto, console o qualsiasi altra, e il reo
subisce la pena più severa, a maggior ragione sarà così lì.

L a m iserico rdia è a g e v o l e e libera d a o g n i preo ccu pazio n e

5. Perché dunque questo non si verifichi, deponiamo le


sordide, indossiamo le armi della luce e la gloria di Dio ci avvolgerà.
Quale precetto è pesante? Quale non è facile? Ascolta le parole del
profeta e allora conoscerai la facilità di questi precetti. Neppure se

at Mt 25, 26. au Cf. Mt 18, 34. av Cf. Mt 22, 13.


aw Cf. Mt 13, 47-50. ax Mt 13, 43. ayCf. E b 4 ,13.

25 L’espressione, desunta da Mt 24, 51, vuol dire che punirà con rigore.
448 Omelie sul Vangelo di Matteo

pieghi il tuo collo come un giogo e ti stendi su sacco e cenere, lo chia­


merai così un digiuno accetto, ma sciogli ogni legame di iniquità, togli
i lacci di contratti violenti “ . Vedi la sapienza del profeta. Dopo aver
presentato prima ciò che è pesante ed averlo eliminato, sostiene che
ci si salva con ciò che è facile, mostrando che Dio non richiede fati­
che, ma obbedienza. Poi, indicando che la virtù è facile, mentre la
malvagità è onerosa e pesante, lo dimostra in base alla realtà dei no­
mi stessi. La malvagità infatti, vuol dire, è legame e laccio; la virtù in­
vece è liberazione da tutte queste cose e eliminazione di esse. An­
nulla ogni patto iniquo ba; chiama così i documenti relativi agli inte­
ressi, ai prestiti. Manda liberi gli oppressihb, cioè i derelitti. Così è il
debitore: quando vede il creditore, il suo animo si spezza e lo teme
più di una belva. Introduci nella tua casa ipoveri senza tetto; se vedi
uno nudo, vestilo e non disprezzare quelli che sono della stessa tua di­
scendenza bc. Nel discorso che abbiamo tenuto recentemente 26, de­
scrivendo le ricompense, abbiamo mostrato la ricchezza che ne de­
riva; ora vediamo se qualche precetto è difficile e oltrepassa la nostra
natura. Ma non ne troveremo nessuno, anzi tutto il contrario: questi
precetti sono molto facili, mentre ciò che concerne la malvagità
comporta molta fatica. Che cos’è più fastidioso di prestare, preoc­
cuparsi per gli interessi ed i contratti, richiedere malleverie, temere
e trepidare per i pegni, per il capitale, per le polizze, per gli interes­
si, per i mallevadori? Così sono gli affari terreni. Questa che sembra
ed è considerata sicurezza è più fallace di tutto ed è sospetta, men­
tre la misericordia è facile e libera da ogni preoccupazione.

C o n t r o i l p r e s t it o a d in t e r e s s e :
NON SI DEVE SPECULARE SULLA POVERTÀ ALTRUI

Non facciamo affari dunque con le disgrazie altrui e non mer­


canteggiamo la bontà. So certo che molti ascoltano con fastidio

az Is 58,5-6. ba Is 58, 6. bb Ibid. bcIs58, 7.

26 Cf. l’omelia 54, 6.


Omelia 56, 5 449

questi discorsi, ma che vantaggio deriva dal silenzio? Anche se io


taccio e non infastidisco affatto con le mie parole, è impossibile li­
berarvi dalla punizione con questo silenzio, ma anzi ne deriva tut­
to il contrario: il castigo aumenta e un simile silenzio procura la
punizione non solo a voi, ma anche a me. Qual è poi il beneficio
delle parole, se non aiuta ad operare, ma anzi danneggia? Che van­
taggio c’è nel rallegrare con le parole, e nella realtà provocare do­
lore? Nel recare diletto all’orecchio e pimire l’anima? Perciò è ne­
cessario provocare dolori quaggiù perché non siamo puniti las­
sù 27. Difatti, mio caro, un morbo terribile, terribile e che ha biso­
gno di una cura profonda si è abbattuto sulla Chiesa. Coloro a cui
è ordinato di non accumulare nemmeno con i frutti di giuste fati­
che, ma di aprire la loro casa agli indigenti, traggono profitto dal­
la povertà altrui, escogitando una rapina dalla bella apparenza,
una cupidigia pretestuosa. Non parlarmi delle leggi profane, per­
ché anche il pubblicano adempie la legge esteriore, ma tuttavia
viene punito 28. Subiremo anche noi questo castigo, se non smet­
tiamo di schiacciare i poveri e di prendere a pretesto il bisogno e
la necessità per commerci vergognosi. Per questo hai ricchezze,
per eliminare la povertà, non per fare affari con la povertà29; tu in­
vece, con l’apparenza di confortare, rendi maggiore la sventura e
vendi la bontà per denaro. Vendi, non te lo impedisco, ma per il
regno dei cieli. Non ricevere, per un’opera così grande, una pic­
cola ricompensa, l’interesse della centesima30, ma quella vita im­
mortale. Perché sei miserabile, povero, gretto e vendi per poco ciò
che è grande, per del denaro che va in rovina, mentre dovresti ven­
dere per un regno che rimane per sempre? Perché abbandoni Dio

27 Crisostomo mostra con chiarezza che queste sue esortazioni possono


riuscire sgradite ad alcuni ascoltatori, ma preferisce la verità al silenzio e al­
l’adulazione.
28 Si intende, dalla legge divina.
29 II nostro autore insiste continuamente sull’uso sociale delle ricchezze
e, in modo molto efficace, stigmatizza la speculazione soprattutto dell’usuraio
sull’indigenza altrui.
30 Era il tasso di interesse del 12% annuo.
450 Omelie sul Vangelo di Matteo

e fai guadagni umani? Perché trascuri chi è ricco e importuni chi


non ha, lasci da parte chi dà il contraccambio e tratti con chi non
è riconoscente? Quello desidera dare il contraccambio 31; questi
invece detesta di farlo. Questi a stento rende la centesima, mentre
quello il centuplo e la vita eterna; questi con ingiurie e insulti,
quello invece con lodi e benedizioni. Questi suscita contro di te
malanimo, mentre quello ti intreccia corone. Questi a stento resti­
tuisce quaggiù; quello invece lassù e quaggiù. Non è dunque un’e­
strema follia non saper guadagnare? Quanti, a causa dell’usura,
hanno perduto anche il capitale? Quanti, a causa dell’usura, sono
incappati nei pericoli? Quanti, per questa indicibile cupidigia,
hanno ridotto se stessi e gli altri in estrema povertà?

L’usura è detestata d a lla l e g g e d i D io e da q u ella profana

6. Non dirmi che il debitore è contento di ricevere il pre


e ne è grato, perché questo avviene per la tua crudeltà. Anche
Abramo, quando consegnò la moglie ai barbari32, fece in modo
che questo espediente risultasse accettabile; però lo fece a malin­
cuore, per paura del Faraone. Così anche il povero, poiché non lo
ritieni degno di questo33, è costretto a ringraziare per tale crudel­
tà. Mi sembra che tu, anche se lo liberi dai pericoli, gli richieda la
ricompensa di questa liberazione. Per carità! - si potrebbe repli­
care -, non sia mai! Che dici? Per liberarlo da un pericolo mag­
giore, non vuoi esigere del denaro, mentre per uno inferiore mo­
stri una disumanità così grande? Non vedi che gran castigo è ri­
servato a questo comportamento? Non ascolti che ciò è proibito
anche nell’Antico Testamento?34. Ma qual è il ragionamento della
gente? Se prendo l’interesse, do al povero, si replica. Taci, o uo­

31 II riferimento è a Dio.
32 L’episodio è narrato in Gn 12, 13.
33 Del denaro che gli viene prestato.
34 Sulla condanna del prestito ad interesse, cf. Es 22, 24; Lv 25, 36-37.
Omelia 56, 5-6 451

mo; Dio non vuole sacrifici di questo genere. Non cercare di elu­
dere scaltramente la legge. E meglio non dare al povero che dare
in questo modo, perché spesso rendi iniquo il denaro procurato
con giuste fatiche facendolo fruttificare in modo malvagio, come
se si costringesse un utero buono a partorire scorpioni. E che di­
co, la legge di Dio? Non lo chiamate anche voi sudiciume? Se voi
che fate tali guadagni giudicate così, pensa quale sarà il giudizio di
Dio su di voi. Se vuoi interrogare anche i legislatori profani, senti­
rai che pure per essi questo fatto35 sembra essere prova della più
grande sconcezza. A coloro che rivestono cariche e fanno parte del
gran Consiglio, che viene chiamato Senato, non è consentito di
contaminarsi con simili guadagni, ma hanno una legge che vieta
profitti di questo genere. Come non rabbrividire se non concedi
alla città celeste nemmeno tanto onore, quanto ne concedono i le­
gislatori al Senato romano, ma il cielo offrirà meno della terra36, e
tu non ti vergogni della stoltezza di questa attività? Che ci potreb­
be essere di più insensato che essere costretti a seminare senza ter­
ra, pioggia e aratro? Perciò quelli che escogitano questa malvagia
coltivazione, mietono zizzania che viene abbandonata al fuoco bd.

L’a n g o sc ia d e l l ’ usuraio

Non ci sono forse molti traffici giusti? Quelli relativi ai cam­


pi, alle greggi, alle mandrie, al bestiame, al lavoro manuale, alla cu­
ra del patrimonio? Perché sei smanioso follemente di coltivare in­
vano le spine? Ma i frutti della terra non sono soggetti ad incon­
venienti, alla grandine, alla ruggine, alle inondazioni? Ma non tan­
ti quanti gli interessi. Difatti per quanto possano capitare incon-

bd Cf. Mt 13, 30.

35 L’usura.
36 In quanto la prospettiva dei beni celesti non fa desistere da atteggia­
menti che sono censurati anche nella legislazione terrena.
452 Omelie sul Vangelo di Matteo

venienti di questo genere, il danno riguarda il ricavato, mentre il


capitale, il campo, rimane intatto. In questo caso invece molti spes­
so hanno subito il naufragio nel capitale, e prima di ricevere il dan­
no, sono in un’angoscia continua. L’usuraio non gode mai dei suoi
beni, non si rallegra per essi, ma quando viene portato l’interesse,
non gioisce perché è venuto un guadagno, ma si addolora perché
l’interesse non ha ancora raggiunto il capitale. Prima che questo
cattivo prodotto sia generato completamente, forza a generarlo, fa­
cendo degli interessi il capitale, e costringendo a mettere alla luce
gli immaturi e abortivi parti delle vipere. Così sono gli interessi: di­
vorano e dilaniano l’anima degli infelici più di quelle belve. Questo
è legame di iniquità, questi sono lacci di contratti violenti37. Do, di­
ce l’usuraio, non perché tu riceva, ma perché restituisca di più. Dio
ordina di non ricevere nemmeno quanto viene dato: Date, dice, a
coloro da cui non vi aspettate di ricevere be. Ma tu chiedi più di quan­
to è dato e costringi chi ha ricevuto il prestito a pagare, come do­
vuto, ciò che non hai dato. Tu credi che così ti si accresca il patri­
monio, ma invece accendi il fuoco inestinguibile.
Perché questo non si verifichi, estirpiamo la malvagia matrice
degli interessi, neutralizziamo quei parti iniqui, dissecchiamo que­
sto ventre rovinoso e perseguiamo solo i veri e grandi guadagni.
Quali sono questi? Ascolta Paolo che dice: ha pietà è un grande
guadagno insieme al sapersi accontentare bf. Arricchiamoci dunque
soltanto con questa ricchezza, per godere qui della sicurezza e ot­
tenere i beni futuri, per la grazia e la bontà di nostro Signore Ge­
sù Cristo, al quale siano la gloria e la potenza con il Padre e lo Spi­
rito santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

be Cf. Le 6, 34-35. bf 1 Tm 6, 6.

37 L’espressione richiama il passo di Is 58, 5-6 che Crisostomo ha citato


in precedenza.
OMELIA 57

Gli domandarono i suoi discepoli: Perché dunque gli scribi dicono


che prima deve venire Elia ? a.

L e d u e v e n u t e d i C risto

1. Non lo sapevano dalle Scritture, ma quelli interpretav


se stessi, e questa fama si diffondeva in una moltitudine innume­
revole, come anche riguardo a Cristo. Perciò la samaritana diceva:
Il Messia deve venire; quando verrà, ci annunzierà tutto b. E quelli
interrogavano Giovanni: Sei Elia o il profeta? c. Correva, come di­
cevo, questa fama su Cristo e su Elia, ma non come doveva essere
interpretata da loro. Difatti le Scritture parlano di due venute di
Cristo, questa che si è verificata e quella futura; Paolo diceva indi­
cando queste: E apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza,
che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere
con sobrietà, giustizia e pietà d. Ecco la prima venuta; ascolta come
indichi anche la seconda. Difatti, dopo aver detto quelle cose, ha
aggiunto: Nell’attesa della beata speranza e della manifestazione del
grande Dio e salvatore nostro Gesù Cristo e. Anche i profeti ricor­
dano entrambe le venute; di una, la seconda, dicono che sarebbe
stato precursore Elia. Della prima infatti fu precursore Giovannil,

a M t l 7 , 10. b Gv 4, 25. c G v l,2 1 . d T t 2 , 11-12. e T t2 , 13.

1 Battista.
454 Omelie sul Vangelo di Matteo

che Cristo chiamava anche Elia, non perché fosse Elia, ma perché
adempiva il suo ministero. Come quello sarà il precursore della se­
conda venuta, così questi lo è stato della prima. Ma gli scribi, con­
fondendo queste cose e disorientando il popolo, gli ricordavano
solo quella, cioè la seconda venuta e dicevano: «Se costui fosse il
Cristo, avrebbe dovuto precederlo Elia». Perciò i discepoli dico­
no: Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia? Perciò i fa­
risei mandarono un’ambasciata a Giovanni e lo interrogarono: Sei
tu E lia? f, senza menzionare affatto la prima venuta. Qual è la so­
luzione che ha addotto Cristo? Che Elia sarebbe venuto allora pri­
ma della mia seconda venuta, mentre anche ora era venuto Elia,
chiamando così Giovanni. Questi è venuto come Elia. Se cerchi in­
vece il Tisbita2, verrà. Perciò diceva: Elia verrà e ristabilirà ogni co­
sa e. Ogni cosa di che genere? Ciò che diceva il profeta Malachia:
Vi manderò Elia il Tisbita che convertirà il cuore del padre verso il
figlio, perché, venendo, non colpisca la terra dalle fondamenta h. Hai
visto la precisione del discorso del profeta? Poiché Cristo ha chia­
mato Giovanni Elia perché il loro ministero era comune, affinché
non pensassi che ciò era detto ora anche dal profeta, ha aggiunto
anche la sua patria, dicendo: il Tisbita·, Giovanni certo non era Ti­
sbita. E, con questo, indica un altro elemento singolare, dicendo:
perché, venendo, non colpisca la terra dalle fondamenta, mostrando
la sua seconda, temibile venuta, perché nella prima non è venuto
a colpire la terra. Non sono venuto, dice, per condannare il mondo,
ma per salvare il mondo Ha detto ciò per indicare quindi che il
Tisbita verrà prima di quella venuta che comporta il giudizio. Al
tempo stesso insegna anche il motivo della sua venuta. Qual è que­
sto motivo? Per convincere i giudei, con la sua venuta, a credere
in Cristo e perché non periscano tutti completamente al suo arri-

f Gv 1, 21. ®Mt 17, 11. h MI 3, 22-23 (LXX). * Gv 12, 47.

2 Elia, nativo di Tisbe: cf. 1 Re 17, 1.


Omelia 57, 1-2 455

vo. Per questo, spingendoli a ricordare ciò, dice: ristabilirà ogni co­
sa, cioè: correggerà l’incredulità dei giudei che allora saranno tro­
vati tali3. Perciò ha parlato con grande precisione. Non ha detto
infatti: convertirà il cuore del figlio verso il padre, ma: del padre
verso il figlio. Poiché i giudei erano padri degli apostoli, dice che
convertirà alle dottrine dei loro figli, cioè degli apostoli, il cuore
dei padri, cioè l’animo del popolo giudaico.
Ma io vi dico che Elia è già venuto e non lo hanno riconosciu­
to, ma gli hanno fatto quello che hanno voluto. Così anche il Figlio
dell’uomo dovrà soffrire a causa loro. Allora compresero che parlava
loro di Giovanni. Eppure né gli scribi né le Scritture avevano det­
to questo, ma poiché erano divenuti più pronti e attenti alle sue
parole, compresero subito. Ma in che modo i discepoli lo capiro­
no? Lo aveva già detto in precedenza: Egli è quell’Elia che deve ve­
nire k; qui dice: è venuto, e ancora: Elia verrà e ristabilirà ogni co­
sa. Ma non turbarti e non pensare che questo discorso sia erroneo,
se ha detto ora che verrà, ora che è venuto. Sono vere tutte queste
affermazioni. Quando infatti dice: Elia verrà e ristabilirà ogni cosa,
parla di Elia stesso e della conversione dei giudei che allora si ve­
rificherà; quando invece dice: deve venire, chiama Giovanni Elia a
causa dell’indole del ministero. Anche i profeti chiamavano «D a­
vid» ciascun re illustre, e i giudei «capi di Sodoma» e «figli degli
Etiopi» per i loro costumi. Come dunque quello sarà precursore
della seconda venuta, così questi4 lo è stato della prima.

G iovanni B attista e E lia

2. Non solo per questo motivo lo chiama Elia in ogni o


sione, ma per dimostrare di essere in grande accordo con l’Antico

j Mt 17, 12-13. k M t ll, 14.

3 Cioè increduli.
4 Giovanni Battista.
456 Omelie sul Vangelo di Matteo

Testamento e che anche questa sua venuta era secondo la profezia.


Perciò aggiunge a sua volta: E venuto e non lo hanno riconosciuto,
ma gli hanno fatto tutto quello che hanno voluto. Che significa: tut­
to quello che hanno voluto? Lo hanno gettato in carcere, lo hanno
insultato, lo hanno ucciso, hanno portato la sua testa su un piatto.
Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire a causa loro. Vedi co­
me opportunamente ricordi loro ancora la sua passione, procu­
rando ad essi un grande conforto partendo dalla passione di Gio­
vanni? Non solo in questo modo, ma anche con l’operare subito
grandi prodigi. Difatti quando parla della passione, opera subito
miracoli sia dopo, sia prima di queste parole, e si può trovare che
spesso osserva questa regola. Allora, dice, cominciò a indicare che
doveva andare a Gerusalemme, essere ucciso e soffrire molto '. Allo­
ra: quando? Quando fu confessato che era Cristo e Figlio di Dio.
Ancora sul monte, quando mostrò ad essi quella meravigliosa vi­
sione e i profeti parlarono della sua gloria, ricordò loro la passio­
ne. Dopo aver parlato della storia di Giovanni, aggiunse: Così an­
che il Figlio dell’uomo dovrà soffrire a causa loro. E ancora poco
dopo, quando scacciò il demonio che i discepoli non erano riusci­
ti a scacciare m. Difatti anche allora, mentre essi si trovavano in Ga­
lilea, dice, Gesù disse loro: Il Figlio dell’uomo sta per essere conse­
gnato nelle mani di uomini peccatori e lo uccideranno, ma il terzo
giorno risorgerà n. Agiva così per troncare l’immensità del loro do­
lore con la grandezza dei miracoli e per consolarli in ogni modo,
come anche in questo caso offriva loro un grande conforto con il
ricordo della morte di Giovanni. Se qualcuno dicesse: Perché an­
che adesso non ha resuscitato Elia e l’ha inviato, se attesta beni co­
sì grandi in virtù della sua venuta?, diremo che anche ora, pur
pensando che Cristo fosse Elia, non credevano in lui. Alcuni, dice,
affermano che sei Elia, altri Geremia °. E tra Giovanni ed Elia non
c’era alcuna differenza, se non solo il tempo. Come, si potrebbe
obiettare, crederanno allora? Certo ristabilirà ogni cosa non solo
perché sarà noto, ma anche perché la gloria di Cristo si estenderà

1Mt 16,21. mC f.M t 17,16.19. n Mt 17,22-23. °M t 16,14.


Omelia 57, 2 457

sempre di più fino a quel giorno e in tutti sarà più splendida del
sole. Quando, preceduto da una così grande opinione ed aspetta­
tiva, verrà a proclamare lo stesso messaggio di Giovanni e ad an­
nunciare anche lui Gesù, accoglieranno più facilmente le sue pa­
role. Quando dice: non lo hanno riconosciuto, parla anche in dife­
sa dei suoi, e non li conforta solo in questo modo, ma anche con il
dimostrare che avrebbe sofferto ingiustamente da parte di quelli
ciò che avrebbe sofferto, e con il racchiudere quegli eventi dolo­
rosi in due prodigi, quello sul monte e quello che stava per acca­
dere. Udito ciò, non gli chiedono quando sarebbe venuto Elia, o
perché presi dall’angoscia della passione o per paura. Spesso in­
fatti, quando vedono che non vuole dire qualche cosa chiaramen­
te, tacciono. Quando, mentre stavano in Galilea, disse: Il Figlio
dell’uomo sta per essere consegnato e lo uccideranno, Marco ha ag­
giunto: Non comprendevano queste parole e temevano di interro­
garlo p; Luca: Ciò per loro era misterioso, sicché non lo comprende­
vano e temevano di interrogarlo su quelle parole i.

F e d e e m iracoli

Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a lui un uomo che


si gettò in ginocchio davanti a lui e disse: Signore, abbi pietà di mio
figlio perché è epilettico e soffre molto. Spesso cade nel fuoco e spes­
so nell’acqua; l’ho portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto
guarirlo r. La Scrittura mostra che quest’uomo era molto debole
nella fede; ciò è manifesto da molti indizi: dalle parole di Cristo:
Tutto è possibile per chi credes; dal fatto che quello, che gli si era
avvicinato, disse: Aiutami nella mia incredulitàl; dal fatto che Cri­
sto ordinò al demonio di non entrare più in lui e ancora dal fatto
che quell’uomo disse a Cristo: Se puoi u. Ma, si potrebbe obietta­
re, se la sua incredulità fu causa del fatto che il demonio non usci-

p Me 9, 31-32. q Le 9, 44-45. r Mt 17, 14-16. 5 Me 9, 23.


‘ Me 9, 24. u Me 9, 22.
458 Omelie sul Vangelo di Matteo

va dall’infermo, perché rimprovera i discepoli?5. Per mostrare che


ad essi era possibile in molte circostanze guarire anche senza che
quelli si accostassero con la fede. Come infatti spesso la fede di chi
si accostava era sufficiente a ricevere la grazia anche da chi era in­
feriore 6, così spesso la potenza degli operatori di prodigi bastò a
compiere il miracolo anche se quelli che si accostavano loro non
credevano. Entrambi questi aspetti sono indicati nelle Scritture.
Quelli della cerchia di Cornelio attirarono la grazia dello Spirito in
virtù della loro fede v; al tempo di Eliseo, senza che nessuno cre­
desse, un morto risuscitò w. Quelli che gettarono il cadavere, lo
gettarono a caso e come capitava, non per fede, ma per paura, te­
mendo la banda dei razziatori, e fuggirono; quello stesso che era
stato gettato era morto e, in virtù solo della potenza di quel santo
corpo, il cadavere risuscitò7. Da ciò è evidente in questo caso che
anche i discepoli erano deboli nella fede, ma non tutti, perché le
colonne 8 non erano lì.

G esù sp in g e a lla f e d e il padre d e l l ’epilet t ic o

3. Osserva d’altra parte la sconsideratezza di costui9, co


davanti alla folla, si rivolga a Gesù contro i discepoli dicendo: Ubo
portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo. Ma il Si­
gnore, liberandoli dalle accuse davanti al popolo, imputa a quello
una colpa maggiore. O generazione, dice infatti, incredula e per­
versa, fino a quando starò con voi? x, senza riferirsi soltanto alla

v Cf. At 10, 44-45. w Cf. 2 Re 13, 21. * Mt 17,17.

