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LINGUAGGIO:
1. Il rapporto tra nomi, proposizioni, concetti, enti:
- Nome: parola che serve per designare un concetto.
- Concetto: è l'espressione intelligibile di un'essenza.
- Proposizioni: è un insieme di idee ordinate e coordinate in un certo modo dalla mente umana.
- Ente: ciò che gode dell'essere.
Come si rapportano?
Cominciamo dagli ente. Nella natura esistono diverse cose (questo è inegabile!). Tramite l'intelletto noi
astraiamo le loro l'essenze e quindi produciamo internamenti quell'essere nuovo di natura immateriale e universale
che si chiama concetto.
Il concetto è interiore e si manifesta all'esterno tramite la parola. La parola, verbale o scritta, fissa il
concetto e lo rende comunicabile ad altri. Quindi parola e concetto non sono la stessa cosa, poiché ci sono delle cose
che noi molte volte non riusciamo ad esprimerle. E una parola può indicare diverse concetti, d'accordo con la lingua.
Bene, abbiamo gli enti, concetti e parole. Andiamo adesso alle proposizioni. Esse sono composte di parole
che esprimiamo concetti delle cose coordinate tra di loro. Per esempio: Pedro è uomo.
Concludendo non c'è proposizione senza concetto e nome che non indichi un concetto. Però ci sono dei
concetti non sono esprimibile per una parola.
2. Il Nominalismo:
Dottrina filosofica secondo cui gli universali o concetti generali (uomo, cavallo...) non esistono come realtà
anteriori e indipendenti né nelle cose né fuori delle cose, e la forma in cui si presentano alla mente umana è quella
del nome. I concetti generali o universali non sono che segni i quali godono della proprietà di poter essere predicati
di più individui concreti; tipica del nominalismo è quindi l'assunzione ontologica secondo cui propriamente reali
sono soltanto gli individui o le entità particolare.
Nella filosofia contemporanea la tendenza nominalistica risulta fortemente accentuata nel positivismo
logico, che ha elaborato il progetto di ridurre ogni asserto scientifico e ogni termine universale a dati ultimi percettivi
assolutamente individuali.
3. Il rapporto pensiero-linguaggio:
Le idee si esprimono in diversi modi. Gli uomini hanno stabilito e sviluppato il parlare e la scritta come due
mezzi fondamentali per esprimere il pensiero. In questo senso va anche l'arte.
L'uomo sentendo in sé una interiorità ricca di valori cerca di esternarla. Le idee sono elaborate internamenti
dalla mente. Però se non sono espresse in parole difficilmente diventeranno chiare.
La parola, scritta o orale, è un segno per cui esterniamo i nostri pensieri. "Il rapporto tra pensiero e parole è
uno dei fenomeni ideologici più importanti. Mentre parliamo, pensiamo, e mentre pensiamo, parliamo con locuzioni
interiore: l'intendimento bisogna di parole come una specie di filo conduttore nel labirinto delle idee." (Balmes, J.,
Filosofia fondamentale III, 147).
Il pensiero è più veloce che le parole. Esse esigono successione, invece il pensiero è subito. Molte volte
percepiamo chiaramente una verità o un errore, però per esprimergli ci vuole molto tempo, con una infinità di parole.
Ma chi è subordinato a chi? Il linguaggio è subordinato al pensiero o viceversa?
Il linguaggio è uno strumento subordinato e secondario del pensiero. Oggi gli strutturalisti e gli ermeneuti
tendono a sovvertire questo rapporto e a mettere il pensiero al servizio e alle dipendenze del linguaggio. Ci pare che
la tesi di questi ultimi non possa essere pienamente accolta, perché tutti abbiamo esperienza di pensieri per i quali
non riusciamo a trovare le parole adatte per esprimerci (ad esempio, la coscienza di sé, l'intersoggettività e la fede in
Dio). E tuttavia è una tesi che contiene della verità, in quanto tra pensiero e linguaggio intercorre un rapporto assai
profondo. Con un linguaggio nitido anche il pensiero guadagna in chiarezza e precisione.
