Istituto Tecnico Agrario
“Bernardo Brau”
Nuoro
Lezioni di Storia
L’ETÀ UMBERTINA E L’ETÀ GIOLITTIANA
(1876-1913)
Anno Scolastico
2022/2023
Professor Classe
Giuliano Zoroddu 5^ D
1. La Sinistra storica.
La Sinistra storica era uno schieramento molto vario. Sebbene il suo nucleo
originario fossero gli uomini che avevano militato con Mazzini e con
Garibaldi, quindi repubblicani, la Sinistra conteneva al suo interno anche
persino esponenti “conservatori”. A tutti era ad ogni modo comune un
notevole anticlericalismo e l’appartenenza alla Massoneria1.
Arrivò al governo con la rivoluzione parlamentare del 1876, quando il re
Vittorio Emanuele II affidò l’incarico di presidente del consiglio ad
Agostino Depretis, uno dei Mille di Garibaldi.
Il governo Depretis nel 1877 varò la riforma Coppino che alzava l’obbligo
scolasticoa 9 anni ; nel 1879 abolì la tassa sul macinato; nel 1882 varò una
riforma elettorale che allargò, sebbene in percentuali minime, il numero
degli elettori2.
Caratteristica della politica di quest’epoca furono il trasformismo, ossia la
costante formazione di maggioranze parlamentari di Sinistra sulla base di
“cambi di casacca” da parte di parlamentari di Destra, che poi entravano
poi a far parte del governo; e il clientelismo, ossia la tendenza a fare
politica per interessi personali e per favorire determinate lobby.
In politica estera la Sinistra fece un cambio di alleanze. Poiché la Francia
aveva occupato militarmente la Tunisia, a cui guardava pure l’Italia, allora il
governo Depretis, nel 1882, firmò con l’Austria e la Germania la Triplice
Alleanza. Questo patto parve “innaturale” agli irredentisti3. In questo
contesto si situa l’arresto e la condanna a morte dell’irredentista triestino
Guglielmo Oberdan, impiccato il 20 dicembre 1882 per aver pianificato un
attentato contro l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Alla figura di
questo patriota (per gli italiani) o terrorista (per il governo asburgico) è
dedicato il famoso Inno A Oberdan (1882).
2. Francesco Crispi
Nel 1887 Agostino Depretis morì e il re Umberto I, succeduto a Vittorio
Emanuele II nel 1878, assegnò l’incarico di formare un nuovo governo a
Francesco Crispi, anch’egli uno dei Mille ed esponente di spicco della
Sinistra.
1
Massone era Garibaldi; massoni Depretis, Zanardelli, Coppino, De Sanctis, Crispi, Nicotera
… per citare i più rappresentativi membri della Sinistra Storica.
2
Si parla sempre di diritto di voto garantito SOLO ai maschi. Le donne italiane saranno
ammesse al voto solo nel 1946.
3
L’irredentismo fu un movimento politico e di opinione che puntava alla
“redenzione”, cioè alla liberazione dal dominio straniero, di terre quali il Trentino,
Trieste con la Venezia Giulia, la Dalmazia, Nizza e la Savoia, la Corsica e Malta, che
dovevano essere unite all’Italia. Fu un movimento molto importante anche durante il
fascismo.
1
Il governo di Crispi, che durò quasi ininterrottamente dal 1887 al 1896, fu
caratterizzato dalla cosiddetta democrazia autoritaria: uno Stato forte e
allo stesso tempo riformatore, capace di tenere a freno i conflitti sociali. Per
questo fu rafforzato notevolmente il potere del governo rispetto al potere
del Parlamento.
Tra le riforme più importanti del governo di Crispi va certamente ricordato
il nuovo codice penale, il codice Zanardelli del 1889-90, che aboliva la
pena di morte, garantiva la libertà di sciopero, ma consentiva direttamente
alle forze di polizia di comminare il “domicilio coatto” a persone considerate
“pericolose”. Un altro provvedimento, datato 1890, fu l’abolizione delle
Opere Pie, ossia di quegli enti ecclesiastici che si occupavano
dell’assistenza dei poveri, cosa che passò - più a parole che in pratica4 - tra i
compiti dello Stato.