5 Cf. Mt 17, 20: Gesù si riferisce alla poca fede dei discepoli.
6 Vale a dire i discepoli.
7 Si tratta del cadavere di un uomo che, venuto a contatto con le ossa di
Eliseo, resuscitò: cf. 2 Re 13, 20-21.
8 Così sono designati Giacomo, Pietro e Giovanni: cf. Gal 2, 9.
9 II padre dell’epilettico.
Omelia 57, 2-3 459

persona di costui, per non mettere in difficoltà quell’uomo, ma an­


che a tutti i giudei. Era naturale che molti dei presenti si scanda­
lizzassero e non avessero, nei confronti dei discepoli, un’opinione
conveniente. Quando dice: fino a quando starò con voi?, mostra
ancora che la morte gli era accetta, desiderabile questo evento e
gradita la dipartita da questa vita, e che era duro non essere croci­
fisso, ma stare con quelli. Certamente non si è fermato ai rimpro­
veri, ma che cosa dice? Portatemelo quii. Gli chiede da quanto
tempo era malato, per difendere i discepoli e spingerlo ad una
buona speranza, perché credesse che sarebbe stato liberato da
quel malez. Permette che quello sia preso da convulsioni non per
ostentazione - poiché la folla si era riunita, rimproverò quello spi­
rito immondoaa -, ma per il padre stesso perché, vedendo che il
demonio era turbato solo per il fatto di essere chiamato, almeno
così fosse spinto a credere che il prodigio sarebbe avvenuto. Do­
po che quello disse: dall’infanzia, e: se puoi, aiutamiab, replica: Tut­
to è possibile per chi credeac, rimproverandolo di nuovo. Quando
il lebbroso diceva: Se vuoi, puoi sanarmiad, rendendo testimonian­
za alla sua autorità, il Signore lodandolo e confermando le sue pa­
role, diceva: Lo voglio, sii risanato ae. Poiché costui non aveva det­
to nulla di degno della sua potenza con le parole: Se puoi, aiutami,
vedi come lo corregga in quanto non aveva parlato come doveva.
Che cosa dice? Se puoi credere, tutto è possibile per chi crede 10.
Quanto dice significa: tanta è la sovrabbondanza del mio potere,
che posso far operare anche ad altri questi miracoli. Sicché, dice,
se credi come si deve, anche tu puoi guarire questo e molti altri. E,
detto questo, liberò l’indemoniato “f.

y Ibid. z Cf. Me 9, 21 ss. aa Cf. Me 9, 25. ab Me 9, 21-22.


ac Me 9,23. adL c 5 ,12. aeL c 5 ,13. ^ Cf. Mt 17,18.

10 Me 9, 23: il passo qui riportato da Crisostomo presenta l’aggiunta di


credere che si trova in alcuni codici di Marco.
460 Omelie sul Vangelo di Matteo

E ffica c ia d e l l a pro vv idenza divina

Osserva la sua provvidenza e il suo beneficio non solo da ciò,


ma anche dal momento in cui permise che il demonio rimanesse
dentro quella persona. Infatti se quell’uomo non avesse usufruito
anche allora di una grande provvidenza, già da tempo sarebbe peri­
to, perché, dice, lo gettava nel fuoco e nell’acqua *8. Chi osava ciò
l’avrebbe certamente ucciso se, pur in una follia così grande, Dio
non gli avesse messo un freno potente, come anche nel caso di quel­
li che correvano nudi in luoghi deserti e si colpivano con pietre n .
Non turbarti poi se lo chiama lunatico 12, perché si tratta di un’e­
spressione del padre dell’indemoniato. Perché dunque anche l’e­
vangelista dice che guarì molti lunatici? 13. Perché li chiama così in
base all’opinione della gente. Il demonio, per screditare questo ele­
mento celeste, assale quelli che cadono in suo potere e li rilascia se­
condo il corso della luna, non perché sia opera di essa, non sia mai!,
ma egli stesso usa questo inganno per screditare tale elemento. Per­
ciò presso gli insensati ha preso forza questa errata opinione e, trat­
ti in inganno, chiamano così siffatti demoni, ma questo non è vero.

L a FORZA DELLA FEDE

Allora i suoi discepoli, accostatisi a lui in disparte, gli chiesero


perché non avevano potuto scacciare il demonio **>. Mi sembra che
essi fossero angustiati e temessero di perdere la grazia che era sta­
ta loro affidata. Avevano ricevuto infatti autorità sui demoni im­
puri. Perciò, accostatisi a lui in disparte, lo interrogano, non per-

a6 Cf. Mt 17,15. Λ Mt 17, 19.

11 Si veda il riferimento all’indemoniato che non portava vestiti e si per­


cuoteva con pietre rispettivamente in Le 8, 27 e Me 5, 5.
12 Così è propriamente chiamato l’epilettico in Mt 17, 15.
13 Sempre nel senso di epilettici: cf. Mt 4, 24.
Omelia 5 7,3 461

ché si vergognassero - se il fatto si era verificato ed erano stati ri­


presi, era inutile vergognarsi poi di riconoscerlo con le loro paro­
le -, ma perché stavano per interrogarlo su un argomento arcano
e rilevante. E Cristo? Dice: Per la vostra incredulità. Se infatti avre­
te fede come un granellino di senape, direte a questo monte: sposta­
ti, e si sposterà e nulla vi sarà impossibile Se tu dicessi: dove han­
no trasportato un monte?, risponderei che hanno fatto molto di
più, risuscitando innumerevoli morti. Non è la stessa cosa tra­
sportare un monte e allontanare la morte da un corpo. Si dice che,
dopo di essi, alcuni santi, molto inferiori a loro, abbiano anche tra­
sportato montagne poiché la necessità lo richiedeva 14. Da ciò è
evidente che anche questi le avrebbero trasportate, se la necessità
lo avesse richiesto. Ma se allora non ci fu necessità, non accusarli.
Del resto egli stesso non disse: Le trasporterete certamente, ma:
Potrete fare anche questo. Se non le hanno trasportate, non è per­
ché non hanno potuto - come non avrebbero potuto, essi che han­
no potuto fare prodigi più grandi? -, ma perché non l’hanno vo­
luto, in quanto non c’era necessità. E verosimile che sia accaduto
e che non sia stato scritto, perché non è stato scritto tutto ciò che
di prodigioso hanno compiuto. Allora certo erano molto più im­
perfetti. Ebbene? Allora non avevano questa fede? Non l’avevano,
perché non furono sempre gli stessi. Anche Pietro ora viene pro­
clamato beato, ora viene rimproverato, e gli altri sono trattati da
lu i15 come insensati, quando non compresero il discorso sul lievi­
to ai. Anche allora accadde che i discepoli fossero deboli nella fe­
de* perché erano più imperfetti prima della croce. Qui parla della

“ Mt 17, 20. ai Cf. Mt 16, 6ss.

14 Si ricordi il caso di Gregorio Taumaturgo, riportato nella sua Vita da


Gregorio Nisseno; questi narra che il Taumaturgo, al fine di convertire un sa­
cerdote pagano, su sua richiesta spostò da un luogo all’altro un grosso maci­
gno, che non poteva essere mosso da mano umana, soltanto per mezzo della
fede: cf. Gregorii Nysseni Opera X /1, Leiden 1990, pp. 22-23.
15 Da Gesù.
4(?2 Omelie sul Vangelo di Matteo

fede relativa ai miracoli e menziona la senape per indicare l’ineffa­


bile potenza di essa. Difatti se la senape sembra essere piccola per
mole, per potenza invece è più forte di tutti. Per mostrare dunque
che anche la più piccola parte della fede autentica può realizzare
grandi cose, ha ricordato la senape, e non si è fermato solo qui, ma
ha aggiunto anche i monti e si è spinto oltre: Nulla, dice, vi sarà
impossibile.
4. Anche in questo caso ammira la loro filosofia e la forza
lo Spirito: la filosofia, perché non nascosero i loro difetti; la forza
dello Spirito, perché a poco a poco innalzò a tal punto coloro che
non avevano neppure un granellino di senape16, che in essi scatu­
rirono fiumi e sorgenti di fede.

P r eg h ier a e d ig iu n o

Questo genere di demoni non si scaccia se non con la preghiera


e il digiuno 17; parla di ogni genere di demoni, non solo di quello
dei lunatici. Vedi come ponga già per essi le fondamenta del di­
scorso sul digiuno? Non mi addurre i rari esempi di alcuni che han­
no scacciato i demoni anche senza digiuno. Se infatti si potrebbe
dire questo dell’uno o dell’altro di quelli che riprendono i demo­
ni, è impossibile però che chi soffre di tale infermità sia liberato da
questa follia vivendo nelle mollezze. Chi è affetto da un simile
morbo ha soprattutto bisogno di questo esercizio. Ma, si potreb­
be obiettare, se è necessaria la fede, che bisogno c’è di digiuno?
Perché, insieme alla fede, anche esso infonde una non piccola for­
za. Infatti introduce una grande filosofia, fa di un uomo un ange­
lo e lotta con le potenze incorporee; però non da solo, ma occor­
re anche la preghiera e per prima la preghiera. Vedi quanti beni

16 Allusione a Mt 17,20: Se avrete fede pari a un granellino di senape, po­


trete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà.
17 Mt 17, 21: Crisostomo riporta questo passo che si trova in alcuni co­
dici di Matteo.
Omelia 57, 3-4 463

nascono da entrambi. Chi prega come si deve e digiuna, non ha bi­


sogno di molte cose; chi non ha bisogno di molte cose, non po­
trebbe essere amante del denaro; chi non è amante del denaro, è
anche più propenso all’elemosina. Chi digiuna è leggero e ha le ali,
prega con atteggiamento vigile, estingue i desideri cattivi, si rende
propizio Dio e umilia l’anima quando si esalta. Perciò anche gli
apostoli digiunavano quasi sempre. Chi prega insieme al digiuno
ha le ali doppie e più leggere dei venti stessi. Pregando non sbadi­
glia, non si stira né si intorpidisce, come capita ai più, ma è più ar­
dente del fuoco e più in alto della terra. Perciò soprattutto un si­
mile individuo è avversario e nemico dei demoni. Non c’è niente
di più potente di un uomo che prega autenticamente. Se infatti
quella donna riuscì a piegare un giudice duro, che non temeva Dio
né aveva riguardo per gli uominiak, a maggior ragione attirerà a sé
Dio chi si rivolge a lui continuamente, domina i piaceri del ventre
e bandisce le mollezze.
Se il tuo corpo è infermo per digiunare continuamente, non
lo è però per la preghiera, né debole per disprezzare i piaceri del
ventre. Anche se non puoi digiunare, puoi però non vivere nelle
mollezze; questo non è poco né molto lontano dal digiuno, ma suf­
ficiente ad abbattere la follia del diavolo. Niente è così gradito a
quel demonio come la mollezza e l’ubriachezza, perché ciò è fon­
te e madre di tutti i mali. Così un tempo spinse gli israeliti nell’i­
dolatria a·; così infiammò i sodomiti verso amori illeciti. Questa, di­
ce, fu l’iniquità di Sodoma: vivevano sregolatamente nella superbia,
nell’abbondanza di pane, nella prosperità ™. Così rovinò innume­
revoli altri e li abbandonò alla geenna.

C o n tr o l ’ intem pera nza

Quale male non produce la mollezza? Rende porci da uomi­


ni e peggiori dei porci. Infatti il porco si rivoltola nel fango e si nu­

ak Cf. Le 18, 2ss. a* Cf. Es 32, 6. ™ Ez 16, 49.


464 Omelie sul Vangelo di Matteo

tre di escrementi, mentre costui18 mangia ad ima mensa più abo­


minevole di quella, escogitando unioni empie e amori illeciti. Una
persona siffatta non differisce in nulla da un indemoniato, perché
ugualmente non ha pudore ed è in preda alla follia. Dell’indemo­
niato almeno abbiamo compassione, mentre di questo abbiamo
orrore e lo detestiamo. Perché mai? Perché si procura una volon­
taria follia e fa della bocca, degli occhi, delle narici, in una parola,
di tutto, come dei condotti di cloaca. Se guardi all’interno, vedrai
l’anima come intirizzita e intorpidita nel gelo di ima tormenta, in­
capace di essere di aiuto alla sua imbarcazione 19 per l’intensità
della tormenta. Ho ritegno di dire quanti mali subiscono uomini e
donne a causa dell’intemperanza; li lascio alla loro coscienza che li
conosce con maggior esattezza. Che c’è di più vergognoso di una
donna ubriaca o che, per farla breve, si lascia travolgere dall’eb­
brezza? Quanto più debole infatti è il suo corpo “ , tanto maggio­
re è il naufragio, sia che si tratti di una libera o di una schiava. La
libera fa brutta figura in mezzo al gruppo degli schiavi; la schiava
ugualmente la fa tra i servi, e fanno in modo che, da parte degli in­
sensati, siano screditati i doni di Dio. Quando si verificano queste
intemperanze, sento molti dire: Oh, se non ci fosse il vino! Che
stoltezza, che follia! Dai la colpa ai doni di Dio per i peccati altrui?
E che pazzia è questa? Non è stato il vino a causare questo, ma la
smoderatezza di quelli che se ne servono male. Di’ perciò: Oh, se
non ci fosse l’ubriachezza! Oh, se non ci fosse l’intemperanza! Ma
se dici: Oh, se non ci fosse il vino!, andando avanti poco per vol­
ta dirai: Oh, se non ci fosse il ferro, a motivo degli assassini; Oh,
se non ci fosse la notte!, a causa dei ladri; Oh, se non ci fosse la lu­
ce!, a motivo dei calunniatori; Oh, se non ci fosse la donna!, a cau­
sa degli adulteri. Insomma, eliminerai tutto.

311 Cf. 1 Pt 3, 7.

18 L’intemperante.
19 Metafora che si riferisce al corpo.
Omelia 57, 4-5 465

I l v in o è per la g io ia , n o n per l ’ubriachezza

5. Tu però non agire così, perché questo atteggiamento è


prio di un’intenzione diabolica. Non accusare il vino, ma l’ubria­
chezza. Prendi l’ubriaco mentre è sobrio, fagli vedere tutta la sua
turpitudine e digli: «Il vino è stato dato perché ci rallegriamoao,
non perché ci comportiamo indecentemente, perché ridiamo 20,
non per essere derisi, perché stiamo in buona salute, non per sta­
re male, per rinvigorire la debolezza del corpo, non per deprime­
re il vigore dell’anima». Dio ti ha onorato con questo dono: per­
ché rechi oltraggio a te stesso con la tua smoderatezza? Ascolta
che cosa dice Paolo: Fa’ uso di un po’ di vino per il tuo stomaco e
le tue frequenti indisposizioni aP. Se quel santo21, pur in preda alla
malattia e sostenendo continue infermità, non prese vino finché
non lo permise il maestro, che indulgenza potremmo avere noi che
ci ubriachiamo pur stando in buona salute? A lui diceva: Fa’ uso
di un po’ di vino per il tuo stomaco; a ciascuno di voi ubriachi di­
rà: Fa’ uso di poco vino a causa delle fornicazioni, del frequente
turpiloquio, degli altri desideri malvagi che l’ubriachezza suole ge­
nerare. Se non volete astenervi dall’ubriachezza per questi motivi,
astenetevene almeno per le angustie e le molestie che ne derivano.
Il vino è stato dato infatti per la gioia: Il vino, dice, allieta il cuore
dell’uomo a<3, ma voi rovinate anche questa sua virtù. Che gioia c’è
nel non essere in sé, nell’avere innumerevoli sofferenze, veder gi­
rare tutto, essere assaliti da vertigine e, come i febbricitanti, aver
bisogno di chi inumidisca il capo con olio? Ho detto questo non
per tutti, anzi per tutti, non perché tutti si ubriacano, non sia mai!,
ma perché quelli che non si ubriacano non si preoccupano di quel-

a°C f. Sir 31,27 (LXX). aP lT m 5 ,2 3 . a<5 Sai 104 (103), 15.

20 In questo caso il ridere viene visto in senso positivo, come espressio­


ne di serenità interiore.
21 Timoteo, discepolo di Paolo.
466 Omelie sul Vangelo di Matteo

li che si ubriacano. Perciò mi rivolgo piuttosto a voi che siete sani,


perché anche il medico, lasciando stare i malati, parla con coloro
che li assistono. Rivolgo a voi dunque la mia parola, pregandovi di
non farvi mai catturare da questo male e di farne uscire quelli che
ne sono dominati, perché non appaiano peggiori degli esseri irra­
zionali. Questi in verità non cercano nulla più del necessario, men­
tre costoro sono diventati più irrazionali di quelli, oltrepassando i
confini della moderazione. Quanto è migliore di costoro l’asino?
Quanto è migliore il cane? Difatti ciascuno di questi animali, anzi
di tutti gli altri, sia che debba mangiare o bere, conosce come li­
mite ciò che è sufficiente e non va oltre il necessario; per innume­
revoli che siano quelli che li forzano, rifiuteranno di cadere nella
smoderatezza. Dunque da questo punto di vista siete peggiori an­
che degli esseri irrazionali, a giudizio non solo di quelli che sono
sani, ma anche di voi stessi. Da questo è evidente che giudicate voi
stessi di minor valore dei cani e degli asini. Infatti tu non costrin­
gi questi esseri irrazionali a nutrirsi oltre misura. Se uno ti chie­
desse: Perché?, risponderai: per non danneggiarli. Per te invece
non hai nemmeno questa cura. Così ritieni di essere di minor pre­
gio di quelli e non ti curi di essere continuamente in agitazione,
perché vai incontro al danno derivante dall’ebbrezza non solo nel
giorno dell’ubriacatura, ma anche dopo quel giorno. Come, tra­
scorsa la febbre, rimane il danno causato dalla febbre, così, passa­
ta l’ebbrezza, si aggira nell’anima e nel corpo la tempesta dell’eb­
brezza. Il misero corpo giace prostrato, come una nave in conse­
guenza del naufragio; l’anima poi, più infelice di esso, anche quan­
do questo è indebolito, desta la tempesta, accende il desiderio e,
quando sembra essere ritornata in sé, allora soprattutto infuria,
immaginando vino, botti, tazze e coppe. Come nel caso della tem­
pesta, cessato l’uragano, rimane il danno causato dalla tempesta,
così anche in questo caso. E come in quel caso si verifica la perdi­
ta delle merci, così in questo c’è la perdita di quasi tutti i beni. An­
che se trova temperanza, pudore, senno, moderazione, umiltà l’u­
briachezza getta tutto nel mare dell’iniquità. Ma le situazioni che
seguono non sono più uguali. In un caso infatti, dopo la perdita
delle merci, la nave si alleggerisce; nell’altro invece si appesantisce
Omelia 57, 5 467

di più. Invece di quella ricchezza, riceve sabbia, acqua marina e


tutto il fango dell’ubriachezza, che sommergono subito la nave in­
sieme ai marinai ed al nocchiero.
Per non subire questo, liberiamoci dunque della tempesta.
Non si può vedere il regno dei cieli con l’ubriachezza. Non ingan­
natevi, dice, né ubriaconi né maldicenti erediteranno il regno di
D io ar. E che dico, il regno? Con l’ubriachezza non si possono ve­
dere nemmeno le cose presenti, perché l’ubriachezza ci fa dei gior­
ni notti e della luce tenebra; gli ubriachi, anche con gli occhi aper­
ti, non vedono neppure ciò che è davanti ai piedi. E non è questo
il solo male, ma, insieme a ciò, subiscono anche un’altra gravissi­
ma punizione, andando incontro continuamente a angustie irra­
zionali, follia, infermità, derisione, ignominia. Che indulgenza c’è
dunque per chi si trafigge con mali così grandi? Nessuna. Fuggia­
mo quindi questo morbo, per conseguire i beni di quaggiù e quel­
li futuri, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, a
cui siano la gloria e la potenza con il Padre e lo Spirito santo nei
secoli dei secoli. Amen.

ar 1 Cor 6, 9-10.
OMELIA 58

Mentre si trovavano in Galilea, Gesù disse loro: Il Figlio dell’uomo


sta per essere consegnato nelle mani degli uomini; lo uccideranno,
ma il terzo giorno risorgerà. E furono molto rattristatia.

NUOVO ANNUNCIO DELLA PASSIONE

1. Perché non dicessero: Perché stiamo qui continuame


parla ad essi ancora della passione, ed essi, sentendo ciò, non vo­
levano neppure vedere Gerusalemme. Considera che, benché Pie­
tro fosse stato rimproverato, Mosè ed Elia avessero parlato di essa
ed avessero chiamato gloria quell’evento, benché il Padre avesse
inviato la voce dal cielo, fossero avvenuti tanti miracoli e la resur­
rezione fosse alle porte - difatti disse che non sarebbe rimasto
molto tempo nella morte, ma sarebbe risorto il terzo giorno -,
neppure così lo sopportarono, ma furono rattristati, e non solo,
ma molto. Questo avvenne perché ignoravano ancora il senso di
quelle parole. A ciò alludevano Marco e Luca dicendo l’uno: Non
comprendevano queste parole e avevano timore di interrogarlo b;
l’altro: Questa frase restava così misteriosa per loro che non la com­
prendevano e avevano paura di interrogarlo sull’argomentoc. Ma se
ignoravano, perché si rattristarono? Perché non ignoravano tutto,
ma sapevano, perché lo sentivano dire continuamente, che sareb­
be morto; non sapevano però ancora chiaramente quale mai fosse
questa morte, che sarebbe stata debellata rapidamente e avrebbe

a Mt 17,22-23. b Me 9, 32. ' Le 9, 45.


Omelia 58, 1 469

procurato innumerevoli beni. Non sapevano che cosa mai fosse


questa resurrezione, ma lo ignoravano; perciò erano addolorati,
perché erano molto affezionati al Maestro.

L a q u e stio n e d e l tribu to d e l tem pio

Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori dei di­


drammi e dissero: Il vostro Maestro non paga i didrammi? d. Che co­
sa sono questi didrammi? !. Quando Dio uccise i primogeniti de­
gli egiziani, allora prese la tribù di Levi invece di essi2. Poi, dal
momento che il numero di questa tribù era inferiore ai primoge­
niti dei giudei, ordinò che, invece di quelli che mancavano a com­
pletarne il numero, fosse offerto un siclo3; da allora quindi pre­
valse l’usanza che i primogeniti offrissero questo tributo. Poiché
dunque Cristo era primogenito e sembrava che Pietro fosse il pri­
mo dei discepoli, si avvicinano a lu i4. A mio parere, esigevano il
tributo in ogni città; perciò si avvicinarono a lui nella sua patria,
perché Cafarnao era ritenuta la sua patria5. Non osarono avvici­
narsi a lui, ma a Pietro, e nemmeno a questo si avvicinarono con
grande veemenza, ma con maggior moderazione. Non per rim­
proverare, ma per interrogare dicevano: Il vostro Maestro non pa­
ga i didrammi? Non avevano ancora di lui l’opinione che si dove­
va avere, ma lo consideravano come un uomo; gli tributavano pe-

d Mt 17, 24.

1 Questo termine indica la moneta da due dracme, con cui si pagava la


tassa annuale per il tempio di Gerusalemme.
2 Crisostomo allude a Nm 3,41: Prenderai i leviti per me - Io sono il Si­
gnore - invece di tutti i primogeniti degli israeliti.
3 Era originariamente un peso che poi designò un valore monetario. Cri­
sostomo fa riferimento a Nm 3, 46-47, in cui si parla però di cinque sicli a te­
sta, per il riscatto dei suddetti primogeniti, secondo il siclo del santuario.
4 Gli esattori cioè si avvicinano a Pietro.
5 In quanto lì Gesù andò ad abitare: cf. Mt 4, 13.
470 Omelie sul Vangelo di Matteo

rò rispetto e onore per i prodigi precedenti. Che fa allora Pietro?


