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Lezione 3 Miletti 29.03.2021 Mattina (Rivista Marianna)

La lezione esplora l'influenza del cristianesimo sul diritto medievale, evidenziando come Costantino trasformò la giustizia, rendendo il vescovo un'autorità giuridica attraverso l'episcopalis audientia. Questo cambiamento, che elevò il vescovo a giudice sacro, portò a una fusione tra giustizia religiosa e ordinaria, influenzando le procedure legali. Giustiniano, successivamente, consolidò queste innovazioni, stabilendo che il consenso di entrambe le parti fosse necessario per trasferire le cause al vescovo, ma mantenne anche poteri di intervento per il vescovo in caso di giudici inerti o corrotti.

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Lezione 3 Miletti 29.03.2021 Mattina (Rivista Marianna)

La lezione esplora l'influenza del cristianesimo sul diritto medievale, evidenziando come Costantino trasformò la giustizia, rendendo il vescovo un'autorità giuridica attraverso l'episcopalis audientia. Questo cambiamento, che elevò il vescovo a giudice sacro, portò a una fusione tra giustizia religiosa e ordinaria, influenzando le procedure legali. Giustiniano, successivamente, consolidò queste innovazioni, stabilendo che il consenso di entrambe le parti fosse necessario per trasferire le cause al vescovo, ma mantenne anche poteri di intervento per il vescovo in caso di giudici inerti o corrotti.

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Lezione 29-03 (mattina)

Storia del diritto medievale più lentamente i processi storici.


La vera differenza (sebbene ce ne siano molte) tra diritto antico e diritto medievale è la decisiva influenza:
religione cristiana nel medioevo.
Il medioevo non inizia quando crolla l’Impero Romano d’occidente, ma quanto subentra l’elemento di
grande novità, inizio IV sec. dopo Cristo: il cristianesimo, che trasforma il diritto, perché si mette/inocula un
elemento di religiosità, come elemento estrinseco esterno ed ora diventa un pilastro su cui si regge.
Mentre nel diritto romano era un elemento simbolico, nel diritto medievale la religione diventa una ragione
del diritto (non posso insultare i miei genitori perché è peccato).
Le visioni religiosi e laiche si intrecciano per oltre secoli a venire.
Si riconduce questo elemento nel 313d.C., nella giuridicità, con Costantino, il quale fu un grande
imperatore, che tentò di rimettere in sesto i pezzi di un impero che si stava sfaldando, e provò a sintetizzare
questi aspetti.
Lo fa perché si converte al cristianesimo, molti storici discutono sulla sincerità di questa conversione, ma
ciò che ci interessa sono gli effetti. Infatti, gli effetti comportano che quell’Impero, che per decenni aveva
perseguitato i cristiani, adesso invece diventa sostenitore di questa religione. Perché nel 313 Costantino
emana l’edito di Milano che tollera la religione cristiana entro i confini dell’impero, e a seguito di tale
provvedimento rese questa religione, una religione di stato.
Al tempo di Costantino cosa comporta il passaggio al cristianesimo? E quali sono le conseguenze? La
conseguenza l’avvertiamo nell’ambito della giustizia, ovvero nei processi. Si sa infatti, che la storia del
diritto, non solo è storia delle leggi, ma anche storia della giustizia ed è molto concreta, come si fa la
giustizia. Come può la revisione cristiana cambiare il modo in cui si fa giustizia? Se la religione diventa
elemento che influisce, io vado dal giudice per chiedergli giustizia, nel senso religioso del termine.
(Se tizio mi ha rubato la legna, che avevo messo da parte per il prossimo inverno, vado dal giudice (prete) e
gli dico che questo ha violato il 7° comandamento. I contenuti sono diversi, se diventa una giustizia
religiosa, ovviamente ci saranno anche gli ordinamenti statali, che ci dice di non rubare, ma nell’ambito
religioso prevale la fonte normativa del comandamento.