Crispi fu sempre in contrasto con il Vaticano: nel 1887 rimosse dalla carica il
Sindaco di Roma, principe Torlonia, colpevole di essersi inginocchiato
davanti a Leone XIII; nel 1889 appoggiò fortemente l’inaugurazione in
Campo dei Fiori del monumento Giordano Bruno. La statua fu realizzata
da Ettore Ferrari, membro importante della Massoneria italiana. L’opera fu
concepita come una sfida alla Chiesa e lo stesso Bruno divenne la
“bandiera ufficiale della Massoneria” e simbolo di quella Roma (e quindi di
quell’Italia) moderna, per dirla col Crispi, che si contrapponeva alla Roma
(all’Italia) papale, papalina e cattolica. Leone XIII protestò fortemente contro
l’atto: “È ben doloroso e quasi mostruoso che da questa alma Città, nella
quale Dio collocò la sede del suo Vicario, si oda il banditore della ragione
umana che si ribella a Dio, e nel luogo da dove il mondo è solito ricevere
l’incorrotto insegnamento del Vangelo e i consigli della salvezza,
rovesciate iniquamente le cose, si inaugurino impunemente monumenti
dedicati a nefasti errori e alla stessa eresia. A questo Ci hanno portato i
tempi: di vedere l’abominio della rovina nel luogo santo”. La Civiltà
Cattolica, giornale dei Gesuiti, bollò il tutto con questa frase lapidaria: "La
Brunomania è la prova più palpabile della decadenza intellettuale e
morale della nostra gioventù studiosa".
3. La guerra d’Abissinia (1893-1896)
Il nome di Crispi è anche legato agli inizi della colonizzazione italiana
dell’Africa. Il Regno d’Italia iniziò la sua avventura coloniale nel 1882
quando acquistò la base di Assab, in Eritrea, facendone la base di un futuro
allargamento territoriale.
4
Fra il 1876 e il 1900 emigrarono dall’Italia in cerca di lavoro più di 5 milioni di persone,
con una media di più di 210mila persone all’anno.
2
Nel 1885 occupò il porto di Massaua, utile per una invasione dell’impero
d’Etiopia. Un primo tentativo di invasione fu fatto nel 1887 e non si fermò
neppure dopo l’eccidio di Dogali (1887) quando furono massacrati dagli
etiopi 500 soldati italiani. Al contrario gli scontri continuarono fino al 1889,
quando l’Italia e il Negus Menelik II d’Etiopia, firmarono il trattato di
Uccialli che sanciva la nascita della Colonia Eritrea. Contemporaneamente
l’Italia occupava la Somalia. Nel 1893 Menelik strappò il trattato di Uccialli e
Crispi decise di reagire militarmente. Tuttavia l’impresa fu rovinosa per gli
italiani che furono sconfitti all’Amba Alagi (7 dicembre 1895), a Macallè (15
dicembre 1895 - 22 gennaio 1896) e infine ad Adua (1° marzo 1896)5. La
disfatta di Adua fu anche la fine del governo di Crispi.
4. La questione operaia
La questione operaia fu una delle grandi questioni dell’Ottocento che vide
contrapposte varie ricette: il socialismo e il comunismo, i difensori del
capitalismo, la via cattolica.
Per Marx e per la scuola socialista e comunista il grande problema da
sradicare era la proprietà privata, poiché formata dall’arricchimento dei
padroni sulla pelle degli operai, spesso e volentieri veramente sfruttati dal
sistema capitalista. Da queste idee nacquero i vari partiti socialisti europei,
che nel 1889 formarono la Seconda Internazionale Socialista, con l’intento
5
Il 2 ottobre 1935 Mussolini nel dichiarare guerra all’Etiopia gridò alla folla “Con
l'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni. Ora basta!” (in questo link il discorso). Si
riferiva alla sconfitta di Adua di quarant’anni prima. Così quando nel 1936, dopo la
guerra coloniale, fu conquistato l’impero, la propaganda di regime poteva affermare:
“Tre conti son già stati regolati, / con Adua, Macallè ed Amba Alagi”, per citare l’inizio
di una canzonetta del tempo, che si può ascoltare a questo link.
3
di lottare per l’aumento dei salari e per il massimo di 8 ore lavorative. Su
come conquistare ciò i socialisti si divisero fra: riformisti o
socialdemocratici; e rivoluzionari, più fedeli all’insegnamento di Marx,
fermi nel ritenere indispensabile l’abbattimento della società borghese.
Anche l’Italia ebbe il suo Partito Socialista: il Partito dei Lavoratori Italiano
(poi Partito Socialista Italiano), fondato nel 1892 attorno alla figura di
Filippo Turati.
