07/10/2024
Italiano e lingue romanze da che latino arrivano?
Due tipi di latino: latino classico e latino volgare
Volgare: indica l’italiano dei primi secoli parlata dal popolo. È in opposizione al
latino in generale, ovvero la lingua dei dotti e della cultura (ce lo dice Dante)
1200/1300/1400: dialetti definiti
“volgari” 1500 in poi: si sviluppa la
lingua italiana
Latino>volgare>italiano: non ci sono cesure nette (es. fino al’700 nel Regno di
Napoli si tenevano lezioni universitarie in latino e fino agli anni ‘60 le messe si
tenevano in latino) Latino come lingua della comunicazione culturale
(patrimonio letterario, codificazione, universalità comunicativa come in
religione, scienza, e politica)
Galileo: aveva un taccuino di appunti in cui scriveva le sue prime osservazioni col
cannocchiale e sul pianeta Giove (“Nuncius sidereus”) in cui passa da usare il
volgare a usare il latino
Il latino come retroterra genetico del volgare:
inteso come “latino volgare” (o sub-
standard); si intende il linguaggio plebeo d’etá repubblicana (III-I a.c.)
diverso da quello dei ceti
superiori (es. latino di Cicerone) anche il latino spontaneo di età imperiale (I-V
d.C.) diverso da quello delle scritture
1) Latino classico: definizione di Aulo Gellio che parla di “classicus
scriptor” ovvero “scrittore di primo ordine” riferito agli autori più
elevati della cultura latina
2) Latino parlato: latino molto complesso, eterogeneo e diffuso (dal
Portogallo alla Romania); oralità che condivide il suono solo in presenza
(luogo e tempo) [es. oggi la lingua è condivisa e muta grazie alla
possibilità di registrare e condividere allo stesso tempo in tutti i luoghi
possibili]
III-I a.C.: gli aristocratici usavano un latino scritto corrispondente al latino
classico, un latino uguale a quello che gli aristocratici usavano anche x parlare.
In questa fase la popolazione usava un latino molto diverso da quello classico
(anche a livello morfologico-lessicale), ovvero il latino popolare/volgare
Epoca imperiale: il latino parlato anche degli aristocratici si “abbassa” sempre di
più e ci si avvicina, di conseguenza, sempre di più alle lingue romanze (forme
errate di utilizzo e pronuncia del latino che si sono cristallizzate in modo
differente dando origine a diverse lingue)
Come si descrive la varietà linguistica?
1. Tempo: la lingua cambia in base al tempo
2. Spazio geografico: la lingua cambia da una zona all’altra
3. Diversificazione sociale: ceti che parlano in un modo e ceti che parlano in
un altro
4. Situazione comunicativa: in base al contesto sociale (ovvero con
chi e dove ti parlando)
5. Mezzo di trasmissione (canale visivo-grafico oppure fonico-acustico)
TEMPO: variazione di tipo diacronico (dia chronos=”attraverso il tempo”).
Parametro messo a punto da De Saussure (1857-1913), che mise a punto
diverse categorie ancora oggi prese
di riferimento (come la differenza tra la lingua usata normalmente, ovvero
“langue”, e quella di uso specifico di uno scrittore, ovvero “parole”)
ALTRI PARAMETRI: messi a punto dal linguista romeno Coseriu
SPAZIO: variazione diatopica (dia topos=”attraverso lo
spazio”)
SITUAZIONE COMUNICATIVA: variazione diafasica (phasis=”voce, discorso”),
ovvero la lingua che cambia in base alla situazione sociale
DIVERSIFICAZIONE SOCIALE:variazione diastratica (stratos="moltitudine,
popolo”) Alberto Miori: mise a punto un ultimo parametro linguistico
MEZZO DI TRASMISSIONE:variazione diamesica (to meson = “ciò che sta in
mezzo”), la lingua cambia in base al mezzo comunicativo
Variazione diafasica:
un esempio è il lessico riferito alla parola “morte” (es. morire,
crepare, tirare le cuoia, cadere, scomparire, cessare di vivere, lasciare le penne,
esalare l’ultimo respiro -> parole che indicano sempre “morire” ma che si
adattano al contesto sociale)
Latino volgare: parlato quindi difficile da ricostruire. Abbiamo solo fonti indirette,
ovvero scritte, che ce lo descrivono, ma che vanno ogni volta interpretate
FONTI:
1. Comparazione tra i continuatori romanzi: comparare le forme delle
lingue romanze ipotizzando la radice (è la più affidabile)
2. Iscrizioni: tracce di scrittura su superfici varie (affreschi, mira, graffiti,
dipinti)
3. Testimonianze di scriventi popolari: es. soldato che scrive
4. Testi di autori letterari: autori che mimavano la parlata del popolo e la
filtravano (es. Plauto, Petronio)
5. Testi di grammatici: sono i meno affidabili perché sono consapevoli
della lingua, e perciò la descrivono
COMPARAZIONE TRA I CONTINUATORI ROMANZI
GIUSTIFICAZIONE DELLE FORME SUPERSTITI: se guardiamo quello che abbiamo
nelle parlate romanze, vediamo che c'è una distribuzione (es. “testa” in Spagna
è “cabeza” e in Romania “cap”, che hanno la stessa derivazione latina “caput”)
→ le basi del latino hanno raggiunto due luoghi opposti dell’Europa non nello
stesso momento e nemmeno nello stesso modo.