A noi però interessa di più l’aspetto organizzativo: al giurista interessa l’aspetto organizzativo, ma anche da
chi puoi chiamare in giudizio tizio che ti ha rubato la legna, in quanto tempo puoi andare davanti al giudice
a dire che ti hanno rubato la legna, o quali moduli da compilare. Diremmo la cornice diremmo.
Costantino intervenne proprio su questo e il suo intervento ci mostra come la religione può modificare,
anche concretamente, le procedure.
TEMA ESAME: giustizia del vescovo: EPISCOPALIS (che significa vescovile) AUDENTIA, il che significa
tribunale del vescovo.
Cosa sarebbe? Questo istituto ha una radice biblica, negli atti degli apostoli, che sono i tanti documenti e le
testimonianze della vita di Gesù.
Si racconta dell’apostolo più organizzatore, ovvero di Paolo, che si convertì sulla via di Damasco, che
assieme a Pietro, è considerato un fondatore della chiesa.
Nella chiesa c’è questa dicotomia in cui PIETRO si caratterizza per la FONDAZIONE SPIRITUALE e PAOLO
ORGANZZATORE.
Paolo aveva detto, rispondendo ad alcuni fedeli, “quando litigherete tra voi cristiani, mi raccomando non
fatevi riconoscere, perché già gli imperatori ci perseguitano, voi fate sembrare spaccati. Accordatevi e
rivolgetevi ad un arbitro, che non fa parte della struttura ufficiale della giustizia”.

ARBITRO è un soggetto che le parti di comune accordo scelgono, in alternativa rispetto alla giustizia
ordinaria. Quindi l’arbitro è un giudice, scelto dalle parti.
Nello sport, l’arbitro serve a tenere la soluzione della controversa dentro ad un sistema separato, qualche
giurista direbbe in un sistema che prende le sembianze di un altro ordinamento.
San Paolo dava un “consiglio”.
Adesso cosa c’entra con Costantino? Constatino, infatti, rispetto a Paolo veniva quasi 250 anni dopo, ma
quando si converte e trascina con sé l’Impero Romano, rendendo tollerante la religione cristiana, prende da
paolo l’idea di istituzionalizzare, formalizzare, la trovata dell’arbitro.
Paolo aveva detto qualcosa di molto specifico oltre a ciò che abbiamo evidenziato prima, ovvero “quando
litigherete, andate davanti una persona di spicco”, noi oggi diremmo notabile (vip), poiché la comunità
riconosca la sua notorietà. E sebbene non avesse detto la parola implicita, nelle comunità cristiane, questa
persona che conta è il VESCOVO.

Nel 318, 5 anni dopo l’editto di Milano, Costantino emana la 1° costituzione (che è la legge dell’imperatore),
che disciplina la episcopalis audientia.
Questa stabiliva che quando 2 parti litigheranno (in una causa), se uno dei 2 litiganti decide di ricorrere al
vescovo, il giudice ordinario dovrà sospendere il processo. Così facendo la decisione del vescovo sarà
tenuta per sacra, indiscutibile.
C’è stata una grande rivoluzione, che nasce dal fatto che la religione cristiana diventa conosciuta, così come
il vescovo, al tal punto che le decisioni emanate dal vescovo sono sacre e immutabili.
Questa novità creò delle incertezze. Sappiamo che 15 anni dopo, quindi 333, Costantino emana una 2°
costituzione sulle episcopalis, che gli storici ritengono INTERPRETAZIONE AUTENTITA (autentica quando
l’interpretazione proviene dallo stesso soggetto che ha emanato la prima norma)

Cosa dice in questa seconda costituzione? Dice quello che avevamo capito bene nella prima, ovvero la
regola (che la causa si sospende e si trasferisce al vescovo) vale anche quando nel caso in cui fosse una sola
parte a richiederla.
Se io cristiano litigo con il mio vicino (non cristiano), che fa cadere gli alberi nel mio terreno, quando fa la
potatura e voglio essere giudicato dal vescovo, posso trascinarmi davanti al vescovo anche il mio vicino che
non è cristiano. Viene meno la regola tipica dell’arbitrato (accordo e convenzionale).
Questo è un grande favore che Costantino fa alla chiesa, perché non solo eleva il vescovo, con già la 1°
costituzione, al rango di giudice così decisivo che le sue decisioni devono essere considerate sacre dal
giudice laico, ma anche che il vescovo può essere adito anche su richiesta di una sola parte e che di solito è
la parte cristiana.
È chiaro che entrano in gioco gli interessi che hanno da sempre animato il mondo, se sono cristiano e voglio
andare sotto al vescovo, lo faccio perché spero che quest’ultimo mi favorisca. Ma anche se non ci fosse
questo aspetto deteriore, che caratterizza il mondo, potrebbe essere che il vescovo ragionerà in termini più
consoni alla visione cristiana della vita.