Sì, dicee; a costoro disse che lo pagava, ma non lo disse a lui, for­
se vergognandosi di parlargli di queste cose. Perciò egli che era
mite e sapeva tutto chiaramente, prevenendolo dice: Che ti pare,
Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse o il tributo? Dai
loro figli o dagli estranei? Alla sua risposta: Dagli estranei, disse:
Quindi i figli sono liberif. Perché Pietro non pensasse che lo dice­
va avendolo udito da quelli, lo previene sia per indicare questo
stesso concetto, sia per infondere fiducia a lui che prima esitava a
parlare di questo argomento. Quello che dice significa: Sono libe­
ro dal pagare il tributo. Se infatti i re della terra non lo riscuotono
dai loro figli, ma dai sudditi, a maggior ragione devo essere esente
da questa richiesta io che sono Figlio non di un re terreno, ma di
quello celeste, e re io stesso.
Vedi come ha distinto i figli e quelli che non lo sono? Se non
fosse stato Figlio, invano avrebbe addotto l’esempio dei re. Sì, si
potrebbe obiettare, era figlio, ma non autentico. Dunque non era
figlio; se non era figlio, non era neppure figlio autentico, né suo fi­
glio, ma estraneo. Se era estraneo, l’esempio non ha la sua effica­
cia. Egli non parla semplicemente dei figli, ma di quelli autentici e
propri, che partecipano al regno con i loro padri. Perciò ha indi­
cato gli estranei per antitesi, chiamando estranei quelli che non so­
no stati generati da essi6, loro figli invece quelli che hanno gene­
rato da sé. Considera anche questo, come rafforzi anche così la co­
noscenza rivelata a Pietro. Non si è fermato qui, ma indica questo
stesso concetto mediante la condiscendenza 7, il che denotava una
grande sapienza. Dopo aver parlato di questo, dice: Ma per non
scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che

e Cf. M tl7,2 5 . f Mt 17, 25-26.

6 Cioè, dai re.


7 Su questo concetto di condiscendenza, variamente articolato dal no­
stro autore, cf. il mio studio Giovanni Crisostomo. Commento alla lettera ai
Galati, cit., pp. 161ss.
Omelia 58, 1-2 471

viene, e vi troverai uno statere. Prendilo e dallo ad essi per me e per


te e. Vedi come non rifiuta l’imposta né ordina di pagarla sempli­
cemente, ma la paga dopo aver prima dimostrato di non esservi te­
nuto, da un lato perché quelli non si scandalizzino, dall’altro per­
ché non si scandalizzino questi8. Non la paga perché era obbliga­
to, ma per correggere la loro debolezza.

G esù rivela l a sua po ten z a divina

2. In altre occasioni certamente non si cura dello scand


quando parlava dei cibi, per insegnarci a conoscere le circostanze
in cui ci si deve preoccupare di coloro che si scandalizzano e in cui
invece non bisogna curarsene. Di nuovo svela se stesso con il mo­
do stesso di pagare. Perché non ordina di pagarlo con ciò che ave­
vano? Per dimostrare, come dicevo, anche in questo di essere Dio
di tutte le cose e di dominare anche il mare. Già lo dimostrò quan­
do lo rimproverò he quando ordinò a questo stesso Pietro di cam­
minare sui flutti dimostra anche ora questo medesimo concetto,
ma in altro modo, causando molto stupore anche così. Non era
poco infatti predire che, da quelle profondità, sarebbe venuto per
primo il pesce che avrebbe pagato il tributo e che Pietro, gettan­
do in quell’abisso il suo comando come fosse una rete 9, avrebbe
tirato su il pesce con lo statere. Ma era proprio di una potenza di­
vina e ineffabile far sì che il mare offrisse doni e mostrasse in ogni
modo la sua sottomissione, sia quando infuriato taceva, sia quan­
do, adirato, accoglieva il compagno di servitù 10, e ancora adesso,
quando paga per lui il tributo a coloro che lo richiedevano.

s Mt 17, 27. h Cf. Mt 8, 26. 1Cf. Mt 14, 29.

8 Perché non si scandalizzino quindi né i discepoli, né gli esattori.


9 Crisostomo si serve di una similitudine quanto mai suggestiva per in­
dicare l’efficacia del comando del Signore.
10 Pietro: cf. Mt 14, 29.
472 Omelie sul "Vangelo di Matteo

L’o n o r e tributato d a C r isto a P ietro

Dallo ad essi, dice, per me e per te. Hai visto l’immensità del­
l’onore? Vedi anche la filosofia dell’animo di Pietro. Marco, suo
discepolo, non appare che abbia scritto questo passo, perché ma­
nifestava un grande onore verso di lui; anche egli però scrisse del
rinnegamento i, mentre passò sotto silenzio ciò che lo rendeva glo­
rioso, forse perché il suo maestro non volle che dicesse grandi co­
se su di lui. Per me e per te, ha detto, perché anche lui era primo­
genito. Come sei rimasto sbalordito davanti alla potenza di Cristo,
così ammira anche la fede del discepolo, perché a tal punto ha da­
to retta ad una cosa che faceva difficoltà. E infatti faceva molta dif­
ficoltà da un punto di vista naturale. Perciò, ricompensandolo per
la sua fede, lo associò a sé nel pagamento del tributo.
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: Chi
dunque è più grande nel regno dei cieli? Quello che provarono i di­
scepoli era qualcosa di umano; perciò l’evangelista lo indica dicen­
do: In quel momento, quando antepose Pietro a tutti. Difatti l’uno o
l’altro tra Giacomo e Giovanni era primogenito n , ma non fece nul­
la di simile per loro. Quindi, vergognandosi di riconoscere quello
che avevano provato, non dicono apertamente: Perché hai antepo­
sto Pietro a noi?, e: E più grande lui di noi?, perché si vergognava­
no; invece chiedono in modo indeterminato: Chi dunque è più gran­
de? Quando videro che erano stati preferiti quei tre12, non prova­
rono nulla di simile, ma quando l’onore ricadde su di uno solo, al­
lora rimasero addolorati. Mettendo insieme non solo questo, ma an­
che molti altri motivi, fomentarono questo loro stato d’animo. A lui

i Cf. Me 14, 68ss. k Mt 18, 1.

11 Crisostomo si riferisce al fatto che, pur essendo uno di loro primoge­


nito, Gesù, come si è visto in precedenza, mediante quell’azione prodigiosa
pagò solo per Pietro il tributo dovuto dai primogeniti.
12 Pietro, Giacomo e Giovanni nell’episodio della trasfigurazione: cf.
Mt 17, 1.
Omelia 58, 2 473

infatti disse: Ti darò le chiavi, e: Beato te, Simone, figlio di Giona ', e
in questa occasione: Dallo ad essi per me e per te. Vedendo ancora la
grande confidenza che aveva con il Signore, rimasero punti sul vivo.
Se Marco dice che non lo interrogarono, ma discutevano fra di lo­
ro m, nemmeno questo è in contrasto con il racconto di Matteo. E
verosimile che essi abbiano fatto questo e quello, che anche prima,
in altra occasione, abbiano avuto questo stato d’animo, una e due
volte, e che allora l’abbiano manifestato e ne abbiano discusso fra di
loro. Ma tu non vedere solo tale motivo di accusa, ma considera an­
che questo, innanzitutto che non cercavano niente delle cose di
quaggiù, poi che in seguito abbandonarono anche questo stato d’a­
nimo e si cedevano reciprocamente il primo posto. Noi però non
possiamo arrivare nemmeno ai loro difetti e non cerchiamo chi sia
più grande nel regno dei cieli, ma chi sia più grande nel regno della
terra, chi sia più ricco, più potente.

I n se g n a m e n t o di umiltà

Che fa dunque Cristo? Svela la loro coscienza e risponde al lo­


ro stato d’animo, non semplicemente alle loro parole. Dice: Chia­
mato a sé un bambino, disse: Se non vi convertirete e non diventerete
come questo bambino, non entrerete nel regno dei cieli*. Voi, vuol di­
re, interrogate chi sia più grande e fate a gara per i primi posti, ma
io dico che chi non diventa più umile di tutti, non è degno di entra­
re là. Giustamente adduce questo esempio, e non solo lo adduce,
ma pone anche in mezzo il bambino, allo scopo, con questa vista, di
farli tornare in sé e di persuaderli ad essere così umili e semplici. Di­
fatti il bambino è esente dall’invidia, dalla vanagloria, dal desiderio
dei primi posti; possiede la virtù più grande, la schiettezza, la sem­
plicità, l’umiltà. In realtà non c’è bisogno solo di fortezza e di sag­
gezza, ma anche di questa virtù, intendo dire l’umiltà e la schiettez­
za. Difatti, se non abbiamo queste, anche in ciò che è più impor-

1Mt 16, 19.17. m Cf. Me 9, 34; Le 9, 46. n Mt 18,2-3.


474 Omelie sul Vangelo di Matteo

tante la nostra salvezza zoppica13. Il bambino, sia che venga insul­


tato, sia che venga percosso o onorato e glorificato, né in un caso si
infastidisce e mostra malanimo, né nell’altro si esalta.
3. Hai visto come ci spinga ancora verso le virtù naturali,
strando che è possibile realizzarle mediante la volontà, e ponga un
freno al perverso furore dei manichei? Se la natura è cattiva, per­
ché trae da essa gli esempi della filosofia? 14. Mi sembra che abbia
posto in mezzo un bambino molto piccolo, esente da tutte queste
passioni, perché un bambino di questo genere è libero da arro­
ganza, dallo smodato desiderio di gloria, da invidia, ambizione e
da ogni passione siffatta, e pur avendo molte virtù, semplicità,
umiltà, noncuranza per le cose del mondo, non si esalta per nien­
te di ciò; è questa una duplice filosofia, avere queste virtù e non
inorgoglirsi per esse. Perciò lo ha fatto venire e lo ha posto in mez­
zo, e non ha concluso qui il discorso, ma spinge più avanti questa
esortazione, dicendo: Chi accoglie un tale bambino in nome mio,
accoglie me°. Non solo, vuol dire, riceverete un grande premio se
diventerete come loro, ma anche se onorate altri come loro a cau­
sa mia, stabilisco per voi come ricompensa il regno per l’onore ri­
volto ad essi. Anzi presenta un bene molto più grande dicendo: ac­
coglie me. Così sono per me assai desiderabili l’umiltà e la sempli­
cità. Chiama qui bambino gli uomini che sono così semplici e umi­
li, disprezzati e tenuti in nessuna considerazione dai più.

LO SCANDALO DELLA TRACOTANZA

Poi, per rendere il discorso più credibile, lo struttura facendo


riferimento non solo all’onore, ma anche alla punizione, aggiun-

° Mt 18,5.

13 Molto frequentemente Crisostomo si serve di efficaci espressioni me­


taforiche come questa per rendere più vivaci le sue esortazioni morali.
14 Vale a dire di quella sapienza esistenziale insegnata da Cristo.
Omelia 58, 2-3 475

gendo e dicendo: Chi scandalizza uno solo di questi piccoli, sarebbe


meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asi­
no e fosse gettato nell’abisso del mare p . Come infatti, vuol dire,
quelli che li onorano a causa mia posseggono il cielo, anzi un ono­
re più grande del regno stesso, così coloro che li disonorano - que­
sto significa scandalizzare - saranno puniti nel modo più severo.
Non meravigliarti se chiama scandalo la tracotanza, perché molti
pusillanimi sono rimasti scandalizzati non poco dal fatto di essere
disprezzati e trattati con insolenza. Per accentuare dunque ed ac­
crescere l’accusa, presenta il danno che ne deriva. E non indica
più il castigo negli stessi termini, ma, in base a ciò che ci è noto,
mostra l'intollerabilità della punizione. Quando infatti vuole so­
prattutto riprendere i più ottusi, adduce esempi sensibili. Perciò
anche in questo caso, volendo mostrare che andranno incontro ad
un grande castigo, e colpire l’arroganza di coloro che li disprezza­
no, ha presentato una punizione sensibile, quella della macina e
dell’affogamento. Certo avrebbe potuto dire, in modo corrispon­
dente all’espressione precedente: Chi non accoglie uno di questi
piccoli, non accoglie me, il che sarebbe stato più duro di ogni pu­
nizione. Ma poiché questo, pur essendo terribile, non colpiva co­
sì quelli che erano assai insensibili ed ottusi, presenta la macina e
l’affogamento. E non ha detto che gli sarebbe stata appesa una
macina al collo, ma: sarebbe meglio per lui subire questo, mo­
strando che lo attende un altro male peggiore di questo; se questo
è intollerabile, a maggior ragione quello. Hai visto come, sotto en­
trambi gli aspetti, ha reso temibile la minaccia, da un lato renden­
dola più chiara con il paragone con un esempio noto, dall’altro,
per la superiorità che ne deriva, facendola immaginare molto
maggiore di quella visibile? Hai visto come ha strappato fin dalle
radici la boria dell’arroganza? Come ha curato la piaga della va­
nagloria? Come ha insegnato a non amare affatto i primi posti?
Come ha persuaso coloro che desiderano i primi posti a cercare
sempre l’ultimo?

p Mt 18,6.
476 Omelie sul Vangelo di Matteo

Non c’è niente di peggio dell’arroganza: questa fa uscire dal


senno che si ha secondo natura e vi sovrappone una fama di paz­
zi, anzi rende assai insensati. Come se uno, della statura di tre cu­
biti 15, si sforzasse di essere più alto dei monti, oppure lo credesse
e si estendesse per superare le loro cime, non cercheremo nessu-
n’altra prova della sua stoltezza; così quando vedi un uomo fuori
di sé, che ritiene di essere migliore di tutti e reputa un oltraggio il
vivere in mezzo alla gente, non cercare di vedere altra prova della
sua follia. Costui è molto più ridicolo dei pazzi per natura, in
quanto procura volontariamente questa infermità. Non solo è
sventurato da questo punto di vista, ma anche perché precipita in­
sensibilmente nello stesso abisso della malvagità. Quando infatti
una persona del genere riconoscerà il suo peccato come si convie­
ne? Quando si accorgerà della sua colpa? Il diavolo lo prende co­
me uno schiavo malvagio e prigioniero e se ne va e lo conduce e lo
porta via, sferzandolo da ogni parte e coprendolo di innumerevo­
li ingiurie. Li spinge poi ad una così grande follia da persuaderli
ad insuperbire contro i figli, la moglie e i propri antenati. Altri al
contrario li fa inorgoglire per la celebrità degli antenati; che ci po­
trebbe essere di più insensato, dal momento che si infiammano
ugualmente per opposti motivi, gli uni perché hanno avuto padri,
nonni e bisnonni di poco conto16, gli altri perché li hanno avuti ce­
lebri e illustri? Come si potrebbe dunque diminuire l’ardore degli
uni e degli altri? Dicendo a quelli: Risali più in là degli avi e dei bi­
savoli e forse troverai molti cuochi, asinai, bottegai; dicendo a que­
sti, che si inorgogliscono per la pochezza degli antenati, il contra­
rio: Se ti spingi oltre gli antenati, vedrai che molti sono molto più
illustri di te.

15 Circa 135 centimetri.


16 E quindi proprio per questo vanno superbi per la posizione elevata
raggiunta.
Omelia 58, 3-4 477

N o n c ’è m o tiv o d i vantarsi p er g l i a n tena ti

4. Ebbene, vi dimostrerò in base alle Scritture che questo


corso della natura. Salomone era figlio di re e di un re insigne, ma
il padre di questo veniva da gente di poco conto e oscura e ugual­
mente l’avo da parte materna, perché altrimenti non avrebbe dato
sua figlia ad un semplice soldato17. Ma se d’altra parte risali più su
a partire da questi oscuri personaggi, vedrai una stirpe più illustre
e regale. Così si potrebbe trovare che questa situazione si verifica
nel caso di Saul e di molti altri. Non vantiamoci quindi per gli an­
tenati. Dimmi: che cosa è la stirpe? Nulla se non soltanto un no­
me privo di consistenza, e lo saprete in quel giorno18. Poiché quel
giorno non è ancora venuto, ebbene vi persuaderemo, in base alla
realtà presente, che sotto questo aspetto non c’è alcuna superiori­
tà. Difatti sia che sopraggiunga una guerra o ima carestia o qual­
siasi altra cosa, tutto ciò vanifica l’alterigia della nobiltà di nascita;
sia che arrivi una malattia o una pestilenza, non sa distinguere il
ricco e il povero, chi è celebre e chi non lo è, il nobile e chi non è
così, e nemmeno la morte né gli altri mutamenti delle cose, ma tut­
to ugualmente si leva contro tutti, e, se si deve dire qualche cosa
di singolare, maggiormente nei confronti dei ricchi, perché quan­
to più sono impreparati davanti a queste situazioni, tanto più, se
sono sorpresi da esse, periscono. Maggiore è la paura nei ricchi,
perché costoro temono soprattutto i governanti e il popolo non
meno dei governanti, anzi molto di più, in quanto molte case di
questo genere 19 sono state abbattute ugualmente dall’ira del po­
polo e dalla minaccia dei governanti. Il povero invece è libero da
entrambi questi marosi. Sicché, lasciando stare questa nobiltà di
nascita, se vuoi dimostrarmi di essere nobile, indica la libertà del­
l’anima come aveva quel beato che, pur essendo povero 20, diceva

17 Vale a dire lesse: cf. 1 Sam 16, 1.


18 Nei giorno del giudizio.
19 Dei ricchi.
20 Giovanni Battista.
478 Omelie sul Vangelo di Matteo

ad Erode: Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello Filippo 9;


come aveva colui che era così prima di quello e che così sarà dopo
di lui21 e che diceva ad Acab: Io non rovino Israele, ma tu e la ca­
sa di tuo padre r; come avevano i profeti e tutti gli apostoli.

G l i a ffa nn i d e l l e ricch ezze e d e l po ter e

Non sono così però le anime di coloro che sono schiavi della
ricchezza, ma, come coloro che sono sotto innumerevoli pedago­
ghi e carnefici, così non osano nemmeno sollevare lo sguardo e
parlare liberamente in favore della virtù. Difatti l’amore delle ric­
chezze, della gloria e delle altre cose, guardandoli in modo spa­
ventoso, li rende servili e adulatori22. Nulla distrugge la libertà co­
sì come essere invischiati nelle cose terrene e essere circondati da
ciò che sembra splendido. Una persona di questo genere non ha
uno, due, tre padroni, ma innumerevoli. Se volete contarli, intro­
duciamo uno di quelli che nella reggia sono onorati e immaginia­
mo che abbia moltissime ricchezze, grande potere, una patria illu­
stre, antenati famosi e sia ammirato da tutti. Vediamo dunque se
costui non è più servile di tutti, e contrapponiamogli non sempli­
cemente uno schiavo, ma uno schiavo di uno schiavo, perché an­
che molti domestici hanno degli schiavi. Quindi questo schiavo
dello schiavo ha un solo padrone. Che importa che questi non è li­
bero? Ma è uno solo, e bada a ciò che piace soltanto a quello. An­
che se infatti il padrone di questo sembra aver potere su di lui, in­
tanto però obbedisce ad uno solo, e se i rapporti con lui gli vanno
bene, se ne starà al sicuro per tutta la vita. Costui invece non ha
soltanto uno o due padroni, ma molti e più duri. Innanzitutto si dà
pensiero del re stesso. Non è la stessa cosa avere per padrone uno

q Me 6,18. Γ 1 Re 18, 18.

21 Elia.
22 D riferimento è a coloro che sono schiavi delle ricchezze.
Omelia 58, 4-5 479

di poco conto e il re che ha le orecchie assordate da molti ed è ora


di questi, ora di quelli. Costui, anche se non ha nulla sulla co­
scienza, sospetta tutti, quelli che militano insieme a lui, quelli che
gli sono sottoposti, gli amici, i nemici. Ma anche questo23, si po­
trebbe obiettare, ha il padrone. Ed è forse la stessa cosa avere uno
solo o molti che incutono timore? Anzi, se si esamina con atten­
zione, si scoprirà che non ne ha nemmeno uno solo. Come e in che
modo? Quello non ha nessuno che desideri escluderlo da questa
servitù e inserire se stesso, per cui non ha in questo chi trami insi­
die contro di lui. Costoro invece non pensano ad altro se non a
scalzare chi è più onorato e maggiormente benvoluto da chi ha il
potere. Perciò devono adulare tutti: quelli che sono superiori,
quelli che hanno il medesimo grado, gli amici. Dove infatti ci so­
no invidia e amore per la gloria, non ha forza l’amicizia sincera.
Come quelli che esercitano lo stesso mestiere non potrebbero
amarsi reciprocamente in modo genuino e autentico, così anche
quelli che sono di pari grado e amano le stesse cose nell’ambito
delle realtà temporali. Di qui nasce una grande conflittualità in­
terna. Vedi che folla di padroni e di padroni duri? Vuoi che mo­
stri un’altra cosa più grave di questa? Tutti quelli che stanno die­
tro di lui si sforzano di essere davanti a lui e quelli che stanno da­
vanti a lui si sforzano di impedirgli di stare vicino e di superarli.
5. Ma che prodigio! Io avevo promesso di mostrare dei
droni, mentre il nostro discorso, andando avanti e lottando, ha fat­
to più di quanto promesso, mostrando nemici invece di padroni,
anzi nemici e padroni allo stesso tempo. Sono ossequiati infatti co­
me padroni, sono temibili come nemici e tramano insidie come av­
versari. Quando uno dunque ha gli stessi come padroni e nemici,
che cosa ci potrebbe essere di peggio di questa disgrazia? Lo
schiavo, anche se riceve ordini, tuttavia però usufruisce della sol­
lecitudine e della benevolenza da parte di quelli che lo comanda­
no; costoro invece ricevono ordini e sono combattuti e stanno gli
uni contro gli altri. Lo scontro è tanto più aspro di quello che av-

23 Lo schiavo che ha un solo padrone.


480 Omelie sul Vangelo di Matteo

viene nelle battaglie, in quanto feriscono di nascosto e, sotto l’ap­


parenza di amici, si comportano da nemici e spesso acquistano
onore in virtù della disgrazia altrui. Ma il nostro atteggiamento
non è questo; se uno è infelice, molti soffrono con lui, e se è ono­
rato, molti si rallegrano con lui. Non è quello 24 l’atteggiamento
dell’Apostolo, perché dice: Se un membro soffre, soffrono insieme
tutte le membra; se un membro è onorato, gioiscono con lui tutte le
membras. E ora diceva, egli che esortava così: Chi se non voi è la
mia speranza, la mia gioia? ora poi: Ora viviamo, se voi rimanete
nel Signore u; ora: Vi ho scritto in un momento di grande afflizione
e col cuore angosciato^, e: Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi
riceve scandalo, che io non ne frema?'3'.

V an ità e p e r ic o lo sità d e l l a g lo ria terren a

Perché dunque subiamo ancora la tempesta e i marosi di que­


sto mondo e non corriamo a questo porto tranquillo e, lasciando
stare quelli che sono beni di nome, andiamo verso la sostanza stes­
sa delle cose? La gloria, il potere, la ricchezza, l’onore e tutto ciò
che è simile, sono nomi per essi25, per noi invece cose, come ciò
che è triste, la morte, il disonore, la povertà e simili, sono nomi per
noi e cose per loro 26. Se vuoi, presentiamo innanzitutto la gloria
che per tutti loro è amabile e desiderabile. Non dico che è di bre­
ve durata né che si estingue rapidamente; mostramela invece

s 1 Cor 12, 26. 1 1 Ts 2, 19. u 1 Ts 3, 8. v 2 Cor 2, 4.


w 2 Cor 11,29.