Anche la Chiesa Cattolica si occupò della questione operaia: lo fece Leone
XIII, uomo di finissimo ingegno, con l’enciclica Rerum novarum del 15
maggio 1891. Il Pontefice condannava il socialismo e la pratica
rivoluzionaria, ribadiva il diritto naturale alla proprietà privata, ma
criticava allo stesso tempo lo sfruttamento dell’operaio, riconoscendo il
diritto degli operai di unirsi in sindacato per chiedere un giusto salario.
Se la prospettiva marxista era la lotta di classe (padroni contro operai),
nella prospettiva cattolica era necessaria una collaborazione fra le classi,
poiché ricchi e poveri non dovevano agire per fini differenti, ma per il
medesimo fine, ossia il benessere dell’intera società, la quale è come un
corpo dove tutte le membra svolgono una funzione essenziale per tutti.
5. I moti del pane e il regicidio
Gli ultimi anni dell’Ottocento italiano furono anni insanguinati, in modo
particolare il 1898: l’anno dei moti del pane. Le manifestazioni contro
l’eccessivo prezzo del pane iniziarono a Modena nel gennaio. Dagli arresti
di massa si passò ben presto ai cinque morti di Palermo in febbraio, ai sette
morti di Molfetta nel maggio, fino ai sanguinosi moti di Milano. Nel
capoluogo lombardo fra l’8 e il 9 maggio 1898 i cannoni del generale
Fiorenzo Bava Beccaris fecero più di 100 morti. Nei giorni successivi
furono arrestate centinaia di persone e ottocento furono le condanne
inflitte dai tribunali militari. Fra i condannati, due personaggi diversissimi
tra loro: Filippo Turati, capo dei socialisti italiani, e don Davide Albertario,
sacerdote e giornalista intransigente6, reo di aver scritto sul suo giornale:
"Il popolo vi ha chiesto pane e voi avete risposto piombo".
Umberto I, come ricompensa, fece Bava Beccaris Senatore e lo insignì di
un’importante onorificenza. Questo però gli costò la vita, poiché il 29 luglio
1900 l’anarchico Gaetano Bresci, per vendicare le vittime milanesi, gli
sparava a Monza. Finiva così la vita del secondo re d’Italia e quell’età che da
lui prese il nome di umbertina (1878-1900). Gli successe suo figlio Vittorio
Emanuele III.
6
I cattolici intransigenti non erano altro se non coloro che appoggiavano la
rivendicazione del potere temporale da parte del Papa e che per questo si
opponevano al governo italiano che aveva occupato Roma.
4
6. L’età giolittiana
Per età giolittiana si intendono gli anni che vanno dal 1903 al 1913, durante
i quali occupò la carica di Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti. Questo
periodo è stato anche chiamato dittatura giolittiana per l’indiscussa e
stabile permanenza di questo statista al governo dello Stato.
L’idea iniziale del Giolitti fu quella di proseguire sul solco del suo
predecessore, Zanardelli: riforme sociali, un atteggiamento di mediazione
rispetto ai conflitti nel mondo del lavoro, e infine un allargamento della
base sociale dello Stato liberale ai cattolici e ai socialisti.
Innanzitutto Giolitti si rivolse ai socialisti di Turati, chiedendo loro di entrare
nel governo. Credeva infatti che solo coinvolgendo i socialisti avrebbe
potuto regolare dall’alto i processi economici e produttivi e così favorire lo
sviluppo industriale dell’Italia. Turati tuttavia rifiutò l’offerta per via che la
sua corrente, quella riformista, risultava al momento minoritaria all’interno
del Partito Socialista Italiano, rispetto alla corrente rivoluzionaria, poco
incline a fare accordi con il governo borghese.
Giolitti tuttavia non cesso di cercare appoggi per il suo governo: per un
decennio rimase al potere ora grazie ai voti dei progressisti, ora grazie ai
voti dei conservatori. Questo opportunismo politico gli consentì di avere i
voti per fare riforme importanti, ammodernare lo Stato e far sviluppare
(limitatamente al Nord Italia7) l’industria, tanto da far parlare di “primo
miracolo economico italiano”. Per contro gli impedì di toccare gli interessi
delle lobby che di volta in volta lo sostenevano, come per esempio i
latifondisti del Meridione, intervenendo anzi con l’esercito contro le
rivendicazioni contadine.
Una delle prime riforme giolittiane fu la legge Orlando del 1904 che portò
l’obbligo scolastico dai 9 ai 12 anni. Un’importante svolta fu l’allargamento
del diritto di voto: nel 1912 infatti fu approvato il suffragio universale
maschile.