E dopo? La religione cristiana , come già detto, da religione tollerata, con Costantino, diventa
ufficializzata con editto di Tessalonica nel 380 come religione di stato.
A questo punto ci si aspetterebbe che episcopalis audientia dilaghi dopo la proclamazione di religione di
stato, ma in realtà essendo la storia imprevedibile, succede che gli altri imperatori successori a Costantino,
chiariranno ancora una volta e invertiranno la marcia, diranno che è necessario, affinché la causa si
trasferisca al vescovo, che la causa abbia il consenso di entrambe le parti, ritorna una dimensione arbitrale.

Ma poi nella prima età del VI sec. dopo Cristo, arriva un grande imperatore GIUSTINIANO.
Questo prepara, predispone ed elabora un corpus normativo gigantesco, CORPUS IURIS CIVILIS, mette
dentro anche le norme dei suoi predecessori e si trova anche a scegliere, perché dovrà fare una selezione,
quale norma bisognava tenere in vigore: se quella di Costantino, che accetta che anche su richiesta di una
sola parte la causa si poteva trasferire al vescovo; o quelle dei suoi successori, che riteneva essenziale il
principio dell’accordo.
Un po' a sorpresa, essendo Giustiniano religiosissimo o comunque falsamente religioso, ma a noi non
interessa, scelse la seconda strada, ovvero la necessità che per trasferire la causa dalla giustizia ordinaria a
quella vescovile ci fosse il consenso di emtrambi. Ma il “diavolo è nei dettagli”.
Giustiniano poi aggiunge anche altre compilazioni: le novelle costitutiones, quelle che innovano, rispetto
alle sue stesse leggi precedenti.
Cosa dicono queste novelle? Le novelle stabilivano che fosse necessario il consenso di entrambi, senza
prepotenza, però Giustiniano stabilisce che il vescovo possa intervenire con funzione sollecitatoria sul
giudice ordinario, quando il quest’ultimo sia inerte, assente o corrotto.
Ipotesi:
1) corrotto: il vescovo è informato oppure se ne accorge e sostituisce il giudice corrotto. È un potere
invasivo rispetto alla giustizia ordinaria, anche se non c’è il consenso per adire il vescovo,
quest’ultimo si prende un grande potere, con questa rimozione;
2) inerte: il vescovo può sollecitare, fino a rimuovere giudice se non emana sentenza;
3) assente: poteva capitare in periodi di guerra, di pestilenza e carestia, che il giudice non ci fosse
proprio e così mi rivolgevo al vescovo, saltando il passaggio del consenso. Sebbene non ci siano
grandi testimonianze, era molto frequente.