24 L’atteggiamento descritto in precedenza e improntato a servilismo e


paura.
25 Per quelli che sono invischiati nelle cose terrene.
26 Cf. la nota precedente. Crisostomo vuole mettere in luce che chi non
si lascia attrarre dalle realtà materiali e transeunti mira alla sostanza vera del­
le cose e non alla loro apparenza.
Omelia 58, 5 481

quando è all’apice. Non toglierle i cosmetici e i belletti da prosti­


tuta, ma conducila in mezzo imbellettata e mostracela, perché al­
lora smascheri la sua deformità. Parlerai senz’altro dell’aspetto
esteriore, della moltitudine dei littori, della voce dell’araldo, della
sottomissione delle popolazioni, del silenzio della massa, del fatto
che tutti quelli che gli vanno incontro 27 vengono colpiti28 e che è
guardato con ammirazione da tutti. Non sono queste le cose splen­
dide? Ebbene, esaminiamo se ciò non sia superfluo e soltanto una
vana opinione. Con queste cose in che diventa migliore riguardo
sia al corpo, sia all’anima? Questo è l’uomo 29. Sarà quindi più al­
to, più forte, più sano, più veloce o avrà sensazioni più acute e pe­
netranti? Ma nessuno lo potrebbe dire. Andiamo all’anima, per
vedere se troveremo lì qualche vantaggio che derivi da quelle co­
se. E allora? Un tale individuo sarà più temperante, più moderato,
più assennato a causa di questa ossequiosa attenzione? Per niente
affatto, anzi tutto il contrario, perché ciò che accade per il corpo,
non si verifica anche nel caso dell’anima. Il corpo infatti non ac­
quista nulla per la propria prosperità, mentre nel caso dell’anima
l’aspetto negativo non consiste solo nel fatto che non ne ricava
niente di buono, ma che riceve anche un grande male, perché da
questa sua condizione è trascinata all’arroganza, alla vanagloria, al­
l’insensatezza, all’ira e a innumerevoli difetti di tal genere. Ma, si
potrebbe obiettare, gioisce, esulta per questi onori e se ne rallegra.
Mi hai parlato del culmine dei mali e dell’incurabilità di questo
morbo, perché chi gioisce per queste cose, non potrebbe voler fa­
cilmente liberarsi da quella che è la base dei mali, ma, con tale pia­
cere, si preclude, come con un muro, la via della guarigione. Sic­
ché il male consiste soprattutto nel fatto che non si addolora, ma
anzi gioisce delle malattie che crescono in lui. Non sempre è bene
gioire, perché anche i ladri gioiscono nel rubare, l’adultero nel
corrompere il matrimonio del prossimo, l’avido nelle sue rapine e

27 II riferimento è all’uomo potente.


28 Perché si accalcano per andare incontro a quest’uomo.
29 L’uomo cioè che nella sua essenza è composto di anima e di corpo.
482 Omelie sul Vangelo di Matteo

l’omicida nell’uccidere. Non stiamo a vedere dunque se gioisce,


ma se lo fa per una cosa utile, ed esaminiamo se troveremo una
gioia come quella dell’adultero e del ladro. Perché, dimmi, gioi­
sce? Per la gloria da parte della gente e perché può inorgoglirsi ed
essere guardato con ammirazione? E che ci potrebbe essere di più
malvagio di questo desiderio e di questo amore assurdo? Se non è
una cosa malvagia, smettete di deridere i vanagloriosi e di rico­
prirli del vostro scherno; smettete di imprecare contro gli arro­
ganti e i superbi. Ma non lo accettereste. Dunque sono degni di es­
sere biasimati immensamente, anche se hanno innumerevoli litto­
ri. E questo ho detto riguardo a quei magistrati che sono più tol­
lerabili, in quanto troveremo che la maggior parte di essi ha pec­
cati maggiori dei briganti, degli omicidi, degli adulteri, dei viola­
tori di tombe perché non usano bene il loro potere. Infatti rubano
in modo più impudente di quelli, uccidono in modo più sfronta­
to, si comportano con insolenza in modo molto più iniquo e di­
struggono non un muro, ma sostanze e case innumerevoli, con
grande facilità in virtù della loro autorità. Sono schiavi di una du­
rissima servitù, in quanto si assoggettano ignobilmente alle passio­
ni e hanno paura di tutti i loro complici. Solo è libero, solo è so­
vrano e più regale dei re colui che è libero dalle passioni.
Sapendo dunque ciò, cerchiamo la vera libertà e liberiamoci
dalla perversa schiavitù; non pensiamo che possano essere ritenu­
te felici né l’alterigia del potere, né la tirannia della ricchezza, né
nient’altro di simile, ma solo la virtù. Così godremo della sicurez­
za quaggiù e otterremo i beni futuri, per la grazia e la bontà di no­
stro Signore Gesù Cristo, a cui siano la gloria e la potenza insieme
al Padre ed allo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.
OMELIA 59

Guai al mondo per gli scandali! È necessario che avvengano gli scan­
dali, ma guai all’uomo per mezzo del quale avvengono gli scandalia.

L a terapia adottata d a C risto

1. Se è necessario che avvengano gli scandali, potrebbe f


dire qualcuno degli avversari, perché chiama sciagurato il mondo,
mentre bisognerebbe venirgli in soccorso e tendere la mano? Que­
sto è infatti l’atteggiamento di un medico e di un difensore, men­
tre quell’altro è il comportamento di una persona qualsiasi. Che
cosa potremmo replicare ad una lingua così impudente? E che po­
tresti cercare che sia pari a questa terapia? Difatti, pur essendo
Dio, si è fatto uomo per te, ha assunto la condizione di servo b, ha
subito tutti i più grandi supplizi e non ha tralasciato nulla di quan­
to lo riguardava. Ma poiché quegli ingrati non ne hanno tratto al­
cun vantaggio, per questo li chiama sciagurati, perché, dopo tanta
sollecitudine, sono rimasti nella loro infermità. Come se uno com­
piangesse il malato che è oggetto di molte cure e non vuole sotto­
stare alle prescrizioni dei medici, e dicesse: Guai a quell’uomo, per
la sua infermità, che ha aumentato con la sua negligenza!
Ma in questo caso non deriva nessun vantaggio dal lamento,
mentre nell’altro questo è il genere della cura, predire quanto av­
verrà e commiserare. Spesso infatti molti non hanno ricevuto al­
cun vantaggio dai consigli, mentre sono stati risollevati dalla com-

a Mt 18, 7. b Cf. Fil 2, 7.


484 Omelie sul Vangelo di Matteo

miserazione. Per questo soprattutto ha usato il termine: Guai!, per


stimolarli, per renderli combattivi e farli svegliare. Oltre a ciò mo­
stra la sua benevolenza verso quegli stessi e la sua mitezza, perché
compiange i suoi contraddittori, non solo mostrandosi sdegnato,
ma correggendoli anche con il compianto e la predizione in modo
da recuperarli. Ma, si potrebbe replicare, come è possibile? Se in­
fatti è necessario che avvengano gli scandali, come si possono evi­
tare? Perché è necessario che avvengano gli scandali, ma non è af­
fatto necessario perdersi. Come se un medico dicesse - nulla vieta
che ci si serva ancora dello stesso esempio -: è inevitabile che ven­
ga questa malattia, ma non è affatto inevitabile che si muoia a cau­
sa sua se si fa attenzione. Come ho detto, faceva queste afferma­
zioni, insieme ad altri motivi, anche per svegliare i discepoli. Per­
ché non rimanessero inerti, come se fossero inviati alla pace e ad
una vita senza turbamenti, mostra loro molte guerre imminenti,
esterne e interne. Lo indicava Paolo dicendo: Battaglie all’esterno,
timori all’interno c, e: Pericoli da parte di falsi fratelli d, e parlando
ai milesii1diceva: Sorgeranno alcuni fra di voi a insegnare dottrine
perversee. E Cristo stesso diceva: Nemici dell’uomo saranno quelli
della sua casa2.

La pr ed izio n e d e g l i sca n d a li n o n elim in a il liber o arbitrio

Quando parla di necessità, non lo dice per eliminare l’autono­


mia della volontà né la libertà di scelta, né per assoggettare la vita
alla necessità degli eventi, ma predice quello che avverrà certamen­
te; lo ha indicato Luca con un’altra espressione, dicendo così: È
inevitabile che avvengano gli scandalif. Che cosa sono gli scandali?

c 2 Cor 7,5. d 2 Cor 11, 26. e At20,30. f L c l7 , 1.

1 Si tratta degli anziani di Efeso, convocati da Paolo a Mileto: cf. At 20,17.


2 Citazione di Mie 7, 6 in Mt 10, 36.
Omelia 59, 1 485

Gli ostacoli che si pongono sulla retta via. Quelli che sono sulla sce­
na chiamano così coloro che sono abili a contorcere il corpo3. Non
è dunque la predizione a portare gli scandali, non sia mai!; né av­
vengono perché li ha predetti, ma poiché senz’altro ci saranno, li ha
predetti4. Sicché se coloro che li causano non volessero operare il
male, non accadrebbero, e se non accadessero, nemmeno sarebbe­
ro stati predetti. Ma poiché si sono comportati male e si sono am­
malati di un male incurabile, sono avvenuti, e predice ciò che sa­
rebbe accaduto. Se si fossero corretti, si potrebbe obiettare, e nes­
suno avesse introdotto gli scandali, questo discorso non sarebbe
stato tacciato di falsità? Per niente affatto, perché in questo caso
non sarebbe stato pronunciato. Difatti se tutti avessero avuto l’in­
tenzione di correggersi, non avrebbe detto: È necessario che avven­
gano·, ma poiché sapeva in anticipo che sarebbero stati incorreggi­
bili per loro propria volontà, per questo ha detto che si sarebbero
verificati senz’altro. E perché, si potrebbe replicare, non li ha eli­
minati? Perché avrebbero dovuto essere eliminati? Per quelli che
ne sono danneggiati? Essi però non si perdono perché ne sono
danneggiati, ma per la propria negligenza. Lo dimostrano i virtuo­
si che non solo non ne ricevono alcun danno, ma ne ricavano an­
che i più grandi vantaggi; così era Giobbe, così Giuseppe5, così tut­
ti i giusti e gli apostoli. Se molti si perdono, lo devono alla loro in­
dolenza 6. Se non fosse così, ma la rovina dipendesse dagli scanda­
li, tutti dovrebbero perdersi. Ma se ci sono quelli che lo evitano, chi
non lo evita lo imputi a se stesso. Gli scandali, come ho detto, sti­
molano, rendono più sagaci e affinano non solo chi sta in guardia,
ma anche chi vi incappa e rapidamente si risolleva, perché gli dan­
no più sicurezza e lo rendono meno vulnerabile. Sicché se vigilia­
mo, non ne ricaviamo un piccolo vantaggio: essere continuamente
svegli. Se dormiamo quando ci sono nemici e incombono tante ten­

3 Vale a dire gli acrobati.


4 Crisostomo vuole sottolineare che la predizione non determina il ma­
le, che quindi deriva dal libero arbitrio dell’uomo.
5 Per le vicende relative a Giuseppe, figlio di Giacobbe, cf. Gn 37, 4ss.
6 Crisostomo ribadisce ancora la responsabilità morale dell’uomo.
486 Omelie sul Vangelo di Matteo

tazioni, come saremmo se vivessimo in ima situazione di sicurezza?


Se vuoi, considera il primo uomo. Se, vivendo nel paradiso per po­
co tempo, forse neppure un giorno intero, e godendo delle sue de­
lizie, arrivò a tale punto di malvagità da immaginare di divenire
come Dio, considerare l’ingannatore come un benefattore e non os­
servare nemmeno un solo precetto7, se avesse vissuto il resto della
vita senza fatiche, che cosa non avrebbe fatto?

Il p e c c a t o n o n r ig u a r d a l a n a t u r a , m a l a l ib e r a v o l o n t à

2. Ma quando diciamo questo, oppongono di nuovo altre o


zioni, chiedendo: «Perché Dio lo ha fatto così?» 8. Non è stato Dio
a farlo così, non sia mai!, perché altrimenti non l’avrebbe neppure
punito. Se infatti noi non imputiamo ai servitori ciò in cui siamo
colpevoli, a maggior ragione il Dio di tutte le cose. Ma, si potrebbe
replicare, da dove è derivata questa situazione? Da se stessi e dalla
propria negligenza. Che significa: da se stessi? Interroga te stesso. Se
i malvagi non sono malvagi volontariamente, non punire il servo,
non rimproverare la moglie in ciò in cui pecca, non battere il figlio,
non accusare l’amico, non detestare il nemico che ti maltratta, per­
ché tutti costoro sono degni di essere commiserati, non puniti se
non cadono nella colpa di loro iniziativa. Ma, si potrebbe obiettare,
non posso filosofare. Eppure, quando sei consapevole che non è lo­
ro la colpa, ma di un’altra necessità, puoi filosofare. Quando un ser­
vitore non fa quanto è stato ordinato perché assalito da ima malat­
tia, non solo non lo rimproveri, ma anzi lo perdoni. Così tu sei te­
stimone che una cosa dipende da lui, un’altra no. Sicché, anche in
questo caso, se sapessi che era malvagio perché è nato così, non so­
lo non lo accuseresti, ma lo perdoneresti anche. Certamente non lo
perdoni a causa della malattia, mentre non lo perdoneresti a motivo

7 Quello di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del


male: cf. Gn 2, 17.
8 Cioè peccatore.
Omelia 59, 1-2 487

della creazione di Dio, se fosse nato così fin dal principio 9. Anche
sotto un altro aspetto è facile chiudere la bocca a siffatti individui,
perché grande è la superiorità della verità. Perché non hai mai in­
colpato un servo di non essere bello di aspetto, di non avere il cor­
po di notevole statura, di non essere alato? Perché queste preroga­
tive dipendono dalla natura. Dunque è esente dalle accuse che ri­
guardano la natura e nessuno potrà controbattere. Quando perciò
accusi, dimostri che il peccato non riguarda la natura, ma la libera
volontà. Se infatti riguardo a ciò che non imputiamo a colpa, atte­
stiamo che tutto dipende dalla natura, è evidente che per quanto
concerne ciò che rimproveriamo, indichiamo che la colpa dipende
dalla volontà. Non accamparmi dunque ragionamenti perversi né
sofismi e raggiri più inconsistenti di ragnatele, ma rispondimi a tua
volta a questo: Dio ha fatto tutti gli uomini? E evidente a tutti. Per­
ché allora non sono tutti uguali riguardo alla virtù e alla malvagità?
Da dove vengono i buoni, gli onesti, i giusti? Da dove vengono i cat­
tivi e i malvagi? Se in ciò non occorre la volontà, ma questo dipen­
de dalla natura, perché gli uni sono in un modo e gli altri in un al­
tro? Se tutti fossero cattivi per natura, nessuno potrebbe essere buo­
no, e se tutti fossero buoni per natura, nessuno potrebbe essere cat­
tivo. Se una sola è la natura di tutti gli uomini, dovrebbero essere
tutti una sola cosa in questo, sia che fossero destinati ad essere buo­
ni o cattivi. Se dicessimo che per natura gli uni sono buoni, gli altri
cattivi, il che non sarebbe ragionevole, come abbiamo dimostrato,
questa condizione dovrebbe essere immutabile 10, perché immuta­
bile è ciò che appartiene alla natura. Osserva: tutti sono mortali e
passibili, nessuno è impassibile, per quanti sforzi faccia. Ora vedia­
mo che molti diventano cattivi da buoni e buoni da cattivi, gli uni
per negligenza, gli altri per il loro impegno e questo soprattutto di­
mostra che tale situazione non dipende dalla natura. Le cose che

9 Nel senso che un individuo siffatto dovrebbe essere comunque per­


donato sia nel caso che si comporti male a causa di una malattia, sia che il suo
comportamento fosse determinato dal fatto di essere stato creato così.
10 Crisostomo allude qui alla dottrina manichea.
488 Omelie sul Vangelo di Matteo

concernono la natura non mutano né hanno bisogno di sforzi per


realizzarsi. Come infatti non abbiamo bisogno di affaticarci per ve­
dere ed ascoltare, così nemmeno nella virtù avremmo bisogno di fa­
tica, se fosse stata assegnata in sorte alla natura stessa. Perché li
avrebbe fatti cattivi, pur potendo farli tutti buoni? Da dove vengo­
no dunque i mali? u , si potrebbe replicare. Interroga te stesso, per­
ché mio compito è dimostrare che non dipendono dalla natura, né
provengono da Dio. Dunque, si potrebbe obiettare, vengono da sé?
Per niente affatto. Sono ingenerati? O uomo, taci e rifuggi da que­
sta follia 12, onorando Dio e i mali con il medesimo onore e con l’o­
nore più alto. Se fossero ingenerati, sarebbero potenti e non po­
trebbero essere distrutti né ridotti al nulla. E evidente a tutti infatti
che ciò che è ingenerato è indistruttibile.

C ontro l a d o t t r in a m a n ic h e a : i l m a l e n o n è in g e n e r a t o

3. Da dove vengono tanti buoni, se il male ha una forza


grande? Come coloro che sono generati potrebbero essere più for­
ti di ciò che è ingenerato? Ma, si potrebbe replicare, Dio lo di­
struggerà. Quando? Come distruggerà ciò che ha lo stesso onore,
10 stesso potere e, si potrebbe dire, la stessa età? Oh, la malvagità
del diavolo! Che grande male ha escogitato! Che bestemmia ha
persuaso a gettare attorno a Dio! Con che apparenza di pietà ha
ideato un’altra dottrina blasfema! Volendo infatti mostrare che il
male non viene da Dio, hanno introdotto13 un’altra teoria perver­
sa, dicendo che è ingenerato. Da dove dunque, si potrebbe repli­
care, derivano i mali? Dal volere e dal non volere. E da dove deri­
vano lo stesso volere e non volere? Da noi stessi. Con le tue do­
mande fai come se chiedessi: Da dove derivano il vedere e il non

11 Questo problema viene affrontato da Crisostomo in chiave antimani­


chea, nella prospettiva della libera scelta tra bene e male da parte dell’uomo.
12 La follia di considerare il male come un principio coeterno a Dio: cf.
11mio studio Giovanni Crisostomo. Commento alla lettera ai Galati, cit., p. 38.
13 I manichei.
Omelia 59, 2-3 489

vedere? Poi, alla mia risposta: Dal chiudere e non chiudere gli oc­
chi, di nuovo domanderesti: Lo stesso chiudere e non chiudere gli
occhi da dove deriva? Quindi, sentendo che deriva da noi stessi e
dalla volontà, cercheresti ancora un’altra motivazione. Il male non
è nient’altro se non disobbedire a Dio. E, si potrebbe dire, come
l’ha scoperto l’uomo? Era difficile scoprirlo, dimmi? Non dico che
era difficile, ma da dove è derivata la volontà di disobbedire? Dal­
la negligenza. Avendo infatti in suo potere di comportarsi in en­
trambi i modi, si è rivolto maggiormente verso la disobbedienza.
Se sei ancora in difficoltà e ti senti turbato nell’ascoltare ciò, non
ti chiederò niente di difficile né di complicato, ma una cosa sem­
plice e chiara. Sei mai stato cattivo, sei mai stato anche buono?
Quello che dico significa: Hai mai vinto una passione e di nuovo
ne sei stato conquistato? Sei caduto nell’ubriachezza e l’hai supe­
rata? Ti sei mai adirato e poi non ti sei adirato? Hai disprezzato il
povero e poi non l’hai disprezzato? Hai mai fornicato e al contra­
rio sei stato temperante? Da dove, dimmi, deriva dunque tutto
questo? Da dove? Se non lo dici, lo dirò io. Difatti in un caso ti sei
impegnato e sforzato, mentre successivamente ti sei lasciato anda­
re e sei stato negligente. A coloro che disperano e sono totalmen­
te nell’iniquità, sono insensibili e fuori di sé e non vogliono nep­
pure ascoltare quanto li corregge, non parlerò di filosofia; a colo­
ro invece che si trovano ora in una condizione, ora in un’altra di­
rò volentieri: Ti sei impadronito una volta di ciò che non ti appar­
teneva e successivamente, mosso a compassione, hai fatto parte
con l’indigente anche del tuo. Da dove viene questo cambiamen­
to? Non è evidente che deriva dalla tua determinazione e dalla tua
libera volontà? E evidente e non c’è chi non potrebbe dirlo.

I MALI PROVENGONO DALLA NEGLIGENZA

Perciò esorto ad impegnarvi e ad abbracciare la virtù, e non


avrete alcuna necessità di tali questioni. Infatti, se vogliamo, i mali
sono soltanto dei nomi. Non cercare quindi da dove vengono i ma­
li e non essere nel dubbio, ma, dopo aver trovato che provengono
490 Omelie sul Vangelo di Matteo

solo dalla negligenza, fuggili. E se qualcuno dice che essi non deri­
vano da noi, quando vedi che si adira con un servitore, è irritato con
la moglie, rimprovera il figlio e condanna coloro che commettono
iniquità, digli: «Perché dicevi che i mali non provengono da noi? Se
non provengono da noi, perché rimproveri?». Di’ ancora: «Di tua
iniziativa insulti e oltraggi? Se non è di tua iniziativa, nessuno si adi­
ri con te, ma se è di tua iniziativa, i mali provengono da te e dalla tua
negligenza». E dunque? Pensi che alcuni siano buoni? Se nessuno è
buono, da dove viene questo nome? Da dove gli elogi? Se ci sono
dei buoni, è evidente che anche biasimeranno i malvagi. Ma se nes­
suno è cattivo volontariamente e ciò non dipende da lui, si troverà
che ingiustamente i buoni rimproverano i cattivi e di conseguenza
saranno a loro volta cattivi, perché che ci potrebbe essere di peg­
giore di sottoporre ad accuse l’innocente? Ma se per noi restano
buoni anche rimproverando, e questa è soprattutto prova della loro
bontà anche per quelli che sono assai insensati, da ciò è evidente che
nessuno è mai cattivo per necessità.
Se dopo tutto ciò cerchi da dove provengono i mali, potrei di­
re che derivano dalla negligenza, dall’indolenza, dal frequentare i
cattivi, dal disprezzare la virtù; da qui derivano i mali e il fatto che
alcuni cercano da dove provengono i mali. Sicché nessuno di co­
loro che si comportano rettamente, che scelgono di vivere con
moderazione e temperanza fa queste ricerche, ma quelli che osano
compiere malvagità e vogliono immaginare una qualche rassicura­
zione insensata mediante questi ragionamenti, tessono tele di ra­
gni. Noi però spezziamole non solo con le parole, ma anche con le
opere. Queste azioni non provengono dalla necessità, perché se
provenissero dalla necessità, non avrebbe detto: Guai all’uomo per
mezzo del quale avviene lo scandalo. Chiama sventurati solo quelli
che sono malvagi per libera scelta. Se dice: per mezzo del quale 14,
non meravigliarti, perché non lo dice come se un altro introduces-

14 Ho lasciato nella traduzione «per mezzo del quale» e non «per colpa
del quale» (Mt 18, 7), perché si comprenda il discorso del nostro autore, te­
so a dimostrare la responsabilità morale dell’uomo.
Omelia 59, 3-4 491

se lo scandalo per mezzo di lui, ma nel senso che è lui a compiere


tutto. La Scrittura infatti è solita usare l’espressione: per mezzo del
quale, come equivalente a: dal quale, come quando dice: Ho ac­
quistato un uomo per mezzo di Dio s, indicando non la causa se­
conda, ma la prima. E ancora: La loro interpretazione non è per
mezzo di Dio? h, e: Fedele è Dio, per mezzo del quale siete stati chia­
mati alla comunione del Figlio suo ‘.