7. Il Patto Gentiloni del 1913
Rimanendo nel campo elettorale, va ricordata l’apertura ad una
collaborazione coi cattolici: il famoso Patto Gentiloni per le elezioni del
1913.
Prima di parlarne però bisogna riassumere la storia precedente dei rapporti
fra i cattolici e la vita politica italiana.
Pio IX, e dopo di lui Leone XIII, proibì ai cattolici di prender parte alla vita
politica italiana con il famoso “non expedit”: nessuna partecipazione alle
elezioni, nessun partito cattolico, solo un’azione cattolica. Nel 1874 fu
7
I vertici dello sviluppo industriale italiano furono le città di Genova, Milano e Torino, il
cosiddetto triangolo industriale.
5
fondata l’Opera dei Congressi «allo scopo di riunire i cattolici e le
Associazioni Cattoliche d'Italia, in una comune e concorde azione, per la
difesa dei diritti della Santa Sede, e degli interessi religiosi e sociali
degli Italiani, conforme ai desideri e agli eccitamenti del Sommo
Pontefice, e sotto la scorta dell'Episcopato e del Clero». Tuttavia all’interno
di questo movimento nacquero varie posizioni contrastanti, motivo per cui
Pio X, eletto papa nel 1903, lo sciolse nel 1904.
Lo stesso Pontefice dovette affrontare la nascita del movimento
democratico cristiano (o popolare) che, sotto la guida del sacerdote
Romolo Murri, univa il cattolicesimo alla democrazia moderna, fino a
considerare valida una collaborazione coi socialisti8. Contro i richiami
dell’autorità ecclesiastica, Murri continuò la sua azione politica e nel 1909 fu
scomunicato9.
D’altra parte però già nel 1905 Pio X aveva allentato il non expedit in
funzione antisocialista. Nell’enciclica Il fermo proposito di quell’anno
scriveva: «Ragioni gravissime Ci dissuadono dallo scostarsi da quella
norma già decretata dal Nostro Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi
dall’altro Nostro Antecessore di s. m. Leone XIII, secondo la quale rimane in
genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo.
Sennonché altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene
della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei
casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi,
Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle
anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne facciate dimanda …
Onde importa assai, che quella stessa attività, già lodevolmente
spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione
elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli
provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad
organizzarsi per la vita politica … accedendo agli offici pubblici ed
esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere
8
La democrazia moderna (quella sorta sugli ideali della Rivoluzione Francese, per cui
l’autorità non viene da Dio ma dal popolo) e il socialismo erano stati più volte condannati
dalla Chiesa in modo particolare da Pio IX e Leone XIII che intendeva la democrazia
cristiana solamente come “una benefica azione cristiana a favore del popolo”, senza
alcun impegno partitico e politico. Lo sviluppo del movimento democratico cristiano si
lega anche a quel complesso di dottrine noto come modernismo, riassumibile nella
volontà di far assumere alla Chiesa le categorie (evidentemente sempre mutevoli) del
mondo moderno, e che fu scomunicato da Pio X nel 1907 perché “cloaca di tutte le eresie”.
9
Già sospeso dall’esercizio del sacerdozio nel 1907, la scomunica gli fu comminata a
seguito della sua elezione alla Camera fra i deputati del partito cattolico della Lega
Democratica Nazionale. Ruppe con la Lega nel 1912 per via della sua predilezione per una
politica di alleanza coi socialisti. Nello stesso anno si sposò con Ragnhild Lund, figlia del
presidente del Senato norvegese. Fu favorevole all’intervento nella prima guerra mondiale,
poi vicino al fascismo per via delle sue posizioni anti-liberali. Si riconciliò con la Chiesa nel
1943, l’anno prima della sua morte.
6
il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo,
secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere
insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della Religione e della
giustizia».
Ed eccoci al Patto Gentiloni. Esso fu stipulato fra Giolitti e il conte Vincenzo
Gentiloni, presidente dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana, e prevedeva
che il numerosissimo elettorato cattolico avrebbe votato i liberali al fine di
bloccare l’avanzata socialista. In cambio Giolitti prometteva che i liberali
non avrebbero approvato leggi come il divorzio10 o norme limitative della
libertà delle scuole cattoliche.
8. La guerra di Libia
Un momento importante della politica estera giolittiana fu sicuramente la
guerra di Libia del 1911-12, anche detta guerra italo-turca, per il fatto che la
Libia facesse parte dell’impero turco.