Prima notizia: episcopalis audentia non finisce con Costantino e Giustiniano, tra i quali passano 200 anni.
Con arrivo dei barbari ecc. episcopalis audentia continuò a funzionare, come una ROCCAFORTE della
giustizia cristiana.
Per molti secoli dell’alto medioevo, la giustizia del vescovo era un baulando per i cittadini, se non l’avesse
aiutato il vescovo, forse giustizia non ne avrebbe avuta.
ATTENZIONE PERO’: quando parliamo di vescovo, non lo intendiamo come personalità, ma al suo ufficio,
perché era accerchiato da giuristi.
Inoltre, vescovo nell’alto medioevo era figura importante, perché la chiesa altomedievale era impermeata
sui vescovi, e non tanto sul papa che istituzionalmente era maggioriate importante. Mentre hanno
maggiore importanza i papi del tardo medio evo, che hanno lasciato una più grande impronta: Innocenzio
terzo, Bonifacio ottavo
Seconda notizia: il vescovo si occupava di vicende ecclesiastiche, ad oggi parliamo di diritto canonico, ma
rispetto ai tempi nostri la chiesa aveva una penetrazione enorme nella società, quanto influisse nella vita,
ma anche che molte regole della vita civile erano disciplinate dal diritto canonica, e qui interveniva
l’episcopalis audentia: es. nei paesini piccoli era normale che si sposassero tra parenti e occorreva una
dispensa, che sappiamo oggi essere il diritto matrimoniale, così come successione, filiazione ecc.
Terza notizia: la chiesa con Giustiniano, per effetto di quelle novelle, diventa una sorta di baluardo anche
per le istituzioni laiche, imperiali, fino a che permane l’impero. Ovvero quando Giustiniano dice che il
vescovo può rimpiazzare o sostituire il giudice, da un compito di ispezione rispetto ordinamento laico, è
come se portasse chiesa dentro la giustizia secolare, Giustiniano fa di più di quanto avesse fatto Costantino.
I vescovi agiranno come ISPETTORI DELL’IMPERO, se c’è qualcosa che non funziona intervengono i vescovi.

GIUSTINIANO fa rivivere all’Impero Romano il sogno breve della riunificazione imperatore d’oriente.
Succede che quando crolla Impero Romano d’occidente, crolla sotto i colpi dei barbari. In particolare, in
Italia arrivano i Goti che invadono la nostra penisola e portano lo scompiglio. Dal punto di vista giuridico,
portano con sé un diritto molto più arretrato/rozzo, basato su consuetudini e quindi non scritto, anche
perché la stragrande maggioranza dei barbari era analfabeta. Diremmo nulla a che veder con il diritto
romano, che era elevato, aulico e civilissimo.
Il diritto barbarico parte da un presupposto diverso rispetto al diritto romano, criterio applicativo rovesciato
rispetto al diritto romano. Il diritto romano, nei periodi più evoluti, si applicava su base territoriale: “io sono
qui e rispetto il diritto romano”.
I barbari partivano da un presupposto di un diritto di criterio personale, perché si applica alla stirpe, poi
condannato nel tardo ‘900, della propria razza ed etnia.

Quando arrivano i longobardi, male peggiore che ci potesse capitare, la più arretrate tra le popolazioni
barbare. In mezzo però c’è Giustiniano.
- 476 d.C. crollo Impero Romano occidente;
- Poi in tutta l’Europa del sud, scendendo dalla Germania, le popolazioni barbariche;
- Poi nella prima metà 500 d.C. Giustiniano;
- Poi caduta di Giustiniano e bizantini;
- Nel 568 arrivano i longobardi.

Giustiniano grande personalità, con luci e ombre:


i medievali dicevano “GIUSTINANIO GIUSTISSIMO”, dal nome IUSTINANUS traevano la radice di iustitia e
davano per scontato che con quel nome non poteva non essere giusto. Alcune recenti analisi hanno
dimostrato il contrario, un personaggio molto diverso da come descritto è descritto dal medioevo.
Importante è ciò che ha fatto: decise di salvare tutto quello che del diritto romano antico potesse risultare
ancora “utile”, per noi giuristi ciò che consideriamo vigente/in vigore.
Di fare una selezione/scarto: Dante in poche battute dipinge Giustiniano in modo perfetto, lo chiama colui
che trasse dalle leggi (dal diritto romano) il troppo e il vano, le sovrabbondanze e ciò che era diventano
inutile; ovvero ciò che per noi giuristi non era più da considerare vigente.
Giustiniano fu imperatore tra 527 e 565, morì nel 565.
Nasce come imperatore d’oriente, la cui capitale era Costantinopoli fondata da Costantino (ad oggi l’attuale
Istanbul), verrà nominata anche Bisanzio, e da questo deriva il nome del popolo che lo teneva in pugno,
aggettivo bizantino.
L’Impero di Giustiniano nasce come impero bizantino e nel 552, quasi alle fine del suo percorso, Giustiniano
conquista penisola italiana, era il boccone prelibato del mediterraneo, non solo perché molto fertile ma
anche per una questione simbolica, perché Italia era stato il cuore dell’Impero Romano.
Per questo periodo breve, 552 e 568, sebbene fosse morto da già 3 anni, ma nel 68 i suoi successori
perdono la penisola italiana, l’impero rivive una stagione “unitaria” perché oriente e occidente tornano
insieme. Quando prende l’Italia, Giustiniano sogna non solo politicamente ma anche giuridicamente, di
restituire a Roma il suo vecchio diritto romano, sotto la sua compilazione.