E l im in a r e l e o c c a s io n i d i s c a n d a l o

4. E per sapere che lo scandalo non deriva dalla neces


ascolta anche quanto segue. Dopo averli chiamati sventurati, dice:
Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, tagliali e get­
tali via da te. E bene per te entrare nella vita monco o zoppo, piut­
tosto che avere due mani e due piedi ed essere gettato nel fuoco. E
se il tuo occhio destro ti scandalizza, cavalo. E bene per te entrare
nella vita con un occhio solo, piuttosto che avere due occhi ed essere
gettato nella fornace del fuocoi Non lo dice riferendosi alle mem­
bra, non sia mai!, ma agli amici, ai congiunti che abbiamo come
membra necessarie. Dice anche ora quello che aveva detto più so­
pra k. Infatti nulla è così dannoso come una cattiva compagnia.
Quanto non può ottenere la costrizione, spesso lo può l’amicizia
sia nel danneggiare, sia nell’essere di utilità. Perciò con grande in­
tensità ordina di estirpare coloro che ci danneggiano, alludendo a
questi che procurano gli scandali. Hai visto come ha arrestato il
danno che sarebbe venuto dagli scandali? Con il predire che ci sa­
ranno senz’altro, in modo che non trovino nessuno negligente, ma
che si vigili nella loro attesa; con il mostrare che grandi sono i ma­
li, perché non diceva semplicemente: Guai al mondo per gli scan­
dali!, ma indicava che grande era la rovina che ne derivava; anco­
ra con il chiamare sventurato maggiormente chi li introduce. Dire:

e Gn 4, 1. h Gn 40, 8. > 1 Cor 1, 9. i Mt 18, 8-9.


k Cf. Mt 5, 29-30.
492 Omelie sul Vangelo di Matteo

Ma guai a quell’uomo, indicava un grande castigo, e non solo que­


sto, ma ha anche aumentato il timore aggiungendo l’esempio 15.
Poi non si limita a queste considerazioni, ma mostra anche la via,
per mezzo della quale si possono fuggire gli scandali. Qual è?
Escludi, vuol dire, dalla tua amicizia i cattivi, anche se ti sono mol­
to cari. Fa un ragionamento inoppugnabile. Se infatti rimangono
amici, non li guadagnerai e invece perderai te stesso, mentre se li
elimini, conseguirai almeno la tua salvezza, sicché se l’amicizia di
qualcuno ti danneggia, estirpala da te. Se spesso amputiamo mol­
te nostre membra, quando sono incurabili e danneggiano le altre,
a maggior ragione si deve fare questo con gli amici. Se i mali fos­
sero tali per natura, inutili sarebbero tutte queste esortazioni e
consigli, inutile sarebbe la vigilanza mediante quanto è stato det­
to. Ma se non è inutile, come certamente non è inutile, è evidente
che la malvagità proviene dalla volontà.

Chi s o n o i p ic c o l i c h e n o n si d e v o n o d e p r e z z a r e

Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli. Vi dico


che i loro angeli vedono sempre il volto del Padre mio che è nei cie­
li *. Chiama piccoli non quelli che sono piccoli veramente, ma
quelli che così sono ritenuti dai più, i poveri, quelli di nessun con­
to, coloro che sono ignorati - come potrebbe essere piccolo chi va­
le come tutto il mondo? Come potrebbe essere piccolo chi è ami­
co di Dio? -, coloro che sono ritenuti tali dall’opinione della gen­
te. Non parla solo di molti, ma anche di uno solo, bloccando di
nuovo anche così il danno derivante da molti scandali. Come in­
fatti fuggire i malvagi, così onorare i buoni comporta un grandis­
simo vantaggio, e ne può scaturire una duplice sicurezza per chi fa

1Mt 18,10.

15 L’esempio della macina appesa al collo: cf. Mt 18, 6.


Omelia 59, 4 493

attenzione: l’una dal troncare l’amicizia di coloro che scandalizza­


no, l’altra dal venerare e onorare questi santi. Poi anche in altro
modo li rende degni di rispetto, dicendo: I loro angeli vedono sem­
pre il volto del Padre mio che è nei cieli. Di qui è evidente che i san­
ti, o anche tutti, hanno degli angeli. Difatti l’Apostolo dice della
donna: Deve avere sul capo un segno di autorità a motivo degli an­
geli m, e Mosè: Stabilì i confini delle genti secondo il numero degli
angeli di Dio n. Qui parla non solo degli angeli, ma anche degli an­
geli superiori. Quando dice: il volto del Padre mio, non fa riferi­
mento a nient’altro se non ad una maggior confidenza ed al gran­
de onore16.

La v o l o n t à d i sa lv ez z a d e l Padre e del F ig l io

Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a salvare ciò che era perdu­


to 17. Presenta ancora un’altra argomentazione maggiore della pre­
cedente e unisce una parabola mediante la quale indica che anche il
Padre ha questa volontà. Che vi pare?, dice. Se un uomo ha cento pe­
core e ne smarrisce una, non lascia forse le novantanove sui monti e
va in cerca di quella smarrita? Se gli riesce di trovarla, si rallegra per
quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il
Padre vostro non vuole che si perda uno solo di questi piccoli0. Vedi
in quanti modi ci spinge ad aver cura dei fratelli che sono di poco
conto? Non dire quindi: quel tale è un fabbro, un calzolaio, un con­
tadino, uno sciocco, e non disprezzarlo. Perché tu non abbia questo
atteggiamento, vedi in quanti modi ti persuade ad essere misurato e
ti induce ad aver cura di questi. Ha posto in mezzo un bambino e

m l Cor 11, 10. n Dt 32, 8. °M t 18,12-14.

16 In questo passo ricorre il t. parresia·. cf. la nota 15 all’omelia 51.


17 Mt 18, 11: questo passo, riportato da Crisostomo, è presente in alcu­
ni codici di Matteo.
494 Omelie sul Vangelo di Matteo

dice: Siate come i bambini, e: Chi accoglie un bambino come questo,


accoglie me, e: Chi lo scandalizza, subirà ipiù gravi castighip. Non si
è limitato all’esempio della macina, ma ha aggiunto anche: Guai!, e
ha ordinato di estirpare persone siffatte, anche se sono per noi co­
me le mani e gli occhi. E d’altra parte, facendo riferimento agli an­
geli a cui sono stati affidati questi stessi fratelli di poco conto, li ren­
de degni di rispetto, e anche rifacendosi alla propria volontà e alla
sua passione - infatti quando dice: Il Figlio dell’uomo è venuto a sal­
vare ciò che era perduto, indica la croce, come dice anche Paolo a
proposito di un fratello per il quale Cristo è morto -, e al Padre,
perché neppure lui vuole che si perdano, e alla consuetudine co­
mune, perché il pastore, lasciando le pecore che sono in salvo, cer­
ca quella perduta e quando trova quella che si era smarrita, si ralle­
gra molto per averla trovata e per la sua salvezza.
5. Se dunque Dio si rallegra così per un piccolo che è stat
trovato, perché disprezzi quelli che sono assai cari a Dio, mentre
si dovrebbe dare anche la vita stessa per uno solo di questi picco­
li? Ma è debole e di poco conto? Soprattutto per questo si deve fa­
re di tutto per salvarlo. Egli stesso infatti, lasciando le novantano­
ve pecore, è andato da quella smarrita e la salvezza di tante non ha
potuto mettere in ombra il fatto che una sola si era perduta. Luca
dice che se la mise sulle spalle e ci fu più gioia per un peccatore
convertito che per novantanove giustir. Ha indicato la sua grande
premura per il fatto che ha lasciato quelle in salvo per quella per­
duta e si è rallegrato maggiormente per questa. Non trascuriamo
quindi tali anime, in quanto per questo motivo è stato detto tutto
ciò. Difatti ha abbattuto l’alterigia dei vanagloriosi minacciando
che chi non diventa bambino non entrerà affatto nei cieli e men­
zionando la macina, perché niente è così nemico dell’amore come
l’arroganza. Dicendo: È necessario che avvengano gli scandali, ha
fatto sì che si fosse vigilanti, e aggiungendo: Guai a colui per mez­
zo del quale avviene lo scandalo, ha fatto in modo che ciascuno si
adoperi perché non avvenga per colpa sua. Ordinando di estirpa-

p Cf. Mt 18, 3.5-6. qRm 14,15. r Cf. Le 15,5.7.


Omelia 59, 4-5 495

re quelli che scàndalizzano, ha reso facile la salvezza; prescrivendo


di non disprezzare i piccoli, e non prescrivendo semplicemente,
ma con intensità - Guardatevi, dice, dal disprezzare uno solo di
questi piccoli - , e dicendo: I loro angeli vedono il volto del Padre
mio, e: Per questo sono venuto, e: Il Padre mio vuole questo, ha re­
so più premurosi quelli che devono prendersi cura di e ssi18.

E so r t a z io n e a d im p e g n a r s i p e r l a sa lv ez z a d e i f r a t e l l i

Vedi che gran muro ha innalzato intorno ad essi e come è sol­


lecito nei confronti di coloro che sono disprezzati e di quelli che si
perdono, minacciando mali irrimediabili per chi li fa cadere e pro­
mettendo grandi beni a chi li onora e ha cura di essi, prendendo di
nuovo l’esempio da se stesso e dal Padre? Imitiamolo anche noi,
senza rifiutare nulla di ciò che sembri umile e faticoso, a favore dei
fratelli, ma anche se si deve rendere un servizio, anche se è piccolo
o di poco conto colui per il quale si presta tale servizio, anche se es­
so è gravoso, anche se si debbono oltrepassare monti e precipizi, si
sopporti tutto per la salvezza del fratello. Tanto è cara a Dio un’ani­
ma, che non ha risparmiato nemmeno il proprio Figlio s. Perciò
esorto, all’apparire del giorno, subito usciti da casa, ad avere questo
unico fine e questo impegno prima di ogni altro, in modo da strap­
pare al pericolo chi vi si trova; non parlo solo di questo pericolo sen­
sibile, perché non è nemmeno pericolo19, ma di quello dell’anima,
procurato dal diavolo agli uomini. Il mercante attraversa il mare per

s Cf. Rm 8, 32.

18 Crisostomo mostra di intendere la parabola della pecora smarrita nel


quadro dell’esortazione a prendersi cura dei fratelli più deboli e meno consi­
derati. Sul senso ed il contesto di questa parabola, cf. J. Jeremias, Le parabo­
le di Gesù, cit., pp. 44ss.
19 Crisostomo vuole mettere in evidenza che il vero pericolo è quello
che compromette la salvezza spirituale dell’uomo.
496 Omelie sul Vangelo di Matteo

aumentare le sue sostanze e l’artigiano fa di tutto per accrescere i


suoi beni. Anche noi dunque non limitiamoci solo alla nostra sal­
vezza, perché così la roviniamo. Anche in guerra e in combattimen­
to il soldato che bada solo a salvarsi con la fuga, rovina gli altri in­
sieme a se stesso, mentre invece quello che è valoroso e prende le ar­
mi in difesa degli altri, salva anche se stesso insieme agli altri. Poi­
ché la nostra condizione è una guerra, e la più aspra di tutte le guer­
re, un combattimento e una battaglia, schieriamoci sulla linea di
combattimento come ha ordinato il nostro re, pronti a versare il san­
gue e a morire, mirando alla salvezza di tutti, incoraggiando quelli
che sono in piedi e sollevando chi giace a terra. Molti nostri fratelli
giacciono in questo combattimento feriti, insanguinati e non c’è nes­
suno che li curi, nessuno del popolo, non un sacerdote, nessun al­
tro, non un compagno, un amico, un fratello, ma badiamo ciascuno
alla propria situazione. Perciò sviliamo anche la nostra condizione.
Difatti non badare ai propri interessi costituisce la più grande liber­
tà e la migliore reputazione. Siamo deboli e facilmente vulnerabili
da parte degli uomini e del diavolo perché cerchiamo il contrario di
questo e non combattiamo a fianco l’uno dell’altro, né siamo muni­
ti dell’amore secondo Dio, ma andiamo in cerca per noi stessi di al­
tri motivi di amicizia, gli uni per parentela, gli altri per consuetudi­
ne, gli altri per relazioni sociali, gli altri per vicinanza, e siamo ami­
ci per qualsiasi motivo piuttosto che in forza della pietà religiosa,
mentre soltanto per questa si dovrebbero stringere le amicizie. Ora
invece avviene il contrario: diventiamo talora amici di giudei e pa­
gani piuttosto che dei figli della Chiesa20.

E se r c it a r e in s t a n c a b il m e n t e l a c o r r e z io n e fr a t e r n a

6. Sì, si potrebbe replicare, perché l’uno è cattivo, mentre


tro è buono e mite. Che dici? Chiami cattivo il fratello che ti si or­

20 Per il nostro autore i vincoli di amicizia devono avere soprattutto un


fondamento religioso, basato sulla comune fede cristiana.
Omelia 59, 5-6 497

dina di non chiamare nemmeno stupidol? Non ti vergogni, non


arrossisci nell’esporre al pubblico biasimo il fratello, tuo membro,
che condivide con te la stessa nascita 21, che partecipa alla stessa
mensa? Ma se hai un fratello secondo la carne, anche se commet­
te innumerevoli malvagità, ti preoccupi di difenderlo e, se viene
disonorato, ritieni di condividere anche tu il disonore. Invece co­
pri di innumerevoli accuse il fratello spirituale, mentre dovresti li­
berarlo dalle calunnie? E cattivo, dice 22, e insopportabile. Dun­
que per questo diventa suo amico, per farlo smettere di essere co­
sì, per cambiarlo, per ricondurlo alla virtù. Ma non dà retta, dice,
né accetta consigli. Come lo sai? Lo hai esortato e hai cercato di
correggerlo? Lo ho esortato spesso, dice. Quante volte? Spesso;
una e due volte. Ah!, e questo sarebbe spesso? Se l’avessi fatto
continuamente, dovresti forse essere stanco e rinunciare? Non ve­
di come Dio ci esorta continuamente per mezzo dei profeti, degli
apostoli, degli evangelisti? E dunque? Forse che abbiamo fatto
tutto bene, abbiamo obbedito in tutto? Per niente affatto. Forse
che ha smesso di esortare? Forse che ha taciuto? Non dice ogni
giorno: Non potete servire a Dio e a mammona u, eppure cresce per
molti l’abbondanza e la tirannia delle ricchezze? Non grida ogni
giorno: Perdonate e vi sarà perdonato v, eppure diventiamo più fe­
roci? Non esorta continuamente a dominare la concupiscenza e a
vincere i piaceri perversi, eppure molti si rivoltolano in questo
peccato più dei porci? Ma tuttavia non smette di parlare. Perché
dunque non riflettiamo su questo tra noi stessi e non diciamo: Dio
parla anche a noi e non smette di agire così, benché noi disobbe­
diamo in molto? Perciò diceva: Pochi si salvano 23. Se non ci basta

‘ Cf. M t5,22. u Le 16, 13. v Cf. Mt 6, 14; Le 6, 37.

21 La nascita spirituale ad opera del battesimo.


22 Si sottintende un ipotetico interlocutore.
23 Si può vedere un riferimento a Le 13,23 che propriamente suona co­
sì: Un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano? Di qui l’esorta­
zione di Gesù ad entrare per la porta stretta (cf. il seguente v. 24).
498 Omelie sul Vangelo di Matteo

per la salvezza la virtù che esercitiamo noi stessi, ma occorre an­


darcene da questa vita conquistando anche altri, che cosa subire­
mo se non salveremo né noi stessi né gli altri? Da dove avremo
speranza di salvezza?

P reo c c u pa r si d e l l e pe r so n e e n o n d e l l e c o se

Ma perché faccio queste accuse, quando non teniamo in alcun


conto quelli che vivono con noi, moglie, figli, servitori, ma, come gli
ubriachi, ci affanniamo per alcune cose invece di altre, perché i ser­
vitori siano più numerosi e ci servano con molta premura, i figli ri­
cevano da noi un’abbondante eredità, la moglie abbia ornamenti
d’oro, vesti preziose e beni, e non ci preoccupiamo affatto di noi
stessi, ma delle cose di noi stessi? Non ci preoccupiamo né provve­
diamo alla moglie, ma alle cose della moglie, né ai figli, ma alle cose
dei figli. Ci comportiamo allo stesso modo di uno che, vedendo la
casa in cattive condizioni e i muri pericolanti, senza curarsi di re­
staurarli, facesse costruire esternamente ad essa dei grandi recinti;
oppure non si curasse del corpo malato, ma gli preparasse vesti in­
tessute d’oro, oppure, mentre la padrona è inferma, si occupasse
delle serve, del telaio, delle suppellettili della casa e del resto, la­
sciandola gemere sfinita. Questo avviene anche ora; benché la no­
stra anima sia in un cattivo stato, in una condizione miserevole, in
preda all’ira e alle ingiurie, abbia desideri assurdi, sia vanagloriosa,
ribelle, strisci per terra e sia dilaniata da tante belve, tralasciando di
scacciare da essa le passioni, ci preoccupiamo della casa e dei servi­
tori. Se un orso fugge di nascosto, sbarriamo le case e corriamo per
i vicoli in modo da non incappare in quella belva; ora invece, ben­
ché non una sola belva, ma molte, vale a dire i pensieri di tal gene­
re lacerino la nostra anima, non ce ne rendiamo conto. In città stia­
mo tanto attenti in modo da rinchiudere le belve in un luogo ap­
partato e nelle gabbie e le teniamo legate non nei pressi della Curia
della città, dei tribunali e della reggia, ma lontano e a distanza. Nel
caso dell’anima, dove sono la Curia, la reggia, il tribunale le belve
vengono lasciate libere di gridare e strepitare proprio intorno alla
Omelia 59, 6-7 499

mente e al trono regale 24. Perciò tutto è sottosopra e tutto è pieno


di scompiglio, ciò che è dentro e ciò che è fuori, e non differiamo
affatto, ciascuno di noi, da una città sconvolta dall’incursione dei
barbari. E come se, quando un serpente assale un nido di passeri,
questi, stridendo dappertutto, volassero impauriti e pieni di agita­
zione, non sapendo dove porre fine alla loro angoscia.

La g io v e n t ù v ie n e c o l p e v o l m e n t e a b b a n d o n a t a a s e s t e s s a

7. Perciò esorto: eliminiamo il serpente, rinchiudiamo le


ve, soffochiamole, distruggiamole; affidiamo questi cattivi pensie­
ri alla spada dello Spirito, perché il profeta non rivolga anche a noi
la minaccia che rivolse alla Giudea: Vi danzeranno onocentauri25,
ricci e serpentiw. Ci sono, ci sono uomini peggiori degli onocen­
tauri, che vivono come in un deserto e recalcitrano, e così è la mag­
gior parte della nostra gioventù. Difatti, avendo desideri ferini, co­
sì saltano, così recalcitrano, vagando senza freni e non curandosi
affatto di ciò di cui dovrebbero prendersi cura. Ne sono colpevo­
li i padri che costringono gli addestratori ad ammaestrare con mol­
ta cura i loro cavalli e non consentono che il puledro vada avanti
a lungo nell’età senza essere domato, ma gli impongono fin dal
principio il freno e tutto il resto; invece lasciano andare a lungo
qua e là i loro giovani senza freni e privi di temperanza, disonora­
ti dalla lussuria, dal gioco dei dadi e dalla frequentazione dei tea­
tri immorali, mentre dovrebbero affidarli, prima che si diano alla
fornicazione, ad una donna, una donna casta e molto saggia, per­
ché questa allontanerà l’uomo dal tenore di vita assai sconvenien-

w Cf. Is 13,21-22 (LXX).

24 Questa immagine metaforica designa l’eccellenza dell’interiorità del­


l’uomo rappresentata dall’anima razionale.
25 Si tratta di una specie di scimmia antropomorfa, forse un gorilla.
500 Omelie sul Vangelo di Matteo

te e sarà come un freno per il puledro. Le fornicazioni e gli adul­


terii non hanno altra origine se non dal fatto che i giovani sono ab­
bandonati a se stessi. Se il giovane ha una moglie assennata, si
prenderà cura della casa, dell’onore e della buona reputazione. Ma
è giovane, si potrebbe obiettare. Lo so anch’io. Se Isacco prese
moglie a quarantannix, passando tutto quel tempo nella vergini­
tà, a maggior ragione dovrebbero praticare questa filosofia i gio­
vani che sono nella grazia 2é. Ma che fare? Rifiutate di prendervi
cura della loro castità, però lasciate che siano disonorati, infanga­
ti, esecrabili, senza sapere che il vantaggio del matrimonio consi­
ste nel conservare puro il corpo; se questo non si verifica, non c’è
alcun vantaggio nel matrimonio. Ma voi fate il contrario; quando
sono pieni di innumerevoli brutture, allora li conducete alle noz­
ze, inutilmente e invano. Bisogna aspettare, si potrebbe replicare,
che diventi famoso, che si metta in luce negli affari civili; non ave­
te però alcuna considerazione dell’anima, ma lasciate che sia pro­
strata. Perciò tutto è pieno di confusione, di disordine, di turba­
mento, perché essa è considerata una cosa secondaria, perché ciò
che è necessario viene trascurato, mentre ciò che è di poco conto
riceve molta attenzione. Non sai che non elargirai a tuo figlio nes­
sun beneficio come quello di custodirlo puro dall’impudicizia del­
la fornicazione? Niente infatti è pari all’anima, perché, dice, quale
vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e perderà in­
vece la sua anima?'!. Ma l’amore delle ricchezze ha sconvolto e sov­
vertito tutto e ha rimosso l’autentico timor di Dio, impadronen­
dosi delle anime degli uomini come un tiranno che si impadroni­
sce dell’acropoli. Perciò non ci curiamo della salvezza dei figli27 e

*C f. Gn25, 20. yM tl6,26.

26 Nel senso che vivono nel tempo in cui è diffuso e annunciato il mes­
saggio cristiano.
27 Sull’educazione dei figli nell’opera crisostomiana, cf. O. Pasquato, I
laici in Giovanni Crisostomo. Tra Chiesa, famiglia e città, Roma 20012, pp.
119ss.
Omelia 59, 7 501

di quella nostra, avendo un solo obiettivo, di lasciare la ricchezza


ad altri, dopo essere divenuti più ricchi, e quelli a loro volta ad al­
tri e i loro discendenti ai loro discendenti, divenendo, per così di­
re, intermediari dei nostri beni e ricchezze, ma non padroni. Di
qui viene ima grande stoltezza; di qui deriva il fatto che i liberi so­
no più disonorati dei servi. Difatti rimproveriamo i servi, anche se
non per il loro vantaggio, certamente però per il nostro; i liberi in­
vece non usufruiscono di questa attenzione, ma sono da noi meno
considerati di essi28.

La t ir a n n ia d e l l e r ic c h e z z e

E che dico, dei servi? I figli sono più disprezzati del bestiame;
ci prendiamo cura più degli asini e dei cavalli che dei figli. Se uno
ha un mulo, se ne preoccupa molto, in modo da trovare il miglior
asinaio, che non sia stolto, ladro, ubriaco, inesperto del suo me­
stiere; invece se si deve predisporre un pedagogo per l’anima del
figlio, prendiamo a caso e come capita il primo venuto. Eppure
non c’è un’altra arte più grande di questa. Che cosa infatti sta sul­
lo stesso piano del dirigere un’anima e plasmare la mente di un
giovane? Chi possiede questa scienza deve essere più scrupoloso
di ogni pittore e scultore. Ma noi non teniamo questo in nessuna
considerazione e miriamo invece ad un solo obiettivo, che venga
istruito nella lingua, e di nuovo ci diamo da fare in questo a moti­
vo delle ricchezze. Impara a parlare non per saper parlare, ma per
arricchire, sicché, se fosse possibile diventare ricchi anche senza
questa arte, non terremmo in alcuna considerazione neppure essa.
Hai visto quanto grande è la tirannia delle ricchezze? Come ha in­
vaso tutto e trascina dovunque vuole, legando gli uomini come
fossero schiavi e animali? Ma che profitto ricaviamo da tante ac­
cuse? Noi colpiamo a parole questa tirannia, ma essa ci domina
con i fatti. Tuttavia non per questo smetteremo di colpirla con le

28 Cioè dei servi.


502 Omelie sul Vangelo di Matteo

parole della nostra lingua. Se ce ne viene qualche cosa, abbiamo


guadagnato noi e voi; se invece rimanete nella stessa situazione, al­
meno abbiamo portato a termine tutto il nostro compito. Dio vi li­
beri da questa infermità e faccia in modo che siamo orgogliosi di
voi, perché a Lui sono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Amen 29.