4. Il carattere interpretativo dell'attività linguistica (il ruolo dell'ermeneutica):
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Il concetto di ermeneutica acquistò negli autori recenti un significato del tutto nuovo, molto più vasto e
ricco di quello usuale: l'ermeneutica non è più ristretta alla spiegazione dei testi oscuri dei classici greci e latini e
degli scrittori sacri o delle tradizioni orali. Essa si estende anche "a tutto ciò che ci è consegnato dalla storia; così
parleremo per esempio, dell'interpretazione di un avvenimento storico o dell'interpretazione di un comportamento,
espressioni spirituali, mimiche, ecc. Con ciò intendiamo sempre dire che il senso del dato, offerto alla nostra
interpretazione, non si svela senza mediazione, e che è necessario guardare al di là del senso immediato per poter
scoprire il "vero" significato nascosto.
Così, l'aspetto di storicità e il legame col linguaggio e i testi stanno al centro della nozione di
interpretazione data da M. Heidegger, per il quale l'uomo è "gettato" nel mondo, nel senso che la sua esistenza è già
sempre qualificata da una certa precompressione del mondo che è incarnata nel linguaggio di cui ognuno si trova a
disporre; interpretazione è allora "l'articolazione della compressione" che ci costituisce come esistenti (Essere e
tempo, par. 32). Questa generalizzazione dell'interpretazione, che diviene la dimensione costitutiva di tutta
l'esistenza, è ripresa e proseguita da H. G. Gadamer, che ha proposto una vera e propria ontologia ermeneutica.
Altri aspetti del fenomeno interpretativo sono accentuati nelle altre principale elaborazioni contemporanee:
P. Ricoeur sottolinea specialmente il concetto di interpretazione come svelamento di sensi nascosti, in quanto
concepisce l'interpretazione come riservata alla comprensione dei simboli (cioè di quei segni che hanno significati
equivoci), collegandosi in tal modo anche al senso che il termine ha nel fondatore della psicoanalisi, S. Freud, che
vede nel linguaggio la rivelazione dei misteri nascosti nel subcosciente.
3.5. Il linguaggio come facoltà umana o come proprietà dell'Essere:
A parere di Heidegger, se consideriamo bene a fondo il fenomeno linguistico, se riflettiamo sul linguaggio
in quanto linguaggio giungiamo a scoprire la natura autentica del linguaggio, che è appunto quella del Sagen (dire)
in quanto Zeigen (mostrare): "Ciò che fa essere il linguaggio come linguaggio è il Dire originario ( die Sage) in
quanto Mostrare (die Zeige)" (M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, 199). Nell'analisi del linguaggio, in
quanto linguaggio, scopre la sua natura profonda, cioè scopre che il dire si manifesta come mostrare.
Il linguaggio originario ha una forza che fonda l'essere stesso delle cose, si potrebbe quasi dire una forza
creativa. Questo linguaggio non si basa su qualche segno né tanto meno è un semplice insieme di segni; Esso (il
linguaggio) è la fonte originaria e primordiale dell'apparire, del mostrarsi.
Chi considerasse il parlare umano soltanto come manifestazione dell'interiorità, ridurrebbe l'essenza del
linguaggio alla espressione e alla attività dell'uomo. Però il parlare degli uomini non ha suo fondamento in se stesso,
ma in un altro parlare originario, sua essenza sta nella base di tutti i movimenti dell'universo, nella relazione delle
relazioni. Il Dire originario, rimanendo in se stesso, mantiene tutto l'universo.
Come si vede, Heidegger assegna al linguaggio originario una densità ontologica fondamentale: la parola
non è soltanto dimora e segno, ma anche sorgente e sostegno dell'essere delle cose. Questo, però, non va interpretato
in termini di causalità efficiente: non significa che la parola produce l'essere delle cose, perché a parere di Heidegger,
in tal caso la parola diverrebbe a sua volta una cosa. La parola non crea l'essere ma lo dice. Invece che alla stregua di
una realtà sussistente che genera altre realtà, Heidegger propone di considerare il parlare originario alla maniera di
un "rapporto", "il rapporto fondamentale", "il rapporto- di tutti i rapporti", una specie di legge suprema: "la parola è
il rapporto che via via incorpora e trattiene in sé la cosa in modo che essa 'è' una cosa".
Nel rapporto linguaggio-essere gli ermeneutici attuali metonno l'essere come l'epifania del linguaggio. Così
in Heidegger il linguaggio far apparire, dischiudi, svela l'essere.