Lui pensava in grande e si mette in testa che per rifondare l’impero occorre rifondarne il diritto: non si
costruisce un grande impero senza grande diritto.
Il diritto romano era troppo sovrabbondante, confuso caotico ecc. perché fa questo ragionamento? Perché
lui pensa che lui il diritto romano debba essere regola legislativa, compie un malinteso o forse era troppo
intelligente per essere vittima, ma finge di non capire.
Il diritto romano era casistico: ovvero la soluzione di casi concreti, questi si susseguono e creano una
casistica che permette di risolvere i casi successivi.
Questa mentalità Giustiniano la travisa, ovvero crede che questo malloppo gigantesco di pareri di giuristi e
di norme imperiali, debbano essere trasformato tutto in norma, in decisione non tanto del caso singolo ma
di autorità che pone quella regola.
La norma per Giustiniano non è più quella che deriva dal caso pratico, ma quella che proviene ma o da un
vecchio caso pratico o da una legge da imperatore. Giustiniano si accosta al diritto romano convito che
questo consti di 2 tipi di regole:
1) iura: i diritti; pareri dei giuristi romani (iuria consulti= risolvevano casi concreti per singole vicende.
Grandi giuristi e ci si rivolgeva per problemi complessi e davano il loro responsum);
Poi durante una certa fase dell’impero, l’imperatore decise che i più grandi di questi giuristi avevano anche
un patentino: il così detto iuris rispondendi, ovvero avevano dato ad una parte di questo iura uno speciale
autorità, ma comunque non erano leggi. Quindi Giustiniano prendendo solo l’eccellenza di quei pareri e
infilandoli dentro una sua riaccorta di iura, quelli diventassero:
2) leges: le leggi.

Altro ingrediente che Giustiniano vuole raccogliere sono le leges, ovvero le manifestazioni di volontà,
imperativa emanate dagli imperatori. Quindi queste risalgono in età imperiale avanzata e hanno un nome
tecnico CONSTITUTIONES.
Quindi tutto ciò che riguarda le leges viene identificato da Giustiniano nelle costituzioni imperiali: sono
un’infinità e qui lui vuole decidere quali restare in vigore e quali abbandonate.
Giustiniano facendo queste considerazioni, svolge una selezione del patrimonio del diritto romano che è
rimasta fissata nei secoli. Il diritto romano che conosciamo oggi è in larghissima misura, salvo qualche
scoperta archeologica (che comunque è in linea di massima molto piccola) è frutta di questa scelta
giustinianea. Si tratta quasi di una taglia e in colla sul documento digitale; la taglia e incolla non è
un’operazione indolore, crea incoerenze, manca l’armonizzazione di contenuti. Si creano grandi
contraddizioni perché io potrei tagliare regole tra loro opposte. Ad oggi sappiamo che la composizione
giustinianea è piena di contraddizioni.

Il primo lavoro che Giustiniano si accinge a fare è la raccolta delle leges nel 529 (inizio alto medio evo).
Giustiniano si rivolge, a ciò che oggi chiamiamo ministro della giustizia, all’epoca quaestor sacri-palti, era il
guarda sigilli: il nome di questo personaggio è Triboniano, il quale riceve l’incarico di raccogliere le leges dei
suoi predecessori, le costituzioni imperiali.
Nel 529 prepara un testo che si chiama CODEX, parola fondamentale nella storia del diritto, successo futuro
enorme, ma non è parola inventata in questo tempo. Ma anzi già usata per il codice teodosiano della fine
del 4 secolo, per il codice gregoriano ed ermogieniano.
Cos’è il codex? Il codex è un libro cucito sul dorso, era uno spago sottile bianco che legava le pagine di
pergamena. Il legare implica un contenuto omogeno e coerente.
Il codex giustinianeo, del 529, è il primo dei 2. (non buona la prima) Probabilmente non gli piacque perché
sta di fatto che questo codice venne fatto sparire, non abbiamo più testimonianza, e lo fece riscrivere da
capo qualche tempo dopo.