29 Si noti che Crisostomo termina l’omelia senza la consueta formula:


per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo.
OMELIA 60

Se il tuo fratello pecca contro di te, va’, ammoniscilo fra te e lui so­
lo. Se ti ascolta, hai guadagnato il tuo fratello a.

La c o r r e z io n e fr a t e r n a

1. Poiché aveva fatto un duro discorso contro quelli che s


dalizzano e li aveva spaventati da ogni punto di vista, perché in que­
sto modo gli scandalizzati, a loro volta, non divenissero negligenti e,
pensando che tutto ricadesse sugli altri, non si volgessero ad un’al­
tra malvagità, inorgogliendosi e volendo porre rimedio a tutto, e si
abbandonassero all’arroganza, vedi come a sua volta freni anche lo­
ro e ordini che l’ammonimento avvenga soltanto fra i due, per non
rendere più pesante l’accusa con la testimonianza di più persone e
perché non accada che quello, divenuto più protervo, sia difficile da
correggere. Perciò dice: Fra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagna­
to il tuo fratello. Che vuol dire: Se ti ascolta? Se condanna se stesso,
se si convince che ha peccato. Hai guadagnato il tuo fratello. Non ha
detto: Hai punito a sufficienza, ma: hai guadagnato il tuo fratello, per
indicare che dall’inimicizia deriva un danno comune. Non ha detto:
Egli ha guadagnato solo se stesso, ma anche: Tu lo hai guadagnato.
Con questa espressione ha mostrato che entrambi in precedenza
avevano subito una perdita, l’uno nel fratello, l’altro nella propria
salvezza. Faceva questa esortazione anche quando sedeva sul mon­
te, ora inviando chi ha offeso da chi è stato offeso, e dicendo: Se pre­

a Mt 18,15.
504 Omelie sul Vangelo di Matteo

sentandoti all’altare ti ricordi lì che il tuo fratello ha qualche cosa con­


tro di te, va’, riconciliati con il tuo fratello b, ora ordinando a chi ha
subito un torto di perdonare al prossimo. Ha insegnato a dire: Ri­
metti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri de­
bitori c. In questo caso pensa ad un’altra modalità, perché non con­
duce chi ha offeso da chi è stato offeso, ma questo da quello. Poi­
ché infatti chi ha offeso difficilmente verrebbe a scusarsi in quanto
si vergogna e arrossisce, spinge l’offeso dall’offensore, e non senza
motivo, ma per riparare quanto è avvenuto. Non dice: Accusa, né:
Rimprovera, né: Reclama giustizia e chiedi il rendiconto, ma: Am­
moniscilo. Quello, per l’ira e la vergogna, è come posseduto da un
torpore in preda all’ebbrezza; è necessario che tu, sano, vada da lui
che è malato e faccia sì che il giudizio sia segreto e la cura accetta­
bile. Dire: Ammoniscilo non significa altro se non: Ricordagli il suo
peccato, digli ciò che hai sofferto da lui. Questo gesto, se si fa come
si deve, assolve la funzione di parlare in propria difesa e di spingere
fortemente alla riconciliazione. Che fare se non dà retta e si irrigidi­
sce? Prendi con te una o due persone, perché sulla bocca di due testi­
moni stia ogni parola d. Quanto più infatti è impudente e protervo,
tanto più dobbiamo affrettarci alla cura, non all’ira e all’irritazione,
perché anche il medico, quando vede che l’infermità ha difficoltà a
passare, non desiste né si infastidisce, ma allora si dà da fare mag­
giormente, il che ordina di fare anche in questo caso. Poiché, stan­
do da solo, sei apparso più debole, diventa più forte aggiungendo
altre persone, in quanto due sono sufficienti a riprendere il pecca­
tore. Vedi come cerchi quello che è nell’interesse non solo dell’offe­
so, ma anche dell’offensore? Difatti chi è stato danneggiato è quel­
lo che è caduto in potere della sua passione; è lui che è infermo, de­
bole, spossato. Perciò spesso conduce l’offeso dall’offensore, ora da
solo, ora con altri, e se persiste, anche con l’assemblea !. Dillo, af-

b Mt 5, 23-24. c Mt 6,12. d Mt 18, 16; cf. Dt 19, 15.

1 Vale a dire, la Chiesa.


Omelia 60, 1 505
ferma, all’assembleae. Se avesse cercato solo l’interesse di chi ha su­
bito il torto, non avrebbe ordinato di perdonare settanta volte sette
a chi si pente1, non gli avrebbe procurato tante volte tanti che cor­
reggessero la sua passione, ma, fin dal primo incontro, se non si fos­
se corretto, lo avrebbe abbandonato; ora invece ordina di curarlo
una, due, tre volte, ora da solo, ora con due, ora con più persone.
Perciò nel caso di quelli che sono al di fuori2 non dice nulla di si­
mile, ma: Se uno ti percuote la guancia destra, porgigli anche l’altra e;
non così però in questo caso. Lo afferma Paolo dicendo: Spetta for­
se a me giudicare quelli di fuori? h. Ordina di riprendere e di disto­
gliere dal male i fratelli e di escluderli dalla comunità se non si la­
sciano persuadere ‘, perché rinsaviscano; lo fa in questo caso anche
il Signore, dando tali prescrizioni riguardo ai fratelli. Assegna al pec­
catore tre maestri e giudici, che insegnino quanto avviene nel mo­
mento della sua ebbrezza3. Difatti se è lui che ha detto e ha fatto tut­
te quelle cose sconvenienti, tuttavia però ha bisogno di altri che glie­
lo insegnino, come chi è ubriaco, perché l’ira e il peccato fanno usci­
re da sé più di ogni ebbrezza e mettono l’anima in una condizione
di maggior follia. Chi era più assennato di David? Tuttavia però non
si rese conto di aver peccato, in quanto il desiderio dominava tutti i
suoi pensieri e riempiva la sua anima come fosse un fumo. Perciò
ebbe bisogno di essere illuminato da parte del profeta 4, e delle pa­
role che gli rammentavano quello che aveva fatto i. Quindi anche in
questo caso il Signore conduce costoro 5 dal peccatore, perché gli
parlino di quello che ha fatto.

e Mt 18, 17. 1 Cf. Mt 18, 22. 8 Mt 5, 39. h 1 Cor 5, 12.


‘ Cf. 1 Cor 5, 5. i Cf. 2 Sam 12, 7ss.

2 Quelli che non appartengono alla comunità cristiana.


3 In senso spirituale, cioè il peccato.
4 Natan.
5 Le persone di cui parla Mt 18, 16.
506 Omelie sul Vangelo di Matteo

L ’ in t e r v e n t o d e l l ’a s s e m b l e a e c c l e s ia l e

2. Perché ordina di rimproverare all’offeso e non ad un a


Perché potrebbe sopportare meglio questo che è stato da lui offe­
so, danneggiato, ingiuriato. Non si sopporta infatti, per l’offesa ar­
recata, di essere rimproverati da altri allo stesso modo che se si è
rimproverati dal medesimo che è stato offeso, soprattutto quando
questi rimprovera da solo. Quando chi deve esigere giustizia da
lui, si mostra sollecito anche della sua salvezza, più di tutti potrà
condurlo a resipiscenza. Vedi come ciò non avvenga per ottenere
soddisfazione, ma per correggere? Perciò non ordina di prendere
subito due persone, ma quando il primo è impotente, e nemmeno
allora gli mette davanti una moltitudine di persone, ma ne aggiun­
ge due o anche una sola; quando poi disprezza anche costoro, al­
lora lo conduce all’assemblea. Tanta cura mette nel fatto che non
si divulghino i peccati del prossimo. Certamente avrebbe potuto
ordinarlo fin dal principio 6; non lo ha ordinato però perché ciò
non avvenisse7, ma lo prescrive dopo una prima e una seconda
esortazione. Che cosa vuol dire: perché sulla bocca di due o tre te­
stimoni stia ogni parolai Hai una testimonianza sufficiente, vuol
dire, che hai fatto tutto quanto stava in te, che non hai tralasciato
nulla di ciò che ti toccava. Se poi non ascolta neppure costoro, dillo
all’assemblea k, cioè a coloro che presiedono. Se non ascolta nean­
che l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano *. Difat­
ti una simile persona è affetta da mali incurabili. Considera come
ponga sempre il pubblicano a esempio della più grande iniquità.
Più sopra dice: Non fanno lo stesso anche i pubblicani? m; e ancora
più avanti: I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei
cielin, cioè coloro che sono assai censurati e condannati. Ascolti-

k M tl8, 17. l Ibid. mM t5,46. n M t21,31.

6 Avrebbe potuto ordinare cioè di sottoporre subito il caso del peccato­


re al giudizio dell’assemblea.
7 Vale a dire, perché non si divulgassero i peccati del prossimo.
Omelia 60, 2 507

no quelli che si gettano su guadagni ingiusti, quelli che aggiungo­


no usure a usure. Perché ha annoverato il peccatore con il pubbli­
cano? Per confortare chi è stato offeso e spaventare l’offensore. E
solo questa la punizione? No, ma ascolta anche quanto segue:
Quello che legherete sulla terra, sarà legato nei cieli °. Non ha det­
to a chi presiede nella Chiesa: Lega tale individuo, ma: Quello che
leghi, affidando tutto alla stessa persona che è stata offesa, e i le­
gami restano indissolubili. Dunque subirà i castighi più gravi, ma
la colpa non è di chi lo ha condotto all’assemblea, bensì di chi non
ha voluto obbedire. Hai visto come lo ha avvinto ad una duplice
pena, il castigo di quaggiù e il supplizio lassù? Ha minacciato que­
sto perché ciò non avvenga, ma diventi migliore per paura dell’e­
spulsione dalla Chiesa, del pericolo che deriva da questo legame e
dal fatto di essere legato nei cieli. Sapendo ciò, porrà fine alla sua
ira, anche se non dal principio, almeno per la moltitudine dei giu­
dizi. Perciò ha istituito un primo, un secondo e un terzo tribunale
e non ha eliminato subito il peccatore, perché, se non ascolta il
primo, ceda al secondo, e se respinge questo, tema il terzo; se poi
non tiene questo in alcuna considerazione, rimanga spaventato dal
castigo futuro e dalla sentenza e dalla giustizia di Dio p .

Le c o n d iz io n i p e r c h é l e p r e g h ie r e s ia n o e s a u d it e

Vi dico ancora che se due di voi sulla terra si accorderanno per


domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la conce­
derà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in
mezzo a loro q. Vedi come anche in altro modo dissolva le inimici­
zie e distrugga le pusillanimità e unisca gli uni agli altri, non solo
in virtù della punizione suddetta, ma anche dei beni che proven­
gono dall’amore? Infatti dopo aver rivolto quelle minacce alla bra­
ma di contese, presenta qui i grandi premi della concordia, se è ve­
ro che coloro che sono concordi riescono a indurre il Padre a con­

0 Mt 18,18. P Cf. Mt 18,17. Mt 18, 19-20.


508 Omelie sul Vangelo di Matteo

cedere quanto chiedono e hanno Cristo in mezzo a loro. Forse che


in nessun luogo ci sono due che siano concordi? Certamente in
molti luoghi, forse anche dappertutto. Perché allora non ottengo­
no tutto? Perché molti sono i motivi per cui non si ottiene. O per­
ché spesso chiedono cose non utili; e perché ti meravigli se altri le
chiedono, dal momento che questo è capitato anche a Paolo,
quando udì: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manife­
sta pienamente nella debolezzar? Oppure non sono degni di colo­
ro che hanno udito queste parole del Signore e non recano il loro
contributo; egli cerca coloro che sono come quelli, perciò dice:
due di voi, di coloro che sono virtuosi, che mostrano una vita an­
gelica. Oppure pregano contro coloro che hanno causato qualche
danno, cercando vendetta e castigo, il che non è consentito: Pre­
gate, dice infatti, per i vostri nemicis. Oppure, peccando senza
pentirsi, chiedono misericordia, il che è impossibile ottenere, non
solo se lo chiedono loro, ma anche se pregano in loro favore altri
che hanno grande familiarità con Dio, come anche Geremia, pre­
gando per i giudei, si sentì dire: Non intercedere per questo popolo
perché non ti ascolterò Se ci sono tutte le condizioni, chiedi ciò
che è utile, dai tutto quanto è nelle tue possibilità, mostri una vita
apostolica e hai concordia e amore verso il prossimo, otterrai
quanto invochi perché il Signore è buono.

C r is t o , f o n d a m e n t o d e l l a v e r a a m ic iz ia

3. Poi dopo aver detto: il Padre mio, per indicare che era
che lui che concedeva e non solo chi l’aveva generato, ha aggiun­
to: Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in mez­
zo a loro. Ebbene, non ci sono due o tre riuniti nel suo nome? Ci
sono, ma raramente. Non parla semplicemente di stare insieme,
non cerca solo questo, ma soprattutto, come ho detto anche in
precedenza, insieme a ciò le altre virtù; quindi richiede proprio

r 2 Cor 12, 9. s Mt 5, 44. ' G e r i i , 14.


Omelia 60, 2-3 509

questo con molta cura. Quanto dice vuol dire: Se uno ha me come
fondamento principale dell’amicizia con il prossimo, sarò con lui
se è virtuoso anche nel resto. Ma ora vediamo che i più hanno al­
tri motivi di amicizia. L’uno infatti ama perché è amato, l’altro per­
ché è onorato, l’altro perché il tale gli è stato utile in qualche altro
affare terreno, l’altro per qualche altro motivo di questo genere; è
difficile trovare qualcuno che, a causa di Cristo, ami il prossimo
autenticamente e come si dovrebbe amare. I più sono legati gli uni
agli altri dagli affari terreni. Paolo però non amava così, ma a mo­
tivo di Cristo; perciò, anche se non era amato così come amava,
non fece venir meno la carità, perché il suo amore aveva forti ra­
dici. Ora però le cose non stanno così, ma se esaminiamo ogni si­
tuazione, troveremo che nei più le cause che generano le amicizie
sono diverse da questa8. Se mi si desse la facoltà di fare questa in­
dagine in una moltitudine così grande, potrei dimostrare che i più
sono legati gli uni agli altri da motivi terreni. Questo è evidente
dalle cause che generano l’inimicizia. Poiché infatti sono uniti gli
uni agli altri da questi motivi transeunti, i loro rapporti reciproci
non sono perciò né intensi né costanti, ma la tracotanza, la perdi­
ta delle ricchezze, l’invidia, l’amore della vanagloria e tutto ciò che
di simile possa sopraggiungere tronca l’affetto, perché non trova la
radice spirituale. Infatti se fosse così, nulla di terreno potrebbe di­
struggere ciò che è spirituale. L’amore per Cristo è saldo, indi­
struttibile, invincibile, e nulla potrà sradicarlo, non le calunnie, né
i pericoli, né la morte, né nient’altro di simile. Chi ama così, per
quanto possa soffrire, guardando al fondamento dell’amore non
desisterà. Chi ama per il fatto di essere amato, se soffre per qual­
cosa di spiacevole, dissolve l’amore, mentre chi è legato da quel-
l’altro vincolo, non desisterà mai. Perciò Paolo diceva: L’amore
non viene mai meno u.

u 1 Cor 13, 8.

8 Cioè, non hanno in Cristo il loro fondamento.


510 Omelie sul Vangelo di Matteo

Che puoi dire? Che chi è stato onorato si è comportato da in­


solente? Che chi è stato beneficato ha voluto uccidere? Ma ciò ti
dispone ad amare di più, se ami per Cristo. Infatti ciò che negli al­
tri casi sconvolge l’amore, qui lo edifica. Come? Innanzitutto per­
ché una persona di questo genere ti procura ricompense 9; in se­
condo luogo perché chi si trova in questa condizione ha bisogno
di maggior aiuto e di molta cura. Perciò chi ama così non esamina
la stirpe, la patria, la ricchezza, l’amore nei suoi confronti, né nien-
t’altro di simile, ma anche se è odiato, insultato, ucciso persiste
nell’amore avendo Cristo come motivo sufficiente per amare, per
cui, guardando a lui, è saldo, costante, immutabile. Cristo infatti
così amò i nemici, gli ingrati, coloro che lo insultavano, lo be­
stemmiavano, lo odiavano, non volevano neppure vederlo e gli an­
teponevano legna e pietre, amandoli con il più sublime amore, ol­
tre il quale non si può trovarne un altro. Nessuno, dice, ha un amo­
re più grande di questo: dare la sua vita per ipropri amici''. Vedi co­
me persiste nell’aver cura di coloro che lo hanno crocifisso e lo
hanno tanto oltraggiato. Parla di loro al Padre dicendo: Perdonali,
perché non sanno quello che fanno w. E dopo inviò loro i discepoli.
Emuliamo dunque anche noi questo amore, guardiamo a questo
per divenire imitatori di Cristo e conseguire i beni quaggiù e quel­
li futuri, per la grazia e la bontà di nostro Signore Gesù Cristo, al
quale siano la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

v G v l5 , 13. w Le 23, 34.

9 Nel senso che fornisce l’occasione di ricevere maggiori ricompense da


parte di Dio, se si persiste nell’amore verso una tale persona a motivo di Cri­
sto.
OMELIA 61

Allora Pietro, avvicinatosi a lui, disse: Signore, quante volte dovrò


perdonare al mio fratello se peccherà contro di me? Fino a sette vol­
te? Gli risponde Gesù: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a set­
tanta volte sette a.

P erdonare se m p r e

1. Pietro pensò di dire qualcosa di notevole; perciò, com


facesse mostra di grandezza, aggiunse: Fino a sette volte? Vuol di­
re: quante volte dovrò fare quello che hai ordinato di fare? Se pec­
ca sempre e se, rimproverato, si pente, quante volte ci ordini di
sopportarlo? A chi infatti non si pente e non condanna se stesso,
hai fissato un limite, dicendo: Sia per te come un pagano e un pub­
blicano b; a questo invece no, ma hai ordinato di accoglierlo.
Quante volte dunque devo sopportare che sia rimproverato e si
penta? E sufficiente sette volte? Che cosa risponde Cristo, Dio
buono e generoso? Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settan­
ta volte sette. Qui non stabilisce un numero, ma indica una quan­
tità illimita ta , senza interruzione, sempre; come infatti l’espressio­
ne diecimila volte significa spesso, così anche in questo caso. An­
che riguardo all’espressione: La sterile ha partorito sette volte c, la
Scrittura vuol dire molte volte. Sicché non ha racchiuso il perdo­
no in un numero, ma ha mostrato che deve essere dato continua­
mente, sempre. Lo ha indicato certamente anche mediante la para-

a Mt 18,21-22. b Mt 18,17. c 1 Sam 2, 5.


512 Omelie sul Vangelo di Matteo

boia che si trova di seguito. Perché a qualcuno non sembrasse che


prescriveva cose gravose e pesanti dicendo: settanta volte sette, ha
aggiunto questa parabola sia per spingere a ciò che aveva detto, sia
per frenare chi si inorgogliva per questo 1e per mostrare che non
si trattava di una cosa pesante, ma anzi molto facile. Perciò ha pre­
sentato la bontà divina, perché in confronto, intende dire, tu sap­
pia che, pur perdonando settanta volte sette, pur perdonando con­
tinuamente al prossimo assolutamente tutti i peccati, la tua bene­
volenza, come una goccia d’acqua rispetto al mare sconfinato, co­
sì, anzi molto di più, è inferiore all’infinita bontà di Dio, di cui hai
necessità dovendo essere giudicato e rendere conto.

La d if f e r e n z a t r a i p e c c a t i v e r so D io
E QUELLI VERSO IL PROSSIMO

Perciò ha aggiunto dicendo: Il regno dei cieli è simile ad un re


che volle fare i conti con i suoi servi. Avendo cominciato a farli, gli
fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. Poiché questi
non poteva restituirli, ordinò che fossero venduti lui, sua moglie, i fi­
gli e tutto ciò che aveva d. Poi, dopo aver beneficiato della genero­
sità del re, appena uscito, soffocava un servo come lui che gli do­
veva cento denari; avendo irritato il padrone con questo compor­
tamento, egli lo fece gettare di nuovo in carcere finché non pagas­
se tuttoe. Hai visto quanta differenza c’è tra i peccati verso l’uomo
e quelli verso Dio? La stessa differenza che intercorre tra diecimi­
la talenti e cento denari, anzi molto di più. Ciò deriva dalla diffe­
renza delle persone e dalla frequenza dei peccati. Se infatti un uo­
mo ci vede, ci asteniamo e rifuggiamo dal peccare; benché invece

d Mt 18, 23-25. e Cf. Mt 18, 28-34.

1 Cioè per il fatto di dimostrare benevolenza verso il prossimo perdo­


nando continuamente, il che comunque, come Crisostomo rileva subito do­
po, è di gran lunga inferiore all'infinita bontà di Dio.
Omelia 61, 1 513

Dio guardi ogni giorno, non ci teniamo lontano dal peccato, ma


facciamo e diciamo tutto senza ritegno. Non solo da ciò i peccati
sono resi più gravi, ma anche dai benefici e dall’onore di cui ab­
biamo goduto. Se volete sapere in che modo i peccati contro di
Lui sono diecimila talenti, anzi anche molto di più, cercherò di di­
mostrarlo brevemente. Ma temo di offrire maggior sicurezza a co­
loro che inclinano alla malvagità e amano peccare continuamente,
o di gettare nella disperazione quelli che sono più buoni e che di­
cono come i discepoli: Chi può salvarsi? f. Tuttavia però anche in
questo caso parlerò per rendere più saldi e più buoni coloro che
prestano attenzione. Difatti quelli che sono insensibili e inguari­
bilmente malati, anche indipendentemente da queste argomenta­
zioni, non si allontanano dalla propria negligenza e iniquità, e se
da tali argomentazioni traggono maggior occasione di negligenza,
la causa non sta in quanto viene detto, ma nella loro insensibilità.
Sicché quanto viene detto potrà maggiormente frenare e spingere
a pentimento coloro che prestano attenzione, e i migliori, quando
si accorgeranno della mole dei peccati e si renderanno conto del­
la forza del pentimento, si rivolgeranno di più a questo; perciò è
necessario parlare. Parlerò dunque e presenterò i peccati che
commettiamo sia verso Dio, sia verso gli uomini, e non presenterò
quelli personali, ma quelli comuni; ciascuno poi unisca quelli per­
sonali in base alla sua coscienza. Lo farò, ma dopo aver presenta­
to prima i benefici di Dio.

I BENEFICI DIVINI

Quali sono dunque questi benefici? Ci ha creati quando non


esistevamo, per noi ha fatto tutte le cose visibili, il cielo, il mare, la
terra, l’aria, tutto ciò che è in essi, gli animali, le piante, i semi; bi­
sogna sintetizzare a causa del mare sconfinato delle sue opere. So­
lo a noi tra quelli che sono sulla terra infuse un’anima vivente 6,

f Cf. Mt 19, 25; Me 10,26. sC f. G n 2 ,7 .