Alcune volte vediamo che c’è una parola d'origine nelle lingue di arrivo per la
loro somiglianza, senza sapere però quale sia effettivamente la parola latina di
partenza:
es. “Passare”
Italiano=
passare
Provenzale= pasar → diverso dal latino
“transire” Catalano= passar
Portoghese= passar
Perciò si presuppone che ci sia una parola d’origine dal latino parlato, ovvero “
*PASSARE” (* = ricostruzione linguistica, non effettivamente affermata nei testi
o nei ritrovamenti scritti), ipotesi proveniente dal sostantivo “PASSUS” → in -are
perché i verbi provenienti da sostantivo generalmente sono alla prima
coniugazione (es. bacio → baciare, pittura → pitturare)
MOTIVAZIONE SEMANTICA: le parole devono essere incluse e prodotte dalla
stessa radice semantica
MOTIVAZIONE MORFOLOGICA
Esempio di iscrizione
Pompei (avanti 79
d.C.)
QUISQUIS
AMA VALIA
PERIA QUIN
OSCI
AMA[RE] BIS
[T]ANTI PE
RIA QUISQU
IS AMARE VOTA
Trascrizione latino classico: “Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare. Bis
tanti pereat quisquis amare vetat”
Traduzione: “Valga chiunque ami, muoia chi ignora l’amare. Muoia due volte
chiunque vieti l’amare”
È un affresco e si presuppone fosse di un artigiano di Pompei. Vediamo come ci
siano “errori” del latino, ma che risultano essere tipichd del latino parlato (es.
mancano le T finali; da VALEAT abbiamo VALIA e da VETAT abbiamo VOTA,
ovvero un chiusura vocalica; ricostruzione di NESCIT in NO[N]SCIT), questo
perché si vanno sempre di più a preferire forme semplificate della lingua (es. si
va a eliminare la N seguita da S → un grammatico ci dice che Cicerone avesse
un difetto linguistico, ovvero non sapesse pronunciare la N prima della S, ma si
è pensato fosse un difetto comune del latino parlato, e che quindi anche gli altri
aristocratici non sapessero pronunciarla. Anche in italiano abbiamo questi esiti:
es. “menses” diventa “mese” in italiano, radice che ritroviamo per esempio
nella parola “mensile”)
09/10/2024
FONTI Testi grammaticali
Appendix Probi: codice palinsesto (scritto più volte →la pergamena costava
tanto, quindi si raschiava il testo precedente per riutilizzarlo. scriptio inferior,
ovvero delle specie di raggiX, mostra la Vetus Latina) manoscritto in pergamena
(ogni manoscritto è UNICO → tutti i manoscritti sono diversi), contiene gli
Instituta artium dello Pseudo-Probo (nome di identità non chiara), composto
nell’Abbazia di Bobbio (Piacenza), conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli
con collocazione: Lat. 1 (ex Vindobonensis 17) → si usano le collocazioni perché
molti manoscritti contengono molte volte lo stesso testo, e i manoscritti sono
tutti unici per questo si dividono così. Composto da 52 fogli (104 pagine). E’ una
copia realizzata da un solo amanuense tra il VII e l’VIII secolo (si può stabilire il
periodo osservando il tipo di scrittura, il modo in cui viene organizzata la pagina
→ componente artigianale accentua le differenze), copia perchè → tempo di
copia diversa dal tempo del testo, il cosiddetto antigrafo (è come se io riscrivessi
l’ “Infinito” di Leopardi). L’antigrafo di questa copia è un manoscritto del V
secolo: lo possiamo dire per il modo in cui è organizzato il testo. Il latino usato
(latino volgare) è lontano da quello dell’antigrafo. Alla fine del codice ci
sono delle liste (8 appendici), ovvero estratti grammaticali di aspetti complessi
del latino (nomi simili, forme difettive ecc.), perché siamo alla fine dell’impero e
il latino è cambiato ed essendo probabilmente il testo di un pedagogo servivano
a mantenere delle correzioni agli errori del latino che si parlava allora. Quinto
estratto delle appendici: contiene 220 coppie di forme nello schema A non B (si
dice così e non così); questo è un esempio di antibarbarus, ovvero di
segnalazione di errore e di forme percepite come errate (errore in latino si dice
barbarismus, vitium, solicismus ecc. e non error). Il testo si presenta a colonne.
ESEMPIO DELLA V APPENDICE (in cui l’errore si basa sulla sincope delle vocali
postoniche, in cui però si mantiene ancora la M finale → più avanti la M cadrà
perché è suono debole):
Porphireticum marmur non purpureticum marmur
tolonium non toloneum
speculum non
speculum masculus non
masclus vetulus non
veclus vitulus non viclus
vernaculus non vernaclus
articulus non articlus
baculus non vaclus
angulus non anglus
iugulus non iuglus
Questo tipo di errore ha origine da una semplificazione di pronuncia
dell’accento, che si riversa anche nello scritto. Ma questi errori anticipano le
lingue romanze (es. specchio italiano deriva da speculum e non speculum)
Perché si copiavano i testi?: per farsi una copia personale del testo perché
l’originale costava troppo oppure per proteggere il testo