Il secondo grande blocco della compilazione di Giustiniano: nel 533 si intitolava il digestum o pandette.
Paola abbastanza curiosa perché deriva dal nostro digerire, ovvero dal compiere una funzione chimica
organica di separazione dei cibi e di assimilazione, un separare per rinascere, equivalente in greco era
pandetta, questo perché Giustiniano parlava in greco.
Se il primo era la raccolta i leges, il digestum è raccolta di iura, ovvero dei FRAMMENTI degli antichi
giureconsulti, COMPETAMENTE TRAVISATI. Quelle parole che i giureconsulti avevano scritti o pronunciato
per risolvere casi specifici, vengono messe in questo calderone gigantesco e rese norme GENERALI ED
ASTRETTE, come non erano in origine.
Magari il giurista antico aveva scritto quello perché era stato pagato per bene e adesso si trovano
inchiodate in un altro senso, fenomeno abbastanza sorprendete.
Lo faceva per trasformare queste parole e frammenti in NORME. Ci riuscì tanto che per secoli è stato la
fonte del diritto per eccellenza in Europa.

Triboniano dispone questi frammenti in libri, ovvero in 50 libri: ognuno è diviso in titoli, ciascun titolo è
diviso in paragrafi e molti di questi, non tutti, sono suddivisi in frammenti. (D. 1, 1= digesto primo libro,
titolo primo, paragrafo uno).
Li citavano perché erano norme, il frammento perde la sua originaria natura sapienziale, per assumere
natura legislativa.
Questi 50 libri contengono di tutto, sono quasi 40.000 frammenti, e visto che il linguaggio alcune volte è
alquanto ambiguo si può far entrare di tutto, con molte contraddizioni.

Come in tutte queste compilazioni, l’inizio e la fine sono le parti più succulenti.
Il primo libro ha come titolo primo il nome di: DE IUSTITIA ET IURE= “sulla giustizia e sul diritto”, frase che
potremmo ricamarla, perché? Perché si vede il cinismo di Giustiniano.
Grande senso di giustizia: si sa che il diritto non è giustizia, anzi volendo battere in cinismo Giustiniano, per
essere bravi in giustizia e difendere il cattivo, bisogna usare il diritto maggiormente, 2 concetti alternativi.
Giustiniano mettendo insieme queste 2 parole del digisteso sapesse di cosa parlasse, di una terribile
antinomia, sotto questo cappello cinico, Giustiniano ci mette i grandi principi generali:
per esempio, ci fa entrare frase famosissima, di uno dei più grandi giureconsulti Ulpiano e dice che “la
giurisprudenza (aspetto teorico ma finalizzato alla prassi) è la conoscenza delle cose divine e umane, la
scienza del giusto e dell’ingiusto”. Probabilmente Ulpiano l’aveva buttata lì in una causa di cui si era
occupato, o in un responsum.
Esagerazione dell’idea che il diritto sia il sapere per eccellenza, ovvero tutto quello che ingloba, persino il
sapere divino= esempio di alterazione e travisazione dello iura.
(Questa frase appena citata fu oggetto di attacchi violentissimi nel ‘700 da parte degli illuministi).

Nel primo libro ci sono molte frasi di questa portata, che poi sono entrate nell’immediato della vita sociale
e collettiva.