514 Omelie sul Vangelo di Matteo

piantò il paradiso11, dette un aiuto2, gli ha dato il dominio su tut­


ti gli esseri irrazionali’, lo ha incoronato di gloria e di onore). Inol­
tre, nonostante che fosse ingrato verso il suo benefattore, lo ha
gratificato con un dono più grande3.
2. Non considerare solo il fatto che ha cacciato dal para
ma esamina anche il vantaggio che ne è derivato. Dopo aver cac­
ciato dal paradiso, dopo aver elargito quei beni innumerevoli ed
aver compiuto atti provvidenziali di vario genere, inviò anche suo
Figlio per coloro che erano stati beneficati e odiavano4, ci aprì il
cielo, dischiuse il paradiso stesso e ci rese figli da nemici e ingrati
che eravamo. Perciò ora è il momento opportuno di dire: O pro­
fondità della ricchezza della sapienza e della conoscenza di Dio k. Ci
ha dato il battesimo per la remissione dei peccati, la liberazione
dal castigo, l’eredità del Regno, ha promesso innumerevoli beni a
coloro che agiscono rettamente, ha teso la mano e ha infuso lo Spi­
rito nei nostri cuori. E dunque? Dopo tanti e tali beni quale avreb­
be dovuto essere il nostro atteggiamento? Forse che se anche mo­
rissimo ogni giorno per colui che ci ama così, pagheremmo quan­
to dovuto, o piuttosto estingueremmo in minima parte il debito?
Per niente affatto, perché anche questo si volgerebbe ancora a no­
stro vantaggio. Come ci comportiamo dunque noi che dovremmo
avere questa disposizione d’animo? Ogni giorno rechiamo offesa
alle sue leggi.

L ’e s a m e d e i p e c c a t i d i v a rie c a t e g o r ie : i so l d a t i

Non irritatevi se parlerò contro i peccatori; accuserò infatti


non solo voi, ma anche me stesso. Da dove volete che cominci?

h Cf. G n 2 ,8 . 1Cf. G n l,2 6 . i Cf. Sai 8, 6. k R m ll,3 3 .

2 La donna: cf. Gn 2, 18.


3 La redenzione per mezzo del Figlio di Dio.
4 Nel senso che l’uomo rispondeva con il peccato all’amore di Dio.
Omelia 61, 1-2 515

Dai servi? Dai liberi? Dai soldati? Dai semplici cittadini? Dai go­
vernanti? Dai governati? Dalle donne? Dagli uomini? Dai vecchi?
Dai giovani? Da quale età? Da quale categoria? Da quale carica?
Da quale occupazione? Volete che cominci dai soldati? In che co­
sa non peccano costoro ogni giorno facendo violenze, oltraggian­
do, infuriando, traendo vantaggio dalle altrui disgrazie, simili a
lupi, mai esenti da peccati, a meno che non si dica che il mare è
privo di flutti? Quale passione non li molesta? Quale morbo non
assedia la loro anima? Sono gelosi nei confronti dei loro colleghi,
sono invidiosi e vanagloriosi; sono rapaci verso i loro sottoposti,
ostili e spergiuri verso coloro che sono coinvolti in liti giudiziarie
e ricorrono a loro come a un porto. Quante sono le loro rapine,
quante cupidigie, quante calunnie e traffici, quante servili adula­
zioni! Ebbene, applichiamo a ciascuno la legge di Cristo. Chi di­
ce a suo fratello: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della geenna. Chi
guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con
lei. Se uno non si fa piccolo come un bambino, non entrerà nel re­
gno dei cieli1. Costoro sono arroganti e più feroci di una belva nei
confronti di coloro che sono loro subordinati e sottoposti e ne
hanno paura e timore; non fanno nulla per Cristo, ma tutto per il
ventre, le ricchezze e la vanagloria. Si possono forse enumerare
con le parole le loro azioni peccaminose? Che dire dei loro dileg­
gi, del loro scherno, dei loro discorsi sconvenienti, del loro turpi­
loquio? Non si può neppure parlare della loro avidità. Come in­
fatti i monaci che vivono nelle montagne non sanno nemmeno
che cosa è l’avidità, così neppure costoro, ma per motivi opposti
a quelli loro. I primi ignorano tale passione perché sono lontani
da questo morbo; costoro invece, per il fatto di essere del tutto
immersi in essa, non avvertono nemmeno che grande male sia.
Questa iniquità ha respinto la virtù e tiranneggia a tal punto che
quei forsennati non ritengono nemmeno che sia un grave capo
d’accusa.

1Cf. Mt 5, 22.28; 18,3-4.


516 Omelie sul Vangelo di Matteo

G li a r t ig ia n i

Ma volete che, lasciando da parte costoro, passiamo ad altri più


moderati? Ebbene, esaminiamo la categoria degli artigiani e dei la­
voratori manuali. Questi appaiono vivere, più di tutti, delle loro giu­
ste fatiche e del proprio sudore, ma anche essi, quando non fanno
attenzione a se stessi, si procurano molti mali dalla loro attività. In­
fatti al frutto delle giuste fatiche aggiungono l’ingiustizia derivante
dalla compravendita5, spesso alla cupidigia uniscono giuramenti,
spergiuri e menzogne, si preoccupano solo degli affari materiali e vi­
vono inchiodati alla terra; fanno tutto per arricchirsi, mentre non
mettono molto impegno nel far parte ai bisognosi, volendo sempre
accrescere i loro beni. Che dire delle loro ingiurie in affari di questo
genere, della loro insolenza, dei prestiti e delle usure, dei contratti
pieni di molta frode, dei traffici vergognosi?

I PROPRIETARI TERRIERI

3. Ma volete che, lasciando da parte anche questi, passiam


altri che sembrano essere più giusti? Chi sono dunque costoro?
Quelli che posseggono i campi e ricavano la ricchezza dalla terra.
Che cosa ci potrebbe essere di più ingiusto di questi? Se infatti si
esamina il modo con cui si servono degli infelici e sventurati conta­
dini, si vedrà che sono più crudeli dei barbari 6. A loro che si con­
sumano nella fame, che faticano tutta la vita, impongono esazioni
continue e insopportabili e prescrivono faticosi servizi; trattano i lo­
ro corpi come asini e muli, anzi come pietre, senza concedere un at­
timo di respiro. Sia che la terra produca o non produca, li oppri­
mono ugualmente e non hanno per essi nessuna indulgenza. Che ci
potrebbe essere di più degno di compassione di quando, pur aven­
do faticato l’intero inverno ed essere sfiniti per il freddo, la pioggia

5 Crisostomo mostra di riferirsi ad attività di tipo speculativo che consi­


dera ingiuste.
6 Su questo passo, cf. il mio studio Ricchezza e povertà, cit., pp. 24ss.
Omelia 61, 2-3 517

e le veglie, tornano a mani vuote e per giunta debitori? E più che di


questa fame e di questo naufragio hanno paura ed orrore dei sup­
plizi degli amministratori, delle torture, delle richieste di pagamen­
to, dell’arresto, degli oneri inesorabili. Che dire dei traffici che fan­
no con essi, dei commerci cui li assoggettano, riempiendo tini e tor­
chi con le loro fatiche e il loro sudore, mentre ad essi non concedo­
no di portare a casa neppure una piccola quantità, ma versano in­
vece tutto il frutto nelle botti della loro iniquità e in cambio di ciò
gettano loro un po’ di danaro? Inoltre escogitano nuovi tipi di usura
che non sono stabiliti nemmeno dalle leggi dei pagani, e stipulano
polizze di credito piene di una grande maledizione. Difatti esigono
con la forza non la centesima 7, ma il cinquanta per cento, no­
nostante che colui da cui lo esigono abbia moglie, debba mantene­
re i figli, sia un essere umano e riempia l’aia e i tini con le proprie
fatiche. Ma non pensano a niente di questo. Perciò sarebbe oppor­
tuno esclamare, chiamando a testimone il profeta: Stupisci, cielo,
inorridisci, terra! m; in che folle bestialità è precipitato il genere
umano. Dico questo non per accusare le arti, l’agricoltura, la vita
militare, i campi, ma noi stessi. Perché anche Cornelio era centu­
rione n e Paolo lavorava il cuoio ° e anche dopo la predicazione 8
esercitava questo mestiere; David era re e Giobbe beneficiava di
poderi e di molti proventi, ma a nessuno di essi derivò, da questa
condizione, alcun ostacolo alla virtù.

P e d a g o g ia d iv in a n e l l a pa r a b o l a d e i d u e d e b it o r i

Pensando dunque a tutto ciò e considerando i diecimila ta­


lenti, anche in virtù di tale riflessione affrettiamoci a condonare al

m Ger 2, 12. " Cf. At 10, 1. ° Cf. At 18, 3.

7 II tasso di interesse annuo del 12%.


8 Paolo stesso rende testimonianza del fatto di lavorare giorno e notte
per non essere di peso a nessuno: cf. 1 Ts 2, 9.
518 Omelie sul Vangelo di Matteo

prossimo quei pochi e modesti debiti. Difatti dobbiamo rendere


conto dei precetti che ci sono stati affidati e non possiamo pagare
tutto, per quanto ci diamo da fare. Perciò Dio ci ha dato una via
facile e agevole per pagare, capace di cancellare tutti quei debiti,
intendo dire non serbare rancore. Per comprendere bene questo,
andando avanti nel nostro cammino ascoltiamo tutta la parabola.
Gli fu presentato, dice, uno che era debitore di diecimila talenti. Ma
poiché costui non poteva pagare, ordinò che fosse venduto lui, sua
moglie e i figli?. Per quale motivo?, dimmi. Non per crudeltà né
per disumanità, perché il danno ricadeva su di lui, in quanto an­
che quella era una serva, ma per un’ineffabile sollecitudine. Vuole
spaventarlo con questa minaccia per spingerlo a supplicare, non
perché fosse venduto. Se l’avesse fatto per questo, non avrebbe ac­
consentito alla sua richiesta né gli avrebbe concesso la grazia. Per­
ché, prima del rendiconto, non ha agito così e non gli ha condo­
nato il debito? Perché voleva insegnare da quanti debiti lo libera­
va, affinché anche in questo modo diventasse più buono verso il
suo compagno di servitù. Se infatti, pur avendo conosciuto il peso
del debito e la grandezza del condono, persisteva nel prendere per
la gola il suo compagno di servitù, se non lo avesse istruito pre­
ventivamente con tali farmaci, a qual punto di crudeltà non sareb­
be arrivato? E quello che fa? Abbi pazienza con me, dice, e ti resti­
tuirò tutto. Il suo padrone, mosso a compassione, lo lasciò andare e
gli condonò il debito q. Hai visto ancora la sovrabbondanza della
sua bontà? Il servo chiese solo una dilazione nel tempo e una pro­
roga, mentre quello concesse più di quanto avesse richiesto, la re­
missione e il condono dell’intero debito. Certamente voleva con­
cederlo anche fin dall’inizio; voleva però che fosse dono non solo
suo, ma anche della supplica del servo, perché non andasse via
senza premio. Che tutto dipendesse da lui, anche se il servo si get­
tò a terra e lo supplicò, lo ha mostrato la causa del condono: Mos­
so a compassione, infatti, gli condonò il debito. Ma tuttavia anche
così voleva che sembrasse che pure quello desse qualche contri-

P Mt 18, 24-25. q Mt 18, 26-27.


Omelia 61, 3-4 519

buto, perché non fosse del tutto svergognato e perché, ammae­


strato nelle proprie disgrazie, fosse incline al perdono nei con­
fronti del suo compagno di servitù.

Il c o m p o r t a m e n t o in d e g n o d e l se r v o sp ie t a t o

4. Fino a questo punto egli si mostrò lodevole e ben dispo


ammise il suo debito e promise di pagarlo, si gettò a terra, suppli­
cò, condannò i propri peccati e riconobbe la grandezza del debi­
to. Ma il comportamento successivo fu indegno di quello prece­
dente. Infatti, andato via, subito, non dopo molto tempo, ma su­
bito, quando aveva ancora vivo nell’animo il beneficio ricevuto,
volse al male il dono e la libertà offertagli dal padrone. Trovato un
compagno di servitù che gli doveva cento denari, lo soffocava di­
cendo: Paga quel che devi! r. Hai visto la bontà del padrone? Hai
visto la crudeltà del servo? Ascoltate, voi che vi comportate così
per denaro. Se infatti non si deve agire così per i peccati, a mag­
gior ragione per il denaro 9. E quello che rispose? Abbi pazienza
con me e ti pagherò tutto*. L’altro non ebbe riguardo delle parole
per mezzo delle quali era stato salvato: difatti egli stesso, dopo
averle dette, fu liberato dal debito dei diecimila talenti; non rico­
nobbe il porto, mediante il quale era sfuggito al naufragio; il mo­
do della supplica non gli richiamò alla mente la bontà del padro­
ne, ma, scacciando tutto ciò per avidità, crudeltà e rancore, più fe­
roce di ogni belva soffocava il suo compagno di servitù. Che fai, o
uomo? Non ti accorgi di chiedere10 a te stesso, di spingere la spa­

r Mt 18, 28. s Mt 18, 29.

9 Crisostomo vuol dire che questo atteggiamento spietato è inammissi­


bile nei confronti di chi ha peccato, in quanto, fuor di metafora, qui il debi­
to indica il peccato, e quindi tanto meno si deve agire così a motivo del de­
naro.
10 Perché ciascuno è debitore, cioè peccatore.
520 Omelie sul Vangelo di Matteo

da contro te stesso e di revocare la sentenza e il dono del padro­


ne? Ma non pensò a nulla di questo, non si ricordò della propria
situazione, né accondiscese; eppure, la supplica non riguardava lo
stesso debito. L’uno infatti supplicava per diecimila talenti, l’altro
per cento denari; l’uno pregava il suo compagno di servitù, l’altro
il padrone; l’uno ottenne un condono completo, l’altro chiedeva
una dilazione. Ma quello non concesse nemmeno questa: difatti lo
fece gettare in carcerel.

I l c a stig o d e l padro n e

I suoi compagni di servitù, visto ciò u, lo accusarono davanti al


padrone. Questo non piaceva agli uomini, tanto meno a Dio. Ri­
masero addolorati dunque quelli che non erano debitori. Che dis­
se allora il padrone? Servo malvagio, ti bo condonato tutto quel de­
bito perché mi hai pregato; non dovevi avere compassione anche tu
del tuo compagno di servitù, come io ho avuto compassione di te? v.
Considera ancora la mitezza del padrone. Sul punto di annullare il
suo dono, viene a giudizio con lui e si giustifica; anzi non fu lui ad
annullarlo, ma colui che l’aveva ricevuto. Perciò dice: Ti ho con­
donato tutto quel debito perché mi hai pregato; non dovevi avere
compassione anche tu del tuo compagno di servitù? Anche se que­
sto gesto ti sembra gravoso, dovresti però guardare anche al van­
taggio, passato e futuro. Se anche l’ordine era sgradevole, avresti
dovuto pensare al premio, e non che quello ti aveva offeso n , ma
che tu avevi irritato Dio che avevi riconciliato con una semplice
supplica. E se anche così fosse stato pesante per te diventare ami­
co di chi ti aveva offeso, sarebbe stato molto più gravoso cadere

I Mt 18, 30. u Mt 18, 31. v Mt 18, 32-33.

II Come si è visto in precedenza, la metafora del debito indica il pecca­


to; in questo senso Crisostomo parla del debitore come di colui che aveva of­
feso.
Omelia 61, 4 521

nella geenna; se avessi messo a confronto questa prospettiva con


quella, allora ti saresti reso conto che essa era molto più leggera12.
Quando era debitore di diecimila talenti, non lo chiamò malvagio,
né lo oltraggiò, ma ebbe compassione; quando invece fu insensi­
bile nei confronti del suo compagno di servitù, allora dice: Servo
malvagio.
Ascoltiamo, noi che siamo avari, perché il discorso ci riguar­
da. Ascoltiamo, noi che siamo senza pietà e crudeli, perché non
siamo crudeli verso gli altri, ma verso noi stessi. Quando vuoi ser­
bare rancore, pensa che serbi rancore verso te stesso, non verso un
altro, perché leghi i tuoi peccati, non quelli del prossimo. Tu in­
fatti quello che fai nei suoi confronti, lo fai come uomo e nella vi­
ta presente, mentre Dio non agisce così, ma ti punirà maggior­
mente e con il castigo nell’altra vita. Lo consegnò, finché non aves­
se pagato il dovuto w, cioè per sempre, perché non avrebbe mai po­
tuto pagare. Dal momento che non sei divenuto migliore median­
te il beneficio che hai ricevuto, resta che tu venga corretto con il
castigo. Certamente le grazie e i doni sono irrevocabilix, ma la
malvagità ha avuto una forza così grande da infrangere anche que­
sta legge. Che c’è di più grave del serbare rancore, quando mani­
festamente distrugge un tale e così grande dono divino? E non lo
consegnò semplicemente, ma lo fece irritato. Quando infatti ordi­
nò che fosse venduto, le sue parole non manifestavano ira; perciò
non lo fece, ma fu una grandissima occasione di mostrare la sua
bontà. Ora invece la sua sentenza indica grande irritazione, puni­
zione e castigo. Che vuole dunque dire la parabola? Così farà an­
che a voi il Padre mio, se non perdonate ciascuno di cuore al proprio
fratello le sue colpe y. Non dice: il Padre vostro, ma: il Padre mio.
Non è giusto infatti che Dio sia chiamato Padre di una persona sif­
fatta, così malvagia e disumana.

w Mt 18, 34. x Cf. Rm 11, 29. vM tl8 ,3 5 .

12 La prospettiva cioè di perdonare.


522 Omelie sul Vangelo di Matteo

C ondannare l e p r o p r ie c o l p e p e r p e r d o n a r e

5. Cerca qui di conseguire due risultati; che noi condanni


i nostri peccati e perdoniamo agli altri, e condanniamo per perdo­
nare, perché ciò sia più agevole, in quanto chi pensa alle sue col­
pe, sarà più incline a perdonare al suo compagno di servitù; e non
perdoniamo semplicemente con la bocca, ma col cuore. Non spin­
giamo la spada contro noi stessi lasciandoci prendere dal rancore.
Difatti chi ti ha offeso che danno ti ha arrecato, tanto quanto tu fai
a te stesso conservando l’ira nell’animo e attirando contro te stes­
so la sentenza di Dio che ti condanna? Se sei vigile e vivi virtuosa­
mente, il male si riverserà sulla sua testa e sarà lui a subirlo; se in­
vece rimani irritato e sdegnato, allora tu stesso sosterrai il danno
non da lui, ma da te stesso. Non dire dunque che ha oltraggiato,
ha calunniato, ha procurato innumerevoli mali, perché quanto più
dici, tanto più mostri che è un benefattore. Ha dato infatti l’occa­
sione per purificarti dai peccati, sicché quanto più ha offeso, è per
te motivo di una tanto maggiore remissione dei peccati. Se voglia­
mo, nessuno ci potrà danneggiare, ma anche i nemici ci saranno di
grandissima utilità. E perché parlare degli uomini? Che cosa ci po­
trebbe essere di più malvagio del diavolo? Ma tuttavia anche da lui
abbiamo una grande occasione di onore, e lo dimostra G iobbe13.
Se il diavolo è stato occasione di conseguire premi, perché temi un
uomo che ti sia nemico? Considera dunque quanti vantaggi ricavi
dal sopportare con mitezza le offese dei nemici. Il primo e più
grande vantaggio è quello della liberazione dai peccati; il secondo
è costituito dalla fortezza e dalla pazienza e il terzo dalla mitezza e
dalla generosità. Infatti chi non sa adirarsi nei confronti di coloro
che lo offendono, a maggior ragione sarà disponibile verso quelli
che lo amano. Il quarto vantaggio, che nulla potrebbe uguagliare,
è quello di essere immuni definitivamente dall’ira, perché è evi­
dente che chi è immune dall’ira è libero anche dall’afflizione che

13 In quanto sopportò con grande fortezza e coraggio le sventure che


subì ad opera di Satana: cf. Gb 1, 12ss.
Omelia 61, 5 523

ne deriva e non consumerà la vita in vane fatiche e affanni. Chi


non sa odiare, non sa nemmeno rattristarsi, ma godrà di felicità e
di innumerevoli beni, sicché se odiamo gli altri, puniamo noi stes­
si, così come se amiamo, facciamo del bene anche a noi stessi. Ol­
tre a tutto ciò incuterai rispetto agli stessi nemici, anche se fossero
demoni, anzi, se ti comporterai così, non avrai più nemici. Il pri­
mo e più grande effetto di tutti è che guadagni la benevolenza di
Dio; anche se hai peccato, otterrai il perdono e se hai compiuto il
bene, acquisterai maggior fiducia.

I m it a r e D io e i sa n t i

Sforziamoci dunque di non odiare nessuno perché Dio ci ami


e, anche se siamo debitori di diecimila talenti, sia mosso a com­
passione e abbia misericordia. Hai subito un torto da qualcuno?
Ebbene, abbi compassione di lui, non odiarlo; piangilo, compian­
gilo, non avversarlo. Non sei stato tu a offendere Dio, ma lui; tu
ne ricevi onore se lo sopporti. Pensa che Cristo, quando stava per
essere crocifisso, si rallegrava per se stesso, mentre compiangeva
quelli che lo crocifiggevanoz. Anche noi dobbiamo avere questo
atteggiamento e, quanto più siamo offesi, tanto più compiangere
coloro che ci offendono. A noi infatti ne vengono molti beni, a lo­
ro invece il contrario. Ma ha oltraggiato e colpito davanti a tutti?
Ebbene, ha svergognato e disonorato se stesso davanti a tutti, ha
aperto la bocca di innumerevoli accusatori, ti ha preparato corone
più numerose e ha radunato molti araldi della tua pazienza. Ma ha
calunniato davanti agli altri? E che importa, dal momento che è
Dio che chiederà il rendiconto e non quelli che hanno ascoltato
queste calunnie? Ha aggiunto per sé un motivo di punizione in
modo da rendere conto non solo delle proprie azioni, ma anche di
ciò che ha detto su di te. Ti ha calunniato davanti agli uomini, ma
lui è stato accusato davanti a Dio. Se questo non ti basta, pensa

2 Cf. Le 23,34.
524 Omelie sul Vangelo di Matteo

che anche il tuo Signore è stato calunniato da Satana, dagli uomi­


ni e davanti a quelli che amava soprattutto, e lo stesso è capitato
anche al suo Unigenito 14. Perciò diceva: Se hanno chiamato Beel-
zebul il padrone di casa, quanto più i suoi familiari! aa. Quel malva­
gio demonio non solo lo ha calunniato, ma è stato anche creduto,
e lo ha calunniato non in cose di poco conto, ma con infamie e ac­
cuse gravissime. Disse infatti che era indemoniato, un ciarlatano e
nemico di Dio. Ma, dopo aver fatto del bene, sei andato incontro
a sofferenze? Soprattutto per questo compiangi chi le ha causate e
addolorati e rallegrati invece per te stesso, perché sei divenuto si­
mile a Dio che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoniab. Se su­
pera le tue forze imitare Dio, benché per chi è vigile neppure que­
sto sia d if f icile, ma tuttavia se ti sembra che ciò sia più grande di
te, ebbene, conduciamoti dai compagni di servitù: da Giuseppe,
che subì innumerevoli sofferenze, eppure beneficò i suoi fratelli15;
da Mosè che dopo innumerevoli insidie pregò per loro; dal beato
Paolo che non poteva nemmeno contare quello che soffrì da par­
te loro, eppure desiderava essere anatema per e ssiac; da Stefano
che veniva lapidato e pregava che questo peccato fosse loro ri­
messo ad. Pensando a tutto ciò, scaccia ogni ira perché Dio rimet­
ta anche a noi ogni colpa, per la grazia e la bontà di nostro Signo­
re Gesù Cristo, con il quale siano al Padre e allo Spirito santo glo­
ria, potenza, onore ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

aa Mt 10,25. ab Cf. Mt 5,45. ac C f.R m 9,3. ad Cf. At 7,59-60.