6. Il significato come prodotto di un "gioco" linguistico:
Nel "Ricerche Filosofiche", Wittgenstein, dopo sedici anni, riconosce i gravi errori che aveva commesso
nel "Tractatu logico-philosophicus". Dunque nel suo secondo periodo egli romperà con quanto aveva affermato nel
"Tractatus".
a) Significato delle "Ricerche Filosofiche":
La tesi di fondo del "Tractatus" poggiava sul pregiudizio che l'unica finalità del linguaggio fosse la
descrizione dei dati empirici. Ora invece l'atteggiamento di Wittgenstein si fa più tollerante e più aperto e il filosofo
perviene alla convinzioni che il linguaggio non esprime solo significati descrittivi, ma anche significati imperativi,
desiderativi, interrogativi...
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Il linguaggio descritto nel "Tractatus", secondo il quale ogni parola ha un significato e il significato è
l'oggetto per cui la parola sta, è solo una delle forme del linguaggio accanto alla quale infinite altre sono possibili.
Così Wittgenstein, nelle "Ricerche Filosofiche", preferisce il linguaggio comune ed ordinario, per la vastità delle sue
espressioni e la ricchezza dei suoi contenuti.
La molteplicità del linguaggio non può essere stabilita una volta per tutte: nuovi tipi di linguaggio, nuovi
giochi linguistici nascono continuamente mentre altri cadono in disuso e sono dimenticati. Per giochi linguistici
capiamo il modo per cui una parola può essere utilizzata per molteplici usi, poiché infinite sono le circostanza in cui
essa viene utilizzata. Di questo deriva che il significato di una parola e di una proposizione dipende dall'utilizzazione
che viene fatta di essa dal linguaggio nelle varie circostanze.
Quindi il linguaggio delle parole risiede nell'uso e questa identificazione del significato del linguaggio con
l'uso può essere certamente considerata la grande innovazione della filosofia analitica wittgensteiniana, che porta il
filosofo a superare il solipsismo del "Tractatus" (il solipsismo comporta l'incomunicabilità del linguaggio per il suo
significato pittorico-figurativo della realtà, cioè in quanto si riferisce ai dati sensibili).
La nuova teoria del linguaggio acquista una dimensione sociale, poiché il linguaggio è fonte di
comunicazione e di vita.
b) Funzione della Filosofia nell'analisi:
La filosofia, nel programma delle "Ricerche Filosofiche", ha il semplice compito di analizzare la
funzionalità dei giochi linguistiche, di eliminare confusioni ed ambiguità, falsi problemi, generati dall'abuso o dal
cattivo uso del linguaggio.
L'azione filosofica può essere sintetizzata in questo punto:
- La filosofia svolge un'azione descrittiva: deve esaminare soltanto la funzionalità dei distinti giochi
linguistici e non spiegarli o interpretarli: "La filosofia si limita, appunto, a metterci tutto davanti, e non spiega e non
deduce nulla. Poiché tutto è lì in mostra, non c'è neanche nulla da spiegare. Ciò che è nascosto non ci interessa"
("Ricerche Filosofiche", pop. 126, p.70).
7. Il problema della comunicazione umana:
L'uomo non è solo un essere pensante che entra in contato con la realtà. E' pure un essere sociabile cioè un
essere che mantiene rapporti con gli altri. Non ha solo la capacità di pensare, ma anche di comunicare ciò che pensa.
Diverso dagli animali, l'uomo emette suoni di forma articolata. Le parole significano le idee che si trovano nella
menta umana.
Non basta che le parole espressino le idee della mente umana. Ci vuole che le parole ripresentino anche le
stesse idee che sono presenti nella mente dell'interlocutore. Caso contrario sorgeranno dei grossi problemi. Le parole
devono significare la stessa cosa in ogni persona, di modo a esprimere la sua realtà e verità.
Uno dei problemi che sorgono nella comunicazione umana è quello molte parole sono usate in sensi
diversi. Con la esperienza personale le persone hanno fatto alcune legazione tra una parola e un significato facendo
con che essa sia intesa di modo diverso. Così Locke ci da alcuni consigli per evitare problemi nella comunicazione
umana:
- Non usare parole senza significato, né nome senza idea;
- Le idee semplice siano chiare e distinte; e le idee complesse siano il più determinate possibile;
- Le parole espressino le idee con la migliore forma possibile.