ASPETTO SECONDARIO; NON NECESSARIO AI FINI DELL’ESAME:


Passo famosissimo di Ulpiano: ovvero dice cos’è la giustizia: costante e perpetua volontà di attribuire a
ciascuno il suo (D.1.1.10): parla della giustizia distributiva, molto diversa da quella retributiva: “se mi di un
pugno ti do un pugno, se mi da un pugno ti arresto”. Un do ut des.
Mentre quella distributiva, che ritroviamo in Ulpiano: ad un mondo giusto si presuppone che si dia
qualcosa, o in rapporto alle proprie esigenze o ai propri meriti.
Si nota la VUOTAGGINE DI QUESTO PRECETTO: cosa vuole dire? Se ci si pensa non vuole dire nulla, perché
non è determinato quant’è questo suum a ciascuno. Questo fa pensare che questo sia stata prelevata da un
testo che voleva intendere altro, perché Ulpiano era un grande uomo e sicuramente aveva usato questa
frase per qualcosa di molto meno generica.
“questi sono i precetti del diritto, non creare danno ad altri, ed attribuire ad ognuno il suo” precetti
bellissimi ma vuoti.

I libri 47 e 48: i medievali, che gettarono il sangue sul digesto, li chiamarono i “terribili”, per ragione
etimologica: ovvero quelli che dovevano suscitare terrore e dovevano spaventare e che si occupavano di
diritto penale.
Perché segnalare questo dato: perché sono gli unici che si occupano di diritto penale, allora “A contrario”,
dobbiamo dedurre che in grande misura, il digesto riguardava al diritto privato.
Diritto privato ha come branca fondamentale il diritto civile e all’intero ha il diritto commerciale, che ad
oggi è autonoma, il privato si confonde e si chiama anche civile perché il digesto riguardava la vita dei cives,
moglie, figli, contratto, la proprietà, le successioni, la pera che cade dell’albero e va nel giardino del a
fianco. Erano le questioni del nucleo primario della vita. In larghissima misura i romani lo chiamavano ius
civile e che è il contenitore di queste regole che oggi chiamiamo privatistiche.

Infine, il libro 50, come nel primo libro, si assiste al travisamento più clamoroso della portata originaria dei
frammenti, nati per risolvere casi specifici che vengono trasformati in regole generali: qui Giustiniano e
Triboniano si superano vanno oltre, inserendo nel libro 50 il titolo 16 e 17 che contengono “principi”.
Una frase, come quelle che staremo per introdurre, che era stata utilizzata incidentalmente, vengono
elevati a principi. Con questo vediamo il TRADIMENTO DELL FONTA ROMANA ANTICA, compiuto da
Triboniano e Giustiniano.
D.50.16 e D.50.17:
- il 16 si chiama, il titolo del titolo: “Sul significato delle parole” (de verborum significationem) è specie di
dizionarietto. La speranza è di fissare una volta per tutte il significato di un istituto, e Giustiniano ci prova,
prendendo definizione dai giure consulti continui ma cade in una clamorosa contraddizione. Contradizione
che ritroviamo in un altro brano del digesto, dove si dice che ogni definizione è pericolosa, bisogna dare
attenti; eppure, loro due dedicano un titolo intero al significato delle parole. Ovviamente non sono così
sprovveduti da non sapere che stanno tradendo il senso originale, ma la spiegazione sta nell’ intento
pratico di Giustiniano, perché a lui non interessa nulla di salvare la memoria dei giureconsoli, ma di mettere
ai giuristi uno strumento pratico che sia utile.
- Vale anche per il 17 che si intitola “sulle diverse regole del diritto antico” (dei diversis regulis, iuris antiqui).
Quelli che oggi noi chiamiamo i principi. Se ne parla dal punto di vista dei costituzionalisti, sebbene ci sia
molto di ideologico, ad esempio sanitario ce non vuole vaccinarsi e rischia il licenziamento.
Il dato travisato di partenza era il frammento del giurista reso per il caso concreto.

Ciò che è sconcertante di questo manoscritto è che il digesto, per ragioni che diremo a breve, nel giro di
pochi anni dopo la morte di Giustiano e la fine dell’impero bizantino in occidente (1453), spari
dall’orizzonte culturale. Fu poi trovato introno alla fine dell’XI sec. da giurista medievale IRNERIO, intorno al
1070/80.
Irnerio ritrovò il digesto, secondo la leggenda, in 3 blocchi, in 3 momenti successivi:
1) i primi da 1-24, chiamandoli “digesto vecchio” = vetus;
2) i secondi da 38-50 “novium”
3) i terzi da parte del 24 a 38 “infortiatum”, la terminologia INFORTIUM deriva dal fatto che fosse un
pezzo di legno, che serviva tenere aperte o chiuse le porte, quindi rinforzo. Pare che questo
professore, scoprendo il pezzo mancante esclamasse “hoc infortiatum est”: questo è il rinforzo tra il
libro 24 e il 38.