14 Crisostomo sottolinea quindi che sono stati calunniati da Satana e da­


gli uomini sia il Padre, sia il Figlio.
15 Si tratta ancora di Giuseppe, figlio di Giacobbe: cf. Gn 45, 4ss.
N ota d e l l ’E d it o r e

Per gli Indici scritturistico, dei nomi e delle cose notevoli si ri­
manda al terzo volume.
INDICE GENERALE

Giovanni Crisostomo
OMELIE SUL VANGELO DI MATTEO/2
(26-61)

O melia 2 6 ............................................................................ pag. 7


La grande fede del centurione................................... » 7
Il centurione viene additato da Cristo come esem­
pio da im ita re ............................................................... » 8
L’esempio opposto di M a r t a ...................................... » 10
Alle parole del Signore segue il compimento del
p ro d ig io ......................................................................... » 11
Raffronto con la narrazione di L u c a .......................... » 11
Matteo e Luca manifestano il fervore del centurione » 13
Virtù e umiltà del centurione...................................... » 13
Gesù onora il centurione............................................. » 14
Autorità di C r isto ......................................................... » 15
La salvezza viene dalla fe d e ......................................... » 16
Il miracolo e la profezia si confermano reciproca­
mente............................................................................... » 18
Invito alla vigilan za...................................................... » 19
Fiducia e tim ore............................................................ » 21
L’esempio di David . . . ! ......................................... » 22
Confronto con C a in o ................................................... » 23
Pronto ravvedimento di D a v id ................................... » 24
David non disperò......................................................... » 25
Gloria di D a v id ............................................................ » 26
Esortazione a guardarsi dalla negligenza................... » 27
528 Indice generale

O melia 2 7 .................................................................. pag. 29


Varietà delle modalità delle guarigioni operate da
Cristo....................................................................... » 29
Potenza di C r is t o ................................................ » 30
La testimonianza delle S c rittu re ....................... » 31
Gesù insegna a non agire per ostentazione........ » 32
Cristo guarda all’intenzione dell’animo.............. » 33
Niente è più necessario dei beni celesti.............. » 36
Non si deve sciupare il t e m p o ............................. . » 37
Supplicare Gesù per coloro che sono morti spiri­
tualmente ...................................................................... » 39

O melia 2 8 ................................................................... » 41
Gesù, eccellente m a e stro .................................... » 41
Perché Gesù dorme durante la tempesta........... » 42
Superiorità di Cristo su M osè.............................. » 44
Il mare e i demoni attestano la divinità di Cristo. . » 45
Contro le arti magiche. . ......................................... » 46
Le anime, dopo la separazione dal corpo, non va­
gano sulla t e r r a .................................................... » 47
Perché Cristo acconsente alla richiesta dei demoni. » 48
Potenza e mitezza del S ig n o r e .......................... » 50
Il dissoluto e l’avaro sono come indemoniati. . . . » 51
Mostruosità dell’avaro.......................................... » 53
Come liberarsi dall’avarizia................................. » 54

O melia 2 9 ................................................................... » 56
Confronto con l’episodio del paralitico narrato da
Giovan n i................................................................ » 56
Parità di onore di Cristo con il Padre . . . . . . . » 57
Cristo svela i segreti del c u o r e .......................... » 59
Cristo cura le infermità del corpo e dell’anima. . . » 61
Imitare la mansuetudine divina........................... » 62
Divenire medici delle anime ...................... » 63

O melia 3 0 .................................................................... » 65
La chiamata di C risto .......................................... » 65
Indice generale 529

Perché è narrata la chiamata soltanto di alcuni apo­


stoli ................................................................................. pag. 67
Cristo faceva uso di ogni genere di c u r a ................... » 68
L’atteggiamento dei farisei............................................ » 70
Necessità della misericordia......................................... » 71
Controversia sul d ig iu n o ............................................ » 72
Preannuncio della passione......................................... » 74
Gesù si serve di esempi simili a quelli dell’Antico
Testamento...................................................................... » 75
Come comportarsi con una moglie che ama gli or­
namenti ......................................................................... » 77
Procurarsi la bellezza dell’a n im a ................................ » 79

O melia 3 1 ............................................................................ » 82
Confronto tra gli evangelisti......................................... » 82
La fede della donna che soffriva di emorragia . . . » 83
Cristo manifesta la donna che soffriva di emorragia » 85
Veridicità del m ira c o lo ................................................ » 87
La realtà della resurrezione esorta a non abbando­
narsi ad eccessive manifestazioni di dolore. . . . . » 88
Non comportarsi peggio dei pagani e dei barbari . » 90
Non lasciarsi dominare da un’afflizione irrazionale . » 92

O melia 3 2 ............................................................................ » 95
Gesù richiede la f e d e ................................................... » 95
Cristo esorta a rendere gloria a Dio............................. » 97
Stupore delle folle davanti ai prodigi di Gesù . . . » 97
Il comportamento di Gesù è opposto a quello dei
demoni............................................................................ » 98
Gesù prepara i suoi discepoli ad affrontare le lotte
nel m o n d o ...................................................................... » 99
Gesù, padrone della messe, invia i suoi discepoli . » 100
Sollecitudine di G e s ù ................................................... » 103
Gli apostoli, araldi del re g n o ...................................... » 104
Prescrizioni di Gesù agli apostoli................................ » 104
L’operaio ha diritto al suo nutrim ento...................... » 106
530 Indice generale

L’accoglienza ai discepoli di C risto ................... pag. 107


La pace che il celebrante dà in chiesa, casa comune
di tutti, è figura di C r isto .................................... » 109
La sollecitudine e l’amore di Crisostomo per i suoi
fedeli....................................................................... » 111
Non cercare i miracoli, ma la salute dell’anima . . » 113
La virtù è un grande prodigio.............................. » 114

O melia 3 3 .................................................................... » 117


Gesù prepara i suoi discepoli al combattimento . . » 117
Le pecore hanno la meglio sui lu p i.................... » 118
Unire la prudenza alla semplicità........................ » 120
Le prove affrontate dagli apostoli........................ » 121
Motivi di conforto per i discepoli di Cristo . . . . » 123
Superiorità degli apostoli sui filosofi e su illustri
personaggi del passato.......................................... » 124
Cristo richiede la perseveranza........................... » 127
Contrasto con la situazione presente................. » 128
Esercitarsi nella lotta: l’esempio di Giobbe . . . . » 129
Fortezza di Giobbe, che non era inferiore agli apo­
stoli .................................................................................. » 132
Confronto con i tre giovani nella fo r n a c e ........ » 134

O melia 3 4 .................................................................... » 136


Gesù è vicino ai suoi discepoli nei pericoli. . . . . » 136
Gesù conforta i suoi d isc e p o li........................... » 137
Franchezza e universalità della predicazione degli
apostoli....................................................................... » 139
Non temere quelli che non possono uccidere l’ani­
ma, migliore del c o r p o ....................................... » 140
La provvidenza di Dio.......................................... » 141
Si deve aver timore di chi può castigare l’anima e il
corpo....................................................................... » 142
Confessare Cristo pubblicamente....................... » 142
Vantaggi che derivano dal fatto che i corpi si cor­
rompono ......................................................................... » 144
Indice generale 531

La bellezza dell’anima................................................. pag. 147


Il corpo, maschera dell’anima...................................... » 148

O melia 3 5 ............................................................................ » 149


Vera e falsa pace............................................................ » 149
Qual è la guerra cui allude Cristo................................ » 150
Non anteporre nulla all’amore di C risto ................... » 152
Perdere la propria vita per ritrovarla.......................... » 154
La ricompensa e l’onore per chi accoglie i discepo­
li di C risto ...............................................
Accogliere anche i più disprezzati ed emarginati. . » 156
Esercitare sempre la misericordia................................ » 158
L’impudenza di chi disprezza il povero...................... » 161
L’assurdità del comportamento di chi, oltre a non
beneficare, insulta il povero......................................... » 163

O melia 3 6 ............................................................................ » 165


Giovanni Battista invia a Gesù i suoi discepoli. . . » 165
Invidia dei discepoli del B a ttista ................................ » 167
La risposta di Gesù alla domanda di Giovanni Bat­
tista .................................................................................. » 168
Il Battista non ignorava la futura passione di Gesù,
predetta dai p r o fe ti...................................................... » 170
Si è giudicati in base al comportamento nella vita
terrena............................................................................ » 172
Premi e castigh i............................................................ » 174
La giustizia di D io .................................................. . » 175

O melia 3 7 ............................................................................ » 177


Gesù dissipa i dubbi della folla su Giovanni Battista » 177
Grandezza del B a ttis ta ................................................ » 179
In che senso Gesù è messo a confronto con Giovan­
ni B a ttis ta ...................................................................... » 181
Coloro che fanno propria la fede in Cristo » 182
Gesù stimola l’attenzione dei suoi ascoltatori . . . » 183
Armonia tra Gesù e Giovanni B attista...................... » 184
532 Indice generale

Atteggiamenti contraddittori degli oppositori di


G e s ù .............................................................................. pag. 186
Rimproveri di G e s ù ...................................................... » 187
Accogliere i poveri e prestare attenzione agli apo­
stoli. ............................................................................ » 188
Fuggire l’ascolto di ciò che contamina l’animo. . . » 189
L’immoralità degli spettacoli teatrali.......................... » 190
Non essere peggiori dei barbari, ma trovare alter­
native agli spettacoli teatrali......................................... » 193
Se non ci fossero spettatori, non ci sarebbero spet­
tacoli ............................................................................... » 194

O melia 3 8 ..........................................................
In molti modi Gesù spinge alla f e d e .......................... » 196
I sapienti e i p ic c o li ; ................................... » 197
Pari dignità tra il Padre e il F i g l i o ............................. » 199
II conforto di C risto ...................................................... » 201
Il bene dell'umiltà......................................................... » 202
Il peso della malvagità................................................... » 203
E più piacevole la vita virtuosa................................... » 204

O melia 3 9 ..................................................................... » 20
Gesù e il s a b a to ............................................................ » 207
Gesù difende i suoi discepoli...................................... » 208
Sapienza di Cristo nel presentare le sue argomenta­
zioni ................: ........................................................... » 210
Cristo interiorizza il significato del sa b a to ................ » 212
Entrare nella terra p ro m e ssa ...................................... » 214
Grazia e impegno dell’u o m o ....................'................. » 215

O melia 4 0 ............................................................................ » 217


Misericordia e bontà del Signore................................ » 217
Nemmeno i miracoli riescono a persuadere un’ani­
ma in grata............................................................... » 21
Cristo profetizzato da I s a ia ......................................... » 220
Il male dell’invidia......................................................... » 222
Indice generale 533

Come liberarsi dall’in v id ia ........................................ pag. 224


L’invidioso danneggia se ste sso ................................... » 225
L’invidia nella C h ie sa ................................................... » 226
I rischi della ricerca del favore popolare................... » 227
Nelle mollezze l’anima è più d e b o le .......................... » 228

O melia 4 1 ............................................................................ » 230


Gesù insegna ad essere m iti......................................... » 230
La discordia è causa di rovina...................................... » 231
Altra argomentazione svolta da G esù.......................... » 232
Lo splendore della venuta del Figlio di Dio . . . . » 233
Satana incatenato da C risto......................................... » 234
Schierarsi con C r i s t o ................................................... » 235
La bestemmia contro lo Spirito s a n t o ...................... » 236
Esaminare se stessi ed avere coscienza dei propri
p eccati............................................................................ » 238
Le vie di salv e z z a ......................................................... » 240

O melia 4 2 ...............................................................
Illogicità delle accuse rivolte a Cristo.......................... » 241
Cristo conosce i segreti del cuore................................ » 243
Saremo giudicati in base alle nostre parole » 244
Non è un male subire l’ingiustizia, ma farla . . . . » 245
II caso esemplare di D a v id ......................................... » 246
Fuggire la maldicenza ed esaminare i propri peccati,
non quelli a ltru i............................................................ » 247
Fare l’esame di coscienza e non abbandonarsi a va­
ni p en sieri...................................................................... » 249

O melia 4 3 ............................................................................ » 252


Impudenza degli avversari di C r is t o .......................... » 252
Prefigurazione della resurrezione................................ » 253
Prefigurazione della croce............................................ » 255
Gesù e G io n a ............................................................... » 257
Gesù e S alo m o n e ......................................................... » 258
La predizione del castigo fu tu r o ................................ » 258
534 Indice generale

Se non c’è una retta disposizione interiore i miraco­


li sono inutili................................................................. pag. 261
Non abusare dell’infinita pazienza di D i o » 261
Non è motivo di conforto essere condannati alla
geenna insieme ad a l t r i ................................................ » 263
La necessaria severità del p red icato re...................... » 264
La vita retta dei cristiani è una spinta all’evangeliz­
zazione ............................................................................ » 266
Far risplendere la luce nelle ten eb re.......................... » 266

O m e l ia 4 4 ............................................................................ » 269
Sollecitudine e finalità dell’atteggiamento di Cristo » 269
La parentela secondo la v irtù ...................................... » 272
Affetto di Gesù per sua m a d re ................................... » 274
Perché Gesù parla in p a rab o le ................................... » 274
Il piano salvifico divino nella parabola del semina­
tore .................................................................................. » 275
Gesù esorta a non perdersi d’animo, anche nel caso
di insuccesso della predicazione............................ » 276
Le vie della p erd izio n e............................................ » 277
Il triplice frutto della terra buona................................ » 279
Praticare la virtù nel suo co m p lesso .......................... » 280
I danni dell’ingordigia e dei b a g o rd i......................... » 280

O m e l ia 4 5 ..................................................................: . .
» 284
Grazia e libero a rb itrio ................................................ » 284
La testimonianza di I s a i a ............................................ » 286
II Signore fa di tutto per s a lv a r e ................................ » 287
H peccato non deriva dalla natura, ma dalla volontà » 287
Unità fra Antico e Nuovo Testam ento...................... » 288
Differenti sono le vie della salvezza............................. » 288
Chi soccorre il povero diventa sacerdote di Cristo. . » 290

O m e l ia 4 6 ............................................................................ » 293
Le insidie del d iav o lo ................................................... » 293
Il veleno degli e r e tic i................................................... » 295
Indice generale 535

Gli eretici devono essere combattuti, ma non elimi­


nati ................................................................................. pag. 296
Le parabole della senape e del lievito: la diffusione
universale dell’annuncio evangelico............................. » 297
Gli apostoli si distinsero non per i miracoli, ma per
la loro v it a ...................................................................... » 299
Ai miracoli è preferibile una vita eccellente . . . . » 301
Il più grande miracolo: eliminare il peccato . . . . » 303

O melia 4 7 ............................................................................ » 304


H metodo di insegnamento mediante parabole è
preannunciato dai profeti............................................ » 304
Come devono essere intese le parabole...................... » 305
La mietitura e la sem ente............................................ » 306
Le parabole del tesoro e della perla: anteporre a tut­
to l’annuncio evangelico................................................ » 307
Per la salvezza non basta la sola fed e.......................... » 308
Necessità di leggere le Scritture................................... » 310
La virtù e le sue m e m b ra ............................................ » 310
Virtù dell’evangelista M atte o ...................................... » 311
L’umiltà e la m isericordia............................................ » 312
La ricchezza della povertà............................................ » 313

O melia 4 8 ............................................................................ » 315


Gesù viene disprezzato nella sua patria...................... » 315
La paura del tiranno e la grandezza della virtù. . . » 318
L’uccisione di Giovanni B a ttis ta ................................ » 319
La legislazione familiare nell’Antico Testamento. . » 320
Lo spettacolo satanico, durante il quale fu ucciso il
Battista............................................................................ » 321
La danza e il diavolo...................................................... » 322
Dio permette le sofferenze del giusto.......................... » 323
La lussuria rende dissoluti e san gu in ari................... » 325
I giusti non maledicono i peccatori, ma li compian­
gono ............................................................................... » 326
Contro i conviti d isso lu ti............................................ » 327
536 Indice generale

L’indigenza che Cristo patisce attraverso i poveri . pag. 328


Cristo viene nutrito nei p o v e r i................................... » 330
Non più parassiti né adulatori, ma amici................... » 332

O m elia 4 9 ......................................................................... » 334


Gesù mostra la sua umanità......................................... » 334
Immensa compassione di Gesù per le folle » 335
Sapienza di G e s ù ......................................................... » 336
Cristo compie i prodigi sia con autorità sia con
u m iltà ............................................................................ » 337
Il prodigio operato da Cristo non era inferiore
a quello della creazione................................................ » 338
Sobrietà dello stile di vita dei discepoli di Cristo . » 339
Insegnamenti di Gesù in occasione del miracolo. . » 340
Cercare il pane celeste................................................... » 341
L’arte della misericordia................................................ » 342
Vera e falsa a r t e ...............................................
Il lusso smodato delle calzature................................... » 344
Esempi di giovani dissoluti e frivoli............................. » 346
Preghiera per la gioventù............................................ » 348

O m elia 5 0 ............................................................................
» 350
Pedagogia di Cristo nei confronti dei discepoli . . » 350
Le prove sopportate dai g i u s t i ................................... » 351
Ardore di Pietro............................................................ » 352
Essere vicini a Cristo con la f e d e ............................ » 354
Accostarsi con cuore puro al corpo di Cristo nella
mensa eu caristica......................................................... » 355
Il mistero eucaristico è mistero di pace...................... » 357
Eucaristia e cura dei poveri......................................... » 358
Grande valore dell’elemosina...................................... » 360

O m elia 5 1 ............................................................................ » 362


La tradizione degli antichi............................................ » 362
Replica di G e s ù ............................................................ » 363
La legge e ciò che è imposto dagli uom ini » 364
Indice generale 537

Isaia preannuncia le parole di C risto ........................ pag. 366


Cristo legifera al momento opportuno...................... » 367
Gesù di fronte allo scandalo dei farisei...................... » 369
Guide cieche...............................................
Quello che rende impuro l’uom o................................ » 371
Rivolgersi a Dio nella preghiera con coscienza pu ra. » 373
Il vero danno viene da se ste ssi................................... » 375
La schiavitù e la tirannia delle ricchezze................... » 376

O melia 5 2 ............................................................................ » 378


Gesù e i p a g a n i............................................................ » 378
Lo spettacolo compassionevole della donna cananea » 379
La supplica insistente della C ananea.......................... » 381
Umiltà e fede della C a n a n e a ...................................... » 383
Lo stupore di fronte alle guarigioni operate da Gesù » 384
L’elemosina è la migliore delle a r t i ............................. » 385
Interdipendenza delle varie arti................................... » 386
Vantaggi dell’elemosina................................................ » 387
Alla scuola dell’elemosina............................................ » 389
Non si deve fare elemosina con il frutto di rapine
ed ingiustizie................................................................... » 390

O melia 5 3 ............................................................................ » 392


Compassione di Gesù per le folle................................ » 392
Imperfezione dei d isc e p o li......................................... » 393
Particolarità di questa moltiplicazione dei pani e dei
p e s c i............................................................................... » 395
Il segno dal cielo............................................................ » 396
Il rimprovero di G e sù ................................................... » 398
Alterne vicende della vita um ana................................ » 400
Confronto tra le diverse condizioni degli uomini . » 401
E di conforto il ricordo delle opere buone » 403

O melia 5 4 ............................................................................ » 405


Domande su G esù......................................................... » 405
Confessione di P ie tro ................................................... » 406
538 Indice generale

Le promesse di Gesù a Pietro..................................... pag. 408


Perché Gesù ordina di non rivelare la sua iden­
tità .................................................................................. » 409
Annuncio della p a s s io n e ................................... »
Pietro rimproverato da Cristo...................................... » 412
Esaltazione della croce di C r is to ................................ » 413
Essere soldati del Re celeste......................................... » 416
La ricchezza dei doni di D i o ...................................... » 417

O m e l ia 5 5 ............................................................................ » 420
La mitezza è più potente della f o r z a .......................... » 420
Rinnegare se stessi......................................................... » 422
Prendere la propria croce e seguire C risto » 422
Essere disposti a dare la propria vita per Cristo . . » 424
Prendersi cura dell’anim a...................................... . » 426
La prospettiva del giudizio finale . ......................... » 427
L’esempio dei m onaci................................................... » 428
Spiegazione dell’inno dei m onaci................................ » 430
Tutti possono emulare la filosofia dei monaci . . . » 434

O m e l ia 5 6 ............................................................................» 436
Il Signore mostra il Regno ai suoi discepoli . . . . » 436
La trasfigurazione......................................................... » 437
Mosè ed E lia .................................................................. » 439
Intervento di P ie tro ...................................................... » 441
La voce dalla nube......................................................... » 443
Lo sbigottimento degli apostoli................................... » 445
La visione di Cristo nel giudizio fin ale...................... » 446
La misericordia è agevole e libera da ogni preoccu­
pazione ............................................................................ » 447
Contro il prestito ad interesse: non si deve specu­
lare sulla povertà a ltr u i................................................ » 448
L’usura è detestata dalla legge di Dio e da quella
profana............................................................................ » 450
L’angoscia dell’u s u r a io ................................................ » 451
Indice generale 539

O m e l ia 5 7 ...........................................................................
pag. 453
Le due venute di C risto ................................................ » 453
Giovanni Battista e E lia ................................................ » 455
Fede e m ira c o li............................................................ » 457
Gesù spinge alla fede il padre dell’epilettico . . . . » 458
Efficacia della provvidenza d iv in a ............................. » 460
La forza della fede......................................................... » 460
Preghiera e d igiu n o ...................................................... » 462
Contro l’intemperanza................................................... » 463
Il vino è per la gioia, non per l’ubriachezza . . . . » 465

O m e l ia 5 8 ............................................................................
» 468
Nuovo annuncio della passione ................... » 468
La questione del tributo del te m p io .......................... » 469
Gesù rivela la sua potenza divina................................ » 471
L’onore tributato da Cristo a P ie t r o .......................... » 472
Insegnamento di um iltà................................................ » 473
Lo scandalo della tracotan za...................................... » 474
Non c’è motivo di vantarsi per gli antenati » 477
Gli affanni delle ricchezze e del potere...................... » 478
Vanità e pericolosità della gloria terrena................... » 480

O m e l ia 5 9 ............................................................................ » 483
La terapia adottata da C r isto ...................................... » 483
La predizione degli scandali non elimina il libero
arbitrio............................................................................ » 484
Il peccato non riguarda la natura, ma la libera vo­
lontà ............................................................................... » 486
Contro la dottrina manichea: il male non è ingene­
rato .................................................................................. » 488
I mali provengono dalla negligenza............................. » 489
Eliminare le occasioni di sca n d a lo ............................. » 491
Chi sono i piccoli che non si devono disprezzare . » 492
La volontà di salvezza del Padre e del Figlio. . . . » 493
Esortazione ad impegnarsi per la salvezza dei fratelli » 495
Esercitare instancabilmente la correzione fraterna . » 496
540 Indice generale

Preoccuparsi delle persone e non delle cose . . . . pag. 498


La gioventù viene colpevolmente abbandonata a se
stessa......................................................................... » 499
La tirannia delle ricchezze...................................... » 501

O m elia 6 0 ...................................................................... » 503


La correzione fraterna............................................. » 503
L’intervento dell’assemblea ecclesiale................... » 506
Le condizioni perché le preghiere siano esaudite . » 507
Cristo, fondamento della vera amicizia................ » 508

O m elia 6 1 ......................................................................
» 511
Perdonare sem pre................................................... » 511
La differenza tra i peccati verso Dio e quelli verso
il prossim o............................................................... » 512
I benefici d iv in i...................................................... » 513
L’esame dei peccati di varie categorie: i soldati . . » 514
Gli artigian i............................................................ » 516
I proprietari terrieri................................................ » 516
Pedagogia divina nella parabola dei due debitori . » 517
II comportamento indegno del servo spietato . . . » 519
Il castigo del p ad ron e............................................ » 520
Condannare le proprie colpe per perdonare . . . . » 522
Imitare Dio e i san ti................................................ » 523

Nota dell’E d ito re ......................................................... » 525

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