L’interesse italiano per la Libia iniziò nel 1881, dopo che la Francia aveva
occupato la Tunisia. Quando i Francesi occuparono anche il Marocco nel
1911 e la paura che potessero impadronirsi dei territori libici, molto
frequentati dai commerci italiani, si fece più forte, Giolitti decise di
chiudere la questione. Così, il 29 settembre 1911, iniziò l’invasione della
Libia. L’Italia bombardò le coste libiche e presto prese possesso dei
principali centri costieri. Quindi, allargò il conflitto, bombardando Beirut,
nel Libano (sempre sotto il dominio turco), e lo stretto dei Dardanelli; e
10
Progetti di legge divorzisti furono costantemente presentati alla Camera per tutti gli
anni Ottanta dell’Ottocento, promossi da importanti nomi della politica italiana
(solitamente anche affiliati alla massoneria e anticlericali) come Zanardelli, Cocco Ortu,
Morelli, Villa. La mobilitazione cattolica, fortemente spronata da Leone XIII, fu una delle
ragioni della non approvazione di tale legge.
7
occupando il Dodecaneso11. La guerra si concluse dopo un anno, con la
pace di Losanna del 18 ottobre 1912, dopo la quale l’Italia si dichiarò
sovrana sulle regioni libiche di Tripolitania e Cirenaica e sul Dodecaneso.
Erano stati favorevoli alla guerra: i liberali, i nazionalisti e gli industriali.
I socialisti si erano divini fra coloro che come Arturo Labriola ritenevano
che “l’impresa di Tripoli [fosse] una garanzia per lo sviluppo economico
dell’Italia”12; e coloro che come Turati e Salvemini si erano schierati contro.
Fra i contrari anche un giovane socialista, di nome Benito Mussolini, che
per aver partecipato a una manifestazione contro l’impresa coloniale, fu
arrestato e si fece cinque mesi e mezzo di carcere.
Un discorso simile va fatto per l’opinione cattolica. Se è vero infatti che
molti vescovi italiani avevano approvato la propaganda italiana secondo cui
la guerra ai Turchi non fosse altro che una crociata, la Santa Sede ebbe una
posizione opposta. I due massimi giornali cattolici ironizzarono sulla
religiosità del governo italiano, che aveva tolto Roma e lo Stato al Papa e
che era visto come un’emanazione della Massoneria.
L’Osservatore Romano, il giornale ufficiale del Papa, ironicamente
scriveva: «Gli italiani credenti sapranno almeno d’ora in poi ove potranno
andare per respirare un po’ d’aria sana, per vedere all’ombra della
bandiera nazionale, il nome santo di Dio, pronunciato e riverito in forma
ufficiale, dalle pubbliche autorità, rispettate e protette le cose e le persone
sacre, garantito il decoro delle loro donne». La Civiltà Cattolica,
pubblicazione dei Gesuiti, da par suo commentò: «Il Governo nel prendere
possesso di Tripoli ha voluto dare una prova del conto che fa della
religione come di uno strumento ai suoi fini politici, pei quali si serve di
qualunque mezzo come si allea con qualunque partito».
Lo stesso Pio X, il 21 ottobre 1911, chiudeva la questione con una
affermazione netta: «È lontanissimo da ogni cattolico italiano il pensiero
che l’impresa tripolitana possa coprire una guerra a base religiosa».13
La guerra di Libia non portò molti benefici all’Italia, soprattutto perché
l’esercito fu impegnato dall’incessante guerriglia araba, che fu spezzata
solamente negli anni Trenta.
Uno dei più simpatici lasciti dell’impresa di Libia è l’allegra canzonetta
Tripoli bel suol d'amore, eseguita per la prima volta dall’attrice Gea della
Garisenda, che la cantò avvolta solamente dal tricolore.
11
Il Dodecaneso è un arcipelago di dodici isole a sud ovest della Grecia. La maggiore di
queste isole è Rodi.
12
Citazione di Arturo Labriola, politico ed economista di stampo socialsita, tratta dal suo
testo del 1912 “La guerra di Libia e l’opinione socialista”. Una convergenza di nazionalismo
e di socialismo la vediamo anche nel Pascoli, nel discorso “La grande proletaria s'è
mossa”, dove la grande proletaria è appunto l’Italia.
13
Cfr. Andrea Tornielli, E Pio X ottenne il “grazie” dei Turchi, Vatican Insider, 22 dicembre
2011.