L’attiva di Giustiniano non si ferma qui, il digesto o pandette è del 533, ma nello stesso anno la
commissione preseduta da Tribonino approntò la 3° parte della compilazione, che in realtà era la seconda
perché il codex primario era sparito, ovvero INSTITUTIONES.
Questo termine noi lo usiamo moltissimo: intendiamo il fondamento della conoscenza, costruendo i
fondamenti di sapere. Preparare, costruendo il fondamento di un sapere.
Anche questo termine non è farina del sacco di Giustiniano e lo copia da Gaio, uno dei più grandi giuristi:
che aveva scritto le istitutiones poi sparite e poi trovate nel ‘800.
Cosa troviamo? Ci sono riassunti, delle sintesi che mischiano in modo agile, opera più semplice, le leges e
iura: vuole che i suoi studenti, del suo impero, ovvero delle 2 scuole che sono Costantinopoli e Berito,
studino sia uno che l’altro versante del vecchio diritto romano.
Giustiniano addirittura costruisce il piano di studi: come deve studiare la “juventus legum studiosa”.
- Primo anno istituzioni;
- poi per 3 anni diritto privato che lo ritroviamo nel digesto;
- ultimo anno, 5, codice perché si occupa dell’organizzazione dell’impero.

Le istituzioni sono fatte in libri e titoli, sono in tutto 4: molto importante la scansione dei libri:
1) persone;
2) diritti reali e successioni;
3) famiglia e contratti;
4) processo= actiones, azioni giudiziarie.

Quarto tassello: secondo codice (seconda edizione) che sostituisce completamente il primo, che abbiamo
detto essere sparito del tutto: codex repetitae prelectionis, edizione ripetuta/rivista, nel 534.
Parte della compilazione di Giustiniano più permeata dal cristianesimo: si compone di 12 libri che
raccolgono le principali leges imperiali. Giustiniano fa mettere davanti a queste montagne di pergamene
con sigillo, in cui cerano le leges e fa una selezione, togliendo il troppo e il vano. Restano solo questi 12 libri.
Giustiniano, uomo di mondo, mette come 1° costituzione del primo libro (C.1.1) mette quella di Teodosio e
Valentiniano del 380, che aveva reso il cristianesimo religione di stato, ovvero editto di Tessalonica.
Ma ci sono moli titoli che si occupano del cristianesimo, ad esempio della trinità, quindi Giustiniano mette
le mani, sentendosi legittimano, sui dogmi fondativi della religione cristiana.
I medievali avrebbero diviso il codex in 2 parti, ovvero 9 e 3.
Gli ultimi 3 li chiamarono i tres liber e li scartarono perché caduto Impero Romano e morto Giustiniano, li
considerarono collegati ad istituti che erano ormai vecchi e inutili perché non servivano più.

Ad un certo punto Giustiniano si fermo, ritendendo di aver disciplinato tutto il necessario. Ma come capita
spesso nella storia, Giustiniano si accorse che era necessario aggiornare le leggi, NASCONO COSI’ LE
NOVELLE. Parola che, con dittongo finale che sottintende sostantivo che è novelle costitutiones, quelle che
Giustiniano emanò dopo aver emano il codex e che non rientravano nel codex semplicemente per
pubblicazione cronologia, per aggiunge, o per aggiustare ecc. (tutt’ora oggi usato: NOVELLATO).
Queste novelle i medievali le conoscevano attraverso le raccolte, le più importanti erano le AUDENTICUM
(probabilmente 134 novelle). Si chiamano così, perché la leggenda vuole che, dopo che erano circolate
versioni fasulle, errate almeno in parte, il solito Inerio la trovo e disse “hoc audenticum est”= questo è il
testo autentico.

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